La comunicazione interculturale tra oralità e scrittura (2)

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 Università degli Studi di Milano Bicocca Laurea Specialistica in Scienze Antropologiche ed Etnologiche La comunicazione interculturale tra oralità e scrittura di Michele Parodi tesi presentata al corso Cultura e Società tenuto dal prof. Fabio Quassoli a.a. 2002-2003 Sommario 1

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Università degli Studi di Milano Bicocca, Laurea Specialistica in Scienze Antropologiche ed Etnologiche. Tesi presentata al corso "Cultura e Società" tenuto dal prof. Fabio Quassoli, nell'a.a. 2002-2003.

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Università degli Studi di Milano Bicocca

Laurea Specialistica in Scienze Antropologiche ed Etnologiche

La comunicazione interculturaletra oralità e scrittura

diMichele Parodi

tesi presentata al corso Cultura e Societàtenuto dal prof. Fabio Quassoli

a.a. 2002-2003

Sommario

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In questa breve ricerca, mi propongo di far dialogare tra loro alcuni modelli utili all’analisi e alla

descrizione delle problematiche della comunicazione interculturale1, con lo scopo di ottenere una

descrizione densa capace di comprendere e "far vedere" alcuni dei presupposti che sono alla base

delle difficoltà e dei fraintendimenti connaturati a questi eventi comunicativi.

E' discusso principalmente, seguendo gli studi classici di J. Goody 2, il modello che analizza le

conseguenze dell'alfabetizzazione sulle attività cognitive dell'uomo e sulle pratiche retoriche

dell’interazione faccia a faccia. Si focalizzerà l'attenzione in particolare sulle caratteristiche del

 pensiero orale che contraddicono le nostre usuali aspettative comunicative. Tale modello è

"agito" e confrontato con il modello che categorizza le culture in culture “individualistiche”, a

 bassa pregnanza del contesto sociale (low-context culture), e culture “collettivistiche” ad alta

 pregnanza del contesto sociale (high-context culture). Si è cercato di fare dialogare tra loro questi

modelli in modo da poter decostruire vicendevolmente i loro presupposti universalistici, pur 

mantenendone le potenzialità analogiche. Entrambe le dimensioni sono utilizzate nell’interpretarela complessità della comunicazione interculturale, e in particolare i casi di interazioni conflittuali.

 Nel discutere queste teorie, sono presentati alcuni eventi linguistici registrati da A. Duranti in un

villaggio dell’isola di Upolu, frutto delle sue ricerche etnografiche sul parlare quotidiano nella

Samoa Occidentale. Altri esempi si riferiscono alla mia esperienza personale di insegnante in

 Nigeria, dove ho vissuto per circa due anni3 nella città di Port Harcourt, avendo modo di

sperimentare le difficoltà della comunicazione interculturale. Sono discusse così le modalità

comunicative della  palabre africana, in particolare delle società egualitarie tradizionali

nell’Africa Occidentale. Infine sono analizzate le forme di interazione che governano lecompetizioni verbali, basate su scambi di insulti rituali, delle comunità nere delle metropoli

nordamericane ( sounding ,  signifying ,…). L'importanza nel  sounding  di tenere l'avversario nel

dubbio, cioè l'importanza di mantenere e gestire l'ambiguità differendo al ricevente la

responsabilità di interpretare i messaggi del mittente, sono assunti come concetti unificanti, come

 paradigmi, capaci di cogliere alcune caratteristiche nascoste dell'oralità e alcuni dei moventi

essenziali dei fraintendimenti tipici della comunicazione interculturale. I modelli macro

dell’oralità e della scrittura sono iniettati nell’analisi di tipo micro della ricerca etnografica,

sfruttando le implicazioni cognitive previste dai medesimi modelli.

1 « Con il concetto di “comunicazione interculturale” si fa riferimento ad ogni processo comunicativo, diretto e/omediato, che veda impegnati individui provenienti da ambiti culturali diversi e/o in possesso di un bagagliolinguistico espressivo non omogeneo ». Cit. Quassoli 1999, p. 32 Goody & Watt 1963. Faremo inoltre riferimento al testo dello stesso Goody,  Il potere della tradizione scritta

(Goody 2000) e soprattutto al volume Oralità e scrittura, le tecnologie della parola, di Walter J. Ong (Ong1982) che muovendo dalle ricerche di Goody, di Luria, di Parry su Omero, Havelock su Platone, Finnegan sullaletteratura africana, svolge una importante opera di sintesi, sistematizzando le precedenti conoscenze del campo.3 Dall’Ottobre 2000 al Maggio 2002.

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L'esame delle trascrizioni di Duranti e degli altri documenti etnografici analizzati (diari e ricordi

 personali, testi letterari, proverbi,…) si vale dei metodi dell’etnografia del parlato (ethnography

of speaking ), metodi illustrati dallo stesso Duranti nel suo manuale “Etnografia del parlare

quotidiano”, a cui si fa qui esplicito riferimento4. Il linguaggio in questa prospettiva non è

studiato a partire da forme verbali isolate ma inserendo tali forme nel contesto sociale in cui

agiscono5. Viceversa il sociale (rifacendosi anche agli assunti dell’etnometodologia), non è mai

considerato un dato, ma piuttosto un processo in continuo divenire realizzato dagli attori sociali

nell’agire quotidiano e quindi largamente dipendente dal tipo di strumenti usati nel comunicare e

interagire6 . Nel definire i concetti di "identità" e "faccia", si fa riferimento ai modelli

dell'interazionismo simbolico (in particolare agli scritti teorici di G. H. Mead e Shultz) e alla

 prospettiva drammaturgica di E. Goffman. L'analisi dei rituali di “facework” cioè del lavoro di

controllo e cura della propria e altrui "faccia", in contesti di comunicazione conflittuale, viene

approfondito, seguendo la terminologia proposta da Stella Ting-Toomey, introducendo i concettidi “self-positive-face”, “other-positive-face”, “self-negative-face”, “other-negative-face”.

Parte Prima:Il pensiero e la comunicazione tra oralità e scrittura

Il modello esplicativo proposto da Jack Goody prevede che mutamenti nei mezzi di

comunicazione, inducendo nuove pratiche comunicative (ad esempio nel caso che qui ci

interessa le pratiche della scrittura), producano un cambiamento di certi aspetti delle nostre

attività cognitive e dei modi in cui interpretiamo e manipoliamo quanto ci circonda, incidendo

quindi sulle categorie che attengono alla razionalità e alla logica. Queste modifiche, anche se

mediate dal piano della cultura e delle strutture sociali dominanti, conseguono, in un processo

graduale di deriva, importanti mutamenti anche nei modi e nelle strategie delle pratichediscorsive e dell'interazione comunicativa faccia a faccia.

4 Duranti a sua volta sviluppa le sue tesi a partire dagli scritti teorici e metodologici dell’antropologo Dell Hymes(Hymes 1962).5 I “contesti d’uso” di Wittgenstein6 In base a questa impostazione teorica risulta evidente l'importanza che ha la scoperta della scrittura nelmodellare i comportamenti umani.

3

MUTAMENTO DEI MEZZIDI COMUNICAZIONE

 

PRATICHE DELLASCRITTURA

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Schema 1

E' interessante osservare che questo modello è anche applicabile ai recenti mutamenti nei

mezzi di comunicazione indotti dalla diffusione di massa dei nuovi media: scrittura elettronica

e ipertestuale, telefonia mobile, Internet (posta elettronica, chatting, video conferenze,..). Lavelocità con cui le nuove pratiche, associate a questi mezzi, si vanno imponendo, induce

mutazioni cognitive ancora tutte da indagare, che fanno pensare a forme di neo-oralità in cui

l'interattività, la modularità, la complessità non lineare del pensiero saranno prevalenti7.

Il modello proposto si espone, in modo evidente, al rischio di diventare una chiave di lettura

universale, con cui spiegare, in termini di causalità diretta, le differenze culturali tra società

alfabetizzate e società prive di scrittura. Si è cercato qui di utilizzare il modello dell'oralità in

termini deboli. Pur mantenendone la struttura interpretativa si è cercato di usare i suoienunciati in modo non deterministico, riproponendoli come connessioni significative

all'interno di un contesto semantico complesso non omologante. Un modello può essere visto

come la sceneggiatura per un regista. Essa è un punto di partenza importante per non

affrontare il campo o i dati disponibili vagando senza meta, in uno spazio indifferente e quindi

deserto. Però dal modello bisogna essere in grado ben presto di staccarsi, come da una madre

troppo oppressiva, lasciandosi guidare dalle connessioni intuite più liberamente, in uno spazio

ormai ricchissimo di stimoli. Il rischio, altrimenti, è quello di risucchiare tutta l'esperienza inun mondo artificiale altrettanto morto e arido, privandosi così di qualsiasi capacità

interpretativa del mondo della vita in cui siamo immersi.

Di seguito ci occuperemo principalmente della psicodinamica dell'oralità le cui caratteristiche

 per un osservatore alfabetizzato risultano più inconsuete e stranianti. Per differenza si daranno

anche nozioni dei processi cognitivi tipici della scrittura.

7 Nel volume di John B. Thomson,  Mezzi di comunicazione e modernità (Thomson 1995), l’autore studia leconseguenze dell’introduzione dei mezzi di comunicazione di massa sulla socialità dell’uomo e sul processo diautoformazione del Sé. Il distanziamento tra mittente e ricevente sembra qui aggravarsi eliminando i residui diinterattività ancora presenti nella scrittura (ad esempio i serrati scambi epistolari del romanticismo). Il ricevente,in generale, non disponendo delle capacità di encoding del mittente, è impossibilitato a produrre segnali difeedbeck che usino gli stessi canali comunicativi attraverso cui il messaggio è inviato.

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MODIFICAZIONE DIATTIVITÀ COGNITIVE

MUTAMENTO DELLE PRATICHE DISCORSIVEDELL'INTERAZIONE FACCIA A FACCIA.

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1. Le parole come eventi dotati di potere8

In una cultura orale primaria, le parole sono suoni che si possono richiamare, ma non sonomai visibili. Non c'è luogo alcuno dove cercarne il significato come in un dizionario. Le

 parole sono essenzialmente evanescenti, non hanno una permanenza stabile. Non è possibile

formare il suono di una parola ed averlo allo stesso tempo. Le parole sono occorrenze, eventi

ed in quanto eventi sono dotate di un potere9. Il linguaggio diventa allora un modo dell'azione

e non semplicemente un contrassegno o una rappresentazione del pensiero. Il significato di

ogni parola viene controllato da una “ratifica semantica diretta”10 nel contesto della vita reale

in cui la parola viene usata. Includendo nella codifica del significato anche l’osservazione deigesti, dell'inflessione della voce, delle espressioni del viso, dello sguardo attraverso cui si

manifesta, la mentalità orale non si interessa alle definizioni, il linguaggio acquista significato

solo nel proprio habitat d'uso effettivo (ed affettivo). Come esempio della presa diretta che la

 parola ha sulla realtà, nelle culture orali, possiamo ricordare la sua importanza nei discorsi

rituali: giuramenti, preghiere, incantesimi, dove, nelle concezioni indigene, il semplice

 pronunciare le parole che costituiscono le formule magiche determina effetti concreti su

 persone e cose. A volte, la menzione di un atto o di una cosa è ritenuta sufficiente a

riprodurre l'atto e il suo effetto o a far comparire l'oggetto medesimo, come richiamato dalle

forze invisibili scaturite dalla parola enunciata. Il romanziere nigeriano Chinua Achebe

descrivendo la vita dei villaggi tradizionali Igbo in Nigeria, scrive:

Ai bambini si raccomandava di non fischiare di notte per paura degli spiriti maligni. Gli animali pericolosi

diventavano ancor più sinistri e misteriosi nel buio. Di notte non si chiamava mai un serpente con il suo nome

 perché avrebbe sentito. Lo si chiamava corda11.

