Intelligenza emotiva

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SECONDA UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI NAPOLI FACOLTÀ DI PSICOLOGIA CORSO DI LAUREA IN SCIENZE E TECNICHE PSICOLOGICHE PER LA PERSONA E LA COMUNITÀ A.A. 2005/06 Prova finale in PSICOLOGIA GENERALE L’intelligenza emotiva Relatore: Candidato: prof. Olimpia Matarazzo Carmine Acheo Matr. 857/845

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SECONDA UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI NAPOLI

FACOLTÀ DI PSICOLOGIA

CORSO DI LAUREA IN SCIENZE E TECNICHE PSICOLOGICHEPER LA PERSONA E LA COMUNITÀ

A.A. 2005/06

Prova finale in

PSICOLOGIA GENERALE

L’intelligenza emotiva

Relatore: Candidato:

prof. Olimpia Matarazzo Carmine Acheo Matr. 857/845

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INDICE

1. Le basi neurologiche delle emozioni …………………………… 3

2. Che cos'è l'intelligenza emotiva…………………………………. 5

3. Controllare le emozioni usando l'intelligenza emotiva ………… 11

4. Sviluppare l'intelligenza emotiva ………………………………. 16

5. Conclusioni ……………………………………………………... 19

6. Bibliografia ……………………………………………………... 20

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1. Le basi neurologiche delle emozioni

Le emozioni rappresentano un'interfaccia che media tra l'input e l'output e

uno sganciamento dello stimolo dalla risposta che consente all'organismo di

interporre un periodo di latenza tra la valutazione dello stimolo e una

risposta rapida e appropriata (Scherer, 1984). La valutazione di uno stimolo

è il primo passo per dare inizio ad un episodio emotivo ma spesso essa

avviene in modo non consapevole, infatti, secondo lo psicologo Robert

Zajonc, l'emozione precede la cognizione e non ne dipende, quindi,

l'esposizione agli stimoli basta a creare delle preferenze. Anche quando

siamo coscienti dell'esito di una valutazione emotiva non vuol dire che

capiamo consciamente il motivo della valutazione ma l'esito cosciente si può

basare sui intuizioni non verbalizzate, "viscerali" invece che su un insieme

verbalizzabile di proposizioni. Durante una risposta emotiva una persona

può essere del tutto inconsapevole della causa reale dell’evento emozionale.

Per esempio: quando un padre inveisce verbalmente sui figli può

razionalizzare il suo comportamento dicendo che i bambini erano stati

disubbidienti (causa apparente) ma quell’accesso d'ira potrebbe essere stato

legato a una brutta giornata in ufficio o addirittura a come lui stesso veniva

trattato dai genitori da piccolo. La causa di un’emozione può quindi essere

ben diversa dalle ragioni che adduciamo per spiegarla a posteriori a noi e

agli altri (causa/e reale/i).

MacLean (1949) ipotizzò che le nostre emozioni, al contrario dei nostri

pensieri, ci risultassero difficili da capire per via delle differenze strutturali

tra l'organizzazione dell'ippocampo - il nucleo del cervello viscerale - e

quella della neocorteccia dove risiede il cervello pensante della parola: " la

cito architettura corticale della formazione ippocampale indica che sarebbe

un analizzatore scarsamente efficiente rispetto alla neo corteccia "(1949,

pp.383-353). Si deduce che il sistema ippocampale tratti l’informazione

soltanto in maniera molto rozza e sia un cervello troppo primitivo per

analizzare il linguaggio. Si potrebbe immaginare, per esempio, che sebbene

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il cervello viscerale non possa aspirare a concepire il colore rosso con una

parola di quattro lettere o con una particolare lunghezza d'onda, lo associ

comunque simbolicamente a oggetti molto diversi, come il sangue, lo

svenimento, la lotta, ecc. In assenza dell'aiuto e del controllo della

neocorteccia, le sue impressioni verrebbero trasmesse senza modifiche

all'ipotalamo e ai centri inferiori. Considerato alla luce della psicologia

freudiana, il cervello viscerale avrebbe numerosi attributi dell'inconscio.

