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la Capitanata Rassegna di vita e di studi della Provincia di Foggia BOLLETTINO D’INFORMAZIONE della Biblioteca Provinciale di Foggia Anno II (1964) n. 1-6 (genn.-dic.) Realtà, esigenze e prospettive della «Provinciale» di Foggia 1. La biblioteca pubblica è una creazione tipica della democrazia moderna: essa perciò vanta una feconda e gloriosa esistenza in paesi dove il regime democratico ha una lunga tradizione. « Assicurare l'educazione degli adulti e nello stesso tempo completare l'opera della scuola, sviluppando il gusto della lettura nei ragazzi, nei giovani per farne degli adulti capaci di apprezzare i libri e di trarre da essi profitto», cosí il « Manifeste des Bibliotèques publiques » edito dall'UNESCO. La biblioteca pubblica, infatti, oggi non può limitarsi a raccogliere e conservare il patrimonio librario; non può neppure accontentarsi di renderlo accessibile a coloro che ne hanno bisogno; ma deve ottenere che essi acquistino coscienza del loro bisogno dei libri e che agiscano in conseguenza. In altri termini la Biblioteca non ha soltanto la funzione di accogliere quelli che spontaneamente entrano e la frequentano, ma deve attirare e incatenare gli altri, i non lettori. Tutto ciò postula il concetto moderno di biblioteca pubblica come organismo educativo e sociale della comunità: quindi la necessità di conoscerla bene e di farsi conoscere per servirla. Tuttavia la estensione del servizio di lettura non ha solo dimensioni sociali e culturali, ma anche topografiche. E per questo ci si domanda: « Una biblioteca pubblica in una città come Foggia, situata 1

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la Capitanata

Rassegna di vita e di studi della Provincia di Foggia

BOLLETTINO D’INFORMAZIONE della

Biblioteca Provinciale di Foggia

Anno II (1964) n. 1-6 (genn.-dic.)

Realtà, esigenze e prospettive della «Provinciale» di Foggia

1. La biblioteca pubblica è una creazione tipica della democrazia

moderna: essa perciò vanta una feconda e gloriosa esistenza in paesi dove il regime democratico ha una lunga tradizione. « Assicurare l'educazione degli adulti e nello stesso tempo completare l'opera della scuola, sviluppando il gusto della lettura nei ragazzi, nei giovani per farne degli adulti capaci di apprezzare i libri e di trarre da essi profitto», cosí il « Manifeste des Bibliotèques publiques » edito dall'UNESCO.

La biblioteca pubblica, infatti, oggi non può limitarsi a raccogliere e conservare il patrimonio librario; non può neppure accontentarsi di renderlo accessibile a coloro che ne hanno bisogno; ma deve ottenere che essi acquistino coscienza del loro bisogno dei libri e che agiscano in conseguenza. In altri termini la Biblioteca non ha soltanto la funzione di accogliere quelli che spontaneamente entrano e la frequentano, ma deve attirare e incatenare gli altri, i non lettori.

Tutto ciò postula il concetto moderno di biblioteca pubblica come organismo educativo e sociale della comunità: quindi la necessità di conoscerla bene e di farsi conoscere per servirla. Tuttavia la estensione del servizio di lettura non ha solo dimensioni sociali e culturali, ma anche topografiche. E per questo ci si domanda: « Una biblioteca pubblica in una città come Foggia, situata

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nel centro, con un orario di apertura di nove ore giornaliere (orario attuale osservato dalla nostra « Provinciale ») perché è frequentata soltanto da un certo numero di persone? Per tentare di dare una risposta al quesito posto, diamo uno sguardo alle statistiche della lettura in sede e dei prestiti negli ultimi anni:

Distinti per categorie, tre quarti di lettori sono costituiti da studenti e professionisti e un quarto da operai, impiegati ed altri. Una gran parte della cittadinanza quindi non fruisce dei servizi che la biblioteca offre. Quali ne sono le cause?

I motivi per i quali una parte piú o meno ampia dei membri della comunità non profitta del servizio della Biblioteca pubblica potrebbero essere: 1) arretratezza e insufficienza dei servizi; 2) scarsezza dei mezzi; 3) personale poco preparato; 4) locali vecchi e polverosi e inaccoglienti; 5) orario limitato; 6) procedura di distribuzione e di prestito lenta e defatigante.

Non si può dubitare che ci siamo adoperati per ovviare a tutte queste cause impedienti; che da un ammasso informe di libri, quale era ridotto l'istituto dopo i bombardamenti aerei dell'anno 1943, abbiamo con lavoro tenace e intelligente ridato alla Provinciale di Foggia efficienza di servizi, cataloghi perfetti, aggiornamento librario, che la modestia dei mezzi messi a nostra disposizione ha consentito.

Rifatti i cataloghi, impostato ex novo l'inventario generale e il registro d'ingresso, creato il catalogo per autori e per soggetti di tutto il materiale concernente Foggia, la Capitanata e il Regno di Napoli, dato per la prima volta ordinamento a venti annate di circa quattrocento periodici posseduti, al fondo dei manoscritti, agli incunabuli e alle cinquecentine, iniziata la bibliografia teatrale (finora comprende oltre quattromila schede), creato un reparto di bibliografie e di repertori bibliografici, completato l'inventario dei vuoti causati dalle vicende belliche, impostato e risolto il problema dell'Archivio Stampa e Documentazione con inizio dal 1°-1-1963.

L'ordinamento moderno e la efficienza dei servizi ci hanno dato la possibilità di ospitare, con la collaborazione della Soprintendenza Bibliografica, quattro corsi di preparazione per dirigenti di biblioteche popolari e scolastiche.

Il servizio di prestito e di informazioni bibliografiche è stato disciplinato in maniera perfetta, con l'introduzione di scadenziari e di schedoni amministrativi, di tessere e di registri di controllo. Oggi la

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nostra Biblioteca con un patrimonio di circa 124.000 volumi e opuscoli, con circa quattrocento periodici, manoscritti, 11 incunabuli e oltre 400 cinquecentine, per modernità di servizi e funzionalità, è uno degli istituti piú efficienti dell'Italia meridionale.

2. Se attualmente in Italia le biblioteche attraversano un periodo di crisi,

sempre piú acutizzata dai bisogni crescenti della società moderna, ciò accade anche perché il problema delle biblioteche non è stato affrontato mai con chiarezza d'idee. Grave è la carenza legislativa esistente nel nostro paese per le biblioteche non governative, anche se nel Testo Unico della vigente Legge Comunale e Provinciale (artt. 91. lettera B, n. 2 e 144 lettera B, n. 3) esse sono implicitamente considerate oggetto di spesa obbligatoria da parte delle Amministrazioni locali, mentre la legge 24-4-1941, n. 397, relativa al funzionamento delle biblioteche pubbliche in ogni capoluogo di provincia, è praticamente inoperante.

Noi ci auguriamo che dopo la costituzione delle regioni cui compete legiferare in materia che regoli la vita delle biblioteche, si sappia (e si voglia) correggere gli squilibri ancora esistenti in questo campo, con l'impostazione di seri programmi di sviluppo culturale, oltre che economico. Poiché all'Ente proprietario rimarrà il compito di provvedere alla conservazione, al funzionamento e alla gestione delle biblioteche, è augurabile che l'Ente Provincia, cui il nostro Istituto appartiene, voglia far meglio e di più per la sua Biblioteca.

Questo augurio si riferisce soprattutto agli oneri finanziari da sostenere e alla improrogabile esigenza di una nuova sede, funzionale e moderna.

Anche a questo importante oggetto le cifre soccorrono a chiarire e puntualizzare meglio alcune situazioni. Premesso che la produzione libraria italiana, nell'ultimo quinquennio, è stata in media di circa 15.000 unità annuali, che cosa è stato speso da noi?

La spesa per le legature, di fronte a un fabbisogno effettivo di oltre ventimila volumi da rilegare (per una spesa di circa L. 18.000.000) è stata sempre contenuta, annualmente, entro L. 500.000.

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3. Circa la spesa e la dotazione libraria di una biblioteca pubblica che cosa consiglia la moderna biblioteconomia?

La biblioteca pubblica, in riferimento ai compiti d'assolvere, deve possedere negli scaffali almeno 1 volume per abitante, almeno dai 30 ai 40 volumi per ogni 100 abitanti per il fondo prestito e dai 5 ai 20 volumi per ogni 100 abitanti per materiale di consultazione.

Inoltre nella spesa totale 1/4 deve essere assicurato all'aggiornamento, il 20% per opere di consultazioni; il 7-10% per i periodici; il 25% per le rilegature.

Questi gli standard approvati anche dalla FIAB, e ci auguriamo vengano accolti da quanti hanno responsabilità di amministrare la cosa pubblica i quali dovrebbero essere consapevoli che assegnare fondi a una biblioteca significa stanziare somme tali che consentano alla medesima, non solo di sopravvivere ma di operare.

Ma se abbiamo accennato innanzi all'esigenza che il nostro istituto, in armonia ai nuovi compiti assegnati alle biblioteche dei capoluoghi di provincia, estenda il suo servizio di lettura a tutti i ceti, per servire la comunità, bisognerà che se ne estenda l'area di servizio con un sistema di succursali o sezioni staccate nel centro urbano e con una rete di piccole biblioteche nei comuni della provincia. Solo cosí esso non resterà isolato e praticamente impossibile a gran parte della popolazione.

A questa esigenza si informarono i colloqui avvenuti a piú riprese tra l'Amministrazione Provinciale di Foggia e il Comune del Capoluogo, tra questo e la Società Dauna di Cultura, la Biblioteca e la Soprintendenza Bibliografica che portarono alla stipula di una convenzione che prevedeva oneri e compiti di enti e istituti per la creazione e il funzionamento di cinque biblioteche di quartiere, in città, e di una biblioteca per ragazzi nei giardini pubblici.

Il nostro impegno per realizzare una biblioteca per bambini, considerata la mancanza di un'apposita sala in biblioteca, deve essere grande e affettuoso. Se è vero che i primi libri del bambino sono gli occhi della madre, che poi viene la natura e assai tardi debbono venire i libri, è necessario che quanto ottimamente progettato per i piccoli lettori (già tanto ben accolti, oggi, sia pure in ambienti inadatti per loro ... ) sia in uno con le biblioteche di quartiere realizzato al piú presto.

Forse le remore e le difficoltà che la Biblioteca incontra nella sua espansione non sono dovute tutte e solamente alla « congiuntura economica »; forse da qualcuno si pensa che la spesa per i libri sia improduttiva. Perciò dobbiamo ancora e più preoccuparci in Capitanata di organizzare presto e bene accoglienti e moderne biblioteche.

Il rinnovamento della società e l'installazione di industrie nel foggiano ci porranno di fronte a problemi gravi da risolvere, che non debbono trovarci impreparati, perché, la tecnica, che è creazione dell'uomo per fini e valori umani, non chiuda l'uomo nella solitudine di un io astratto o introverso e neanche lo abbandoni in un ambiente sociale che non lasci posto se non per il gregario. Ma quale livello medio di

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preparazione tecnico-culturale richiedono nei loro operai le nuove attività industriali? e quali margini di tempo libero consentono?

4. Alla nuova sede della Biblioteca, - attualmente compressa e soffocata

in locali insufficienti, privi di luce, umidi e antigienici, dove la moderna attrezzatura e la suppellettile libraria deperiscono -, occorrerà provvedere subito e bene.

Non si pensi, per carità, a una nuova soluzione provvisoria come quella adottata dalla pur benemerita Amministrazione che fondò l'Istituto! Il provvisorio troppo spesso qui da noi diventa definitivo. La nuova sede progettata per una dotazione di mezzo milione di volumi, deve tenere conto degli incrementi per un minimo di venti anni e delle altre esigenze di un istituto culturale moderno e funzionale. Quindi non basterà provvedere alle sale di lettura, ai magazzini, agli uffici, alle sale dei cataloghi e delle informazioni bibliografiche, ma occorrerà predisporre tutto per un'ampia e moderna sala di consultazione, ricca almeno di ventimila volumi; di sale per ragazzi, di sale per i fondi particolari, per i periodici, per i manoscritti, per le riproduzioni microtofotografiche e xerografiche, per le audizioni e le conferenze.

L'esigenza della nuova sede è imposta anche dalla non lontana realizzazione (come speriamo) del Consorzio per gli studi superiori. Una moderna biblioteca, ben fornita e funzionante, sarà una delle componenti essenziali per il funzionamento dei corsi di istruzione superiore da noi tutti auspicati.

5. Consapevoli delle nostre responsabilità e nell'ansia del meglio,

abbiamo parlato soltanto di quanto desidereremmo poter fare per la cultura e la comunità. Ma possiamo affermare che già oggi, nonostante i tagli anonimi e perentori degli organi tutori, che frustano troppo spesso la buona volontà degli amministratori nei confronti delle biblioteche, la Biblioteca Provinciale ha lavorato molto e ha ben operato nella e per la sua comunità. E' stata presente in tutte le manifestazioni culturali organizzate e svoltesi nella nostra città: dal « Convegno per animatori del libro » alla « Mostra Storica Laterza », dalle manifestazioni per celebrare il VII° centenario dantesco alla celebrazione del CL anniversario dell'illustre concittadino Giuseppe Rosati, dalla organizzazione perfetta da essa approntata per la realizzazione del « Piano L. » in Provincia, alla pubblicazione del periodico « La Capitanata », ormai al secondo anno di vita, e della collana « Documenti e Monografie della Biblioteca Provinciale di Foggia », in cui è comparso, per i tipi dello Studio Editoriale Dauno, il volume « Diario di Ascoli Satriano » dei Fratelli Tedeschi, da un manoscritto inedito posseduto dalla « Provinciale », e presto vedrà la luce il secondo volume, anch'esso da un manoscritto inedito in possesso della Biblioteca: « Capitoli e Statuti della Città di Foggia ».

La stima e la simpatia dalle quali la Biblioteca è circondata si possono desumere anche dalle donazioni che particolarmente abbondanti sono pervenute negli ultimi anni.

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Cito le piú importanti, per il periodo 1-1-1960 – 31-12-1964: fondo « Angelo Fraccacreta »; 4.235 voll. e opuscoli e un centinaio di

importanti periodici; lascito « Fajella »: 992 voll. due manoscritti e 11 periodici; Ministero P. I. e Ente Nazionale Biblioteche Pop. e Scol., 791. fondo « R. Pagliara »: 2.249 voll. donazioni diverse: 5.716. Per concludere, dopo quanto brevemente accennato in merito ai

problemi e alle necessità che una moderna organizzazione della cultura impone alla nostra responsabile attenzione, è superfluo sottolineare l'urgenza di intervenire da parte dell'Amministrazione Provinciale, i cui saggi amministratori siamo sicuri vorranno sin dal prossimo bilancio impostare finanziariamente il problema della nuova sede della Biblioteca e quello del decentramento della pubblica lettura.

Cosí operando avremo rimosso in Capitanata uno dei motivi che ostacolano la migliore circolazione delle idee e lo stesso progresso civile delle popolazioni e avremo attuato quanto la costituzione detta all'art. 3, ove si comanda di « rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che, limitando di fatto l'uguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana ».

Ci scusiamo per il tono a volte aspro e perentorio di alcune affermazioni, ma sentiamo onestamente di poter affermare (e giova qui sottolineare che il bibliotecario non può essere per « l'ordinaria amministrazione ») tutto è stato dettato - e si giustifica quindi - dal nostro amore per il libro che, tanto piú nella nostra epoca - in cui stiamo assistendo al capovolgimento di tanti valori -, non cambia mai, mantiene anzi sempre ciò che promette, ci consola, sempre ansioso di infonderci virtú e coraggio, fonte di sapere, non solo, ma anche di dignità.

ANGELO CELUZZA

Prof. ANGELO CELUZZA, direttore della Biblioteca Provinciale di Foggia.

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LA « PROVINCIALE » DI FOGGIA

Ufficio della Direzione

Sala dei cataloghi

LA « PROVINCIALE » DI FOGGIA

Sala di lettura « Nicola Zingarelli »

Sala di consultazione « Angelo Fraccacreta »

LA « PROVINCIALE » Di FOGGIA

Lettori in sede

LA « PROVINCIALE » Di FOGGIA

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Sul foggiano Giuseppe Rosati

Ricerche storico-bibliografiche nel CL della sua morte

LE ONORANZE DI FOGGIA L'idea di ricordare Giuseppe Rosati, soprattutto alla gioventù studiosa, nel 150°

anniversario della morte, fiorì l'anno scorso nella mente dell'allora preside della Scuola Media «Rosati» di Foggia, prof. Gaetano Piccone. Egli riscosse subito un largo consenso cittadino, che ebbe interpreti volenterosi nel sindaco avv. Carlo Forcella, nell'assessore alla P.I. dr. Leonardo Procino ed in tutti gli altri membri della Giunta municipale. Fu, inoltre, preziosa la collaborazione del prof. Carlo Gentile, dello sculture prof. Salvatore Postiglione, ma soprattutto della Biblioteca Provinciale e dell'Archivio di Stato di Foggia.