Chi sia immerso invece in una mentalità tipografica pensa al contrario le parole nella loro

veste tipografica, non come azioni che hanno un potere sulle cose ma come cose che si

 possono vedere. In questo modo le parole perdono quel potere magico che gli attribuiscono le

culture orali, diventando semplici strumenti con cui rappresentare il mondo e il pensiero.

8 Cfr. Ong 1982, pp. 59-619 Cfr. § 510 Goody & Watt 1963. Cfr. anche § 611 Achebe 1958, p. 10

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2. La struttura rapsodica del pensiero orale12

Se una cultura orale non ha testi, come può raccogliere e organizzare il materiale linguistico

 per poterlo ricordare? La scrittura stabilisce nel testo una linea di continuità al di fuori della

mente; se mi distraggo o dimentico il contesto di una parte del discorso, posso recuperarlotornando indietro. Ma nel discorso orale non c'è niente a cui riagganciarsi, poiché

l'espressione orale svanisce appena pronunciata. Di conseguenza il pensiero deve procedere

 più lentamente, mantenendo al centro dell'attenzione gran parte dei contenuti già trattati. Di

qui la necessità di ripetere il già detto e di pensare secondo moduli mnemonici facilmente

recuperabili dalla mente.

Per fare questo, le culture orali strutturano ogni ragionamento complesso in formule

standardizzate raggruppate intorno a temi ugualmente standardizzati: l'incontro, la visita, il pasto, il consiglio, l'adunata, la sfida,… un repertorio di temi e di cliché che permettono di

organizzare il pensiero secondo catene di giochi linguistici indipendenti, ampiamente

 permutabili.

Ripetizioni e amplificazioni servono anche a correggere le incomprensioni e i fraintendimenti

degli ascoltatori delle parole pronunciate dall'oratore. Le condizioni fisiche dell'espressione

orale sono infatti intrinsecamente caratterizzate da canali comunicativi dotati di alto rumore,

in cui l'informazione persa nella ricezione di messaggi non ridondanti può essere altamente

significativa; ad esempio in un pubblico numeroso o poco attento, dove le voci di più parlanti

si sovrappongono.

Il discorso, non potendosi strutturare secondo una logica lineare, si deve sviluppare secondo

un andamento ritmico dominato da salti e ritorni di nuclei logici la cui successione sviluppa

un pensiero ramificato e ciclico o spiraliforme, ordinato secondo modalità associative

 paratattiche e rapsodiche (dal greco cucire insieme una canzone).

Il significato non può essere colto passo passo, nel succedersi ad una ad una delle

 proposizioni ma solo nella complessità dell'intero discorso, nel suo avanzare stentatamente

 perseguendo i suoi scopi, nella sua completezza da cui affiora e si articola logicamente. Gli

stessi temi “formulaici” si organizzano a loro volta attorno a formule frastiche vere e proprie

(cioè attorno a parti di discorso esattamente ripetute nelle varie enunciazioni del tema), frasi

fatte, espressioni fisse, formule mnemoniche, massime e regole legislative13.

12 Cfr. Ong 1982, p. 61-7013 Possiamo ricordare ad esempio i dieci comandamenti della tradizione giudaica, i proverbi, i versi di canzoni, iritornelli delle ballate, gli elementi strutturali su cui si fonda l'intensificarsi e il dispiegarsi della narrazione epica.

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3. La struttura dialogica del pensiero orale e l'interpretazione

del significato come opera collettiva

Un pensiero protratto in una cultura orale è legato alla comunicazione; infatti è difficile

 parlare a lungo solo con se stessi: è necessario un interlocutore. Il contesto dellacomunicazione orale è dunque, per sua natura, essenzialmente dialogico. Mentre la scrittura

isola, separando chi conosce da ciò che è conosciuto, la parola parlata è enfatica e

 partecipativa, rende manifesti gli esseri umani tra loro come interiorità coscienti e li unisce in

gruppi coesi. Quando un oratore si rivolge ad un uditorio, i suoi membri diventano un tutt'uno

che li comprende tutti insieme14.

Inoltre, per quanto detto nel paragrafo precedente, possiamo vedere come la complessità

circolare del pensiero orale costringa la platea e ogni suo individuo a riformulare il significatoad ogni enunciazione, costruendo interpretazioni sempre precarie e contingenti. L'oratore

ritornerà sui suoi passi ripetendo, modificando e reinterpretando, a seconda dei risultati

ottenuti sulla platea dei suoi interlocutori e delle reazioni dei medesimi, i concetti già

 precedentemente esposti. Anche nel caso che gli ascoltatori non intervengano direttamente,

 prendendo la parola, ponendo questioni, richiedendo spiegazioni, ecc., è chiaro che la forma e

il significato del discorso nel suo complesso non sarà attribuibile interamente all'oratore

 principale ma sarà il frutto di una attività collettiva, di una collaborazione o di una

competizione tra parlante e ascoltatore.

Il significato non sarà definito in modo univoco ma ogni parte, ogni fazione (al limite ogni

individuo) interpreterà il discorso secondo i propri fini inserendosi in un sistema di forze e di

relazioni di potere.

Dal punto di vista emico è interessante osservare, ad esempio, come tra i samoani la parola

uiga sia usata per voler dire sia "significato" che "azione"15: il significato non è pensato come

un'immagine che risiede nella mente di qualcuno ma come un processo in cui intervengono

attivamente sia parlante che ascoltatore. In Samoa, l'ascoltatore è eletto sostenitore (in

samoano taapua'i) dell'oratore e il merito del successo del suo discorso è attribuito all'insieme

dell'oratore e dei suoi simpatizzanti, fino a coinvolgere l'intera assemblea che vi ha assistito (e

che ha fornito dunque assistenza!).

14 Possiamo qui osservare la stretta correlazione che lega vicendevolmente le culture orali alle culturecollettivistiche e simmetricamente le culture alfabetizzate alle culture individualistiche (Cfr. § 2, parte II ).15 Anche il verbo fai in samoano ha un doppio significato. Vuol dire sia "dire" che "fare", come in italiano il vebo"fare" nell'espressione "e poi mi fa…" col significato di "mi dice " ( Duranti 1992, p. 111, 142 ). Anche inebraico il termine debar, significa sia "parola" che "evento". Vedi anche § 1

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Al contrario, nelle culture alfabetizzate, il significato dei messaggi è visto come qualcosa che

è già definito prima dell'atto del parlare e il ruolo dei riceventi e del contesto sociale è

considerato non vincolante16.

4. Attenzione delle culture orali per le conseguenze degli atti linguistici e

loro indifferenza per gli aspetti intenzionali

 Nelle culture orali come abbiamo visto il significato di un discorso è il risultato di un lavoro

collettivo di interpretazione. Da ciò consegue che una collettività che partecipa ad un atto

linguistico, nel determinare il suo significato, attribuirà naturalmente scarsa importanza

all'intenzione (alla forza illocutiva) dei singoli oratori, mentre porrà la massima attenzione

alle conseguenze (le forze perlocutive) del loro parlare. In primo piano saranno sempre le

modificazioni apportate dall'agire comunicativo su le relazioni che fondano l'armonia e l'unità

della comunità.

In questo senso le parole assumono un potere reale17 che l'oratore deve essere in grado di

controllare e gestire pragmaticamente nel contesto effettivo in cui la comunicazione si

realizza. Di qui l'importanza della retorica, dei trucchi del mestiere. In una cultura orale non ci

si può scusare delle conseguenze nefaste del nostro parlare dicendo: "Non intendevo

questo…". Un parlante è subito coinvolto nelle conseguenze del proprio operato e

normalmente non ha la possibilità di proteggersi dietro le sue supposte intenzioni originarie.

 Nel testo di Duranti18 è descritto il caso di un’assemblea fono, il consiglio politico-giudiziario

tradizionale dei villaggi di Samoa, in cui uno dei suoi membri è punito per aver annunciato un

evento che in seguito non ha avuto luogo. Tale evento, la visita di un parente, rappresentante

 parlamentare del distretto locale, avrebbe dovuto comportare dei doni per i componenti del

 fono. Durante l'arringa di uno degli oratori di rango più elevato le accuse rivolte all'imputato

16 Cfr. § 5, parte III17 Cfr. § 118 Duranti 1992, § 4.4

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non fanno alcun riferimento a quelle che potrebbero essere state le sue intenzioni

comunicative e all’impossibilità di prevedere cosa avrebbe fatto il rappresentante

 parlamentare. Ciò che importa, invece, sono solo le conseguenze del suo atto linguistico e il

modo con cui è stato interpretato dalla collettività. E’ l'idea stessa di responsabilità che in una

cultura orale è dunque concepita in modo molto diverso da come è pensata in una culturascritta. In una cultura alfabetizzata la valutazione delle responsabilità di un individuo è

strettamente connessa con la valutazione delle sue intenzioni e del livello di coscienza e

 premeditazione con cui ha compiuto la serie di azioni che ha determinato la problematicità,

socialmente rilevante, di un evento.

In un altro esempio, riportato da Duranti19, questa mancanza di interesse per gli stati

 psicologici interni, in Samoa, è riscontrata nell'interpretare il comportamento degli adulti che

improvvisamente si rifiutano di fare quanto ci si aspetterebbe da loro. In questi casi i samoaniusano l'espressione musu. Questo è un termine che descrive uno stato psicologico che non

richiede, ulteriori spiegazioni. Non si può chiedere: "Perché sei musu?".  Musu vuol dire che

l'individuo è in uno stato di rifiuto. Tale stato è di solito accettato. La miglior cosa da fare è

aspettare che passi, come una pioggia o un improvviso vento che rende il mare mosso.

Questa tendenza a non tornare indietro, per ricostruire intenzioni e motivazioni, è collegata

logicamente a un interesse per le conseguenze del parlare. I samoani sembrano più interessati

al futuro che al passato. Una richiesta di spiegazioni circa un accadimento, sarà facilmente

elusa, ad esempio rispondendo con un poco esauriente: "Povero me, che ne so?".