Tuttavia, si potrebbe sostenere che il cervello viscerale non sia affatto

inconscio ma che sfugga all'intelletto perché la sua struttura animalistica e

primitiva gli rende impossibile comunicare in termini verbali. La vita

emotiva dei pazienti psicosomatici diventa spesso una questione di

"invisceramento " e di "esvisceramento" come se la persona non avesse mai,

da un punto di vista emotivo, " imparato a camminare ". Nel paziente

psicosomatico, sembrerebbe che non ci sia quasi nessuno scambio diretto tra

il cervello viscerale e quello pensante, e che i sentimenti emotivi prodottisi

nella formazione ippocampale, invece di venire trasmessi all'intelletto per

essere valutati, trovino un'espressione immediata attraverso i centri

autonomi. L'informazione sugli stimoli esterni raggiunge l'amigdala da

percorsi diretti provenienti dal talamo (strada bassa) e da percorsi che vanno

dal talamo alla corteccia all'amigdala. La via talamo-amigdala è più breve, il

sistema di trasmissione è più veloce, tuttavia, siccome il percorso diretto

evita la corteccia, non può sfruttare l'elaborazione corticale e quindi fornisce

all'amigdala solo una rappresentazione rozza dello stimolo. Si tratta di un

percorso di elaborazione veloce e impreciso, che ci consente di rispondere a

stimoli potenzialmente pericolosi prima di sapere esattamente che cosa

siano. È molto utile nelle situazioni pericolose, tuttavia, il percorso corticale

deve essere in grado di prevalere sul percorso diretto. È possibile che

quest’ultimo sia responsabile del controllo delle risposte emotive che non

capiamo. Potrebbe essere il modo di funzionamento dominante negli

individui che soffrono di certe turbe emotive e prodursi in ognuno di noi

solo occasionalmente.

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In presenza di un pericolo o di stimoli che avvisano di un pericolo, vengono

espresse delle risposte comportamentali, autonome ed endocrine, e vengono

modulati dei riflessi. Ogni risposta è controllata da un insieme diverso di

segnali in uscita dal nucleo centrale dell'amigdala. Le lesioni del nucleo

centrale bloccano l'espressione di tutte le risposte, mentre le lesioni dei

percorsi in uscita bloccano soltanto singole risposte. Il nucleo centrale

dell’amigdala comunica con le seguenti strutture: il grigio centrale che

predispone ad una risposta di immobilità, l'ipotalamo laterale che controlla

la pressione sanguigna, l'ipotalamo paraventricolare che regola gli ormoni

dello stress e il reticulo pontis caudalis che attiva il riflesso di trasalimento.

2. Che cos'è l'intelligenza emotiva

L'intelligenza emotiva mira a far maturare nell'individuo la capacità di

motivare sé stessi e di persistere nel perseguire un obiettivo nonostante le

frustrazioni; di controllare gli impulsi e rimandare la gratificazione; e

modulare i propri stati d'animo evitando che la sofferenza ci impedisca di

pensare; e la capacità di essere empatici e di sperare. Molti dati testimoniano

che le persone competenti sul piano emozionale - quelle che sanno

controllare i propri sentimenti, leggere quelli degli altri e trattarli

efficacemente, - si trovano avvantaggiati in tutti i campi della vita, sia nelle

relazioni intime che nel cogliere le regole implicite che portano al successo

politico. Gli individui con capacità emozionali ben sviluppate hanno anche

maggiori probabilità di essere contenti ed efficaci nella vita, essendo in

grado di adottare gli atteggiamenti mentali che alimentano la produttività;

coloro che non riescono ad esercitare un certo controllo sulla propria vita

emotiva combattono battaglie interiori che finiscono per sabotare la loro

capacità di concentrarsi sul lavoro e di pensare lucidamente. Lo psicologo

Sternberg con altri studiosi domandò ad un certo numero di soggetti di

descrivere una persona intelligente: fra le caratteristiche principali venivano

citate le capacità pratiche delle relazioni personali, intese come attributi

socialmente rilevanti: interesse per il mondo in genere (Sternberg et al.

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1981). Tali ricerche indussero Sternberg a trovarsi in linea con il pensiero di

Thorndike e confermare che l'Intelligenza Sociale è distinta dalle capacità

scolastiche ed è parte integrante delle doti che consentono alle persone di

realizzarsi negli aspetti pratici della vita.

Gardner, psicologo della Harvard School of Education, sosteneva che non

esistesse un unico tipo monolitico di intelligenza fondamentale per avere

successo nella vita, ma piuttosto che ce ne fosse una ampia gamma, dalla

quale individuava sette varietà fondamentali o sette modi differenti di

conoscere il mondo e cioè, attraverso il linguaggio, l'analisi logico

matematica, la rappresentazione spaziale, il pensiero musicale, l'uso del

corpo, la comprensione degli altri individui, la comprensione di noi stessi.

