LA COMPETENZA EMOTIVA

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Rosetta Placido

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LA COMPETENZA EMOTIVA Il ruolo dell'affettività e delle competenze emotive sull'apprendimento della lettura e della scrittura di una bambina. Novembre 2006

Rosetta Placido Counselor Analitico Transazionale e insegnante

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Introduzione S. Uno sguardo impenetrabile in un visino olivastro quieto che cerca di mimetizzarsi nella classe. Quaderni ordinati, grembiule impeccabile, S. non parla spontaneamente, risponde a monosillabi se intervistata e se non sente che gli altri la guardano. Arriva in classe seconda della scuola primaria, dopo qualche giorno e mi rendo conto che non sa leggere. Copia soltanto tutto ciò che viene scritto alla lavagna con accuratezza, non sa contare, conosce i numeri oralmente fino al sette, non riconosce le cifre scritte ma disegna bene con dovizia di particolari. In seguito fa dispetti ai compagni, è permalosa, picchia chi ritiene l’abbia guardata male, di pomeriggio talvolta si accuccia sotto il banco ed emette gridolini. Quando parla, lo fa in maniera appropriata. La famiglia assente non assicura neanche la frequenza regolare, la giovane madre si dichiara analfabeta e quindi non in grado di aiutarla, sembra che la scuola non abbia per la famiglia nessuna importanza. Alcune mie colleghe pensano che non sia normodotata, solo io che insegno Italiano ritengo che se disegna così, qualcosa di più c’è, dietro la cortina di impenetrabilità e apparente vuoto. E' mio dovere tentare di insegnarle a leggere e scrivere poiché è un’abilità che non richiede particolare intelligenza ma solo tante strategie per memorizzare, combinare ed associare i grafemi ai suoni. Cerco di stabilire con lei una relazione empatica sento: che probabilmente questa bimba è intelligente ma percepisce il mondo ostile e quindi, per difesa, si è rinchiusa. Vengono messi in atto vari programmi di recupero: in classe io, ogni mattina, le dedico una parte del tempo in modo individualizzato per insegnarle a leggere e scrivere. Lei indomita accetta solo se la proposta ha qualcosa di allettante. Interrompe immediatamente se un qualsiasi sguardo o rumore la infastidisce o ritiene sia rivolto a lei. La incoraggio ma S. ripete che è nata sfortunata e trova mille rivoli per sfuggire al lavoro scolastico. Forse ritiene che nonostante tutti gli sforzi non ce la farà o peggio che l’imparare può nascondere un pericolo. Talvolta ad alta voce dichiara che non è capace di imparare. Con pazienza le dimostro che ha già fatto qualche progresso che è una bambina brava che ce la farà, che è una bambina speciale, che lei vale molto, cerco di proporle sempre cose nuove. Un giorno per insegnarle la “m” le porto una penna argento e un foglio azzurro e la invito a disegnare le onde del mare come tante emme così ricorderà la “m” di mare che è anche contenuta nel suo nome. Accetta volentieri e il lavoro viene appeso alla parete. Un altro giorno le viene dato un grande foglio giallo fosforescente su cui scrivere. Per fortuna accetta di lavorare in coppia con alcune bambine molto pazienti che l’aiutano. Il progetto di recupero individualizzato portato avanti da un’altra insegnante si conclude con un nulla di fatto perché S. non accetta nessuna proposta, si rifiuta di fare qualsiasi cosa, la maestra alla fine rinuncia poiché l’esperienza è frustrante ed improduttiva. Io cerco di coinvolgere anche alcuni genitori sensibili affinché invitino la bimba a giocare con i propri figli a farla sentire apprezzata. Parlo con la madre di S. affinché la mandi dalle compagne e dopo una qualche titubanza accetta. S. gli ultimi mesi della seconda quasi non frequenta, i genitori sono irreperibili, per mancanza di elementi di valutazione il Consiglio di interclasse dei docenti decide di promuoverla alla classe terza anche se ha una competenza nella letto-scrittura da fine classe prima. Durante tutta la seconda non faccio quasi mai un dettato per non sottolineare le differenze e quando c’è una necessità ineludibile in tal senso riscrivo “per controllo” alla lavagna il testo in modo che S. possa seguire. A metà Ottobre della terza elementare S. riesce a scrivere sotto