Mentre la scrittura ha bisogno di ancorare la cultura ad un supporto fisico, in una forma di

museificazione in cui ogni reperto storico assume una importanza quasi maniacale, l’oralità

fonda la cultura sull’esperienza diretta, su un ideologia del fare per cui ciò che è terminato, se

non ha un diretto uso strumentale, non ha alcun valore e deve essere distrutto per rendere

nuovamente possibile l’esperienza che lo aveva creato. Infatti, il prodotto si sovrappone e

schiaccia il processo, non da spazio alla vita20. In Africa nei regni del Camerun e dello Zaire i

re costruivano capitali (le così dette “capitali mobili”) che alla loro morte venivano incendiate

e abbandonate alla foresta che lentamente le riassorbiva nelle sue spire vegetali21. I loro

successori edificavano dal nulla nuove capitali. Così ogni generazione conservava il processo

cioè il principio creatore che aveva guidato i loro padri e tramite loro, di generazione in

generazione, gli antenati mitici.

 

19 Ibid. § 6.320 Tornano in mente qui le considerazioni inattuali di Nietzsche.21 Da cui la leggenda delle città perdute.

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5. Tono agonistico della verbalizzazione delle culture orali e

percezione "verbomotoria" dei fatti22

E' noto l'alto grado di agonismo presente nello stile di vita di molte culture orali. Mentre la

scrittura invita all'astrazione, togliendo la conoscenza dall'arena dove si giocano le dinamichedi potere, l'oralità, immergendo la comunicazione in quella stessa arena, la pone entro un

contesto fortemente competitivo. Quando la comunicazione si realizza secondo modalità di

interazione faccia a faccia, ad esempio nella forma provocatoria del “botta e risposta”, i

rapporti interpersonali che si determinano, comportano un alto grado di coinvolgimento, di

attrazione e di antagonismo. Poiché la vicinanza troppo stretta è sempre disponibile a

sviluppare comportamenti mimetici di appropriazione e rivalità23, il potere della parola

assume una connotazione di sfida, di pericolo, o di minaccia.

Schema 2

Una caratteristica dei contesti di co-presenza è che gli individui, essendo fisicamente accessibili, sono esposti

alla possibilità di essere aggrediti, ostacolati nei movimenti, importunati sessualmente, avvicinati con le richieste

 più svariate. Da questo punto di vista, ogni interazione è potenzialmente minacciosa.24 

Il contatto fisico, la vicinanza spaziale che inevitabilmente accompagna l'oralità costituisce

una possibile forma di contaminazione da cui bisogna difendersi e proteggersi con opportuni

rituali retorici.

22 Cfr. Ong 1982, pp. 73-7423 Questo è un tema su cui Renè Girard ha dedicato tutta la sua ricerca arrivando a concepire l'origine stessa dellacultura e della religione come il frutto dei tentativi dei primi gruppi umani di difendersi dalle dinamiche violenteindotte dai comportamenti mimetici (comportamenti a loro volta implicati dalla prossimità. I rivali del resto sonocoloro che abitano sulle sponde, sulle rive dello stesso fiume). Cfr. Girard 1978, e Girard 197224 Giglioli 1988, cit. p. 24

10

ORALITA’

DIALOGICITA’- PROSSIMITA’

ANTAGONISMO - RIVALITA’

ATTEGGIAMENTI DIMINACCIA E SFIDARITUALI DIFENSIVI

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[…] un ruolo essenziale è giocato dal comportamento espressivo mediante il quale i co-presenti manifestano

continuamente l’un l’altro di essere persone affidabili che non sfruttano le opportunità di aggressione fisica a

loro disposizione.25

Ma in una cultura orale, dove l’interazione è governata da logiche non lineari complesse e

imprevedibili, ciò non basta. In una cultura orale non si devono mai abbassare le difese,

occorre essere astuti. Una richiesta di informazioni sarà comunemente interpretata in senso

interattivo, agonistico e invece di essere soddisfatta verrà schivata; ad una domanda diretta si

risponderà con un'altra domanda, attraverso cui si indagano le intenzioni del parlante 26,

oppure, come visto nel paragrafo precedente, si cambierà improvvisamente discorso o si

risponderà in modo elusivo, addirittura mentendo di fronte all'evidenza27. Questo

comportamento può sembrare ad un occidentale alfabetizzato incomprensibile ed

estremamente fastidioso.

Dato che le ragioni della mancata comprensione e coordinazione non vengono spesso colte consapevolmente, gli

attori, che percepiscono soltanto la fatica e il disagio di comunicare, tendono a vedere "le altre persone come non

cooperative, aggressive, insensibili, stupide, incompetenti, o caratterizzate da qualche tratto personale non

desiderabile".28

5.1 Alcuni esempi di eventi linguistici in Nigeria

Es.1: Durante il periodo da me trascorso in Nigeria, lo steward, che mi aiutava nel ménage

della casa, rubò 150 dollari da una valigia che avevo chiuso con una combinazione. Quando

scoprii l'ammontare mancante, poiché egli era l'unica persona che aveva accesso a quella

25  Ibid , cit. p. 2426 I suoi scopi esterni non le motivazioni interne dei suoi stati d'animo. Cfr. § 427 In contesti di comunicazione interculturale, come vedremo negli esempi che seguono, questi rituali retorici, si

 possono anche interpretare come forme di adattamento dell’oralità al logos della scrittura. Se in tali contestil’oralità pone direttamente il dialogare come sfida è perché è chiaramente cosciente del potere che il logos

esercita su colui che si adegua ai suoi meccanismi. Non seguire ciò che il logos si aspetta significa allora esserefinalmente e di nuovo liberi dal gioco (dal giogo) opprimente del suo potere; significa sabotare le sue strutturerendendole inefficaci. Gli individui più esperti e sofisticati possono arrivare ad elaborare più o menoconsciamente vere e proprie strategie di disinformazione e contro informazione simili a quelle studiate daiservizi segreti o praticate negli interrogatori di indagati nei commissariati di polizia. Ad esempio si puòimparare, nel descrivere un avvenimento, a dire molte cose vere, realmente verificatesi, mentendo su un unico

 punto cruciale che si è interessati ad occultare. In questo modo risulta estremamente difficile e laboriosol’accertamento della verità o falsità delle dichiarazioni sostenute. Una tecnica utile per smascherare un bugiardo

 poco navigato consiste invece nel sottoporre all'indiziato una serie molto rapida di domande, facendo in modoche egli, non avendo il tempo sufficiente per organizzare risposte coerenti, si contraddica in qualche punto. Per un confronto con le strategie di interazione indiretta delle culture “collettivistiche” vedi anche § 2.2, parte II28 Quassoli 1999, cit. p. 25. Tra virgolette, citazione di J. K. Chick, The Interactional accomplishment of 

 Discrimination in South Africa. In: D. Carbaugh, Cultural Communication and Intercultural Contact , Hillsdale,1990.

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 borsa, gli chiesi se per qualche ragione avesse aperto la valigia29. Non potevo direttamente

accusarlo di avere rubato i soldi, poiché per una tale denuncia, non comprovata da testimoni e

quindi ritenuta infondata, il diritto consuetudinario nigeriano prevedeva il risarcimento

dell'offesa subita30. Siccome gli volevo molto bene e sapevo che aveva difficoltà a pagare

l'affitto della casa, dove viveva con la moglie e tre bambini, mi sarei accontentato di una suaammissione di colpevolezza. Ecco all'incirca, secondo i miei ricordi, come si svolse il dialogo

successivo:

Steward: "master, mi hai detto la combinazione?"

Io: "Vuoi dire che non hai aperto la valigia?"

"Ti prego voglio una risposta, si o no?"

Steward: "Non mi ha detto la combinazione? Non è vero?…"

Era impossibile obbligarlo a rispondere chiaramente alla mia domanda. Il suo modo oscuro di

 parlarmi era il massimo a lui consentito per non perdere la faccia31, rischiando di essere

licenziato, e al contempo ammettere, se pur indirettamente, la sua colpevolezza. Il suo

comportamento ambiguo gli permetteva di seguire una via mediana che lasciava a me la

responsabilità di definire il senso delle sue parole, dandogli la possibilità di studiare le mie

intenzioni32.

Tornato dalla Nigeria, abitai per qualche mese a casa di mia madre. Un giorno vidi la colf 

rovistare in un borsello dove avevo lasciato i dollari avanzati dal mio viaggio. Subito dopo

controllai il contenuto del borsello: mancavano più di 100 dollari. Al momento opportuno

affrontai la donna (di nazionalità italiana) e le chiesi spiegazioni. Chiusi la porta dove stava

lavorando, per confinare il contesto problematico in uno spazio isolato dal resto della casa e

 per comunicarle inconsciamente (come realizzai a posteriori) che era mia intenzione

mantenere segreto il dialogo che avremmo avuto33. Quindi le chiesi apertamente (il contesto,

in questo caso, mi permetteva di agire direttamente, facendomi sentire a mio agio, e con più

sicurezza) se aveva preso i dollari contenuti nel borsello. Lei inizialmente negò. Io le dissi che

l'avevo vista guardare dentro il borsello. Cercò ancora di negare dicendo che non aveva i soldi29 In effetti per aprire la borsa, come sperimentai direttamente, bastava infilare un coltellino sotto il bordo afianco della serratura.30 Questo fatto, anche se accentuato dal mio essere straniero e quindi culturalmente indifeso rispetto le ipotesi, in

 parte mitizzate, della visione popolare del diritto, è esemplare di un contesto sociale solo parzialmentealfabetizzato in cui anche le istituzioni più formali, come le istituzioni giuridiche, presentano ancora tratti tipicidell'oralità.31 Per una analisi dettagliata del concetto di “faccia” vedi § 1, parte II32 Cfr. § 3, parte III33 Questo caso costituisce un esempio di scopi del parlante, non direttamente dichiarati, veicolati implicitamentedal contesto. Cfr. Duranti 1992, § 2.3.1, p. 41. Sull'analisi dei tipi di confini di eventi linguistici cfr. Duranti1992, § 2.3.3, p. 47

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con sé ma io le dissi che i soldi li aveva presi certo un’altra volta e che ora aveva avuto la

tentazione di controllare quanti dollari erano rimasti. Quando infine la minacciai seriamente di

dire tutto a mia madre si spaventò e quindi disse: "No, no allora sono stata io… " 34. Io subito

le assicurai che non avrei detto niente a mia madre e le proposi di restituirmi i soldi rubati nei

mesi successivi. Lei accettò. Terminai la discussione con un abbraccio amichevole per segnalare fisicamente la fine di quell'evento e ritornare al nostro usuale modo di confrontarci.

Lei mi chiese scusa della malefatta e io considerai l'episodio chiuso.

Confrontando i due casi possiamo notare due strategie comunicative molto diverse. Mentre la

colf accetta il piano logico delle mie argomentazioni e alla fine è costretta a cedere, lo steward

non si mantiene sullo stesso piano. Le sue risposte ambigue non possono essere interpretate in

nessun modo all'interno del paradigma da me usato nell'accertare i fatti. Escono da ogni mio

schema interpretativo e mi lasciarono del tutto smarrito e privo di adeguati strumenti retoricicon cui controbattere le sue affermazioni. In qualche modo la mia esperienza in Nigeria

sembra anche aver influenzato le mie strategie dialogiche abituandomi a gestire una

situazione di conflitto creando stress e tensione nell'avversario, fino a costringerlo a perdere il

controllo di sé e quindi a commettere qualche errore. E' importante notare che anche se le mie

accuse fossero state false o addirittura denunce calunniose, comunque le differenti reazioni

dello steward e della colf rimangono significative nel mostrare differenti modalità retoriche

nel reagire a situazioni analoghe. Come vedremo, la strategia dello steward è simile a quella

adottata dai neri dei quartieri periferici delle grandi città nordamericane, nei duelli verbali di

 sounding 35.