Il primo atto dal quale presero l’avvio le onoranze è del 16 dicembre 1963. In questa data il preside Piccone indirizzava la seguente lettera al sindaco di Foggia:

«Il suo vivo attaccamento alla nostra terra e la sua profonda ammirazione per quanto i suoi figli fecero, mi hanno spinto a scriverle queste parole. Sono il preside della nuova scuola Media « Rosati ». Ho detto « nuova » perché risultante dalla fusione delle due precedenti scuole di avviamento « G. Rosati » e « M. Montessori ». Questa rinnovata scuola non poteva riprendere il proprio cammino con auspici migliori.

Ricorre, infatti, nel 1964 il 150° anno dalla morte del grande concittadino Giuseppe Rosati. E, proprio perché gli alunni di questa Scuola e la popolazione tutta della nostra città non dimentichino un figlio che ha dato lustro a Foggia e alle scienze, e perché venga conservato quanto i foggiani delle generazioni passate fecero per onorare e tramandare il nome e la fama di tanto illustre concittadino, le chiedo d'intervenire affinché sia restaurato il tempietto dedicatogli nel 1927 e vi sia riposto il busto attualmente in giacenza presso il Museo civico. Opportuno, inoltre, sarebbe porre all'ingresso della Scuola una lapide che ricordi la ricorrenza e più ancora il nostro impegno ad imitare una vita nobile e retta ».

Il sindaco, accogliendo l'invito del preside Piccone, con la seguente partecipazione alla cittadinanza, rese noto il proprio pensiero e quello della Civica amministrazione:

« Ricorre quest'anno il centocinquantesimo anniversario della morte dell'insigne Concittadino Giuseppe Rosati, uomo di cultura poliedrica, dai suoi contemporanei definito “il Newton pugliese". Filosofo, matematico, medico e stu-

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dioso profondo dei problemi dell'agricoltura. Giuseppe Rosati portò il suo contributo in tutti i campi dello scibile. Fu professore di economia rurale in Foggia (1800) e primo presidente della «Reale Società Economica di Capitanata» (1810). Gli uomini della haute culture usavano chiamare il Rosati l'enciclopedico di Foggia. Fra i suoi numerosi scritti sono da ricordare, per il contenuto tecnico-scientifico: Elementi di agrimensura (1787); Le industrie di Puglia (1808); La concia dei semi; La prolusione alla Cattedra di Agricoltura; La trebbiatura; La conservazione dei boschi; ecc.

Nelle sue opere il Rosati, con grande intuito e senso di premonizione, previde il futuro sviluppo della vita dei campi.

La predilezione degli studi e delle opere riguardanti la tecnica e l'econo-mia agricola rispecchia l'amore dell'uomo di scienza per la sua terra e per le sue fonti di ricchezza, che il Rosati filantropo cercava di rendere accessibili al popolo.

I concittadini, subito dopo la morte, gli eressero un sarcofago monumentale in Cattedrale e gli dedicarono il classico tempietto (appositamente costruito) che sovrasta la fontana a cascata della Villa Comunale, sulla parte più elevata del boschetto (1827), comprendente anche un busto marmoreo (1839).

A Giuseppe Rosati furono intitolate una strada e la prima Scuola Tecnica foggiana (1862).

L'Amministrazione comunale intende celebrare il 150° anniversario della morte dell'Uomo dì ingegno e dell'illustre Concittadino con degne onoranze, che culmineranno con lo scoprimento di un marmo, a ricordo delle celebra-zioni, nel restaurando tempietto della Villa comunale ».

Nel frattempo si costituiva un apposito comitato per la cura nei dettagli delle onoranze programmate ed il preside della « Rosati » indirizzava agli ex alunni della scuola la seguente lettera:

« Ex-Alunni della “Rosati”, il prossimo primo settembre ricorre il 150° anniversario della morte di G. Rosati, al quale è intitolato la nostra Scuola! Per ravvivare nella memoria di molti il nome e l'opera del nostro illustre concit-tadino abbiamo pensato di attuare delle particolari iniziative. Sarebbe stata grave colpa per noi, Preside, Insegnanti, Personale e Alunni di questa Scuola, lasciar passare inosservata una ricorrenza tanto importante. Proprio per questo abbiamo voluto rivolgervi due parole attraverso la stampa.

Scriveteci comunicandoci il vostro nominativo, l'anno di frequenza, particolari ricordi della Scuola, di Professori, di amici, di voi. Ma soprattutto veniteci a trovare perché vogliamo ricordare insieme la vita e l'opera d'una Scuola tanto cara; perché vogliamo conoscervi come fratelli maggiori che ci spronino al bene, e perché no? perché vogliamo affermarci come voi per fervore dì opere, per rettitudine, per sapere.

Forse avrete letto o vi sarà giunta voce di quanto vogliamo fare per ono-rare degnamente lo scienziato Giuseppe Rosati... Abbiamo ciclostilato un foglio con qualche dato biografico e cenni degli onori che gli tributarono i Foggiani delle passate generazioni.

Amici, vi aspettiamo: venite e concorderemo quanto potrà rendere più suggestive le celebrazioni per onorare l'« Uomo » che ammiriamo per la vastità del sapere, per l'amore verso il popolo, per la passione con cui attese all'edu-cazione dei giovani, per l'attaccamento alla Nostra Terra!

Nell'attesa di conoscervi di persona v'inviamo un fraterno saluto ».

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Così prendevano avvio pazienti lavori di ricerche e di documentazione sull'opera del Rosati. Ai direttori delle biblioteche provinciali e comunali il Sovrintendente bibliografico di Bari indirizzava la seguente lettera:

«La Città di Foggia intende celebrare solennemente il 150° anniversario della morte del suo illustre figlio Giuseppe Rosati (1752-1814), matematico, scienziato, medico, astrono e geografo.

A completamento delle cerimonie che si svolgeranno entro l'anno corrente, verrà allestita presso la Biblioteca di Foggia una Mostra delle sue opere.

Pertanto, si prega di voler cortesemente segnalare a questa Soprintendenza le opere a stampa o manoscritte e le carte geografiche del Rosati possedute dalle Biblioteche in indirizzo».

* * *

Larga eco, infine, dette la Stampa alla puntualizzazione delle manifestazioni

commemorative. Eccone un saggio: «II sindaco Forcella ha ricevuto a Palazzo di Città il Comitato per le

onoranze a Giuseppe Rosati. All'avv. Forcella, che è il presidente onorario del Comitato stesso, sono state sottoposte le manifestazioni programmatiche per ricordare degnamente la figura del Rosati.

E' stato innanzitutto stabilito che tali onoranze avranno la loro realizza-zione contemporaneamente alle manifestazioni in programma per la tanto at-tesa riapertura al pubblico del Museo e della Pinacoteca comunali, fissata per il prossimo mese di ottobre. Grazie alla positiva spinta impressa alla complessa attuazione dei programmi di lavoro, il Museo e la Pinacoteca, ricostruiti con concezioni di alta funzionalità, potranno dunque essere riaperti al pubblico a circa 23 anni di distanza dalle distruzioni inflitte ai due istituti dalla guerra.

Sarà, dunque, in questa degnissima sede che grazie alle decisioni del Sin-daco potranno svolgersi le celebrazioni commemorative di Giuseppe Rosati, che consisteranno in una rassegna di tutte le opere reperite dell'illustre filosofo, nella pubblicazione di un numero speciale della rivista «La Capitanata», edita dall'Amministrazione provinciale, dedicata a Rosati comprendente scritti dei professori Carlo Gentile e Gaetano Piccone, del direttore della Biblioteca pro-vinciale e direttore della rivista stessa, prof. Angelo Celuzza e del pubblicista Attilio Tibollo. Sempre al civico Museo verrà allestita una mostra di lavori eseguiti da alunni della Scuola «Giuseppe Rosati» di Foggia e verranno tenute conversazioni e conferenze per illustrare e divulgare, specialmente tra i giovani, l'opera di didatta e di studioso geniale del Rosati.

A cura del Comune, peraltro, verrà quanto prima ripristinato il tempietto che, nella Villa comunale, prima della guerra, ospitava un busto marmoreo del Rosati, busto che sarà riprodotto dallo scultore prof. Salvatore Postiglione, mentre borse di studio particolari verranno assegnate, per l'occasione, ad alcuni meritevoli della Scuola Media "Rosati" di Foggia».

ATTILIO TIBOLLO

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La figura, la vita e l'insegnamento di Rosati Queste brevi notizie su Giuseppe Rosati non hanno alcuna pretesa di

grande o profonda erudizione. Esse vogliono solo, nel quadro delle manifestazioni organizzate per celebrare il 150° anniversario della morte di questo nostro illustre concittadino, ravvivarne le nobile e cara figura.

Le persone colte, e quelle che hanno svariati anni sulle spalle, hanno sentito di lui, ma spesso vagamente, molte cose. Ora, perché la nebbia dell'incerto non finisca per avvolgere completamente la figura di un uomo che per la nobiltà del suo sentire e la rettitudine del suo operare, ha ancora molte cose da insegnare anche in un'epoca piena, come la nostra, di nuove conturbanti scoperte, ho pensato di riportare in queste poche pagine i tratti salienti della sua vita e del suo pensiero.

L'iniziativa di promuovere manifestazioni atte ad onorare degnamente il 150° anniversario della morte di G. Rosati è nata (mi piace rilevarlo!) nelle aule di una scuola e precisamente della Scuola « G. Rosati » che, sorta nel 1862, si è affermata attraverso i tempi e, pur colpita dalle vicende più varie, ha formato, istruito, preparato alla vita schiere di giovani valenti e operosi. Dalla Scuola, dicevo, è partita l'iniziativa, e non poteva essere altrimenti poiché Giuseppe Rosati, ed è questo il tratto più saliente della sua personalità, nella scuola e per la formazione e l'istruzione dei giovani profuse le sue migliori energie.

Egli venne alla luce in Foggia, il 21 settembre 1752 da Marianna Giannone e Raffaele Rosati. Il giorno successivo fu battezzato in Cattedrale e gli furono posti, oltre al nome di Giuseppe, quelli di Marcello, Ignazio, Matteo.

Immensa dovette essere la gioia della pronipote di Pietro Giannone e del giureconsulto Raffaele Rosati per la nascita del loro primo ed ultimo figlio. Essi, purtroppo, non vissero a lungo. Del loro affetto e delle loro cure il piccolo Giuseppe venne privato quando era ancora in tenera età. Cosí, il mondo e la vita che si erano presentati al bambino con le promesse più rosee, come per un malefico incanto, gli si mostrarono ben presto crudeli e nemici.

Non dovremmo perciò meravigliarci in seguito per il suo rifuggire dal chiasso mondano e per il suo semplicissimo, quasi selvatico tenore di vita allorché si pensi per un momento che egli non conobbe l'affetto dei genitori e non poté gustare le gioie della famiglia. Forse, solo una compagna intelligente e affettuosa, che gli avesse regalato una nidiata di bimbi, gli avrebbero potuto allietare la vita e colmargli il vuoto immenso che portava nel cuore fin dagli anni più teneri.

Del piccolo orfano si prese cura uno zio paterno, Bonaventura Rosati, ecclesiastico probo e illuminato. Questi provvide ad avviare agli studi il giovanetto presso il Seminario di Troja.

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Reggeva allora la diocesi troiana il Vescovo Marco De Simone di Atella, il quale conservò al Seminario la rinomanza a cui l'avevano portato i suoi due predecessori, i Vescovi Cavalieri e Faccolli.

La permanenza del Rosati al Seminario di Troja fu un periodo di raccoglimento e un adusarsi agli eventi e ai casi della vita. Gli anni passati a Troja furono, per il nostro giovanetto, anni di studio intenso e proficuo, durante i quali cominciò a rivelare le sue vaste attitudini e la sua non comune intelligenza. Gli studi delle 'belle lettere' aprirono al giovane Rosati gli spazi immensi della fantasia, ne rafforzarono la mente, ne affinarono il gusto.

Una breve sosta a Foggia, dopo il ritorno da Troja, e poi eccolo nella capitale del Regno. Napoli l'avrà certamente incantato con le sue meravigliose bellezze naturali, ma più ancora dovettero attrarlo i tesori d'arte, le numerose biblioteche, i gabinetti letterari, l'opportunità di seguire e approfondire sotto la guida dei più valenti maestri dell'epoca gli studi delle scienze fisiche, mediche e matematiche a cui per natura si sentiva particolarmente portato.

A Napoli poté dedicarsi anche al disegno e alla pittura, acquistando inoltre una particolare capacità di disegnare a penna sulla carta e di incidere i rami. La sua mente ebbe modo così di arricchirsi, il suo spirito e le sue attitudini si affinarono, la sua cultura divenne più vasta e profonda. Fu allora che il giovane e già apprezzato Rosati partecipò ad un pubblico concorso bandito per l'assegnazione della cattedra di scienze fisiche nelle scuole militari di Napoli.

Vi partecipò con la piena consapevolezza delle sue vaste capacità già rivelate nei più svariati campi del sapere, e riuscì primo, ma il posto venne assegnato a un altro concorrente, meno meritevole, che era stato fortemente raccomandato dall'imperatrice M. Teresa alla figlia figlia M. Carolina.

A Rosati rimase il conforto morale del plauso unanime riscosso da parte di tutte le persone dotte e imparziali.

Ma l'ingiustizia per l'affronto subito rimase, e segnò una profonda traccia nell'anima sensibile di G. Rosati costituendo la causa, se non proprio determinante, certamente occasionale del suo ritorno a Foggia.

Non vi è dubbio, infatti, che accanto allo sdegno per l'ingiustizia sofferta, un altro motivo, non meno importante ed essenziale, contribuì a determinare il ritorno del Rosati alla città natìa.

Giuseppe Rosati visse, non bisogna dimenticarlo, in un periodo passato alla storia col nome di Illuminismo.

E l'illuminismo tendeva a illuminare gli uomini, a liberarli mediante l'istruzione e lo sviluppo della ragione dal giogo della misera e da quello dell’ignoranza. Ora, se al raggiungimento di questo fine gl'Illuministi si dedicarono con en-

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tusiasmo e con passione, Giuseppe Rosati non poté non risentire del vasto movimento culturale e filosofico, dell'epoca, il cui fine era il rinnovamento dell'uomo, e della società.

All'intelligenza e alla sensibilità di G. Rosati non poteva sfuggire la necessità di rinnovamento della società, e in particolare della nostra società, del nostro popolo meridionale, abbrutito da secoli di servaggio, di ignoranza, di profonda miseria. Egli quindi tornò nella sua città anche e soprattutto per rendersi utile al suo popolo.

Aspirazioni analoghe le ritroviamo, a citare solo qualche esempio, in Ferdinando Galiani, in Casimiro Perifano, in Francesco della Martora. « Io per me, diceva Ferdinando Galiani nel proemio al suo trattato Della moneta, qualunque siasi l'opera, confesserò con l'ingenuità propria agli animi ben formati, ch'io credo meritar lode, mentre le forze e i talenti da Dio ricevuti, tutti alla Patria e all'umana società rendo e consacro. Volesse il Cielo potessi ad esse divenire utile tanto, che le infinite obbligazioni mie verso di loro si venissero cosi almeno in parte a soddisfare ».

All'educazione dei giovani dedicava frattanto gran parte della sua attività Casimiro Perifano il quale scrisse appositamente per essi testi di geografia e di scienze morali. Sempre per i giovani Francesco della Martora progettava e realizzava in Foggia nel 1872 una scuola officina, la prima del genere sorta in Italia.

Più che naturale quindi che anche G. Rosati bruciasse per questo sacro ideale che animò tanti spiriti colti, che lo precedettero e lo seguirono nella difficile, delicata, importantissima opera di elevazione del popolo. E in quest'opera il Rosati trovò certo l'appagamento delle sue più nobili e congeniali aspirazioni. Colla sua parola facile e dotta nello stesso tempo, riuscí ad appassionare e a trarre alle sue lezioni schiere di giovani. Egli non si limitò ad impartire il suo insegnamento solo a coloro che avevano la possibilità di ascoltarlo, ma volle estenderlo a chiunque avesse brama di istruirsi ed elevarsi.

Cominciò a scrivere, e numerose furono le sue opere, dalle più semplici e divulgative, a quelle poderose e di vasta risonanza, quali: La geografia moderna, teorica istorica e pratica (1785); Elementi di agrimensura (1787); Elementi per l'edificazione (1805); Le industrie di Puglia (1808).