(Gardner 1991,1993). L'intelligenza interpersonale è la capacità di

comprendere gli altri, le loro motivazioni nel loro modo di lavorare,

scoprendo nel contempo in che modo sia possibile interagire con essi in

maniera cooperativa. L'intelligenza intrapersonale è una capacità correlativa

rivolta verso l'interno: è l'abilità di formarsi un modello accurato e veritiero

di sé stessi e di usarlo per operare efficacemente nella vita. Le componenti

dell'intelligenza interpersonale sono: capacità di organizzare gruppi,

capacità di negoziare soluzioni, capacità di stabilire legami personali e la

capacità ed analisi della situazione sociale. La capacità di organizzare gruppi

è l’abilità essenziale del leader, che comporta la capacità di coordinare gli

sforzi di una rete di individui. La capacità di negoziare soluzioni è il talento

del mediatore, capace di prevenire conflitti o di risolvere quelli già in atto.

Gli individui dotati di questo talento eccellono nelle trattative, riescono a far

bene da arbitri o da mediatori nelle controversie. La capacità di stabilire

legami personali implica la dote dell'empatia e del sapere entrare in

connessione con gli altri. Essa facilita l'inizio di interazione, il

riconoscimento di sentimenti e delle preoccupazioni degli altri e stimola la

risposta adeguata. La capacità ed analisi della situazione sociale è la capacità

di riconoscere e di comprendere i sentimenti, le motivazioni e le

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preoccupazioni altrui. Questa conoscenza del modo in cui si sentono gli altri

può facilitare l'intimità e rapporti. Nel caso migliore, questa abilità porta ad

essere terapeuti o consulenti competenti.

Peter Salovey ha mappatto molto dettagliatamente i vari modi in cui è

possibile portare l'intelligenza nella sfera delle emozioni. Questo concetto

d’intelligenza si distaccava completamente da un approccio cognitivo che

concepiva il pensiero come diviso dall'emozione e da chi, come Gardner,

dava enfasi non tanto alle emozioni, quanto al pensiero che le riguarda, ossia

sulla meta cognizione. Salovey e Mayer (1990), nella loro fondamentale

definizione d’intelligenza emotiva includono le intelligenze personali di

Gardner, estendendo questa abilità a cinque ambiti principali:

1. Conoscenza delle proprie emozioni. L'autoconsapevolezza è la capacità di

riconoscere un sentimento nel momento in cui esso si presenta, ovvero la

capacità di monitorare istante per istante i propri sentimenti anche quando si

stiano provando emozioni molteplici o contrastanti.

2. Controllo delle emozioni. E’ la capacità di controllare sentimenti in modo

che essi siano appropriati, e si fonda sull'autoconsapevolezza.

3. Motivazione di se stessi. La capacità di dominare le emozioni per

raggiungere l'obiettivo è una dote essenziale per concentrare l'attenzione, per

trovare motivazione e controllo di sé, per la creatività. Il controllo

emozionale è la capacità di ritardare la gratificazione e di reprimere gli

impulsi. La capacità di entrare nello stato di "flusso" ci consente di ottenere

prestazioni eccezionali di qualsiasi tipo.

4. Riconoscimento delle emozioni altrui. L'empatia offre un'altra capacità

basata sulla consapevolezza delle proprie emozioni, ed è fondamentale nella

relazione con gli altri.

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5. Gestione delle relazioni. L'arte delle relazioni consiste in larga misura

nella capacità di dominare le emozioni altrui.

Affine al costrutto d’intelligenza emotiva è il concetto di resilienza dell'Io

(Block, 1995). Una delle sue componenti è il senso di autoefficacia, ossia la

convinzione di avere il controllo sugli eventi della propria vita e di poter

accettare le sfide nel momento in cui esse si presentano. Lo sviluppo di una

competenza di qualunque tipo rafforza questa sensazione di sapersi

controllare e monitorare le situazioni in cui ci troviamo, aumentando la

disponibilità dell'individuo a correre dei rischi e a tentare imprese sempre

più difficili. A sua volta, il superare queste difficoltà aumenta il senso

d’autoefficacia. Chi è dotato d’autoefficacia può riprendersi più facilmente

dai fallimenti ed è maggiormente in grado di gestire le situazioni senza

preoccuparsi di ciò che potrebbe andare eventualmente male. Un'altra

componente importante della resilienza dell'Io è l'intelligenza sociale che si

fonda in parte sull’empatia. L'empatia proviene dal mimetismo motorio

presente fin dai primi mesi di vita. Essa, secondo Tichener (1920), scaturiva

da una sorta di imitazione fisica della sofferenza altrui, che poi evocava gli

stessi sentimenti anche nell'imitatore. Tichener cercava una parola che fosse

distinta da simpatia, la benevola compassione che si può provare per la

sofferenza altrui ma che non comporta alcuna condivisione. Il mimetismo

motorio svanisce dal repertorio di bambini intorno all'età di due anni e

mezzo, quando essi capiscono che il dolore altrui è diverso dal proprio e

riescono a consolare meglio gli altri. Daniel Stern (1987) ha studiato ripetuti

scambi che hanno luogo fra genitori e figli ed egli crede che i fondamenti

della vita emotiva vengano posti in questi momenti di grande intimità. Di

tutti questi istanti, i più critici sono quelli che consentono al bambino di

sapere che le sue emozioni incontrano l'empatia dell’altro, sono accertate e

ricambiate, in un processo chiamato " sintonizzazione ". Stern sostiene che

gli infiniti momenti di sintonizzazione e desintonizzazione fra genitori e

figli plasmano le aspettative emotive che gli adulti immettono nel rapporto,

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forse molto di più di quanto non facciano gli eventi più drammatici di