Es.2: In un'altra occasione chiedendo preoccupato ad una amica, nata in Nigeria e sempre

vissuta in un contesto in cui la scrittura è marginale36, se era riuscita finalmente a comprare il

 biglietto del volo con cui doveva raggiungermi qualche giorno dopo, essa mi rispose

contraddicendosi: "Si, si, l'aereo parte Domenica o Lunedì" lasciandomi ancor più inquieto e

impensierito. Per lei era più importante cercare di tranquillizzarmi piuttosto che dire una

verità (il fatto che avrebbe comprato il biglietto solo all'ultimo momento), che nel suo modo

di interpretare la mia mentalità, non avrei potuto accettare serenamente. Sottovalutando

l'attenzione con cui avrei analizzato i suoi enunciati e le loro implicazioni, l'esito del suo

34 Qui possiamo notare un tentativo maldestro di mantenere l'ambiguità, facendo passare la propria confessionecome motivata forzatamente dalle mie minacce.35 Cfr. parte III36 Per capire il contesto, fondamentalmente orale, in cui vivono i ragazzi nigeriani scolarizzati, posso riportare ilseguente caso. Chiedendo ad un amico quando aveva terminato gli studi egli mi rispose: “ho finito di leggere 3anni fa”.

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comportamento fu opposto da quanto da lei atteso e io lo valutai come prova della sua

inaffidabilità e della sua scarsa attenzione nei miei confronti37.

Es.3: Mentre ero ancora in Nigeria, la stessa ragazza, con cui ormai ero fidanzato da diversi

mesi, un giorno mi disse che "si sentiva incinta"; io le risposi che ero sorpreso poichéeravamo sempre stati molto attenti. Lei iniziò a gridare e a picchiarmi coi pugni dicendo:

"Cosa vuoi dire, che sono stata con un altro!! Bastardo, bastardo!!". Poi si mise a piangere. La

sua reazione improvvisa ed esagerata che, solo successivamente, ho imparato ad interpretare

correttamente, aveva lo scopo di eludere la questione sollevata dalle mie affermazioni

dubbiose, sviando il discorso su un altro argomento. In realtà non era incinta ma con quella

sceneggiata voleva mettermi alla prova, vedere come avrei reagito e capire se veramente le

mie intenzioni erano serie38

. Questo caso è anche un esempio della tendenza dei popoli atradizione orale ad esteriorizzare i propri comportamenti schizoidi39, comportamenti che essi

manifestano comunemente mediante una estrema confusione esteriore che li porta spesso ad

azioni violente rivolte a sé o ad altri40.

In una cultura orale la percezione degli oggetti e degli atti è essa stessa "verbomotoria", cioè

condizionata dalla riserva di parole con cui si struttura la percezione nel contesto dialogico.

La natura non stabilisce dei fatti; questi appaiono solo nelle frasi ideate dagli uomini,

rimanendo quindi condizionati ai loro scopi41 e ai loro stati d'animo. Persino gli affari non

sono affari, in una cultura prevalentemente orale, ma sono fondamentalmente retorica.

Comprare qualcosa in un "souk" o in un bazar del Medio Oriente non è una semplice

operazione economica. Si tratta invece piuttosto di una serie di manovre verbali (e somatiche),

di un duello educato, di una gara di abilità, di una operazione di agonistica orale42.

I risultati delle controversie dipendono più dall'uso efficace delle parole, e di conseguenza

dall'interazione umana, che non dalla influenza in gran parte visiva del mondo oggettivo delle

cose.

6. Il Concetto del Sé nelle culture orali e nelle culture tipografiche

37 Si tratta di un caso di unconscious incompetence ( Cfr. Quassoli 1999, p. 10) in quanto entrambi non eravamoconsapevoli del fraintendimento di cui eravamo protagonisti.38 Cfr. § 3, parte III39 Al contrario del modo più introspettivo e interiorizzato dei popoli alfabetizzati.40 Cfr. Ong 1982, p. 10241 Viene qui in mente la terminologia che usano gli indios nel descrivere il mondo vegetale, terminologia moltodettagliata per le specie commestibili, generica nel descrivere lo sfondo, privo di interesse, del resto della foresta:"Questo è solo un ‘cespuglio’ ".42 Come nei duelli verbali del sounding . Cfr. parte III

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In Oralità e scrittura, W. J. Ong, ricordando gli studi in Uzbekistan e Kirghizia dello

 psicologo A. R. Luria43 negli anni 1931 e 1932 , osserva come gli illetterati interrogati da

Luria avessero difficoltà a produrre un'autoanalisi articolata. Questa infatti, isolando le

identità pubbliche da un  self 44

profondo dotato di una relativa stabilità, richiede unademolizione del pensiero situazionale. A domande del tipo: “Voi che uomo siete, come è il

vostro carattere, che qualità avete ?” Luria registrava risposte in cui tutto veniva riferito alla

situazione esterna: “Ero molto povero, adesso mi sono sposato e ho dei bambini, sarebbe bello

se avessi più terra”; oppure in cui la valutazione di sé si trasformava in valutazione del gruppo

"noi" o veniva riferita ad un giudizio proveniente dagli altri: “Noi ci comportiamo bene, se

fossimo persone cattive nessuno ci rispetterebbe”, “Come posso parlare del mio carattere?

Chiedetelo agli altri”. Questa mancanza di familiarità con l'autoanalisi mostra anche comel’identità in culture orali sia sempre percepita come qualcosa di socializzato (la cosidetta “we-

identity” distinta da una identità individuale, “I-identity”, chiaramente percepita) difficilmente

isolabile dal contesto sociale in cui si manifesta45.

Duranti considerando la concezione del Sé in Samoa osserva, citando l’antropologo Bradd

Shore, che non solo non esistono in samoano dei termini corrispondenti a “personalità”, “Sé”,

“carattere”, ma che spesso vengono usate espressioni in cui il soggetto che percepisce non è

menzionato. Ad esempio si dice: “La mano è stata colpita” invece di “Mi sono tagliato la

mano”, “La testa è cattiva” di qualcuno che sembra un po’ matto, “La mano è veloce”

volendo accusare qualcuno di aver rubato qualcosa46.

Sempre Duranti, nell'analizzare gli effetti della scolarizzazione in Samoa47, studia le modalità

con cui sono corretti i comportamenti dei bambini (compresi i loro atti linguistici) in contesti

tradizionali, confrontando tali modalità con quelle praticate in ambito scolastico dai loro

insegnanti. In situazioni conviviali tradizionali, gli adulti samoani non fanno ai bambini

domande di cui sanno già la risposta; ad esempio non denominano oggetti e persone presenti

con domande quali: "Che cosa è questo?","Chi viene adesso?". A differenza degli adulti

occidentali attribuiscono molta più responsabilità al bambino nell'acquisire le conoscenze. Il

 bambino impara ad interpretare correttamente i significati senza il sostegno di dizionari o di

enunciati definitori proposti dagli adulti, osservando ed ascoltando gli eventi comunicativi

quotidiani.

43 Luria 197644 Per una definizione di Self  e di identità pubblica vedi § 1, parte II. Cfr. anche l’introduzione di LoredanaSciolla alla raccolta di saggi sull’identità da lei stessa curata (Sciolla 1983).45 Ciò è anche caratteristico delle culture collettivistiche in cui l’attenzione è focalizzata sulla mutua difesa della

 propria altrui faccia, piuttosto che sul Self di singoli individui. Cfr. § 2.2, parte II46 Duranti 1992, § 6.5, p. 14647 Duranti 1992, cap. 5

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Questo discorso sembra valere in generale per le culture orali, dove la correzione di

comportamenti non appropriati e l'apprendimento dei comportamenti consentiti, raramente è

imposto tramite spiegazioni verbali dirette ma è lasciato formarsi gradualmente nella

socializzazione. In una cultura orale, ad esempio, i mestieri si imparano attraverso

l'apprendistato, cioè attraverso l'osservazione e la pratica con un minimo di spiegazione orale,non attraverso liste astratte di regole e codici formali più difficili da ricordare e da applicare.

In Samoa i bambini imparano ad non aspettarsi lodi e complimenti per avere eseguito i

compiti loro assegnati, imparano a considerare i compiti come prodotti sociali in cui la loro

identità individuale è fusa all'identità collettiva della cultura che abitano.

Duranti analizza l'uso di differenti termini di elogio in ambito scolastico e conviviale.

L'esecuzione riuscita di compiti nella vita quotidiana del villaggio è spesso contrassegnata da

un riconoscimento verbale ritualizzato, lo scambio maaloo. Ad esempio al termine di unviaggio in automobile si dirà:

Passeggeri: maaloo le fa'auli!

Complimenti per la guida!

Autista: maaloo le taapua'i!

Complimenti per il sostegno!48

Possiamo osservare che in questo caso è il ruolo ad essere ricordato e onorato piuttosto che

l'individuo.  Maaloo fa tipicamente parte di una categoria di eventi di scambio verbale

ritualizzato che nei termini dell'analisi della conversazione si chiamano “coppie adiacenti”.

Ad esempio "Salve/Salve", "Come stai?/Bene, e tu?/Bene grazie" sono coppie adiacenti. Una

volta prodotto il primo membro, c'è una forte aspettativa che sopravvenga il secondo.

In ambito scolastico gli insegnanti samoani, per lodare un alunno, utilizzano invece il termine

lelei. In questo caso, quando l'insegnante dà atto della riuscita del bambino dicendo lelei , il

 bambino non contraccambia riconoscendo all'insegnante quanto ha fatto nell'evento sociale in

questione; non dice lelei fo'i, "bene anche a te".  Lelei, a differenza di maaloo, chiude

l'argomento. Quando un parlante usa maaloo, i meriti sono riconosciuti in senso bidirezionale

(a tutti i partecipanti) mettendo in evidenza la reciprocità che fonda i legami cooperativi

attraverso cui i compiti sono eseguiti; l'uso di lelei rappresenta invece un'attribuzione

unidirezionale in cui l'accento è posto sulle responsabilità individuali.

48 Ibid. § 4, p. 109

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Mentre nella socializzazione primaria in famiglia il bambino impara a considerare i compiti

come prodotti sociali di natura cooperativa, nella socializzazione secondaria impara a

considerare i compiti come prodotti dell'individuo, che viene infatti premiato singolarmente.

Confrontando la società occidentale con quella samoana, possiamo osservare, che i bambini

occidentali, abituati fin dalla prima infanzia a percepire i compiti come imprese individuali,diventano particolarmente selettivi nell'attribuire, soprattutto in casi di cattiva riuscita, la

responsabilità agli altri. E' facile ascoltare esclamazioni quali: "E' colpa sua!", "E' stato lui!".

