La Corsia 3-nuova - acos-nazionale.it · comune e colletivo come tutela del bene “salute” ......

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Sommario Consapevolezza e competenze al servizio dell’uomo .......................................................... pag. 2 La professional awarness come presupposto per la situational awarness .................... pag. 8 Prendersi cura di chi cura ............................................... pag. 11 Nasce l’ACOS a Livorno: un seme per il futuro ........ pag. 13 Spendersi in compe- tenza è un vantaggio comune e colletivo come tutela del bene “salute” ... pag.14 Come, quando e perchè prevenire le malattie ....... pag. 16 Anno XLVIII - N.3 Luglio - Settembre 2012 Inviato in omaggio agli aderenti all’ACOS ESSERE AMICO Essere amico è saper guardare l’altro quando è felice e quando è triste e condividere. Essere amico è fare lo sforzo di mettersi al posto dell’altro quando si sbaglia e capire. Essere amico è andare incontro a quelli che soffrono per vedere il loro bisogno e rendersi utile. Essere amico è cercare la verità insieme a colui che percorre il cammino dell’errore e dialogare. Essere amico è imparare a vedere il buono e il bello che possiede ogni essere e ammirare. Essere amico è chiedere e dare il perdono a tempo opportuno quando si è commesso un errore e dimenticare. Essere amico è insistere in ciò che è buo- no e vantag- gioso, benché faccia male, e persuadere. Essere amico è ringraziare sempre e ren- dere felice. Essere amico è rimanere al fianco di chi non spera più nulla dagli uomini e amare. Essere amico è accettare Dio nei nostri cuori e pre- gare. Amico: perché sei il legame che unisce ma non imprigiona Amico: perché sei la stella che gui- da ma non abbaglia Amico: perché sei il torrente che disseta ma non affoga Amico: perché sei la brezza che placa ma non addormenta Amico: perché sei sguardo che scruta ma non giudica Amico: perché sei silenzio che riceve ma non opprime Amico: perché sei parola che previene ma non tormenta Amico: perché sei fratello che corregge ma non umilia Amico: perché sei un mantello che copre ma non soffoca Amico: perché sei l’oasi che ristora ma non trattiene Amico: perché sei il cuore che ama ma non esige Amico: perché sei l’immagine di DIO appunto per questo! Elena Oshiro Notiziario dell’Associazione Cattolica Operatori Sanitari

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Sommario

Consapevolezza e competenzeal servizio dell’uomo .......................................................... pag. 2

La professional awarness comepresupposto per la situational awarness .................... pag. 8

Prendersi cura di chi cura ............................................... pag. 11

Nasce l’ACOS a Livorno: un seme per il futuro ........ pag. 13

Spendersi in compe- tenza è un vantaggiocomune e colletivo come tutela del bene “salute” ... pag.14

Come, quando e perchè prevenire le malattie ....... pag. 16

Anno XLVIII - N.3Luglio - Settembre 2012

Inviato in omaggio agliaderenti all’ACOS

ESSERE AMICO

Essere amico è saper guardare l’altro quando è felice e quando è triste e condividere.Essere amico è fare lo sforzo di mettersi al posto dell’altro quando si sbaglia e capire. Essere amico è andare incontro a

quelli che soff rono per vedere il loro bisogno e rendersi utile. Essere amico è cercare la verità insieme a colui che percorre il cammino dell’errore e dialogare. Essere amico è imparare a vedere il buono e il bello che possiede ogni essere e ammirare.Essere amico è chiedere e dare il perdono a tempo opportuno

quando si è commesso un errore e dimenticare.Essere amico è insistere in ciò che è buo-no e vantag-gioso, benché faccia male, e persuadere.Essere amico è ringraziare sempre e ren-dere felice.Essere amico è rimanere al fi anco di chi non spera più nulla dagli uomini e amare.Essere amico è accettare Dio nei nostri cuori e pre-gare.

Amico: perché sei il legame che unisce ma non imprigiona

Amico: perché sei la stella che gui-da ma non abbaglia

Amico: perché sei il torrente che disseta ma non aff oga

Amico: perché sei la brezza che placa ma non addormenta

Amico: perché sei sguardo che scruta ma non giudica

Amico: perché sei silenzio che riceve ma non opprime

Amico: perché sei parola che previene ma non tormenta

Amico: perché sei fratello che corregge ma non umilia

Amico: perché sei un mantello che copre ma non soff oca

Amico: perché sei l’oasi che ristora ma non trattiene

Amico: perché sei il cuore che ama ma non esige

Amico: perché sei l’immagine di DIO appunto per questo!

Elena Oshiro

Notiziario dell’Associazione Cattolica Operatori Sanitari

22 I dai nostri inviati

“Le relazioni sul lavoro sono tutto” (Daniel Goleman, lavorare con in-telligenza emotiva, p.249)

“Ognuno di noi è un’isola, e il mare che ci separa dalle altre isole dell’arcipelago è lo stesso che ci av-vicina a loro” (Audouard, Una casa ai confini del mondo, pag.73).

