LA CAPITANATA - Biblioteca Provinciale di Foggia La Magna ... · «la Capitanata» è distribuita...

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LA CAPITANATARivista quadrimestrale della Biblioteca Provinciale di FoggiaDirettore: Franco MercurioSegretaria di redazione: Maria Adele La TorrettaRedazione e amministrazione: «la Capitanata», viale Michelangelo 1, 71100 Foggiatel. 0881-791621; fax 0881-636881; e-mail: [email protected]

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“LA MAGNA CAPITANA”BIBLIOTECA PROVINCIALE DI FOGGIAè un servizio della Provincia di FoggiaPresidente: Carmine StalloneDirettore: Franco Mercurio, [email protected]

Authority catalografica: Gabriella Berardi, [email protected] editoriale: Elena Infantini, [email protected] logistica: Gino Vallario, [email protected] informatica: Antonio Perrelli, [email protected]: Centri di documentazione: Enrica Fatigato, [email protected]: Franco Corbo, [email protected] antichi e speciali: Antonio Ventura, [email protected] Narrativa: Annalisa Scillitani, scillitani @bibliotecaprovinciale.foggia.itSala Consultazione: Maria Altobella, [email protected] Ragazzi: Milena Tancredi, [email protected]

Erba curvata dal vento (… grano, canneti della costa o delle zone paludose…) e il terso cielo stellato sono elementisimbolicamente connotativi del nostro territorio. La dicitura A.D. 2000, insieme alla scritta ex-libris mutuata daMichele Vocino, rappresentano la volontà di tenere sempre presente il collegamento tra passato, presente e futurosenza soluzione di continuità. Questo ex-libris che d’ora in poi caratterizzerà i documenti posseduti dalla BibliotecaProvinciale, è stato per noi elaborato da “Red Hot - laboratorio di idee e comunicazione d’impresa” e da loro gentil-mente donato.Red Hot: Gianluca Fiano, Saverio Mazzone, Andrea Pacilli e Lorenzo Trigiani. Manfredonia, a.d. 2000.

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LA CAPITANATARASSEGNA

DI VITA E DI STUDIDELLA PROVINCIA

DI FOGGIA_______________

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Ottobre 2005

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Indice

In ricordo di Matteo Salvatore

p. 11 Il mio amico Matteodi Angelo Cavallo

Frontiere della Capitanata

21 L’itinerario poetico di Donato Cocodi Antonio Vigilante

Presente come cultura

31 Dal Mediterraneo a Leopardi. Quattro libri di Franco Cassanodi Francesco Giuliani

1. Il peso della spada2. Il pensiero meridiano3. L’Italia debole ma forte4. Il difficile equilibrio5. Leopardi: dai massimi ai minimi sistemi

Saggi

59 I Consigli provinciali e distrettuali di Capitanata (1808-1860)di Pasquale e Tiziana di Cicco

1. Premessa2. Nomina, composizione, competenza3. Necessità e speranze nei verbali consiliari4. Consigli nell’epoca ferdinandea5. I voti dei Consigli6. Appendice

101 L’impegno politico e culturale di Tommaso Fiore:memoria di un amico a trent’anni dalla mortedi Giuseppe De Matteis

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113 Il Ms. Casin. 218 dell’Abbazia di Montecassino.Studio codicologico, paleografico, testualedi Tommaso Palermo

1. Analisi codicologica del manoscritto2. Analisi paleografica del manoscritto3. Analisi sillabica e ortografica4. Analisi della punteggiatura

131 Mattinata e la guerra di Spagnadi Luigi Gatta

1. La guerra di Spagna (1936-1939)2. Michele Rignanese (1897-1937)3. Michele Rignanese: “Morire per la libertà del mondo”4. Matteo Rignanese: alla ricerca dello zio antifranchista

143 Dalla poetica della “terra” alla traduzione:Umberto Fraccacreta e Marthe Yvonne Lenoirdi Antonella Iacobbe

157 Julia Kavanagh nelle Due Siciliedi Rosanna Curci

1. Introduzione2. Il diario di viaggio

169 Il processo contro Firenze ne la Procìna del XIII secolotra palazzi e domus imperiali di Capitanatadi Felice Clima

1. Il Castellum2. La caccia al cinghiale3. La corte4. Il borgo5. Gli altri ospiti6. Madonna Angiola7. Le inchieste a Siena di Ser Guidotto; a Firenze del Giudice Pellegrino8. Le aree d’attorno alla Domus9. La sentenza10. Appendice

187 Il sistema analogico del primo tempo luzianodi Luigi Paglia

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Attività della Biblioteca

203 Il trionfo della castità di Santo Alessio.Il dramma religioso come antenato dell’opera buffadi Grazia Carbonella

1. Introduzione2. Il libretto3. Arie4. Concertati5. Conclusioni

Recensioni

217 Cristanziano Serricchio: Siponto-Manfredoniadi Pasquale di Cicco

219 Studi in onore di Michele Dell’Aquiladi Luigi Paglia

Gli autori

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In ricordo di Matteo Salvatore

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Angelo Cavallo

Il mio amico Matteodi Angelo Cavallo

L’Apricena di Matteo Salvatore nel ventennio fascista è il sole alto dellacontrora, case bianche e sciami di mosche, tante. Strade polverose, uomini sedutisull’uscio delle case, che aspettano, niente. I buoni: la povera gente. I cattivi: ricchia bordo del king (carozza) che al loro passare alzano polvere e si divertono a gettaresoldi ai bambini per vedere come si azzuffano. Ambientazione da Tex-Mex, insce-nata negli spaghetti-western. Apricena con le sue cave è la linea di demarcazione tramontagna e tavoliere.

Tra i poveri, i Salvatore soprannominati i Zicozico, sono tremendi. Il padrefacchino quando può, la mamma chiede l’elemosina nei vicini paesi. Matteo insie-me ai suoi fratelli e compagni di strada vive e gioca scalzo nella piazza. Non ci sonoorari da rispettare per il pranzo e la cena, perché non c’è niente da mangiare. Qual-che verdura rubata nei campi e poi bollita, la carne ed i maccheroni sono un sognoad occhi aperti. Una sorella muore per denutrizione.

Il padre va in galera. Al carcere di Lucera viene messo in cella con GiuseppeDi Vittorio. I due insieme compongono Evviva la Repubblica, una marcetta teneranei testi. Verrà incisa da Matteo Salvatore nel disco “Il lamento dei mendicanti”.

Per noia, di pomeriggio va da un vecchio cieco suonatore di violino per im-parare a suonare la chitarra. Servirà ad arrotondare qualche soldo, portando conVincenzo Pizzicoli, il vecchio cieco, le serenate alle finestre. Fa il garzone in bottegae anche il banditore comunale. Suonerà il corno per annunciare che la carne dellamacelleria di Pasquale Camicialonga è buona e di diverse qualità per tutte le tasche,tranne che per i poveretti a cui rimane la pelle, la testa e le ossa tutte insieme (bandodella carne).

Farà tutti i lavori precari possibili: bracciante, trasportatore di blocchi di pie-tra, facchino. I giochi d’infanzia, i girotondi, la costruzione dell’aquilone, divente-ranno canzoni come Girotondo pugliese e La cometa. Dall’esperienza di bracciantecomporrà Lu soprastante. Dalle parole della mamma M’ha ditto mamma mia. L’ar-tista non uscirà più dal suo unico mondo di riferimento, quello della povera gente.Per lui la scala sociale non ha parole complesse come proletariato, piccola borghe-sia, borghesia, aristocrazia. Esistono i ricchi potenti e i poveri. Nel mezzo ad indi-care il ceto medio, ci sono “gli impiegatucci del comune che non sono né ricchi e népoveri”.

Quando arriva l’età per l’emigrazione, la meta è Roma. Da questo momentoin poi nulla più ispirerà le composizioni del futuro cantore. Ogni ballata è un ricor-

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Il mio amico Matteo

do tra il 1925 e i primi anni ‘50. Poi la cassetta dei ricordi viene sigillata. Lu Pugliesea Roma è l’unica ballata fuori dai ricordi e dalla vita ad Apricena. Persino le ultimecomposizioni scritte anni fa e che furono incise per Stampa Alternativa, come Lupensionato, Arrucunete, Sempre poveri sono quella Apricena nella memoria del vec-chio cantastorie.

Ritorna ad Apricena con i due figli Lazzaro e Enza e la moglie Ida per unbreve periodo. La casa è uno stanzone nella villa comunale, messo a disposizio-ne dall’amministrazione, per la grave indigenza familiare. L’irrequietezza lo portaa vivere in Liguria e poi a Milano, per stabilirsi definitivamente nella Capitale.

A Roma ci arriva con il “traino-stop” e impiega venti giorni. Lì nelle cave divalle Aurelia trova lavoro e casa in una baracca. Una donna del suo paese lo convin-ce a cantare nelle trattorie romane, gli compra una chitarra, dei nuovi pantaloni e gliaugura buona fortuna.

E arriva la fortuna: naturalmente arriva di sera. In una di queste trattorieincontra Claudio Villa. Canta al suo tavolo le canzoni di Roberto Murolo, ma ilreuccio si accorge che Matteo non è napoletano. Lo convince a cantare in pugliese,negli stessi anni in cui Domenico Modugno canta in siciliano. Scatta la sua creativi-tà geniale. Decide di comporre testi e musiche, ballate che nascono ispirate dal ri-cordo. La purezza di stile singolare della musica di Matteo Salvatore non sarà piùcondizionata dai tanti cambiamenti e mode musicali per tutto il corso della sua vita.Mi minore, Si settimo, La minore. Sono le note delle canzoni più struggenti. Il Domaggiore, il Si per le ballate allegre. La maggiore, Mi maggiore e Re maggiore percomporre una tra le ballate più significative del suo repertorio: Padrone mio ti vo-glio arricchire.

A proposito del canto politico Vinicio Capossela in una intervista di SilviaBoschero per «l’Unità» del 30 aprile 2003 dice: “Ogni nostra scelta è un atto politi-co. C’è una tradizione molto nobile di canzoni politiche, rispetto il lavoro dei can-tautori ma ci sono sorgenti popolari molto più interessanti. La canzone più vicina aquesto sentimento l’ha scritta Matteo Salvatore - Padrone mio ti voglio arricchire,se mi comporto male picchiami, basta che ho il pane da portare ai miei figli - è unacanzone bellissima”.

Matteo incide per Claudio Villa e la Vis Radio i primi 78 giri. Le canzonisono allegre e a doppio senso. È la prima volta che si sente cantare in dialetto pugliesealla radio. Ad Apricena intanto arriva la notizia che Matteo Zicozico sta diventan-do famoso. Nei bar del paese risuonano le sue ballate, come in quel struggente 29agosto 2005, giorno del suo ritorno al paese, dentro la bara. La Discoteca di Statoincide il cantore, le canzoni sono Le serve rivali e Il carrettiere. Partecipa a filmcome Uomini e lupi.

Iniziano i primi concerti sporadici, sono soprattutto feste dell’Unità nelleprovince di Foggia e Bari. Va in America tre volte per suonare dinanzi alle comuni-tà di emigranti. Negli spettacoli fa il primo tempo, il secondo è per calibri dellamelodia italiana come Claudio Villa e Domenico Modugno e anche una giovanePatty Pravo. Lì nella veste un po’ da giullare, si aspettano il comico Matteo Salvato-

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Angelo Cavallo

re, una sorta di Totò Pugliese. Le prime incisioni in verità fanno pensare ad unpersonaggio comico e scanzonato. La lucente brillantezza delle sue composizionipiù profonde devono essere ancora scoperte ed apprezzate.

In quegli anni freme per sistemare la sua famiglia. Nascono Franco e Mar-gherita. La moglie Ida lo aiuta nelle composizioni, sa scrivere, ed è per lui unavalida collaboratrice che mette ordine a musiche e parole. Dopo l’esperienza conla Vis radio continua a sfornare e incidere ballate per varie etichette discografichecome la Combo Record, Criket, Tank Record, Universal, Vedette Records, Ami-co, Cetra, Cicala, Dischi del Sole, Quadrifoglio, Up international, Variety. Matteoha una compagna, non più segreta. È la sua corista Adriana Doriani. Il successo,la famiglia, l’amore si intrecciano negli anni ‘60. La sua famiglia decide di stabilir-la a Milano, lui torna a Roma. Gli anni ‘60 sono gli anni più prolifici non solo perle tantissime incisioni. La RAI dedica interi programmi sia radiofonici che televi-sivi alla musica del sud Italia, di cui Matteo Salvatore è diventato il protagonistaassoluto. Il cantante naif, “poeta dei poveri” come lui stesso si descriveva neimanifesti pubblicitari sarà sempre attento al rispetto della sua terra d’origine. Ri-spetto anche nelle priorità. Sotto il suo nome scrive: Il cantante di Apricena,Gargano, Foggia, Puglie.

Quando si accorgono di lui Giangiacomo Feltrinelli, Italo Calvino, il senato-re del P.C.I. Franco Antonicelli, Matteo è un icona contesa nei salotti intellettuali diRoma e di Torino. Suonava nei salotti Matteo, una sua caratteristica che più avantinegli anni bui lo farà sopravvivere alla penuria di concerti pubblici. Le 4 stagioni delGargano è la consacrazione massima. Le foto all’interno sono di Ferruccio Castro-nuovo, aiuto regista di Federico Fellini, originario di Vico del Gargano. Edito daRCA e Sorrisi&Canzoni. Il nobile cofanetto che contiene i quattro 33 giri rimarràper sempre il pezzo da collezione più ambito tra i suoi fans.

Matteo forse, sperpera i soldi; è anche molto generoso, ha voglia di abbon-danza e di frigoriferi sempre pieni. Il riscatto è ora, la carne e i maccheroni, mattinae sera.

Vive l’amore passionale con Adriana. Ma i soldi, i tanti soldi non li hafatti. “Mai li farai”, gli dirà il fratello Umberto, “se continui a farti imbrogliaredalle case discografiche”. Fa i conti e tra diritti e royalties credeva di guadagna-re di più. Escogita un piano: ritira i master delle incisioni e li vende a più disco-grafici. Ognuno di loro ha un contratto di esclusiva con lui firmato. A Matteonon importa niente, anche se lo denunciano. Subirà anche atti di pignoramento.Ma la sua mobilia non ha valore ed è sempre in case d’affitto. Escono contem-poraneamente e per più case discografiche i dischi di Matteo Salvatore con lestesse ballate.

Iniziano gli anni della contestazione. Ivan Della Mea, Paolo Pietrangeli, Gio-vanna Marini sono i protagonisti del canto politico. Anche Matteo Salvatore, no-nostante non abbia mai usato nei testi la falce ed il martello, parole come lotta,cortei, viene identificato in quel filone. Lui il cantante della rassegnazione, di can-zoni senza soluzioni politiche sempre con i tre accordi, il falsetto e le semplici

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Il mio amico Matteo

parole, canta Lu Sovrastante nel luogo e nel momento sbagliato, al Cantagiro. Lofischiano, lo criticano per aver abbandonato la sua purezza naif. Matteo era erimarrà ancora naif, ma sentiva di vivere ai margini del mercato discografico, no-nostante le tante incisioni. Il Beat, il canto politico in voga nei ‘60, i concerti-dibattiti nelle università non erano il suo mondo. Ma non si abbatte; quando fini-sce di svernare al Folk Studio di Roma torna a Foggia. Questa volta lo fa con lasua Dischi Etichetta di Apricena. Vende personalmente i suoi dischi ai negoziantidi Bari e Foggia.

Nel 1972, i CSC (Centro di servizi culturali) finanziati dalla Cassa del Mez-zogiorno, decisero di organizzare una serie di recital con Matteo Salvatore. Tra glianimatori un giovane, Gennaro Arbore, responsabile CSC divenuto poi fedele amicodi Matteo. A Foggia, il suo recapito è l’Hotel Sarti. Pianificava la sua esistenza pro-fessionale a Roma nei periodi invernali per stare vicino alla sede Rai e in primavera,sino all’autunno, a Foggia per eseguire concerti. In quegli anni, anche la CamerataBarese organizza spettacoli nei vari comuni della Provincia di Bari. Lo fa con MatteoSalvatore e Roberto Murolo. Io nel 1994 organizzai il tour di Murolo in Puglia,occasione nella quale i due si rincontrarono e Matteo ricorderà al maestro gli annidella tournèe con la Camerata Barese.

Passato il Beat, in Italia inizia l’era del progressiv dei primi anni ‘70. Nono-stante le tante incisioni Matteo non è arrivato al centro della musica. Ma in Italia staper accadere qualcosa; il folk revival, che servirà a portare l’attenzione musicaleverso il sud est Italiano, verso la terra nera, sino alle parole arcaiche di Matteo Sal-vatore, verso la Capitanata. Napoli aveva i suoi mandolini, i suoi cantori, fraseggimorbidi e parole gentili come mare, amore, cuore, barca. Noi avevamo Matteo,colui che ha avuto il coraggio di intitolare una ballata Brutta Cafona e che un gior-no invece di pensare a suonare al San Marino Festival fa una altra cosa. Era il set-tembre del 1973. Problemi giudiziari terranno il cantante lontano dalle scene, ospi-tato nel carcere di San Marino. Su Matteo pendeva una grave accusa: l’omicidio diAdriana Doriani.

Anni dopo, grazie ad amici come Renzo Arbore, Mariangela Melato e tantiartisti della RAI, viene organizzata una colletta sostanziosa, che permetterà allafamiglia Salvatore di incaricare un ottimo penalista del forum di Roma a riaprire ilcaso.

Dopo circa tre anni, riacquistata la libertà, Matteo Salvatore con la moglieIda raggiunge Foggia; promuovono un incontro con gli amici di Matteo pressol’Hotel Cicolella. In quella occasione, presentatomi da Gennaro Arbore, lo incon-trai per la prima volta. Avevo circa 16 anni ed ero un suo fan. Ancora una volta sonolì Gennaro Arbore, Arnaldo Santoro, vice segretario della Camera di Commercio,nonché animatore principale della Taverna del Gufo a Foggia. Matteo Salvatore habisogno di lavorare ed è li per questo. Gennaro Arbore parlò con il presidente dellaProvincia di Foggia, il dott. Michele Protano. Così, tra piazze e camping del Gargano,riuscì a racimolare soldi per la sua sopravvivenza.

Alla RAI di Roma Matteo non poteva metter piede dopo l’incidente di San

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Angelo Cavallo

Marino. Renzo Arbore gli consiglia di farsi vedere però giù ai bar della strada, salu-tare i dirigenti e non chiedere di lavorare. Il tempo o forse i tempi addolciranno irigori di una RAI fortemente clericale.

A Loano (Sv) in occasione del suo ultimo concerto del 29 luglio 2005, io eMatteo Salvatore incontriamo l’amico Enrico De Angelis, direttore artistico delPremio Tenco. Matteo ci partecipò in quegli anni. Io ed Enrico, anche con VinicioCapossela, si parlava spesso di un suo meritato ritorno.

Gli anni ’80 sono anni difficili per la musica d’impegno. Molti cantautoriabbandonano le ballad e curvano verso il commerciale, con band rock e concertida stadio. È l’epoca delle pop star. Matteo Salvatore vive solo a Roma. Ai primicaldi si trasferisce sul Gargano, alloggiando in piccole pensioni. Non fa concertipubblici, non c’è richiesta. Sono lontani gli anni del folk revival. Viene invitatosporadicamente a tenere recital in ville private. Tra le ville che lo hanno ospitatoanche quella di un giovane Pino Daniele. Tra le rare partecipazioni il Pistoia BluesFestival.

È in gran forma; nel 1985 aveva 60 anni quando lo rincontro. Viveva in unabaracca sul lungomare Enrico Mattei, nei pressi dell’Hotel Pizzomunno, a Vieste.Gli vado incontro e gli dico “Maestro che fai qui ?”. Non credo si ricordasse di me.E, come se non ci vedevamo solo da qualche ora, confidenzialmente iniziò a comu-nicare con quella sua parlantina veloce. Aveva un cane che chiamava “onorevole”.Mi dice che giorni addietro nel chiamare il suo cane si voltò il senatore Cariglia, checamminava più avanti sul lungomare, forse in vacanza all’Hotel Pizzomunno. Luigli disse “no non dico a Lei senatore, sto chiamando il mio cane”. Questo era untipico approccio alla Matteo. La gente pur non sapendo chi fosse, gradiva il suospirito da “capa fresca”.

Negli anni ’90, tra giugno e settembre, Matteo Salvatore viene ospitatoall’agriturismo Resega Royal di Vieste. Il proprietario, Valentino Di Rodi, diven-ta suo amico. In quegl’anni Angelo Cavallo e Matteo Salvatore stringono ulte-riormente i loro rapporti di amicizia. Coabitando addirittura in un residence. Fre-quentandosi intensamente sia d’inverno che d’estate. È una vera amicizia. Matteosi stabilisce prima a Mattinata e poi definitivamente a Foggia. Nel 1992 inizianole riprese del film Nelle carni del cantastorie, regia di Annie Alix. Quante glie neha fatte passare! Matteo era irrequieto ed imprevedibile. Le riprese, iniziate a giu-gno, si conclusero ad ottobre nella Capitale. In quegli anni esegue una serie diconcerti a Piazzetta Petrone di Vieste. Ingaggiato forfetariamente dalla AziendaAutonoma Soggiorno e Turismo, diretta dall’avv. Enzo D’Onofrio e da CarloNobile. Anni comunque di sopravvivenza. Qualche richiesta arrivava dalla Pro-vincia di Bari. Nessun giornale parlava di lui. I dischi erano introvabili. Il suoperenne girovagare non consentiva di rintracciarlo facilmente per chi lo avessevoluto ad un recital.

Nel mondo della musica qualcosa sta cambiando. Fabrizio De Andrè, conl’album “Cruza de mar” dà il via al filone etnico sull’onda di ciò che accade nelmondo. La scoperta o riscoperta della musica alle periferie della terra. Gli Agricantus,

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Il mio amico Matteo

i Tenores De Bitti, gli Al Darawish sono tra i primi fermenti italiani. Matteo Salva-tore ignaro, persevera a crearsi manifesti e lettere pubblicitarie di scarsa levatura,dirette a destinatari ormai privi di ogni potere decisionale.

L’Amministrazione Provinciale con a capo il prof. Antonio Pellegrino e l’As-sessorato alla cultura diretto dalla prof.ssa Valeria de Trino Galante puntano sullacultura quale valore intrinseco della crescita della Comunità di Capitanata. L’iden-tità culturale locale è l’investimento primordiale. Tra le varie iniziative vieneomaggiato Matteo Salvatore nel settembre 1995. Dinanzi ad una Piazza XX Set-tembre stracolma di gente. Ospiti della serata artisti della musica partenopea, tracui Eugenio Bennato, Enzo Gragnaniello, Daniele Sepe.

In seguito, gli artisti lo omaggeranno nei loro dischi e spesso il nome di MatteoSalvatore verrà da loro citato nelle piazze italiane, quale fonte di inesauribile cultu-ra popolare. Io e Matteo, qualche periodo dopo, decidiamo di metterci a lavorareinsieme. Mi rendo conto dello spessore musicale che ho ereditato.

Matteo Salvatore. La Luna aggira il mondo e voi dormite. Autobiografia rac-contata ad Angelo Cavallo, in allegato il CD con ballate inedite, edito da StampaAlternativa e patrocinato dalla Amministrazione Provinciale di Foggia e dalla Agen-zia per la Cultura, è il gradino che permetterà a Matteo Salvatore di ritornare a farparlare di sé. Si accorgono di lui giornali musicali giovanili. Riscrivono di lui testategiornalistiche importanti. Inizia un periodo felice.

Giriamo per librerie ed auditorium in Italia, tra cui quello di Renzo Piano aRoma. Ogni data è un trionfo. La comunicazione sul libro permette di attivare icanali giusti. Sergio Staino, il papà di Bobo, il mitico personaggio fumetto de «l’Uni-tà», lo vuole per chiudere la rassegna etnica della città di Firenze. Napoli: agli spaltidel Maschio Angioino, Matteo Salvatore è in rassegna con Gilberto Gil (cantautoree Ministro della cultura brasiliana). Radio popolare dedica un’intera trasmissione,poi omaggia l’artista con un suo concerto a Milano. A “Storienville”, programmaRai Radio Tre, un’intera settimana è dedicata al libro e a Matteo Salvatore. A BariMatteo rincontra alla Facoltà di Lingue i suoi vecchi compagni di lavoro in Rai, tracui un commosso Vito Signorile; memorabile fu il concerto serale. A Tivoli la pre-senza del maestro è richiesta da appassionati di jazz. “Sono cresciuto a pane, JohnColtrane e Matteo Salvatore” mi confesserà il critico jazz Enzo Pavone.

Era “sciamano” Matteo. Quando diceva una cosa raramente non si avverava.L’acquazzone a Barletta del 2002 alle 20.30 lasciava poche speranze al recital cheavrebbe dovuto tenere. Ma lui per niente preoccupato mi dice che non aveva maipiovuto ad un suo concerto e mi tranquillizza dicendomi che sarebbe uscito il sole.Fece il concerto in perfetto orario. La casa editrice Stampa Alternativa mi comuni-ca che probabilmente riceverò una telefonata dalla redazione del Maurizio CostanzoShow. Matteo sarebbe dovuto andare in trasmissione per pubblicizzare il libro. Luimi disse: “Vedrai che non andremo, ho litigato anni fa con Maurizio, non mi chia-ma”. Telefonò dalla redazione una signora la quale mi espose le sue perplessità nel-l’ospitare Matteo, poiché la trasmissione aveva bisogno di personaggi brillanti. Io ledissi che più brillante di Matteo e della sua età è difficile trovarne altri. Gli dico

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Angelo Cavallo

“signora il maestro è qui con me, ora glielo passo”. Matteo prese la cornetta e ilcorno e gli fece il bando. La signora rise. Noi di più perché assistevamo alla scena;Matteo era in piedi sulla sedia. Quando finì le disse: “Se avita capisciuta avitacapisciuta e se n’avita capisciuta, non capiscite chiù”. Non partecipò al MaurizioCostanzo Show.

Più giriamo più mi accorgo di quanti appassionati della sua musica ci sono ingiro. Quanti giovani lo conoscono per la prima volta. L’esperienza con VinicioCapossela ha il suo apice nel concerto di “Chi tiene polvere spara”, eseguito il 9luglio del 2004 al Parco della Pellerina di Torino. Dinanzi a 25.000 spettatori sulpalco ci sono: Matteo Salvatore, Flaco Jemenez (Buena Vista Social Club), RoyPaci, Vinicio Capossela, Marc Ribot & Mistery Trio, Shane Mac Gowan & thePopes.

“Craj”, lo spettacolo sulla musica Pugliese, ci viene proposto da Teresa DeSio quando Matteo Salvatore è ridotto a utilizzare la sedia a rotelle per via di unictus. La sua volontà è di proseguire a fare concerti “sino alla fine come Modugno”,mi diceva. Aveva smesso di farci ridere, di raccontare aneddoti, aveva ovvie ragioni.Nella sua casa di via Capozzi, le sere ci riunivamo attorno al tavolo. Era consuetu-dine e abitudine andare lì. Io, Ninni Maina, paziente “burocrate” delle sue carte equasi un toccasana nell’espletamento delle procedure per il riconoscimento dei di-ritti previdenziali ed assistenziali a favore del grande Maestro. Gennaro Arbore, igiovani Mimmo Rendine (mio cognato) e Nicola Briuolo unici allievi di Matteo.Tanti ricoveri, un diabete che lo tormentava, la bronchite cronica, insufficienza re-spiratoria.

Chi ha influenzato quel modo di verseggiare e suonare che accomuna unprimo Domenico Modugno (Polignano a Mare), prima maniera, Enzo Del Re(cantastorie di Mola di Bari) e Matteo Salvatore (Apricena)? La tradizione musicaleorale contadina pugliese ha riferimenti completamente diversi. Si canta in sonetti, siusano tammorra, chitarre battenti e castagnole. Strumenti e melodie mai entrate nelrepertorio di Matteo Salvatore. Antonio Infantino, musicista ed etnomusicologoconferma il mio sospetto. C’era un vecchio cantastorie cieco che tra gli anni ‘30 e’50; girava i mercati della provincia di Foggia e Bari. È però storia troppo recenteper appassionare i dotti della etnomusicologia come Roberto Leydi, più attenti inquegli anni ‘50 a fenomeni arcaici come il tarantismo e la tarantella del Gargano.

Matteo Salvatore è senza dubbio la letteratura pugliese. È la singolarità ge-niale di un artista che ha saputo raccontare al suo pubblico “il lamento dei mendi-canti”. Aveva saggia conoscenza musicale, chi lo invitava a fare un recital. Lui chenon faceva tarantelle e bisognava ascoltarlo in rigoroso silenzio. Che richiedevaattenzione, come tutte le grandi cose.

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Il mio amico Matteo

LA NOTTE È BELLA(Matteo Salvatore)

La notte è bella sola solaal paese non c’è nessunosi azzuffano i gatti con i canila gatta graffia, la gatta vincesi sente da lontano il lupomannaroper la paura io mi sono spaventatopoi il rumore dell’acqua delle fontanemi ha fatto compagniala notte è bella, la notte è bella

All’ultimo concerto di Loano (Sv) del 29 luglio 2005, era felice per aver rice-vuto il premio alla carriera voluto da una giuria di cinquanta giornalisti. Di MatteoSalvatore e dei nostri giorni felici mi rimarrà il seguente ricordo: un saggio amicoche mi ha dato tanta compagnia per un lungo tratto della mia vita. Tutto quello cheè rimasto in sospeso, che non abbiamo fatto, che avremmo voluto fare, si cristalliz-zerà nei miei sogni.

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Antonio Vigilante

L’itinerario poetico e spirituale di Donato Cocodi Antonio Vigilante

In una intervista del 1987 don Donato Coco1 rivendicava, a proposito dellesue Preghiere d’amore, le “ascendenze bibliche” di quel volume, ed in particolarel’influenza del Cantico dei Cantici: “Il Cantico dei Cantici - affermava - è a meparticolarmente caro. Esso sta all’inizio e alla fine della mia ricerca, nel senso che dilà son partito e alla sua ‘altezza’ io tendo anche se sono perfettamente consapevoledi non poterci mai giungere”.2

Una ricognizione dell’opera poetica di Coco non può non tener presentequesta indicazione; ma accanto al Cantico dei Cantici bisogna porre almeno i Pro-feti ed i Vangeli. La personalità poetica di Coco, infatti, mi sembra che si sviluppisecondo tre linee, che corrispondono a tre modalità della fede: quella profetica,nella quale la fede è denuncia dell’assurdo, di quello che Mounier chiamava “disor-dine stabilito”, e la poesia ha la durezza e la franchezza di un appello ai dormienti;quella propriamente mistica, nella quale la poesia è chiamata a rendere conto delmisterioso e difficile colloquio amoroso tra un io ed il Tu divino; quella, infine, chepotremmo definire meditazione poetica sulla storia della salvezza, nella quale lapoesia ha il compito di evocare lo stupore per i vari momenti e movimenti del pianodi Dio per l’uomo.

La prima linea porta al confronto/scontro con la civitas, con la dimensioneorizzontale della realtà etico-politica; la seconda alla tensione verticale verso il Tra-scendente; la terza alla profondità della storia, vissuta nella prospettiva della salvez-za. Orizzontalità, verticalità e profondità si integrano a vicenda: è la profonditàdella storia della salvezza che permette di giudicare la realtà attuale in ciò che ha diinsufficiente; ma non si riuscirebbe a sottrarre la storia della salvezza alla presa delsospetto critico o della semplice erudizione, senza la presenza appellante di un Tutrascendente.

Le tre modalità della fede sono ugualmente presenti nella prima produzio-ne poetica di Coco, attestata dal volume Ancora è possibile, del 1975, un volume di

1 Nato a San Marco in Lamis, Donato Coco è sacerdote e docente di Teologia Dogmatica presso l’Istituto diScienze Religiose “Giovanni Paolo II” di Foggia.

2 Michele TROMBETTA, Le preghiere d’amore di Donato Coco, in «Il Quotidiano di Foggia», 9 giugno 1987, p. 4.

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L’itinerario poetico e spirituale di Donato Coco

preghiere dal dettato semplice e scarno, la cui essenzialità ben si accorda con laincisività del messaggio e l’intensità dell’esperienza religiosa da cui scaturiscono.Quella che ho chiamato meditazione poetica sulla storia della salvezza è presentenella prima parte del volume (“Tu sei stato un Dio povero”), mentre la seconda(“Tu non sei un Padreterno”) ha un carattere di denuncia, e nella terza (“Un rac-conto d’amore”) la voce torna a rasserenarsi nel colloquio mistico.

La poesia di denuncia della seconda parte del volume non è - ed è cosaapprezzabilissima - denuncia generica, ma la denuncia dell’ipocrisia, dell’immora-lità ammantata di pietas religiosa di una città: della sua città. Donato Coco ritraeFoggia nel momento della sua crescita frenetica, un piccolo mondo frenetico in cuisi muovono da padroni affaristi, politici corrotti con il loro sistema di clientele,malavitosi; una città che ha smarrito i vecchi scrupoli, nella quale la morale è diven-tata stucchevole pietismo e la religione serve a coprire con un manto di rispettabili-tà la scelleratezza; una città che costringe all’isolamento ed alla sconfitta gli onesti,i veri profeti, gli umili. Dietro la città c’è, naturalmente, l’orientamento di tutta unaciviltà votata all’utilitarismo, che ansiosamente ricerca “il massimo profitto dal mi-nimo impiego di mezzi e di energie”.3

Mi pare che queste poesie rivelino dei punti di contatto non trascurabili conla poesia di un grande contestatore come Danilo Dolci. Proveniente dalla poesiareligiosa (le sue prime cose erano state pubblicate in una Antologia della poesiareligiosa contemporanea, curata nel’52 da Valerio Volpini), Dolci aveva abbandona-to la religione, a contatto con la realtà della Sicilia più degradata, ed aveva scopertola poesia come ricerca d’una voce per dire le situazioni di ingiustizia e violenza,legata all’azione per combatterle e spegnerle.

Ecco Dolci: “Si contratta la gente con pudore /viene ossequiato chi sa deru-bare/ senza sfilare agli altri il portafoglio,/chi è diverso si acquieta nella droga/(conurbane maniere:/si drogano o li drogano in privato)// ridacchiando dei barbari/ sielegge/il più furbo a mentire,/ Presidente”.4

E Coco: “Signore,/è accaduto nella mia città:/uno non ha potuto fare il sin-daco/per la seconda volta,/perché in tre anni di mandato/non ha voluto sistemare/neppure uno dei pupilli/raccomandati/caldamente dagli amici;/ è stato troppo one-sto,/ neppure i preti/ha voluto sentire”. 5

Sono versi che smascherano quello che Dolci chiama sistema clientelare-mafioso; un sistema particolarmente sviluppato ed efficace tanto nella Sicilia di Dolci(il quale subì anche il carcere per le sue pubbliche denunce) quanto nella Foggia diCoco. Un sistema che costringe il poeta ad abbandonare i cari vecchi temi dellapoesia, per occuparsi di sindaci e piani regolatori, di operai e faccendieri, di broglielettorali e connivenze. Si tratta di una poesia politica, che per di più non fa ricorso

3 Donato COCO, Ancora è possibile, Cittadella, Bertoncello, 1975, p. 63.4 Danilo DOLCI, Poema umano, Torino, Einaudi, 1974, p. 203.5 D. COCO, Ancora è possibile…, cit., p. 74.

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alla retorica. A molti pare una dissacrazione della poesia; per altri è la via per faruscire l’attività poetica dal solipsismo e renderla cosa di tutti, res publica, voce cheraccoglie le voci e i silenzi di moltitudini, senza filtrarle, senza portarle ad un ordinee ad una perfezione formale che poco si accordano con l’imperfezione reale dellanostra civitas.