Il contatto con i discepoli che sempre più numerosi accorrevano alle sue lezioni, la multiforme attività che andava dalle visite mediche al disegno di carte geografiche, dalla composizione delle opere agli impegni dovuti alle cariche di cui venne investito, dovettero certamente appagarne lo spirito nobile e ge-neroso. Malgrado, infatti, le sollecitazioni e gli inviti al ritorno nella Capitale, che sempre più insistenti gli pervennero quando la fama della sua dottrina e delle sue opere si era diffusa oltre i confini della città natale, il Rosati non cedette a lusinghe.

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Egli aveva trovato il più completo appagamento alle sue più intime aspirazioni nell'opera di redenzione del suo popolo e perciò nulla poteva lusingarlo più del convincimento e della soddisfazione di operare per un così nobile fine.

Ma tutta questa attività, tutto questo immane sforzo dovevano prostrare le forze e il fisico di colui che aveva curato tanti mali e lenito tante sofferenze. Il medico dei poveri, quando cominciò a sentire che le forze lo abbandonavano, dette l'esempio di come si devono sopportare i dolori quando i rimedi umani non hanno più efficacia. E a quella forma di stoicismo, propria dell'epoca, seppe aggiungere la rassegnazione cristiana.

Cosi, tra il cordoglio degli amici e dei discepoli, chiuse la sua giornata operosa il 1° settembre 1814.

Foggia, che vivo lo aveva stimato un genio, considerò la sua morte

come una pubblica calamità. Questo ci dicono i numerosi scritti pubblicati in occasione dì tanta dipartita, ma più d'ogni altro quello che si legge sul monumento sepolcrale della Cattedrale e l'elegia di Gian Tommaso Giordani. Dei due scritti si dà qui di seguito la versione italiana. perché essi ci presentano in una sintesi viva e sentita l'uomo e lo scienzato e descrivono l'incolmabile vuoto che la sua scomparsa lasciò nei contemporanei.

Ecco, dunque, il testo italiano dei due scritti latini: «A Giuseppe Rosati, medico esimio, il quale, essendosi fin dalla tenera età accostato col

vigore prodigioso della sua mente ai reconditi tesori della filosofia, matematica, geografia, ingegneria, erudizione letteraria, ed avendoli poi profondamente esplorati, con le sue pubblicazioni, non solo si procacciò la piú sincera stima e l'affettuosa amicizia di tutti gli scienziati italiani e stranieri, ma indusse anche a coltivare quelle discipline tutti i giovani studiosi di Capitanata, di cui egli sempre fu guida e sprone, sicché tutto il merito di quegli studi accurati che fiorirono in mezzo a loro si deve attribuire esclusivamente a lui.

E per dare l'impressione che non volesse in qualche cosa abbandonare i suoi discepoli, quelle ricerche, invero non di pregio materiale dorate, egli divulgò per indicare un metodo più semplice di coltivazione e di agrimensura, affinché in tanti latifondi crescesse più rigogliosa la messe e senza inganno fossero composte più rapidamente le contese per la regolazione dei confini. Ebbe pietà profonda, spirituale equilibrio, dolcezza di tratto, rispetto per gli amici, generosità verso i bisognosi, sollecitudine per i malati, e per tutti una bontà straordinaria e davvero ammirabile. Gli amici ed i concittadini, vivamente addolorati per la perdita di un sì illustre uomo, meritevole della riconoscenza loro, della patria e dei cultori di quasi tutte le discipline, questo monumento eressero. Visse anni 61, si spense serenamente il 1° settembre 1814»*

* Traduzione dalla lingua latina del prof. Marino, ordinario di Lettere nel Liceo

Ginnasio statale «Vincenzo Lanza» di Foggia.

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GIANTOMMASO GIORDANI: ELEGIA IN MORTE DI GIUSEPPE ROSATI, ASTRONOMO, GEOGRAFO, MEDICO E AGRONOMO SOMMO.

Se Virtù, se Fama, e Ingegno che in arti sovrane Mostri sua tempra, in uomo suscitano palpiti ancora, Rompa quegli con me in gemiti pii, e amaro Duol sollevi, e lacrime sparga compagne alle mie. Tu, che dianzi con capo sublime l'Olimpo attingevi Del virgulto superba di generoso suol, Daunia, sciogli le chiome, e i serti che t'ornan le tempie Di flaventi spighe dissipa sotto i tuoi piedi: L'Uomo che era tuo lustro e vanto sommo, il cui nome Risonava lungo tutto il cammino del sole, Quei che Urania seco nel limpido etere trasse A svelargli le vie e della terra e del ciel, Quei cui Apollo dell'erbe l'occulte virtù, cui l'arte D'allietare i solchi Cerere volle mostrare, Quegli, ahimé (compiute parole il dolor mi nega), Piú non è: or grande spoglia esanime sta. Sta la spoglia esanime e negra terra la copre In un abbraccio lieve, tenero come di madre. Questo ardisci tu, Morte? son dunque sì crudeli i tuoi colpi? Tal potere hai tu? tanto infallibile mano? Quando ne incoglie un tal fato e a tali lutti ripenso, Sovrastati da te pur gl'Immortali sospetto. Ecco, molti e molti anni può viver l'odiosa cornacchia Ed il corvo che invoca con crocidar la pioggia; Anche la quercia, dall'ira di Borea e Coro squassata, Molte stirpi d'uomini nascere vede, e perire. Noi, che fisi il volto alle sfere superne Dio volle E capaci d'esprimere con la parola il pensier, Noi, di spirito celeste dotati e di mente assetata D'infinito, e sagaci in discoprire e inventar, Noi nasciamo, ed ecco ci coglie repente la sera: Resta un pugno di cenere, pallide ossa, non più. Invida sei, o Morte, ma su di lui non hai vanto: Dal tentato tuo mal bene maggiore gli viene. Se di quest'aer spirabile l'aure vitali non spira Né calore di sangue può ridestargli più il cuor, Se con accenti soavi l'orecchio a noi non diletta Né del caro sembiante più ci consola la vista, Egli intanto beato si pasce del nettar dei numi E con agile pie' calca le stelle dorate; E rimarranno di LUI la gloria e le carte sapienti Fin che biade vivranno ed erbe e la terra ed il ciel.*

Ma prima di concludere queste succinte notizie sulla vita di Giuseppe

Rosati, un'ultima osservazione vorrei fare per mettere in rilievo un lato interessante e moderno della sua personalità: la straordinaria corrispondenza del suo ideale di insegnamento ai principi didattici ispiratori della nuova Scuola Media.

Cresciuto, com'è stato detto, sotto gl'influssi dell'Illumini- * Traduzione dal testo latino del prof. Erminio Paoletta, ordinario di Lettere nel

Liceo Ginnasio statale « Vincenzo Lanza » di Foggia.

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smo e dell'Enciclopedismo, Giuseppe Rosati senti in maniera impellente la chiamata a migliorare il suo popolo, a promuoverne l'elevazione. Elevazione che è il presupposto perché esso poi proceda a successive conquiste e affermazioni. Ora, se per un momento consideriamo i profondi motivi sociali e didattici che hanno determinato l'approvazione della legge 1959 sulla nuova scuola media, non possiamo non rilevare che essi si basano essenzialmente su questo presupposto: l'istruzione di base, impartita fino al 14° anno di età, in forma gratuita e uguale per tutti, deve consentire a tutti gli adolescenti, senza pregiudizi e discriminazioni, di conseguire quella preparazione su cui si baseranno le scelte future. E tali scelte, si badi, saranno fatte tenendo conto delle attitudini rivelate dagli alunni nel triennio di istruzione obbligatoria. Questo ci dice la moderna pedagogia, questi sono i principi didattici che oggi gl'insegnanti della nuova Scuola Media cercano di realizzare.

Ed ora torniamo per un momento al Rosati. Non desiderava anch'egli ardentemente di elevare, di migliorare con l'istruzione il popolo? Non era sua somma cura attendere all'istruzione dei suoi discepoli indirizzandoli, proprio come vuole la moderna pedagogia, verso quelle forme del sapere a cui per natura si sentivano maggiormente portati? « Era molto avveduto, dice Serafino Gatti pronunziando l'orazione funebre in onore di Giuseppe Rosati, nel lungo corso di trenta e più anni di magistero si fe' vedere sempre pronto, sempre sereno, sempre paziente, onde a ragione poteva chiamarsi l'uomo di tutti i giorni e di tutte le ore. S'impiccoliva ad istituir de' fanciulli, e a dar lezioni più elementari ad una schiera di nuovi alunni che dovevano prepararsi alle scienze sublimi. E a render sempre più attivo nei docili ingegni l'amor del sapere, e per facilitare ad essi i mezzi di profittare, estendeva la sua beneficenza sino a donar loro libri, sussidiari, ed esemplari preziosi di opere del suo felicissimo ingegno. Tutti i giovani iniziati alle lettere, o già provetti nella loro cultura, trovavano in lui eccitamento e sostegno. Non avaro di lode, commendava i loro progressi, applaudiva a tempo ai loro sforzi e spesso anche giudicava migliori e più perfetti dei suoi i lavori meccanici di quei che, secondando il di lui genio, amavano d'occuparsi della formazione delle carte geografiche d'ogni specie, di coltivare il disegno, l'architettura, ed altri oggetti che servono ad abbellire il rigore degli studi ».

Un educatore, quindi, fu il Rosati al quale gl'insegnanti, ancor oggi, devono guardare con rispetto e ammirazione.

La cultura era in lui non uno sterile patrimonio da trasmettere freddamente. Essa era vivificata dall'amore, dalla passione con cui egli sapeva avvicinarsi ai suoi discepoli, comprenderne l'animo, studiarne le attitudini. Questo compresero i nostri antenati che nel 1862 gl'intitolarono « La regia scuola tecnica ». E non poteva la scelta essere più opportuna. Chi, infatti più del Rosati, avrebbe potuto dire alle generazioni che nelle

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aule di quella Scuola si sarebbero formate e preparate alla vita, una parola sicura e sincera in fatto di civismo, di scienza, di rettitudine?

La regia scuola tecnica fondata nel 1862, nell'evoluzione degli ordinamenti scolastici, divenne successivamente complementare, di avviamento commerciale e finalmente media. Sempre però conservò il nome di Giuseppe Rosati, cioè di colui che, al di sopra di ogni mutamento di idee, di costumi, di ordinamenti, resta il prototipo della stirpe e del genio di Capitanata ed esprime compiutamente le grandi e multiformi possibilità del popolo pugliese. E’ sommamente auspicabile quindi che anche la nuova scuola media, derivata dalla ex scuola d'avviamento « Rosati », conservi la più che secolare intitolazione della quale i giovani che in questa scuola continueranno ad essere educati non potranno che sentirsi fieri. Giuseppe Rosati continuerà a costituire per essi, come per le generazioni passate, un modello da seguire, un esempio da imitare. Egli continuerà a rivolgere a tutti il suo più alto insegnamento, quello di inte-grare il pensiero con l'azione, quello di operare per rendersi utili a sé, ai propri simili, alla patria. « La vita, egli diceva, è forza ed azione. La nostra stessa natura bisognosa, pensante, ed attiva, mostra che noi siam nati per fatigare. La ragione è sempre bella, ma dove non sia operatrice somiglia alle gemme che lucono, ma non nutriscono. E poi l'uomo debbe impiegare al vantaggio dei suoi simili le forze e le qualità acquistate. Chi non rende o mediatamente o immeditamente alcun bene alla patria, è un essere vile e nocevole ».

Il monito di Giuseppe Rosati, il suo incitamento all'azione, al bene operare per la società e la Patria, sono, oggi piú che mai, vivi e attuali.

Inchiniamoci dunque con rispetto di fronte alla sua figura di uomo probo, attivo e colto, e tramandiamone il ricordo conservando, oltre ai monumenti dedicatigli dalla stima dei suoi concittadini, l'intitolazione della Scuola.

Alla Scuola il Rosati dedicò le sue energie migliori; è giusto che dalla Scuola si guardi ancora a lui come a un maestro capace, dotto, sollecito del bene degli alunni, dei loro progressi, delle loro necessità.

GAETANO PICCONE

Prof. GAETANO PICCONE, preside della Scuola Media «Gaslini» di Genova.

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L'Enciclopedico senza enciclopedia

(Agli Amici del Comitato e della Scuola Rosati) Malgrado le sollecitazioni della curiosità (direi pure storica, senza volermi

dare delle arie), nessuno è riuscito a scoprire cosa sia stata - nel Teatro Comunale di Foggia, alcuni anni dopo la morte del «Newton pugliese» (entrato poi tra gli altri, nelle pagine del De Tipaldo e del Gervasi) e cioè nel 1828, il 28 gennaio - la rappresentazione del dramma di cui parla il Villani. Il cartellone recava la scritta: L'Enciclopedico di Foggia ovvero Giuseppe Rosati. Si era giusto, per il Regno di Napoli, nel pieno della reazione, nel trionfo ufficiale quindi della ignoranza, e, per giunta correva l'anno delle repressioni atroci della Carboneria nel Cilento. Non so se la parola «enciclopedico» - che pure nella sua significazione filosofica non esclude essenziale contatto con la personalità del Rosati - suonasse troppo frettolosa concessione a titolo in altri tempi adatto, e venisse quindi ripagata col silenzio. Certo, il teatrale enigma, dopo un secolo e mezzo non è stato diradato. Né i Villani, pure possedendo interesse erudito notevole, dicono chi sia stato l'autore o riportano echi di stampati e pubblici riconoscimenti; si aggiunge solo che «il teatro fu in quella sera affollatissimo, come rilevo da manoscritti in memoria di un tanto uomo ».

La ragione del silenzio non è forse quella prospettata dalle mie punte maligne sui tempi, consiste piuttosto nel fatto che l'oggetto dalla generosità del Villani, prospettato come «dramma», non fu tale né ebbe autore. Essendo al-lora i registi sconosciuti, l'ideazione della serata era probabilmente un omaggio di ex alunni alla memoria del loro Maestro. Forse, trattandosi di serata di onore ed affollatissima, fu uno di quei saggi, scolastici o quasi, in concomitanza con l'epoca, e nei quali i giovani erano soliti dare prova di avere appreso pietà edificante, bellissimo modo di gesticolare, e notevole massa di esercizi mnemonici.

Il dramma dunque sfuma ai nostri occhi irrimediabilmente, in tonalità fatali di nebbia. Il guaio è che anche il protagonista ideale è rimasto, più o meno a lungo, soffocato dal silenzio, se si eccettua una risonanza immediata fra i concittadini; i quali, a loro onore, lo apprezzarono malgrado la scostante freddezza. La fama sarà andata ancora piú in là, fino a Napoli per un verso, ed a Nord per l'altro; pure nel senso pieno del termine, anche oggi, quella fama include un problema: cosa sarebbe riuscito il Rosati una volta attinta l'area superiore della comunicazione scientifica? Sarebbe stato davvero Newton in Puglia? Forse sì!

Il dubbio perseguita, si direbbe, dopo la morte, una esistenza già impastata di punti oscuri. Mano a mano che Giuseppe Rosati si scioglie dall'involucro del travestimento secolare, egli si rivela sequenza costante di antinomie sulla ricorrente tonalità umana (ed inconfondibile) della malinconia.

Non so come lo raffigurarono sul palcoscenico quella sera. Era morto senza lasciare diretta famiglia, ma saranno stati in vita nel 1828, gli amici che intimamente lo avevano conosciuto; come Don Michele Cinquepalmi o D. Giuseppe

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De Chiara, i quali si erano interessati di farne stampare gl'inediti e dovevano spesso raccontare di lui, come riportava Francesco Rio nelle pagine del di-zionario di Carlo Villani.

Lo avranno essi raffigurato proprio qual era, quale cioè noi non credo sappiamo tanto chiaro. Non aveva certo il volto spianato di giovane insaccato in gilé bianco impeccabile - lui ch’era solito andare in giro trasandato! - del quadro e del busto rimasti a memoria nel Museo della sua terra; o con la fisionomia serena che campeggia in un medaglione di marmo, sormontato dal simbolo dell'Infinito (il serpente che si morde la coda) ove la parola Daunia s'inserisce al compasso pitagorico, sul mausoleo classicheggiante erettogli nel Duomo. Non senza ombre doveva essere certo la fronte di lui, quando morì, tormentata da più mali e dopo ripetuti tagli del chirurgo, ed ancora con la qualità tragica di paziente e medico in contemporaneo soffrire. L'arte dei posteri si è temperata con l'idealizzazione.