Il lavoro d’èquipe in R.S.A. e in ho-spice è fondamentale per la sua esi-

stenza e sopravvivenza e altrettanto fondamentale per chi lavora in que-sto tipo di struttura è la disponibili-tà a mettersi in gioco per lavorare in gruppo in amicizia e armonia. Lavo-rare in équipe implica che non è una sola fi gura professionale che si occupa del paziente, né che molte fi gure se ne occupano indipendentemente l’una dall’altra in maniera separata ma si-gnifi ca che la cura viene eff ettuata da un gruppo “integrato”, cioè persone che lavorano in modo armonico tra loro e condizionano il proprio lavoro attraverso una continua correlazione con gli altri, fatta di scambi, confron-

ti, suggerimenti. L’equipe deve essere composta da tutte le professionalità che lavorano in quell’ambito. Ogni operatore mette a disposizione degli altri la propria professionalità. Il la-voro di équipe è infatti la dimensione capace d’integrare i diversi ruoli e le diff erenti funzionalità in un sistema fi nalizzato alla realizzazione di obiet-tivi comuni. Per l’attivazione di un équipe è necessario un impianto pro-grammatico e progettuale chiaro, una metodologia condivisa, specifi che descrizioni che mettano in relazione le competenze generali di ogni ruolo con il contesto operativo e metodolo-gico e con le fi nalità dell’intervento; ogni equipe, per poter operare, do-vrebbe disporre di una responsabilità decisionale propria, di una struttura organizzata di coordinamento e di un metodo defi nito che regoli il suo fun-zionamento. Tutti i membri del grup-po dovrebbero condividere obiettivi; modalità organizzative; suddivisione del lavoro; decisioni collettive.L’équipe in R.S.A. e in hospice deve avere chiari e sempre presenti gli

obiettivi generali e deve sapere che per quanto riguarda gli obiettivi spe-cifi ci sui singoli pazienti occorre avere una grande duttilità, una capacità di adattamento, un’intensa comunicazio-ne tra gli operatori, poiché gli obiettivi in R.S.A. cambiano repentinamente in base all’evoluzione della storia del paziente. Sul presidio degli obiettivi generali ha un ruolo importante l’en-te responsabile dell’organizzazione, il coordinatore, ma ognuno dovrebbe essere responsabilizzato a mantenere alta la guardia su questi aspetti. Un’al-tra consapevolezza acquisita è quella che è importante formarsi non solo per gli aspetti tecnici e relazionali verso il paziente, ma anche per apprendere come lavorare in gruppo, poiché pro-babilmente alcune delle diffi coltà, dei confl itti, delle incomprensioni potreb-bero essere risparmiati se si conosces-sero maggiormente alcuni aspetti or-ganizzativi e alcuni punti di debolezza, e viceversa potrebbe essere favorito lo sviluppo degli individui e del gruppo, se si conoscessero alcuni punti di forza. È necessario rilevare che i confl itti

Lavorare con gli altri verso obiettivi comuni in R.S.A. e Hospice

Laura Basile *

33I rifl essioni e ricordi

nelle équipe rappresentano un dato quanto mai frequente e causa di gran-di soff erenze e amarezze.Sicuramente non si possono annullare i confl itti, i periodi diffi cili, i periodi d’ incertezza. Tuttavia molto si può fare in termini di passaggio di informazio-ni e di modalità di comunicazione tra le persone, di presidio di alcuni ele-menti del clima, quali il sostegno, il ri-spetto dei ruoli, l’apertura, il feedback, l’amicizia intesa come solidarietà col-lettiva. I processi interni come infl uen-za sociale e conformismo, aiutano a mantenere le norme dando stabilità al gruppo. Dall’altra parte il confl itto interno tra i membri può causare di-visione o dissoluzione del gruppo se non viene adeguatamente aff rontato e risolto. I confl itti possono essere mo-difi cati, riformulati, ma non dissolti una volta per sempre. E’ per questo importante e interessante tentare di conoscerli. Manoukian ipotizza che alla base della oggettiva diffi coltà nei contesti organizzativi di aff rontare e conoscere le micro-confl ittualità vi sia un immaginario sociale di armonia, di convergenza e di omogeneità necessa-rie per avere scopi comuni. Anche se gran parte delle teorie più accreditate sull’organizzazione dà per acquisito che il confl itto è ineliminabile, l’im-maginario tende a considerare le ten-sioni, le incertezze, come disordine, come elementi estranei ad ogni real-tà organizzata. Vi è un’elevata aspet-tativa di essere d’accordo per poter “produrre” bene. La seconda ipotesi è

che i confl itti più penosi e travagliati aff ondino le radici nelle attese che i singoli portano nelle organizzazioni di lavoro (dalla retribuzione, a rico-noscimenti di posizione sociale e pro-fessionale, ma anche a elementi più spiccioli, quale la disposizione degli arredi, o l’ubicazione della stanza…). Vi sono inoltre attese più profonde non esplicitate, spesso cariche di elementi ri-vendicativi, di accuse e di denunce, ad esempio informazioni da cui si è stati esclusi, od opportunità formative che non sono state off erte, ecc. che rappre-sentano attese di riconoscimento di sé, che rispondono alla domanda.Anche la legislazione e i documenti fondanti le cure palliative danno risalto al lavorare in gruppo: -”Le cure palliative sono una cura totale attiva dei pazienti e delle loro famiglie da parte di un gruppo multi-professionale quando la malattia non é più responsiva a trattamenti speci-fi ci” Il National Council for Hospice and Specialist Palliative Care Servi-ces nei suoi documenti ha sottoline-ato l’importanza della cooperazione tra professionisti, la condivisione delle decisioni, il supporto ai mem-bri dell’equipe. In Italia il Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri del 20/01/2000 indicante i requisiti strutturali, tecnologici e organizzativi minimi per i centri residenziali di cure palliative, menziona “équipes multi-professionali costituite da personale medico, infermieri, psicologi ecc.” che si incontrano in “riunioni periodiche

d’équipe fi nalizzate alla defi nizione, alla verifi ca ed alla eventuale rimodu-lazione del piano terapeutico nonché alla verifi ca e alla promozione della qualità dell’assistenza”. Gli elementi importanti ai fi ni dell’ef-fi cienza del gruppo sono molti. Tut-tavia, la dimensione che forse conta di più di tutte è l’elemento umano: il modo in cui i membri del team inte-ragiscono tra loro e con coloro i qua-li entrano in contatto. Alcune delle competenze relazionali necessarie ad ogni singolo membro per un lavoro d’équipe ottimale sono: - stringere legami: alimentare relazio-ni utili; - collaborazione e cooperazione: co-operare con gli altri al conseguimento di obiettivi comuni; - capacità di gruppo: saper creare si-nergie nel lavorare al raggiungimento degli obiettivi del gruppo.