L'uso in ambito scolastico di una differente cornice interpretativa circa l'esecuzione di

compiti, rispetto ai modelli tradizionali, contribuisce a socializzare i bambini samoani a certe

 prospettive e a certi valori. Valori di responsabilizzazione e motivazione personale,

 puntualità, regolarità,… con cui probabilmente dovranno confrontarsi, nel corso della loro

vita lavorativa, in un contesto economico fortemente influenzato dai modelli occidentali.

7. La palabre africana: ristabilire l'armonia o imporre la giustizia?

Un altro caso interessante, studiato dall'antropologo francese Serge Latouche49, che può

illuminare le considerazioni svolte nei paragrafi precedenti, è rappresentato dalla palabre50 dei

villaggi africani, l'assemblea degli uomini dove in Africa si discutono, di solito all'ombra del

grande albero posto al centro del villaggio, i problemi della comunità. Nelle interminabili

assemblee, in cui gli anziani si siedono a discutere fino a quando non sono del medesimo

 parere, si svolge un mirabile modello di risoluzione dei conflitti e dei poteri. Citiamo lo stesso

Latouche:

Da buon occidentale razionale ho piuttosto maledetto quella perdita di tempo. Eppure grazie all'abilità del suo

conduttore, che sapeva ascoltare le argomentazioni infinitamente ripetute delle due parti, la  palabre si concluse,

non con un accordo preciso nelle debite forme secondo l'uso dei bianchi, ma su un'intesa provvisoria,

soddisfacente per entrambe le parti.[…]51

In teoria lo svolgimento di una  palabre è molto semplice; esposta la questione, tutti possono intervenire nella

discussione. Quando quest'ultima si sarà conclusa e si sarà giunti più o meno ad un accordo, uno dei notabili

riassumerà le varie argomentazioni ed emetterà il verdetto. In pratica le cose sono meno chiare. Se l'isocrazia

(divisione equa del potere) è una finzione, l'isegoria, il diritto di tutti alla parola, è incontestabile.[…] Di solito

le questioni si sovrappongono e ognuno vuole dire la sua, creando una grande confusione dove si dispiega il

"valore retorico". Le contese oratorie oppongono gli avversari in modo spesso teatrale in un tumulto generale e a

volte può accadere che si passi alle mani.52

49 Latouche 1999, pp. 31-4550 Termine di lingua francese che significa discussione, chiacchiere, sproloqui.51 Ibid. cit. p. 3752 Ibid. cit. p. 39

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Ad un giovane che voleva mettere un po' di ordine in quei dibattiti incoerenti fu data, da un

notabile, questa tagliente risposta:

Una palabre deve procedere come quando le donne si mettono a pescare nelle paludi di un fiume. Pestano i piedi

e fanno rumore per stanare i pesci. E' preferibile che ogni genere di accusa venga fuori al momento della

 palabre. Soltanto quando si sarà discusso a fondo su ognuna, l'unità potrà essere ristabilita.53

La riconciliazione avviene spesso partendo da un malinteso per cui nessuna delle parti ha

torto. Le decisioni conclusive sono sicuramente sentenziose ma soddisfano provvisoriamente

tutti in virtù della possibilità di ciascuno d'interpretarle a proprio beneficio. "Spesso non si dà

torto a nessuno ma il conflitto viene attribuito a un cattivo genio. E tutti sanno che è un

espediente per non ferire la parte accusata"54.

 Nel romanzo dello scrittore nigeriano Chinua Achebe, Things Fall Apart , gli spiriti degli

antenati proclamano apertamente: "Abbiamo sentito tutte le parti, ma nostro compito non è

rimproverare un uomo ed elogiarne un altro, nostro compito è risolvere la disputa" 55. Dove la

 palabre dei bianchi intende stabilire una giustizia oggettiva fondata sulla determinazione della

verità e della responsabilità, quella dei neri tenta di ristabilire l'armonia e l'unità56.

Possiamo ricordare infine, richiamando lo stile agonistico dell'oralità, la proliferazione di

titoli e appellativi onorifici tipica delle società egualitarie africane in cui la struttura di poterenon è formalmente codificata; si osserva la continua ricerca di uno “statuto” attraverso il

quale trovare una propria identità all'interno della collettività, beneficiando così di un

riconoscimento sociale. In tali società acefale l'importante è la performance personale; le

 posizioni di autorità non vengono ereditate automaticamente ma devono essere conquistate

con la costante dimostrazione dei propri talenti (le capacità pratiche e retoriche con cui

53 Geschiere 1995, cit. in Latouche 1999, pp. 39-4054 Bidima 1997, cit. in Latouche 1999, p. 4355 C. Achebe 1958, p. 8156 Cfr. § 2, parte II. In termini più filosofici, la differenza tra i diversi modelli di responsabilità della  palabre

africana e occidentale può essere guardata alla luce della razionalizzazione del pensiero sorta con il nascere dellogos nella filosofia greca, e con il conseguente inscrivere il significato nel segno alfabetico. La scrittura nellostrappare la voce dalla sua pratica orale, desomatizzandola e cosalizzandola rende possibile riformulare il mondocome obbiettività anziché come esperienza, la cosa in sé come oggettività. In questo processo si inaugura così lastoria del logos e si occultano al medesimo tempo le pratiche concrete che hanno reso possibile il sorgere diquesta obiettività. Solo allora è concepibile pensare la verità in termini logicistici, come corrispondenza traenunciati e configurazioni del mondo e quindi valutare le intenzioni degli individui come corrispondenza tra statidella mente, della coscienza e i giudizi da essi espressi nel loro agire. Secondo questa interpretazionefenomenologica del rapporto tra oralità e scrittura, in una cultura orale non si ha visione della verità come

 problema ma la verità è inscritta nell'esperienza stessa. Non è importante discriminare su come i fatti si sonoverificati, su come effettivamente sono andate le cose, ma è importante operare concretamente in modo darisolvere la problematicità del vissuto.

 Nei termini della mitologia greca la scoperta del logos corrisponde al mito di Oreste che, per vendicare il padre,uccide la madre Clittennestra e condotto in giudizio di fronte ad Atena viene infine assolto. Il processo si svolgenel luogo dove doveva risiedere più tardi l'Areopago, di cui questo giudizio è simbolicamente la prima sentenza.

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l'individuo interagisce nel contesto sociale, non le doti più interiori del proprio carattere). Per 

questa ragione è così accentuata la tendenza agonistica a ostentare i propri meriti personali

( self positive face57 ). Ma tali meriti assumono valore solo all'interno della struttura sociale e

l'interesse è rivolto, in realtà, più al gioco che ai giocatori, laddove il compito dell'individuo è

quello di essere adatto al proprio ruolo.

Parte seconda:

L’interazione faccia a faccia

tra culture collettivistiche ed individualistichein situazioni problematiche di conflitto

In questa seconda parte prendiamo in esame il modello teorico che classifica le culture in

culture collettivistiche ed individualistiche. Tale modello mantiene dei legami molto stretti

con il modello dell'oralità. Seguendo le riflessioni di Stella Ting-Toomey, riportate nel suo

articolo  Intercultural Conflict Styles58, concentreremo la nostra attenzione sulle implicazioni

del modello che riguardano l’interazione faccia a faccia in situazioni problematiche.

Inizialmente sono richiamati i fondamentali concetti di "faccia positiva", e "faccia negativa".

1. Rituali positivi e negativi di  facework 

Possiamo definire interazione comunicativa di conflitto ogni situazione problematica tra due

 parti che richiede un attivo mantenimento dell’identità pubblica degli individui interagenti,

nel negoziare bisogni e finalità che sono considerati incompatibili. Le risorse presenti sono

ritenute troppo scarse perché il loro possesso possa essere conseguito simultaneamente. Le

 parti interagenti percepiscono una reale minaccia alla propria identità situazionale e una

 potenziale interferenza dell’altro nell’acquisizione dei propri scopi, facendo apparire

soggettivamente indispensabile, per ambo le parti, neutralizzare, impedire o deviare verso altri

57 Cfr. § 1, parte II58 Ting-Toomey 1988

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scopi, l’azione altrui. Il concetto di identità pubblica ( social-self )59, è qui inteso come la

 proiezione del proprio Sé in una situazione relazionale, ed è il risultato delle definizioni

congiuntamente stabilite dai partecipanti alla scena sociale. Il concetto di identità pubblica va

considerato in contrapposizione alla concezione privata del Sé (authentic self ), concezione

che l’ Io costruisce confrontandosi con le varie immagini di sé che egli stesso espone e che aloro volta gli altri gli rimandano e che si caratterizza per una relativa stabilità e coerenza 60. Il

lavoro di mantenimento e gestione della propria “faccia” ( facework ), della propria maschera

(secondo la terminologia teatrale di Goffman), e lo stile con cui l’interazione conflittuale

viene praticata risultano largamente dipendenti da fattori culturali. La cultura costituisce la

cornice interpretativa più ampia di valori61, concezioni morali, norme, che predispone le parti

in conflitto ad assumere determinati tipi di “faccia” e di modalità interattive dando più o meno

rilevanza a differenti possibilità di interazione. Ad esempio varierà il grado di identità privatache ognuno decide di proiettare nella sua immagine pubblica e quindi il grado di

corrispondenza tra authentic self  e  social self . Per definire una tipizzazione delle strategie

comunicative è importante analizzare i concetti di  positive face, negative face, di  self-face

concern, other-face concern62.

Per  positive face, negative face si intende il lavoro di  facework , gli atteggiamenti, i ruoli, le

strategie, i rituali comunicativi adottati e messi in scena, col fine di essere apprezzati e

accettati dagli altri, soddisfacendo un'esigenza di integrazione sociale ( self-positive face

(SPF)) o di agevolare l’altro a considerarsi apprezzato e accettato e quindi socialmente

integrato (other-positive face (OPF)), o invece col fine di rivendicare e difendere un proprio

spazio privato di autonomia e indipendenza ( self-negative face (SNF)) o di agevolare e

rispettare i tentativi dell’altro di difendere il proprio spazio privato (other-negative face

(ONF)). I comportamenti di  positive face (ad esempio atti linguistici quali complimenti,

 promesse, confidenze, apertura del proprio Sé) enfatizzano la necessità di ognuno di

associarsi agli altri e di sentirsi incluso. Nei rituali positivi il donatore rende omaggio

59 Considereremo sinonimi, se pur con le relative sfumature, da una parte i termini: identità, identità privata,“Sé”, concezione di sé, authentic-self ,  self ; dall’altra i termini: identità pubblica, identità situazionale, “Me”(riprendendo la terminologia di G. H. Mead), immagine di sé, social-self , face.60 Accogliamo qui l’impostazione teorica di R. H. Turner che risolve alcune aporie dell’approcciodrammaturgico di Goffman, il quale non sembra concettualizzare chiaramente la differenze tra  self  e  face,considerando il self un semplice “gancio” su cui appendere le varie facce, prodotto di un azione collettiva ( Cfr.L. Sciolla 1983, pp. 32-35).61 Seguendo una impostazione di tipo comportamentista considereremo valori e concezioni morali come etichettedi comodo che funzionano come variabili intermedie (teoriche), capaci di correlare comportamenti tra lorosimili. Ai valori ed alle concezioni morali, non corrispondono però norme coscienti od interiorizzate, su cui gliindividui si basano effettivamente nel compiere le loro scelte. Le motivazioni si formano secondo meccanismisituazionali più complessi spesso difficili da decifrare nella loro complessità. Tale idea è analoga a quella che inetologia nega l'esistenza reale di istinti come base motivazionale profonda del comportamento (Cfr. Hinde 1974).62 Verrà utilizzata la terminologia inglese per enfatizzare l’uso tecnico di tali termini. Per  self-face concern,other-face concern si intende l’attenzione diretta verso la propria od altrui identità pubblica.