Cristo come “dio povero”, venuto non a risolvere problemi, ma a “proporciuno stile / nuovo di vita”6 è il tema della prima parte del volume. I dubbi, i puntioscuri che spesso si presentano angosciosamente alla coscienza del credente, appa-iono a Coco come linee volutamente solo abbozzate, segni di un movimento divinoche richiede la collaborazione e l’impegno dell’uomo. Non è la logica stringente discienziati e filosofi: è fantasia. E la fede non è avere tutte le risposte, cogliere lacomplessità del mondo in una logica nuova, ma ripetere i gesti d’amore del Cristo,continuare quel che è stato intrapreso. C’è, in un certo senso, un vuoto nel pianodivino, ed è in quel vuoto che si inserisce l’agire umano, e la fede come imitazionedi Cristo: “Agivi come uno / che inizia un discorso / e poi di proposito / non loporta a termine, / uno che tratteggia alcune linee / affidandosi all’intuito / di chivuole poi / cavarne una figura”.7 Il progetto divino non prescinde dall’impegnoumano, e la fede è apertura alla storia, alla politica (significativo è che la poesia chedà il titolo alla raccolta sia una poesia sul Vietnam),8 agli altri, “eletti tutti / nondivisi in buoni e cattivi / una volta per sempre”,9 ben oltre la preoccupazione per lasalvezza individuale.

Nelle sue tre parti, Ancora è possibile approfondisce una concezione dellafede come ricerca, tensione, impegno, lotta. Lotta di Dio per l’uomo, attraverso ilsacrificio del Cristo; lotta dell’uomo per l’uomo - con la quale si svolge la via trac-ciata dal Cristo ed affidata poi alla responsabilità umana - attraverso l’impegno e ladenuncia politico-profetica; lotta dell’uomo per Dio, nell’amorosa cura quotidianaper l’Altro.

Vi è, in questo libro, una freschezza spirituale, uno slancio che consuma,senza retorica, gli aggiustamenti che riducono il messaggio evangelico - messaggiodi apertura, di provocazione, di rovesciamento della scala dei valori sociali - alleesigenze dell’ordine borghese, mascherate appena da un velo di pietismo. Vi è an-che, nella terza parte, una certa arditezza nella concezione del rapporto tra uomo eDio, che è propria, del resto, della poesia mistica. Sono poesie d’amore, di un amoreche appare singolarmente vicino all’amore che uomini e donne si scambiano, contutte le difficoltà, i sacrifici, le incomprensioni che comporta la creazione di unorizzonte comune tra esseri diversi. L’esperienza che attestano è al di qua dell’ab-bandono totale, della unificazione piena di amante ed amato: la quale, pure, siprefigura come meta certa (“Signore, / più non saremo un giorno / audaci e temera-

6 Ibid., pp. 13-14.7 Ibid., p. 15.8 Ibid., p. 33.9 Ibid., p. 24.

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ri / come due ragazzi che non sanno / dirsi l’amore / senza farsi male”).10 L’amoreper Dio vive dunque tutti i timori, le sofferenze, i grandi slanci seguiti dall’amarez-za del distacco che sono propri dell’amore umano. Può sembrare, anzi, troppoumano, questo amore. Si considerino questi versi: “Ho paura di non poter durare /in questo gioco d’amore. / La mia carne ha fame d’un volto / ha sete d’abbracci e dibaci”.11 E ancora: “Ieri abbiamo litigato, / non ti ho voluto accontentare: / non seirimasto soddisfatto”.12 È un amore fatto anche di sensualità, secondo la tradizionedella grande, vera poesia mistica, e conformemente al modello sublime del Canticodei Cantici. E se il credente avvezzo a vivere il rapporto con il Divino nelle formecodificate dal rito potrà stigmatizzare la testimonianza di un rapporto con il Divinoeccessivamente intimistico e passionale, il non credente apprezzerà in queste poesieproprio la continuità con l’esperienza dell’amore umano.

La linea mistica della poesia di Coco trova espressione più compiuta nel suc-cessivo volume, le Preghiere d’amore, del 1985, in cui Joseph Tusiani ha acutamentenotato un “irruenza di sottintesi”,13 al di là della semplicità estrema del dettato. Ilsenso del titolo è nell’ultima poesia: i giorni d’amore, ora difficili ora sereni, costi-tuiscono infine un “rosario umile di preghiera”.14 Ogni poesia di questa raccolta èun grano d’un rosario, tappa di un itinerario a Dio certo tormentato, che nulla hadell’ “esattezza scientifica”15 del percorso spirituale di Giovanni della Croce, chepure è stato indicato tra i riferimenti della poesia di Coco; un itinerario che passaattraverso le tappe del richiamo iniziale, dell’incontro, della prova, dell’intesa e del-l’abbandono finale.

Le poesie più riuscite sembrano essere le prime della raccolta, nelle quali lanatura con la sua intatta bellezza è colta quale segno ed anticipazione di una diver-sa, più pura bellezza, ed ogni voce, ogni respiro, ogni gioia terrena vissuta comemessaggio divino. “Di ogni cosa il disegno / si dipana ai miei occhi / in prodigio dicasta / trasparenza”.16 E di “casta trasparenza” si può parlare anche per questi versi,e per tutta la migliore poesia di Coco. È un modo per essere aderenti al linguaggiostesso di Dio, che è fatto di semplicità ed evocazione, non di roboanti teofanie. E,più in generale, questa essenzialità mi pare propria di tutte le autentiche, profondeforme di spiritualità, anche al di fuori del cristianesimo (si pensi all’eleganza dellapoesia zen).

L’uomo e Dio, l’Amante e l’Amato sono in ascolto l’uno dell’altro, con l’orec-chio appoggiato alla parete che li divide, secondo la bella immagine di una delle

10 Ibid., p. 93.11 Ibid., p. 84.12 Ibid., p. 82.13 Joseph TUSIANI, Invito alla lettura, in Donato COCO, Preghiere d’amore, Foggia, Bastogi, 1985, p. 20.14 Ibid., p. 77.15 Così Simone WEIL, La prima radice, Milano, Mondadori, 1996, p.166. Edith Stein ha intitolato il suo

studio su San Giovanni della Croce Scientia crucis, Roma, Edizioni OCD, 1996.16 D. COCO, Preghiere d’amore…, cit., p. 30.

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poesie più riuscite della raccolta. E se il poeta trattiene il fiato per ascoltare Dio,Dio non fa diversamente: “Poni anche tu l’orecchio contro il muro / e trattieni ilrespiro / per ascoltare il mio”. 17 Come in ogni autentico rapporto d’amore, ad ognunospettano i due ruoli di Amato ed Amante: Dio è il fine dell’uomo, ma anche lacreatura è il fine di Dio; l’uomo cerca Dio, ma Dio, anche, seduce l’uomo. Non sitratta, qui, di un itinerarium che porti l’anima progressivamente ad abbandonare lecose terrene per prendere rifugio nella quiete di Dio, ma di un vero e proprio dialo-go, con tutta la problematicità, la difficoltà, l’inquietudine che ciò comporta – conuna dialettica di silenzio e parola, paura e abbandono, sete e soddisfazione, fuga ericonciliazione.

Nel De Arra Anime Ugo di San Vittore si poneva - e risolveva - un singolareproblema: l’anima ama Dio, come Unico, ma non è l’Unica per Lui. Solum diligenssola non amor, dice l’anima.18 Amo Uno solo, ma non sola sono amata. Ed Ugorisponde sostenendo che i doni d’amore concessi ad altri nulla le tolgono, ed ag-giungono anzi il piacere della comunicazione, della societas humanae conversationis.19

Anche in Coco l’incontro amoroso tra l’anima e Dio si apre all’altro, al terzo – equi, direi, emerge tutta la differenza tra amore umano e amore divino. La secondaparte delle Preghiere d’amore è un “invito a credere”.

Si può forse dire che alla coscienza del mistico la contrapposizione tra fedeed ateismo appare meno netta, come se si trattasse di situazioni spirituali che inqualche modo si richiamano e si avvicendano. Il rapporto amoroso tra Dio e l’uo-mo vive dei contrari: è una gioia piena di pene, è presenza che non diventa maitotale, che mai vince del tutto l’assenza; e l’assenza, a sua volta, si fa attesa di unanuova presenza. L’assenza di Dio, vissuta e sofferta dall’ateo, non sarà anche attesadi Dio? Il silenzio, di cui l’ateo è in ascolto, non è il fondo necessario affinché laparola risuoni solenne, al riparo dalle molteplici cadute del linguaggio quotidiano?Dio, scrive Simone Weil, è “colui che, mediante l’opera della notte oscura, si ritiraper non essere amato come un tesoro da un avaro. Elettra che piange Oreste morto.Se si ama Iddio pensando che non esiste, egli manifesterà la propria esistenza”.20 Unpasso che contiene, nella sua incisiva essenzialità, molto più di tanti ponderosi vo-lumi della teologia contemporanea.

L’invito è, pertanto, quello di incontrarsi nell’attesa: “Solo ti chiedo se è pos-sibile / che tu nel silenzio condivida / il gemito della mia preghiera / e solo non milasci nell’attesa / d’una sua risposta”. 21 Accordare un gemito ed un silenzio nell’at-tesa di Dio - è in questo che atei e credenti possono incontrarsi, ovunque la fedenon sia vissuta in quella condizione di avarizia spirituale di cui parla Simone Weil:

17 Ibid., p. 56.18 Ugo DI SAN VITTORE, De Arra Anime, Milano, Glossa, 2000, p. 30.19 Ibid., p. 32.20 Simone WEIL, L’ombra e la grazia. Investigazioni spirituali, Milano, Rusconi, 1996, p. 29.21 COCO, op. cit., p. 88.22 Donato COCO, Dodici stelle per Maria, Leumann, Elle Di Ci, 1989.

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Dio come possesso, come rassicurante sostegno metafisico e conferma della pro-pria identità (anche sociale), e non piuttosto come l’abisso, il deserto che invita aspogliarsi, a lasciare, ad avventurarsi oltre se stessi ed i propri possessi.

Nella successiva produzione di Coco a prevalere è il terzo motivo della suapoetica: la meditazione sulla storia della salvezza. È la tematica di scritti minori,come Dodici stelle per Maria22 e Risonanze Bibliche23, di alcuni inediti (Con Mariasulla via della croce, 1994; Le tentazioni, 1999; La divina imboscata, 1991; Si puòforse dare lezioni a Dio?, 2001) e, soprattutto, della terza importante raccolta diCoco, E venne il terzo giorno (1992), in cui affianca alle sue poesie pagine dei Van-geli accompagnate dalla parola di grandi teologi e testimoni della fede: da Bonhoeffera Primo Mazzolari, da Dostoevskij a Buber, da Moltmann a Simone Weil; e, soprat-tutto, Sören Kierkegaard. Le poesie della raccolta ricostruiscono la vicenda terrenadel Cristo, cercando nei singoli episodi il segreto dell’agire divino, che abdica allapotenza e si presenta in questo mondo disarmato, apparentemente destinato allasconfitta. Un agire che culmina nelle terribili parole dalla croce – “Dio mio, perchémi hai abbandonato?” -, che nei versi di Coco diventa un momento quasi ateisticodella vita del Cristo: “Dal Cielo abbandonato, diveniva / dei senza Dio il divinofratello”.24 I senza Dio sono qui coloro che soffrono l’assenza di un Dio efficace, diun Dio che interviene e salva, già su questa terra. Essi hanno accanto il Cristo,poiché vivono quella che fu la sua esperienza sulla croce. E gli altri? Quelli checontinuano a rivolgersi ad un Dio potente? Essi non hanno compreso fino in fondoil senso della kenosis divina. “Se tu liberamente non l’accogli, / Egli è perduto. Af-frettati a salvarlo! / Impossibile pensi in Dio un limite? / Ma Egli non consideraumiliante / il tuo soccorso. Né mai tu stimare / troppo gravoso il peso del suoamore”.25 La concezione tradizionale è rovesciata: è all’uomo che spetta assumersila responsabilità di continuare l’opera di Dio, e di portarla a compimento.

Nella teologia contemporanea si è fatta strada, in seguito alla riflessione sul-l’esperienza del male, l’idea di un Dio “debole”, affidato alle cure umane. È la convin-zione, in particolare, di Dietrich Bonhoeffer, il grande teologo condannato a mortedai nazisti, per il quale “Dio è impotente e debole nel mondo e appunto solo così eglici sta a fianco e ci aiuta”.26 E sono queste parole che Coco riprende, tracciando unprofilo poetico di Bonhoeffer nella parte conclusiva del suo libro, facendolo rientrarein una galleria di uomini “solidali con Dio”, a dire il vero piuttosto eterogenea, che vadalle filosofe Edith Stein e Simone Weil a Nelson Mandela e Padre Pio, cui è dedicatala recente Ballata di fra Pio,27 una rievocazione in sestine di endecasillabi della sua

23 Donato COCO, Risonanze bibliche, Leumann, Elle Di Ci, 1990.24 Donato COCO, E venne il terzo giorno, Bari, Levante, 1992, p. 59.25 Ibid., p. 73.26 Dietrich BONHOEFFER, Resistenza e resa, Cinisello Balsamo, Edizioni Paoline, 1988, p. 440. Sul problema

mi permetto di rinviare al mio Dio, il male e il postmoderno, in «Prospettiva Persona», 1998, 25-26.27 Donato COCO, La ballata di fra Pio, Bari, Levante, 2000.

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vita, che appare come l’ultimo momento della storia della salvezza. Il linguaggio, qui,è semplice più che mai, adeguato alla figura del frate; dominanti il tema della lotta conil Maligno e della sofferenza accettata e vissuta come dono a Dio.

In questa ultima produzione di Coco il verso breve cede il posto all’endeca-sillabo, e prevalgono i verbi all’imperfetto. Alla ricerca di maggiore perfezione for-male e della suggestione dell’evocazione, la sua poesia rischia di smarrire quellalimpidezza e quel contatto appassionato con l’esperienza attuale (sia essa mistica opolitica) che sono i suoi pregi maggiori.

La poesia è per Donato Coco la naturale prosecuzione della sua ricerca teo-logica. E non v’è contraddizione tra le due cose, se è vero che la teologia è pensierosu Dio, approssimazione alla realtà del Divino, meditazione sul rapporto tra il pia-no storico e quello della Trascendenza: una ricerca, insomma, che scopre un sensonell’esistenza individuale, nel procedere della storia, nella stessa vicenda dell’uni-verso (si pensi a Teilhard de Chardin). Una ricerca che non può che lasciare il cam-po alla commozione, alla celebrazione, all’inno, alla preghiera. La parola che cercadi circoscrivere l’Essenza lascia il posto alla parola che evoca la Presenza, consape-vole del suo stesso limite e della inevitabile prossimità con il silenzio.

L’opera di Donato Coco mostra come la poesia del teologo - la poesia delteologo contemporaneo, che conosce l’oscuramento, il silenzio, la debolezza di Dio- non possa essere che una poesia semplice, antiretorica, scarna anche, più vicinaall’austera spiritualità di una piccola chiesa romanica che allo splendore d’un tem-pio cinquecentesco.

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Presente come cultura

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Francesco Giuliani

Dal Mediterraneo a Leopardi.Quattro libri di Franco Cassano

di Francesco Giuliani

1. Il peso della spada

Da tanti anni portiamo nella nostra mente un’immagine incontrata sul sussi-diario della scuola elementare, quella di un uomo vestito da barbaro che, con modiarroganti, butta sul piatto di un’enorme bilancia la sua pesante spada, tra lo sgo-mento dei romani circostanti. Stiamo parlando, ovviamente, di Brenno e della suacelebre frase, “Guai ai vinti!”, rimasta come monito per tutti sulle dure leggi dellastoria e sull’importanza dell’uso della forza.

Ma chi vince ha sempre ragione, come sostennero anche alcuni celebripensatori? E qual è la vera vittoria, quella di chi percorre una brillante carriera o dichi rende la sua esistenza lineare, coerente e significativa?

È un punto cruciale, al centro di tante analisi e di tante discussioni, che cicoinvolge tutti, volenti o nolenti.

Allargando la visuale e sintonizzandoci sul presente, dopo i bagni di sanguedel secolo appena archiviato, l’interrogativo porta a parlare della globalizzazione,delle prospettive di un mondo sempre ricco di pericoli e tensioni, malgrado la cadu-ta del muro di Berlino, ma anche della vittoria del modello occidentale, rapportatoai valori del Sud del mondo.

Siamo stati abituati sin da piccoli a sentir parlare della questione meridionale,muovendoci tra lamenti e critiche, tra carenze e pregiudizi, tra ottimismi interessatie cifre realistiche ed inquietanti. Questa volta, però, il Sud non è solo l’antico Re-gno di Napoli, né ha solo i confini di un’Italia protesa nel Mediterraneo contrappo-sta alle nazioni europee centro-settentrionali, ma si allarga ulteriormente, sino acomprendere l’intero Sud del mondo, in una realtà sempre più tentacolare.

Entriamo, così, in un campo che da anni è al centro anche delle analisi diFranco Cassano, uno studioso diventato molto noto per il suo “pensiero meridia-no”, che è poi, in estrema sintesi, l’idea che il Sud non deve solo imparare dal mon-do cosiddetto sviluppato, che è quello nord-occidentale, ma ha anche qualcosa dainsegnare e da additare, chiedendo perciò rispetto e considerazione. Un pensieroche ha affrontato in modo originale un argomento di fondamentale rilievo, spo-stando l’ottica dell’osservazione dall’esterno all’interno, mettendo in discussioneuna serie di luoghi comuni che qualcuno considera erroneamente degli assiomi.

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Di qui, tra l’altro, le reazioni che si sono registrate un po’ ovunque, in Italia,nei paesi del Mediterraneo, ma anche in altri paesi del mondo, com’è facile verifica-re leggendo la pubblicistica internazionale.

Cassano, nato ad Ancona nel 1943, da madre marchigiana e da padre pugliese,è un docente universitario ordinario ed insegna Sociologia della conoscenzanell’Ateneo di Bari. Tiene corsi e lezioni anche all’estero, specie in Francia, ed ha alsuo attivo, sin dai primi anni Settanta, varie pubblicazioni, alle quali vanno aggiuntisaggi e contributi in lavori collettanei.

Tra i suoi ultimi testi, ricorderemo almeno Approssimazione,1 attento asmontare i pregiudizi e gli errori che caratterizzano il rapporto con l’altro, attra-verso una serie di acute osservazioni che spaziano in una vasta area interdiscipli-nare, dall’etologia alla letteratura, e Partita doppia,2 che è uno dei suoi lavori piùsolidi e acuti.

Il sottotitolo di quest’ultimo libro, Appunti per una felicità terrestre, è elo-quente: Cassano appare impegnato a delineare i limiti e i doveri dell’uomo, in unarealtà nella quale sono venuti meno i tradizionali punti di riferimento, a partire daquelli religiosi. Il conseguente smarrimento viene trasformato in un’assunzione diresponsabilità, in uno stimolo a svolgere un ruolo più attivo e partecipe.

Al fondo, qui come altrove, nella sua esplicita scelta di un punto di vistalaico, Cassano rivela un suo animo “religioso”, legato a doppio filo all’etica.

Partita doppia sottolinea “la scoperta del doppio lato delle cose, dell’ambiva-lenza del mondo, dell’impossibilità di ricondurre le azioni e gli atteggiamenti del-l’uomo nelle maglie di una contabilità semplice”;3 in altri termini, tutto ha un prez-zo e la stessa felicità umana si ritrova a misurarsi con i suoi risvolti negativi, senzapoter alterare l’equilibrio complessivo.

Il vero obiettivo polemico, di questo come degli altri libri che seguiranno, èla modernità, che crede, attraverso l’economia, l’industria e la tecnica, di poter di-sporre del nostro pianeta a suo piacimento, in nome delle proverbiali “magnifichesorti e progressive”, solo attualizzate ed adattate al bisogno. Un’idea insensata edestinata ad un tragico fallimento, che Cassano respingerà con forza, rendendo ilsuo pensiero sempre più lucido ed attento agli eventi che hanno segnato il trapassodal secondo al terzo millennio, che hanno portato in primo piano la globalizzazionee le problematiche dello sviluppo e dell’ecologia.

Questo solido volume (in cui non manca un significativo capitolo intitolatoEssere vinti) è dunque una tappa importante per il pensiero del Nostro; esso antici-pa, in particolare negli ultimi due capitoli, L’elezione fredda e Mediare le terre,quelli che saranno i punti cruciali della sua analisi sul “pensiero meridiano”, daltema della lentezza alla centralità del ruolo del Mediterraneo, fino all’attenzione

1 Franco CASSANO, Approssimazione, Bologna, il Mulino, 1989.2 Franco CASSANO, Partita doppia, Bologna, il Mulino, 1993.3 Ibid., p. 8.

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riposta sul senso del limite, che è un elemento sviscerato anche nel recente saggio suLeopardi, uno dei suoi maestri, accanto ad Albert Camus.

In questo nostro scritto esamineremo proprio i suoi ultimi lavori, ossia Ilpensiero meridiano (Bari, Laterza, 1996, ma più volte ristampato), Paeninsula. L’Italiada ritrovare (Bologna, il Mulino, 1998), Modernizzare stanca. Perdere tempo, gua-dagnare tempo (Bologna, il Mulino, 2001), e Oltre il nulla. Studio su Giacomo Le-opardi (Bari, Laterza, 2003).

Si tratta di opere legate da molteplici fili, soprattutto le prime tre (ma anchelo studio sul Recanatese, come vedremo, malgrado l’apparenza, ha un’inconfondibilearia di famiglia), offrendo numerosi spunti di meditazione, attingendo al tesorosapienziale degli antichi e dei moderni.

Cassano è un personaggio per molti versi anomalo, che ama porsi in unaposizione di frontiera, di dialogo, da uomo di sinistra che ha attraversato la stagio-ne dell’ideologia, alla quale si legano i suoi primi studi, finendo per ritrovarsi, dopoaver bruciato molte certezze, accanto a pensatori che talvolta hanno seguito unpercorso ideologico opposto (si pensi a Franco Cardini, ad esempio); il vero trait-d’union è rappresentato proprio dalla critica alla modernità, alla globalizzazione, alpensiero unico, alla dittatura del mercato, ad un modello di sviluppo, insomma, chevanta proseliti nelle file di tutti gli schieramenti politici ed ideali, sia pure con ledovute accezioni e sfumature.

Egli è uno di quei pensatori che amano spezzare i fronti, che hanno i loronemici tra gli integralisti, tra i chierici abituati a vedere ovunque dei tradimenti e deicompromessi in realtà inesistenti, tra gli zelanti pronti ad alzare una coltre di fumointorno a chi pone dei problemi concreti, che vanno conosciuti e approfonditi, peracquistare una maggiore consapevolezza della realtà.

2. Il pensiero meridiano

La tesi di partenza de Il pensiero meridiano è di una chiarezza esemplare: se sivuole discutere di Sud assumendo il punto di vista dominante ed esterno, allora nonè nemmeno il caso di addentrarsi nell’analisi. La conclusione è scontata: il Sud sipuò salvare solo diventando altro da sé, solo inserendosi in modo amorfo nellemaglie del mondo occidentale. Ma tutto questo non è possibile, come avverte l’au-tore, denunciando i danni causati dalla modernizzazione, da quest’infezione chepretende di essere la cura del male.

Con sempre maggiore lucidità, fino al volume apparso nel 2001, Cassanorimarcherà i guasti prodotti dalla civiltà nord-occidentale, che pensa di poter risol-vere i problemi del nostro pianeta imponendo la propria visione e i propri metodi,bollando come sorpassate o dannose le altre culture. Un atteggiamento di sufficien-za che non è utile a nessuno, tanto meno all’Occidente, che in questo modo nonsupera gli ostacoli, bensì ne crea degli altri, favorendo lo sradicamento, l’integralismoe il risentimento, che così tanti danni stanno producendo nei nostri giorni.

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Dal Mediterraneo a Leopardi. Quattro libri di Franco Cassano

Ne consegue che la reductio ad unum dei punti di vista non è possibile. Diqui la necessità del “pensiero meridiano”, che vuole, come si legge nella Introdu-zione all’omonimo libro, “restituire al sud l’antica dignità di soggetto del pensiero,interrompere una lunga sequenza in cui esso è stato pensato da altri”.4 “Un pensie-ro del sud - aggiunge poco dopo Cassano- un sud che pensa il sud, vuol dire guada-gnare il massimo di autonomia da questa gigantesca mutazione, fissare criteri digiudizio altri rispetto a quelli che oggi tengono il campo, pensare un’altra classedirigente, un’altra grammatica della povertà e della ricchezza, pensare la dignità diun’altra forma di vita”.5

Il meridione in questo modo ritorna al centro della discussione, ma in uncontesto universale, strappando l’analisi ai limiti della difesa dello status quo, altimore di voler, in fondo, tessere l’apologia di una parte del mondo, negando l’evi-denza dei problemi esistenti al suo interno o ritenendoli solo effetti di causeestrinseche.

Non si tratta, come ha inteso qualcuno, di facili assoluzioni, di sogni roman-tici o puramente teorici, né bisogna rifiutare internet ed il computer per cullarsinelle nostalgie del passato, privandosi delle notevoli potenzialità dei nostri tempi,che hanno permesso di realizzare dei sogni di antica data, sia pure a caro prezzo.

Cassano dà al suo pensiero un taglio equilibrato, guardandosi bene dal difen-dere quanto la ragione ha rifiutato nelle civiltà orientali e meridionali, quanto èstato giustamente o necessariamente abbandonato e condannato nel corso dei seco-li. Il problema, semmai, è cogliere nel Sud, accanto al degrado e all’oscurantismo, legemme esistenti, gli aspetti positivi, utilissimi e preziosi per quel riequilibrio tra leculture che rappresenta l’unica soluzione esistente, e per giunta né meccanica nésemplice.

Il metodo, infatti, va poi adattato caso per caso e non rappresenta una facilepanacea.

Equilibrato ma anche provocatorio, lo scrittore non nasconde comunque lasua pretesa di abbattere tutti gli idoli della modernità, tutti i presunti dogmi propa-gandati dai sacerdoti del modello occidentale, ovunque essi siano.

Di qui il successo di queste tesi, che hanno avuto il merito di riaprire undibattito che rischiava di chiudersi in una unanimità di facciata, suggerendo, invece,l’esistenza di diverse soluzioni, di fronte ad un argomento complesso e problemati-co. Sull’altro lato della medaglia, poi, c’è un invito a dare un giusto valore all’orgo-glio meridionale, da intendere nella sua più corretta formulazione, lontano dalleinsidie del vittimismo e della spersonalizzazione, spronando gli intellettuali del suddel mondo a far sentire sempre più alta la propria voce.

Non è un caso, insomma, che il testo edito dalla Laterza si sia imposto sin dalprimo momento come libro cult, come testo di riferimento per una vasta area. Aquesto successo hanno contribuito di sicuro le doti di scrittore di Cassano, che

4 Franco CASSANO, Il pensiero meridiano, Roma-Bari, Laterza, 2003 (Economica Laterza), p. 3.5 Ibid., p. 5.

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riesce a trasmettere le sue qualità di studioso e di saggista in una prosa attraente eleggibile, che possiede il giusto ritmo. Egli spezza la trattazione in brevi capitoli chesi chiudono senza stancare, concedendo un attimo di pausa, prima di riprenderel’analisi.

Scrittore asciutto e chiaro, egli possiede una indubbia misura giornalistica,nel senso migliore del termine, e non a caso nel 2001, come vedremo, darà allestampe Modernizzare stanca, che è proprio una silloge di interventi apparsi sullepagine di due quotidiani nazionali.

Il pensiero meridiano, ben lontano dal trattato ostico e scostante, è un lavororassicurante sin dal primo impatto visivo, che consta di tre parti, Mediterraneo,Homo currens e L’attrito del pensiero, nelle quali l’autore riprende anche, con pochicambiamenti, alcuni saggi precedenti.

Nel complesso, si tratta di un’opera unitaria, il cui filo rosso viene esplicitatonelle pagine dell’Introduzione, Per un pensiero del sud, che ben compendiano ilsenso complessivo del libro. Come avverrà anche nei tre libri successivi, l’introdu-zione è così completa da poter quasi sostituire (sia detto cum grano salis) la letturadell’opera.

Cassano vi riversa il suo realismo, ma anche il suo entusiasmo, la sua cordia-lità, consapevole di non presentare parole di circostanza o di mera testimonianza,ma di lanciare una sfida possibile, malgrado le prevedibili parole di scherno deisacerdoti della modernità.

Il “pensiero meridiano” fa riferimento a tutte e tre le dimensioni temporali,dal passato greco ad un futuro auspicabile, badando bene (e le puntualizzazionisono esplicite) di non mescolarsi alle grette polemicucce leghiste, chiuse in un oriz-zonte asfissiante, di terra, direbbe lui, come quello di una valle opulenta che preten-de di tagliare fuori la realtà.

Le prime due sezioni del libro teorizzano direttamente il “pensiero meridia-no”, e sono, a nostro modo di vedere, quelle più avvincenti, mentre la terza sisofferma su due autori-maestri, come Camus e Pasolini, che hanno offerto un mo-dello di sfida alle idee dominanti della modernità e che per questo vengono esami-nati criticamente.

Mediterraneo si apre con un capitolo, Andare lenti, che ci offre un esempiodelle provocazioni alle quali abbiamo già accennato.

Si può fare, nel nostro mondo dai ritmi forsennati e vorticosi, in cui il tempoè denaro, in cui la gente si affanna per produrre di più, per programmarsi una gior-nata sempre più densa e produttiva, un elogio della lentezza? Sono passati quasicento anni dal primo manifesto del Futurismo, ma Cassano non ha dubbi: “Bisognaessere lenti come un vecchio treno di campagna e di contadine vestite di nero, comechi va a piedi e vede aprirsi magicamente il mondo, perché andare a piedi è sfogliareil libro e invece correre è guardarne soltanto la copertina”.6

6 Ibid., p. 13.

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In una prosa che assume cadenze liriche, come non di rado avviene nellaproduzione del Nostro, troviamo un’apologia di un modo di vivere che vuole an-dare al fondo delle cose, gustando il mondo in profondità. Non è un invito all’ozioe al disinteresse, bensì uno stimolo a non diventare schiavi delle cose.

È uno dei temi più ricorrenti nel pensiero dello studioso, che in Modernizza-re stanca ricorda che “La globalizzazione, di cui tanto si parla, non è che un’inten-sificazione del dominio della velocità su tutte le sfere della nostra esistenza”.7 Tuttoavviene ad un ritmo accelerato, rendendo lo stesso uomo vittima di un gigantescomeccanismo che lo trasforma in un oggetto da usare e gettare, come un rifiuto.

Ecco, allora, l’importanza della lentezza, una delle più importanti “terapie”appartenenti ancora alle culture cosiddette sconfitte, ed in particolare a quella me-ridionale. Di fronte all’ottundimento dell’uomo, la lentezza è un momento di re-spiro, una forma di difesa, una riappropriazione della propria vita da un meccani-smo che per certi versi appare schopenhaueriano.

Non è mancato chi, sui giornali, ha ironizzato su questo tema, ricadendo, aben pensarci, nei soliti stereotipi, in visioni sterili ed oleografiche, quando non dicomodo. Un dato significativo è che le critiche sono giunte da meridionali come dasettentrionali, anzi, forse più dai primi che dagli altri.

In molti casi non è difficile scorgere il mero richiamo di un conformismomeridionale dal fiato corto, che denota l’esistenza di antichi complessi d’inferioritàe spera di salvarsi allineandosi acriticamente ai nuovi dogmi.

Da parte nostra riteniamo che se anche il “pensiero meridiano” si potesseridurre ad una semplice provocazione, esso avrebbe comunque colto nel segno,illuminando errori, ipocrisie e ottimismi infondati.

Già molto tempo fa, d’altra parte, in una realtà tanto diversa dalla nostra, unpensatore come Seneca ha difeso il valore dell’interiorità, soffermandosi sulla ne-cessità di sfuggire alle mille distrazioni, anzi, ai “divertimenti”, per riprendere Pascal,un altro pensatore ricordato più volte da Cassano, anche se per lo più per segnarnela distanza.

La lentezza del Sud, nell’attuale fase storica, sostiene il sociologo, può essereuna risorsa, e dunque non va buttata via o sottovalutata.

Nell’Introduzione del libro del 1996 l’autore chiarisce preliminarmente che“Pensiero meridiano è quel pensiero che si inizia a sentir dentro laddove inizia ilmare, quando la riva interrompe gli integrismi della terra (in primis quello dell’eco-nomia e dello sviluppo), quando si scopre che il confine non è un luogo dove ilmondo finisce, ma quello dove i diversi si toccano e la partita del rapporto conl’altro diventa difficile e vera”. 8

Nel secondo capitolo di Mediterraneo, Di terra e di mare, Cassano va pro-prio alle radici di questo pensiero, soffermandosi sul mondo greco, visto come culladella civiltà.

7 Ibid., p. 42.8 Ibid., pp. 5-6.

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Laddove il mare si trasforma in oceano, senza più contatto con la riva, pre-valgono lo sradicamento e il nichilismo, argomenta lo studioso; dove invece la terraregna assoluta, si impone la chiusura sulle proprie radici, l’imperialismo aggressivo,il fondamentalismo. L’equilibrio greco, frutto di un’armonia favorita dalle condi-zioni fisiche, è una preziosa eredità da attualizzare.

Si tratta di pagine interessanti, in cui le argomentazioni lasciano spazio a cita-zioni da pensatori del calibro di Heidegger e Nietzsche, e a riferimenti ad eroi sem-preverdi come Ulisse, insieme avventuroso e desideroso di ritornare nella propriaisola, che si chiudono riaffermando la vocazione dell’uomo mediterraneo ad unire,a costruire ponti e contatti.

Il Mediterraneo, insomma, non è solo un mare del passato e l’unico faro nonpuò provenire dalla modernizzazione occidentale. Il centro non è unico.

L’analisi controcorrente dello studioso diventa ancora più serrata e coinvol-gente nella seconda parte del libro, Homo currens, che si apre con delle pagine sug-gestive sul tema del confine. È un quadro ampio, aperto a tutto il mondo, quelloche Cassano ci presenta, rimarcando che “Tutti noi siamo gettati nella grande reli-gione universale della corsa, veniamo sradicati dalle nostre culture, abitudini, vizi esiamo chiamati ai blocchi di partenza. Gli economisti sono i teorici dell’homo currens,i medici sapienti che non si stancano mai di ripetere che per la nostra salute è neces-sario correre in ogni momento della giornata e in ogni momento della vita”.9

Ma il modello occidentale non è esportabile ovunque, questo Cassano ce loha già detto, e le prove sono in molti dei fenomeni che caratterizzano i nostri tempi.Di fronte all’estensione della modernità ci sono due tipi di risposte, entrambe se-gnate dal fallimento: da una parte, quella di chi si “prostituisce” di fronte al model-lo occidentale, provocando l’aumento del potere criminale, dell’economia illegale edei fenomeni di disgregazione sociale (e Cassano fa l’esempio del Brasile); dall’al-tra, c’è la risposta del fondamentalismo, che rifiuta in blocco i modelli esterni, contutte le conseguenze legate alla repressione, ai pregiudizi, alla mancanza di ognidiritto civile (e anche in questo caso gli esempi potrebbero essere tantissimi, con intesta i paesi musulmani). Mutuando la terminologia di Toynbee, Cassano parla di“erodiani”, che prendono l’altro come modello, imitandolo, e di “zeloti”, che sichiudono a riccio nella propria stretta identità.

Le eccezioni a questa duplice scelta sono davvero poche ed isolate, permet-tendo in ogni caso di trovare conferma alla regola generale, che delinea uno scena-rio inquietante, che purtroppo è sotto i nostri occhi e che ha trovato confermeanche in eventi successivi al 1996. L’autore, in verità, non si abbandona a toniapocalittici, ma non rinuncia a chiamare lucidamente le cose con il proprio nome,lasciandoci delle pagine da meditare con attenzione.

La corsa dissennata in atto a livello mondiale provoca danni, si badi bene,pure all’interno del mondo occidentale, togliendo protezioni e garanzie ai ceti piùdeboli, smantellando i paracadute dello stato sociale in nome di un imperativo della

9 Ibid., p. 61.

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vittoria che ignora le regole della partita doppia, riprendendo il titolo del volumedel 1993 (anche in questo caso ci sembra superfluo soffermarci sui tanti esempi deinostri tempi). È un processo di privatizzazione del mondo, che è sotto i nostriocchi.

L’analisi di Cassano però non si ferma qui, trovando le sue conclusioni nelquarto capitolo di questa seconda parte de Il pensiero meridiano, che si intitola, confelice scelta, L’integralismo della corsa. Qui il Nostro, oltre a tirare le fila del discor-so, indica anche l’unica strada necessaria per bloccare o almeno arginare questainfezione mondiale che crea perdenti (sarà lo stesso tema, come vedremo, diModernizzare stanca).