Le persone che esprimono le com-petenze sopra indicate sono in grado di trovare un equilibrio tra concen-

I gruppi di persone che si di-vertono lavorando insieme, che godono della reciproca compa-gnia, sanno scherzare tra loro e condividere momenti piacevoli, dispongono del capitale emotivo non solo per eccellere nei mo-menti buoni, ma anche per supe-rare insieme frangenti diffi cili.

44 I dai nostri inviati

trazione sul compito e attenzione alle relazioni; collaborare condividendo progetti, informazioni, risorse; pro-muovere un clima amichevole e coo-perativo; individuare e alimentare le opportunità di collaborazione. I grup-pi che non condividono questo lega-me emotivo, quando sono sotto pres-sione corrono un maggior rischio di paralizzarsi, di diventare disfunzionali o di disintegrarsi. La sofi sticata intui-zione di ciò che fa funzionare un’unità sottoposta a pressioni ha sempre indi-cato che i legami emotivi tra i membri del gruppo sono fondamentali per il morale, l’effi cienza e la sopravvivenza stessa degli uomini. I vantaggi di la-vorare bene in équipe cominciano a

livello personale, gli individui sentono che la combinazione di cooperazione e aumentata autonomia consente di trarre maggior godimento e soddisfa-zione dal lavoro. Quando questi grup-pi funzionano bene fenomeni quali il turn over e l’assenteismo declinano e la qualità del lavoro migliora a benefi cio degli “ospiti”.“I confl itti di ruolo possono essere ne-goziati e superati se il paziente è tenuto al centro e si punta al suo benessere” Giovanni Braidi, “il corpo curante”.

* Studente corso di laurea in scienze infer-mieristiche

Riferimenti bibliografi ci:ABIVEN M., Accompagnare il malato ter-

minale, Centro Scientifi coEditore, Torino, 2001AMERIO P., Teorie in psicologia sociale, Il Mulino, Bologna, 1982AUDOUARD A., Una casa ai confi ni del mondo, Guanda, Parma, 2001BION W.R. , Esperienze nei gruppi, Ar-mando, Roma, 1961BRAIDI G., Il corpo curante, Gruppo e la-voro di équipe nella pratica assistenziale GOLEMAN D.,lavorare con intelligenza emotiva, MANOUKIAN OLIVETTI F., Produrre servizi, Lavorare con oggetti immateriali, Il Mulino, Bologna, 1998MANOUKIAN OLIVETTI F., Ri-conoscere i confl itti nel-le organizzazioni di lavoro, in http://www.polemos.it/paper.htmlSOCIETA’ ITALIANA DI CURE PALLIA-TIVE, in www.sicp.it

Mi è stato chiesto da Marina Bossini di scrivere due pa-

role sull’incontro presso l’Orato-rio di Santa Caterina della Not-te con gli iscritti ACOS, prima la Messa e poi due parole sulla sede della Compagnia Laicale. Bisogna però necessariamente far capire al Lettore il luogo dove è stata celebrata la Messa, off rir-gli un piccolo excursus storico-artistico per introdurlo a capire quante splendide cose esistono a Siena, cose che, ahimè, non tutti conoscono, ma che pos-siamo usufruirne ed esserne edotti senza particolari sforzi. Il conoscere profondamente il luogo dove si abita permette di vivere nel miglior modo possi-bile l’ambiente che ci circonda. Questi luoghi sono collocati nel cuore del millenario Spedale

di Santa Maria della Scala, uno dei più antichi enti ospedalieri d’Europa, fondato nel corso del IX secolo dai Canonici del Duo-mo, come espressione dell’a-more di Dio verso i bisognosi, ospizio per i tanti pellegrini di passaggio lungo la Via Franci-gena, luogo di accoglienza per i poveri in cerca di elemosine, rifugio per i fanciulli abban-donati, i cosiddetti “gettatelli”.Questi suggestivi ambienti, oggi posti fra due Chiese, la Santissi-ma Annunziata nella parte su-periore e quella delle Pie Dispo-sizioni in quella inferiore, non potevano non richiamare Cate-rina, che qui si recava quotidia-namente, portando conforto ed assistenza ai bisognosi. In questi locali la Santa interpretava la carità in modo attivo e concre-to, incarnando il ruolo di infer-

S.Messa nell’oratorio diSanta Caterina della Notte

Paolo Pancino, prioreSiena,

17 Aprile 2012

55I rifl essioni e ricordi

miera volontaria per eccellenza, piena di amore e di inesauribile energia, una Florence Nightin-gale ante litteram. Essi man-tengono ancora oggi inalterata l’intensità e l’atmosfera che per tanti secoli ha accompagnato il fervore religioso dei numerosis-simi devoti della grande Santa senese. Nota fi no dal XIV se-colo come Confraternita di San Michele Arcangelo, la Compa-gnia era dedita soprattutto alla “pietas” per i defunti: infatti la Compagnia era ubicata vicino al Cimitero dell’Ospedale al cosid-detto “carnaio”, la cui voragine precipitava dal piano superiore, corrispondente alla Piazza del Duomo, fi no a quello di Piaz-za della Selva, posto molto più in basso. Sebbene Caterina non fosse mai entrata a far parte della Compagnia (i cui membri erano esclusivamente uomini), in ono-re della Santa e a testimonianza del suo legame con i Confratel-li e con il luogo ad essi caro, il nome della Compagnia venne mutato in “Santa Caterina della Notte”, come attestano vari do-cumenti fi n dal 1479. Nel Sei-cento l’Oratorio venne arricchi-