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dettatura un breve testo insieme ai compagni anche se il ritmo di dettatura è lentissimo. S. riceve le congratulazioni da parte mia e dei compagni poiché è riuscita a stare al passo con tutti senza neanche accorgersi di farlo. Ma le prove della vita sono in agguato, muore la madre in circostanze drammatiche, il padre decide di trasferirsi in un’altra città e lo fa senza neanche avvertire la scuola. Mi metto in contatto con la scuola in cui si è trasferita S. spiegando alle colleghe la situazione e descrivendo le strategie vincenti da utilizzare con lei. In occasione del Natale, i bambini le scrivono un grande biglietto d’auguri, ogni tanto la mamma di Sara, una delle sue amiche di classe la chiama per salutarla. Attualmente frequenta la prima media ed è stata promossa con ottimi voti, almeno così mi ha riferito la zia che è tornata a vivere nel paese dove insegno. Cosa giocava a sfavore di S.? Ritengo che il nucleo principale fosse nella sofferenza emotiva che le impediva di apprendere come avrebbe potuto e dovuto. Ricordava J. Piaget (1958) il ruolo dell’affettività sulle potenzialità intellettive e relazionali dell’uomo “ non vi sono meccanismi cognitivi senza elementi affettivi e viceversa *...+ l´affettività ha un ruolo di fonte energetica da cui dipende il funzionamento dell´intelligenza [...] l´affettività può essere causa di accelerazione o di ritardo nello sviluppo intellettivo [...] l´affettività non genera né modifica le strutture cognitive, ma interviene costantemente nei loro contenuti [...] come l'intelligenza ha i suoi schemi, così esistono schemi affettivi che si organizzano in strutture che si intellettualizzano.” Cosa ha permesso a S. di apprendere e a me di riuscire ad insegnarle? L’empatia e la fiducia direi quasi l’amore. S. si è sentita accolta, rassicurata, qualcuno intuiva le sue capacità e voleva aiutarla a tirarle fuori apprezzando costantemente i suoi miglioramenti. Come ci insegna Daniel Goleman, “l’intelligenza emotiva è fondamentale per riuscire a vivere ed esprimere le proprie potenzialità intellettive, relazionali”. Negli anni ’60 la psicologia e l’orientamento della società considerava come unico fattore di riuscita nella vita il QI, il quoziente intellettivo, che veniva misurato con metodi sempre più precisi. Successivamente con le ricerche longitudinali è emerso che nella vita non riuscivano coloro i quali avevano un QI alto ma chi aveva altre caratteristiche: sapeva relazionarsi nei contesti sociali, aveva doti comunicative, doti empatiche. In altre parole chi conosceva e gestiva le proprie emozioni e riconosceva le emozioni degli altri ed era capace di sintonizzarsi con essi. Fu nel 1995 che Daniel Goleman rese popolare il concetto di Intelligenza Emotiva definendola: “la capacità di motivare se stessi, di persistere nel perseguire un obiettivo nonostante le frustrazioni, di controllare gli impulsi e rimandare la gratificazione, di modulare i propri stati d’animo evitando che la sofferenza ci impedisca di pensare, di essere empatici e di sperare” . Che cos’è un’ emozione? “In senso letterale l’Oxford English Dictionary definisce emozione “ogni agitazione o turbamento delle mente, sentimento, passione: ogni stato mentale violento o eccitato”. Goleman afferma” Io riferisco il termine emozione a un sentimento e ai pensieri, alle condizioni psicologiche e biologiche che lo contraddistinguono, nonché una serie di propensioni ad agire. Vi sono centinaia di emozioni con tutte le loro mescolanze, variazioni, mutazioni e sfasature. In effetti le parole di cui disponiamo sono insufficienti a significare ogni sottile variazione emotiva. Alcuni teorici propongono famiglie emozionali fondamentali:

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collera, tristezza, paura, gioia, amore, sorpresa, disgusto, vergogna. Questo elenco non risolve ogni problema di classificazione delle emozioni. Per esempio come considerare emozioni miste quali la gelosia, una variazione della collera che si mescola anche alla tristezza e alla paura? L’argomento a favore dell’esistenza di un gruppo di emozioni fondamentali dipende, entro certi limiti, dalla scoperta di Paul Ekman, direttore dello Human Interaction Labs presso la California University di San Francisco, che le espressioni facciali specifiche di quattro di esse (paura, collera, tristezza e gioia) sono riconosciute in ogni cultura del mondo, compresi popoli analfabeti che presumibilmente non sono influenzati dal cinema o dalla televisione. Ciascuna di queste famiglie ha un nucleo emozionale con le connesse derivazioni che scaturiscono da esso secondo innumerevoli mutamenti. Le derivazioni più esterne sono gli umori o stati d’animo, che, tecnicamente parlando, sono più attenuati e assai più durevoli delle emozioni (mentre, per esempio, è relativamente raro rimanere per tutto il giorno in preda ad una collera furibonda, non lo è altrettanto essere di un umore scorbutico e irritabile, dal quale possono facilmente scatenarsi brevi accesi d’ira). Al di là degli umori vi sono i temperamenti, ossia la propensione ad evocare una certa emozione o umore che rende le persone malinconiche, timide o allegre. E ancora al di là di tali disposizioni emozionali vi sono i veri e propri disturbi delle emozioni, come la depressione clinica o l’ansia persistente, nei quali ci si sente intrappolati per sempre in uno stato di alterazione costante. Caratteristiche della mente emozionale Una reazione rapida, ma imprecisa La mente emozionale è assai più rapida di quella razionale, perché passa all’azione senza neppure fermarsi un attimo a riflettere sul da farsi. La sua rapidità le preclude la riflessione deliberata e analitica che caratterizza la mente pensante. Nel processo evolutivo questa rapidità connessa, molto probabilmente, alla decisione più essenziale, ossia a che cosa bisogna fare attenzione e, una volta vigili, ( ad esempio di fronte a un altro animale) a prendere in una frazione di secondo decisioni del tipo: fra noi due chi è la preda, io o lui? Gli organismi che dovevano soffermarsi troppo a lungo per riflettere sulle risposte a simili domande avevano minori probabilità di generare una prole numerosa alla quale trasmettere i geni che determinavano la loro lentezza nell’agire. Le azioni che scaturiscono dalla mente emozionale sono accompagnate da una sensazione di sicurezza particolarmente forte, derivante da un modo di vedere le cose semplificato ed immediato, che può apparire assolutamente sconcertante alla mente razionale. Poiché l’intervallo tra il fattore che scatena un’emozione e l’erompere dell’emozione stessa può essere quasi istantaneo, il meccanismo che valuta la percezione di tale fattore dev’essere velocissimo, anche secondo il tempo di reazione cerebrale che si calcola in millesimi di secondo. Questa valutazione della necessità di agire dev’essere automatica, così rapida che non varca neppure la soglia della consapevolezza. Tale risposta emozionale rapida, si propaga in noi prima che sappiamo che cosa sta succedendo. Questa modalità percettiva rapida sacrifica l’accuratezza a vantaggio della velocità, basandosi sulle prime impressioni. Essa vede le cose nella loro totalità simultanea e reagisce senza prendere tempo per un’analisi riflessiva. L’impressione, determinata da elementi di particolare vivezza, sovrasta ogni attenta valutazione dei dettagli. Il grande vantaggio è che la mente emozionale può

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leggere una realtà emotiva (lui è adirato con me, lei sta mentendo, questo fatto la sta rattristando) in un istante, producendo quel giudizio intuitivo immediato che ci dice di chi dobbiamo diffidare, di chi possiamo fidarci e chi si trova in una situazione difficile. La mente emozionale è il nostro radar per scoprire il pericolo; se noi (o i nostri antenati nel corso dell’evoluzione) aspettassimo l’intervento della mente razionale per formulare alcuni di questi giudizi, potremmo non solo sbagliarci, ma addirittura morire. Lo svantaggio è che queste impressioni e questi giudizi intuitivi, verificandosi in una frazione di secondo, possono essere erronei o malaccorti. Nel corso dell’evoluzione la specie ha sviluppato dei meccanismi di sopravvivenza che impegnano l’amigdala, una ghiandola contenuta nella scatola cranica a cui giungono una parte degli stimoli esterni ancor prima che questi giungano alla corteccia cerebrale che analizza e valuta. In caso di pericolo i meccanismi di valutazione corticali sono lenti e quindi non efficaci per dare risposte immediate per cui l’amigdala è preposta ad attivare una risposta emotiva immediata. Oggigiorno le situazioni di reale pericolo di sopravvivenza sono limitate per cui per il benessere dell’individuo è necessaria una competenza emotiva più raffinata che gli permetta di gestire le proprie reazioni e comprendere i sentimenti dell’altro nelle transazioni relazionali. Le radici della consapevolezza emotiva risiedono nella parte del cervello più primitiva il cervello rettile. Paura rabbia, tristezza amore e infelicità ci ricordano costantemente la nostra natura animale.” Scala della Competenza Emotiva Interattività Empatia Causalità Differenziazione BARRIERA VERBALE Esperienza primaria Sensazioni fisiche Insensibilità INSENSIBILITA’ inconsapevolezza di sentimenti e emozioni – confusione con il piano del pensiero SENSAZIONI FISICHE somatizzazione delle emozioni – se ne percepiscono le sensazioni fisiche, ma non le emozioni stesse ESPERIENZA PRIMARIA la persona è consapevole delle proprie emozioni, ma le vive come un livello estremo di energia disturbante che non si può comprendere, né esprimere con le parole. La persona è molto vulnerabile e sensibile, ma incapace di capire o controllarle. LA BARRIERA VERBALE quando si riesce finalmente a parlare di emozioni e le persone possono discutere dei loro sentimenti