In particolare, si ponga attenzione a questo passo:

[…] il dovere di ogni intellettuale è quello di condannare il terrorismo omicidadegli integralisti e di salvare tutte le voci che dall’interno di altre culture hannocercato un dialogo creativo con la nostra. Ma da solo questo atteggiamento èinsufficiente. L’Occidente può fare un passo decisivo contro l’integralismo al-trui solo avviando la decostruzione del proprio, di quella camicia di forza im-posta sia all’interno che al mondo intero instaurando la legge della corsa e dellacompetizione.10

Da una parte, dunque, c’è la condanna netta della violenza, dall’altra la con-sapevolezza che anche l’Occidente deve fare la propria parte. Quando ha scrittoquesto passo Cassano ovviamente ignorava cosa sarebbe accaduto l’11 settembre2001, ma proprio questi eventi dimostrano, in fondo, la necessità di una correzionedi marcia, o almeno di una riflessione a più voci capace di incidere sugli sviluppidella realtà, senza cullarsi su fantomatici allori o sulla parzialità di certe aride cifre.Di fronte a quanti pensano che tutto vada bene nel migliore dei mondi possibile,bisogna far sentire alto il proprio dissenso.

Lo studioso chiude la sezione ponendo l’accento sull’esistenza di un altrointegralismo, questa volta occidentale, definito “freddo”, che usa strumenti diversi,ma non è meno duro di quello delle altre culture (“Il nostro integralismo non assas-sina: rende obsoleti, licenzia, mette fuori mercato. Esso ha altri templi, altri breviari,altre pene, altri inferni”).11

È la seconda faccia della medaglia, che non può essere ignorata, anche se c’èchi vorrebbe nasconderla sotto i dati del PIL o della diffusione di computer edantenne paraboliche, sotto il fumo di una retorica adattata alle circostanze: “Solosmascherando la repressione mimetizzata nell’integralismo freddo della competi-zione e nell’inquieta religione del possesso e del consumo il dialogo può tornare adessere paritario, può evitare che una cultura sia obbligata a scegliere tra la rinunziaalla propria dignità e la demonizzazione dell’Altro”.12

10 Ibid., p. 77.11 Ibid., p. 78.12 Loc. cit.

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L’analisi dunque va condotta in ogni direzione, all’esterno come all’interno,alla ricerca dei mezzi più idonei per invertire la china.

Da questo quadro generale, in fondo, non è difficile ritornare indietro, a quel-l’orizzonte mediterraneo che ha dominato nella prima parte del libro, a quell’in-contro di mare e terra che non rappresenta l’idillio, ma dove ci sono anche dellerisorse preziose, che in questa fase dello sviluppo possono essere utili alla moderni-tà. È un ritorno mentale che permette di gustare con più forza il calore di quel maretra le terre, così centrale nella nostra storia.

La terza parte del libro, L’attrito del pensiero, può apparire, per certi aspetti,meno coinvolgente, legata com’è dal filo rosso di due personaggi, del calibro diCamus e Pasolini, visti come modelli di un pensiero estraneo al conformismo e agliidoli della modernità. Ma è anche vero che Cassano non perde, neanche in questepagine, l’occasione per riaffermare le proprie convinzioni, pagando nel contempo ilsuo tributo di ammirazione e di emulazione verso degli intellettuali coraggiosa-mente disposti a svolgere il proprio dovere, pagando di persona.

Particolarmente felice e sentito ci è sembrato il primo saggio, intitolato AlbertCamus: necessità del pensiero meridiano, dedicato al celebre autore de Lo straniero,il cui nome si ritrova più volte nei testi di Cassano.

In Partita doppia, in particolare, c’è un capitolo, Santi e inquisitori, dove ilsociologo confessa la propria vicinanza a Camus e ai medici de La peste, che lottanoin un mondo impazzito, nel quale Dio non fa sentire la propria voce, tutto sembraassurdo, ma nulla autorizza il disimpegno dalla lotta e dalla solidarietà verso il pros-simo.

La santità dell’uomo, in una realtà segnata dal silenzio di Dio, è un temamolto avvertito da Cassano. Non a caso anche nel saggio su Leopardi, Oltre ilnulla, e proprio nel finale, ricorrerà il nome del premio Nobel del 1957: “Si riapre lastrada per la grandezza: i migliori tra gli uomini sono, come i medici della Peste diCamus, quelli che trasformano il sentimento della nostra fragilità in una battagliacomune, che non trasferiscono l’odio sugli altri uomini, ma sanno trasformarlo insolidarietà”.13

Non stupisce, pertanto, la presenza di Camus anche ne Il pensiero meridia-no, con argomentazioni per molti versi simili, in cui si esprime ammirazione per ilnemico delle ideologie totalitarie, per il pensatore che aveva ben chiara l’esistenzadel senso del limite, senza folli sogni di onnipotenza, ma che non rinunciò alla suamissione di uomo aggrappato fattivamente al suo grido di rivolta.

Il saggio prende le mosse da una citazione tratta dai Taccuini, “se Dio nonesiste, non è permesso nulla”,14 che nega ogni possibilità al nichilismo, in ognunadelle sue versioni. L’uomo deve assumersi le sue responsabilità, senza finzioni efurbizie.

13 Ibid., pp. 84-85.14 Ibid., p. 81.

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Cassano pone anche l’accento, per ovvi motivi, sui passi in cui lo scrittorefrancese esalta il Mediterraneo, che ha addolcito il cristianesimo giudaico con lacomponente ellenistica, che possiede il segreto della misura, dell’accordo tra l’uo-mo e la natura. “Il pensiero di Camus - si legge, in polemica con lo storicismo diHegel - va nella direzione opposta: il Midi si ribella all’Abend-land, a quella conce-zione che pretende che tutto culmini in quella terra della sera che è l’Occidente”.15

Lo scrittore francese, insomma, è un maestro non solo per la sua etica laicadella responsabilità, ma anche per le sue osservazioni sulla meridianità.

Cassano nel corso del saggio non si lascia sfuggire delle amare notazioni su diun Sud che ha aumentato il suo reddito in maniera esponenziale, ma che appare,malgrado tutto, più povero. Le ingiustizie e le esclusioni si sono solo trasformate,mentre persino il mare e il sole stanno perdendo il loro carattere di bene pubblicoper diventare proprietà privata (“Più danaro, più recinti, più rabbia per le nuoveesclusioni: il sud si è venduto ma ha perso se stesso”).16

Anche da queste pagine viene fuori, com’è facile verificare, la necessità dievitare una negativa replicazione del Nord.

Meno stringente ci sembra la presenza del saggio su Pasolini, più sfuocatorispetto al cuore del “pensiero meridiano”, pur offrendo, ovviamente, una serie diinteressanti spunti critici.

Lo scritto riprende un lavoro apparso nel 1994 su «Democrazia e diritto». Iltitolo, Pier Paolo Pasolini: ossimoro di una vita, si propone di spiegare i motividell’attualità del personaggio, che rivela, a vari anni dalla sua scomparsa, delleprofetiche doti di osservatore e di indagatore della società, da fermo nemico delleovvietà dei suoi tempi.

Cassano pone l’accento sulla vitalità delle sue contraddizioni, sul suo spiritodi polemista portato a spezzare fronti, a smentire previsioni, a suscitare clamori, lacui eco non si è ancora spenta.

Uno spirito libero ed inquieto, un modello nella sua singolarità, di cui sicerca di offrire un ritratto a tutto tondo, a partire dal cruciale rapporto tra colpa eomosessualità. Nel terzo paragrafo, in particolare, La diversità della diversità diPasolini, si ricorda, con opportune precisazioni, la sua estraneità alla cultura gay:“L’ossimoro pasoliniano è invece inchiodato sulla convinzione che la diversità deb-ba proprio al suo carico di scandalo, sofferenza e contraddizione la possibilità diuna parola sul mondo capace di raggiungere l’umanità di tutti, debba alla sua stra-ordinaria e “patologica” dipendenza dall’ “altro” una capacità di parlare non desti-nata al solo universo omosessuale”.17

Nelle pagine successive ritroviamo il suo rifiuto dell’umorismo in nome del-la passione, il suo difficile rapporto con il padre, lo scontro con le convenzioni, letradizioni e le autorità, il suo legame con il sacro: il tutto sempre letto sulla base di

15 Ibid., p. 92.16 Ibid., p. 100.17 Ibid., p. 115.

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quella vitale contraddizione, di quell’ossimoro assunto come tema dominante nel-l’indagine sulla vita di un uomo coraggioso e acutamente polemico, il cui messaggiocontiene per Cassano ancora molte gemme da valorizzare.

Il pensiero meridiano è, nel complesso, un libro denso di analisi, di riflessio-ni, di slanci sentimentali, ma anche di proposta di modelli, che ha saputo offrire unaconsapevolezza ed una inedita ed ariosa base di discussione, in una realtà nella qua-le non abbondano i veri punti di orientamento, capaci di reggere all’entusiasmo delmomento.

3. L’Italia debole ma forte

Nel 1998 Cassano dà alle stampe Paeninsula, che reca come sottotitolo L’Italiada ritrovare. Si tratta di un testo che si pone nella scia de Il pensiero meridiano, dicui riprende gli assi portanti, anticipando alcuni spunti che saranno ripresi e svilup-pati in Modernizzare stanca.

Rispetto ai due libri appena citati, Paeninsula rappresenta un lavoro più agile emeno complesso, di poco meno di cento pagine di piccolo formato, inserito nella colla-na dei Saggi tascabili della Laterza, ma non per questo privo di interesse. Tutt’altro.

Cassano, di cui abbiamo già ricordato la scarsa propensione per una scritturafluviale e ridondante, a favore di una dimensione saggistica, pone in primo piano lanostra nazione, scegliendo, come al solito, un punto di vista inusuale, che lo porta aconclusioni gravide di interesse. Qual è il futuro dell’Italia nel nuovo contesto eu-ropeo ed internazionale? Esiste la possibilità di recuperare il lato valido del suopassato, attualizzandolo e valorizzandolo?

Il tema dell’identità italiana ha stimolato nel tempo autorevoli analisi (si pen-si solo a quelle di Leopardi e Machiavelli), giunte alle più diverse conclusioni, nu-merose delle quali registrate da Cassano, a partire dalla definizione, poco lusinghie-ra, di “espressione geografica” data dal Metternich.

L’Italia è senza dubbio la nazione più propensa a denigrarsi, più incline asottostimarsi, ad invidiare le altre realtà statali. Lo studioso si guarda bene dal nega-re questo dato di fatto, parlando di “identità debole”,18 ma il suo punto di partenzaè altrettanto chiaro: “essere italiani non è una disgrazia, un errore da riparare. L’ita-liano non possiede solo difetti ma, spesso come loro controfaccia, anche qualità,che occorre saper riconoscere con intelligenza ed equilibrio”.19

Una nazione del genere è infatti lontana dai fondamentalismi, dagli eccessi,dal potere disumano e spietato, dalla chiusura secca alle ragioni degli altri. Per que-sto motivo, l’Italia, nell’attuale fase storica, può ritagliarsi un suo ruolo come na-zione ponte, come cuore mediterraneo di un’Europa che ha bisogno di scenderesempre più giù, verso le rive bagnate dal sole. È una tesi già presente nel testo del

18 Franco CASSANO, Paeninsula. L’Italia da ritrovare, Roma-Bari, Laterza, 1998, p. V.19 Loc. cit.

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1996, ma che ora assume rilievo dominante, fungendo da leit-motiv per un viaggiotra storia ed attualità.

Il ruolo dell’Italia risalta in modo ancor più vivido se si pensa al fallimento diquanti, nel corso del tempo, da D’Azeglio a Mussolini, da De Sanctis a Gramsci,hanno provato, in vari modi, a fare gli italiani, con in mente modelli inadatti, senzaimmaginare che i limiti potevano diventare dei punti di forza. “L’Italia - si legge-potrà esistere e non solo resistere se saprà reinterpretare creativamente il proprionazionalismo debole, trasformarlo nella capacità di costruire legami al di là delleappartenenze di fede o di lingua, in una solidarietà che scatta di fronte alla sempliceprecarietà e nudità della condizione umana”.20

Nelle pagine che lo studioso dedica alla forma fisica dell’Italia troviamo con-fermata la grande attenzione assegnata ai condizionamenti geografici, alle peculia-rità del territorio, che invece oggi si tendono sempre più ad ignorare, in nome diuna modernità in grado di superare ogni limite. Seguiremo ancora questo discorsonel saggio su Leopardi, ma intanto segnaliamo la cura nel definire le conseguenzedella forma peninsulare, che porta ad una duplice infedeltà, rispetto alla terra ed almare. La “geofilosofia dell’Italia”21 per Cassano è ricca di aspetti interessanti, chepossono dare risposta a molti quesiti.

Il capitolo più acuto del libro ci sembra L’anima italiana, attraversato da unnon facile lavoro di sintesi, ma anche di proposta di personaggi emblematici, trattidal nostro patrimonio comune. Oltre che dell’amato Leopardi, Cassano si ricordadi Boccaccio, contrapponendolo a Pascal e al suo severo giansenismo.

La gioia del Decamerone non può essere mai intesa a fondo senza ricordarel’esistenza del flagello della peste, del negativo al quale reagiscono i dieci giovanidella brigata. Quella dei personaggi dell’opera non è una fuga, ma un modo percelebrare con intensità la forza della vita. La villa risuonante di canti e racconti nelmezzo della tragica epidemia viene accostata alla celebre ginestra minacciata dallalava del Vesuvio.

È uno schema che, nella sua sostanza, Cassano utilizza altre volte (ad esem-pio a proposito di Camus), arrivando ad una conclusione che lascia pensare, anchese non la si volesse condividere in toto: “L’anima italiana sa che l’universo non èstato creato per l’uomo, ma sa anche che conviene rappresentarlo nel modo contra-rio, come se esso fosse stato fatto per l’uomo”.22

Lo studioso lavora, pertanto, sulla dolcezza italiana, sul dominio del ruolodella madre nella nostra cultura, definendo sempre più l’idea. La finzione, tra gliestremi del cinismo e dell’illusione, spinge tutti, quando c’è equilibrio, a “recitare leloro parti migliori, incoraggiando quella lieve esagerazione dei sentimenti che fasentire meno soli di fronte alla morte”.23

20 Ibid., p. VII.21 Ibid., p. 3.22 Ibid., p. 17.23 Ibid., p. 22.

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Il “come se”, insomma, è una buona terapia contro il negativo del mondo,trasformandolo in forza attiva, pur senza poter annullare la realtà stessa, e di questobisogna essere consapevoli.

Che l’anima italiana sia distante da quella germanica, che in certi momentifunge da ideale contraltare, pur senza vis polemica, appare evidente anche pensan-do al senso dell’ironia e dell’autoironia, che trova un punto di riferimento in un’al-tra sfera, quella teatrale, con il personaggio di Totò. L’abbondanza dei riferimenti,che inglobano anche l’ambito cinematografico, ci permette di rimarcare una voltadi più la capacità di Cassano di spaziare a trecentosessanta gradi, con naturalezza esenza presunzione accademica.

Il richiamo ad un “rapporto morbido” con la vita si ritrova pure nel capitolosuccessivo, Una tradizione da reinventare, con il suo richiamo alla forza della fan-tasia, dell’immaginazione, della creatività, per riscoprire, attualizzare e valorizzarela tradizione italiana. Un discorso che ha come corollario il rifiuto “dell’ideadepressiva che il meglio sia alle spalle e ci si trovi di fronte solo a repliche scadenti inun inarrestabile involgarimento del mondo”.24 Un invito chiaro, dunque, rivoltoalle giovani generazioni, “a mettersi in gioco”, senza falsi alibi.

Nelle pagine di Sapere cardinale, invece, il quadro si amplia ad una dimensioneplanetaria, che coinvolge i popoli di tutta la terra, seguendo lo schema di una divisio-ne ispirata dalla bussola, dal nord al sud. I quattro punti cardinali sono anche all’in-terno di ogni uomo, nota Cassano, e dunque l’orizzonte diventa più complesso.

In ogni caso, lo studioso spezza una lancia a favore del riequilibrio delle cul-ture, ricordando i danni prodotti dalla dismisura, dal prevalere del nord e dell’ovest.È un tema che troverà una sua più organica sistemazione in Modernizzare stanca, enon a caso il paragrafo La conquista del centro di Paeninsula sarà in gran parteriproposto proprio nel volume del 2001, nel brano Equilibri cardinali, che è l’ulti-mo dell’opera.

Da quest’elogio di una diversità messa duramente in crisi il discorso si spo-sta, in Provaci ancora, Sud, a quello che è forse il capitolo più animato da una con-fidente fiducia nel futuro prossimo.

La situazione storica offre l’occasione, per dirla con un termine machiavelliano(e proprio il modello dell’ultimo capitolo del Principe sembra ora operante, con lesue suggestioni, in Cassano), per una vera crescita, garantita dalla felice situazionegeografica dell’Italia, ma anche dal sorgere di una nuova classe dirigente, che ha ilsuo simbolo nei nuovi amministratori dell’era del maggioritario.

Spesso è stato evidenziato il problema della debolezza della tradizione civicanel Sud, e il rilievo è sensato per l’autore, che spera nella possibilità di inserire la“ricostruzione delle identità locali”25 in un saldo quadro di riferimento nazionale.L’autonomia dal potere centrale non deve travalicare dai giusti limiti, e per questo

24 Ibid., p. 39.25 Ibid., p. 67.

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motivo Cassano boccia severamente, parlando di “razzismo ben temperato”,26 laproposta del senatore Miglio di qualche anno fa, favorevole ad una tripartizionedell’Italia in macroregioni.

Troviamo qui una conferma della distanza tra certe formulazioni leghiste el’apertura che intende darsi il “pensiero meridiano”. Va anche chiarito, d’altra par-te, che nella mente del sociologo la dimensione mediterranea dell’Italia porta con séla revisione di certe linee della tradizionale politica estera nazionale.

L’ultima considerazione del capitolo è di natura più specificamente culturale,vedendo il Sud d’Italia in armonia con i caratteri dell’epoca postmoderna, che habruciato tante concezioni della storia e tante illusioni ideologiche. Dunque ancheda questo punto di vista ci sono le premesse necessarie per un’idea di sviluppo cheva senz’indugio riempita di contenuti.

Aggiunge poco ai concetti finora ricordati la sezione successiva, L’Europa e ilpensiero meridiano, che funge da ricapitolazione del quadro generale, sia storico chegeografico. Ritroviamo il riferimento ai greci, al mare, alla nascita della filosofia, allacondanna della “dismisura”, alla necessità che ha l’Europa di scendere fino alle rivedel Mediterraneo. Le argomentazioni portano lo studioso a ribadire un caloroso in-vito: “Riscoprire il sud, il Mediterraneo, ricondurre a valore il suo innato politeismo,il sapore di una misura che ci viene da questa antica destinazione all’incrocio dellegenti, questo oggi è possibile, l’unica cosa giusta. Qui e non solo qui”.27

È questo il vero finale saggistico di Paeninsula, che presenta ancora le seipagine di Italia-Italiae, una sorta di scanzonata ballata sui tanti volti della nostranazione. Un modo per congedarsi con quel sorriso autoironico, che vuol essere unsegno di saggezza.

Le intenzioni di Cassano ci sembrano chiare, anche se nutriamo qualche dub-bio sull’opportunità di una tale scelta.

Ogni verso si apre con il nome dell’Italia, aggiungendovi una definizione chene evidenzia uno dei tanti e contradditori volti. L’Italia è tutto ed il contrario ditutto, è “donna” e “madonna”, ma in questa presunta ed apparente debolezza èforte e preziosa, come sappiamo e come l’autore ha dimostrato nei vari capitoli dellibro, con il suo gusto degli sguardi e delle argomentazioni inconsueti.

La ballata si chiude così:

…l’Italia che vuole vivere, l’Italia che dimentica, l’Italia che la sa lunga, l’Italia che frana a valle, l’Italia che tocca con mano, l’Italia tarallucci e vino, l’Italia che riscopri,

26 Ibid., p. 68.27 Ibid., p. 90.

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l’Italia che ti sorprende, l’Italia che ti vergogni, l’Italia che ci è invidiata, l’Italia che se ne frega, l’Italia che non è una sola, l’Italia che meno male.28

L’ultimo verso è eloquente e segna il logico epilogo del “divertimento” diCassano.

Nel complesso, Paeninsula non nasconde qualche “stiracchiamento” atto afar rientrare il lavoro nella dimensione di libro, pur apparendo una tappa logica nelcammino del suo autore. Il tema, che conosce momenti di straordinaria intensità,come nelle pagine di L’anima italiana, lascia spazio anche a momenti di dispersionee di calo di tensione, motivo per cui l’opera, pur nel suo indubbio interesse, ci sem-bra meno felice rispetto a Il pensiero meridiano e a Modernizzare stanca.

4. Il difficile equilibrio

Modernizzare stanca29 racchiude testi apparsi su «Avvenire» e «L’Unità»,due quotidiani evidentemente diversi, per idee, lettori e tradizioni storiche, ad ulte-riore conferma della posizione dell’autore, che ama spezzare i fronti; a questi branigiornalistici, egli affianca alcune altre pagine inedite, con felice scelta.

Ne viene fuori un testo di 173 pagine, una sorta di breviario laico (ma offertosin dall’inizio anche ai lettori cattolici, confidando nella comune sensibilità ai temietici) da assaporare un po’ alla volta, riflettendo sulle due paginette circa che formanoi singoli contributi. In questo libro trovano una organica e più matura collocazionetutti i temi del pensiero di Cassano seguiti attraverso Il pensiero meridiano e Paeninsula,con uno sforzo di decantazione e di chiarezza senz’altro coronato dal successo.

È un lavoro di grande leggibilità, che ha il merito di amplificare le doti discrittore dell’autore, ben distante dall’immagine del sociologo incendiario, abile avendere fumo, o del propagandista del vuoto, usando magari a sproposito paroletecniche o difficili; ma il Nostro, al contrario, non è neanche un personaggio cheriesce a far credere che le banalità siano succhi concentrati di sapienza, da vendere almiglior offerente.

In queste prose, nate nell’arco di un triennio, Cassano riesce ad essere, insie-me, semplice e profondo, esauriente ed originale, acuto e capace di far sentire il suopalpito al lettore. Una cordialità che si apprezza e si desidera, anche, anzi soprattut-to, quando non si condividono tutte le opinioni espresse.

28 Ibid., p. 96.29 Franco CASSANO, Modernizzare stanca, Bologna, il Mulino, 2001.

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Modernizzare stanca, che ha come sottotitolo Perdere tempo, guadagnare tem-po, è articolato in sei sezioni, che disegnano un cammino in cui l’analisi riesce a lascia-re spazio anche ai consigli concreti, ai suggerimenti da mettere immediatamente inpratica. Più precisamente, possiamo riconoscere una divisione in due parti uguali,ognuna di tre capitoli, concluse, rispettivamente, da Piccole salvezze e da Terapie.

Il tutto, poi, è preceduto da una lucida Premessa, L’equilibrio e la modernità,che focalizza, con le già evidenziate qualità di sintesi, la posizione dell’autore, sem-pre attento non ad una mera critica distruttiva, ma ad illuminare i due lati dellaproverbiale medaglia; non per questo, però, egli vuole praticare sconti a quello cheè l’obiettivo polemico per eccellenza del libro, ossia “la mitologia della moderni-tà”.30 È l’idea, sempre più forte e radicata, per cui la civiltà nord-occidentale pensadi poter risolvere i problemi del nostro pianeta modernizzando, imponendo la pro-pria visione e i propri metodi su tutte le altre culture. Un grave errore, come sappia-mo, che non favorisce la risoluzione dei problemi, bensì “allarga progressivamentele legioni degli sradicati, moltiplica le forme del risentimento, gli integralismi reat-tivi”.31

Il titolo del libro, dunque, richiama proprio questa situazione di disagio pro-dotta dalla modernizzazione.

La soluzione, com’è noto, per quanto non agevole, è legata all’equilibrio trale culture del sud e dell’est con quelle attualmente vincenti.

Il confronto può nascere solo dal dialogo, dall’incontro in quelle Terre dinessuno (è questo il titolo della prima sezione del libro), dov’è possibile impararetanto, abbattendo i muri che ci separano dagli altri. Si tratta di pagine da gustare,ricche di un antimodernismo intriso di umanità, di un vivo rapporto con la realtà,ma anche di un afflato ideale che non deve mai spegnersi.

Nell’articolo Antipodi l’autore chiarisce, a scanso di equivoci, che confrontonon significa recidere le proprie radici (“Non si tratta di rinnegarle, ma solo di nonmurare tutta la vita nella ripetizione passiva di ciò che esse insegnano, di evitare didiventare i bigotti della nostra tradizione”).32 Tutto va inteso con il proverbialegranello di sale.

L’uomo, evidenzia Cassano, escludendo dal suo orizzonte Dio ha assuntouna precisa responsabilità; ma il mondo è ancora pieno di dogmi, per quanto laici: èil caso della triade “competizione-innovazione-progresso”,33 che occulta la verità eche i sacerdoti del modello culturale occidentale difendono con ogni mezzo.

C’è poi il dogma della velocità, già al centro delle belle pagine di Andarelenti, ne Il pensiero meridiano (si veda il secondo paragrafo di questo nostro sag-gio), sul quale Cassano concentra ora i propri attacchi nella seconda sezione diModernizzare stanca, Ossessioni.

30 Ibid., p. 7.31 Ibid., p. 8.32 Ibid., p. 18.33 Ibid., p. 16.

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È una parte ricca di brani interessanti e vivaci, forse i più densi e problematicidi tutti, in cui persino fatti ed eventi apparentemente secondari e privi di sensovengono illuminati da una luce nuova, che sorprende. Sono scomparsi i telefonipubblici, ad esempio, di fronte all’avanzata dei cellulari, e questo è un dato positi-vo, ma Cassano inquadra il cambiamento nell’ambito di un fenomeno più generale,“l’irresistibile tendenza verso la scomparsa dei beni pubblici”,34 e il lettore attentonon può non fermarsi a considerare l’emergere dell’ennesimo risvolto negativo.

L’affermarsi, in forme sempre più radicali ed aggressive, dell’individualismoporta i cosiddetti vincitori a concepire egoisticamente il proprio benessere, senzabadare ai costi, disinteressandosi dell’utilità generale. Si tratta di una denuncia cheabbiamo già incontrato nel volume laterziano del 1996, dove si lamentava la rapidascomparsa di tutto ciò che è collettivo, un processo che non produce nulla di posi-tivo e che non si può certo giustificare, come vorrebbero alcuni, come forma disacrosanta reazione al crollo del socialismo reale. Un eccesso non può essere lagiusta risposta ad uno di carattere opposto.

Riflettendo con calma (non a caso il sottotitolo del libro è Perdere tempo,guadagnare tempo) diamo un giusto valore alle cose, riprendiamo il dominio di noistessi, assumiamo anche un buon rapporto con il senso del limite, che ci aiuta acomprendere e ad accettare con minore difficoltà una triste verità: la scienza haaumentato la durata della vita dell’uomo, la tecnica lo ha reso più potente, ma lamorte è sempre lì a ricordarci la nostra finitezza, come notò un secolo fa GiovanniPascoli.

A ben pensarci, il prezzo pagato dall’uomo, privato per giunta delle consola-zioni oltremondane del passato, è stato finora altissimo. A suo tempo, nota Cassano,la scelta è caduta su Cartesio ai danni di Montaigne; ora l’attenzione al senso dellimite è l’unico palliativo rimasto.

Segnaliamo, tra gli altri, il brano La libertà vista di spalle, dove si parte da unpregnante riferimento al buzzatiano Deserto dei tartari, che rinvia all’inesorabile esubdolo passare del tempo, per chiudere con un accorato appello a riscoprire ilvalore del legame con gli uomini.

Lo scrittore, nel complesso, smonta lucidamente, tassello dopo tassello, i fon-damenti della modernità, avendo cura di chiarire i termini della sua critica.

Il linguaggio chiaro e pregnante fa appello alla componente razionale del let-tore, ma non solo ad essa. L’arco di Cassano ha infatti numerose frecce a disposi-zione, e lo dimostra la sezione Piccole salvezze, dove risuonano note più liriche,dove si gusta quella poesia delle piccole cose, dai toni vagamente crepuscolari, chetrasporta la pagina dalla saggistica verso le terre della letteratura.

La fuga può essere più semplice di quanto sembra in un primo momento;basta liberarsi dal vortice per riassaporare il gusto della provincia, dove sono nati igrandi poeti (e Cassano, oltre al solito Leopardi, cita Fellini, sacerdote della decima

34 Ibid., p. 53.

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musa), dove nascono le idee, anche se in apparenza la bilancia sembra pendere afavore delle città.

La salvezza può venire, altresì, dalla nostalgia, dal silenzio, dall’osservazionedegli altri esseri, che ci spinge ad apprezzare le qualità del cane, visto come un “es-sere profondamente religioso”,35 con la sua grande fiducia negli uomini.

Il brano più bello e riuscito, dal punto di vista artistico, ci sembra Ci sonogiorni, che apre la sezione di cui ci stiamo occupando. Qui la viva e acuta curiositàverso tutti gli aspetti del reale si esprime utilizzando una prosa poetica ricca dienumerazioni, sostenuta da un vistoso, quasi martellante, uso dell’anafora (Ci sonogiorni/ Ci sono i giorni).

Si pensi, per esempio, a questo brano:

Ci sono giorni di altri che una volta erano anche i tuoi e che adesso non sonopiù nel tuo calendario, giorni che non ritornano. Ci sono giorni burrasca, che tisorprendono al largo mentre stai facendo le solite cose e devi pregare per riu-scire a tornare. Ci sono i giorni più duri, bui anche a mezzogiorno, degli strap-pi improvvisi, quelli dei congedi definitivi, delle cose che non puoi cambiare, igiorni in cui paghi tutto e con gli interessi, quelli in cui una fitta che avevidimenticato torna a farsi sentire. Ci sono i giorni che si sciolgono al sole: sonobelli al mattino, ma poi non accade nulla. Ci sono i giorni-destino, in cui tuttoti accade e tu non hai scelto nulla, i giorni che decidono anche per quelli succes-sivi senza averli consultati. Ci sono i giorni tagliati in due, quelli in cui devistrapparti via mentre vorresti rimanere oppure riesci a passare tra le sbarre e seilibero all’aperto. Ci sono i giorni in cui voli leggero ad alta quota e quelli in cuianche camminare stanca, giorni da giovani e giorni da vecchi.36

L’anafora scandisce la varietà dell’esistenza, fino alla malinconica conclusio-ne, all’amaro succo della consapevolezza della fine: “C’è un giorno in cui ti accorgiche una vita è una successione di giorni diversi, una collezione di fotografie chelascerai ad altri nella speranza che ne conservino qualcuna”.37

Anche Piccolo grande epos ha un finale dolente ed ispirato, dopo aver de-scritto la varietà di cose e di uomini che scorrono davanti agli occhi di un passegge-ro seduto nello scompartimento di un treno. Il tempo necessario per giungere adestinazione non è speso invano, anzi, rappresenta un momento prezioso per ac-quisire consapevolezza della propria vita, che passa rapida e leggera come le imma-gini viste durante il viaggio.

Enumerazioni ed anafore ricorrono altre volte nel libro (ad esempio, nellastessa sezione, in Le città visibili: esercizi spirituali per viaggiatori), sempre coneffetti felici, variando, con queste accensioni di lirismo, il panorama del libro. LePiccole salvezze non sono poi tanto piccole!

35 Ibid., p. 89.36 Ibid., pp. 67-68.37 Ibid., p. 68.

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Più legati alla politica e all’attualità appaiono gli undici brani che formanoStorie comuni. I primi articoli si collegano al dibattito che ha fatto seguito all’epocalecrollo del socialismo reale e alla fine del timore della rivoluzione del popolo. Cassanoprende posizione contro il ridimensionamento dei diritti sociali, chiedendo allapolitica più entusiasmo, più passione, ben al di là dell’interesse individuale e delprotagonismo spicciolo.

Una similitudine ci ha colpito su tutte per la sua assiomatica evidenza: “Ipolitici sono un po’ come i professori, non possono trasmettere l’amore per unapoesia se non fanno vedere ai ragazzi senza pudore il loro amore. Se non si fa vederela propria passione, non la si riesce a trasmettere agli altri. I movimenti nasconodalle commozioni”.38 Un pensiero limpido, che non ammette troppe disquisizionie che gireremmo volentieri a quanti pensano che la scuola possa cambiare attraver-so parole alla moda o alchimie gattopardesche.

Il mondo ha bisogno di persone che esprimono quel che sentono nel cuore,venendo messe nelle condizioni di farlo.

Si noti, in La sinistra e il papa, come la visuale laica dell’autore non gli impediscadi riconoscere i meriti del pontefice da poco scomparso, che brillano nei confronti dicerto laicismo poco accorto e cieco, per niente disposto a correzioni di rotta. GiovanniPaolo II è la più grande dimostrazione di un occidente che non si identifica con il con-sumismo, i potentati economici ed il militarismo, e dunque si tratta di un punto sulquale fare leva, nella convinzione che la battaglia non è irrimediabilmente perduta.

Particolare attenzione merita l’ultimo brano della sezione, L’immortalità delcretino, contro i profeti del verbo liberista, ma soprattutto contro coloro che sonopronti a diffamare ed a screditare i nemici della modernità. Un discorso che coin-volge direttamente l’autore, com’è facile comprendere, ma che pone anche una piùgenerale questione di metodo: se qualcuno chiede di capire, non gli si può rispon-dere invocando una cieca obbedienza o passando sul piano delle offese. È un con-cetto apparentemente scontato, ma che nella vita quotidiana si dimentica facilmen-te, specie in certi ambiti intellettuali. Il re può essere nudo e qualcuno, magari l’ul-timo della classe, potrebbe ricordarcelo.

Che certe idee siano trasversali, poi, si può notare dalle pagine della quintasezione, Ri-orientamenti, correzioni di rotta, dedicate al processo europeo. Anchenella costruzione della grande casa europea, sottolinea Cassano, viene applicato ilsolito schema, che vede la civiltà moderna risiedere a nord, tra i popoli germanici,mentre a Sud ci sono solo persone da incivilire, da “normalizzare”.

L’Italia ha sempre recitato la parte della parente povera, che deve entrare inEuropa, magari in punta di piedi e recitando un mea culpa, mentre le altre nazionigià ci sono e possono svolgere il ruolo di giudici inflessibili. La posizione mediter-ranea della nostra nazione viene vista solo come problema, come fastidiosa vicinan-za con l’Africa e l’Asia.

38 Ibid., p. 108.

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Questa concezione è errata e pericolosa. “L’Europa - scrive il Nostro - nonriuscirà mai a camminare se si amputerà del suo sud, se non riuscirà ad immetterenella sua logica di movimento accanto all’ascetismo dei governatori delle banchecentrali un’idea della buona vita, il suo distendersi al sole”.39

Si tratta di un’affermazione che suggerisce una visuale molto più aperta esensata, nell’ambito della quale anche le carenze e le contraddizioni degli italiani sitrasformano in pregi, come abbiamo visto in Paeninsula. L’et et può essere più pro-ficuo di certi teutonici aut aut.

Il che non significa che tutto vada bene da noi, ovviamente, ma nemmeno sipuò affermare che l’Italia (e, a maggior ragione, nell’ambito della nazione, il Sud)sia solo una periferia di Bruxelles.

I pregi del Meridione, d’altra parte, salgono in primo piano, come già antici-pato, nelle ultime pagine, quelle di Terapie, dove abbondano nuovamente i mo-menti lirici. Nel brano d’apertura, Passeggiare non stanca, troviamo un elogio delcontatto con la strada e con il prossimo. “Passeggiare - si legge - è un’arte povera,un far niente pieno di cose, il piacere di scrivere una pagina bianca, una risacca dolcedella nostra vita minima”.40 La conclusione segna ancora una volta la sua distanzadal pensiero di Pascal: “Diceva Pascal che tutti i guai dell’uomo derivano dal fattoche non è capace di stare da solo tra quattro mura. Per noi invece nascono dal fattoche non scende in strada per passeggiare”.41

E che dire del gusto della pausa, della pennichella? Oggi persino i managerpiù agguerriti e produttivi stanno scoprendo che perder tempo è un modo per gua-dagnarlo, proprio come, aggiungiamo noi, da un po’ di tempo i medici e gli studiosidi alimentazione hanno riscoperto i pregi della dieta mediterranea, accusata a lungodi essere un relitto dell’atavica e gretta civiltà contadina, di fronte all’avanzata deiMc’Donalds.