to da numerosi stucchi e dipinti, tra cui quattro tele raffi guranti la vita di Santa Caterina, da riferire ai pittori senesi Rutilio Manetti e Francesco Rustici. Sull’altare è posta una interessante Ma-donna in marmo del Trecento, la più antica immagine cultuale della Compagnia, mentre ai suoi lati sono posti quattro Angeli e i Santi Domenico e Caterina in adorazione. Oltre a numerosi dipinti, intagli, reliquari ed arre-di, la Compagnia conserva an-che una bella tavola di Taddeo di Bartolo del 1400 dedicata alla Madonna col Bambino, quattro Angeli e i Santi Giovanni Batti-sta ed Andrea, e quattro testate di bara raffi guranti Santa Cateri-na che protegge sotto il suo man-to quattro Confratelli, Cristo ri-sorto, le Stimmate della Santa e la Deposizione, da assegnare ad un artista senese dei primi anni del XVI secolo, forse Matteo Balducci. Da non dimenticare, infi ne, una statua di terracotta dipinta, attribuibile a Lorenzo di Pietro (il Vecchietta), riprodu-cente la Vergine senese, adagiata sul fi anco, in atto di dormire. In questo luogo il 17 aprile è stata

celebrata una Messa offi ciata da Don Benedetto Rossi, che per l’ennesima volta, attraverso le sue parole, si è dimostrato un valentissimo teologo. La parteci-pazione popolare è stata notevo-le, e questo fa vedere la coesio-ne nelle fi la dell’Associazione, e, da parte mia, umile ed indegno Priore della Compagnia, c’è stata vera soddisfazione, perché usare queste infrastrutture per ribadi-re il nostro essere Cristiani e a non avere timori nel dimostrare coram populo quello che siamo, non può aver altro risultato che una grande gioia interiore e la consapevolezza di fare qualcosa di veramente giusto. Ovviamente porte aperte all’A-COS se ci sarà una seconda vol-ta; anzi, dirò di più: la possibi-lità di conoscere e di interagire con altre persone fa in modo che i rapporti umani ne trag-gano giovamento, ed il vedersi e confrontarsi portà essere un bel trampolino di lancio per fu-ture e profi que amicizie, al di là dell’età e di tutte le diff ernze che ci possono essere. Anche in que-sto dobbiamo essere un segno e un esempio per gli altri.

66 I dai nostri inviati

Sabato 19 Maggio

Lucca con le sue famose Villeha accolto il nutrito gruppo

dell’ACOS in gita con una gior-nata dal clima incerto, che ci hafatto sostanzialmente graziadella pioggia, ma che anzi ci hagratifi cato, ad un certo momen-to, anche con un bel sole.Numerose sono le Ville dellalucchesia, che si estendono nellacampagna e nella zona collinarecircostante; costruite tra il XIVe il XIX secolo come residenze

estive per le classi più agiate ab-binano la bellezza della loro ar-chitettura e degli aff reschi con laspettacolarità dei loro parchi egiardini.

Prima tappa del nostro gruppo èstata la Villa di Camigliano, giàTorrigiani.

La Villa realizzata agli inizi del‘500 fu residenza estiva dellafamiglia Buonvisi; nel 1636 fuacquistata dal Marchese Nico-lao Santini, ambasciatore dellaRepubblica di Lucca alla cortedel Re Sole. Ultima discendenteè la Marchesa Simonetta Santinisposata con il Principe di Sti-gliano Don Carlo Colonna.Scesi dal pulmann, ci siamo tro-vati davanti un imponente, ma-gnifi co, lungo viale di cipressi diaccesso alla Villa dal maestosoaspetto barocco; all’interno del-la Villa si visitano le sale al pianoterra con arredi originari e af-

freschi ”a trompe l’oeil” di Pietro Scorzini. L’esterno è veramente imponente per la sua ampiezza, per la presenza di molte specie di alberi provenienti da tutto il mondo, per le grandi vasche in cui si specchia la facciata baroc-ca. Piccola, ma aff rescata la Cap-pella, ma interessante lo spazio schermato riservato ai nobili con inginocchiatoio dell’epoca.

Seconda tappa: Villa Grabau, una bella dimora rinasci-mentale con arredi e dipinti d’epoca, ancora abitata dalla famiglia Grabau, dimora pe-raltro voluta dalla storica fa-miglia lucchese Diodati.Di particolare bellezza il par-co di 9 ettari, ricco di alberi secolari e di rarità botaniche, si compone di vari giardini ar-chitettonici, come il Giardino all’inglese e il Giardino all’ita-liana; interessanti il grazioso Te-atro di Verzura e la straordina-

Il senso di tranquillità e di pace, che tanta bellezza della

natura diffonde generosamente

Rifl essioni e ricordi di una gita

Lucca - la Villa e la Citta’

Donatella Buti

77I rifl essioni e ricordi

ria limonaia. Quest’ultima è una grande costruzione, così grande che sarebbe capace di contene-re vari appartamenti di media grandezza, ma che ora accoglie nella stagione invernale una im-portante collezione di limoni in oltre 100 conche in cotto con ancora impressi gli stemmi degli antichi committenti.Comunque quello che ha colpi-to tutti noi visitatori nell’ammi-rare le due ville è stato il senso di tranquillità e di pace, che tanta bellezza della natura diff onde generosamente a chi si lascia as-sorbire dall’incanto del silenzio e dell’armonia circostante.