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DIFFERENZIAZIONE In questa fase si riconoscono le differenze tra le emozioni basilari, come rabbia, amore, vergogna e odio, e che tali emozioni hanno livelli di intensità diversi CAUSALITÀ si comprendono i motivi e gli eventi che stimolano la risposta emotiva EMPATIA è una forma di intuizione delle emozioni – non pensiamo, ma semplicemente sentiamo le emozioni altrui – deve essere potenziata imparando modi che ci aiutano a confermare oggettivamente le nostre intuizioni INTERATTIVITÀ significa capire consapevolmente come si combinano le diverse emozioni e prevedere le conseguenze – ci permette di registrare le emozioni dentro e intorno a noi e di cominciare a capire come possono essere plasmate per fini creativi, invece di passare inosservate o incontrollate Intelligenza emotiva e competenza emotiva Tutti possiedono una certa dose di competenza emotiva alcuni più altri meno, la pratica può aiutare ad aumentare il livello di intelligenza emotiva che è composta dalle seguenti cinque abilità:

1. conoscere i propri sentimenti 2. conoscere i sentimenti degli altri 3. imparare a gestire le emozioni 4. riparare il danno emotivo: assumersi le proprie responsabilità, chiedere perdono e

rimediare 5. mettere tutto insieme

L’addestramento emotivo prevede tre fasi:

1. aprire il cuore 2. esplorare il panorama emotivo 3. assumersi le proprie responsabilità

Fasi del training alla competenza emotiva FASE 1 - APRIRE IL CUORE

1. dare carezze 2. chiedere carezze 3. accettare e rifiutare carezze 4. dare carezze a se stessi

FASE 2 – ESPLORARE IL PANORAMA EMOTIVO

5. fare dichiarazioni di azione/sentimento 6. accettare dichiarazioni di azione/sentimento 7. rivelare le proprie intuizioni

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8. convalidare un’intuizione FASE 3 – ASSUMERSI LE PROPRIE RESPONSABILITA’

9. chiedere scusa per gli errori quotidiani 10. accettare o rifiutare le scuse 11. chiedere perdono 12. offrire o negare il perdono.

Fase 1 – Aprire il cuore Il potere delle carezze Eric Berne ha sviluppato il concetto di carezza considerandolo un atto emotivamente neutro. Generalmente le carezze invece sono ritenute un’espressione di affetto o amore che le persone ricercano. Non possiamo vivere senza carezze. Le carezze fisiche riguardano il toccare: baci, abbracci, carezze, grattatine alla schiena, tenersi per mano. Le carezze verbali, affermazioni che riconoscono qualche caratteristica positiva dell’altro: aspetto fisico, modo di vestire, intelligenza, generosità , creatività , ecc Le carezze possono essere anche di tipo operativo es.: regalare un mazzo di fiori. Le carezze possono variare per l’intensità o il tipo di reazione che provocano. Le carezze negative possono essere estremamente dannose per la psiche. Certi traumi da derisione non si superano facilmente. Esistono regole non scritte sulle carezze. Quando infrangiamo queste regole le persone mostrano disapprovazione o ricorrono persino alla violenza per farcele rispettare. Es.: se si abbraccia con calore la persona amata su un marciapiede, è probabile che molti distolgano lo sguardo con disagio. Le regole sulle carezze è un insieme di regole che ci vengono fatte rispettare dal nostro Genitore Normativo Negativo (Genitore Critico) e sono:

1. Non dare le carezze che vorresti dare 2. Non chiedere le carezze che vorresti 3. Non accettare le carezze che desideri 4. Non rifiutare le carezze che non vuoi 5. Non farti carezze.