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mediante offerte di vario tipo al  self del ricevente col fine di riconfermare la loro vicinanza;

una loro esecuzione scorretta può essere interpretata come una mancanza di riguardo (una

offesa alla faccia del ricevente). I comportamenti di negative face (lamentele, rituali di

cortesia, comportamenti di rifiuto, scuse per l’imposizione di norme e comportamenti)

enfatizzano invece la necessità di ognuno di dissociarsi o isolarsi dagli altri. I rituali negativitendono ad affermare e riconoscere uno spazio di inviolabilità (proprietà, privacy, intimità,…)

che circonda il self , e si basano su strategie di evitamento o interdizione63.

Queste strategie comunicative possono variare anche rispetto a modalità di interazione più o

meno dirette, nel coinvolgere lo spazio identitario privato dell’altro.

 Nella successiva analisi dell'interazione faccia a faccia in culture individualistiche e

collettivistiche utilizzeremo un modello a tre dimensioni:  positve/negative-face,  self/other-

 face, strategia di interazione diretta o indiretta.

2. Interazione faccia a faccia in culture collettivistiche ed individualistiche

Per culture “collettivistiche” intendiamo culture in cui le norme e i valori di riferimento

mettono in primo piano le relazioni interne al gruppo e i rapporti di reciprocità. Viceversa per 

culture “individualistiche” intendiamo culture in cui le norme e i valori di riferimento mettono

in primo piano il bisogno di indipendenza e di autonomia dell’individuo. Il significato dei due

termini classificatori acquisterà però il suo senso soltanto complessivamente dall’insieme

delle correlazioni di seguito presentate. Tali connessioni non hanno una base strettamente

empirica, come generalizzazione di tipi di società realmente esistenti, ma vanno considerate

idealizzazioni di forme culturali che, citando Rousseau, “forse non sono mai esistite, che

 probabilmente non esisteranno mai, ma delle quali è tuttavia necessario avere nozioni giuste

 per poter valutare bene il nostro presente”64.

63 I riti negativi tendono ad evitare la contaminazione del nucleo più intimo del proprio  self e della sua immagine proiettata in scena nell’interazione negoziale, con le immagini di noi riflesse da altri significativi. I rituali positivi costituiscono allora dei rituali di purificazione che permettono di controllare la pressione contaminantedell'altro sul proprio  self  (e viceversa del proprio  self sull’altro), creando quindi i presupposti comunicativi per l’integrazione sociale. E’ evidente qui l’analogia strutturale, dell’interpretazione goffmaniana, con gli analoghirituali religiosi positivi e negativi analizzati da Durkheim.64 In questa citazione Rousseau si riferisce all’idea del buon selvaggio, ad un originario stato di naturaincontaminato in cui l’uomo è libero di esprimere i propri sentimenti non oppresso e moralmente retto. Rousseau1754

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2.1 Culture individualistiche

1) Le culture individualistiche dipendono da sistemi di valori stabiliti individualmente: gli

scopi, i bisogni del singolo sono pensati autonomamente, secondo aspirazioni e vocazioni

non strettamente vincolate dal contesto sociale. Ne consegue allora che nellacomunicazione faccia a faccia prevalgono strategie miranti a conservare l’indipendenza e

la libertà d’azione ( self-negative facework ). Tali culture sono caratterizzate da un contesto

sociale meno vincolante (low-context cultures65) nell’indirizzare i comportamenti e gli

atteggiamenti. La decodifica dei messaggi, non potendosi basare su presupposti culturali

impliciti forti, è regolata dall’elevata capacità informativa del codice e da uno stile

comunicativo maggiormente cooperativo.

2) Valutando secondario preoccuparsi della cura e della difesa del self dell’altro (other-faceconcern), le culture individualistiche adottano una strategia comunicativa diretta e

competitiva in cui le intenzioni sono esplicitate chiaramente tramite un processo di

negoziazione aperta, mentre le argomentazioni sono condotte secondo una logica lineare.

Lo scopo è quello di risolvere razionalmente il problema, secondo un orientamento

strumentale fondato sulla consequenzialità delle proprie affermazioni. Tale scopo è anche

 perseguito, rispetto al contendere, sforzandosi di assumere il controllo di una condizione

di potere. In questo senso è considerata importante l’affermazione della propria faccia

( self-positive facework ), come mezzo per acquisire l’autorità e il rango necessari a far 

valere le proprie posizioni.

  Schema 3

65 In letteratura la dicotomia  High/Low Context Culture si sovrappone al campo corrispondente alla dicotomia Low/High Context Communication (Cfr. Quassoli 1999, p. 10; Ting-Toomey 1988, p. 225), con una inversioneterminologica dei gradi High, Low che può creare confusione e fraintendimenti.

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VALORI INDIVIDUALI NONSOCIALMENTE VINCOLATI

FOCALIZZAZIONESU AUTONOMIA EINDIPENDENZA

SELF NEGATIVEFACE

AMPIA PROIEZIONE

DEL PROPRIO SELF NELL’ IDENTITA’PUBBLICA

SCARSA ATTENZIONEALLE ESIGENZEDELL’ALTRO

STRATEGIA DIINTERAZIONE DIRETTA

MODELLI DICOMPARAZIONECOSTI BENEFICIIMMEDIATI

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3) Tale strategia segue un modello di comparazione costi-benefici immediato, limitando il

tempo destinato a possibili ulteriori contrattazioni a favore di una condotta “che va

direttamente al dunque”66. La “faccia”, infatti, in una cultura individualistica, esiste solo

nell’immediato campo spazio-temporale che coinvolge le parti in conflitto ed è

fondamentalmente libera da un contesto sociale più generale.4) La relativa indipendenza della propria identità pubblica fa si che l’individuo sia

disponibile a proiettare in essa una frazione maggiore del proprio Sé. Questa struttura

tende quindi a rinforzare l’insieme dei valori che comprende l’autenticità, l’onestà, la

fiducia, la sincerità.

2.2 Culture collettivistiche

1) Le culture collettivistiche dipendono da un sistema di valori socialmente vincolato in cui

risulta basilare garantire l’interdipendenza e la reciprocità. Ne consegue allora che nella

comunicazione faccia a faccia prevalgono strategie miranti ad ottenere approvazione ed

inclusione; queste condotte si realizzano soprattutto onorando e preservando la faccia

dell’interlocutore (other-positive /negative facework )67, rinforzando in tal modo anche

l’insieme dei valori che comprende la cortesia, la disponibilità, l’altruismo, il rispetto per 

il rango e la gerarchia. Tali culture sono caratterizzate da un contesto sociale pregnante in

cui buona parte delle informazioni necessarie alla decodifica dei messaggi non è

incorporata al codice linguistico ma deve essere individuata nel contesto (high-context 

cultures).

2) Valutando essenziale la protezione e la valorizzazione del  self  dell’altro, le culture

collettivistiche adottano strategie comunicative indirette68 in cui le intenzioni non sono

esplicitate chiaramente ma in cui i significati sono restituiti dal sistema di relazioni che

vincola la comunicazione al contesto. I motivi del disaccordo sono espressi spesso

ambiguamente secondo un processo di negoziazione cumulativo guidato da una logica

circolare coinvolgente valori quali l’onore, l’obbligo, e la dimensione degli affetti. Lo

66 Si tratta della strategia preferita dagli Americani e dal loro attuale presidente che si sente spesso assaltaretattiche troppo diplomatiche dicendo: “ The game is over. Let’s come to the point ”. Sarebbe interessanteeseguire una analisi linguistica approfondita dei discorsi di Bush per capire molte delle caratteristiche dell’ eidos

statunitense.67 Per alcuni ricercatori, in queste culture, il self è completamente assorbito nel sociale risultando quindi privo diuna sua esistenza autonoma.68 Esempi di tali atteggiamenti sono riportati anche in Quassoli 1999. L’autore cita un lavoro di K. Libermannsugli aborigeni australiani che analizza i processi comunicativi che hanno luogo nei tribunali quando viene

 processato un imputato aborigeno. Per un aborigeno l’esposizione pubblica, che ogni individuo deve affrontare per potersi difendere in un aula di tribunale, risulta intollerabile. Non potendo rispondere in modo diretto, poichéciò susciterebbe in lui un forte sentimento di vergogna e risulterebbe (a lui) troppo offensivo per i propriinterlocutori, un imputato aborigeno si vede costretto al silenzio o a risposte casuali e non “ragionate” con lequali cerca di esaudire le attese di chi lo sta interrogando.

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scopo è quello di risolvere il conflitto conservando l’armonia del gruppo. Tale obiettivo è

 perseguito focalizzando gli sforzi sulla mutua difesa della propria ed altrui faccia (mutual-

 face perseverance).

3) Il modello di comparazione costi-benefici è a lungo termine. Nel contesto immediato, è

 più importante essere accondiscendenti ed accomodanti piuttosto che minacciaredirettamente lo spazio dell’avversario e quindi indirettamente anche il sistema di relazioni

di cui si è partecipi. Per mantenere l’equilibrio di tale fragile struttura è necessario agire

tatticamente (con tatto…), diluendo nel tempo e nello spazio, gli interventi,

 potenzialmente disgreganti, che rischiano di mettere in crisi l’intero sistema, innescando

 processi a catena difficilmente controllabili.

4) La forte dipendenza dal contesto sociale, delle identità pubbliche di un individuo

appartenente ad una cultura collettivistica, fa si che il soggetto medesimo sia disponibile a proiettare, nell’immagine di sé, solo una frazione parziale del proprio  self , adattando

invece la propria identità pubblica al contesto situazionale in cui si manifesta.

Schema 4

In situazioni di comunicazione interculturale in cui si fronteggiano individui di culture

individualistiche con soggetti di culture collettivistiche, i primi tendono ad interpretare il

comportamento ambiguo dei loro interlocutori come codardo e falso (“Mi hai mentito!”). In

contesti culturali in cui sono incoraggiate modalità di interazione individuali dirette tali

comportamenti sono percepiti come più minacciosi rispetto comportamenti aperti e

corrispondenti all’authentic-self  dell’attore. Viceversa in contesti culturali in cui sono

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VALORISOCIALMENTEVINCOLATI

FOCALIZZAZIONESU RECIPROCITA’ EINTERDIPENDENZA

MUTUAL FACECONCERN

OTHER POSITIVE NEGATIVE FACE

LIMITATA PROIEZIONEDEL PROPRIO SELF

 NELL’ IDENTITA’PUBBLICA

ATTENZIONE ALLEESIGENZE DELL’ALTRO

STRATEGIA DIINTERAZIONE INDIRETTA

MODELLI DI COMPARAZIONECOSTI BENEFICI A LUNGO

TERMINE

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incoraggiate modalità di interazione indirette, socialmente contestualizzate, un

comportamento troppo diretto può essere percepito in modo più minaccioso e destabilizzante,

rispetto a un comportamento indiretto accomodante, anche se ambiguo, causando imbarazzo e

disonore e svergognando gli attori della scena sociale69. Tali comportamenti sono percepiti

come capaci di mettere in crisi il senso di comunione e connessione del soggetto e i fragiliequilibri su cui si regge.