Una volta rasserenato lo spirito, è arrivato il momento di rifocil-lare il corpo e qui è stata un’altra

bella esperienza, perché gli orga-nizzatori non avevano prenota-to il solito ristorante, ma siamo stati invece ospiti di una struttu-ra polivalente di accoglienza per anziani e …. vista l’età media dei partecipanti alla gita, è stata una scelta azzeccata!! Ma al di là della battuta facile, in realtà siamo stati molto bene ed è stata anche una occasio-ne per alcuni di riabbracciare vecchie compagne di lavoro e di studio. Il tempo poi è stato provvidenziale, perché è venuta una burrasca mentre si pranzava e a cose ultimate, è apparso un bel sole; meglio di così come programmazione, non si poteva pretendere!

Nel pomeriggio, ci siamo dedica-

ti a una breve visita di Lucca che si presenta circondata dalle sue famose cinquecentesche Mura, lunghe più di 4 Km. Colonia latina dal 180 a.C., Luc-ca mantiene intatte le vestigia degli antichi tempi, quali l’anfi -teatro, il foro, che però non ab-biamo visto per carenza di tem-po. Ma la presenza di Roma la si vede nella struttura delle vie del centro, che rifl ettono l’orta-gonalità dell’insediamento ro-mano impostato dal cardo e dal decumano corrispondenti alle attuali Vie Fillungo- Cenami e Via S.Paolino- Roma Santa Cro-ce. Divenuta libero Comune nel 1119, la città divenne un centro molto fl orido grazie alla fabbri-cazione e commercio della seta e all’attività bancaria; ebbe però a

88 I dai nostri inviati

subire varie tirannidi, per poi ri-ottenere la propria indipenden-za nel 1369 fi no al 1799. Nel 1805 Napoleone donava la città come principato alla sorella Elisa e nel 1817 pas-sava come ducato a Maria

Luigia in Borbone.

Maestosa la Chiesa di S. Marti-no, Duomo della città, noto per essere meta di pellegrinaggi al Volto Santo, Crocifi sso ligneo realizzato da Nicodemo ad im-

magine di Gesù, oggi custodito in una edicola/tempietto ottago-nale. La Chiesa eretta in forme romaniche nell’XI-XIII secolo, fu poi rifatta internamente in stile gotico nei secoli XIV e XV; vi sono custodite importanti opere, quali La Madonna in tro-no col Bambino e santi del Ghir-landaio, L’Ultima Cena del Tin-toretto. Certamente l’opera più conosciuta è la statua funebre di Ilaria del Carretto del gran-de scultore senese Jacopo della Quercia ( 1408).

Chiesa di S.Michele in foro: uno dei più tipici esempi di architet-tura pisano-lucchese; iniziata

99I rifl essioni e ricordi

nel 1143, la chiesa fu terminata nel XIV secolo. Come non ricor-dare in particolare una splendi-da terracotta smaltata di Andrea della Robbia raffi gurante Ma-donna col Bambino o la tela di Filippino Lippi con 4 Santi.Lucca è una città attiva sia cul-turalmente che economicamen-te ed è sempre un piacere farvi “un salto”, non fosse altro per curiosare ogni terzo sabato e domenica del mese fra le banca-relle degli espositori alla ricerca di pezzi di antiquariato o di cose vecchiotte dal fascino tipico dei ricordi, di “come eravamo”, ma a un certo momento è scocca-ta l’ora del rientro e con un po’ di dispiacere, misto però a una certa stanchezza, abbiamo pre-so la strada del ritorno a Siena,

contenti di essere stati insieme ancora una volta e già pronti per una nuova gita che l’ACOS ha già previsto per Settembre.Ma una nota dolorosa appresa in

pulmann ha turbato fortemente i nostri animi; la notizia dell’at-tentato di Brindisi ove ha perso la vita una giovane studentessa e ferito altre ci ha sorpreso e mol-to preoccupato, proprio quando ci stavamo rilassando dalla stan-chezza del tanto camminare; ma la notizia era tale da parlarne a lungo, stante anche la frammen-tarietà delle notizie raccolte circa le dinamiche del fatto. Abbiamo voluto dedicare il nostro pensie-ro e la nostra preghiera a queste giovani, alle loro famiglie, con-vinti della necessità di testimo-niare, come cristiani, sempre la compassione, il rispetto verso il nostro prossimo, coerentemente alle parole del Vangelo

Un ultimo pensiero aff ettuoso va all’ACOS, ai nostri “capi”, che con gran impegno si prodigano per realizzare questi momenti comunitari così piacevoli, otti-me occasioni per stare insieme, apprezzare cose belle, ma so-prattutto per cementare senti-menti di amicizia sincera .

1010 I dai nostri inviati

Cicerone nell’opera intitolata “Sull’amicizia” aff erma: “La

natura ci ha dato l’amicizia, non come complice del vizio, ma come fautrice della virtù[...].Un requisito fondamentale è che il superiore si faccia uguale all’in-feriore, in modo che chiunque abbia raggiunto qualche meri-to di virtù, ingegno, fortuna, lo metta in comune con gli altri”.Ai giorni nostri, in molti contesti lavorativi ed in particolar modo in quello sanitario, è cruciale lo sviluppo di relazioni solidali e