Quando si seguono le regole dell’economia delle carezze, la quantità degli scambi di carezze viene ridotta drasticamente: le persone muoiono dalla voglia delle carezze per cui iniziano ad accettare carezze negative perché non riescono ad ottenere quelle positive. Nel dare carezze è necessario ricordarsi di:

- chiedere il permesso, rispettare i confini e i sentimenti altrui

- essere sinceri. La sincerità è la base della competenza emotiva

- opporsi al genitore critico (normativo negativo) 1. Chiedere carezze è più difficile che dare carezze, non possiamo essere certi che le

carezze che vogliamo ci verranno date. 2. Accettare e rifiutare carezze, accettare le carezze desiderate e rifiutare quelle che

non vogliamo.

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3. Dare carezze a se stessi anche se non esiste un vero surrogato delle carezze che ci vengono date dagli altri, saper come “farsi” delle carezze è importante e utile quando ci troviamo in situazioni difficili e siamo lontani dalle persone che ci possono carezzare.

4. Lottare contro il Genitore critico. Abbiamo bisogno di carezzarci per contrastare le carezze negative del nostro Genitore Critico che continua a ripeterci che siamo sciocchi, cattivi, brutti o sfortunati.

Se il vostro Genitore Critico vi dice che siete sciocchi e inaffidabili, dovete poterlo contraddire dicendo a voi stessi cose del tipo: “ Sono intelligente e raggiungo i miei scopi. Considerando il fatto che ho due bambini che seguo con attenzione, so di essere affidabile.” Nell’Analisi Transazionale la fonte positiva di questo “dialogo interiore” viene definita il Genitore Affettivo. Fase 2 – Esplorare il Panorama Emotivo Fase del training che esplora la consapevolezza emotiva, ovvero la comprensione di ciò che proviamo, sia noi sia gli altri, la forza di questi sentimenti e la loro causa.

5. Fare dichiarazioni di azione-sentimento “Quando tu (azione), io provo (emozione)”

6. Accettare dichiarazioni di azione-sentimento Quando si è destinatari di una dichiarazione di azione-sentimento ,la cosa opportuna è prendere attentamente nota delle emozioni descritte e delle azioni che avete fatto per scatenarle. E’ fondamentale capire il legame tra la nostra azione e ciò che l’altro ha provato.

7. Rivelare le proprie intuizioni Fare una “verifica realistica” su un’intuizione relativa alle azioni o alle intenzioni di un’altra persona. L’uso dei poteri intuitivi è fondamentale per raggiungere la competenza emotiva.

8. convalidare un’intuizione Ricercare il granello di verità contenuto nell’intuizione Fase 3 – Assumersi le proprie Responsabilità

13. Chiedere scusa per gli errori quotidiani Accettare di poter sbagliare, senza sentire il pressante peso di essere perfetti. Stare nell'Adulto significa anche questo, sapere di poter commettere errori e di ammettere la nostra parte di responsabilità.

14. Accettare o rifiutare le scuse Sembra difficile accettare realmente le scuse, e lo è anche di più rifiutare le scuse di persone anche se non le sentiamo autentiche

15. chiedere perdono, offrire o negare il perdono.

Tutti abbiamo bisogno di carezze come di cibo. Quando siamo denutriti di carezze, possono verificarsi gravi conseguenze. Potremmo, per esempio, sentirci confusi e non sapere quali carezze accettare e quali rifiutare. Potremmo essere in astinenza di carezze perché non ne riceviamo proprio; ma spesso ne abbiamo bisogno perché rifiutiamo di accettare quelle disponibili.

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Ciò che ha contribuito all’apprendimento della lettura e scrittura in S. è stata sentirsi compresa, appoggiata, ricevere carezze positive date con amore e sincerità, oltre all’esplicitazione di quelli che potevano essere i sentimenti connessi al suo disagio. Il non sentirsi sola in un mondo ostile, le ha fornito la forza per vivere in modo naturale e abbastanza sereno e non oppositorio e vendicativo. Bibliografia Goleman D. (1995) L'intelligenza Emotiva. Rizzoli, Milano Piaget J (1958) Giudizio e ragionamento nel bambino. La Nuova Italia, Firenze Steiner C. () L'alfabeto delle emozioni. Sperling & Kupfer, Milano