infanzia. La sintonizzazione avviene tacitamente: viene inserita come un

elemento ritmico della relazione. Egli ha scoperto che attraverso la

sintonizzazione, le madri comunicano ai figli di percepire i loro sentimenti

ciò significa che questo processo è diverso dalla semplice imitazione, cioè è

molto di più del sapere che cosa l'altro faccia, bensì è la capacità di

riprodurre i sentimenti dell'altro in un altro modo. Nella vita adulta, il fare

l'amore è l'atto che forse si avvicina di più a questa sintonizzazione fra

madre e figlio. Secondo Stern, l'atto sessuale implica la percezione dello

stato soggettivo dell’altro: la condivisione del desiderio, un’armonia di

intenzioni, e un’attrazione reciproca sincronizzata. La trascuratezza

emozionale sembra smorzare l'empatia, nei soggetti sottoposti a violenze

psicologiche intense e prolungate. Minacce crudeli e sadiche, umiliazione e

completa miseria, possono produrre conseguenze paradossali. I bambini che

sopportano tali abusi possono, infatti, sia essere completamente insensibili

agli stati emotivi altrui, sia diventare ipersensibili alle emozioni altrui.

Quest’ultima è una reazione derivante da una vigilanza post-traumatica agli

indizi segnalanti una minaccia.

Secondo Hoffmann (1984) le radici della moralità siano da ricercarsi

nell'empatia, dal momento che gli individui si sentono spinti ad aiutare gli

altri - qualcuno che soffre, è in pericolo o patisce per una privazione -

proprio perché empatizzano con queste potenziali vittime e quindi ne

condividono la pena. Hoffmann propone che la stessa capacità di trovare un

affetto empatico, in altre parole di mettersi nei panni degli altri, induca la

gente a seguire certi principi morali. Egli ritiene che l'empatia vada

sviluppandosi in modo naturale a partire dall'infanzia e questa capacità,

nell'adolescenza, può portare al radicarsi di convinzioni morali imperniate

sul desiderio di alleviare l'infelicità e l'ingiustizia. L'empatia è alla base di

molti aspetti del giudizio e dell'azione morale. Studi condotti in Germania e

negli Stati Uniti (Hoffmann, 1984) hanno rivelato che quanto maggiore è

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l'empatia degli individui, tanto più essi approvano il principio secondo il

quale le risorse dovrebbero essere distribuite in base alle reali esigenze delle

persone.

Una delle competenze sociali e fondamentali dell'individuo è la capacità di

esprimere, bene o male, i propri sentimenti. Ekman (1973) usa il termine

“regole di esibizione” per indicare il consenso sociale che prescrive quali

sentimenti possono essere esibiti in modo appropriato al contesto sociale, e

quando. Esistono diversi tipi fondamentali e di regole di esibizione:

minimizzare o esagerare ciò che si sente oppure sostituire un sentimento con

un altro. L'abilità nell'applicare queste strategie, e il saperle usare al

momento opportuno, sono fattori importanti dell'intelligenza emotiva. Ad

esempio: se un bambino riceve il messaggio" sorridi e dici grazie per questo

bel regalo " da un genitore che in quel momento è duro, severo e freddo -

che sibila il messaggio invece di suggerirlo con calore - probabilmente

imparerà qualcosa di molto diverso e risponderà alla persona che gli ha fatto

il regalo con un'espressione corrucciata e un " grazie " secco e reciso.