basate sulla fi ducia e stima re-ciproca. Quando il lavoro di un team di persone è fi nalizzato al “prendersi cura di”, la capacità di valorizzare l’operato di cia-scuno, attraverso un riconosci-mento professionale ed umano reciproco, favorisce un miglior raggiungimento degli obiettivi.Un altro aspetto importante per creare un clima di condivisione delle fi nalità lavorative, è che ogni singola specifi cità profes-sionale, venga riconosciuta e favorita nella sua ottimizzazio-ne: gli operatori dovrebbero ri-correre alle competenze altrui senza far prevalere il senso di onnipotenza, liberandosi dalla presunzione di poter risolvere i problemi individualmente. L’or-ganizzazione del lavoro preve-de una struttura gerarchica che, sebbene possa sembrare incon-ciliabile con lo sviluppo di rap-porti solidali ed amicali, tuttavia non solo può favorirli, ma anche renderli elementi centrali per il raggiungimento di traguardi co-muni. In quest’ottica, l’amicizia non dovrebbe diventare com-plicità e quindi limitare la capa-cità di formulare giudizi obietti-vi; l’amico infatti, è colui che con aff etto, stima e fi ducia, riesce a farci superare il nostro narcisi-

E’ possibile un connubio tra amici-zia e professionali-

tà?” non solo è possibile, ma è

anche auspicabile come antidoto alla

confl ittualità e come fautore di valori e

qualità positive alla base di ogni deontologia.

Rifl essioni sull’amicizia in ambito lavorativo

Burroni Francesca *

1111I rifl essioni e ricordi

smo, ad “uscire” da noi stessi. Il riparo ed il conforto che può dare un amico vero, non è mai isolamento o chiusura nei con-fronti degli altri; esso costituisce piuttosto un porto sicuro da cui però, inevitabilmente, prima o poi dobbiamo salpare. I rapporti di amicizia raff orzano la propria identità e, limitando l’esaltazio-ne dell’ego, danno energia e mo-tivazione per agire all’insegna di un’etica umana e civile.Aristotele nell’ Etica Nicoma-chea dà questa defi nizione dell’a-micizia perfetta: “L’amicizia fondata sulla virtù è stabile, permanente e tuttavia molto più rara degli altri generi di amicizia[...]. L’amicizia ri-chiede tempo e consuetudine nella condivisione”.Le belle e suggestive rifl essioni dei fi losofi classici sull’amici-

zia, certamente trovano diffi ci-le applicabilità nelle relazioni sociali attuali ed in particolare nei contesti lavorativi. Le fi gure professionali che collaborano in campo sanitario, relativamente a queste tematiche, dovrebbero allora sviluppare una maggiore sensibilità, almeno per avere un orizzonte ideale comune; l’em-patia, che è una componente es-senziale della relazione di aiuto, può essere facilmente realizza-bile se si è già consolidata all’in-terno dell’equipe lavorativa. La capacità di “mettersi nei panni degli altri”, di provare emozio-ni e sentimenti altrui, evitando il sovrastamento delle proprie strutture interne, richiede l’abi-lità di far interagire personali-tà e professionalità eterogenee, da parte di chi ha il compito di coordinare il lavoro. L’amicizia

in ambito professionale dun-que, dovrebbe privilegiare il sentimento di empatia, rispetto a quello della simpatia, ovvero del “patire insieme”; nei rap-porti amicali fuori dai contesti lavorativi, “sentire insieme” è sinonimo di comunione pro-fonda, ma ciò non è altrettan-to auspicabile nelle relazioni professionali e soprattutto in quelle di ambito sanitario, in cui c’è una costante prossimità con il dolore degli altri. Tra colleghi quindi, la philia per essere realmente utile, dovrebbe essere declinata in un’accezione in cui il bene comune, è antepo-sto agli interessi personali e dei propri “soci”.

*studente corso di Laurea in Scienze Infer-mieristiche

1212 I dai nostri inviati

Il feto già riconosce la voce della madre quando ancora è

nel pancione. Questo è quanto mostra uno studio francese – il primo autore è Renaud Jardri -pubblicato sul-la rivista International Journal of Developmental Neuroscien-ces di aprile. Questa capacità è stata mo-strata con l’uso di raffinate tecniche di risonanza mater-na, che registrano l’attivazio-ne della corteccia cerebrale

temporale già dalla trentesima settimana di gestazione. E uno studio canadese fatto al Kingston General Hospital mo-stra che il battito del cuore si accelera nel feto quando sente la voce della mamma. Cosa im-para da questi studi chi accetta di non avere pregiudizi? In pri-mo luogo che la scienza è un’a-pertura alla bellezza: cosa c’è di più bello di vedere uno spet-tacolo normalmente nascosto come quello della vita prenatale, per millenni restato nel miste-

ro del buio uterino? Il secondo punto è la chiarezza che il feto è davvero un bambino, e che reagisce, ricorda, impara pro-prio come un bambino già nato. Dentro l’utero c’è un universo in rapido sviluppo: è il mon-do della nostra vita prenatale, come ricordava a suo tempo anche Pier Paolo Pasolini, che ricordava alla sinistra come si era allontanata dal sentire del popolo per seguire le sirene di un egoistico individualismo. Il feto in sviluppo sente le voci,