A teatro la cosa era però diversa. Lo avranno fatto riprodurre scenicamente dal filodrammatico, il più dinoccolato che si era riusciti di scovare; quello specializzato per le apparizioni dei fantasmi, e per di più ammantellato fino a terra, con una delle «robe» degli uomini di scienza e di legge del Medioevo. Qualcosa di strano in conclusione: una figura intinta, ma appena, nel corrosivo della misantropia, perché è chiaro, in vita sapeva farsi intorno il vuoto, senza riuscire antipatico. Era soltanto un poco strano, ma sapeva moltissime cose ed insieme il metodo d'invogliare gente e scolari, ad apprenderle. Non andava mai ad un ricevimento probabilmente perché non si arrischiava a dire frasi di spirito e d'altra parte era convinto che, tenendo là ì propri discorsi abituali, avrebbe annoiato le belle signore. A proposito: sembra che non le potesse vedere, considerato che mai guardò in faccia le donne, né intese sposarsi. Non si capisce che qualche biografo abbia di lui registrato perfino un saggio sul divorzio. Come possa accettare o respingere la soluzione di un dramma, chi del dramma non è stato mai attore, è ancora oggi il mistero delle pretensioni di alcuni autorevoli teorici. Resterebbe però, l'attribuzione di quell'opera, un omaggio al principio che il Rosati doveva per forza sapere tutto.

Così a prima vista, in realtà, come avverte l'autore stesso, « io, che sono limitato nelle cose mie, mi restringerò a tessere piuttosto la storia del divorzio, che a formarne un trattato ». Storia peraltro ha saputo scrivere, documentata e convincente, la quale raccoglie le istituzioni e i costumi degli Ebrei, dei Greci, dei Romani e dell'Occidente dopo la caduta dell'Impero, intuendo anche le ragioni economiche della maggiore o minore stabilizzazione dei vincoli. Affrontati inoltre i problemi tutt'ora aperti della esegesi evangelica sul-l'argomento, il Rosati esamina i pareri dottrinali ed ecclesiastici, tanto diversi al di qua e al di là del X secolo, e sottilmente si ferma con l'esporre la laboriosa discussione effettuata in seno al Concilio Tridentino. Il tono, sereno e chiarissimo, intende certo sciogliere i dubbi e le riserve, e vuole infine conciliare le vedute tipicamente tradizionali con la storia della umanità, sul fondo di una mediazione, libera e critica, espressa dai fatti e dal buonsenso. Ma egli - di persona - non meditò probabilmente mai né vincoli né soluzioni; aveva sposato la scienza e gli bastava, ed aveva per di più tante creature fra le quali sognare, come le sue carte geografiche, e tante amicizie quante erano le branche dello scibile a lui note, cioè molte ed importanti. Lui, che, come Kant a Kënisberg, da Foggia non si era mai mosso, simile a quell'altro saggio

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della solitudine, sapeva meravigliosamente viaggiare, e condurre gli altri sulla propria scia, in tutti i paesi del mondo.

Praticava l'amicizia e per una comprensibile evoluzione, il concetto dove-va finire per allargarsi e riempire di pratico umanesimo il suo scetticismo su tutte le teorie. La sola realtà, scriveva il Rosati medico, è il dolore fisico, la sola opera valida da vivere, lo sforzo per alleviarlo. Come il suo lontanissimo maestro Epicuro, cui non erano valse le passeggiate in giardino, era egli una vittima della vita sedentaria; forse anche nel sistema nervoso, e qui si spiegherebbe la freddezza verso chiunque, attutita solo da una inconfessata e quasi pudica filantropia, la quale, insieme al gusto di conoscenza, senza prigionia di specializzazioni, lo ricongiunge e quasi lo riconcilia, con il suo secolo; insieme alla limpida serenità «utilitarista» che, contro gli slanci sentimentali e retorici, dichiara la cultura avere un valore in quanto fa del bene agli uomini.

Il personaggio dal «lungo mantello» vampirico si è trasfigurato facilmen-te ormai nel volto accademico della razionalissima sepoltura ove fu messo a giacere un povero corpo provato in tutti i modi dal Fato - più se si pensi che quel cervello aveva studiato per aiutare gli altri - dopo che l'astrale ebbe accolto un sistema nervoso sostenuto ormai solo dalla rassegnazione. La stanchezza gli faceva accettare la conclusione amara della parte già recitata a fondo sulle scene della vita, ed egli questa volta era in carne ed ossa il protagonista. La riflessione, lo studio, la comunicazione mentale con la gente, lo aveva ripagato - nel silenzio di una casa che alcuni biografi vogliono vedere povera come la soffitta di Colline, e invece sembra essere stata in seguito -postuma « personale » - una sequela di stanzoni semiopachi e quasi da tregenda, nella vigna Rosati, sulla strada di Porta Napoli - di quanto la vita non gli aveva concesso e cioè farsi avanti, rompere l'aria della provincia e tentare altrove la fortuna. Naturalmente anche qui la carità dei biografi ha bisogno di mantenere inalterati i clichés catonici, e parlano di un (esagerato) attaccamento alla patria (che per la verità resta fuori posto, ove alla terra natia piú utili si possa essere, giostrando in alto ed in arengo di maggiore soddisfazione).

La fantasia non dovrebbe mettere il punto e dichiarare esaurita quella lontana serata d'inverno. Ma la rappresentazione sarebbe troppo presto conclusa, mentre la originalità di Giuseppe Rosati sta proprio in una tonalità degna di drammaturgo e di regista moderno: sapere trarre cioè l'aneddotica dalla malinconia.

L'aneddotica per la verità è un poco la riserva degl'ignorati. Si direbbe

un passaggio interno del subcosciente collettivo: là dove violenza di cose o in-differenza di uomini, o tristizia di tempi, hanno tappato i varchi della conoscen-za quotidiana, tesaurizzare almeno le note curiose. La storia di G. R. è infatti molto più semplice del pesante epitaffio del canonico Ciampitti degli ac-cademici Ercolanesi. Molto più semplice comunque di quella vita intessuta a tesi, secondo il più antipatico dei generi della patria letteratura, dal forbito elogista Serafino Gatti.

Domandiamoci per esempio: ebbe il Rosati, una idea politica? Il suo vero significato (scientifico ed insieme operante) risiede forse nella presidenza della Società Economica ossia nella partecipazione al risveglio napoleonico. Ma pure se ha lasciato l'impressione di non credere in niente e in nessuno, non si può

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dire abbia mai perduto la fiducia nel « ben fare », la religione di Tom Payne. Come avrebbe potuto dimenticare la discendenza materna da Pietro Giannone, apostolo dei Lumi? Per il resto, il Rosati «elogiato» era il migliore degli scolari possibili, nella più sterminata possibile erudizione, nelle migliori delle scuole possibili, non solo per «dottrina» e «zelo» di chi guidava lo «stabilimento» ma addirittura per «emulazione» che «ardeva» nel petto di alunni «elettrizzati». Il Gatti, seguendo il prefabbricato schema letterario, non si accorge naturalmente come in quel mondo edenico non abbia più posto qualsiasi definizione comparativa, e parla del giovane Rosati « amico della solitudine » contro « fanciulleschi trastulli ». Ma dove si trovava tempo ai giochi se erano tutti sgobboni? In realtà quei giovani tanto valorosi « ripetevano a stento il suono materiale » dell'Italiano, del Latino, del Greco imparato « in ispida farragine di minuzie grammaticali », mentre Rosati solo « ne gustava le bellezze »; anche perché oltre tutto era superiore ai maestri medesimi (« non so quanto valessero » dice il Gatti), finché non divenne, passando dal Seminario di Troia alla Università di Napoli, e fu finalmente, il « maestro di quei che sapevano ».

Unica nota discorde, la riserva - solo letteraria, altra non sarebbe stata possibile - sulla non completa « purezza » della lingua usata dal Rosati. Si trattò di « negligenza », perché scriveva di getto, lasciandosi « trasportare dalla corrente delle sue idee ». E’ questa tonalità romantica, e certo un poco nuova, che spezza la cristallina tradizione di freddo addensata intorno a lui. Spunto interessante di psicologica contraddizione forse anche se si pensa alla espressione calda, operante, arguta, alla comunicativa felice che gl'ispirava lezioni piacevoli e briose, essendo il Rosati sulla cattedra, il contrario di quanto si potesse pensare (né burbero né pedante). Siamo rientrati nella penetrazione delle aneddotiche fisionomie.

Medico, visitava volentieri i poveri, dai signori non andava: variante del victorhughiano Cimurdain il quale, dopo avere salvato la vita a un disgraziato, a chi gli diceva - poiché allora era ancora prete - che se l'avesse fatto al Re, sarebbe divenuto almeno cardinale, rispose di no, con tutta la fierezza della futura Rivoluzione. Eppure, se si leggono le pagine sull'agricoltura, si resta colpiti non tanto dalla difesa del latifondo in termini di teoria economica (accettabile o meno a secondo dei punti di vista), quanto dall'affermazione del valore decisivo della potenza della classe tradizionale: « La protezione dei grandi - riporta con interessante ricostruzione il Papa - il volere che si determina e si risveglia coi premi e colle onorificenze, che sembra l'unica molla, onde la nostra volontà dispone a superare le più difficili imprese». Il Rosati esercitava tale difesa in un'epoca ove la fine della manomorta ecclesiastica aveva salvato la economia francese ed europea con il sorgere delle piccole e medie proprietà, e per esse sì può aggiungere, la borghesia si fondava alla ribalta politica, ed era l'anima della Società Economica ch'egli presiedeva. Inoltre, in contemporaneo sviluppo, aveva scritto di tenere presente « la storia dei progressi fatti dalle altre nazioni ». L'autore, uomo dell'inizio dell'Ottocento, di quell'età sembrava non molto prevedere. Aveva comunque un concetto poco ottimista della natura umana, pure essendo uscito dalla cultura dell'Illuminismo. In ogni caso, scrive il Villani, le sue abitudini erano diversamente « definite, giungendo taluno a ritenere derivanti da massimo orgoglio e da disprezzo verso i grandi e i potenti». Quando si trattò di osse-

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quiare Maria Carolina e Acton (l'episodio è evidentemente uno solo con va-rianti occasionali) - il Rosati dichiarò che non si recava a trovare persone per le quali sarebbe stato costretto a togliersi il cappello. Aveva del resto qualche buona ragione per dire cosí, se, concorrendo alla Cattedra di una Scuola militare, si era visto posporre, non ad un militare certo (si trattava dei Borboni), ma ad un frate con meriti integrati dalla raccomandazione di Maria Teresa. Tutta la vita di G. R. sembra essere stata decisa da quel disgraziato avvenimen-to. Non si capisce come il posto di una scuola napoletana tanto peso rivestisse per un uomo che navigava nell'area della cultura europea.

Con Maria Carolina, con Acton o Mack che sia stato, siamo passati dalla psicologia all'aneddoto, e questo è forse di per sé una conclusione. Ma si tratta di un'aneddotica triste la quale, per tale propria tristezza, può assurgere a fisionomia di documento. I potenti non sdegnavano di onorare gl'ingegni, ma con il peso morale del mecenatismo. Onde il «cinico vero e mordacissimo» non si rassegnava. Certo è, come narra Antonio da Rignano, che il Mack - ospite, eletto interprete anzi, della reazione europea nel Regno -era andato a trovare il solitario studioso, e Don Matteo Del Sordo di Sansevero, accennando col bastone alle carte geografiche, premette e sfondò chi sa quale città o punto cardinale. Il cartografo non seppe perdonare e quando, in una serata a teatro, l'archibugio di un soldato - ma andavano allo spettacolo con le armi cariche? - cadde dalla spalla del proprietario e sparò da solo, colpendo un orpello inaspettatamente proiettato sull'occhio del sullodato Don Matteo, il Rosati ebbe a dire che giustizia finalmente gli era stata resa. Proprio vero che «in Foggia aveva sì gran fama di letterato e di filosofo, ma di strano un cotal poco» .

A proposito: fu il Rosati filosofo? Non nel senso tecnico del termine. Direi anzi che la ostentata antiteoretica indifferenza finisce per impedirgli di penetrare la validità della ricerca sulla problematica dell'uomo e del mondo. Ma «il metodo sperimentale egli applicava a tutti i suoi studi» dice giustamente il Papa ed il sapere, affermava egli stesso, è «lo studio delle scienze naturali», onde necessario resta compiere «i nostri propri esperimenti».

Eppure aveva scritto di Pitagora che tutta la sua partecipazione alla scien-za della salute era stata colluvie di «stravaganze», fondandosi sulle tradizionali memorie dei giorni fasti e nefasti, pari e dispari, ossia sulle popolari credenze od informazioni di seconda mano, senza passare oltre la vernice folcloristica del problema del rapporto tra le influenze psichiche e naturali e la tonalità dell'organismo. Quelle distinzioni di temporalità positive e negative equivalevano al tracciato dialettico dell'universo ed all'analoga possibilità di reazioni nel soggetto umano, ma il Rosati preferisce risolvere l'intera dottrina degl'Italiani nella «ignoranza di quella stessa scienza, che pretendeva professare».

Quel mancato scorgere, per il pregiudizio antiteoretico, la correlazione vitale tra l'individuo e la natura (praticamente la validità dell'Umanesimo), ispira in mezzo alla generale stroncatura di ogni medica teoria - più che mai originale perché scritta da un medico dì valore - e la definizione per esempio di Paracelso (un invasato) e del suo sistema (« mostruoso »). Di lui anzi meglio sarebbe non parlarne. Ma sempre è qualcosa, se si vuole, proprio dello spirito beffardo del Bombast, quando attraversava un campo di feriti recando il diavolo Azot nel pomo della spada, ossia più semplicemente serbando qual-

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che fiala di anestetico per i sofferenti. Oltre la polemica, viveva l'umanità ed il Rosati, reggendosi appena, usciva lo stesso a visitare i propri malati.

Una intuizione resta interessante, ed emerge dal modo in cui interpreta Empedocle di cui ha appreso la visione misterica (catartica) della vita, propria della scuola crotoniate (« discepolo di Pitagora », cosa che in termini puramente storici non era). La stessa validità filosofica si riscontrerebbe nell'idea del contatto tra la medicina e la filosofia o almeno tra la scienza e la cultura.

Nel 1797 si era celebrato il matrimonio di Francesco duca di Calabria con Maria Clementina d'Austria. Il Rosati non si presentò a salutare Maria Carolina; le mandò però in dono - omaggio alla femminilità e regalità a prima vista - un ventaglio adorno di figure ed ornati a punta di penna. La Regina gli offri gratitudine, n'ebbe un rifiuto e prese la cosa male. Ma forse aveva già letto tra le stecche del ventaglio una piccola vendetta per il posto soffiato dal regale imprevedibile capriccio. Il professore mancato, quando ebbe notizia di tanto sdegno gentile, disse: « la gratitudine avrebbe dovuto dimostrarsi nella giustizia », forse ripensando alla politica « illuminata » cui i Borboni non erano del tutto sordi in qualche fase della loro storia. Linearità matematica perfino nell'aneddoto, il quale finisce per assumere la qualità di maschera del vero!

Quella serata dunque contenne veramente l'antico seme di un dramma. Ed ora che possiamo calare in pace il sipario, la figura dell'interprete rosatiano si allontanerà, nella notte fonda del tempo, senza lumi a gas lungo le strade, forse sotto la pioggia, in mezzo ad un'atmosfera d'invernale malinconia simile a quella che aveva circondato nella vita, il suo stanco, intelligente, sottile protagonista: conoscitore degli uomini, dei morbi, delle terre nostre e delle esotiche, delle forze della natura, dei rapporti matematici, della battaglia contro la sofferenza, non sempre di se stesso forse ed « autontimorumenos » infine che non coordinò l'opera sua né si curò di salvarla dalla polvere. Era l'En-ciclopedico senza enciclopedia.

CARLO GENTILE

Prof. CARLO GENTILE, docente di Storia e Filosofia nel Liceo Ginnasio statale «Vincenzo Lanza» di Foggia.

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Documenti su Giuseppe Rosati nell'Archivio di Stato di Foggia

L'Archivio della Dogana delle Pecore è notoriamente una fonte preziosa per la storia economica della Puglia dei secoli XVI-XVIII. Non molti sanno, però, che esso, scandagliato a dovere, può rivelarsi una vera miniera anche per lo studioso di storia foggiana, intesa nella sua accezione più vasta.

E' nell'archivio doganale, infatti, che si possono leggere, fra l'altro, alcuni documenti cui conviene attribuire il pregio assoluto di far conoscere un aspetto inedito della vita professionale di Giuseppe Rosati, gloria di Foggia.

Nessun biografo ha mai fatto cenno del rapporto che intercorreva fra Rosati e l'istituzione doganale: eppure questo ignorato rapporto ha un valore preciso giacché significa il primo riconoscimento ufficiale delle preclare doti del Nostro, già altra volta misconosciute o mortificate1. Esso, invece, emerge pienamente dai documenti ora rivenuti che, pertanto, assumano molta importanza nell'ambito delle testimonianze superstiti relative all'enciclopedico foggiano.