L'esibizione delle emozioni, naturalmente, ha conseguenze immediate

sull'impatto che esse hanno sulla persona che le riceve. Queste regole

d’espressione delle emozioni non sono solo gli elementi base per un

comportamento sociale appropriato: esse stabiliscono il tipo d’impatto che i

nostri sentimenti avranno sugli altri. Seguire correttamente queste regole

significa avere un impatto ottimale; farlo male significa invece fomentare il

caos emozionale. In ogni interazione noi inviamo segnali emozionali che

influenzano le persone con le quali ci troviamo. Quanto più siamo

socialmente abili, tanto meglio riusciamo a controllare i segnali che

emettiamo; dopo tutto, il riserbo previsto dalla buona educazione non è che

un mezzo per assicurarsi che nessuna fuga emozionale destabilizzi

l'interazione. L'intelligenza emotiva comporta la capacità di gestire le

transazioni tra le persone: saper gestire le proprie emozioni in relazione al

contesto in cui si generano vuol dire risultare piacevoli agli altri e far stare

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bene sé stessi e gli altri. Le persone capaci di aiutare le altre a placare i

propri sentimenti hanno una dote sociale particolarmente apprezzata; sono

queste le persone alle quali gli altri si rivolgono nei momenti di maggiore

bisogno.

3. Controllare le emozioni usando l'intelligenza emotiva

L'autoconsapevolezza richiede l'attivazione della neocorteccia, e

particolarmente delle aree del linguaggio, che consentono di dare un nome

alle emozioni sbagliate. " Essere consapevoli di sé significa essere

consapevoli sia del nostro stato d'animo che dei nostri pensieri su di esso

" (Salovey e Mayer, 1990). Il controllo delle emozioni di eventi negativi dal

forte impatto emotivo implica spesso delle modificazioni nel sistema di

credenze su di sé e sul mondo e una minaccia per il conseguimento degli

scopi rilevanti degli individui. Il loro carattere potenzialmente traumatico

richiede la messa in atto di meccanismi di coping di vasta portata al fine di

padroneggiare l'impatto emotivo e di rimaneggiare gli schemi cognitivi

preesistenti per integrare le nuove informazioni. Liberarsi da stati d'animo

negativi vuol dire anche fermare pensieri ossessivi distraendosi,

minimizzando o condividendo le proprie emozioni con gli altri.

Se ci si trova in una situazione di vacuità emozionale, ovvero si soffre di

alessitimia, non si hanno parole per descrivere i propri sentimenti. In effetti,

gli alessitimici sembrano mancare anche dei sentimenti stessi, sebbene

questa impressione possa essere causata dalla loro incapacità di esprimere

l'emozione, e non dalla totale assenza dell'emozione in quanto tale. Gli

aspetti clinici che contrassegnano i pazienti alessitimici comprendono la

difficoltà nel descrivere sentimenti propri ed altrui, la presenza di un

vocabolario emozionale molto limitato, la difficoltà a discriminare tanto fra

emozioni diverse quanto fra emozioni e sensazioni fisiche. Questi pazienti

arrivano, infatti, al punto di lamentarsi di un senso di vuoto allo stomaco,

palpitazioni, sudorazione e vertigini, senza sospettare minimamente che

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possa trattarsi di ansia. Essi raramente piangono, ma se lo fanno, non

risparmiano le lacrime. Tuttavia, restano sconcertati se si chiede loro il

perché del loro pianto. Essere incapaci di tradurre i propri sentimenti vuol

dire che la neocorteccia non è più in grado di classificarli e di completarli

aggiungendo loro le sfumature del linguaggio: non aver parole per

descrivere sentimenti significa non potersi appropriare di essi (Sifneos,

1972). Ascoltare i propri segnali provenienti dalle viscere ci aiuta a decidere

del nostro destino: per esempio ci facilita nel dover decidere quali carriere

intraprendere, se conservare un posto di lavoro sicuro o passare a un altro,

con chi avere una relazione, chi sposare, dove vivere, quale appartamento

affittare o quale casa acquistare, eccetera. La logica da sola non potrà mai

servire come base per decidere chi sposare o in quale persona riporre

fiducia, e nemmeno quale lavoro scegliere; questi sono tutti campi nei quali

la ragione, se non è coadiuvata dal sentimento, è cieca. Damasio (1995)

chiama i segnali intuitivi che ci guidano nei momenti decisionali della vita e

che sentiamo sotto forma d’impulsi provenienti dalle viscere e regolati dal

sistema limbico: "marker somatici". Essi sono un tipo d’allarme automatico,

che solitamente attira l'attenzione su un pericolo potenziale proveniente da

un’azione in corso di svolgimento. Molto spesso questi marker ci distolgono

da una scelta sconsigliata dall'esperienza, ma possono anche allertarci di

fronte a una occasione importante. Ogni qualvolta compare una sensazione

viscerale, possiamo immediatamente abbandonare una certa strada o

proseguire su di essa con maggiore sicurezza, riducendo la gamma delle

scelte disponibili a una matrice più maneggevole. La chiave per scandagliare

i nostri processi decisori personali è dunque quella di essere in sintonia con i

propri sentimenti.