E’ l’ora di cancellare dal nostro vocabolario la parola feto perché è davvero un bambino che reagisce, ricorda, impara

proprio come un bambino già nato

C‘E’ QUALCUNO, NON QUALCOSA

Carlo Bellieni *

1313I rifl essioni e ricordi

i sapori, gli odori, e anche il do-lore se disgraziatamente gliene facciamo. Proprio per questo si è sviluppata anche l’arte di som-ministrare analgesici al feto du-rante gli interventi chirurgici che può subire prima di nascere. Già, perché il feto può anche essere curato chirurgicamente, in un paradossale susseguirsi di stati: dalla vita fetale a quella all’aria aperta seppur attaccato al cordone ombelicale quando si opera, e poi ancora vita fe-tale, fi no alla nascita naturale. Chi suppone che la vita inizi alla nascita ha il suo bel daff are per giustifi care questo paradosso di una non-vita che diventa vita, poi torna non vita e poi ancora vita… Paradossi che ci fanno rifl ettere: la nascita non cambia proprio niente nello stato morale e dav-vero poco nello stato fi sico di un individuo, perché la vita è un continuum sin dal concepimen-to, e perché solo una grossolana

disattenzione ci fa pensare che la vita fetale sia una vita “in sospe-so”, o “in un lungo sonno”, men-tre è piena di sensazioni, utili sia a modella re il sistema nervoso sia a preparare alla vita all’aria aperta.Proprio per questo esistono ad-dirittura dei corsi di educazione prenatale, che aiutano le mamme a prendere coscienza di questa evidenza e soprattutto a sfrut-tarla positivamente, entrando in contatto col loro bambino pri-ma della nascita tramite il canto, il massaggio attraverso il pan-cione e alla capacità di sentire i movimenti di risposta del feto. Che consolazione per tante don-ne scoprire di avere in sé questa compagnia, forse una delle po-che persone (è una personcina!) che ti amano non per come sei ma semplicemente perché ci sei! Come ho detto in varie occasio-ni, è proprio il caso di cancellare la parola “feto” dal nostro vo-cabolario, perché è un termine stigmatizzante quel livello del

nostro sviluppo che si vuole te-ner distinti dagli altri perché non gli viene riconosciuto pari diritti rispetto agli adulti.

La parola “feto” originariamente signifi cava “cucciolo” tanto che viene da una radice sanscrita che signifi cava “succhiare”. Poi nel tempo, soprattutto negli ultimi 50 anni si è diviso drasticamente il prima-della-nascita dal dopo. Sarebbe bello se l’utero fosse tra-sparente, ma con le ecografi e e con la scienza in pratica lo è di-ventato: che guaio per chi sostie-ne che il feto non è “qualcuno” ma è “qualcosa”!

*Neonatologo - Azienda Ospedaliera Universitaria Senese

Fonte: Toscana Oggi, 3 giugno 2012Pubblicato da “Scienza & Vita” di Siena

Convegno Nazionale ACOSIl Consiglio di Presidenza con le Regioni Trentino Alto Adige e Veneto sta organizzando il prossimo Convegno Nazionale che si terrà a

Padova - 19 e 20 Ottobre 2012““La formazione universitaria delle professioni sanitarie infermieristiche: La formazione universitaria delle professioni sanitarie infermieristiche:

una priorità educativa”una priorità educativa”appena stabilito il programma e l’organizzazione troverete tutto

l’aggiornamento al riguardo sul Sito Nazionale: www.acos-nazionale.it

1414 I dai nostri inviati

Le delicate e attuali tema-tiche correlate con la sof-ferenza e il fi ne vita non

sempre ricevono quel soste-gno culturale e morale che un accompagnamento adeguato alla dignità della persona esige. Ciò rischia di ignorare preziose esperienze già in atto nell’ambito del sostegno al malato cronico e terminale. Valorizzare le realtà esistenti può contribuire non solo ad alleviare le singole dif-fi coltà ma anche a promuovere un’autentica cultura della com-passione e della consolazione, secondo la prospettiva delineata da Benedetto XVI nell’Enciclica del 2007, Spe salvi.A documentare a a stimolare un’auspicabile nuovo orienta-mento di cultura e di prassi opera-tiva ha contribuito un convegno svolto l’8 marzo 2012, all’Uni-versità Cattolica del Sacro Cuo-re di Roma, dal titolo “stare ac-canto nelle ultime fasi della vita”. L’iniziativa promossa dal Cen-tro di Ateneo per la Dottrina Sociale della Chiesa, diretto dal Professor Evandro Botto, ha previsto oltre a rifl essioni sui diversi ambiti disciplinari colle-gati alla soff erenza e al fi ne vita (fi losofi co, etico-sociale, medi-co, politico e penale) anche l’i-naugurazione di un servizio (già esistente ma rinnovato) ubica-to presso l’unità di radiotera-pia del Policlinico gemelli: una

Piccola Degenza del Sollievo. Nella stanza del sollievo i fami-liari dei pazienti socializzano tra loro, sostenuti dai Volontari del Sollievo, che aiutano entrambi (pazienti e familiari) a control-lare il dolore anche valorizzando la componente psicologica, so-ciale e spirituale della persona.

“La misura della soff erenza si determina essenzialmente nel rapporto con la soff erenza e il soff erente. Questo vale per il singolo come per la socie-tà. Una società che non riesce ad accettare i soff erenti e non è capace di contribuire median-te la compassione a far si che la soff erenza venga condivisa portata anche interiormente, è una società crudele e disuma-na. La società, però, non può accettare i soff erenti e sostener-li nella loro soff erenza, se i sin-goli non sono essi stessi capaci. D’altra parte il singolo non può accettare la soff erenza dell’al-tro se egli personalmente non riesce a trovare nella soff e-renza un senso, un cammino di purifi cazione e maturazio-ne, un cammino di speranza. Accettare l’altro che soff re signi-fi ca, infatti, assumere in qualche modo la sua soff erenza, così che essa diventa anche mia.Ma proprio perché ora è diven-tata soff erenza condivisa, nella quale c’è la presenza dell’altro,

questa soff erenza è penetrata dalla luce dell’amore. La pa-rola latina con-solatio, conso-lazione, lo esprime in manie-ra molto bella suggerendo un essere-con nella solitudine, che allora non è più solitudine” (Benedetto XVI, Spe salvi, 38).