I documenti in questione, racchiusi in pochi fascicoli, presentano un Rosati collaboratore fisso del Presidente Governatore della Dogana nella scelta e nomina dei nuovi regi agrimensori, esperto d'ufficio in tema di perizie cui sia interessato il fisco o attinenti a controversie fra privati, e, infine, consulente tecnico, ai cui lumi la Dogana si rivolge in caso di esame di progetti o di nuove invenzioni.

Nel 1787 il Rosati indirizzava una supplica al Re con la quale, esponendo con orgoglio consapevole le benemerenze acquistate con i suoi studi in materia di agrimensura - aveva anche dato alle stampe un'opera apposita, molto utile alla formazione di capaci tecnici -, chiedeva di essere nominato direttore del corpo degli agrimensori di Puglia e di Abruzzo:

« S.R.M. - Signore. D. Giuseppe Rosati della Città di Foggia umiliato al Trono di VM. la supplica, come in occasione, che la M.V. fece l'anno passato osservare la Puglia in tuttociò che avesse potuto migliorarsi per l'Agricoltura, e Pastura2, fu spinto il supplicante ad esaminare il metodo, di cui si servono gli Agrimensori della Regia Dogana per la misura. e divisione de' terreni, sia per servigio di VM sia per questioni tra le parti, e ritrovò il supplicante, che

1 Mi riferisco all'episodio citato da BENEDETTO BIAGI in Profili.di scienziati,

Foggia 1930, pp., 23-24. Si vedano anche: SERAFINO GATTI, Elogio storico di Giuseppe Rosati, Napoli 1815, p. 14 e FERDINANDO VILLANI, La nuova Arpi, Salerno 1876, p. 280.

2 Il Rosati allude alle operazioni di accertamento condotte dal regio incaricato Luigi Targioni, che furono di base per la prima parziale censuazione dei terreni fiscali di Puglia. Cfr. il mio lavoro Censuazione ed affrancazione del Tavoliere di Puglia (1789-1865), Roma 1964, pp. 14-15.

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detto metodo sia singolare in Europa, ed il più sicuro; a meno che di poche pratiche erronee, che sogliono essere la conseguenza di un'arte esercitata senza principi. Concepì dunque il supplicante il disegno di non solo correggere il disordine, ma di formare una compita ed esatta Istituzione agrimensoria, e questa poi pubblicata colle stampe gli è servita felicemente a formare degli abili Agrimensori3. La pubblicazione di quest'opera, e l'uso della medesima pone nella sicurezza, e rettitudine gl'interessi della M.V. e de' particolari, ed in questa maniera il supplicante si trova di aver fatta una cosa utile ed interessante per tuttociò che riguarda i territori della M.V. Ora siccome gli Agrimensori di Puglia, e di Abruzzo formano un corpo4, i di cui individui, mercé previa approvazione della Regia Dogana di Foggia, esercitano il di loro impiego, così questo corpo non ha alcun capo direttore, che nelle dispute possa esaminare o diriggere le questioni, i dubbi, e molte volte gli errori, che si commettono, per cui il Fisco, o le parti si trovano inviluppati in litigi. Il capo de' Tavolari del Sacro Consiglio ne somministra l'esempio nel Primario, che si trova stabilito5. Questa direzione sull'Agrimensura di Puglia, e di Abruzzo è ben degna della M.V. per cui il supplicante fidandosi alle sue fatiche per la pubblicazione della sua opera, che per la invenzione de' precetti e delle regole può dirsi l'unica in Europa, e per le istruzioni finoggi date a' giovani, che s'impiegano pel vostro Real servigio, perciò ricorre alla M.V. e la supplica compiacersi ordinare, che sia esso supplicante eletto Direttore degli Agrimensori Pugliesì ed Abruzzesi, acciò nelle dispute possa egli rivedere, diriggere, ed esaminare le cose, con tutte quelle facoltà, che debbano competere a tal carica a norma di quelle, che tiene il Primario del Sacro Consiglio. Tanto spera dalla clemenza della M.V. e l'avrà a grazia ut Deus.

3 Si tratta degli Elementi di Agrimensura che il Rosati aveva fatto pubblicare a Napoli,

per i tipi del Raimondi nel 1787, e che in seguito, nel 1802 e nel 1813, saranno ristampati rispettivamente presso Angelo Coda e Gennaro Reale, e tradotti anche in francese. Si vedano al riguardo: GATTI, op. cit., pp. 54-57; BIAGI, op. cit., pp. 28-29 e 32; VILLANI, op. cit., pp. 290-291.

4 Secondo la prescrizione dei capitoli del 1574 del Cardinale Granvela, Viceré del Regno, solo i regi agrimensori potevano eseguire i compassi dei territori doganali. Gli agrimensori divenivano regi o doganali sostenendo un esame davanti a due regi compassatori della Dogana, scelti dal Presidente Governatore. L'esito favorevole della prova portava alla concessione della patente di regio agrimensore, cui erano connessi notevoli privilegi, come quelli del foro speciale della Dogana e dell'esenzione da gabelle. Cfr.: ARCHIVIO DI STATO Di FOGGIA, Dogana, serie I, vol. 1 (per i capitoli del Granvela); fasci 337-339, incarti 11973-12150.

5 Il Sacro Regio Consiglio, istituto nel 1442 da Alfonso I d'Aragona, era un organo giudiziario presieduto dal Sovrano, con caratteri di tribunale d'appello, al principio, e poi anche, di prima istanza. Ne facevano parte, oltre ai Presidenti, al segretario, al suggellatore, ai mastrodatti, agli scrivani e dagli esaminatori, anche un Primario e nove Tavolari. Questi ultimi avevano il compito di determinare il prezzo delle cose immobili; di descrivere e misurare fondi, di farne piante in caso di bisogno e di stendere relazioni tecniche. La revisione dei loro operato era incombenza del Primario.

Vedasi: LUIGI MANNELLA, L'Archivista o Cronologia, classificazione e nomenclatura degli atti delle Pubbliche Amministrazioni, Bari 1887, pp. 187-193.

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FOGGIA A GIUSEPPE ROSATI

Monumento sepolcrale nel Duomo normanno

Giuseppe Rosati supplica come sopra ». Con reale dispaccio del 1 ottobre dello stesso anno Ferdinando

Corradini, Direttore del Supremo Consiglio delle Finanze, trasmetteva la supplica al Presidente Governatore della Dogana Nilo Malena, marchese di Carfizzi, perché desse il suo parere. Il Malena, in data 20 ottobre, inviava il richiesto parere con un rapporto favorevole e molto lusinghiero per il Rosati.

In esso si diceva, infatti, che « l'opera data alla luce da esso Rosati ha dato lume all'agricoltura, e di quella si possono approfittare coloro, che vogliono applicarsici, essendosi sviluppati con essa que' nodi, che prima erano molto intrigati; onde è di giovamento nommeno agl'interessi reali, che delle parti, e chi si prenda la cura di leggerla, si avvisa di esser egli un giovane fornito di tutta la buona cognizione matematica, alle quali si unisce la sua onoratezza, e buon costume... » e, aggiungendosi « che in questa Città non vi sono ingegnieri e molto meno ne' luoghi circonvicini, motivo per cui accadendo misure, e ricognizioni di stabili, ed edilizi, deve questo Tribunale darne l'incarico ad inesperti muratori, o agrimensori, li qual formano le loro perizie, dalle quali si accorda la revisione a due altri ugualmente inesperti, che li primi », si concludeva, manifestandosi l'avviso che « se V.M. per Sua Real Clemenza, e per ricompensare il merito del suddetto Rosati, volesse erigere una nuova carica con quel carattere, che si benignerà darli, ed addossare ad essolui la cura, stimarei di ordinare, che da oggi avanti non si spedissero dal Presidente Governatore, inteso l'Avvocato Fiscale, come sinora si è praticato, precedente approvazione di altri agrimensori, patenti a persone, che non portasse l'approvazione sua, e che le perizie tutte per cose fiscali, come per le controversie tra le parti si dovessero rivedere in grado di gravame da esso lui sempre che non fusse alle parti sospetto, tassandoseli per il suo incomodo un equo dritto per non essere le parti maggiomente gravate ».

Pochi giorni dopo l'invio del suddetto rapporto, il 10 novembre, con una tempestività significativa, giungeva da Napoli l'ordine reale che, attesi il parere favorevole del Presidente Governatore della Dogana ed i suoi suggerimenti, abilitava il Rosati a dare la sua approvazione vincolante in caso di rilascio di patenti di agrimensori doganali ed a rivedere tutte le perizie, riguardanti cose fiscali o riferentesi a private questioni 6.

Questo è quanto si ricava dal fascicolo 6591 della serie V della Dogana, intitolato « Atti di ricorso a S.M. in nome di D. Giuseppantonio (!) Rosati ». Da molti altri fascicoli7 risulta chiaramente che, modificato il sistema antico per la concessione della patente di regio agrimensore, il Rosati, sovente qualificato come Regio Esaminatore, si sostituì ad ogni altro nella valutazione della preparazione tecnica

6 L'originale del dispaccio del 10 novembre 1787 è in: ARCHIVIO DI STATO DI

FOGGIA, Dogana, serie I, vol. 11, p. 173. 7 ARCHIVIO DI STATO DI FOGGIA, Dogana, serie I, fasci 340-341, incarti

12158-12280.

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dei candidati, e che conservò il relativo incarico fino all'ultimo anno dì vita della Dogana, il 1806.

Da un altro fascicolo della serie V, avente il n. 5489 ed il titolo « Atti di Real Dispaccio a ricorso dell'Architetto e Regio Agrimensore Antonio Ribatti, che ha fatto alcuni progetti sullo sparo dello schioppo, ed altro », si profila la figura del Rosati consulente della Dogana.

Il Ribatti di Corato nell'ottobre del 1797 faceva tenere al Sovrano una supplica in cui affermava di aver trovato il modo di far recuperare all'Erario la somma di ducati 10.000 e parlava di varie sue invenzioni. Egli scriveva testualmente: « S.R.M. - Signore. L'Architetto e Regio Agrimensore Antonio Ribatti della Città di Corato, Provincia di Bari, prostrato a piedi del Vostro Real Trono, con umili suppliche espone, come non potendo il supplicante portarsi di persona in Napoli per penuria della spesa a solo fine di avere la somma gloria di riferire colla viva voce alla M.V. di far entrare all'Erario Regio circa docati diecimila al sicuro. perduti di spettanza Reale; essendo ora tempo proprio di recuperarli; come ancora il medesimo supplicante conoscendo la molta inclinazione del Principe Ereditario vostro -amato figlio alle nuove scoperte, le propone le sue invenzioni, le quali porteranno onore al vostro floridissimo Regno, vantaggio alla M.V., ed all'intiera società.

La prima riguarda un nuovo metodo aritmetico di calcolo abbreviato, e fin'ora sconosciuto a professori di matematiche; questo farà il supplicante conoscere con prattiche dimostrazioni avant'i più eccellenti professori di questa capitale. La seconda riguarda una esatta puntatura delli cannoni, come ancora delli schioppi per colpire più facilmente al segno. Prattica per quel che sappia il supplicante non ancora nota nell'arte della guerra. La terza sarà l'invenzione d'una machina per tritorare grano, orzo, avena, ed altro con un solo animale per lo sollecito disbrigo delle masserie della vostra Puglia, e per togliersi il grandissimo dispendio, che oggi si porta. La quarta riguarda una machina per macinare le olive senza macina di pietra, per disbrigo delli trappeti, anzi con farsi l'oglio nelle proprie case, ma di altra buona qualità. Finalmente un'altro nuovo metodo da esattamente far misurare i campi, siccome si può scorgere da un'orevole decreto che ottenne il supplicante dall'intiero Tribunale della vostra Regia Dogana di Foggia; quale metodo servirà per istirpare dal vostro Regno tutte le difettose, e false misure che si fanno da tutti i professori in grave danno delle parti.

Il supplicante per la scoperta, ed esperienza delle sopradette sue nuove invenzioni ha impiegato molti anni, per la dimostrazione delle quali egli si rimette in tutto alla prattica, volendo pratticamente quanto di sopra si è dato l'onore di esporre alla M.V. senza ricorrere alle dimostrazioni teoretiche, le quali sono difficili a capirsi e mai introiscono sul fatto. Impertanto supplica egli la M.V. ordinare al medesimo tutto quello, che le sembrerà proprio, per far richiamare il supplicante in Napoli, e affinché non sia pregiudicato il Regio Tesoro a ricuperare la suddetta somma di docati diecimila di sopra si è obligato; l'avrà a grazia ut Deus.

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Io Antonio Ribatti supplico come sopra ». La Segreteria di Stato delle Finanze, con Reale dispaccio del 12 gennaio

1798, rimetteva l'istanza al Presidente Governatore della Dogana, Giuseppe Gargani, incaricandolo di sentire il Ribatti e di accertare « cioché vi ha di positivo su quanto espone aver escogitato ». Il Presidente Governatore si rivolse all'Ufficiale Doganale in Corato, Felice Patroni De Griffi. perché informasse l'agrimensore corantino. Questi fece sapere che si sarebbe portato a Foggia durante la pros-sima quaresima, ma nell'aprile seguente, non essendogli stato ciò possibile per una sua infermità, scriveva al Presidente Governatore Gargani promettendogli di conferirsi presso la Dogana quanto prima e gli faceva un rapporto delle sue scoperte, includendone altre non menzionate nella supplica al Re inoltrata l'anno precedente.

Il Gargani, avendogli poi il Ribatti « fatte le premure per la relazione », con nota dell'8 maggio rimetteva a Rosati tutte le carte dell'Agrimensore, con il carico di esaminarle, e, dopo aver sentito l'interessato, di riferire con parere.

Rosati adempiva il compito con sollecitudine ed il 16 maggio inviava in Dogana la relazione.

La stessa si riporta qui di seguito interamente, a riprova della multiforme competenza del suo autore:

« Ill.mo Sig. e Padrone sempre colendissimo. Con venerato ordine degli 8 di maggio 1798 mi comanda V.S. Ill.ma, che in

adempimento di Real Dispaccio de' 12 di gennaro di questo istesso anno, ordinante, che si esaminassero tutti i progetti umiliati a S.M. (che Dio sempre feliciti) dall'Architetto, e Regio Agrimensore Antonio Ribatti della Città di Corato, avessi io esaminato il tutto, e riferito col parere quello che si fosse ritrovato di vero, e di utile, secondo che promette il medesimo ricorrente.

Per la sollecita esecuzione de' rispettabili ordini di V.S. Ill.ma, ho letto attentamente tutte le progettate invenzioni del Ribatti, come altresì ho inteso il medesimo rìcorrente, il quale con una facondia d'ingegno poco ordinaria promette niente di meno che dieci invenzioni nuove, ovvero migliorazioni, da potersi adattare non solo alle scienze matematiche, ma bensi alle cose meccaniche, ed anche diverse per la pratica militare, non che qualche altra per la Regia Economia. La prima delle sue scoverte riguarda la esatta puntatura de' cannoni, e degli schioppi. La seconda, una macchina per trebbiare il grano. La terza, una macchina per macinare le ulive. La quarta, una macchina per pulire i porti. La quinta, un molino di nuova specie. La sesta, l'esatto metodo di misurare i territori. La settima, è la pratica di fare in più breve tempo le quattro operazioni dell'aritmetica. L'ottava scoverta consiste, che ne' territori di compra, e vendita si debba fare il profilo de' terreni. La nona, è la conoscenza, che ha di far entrare nel Regio Erario da' terreni di Puglia, e da' sali di Barletta un mezzo milione di ducati all'anno, col patto però, che egli solo debba amministrare una si rispettabile azienda. La decima scoverta finalmente consiste in alcune macchine da guerra, mercé le quali con pochi soldati indubitatamente abbatterà l'inimico sia da lontano sia da vicino.

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La varietà di tutte le innovazioni di questo novello Archimede, e la certezza dell'esito, di cui è persuaso per le sue scoperte, gli hanno soffiato tanto coraggio, che il medesimo non che paventare, che anzi richiede una pubblica adunanza accademica, composta di matematici, architetti, geografi, tavolari, agrimensori e finanche di razionali, e nella quale si possano mettere in veduta tutti gli esposti progetti. Si protesta però il matematico Ribatti, che in sì fatta adunanza non si debba entrare in dimostrazioni teoretiche, ed astratte giacché con queste speculazioni spinose egli non ci ha avuta mai amicizia. Intanto riflettendo costui, che molte di queste invenzioni, per conoscerne il pregio, han bisogno di modelli, e di spesa, e perché questo articolo non si uniforma alle sue presenti circostanze, perciò egli vuole che per ora si tralasciasse l'esame della seconda, della terza, della quarta, della quinta, e della decima scoverta. Vuole dippiù, che neppure si esaminasse la nona scoverta, giacché si riserba di comunicarne l'intrigo secretamente a chi conviene. Quindi si ristringe solo per ora di manifestare le scoverte della prima, della sesta, della settima, e della ottava invenzione, e le quali sono le seguenti.