Quando le emozioni sono suscitate da eventi negativi particolarmente

salienti esse possono diventare delle vere e proprie “tempeste emozionali”

(Goleman, 1996). Ad esempio essere pesantemente insultati vuol dire

recepire un segnale di pericolo ma più precisamente significa avere una

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minaccia simbolica all’autostima o alla dignità della persona. Questa

percezione di pericolo è il fattore innescante che scatena una tempesta nel

sistema limbico, producendo un duplice effetto sul cervello. Parte di tale

tempesta si traduce nel rilascio di catecolamine, che induce un’onda rapida

ed episodica d’energia. Questa tempesta d’energia dura qualche minuto,

preparando l'organismo ad un buon combattimento o ad una fuga veloce, a

seconda del modo in cui cervello emozionale giudica la situazione

contingente. Nel frattempo, la seconda reazione, guidata dall'amigdala e

mediata dalle ghiandole surrenali, crea una condizione tonica di fondo che

predispone all'azione e che dura molto più a lungo della tempesta di energia

legata al rilascio delle catecolamine. Questo eccitamento corticosurrenale

generalizzato può durare per ore e anche per giorni, con effetto di mantenere

il cervello emozionale in uno stato di particolare attivazione e diventando

così la base sulla quale è possibile innescare molto velocemente eventuali

reazioni successive (Zillmann, 1993). Per disinnescare delle reazioni a

catena all'interno del cervello un’alternativa più sicura, rispetto a fomentare

la collera, è quella di fare una lunga passeggiata o altrettanto utili possono

essere le tecniche di rilassamento, come la respirazione profonda e il

rilassamento muscolare: infatti, queste modalità servono a far passare

l'organismo da uno stato di attivazione generale ad uno stato di minore

attivazione. Dare libero sfogo alla collera è uno dei modi peggiori per

raffreddarla: di solito gli scoppi di collera alimentano l'attivazione del

cervello emozionale, lasciando l'individuo ancora più adirato, di certo non

più calmo. Un’altra emozione che può presentarsi come “tempesta” è

l’ansia.

L’ansia si presenta in due forme: cognitiva ossia sotto forma di pensieri

preoccupanti; somatica con i classici sintomi, quali la sudorazione,

l'aumento della frequenza cardiaca, la tensione muscolare. In uno stato

d'ansia la preoccupazione in certo senso ripercorrere mentalmente gli eventi,

in modo da isolare ciò che potrebbe andare male e decidere come affrontare

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il problema; la funzione della preoccupazione in quanto reazione è quella di

escogitare soluzioni positive nelle situazioni pericolose della vita,

anticipandole prima che le si presentino. Il problema sorge nel caso in cui le

preoccupazioni diventino croniche e ripetitive, nel caso in cui continua a

riciclarsi all'infinito, senza mai fare intravedere una soluzione positiva.

Quando questo ciclo di preoccupazione persiste e si intensifica, esso sfuma

in veri e propri sequestri emozionali, ossia nei disturbi ansiosi: fobie,

ossessioni, compulsioni, attacchi di panico in ciascuno di questi disturbi la

preoccupazione assume una connotazione distinta: nel paziente fobico, le

ansie si fissano sulla situazione oggetto della paura; in quello ossessivo,

sulla necessità di evitare una qualche calamità; nel caso degli attacchi di

panico, infine, le preoccupazioni possono concentrarsi sulla paura di morte o

sulla prospettiva stessa degli attacchi. Nel momento in cui la preoccupazione

finisce per sfuggire ad ogni controllo bisogna frenare l'attivazione di pensieri

molesti mettendolì in discussione, contemplando tutta una gamma di punti

di vista ugualmente plausibili, ci si vieta di considerarli veri e di accettarli

ingenuamente (Goleman, 1996).

Nella malinconia, invece, l'individuo continua a rimuginare sulla propria

depressione ovvero su quanto si sentano stanchi, sulle loro poche energie e

sulla loro scarsa motivazione. L'isolarsi e pensare a quanto ci si sente male

porta la persona affetta da depressione a giustificare il fatto che si ha il

bisogno di rimanere soli con sé stessi per cercare di capirsi meglio, in realtà,

queste persone stanno innescando sentimenti di tristezza senza far nulla che

possa davvero migliorare il loro stato d'animo. Per modificare questo stato

mentale è importante imparare a mettere in discussione i pensieri, oggetto

delle ruminazioni, e ad escogitare alternative più efficaci. Un'altra tattica è

quella di programmare ad hoc eventi piacevoli che li distraggano dai

pensieri ossessivi oppure per sollevare il morale di una persona depressa

questa può aiutare altre persone in difficoltà, poiché la depressione è

alimentata da pensieri e preoccupazioni riferiti al sé, nel momento stesso in

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cui empatizza con altre persone sofferenti e le aiuta, si sente sollevata

(Goleman, 1996).