Da ciò si intuisce l’importanza di formare a qualunque livello (sa-nitario, psicologico, spirituale) professionisti e volontari, affi n-ché possano assumere, sia nella cura che nel prendersi cura, un atteggiamento di condivisione e partecipazione. Quando non è possibile curare, infatti, è sem-pre possibile prendersi cura (dal to cure al to care). La soff erenza psichica o il dolore fi sico, anche quando non potranno essere del tutto eliminati perché legati alla fi nitezza della condizione uma-na, possono risultare più sop-portabili se condivisi e collocati in una prospettiva di speranza. Ciò riconduce lo sguardo sul-la persona che, se accompa-gnata, nella soff erenza diven-ta più forte, più matura e più capace di ridurre l’egoismo e l’individualismo dominan-ti nella società. Il periodo pa-squale richiama alla condivi-sione della soff erenza umana vissuta da Cristo, dono-risposta del Padre al dolore dell’uomo. Promuovere e sviluppare una cultura del sollievo è un impe-

La cultura della consolazioneDott.ssa Angela Maria Cosentino

Professoressa e Bioeticista

I contributi dei relatori

gno possibile, da realizzare an-che valorizzandole diverse real-tà presenti sul territorio (come quelle dell’Unitalsi) confl uite nella Rete nazionale del Sollievo.Un richiamo sull’importanza del fattore umano nel sostegno alla fragilità arriva, fi nalmente, pure da alcuni fi lm attualmente in programmazione nelle sale cinematografi che italiane. Quasi amici, ispirato ad un fat-to vero, evidenzia il ruolo che un autentico rapporto perso-nale può assumere nella ma-lattia. Nel fi lm francese il pa-ziente, un tetraplegico sulla sedia a rotelle (Philippe) è in-terpretato dal bravo Francois Cluzet e il suo tuttofare di co-lore (l’emigrato Driss) è magi-

stralmente recitato da Omar Sy. Anche il fi lm A Simple Life rac-conta la malattia toccando con delicatezza e sensibilità la digni-tà dell’invecchiamento e della sua accettazione così la gratitu-dine di chi, nel passato è stato accudito, e ora cerca di ricam-biare, in un particolare rapporto (come quello che lega i due pro-tagonisti cinesi) in cui, pur senza esserlo, sembrano madre e fi glio.

Otre ai fi lm segnalati (di buon auspicio come tendenza cultu-rale) sono da richiamare le vigo-rose testimonianze di chi ha vis-suto il dolore e la soff erenza con coraggio eroico, come il beato Giovanni Paolo II, perché pos-sano essere di stimolo per tutti,

per una vera e globale sostenibi-lità della persona, la cui prezio-sità esige di andare oltre rigidi motivi di bilancio sanitario. Lo ha ricordato nella prolusio-ne del 26 marzo scorso anche il Card. Angelo Bagnasco, presi-dente della Conferenza Episco-pale Italiana, quando ha esorta-to ad un impegno in favore di una costruzione sociale fondata sul riconoscimento di ogni vita umana, soprattutto “nei mo-menti di maggior fragilità, come l’inizio e la fi ne”.

Fonte:Fraternità mar-apr 2012Organo Uffi ciale Associazione UNITALSI

1515

1616Gita sociale a Subiaco e Villa d’Este

22 settembre 2012

Programma:ore 6,15 partenza con pulman GT davanti a Bar Nannini di

Via Massetana Romana

ore 10,30 arrivo al Monastero di San Benedetto - inizio Visita guidataore 11,30 santa Messa

ore 13,00 Pranzo

ore 14,45 partenza per Villa d’Este a Tivoliore 16,00 Visita aVilla d’Este

ore 17,30 partenza per Sienarientro previsto ore 20,30

Quota € 60,00 comprensiva di viaggio in pulman GT, pranzo, ingres-si e visite guidate.(per i soci ACOS € 55,00)

prenotazioni entro il 17 settembre o fi no ad esaurimento posti disponibiliMarina Bossini 335 292411Donatella Coppi 349 1276509

Carissimo, l’adesione all’Acos è importante perché è attraverso di essa che possiamo riaff ermare il nostro impegno di operatori sanitari cattolici e portare un contributo di idee e di presenza nel mondo sanitario odierno. L’Acos non ha risorse economiche ed è solo grazie al contributo di tutti e anche tuo che ci dai questo appoggio che riusciamo tutti insieme a portare avanti, nello spirito dello statuto, i valori per i quali operia-mo. Il rinnovo dell’adesione è rimasto invariato ed è come lo scorso anno di Euro 25,00. Il periodico “La Corsia” è un sussidio inviato gratuitamente agli iscritti, che si propone come mezzo di informazione, formazione e collegamento tra gli aderenti. Non ti nascondo le diffi coltà economiche che si presentano ogni volta per realizzare un numero, ma coscienti della sua importanza ci impegniamo nel realizzarlo; ogni contributo di idee, articoli, suggerimenti è ben accetto, sia da abbonati, simpatizzan-ti o lettori. Per trasmetterli oltre al servizio postale puoi utilizzare il nostro recapito e-mail: [email protected].

Con l’occasione ricordiamo che il rinnovo delle quote per l’anno 2012: quota ordinaria: € 25,00 sostenitori: € 50,00 quota simpatizzante: € 20,00 studenti: € 12,00

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Direttore responsabile: Giuseppe Marcianò

Comitato di Redazione: Donatella Coppi, Marina Bossini

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Numero chiuso il 29 luglio 2012.Spedizione in A. P. Legge 662/96 art. 2 comma 20/C Fil. di SienaReg. Tribunale di Siena n. 276 del 15/11/1965

Notiziario dell’Associazione Cattolica Operatori Sanitari