Perché allora la modernità deve privarsi di queste qualità? Perché deve segui-re una frenetica ed insensata velocità, che trasforma gli essere viventi in automi?Sono questi i quesiti posti da Cassano, con un duplice, prezioso risultato: da unaparte, fornisce ai meridionali di tutto il mondo, che sono tanti, la consapevolezzache non è adeguandosi a modelli estrinseci che si risolvono i problemi di fondo;dall’altra, invita proprio i “vincitori” a piegarsi di più sulle ragioni degli altri.

Il “pensiero meridiano” fa risaltare i suoi pregi proprio perché mette in di-scussione i presunti assiomi, impone l’assunzione di altri punti di vista, restandolontano dall’essere un mero strumento di difesa dello status quo meridionale. Italebani, più o meno interessati, non sono solo i sacerdoti laici della tecnologianordista, ma anche quelli che pensano che tutto vada bene nelle terre del sole, perperpetuare privilegi ed ingiustizie.

39 Ibid., p. 126.40 Ibid., p. 150.41 Ibid., p. 151.

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Lo scrittore riassume le sue ragioni negli ultimi due paragrafi del libro, Fra-telli del sombrero, ricco della poesia di un Sud che sfugge alle due alternative, appa-rentemente draconiane, della fuga sdegnosa e della trasformazione in Nord, ed Equi-libri cardinali, elogio della diversità tra gli uomini, che si chiude con l’anelito acercare un’armonia che possa rendere il mondo più giusto e tranquillo.

Modernizzare stanca, insomma, con la sua equilibrata posizione di criticadella modernità, va gustato a piccole dosi e tenuto a portata di mano, per rileggerlo,a distanza di tempo.

Il volumetto, ricordandoci che la questione meridionale, ben lungi da certegrette impostazioni in chiave leghista, non è più un problema di rapporto tra regio-ni dell’Italia continentale e dell’ex Regno di Napoli, ma ha assunto una rilevanzamondiale, è un testo laico nel senso più alto del termine, ossia che riesce a parlare atutti, che si può centellinare ed apprezzare anche se non si condividono le posizionidi partenza o non tutte le soluzioni. Non è poco per un libro!

5. Leopardi: dai massimi ai minimi sistemi

Dopo Modernizzare stanca Cassano è ritornato in libreria nel 2003 con untesto incentrato sul grande poeta di Recanati, Oltre il nulla. Studio su GiacomoLeopardi.42

Si tratta di un cambiamento che può inizialmente disorientare il lettore, madopo lo sconcerto iniziale ci si accorge che anche questo lavoro presenta un’indub-bia aria di famiglia. Chi lo legge dopo aver familiarizzato con i capisaldi del “pen-siero meridiano”, infatti, finirà, benché l’argomento non manchi di un’intrinsecadifficoltà e complessità, per scorgervi la presenza dei temi più cari al professore.

Anche stavolta, poi, si tratta di un lavoro di dimensioni contenute, poco piùdi novanta pagine, di piccolo formato, ma ricche di argomentazioni e di motivi diinteresse.

Leopardi è un autore che sta conoscendo una sempre crescente fortuna criti-ca. Dopo Dante, è ormai lo scrittore più studiato in Italia, mentre all’estero aumen-tano in modo costante i segnali di attenzione verso la sua opera, rendendola semprepiù nota, sia nella lingua originale che attraverso le traduzioni.

Una tendenza rafforzata di recente da due ricorrenze, il centocinquantenariodella morte, nel 1987, e il bicentenario della nascita, nel 1998, che hanno offertoovunque l’occasione per manifestazioni, giornate di studio e pubblicazioni di note-vole livello. Un’esplosione di attenzioni che qualche vecchio leopardista ha accoltocon malcelato disappunto, ma che evidentemente non può che rappresentare undato positivo, di cui tenere conto.

Leopardi nel tempo è stato capace di attrarre le attenzioni di numerosi stu-

42 Franco CASSANO, Oltre il nulla. Studio su Giacomo Leopardi, Roma-Bari, Laterza, 2003.

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diosi, italianisti, ma anche filosofi, storici e scienziati, attratti dallo spessore e dallapoliedricità del genio del Recanatese.

Il pensiero di Giacomo, in particolare, con la sua maturazione e le suecomprensibili oscillazioni, è una miniera di osservazioni e spunti per saggi che nefanno risaltare la profondità e la significatività, ma è anche un terreno di scontro,intellettuale, s’intende, viste le diverse conclusioni alle quali sono giunti i vari espesso autorevoli interpreti.

Un terreno da tastare con attenzione, ma forse proprio per questo ancor piùstimolante, nel quale si è inserito Cassano, con un saggio tutto giocato sulla quasiprofetica attualità di Leopardi, sulla sua capacità di parlare alla nostra razionale etormentata epoca, che ha bruciato per sempre le illusioni degli antichi.

Giacomo, così, rivela i pregi del suo pensiero ad uno studioso che si china asviscerarne gli aspetti, riconoscendo le sue ragioni e cogliendo il destro per comple-tare la disamina con le proprie posizioni.

Se proprio vogliamo trovare una pecca in questo lavoro, è proprio in questasimbiosi tra Leopardi e Cassano, che talvolta non lascia distinguere dove finiscel’uno ed inizia l’altro; ma in generale si tratta di un lavoro di notevole rilievo e bencaratterizzato.

Il Leopardi affrontato dal Nostro è soprattutto quello dello Zibaldone, ilfrutto di un uomo che si interroga sui perché della vita, stendendo nel corso deglianni un ponderoso “scartafaccio”; ma nel finale del saggio si accampa al centrodella scena anche La ginestra, l’ultimo approdo di Giacomo, la poesia ricordata inun passo di Modernizzare stanca, nell’articolo La libertà vista di spalle, che vale lapena di richiamare:

Se non vogliamo consegnare i giovani a una solitudine insostenibile, dobbiamoripensare il valore del legame con gli altri. La morte, anche da sola, è già abba-stanza potente: non si capisce perché noi le allarghiamo gli spazi procedendo inordine sparso verso di essa. Solo la nostra capacità di legarci in quella che Gia-como Leopardi chiamava “social catena” potrebbe attutire lo strapotere che lamoderna solitudine regala alla morte.43

Leopardi, come sappiamo, al pari di Camus, è un costante punto di riferi-mento per Cassano, oggetto, tra l’altro, del saggio Il valore e la sventura: la fonda-zione materialistica della virtù in Giacomo Leopardi, apparso sulla rivista «Demo-crazia e diritto» nel 1991, che, rielaborato, costituisce proprio la seconda parte dellibro laterziano.

Oltre il nulla, frutto di un amore di vecchia data, si apre con un’illuminantePremessa, Il pensiero e i luoghi, che racchiude, specie nel secondo paragrafo, tutti itemi sviluppati nello studio.

43 Ibid., p. 61.

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Nella prima parte, Marchingegno, giocando con la parola, Cassano, come avoler rispondere allo sconcerto del lettore di fronte all’argomento, solleva il velo sualcune motivazioni autobiografiche. Egli ci parla del forte legame esistente tra lui ele Marche, regione d’origine della madre, oltre che sua, descrivendo questa terra,cara sin dagli anni giovanili, come “una dolce e quasi continua successione di vallatee colline affacciate sul cielo, dalla cui sommità è possibile cogliere, lontano ma for-temente presente, l’azzurro dell’Adriatico”.44

Un ambiente che spiega le caratteristiche dei suoi abitanti e che ha condizio-nato lo stesso Giacomo, marchiandolo indelebilmente, prima del distacco. Recanati,si sa, resta sempre il paese dell’anima del poeta.

Ancora più importanti, come già detto, sono le pagine del secondo paragra-fo, Lo sguardo da lontano. Leopardi ci ha lasciato una grande lezione, quella di“Sapersi far carico della verità senza rassegnarsi”.45 Il titolo del libro, del resto, Ol-tre il nulla, ben chiarisce il senso della interpretazione leopardiana del Nostro, lon-tana da certe restrizioni di crociana memoria, come anche da certe ricostruzionipiattamente materialistiche o, peggio, che ripropongono, per altra via, l’esaltazionedelle “magnifiche sorti e progressive”.

Cassano, che non manca di rilevare i limiti del Leopardi progressivo di Luporinie Binni, laddove “toglie peso proprio alla riflessione leopardiana sulla politica”,46 nonnasconde le suggestioni esercitate da Bruno Biral, autore, tra l’altro, di un fortunatolibro, La posizione storica di Giacomo Leopardi, dove troviamo il pensatore corrosi-vo verso il mondo moderno, ma ancora capace di spingere alla resistenza e all’utopia.

In Giacomo, nota Cassano, “il nulla ha un ruolo cruciale, ma è solo la penul-tima parola”,47 evidenziando il suo sforzo di andare al fondo delle cose, sgombran-do il campo da tutte le false illusioni e da ogni finzione, con coerenza. È un Leopar-di che non rinuncia all’aspetto civile del pensiero, alla volontà di sentirsi legato congli altri uomini, avvertendo una comunanza di destino.

Ma cosa resta alla fine di questa rigorosa operazione di demistificazione?Cosa produce questo sforzo doloroso ma necessario? Qual è, in altri termini, “l’ul-tima parola”? Cassano non ha dubbi: è lo “sguardo da lontano”, tante volte presen-te negli scritti del Recanatese, la capacità di osservare gli uomini con una distanzache è spaziale e temporale, come abitanti di una piccola sfera sperduta nell’univer-so, destinata a sparire senza lasciare traccia.

Una visione che rimarca la debolezza umana, ma mostra anche l’unica, possi-bile grandezza, ponendo le basi per un vero amore universale, non basato sui falsiideali di fraternità dei nostri giorni, che nascondono, sotto la coltre di un illimitatosolidarismo, un sostanziale egoismo, e neppure legato ai tramontati e limitati idealidi nazione del passato.

44 Ibid., pp. V-VI.45 Ibid., pp. VIII-IX.46 Ibid., p. 54.47 Ibid., p. IX.

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Questo “sguardo da lontano”, che non tradisce la verità, può offrirlo solol’immaginazione, ragion per cui Cassano ha buon gioco nel concludere: “È l’inse-gnamento paradossale di Leopardi: solo l’immaginazione potrà ricondurre gli uo-mini alla realtà”.48

Ma se l’immaginazione è una dote soprattutto dei popoli del Sud, ritornia-mo, per questa via, all’autore del “pensiero meridionale”, che smonta l’idea di unaciviltà basata solo sui valori del Nord, che pretende di plasmare il mondo a suaimmagine, cancellando i tesori del Sud, sottraendoli all’intero mondo. Di qui unanuova, sostanziale critica alla dittatura del pensiero unico, alla globalizzazione, chenon può portare alla felicità del mondo, ma consolida l’ingiustizia.

Merito di Cassano, nella prima parte del libro, intitolata Il problema dell’emi-nenza meridionale, è di aver posto l’attenzione sulle tante riflessioni dedicate da Le-opardi alle caratteristiche delle civiltà meridionali e settentrionali. Il dato appare ancorpiù evidente se utilizziamo un’edizione su cd rom, che ci permette di verificare quan-to cospicue siano le occorrenze di termini come “meridionale” e “meridionali”.

Giacomo a più riprese, non senza oscillazioni nel tempo, ha sottolineato ledifferenze esistenti tra i popoli del Sud e quelli del Nord. La civiltà è nata nei paesibaciati dal sole, che ebbero la supremazia finché durarono le illusioni; col tempo,però, la situazione è cambiata, sancendo l’egemonia del razionale Nord.

Lo stesso Leopardi finisce per affiancare gli antichi ai meridionali, da unaparte, e i moderni ai settentrionali, dall’altra; ma mentre la differenza tra antichi emoderni è presente su tutti i testi scolastici, anche nelle sintesi più rapide, l’altradiversità è rimasta molto più in ombra, considerata, suggerisce il sociologo, come laconseguenza di pregiudizi pseudoscientifici dell’epoca, taciuta forse proprio percomplice amore verso Giacomo.

Questa spiegazione, che riteniamo condivisibile, offre comunque lo spunto aCassano per evidenziare la netta sottovalutazione dell’importanza dell’ambientenella nostra epoca, permeata, non a caso, da una esagerata fiducia nella tecnica. È untema già colto nei tre libri esaminati in questo nostro saggio.

In poche ma dense pagine, lo studioso segue un cammino che porta a rivalu-tare l’immaginazione andando al di là della modernità: “Nell’età moderna la scien-za e la tecnica hanno trasformato il mondo, riempiendolo con le loro conquiste, maproprio questi grandi successi hanno dato modo di sperimentare i loro limiti: ledisuguaglianze e l’ostilità non sono diminuite, anzi forse è accaduto il contrario”.49

Di qui la necessità di “provare a ridimensionare la loro arroganza e a riconoscerel’importanza dell’immaginazione”.50

Cassano amplia poi il discorso, soffermandosi sulla “dittatura del ‘qui’ ed‘ora’”,51 ricordando che “Un mondo capace di muoversi solo in base a ciò che è

48 Ibid., p. XI.49 Ibid., p. 17.50 Loc. cit.51 Ibid., p. 19.

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sicuro ed esperibile direttamente, è prigioniero del presente, non riesce a trascen-derlo, è una vita misera, chiusa in un piccolo tempo e in un piccolo spazio”.52

Altrettanto acute sono le pagine della seconda e più ampia parte del libro,Non mentire né rassegnarsi, un titolo che ha la secchezza di uno slogan politico opubblicitario, con il quale viene definito l’atteggiamento di Leopardi, il suo serratoesame del mondo e degli uomini, ma anche il suo rifiuto del cinismo e dell’egoismo.Ogni rigo di Giacomo, si legge, “rinnova la protesta, l’incapacità di rassegnarsi al-l’assurdità della morte, alla destinazione del genere umano al silenzio infinito del-l’universo”.53

Leopardi non mente quando ricorda che gli uomini sono sempre scontentiperché sono sempre infelici, cercando ovunque dei capri espiatori, come i politici,ai quali vengono dedicate delle osservazioni di straordinaria efficacia, né quandosegue i segni camuffati dell’individualismo.

L’opera di costante demistificazione del Recanatese culmina, e non potevaessere diversamente, con il messaggio de La ginestra, trasferendo l’odio dagli uomi-ni alla Natura, in cambio dell’unica, vera solidarietà possibile. Della celebre operain Oltre il nulla vengono non a caso riportati i versi 111-135, che poeticamente nonhanno convinto tutti i critici, specie quelli più nostalgici del poeta dell’idillio, mache, dal punto di vista ideologico, sono senza dubbio alti e chiari, oltre che veri.

È un messaggio la cui forza è ancora immutata, che richiama in causa lo sguar-do da lontano: “Tutti gli uomini dovrebbero, con una preghiera laica, ripetere ilgioco infantile di Leopardi, allontanarsi da questo globetto, per scoprire, da quellaenorme distanza, la loro comune condizione”.54

La vera grandezza è figlia dell’avvertimento della fragilità umana, ricordaCassano, che arriva all’epilogo di questo studio quasi con un complice cenno d’in-tesa allo scrittore di Recanati, di cui si evidenzia, una volta di più, la straordinaria,anzi, la pressante e profetica attualità per l’uomo moderno.

Oltre il nulla è pertanto un attento studio su Leopardi, che si chiude con unalezione sui massimi sistemi che può facilmente tradursi anche in un insegnamentospicciolo di vita, in un appello alla vera saggezza, che porta a non fermarsi alleapparenze e a non montarsi troppo la testa, senza per questo mai rinunciare allapropria testimonianza, al proprio sincero impegno in questo piccolo granello chia-mato Terra.

52 Ibid., p. 21.53 Ibid., p. 44.54 Ibid., p. 84.

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Pasquale e Tiziana di Cicco

I Consigli provinciali e distrettuali di Capitanata (1808-1860)*

di Pasquale e Tiziana di Cicco

1. Premessa

La letteratura storica relativa a questo interessante tema, quasi tutta di datarecente, resta ancora alquanto scarsa e si compone di non molti autori fra cui èAlfonso Scirocco che per primo ha richiamato l’attenzione degli studiosi sugli attidei Consigli provinciali del regno di Napoli, sottolineandone la valenza di notevolefonte storica.

In effetti l’importanza degli atti dei Consigli era nota anche prima - già AngelaValente se ne era servita per il suo Gioacchino Murat e l’Italia meridionale (Torino,Einaudi, 1941) - ma resta un merito dello Scirocco aver valorizzato, con un appositolavoro, tale fonte ne I problemi del Mezzogiorno negli atti dei Consigli provinciali(1808-1830), apparso nell’ «Archivio Storico per le Province Napoletane» nel 1970.

Successivamente con rinnovato impegno è ritornato sul medesimo tema, trat-tandolo da un punto di vista particolare, con il lavoro I corpi rappresentativi delMezzogiorno dal Decennio alla Restaurazione: il personale dei Consigli provinciali,apparso in «Quaderni storici» (1978).

Dopo questi si annoverano i seguenti studi: Renata De Lorenzo, Una fonteper la conoscenza del Mezzogiorno nel Decennio francese: gli atti dei Consigli di-strettuali del 1808, edito in «Archivio Storico per le Province Napoletane», XVII,n. s. (1978); Vittorio Di Donato, Note sul personale e sul funzionamento del Consi-glio Provinciale di Terra di Lavoro (1806-1861): premesse all’inventario della serieIntendenza-Consigli Provinciali e Distrettuali, conservate nell’Archivio di Stato diCaserta, in «Rivista Storica di Terra di Lavoro», IV (1978); Renato Lalli, I Consiglidei Distretti del Molise, 1808-1819 (Isernia, Libreria Editrice Marinelli, 1980); Re-nato Lalli, I Consigli della Provincia di Molise, 1806-1814, tomo I (Campobasso,Editoriale Rufus, 1993) 1815-1820, tomo II (Campobasso, Editoriale Rufus, 1993),1821-1841. Agricoltura, Commercio, Industria, Strade, Pubblica Istruzione, tomoIII (Venafro Edizioni Vitmar, 1997), 1821-1841. Amministrazione e Servizi, Giusti-zia ed Ordine Pubblico, Assistenza e Beneficenza, Finanze, Vita quotidiana, L’am-biente culturale, tomo IV (Ripamolisani, Arti Grafiche La Regione, 2000); France-sco D’Agostino, Il Consiglio Provinciale di Terra di Bari, in L’età della Restaura-

* I paragrafi 1, 2, 3 sono di Pasquale di Cicco; i paragrafi 4 e 5 e l’appendice sono di Tiziana di Cicco.

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I Consigli provinciali e distrettuali di Capitanata (1808-1860)

1 Sul regno di Napoli durante il Decennio sono tuttora validi i lavori di Jacques RAMBAUD, Naples sous JosephBonaparte (1806-1808), Paris, Plon-Nourret et C., 1911, e di Angela VALENTE, Gioacchino Murat e l’ItaliaMeridionale, Torino, Einaudi, 1941, cui si è aggiunto di recente quello a cura di Aurelio LEPRE, Studi sul regno diNapoli nel Decennio francese (1806-1815), Napoli, Liguori, 1985. Stigmatizzando la mentalità dei politici dellaRestaurazione, il Colletta scriveva: “Un governo di dieci anni, riconosciuto in Europa, consolidato da’ codici,ordini di Stato e bene pubblico, era chiamato occupazione militare”; cfr. Pietro COLLETTA, Storia del reame diNapoli, a cura di Nino Cortese, Napoli, Libreria Scientifica Editrice, 1957, 3 voll.: vol. III, p. 11.

zione (1815-1830), Atti del 3° Convegno di studi sul Risorgimento in Puglia, (Cas-sano Murge, Bracciodieta Editore, 1983); Maria Sofia Corciulo, I Consigli generalie distrettuali di Terra d’Otranto dal 1808 alla rivoluzione del 1820-21, in Il Mezzo-giorno preunitario. Economia, società e istituzioni, a cura di Angelo Massafra (Bari,Dedalo, 1988); Sugli atti dei Consigli generali e distrettuali di Principato Citra duran-te il decennio francese 1806-1815, in «Clio», 1989; Dall’amministrazione alla Costi-tuzione. I Consigli distrettuali di Terra d’Otranto nel Decennio francese (Napoli,Guida, 1992); Enrica Di Ciommo, Élites provinciali e potere borbonico. Note per unaricerca comparata, in Il Mezzogiorno preunitario…; Paolo Muzi, La presenza bor-ghese nei Consigli Generali e distrettuali di Abruzzo Ulteriore, II, 1808-1830, in IlMezzogiorno preunitario…; Luigi Calabresi, Il personale politico dei Consigli provin-ciali in Basilicata (1808-1821), in «Bollettino della Basilicata», XVII (2001).

Quasi nessuno di questi autori, dunque, nell’utilizzo della menzionata fonte,ha spinto le sue ricerche oltre il 1830, privilegiando il periodo detto comunemente“Decennio francese”, come quello in cui i Consigli ebbero modo di svolgere un ruolomaggiormente significativo, date le più rilevanti attribuzioni loro riconosciute.

Quanto alla Capitanata, i suoi Consigli provinciali e distrettuali non sonostati oggetto sinora di alcun lavoro a stampa. Gli atti che ad essi si riferiscono, con-servati nell’Archivio di Stato di Foggia, sono purtroppo molto lacunosi.

E non sempre ha successo il tentativo di colmare i vuoti documentari facen-do capo alle “Risoluzioni sovrane espresse sui voti consiliari”, sia perché anche laserie delle Risoluzioni non è integra, sia perché lo schematico e freddo contenutodel provvedimento adottato dal re nel Consiglio ordinario di Stato è incapace didare il quadro talvolta vivace e complesso offerto invece dai verbali assembleari.

2. Nomina, composizione, competenze

Nel 1806 Giuseppe Bonaparte, fratello dell’imperatore Napoleone, divienere di Napoli, sostituendosi a Ferdinando I di Borbone che ha trovato rifugio inSicilia, come già nel 1799.

Comincia allora nel regno meridionale il cosiddetto Decennio francese, che iBorbonici dopo la Restaurazione definiranno “periodo dell’occupazione militare”,giudicando usurpatori ambedue i sovrani napoleonidi, Giuseppe (1806-1808) eGioacchino Murat (1808-1815).1

La nuova monarchia “volle impersonare la Rivoluzione con le sue maggiori con-quiste: uguaglianza civile, nuovo ordinamento amministrativo, abolizione della feudalità

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Pasquale e Tiziana di Cicco

2 Domenico DEMARCO, La borghesia fondiaria del Regno di Napoli nel secolo XIX: le origini, i problemi, in«Rassegna storica del Risorgimento», XXXVIII (1951), p. 357.

3 Le relazioni statistiche dell’inchiesta murattiana solo di recente sono state tutte pubblicate integralmente,con benemerita fatica del Demarco; cfr. Domenico DEMARCO, La Statistica del Regno di Napoli nel 1811,Roma, Accademia Nazionale dei Lincei, 1988, 4 voll. Parecchie di esse in precedenza e per diverse provinceavevano visto la luce a cura di vari studiosi, quali Vincenzo Ricchioni e Tommaso Nardella per la Puglia,Alfredo Zazo per il Principato Ultra, Leopoldo Cassese per il Principato Citra, Umberto Caldora per laCalabria, Tommaso Pedio per la Basilicata, Carmine Cimino per la Terra di Lavoro.

4 Sulla nascita delle Intendenze, che furono elemento portante dell’organizzazione statuale accentrata delregno meridionale, cfr. Carlo GHISALBERTI, Contributi alla storia delle amministrazioni preunitarie, Milano,Giuffrè, 1963; Carlo GHISALBERTI, Dall’antico regime al 1848, Bari, Laterza, 1974; Pasquale VILLANI, L’Italianapoleonica, Napoli, Guida, 1978; Armando DE MARTINO, La nascita delle Intendenze, Napoli, Novene,1984; Raffaele FEOLA, La monarchia amministrativa, Napoli 1984; Raffaele FEOLA, Accentramentogiurisdizionale. Il progetto amministrativo nel primo Ottocento napoletano, in «Archivio Storico per le Pro-vince Napoletane», XXIV (1985), pp. 451-474.

5 “Per i comuni maggiori i decurioni sarebbero stati scelti dal ministro dell’Interno su terne presentatedall’intendente, per i minori sarebbero stati designati dell’intendente stesso. Il sindaco ed i due eletti che locoadiuvavano erano nominati rispettivamente dal ministro o dall’intendente su terne presentate dal decurionato.Si chiudeva così la breve vita della rappresentanza elettiva a livello comunale e si inaugurava un ferreo control-lo delle autorità statali sui municipi, destinato a durare fino al 1860, con la brevissima parentesi del 1820-1821”; cfr. Alfonso SCIROCCO, I corpi rappresentativi nel Mezzogiorno dal ‘Decennio’ alla Restaurazione: ilpersonale dei consigli provinciali, in «Quaderni Storici», 1978, 37 (gennaio-aprile), pp. 102-103.

e dei fedecommessi, riduzione della potenza del clero, sviluppo dell’istruzione ecc., inuna parola, la possibilità di progresso immediato”.2 E con le riforme che mise subito inatto seppe dare al regno di Napoli un nuovo e più ordinato assetto statuale.

Nei primi anni del periodo francese i governanti si adoperarono molto perconoscere le esigenze della popolazione, al fine di poter attuare con adeguatezza lenecessarie riforme.

Basti ricordare in proposito la maggiore indagine sulle condizioni economi-che e sociali del regno allora avviata, che va sotto il nome di Statistica murattiana,3per convenire che gli uomini di governo del Decennio perseguivano il progressodel paese non sulla base di ideologie o principi teorici, ma sulla scorta della concretaconoscenza delle reali condizioni della popolazione.

Tra le riforme che si attuarono un posto eminente è occupato da quella am-ministrativa decisa con legge dell’8 agosto 1806. Per essa il regno di Napoli eradiviso in tredici province, ognuna ripartita in distretti. Le prime erano rette dagliintendenti, i secondi dai sottintendenti.4

La medesima legge del 1806 istituzionalizzava l’elezione dei Consigli comu-nali, i cui membri, chiamati decurioni, sarebbero stati eletti in pubblico parlamentodai capi di famiglia compresi nel ruolo delle contribuzioni dirette (tit. IV, art. 2).

Ma ciò rappresentava una grossa deroga al generale principio dell’accentra-mento cui si informava il nuovo sistema statuale d’influenza francese e, pertanto, adessa fu dato pochi mesi dopo, con legge 18 ottobre 1806, un sostanziale correttivo (idecurioni non sarebbero stati più eletti a sorte solo tra proprietari con una determi-nata rendita) e posto del tutto fine con legge del 20 maggio 1808, che faceva cessareogni forma di elezione o di sorteggio per le amministrazioni comunali, assogget-tandole invece ad uno stretto controllo burocratico.5 Nel processo innovatore per-

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I Consigli provinciali e distrettuali di Capitanata (1808-1860)

seguito dai nuovi governanti una parte di gran rilievo, assieme alle Intendenze e alleSottintendenze, ebbero i Consigli generali di provincia ed i Consigli distrettuali,con funzioni puramente consultive. Questi Consigli, nonostante la limitatezza del-le attribuzioni, rappresentarono una delle migliori novità nella pubblica ammini-strazione del Mezzogiorno.

Essi permisero alle province di uscire dal precedente isolamento, di far cono-scere alle autorità centrali le proprie necessità e di creare, con suggerimenti e preciseinformazioni, i presupposti per una proficua opera di interventi governativi.

Le norme dell’8 agosto 1806 ed altre successive determinavano le precise com-petenze di questi nuovi organismi,6 mentre istruzioni a stampa del ministro dell’In-terno del 24 settembre 1808 ribadivano che il loro compito primario consisteva nel“far pervenire al Governo il quadro fedele dei bisogni delle Province e l’espressionedei loro voti e dei loro pensieri”.7

La ripartizione della contribuzione fondiaria fra i distretti della provincia, latrasmissione al ministro delle Finanze dei reclami volti ad ottenere l’alleggerimentodella tassazione, l’esame dei reclami fatti dai Consigli distrettuali per la diminuzionedel carico fiscale, la determinazione del numero delle grana addizionali per supplirealle spese a carico della provincia e l’esame del conto dell’intendente relativo alle dettespese, formavano le maggiori attribuzioni dei Consigli generali o provinciali.8

Questi cinque “oggetti” (così prescrissero le menzionate istruzioni a stampa,trasmesse alle Intendenze dal ministro dell’Interno, monsignor Capecelatro, arci-vescovo di Taranto) sarebbero stati trattati dai Consigli provinciali secondo l’indi-cato ordine e con lo stesso ordine avrebbero trovato il loro riflesso nei processiverbali delle sedute, formando un primo capitolo diviso in cinque titoli.

Non meno importante l’oggetto che avrebbe composto il secondo capitolodi detti processi verbali, e cioè l’opinione del Consiglio sullo stato e sui bisognidella provincia.

Anche questo capitolo sarebbe stato suddiviso in titoli (sei per l’esattezza:agricoltura e commercio; soccorsi pubblici, prigioni; ponti, strade e navigazione;istruzione pubblica; popolazione, amministrazione; salute pubblica); ma diversa-mente dal primo che a cura dell’intendente doveva essere rimesso al ministro delle

6 Con queste norme fondamentali sui Consigli (che non furono subito riuniti giacchè da Roederer, ministrodelle Finanze, si temeva che essi cercassero di far ridurre il contingente d’imposta, come si legge in J. RAMBAUD,Naples sous Joseph Bonaparte…, cit., p. 385 e segg.), sono da ricordare i decreti del 15 gennaio 1808 (nominadei membri dei Consigli provinciali e distrettuali di tutte le province, tranne le due Calabrie), i due successividel 10 e del 13 settembre (le riunioni dei Consigli distrettuali in due tempi, dal 5 al 9 ottobre e dal 15 al 26ottobre), e l’altro dell’11 ottobre (i Consigli possono deliberare anche se il numero dei consiglieri intervenutinon è quello prescritto).

7 ARCHIVIO DI STATO DI FOGGIA, Intendenza e Governo di Capitanata, Consigli provinciali e distrettuali, b.1, fasc. 5. (d’ora in poi ASFG, Consigli).

8 “Queste competenze di carattere finanziario erano notevolmente importanti poiché attribuivano a taliistituzioni non solo un potere di ripartizione delle imposte tra i distretti, bensì anche di sindacato sull’entità diesse e, in definitiva, sulla legittimità dell’operato governativo, potere, questo, tipico delle assemblee rappre-sentative”; cfr. Maria Sofia CORCIULO, Sugli atti dei Consigli generali e distrettuali di Principato Citra duranteil Decennio francese (1806-1815), in «Clio”, XXV (1989), 1, p. 111.

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Pasquale e Tiziana di Cicco

9 Sino al 1820 i Consigli si riunirono nel mese di ottobre; dal 1821 in poi, su richiesta del Consiglio provin-ciale di Napoli accolta dal Governo, cominciarono a riunirsi nel mese di maggio. La decisione di convocare inmaggio le assemblee produsse inconvenienti e disagi in Capitanata, favorendo l’assenteismo dei consiglieri.Molti di essi, infatti, proprio in quel mese si trovavano maggiormente impegnati nelle loro attività agricole ecommerciali, ed allora si celebrava anche la ricca fiera di Foggia, dove avevano smercio i prodotti agricoli epastorali del Tavoliere; cfr. ASFG, Consigli, b. 3, fasc. 41.

Finanze, il secondo capitolo sarebbe stato inviato direttamente dal presidente delConsiglio provinciale al ministro dell’Interno.

Le istruzioni stesse spiegavano il motivo di una tale diversa prescrizione,chiarendo che “l’oggetto di siffatta immediata comunicazione è di far pervenire algoverno il quadro fedele de’ bisogni della Provincia, e l’espressione sincera de’ lorovoti, e de’ loro pensieri. Quindi il capitolo II deve fare conoscere non solo i mali daripararsi, o il bene da farsi in ciascuna Provincia, ma ancora le vedute, e le idee dipubblica utilità, non che i mezzi di prosperità generale”.

La normativa sui Consigli stabiliva che quelli distrettuali tenessero la lorosessione in parte prima ed in parte dopo la sessione del Consiglio provinciale.

I Consigli distrettuali “nella parte […] che precede quella del Consiglio gene-rale […] debbono limitarsi ad esprimere le doglianze, se ne hanno da fare, su la quotadella imposizione territoriale, a cui trovasi ora tassato il rispettivo Distretto, ed aformare il quadro dello stato del medesimo con la indicazione de’ mezzi che offre permigliorarlo”. Il processo verbale relativo sarebbe stato pertanto diviso in due titoli,uno “finanziero” con le eventuali doglianze per riduzione del carico fiscale, l’altro“amministrativo” sulla situazione del distretto. E nel secondo titolo, a sostegno delreclamo che venisse fatto nel primo, conveniva che i consiglieri distrettuali offrissero“saggio della conoscenza che debbono avere del loro paese, e de’ bisogni di esso, nonmeno che di perspicacia, di saviezza, e di moderazione, coll’indicare i mezzi onderiparargli, e fargli cessare”.

Gli stessi consiglieri, nella seconda parte della loro sessione destinata unica-mente alla ripartizione fra i comuni della quota fiscale imposta al distretto giusta leistruzioni del ministro delle Finanze, avevano il solo obbligo di essere imparziali:“debbono far rilucere la più stretta, scrupolosa imparzialità. Ogni personale inte-resse, ogni particolare veduta a pro del proprio Comune dee tacere, e sopprimersi,perché il peso ricada con giusta proporzione fra tutte le università”, recitavano leistruzioni di monsignor Capecelatro, per poi concludere: “Così i Consigli potran-no in questa prima loro riunione conciliar verso di loro l’autor de’ popoli, e lafiducia del Sovrano”.

Secondo la legge dell’8 agosto 1806 i Consigli provinciali dovevano riunirsiuna volta l’anno per non più di venti giorni, i distrettuali per non più di quindicigiorni;9 il numero dei componenti i primi oscillava tra 15 e 20, quello dei compo-nenti i secondi non poteva superare i 10.

La legge del 18 ottobre dello stesso anno stabiliva le modalità per l’ele-zione dei consiglieri. Questi venivano proposti dai Decurionati e scelti dalleautorità competenti tra i proprietari che avessero una rendita imponibile di una

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I Consigli provinciali e distrettuali di Capitanata (1808-1860)

certa entità: quella di ducati 200 per poter essere consiglieri distrettuali, e diducati 400 per poter essere consiglieri provinciali (ducati 240 e 480 dopo la leg-ge 20 maggio 1808).

La rendita dei consiglieri doveva quindi superare di dieci o venti volte quellache era prevista per essere elettori, mirando il legislatore a formare i Consigli con lepersone più facoltose e rappresentative delle province, per il “preciso interesse po-litico di consolidare il nuovo regime servendosi dell’aiuto istituzionalizzato delnotabilato locale”.10

I Decurionati comunali attendevano all’operazione loro spettante della pro-posta dei consiglieri vari mesi prima della convocazione dei Consigli, dopo chel’intendente, tramite i sottintendenti ed il sindaco del primo distretto - quello in cuiera l’intendente stesso - aveva dato l’opportuno avviso di riunire i decurioni.

Sulla base della “lista degli eleggibili” alle cariche pubbliche,11 i Decurionatifacevano le loro proposte: una terna di nominativi per i comuni con meno di 3000abitanti, due terne per i comuni da 3000 a 6000 abitanti, tre terne per i comuni conpiù di 6000 abitanti.

Ai comuni più piccoli, ai quali poteva mancare la possibilità di designare propricittadini aventi la rendita richiesta dalla legge, competeva la facoltà di indicare anchecittadini di altri comuni. Tutte le proposte dei Decurionati erano inviate all’intendente equesti, con il parere del Consiglio d’Intendenza, formava a sua volta varie terne di no-minativi e le trasmetteva al ministro dell’Interno per il successivo inoltro al re.

La scelta del sovrano di solito cadeva sul primo nominativo delle terne, in quantoesso rappresentava il candidato risultato preferibile agli occhi dell’intendente.