La prima scoverta del ricorrente Ribatti si poggia sulla esatta puntatura degli schioppi, e de' cannoni. A suo giudizio niuno ha saputo conoscere la vera linea di tiro. I più famosi artiglieri sono un nulla in paragone della sua esattezza. In fatti si prenda in esempio una canna da schioppo. Egli è sicuro, che il vano di questo strumento è di figura cilindrica, il di cui asse prolungato in diretto rappresenta il cammin della palla. Ora egli è anche manifesto, che la massa del ferro, che compone, e forma la canna è molto più crassa nella culatta, e meno crassa nel suo orificio, che ne forma la bocca. Quindi egli ne deduce, che la linea esterna della canna essendo sino all'orificio convergente coll'asse del cilindro del vano, necessariamente pro-lungandosi ambedue debbano toccare due punti diversi nell'ostacolo, ritrovandosi sempre il punto del tiro più alto, ed il punto di mira più basso; per cui dirigendosi la mira ad occhio per la linea convergente esterna, la palla non potrà mai finire al punto traguardato, ed in questo modo non si è mai unita la linea di tiro colla linea di mira. Quindi conchiude lo scopritore di questo difetto che per rettificare il tiro, ed esser sicuro del punto del colpo, egli è mestieri, che il segno di mira, che si appone sull'orificio della canna, sia di tale altezza, che faccia essere parallele tra di loro le due linee di tiro, e di mira.

Sebbene tutto questo così avvenisse, pur tuttavia il Ribatti con questa sua scoverta pretende solo di rimediare a' giusti tiri, giacché poi negli sforzati, e lunghi tiri egli è persuaso, che.la palla dovrà descrivere la parabola, la quale si burla di tutte le sue scoverte, e delle sue invenzioni.

La seconda scoverta che egli espone all'attuale scrutinio consiste nel dare un metodo, col quale si misurano i terreni esattamente. Nelle ordinarie misure di territori di affitto annale, che eseguiscono i nostri compassatori, comeché si tratta di un prezzo di poca importanza, così i medesimi trascurano nel di loro calcolo le frazioni di passo, che dia l'apertura del compasso, le quali per verità non meritano

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tanta attenzione per la di loro picciolezza. Il Ribatti all'incontro addossandosi il peso di una scrupolosa esattezza, egli ha pensato, che le più minuti frazioni di misura debbano includersi nel calcolo, per la ragione, che gl'interessi del nostro prossimo non debbano essere defraudati in minima parte.

Tuttociò che in questo articolo asserisce il Ribatti egli è troppo vero, ma la sua conclusione poi è falsa. Imperciocché costui è persuaso, che nelle misure de' terreni di compra, e di vendita, e che sieno di gran valore, si eseguisca la stessa misura colla medesima trascuraggine. La vera esattezza delle misure delle superficie de' terreni di compra, e di vendita, non è ignota a' nostri compassatori, ma questi la praticano nella stessa proporzione del valore de' territori.

La terza scoverta del Ribatti si versa sulla pratica esecuzione di alcune operazioni aritmetiche. Uno dei problemi di questa scienza egli è di ridurre allo stesso denominatore molte frazioni, le quali lo abbiano diverso. Egli è persuaso, che il sito metodo sia di lunga mano più breve di quello, che si pratica ordinariamente da' computisti. Fa consistere il pregio di questa sua invenzione nel risparmio del tempo, e nella novità della esecuzione; ma poi inavvedutamente non ha distinto il vero merito di questa nuova sua pratica. Allora potrà dirsi breve. e pregevole un metodo, ogni qual volta in tutte le operazioni del suo genere faccia sempre uso di una sola regola universale, come è per appunto il metodo usato da tutti gli aritmetici. Il Ribatti all'incontro usa regole diverse, a misura, che le frazioni crescono nelle cifre. Intanto la sua scoverta aritmetica ella è anche pregevole tanto perché fa un risparmio di tempo, come altresì somministra un nuovo mezzo, onde conoscere la esattezza di sì fatte operazioni. Finalmente la quarta scoverta consiste nell'aver dimostrato, che nella compra, e vendita de' territori di gran valore si debba solo calcolare la estensione della base, e non già quella della superficie esterna. L'esterior faccia della Terra, come ognun sa, è irregolarmente gibba, per cui la esterna superficie è sempre di maggior estensione della sua base piana, quantunque sieno comprese ambedue tra' medesimi confini. Quindi egli conchiude, che nelle compre, e vendite, poiché si determina l'intervallo tra un confine, ed un altro, perciò deve entrare nella misura la sola estensione della base, e non già della superficie esteriore, comeché questa è sempre maggiore della prima. Per far tutto questo, si deve usare, a suo giudizio, il metodo de' profili de' terreni.

Questa volta il matematico Ribatti è caduto involontariamente in un intrigo. Prima ha litigato, che nella misura delle superficie de' terreni di compra, e di vendita si debba aver conto delle più picciole frazioni, ed ora abbandona questa esterna superficie, e fissa la sua attenzione alla sola base piana immaginaria. Non vi è dubbio alcuno, che la irregolare esterna superficie sia maggiore della estensione della base piana, comprese amendue fra' medesimi confini, specialmente trattandosi di territori montuosi, e di altura. Egli è anche chiaro altresì, che tante linee rette parallele fra di loro, e perpendicolari

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alla Terra occuperanno tanto spazio nel coprire la superficie esterna, quanto ne occupano nella base; ma non per questo si dovrà conchiudere, che la estenzione della superficie esterna dovrà calcolarsi secondo la estenzione della base; imperciocché essendo infatti la prima sempre maggiore della seconda, presenterà sempre maggiore ampiezza à nostri usi di quella, che ne potrebbe prestare la seconda. Dimostrano i Geometri, che se si abbia un Cono il di cui lato sia uguale al Diametro dalla base, allora la superficie conica sarà doppia della superficie della base. Quindi in un caso simile noi possiamo ottenere un uso, ed utile doppio della sola area della base, per cui anche nelle vendite, e compre de' terreni montuosi, ed elevati si deve calcolare la estenzione della esterna superficie, e non già quella della sola base immaginaria.

Queste sono per ora le scoverte dell'Architetto, e Regio Agrimensore Antonio Ribatti, che egli ha voluto manifestare in sollievo delle Scienze, delle arti, e della pubblica Economia, promettendo, che a suo tempo mostrerà le altre produzioni del suo felicissimo ingegno. E questo è quanto da me si dovea riferire umilmente ad V. Ill.ma in discarico del mio dovere, ed in adempimento de' suoi rispettabilissimi comandi, mentreché con piena stima ed ossequio mi do l'onore di farle profondissima riverenza.

Foggia li 16 maggio 1798. Di Vostra Signoria Illustrissima divotissimo obbligatissimo servo obbedientissimo

Giuseppe Rosati. Illustrissimo Signor D. Giuseppe Gargani Presidente della Regia Camera, e

Governatore Generale della Dogana di Foggia ».

PASQUALE di CICCO Dott. PASQUALE di CICCO, direttore dell'Archivio di Stato di Foggia.

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Frontespizio di « cartaceo » posseduto dalla Biblioteca Provinciale di Foggia

Tavole disegnate dal Rosati per « Elementi della navigazione »

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La civica « Luigi Pascale » di Manfredonia

Inaugurazione della nuova sede

La manifestazione inaugurale della nuova sede, preceduta da un manifesto del Sindaco alla Cittadinanza, si è svolta l'otto dicembre di questo anno nel salone consiliare di Palazzo S. Domenico, innanzi a un folto pubblico di invitati, tra i quali S. E. l'Arcivescovo sipontino, Mons. Andrea Cesarano, il consigliere provinciale e presidente dell'Istituto Nazionale per le Case Popolari, avv. Berardino Tizzani, il gen.le Raffaele Castriotta, presidente della Società di Cultura « Michele Bellucci », il prof. Michele Melillo, dell'Università degli Studi di Roma.

Per l'occasione aveva accettato di buon grado l'invito ad intervenire il nuovo titolare della Direzione gen.le delle Accademie e Biblioteche e per la Diffusione della cultura, gr. uff. dott. Nicola Mazzaracchio, giunto a Manfredonia da Foggia, dove il giorno innanzi aveva avuto un proficuo incontro con gli esponenti locali della cultura e della P.A. Erano in sua com-pagnia i dottori Carlo e Renzo Frattarolo e il dott. Maioli, tutti alti funzionari del Ministero della P.I., il soprintendente bibliografico per la Puglia e la Lucania, prof. Antonio Caterino, il provveditore agli studi di Foggia, dott. Raffaele Ferrante, il direttore della Biblioteca Provinciale di Foggia, prof. Angelo Celuzza, l'assessore prof. Pasquale Ricciardelli, in rappresentanza dell'Amministrazione Provinciale di Capitanata.

Il Sindaco, dottor Nicola Ferrara, che insieme con gli Assessori e numerosi Consiglieri, aveva ricevuto i graditi ospiti, ha loro rivolto il cordiale e grato saluto della Città. Egli ha ricordato che:

«L’attuale cerimonia può essere compresa tra le solennità civili del popolo di

Manfredonia, che dal manifesto fatto affiggere per l'occasione dalla Civica Amministrazione, ha avuto notizia dell'avvenimento. Essa conclude una lunga serie di tentativi fatti nel passato dal Comune, per soddisfare l'aspirazione dell'intera Cittadinanza.

«Disporre di un luogo di incontri e di studio, per cultura generale e per preparazione specifica era una esigenza cui non si poteva più derogare e per ciò essa ha costituito un punto

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BIBLIOTECHE DAUNE

programmatico importantissimo e la preoccupazione costante del nostro Centro-Sinistra.

« La Biblioteca "Luigi Pascale" finalmente ha una degna sede e un personale sufficiente: l'Amministrazione, nonostante le note difficoltà di bilancio, comuni a tutto il Mezzogiorno, ha adempiuto la sua parte, creando in questo modo le premesse per l'intervento governativo.

« Questo non si è fatto attendere, come dimostra la presenza dell'illustre Direttore generale delle Accademie e Biblioteche, al quale, - nel ricordo di quanti promossero e incrementarono l'istituzione tra mille difficoltà - col ringraziamento affido il voto che, avvalendosi sempre dell'intervento centrale, questa civica Amministrazione possa adempiere in pieno il mandato popolare, che comprende anche e soprattutto la elevazione culturale cui ha diritto ed aspira la città sveva, che ultimamente ha celebrato con dignità il settimo centenario della sua vita storica ».

Dopo il Sindaco, ha parlato il prof. Cristanziano Serricchio, assessore alla

P.I. presso il Comune di Manfredonia.

« E’ questa una data davvero memorabile per la storia della cultura a Manfredonia, che vede finalmente riaprirsi al pubblico, dopo molti anni, la nostra Biblioteca Comunale, intestata al nome di quel filantropo e illustratore di memorie patrie che fu Luigi Pascale, che, insieme col giovane Mario Simone, salvò e raccolse il primo fondo librario della biblioteca costituito con il residuo di 620 volumi e 6 incunabuli, provenienti dal soppresso Convento dei Frati Minori della Curia Provincializia “S. Michele Arcangelo".

« Nel 1926 la Biblioteca e il Museo venivano alloggiati in due sale del Palazzo Comunale, dove ebbero stentato sviluppo per mancanza di personale e di locali idonei.

« Dall'aprile di quest'anno la Biblioteca è stata trasferita nella sede in via Ten. Rosa. Non a caso, pertanto, è qui tra noi, in rappresentanza del Ministro della Pubblica Istruzione, il direttore generale delle Accademie e Biblioteche, gr. uff. dott. Nicola Mazzaracchio, i cui meriti verso la Scuola e la Cultura sono assai ben noti, perché io li possa o li debba qui ricordare. Egli viene ad inaugurare oggi la nostra Biblioteca, così come nel maggio del 1962 il prof. Bruno Molajoli, direttore generale delle Antichità e Belle arti, venne a dare il via, col III Congresso Archeologico, alle manifestazioni celebrative del VII Centenario della fondazione di Manfredonia, con le quali si ponevano le premesse per la creazione nel nostro Castello del Museo del Gargano Meridionale e della Zona Sipontina.

«Due istituzioni, Biblioteca e Museo, tenute a battesimo all'inizio e alla fine delle celebrazioni storiche da due illustri rappresentanti del Governo e del mondo della cultura.

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« Non si poteva celebrare meglio, io credo, il centenario della fondazione sveva, senza veder poste in termini di concretezza due grandi realizzazioni.

«In una così propizia circostanza mi sia consentito porgere a tutti il grato saluto mio e di Manfredonia, e un grazie particolare al chiarissimo dott. Mazzaracchio, che, accettando il nostro invito, ha dato il crisma della ufficialità alla cerimonia odierna e l'alto consenso della Amministrazione centrale all'opera da noi iniziata.

« La sua venuta resterà viva nella nostra memoria, perché essa è per noi il segno della giusta strada intrapresa, la promessa di quell'aiuto, soprattutto morale, che sarà di conforto alla nostra azione, e infine d'incitamento affettuoso di un conterraneo, legato dal comune amore a questa terra di Puglia, così ricca di ricordi svevi e di civiltà, che noi vogliamo vedere più prospera e civilmente progredita.

« Un saluto e un ringraziamento cordiale desidero porgere a nome di questa città, anche ai due fratelli Carlo e Renzo Frattarolo, nostri amati concittadini, al dott. Maioli e al caro soprintendente, pro/. Antonio Caterino, al quale va il merito di aver reso possibile, col suo consiglio e aiuto, il presente incontro, e infine un cordiale benvenuto alle gentili signore, ospiti di Manfredonia.

« Un anno fa, in questa stessa sala, rappresentando l'Amministrazione Centrale in una delle nostre ricorrenti manifestazioni culturali, il dott. Carlo Frattarolo, pur lodando le nostre iniziative, constatava con animo accorato: "Manca la Biblioteca, manca nelle sue strutture fondamentali e nelle sue linee essenziali ritenute valide e idonee perché essa possa costituire un centro pulsante di vita cittadina, perché possa essere istituto di formazione e di informazione, istituto intorno al quale possa valorizzarsi la vita spirituale di Manfredonia".

«Noi abbiamo mantenuto l'impegno che prendemmo allora verso la popolazione e verso di lui, impenitente innamorato di questa città. bella di luce e di mare, ricca di monumenti insigni e di storia, dolce città cara al re Manfredi, che, nelle notti di luna, "sceva cantanno sunette e canzune".

« Ora Manfredonia è tutta protesa verso la realizzazione di opere indispensabili allo sviluppo economico e industriale che l'attende e per il quale la cultura è il lievito e la base insopprimibile. Questa città, che annovera tre circoli didattici, tre scuole medie e otto istituti medi superiori e varie centinaia di studenti universitari, non poteva non dare l'atteso impulso a questa essenziale istituzione culturale. A tal fine ci siamo adoperati per togliere la biblioteca alla polvere e all'angustia dello spazio in cui pigramente e svogliatamente ha vissuto per vari lunghi anni a vantaggio solo di alcuni isolati frequentatori, ignorata dalla comunità e considerata come inutile ingombro da molti deviati verso altri interessi, per darle ora il giusto posto che

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le spetta in una società civile, per farla uscire alla luce, renderla accessibile a tutti, adulti e ragazzi, studenti e contadini, artigiani e operai, per farle cioè vivere una vita non tisica, ma continuamente potenziata, che le consenta di diventare al più presto uno strumento efficace di informazione e di studio, di buon uso del tempo libero e di formazione professionale, rivolta a vantaggio di tutta la Comunità.

«Per questo l'Amministrazione ha teso tutti i suoi sforzi per dotare la Biblioteca di nuovi locali piú dignitosi e idonei, per provvedere, mediante l'opera di un direttore incaricato, al riordinamento e alla catalogazione del materiale librario di circa 7 mila volumi, ciò che ha permesso fra l'altro di individuare altri incunabuli e cinquecentine, saliti complessivamente a 96. Il notevole incremento sul bilancio comunale dei fondi per la Biblioteca, e i contributi disposti dalla Direzione Generale, su segnalazioni della Soprintendenza Bibliografica, che si è rilevata oltremodo sensibile e sollecita alle nostre istanze, hanno consentito l'acquisto di libri moderni, con i quali si è inteso iniziare l'opera di aggiornamento della Biblioteca, indispensabile per venire incontro alle varie e vaste esigenze della popolazione.