Una modalità che può regolare diversi tipi di emozione è riuscire ad entrare

nel “flusso” ovvero entrare in uno stato di armonia emozionale: questa

modalità rappresenta il massimo livello di imbrigliamento e sfruttamento

delle emozioni al servizio della prestazione e dell'apprendimento. Nel flusso

le emozioni non sono solamente contenute e incanalate, ma positive,

energizzate e in armonia con il compito cui ci si sta dedicando. La

sensazione che il flusso determina è quella simile ad una gioia spontanea, è

una situazione in cui l'individuo è assorbito in ciò che sta facendo e presta

attenzione esclusivamente ad un determinato compito. L'attenzione è

talmente concentrata che l'individuo che la vive è consapevole solo della

ristretta gamma di percezioni immediatamente legate a ciò che sta facendo e

perde ogni cognizione dello spazio e del tempo. Il flusso è uno stato in cui

l'individuo si disinteressa di sé, l'opposto del rimuginare e del preoccuparsi,

quindi, invece di perdersi nella preoccupazione nel nervosismo la persona si

spoglia delle piccole preoccupazioni della vita quotidiana e di sé stesso e

vive questa esperienza estatica. Ci sono diversi modi per entrare nel flusso,

come quello di concentrarsi esclusivamente e intenzionalmente su ciò che si

sta facendo; arrivare ad uno stato di profonda concentrazione è l'essenza

stessa del flusso. Esso è possibile " in un fragile territorio che si trova fra la

noia e l'ansia " (Goleman, 1996, pp. 118-121).

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4. Sviluppare l'intelligenza emotiva

"Insegnare l'alfabeto delle emozioni per aiutare i ragazzi a diventare giovani

e uomini, equilibrati e sereni... la capacità di leggere e comprendere le

proprie emozioni quelle degli altri. Questo processo è molto simile a quello

nel corso del quale s’impara a leggere... Analogamente, l'alfabetizzazione

emotiva comporta il riconoscimento dell'aspetto e delle sensazioni associati

alle nostre emozioni, e in un secondo tempo l'uso di tale abilità per

comprendere meglio noi stessi e gli altri. Impariamo così ad apprezzare la

complessità della vita emotiva e questo migliora le nostre relazioni personali

e professionali, invitandoci a rafforzare i legami che arricchiscono la nostra

vita " (Kindlon e Thompson, 2000)

Il programma della Scienza del sé si pone come modello per l'insegnamento

dell'intelligenza emotiva. I contenuti della Scienza del sé corrispondono

quasi punto per punto ai componenti dell'intelligenza emotiva e alle abilità

fondamentali consigliate per la prevenzione dei pericoli che minacciano i

giovanissimi (Karen F. Stone e Harold Q. Dillehunt, Self Science: The

Subject Is Me, 1978). I contenuti dell'insegnamento comprendono

l'autoconsapevolezza, ossia la capacità di riconoscere i sentimenti e di

costruire un vocabolario per la loro realizzazione; cogliere nessi tra pensieri,

sentimenti e reazioni; sapere se si sta prendendo una decisione in base a

riflessioni o a sentimenti. L'autoconsapevolezza può anche servire per il

riconoscimento delle proprie forze e delle proprie debolezze e nel saper

considerarsi in una luce positiva, ma realistica. Un altro aspetto che viene

sottolineato è come controllare le emozioni: capire che cosa sta dietro un

sentimento imparare come trattare l'ansia, la collera, la tristezza. Si dà anche

molto risalto all'assunzione di responsabilità relativamente a decisioni e

azioni e al mantenimento degli impegni assunti. Un'abilità sociale

fondamentale è l'empatia, ossia il comprende i sentimenti altrui e la capacità

di assumere il loro punto di vista, rispettando i diversi modi in cui le persone

considerano la situazione. Un'attenzione particolare viene dedicata ai

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rapporti interpersonali. La trattazione di questo tema comprende: imparare a