Una procedura alquanto complessa, ma molto chiara nel fine che con la suaadozione si intendeva conseguire, e cioè la formazione di Consigli i cui membri,grazie alla selezione fatta dai Decurionati prima e dal Consiglio d’Intendenza poi,fossero persone non solo autorevoli per censo e per qualità personali, ma ancheattaccate al sistema politico e fedeli al sovrano.

Come è chiaro la rappresentatività dei consiglieri restava parecchio condi-zionata dal meccanismo procedurale imposto per la loro nomina e certamente taleda consentire il pilotamento delle candidature.

Anche i presidenti dei Consigli venivano scelti dal sovrano sulla base di terne,redatte dall’intendente per il capo del consesso provinciale, dai sottintendenti per icapi dei consessi distrettuali. Ed al solito la scelta sovrana privilegiava il primo no-minativo della terna, la quale, specie se si riferiva al Consiglio provinciale, era costi-

10 M. S. CORCIULO, Sugli atti dei Consigli generali e distrettuali di Principato Citra…, cit., p. 113.11 L’inclusione nelle liste era il presupposto per il godimento dei diritti politici da parte del cittadino, che fosse

domiciliato da almeno cinque anni in un comune e vantasse un censo variabile secondo il numero degli abitantidel comune. Tali liste erano compilate provvisoriamente dal sottintendente e pubblicate nel distretto, potendoessere oggetto di reclamo da parte di ogni cittadino. Trascorso un mese dalla pubblicazione, le liste ed i reclami,unitamente ai pareri del sottintendente, erano rimesse all’intendente. Questi, dopo la discussione in Consigliod’Intendenza, rendeva definitive le “liste degli eleggibili” e le inviava ai sindaci. Cfr. Guido LANDI, Istituzioni didiritto pubblico del Regno delle Due Sicilie (1815-1861), Milano, Giuffrè, 1957, 2 voll.: vol. II, pp. 699-706.

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Pasquale e Tiziana di Cicco

12 Presidenti dei Consigli provinciali furono, tra gli altri, i principi Gerardo di Sangro (1828, 1832),Giambattista Muscettola (1834), Vincenzo Ruffo (1841), Augusto Cattaneo (1853), i marchesi Domenico deLuca (1808), Giovanni Antonio Filiasi (1812, 1822, 1826, 1830), Antonino Maresca (1847), il conte CarloGuevara (1854), il barone Felice Zezza (1829, 1833), il cav. Gaetano de Nicastro (1817) ed il figlio Pasquale(1825) di Lucera, il colonnello della guardia civica Luigi Mastrolilli di Foggia (1818, 1827). I due de Nicastropresiedettero anche il Consiglio distrettuale di Foggia, il primo nel 1813, il secondo nel 1828. La presidenzadei Consigli distrettuali toccò talvolta a nobili (marchesi Francesco Saverio Freda nel 1852, Vincenzo Coriglianonel 1853, Liborio Celentano nel 1859 a Foggia), ma più solitamente a grandi proprietari del distretto chespesso erano anche affermati professionisti. Così, ad esempio, Vincenzo Perrone (1809, 1811), DomenicantonioRosati (1827), Roberto Siniscalchi (1830), Giuseppe Cutino (1837), Giuseppe Barone (1842), Giovanni Batti-sta Nocelli (1856) a Foggia; Antonio Fania (1812, 1819), Antonio del Sordo (1818), Rocco del Sordo (1826,1845), Carlo Tondi (1832, 1837), Prospero Fania (1846, 1852) a San Severo; Nicolantonio de Filippis (1817),Michele Barone (1828), Gianvincenzo Rocco (1830), Vincenzo de Maio (1831, 1833), Giacomo Curato (1836,1858), Ascanio Ripandelli (1840), Luigi Varo (1841, 1857) a Bovino.

13 Diversamente dai consiglieri, i presidenti dei Consigli provinciali e distrettuali duravano in carica un soloanno; cfr. ASFG, Consigli, bb. 8, 9, fascc. 97, 108, 109.

14 ASFG, Consigli, b. 1, fasc. 5.

tuita da personaggi di spicco, da nobili o da alte autorità, per sottolineare l’impor-tanza che andava riconosciuta all’assemblea.12

La menzionata legge del 18 ottobre stabiliva inoltre che i Consigli provincialie distrettuali durassero in carica un quadriennio, rinnovandosi per metà alla sca-denza. In seguito, la legge sull’amministrazione civile del 12 dicembre 1816 innovòsu questo punto, fissando che ogni anno un quarto dei consiglieri cambiasse.

Nessun consigliere pertanto poteva restare in carica per più di un quadriennio,ma era prevista la rieleggibilità due anni dopo la cessazione della carica.13

Con il rinnovo dei suoi componenti veniva assicurata ai Consigli una capaci-tà di ricambio e l’immissione di nuove energie, utili per il miglior funzionamentodelle assemblee.

Spettava all’intendente inaugurare la sessione del Consiglio provinciale, as-sieme al segretario generale dell’Intendenza; l’apertura dei Consigli distrettuali eracompetenza dei sottintendenti, anch’essi coadiuvati dai segretari delle sottintendenze.

All’apertura del Consiglio provinciale l’intendente era tenuto a rimettere alpresidente “tutti i documenti, tutti i materiali, tutti i lumi di cui possono aver biso-gno i consigli per le loro occupazioni”.14

Una delle prime operazioni delle assemblee era la scelta del segretario, figuraessenziale perché destinata fra l’altro alla stesura dei verbali delle sedute. Data l’im-portanza della funzione che egli era chiamato a svolgere, anche la scelta del segreta-rio cadeva su elementi esperti e di valore e la nomina era fatta dal presidente.

In caso di bisogno, poteva fungere da segretario il consigliere più anziano, ilquale, se necessario, sostituiva anche il presidente.

Del Consiglio provinciale di Capitanata furono segretari uomini di grandelevatura e di solido prestigio, come Giantommaso Giordani, Vincenzo Angiulli,Onofrio Bonghi, Giuseppe Cutino, Felice Maria Zanni, Gaetano Barone, RaffaeleCassitti, Vincenzo Zaccagnino. Talvolta un consigliere che in precedenza aveva ri-vestito il ruolo di segretario di un Consiglio, in seguito ne diveniva presidente.

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I Consigli provinciali e distrettuali di Capitanata (1808-1860)

15 ASFG, Consigli, b. 1, fasc. 2.16 A. SCIROCCO, I corpi rappresentativi nel Mezzogiorno…, cit., p. 105. Interessanti e precise le notazioni di

Carlo Zaghi sul carattere e sul significato della proprietà nel regime napoleonico, che possono leggersi inCarlo ZAGHI, Proprietà e classe dirigente nell’Italia giacobina e napoleonica, in Nicola RAPONI (cura di), Isti-tuzioni e società nella storia d’Italia. Dagli stati preunitari d’antico regime all’unificazione, Bologna, il Muli-no, 1981, pp. 258-294.

17 ASFG, Consigli, b. 6, fasc. 80. Tuttavia in parecchie occasioni il richiesto requisito dell’attaccamento altrono venne eluso nella nomina, quando si stimavano preponderanti altre qualità del candidato e non si dispo-neva di candidature realmente alternative, come prova la presenza nei consessi di consiglieri dal passato allar-mante sotto il profilo politico (massoni e carbonari).

Il Consiglio provinciale si riuniva nel capoluogo della provincia, e propria-mente nella sede dell’Intendenza o in altro edificio “il più prossimo e comodo”; ilConsiglio distrettuale nel capoluogo del distretto, nella sede della Sottintendenza oin altro edificio “il più contiguo e conveniente”.15

L’apertura del Consiglio provinciale avveniva con adeguata solennità e tutti ifunzionari pubblici e le varie autorità civili e militari erano invitati ad assistere aldiscorso che allora pronunciava l’intendente. Alla seduta inaugurale talvolta ag-giungevano lustro con la loro presenza anche personalità di passaggio per la città,che venivano appositamente invitate.

Le spese che i Consigli sostenevano durante le varie sessioni di attività for-mavano oggetto di un particolare conto che l’intendente e i sottintendenti sipremuravano di redigere e di trasmettere al ministro dell’Interno.

La creazione dei Consigli provinciali e distrettuali, nel contesto politico isti-tuzionale del tempo che prevedeva contenute forme di decentramento, significò inparticolare la valorizzazione della borghesia terriera e l’affidamento di importanticariche provinciali agli elementi di punta di questo ceto, destinato a divenire sem-pre più influente ed a ricavare i maggiori vantaggi dalla soppressione del feudo.

La rendita fondiaria era il presupposto per la nomina ai Consigli, e solo essa:il possesso di rendite provenienti da altri cespiti, come il commercio, la professioneo l’impiego, risultava infatti insufficiente ed inidoneo.

Il commerciante, il professionista, l’impiegato potevano aspirare alla nominasolo se fossero stati anche possessori di una rendita fondiaria, e soggetti quindi alpagamento della relativa imposta.16

Il possesso della terra era visto come elemento di stabilità, come garanzia di equi-librio comportamentale e di convenienti scelte ideologiche da parte del consigliere.

Naturalmente non poteva essere l’unico requisito di questi ed era perciò com-pito essenziale dell’autorità preposta alla formazione delle terne, l’intendente, ope-rare in maniera tale che la scelta definitiva potesse farsi tra candidati che all’indi-spensabile requisito censitario unissero anche doti culturali, capacità ed esperienzaamministrative e lealismo politico (“sufficiente abilità, vantaggiosa morale, pubbli-ca opinione ed attaccamento al Real Trono”, oltre alla rendita, ribadivano soventele ministeriali dell’Interno e le note intendentizie.17

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Pasquale e Tiziana di Cicco

18 Ibid., b. 1, fasc. 2.19 Del Consiglio provinciale furono membri autorevoli, ad esempio, il noto letterato Giantommaso Giordani

di Monte Sant’Angelo, con una rendita accertata nel 1817 di appena 60 ducati o il legale foggiano Felice MariaZanni, ricco di molti talenti, ma con una rendita al 1816 di ducati 155, al 1831 di ducati 264 o il legale di LuceraGiambattista Gifuni, con una rendita di ducati 203 al 1830, che nel 1845 presiederà il Distrettuale di Foggia.Francescantonio Gabaldi, consigliere provinciale e distrettuale e presidente del Consiglio distrettuale di

La selezione attuata dall’intendente, se era facile a praticarsi con le candida-ture proposte dai grandi comuni, non lo era altrettanto con quelle dei piccoli comu-ni, i cui Decurionati molte volte erano costretti a segnalare persone in possesso delsolo requisito della rendita, non avendo ampie possibilità di scelta nella “lista deglieleggibili”.

Per non dire che spesso si trovavano nella necessità di segnalare nominatividi elementi di comuni vicini, non essendovi in loco nessun cittadino fornito di ido-nea rendita.

Per i Consigli infatti non esisteva la possibilità che la legge del 20 maggio1808 aveva previsto per le amministrazioni comunali, e cioè che potessero esserenominati decurioni anche coloro che esercitavano una professione, senza essereproprietari.

E d’altronde non poteva esistere, impedendolo il fatto concreto che la caricadi consigliere, sia provinciale sia distrettuale, era puramente onorifica, ma il suoesercizio - peraltro non ambito da tutti coloro che ricevevano la nomina - compor-tava spese per vetture, vitto, alloggio ecc. che ricadevano esclusivamente sugli inte-ressati, costretti in maggioranza a portarsi per diversi giorni dell’anno dal loro pae-se di origine al capoluogo della provincia o del distretto ed a trascurare i propriaffari. “Ed ecco perché ha S.M. nominati per composizione de’ Consigli i maggioriproprietari delle Provincie”, spiegava chiaramente sin dal 1808 il ministro dell’In-terno all’intendente di Capitanata.18

Fin dal primo disegno del legislatore dunque il requisito della proprietà neiconsiglieri fu inteso come un elemento indispensabile per ottenere il regolare fun-zionamento dei nuovi organismi di rappresentanza, ben realizzabile quando a quelrequisito poteva farsi accompagnare una buona cultura ed una buona esperienzaamministrativa. E difatti sia nei Consigli maggiori che nei minori, grazie all’oculatascelta operata dall’intendente, prevalevano i laureati in giurisprudenza, i patrocina-tori, i notai, gli impiegati dell’amministrazione statale (civile, giudiziaria e persinodi quella militare) e municipale, pur abbondando altri professionisti, tra cui in mag-gioranza i medici. Massiccia addirittura la presenza di consiglieri che avevano inte-ressi nelle campagne e di esse, conoscendone problemi e necessità, si facevano por-tavoce. Minima invece la rappresentanza del mondo del commercio. Né vi manca-rono gli elementi più rappresentativi della cultura e della nobiltà della Capitanata,anche quando essi non coincidevano con i maggiori esponenti della proprietà fon-diaria: ciò si verificò specialmente nel Consiglio provinciale e nel Consiglio distret-tuale di Foggia.19

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I Consigli provinciali e distrettuali di Capitanata (1808-1860)

La presidenza dei Consigli è spesso appannaggio della nobiltà, qualche voltadi quella minore, recente e presente in provincia più solitamente di quella antica,che vive nella capitale e che in molti casi ha interessi fondiari in Capitanata.

Avviene di rado che un consigliere, insignito di un titolo nobiliare, non rice-va almeno una volta la nomina a presidente del consesso cui appartiene. In partico-lare, è il Consiglio provinciale ad avere un nobile per presidente.

Negli anni molte persone ricoprirono la carica di consiglieri provinciali e diconsiglieri distrettuali, talvolta a breve distanza di tempo fra l’una e l’altra carica.

Diversi consiglieri del distretto di Foggia divengono consiglieri provinciali olo sono già stati, realizzando così fra i due organismi un fruttuoso interscambio dicapacità e di competenze.20 Sono molti invero i personaggi che occupano per lunghianni la ribalta dei Consigli e si ritrovano ora nel Provinciale ora nei Distrettuali.

La situazione opposta è rappresentata dai consiglieri che, una volta finito ilperiodo di carica, non ricevono più la nomina e scompaiono dall’orizzonte deiConsigli. Era questo il destino immancabile per coloro che, non intervenendo allesessioni, mostravano di non avere interesse per la carica, ma poteva capitare anche achi intervenendo si era reso scarsamente partecipe ai lavori o non aveva offertocontributi apprezzabili.

Le proposte elaborate dai sottintendenti sottolineavano questi comportamentidi indifferenza, stigmatizzandoli, e le correlate terne degli intendenti o escludevanoi nominativi di coloro che erano stati consiglieri non impegnati oppure li presenta-vano al terzo posto. La riproduzione degli stessi nominativi, specie per l’assembleaprovinciale, implicava un indubbio riconoscimento delle positive qualità dei candi-dati, della loro capacità amministrativa e della loro preparazione anche per incari-chi di diversa responsabilità.

Sia nei consessi maggiori sia nei minori si rinvengono spesso consiglieri conlo stesso cognome. Talvolta si tratta di semplici omonimie, ma, come si è potutoacclarare, in molti casi si tratta di consiglieri che appartengono al medesimo nucleofamiliare, di figli che subentrano ai padri o di nipoti che percorrono la stessa stradadel nonno o di fratelli che si alternano nella carica consiliare, avvicendandosi nello

Foggia, aveva nel 1816 una rendita fondiaria di soli 128 ducati, nel 1831 di ducati 175.50; Giovanni FrancescoAlmergogna, legale di Carpino, consigliere distrettuale (1830) e presidente (1831) a San Severo, aveva unarendita di appena 40 ducati; e lo stesso marchese Tommasantonio Cementano, consigliere distrettuale a Fog-gia (sarà presidente del Provinciale nel 1821 e nel 1823), poteva vantare nel 1820 solo una rendita di ducati1800, da stimare alquanto modesta, se rapportata a quella che negli stessi anni possedevano altri consiglierifregiati di titoli nobiliari e che ammontava a più decine di migliaia di ducati.

20 Il cav. Gaetano de Nicastro, ricco proprietario di Lucera, già consigliere (1808) e presidente (1813) delConsiglio distrettuale di Foggia, diviene presidente del Consiglio provinciale nel 1817 e di questo sarà com-ponente sino al 1824; Giambattista Gifuni, legale lucerino, è consigliere distrettuale di Foggia nel 1826, consi-gliere provinciale nel 1828 e nel 1834; il barone Giacomo Cessa di Manfredonia è consigliere distrettuale diFoggia nel 1831, provinciale nel 1856; Gaetano della Rocca di Foggia è consigliere distrettuale nel 1841, pro-vinciale nel 1853. Gli esempi potrebbero facilmente moltiplicarsi, e diversi potrebbero addursene per attestarei percorsi inversi compiuti dai consiglieri, prima provinciali ed in seguito distrettuali.

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Pasquale e Tiziana di Cicco

stesso consesso 21 e facendosi presumibilmente portatori nelle assemblee di cui en-trano a far parte di esperienze e di interessi dello stesso genere. Va aggiunto ancorache parecchio simile appare in più casi il loro curriculum: la carriera di molti consi-glieri presenta sovente tappe fondamentali analoghe anche se non coincidenti nel-l’ordine, fra cui quelle rappresentate da una carica comunale (decurione, eletto osindaco) e dall’ammissione alla Reale Società Economica di Capitanata.22 La sva-riata provenienza e quindi la differente esperienza ed il diverso bagaglio culturaledei consiglieri costituirono fattori positivi e presupposti di buona funzionalità perdegli organismi che erano tenuti ad occuparsi di questioni molteplici ed eterogenee.

Caduto il regime murattiano, il restaurato governo borbonico conservò invita queste assemblee, riconoscendone l’importanza.

In attuazione della linea politica allora adottata, per la quale molte delle in-novazioni istituzionali ed amministrative del periodo francese vennero mantenutecosì com’erano o appena modificate,23 i Consigli vennero convocati provvisoria-mente con reale decreto del 23 agosto 1815 e poi confermati con la legge sull’ammi-nistrazione civile del 12 dicembre 1816.

In quegli stessi anni, poiché la formazione dei catasti provvisori allora in reda-zione permetteva ormai di fondare su di essi il carico fiscale dei singoli comuni,24

scomparve quella che in passato aveva rappresentato la più rilevante competenza delConsiglio provinciale, la ripartizione di quel carico fra i distretti.

E difatti la citata legge sull’amministrazione civile riferiva ai Consigli maggioriquasi solo queste attribuzioni (art. 30): esame e discussione dei voti dei Consigli

21 Alcuni esempi. Sono fratelli Ignazio e Raffaele Centola di San Marco in Lamis che negli anni 1840-50rivestono l’uno la carica di consigliere provinciale, l’altro quella di consigliere distrettuale di San Severo;Filippo, Giacomo e Nicola d’Alfonso, presenti nel Provinciale e nel Distrettuale di San Severo e figli di Matteoche più volte ha fatto parte della stessa assemblea minore; e sono fratelli Francesco e Giuseppe Gabaldi diFoggia, consigliere distrettuale il primo nel 1852, il secondo nel 1859, ambedue figli di Francescantonio, an-ch’egli più volte consigliere e presidente; e così pure Antonio e Gaetano Rocco, consiglieri distrettuali aBovino negli anni ’30, come il loro genitore Gianvincenzo nel 1828. Giacomo Cessa, consigliere provincialenel 1857, ripercorre le orme del nonno Giovanni Battista, antico capitano del porto di Manfredonia e più volteconsigliere provinciale tra il 1808 ed il 1826; e Prospero Fania che nel 1852 presiede il Consiglio provinciale,porta lo stesso nome del nonno che di quel Consiglio ha fatto parte nel lontano 1808.

22 Gaetano Barone di Foggia, membro della Reale Società Economica, III eletto comunale (1828), consiglie-re provinciale (1833-36), sindaco del capoluogo dauno (31 gennaio 1841), consigliere distrettuale (1857-58)compie un cursus che equivale a quello di Luigi Celentano, anch’egli foggiano, membro della Società Econo-mica, consigliere provinciale (1819-24), sindaco (30 ottobre 1837), consigliere distrettuale (1841).

23 Le riforme del Decennio, osserva lo Scirocco, avevano profondamente trasformato il Mezzogiorno e iministri borbonici si rendevano conto della validità delle istituzioni introdotte dai francesi e della irreversibilitàdelle modifiche subite dalla società. Di qui la “politica dell’amalgama” perseguita dal Medici e vincente suquella opposta del principe di Canosa, a seguito della quale politica, dalla fine del 1816, si ebbe una serie diprovvedimenti che confermavano in pieno l’assetto dato dai Napoleonidi; cfr. A. SCIROCCO, Governo assolu-to e opinione pubblica a Napoli nei primi anni della Restaurazione, in «Clio», XXII (1986), 1, pp. 203-224.

24 Sulla contribuzione fondiaria, sugli atti preliminari del catasto e sulla compilazione e descrizione di que-sto, nonché sul suo valore come fonte storica sono da tener presenti le sintetiche ma esaurienti e chiare noteche si possono leggere in Leopoldo CASSESE, Le fonti della storia economica dell’Ottocento, Salerno, PietroLaveglia, 1984, pp. 100-108; vedi anche G. LANDI, Istituzioni di diritto pubblico…, cit., vol. I, pp. 305-306.

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I Consigli provinciali e distrettuali di Capitanata (1808-1860)

25 Già previsti dall’ordinamento giudiziario stabilito con reale decreto del 21 maggio 1808 e poi dalla leggeorganica del 1817, i Tribunali di commercio furono istituiti, nei Domini al di qua del Faro, a Napoli, Foggia,Monteleone e Reggio, ed erano composti di un presidente, di quattro giudici, di tre o cinque supplenti e di uncancelliere. Formati da magistrati onorari, costituivano la speciale giurisdizione del ceto mercantile e giudica-vano in tutte le controversie relative ad obbligazioni ed operazioni tra commercianti quando non fosse dimo-strata la natura prettamente civile dell’affare. Le loro sentenze erano appellabili dinanzi alle Gran Corti Civili.Cfr. LANDI, op. cit., vol. II, pp. 842, 856 e segg. Per le “liste degli eleggibili” al Tribunale di commercio diFoggia, vedi ASFG, Consigli, bb. 5-9, fascc. 68, 72, 76, 87, 97, 98, 113, 124; per un ampio studio d’insieme, cfr.Carmine DE LEO – Daniela DE LEO, Il Tribunale di Commercio. Un’antica magistratura a Foggia, Foggia,Camera di Commercio, 2000.

26 Quella di Foggia fu istituita con reale decreto del 20 ottobre 1818, subito dopo l’istituzione della Cameraconsultiva di commercio di Napoli (reale decreto dell’11 marzo 1817), e prima di quelle di Palermo e diMessina. Le Camere consultive, dipendenti dal Ministero dell’Interno, avevano lo scopo di indagare e pro-porre tutto ciò che potesse giovare agli interessi del commercio. Erano presiedute dall’intendente e, nei luoghidiversi dalla capitale, formate da sei membri che si rinnovavano per un terzo ogni anno. Uno dei membri eravice presidente, e vi era un segretario perpetuo. A Foggia l’istituzione ebbe nel tempo due prestigiosi segreta-ri, colti e dinamici, Casimiro Perifano e Francesco Della Martora.

distrettuali; votazione della quantità della sovraimposta facoltativa per le spese parti-colari della provincia; progetto dello stato discusso provinciale; presentazione al redi terne per la nomina dei componenti della Deputazione provinciale per l’ammini-strazione delle opere pubbliche creata con reale decreto del 7 maggio 1813.

Un ampliamento di queste attribuzioni si ebbe con norme successive, comequella contenuta nella legge organica dell’ordine giudiziario del 29 maggio 1817,all’art. 206, per la quale si attribuiva al Consigli provinciali la facoltà di presentareterne di nomi per l’elezione dei giudici e dei supplenti del Tribunale di commercio,ricavandoli dalla lista dei negozianti, banchieri e manifatturieri della città (a Foggiaquesto Tribunale fu istituito con reale decreto del 10 dicembre del 1817).25

Altre facoltà si videro poi conferire i Consigli dal reale decreto del 18 apriledel 1820 (proposta di terne per i membri della Camera consultiva di commercio),26

dal reale decreto del 11 aprile del 1822 (proposta di terne per le Deputazioni addet-te alla sorveglianza del funzionamento dell’amministrazione delle acque e foreste),mentre già rientrava nelle loro competenze sia la nomina delle Deputazioni perl’acquisto e la manutenzione dei mobili in dotazione all’Intendenza, alle Sottinten-denze ed ai Tribunali, sia, dal 1818, l’esame del conto morale del Consiglio generaledi beneficenza.

Titolari di tutte queste competenze, i Consigli provinciali svolsero una rile-vante attività nel cosiddetto Quinquennio, ma durante il Nonimestre seguito allarivoluzione carbonara del 1820 vennero aboliti e, per l’art. 325 della Costituzione,sostituiti dalle Deputazioni provinciali.

Formarono questi nuovi organismi, che erano presieduti dall’intendente, ildirettore delle contribuzioni dirette e sette membri nominati dagli elettori di parti-to, come previsto dagli artt. 328 e 329 della Costituzione.

Le Deputazioni dovevano occuparsi dei conti morali di tutte le amministra-zioni provinciali (il conto materiale continuava ad essere di competenza del Comi-tato d’Intendenza) ed esprimere il proprio parere sull’amministrazione degli ospi-

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27 Per la Deputazione di Capitanata, cfr. ASFG, Consigli, b. 4, fascc. 58 e 61.28 Per la Commissione di Capitanata, con sede a Lucera, cfr. M. D’AMBROSIO, Collegio-liceo e Università in

Capitanata. 1807-1862, a cura dell’Ufficio Stampa del Comune di Foggia, 1970, p. 154.29 SCIROCCO, op. cit., pp. 121-122.

zi, valutando l’opportunità della soppressione o della sola riforma dei Consigli ge-nerali degli ospizi.27

Diversamente dai Consigli, le Deputazioni non ebbero competenza in mate-ria di pubblica istruzione, che venne invece demandata ad un’apposita Commissio-ne di tal nome.28

Dopo il Nonimestre costituzionale il reale decreto 26 maggio 1821 richiamòin vita i Consigli provinciali e distrettuali, ma, secondo lo Scirocco, avendo la rivo-luzione infranto il rapporto tra la monarchia ed il paese, essi “vissero una vita fiac-ca, restando a raffigurare di fronte all’Europa […] la finzione di uno Stato in cui ilgoverno dava ascolto alla voce della pubblica opinione”.

L’autore di questo severo giudizio storico - che forse merita qualche ridi-mensionamento e non pare potersi accettare in tutta la sua assolutezza, sembrandotroppo riduttivo e declassando a deboli larve i Consigli provinciali e distrettuali -aggiunge che la mediocrità dei designati per i Consigli ed il maggiore accentramen-to burocratico dei tempi di Ferdinando II fecero impossibile dopo il 1821 “la for-mazione intorno ai Consigli provinciali di un ceto di notabili, non realizzato nelDecennio e nel Quinquennio, quando la scelta dei consiglieri era stata indirizzataverso uomini di un certo prestigio”.29

In effetti, dalla nostra indagine emerge che i consiglieri della Capitanata, pro-vinciali e distrettuali, sia quelli dell’intero ventennio che lo precede sia quelli delperiodo ferdinandeo, ebbero spesso fra loro uomini di notevole valore e sepperofarsi validi portavoce dei tanti problemi ed esigenze delle popolazioni daune. Efrequentemente con i loro voti ebbero la capacità di incrinare erronei convincimentidelle autorità di governo e di ottenere talvolta mutamenti delle soluzioni adottatein sede centrale. Muovendosi nell’ambito di competenza e nonostante i limiti dellostesso, essi portarono la loro attenzione e richiamarono quella del sovrano sullemaggiori necessità di una provincia apparentemente ricca, ma in cui gli squilibrieconomici e sociali, le carenze culturali, sanitarie, assistenziali erano tanto profondied antichi da pregiudicarne il vero e reale progresso.

3. Necessità e speranze nei verbali consiliari

Agricoltura, industria, commercio, lavori pubblici e pubblica istruzione fu-rono le materie cui maggiormente attesero i Consigli nelle loro fatiche, che perònon mancarono nel contempo di impegnarsi anche in altre, quali la beneficenza, lapubblica amministrazione, la sanità, l’ordine pubblico.

Può dirsi, sulla scorta dei verbali dei Consigli, che nessun lato della vita eco-

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30 Nella serie intendentizia Consigli provinciali e distrettuali dell’Archivio di Stato di Foggia si rinvengonoi verbali delle riunioni del Consiglio provinciale dal 1808 al 1829 (mancano solo quelli del 1810). Sono andatiormai perduti, forse negli ultimi eventi bellici che finirono di sconvolgere l’istituto archivistico, già da varidecenni in grave disordine, o forse prima, tutti i verbali del Consiglio provinciale di Capitanata dal 1835 al1845, mentre si sono resi incompleti quelli degli anni 1830-1834. Perduti un tempo si ritenevano anche iverbali degli anni 1846-1852, poi invece rinvenuti presso la Biblioteca Provinciale di Foggia, della cui consi-stenza erano entrati indebitamente a far parte dopo l’ultima guerra, e rivendicati all’Archivio di Stato nel1981. Definitivamente scomparse, infine, le prime 17 delle deliberazioni adottate dal Consiglio provinciale nel1854 (dal 23 al 25 maggio), essendo mutilo il registro che le conteneva. Non muta molto la situazione, quandola si riferisce ai Consigli distrettuali. I verbali delle loro sessioni, superstiti solo per un certo numero di annidell’epoca pre-ferdinandea, sono invece del tutto inesistenti e per tutti i distretti per gli anni 1844-1845 e1851-1857, con la precisazione che mancano, inoltre, quelli del distretto di San Severo per l’anno 1830, deldistretto di Foggia per l’anno 1847, di tutti i distretti per l’anno 1859. Né può sperarsi di poterli reperire inaltri luoghi di conservazione archivistica, come l’Archivio di Stato di Napoli, dal momento che i verbali deiConsigli distrettuali – diversamente da quelli dei Consigli provinciali – restavano nell’archivio dell’Intenden-za e non venivano trasmessi a Napoli.

31 In ogni epoca nei Consigli provinciali compaiono i nomi dei maggiori latifondisti dauni, tutti censuari delTavoliere, come ad esempio, i de Luca, i Filiasi, i Saggese, i Celentano, i Rosati, i Barone, i della Rocca diFoggia, i de Nicastro, gli Zunica, i Nocelli di Lucera, i del Sordo, i Masselli di San Severo, gli Angiulli, i deBenedictis di Ascoli, i Gala, gli Zezza, i Chiomenti di Cerignola, i Curato, i Varo di Troia, i delli Santi diManfredonia.

32 Cfr. Pasquale DI CICCO, Censuazione ed affrancazione del Tavoliere di Puglia (1789-1865), Roma, [s.n.],1964, pp. 44-45 e 71.

33 L’ignoranza, l’empirismo, i molti pregiudizi dell’agricoltore dauno già nel 1790 erano stati duramentestigmatizzati da Francesco Longano, acuto osservatore della realtà contadina della Capitanata nel suo Viaggioper la Capitanata, a cura di Renato Lalli, Campobasso, Editoriale Rufus, 1981, pp. 92-93. Contro questo statodi cose svolse una lunga e meritoria azione, purtroppo non sempre coronata dal successo, la Reale SocietàEconomica di Capitanata, dal tempo della sua istituzione a Foggia sino alla sua cessazione (1810-1892). Inproposito, cfr. Pasquale e Isabella DI CICCO, La Reale Società Economica di Capitanata, in «la Capitanata»,XLI (2003), 14 (ottobre), pp. 103-147.

nomica e sociale della Capitanata venne trascurato e non divenne destinatario, siapure in varia misura, delle periodiche occupazioni dei consiglieri provinciali edistrettuali. In quei verbali, purtroppo non tutti pervenutici,30 ritornano di conti-nuo i molti problemi dell’agricoltura, dell’industria, del commercio della Capitanata,provando in tal modo come essi fossero sentiti dai componenti delle assembleemaggiori e minori, buona parte dei quali peraltro era personalmente dedita a quelleattività ed allo sviluppo delle stesse vedeva legate anche le proprie fortune.31

Vi si sottolinea lo stato di arretratezza delle campagne daune, causato dallamancanza di capitali, dopo il rastrellamento di risorse conseguente alla legge dicensuazione del Tavoliere del 1806 ed alla legge transattiva del 1817,32 dalla scarsaconoscenza ed applicazione delle moderne tecniche agrarie,33 dalla primordiale si-tuazione viaria, funzionale esclusivamente ai bisogni della capitale.

Vi si denuncia frequentemente l’inesistenza di un’industria locale e l’impossibili-tà di lavorare nella provincia persino i prodotti di cui la Capitanata è più ricca, come lalana, ed ancora lo stato asfittico del commercio, costretto, quello di via terra, a contaresolo sul reale cammino di Puglia, e quello di via mare, solo sul porto di Manfredonia.

Di pari passo con l’abbondanza delle denunce di questo stato di cose, va neiConsigli l’abbondanza delle proposte e dei suggerimenti per porvi rimedio, ma essi

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solo in minima parte riescono a trovare udienza presso gli organi di governo e nellesedi decisionali, il cui comportamento, sotto questo aspetto, non pare molto difformenei vari periodi.

E difatti i Consigli dauni, molto spesso inutilmente, sono indotti a ripeterevoti che già in anni precedenti hanno deliberato, e questo nonostante la prescrizio-ne sovrana di non riprendere in esame e di non deliberare nuovamente su questionialtre volte affrontate.

Questi sono alcuni dei temi già ricorrenti nei più antichi verbali consiliari:gravosità dell’imposta fondiaria e critica dei tempi di sua scadenza, pesanti effettidella normativa speciale sul Tavoliere, necessità di impiantare e diffondere le mani-fatture, di favorire l’uso di nuove tecniche e di nuove macchine, di impedire idissodamenti indiscriminati, di agevolare l’incremento commerciale mediante unsistema viario più razionale e soddisfacente, capace di coinvolgere e vitalizzare ter-ritori della Capitanata, come il Gargano, rimasti ai margini di un moderno processoeconomico.34 Ed ancora, richieste al governo di agevolazioni e di sostegni per i co-loni ed i pastori, le cui intraprese risentono troppo di fattori estranei e spesso esiziali,come il cattivo andamento meteorologico, le invasioni delle cavallette, la diffusionedel morbo degli animali detto schiavina.

Fin dal 1809 il Consiglio distrettuale di Foggia, e cioè quello del primo e delpiù ricco distretto della Capitanata, compilava per il ministro dell’Interno una me-moria, a firma del presidente Vincenzo Perrone e del segretario Giuseppe de Angelis,che dava un quadro esauriente dei bisogni del distretto e richiedeva varie provvi-denze. Molte delle situazioni che vi si espongono si attagliano all’intera Capitanatacome era allora e come continuò ad essere poi, per lunga serie di anni.35

E come a favore dell’agricoltura, della pastorizia, delle manifatture e dei pro-dotti della Capitanata, ugualmente molto impegnata e responsabile fu l’attività deiConsigli in materia di lavori pubblici, specie dopo il 1813, quando, come si è detto,si ebbe l’istituzione di un’apposita Deputazione di vigilanza sulle opere pubblichedi interesse provinciale.

La Deputazione, presieduta dall’intendente, aveva per componenti quattronotabili proposti dal Consiglio provinciale con il consueto sistema delle terne enominati dal re.36

34 Di una rotabile del Gargano, atta a far uscire questo vasto comprensorio da una grave situazione di isolamentoper mancanza di comunicazioni con il resto della Capitanata (per gli spostamenti poteva contarsi su soli tratturi),cominciò a parlarsi tardi. Auspicati dal Consiglio provinciale sin dal 1814, i lavori iniziarono solo nel 1825 e nel1843 risultavano approntate appena 14 miglia di strada tra San Giovanni Rotondo e Monte Sant’Angelo. In seguitoverrà realizzata un’altra Garganica, con tracciato diverso, che partiva da San Severo e arrivava a Vico, ma al 1860non era ancora arrivata a Cagnano. In proposito, cfr. ASFG, Consigli, bb. 2, 5, 6, 8, fascc. 29, 66, 79, 92.