« Tutto questo è stato fatto, malgrado le enormi difficoltà economiche in cui si dibatte il Comune, vincendo molti ostacoli, per assolvere ad un preciso impegno verso la cittadinanza e la cultura, consapevoli della utilità di una simile istituzione. Abbiamo così voluto porre le premesse per assicurare il potenziamento e lo sviluppo costante della nostra Biblioteca, antica aspirazione di tanti concittadini, che questa istituzione hanno vagheggiato e difeso, da Luigi Pascale a Michele Bellucci, da don Silvestro Mastrobuoni a Mario Simone e a quanti altri, come noi, sono convinti che le sorti della civiltà e della democrazia sono legate intimamente al maggiore arricchimento spirituale e ad una maggiore conoscenza strumentale, che solo il libro e, per esso, la cultura, possono promuovere negli individui come nelle masse.

« Certo molto resta ancora da fare perché la Biblioteca, arricchendosi di libri adatti a tutti gli interessi e a tutti i livelli di cultura, possa servire i bisogni della popolazione. Ma noi crediamo in questa Istituzione, come crediamo nei valori della cultura e dello spirito, e siamo sicuri che non mancherà il valido aiuto della Direzione Generale e della Soprintendenza, per eliminare le presenti manchevolezze e attrezzare adeguatamente la Biblioteca in modo che essa sia non solo eco del venerabile passato, ma testimonianza della molteplice pulsante vita che oggi viviamo, segno della nobiltà dell'uomo, che nel sapere ritrova la base di ogni vero e civile progresso».

Ha preso quindi la parola il prof. Caterino:

«Raffaello Franchini in un suo recentissimo saggio Teoria della previsione,

formula una considerazione che condividiamo

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in pieno: " L'uomo è un essere che pensa al futuro; l'assillo di tutte le ore, di tutti i giorni è costituito per lui dalla commisurazione più o meno esatta della distanza che lo separa da eventi ipotizzati o reali, da scadenze cui deve far fronte ». Essa risente della suggestione del mito di Prometeo che ha trovato sigillo nelle opere di Esiodo e nella trilogia eschilea. Prometeo conosceva le cose future come le presenti e sapeva che vano è tentare di resistere al corso della Necessità e del Fato; eppure egli volle tentare la temeraria avventura mettendosi contro la Necessità e il Fato.

« La rivolta di Prometeo è il segno di una cultura che si sgancia dalle basi tradizionali di ogni cultura arcaica e diviene il modello della civiltà tecnico-scientifica dell'Occidente; sta a rappresentare l'esigenza di una previsione progettante, che bussa ansiosamente alle porte del futuro per provvedere ai bisogni del presente, in modo da sottrarre l'esistenza umana alla incertezza e alla rischiosità di cui essa è fondamentalmente fatta. E non a caso Schubart ha parlato di cultura europeo-prometeica e di uomo prometeico, ansioso ed anticipante, agli oc-chi del quale il mondo appare come caos da trasformare in un tutto organico, ordinato, normato perché ne sia più agevole lo sfruttamento.

«E’, codesto, il discorso serio e carico di interessi che sta pronunziando la società contemporanea, cui partecipano - come animatori e realizzatori - uomini di dottrina educati al rigore della scienza e bibliotecari, che, non più legati agli schemi e alle valutazioni del tempo che fu, ma inseriti nel clima fervido del nostro tempo, conducono un'azione ben precisa e talvolta ardita per far aderire in maniera concreta i loro istituti alla vasta gamma dei problemi della società moderna. Bi-blioteche e bibliotecari si sforzano di rendersi operanti sul piano sociale, politico, economico, dottrinario e scientifico. In una parola, lavorano per dare risposte chiare e concrete agli interrogativi della tematica nuova suggerita dal concetto della de-mocrazia moderna.

«Noi viviamo in un tempo in cui tutti gli uomini vantano uguali diritti, partecipano al governo della cosa pubblica o costituiscono l'opinione di base che, influenzando i responsabili di governo, decide della pace e della guerra, della giustizia e dell'ingiustizia. Viviamo, cioè, in un tempo in cui la forza di decisione e di scelta risiede nel popolo. Orbene, tutto ciò richiede che le masse, messaggere di pace e di guerra e depositarie di potere, si rendano conto dei grandi problemi che le agitano. Non solo, ma è necessario che tutte le componenti della tematica nuova testé accennata vengano a svilupparsi in maniera parallela. Se le scienze progrediscono fino a disciogliere in mille elementi l'atomo che la nostra generazione aveva appreso sui banchi di scuola essere indivisibile, non può non fare lo stesso balzo in avanti il carattere, diciamo, morale-intellettuale dell'uomo. Al-

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trimenti verrebbe a determinarsi uno squilibrio tra le componenti, che senza dubbio trascinerebbe a conseguenze tragiche per l'umanità intera.

«La scienza, dunque, ci conduce verso orizzonti nuovi ed ha inaugurata l’èra che abbiamo chiamata atomica e spaziale. Gli uomini già bussano alle porte della luna non per chiederle come un dì Leopardi: "Che fai tu, luna in ciel? Dimmi che fai silenziosa luna?” ma per strapparle segreti e sfruttarne le forze che per millenni sono rimaste sconosciute. In tutto il mondo va crescendo il numero dei paesi indipendenti e liberi. Ebbene, cosa succederebbe se l'uomo non fosse in grado di ricevere con coscienza adulta, cioè in tensione di amore, in clima di comprensione e in unione con Dio, di tutte le cose Creatore, i doni della natura e della libertà? E’ presto detto: da una parte, l'atomica potenziata nella sua forza esplosiva dal sadismo degli uomini potrebbe ridurre il mondo intero ad un ammasso di ceneri; dall'altra, l'esempio di popoli dilaniati da lotte fratricide è largamente dimostrativo ed eloquente.

«Dunque, è indispensabile un incremento della pedagogia sociale, di massa, che, integrando quella scolastica, rinnovi gli interessi intellettuali e sentimentali di vasta risonanza nel mondo dello spirito e dell'azione volti alla disciplina del vivere nella piena consapevolezza dei valori permanenti della vita.

« Ci rendiamo conto che il ruolo del maestro e quindi della Scuola è quello di fornire quadri ben costruiti che il lavoro personale dovrà poi completare. E tale lavoro non è solo ginnastica dell'intelligenza, ma acquista la fisionomia di ricerca della verità; è perfezionamento della personalità umana. Sicché il cittadino di una democrazia che voglia adempiere i suoi doveri verso la società di cui è membro ed acquisire coscienza dei suoi diritti; che voglia, per dirla con John Stuart Mill, es-sere considerato non come una ricchezza ma destinatario stesso della ricchezza; che intenda correre alla conquista della nuova frontiera deve sforzarsi di tenersi informato di tutto per tutta la vita. E gli strumenti più adatti per farlo sono il libro e la biblioteca, giacché il primo è un crocicchio di luoghi chiariti, la seconda istituto di comprensione tra gli uomini di ogni colore e sotto tutte le latitudini.

«Come chiaramente si vede, le biblioteche occupano un posto importantissimo nella vita della società moderna e sono chiamate a svolgere un ruolo di insopprimibile, primaria necessità.

« Grandissimo è il numero degli uomini che sanno e sapranno in avvenire leggere, poiché l'insegnamento non è più un privilegio di una classe o di un ceto, ma è divenuto obbligatorio per tutti. Pochi ancora, però, sono quelli che possono comprare i libri per completare la propria educazione morale ed intellettuale. Per le masse, dunque, la sola possibilità è la Biblioteca pubblica, la quale rispondendo al bisogno di istruzione

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PATRONI DELLA CIVICA « PASCALE » DI MANFREDONIA

PATRONI DELLA CIVICA « PASCALE »

Michele Bellucci (Manfredonia, 1849 - Roma, 1944). Giurisperito, storiografo, musicista : ultima espressione locale dell'umanesimo meridionale. Autore di innumerevoli contributi monografici, biografici e bibliografici intorno a Siponto e Manfredonia e di musiche pregiate. queste e quelli tuttora in gran parte inediti. Possedette una raccolta quasi completa di pubblicazioni regionali, che intitolò « Biblioteca Dauna » (dispersa nel bombardamento di Ariccia, ove era stata trasferita). Fu molto generoso di consigli per la civica « Pascale », durante la sua formazione.

Luigi Pascale (Manfredonia, 1850-1940). Già maestro elementare e per un trentennio segretario comunale di Man-fredonia, ne riesumò il passato con quello della progenitrice Siponto, pubblicando numerosi opuscoli di storia, di agiografia, di numismatica e un vocabolarietto dialettale, tutti incentivi di ulteriori ricerche ed approfondimenti. Ispettore onorario dei monumenti e scavi, concorse decisivamente alla fondazione della civica biblioteca (poi intestata alla sua memoria), alla quale donò raccolte di vasi e altro materiale archeologico, e una collezione di monete.

Don Silvestro Mastrobuoni (Cerreto Sannita, 1889 - Napoli, 1966). Canonico teologo mitrato dei rev.mo Capitolo metropolitano sipontino, dottore in utroque iure e lettere. Ispettore onorario bibliografico e alle antichità e belle arti. Direttore onorario della « Pascale » e dell'annessa raccolta archeologica. Continuatore degli studi sipontini, autore di numerose pubblicazioni storiche e agiografiche su l'antica e la nuova Siponto. Promotore con pochi sodali del Comitato pro-cultura e dell'Associazione dei professori, che nel 1944 dettero impulso decisivo alla rigenerazione di Manfredonia, investita dalla guerra.

Antonio Simone (Manfredonia, 1874 - Foggia, 1954). Donatore alla « Pascale » di numerose pubblicazioni, compresa una raccolta rara del periodico napoletano « Lucifero », nel 1944 riordinò generosamente la suppellettile bibliografica e ne compilò l'inventario. Corrispondente di quotidiani e settimanali, in lunghi anni sostenne le ragioni di difesa, di sviluppo e di rinnovamento della Biblioteca.

LA CIVICA « PASCALE » IN NUOVA SEDE

Nel salone municipale il dott. Mazzaracchio conclude la manifestazione di Palazzo S. Domenico

S.E. l’arcivescovo, mons. Cesarano, e il dott. Mazzaracchio all’ingresso della Biblioteca

LA CIVICA « PASCALE » IN NUOVA SEDE

Lettori che non mancheranno mai

Aspetti della sala di consultazione

sollecitato dai progressi economici e scientifici, consentirà agli uomini di dilatare le dimensioni del loro pensero, di coltivarsi, di avere cura della loro dignità in armonia con il livello di vita innegabilmente migliorata sotto tutti i rapporti e gli aspetti. D'altra parte, le macchine e la tecnica richiedono la qualificazione dell'operaio, il quale deve pur saper rispondere alle esigenze del suo mestiere; e l'agricoltura stessa che segue l'irreversibile processo della industrializzazione esige dall'agricoltore e finanche dal contadino preparazione e competenza. E l'operaio, l'agricoltore, il contadino, l'artigiano solo nella biblioteca trovano lo strumento della loro indispensabile, adeguata istruzione.

« Una volta filosofi o poeti potevano dire: "Io sono un uomo e niente di ciò che è umano mi è estraneo". Oggi tutti gli uomini devono poter pronunziare questa frase, perché è la divisa dei tempi nuovi.

«A Taranto, città dei due mari, venti giorni or sono si dava un lieto buongiorno alla prima meravigliosa colata d'acciaio, simbolo della tecnica moderna, che, moltiplicandosi, è destinata a contribuire all'incremento della ricchezza materiale della Nazione. Oggi qui, a Manfredonia, sbocco marittimo del Tavoliere della Puglia, alla presenza del Direttore Generale delle Accademie e Biblioteche e per la diffusione della Cultura comm. Mazzaracchio e di suoi autorevolissimi e validi collaboratori, tra cui due figli di questa terra, di autorità religiose e politiche e soprattutto di gran folla di popolo s'inaugura la nuova sede della biblioteca comunale. La quale dopo alterne vicende nell'arco di oltre un cinquantennio ha decisamente imboccato la via della resurrezione.

« Essa è conferma di un incontro felice, antico di secoli, tra il popolo di Manfredonia e la cultura; testimonianza di fede nella vita operosa; proposito di realizzazione nel campo del pensiero e dello spirito ».

Infine, il dott. Nicola Mazzaracchio, che con la sua presenza ha voluto

confermare l'attaccamento filiale alla sua Terra di Puglia e il suo interessamento per i problemi del libro e della cultura in Italia, tra vivissimi applausi, ha così espresso il sentimento e i propositi che lo avevano guidato e accompagnato in questo suo primo incontro con la regione madre:

« Come direttore generale delle Accademie e delle Biblioteche sono lieto di

esprimere il mio piú vivo compiacimento per l'opera che la Civica Amministrazione di Manfredonia, fervidamente assecondata nei suoi sforzi dalla Soprintendenza Bibliografica per la Puglia e per la Lucania, ha ora condotto a termine, istituendo questa pubblica Biblioteca, che inizia oggi la sua attività.

« Il mio sentimento di soddisfazione è tanto più intenso e vibrante in quanto il nuovo Istituto, che inauguriamo, si apre

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in questa città che è la patria di due valorosi e cari miei collaboratori, i fratelli Carlo e Renzo Frattarolo, ed in questa nobile terra pugliese, cui io pure appartengo ed alla quale, con cuore di figlio non immemore, auguro di poter a grandi passi proseguire l'ascesa verso i nuovi e più alti traguardi del civile progresso alla pari delle altre Regioni d'Italia.

«Di tale progresso la Biblioteca è certamente, insieme con la Scuola, uno dei principali strumenti, perché essa è mezzo insostituibile per l'educazione e la formazione democratica del cittadino, per la sua elevazione culturale e morale, per il suo aggiornamento professionale e per il migliore impiego del suo tempo libero.

«Come la Scuola, la Biblioteca è necessaria per adeguare la società all'odierno grandioso processo di sviluppo tecnico ed economico. Ma, sopra ogni altro obbiettivo, essa deve mirare a tradurre il perfezionamento tecnico in forme ed in termini di perfezionamento umano, che si concreta nel rispetto dei supremi valori dello spirito, nella dignità e libertà della persona umana ed, infine, nell'autonoma scelta dell'attività professionale, perché ognuno abbia eguali possibilità di mettere a frutto i suoi particolari talenti, coltivare la propria particolare vocazione e divenire un cittadino socialmente utile e attivo, cioè capace di dare un proprio personale contributo al progresso dell'intera nazione.

« Così intesa, la Biblioteca si pone come uno degli istituti più importanti della Comunità, la quale, in un periodo come l'attuale, dominato dal tecnicismo, dalla meccanizzazione e dalla automazione, può essere salvata dal pericolo di un deprecabile inaridimento spirituale e di un generale livellamento soltanto dai beni della cultura e quindi dalla lettura e dall'amore del libro.

« Merita, dunque, amplissima lode l'iniziativa assunta dalla Amministrazione civica di Manfredonia con l'inaugurazione della nuova Biblioteca, alla quale la mia Direzione Generale non farà mancare la propria assistenza tecnica ed il proprio contributo ftnanziario.

«Ma, di fronte ai limiti consentiti per questi interventi ministeriali dalle non cospicue disponibilità del bilancio statale, va pur ricordato che il concorso del Ministero ha una funzione meramente integrativa e non già sostitutiva degli oneri, che ciascuna Amministrazione locale è tenuta ad assumersi per la vita della propria biblioteca, in adempimento di un obbligo stabilito dal vigente ordinamento.

«D'altra parte, si può essere certi che quando i cittadini, frequentando la loro biblioteca e trovandola accogliente ed aperta a soddisfare le loro esigenze d'informazione e di cultura, avranno imparato ad apprezzare tutti i benefici che possono trarne per l'arricchimento della propria personalità, non sarà più tanto difficile richiedere alla collettività quei sacrifici, che

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sono necessari per assicurare il fiorente sviluppo dell'Istituto in armonia col progredire incessante del sapere scientifico e della conoscenza umana.

«Con la visione di queste alte finalità, mi è caro di salutare la rinascita della Biblioteca Comunale di Manfredonia con l'auspicio latino: vivat, crescat, floreat! ».

Dopo la cerimonia, svoltasi nel palazzo di Città, le autorità e tutti i

presenti si sono recati, per il taglio del nastro augurale, presso i nuovi locali della Biblioteca, al primo piano di via Tenente Rosa n. 19.

E' stato da tutti verificato lo sforzo sostenuto per una decorosa sistemazione della suppellettile bibliografica, cui ultimamente sono andati nuovi incrementi, subito introitati e sistemati nei moderni e funzionali scaffali metallici. Esso ha meritato l'apprezzamento dal Ministero della P. I., che ha completato con altri scaffali e mobili diversi, indispensabili ai servizi (schedari metallici, tavoli di lettura, poltroncine, scaffalatura metallica) ed ha fornito importanti strumenti di studio e di consultazione (enciclopedia, intere collezioni librarie, pe-riodici culturali, ecc ... ).