3. “Rossi” e “Scolari”: oralità e scrittura in una società collettivistica alfabetizzata

Ulf Hannerz, nel suo volume,  Esplorare la città70, dedica un capitolo alla network analysis.

Qui facendo riferimento alle ricerche di Philip Mayer ed Adrian Mayer sulle comunità urbane

africane (le così dette comunità urbane africane di tipo B, vale a dire comunità ancora sotto il

controllo europeo ma con una vasta popolazione africana) descrive la diversificazione delle

 popolazioni Xhosa di East London, in Sud Africa, in due gruppi segnati da differenti

orientamenti culturali: i “Rossi” e gli “Scolari”.

Gli Xhosa Rossi erano tradizionalisti, e venivano così chiamati perché dipingevano d’ocra il viso, il corpo e i teli

che indossavano. Essi rifiutavano la maggior parte delle idee e dei costumi introdotti dagli europei, compresa la

religione cristiana e la sua missione educativa. Gli Xhosa Scolari si erano invece convertiti al cristianesimo e damolte generazioni avevano finito per adottare molti dei valori, delle conoscenze e dei segni esteriori della cultura

dei coloni bianchi. […] non c’erano grandi differenze nelle loro occupazioni[…] lo Xhosa urbano era

generalmente un operaio di fabbrica. I modi di vita dei Rossi e degli Scolari differivano invece per ciò che

riguarda il tempo libero.71

La rete caratteristica degli immigrati Rossi presentava una struttura fortemente connessa a

maglia stretta. Si riunivano per bere birra, organizzare danze tradizionali, si dedicavano al

culto degli antenati. Gli immigrati che partecipavano a queste occasioni di incontro erano inrealtà persone che si conoscevano già in quanto parenti, coetanei, o vicini provenienti dallo

stesso villaggio. L’immigrato Scolaro, invece, era spinto dal suo orientamento culturale a

 prendere parte ad un gran numero di attività urbane: corsi di formazione, sport, attività

 politica. Egli frequentava persone non necessariamente provenienti dal suo stesso villaggio.

Apparteneva ad una rete a maglia più larga che gli permetteva di associarsi a persone diverse

nello svolgimento delle varie attività.

69 In Nigeria in una tale situazione è tipico essere così apostrofati: “You disgrace me!”.70 Hannerz 1980, pp. 303-30671  Ibid. cit. p. 305

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Possiamo osservare che la rete a maglia più larga è associata al gruppo degli Scolari, cioè al

gruppo meglio e più a lungo influenzato dalla scrittura. Gli alfabetizzati, nello scegliere tra

interdipendenza ed autonomia sembrano optare per la seconda alternativa seguendo dunque il

modello comportamentale delle culture individualistiche. Nonostante questo fatto dipenda

certo dalla disponibilità degli Scolari ad adottare complessivamente i costumi europei, ècomunque sorprendente che i vincoli comunitari tradizionali, profondamente radicati nella

cultura africana, si siano sciolti e allentati così velocemente in questo gruppo. Sembra

necessario riferirsi a cambiamenti profondi avvenuti nella mentalità dei singoli individui,

cambiamenti che possono dipendere, come visto nella prima parte di questa ricerca,

dall’insegnamento e dalle pratiche della scrittura. Viceversa i Rossi, sottoposti a una

scolarizzazione molto limitata, strutturano le proprie relazioni in termini di reciprocità e una

volta inseriti in questa rete molto vincolante, subiscono i giudizi convergenti che limitano leloro effettive possibilità di cambiamento.

Ancora una volta, il modello dell’oralità e della scrittura risulta profondamente intrecciato al

modello che classifica le culture in culture “collettivistiche” e “individualistiche”.

Parte terza:

I duelli verbali di "Sounding"

delle comunità nere nordamericane

In questa ultima parte analizzeremo le strutture comunicative che caratterizzano i duelli

verbali delle comunità nere delle metropoli nordamericane ( Black Verbal Duelling ). Cercando

di comprendere le origini e il significato sociale di tali pratiche, metteremo a confronto i

 paradigmi teorici dualistici precedentemente trattati, chiarendo così anche i limiti e le

sovrapposizioni di tali modelli.

1. Duelli verbali in culture orali

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I duelli verbali delle comunità nere sono una attività ludica strutturata da una sequenza di

insulti reciproci iperbolici (insulti rituali). Ad esempio un tipico scambio di insulti rituali può

essere:

A: "Tuo padre c'ha i denti di mattone"

B: "E tuo padre c'ha i denti che gli crescono dal di dietro!"

Come vedremo, in questa forma di competizioni, assumono importanza fondamentale anche

insulti di tipo personale che denunciano effettive manchevolezze o devianze dell'antagonista,

ad esempio il suo balbettare, il suo zoppicare ecc.

 Nelle comunità nere il vincitore di un duello verbale è colui che causa una risposta impulsiva

dell'avversario. Il perdente è colui che reagendo in modo incontrollato viene considerato

responsabile della fine del gioco.I duelli verbali ritualizzati sono presenti in moltissime culture orali. I duelli dei neri afro

americani possono quindi essere interpretati come attualizzazione, in un contesto moderno, di

 pratiche tipiche dell'oralità. Un esempio classico sono le contese canore degli Inuit72. Tra gli

Eschimesi della Groenlandia Orientale, può accadere spesso che un uomo accusi un altro di

avergli rubato la moglie. In questi casi la controquerela sostiene che la donna non è stata

 portata via ma che se ne è andata volontariamente perché suo marito "non era abbastanza

uomo" per prendersi cura di lei. La controversia viene risolta di fronte ad un numeroso

 pubblico che potrebbe essere paragonato ad un tribunale. Non viene però prodotta alcuna

testimonianza a sostegno di una delle due versioni73. Le due parti si scambiano, a turno, insulti

in musica sotto forma di canzoni. Il "tribunale" reagisce ad ogni esibizione con risate più o

meno fragorose. Alla fine uno dei due cantanti viene sopraffatto e le urla e le gride lanciate

contro di lui diventano generali. A questo punto lo sconfitto, non potendo più fare

affidamento sul sostegno di nessuno, di solito decide di lasciar perdere la contesa.

2. Confini tra gioco e non gioco nel "sounding "

72 Cfr. Harris 87, pp. 174-17573 E' evidente qui l'analogia con la  palabre africana. Anche in questo caso l'intento è più quello di risolvere ladisputa piuttosto che di accertare la reale versione dei fatti.

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Sounding 74  è il termine che i neri di Harlem, in New York, usano per denominare i duelli

verbali con cui spesso giocano insultandosi reciprocamente. Altre comunità nere usano altri

termini: chopping, cracking, cutting, screaming, signifying, woofing.

William Labov, in " Rules for Ritual Insults" e in "The Art of Sounding and Signifying "75 ha

formulato delle regole, per le competizioni di  sounding , secondo le quali solamente gli insultirituali sono propriamente da considerarsi parte dei duelli verbali. Secondo Labov un insulto

 personale interrompe la sequenza degli insulti rituali determinando il termine dell'evento di

 sounding. La gara scherzosa finisce perché una delle proposizioni è considerata vera da una

delle parti che considera l'insulto un'offesa alla propria "faccia", e reagisce cercando di

negare, attenuare, giustificare la proposizione medesima. Tale reazione si manifesta

generalmente con risposte sovreccitate e impulsive o con aggressive richieste di scuse. Questi

comportamenti, che denotano la perdita del controllo di sé da parte del soggetto la cui faccia èminacciata, determinano automaticamente l’uscita dal gioco per  forfeit . Si ha infatti uno

sconfinamento dai limiti del genere di sounding .

La tesi di Labov è criticata apertamente da Thomas Kochman, nel suo articolo " Black Verbal 

 Dueling Strategies in Interethnic Communication"76, a cui facciamo riferimento per molte

delle idee successivamente sviluppate. Kochman mette in luce che normalmente gli insulti

"personali" non causano il termine della sequenza di  sounding ma che anzi essi costituiscono

una vera e propria strategia utilizzata per mettere in difficoltà l'avversario.

 Nelle registrazioni di eventi di  sounding , in effetti, si verifica che gli insulti personali molto

spesso non sono negati ma vengono ancora considerati sound , un gioco un po’ sporco con cui

si vuole mettere alla prova le difese dell'avversario. Insulti personali sono provocatori, forse

necessari ma non certo sufficienti nel causare il termine del gioco. Un bravo giocatore di

 sounding  deve essere in grado di tenere l'avversario e gli spettatori nel dubbio se si stia

effettivamente ancora scherzando, oppure se i propri insulti costituiscano delle reali minacce.

L'introduzione di insulti personali costituisce allora un mezzo molto utile per mantenere

questa ambiguità.

3. Ambiguità e funzione sociale del sounding 

74  Sounding  può essere tradotto grossomodo con "suonargliele". In inglese  sounding  significa anche"scandagliare", "sondare"; questo secondo significato, come si vedrà successivamente, può essere consideratoappropriato, poiché il duello di  sounding  serve, in qualche modo, a sondare le capacità e le intenzionidell'avversario.75 Labov, rispettivamente 1972b, 1974. Cfr. anche Duranti 1992, § 2.976 Kochman 1986

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Per Kochman la teoria di Labov imposta scorrettamente i confini del gioco interpretando in

modo etnocentrico77, come non gioco, l'ambiguità contenuta negli insulti personali. Se

 bastasse un insulto personale per causare l'uscita dal gioco, i limiti tra  sounding  e non

 sounding sarebbero troppo netti e sicuri e il gioco diventerebbe un esercizio troppo formale e

astratto per essere interessante. L'aspetto avvincente del gioco consiste invece nell'esseregiocato sempre sul filo del rasoio, su limiti incerti e taglienti perché insicuri.

La pratica del  sounding  risponde, come per tutti i giochi, alla necessità di addestrarsi ed

abituarsi a fronteggiare situazioni che hanno riscontro nella vita reale, e nella vita reale per lo

 più sono gli insulti personali a costituire una minaccia per la nostra "faccia". E' allora proprio

la capacità di mantenere il controllo di sé di fronte a accuse e offese reali, in situazioni

ambigue di non gioco, che viene esercitata nel sounding . Allo stesso tempo è anche allenata la

 prontezza nello sfruttare la propria capacità di autocontrollo come un potere da usarespavaldamente per spaventare e intimidire gli altri.

Possiamo osservare qui che l'ambiguità intrinseca al  sounding, in un contesto sociale

 problematico caratterizzato da alta disoccupazione, bassa scolarizzazione e povertà diffusa,

corrisponde esattamente alla necessità dei neri afro americani, di confrontarsi continuamente

con le strategie di ambiguità di tipo agonistico messe in atto dall'oralità nei processi di

interazione faccia a faccia78. Tali strategie sono le medesime adottate dalle culture

collettivistiche, che preferiscono agire tatticamente secondo processi di negoziazione

cumulativa a lungo termine79.