35 Ibid., b. 1, fasc. 3.36 Solitamente il Consiglio proponeva per deputati alcuni consiglieri provinciali o distrettuali. La prima

Deputazione, nominata nel 1813, risultò composta dal marchese Giovannantonio Filiasi, Domenico Donadoni,Matteo Nannarone e dal marchese Tommasantonio Celentano; quella del 1859, l’ultima dell’epoca ferdinandea,era formata da Vincenzo Zaccagnino, Andrea Villani ed Antonio Pepe. Cfr. ASFG, Consigli, b. 2, fasc. 26;«Giornale della Intendenza di Capitanata», 1859, supplemento al n° 2.

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I Consigli provinciali e distrettuali di Capitanata (1808-1860)

Non è esagerato forse affermare che nessun Consiglio provinciale o distret-tuale omise mai di interessarsi ai problemi della viabilità, sempre visti in strettocollegamento con quelli dello sviluppo economico e delle molte altre opere pubbli-che di cui la Capitanata necessitava.

Grandi carenze invero presentava la situazione viaria dauna nei primi decen-ni del XIX secolo: ben poche erano le strade, frequenti i percorsi malfatti e disagevoli,rare le vie esterne agli abitati che rimanessero percorribili anche d’inverno 37.

Centri importanti, come Foggia, San Severo, Cerignola, Manfredonia, nella bruttastagione restavano quasi isolati fra loro, dopo che le piogge o i torrenti in piena avevanoreso impercorribili ed a grave rischio gli itinerari soliti, che per gran parte utilizzavanoterreni saldi e lunghi tratti non rotabili.38 Lo stesso regio cammino di Puglia, la grandearteria di collegamento con Napoli si presentava in cattivo stato per mancanza di ma-nutenzione adeguata ed in molti punti non era di agevole transito a causa dei forti dislivellialtimetrici, senza dire che esso passava anche per luoghi molto impervi, come il paurosoVallo di Bovino, costante ricettacolo di comitive brigantesche.39

Fu appunto nel Decennio che i governanti, ponendo termine al sistema degliinterventi frammentati e quasi occasionali che aveva caratterizzato il secolo prece-dente, ed anche per l’opera di informazione e di sensibilizzazione attuata dai Con-sigli di Capitanata con i loro voti, elaborarono un preciso piano operativo finaliz-zato al razionale ammodernamento dell’assetto viario provinciale. Ciò avvenne conil reale decreto del 28 aprile 1813 che fissò chiare priorità esecutive, prevedendoanzitutto la costruzione della strada Foggia-Cerignola e poi delle strade Foggia-San Severo, Foggia-Manfredonia, Foggia-Montecalvello.

Si programmava in tal modo una rete provinciale a raggiera, con al centro ilcapoluogo che mediante percorsi rotabili si sarebbe collegato con le zone di mag-gior produttività agricola (Cerignola, San Severo) e di più intenso smercio (Manfre-donia e Montecalvello sulla via per Napoli).40 Costante da allora in poi sarà l’opera

37 Frequenti denuncie in proposito e continue lamentele si rilevano nei verbali dei Consigli del tempo; cfr.ASFG, Consigli, b. 5, fascc. 64, 65, 66.

38 Entro il 1830, delle varie rotabili “di fabbrica” provinciali, solo la Foggia-Orta risultava completata, e dacirca un decennio. Le altre, intraprese dopo la Restaurazione, avevano avuto solo un parziale perfezionamen-to (la Foggia-Lucera nelle prime 5 miglia; la Foggia-Manfredonia per 7 miglia; la Foggia-San Severo per 10miglia). Cfr. Angelo MASSAFRA, Campagne e territorio nel Mezzogiorno fra Settecento e Ottocento, Bari, De-dalo, 1984, pp. 314-315.

39 I briganti erano capaci persino di entrare negli abitati, portando a compimento, indisturbati, le loromalefatte e nel 1814 assassinarono lo stesso sottintendente del distretto di Bovino, Procacci. E proprio a causadella permanente insicurezza dei luoghi, il Consiglio distrettuale di Bovino sovente fece voti perché capoluo-go distrettuale diventasse Troia. Cfr. ASFG, Consigli, bb. 2, 3, 6, 7, fascc. 22, 44, 77, 88; Nicola BECCIA, IlSottointendente di Bovino assassinato il primo giorno dell’anno 1814. Brigantaggio e spirito pubblico al tempodei Napoleonidi, in «Il Popolo di Roma» del 28 giugno 1942.

40 In realtà, però, si portarono a compimento prima le rotabili per Napoli e per Manfredonia e poi le altre. Nel1819, infatti, risultava già terminata la strada Foggia-Montecalvello e data in appalto la Foggia-Manfredonia. Lastrada Foggia-Cerignola, subito iniziata nel 1814, ebbe il suo completamento solo nel 1821; e la Foggia-San Seve-ro, avviata nel 1816, non era ancora completata nel 1830. Cfr. ASFG, Consigli, bb. 2, 3, 4, 6, 8, fascc. 22, 34, 36, 47,76, 96; nel «Giornale fisico agrario della Capitanata», I (1830), 10 (20 maggio), vedi il discorso pronunciato dall’in-tendente Santangelo il 15 maggio 1830 all’apertura del Consiglio provinciale.

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di pungolo che svolgeranno i Consigli, tramite la Deputazione delle opere pubbli-che, perché gli intrapresi lavori stradali vengano portati a termine, con il supera-mento di ogni difficoltà, e più volte le assemblee o la Deputazione si porranno inatteggiamento critico rispetto all’operato del Corpo degli ingegneri di ponti e stra-de cui compete la programmazione e l’esecuzione delle opere.

I Consigli dimostrano molta attenzione per tutto ciò che attiene alla via-bilità, sia esterna che interna agli abitati: discutono circa la convenienza deitracciati e delle varianti che vengono proposte, affrontano le questioni delle com-petenze delle opere (se di conto regio o provinciali o comunali), segnalano solu-zioni alternative, propongono nuovi tracciati in vista di dichiarati bisogni dellepopolazioni e dei traffici. Ed arrivavano persino a rigettare piani governativi,se non coincidenti con gli interessi della provincia, come nel caso della stradaEgnazia.41

Con la Restaurazione il loro ruolo in materia diventa ancora più forte edincisivo, a seguito dell’affidamento alle Deputazioni da loro espresse anche dellatutela sulla gestione dei fondi destinati alle opere pubbliche.

Ma nei verbali consiliari di quegli anni riguardanti le opere pubbliche non siparla naturalmente solo di strade, anche se esse restano al primo posto nei votiassembleari. Frequente oggetto di deliberazione sono difatti anche i ponti sui varifiumi della provincia, perché alcuni sono crollati e vanno ricostruiti, altri abbiso-gnano di consolidamento, altri vanno eretti per la prima volta, e altri ancora, comequello di Varano, sono fatti in legno e di uso rischioso, come più volte si è riscon-trato.42

Sarà così possibile fra l’altro ottenere la costruzione di un ponte sul fiumeCarapelle, molto necessaria,43 la ricostruzione del ponte dei Massari sul lago Salpi,44

ed ancora l’edificazione di quattro altri ponti sui vari torrenti fra San Severo eLucera,45 mentre nel 1826 si darà avvio alla ricostruzione dell’importante ponte diCivitate.46

Negli stessi anni si progetta la bonifica della Salsola,47 da parte del Consigliodistrettuale di Bovino si auspica l’incanalamento del disordinato corso del Carapelle,

41 Cfr. ASFG, Consigli, bb. 3, 6, 7, fascc. 36, 71, 76, 87; A. MASSAFRA, Campagne e territorio nel Mezzogiornofra Settecento e Ottocento…, cit., p. 217 e segg.

42 ASFG, Consigli, bb. 7 e 9, fascc. 85 e 118.43 Le acque di questo fiume frequentemente straripavano, inondando non solo i fondi di vari proprietari,

ma anche il tratturo che era nelle vicinanze e che in parte era al servizio della viabilità ordinaria da Foggia aCerignola, con gli intuibili disagi ed inconvenienti; cfr. ibid., b. 2, fasc. 34.

44 Era tra i più importanti della regione perché, posto sul tragitto da Manfredonia a Barletta, assicurava iltraffico fra Capitanata e Terra di Bari. La ricostruzione, proposta dal Consiglio provinciale nel 1816, con ilpieno favore dell’intendente, avvenne solo nel 1819; cfr. ibid., b. 4, fasc. 47.

45 Ibid., bb. 6 e 9, fascc. 79 e 129.46 Ibid., bb. 7 e 8, fascc. 81 e 92.47 Portata a compimento nel 1830, dopo un lavoro durato quasi vent’anni; cfr. il discorso pronunciato

dall’intendente Santangelo il 15 maggio 1830 all’apertura del Consiglio provinciale di Capitanata il 15 maggio1830, in «Giornale fisico agrario della Capitanata»…, cit., pp. 155-157.

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e viene proposto anche il riatto del porto di Rodi, distrutto nel secolo precedentedai briganti.48

Mentre il Consiglio provinciale delibera in relazione ad opere pubbliche diconto regio o di interesse provinciale, quelli distrettuali di Foggia, Bovino e SanSevero esprimono voti circa le opere di interesse particolare del distretto o diqualche suo comune.

Negli anni 1819-1822 si costruisce nel capoluogo il carcere centrale, nei varipaesi della provincia si tracciano molte traverse interne e parecchie vengono lastri-cate, e nel 1824 il Consiglio distrettuale di San Severo delibera sulla costruzione divarie rotabili fra il capoluogo distrettuale e i comuni di Apricena, San Paolo e Tor-remaggiore.49

Altro campo in cui i Consigli ebbero modo di spendere utilmente le proprieenergie fu quello della pubblica istruzione, consapevoli come furono che il pro-gresso delle genti non era scindibile dalla loro crescita educativa e culturale.

Quanto misero fosse in Capitanata, ancora alla fine del XVIII secolo, l’insie-me dei mezzi e delle risorse a scopi educativi è il Galanti a farcelo sapere a chiarelettere.50

Alla misera situazione, persistente agli inizi del secolo XIX, si sforzaronoenergicamente di porre rimedio i Napoleonidi che si succederono sul trono di Na-poli con la loro politica scolastica, frutto del pensiero di Cuoco, di Galdi e di Delfico,la quale in primo luogo creava un’organizzazione dell’istruzione pubblica moltocapillare e quale mai si era vista nel regno.

Istituito con determinazione di Giuseppe Bonaparte, nel marzo del 1806, il Mi-nistero dell’Interno cui, fra le altre attribuzioni, competeva “l’istruzione, le scuole pub-bliche ed universitarie degli studi, i musei e biblioteche pubbliche”, con decreto del 15agosto dello stesso anno si gettavano le fondamenta della riforma dell’istruzione.

In virtù di esso “tutte le città, terre, ville ed ogni altro luogo abitato di questoregno saranno obbligate a mantenere un maestro per insegnare i primi rudimenti ela dottrina cristiana a’ fanciulli; saranno inoltre tenute a stabilire una maestra per farapprendere, insieme con le necessarie arti donnesche, il leggere, scrivere, e la nume-rica alle fanciulle” (art. 1) e “nei comuni con meno di 3000 abitanti sarà permesso aimaestri di serbare il metodo ordinario antico. Ove la popolazione è maggiore, imaestri dovranno insegnare col metodo normale” (art. 3).51

48 ASFG, Consigli, b. 8, fasc. 96.49 Ibid., b. 7, fasc. 85.50 Giuseppe Maria GALANTI, Della descrizione geografica e politica delle Sicilie, a cura di Franca Assante e

Domenico Demarco, Napoli, Edizioni scientifiche italiane, 1969, 2 voll.: vol. II, p. 538.51 Il metodo ordinario antico consisteva nell’insegnare le lettere alfabetiche secondo il loro ordine, per

passare poi alla composizione e lettura delle sillabe e delle parole; il metodo normale, invece, insegnava aleggere e a scrivere, fondandosi su altri criteri e mezzi, fra cui preminente quello della memoria visiva (aldiscente si presentava una cosa o una immagine di essa e se ne diceva il nome. Molto interessante al riguardoè un opuscolo dal titolo Compendio del metodo normale, in ASFG, Intendenza, Governo e Prefettura diCapitanata, Pubblica istruzione, b. 7, fasc. 88.

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Fra grandi difficoltà, la riforma anche in Capitanata conseguì i suoi primistentati successi, come si trae notizia da alcuni documenti dell’Archivio di Stato diFoggia.

Anche re Gioacchino diede un decreto fondamentale in materia scolastica,quello del 15 settembre 1810, che stabiliva scuole primarie in tutti i comuni delregno, affidandole ai parroci, nei comuni di terza classe, o a istitutori nominati dalMinistero dell’Interno negli altri comuni. Ai comuni era fatto proprio l’obbligo difornire i locali e di corrispondere gli stipendi ai maestri; ai genitori quello di man-dare alle scuole i figli dell’età di almeno 5 anni.

A Lucera allora funzionava già da un triennio con regolarità un Real Colle-gio, aperto sullo scorcio del 1807;52 a Foggia erano in attività, oltre a quella norma-le, le Scuole pie degli Scolopi, in cui si insegnavano italiano, latino, storia, geografia,lettere umane, filosofia, etica, matematica e fisica, e principi di religione con cennistorici, nonché la scuola in cui, sotto la guida di Giuseppe Rosati, s’insegnavano irudimenti di agricoltura e di fisica.53

I verbali dei Consigli del Decennio evidenziavano con quanta attenzione siai consessi maggiori di rappresentanza sia quelli minori seguissero le vicende delmondo della scuola, deplorandone i difetti, indicando rimedi, chiedendo interventi.

Con la Restaurazione la struttura scolastica della Capitanata, così come quelladel resto del regno, rimase con i caratteri che aveva avuti sino al 1815. Le scuole,istituite nei vari comuni della provincia, conducevano vita grama, non tanto perché- come assumeva qualche Consiglio - trascurate dalle amministrazioni comunali epoco sorvegliate, quanto piuttosto per la cronica deficienza degli “stati discussi”comunali, per la difficoltà di trovare persone disposte ad insegnare (mancavanospecialmente le maestre, reputandosi dalle donne l’insegnamento un mestiere mor-tificante), per il malumore diffuso dei docenti che, per farsi corrispondere il loroavere, spesso erano costretti a piatire l’intervento delle autorità statali.

In quegli anni la Capitanata, per quanto lo potevano consentire i tempi, cer-cava di dotarsi di scuole particolari che in qualche misura le permettessero di nonessere ulteriormente alle dipendenze di Napoli.

Fin dal 1813 invero il Consiglio provinciale, nella seduta del 13 settembre,aveva richiesto l’istituzione di una scuola di diritto, nei luoghi di residenza dei tri-bunali, di una scuola veterinaria nel capoluogo, di una di medicina in San Severo, diuna di botanica in Lucera e San Severo e di una scuola di agricoltura nei comuni concirca 10.000 abitanti.54

52 Cfr. Vittore ARCINETTI, Monografia del Convitto nazionale di Lucera dal 1807 al 1884, Foggia, Stab.tipo-litografico Pollice, 1884, p. 14.

53 Frequentata da trenta alunni, la sua istituzione risaliva al 1804 ed era stata voluta dal comune di Foggiache corrispondeva all’insegnante uno stipendio di ducati 180 l’anno e gli forniva il locale presso il Collegiodegli Scolopi. Cfr., in proposito, l’atto del notaio Michele Taliento di Foggia, datato 18 giugno 1804, conser-vato nella Sezione di Archivio di Stato di Lucera (Archivio notarile, prot. 1103).

54 ASFG, Consigli, b. 2, fasc. 26.

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55 Ibid., b. 3, fasc. 42.56 Ibid., b. 5, fasc. 62.57 Ibid., bb. 6 e 9, fascc. 75 e 118.58 Cfr. Pietro CALÀ ULLOA, Il regno di Ferdinando II, a cura di Giuseppe Francesco de Tiberiis, Napoli,

Edizioni scientifiche italiane, 1967, pp. 125-126.59 Il presidente del Consiglio provinciale che veniva dalla capitale prestava, però, il suo giuramento nelle

mani del ministro dell’Interno e, una volta in provincia, riceveva direttamente il giuramento dei consiglieri,alla presenza dell’intendente. Così per l’art. 38 della legge del 12 dicembre 1816 n. 570.

La richiesta di una scuola di agricoltura nei comuni principali e di una scuoladi veterinaria veniva poi rinnovata dal Consiglio provinciale del 1818, ma anche daquelli del 1821 e del 1822.55

E sempre nel 1821 il Consiglio distrettuale di San Severo deliberava sull’isti-tuzione di una cattedra di ostetricia nel capoluogo,56 e nel 1822 di uno stabilimentoscientifico a Vico del Gargano.57

4. I Consigli nell’epoca ferdinandea

Come già avvenuto nel 1820 a causa dei moti carbonari, anche nel 1848 lasituazione politica generale del momento indusse il governo a non convocare iConsigli, per la loro potenziale “pericolosità liberale”. In essi, si è avuto modo didirlo, l’elemento lealista, attaccato al trono, non raramente si vedeva affiancato daquello con un passato rivoluzionario e settario, anch’esso ammesso nei Consigliper penuria di elementi più graditi. E, proprio con l’aggiunta di elementi tratti daiConsigli provinciali, un disegno governativo del 1847 aveva progettato di modifi-care la natura e la composizione della Consulta generale del regno perché l’organi-smo divenisse più rispondente ai tempi nuovi.58

Neppure negli anni di maggiore reazione, il 1849 ed il 1850, durante i qualicoloro che si erano più compromessi negli avvenimenti politici conobbero le tristigalere borboniche o la non meno triste via dell’esilio in terra straniera, i Consiglifurono convocati. Fatta eccezione però per questo triennio, le assemblee provincia-li e distrettuali durante il periodo ferdinandeo si riunirono regolarmente in tutto ilregno, avendo normale ed ordinato funzionamento e svolgendo la funzione istitu-zionale di organi di rappresentanza dei bisogni della popolazione.

Il Consiglio provinciale di Capitanata continuò a tenere le sue sessioni nelmese di maggio, riunendosi a Foggia nel palazzo dell’Intendenza, già palazzo del-l’antica Dogana delle pecore di Puglia, e propriamente nel salone dell’Archivio pro-vinciale.

Convocato dall’intendente, questi riceveva nelle sue mani il giuramento delpresidente e dei nuovi consiglieri nominati dal re.59 Espletato questo essenziale adem-pimento, l’intendente dichiarava installato ed aperto il Consiglio e, dopo aver pro-nunciato un discorso cui faceva seguito quello del nuovo presidente e letto le sovra-

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ne risoluzioni sui voti degli anni precedenti, si allontanava, consentendo in tal modoall’assemblea di avviare i lavori.60

Il discorso della prima autorità provinciale all’apertura del Consiglio mirava adessere una sorta di resoconto dell’attività che il suo ufficio, l’Intendenza, aveva svoltonegli ultimi tempi nell’interesse della provincia ed un mezzo per segnalare ai consi-glieri problemi e materie su cui conveniva che portassero prioritariamente l’atten-zione e l’esame. In qualche caso le “proposizioni per il miglioramento del distretto”o i “ricordi per i consiglieri” accennati dall’intendente risultano delle vere e proprieimbeccate.

Di norma il discorso di risposta del neo presidente era meno argomentato,più di occasione e sostanzialmente, al di là della magniloquenza espressiva, si ridu-ceva ad una promessa di far bene operare il Consiglio e a ringraziamenti ed auguriper il re e per colui che lo rappresentava in provincia.61 Munito dei poteri ricono-sciutigli dalla legge, nella sua prima sessione il Consiglio, dopo aver scelto il consi-gliere segretario, passava a designare gli impiegati che dovevano formare l’ufficio disegreteria, di solito una decina di persone. Ciò fatto, si stabilivano i giorni delleriunioni e l’orario dei lavori. Il presidente, a sua volta, designava i consiglieri relatorie questi, con la “commessa per riferire”, ricevevano tutti gli atti necessari per cono-scere le questioni loro affidate e poter così fare le successive proposte.

La prima sessione, di solito dedicata ad incombenze di tipo amministrativo,si chiudeva con ringraziamenti per il sovrano e con altre manifestazioni di fedeltà edi ubbidienza.

Le altre sessioni in parte servivano per deliberare su “oggetti” segnalati dal-l’intendente o da altre autorità, in parte per esaminare e discutere sui voti dei Con-sigli distrettuali.

Le discussioni e le deliberazioni potevano avvenire a porte aperte o chiuse, ilvoto doveva essere sempre palese.62

60 L’intendente poteva intervenire al Consiglio solo se invitato da questo e comunque senza prendere partealle deliberazioni, giusta l’art. 39 della legge del 12 dicembre 1816 n. 570. Di nessun altro impiegato dell’Inten-denza è ammessa la presenza nelle riunioni consiliari, ribadirà nel 1844 il ministro dell’Interno Santangelo; cfr.ASFG, Consigli, b. 3, fasc. 31.

61 Si menzionano, a mo’ di esempio, i discorsi tenuti dal marchese Giovanni Antonio Filiasi e da PaoloTonti, presidenti del Consiglio provinciale nel 1830 e nel 1846, pubblicati rispettivamente nel «Giornale fisicoagrario della Capitanata» e nel Rapporto dell’intendente Patroni di quegli anni, e quello del Duca di Serracapriolatenuto nel 1852, inedito; cfr. ASFG, Consigli, b. 20, fasc. 274. Non si conosce, invece, il discorso tenuto dalmarchese Brancia al Provinciale del 1835, riguardo al quale il diarista locale Villani potè scrivere: “La rispostadel Presidente però non ha corrisposto a quanto eruditamente si è esposto dall’Intendente, ma invece hadestato il riso generale, poiché quanto noiosamente ha detto non ha avuto né principio né fine”. Cfr. «Giorna-le Patrio Villani» del 15 maggio 1834 (parte manoscritta ancora inedita conservata presso il Museo Civico diFoggia e, in copia fotografica, nell’Archivio di Stato di Foggia).

62 Così il Consiglio provinciale del 1959 nella sua prima riunione decise che le sessioni si tenessero a portechiuse, perché “il concorso del pubblico poteva portare un ritardo al disbrigo degli affari ed essere di ostacoloal voto libero di ciascun consigliere”; cfr. ASFG, Consigli, b. 24, reg. 327, c. 237t. Secondo la norma originariai voti che i Consigli esprimevano, assumevano validità se adottati con la maggioranza dei 2/3 dei consiglieri.In seguito, però, essendosi verificata spesso l’impossibilità di mettere insieme tale maggioranza per la scarsapartecipazione dei consiglieri alle sedute, una nuova disposizione riconobbe validità anche ai voti espressisenza la detta maggioranza. Cfr. Ibid., b. 1, fasc. 4.

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L’esame dei voti distrettuali avveniva in apposite sessioni, generalmente dueo tre, e con sequenza gerarchica: si cominciava con i voti del distretto in cui era ilcapoluogo provinciale (I distretto, Foggia), si proseguiva con quelli del II distretto(San Severo), si terminava con il III distretto (Bovino).

Una delibera consiliare concludeva ogni esame e non sempre era adottataall’unanimità.

Essa o raccomandava alla valutazione e decisione sovrana il voto del Consi-glio distrettuale, oppure, non condividendolo, non riteneva di appoggiarlo oppuremanifestava l’astensione.

Solitamente il Consiglio provinciale adottava questo ultimo tipo di deliberaper quei voti che i Consigli distrettuali emettevano su questioni estranee o esorbi-tanti rispetto alle proprie competenze, voti peraltro emessi di frequente e causati siadalla volontà di trovare rimedi per i tanti emergenti bisogni dei distretti sia dallascarsa conoscenza delle proprie attribuzioni e facoltà.

In generale il Consiglio provinciale di Capitanata non tenne molte riunioni:mediamente sette o otto all’anno, con le punte massime di sedici sessioni nel bien-nio precedente al 1848, quando la sua attività rimase interrotta, e di quindici sessio-ni nel 1851, anno di ripresa di detta attività.

E forse non è fuor di luogo ipotizzare che il notevole incremento delle ses-sioni consiliari in anni particolarmente significativi, quelli che precedono e seguo-no l’anno dei moti per la Costituzione liberale, non sia un fatto puramente casuale,ma piuttosto il segno di una maggiore partecipazione dei consiglieri dauni ai biso-gni e ai problemi della Capitanata di allora, in un contesto generale di più intensavivacità culturale e di più profonda attenzione per le questioni del regno.

Una verifica della fondatezza di una tale ipotesi potrebbe aversi però solocon la conoscenza del numero delle sessioni tenute in quegli stessi anni dagli altriConsigli generali del Mezzogiorno.

Il verbale dell’ultima sessione dell’assemblea si concludeva con gli encomialle pubbliche autorità e con la nota delle gratificazioni agli scribenti, cioè gli impie-gati scelti per la redazione degli atti e appartenenti alla segreteria.

Dichiarato chiuso il Consiglio, il presidente trasmetteva tutti gli atti al Mini-stero dell’Interno, escluse quelle delibere che, per motivate ragioni, avevano preso“forma staccata” ed erano già divenute oggetto di particolari trasmissioni.

Sin dal 1841 gli atti originali di ogni adunanza venivano trascritti in un appo-sito registro o protocollo il cui uso, richiesto per primo dal Consiglio provinciale diCapitanata, il sovrano aveva ammesso in tutte le province.63

Presso il Consiglio esisteva anche un altro protocollo detto “di censura”, in

63 Questo protocollo, invece, non fu mai in uso presso i Consigli distrettuali, e solo nel 1858 il Consiglio deldistretto di Bovino espresse il voto di poter impiantare un registro “a rendere duratura la memoria deideliberamenti”, così come era consentito al Consiglio provinciale. Questo, poi, nella sessione del 12 maggio,deliberava un voto uniforme; cfr. Ibid., b. 24, reg. 327, c. 194r.

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cui si riportavano le opinioni che l’assemblea manifestava a proposito delle autoritàdella provincia e dei pubblici funzionari. Giusta il reale rescritto del 19 maggio1841, questi e altri atti del Consiglio andavano consegnati al segretario generaledell’Intendenza. Da ciò potevano derivare inconvenienti e ad essi intese porre ri-medio la proposta del consigliere Zaccagnino, in data 27 maggio 1846, “di stabilirsiun archivio fisso in una delle officine dell’Intendenza per la conservazione degli attidel Consiglio medesimo, ma bensì per le carte tutte che servir debbono alla prepa-razione dei lavori annuali”.

L’armadio riservato per le sole scritture del Consiglio sarebbe stato chiuso condoppia chiave, una tenuta dal segretario generale che l’avrebbe consegnata al presidentenella successiva riunione dell’assemblea, l’altra per un consigliere prescelto da questa.

Si è detto che le attribuzioni, le “materie” dei Consigli provinciali erano fis-sate dall’art. 30 della legge del 1816 sull’amministrazione civile. Tra le più impegna-tive di esse vi era l’esame del progetto dello stato discusso provinciale, l’esame divari conti morali e le proposte delle terne per le diverse Deputazioni.64

I Consigli, però, esorbitavano frequentemente dalle loro attribuzioni e, comescriveva nel 1828 il ministro dell’Interno al presidente del Consiglio provinciale diCapitanata, “per effetto di un trasporto di zelo pel bene della Provincia spesso si diffon-dano in proposizioni che o per mancanza di mezzi o per la qualità di essi non possonoavere effetto” con la conseguenza che “la M.S. con dispiacere è costretta a non appro-varla”.65 In effetti già una precedente circolare dell’Interno del 30 marzo 1825 avevapartecipato a tutti i Consigli la sovrana determinazione che con rigore si preoccupava distabilire varie delimitazioni da rispettare in sede deliberante, come quelle di:a - non proporre nuove strade fin quando quelle in costruzione non fossero

state terminate o vicine a terminarsi;b - non tornare su argomenti già risoluti, a meno che nuove circostanze non lo

esigessero;c - non proporre nuovi stabilimenti di beneficenza, di educazione, di reclusione, se

non si fossero prima ben basati i fondi necessari tanto per le spese di primostabilimento quanto per il mantenimento successivo delle opere;

d - non immischiarsi nelle opere comunali, dipendendo queste dalle deliberazio-ni dei rispettivi decurionati e secondo regole stabilite dalla legge, eccetto quandotali opere potessero aver nesso con quelle della provincia.

L’11 aprile 1829 il ministro dell’Interno ritenne necessario ribadire questidivieti, aggiungendo ancora che il Consiglio non doveva ritornare sugli oggetti

64 Il Consiglio provinciale di Capitanata esaminava, tra gli altri, il conto morale dell’Intendenza e delleSottointendenze, del Reale Collegio di Lucera, della Reale Società Economica di Capitanata, del Consigliogenerale degli ospizi, dell’Orfanotrofio provinciale, e i progetti di stati discussi dei fondi comuni e dei fondispeciali della provincia, delle opere pubbliche provinciali, della bonifica dei torrenti, della strada Appuro-Sannitica, della Garganica, ecc.

65 ASFG, Consigli, b. 9, fasc. 113 (il marchese Amati, ministro dell’Interno, a Gerardo di Sangro, principe diSan Severo, presidente del Consiglio provinciale di Capitanata).

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proposti ultimamente, se mai non giungessero in tempo all’intendente le risoluzio-ni sovrane sugli atti deliberati l’anno precedente.66

E tuttavia nel tempo fu indispensabile più volte richiamare i Consigli all’or-dine e al rispetto di queste prescrizioni, come fa intendere il verbale della sessionedel 1° maggio 1852 che si apre con la lettura al consesso provinciale di Capitanata diuna ministeriale dell’Interno avente proprio questo contenuto.67

Quanto alle risoluzioni che il re, nel Consiglio ordinario di Stato e spessodopo aver inteso la Consulta, adottava sui voti dei Consigli provinciali, va dettoche esse venivano comunicate dal ministro dell’Interno all’intendente. A cura diquesti erano partecipate ai Consigli, alla loro apertura, e per estratto a chiunquealtro potesse avere interesse a conoscerle.

Alcuni Consigli provinciali implorarono perché le risoluzioni sovrane presedi anno in anno sulle varie proposte fossero comunicate a tutti i comuni ed ai Con-sigli distrettuali. E il 7 ottobre 1832 Santangelo, ministro dell’Interno e già inten-dente di Capitanata, poteva informare Gaetano Lotti, suo successore a Foggia, del-l’ordine emanato dal re nel Consiglio ordinario di Stato del 5 ottobre, secondo ilquale per regola generale le risoluzioni dovessero parteciparsi a tutti i Consiglidistrettuali, rimettendosi per il resto alla prudenza degli intendenti.68

Qualche anno dopo, nel 1835, su voto del Consiglio provinciale di CalabriaUlteriore, gli intendenti dei domini al di qua del Faro, dopo aver preso dal Ministe-ro dell’Interno gli ordini superiori, ebbero il permesso di poter inserire nel Giorna-le d’Intendenza le sovrane risoluzioni provocate dai Consigli provinciali relativa-mente ai conti morali, alle opere pubbliche, alle industrie e manifatture, alla pubbli-ca istruzione ed ai pubblici stabilimenti.69

Il funzionamento dei tre Consigli distrettuali della Capitanata ripeteva suscala ridotta quello dell’assemblea provinciale. Il Consiglio del I distretto, che rap-presentava ventitré comuni, era convocato ed installato dall’intendente e, in caso diimpedimento, dal segretario generale dell’Intendenza. Così avvenne ad esempio nel1835 e nel 1837.

Quelli del II e del III distretto, rispettivamente rappresentativi di venticin-que e di ventuno comuni, venivano invece convocati dai sottintendenti.70

66 Ibid., b. 3, fasc. 31. Le deliberazioni dei Consigli provinciali diventavano esecutive solo quando otteneva-no l’approvazione sovrana.

67 Ibid., b. 17, reg. 227, pp. 303-304.68 Ibid., b. 3, fasc. 31.69 Loc. cit.70 Formavano il primo distretto i comuni di Foggia, Orta, Ordona, Carapelle, Stornarella, Stornara, Cerignola,

Casaltrinità, Reali Saline, Manfredonia, Zapponeta, Montesantangelo, Mattinata, Vieste, Lucera, Biccari,Alberona, Roseto, Volturara, Volturino, Motta, San Bartolomeo e, dal 1848, San Ferdinando. Componevanoil secondo distretto i comuni di San Severo, San Marco in Lamis, Rignano, San Giovanni Rotondo, Sannicandro,Cagnano, Carpino, Vico, Peschici, Rodi, Ischitella, Apricena, Lesina, Poggio Imperiale, Torremaggiore, SanPaolo, Serracapriola, Chieuti, Castelnuovo, Casalvecchio, Casalnuovo, Pietra, Celenza, Carlantino, San Mar-co la Catola. Costituivano il terzo distretto i comuni di Bovino, Panni, Castelluccio dei Sauri, Savignano,Deliceto, Santagata, Ascoli, Candela, Troia, Celle, Castelluccio Valmaggiore, Faeto, Castelfranco, Montefalcone,Ginestra, Accadia, Monteleone, Anzano, Orsara, Montaguto, Greci.

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71 ASFG, Consigli, bb. 11, 12, 14, fascc. 153, 165, 189, 195.72 Ibid., b. 24, reg. 327, c. 98t.73 Ibid., c. 248t.74 Ibid., b. 4, fasc. 47.

Per l’art. 48 della legge sull’amministrazione civile, le sessioni dei Consiglidistrettuali non potevano oltrepassare i quindici giorni. Dalla nostra ricerca emergeche le tre assemblee minori della Capitanata rimasero sempre ben lontane da questolimite.

Come avveniva anche per il Provinciale, l’ultima delle riunioni assemblearidava al Consiglio distrettuale di Foggia l’occasione di congratularsi con l’inten-dente e con il segretario generale dell’Intendenza per la tranquillità e la sicurez-za del distretto ed ai Consigli di San Severo e di Bovino di esprimere lodi eringraziamenti per i sottintendenti e le altre autorità.

Le deliberazioni, alla chiusura delle sessioni, erano fatte pervenire al Con-siglio provinciale, per il tramite diretto dell’intendente (quelle del I distretto) eindiretto del sottintendente (quelle degli altri distretti).

Il Consiglio distrettuale di Foggia si riuniva nell’ampio palazzo dell’Inten-denza, quello di San Severo nell’edificio della Sottintendenza, comodamente ubicatanel palazzo degli ex Celestini: essi, quindi, non ebbero mai come un problema darisolvere il luogo in cui riunirsi. Ciò invece non avvenne per il Consiglio distrettualedi Bovino, obbligato a tenere le sue riunioni presso la Sottintendenza, che dispone-va di pochi locali condotti in fitto, e per di più periferici. Tra i voti più ricorrenti diquesto Consiglio c’è quello di poter acquistare o far erigere un fabbricato per sededella Sottintendenza: così nel 1833, nel 1836, nel 1841, nel 1843.71

Nel 1844 una risoluzione sovrana autorizza infine l’acquisto della casa Baro-ne per sede della Sottintendenza, ma essa non troverà mai modo di portare a risul-tati concreti. Sul voto espresso in proposito ancora nel 1856, il Consiglio diCapitanata dava un parere negativo, causa la ristretta finanza provinciale, e si di-chiarava disponibile ad aumentare da 200 ducati a 250 ducati la somma per il fitto dilocali della Sottintendenza, onde consentire di almeno fittare casa Barone.72

E questo parere negativo, sempre per mancanza di mezzi, sarà manifestatonuovamente nella sessione del 24 maggio 1859.73

Sin dal 1815 il Consiglio provinciale si occupava della nomina della Deputa-zione per la manutenzione ed acquisto dei mobili dei locali dell’Intendenza, delleSottintendenze e dei Tribunali.74 La legge del 1816 sull’amministrazione civile gliaffidò la nomina delle Deputazioni per la direzione e la vigilanza delle opere pub-bliche provinciali e di uno o due deputati scelti dal suo seno o fuori per sollecitarepresso l’Intendenza o presso i Ministeri la risoluzione ed il compimento delle suedeliberazioni (art. 30).

Queste Deputazioni, proposte dal Consiglio ed approvate dal sovrano, svol-sero un importante ruolo perché, diversamente dall’assemblea provinciale che ave-va vita breve, esse duravano almeno un anno, potendo essere riconfermate anche

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I Consigli provinciali e distrettuali di Capitanata (1808-1860)

più volte, e quindi erano in condizione di svolgere con buona continuità i compitiloro affidati.

Quanto ai singoli deputati “per assistere” presso l’Intendenza o presso i Mi-nisteri, una risoluzione sovrana del 3 maggio 1836, valida per tutte le provincie, maprovocata da una memoria che era stata trasmessa dal Consiglio provinciale del 2°Abruzzo Ultra, ne precisava le facoltà e i caratteri.