Nella rinata biblioteca « Luigi Pascale » di Manfredonia tutto, dunque, sembra essere stato predisposto per il suo buon funzionamento, ma occorre sottolineare che, essendo la biblioteca pubblica un istituto della democrazia, le sue sorti sono affidate non soltanto alla sollecitudine e alla sensibilità delle autorità preposte al governo della civica amministrazione, ma a tutti i cittadini, i quali debbono amarla e frequentarla, considerandola uno strumento indispensabile del civico progresso.

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Chiosa per la pubblica libreria di Manfredonia L'indugio di oltre un anno con il quale si pubblica questo fascicolo,

consente di aggiungere qualche linea alla cronaca che precede. Sono trascorsi otto lustri da quando (1925) nell'archivio municipale di

Manfredonia, ove giaceva, affidato alle tarme e alla polvere burocratiche, rinvenni il fondo monastico dell'O.F.M. e promossi, realizzandola con il vecchio Luigi Pascale, la prima raccolta bibliografica cittadina « a porte aperte ». Otto lustri di carenza dei poteri pubblici nell'associare la mente locale al progresso univer-sale: un lento corrosivo scorrere del tempo sul problema di quella primordiale civica libreria, sempre agitato, mai prima di oggi risolto.

Pietà di patria e prudenza politica hanno trattenuto gli odierni amministratori della cosa pubblica sipontina e la stampa fiancheggiatrice dal mortificare la Cittadinanza con la cronistoria di quell'Istituto, dalla quale sarebbero emerse molte e non lievi responsabilità individuali e collettive. Purtuttavia l'odierno insediamento sollecita un più disteso discorso, risalente alle lontane premesse, e che può svolgersi senza ipocriti autolimiti. Siamo infatti psicologicamente molto lontani dalla temperie in cui sono trascorsi i quarant'anni della infelice creatura, che sembra sbocciata da un ardore giovanile di mezza estate ma, come ogni altra istituzione civile, è prodotto di un lavorio storico, non facilmente percettibile, meritevole di essere meglio conosciuto, per un giudizio definitivo.

La nuova Manfredonia - alle cui sorti molti collaborano, sebbene non tutti investiti di uffici e privilegi -, ha mostrato di voler criticamente ripensare ì suoi sette secoli di fondazione, celebrandola nella fastica ricorrenza del 1963: riprenda il filo delle rievocazioni, interrotte alla catarsi sveva, e, arrivando al Settecento, raccolga i segni premonitori e poi, progredendo, anche le testimo- nianze più autorevoli della vita morale e dell'attività culturale cittadina; infine, dalle pagine delle rivoluzioni meridionali ricavi gli auspici che, non del tutto compressi dalla politica piemontese, sono stati raccolti dalle presenti generazioni.

Delineare la fisionomia di questa biblioteca, e con lo stato anagrafico e l'inventario inserirla nella cornice, la più ampia possibile, della locale storia della cultura: ecco un'aspirazione e un invito che interpretano, ne siam certi, il senti- mento del tempo tra il popolo sipontino.

Il trasferimento della modesta libreria dall'angusto deposito di Palazzo San Domenico all'arioso primo piano di Palazzo Rosa, non fa passare agli atti la pratica dell'Istituto. Ne derivano, invece, una serie di ulteriori soluzioni, che non si esauriscono nell'incremento dell'attrezzatura metallica, né in quello della suppellettile libraria. Resta in amara eredità all'assessore della P.I., preside Cristanziano Serricchio, la liquidazione di un vistoso passivo costituito: a) dalla mancanza di un piano razionale di lavoro, di una commissione consultiva e di un biblio-

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tecario di ruolo, deficit non alleviato nemmeno da « possibilità » del regolamen-to, che risale a molti anni or sono; b) dalla spesa inserita nel bilancio comunale, tuttora esigua, ed appena sufficiente a stipendiare gli impiegati; c) dallo stato del patrimonio bibliografico, in larghissima parte bisognevole di restauro e di rilegature. Né molto a lungo, come ci autorizza a ritenere il suo zelo, egli vorrà procrastinare lo svolgimento di quelle iniziative, che la ragione dei tempi nuovi sollecita dalle biblioteche, rivolta a farle conoscere nella loro storia, consistenza, organizzazione, funzionalità e a farle arricchire e potenziare, sì da renderle, più che succursali di obitori, forze determinanti del buon governo locale.

MARIO SIMONE

NOTA BIBLIOGRAFICA - Per una storia a farsi del «travaglio biblioteconomico»

di Manfredonia, pubblico alcune tra le schede più recenti del repertorio bibliografico presso il Centro di Cultura Popolare e Biblioteca «Antonio Simone» di quella Città: Trasferimento della B. C. dì M., ne «Il Giornale d'Italia » (Roma) 8 dic. 1942; MARIO SIMONE, Per la B. C. di M., in « Azione Meridionale » (Bari) 16 febbr. 1947; Si vorrebbe sfrattare la B. C. per installarvi, niente di meno,, che i sindacati liberi, ne « L'Unità » (Roma) 17 apr. 1947; La B. C. di M. relegata in una stanza di Palazzo S. Domenico, ne « Il Messaggero » (Roma) 7 mag. 1949; A proposito di B. è severamente vietato criticare la Giunta Comunale, in « Avanti! » (Roma) 10 nov. 1950; Occorre sistemare la B. di M., ne « Il Quotidiano » (Roma) 20 nov. 1955; ANTONIO CATERINO (a cura di), Servizio bibliografico in Puglia e Lucania, Bari, Tip. Favia, s.d. [ma 1950], pp. 110-1; MATTEO DI SABATO, La B. C. di M. in una edizione della Soprintendenza Bibliografica, ne «Il Mattino» (Napoli) 14 apr. 1961; [MARIO SI-MONE], Eterni problemi di M. - La B. C. ha bisogno di tutto: attrezzatura, libri, schedari e impiegati, ne « Il Mattino » (Napoli), 24 sett. 1961.

Dovere di cronista e di amico impone di ricordare l'apporto dato all'incremento e alla conoscenza della Civica « Pascale » dai professori Beniamino d'Ama. to e Michele Fuiano. Con il primo, soprintendente bibliografico di Puglia e Lucania subito dopo la « Liberazione », don Mastrobuoni ed io demmo la prima spinta alla rinascita dell'Istituto, confortati dalla presenza del concittadino e sodale dott. Carlo Frattarolo al M.ro della P. L; all'altro, libero docente nell'Università di Napoli, dobbiamo la discussione di alcune tesi di laurea sulle pubbliche biblioteche daune: una sulla « Pascale » di uno studente montanaro, che non siamo riusciti a rintracciare («La storia della B. C. di Manfredonia e i suoi antichi e interessanti volumi »); due sulla « Provinciale », altre sulle « Civiche » di Lucera, San Severo e Torremaggiore.

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INDICE GENERALE DELL'ANNATA 1964

A) PER AUTORI

ALTAMURA, Antonio. Agostino Gervasio e gli studi umanistici dell'Ottocento. - 1-6, I, p. 41-44.

BIBLIOTECHE DAUNE. La civica « Luigi Pascale » di Manfredonia. Inaugurazione della nuova sede. - 1-6, II, p. 99; Serricchio, Cristianziano. - 1-6, II, p. 100-102; Caterino, Antonio. - 1-6, II, p. 102-105; Mazzaracchio, Nicola. - 1-6, II, p. 105-107.

CAMPO, Girolamo. Profilo economico di Manfredonia. - 1-6, I, p. 77-89. CANDURA, Giovanni. Per un istituto di Genio Rurale in Foggia. - 1-6, I, p.

105-110. CELUZZA, Angelo. La Capitanata alla «Mostra dell'Arte in Puglia dal tardo Antico

al Rococò ». - 1-6, I, p. 91-93; Realtà, esigenze e prospettive della « Provinciale » di Foggia. - 1-6, II, p. 1-14.

CERZA, Ermete. Documenti e monografie della Biblioteca Provinciale di Foggia: Pre-sentazione. - 1-6, I, p. 95-96.

D. L. Concorso « Il Carciofo d'Oro ». - 1-6, I, p. 104. Di CICCO, Pasquale. Documenti su Giuseppe Rosati nell'Archivio di Stato di Foggia. -

1-6, II, p. 31-38. Di FALCO, Marcello. Appunti per la redazione di un piano decennale per lo sviluppo di

Foggia. - 1-6, I, p. 111-124. ELENCO dei manoscritti di Giuseppe Rosati posseduti dalla Biblioteca Provinciale di

Foggia. - 1-6, II, p. 39. GENTILE, Carlo, L'Enciclopedico senza enciclopedia. - 1-6, II, p. 25-30. « GIUSTIZIA NUOVA ». Le deformazioni dello Stato contemporaneo in una conferenza

di Michele Cifarelli. - 1-6, I, p. 103-104. LUCERA. Approvato il bilancio di previsione. - 1-6, I, p. 147-148. MANFREDONIA. Liberazione e scuole media: il Liceo scientifico « Galilei ». - 1-6, I,

p. 143. « MASTRO » (IL). La XV Fiera dell'Agricoltura in Foggia. - 1-6, I, p. 125-127. MELILLO, Michele. Come vivono e come parlano sul Gargano. 1-6, I, p. 45-63. PICCONE, Gaetano. La figura, la vita e l'insegnamento di Rosati. - 1-6, II, p. 18-24. SCARDACCIONE, Decio. Realtà e prospettive di sviluppo dell'agricoltura in

Capitanata. - 1-6, p. 39. SCHEDARIO. Fondo « Regno di Napoli-Puglia-Capitanata » posseduto dalla Biblioteca

Provinciale di Foggia. - 1-6, II, p. 41-46; Nuove accessioni. - 1-6, p. 47-94; Indice alfabetico per autori. - 1-6, II, p. 95-98.

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SCIORTINO, Giuseppe. Arte contemporanea a Trinitapoli. - 1-6, pp. 89-90. SIMONE, Mario. Diario 1799-1829 di Ascoli Satriano. Premesse alle notazioni. - 1-6,

I, pp. 96-99; Il « Libro Rosso » della Città di Foggia. - 1-6, I, p. 100. SOCCIO , Pasquale. L'anno di Galilei. Metodo e tempo. - 1-6, I, p. 1-6. TAMBURRANO, Luigi. La Capitanata negli scritti di Tommaso Fiore. - 1-6, I, p.

65-76. TARONNA, Mario. Questo splendido «Foggia » 1-6, p. 140,142. TERENZIO, Vincenzo. Onoranze alla memoria di Nicola Zingarelli. - 1-6, I, p.

93-94. TEDESCHI Giuseppe Antonio e Ermenegildo. Diario 1799-1829 di Ascoli

Satriano. -1-6, I, p. 95.99. TIBOLLO, Attilio. Sul foggiano Giuseppe Rosati. Le onoranze di Foggia. - 1-6, II,

p. 15-17. VANIA, Savino, Programma della nuova Giunta Provinciale. - 1-6, I, p. 129-139.

B) PER MATERIA

AGRICOLTURA. Capitanata. - 1-6, p. 7-39. BIBLIOTECA PROVINCIALE FOGGIA. «Documenti e Monografie». -

1-6, I, 95; Esigenze e prospettive. - 1-6, II, p. 1-14; Fondo «Regno di Napoli-Puglia-Capitanata». Schede. - 1-6, II, p. 41-46; Lettura e prestiti, 1963-1964; Dati statistici. - 1-6, II, 9-14; Nuove accessioni. Schede. - 1-6-II, p. 47.94.

CAPITANATA. Arte, sec. XI-XVIII. - 1-6, I, p. 91-93; Scritti di Tommaso Fiore. -1-6, I, p. 65-75.

FIERA (XV) Di FOGGIA. - 1-6, p. 125-127. FIORE TOMMASO e CAPITANATA. Studio critico-bibliografico. - 1-6, I, p.

65-75. FOGGIA. Festa della Liberazione. - 1-6, I, p. 146-147; «Libro Rosso». - 1-6, I,

p. 100. Programmazione, «Piano Decennale di sviluppo». - 1-6, I, p. 111-124.

FONDO «Regno di Napoli: Puglia-Capitanata». Schede. GALILEI, GALILEO. 1-6, I, p. 1-6. GARGANO. Dialetti. 1-6, p. 45-63. GERVASIO AGOSTINO. - 1-6, I, p. 41-44. ISTITUTO UNIVERSITARIO Di GENIO RURALE. Foggia. - 1-6, I, p.

105-110. « LIBRO ROSSO » DELLA CITTA, Di FOGGIA. - 1-6, I, p. 100. LUCERA. Bilancio di previsione 1964. - 1-6, I, p. 147-148. MANFREDONIA. Biblioteca Comunale «L. Pascale» inaugurazione nuova

sede. - 1-6, II, p. 99-107; Economia. - 1-6, p. 67; Scuole Medie. - 1-6, I, p. 143.

« MOSTRA DELL'ARTE IN PUGLIA DAL TARDO ANTICO AL ROCOCO’ ». BARI. Contributo della Capitanata. - 1-6, I, p. 91-93.

ROSATI GIUSEPPE. Centocinquantesimo anniversario della morte, onoranze. - 1-6, II, p. 15-38; Bibliografia. - 1-6, II, p. 39-40.

SOCIETA’ DAUNA DI CULTURA. Riordinamento. - 1-6, I, p. 101-102. SPORT. CALCIO. UNIONE SPORTIVA FOGGIA. Cronache e ricordi. -

1-6, I, p. 140-142. TRINITAPOLI. Concorso « Il Carciofo d'Oro ». - 1-6, I, p. 104; Mostra

d'Arte contemporanea. - 1-6, I, p. 89-90. ZINGARELLI NICOLA. Onoranze, 1964. - 1-6, I, p. 93194.

la Capitanata Rassegna di vita e di studi della Provincia di Foggia

Direttore responsabile: dott. Angelo Celuzza, direttore ff. della Biblioteca Provinciale.

Direzione tecnica dello Studio Editoriale Dauno - Tipografia Laurenziana - Napoli.

Autorizzazioni del Tribunale di Foggia 6 giugno 1962 e 16 aprile 1963. Registrazione

presso la Cancelleria del Tribunale di Foggia al n. 150.

I

I N D I C E

ANGELO CELUZZA: Realtà, esigenze e prospettive della "Pro vinciale" di Foggia (9 tabelle statistiche e 2 grafici) . . PAG.1 SUL FOGGIANO GIUSEPPE ROSATI - Ricerche storico bibliografiche nel CL della sua morte ATTILIO TIBOLLO: Le onoranze di Foggia . . . . . » 15 GAETANO PICCONE: La figura, la vita e l'insegnamento del Rosati » 18 CARLO GENTILE: L'enciclopedico senza enciclopedia . » 25 PASQUALE DI CICCO: Documenti su Giuseppe Rosati nell'Ar

chivio di Stato di Foggia . . . . . . . . » 31 Elenco dei manoscritti di Giuseppe Rosati posseduti dalla Biblioteca Provinciale di Foggia . . . . . . » 39 Scritti di e su Rosati . . . . . . . . . . » 40 SCHEDARIO - 1) Fondo "Regno di Napoli-Puglia-Capitana ta, posseduto dalla Biblioteca Provinciale di Foggia (con tinuazione); 2) nuove accessioni (continuazione) . » 41 BIBLIOTECHE DAUNE - La civica "Luigi Pascale" di Manfredonia - Inaugurazione della nuova sede . . . » 99 MARIO SIMONE: Chiosa per la pubblica Libreria di Man- fredonia » 108

I L L U S T R A Z I O N I

LA « PROVINCIALE » DI FOGGIA: 1) Ufficio della Direzione; 2) Sala dei cataloghi (tav. I) - IDEM: 1) Sala di consultazione « Angelo Fraccacreta »; 2) Sala di lettura «Nicola Zingarelli » (tav. II) - IDEM: Lettori in sede (tav. III) - Prestito a domicilio e con altre biblioteche (tav. IV) - FOGGIA A GIUSEPPE ROSATI: Monumento sepolcrale nel Duomo normanno (tav. V) - Autografo del Rosati posseduto dall'Archivio di Stato di Foggia (tav. VI) - Frontespizio di « cartaceo » posseduto dalla Biblioteca Provinciale di Foggia (tav. VII) - Tavole disegnate dal Rosati per « Elementi della navigazione » (tav. VIII) - PATRONI DELLA CIVICA « PASCALE » DI MANFREDONIA: Michele Bellucci, Luigi Pascale, Silvestro Mastrobuoni, Antonio Simone (tav. IX) - IDEM: Cenni biografici dei predetti (tav. X) - LA CIVICA « PASCALE » IN NUOVA SEDE: 1) Nel salone municipale il dott. Mazzaracchio conclude la manifestazione di Palazzo S. Domenico; 2) S.E. l’Arcivescovo, mons. Cesarano, e il dott. Mazzaracchio all’ingresso della Biblioteca (tav. XI) – 2) Aspetti della sala di consultazione (tav. XII).