saper ascoltare e a porre domande; distinguere tra ciò che qualcuno dice o fa

e le proprie reazioni o i propri giudizi; essere sicuri di sé, invece di

arrabbiarsi o restare passivi; imparare l'arte di collaborare, di risolvere i

conflitti e negoziare i compromessi. Questa sorta di alfabetizzazione

emozionale amplia la nostra visione del compito delle scuole, conferendo a

esse più esplicitamente un ruolo sociale nell'impartire ai ragazzi lezioni

essenziali per la vita. Il programma funziona ancora meglio quando le

lezioni a scuola sono coordinate con quello che avviene a casa. Molti

programmi di alfabetizzazione emozionale comprendono corsi speciali per i

genitori, per insegnare loro ciò che i figli che stanno imparando a scuola. Lo

scopo non è soltanto quello di consentire ai genitori di integrare ciò che

viene impartito a scuola, ma anche quello di aiutare quei genitori che

sentono il bisogno di rapportarsi con la vita emotiva dei figli. In tal modo i

ragazzi ricevano messaggi coerenti di competenza emozionale in ogni

ambito della loro vita. Si crea così un intreccio più saldo tra la scuola, i

genitori e la comunità. Si aumenta la probabilità che ciò che i ragazzi

imparano nei corsi di alfabetizzazione emozionale non rimanga solo

un'esperienza scolastica, ma venga messo alla prova, praticato e affinato

nelle sfide reali della vita. Un altro modo in cui l'introduzione di questo

tema riforma le scuole è nella costruzione di una cultura scolastica che

trasformi l'istituto in una comunità d’assistenza, un luogo in cui gli studenti

si sentono rispettati, seguiti, curati e legati ai compagni, agli insegnanti della

scuola stessa.

Gli studenti che avevano seguiti corsi di alfabetizzazione emotiva ne hanno

tratto un esteso beneficio per la loro condotta dentro e fuori la classe e per la

loro capacità di apprendimento. Si è verificato miglioramento in tutte le aree

classiche dell'intelligenza emotiva:

Autoconsapevolezza emozionale

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Migliore capacità di riconoscere e denominare le proprie emozioni, di

comprendere le cause dei sentimenti, di riconoscere la differenza tra

sentimenti e azioni.

Controllo delle emozioni

Miglioramento della sopportazione della frustrazione e controllo della

collera, della capacità di affrontare lo stress, miglioramento della condotta

che diventata meno aggressiva o autodistruttiva; si sono rilevati, inoltre: una

minore frequenza di umiliazioni, scontri/disturbi in classe; una minor

solitudine e ansia nei rapporti sociali; minor numero di sospensioni ed

espulsioni; sentimenti più positivi sul proprio io, sulla scuola e sulla

famiglia.

Indirizzare le emozioni in senso produttivo

Maggior senso di responsabilità, maggiore capacità di concentrarsi sul

compito che si ha di fronte, di fare attenzione, minore impulsi vitali,

maggiore autocontrollo, migliori risultati delle prove scolastiche.

Empatia: leggere le emozioni

Migliore capacità di assumere il punto di vista altrui, maggiore empatia e

sensibilità verso i sentimenti altrui, migliore capacità di ascoltare gli altri.

Gestire i rapporti

Migliore capacità di analizzare e comprendere i rapporti, di risolvere i

conflitti, di negoziare i contrasti, di risolvere problemi nei rapporti.

Maggiore sicurezza di sé, maggiore capacità di comunicare, maggiore

simpatia e socievolezza.

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Maggiore interesse da parte dei coetanei e premura verso gli altri. Minor

individualismo e maggiore disposizione alla collaborazione in gruppo.

Maggiore spirito di condivisione, di collaborazione e di disponibilità a

rendersi utili agli altri. Maggiore democrazia nel trattare con gli altri.

5. Conclusioni

Grazie alle prospettive date dall’Intelligenza Emotiva si può rispondere

all’esigenza di ricostruire una nuovo modello di scuola che non si

accontenta di insegnare solo le competenze cosiddette accademiche: leggere,

scrivere e far di conto, ma è in grado di adeguare i percorsi educativi alla

luce delle nuove conoscenze sull’apprendimento e sullo sviluppo

dell’individuo: dalle teorie di Gardner sulle Intelligenze Multiple alla teoria

sull’Intelligenza Emotiva. Goleman (1996) sostiene che probabilmente la

prossima grande frontiera dell’apprendimento, l’area in cui potremo

esplorare affascinanti possibilità è rappresentata dalla dimensione

emozionale, l’immenso spazio che appare ancora con i caratteri

dell’illogicità e dell’irrazionale e che, forse per tale motivo, sollecita la

ricerca scientifica all’acquisizione di nuove conoscenze e strumenti. In

ambito accademico si spera che le scienze cognitive diventino scienze della

mente perché emozioni e cognizioni non siano più divise ma siano integrate

in un modello unitario dove le due componenti abbiano lo stesso peso e la

stessa dignità. Concludo con una frase molto significativa di S. Denham sul

ruolo di una buona alfabetizzazione emozionale: “Sappiamo oggi che se nei

primi anni di vita del bambino prestiamo attenzione alla sua competenza

emotiva, la comprendiamo e la favoriamo, ciò produrrà incalcolabili

benefici. Spero ardentemente, dunque, che d’ora in poi si comincerà ad agire

di conseguenza” (Denham, 1998).

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