Essa difatti chiariva che i deputati potevano riunirsi almeno una volta pressol’intendente e sotto la sua presidenza, per sollecitare il compimento delle delibera-zioni del Consiglio, ma senza redigere alcun verbale; che era vietato loro ogni cor-rispondenza ufficiale; che potevano assistere alle riunioni della Deputazione delleopere pubbliche; e che nel disimpegno delle loro funzioni andavano consideraticonsiglieri provinciali.75

A seguito delle nostre ricerche è possibile affermare che nelle varie Deputa-zioni daune il turn over avveniva con lentezza e che solitamente gli avvicendamentisi collegavano a dimissioni, o morte dei componenti o anche al loro inserimento inaltre Deputazioni.

Il consigliere Vincenzo Zaccagnino fa parte della Deputazione presso l’In-tendenza di Foggia dal 1847 al 1855, il marchese Lorenzo Filiasi è eminente mem-bro della Deputazione per le opere pubbliche provinciali dal 1830 al 1837, Dionisiodella Bella è presente nella Deputazione per la strada garganica dal 1844 al 1858,Matteo Mascia negli stessi anni 1851-1859 è componente delle Deputazioni per ilponte di Civitate, per le strade San Severo-Foggia, San Severo-Lucera, San Severo-Appulo Sannitica, per il mobilio della Sottintendenza di San Severo.

Questi organismi rappresentativi del Consiglio provinciale erano formatiin genere da tre persone, ma qualche anno prevalse la tendenza a costituirli conun numero ben maggiore, sino ad otto, quante ne vennero proposte nel 1836 per-ché componessero la Deputazione per le opere pubbliche provinciali. Ma il renon approvò la proposta ed invitò a “riformare perché il numero è contro la nor-ma”.76

Il proposito di tutelare l’interesse dei censuari del Tavoliere a veder salva-guardati i propri fondi dagli allagamenti dei corsi d’acqua in piena consigliò diformare sempre con elementi pugliesi ed abruzzesi la Deputazione per la boni-fica dei torrenti. E dalla Deputazione per la strada Appulo-Sannitica (o stradadei censuari, che alla sua costruzione contribuivano in maniera sostanziosa,pagando un’apposita tassa) uno dei tre componenti non veniva proposto dalConsiglio di Capitanata, ma direttamente dalla Deputazione generale degli exlocati.

Quasi sempre nobili i deputati per “assistere” presso i Ministeri.

75 Ibid., b. 3, fasc. 31.76 Ibid., b. 12, fasc. 168.

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Pasquale e Tiziana di Cicco

Anche dopo il 1820 ed il 1848 il reclutamento dei consiglieri si effettua sullabase della vecchia normativa. Requisito primario richiesto al candidato resta la ren-dita fondiaria, ma egli nell’epoca ferdinandea deve risultare anche “idoneo sotto iltriplice profilo” (morale, religioso e politico), secondo si legge negli elenchi delleproposte dei sottintendenti e degli intendenti. E molti documenti attestano il con-tinuo impegno profuso da autorità laiche ed ecclesiastiche per stabilire se esistano omeno in un candidato le richieste qualità.

Altra dote irrinunciabile, dopo il possesso del censo, è l’attaccamento al tro-no dell’aspirante consigliere. Ciò comporta l’esclusione dalle candidature per co-loro che nel 1820 si sono maggiormente compromessi sul piano politico ed hannorivestito cariche importanti durante il Nonimestre costituzionale. Tuttavia, comesi è detto prima, il bisogno di provvedere a certe scadenze al ricambio dei consi-glieri e la carenza di soggetti completamente idonei 77 favoriscono l’ammissionenei Consigli anche di personaggi dal passato politico non tutto gradito alle autoritàdel tempo.

E difatti i consiglieri che nei documenti consultati si definiscono “settari”, siapure con la differenziazione di “prima del Nonimestre” e di “dopo il Nonimestre”,o di “effervescente” e di “non effervescente”, formano un numero cospicuo, circauna cinquantina.78

Fra loro emergono i nomi di Agnello Iacuzio, Francesco Antonio Gabaldi,Matteo Nannarone di Foggia, Delfino Massari e Giuliano Villani di San Marco inLamis, Domenico Giordano di Monte Sant’Angelo, Pasquale de Nicastro di Luce-ra, Francesco delli Santi di Manfredonia, Vincenzo de Ambrosio di San Severo,Ascanio Ripandelli di Candela, Matteo Paolella di Castelluccio Valmaggiore e Ga-etano Rocco di Bovino.

Dopo la rivoluzione del 1848 la dote della fedeltà al sovrano viene richiestacon maggior rigore e sono ben pochi, appena una decina, gli elementi che entrano afar parte dei Consigli, pur avendo le informazioni dei sottintendenti o dei giudiciregi riferito loro la qualificazione di “liberali”.79

Nei Consigli di Capitanata, dal 1808 alla caduta del regno, si avvicendaronodiverse centinaia di persone, originarie di molti comuni della provincia, ma speciedi quelli maggiori. Raramente infatti i centri minori ebbero un proprio rappresen-tante nei detti consessi, per carenza di candidature fornite dal necessario requisitocensitario, e parecchi piccoli comuni non furono mai rappresentati da un proprio

77 Un caso emblematico: nel 1830 il Decurionato del comune di Orsara, vista la “lista degli eleggibili”, sitrova nella necessità di proporre per il Consiglio distrettuale di Bovino il solo Michele Chiella, un proprieta-rio sessantenne con una rendita di ducati 256.52, ma analfabeta (“illetterato”). Cfr. ibid., b. 13, fasc. 183.

78 Le autorità di polizia reputavano meritevoli di più occhiuta vigilanza, perché ritenuti più pericolosi, isettari di “prima del Nonimestre” in quanto veri autori del moto rivoluzionario.

79 Cfr., in proposito, la “riservatissima a lui solo” che il direttore del Ministero dell’Interno spediva il 5febbraio 1851 all’intendente di Capitanata Guerra con istruzioni per l’elezione dei consiglieri e la raccoman-dazione “di prestare massima attenzione alla valutazione della condotta politica e morale ed ai sentimenti diattaccamento al sovrano”, in ibid., b. 20, fasc. 270.

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80 ASFG, Consigli, b. 10, fasc. 146.81 Ibid., b. 12, fasc. 165.82 Ibid., b. 26, fasc. 352; e l’attento cronista locale, redattore del citato «Giornale Patrio», annota sotto la

data 10 aprile 1856: “Si sono spediti corrieri per chiamare in fretta gli altri mancanti”.83 Ibid., b. 16, fasc. 226.84 Ibid., b. 11, fasc. 159.85 Ibid., b. 3, fasc. 31.

concittadino. E intanto sono proprio le amministrazioni comunali il maggior ser-batoio dei consiglieri. Ricevono infatti la nomina ai Consigli provinciali o ai di-strettuali molti individui che sono stati o saranno sindaci, eletti, decurioni, cassiericomunali.

Come può intuirsi, la carica consiliare, meramente onorifica, non avevaagli occhi di tutti lo stesso valore, si faceva più o meno gradita a seconda dellapersonalità culturale di colui che riceveva la nomina a consigliere, del suo impe-gno pubblico, dei mezzi finanziari di cui disponeva, e persino a seconda delluogo in cui viveva.

Ambita da molti per il prestigio che era capace di attribuire al consigliere sulpiano sociale e quale trampolino, per così dire, per successive cariche, da molti altriveniva malvista e subita, perché nel suo esercizio riuscivano a vedere solo l’occasio-ne che li costringeva per un certo tempo e in vari anni a trascurare i propri affari, adaffrontare viaggi talvolta lunghi e rischiosi, data la situazione viaria del tempo e leabbondanti comitive di malfattori, a sostenere spese da nessuno rimborsate.

Di qui i fenomeni di assenteismo che afflissero sempre sia le assemblee mag-giori sia quelle minori della Capitanata ma, riteniamo, anche delle province tuttedel regno.

Senza dire dei casi limite, in cui certe assemblee non riescono neppure a riu-nirsi il giorno della convocazione perché troppi pochi consiglieri vi sono interve-nuti (è il caso del Consiglio distrettuale di San Severo nel 1827 e nel 1830), le assem-blee daune possono contare sempre e solo su una ridotta partecipazione dei consi-glieri, rispetto al numero previsto.

Qualche esempio. Al Consiglio distrettuale di Foggia del 1831, l’8 aprile, gior-no della convocazione, si presentano solo il presidente Gabaldi e tre consiglieri;80 nel1836 intervengono sei consiglieri ma non il presidente, Giuseppe de Nisi;81 e nel 1856si presentano, con il presidente Giambattista Nocelli, soltanto i consiglieri Paolella eArdito;82 al Distrettuale di San Severo nel 1847 intervengono cinque consiglieri ed èuno di loro, Gabriele Michele, a funzionare da presidente, in assenza del titolare Vin-cenzo Pazienza.83 Al Consiglio provinciale del 1834, presieduto dal principe di Lepo-rano, su venti consiglieri convocati se ne presentano dodici.84

I consiglieri giustificano la loro assenza in molti modi, per evitare di subirnele conseguenze che le autorità in più occasioni minacciano. Il 18 aprile 1846 il mini-stro dell’Interno Santangelo chiarisce che coloro che si rifiutano di intervenire aiConsigli vanno cassati dalle “liste degli eleggibili”,85 ma già molti anni prima il re,

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dopo l’avviso della Consulta generale del regno, nel Consiglio ordinario di Statodel 17 agosto 1830 ha deciso che “tutti quei consiglieri provinciali o distrettuali cheastenendosi per avventura dall’esercizio delle loro funzioni, non faranno costarenel modo e tempo convenevole la legittimità delle ragioni che glielo avranno impe-dito, saranno trattati come dimissionari volontari, già decaduti da qualsiasi diritto,esenzione e prerogative dell’amministrazione civile”.86

Alcuni consiglieri motivano la loro assenza alla prossima sessione assumen-do inderogabili impegni che le tratterranno fuori sede, a Napoli, a Roma o altrove,altri, e sono la maggior parte, accampano reali o fittizie ragioni di salute, proprie odi familiari.87 Alle malattie reali di alcuni consiglieri si accompagnano quelle “di-plomatiche” di altri, ma anche queste, attestate da medici comprensivi e pur notenella loro reale natura, non provocano alcuna conseguenza a carico dell’interessato.

Nel 1855 al Consiglio distrettuale di Foggia il marchese Orazio Cimaglia,che ne è il presidente, non interviene, certificando di essere ammalato in Manfredo-nia. E il cronista locale Villani così commenta: “Poco credibile: non era stato accon-tentato nell’essersi ricusato di accettare tale carica”.88 Le autorità adottano i rimediche possono per evitare che le assemblee operino con troppo pochi consiglieri.

Nel 1844, su una questione mossa dal Consiglio provinciale di Palermo, ilministro dell’Interno invita gli intendenti a seguire “l’antica consuetudine di chia-mare qualche consigliere distrettuale a sedere invece de’ mancanti o assenti in unConsiglio provinciale”.89

5. I voti dei Consigli

L’elencazione di alcuni dei più significativi voti espressi dai Consigli di Capi-tanata, ripartita secondo i “titoli” previsti dalle istruzioni ministeriali del 1808, puòessere utile per dare un’idea dell’attività e dell’impegno di questi consessi.

a) Agricoltura e commercio

- Ristagno dell’economia provinciale a seguito della chiusura del commer-cio attuata dal blocco continentale (1808). 90

- Danni alle campagne provocati dal brigantaggio (1809). 91

86 Cfr. «Giornale degli atti dell’Intendenza di Capitanata», 1830, 34 (4 settembre), pp. 241-242.87 Per alcune delle tante lettere giustificative delle assenze: ASFG, Consigli, b. 1, fasc. 14 (Vincenzo Angiulli);

b. 6, fasc. 80 (Clemente Santoro); b. 8, fasc. 108 (Giambattista Gifuni); b. 11, fascc. 150 (Gianvincenzo Mattei)e 159 (Vincenzo de Maio, Giambattista Specchio); b. 12, fasc. 163 (Giuseppe Rinaldi, Lorenzo Venditti).

88 Cfr. «Giornale Patrio Villani», 12 aprile 1855.89 ASFG, Consigli, b. 3, fasc. 31.90 Ibid., b. 1, fasc. 1.91 Ibid., b. 1, fasc. 10.

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92 Loc. cit.93 Ibid., b. 1, fasc. 17.94 Ibid., b. 2, fasc. 22.95 Loc. cit.96 Ibid., b. 2, fasc. 34.97 Ibid., b. 4, fasc. 47.98 Ibid., b. 5, fasc. 62.99 Ibid., b. 5, fasc. 69.100 Ibid., b. 5, fasc. 62.101 Loc. cit.102 Loc. cit.103 Ibid., b. 5, fasc. 68.104 Loc. cit.105 Loc. cit.106 Loc. cit.

- Necessità di piantagioni di alberi in Capitanata per combattere la siccità(1809).92

- Stasi del commercio via mare, fatto rischioso dagli attacchi dei corsari, edel commercio interno per la mancanza di strade e la presenza dei briganti(1811).93

- Flagello dei bruchi (1812).94

- Distruzione dei boschi da parte degli abitanti della Puglia alla ricerca dilegname da ardere (1812). 95

- Agricoltura e pastorizia del Tavoliere (1816).96

- Vivai in ogni comune di alberi silvani e fruttiferi da distribuirsi gratis aiproprietari (1819). 97

- Cassa di sovvenzione per gli agricoltori a Foggia con un capitale non infe-riore a 250.000 ducati e non superiore a 500.000 ducati (1821).98

- Sui lavori di manifattura eseguiti dalle “donzelle” nei Conservatori (1821).99

- Progetto per l’introduzione delle arti negli orfanotrofri della provincia(1821).100

- Reale Società Economica di Capitanata e sua azione poco incisiva per scar-sità di mezzi (1821).101

- Cause della decadenza e miseria della Capitanata e mezzi per farla risor-gere (1821).102

- Calo del commercio dei grani del regno (1821).103

- Dura condizione dei proprietari terrieri costretti a vendere prematura-mente i loro prodotti a poco prezzo nella fiera di Foggia, per le spese dicoltivazione e per gli obblighi con il Fisco (1822).104

- Si lamenta che il pastore è costretto a vendere a prezzi irrisori la proprialana all’estero e poi a ricomprarla nel prodotto lavorato, caricata di fortiaumenti (1822).105

- Deputazione stabilita in ogni provincia per impedire la devastazione deiboschi (1822).106

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- Per agevolare il commercio dei prodotti della pastorizia, diminuzione delprezzo dei merinos e premi per le iniziative di esportazione (1823).107

- Per tutelare l’allevamento equino nazionale, in crisi per la mancanza dipascoli e per le razze deteriorate, proibizione di introdurre via marenei Reali Domini di qua del Faro i cavalli e le giumente cosiddetti schia-votti di Dalmazia (1826).108

- Incoraggiamenti a favore della pastorizia (1831).109

- Conservazione della cassa di sussidio a favore dei censuari del Tavoliere,istituita nel 1822 con un fondo di 300.000 ducati (1832).110

- Aumento del premio per gli uccisori di lupi, numerosi in Capitanata econtinua minaccia per l’uomo ed il bestiame (1832). 111

- Acquisto di cavalli esteri per il miglioramento delle razze (1833).112

- Istituzione in ogni comune di una cassa di sovvenzione rurale (1833).113

- Stato delle monete circolanti nel distretto di Foggia (1833).114

- Premio di ducati 1.500 a carico dei fondi delle opere pubbliche per coluiche fra dieci pozzi forati con l’uso della trivella, comunemente detti arte-siani, ne porterà a termine almeno uno, ottenendo cioè una fonte zampil-lante (1834).115

- Trasferimento a Monte Sant’Angelo nel Gargano “che abbonda di boschi,e quei naturali mancano di mezzi come renderli utili”, della fabbrica diliquirizia insediata in tenimento di Foggia e causa di una forte distruzionedi piante con la sua attività (1836).116

- Inclusione in ogni stato discusso comunale di un fondo per premi di inco-raggiamento agli agricoltori che coltivano piante di gelsi (1837).117

- Distribuzione a spese della Reale Società Economica di olivastri del Gar-gano per una maggiore diffusione dell’olivicoltura (1842).118

- “Mezzi per sovvenire agli industriosi della colonìa e della pastorizia” (1842).119

- Il disboscamento di terre in pendio va permesso dopo aver sentito nonsolo le autorità forestali, ma anche il Decurionato interessato (1843).120

107 Ibid., b. 6, fasc. 76.108 Ibid., b. 8, fasc. 94.109 Ibid., b. 10, fasc. 140.110 Ibid., b.10, fasc. 166.111 Ibid., b. 10, fasc. 147.112 Ibid., b. 11, fasc. 152.113 Loc. cit.114 Ibid., b. 11, fasc. 153.115 Ibid., b. 11, fasc. 159.116 Ibid., b. 12, fasc. 178.117 Ibid., b. 13, fasc. 175.118 ASFG, Reale Società Economica di Capitanata, b. 3, fasc. 96.119 ASFG, Consigli, b. 14, fasc. 194.120 Cfr. Risoluzioni sovrane del 1845, in «Giornale degli atti dell’Intendenza di Capitanata», 1845, 7.

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121 ASFG, Consigli, b. 14, fasc. 195.122 Ibid., b. 17, reg. 227, pp. 312-314.123 Ibid., pp. 47-49.124 Ibid., pp. 56-60.125 Ibid., p 105.126 Ibid., pp. 118-119.127 Ibid., pp. 123-125.128 Ibid., p. 152.129 Ibid., pp. 201 e 443.130 Ibid., pp. 275-276.131 Ibid., pp. 340-341.132 Ibid., pp. 406-411; vedi anche b. 22, fasc. 297.133 Ibid., b. 24, reg. 327, c. 31r.134 Ibid., cc. 216r-217t.

- Necessità di promuovere le manifatture nel distretto di Bovino, essendo-ne esso assolutamente privo (1843).121

- Facoltà della Reale Società Economica di distribuire, con un fondo di 300ducati, annualmente alberi fruttiferi ai proprietari dauni (1845).122

- Marmi scoperti nel Gargano da Antonio Bramante di San GiovanniRotondo (1846).123

- Porto di Manfredonia, un tempo florido per i traffici, ora ridotto a sem-plice caricatoio (1846). 124

- Estensione a tutti gli agricoltori della provincia dei benefici della nuovacassa di sussidio accordata ai censuari del Tavoliere (1847). 125

- Regi sensali che obbligatoriamente per legge devono intervenire nelle con-trattazioni (1847).126

- Necessità di modificare l’esistente mappa dei terreni in pendio, giacchéessa, come è stato rilevato dal Distrettuale di Bovino, desta generali la-mentele e non risulta più rispondente alla nuova realtà (1847).127

- “Immegliamento delle razze equine” (1847).128

- Fondazione di un monte frumentario in ogni comune (1851).129

- Privativa dei misuratori di derrate da sopprimere, creando essa gravi in-convenienti alla speditezza del commercio (1852).130

- Attivazione presso il Ricevitore generale di una cassa fornita di capitalicontanti e di fedi del governo per agevolare, a seconda dei bisogni, nellefiere foggiane di maggio e di novembre, le importanti contrattazioni deicommercianti (1852).131

- Istituzione della Compagnia della Daunia, società anonima a beneficiodelle industrie agricola e armentizia (1852).132

- Ripresa annuale delle mostre “industriali” organizzate dalla Reale SocietàEconomica e da tempo interrotte (1854).133

- Istituzione a Foggia di una cassa di Corte del Banco delle Due Sicilie perfavorire il commercio (1858).134

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135 Ibid., cc. 227r-229r.136 Ibid., b. 11, fasc. 153.137 Ibid., b. 10, fasc. 142.138 Ibid., b. 12, fasc. 162.139 Ibid., b. 13, fasc. 176.140 Ibid., b. 14, fasc. 185.141 Ibid., b. 14, fasc. 189.142 Ibid., b. 16, fasc. 224.143 Ibid., b. 17, reg. 227, pp. 133-134.144 Ibid., b. 24, reg. 327, c. 169 r e t.145 Ibid., cc. 239t-240r.146 Ibid., b. 1, fasc. 3.147 Ibid., b. 1, fasc. 10.

- Destinazione dell’orto agrario sperimentale della Società Economica,ampliato, all’educazione teorico-pratica di una parte degli allievi chiusinell’Orfanotrofio provinciale (1858).135

b) Soccorsi pubblici, prigioni

- Istituzione a San Severo di un monte di pietà con l’impiego dell’eredità di1200 ducati lasciata da Antonio Greco (1833).136

- L’orfanatrofio provinciale “Maria Cristina” da erigere sull’area del con-vento di Gesù e Maria (1835).137

- Prigioni locali da dividere a norma di legge in prigioni di pena, case dideposito e case di arresto (1835).138

- Emanazione di un regolamento che provveda meglio al mantenimentodei proietti (1838).139

- Aumento delle mercedi delle nutrici dei proietti (1839).140

- Istituzione di un orfanotrofio femminile nel monastero degli ex Celestinidi Manfredonia (1841).141

- Carcere distrettuale in San Severo (1846).142

- Questione del cognome da assegnarsi ai bambini abbandonati, tutti chia-mati “Esposito” con gravi inconvenienti (1847).143

- Modificazione del sistema di ripartizione fra i comuni delle spese di man-tenimento dei proietti (1857).144

- Istituzione a Foggia di un asilo per i vecchi indigenti (1859).145

c) Ponti, strade e navigazione

- Regio cammino di Puglia e strada Egnazia (1808).146

- Strade intrafficabili ed insicure per la presenza dei briganti (1809).147

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- Priorità della costruzione delle strade Foggia-Cerignola e Foggia-San Se-vero per ragioni militari e delle strade che facilitano il commercio in-terno della provincia (1813).148

- Costruzione di un braccio di strada da Manfredonia a Monte S. Angelo(1813).149

- Inalveamento delle acque della fontana “della gavita delle belle donne” perriattivare il traffico sul tratturo fino alla porta di Foggia a Lucera (1818).150

- Cattivo stato delle strade del Gargano (1821).151

- Costruzione dei ponti di Varano e di Civitate (1823).152

- Costruzione di rotabili fra S. Severo, Apricena, S.Paolo e Torremaggiore(1824).153

- I ponti sulla strada S. Severo-Lucera, utili per i collegamenti con il Garganoe con il tribunale della provincia da ritenere opere provinciali e da realizzarecon fondi provinciali (1829).154

- Completamento della strada Foggia-Manfredonia, da considerare regia econ manutenzione a carico della R. Tesoreria (1830).155

- Canalizzazione della fontana del Salice sino a Foggia a spese del comune(1831).156

- Costruzione di un ponte in muratura sulla foce del lago di Varano, sosti-tutivo di quello di legno (1835).157

- Completamento in fabbrica della strada Foggia-Lucera (1836).158

- Costruzione di una fontana al passo d’Orta lungo la strada Foggia-Ceri-gnola, là dove è una sorgente di acqua potabile (1837).159

- Collegamento diretto tra S. Severo e Manfredonia (1841).160

- Costruzione di una strada che ponga in comunicazione con Foggia l’inte-ro distretto, con spesa a carico dei comuni interessati (1845).161

- Costruzione di un ponte sul Vulgano, che attraversa la rotabile da Luceraa Troia (1845).162

148 Ibid., b. 2, fasc. 26.149 Loc. cit.150 Loc. cit.151 Ibid., b. 5, fasc. 65.152 Ibid., b. 6, fasc. 76.153 Ibid., b. 7, fasc. 85.154 Ibid., b. 9, fasc. 129.155 Ibid., b. 10, fasc. 131.156 Ibid., b. 10, fasc. 140.157 Ibid., b. 12, fasc. 162.158 Ibid., b. 12, fasc. 165.159 Ibid., b. 13, fasc. 171.160 Ibid., b. 14, fasc. 189.161 Ibid., b. 16, fasc. 219.162 Ibid., b. 14, fasc. 189.

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163 Ibid., b. 17, reg. 227, p. 13.164 Ibid., b. 18, fasc. 247.165 Ibid., b. 17, reg. 227, pp. 326-327 e 375-379.166 Ibid., pp. 375-379.167 Ibid., b. 20, fasc. 272.168 Ibid., b. 17, reg. 227, pp. 491-492.169 Ibid., b. 24, reg. 327, c. 75t.170 Ibid., b. 24, reg. 327, cc. 133t-135r.171 Ibid., b. 17, reg. 227, pp. 242-243.172 Ibid., b. 1, fasc. 10.173 Ibid., b. 1, fasc. 17.174 Ibid., b. 2, fasc. 26.175 Ibid., b. 2, fasc. 34.

- Costruzione della strada S. Severo-Lucera con spesa a carico dei fondiprovinciali (1846).163

- Lavori di consolidamento dell’orfanotrofio provinciale (1851).164

- Costruzione con fondi provinciali di una rotabile da San Paolo al ponte diCivitate, di modo che il distretto di San Severo venga a congiungersi conquello molisano di Larino (1852).165

- Costruzione di un nuovo ponte a Civitate sul Fortore (1852).166

- Incanalamento delle acque dei maggiori fiumi e torrenti della Capitanatae distribuzione delle stesse a tutti i comuni della provincia (1852).167

- Ponte di Canosa (1853).168

- Nuova rotabile da Torremaggiore a San Paolo, finanziata dalla Provincia(1855).169

- Prosciugamento del Pantanello di Vieste da farsi a cura dell’Amministra-zione generale delle bonifiche (1856).170

- Modifiche della tassa per l’allineamento dei fiumi e torrenti (1859).171

d) Istruzione pubblica

- Collegio di Lucera, “mal servito, non vi concorrono giovani e non vi sonobuoni maestri” (1809).172

- Proposta di abolizione delle scuole normali e di destinazione dei fondicomunali “alla pubblica istruzione che sia di grado superiore alle scuoleelementari (1811).173

- Richiesta di istituzione di scuole di diritto nei luoghi di residenza dei tri-bunali, di una scuola veterinaria nel capoluogo, di una di medicina a SanSevero, di una di botanica a Lucera e a San Severo, di una di agricolturanei comuni con popolazione di circa 10000 abitanti (1813).174

- Adattamento ad uso di liceo del locale di S. Gaetano, sede del Collegiodegli Scolopi a Foggia (1816).175

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I Consigli provinciali e distrettuali di Capitanata (1808-1860)

176 Loc. cit.177 Ibid., b. 3, fasc. 43.178 Ibid., b. 3, fasc. 42.179 Ibid., b. 4, fasc. 56.180 Ibid., b. 4, fasc. 48.181 Ibid., b. 5, fasc. 62.182 Ibid., b. 6, fasc. 75.183 Ibid., b. 6, fasc. 73.184 Ibid., b. 6, fasc. 71.185 Ibid., b. 10, fasc. 135.186 Ibid., b. 11, fasc. 156.187 Ibid., b. 12, fasc. 165.188 Ibid., b. 13, fasc. 171.189 Ibid., b. 14, fasc. 186.

- Necessaria divisione in due classi dell’istruzione pubblica: licei, collegi,convitti e non convitti, case dei preti, scuole elementari (1816).176

- Provvidenze necessarie per il Collegio degli Scolopi di Foggia (1818).177

- Istituzione nei principali comuni della provincia di una scuola di agricol-tura e nel capoluogo di una scuola di veterinaria (1816).178

- Istituzione di un R. Collegio a Foggia nel Conservatorio “Il Salvatore”(1819).179

- Competenza dei Decurionati, e non più del clero, nella scelta dei maestridelle scuole primarie (1819).180

- Istituzione nel Collegio di Lucera di una cattedra di antichità greche eromane, storia, geografia e di una cattedra di diritto e procedura crimina-le, oltre quella di diritto e procedura civile (1821).181

- Arretratezza dei comuni del Gargano: stabilimento scientifico da istituirenel monastero degli ex Domenicani di Vico (1822).182

- Peggiorata situazione scolastica del distretto di Bovino (1822).183

- Per una scuola di veterinaria a Foggia (1822).184

- Per l’istituzione nel capoluogo di una cattedra di scienze fisiche e mate-matiche (1830).185

- Riapertura di tutti i seminari diocesani del distretto di Bovino; scuola se-condaria per le giovani gentildonne (1834).186

- Destinazione del locale degli ex Carmelitani di Monte S. Angelo a convit-to dove i giovani di dodici comuni garganici vengano istruiti nelle scienze(1836).187

- Concessione delle piazze franche del R. Collegio di Lucera solo ad indivi-dui della provincia (1837).188

- Creazione di un fondo provinciale per “arti e scienze”, mediante il qualedue giovani promettenti possano inviarsi a Napoli a perfezionarsi nei lorostudi artistici e scientifici (1840). 189

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Pasquale e Tiziana di Cicco

- Per l’elevazione a liceo del Collegio di Lucera, essendo in possesso di tuttii necessari requisiti (1846).190

- Istituzione a Foggia di un istituto agrario, diretto dalla Società Economi-ca (1847).191

- Onorario dei maestri e delle maestre (1851).192

- Per l’istituzione di un liceo a Foggia (1852).193

- Dotazione al R. Collegio di Lucera di altri locali con i fondi della provin-cia (1854).194

- Istituzione di quattro cattedre nel Collegio delle Scuole Pie di Foggia (1858).195

e) Popolazione, amministrazione

- Permanenza a Lucera dei tribunali della provincia (1816).196

- Aumento del numero delle parrocchie (1830).197

- Concessione in censo al comune di Foggia dei fabbricati disabitati del R.Corpo del Genio perché possano essere destinati a diversi usi (1830).198

- Padiglioni militari da istituirsi in ogni comune del distretto di Foggia attiad ospitare gli ufficiali e locali per i soldati di passaggio (1833).199

- Necessità di farsi Rodi capoluogo di circondario, perché Dogana di I clas-se, fondaco di diritti riservati e centro del commercio marittimo (1834).200

- Regolamento per la caccia dei lupi (1835).201

- Sparo dei mortaletti dannoso per la sicurezza pubblica e per l’integritàdegli edifici (1836).202

- Trasferimento in Capitanata di una Camera della Gran Corte Civile se-dente in Napoli (1837).203

- Necessità di demolire i mignali nei comuni, “avvanzi di antica barbaria”(1837). 204

190 Ibid., b. 17, reg. 227, pp. 72-74.191 Ibid., b. 17, reg. 227, p. 138.192 Ibid., pp. 274-275.193 Ibid., pp. 390-394.194 Ibid., b. 24, reg. 327, cc. 23t-25r.195 Ibid., cc. 165t-166r.196 Ibid., b. 2, fasc. 34.197 Ibid., b. 10, fasc. 135.198 Loc. cit.199 Ibid., b. 11, fasc. 153.200 Ibid., b. 11, fasc. 158.201 Ibid., b. 10, fasc. 162.202 Ibid., b. 12, fasc. 165.203 Ibid., b. 13, fasc. 171.204 Loc. cit.

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I Consigli provinciali e distrettuali di Capitanata (1808-1860)

- Esazione indebita di diritti da parte del clero (1837).205

- Modificazione di alcuni articoli riguardanti l’amministrazione della giu-stizia (1838).206

- Vacazioni esagerate percepite nel Tribunale di commercio, che talora egua-gliano il valore della causa (1839).207

- Riscossione del contributo fondiario fatta in gennaio ed agosto, da ridur-re a metà (1839).208

- Per una statistica della provincia (1840).209

- Necessità di un IV eletto, come aggiunto al I, a Foggia, data la crescita delcomune (1840).210

- Mancanza in Lucera di un locale per il Giudicato d’istruzione (1841).211

- Fondazione di un nuovo monastero a S. Severo (1842).212

- Promozione delle scienze e delle lettere (1842).213

- Stabilimento di un posto telegrafico in Bovino tra quelli di Panni e Mon-tecalvello (1846).214

- Per le terre demaniali addette ad uso civico di pascolo (1852).215

f) Salute pubblica

- Proibizione dei “fusari” utilizzati per la macerazione della canapa e dellino, nocivi per la salute degli uomini e degli animali (1819).216

- In osservanza dei primi regolamenti, i defunti siano inumati e non tumulatinei cimiteri, con la sola eccezione delle monache, alle quali comunque lasepoltura non va data nelle chiese, ma entro il recinto dei conventi (1831). 217

- A spese dei rispettivi comuni siano migliorati gli ospedali civili, se ne formi-no dove mancano e l’assistenza agli infermi diventi più efficace (1832). 218

- Per lo stabilimento di un ospedale per infermi poveri nei locali di SanDomenico a Bovino (1832). 219

205 Loc. cit.206 Ibid., b. 13, fasc. 178.207 Ibid., b. 13, fasc. 181.208 Ibid., b. 13, fasc. 182.209 Ibid., b. 14, fasc. 186.210 Loc. cit.211 Ibid., b. 14, fasc. 189.212 Ibid., b. 14, fasc. 194.213 Loc. cit.214 Ibid., b. 16, fasc. 224.215 Ibid., b. 21, fasc. 286.216 Ibid., b. 4, fasc. 52.217 Ibid., b. 10, fasc. 144.218 Ibid., b. 10, fasc. 147.219 Loc. cit.

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Pasquale e Tiziana di Cicco

- Possibilità di riconoscere una giusta gratificazione ai più zelanti dei medi-ci e chirurghi condottati per l’assistenza agli infermi poveri (1833).220

- Per l’istituzione di una farmacia condottata in ogni comune (1839).221

- Istituzione di ospedali distrettuali a Foggia e a San Severo (1841).222

- A carico dei fondi comuni la spesa per l’istruzione delle ostetriche, procu-rata a Napoli oppure nei capoluoghi di provincia o di distretto (1853).223

- Progetto di ampliamento dell’ospedale provinciale femminile con l’utiliz-zo dei cespiti esuberanti dell’orfanotrofio “Maria Cristina” (1858).224

L’elencazione che precede, pur con il suo carattere di limitatissima campio-natura, prova tuttavia che le deliberazioni delle assemblee daune trattavano nonsolo i piccoli ma anche i grandi problemi economici e sociali. Tali deliberazioniinvero riflettevano le reali necessità e le molte speranze della Capitanata, richia-mando su di esse l’attenzione dei governanti.

Che il governo centrale non sempre accogliesse il voto dei Consigli - di quellidauni e di quelli delle altre province napoletane - e non sempre aderisse alle propo-ste, conta relativamente, specie se non viene omessa la considerazione che la mag-gior parte di queste proposte, che erano in sostanza la voce di una periferia, diversa-mente quasi muta, comportavano il più delle volte nuovi e talvolta ben onerosiimpegni finanziari, non agevolmente sostenibili dalle casse statali, senza dire chedall’anno 1831 in poi “soffiò sul reame un gran vento di economia”, per usare l’ef-ficace espressione del Ciasca.

A nostro avviso, resta in ogni caso valida ed apprezzabile la funzione infor-mativa ed insieme stimolante nei confronti delle sedi decisionali che i Consigli svol-sero in maniera istituzionale, continua, configurandosi come portavoce di istanze edi aspettative sociali, come espressione della pubblica opinione e del controllo deicittadini sull’operato dell’amministrazione.

220 Ibid., b. 11, fascc. 152 e 153.221 Ibid., b. 13, fasc. 182.222 Ibid., b. 14, fasc. 187.223 Ibid., b. 17, reg. 227, pp. 478-479.224 Ibid., b. 24, reg. 327, c. 185t.

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I Consigli provinciali e distrettuali di Capitanata (1808-1860)

6. AppendiceI presidenti dei Consigli di Capitanata*

CONS. PROV. CONS. DISTR. CONS. DISTR. CONS. DISTR. FOGGIA S. SEVERO BOVINO

* Agli inizi del XIX secolo la Capitanata era divisa nei distretti di Foggia, Manfredonia e Larino. Dal 1811, per lalegge sulla nuova distribuzione territoriale, fu divisa nei distetti di Foggia, San Severo e Bovino.