Kochman riporta il caso di una segretaria di colore che importunata dal suo capo, che

occasionalmente sfiorava con la mano le sue ginocchia, gli disse: "Oh, excuse me Mr. Smith,

I didn't mean to get my knee in your way". La segretaria, evitando strategicamente di

interpretare direttamente l'episodio e assegnando al suo capo tale responsabilità, evitò in

questo modo anche il pericolo di essere lei stessa successivamente accusata di avere pensieri

sospetti. Come ricorderemo il mantenimento dell'ambiguità rappresenta una di quelle tecniche

retoriche di mascheramento che, attribuendo all'interlocutore la responsabilità di interpretare i

messaggi ricevuti, consente di indagare indirettamente le sue intenzioni (come dicono gli afro

americani "the kind of person you are"). Ad esempio si può lanciare un'accusa generica ad

una persona (individuo ricevente), per vedere come reagisce un altro ascoltatore presente, di

cui vogliamo sondare i propositi (individuo destinatario). Si getta il sasso per vedere chi lo

raccoglie80. Nella cultura nera risposte animose o colleriche, ad una osservazione

77 Cfr. § 5, parte III78 Cfr. § 5, parte I79 Cfr. § 2.2, parte II80 Kochman cita il proverbio jamaicano: " If you throw a stone in a pack of dogs, the one that yelps is the one

that got hit " cioè: "se getti un sasso in mezzo ad una banda (una muta) di cani, quello che guaisce è quello

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indirettamente rivolta, segnalano che l'osservazione medesima è stata colta e che quindi è

vera. Un comportamento indifferente significa invece che la generica accusa di cui il

ricevente è oggetto non è in realtà a lui applicabile. Nel  sounding avviene proprio la stessa

cosa; negando la validità degli insulti ricevuti si fornisce un'implicita ammissione di

colpevolezza e il gioco si conclude per  self-incrimination. La partita è chiusa.

4. Risoluzione dell'ambiguità ed escalation nei duelli di sounding 

Di fronte ad un insulto personale non strettamente rituale, il ricevente si trova di fronte a tre

opzioni. Può risolvere l'ambiguità in favore del gioco, restituendo un insulto rituale. Questa

strategia, più protetta e un po' pavida, è spesso adottata da individui molto giovani, non ancoraesperti di  sounding , quando giocano con avversari più navigati o quando fronteggiano

antagonisti che socialmente detengono un ruolo dominante. Il fine, in questo caso, è quello di

inibire i tentativi dell'avversario di spingere il gioco su limiti considerati insicuri.

In alternativa, il ricevente può risolvere l'ambiguità interpretando l'insulto seriamente. In

questo caso si ha la fine del gioco. La responsabilità nel determinare la sua conclusione è

attribuita dalla platea a colui che viene percepito aver per primo perso la padronanza di sé.

Anche un insulto eccessivamente personale può essere considerato come un uscire dal gioco

se accompagnato da una serie di atteggiamenti che segnalano lo stato di eccitamento non

controllato del giocatore.

Infine il ricevente può mantenere l'ambiguità restituendo un altro insulto non rituale e

sviluppando il gioco secondo un meccanismo di retroazione negativa, attraverso l'uso di

insulti personali mitigati e più scherzosi, oppure di retroazione positiva con tendenza

all'escalation, attraverso l’uso di comportamenti intimidatori, o di minacce. Questa ultima

strategia è quella generalmente adottata dai teen-ager più anziani ed esperti che preferiscono

rendere il gioco più eccitante alzando il rischio di far degenerare la sfida in uno scontro fisico

vero e proprio ( fighting ). In realtà anche lo scontro fisico, contenuto entro limiti rituali, può

essere considerato una forma, se pur anomala, di  sounding, nel momento in cui ne rispetta le

regole strutturali ed il significato sociale81. 

colpito dal sasso" (Kochman 1986, p. 149). Questa strategia retorica è denominata dai ricercatori di linguainglese "dropping  remarks", letteralmente "facendo cascare osservazioni".81 Possiamo qui ricordare il film  Fight Club, del regista David Fincher, dove lotte ritualizzate particolarmenteviolente vengono assunte come prove iniziatiche attraverso cui affermare la propria identità di genere.

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5. Conclusioni: la comunicazione interculturale tra oralità e scrittura

L'analisi delle strutture del  sounding ci permette di intrecciare tutti i fili che fin qui abbiamo

sviluppato. Il tono agonistico dell'oralità nel  sounding  si configura in un genere che a sua

volta illumina molte delle caratteristiche che all'oralità abbiamo attribuito. Se risulta un trattotipico dell'oralità la definizione collettiva e situazionale del senso di un atto comunicativo, nel

 sounding questo stesso fenomeno acquista una nuova luce: da un lato il fatto che un individuo

ci stia canzonando o sfidando seriamente, nel  sounding non è considerato automaticamente

evidente dalle sue affermazioni, non si dà a priori al di fuori del contesto situazionale.

Dall'altro la responsabilità e il potere di stabilire il loro significato è rinviato strategicamente

al ricevente il quale può decidere liberamente, come individuo, la contro mossa da giocare. Il

soggetto non è completamente assorbito nel sociale, ognuno mantiene personalità autonomecapaci d'iniziative originali. Si ha qui un ribaltamento dei pregiudizi che vedono le culture

tradizionali fondate su sistemi sociali che limitano l'intraprendenza e l'ingegnosità personale82.

Al contrario sembra essere la cultura più alfabetizzata e individualistica dei bianchi a

interpretare in modo più rigido e convenzionale i fenomeni di comunicazione faccia a faccia.

In questo senso l'ipotesi di Labov è etnocentrica, poiché descrive secondo un punto di vista

tipico di una cultura individualistica, poco interessata a gestire l'interazione personale, se non

tramite una serie di schemi precostituiti dal codice linguistico, idealizzanti ed inconsciamente

interiorizzati83, un fenomeno che invece appartiene ad una cultura in cui l'individuo si

inserisce in una rete complessa di relazioni sociali indispensabili alla sua stessa

sopravvivenza. La cultura afro americana pone l'accento sull'intuizione e sull'improvvisazione

mentre la cultura dei bianchi americani considera prioritario rispettare l'uniformità alle regole

e la standardizzazione delle procedure, confinando le doti individuali di intuito e

improvvisazione agli ambiti specifici della creazione artistica e della ricerca scientifica.

 Naturalmente le comunità nere afro americane sono comunità alfabetizzate. Anche se in

genere il livello di scolarizzazione nei quartieri neri è molto più basso, rispetto a quello dei

gruppi etnici di origine nordeuropea, pretendere di assimilare le comunità nere a culture orali

è chiaramente una forzatura84. Le strategie comunicative basate sul mantenimento

82 Cfr. § 7, parte I: la palabre africana.83 Due individui percepiranno gli oggetti e gli eventi come "oggetti anonimi" e avranno la sensazione di trovarsiin un mondo conosciuto e condiviso, dove si realizza una fondamentale congruenza dei sistemi di attribuzione dirilevanza (Schütz). L'accusa di etnocentrismo può estendersi, se vogliamo in modo un po' provocatorio, almodello di Schütz, nel momento in cui si universalizza tale modello all'interpretazione di culture esterne allacultura occidentale.84 Bisogna qui osservare però che un basso livello di alfabetizzazione fa si che l'individuo si senta maggiormentea suo agio nei rapporti interpersonali quotidiani piuttosto che in un mondo logico governato da pure astrazioniconcettuali. Per di più, oltre ai bassi livelli di scolarizzazione, anche altri fattori, come la diffusione tra lecomunità nere della musica rap, genere basato sulla ripetizione cadenzata di una cantilena parlata, sembrano

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dell'ambiguità possono essere interpretate come il tentativo di difendersi, in un contesto

sociale altamente vincolante, dalle continue richieste di servizi e rimesse, derivate dalla rete

sociale da cui si è dipendenti85. Possiamo ricordare ad esempio che anche nei gruppi di

adolescenti europei, ove si inneschino dei meccanismi di rango, è facile osservare forme

ritualizzate di aggressione verbale simili al  sounding 86 

. Ecco quindi che i rapporti causali traoralità e  sounding possono essere facilmente decostruiti. Ma tale possibilità non cancella le

capacità euristiche che tali connessioni ci consentono di acquisire. Lasciando libere queste

analogie, esse ci permettono di "far vedere" e comprendere ad un livello forse più profondo

ciò che inizialmente ci era alieno.

Il paradigma dell'oralità ci è servito per tracciare dei sentieri su una superficie, in origine

troppo frastagliata per essere compresa. Altre direttrici: l'analisi delle strategie di interazione,

il concetto di " facework ", il concetto di responsabilità nel definire il significato di eventilinguistici, hanno incrociato il sentiero che in principio le aveva generate. In questa dinamica

ogni relazione causale ha perso la sua presunzione reificante contribuendo invece a

comprendere quell'oggetto complesso che tutte le contiene.

Possiamo concludere infine ricordando il carattere autoreferenziale del  sounding . Le regole

del  sounding  riguardano interpretazioni del fatto che i giocatori stiano ancora giocando. La

stessa posta in gioco è assegnata nel negoziare tali interpretazioni. Il  sounding  può essere

allora inteso come una metafora della ricerca etnografica: per comprendere una cultura (cioè

 per giocare il gioco dell’etnografia) non basta descrivere e rappresentare. Bisogna saper 

giocare, essere in grado di coinvolgere se stessi nei meccanismi performativi della

comunicazione, partecipare ai giochi del linguaggio. Nello stesso tempo bisogna anche essere

esperti nel decifrare i significati che nel gioco si manifestano e capaci di trasmetterli e tradurli

ai nostri futuri interlocutori, coinvolgendoli in un nuovo gioco di cui saremo i mediatori.

 Riferimenti Bibliografici

favorire l'ipotesi di una oralità latente nelle comunità afro americane. I lavori di Havelock, Finnegan, e altrihanno mostrato che il pensiero e l'espressione orale di tipo formulario sono profondamente ancorati nellacoscienza e nell'inconscio e non svaniscono al primo contatto con le tecniche della scrittura e della lettura. Adesempio, la prima poesia scritta è sempre una imitazione di quella orale. Le abitudini del pensiero orale, tenuto inauge dagli insegnamenti della retorica classica, caratterizzavano ancora quasi ogni tipo di prosa nell'Inghilterradei Tudor. Nella lingua inglese queste abitudini scomparvero completamente solo due secoli dopo con l'avventodel romanticismo (Cfr. Ong 1982, p. 50).85 Cfr. § 3, parte II86 Sarebbe interessante analizzare queste forme di interazione - nelle scuole, nelle bande di quartiere, ecc. - da un

 punto di vista etologico, seguendo le idee contenute negli studi multidisciplinari di Gregory Bateson, dello stessoKonrad Lorenz o nelle ricerche sul comportamento umano di Eibl-Eibesfeldt (Eibl-Eibesfeldt 1970, 1984). Il

 sounding in questo senso può essere interpretato come una forma culturale di ritualizzazione dell’aggressività.

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