1 Sostituisce il Duca di Rodi.2 Sostituisce il Conte d’Anversa.3 Sostituisce il Marchese Domenico de Luca.

1808 Domenico de Luca1 Vincenzo Perrone N. Maria Cimaglia Pasquale Rocco1809 Giuseppe de Angelis Vincenzo Perrone N. Maria Cimaglia18101811 Giuseppe Scassa Vincenzo Perrone Matteo d’Alfonso Donato Tricarico1812 G. Antonio Filiasi Domenico de Luca Antonio Fania G. Ferrante d’Alessandro1813 Raffaele Giordano Gaetano de Nicastro Antonio Fania G. Ferrante d’Alessandro1814 Michele Sarcinella Gaetano de Nicastro Matteo d’Alfonso Boezio del Buono1815 Michele Sarcinella2

1816 Domenico de Luca1817 Gaetano de Nicastro Antonio de Luca N.Antonio de Filippis1818 Luigi Mastrolilli Giuseppe Cutino Antonio del Sordo Gennaro Santoro1819 T. Antonio Celentano Domenico Mazza Antonio Fania F. Saverio Rinaldi18201821 Principe di S.Severo T. Antonio Celentano Giuseppe Galiberti Leonardo Santoro1822 G. Antonio Filiasi Giuseppe Cutino Matteo de Rensi3 Gaspare Salandra1823 T. Antonio Celentano Stefano la Piccola Michele Magnati Giuseppe Salandra1824 Marchese del Vasto G. Battista Specchio Domenico Petrulli Franc. Sav. Capozzi1825 Pasquale de Nicastro D. Antonio Rosati Francesco P. Masselli Marco de Benedictis1826 G. Antonio Filiasi Giuseppe Rio Rocco del Sordo Giov. Vinc. Rocco1827 Domenco Cappelli D. Antonio Rosati Luigi Pazienza Giov. Vinc. Rocco1828 Principe di S.Severo Pasquale de Nicastro Carlo Fraccacreta Michele Barone1829 Felice Zezza F. Antonio Gabaldi Francesco P. Masselli Marco de Benedictis

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Pasquale e Tiziana di Cicco

1830 G.Antonio Filiasi Roberto Siniscalchi Giuseppe Galiberti Giov. Vinc. Rocco1831 Gianvincenzo Mattei F. Antonio Gabaldi G.Francesco Albergogna Vincenzo de Maio1832 Principe di S. Severo G. Battista Specchio Carlo Tondi Pasquale Belmonte1833 Felice Zezza Antonio Sorrentino Michelangelo del Sordo Vincenzo de Maio1834 Principe di Leporano F. Antonio Gabaldi Luigi Pazienza G. Maria Capozzi4

1835 Michele Brancia Angelo Siniscalco Pasquale d’Alfonso G.Pietro d’Alessandro1836 Lorenzo Filiasi Bartolomeo Baculo5 Leonardo Croce Giacomo Curato1837 Pasquale de Nicastro6 Giuseppe Cutino Carlo Tondi Luigi Varo1838 Principe di Torella Antonio Sorrentino Raffaele Masselli Benedetto de Paolis1839 Michele de Luca Vincenzo Celentani Vincenzo de Ambrosio Matteo Paolella1840 Carlo Zezza Domenico Frascolla Francesco P. Masselli Ascanio Ripandelli1841 Principe di S. Antimo Luigi Celentano Scipione Gervasio Luigi Varo1842 Giamberardino Buontempo7 Giuseppe Barone Francesco P. Masselli Rocco de Paolis1843 Michele de Luca Francesco P. de Peppe8 Giambattista Dardes Rocco de Paolis1844 Carlo Vinc. Barone Raffaele Basso Carmine Ripoli Gioacchino Visciola1845 Principe di Leporano Giambattista Gifuni Rocco del Sordo Angelo M. de Matteis1846 Paolo Tonti Vincenzo Celentano Prospero Fania G. Clemente de Stefano9

1847 Antonino Maresca Donato Paolella Michele Gabriele10 Baldassarre Curato1848-18501851 Principe di Ardore Carlo Vinc. Barone Francesco P. Masselli Gaetano Varo1852 Vincenzo Zaccagnino Francesco S. Freda Prospero Fania Francesco Ripandelli1853 Principe S. Nicandro Vincenzo Corigliano Francesco Maresca Domenico de Paolis1854 Conte di Savignano D.Antonio Siniscalco Vincenzo Palma Vincenzo Ripandelli1855 Francesco Maresca Francesco Gabaldi11 Pasquale Iuso Giovanni Rocco1856 Principe di Carpino G. Battista Nocelli Vincenzo Palma G. Maria Cirelli1857 Luigi Cappelli Vincenzo Celentano Francesco P. Masselli Luigi Varo1858 Luigi de Luca Domenico Frascolla Matteo Mascia Giacomo Curato1859 Vincenzo di Sangro Liborio Celentano Vincenzo Reverterra Gaetano Rocco1860 Duca di Bovino Gaetano La Rocca Vincenzo Palma Rocco Vassalli

4 Sostituisce Marco de Benedictis.5 Sostituisce Giuseppe de Nisi.6 Sostituisce il Principe di San Severo.7 Sostituisce il Marchese del Vasto.8 Sostituisce Giuseppe Barone.9 Sostituisce Baldassarre Curato.10 Sostituisce Vincenzo Pazienza.11 Sostituisce il marchese Orazio Cimaglia.

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Giuseppe De Matteis

L’impegno politico e culturale di Tommaso Fiore:memoria di un Amico a trent’anni dalla morte

di Giuseppe De Matteis

Chi ci ha offerto un ampio panorama delle aspre lotte contadine, della resi-stenza antifascista e della più adulta tradizione meridionalista è stato Tommaso Fiore,nato ad Altamura il 7 marzo 1884 e deceduto a Bari il 4 giugno del 1973. Siamo,dunque, al trentesimo anno dalla sua scomparsa ed è stato giusto che qui si ricor-dasse oggi la sua bella e grande figura di intellettuale e di meridionalista. Io, dopoaverlo conosciuto a Bari, tra il 1964-1965, quando svolgevo il mio servizio militarepresso la caserma “Milano” e frequentavo alcuni corsi universitari sul Leopardipresso la Facoltà di Lettere con il prof. Mario Sansone, di cui divenni poi assistentevolontario, e dopo averlo frequentato a casa sua, in via Quintino Sella, per oltre dueanni, ascoltandolo rapito dalla sua facondia verbale, ma soprattutto entusiasta eseriamente determinato ad esprimere, con grande naturalezza e franchezza, il suoparere su ogni argomento in discussione, dopo un po’ osai definirlo, in un mio“ritratto” scritto per una rivista della Capitanata, “uomo tenace, laboriosissimo,ruggente, un vero intellettuale di sinistra”, insomma – come scrisse di lui MichelePalmieri nel noto saggio La Puglia di Tommaso Fiore – “uno scrittore-conversatore,ricco di umori giacobini”.

Nato in questa splendida cittadina, in questo “paesaggio – come egli ha scrit-to – che nella sua desolata sconfinatezza, nella sua assenza di linee forti, suggestionaed invita a frugare con uno struggimento di morte”, dopo aver compiuto il corsodegli studi medi e superiori, vinse il concorso come allievo alla Scuola Normale diPisa, dove ebbe come maestro insigne Giovanni Pascoli; e della consuetudine con lagrande cultura classica e umanistica della Normale di Pisa sono testimonianza, comecredo che molti sappiano, gli studi da lui condotti su Sainte-Beuve, su TommasoMoro, il celebre saggio su Virgilio, ossia quella sua originalissima interpretazionedella poesia dei “vinti” e non dei vincitori, degli “umili” e non dei potenti, la poesiainsomma delle lacrimae rerum.

Fiore comincia, intanto, ad avere contatti, subito dopo essersi laureato e dopoaver lasciato Pisa, con i grandi meridionalisti Giustino Fortunato e GaetanoSalvemini; si interessa di temi storici, sociali ed economici, che sviluppa prima sulla“Rassegna” e successivamente su “La Critica”, diretta, quest’ultima, da BenedettoCroce; vi sarà, poi, l’incontro con Piero Gobetti, Augusto Monti, Guido Dorso,Carlo Rosselli, Adolfo Omodeo e Antonio Gramsci.

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L’impegno politico e culturale di Tommaso Fiore: memoria di un Amico a trent’anni dalla morte

Dalla frequentazione con questi importanti uomini di cultura, impegnati so-prattutto politicamente, Tommaso Fiore fu attratto ad occuparsi delle condizionidel nostro Mezzogiorno, specie dei contadini; e a questo proposito fu fondamenta-le per lui il suggestivo esempio o la grande lezione di Gaetano Salvemini.

Dopo aver partecipato come interventista alla prima guerra mondiale, tornònella sua terra e fu a fianco dei contadini nella rivendicazione dei loro diritti, chedifese sempre strenuamente e con sincerità. All’avvento del fascismo, Fiore, allorasindaco di Altamura, si dimise dall’incarico sei mesi prima che avvenisse la marciasu Roma; lasciò la deputazione provinciale, rifiutando ogni sorta di candidaturepolitiche. È di questo periodo la pubblicazione su “Rivoluzione liberale” di Gobettidelle Lettere pugliesi di Tommaso Fiore, che, ripubblicate ventisette anni dopo comeUn popolo di formiche, gli valsero il primo premio Viareggio. Anche la collabora-zione con Rosselli fu proficua di grossi risultati: sulla rivista “Quarto Stato”Fioredettò il programma per il Mezzogiorno, con l’approvazione di Claudio Treves. Gliscritti di Tommaso Fiore rivelarono grande capacità di penetrazione e di analisinella vita della provincia meridionale, tanto è vero che il volume Arsa Puglia furitenuto da Lombardo Radice come il migliore di quanti fossero in circolazioneallora in Italia.

Ciò naturalmente impedì che il libro potesse liberamente circolare ed essereadottato nelle scuole; all’autore non restò altro spazio che quello di ritornare aglistudi classici, abbandonando un po’ i problemi d’ordine sociale e politico. Fioretornò ad un antico amore: alla poesia latina e agli studi filologici.

Nel 1930, presso Laterza di Bari, verrà infatti pubblicato il libro La poesia diVirgilio, opera originalissima come impostazione filologica e critica, ammirata dailettori e dalla critica nazionale, tanto da meritare il primo premio nazionale del-l’Accademia di scienze lombarde e della Facoltà di Lettere di Milano.

Il percorso della “classicità” di Tommaso Fiore registrò ancora la realizza-zione di altre importanti opere di filosofia e di filologia: i saggi su Baumgarten,Spinoza e Russel, ad esempio, ma anche la sua intensa collaborazione a “La Criti-ca” crociana, a “La cultura” del De Lollis, all’“Archivio storico calabrese”, ad “Ar-gomenti”, ecc., fino a quando egli si accorgerà che è necessario far ritorno ad undiscorso politico serio, veramente calato nel “reale” della storia recente o contem-poranea. E, infatti, nello studio su Saint-Beuve, del 1939, Fiore, attento studioso diletterature antiche, si cimentò assai bene, con competenza nel campo della civiltàculturale e letteraria del romanticismo francese, non tralasciando alcune istantepolitiche di rilievo, così come, del resto, farà a proposito dell’Utopia di TommasoMoro, un’autentica, chiara dipintura dei molti “problemi della civiltà europea” diquell’epoca, come osservò l’Omodeo, recensendo l’opera sulla “Critica”.

Intanto, in questo rapido excursus non vanno dimenticate le altre opere diFiore, a partire dalle memorie di guerra, intitolate Uccidi (Torino, Gobetti, 1924),dall’andamento prosastico liricheggiante. Solo dopo quest’opera, Fiore andrà sem-pre più sliricandosi e adotterà o orienterà il suo discorso in modo piano, agile, scar-no, scattante, assecondando così la sua natura “bolliente”, come ho detto all’inizio

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Giuseppe De Matteis

di questo mio “ritratto d’autore”; e in questo ductus stilistico appaiono, di tanto intanto, punte di estrosità e di arguzia: egli eviterà, d’ora in poi, le divagazioni accade-miche o le secche dell’eruditismo. È proprio dal momento in cui Fiore si sarà libe-rato dalla suggestione della prosa rondista che riuscirà a mettere a frutto, in operedavvero fondamentali, tutto il suo ardore di uomo politico, di attento spettatore eregistratore del “male di vivere” della classe contadina meridionale e pugliese inparticolare. Ma, ad una prosa meno liricizzata e più realistica lo indurranno anche,in senso più lato, s’intende, le ben note, tristi vicende che caratterizzarono la suavita: partenza come volontario alla prima guerra mondiale, l’ostracismo del fasci-smo, le persecuzioni, l’arresto assieme ai tre figli, di cui uno, Graziano, appenadiciottenne, ucciso. Certo è che le prove esemplari di Fiore come scrittore autenti-co, moderno, con una sua forte carica di umanità e di novità, sono oggi concorde-mente riconosciute dalla critica nelle sue lettere edite da Laterza nel 1952 (Un popo-lo di formiche, con prefazione di Gabriele Pepe), nei servizi giornalistici e nelleinchieste pubblicate da Einaudi nel 1956 (Il cafone all’inferno), nei medaglioni cri-tici, affettuosissimi, su alcuni suoi conterranei (Formiconi di Puglia, Manduria,Lacaita, 1963).

Ma, insieme a queste opere, vanno ricordati anche gli altri scritti, le relazioni,le numerose conferenze, come quella famosa alla torinese Unione meridionali emi-grati in Piemonte, sviluppata e stampata nel 1967; gli scritti, infine, sul poeta diCapitanata Umberto Fraccacreta e sul premio a lui intitolato; la commemorazionedi Luigi Tamburrano; le prefazioni a Gli anni lunghi di Maria Ricci Marcone; al-l’Amore di un carro merci del “medico-narratore” di Trinitapoli Domenico Lamura,fatto conoscere sul piano nazionale come valido scrittore della Daunia proprio daTommaso Fiore; la collaborazione alla rassegna “Puglia” e al volumetto miscella-neo La legge di Vailant, (Foggia, Società Dauna di Cultura, 1958).

Tutte le opere di Tommaso Fiore, oltre a farci individuare le tappe della sin-golare carriera di un saggista ricco di risorse, ci offrono un quadro della Puglia delleaspre lotte contadine, della resistenza antifascista e della più adulta tradizionemeridionalista. Ricordo bene quando affermava, alcuni decenni fa, Michele Palmieriin una conferenza che tenne a Bitonto su Tommaso Fiore. Egli sosteneva che, nelpanorama della vita morale e culturale della nostra regione, alla Puglia di quell’“ascetadella bellezza” che fu Armando Perotti, era subentrata la Puglia di Tommaso Fiore,intellettuale di sinistra: il primo mitizzava i luoghi del paesaggio pugliese con unaprosa lirica di sapore rondesco, elegantissima, il secondo testimoniava un altro tipodi amore per la sua terra, un amore cioè virile e scontroso, che non conosce soste,stanchezza, tentennamenti o cedimenti; che è, anzi, caratterizzata da scatti di impa-zienza e da una trepidazione di fondo che sollecita il “consenso operoso alle lotteper la giustizia e la libertà”. La Puglia di Fiore si configura così ai nostri occhi comela regione di uno scrittore-conservatore ricco di umori giacobini, che mitiga l’ardo-re della passione libertaria con la severità e il rigore degli studi e, “percepita l’ansiadi giustizia delle formiche sobrie e laboriose che soffrono e premono per le tremen-de necessità cui sono esposte”, appare a noi come un personaggio inconsueto, con-

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L’impegno politico e culturale di Tommaso Fiore: memoria di un Amico a trent’anni dalla morte

notato sì di aggressività e di spirito polemico, ma in sostanza “generoso, estroso ecordiale”.

Ciò che più interessa, però, di questo autore, oltre al riconoscimento ormaiunanime di pubblico e di critica, è che egli è uno scrittore veramente di razza, mo-derno e vivo, un antifascista convinto e tenace; egli è, soprattutto, un uomo che hasaputo restare al proprio posto, prima, durante e dopo il ventennio nero, quandocioè il nostro Paese sembrava travolto dall’ignominia e dall’abulia; egli si dimostròsempre aperto alla tolleranza ed operò molto, con la parola, con l’apostolato delprofessore di liceo, con il proselitismo, nella scuola e fuori, a contatto con genera-zioni e generazioni di giovani, “gettando – come bene osservava Tommaso Pedio –ovunque il seme dell’entusiasmo, della fermezza, dell’incitamento ad operare bene,lontano dalle fazioni e dagli interessi egoistici”. Legato a Benedetto Croce neglianni più oscuri della dittatura fascista, Tommaso Fiore comprese che la dottrina delgrande pensatore abruzzese non era sufficiente a lottare contro le prepotenze e gliabusi della classe padronale. Egli mantenne i contatti con i fuorusciti e fu tra i re-sponsabili, come ricorderemo, del movimento “giustizia e libertà” nell’Italia meri-dionale. Gli eventi succedutisi dopo la caduta del fascismo provocarono in Fioreuna grande delusione: sotto il manto della Democrazia Cristiana o dei partiti digoverno si continuò a sperperare il danaro pubblico e molti si arricchirono illecita-mente, con grande rabbia naturalmente di Don Tommaso che, pensate un po’, quandoegli divenne Sindaco di Altamura, si fece carico di pagare i debiti di quel Comunecon le lezioni private impartite ai giovani.

Salveminiano o crociano, azionista o socialista, una cosa è certa: TommasoFiore è rimasto sempre, fino alla morte, il “giovane pugliese” interessato a formarele coscienze e a soddisfare le aspirazioni e i bisogni della classe operaia.

Mario Sansone scrisse di lui, in forma sintetica ma incisiva, che “Se moltidegli studiosi e scrittori pugliesi vivono fuori di Puglia, altri vivono in Puglia, oracome cittadini plenissimo jure della repubblica italiana delle lettere; a Bari viveTommaso Fiore, studioso di letteratura classica e moderna, scrittore incisivo e per-sonalissimo, sempre in prima linea, fino agli ultimi anni della sua lunga vita, in ognibattaglia di rinnovamento civile e particolarmente nel Mezzogiorno, interprete af-fascinante delle miserie e delle speranze di Puglia”.

Nella sua dirittura morale e politica, Fiore rimane uno degli uomini più rap-presentativi della fine del secolo scorso: con la sua parola appassionata, con le sueopere originalissime e, soprattutto, con il suo esempio, ci ha insegnato ad amare lalibertà, a difendere la dignità umana, a contrastare e a combattere con determinazionee fermezza l’arbitrio e gli abusi che sono stati compiuti, anche in nome della libertà edella giustizia. E da noi qui, in Italia, il problema più scottante, purtroppo, è stato edè ancora quello della giustizia sociale: è necessario accompagnare al progresso econo-mico delle regioni più depresse una reale crescita che modifichi il costume; solo così(e Don Tommaso lo suggeriva sempre ad amici e conoscenti, giovani e meno giovani)si può sperare di liberare le coscienze, trasformando il “cafone” in “uomo e in cittadi-no” che sappia conquistare e difendere con dignità il proprio avvenire.

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Giuseppe De Matteis

Egli è stato un uomo memorabile per onestà, intelligenza, coraggioso senso disolidarietà con i più poveri, e noi abbiamo oggi non solo il dovere di ricordarlo, ma diassecondare il suo pensiero attraverso la lettura e l’approfondimento delle sue opere,accogliendo in pieno il suo messaggio, sempre attuale, di umanità e di vita.

Tommaso Fiore fu, come si è detto, tracciando il suo “profilo”, uomo di stra-ordinaria qualità. Chi, come me, ha avuto l’occasione di conoscerlo e di stargli accan-to (lo frequentai quasi quotidianamente per circa due anni, 1965-1967, quando svol-gevo il mio servizio militare a Bari), deve convenire che il modo suo di pensare, diagire, soprattutto il suo pensoso ascoltare si scioglievano quasi sempre in confidentecalore di umanità: egli dimostrava una disponibilità umana umile e insieme ricca edavvertita. La sua conversazione, quasi sempre calorosa, sincera, polemica, era unalezione di umanità e di dottrina, alimentata da una fede profonda nella funzione civi-lizzatrice delle lettere e da una fervida tensione etica e civile, ma anche di grandeimpegno politico e sociale. Ricordo con particolare ammirazione la sua dedizioneallo studio, l’ordinato rigore del suo lavoro quotidiano nella sua bella casa di ViaQuintino Sella 78, stracarica di libri antichi e moderni, molti recentissimi, inviati a lui,questi ultimi, da varie case editrici di ogni parte d’Italia, perché egli si degnasse dileggerli, di vagliarli attentamente e di stilare qualche nota critica sulla terza paginadella “Gazzetta del Mezzogiorno”, quotidiano barese e pugliese che accoglieva spes-so i suoi elzeviri. E tutto egli faceva con scrupolo, con equilibrio, soprattutto consignorile capacità di comprensione dei problemi soprattutto giovanili (la povertà, ladisoccupazione, la scuola), analizzati con forte senso etico e scientifico.

Colgo qui l’occasione per far conoscere ai lettori, a mo’ di appendice di questomio “ritratto” d’autore, alcune missive, dell’allora più che ottantenne scrittore, indi-rizzate a me, ventiquattrenne, che testimoniano quanto calore ed impegno egli po-nesse nella discussione sui problemi di attualità, dimostrando di saper passare conestrema disinvoltura dalla battuta rapida, che qualche volta si racchiudeva in un’os-servazione surreale, con note tra l’ironico e il grottesco, qualche altra volta assumevaaccenti vivi e sferzanti (ciò soprattutto quando la discussione era più impegnativa estringente, e quando era necessario far ricorso all’appassionata difesa delle sue con-vinzioni e dei suoi principi, ispirati sempre a grande onestà e rettitudine).

Bari, 22 febbraio ’65

Caro De Matteis,c’è una lettera di voi altri che giace dinanzi a me da più mesi. Quando rispon-

derò? Sono stato nel dicembre in Albania e in Toscana, poi sono stato afferrato da unlavoro che non mi lasciava un minuto di respiro. E ora rispondo immediatamente,perché… le cose tue e di voi tutti m’interessano.

C’è un solo uomo, a mia conoscenza, che può aiutarti nella tua tesi di laurea ecorreggerla quando l’hai finita. È il prof. Francesco Lala, via Fatebenefratelli, 1,Lecce, che ha pubblicato l’anno scorso un’antologia della poesia moderna, da D’An-

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L’impegno politico e culturale di Tommaso Fiore: memoria di un Amico a trent’anni dalla morte

nunzio in qua, con note e commento assai fini. Naturalmente si è occupato diCardarelli, senza riscaldarsi, si capisce, ma qualcosa ha pur trovato. Questo signore,come sai, ha voluto fare una restaurazione della forma, e solo per questo si ricorda ilsuo nome. Socialista? Nemmeno per sogno. Collere? E contro chi. Accademia dun-que, anche se molto fine; di ciò egli viveva. È vero che i poeti moderni, da Pascoli eD’annunzio agli altri hanno gran cura di lingua, stile, metro ecc., ma sono molticubiti sopra a Cardarelli. Te ne sei accorto subito, mi pare.

Non ho altro da dirti. Abbracciami il povero Caruso, malato non so di che. Iosono più malato di tutti, secondo il detto ciceroniano, morbus ipsa senectus, ma sperodi farcela ancora per parecchio tempo, dopo gli 81 anni che ho. A primavera, se ci seianche tu, conto di far una capatina ad Alberona, per il solo piacere di sentirvi parlare.

Non altro. Buon lavoro e un abbraccio dal tuo vecchio Tommasone

Bari, 2 aprile ’65

Caro De Matteis,la prego di scusarmi; la sua lettera è stranamente senza data, ma io non ho

perduto il senso della realtà; tacere più a lungo sarebbe scortesia.Ho infatti un subisso di cose da fare e una corrispondenza così vasta che a

volte mi passa tutta la mattinata a dettar lettere. Pazienza! Dacché c’è stata unavita letteraria, non si può fare a meno di scrivere e ricevere lettere.

Ad una ad una le sue quistioni.Anzitutto lo studio su Cardarelli e i consigli di Lala. Gli ha scritto? A che

punto è il suo lavoro?La mia aspirazione a venire nel Subappennino foggiano e per di più ad

Alberona non è che un sogno di poesia. Cosa verrei a fare costà? Che cosa potreiimparare? Le condizioni dei contadini le conosco, non sono diverse nei vari punti delSubappennino. Dei borghesi non ho voglia di vederne nessuno, se non c’è costà qualcheuomo singolare. Mi sarebbe assai grato trattenermi con lei, col suo amico Caruso e,possibilmente, con l’altro1 poeta, di cui ho scritto, e che avrà letto, spero, il mio arti-colo. Che ne dice lei a riguardo? Se il giovine non ha avuto l’articolo, me lo dica e midia il suo indirizzo, glielo manderò senza dubbio.

Caruso è malato? Spero si tratti di cosa da nulla. Caruso è malinconico “per lanostra povera esistenza di mortali”, come dice lei. Ma nella vita non tutto è male,come non tutto è bene, pure si lotta, si sogna un mondo migliore, quello per esempiodella fratellanza universale, come faceva il povero Leopardi. Bisogna nutrirsi, dicaal giovane collega, di senso critico sì, ma coraggioso, della vita. La vita è retta dallaProvvidenza, quella cristiana per i cristiani, quella vichiana per noi filosofi.

1 Si tratta del compianto Vincenzo D’Alterio, di Alberona (Fg.), poeta in lingua e dialettale anche.

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Giuseppe De Matteis

Non so come rispondere a proposito dei problemi che possono interessare lei. Iproblemi sono tanti! Quelli che interessano me sarebbero la storia, la critica, la filo-sofia, la politica, il meridionalismo, il mondo del lavoro, l’atteggiamento dei partitidi sinistra in tutto il mondo.

Come forse avrà letto sui giornali, or sono due inverni, ho guidato versoAltamura la marcia della pace. E domenica guiderò qui a Bari la marcia per la pacenel Vietnam.

Un uomo moderno non può ignorare questi problemi, un meridionale poi, senon conosce le cose del Mezzogiorno, se non ha una visione razionale di ciò che vafatto, se non capisce che cosa è stato per noi Giustino Fortunato o Carlo Levi, vuoldire che dorme e che è difficile svegliarlo.

Come mai poi chiede di lavorare in qualche rivista letteraria diretta da me?Se c’è qualche rivista quaggiù, non è certo diretta da me, lo sanno tutti. Questo di leiè come mettere il carro dinanzi ai buoi. Che cosa ha scritto sinora? Io non lo so, maso che la critica è forse più difficile della poesia: si nasce poeta, si diventa critici a viadi studio e di buona volontà.

Chi sono i colleghi Petrucciani e Parronchi? Me li saluti cordialmente.Auguri per la sua laurea. E le ricambio i migliori saluti,T. Fiore

Bari, 27 aprile ’65

Carissimo De Matteis,grazie della tua e scusami se rispondo con quasi 2 settimane di ritardo. Pensa

un po’ che poeti e romanzieri che si rivolgono a me ne incontro non di rado e quindisvolgo con loro una conversazione assai impegnata…

Ho piacere che il tuo lavoro su Cardarelli va innanzi e che il tuo professore neapprova ciò che hai scritto. Scrivi senz’altro al prof. Lala, che è un po’ schivo, comedi solito gli studiosi, però in materia è più che competente.

Non ti preoccupare della mia attività letteraria, dacché son ridotto a scriverequasi sulla “Gazzetta” solamente. Spiego anche un’attività politica, di cultura poli-tica; non c’è settimana che io non sia in giro a tener discorsi.

Ho scritto al tuo amico Caruso2 per confortarlo. Che ragioni ha di esseremalinconico? Non insegna? Basta una professione come questa, volta a formare igiovani, per non trovar più tempo per affliggersi.

Salutami il collega Petrucciani ed abbimi affettuosamente tuo,T. Fiore

2 Si tratta del poeta dialettale alberonese, maestro Michele Caruso, all’epoca settantenne, coautore con ilsottoscritto e con Vincenzo D’Alterio della fortunata raccolta di canti popolari e di poesie alberonesi intitola-ta Aria ed arie di Alberona, Foggia, Studio editoriale dauno, 1963.

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L’impegno politico e culturale di Tommaso Fiore: memoria di un Amico a trent’anni dalla morte

Torino, lì 21 settembre 1965

Carissimo De Matteis, la tua mi è stata rinviata qui, dove mi trovo per gli esami autunnali di Maturità.Profondamente mi addolora la malattia dell’amico Caruso, cui porgerai il più

caldo abbraccio mio e il dolore di non poterlo venire a salutare di persona. Verràpresto l’inverno, e come farà a resistere? Chi lascia? Ha figlioli? È viva sua madre?

Quando tu venisti a Bari e ti recasti a non so quale ospedale, pensai che fossitu il malato e che non ti fossi fatto vedere quasi per vergogna. Ti chiedo scusa dell’er-rore, ma ciò avviene quando non ci si conosce di persona. Pensavo che saresti venutoalla fiera e invece…

La “Gazzetta” è tutt’altro che favorevole a uno scrittore socialista e di tempe-ramento aspro, come sono io. Il direttore, dopo un mese che teneva un mio moderatoarticolo su un recente volume di Sacco, un meridionalista di Matera, mi ha chiestogli rimandassi l’articolo; l’aveva smarrito, dice lui. L’aveva invece perduto, cioècestinato, e io non gli ho risposto. Anche adesso un articolo sul prodigioso studio su S.Francesco d’Assisi del sommo storico Gabriele Pepe se lo tiene da più di due settima-ne. Vedremo se se ne ricorderà…

Pasquale Soccio è un uomo di cultura, ma un reazionario. Cosa ci azzeccavala filippica contro gli abitanti di Sannicandro Garganico? E l’esaltazione del Medio-evo per il Medioevo? Questo assurdo atteggiamento macchia la poesia del suo ulti-mo volume,3 la sua arte di descrivere, che non è poca.

Come vedi ho lasciato tutto per risponderti. Se hai bisogno di scrivermi, indi-rizza sempre a Bari.

Con grande affetto tuo,T. Fiore

Bari, 6 dicembre ’65

Caro De Matteis,mi dispiace che la tua lettera mi abbia trovato a Roma. Son tornato ieri sera

alle 19 in aereo e soltanto questo pomeriggio posso rispondere. Perché tanta fretta?Dunque non ho nessuna difficoltà a che tu introduca il mio giudizio sulla

poesia moderna, dove meglio ti pare. I giudizi dei critici sono a disposizione delpubblico e tanto più degli amici.

Leggerò con piacere la pubblicazione dei nuovi versi, e, intanto, ti saluto ca-ramente,

Tommaso Fiore

3 Fiore si riferisce qui al noto libro di Pasquale SOCCIO Gargano segreto, Bari, Adda, 1965.

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Giuseppe De Matteis

Bari, 27 giugno ’67

Caro De Matteis,solamente ieri son riuscito a strappare due minuti al prof. Sansone, alla fine di

una giornata di lauree. Mi ha detto subito che ti vedrà volentieri ad ottobre, chepuoi presentarti senz’altro a lui e parlargli delle cose tue. Non gli ho dato il volumedi versi, perché facilmente lo avrebbe smarrito in mezzo a tanti altri. Glielo porteraitu stesso.

Segui la “Gazzetta”, vedi che non ha pubblicato quasi nulla di me. Un mioarticolo su Sansone ha suscitato una tempesta e non so ancora perché: nessuno parla,nessuno si sbottona, nessuno risponde. Io ho protestato per iscritto al direttore delgiornale per questa maniera di agire in silenzio ermetico e magari adoperando leforbici alla pazza. Ancora una volta, silenzio di tomba. Sarei tentato di andarmenelontano quando daranno la Targa dell’Amicizia anche a me. Premi sciocchi quellidati ad un 84enne. Ma darli ai giovani, come si dovrebbe, comporta responsabilità.

Come mai hai dimenticato nella tua busta due mila lire? Non ricordo di averfatto delle spese per te e perciò te le rimando.

Fatti vivo ogni volta che hai bisogno. Cordialmente tuo,don Tommaso

P.S. Mi sai dire chi è il presidente del Consiglio Provinciale della tua Daunia?E quanti sono i consiglieri?4

4, agosto ’67, codice postale 70122

Caro De Matteis,la rivista “Incontri Meridionali.” ha subito uno scontro: gli operai sono in

vacanza. Ciò vuol dire che se ne riparla dopo ferragosto.Quanto al tuo articolo, a me par buono, ma il direttore Catarinella preferisce

che dei propri scritti parlino gli autori, direttamente. Si vedrà.Sarei lieto che tu intervenissi al premio Monticchio, che si terrà sul posto il 20

o 27 corr., come decide l’amministrazione. Non mancheranno uomini di valore eamici, ad ogni modo.

In questi giorni esce anche un grosso volume della “Rassegna Pugliese”, dedi-cato al sottoscritto. Ma ciò che importa è che il saggio di Michele Palmieri è ottimo,che ce n’è uno di Gabriele Pepe e non mancano altri assai significativi.

Buon riposo! Io mi riposo correndo di qua e di là e lavorando instancabilmente.Tuo con affetto,don Tommasino

4 L’allora presidente della Provincia era l’avv. Berardino Tizzani, di Manfredonia e i consiglieri provincialierano trenta.

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L’impegno politico e culturale di Tommaso Fiore: memoria di un Amico a trent’anni dalla morte

Bari, 26 ottobre 1967

Caro De Matteis,non esiste un tempo determinato per scrivere lettere: quando è necessario si

scrive magari due volte al giorno, quando non è necessario, ci si regola, un mese,direi, non più, se si vuol conservare l’amicizia.

Non capisco che cosa ti tiene tanto occupato.L’affare di Lucera mi fa ricordare quello del tuo colonnello, che voleva una

conferenza all’esercito e poi se ne scordò, non ne parlò più! E io ebbi così del tempoperduto per uno smemorato. Dunque non bis in idem. Anche mi ricordo di esserestato una volta invitato proprio a Lucera, ad una conferenza repubblicana, se malnon ricordo. Ma quella brava gente dei signori del circolo5 se l’era squagliata, e ionon trovai nessuno, che mi dicesse “buon giorno”.

Nella speranza che la cosa non si ripeta, trattandosi di un circolo, che puzza diborghesia locale e reazionaria lontano un miglio, preferirei parlare di argomentivari, come meglio piace ad ogni interrogante. In tal modo più che l’oratore parlanogli spettatori ed ognuno è contento di quel che gli si risponde, ma più di quello chedice lui stesso! Con questo non voglio dire che non ti farei la conferenza letterariasulle condizioni della nostra cultura in Puglia, ma… pensaci bene. Un’altra condi-zione, cui non posso derogare, è che la mia fatica venga ricompensata, modestamen-te, con due biglietti da diecimila, il che non ha bisogno di giustificazioni. Se no,preferisco fare una passeggiatina nella villa Garibaldi e vedere le ragazze sfarfallareuscendo dalla scuola.

Cari saluti,don Tommaso

Bari, 15 maggio 1968

Carissimo Peppino,non avrei mai creduto che mi facessi questa improvvisata, delle tue poesie,

nuove e imprevedibili. Non è solo che non me ne hai parlato mai, anzi hai insistitosempre sul problema dell’insegnamento presso Sansone, come se ciò potesse esseretutto per te; quanto a poesia io ero quindi autorizzato a ricordare i tuoi vecchi versia stampa, che restano nella tradizione paesana.

Non so quindi come leggere nel tuo animo, se riesci a prepararmi delle sorpre-se. Ma non voglio pensare a nulla di male, anzi, qualunque sia stato il motivo del tuosegreto, i versi, ti dicevo, sono nuovi e belli. E ciò può bastare.

Più che l’elegia, il “Ricordo di te” e “l’Autoritratto” mi hanno colpito per laloro serietà, per l’impegno, per il senso nuovo della vita, ben lungi dalle paesaneriedi Alberona.

5 Fiore si riferisce al notissimo Circolo “Unione”, in piazza Duomo, a Lucera.

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Giuseppe De Matteis

“Autoritratto” è insieme solitudine, bisogno di liberazione e quindi travagliodell’anima. Tutto ciò è irragionevole, tu pensi e vuoi abbandonare il passato, cheunisci con la sorte capricciosa; “Voglio riconoscermi uomo… in un veracissimo di-battito interiore”. La poesia dunque è grave di motivi seri e dolenti, che non sempresi trovano così concentrati nei moderni. Poi la tua tristezza si collega al “Ricordo dite”, cioè a una forma di amore sconvolgente. Il poeta non può accettare la calma, ilpaesaggio notturno, non gli piace più meditare sul singulto dell’uccello notturno. Lasua attenzione è rivolta alla voce della natura, crudele e dolente. La sua notte estivasi popola di piante e il suo sogno non avrà termine. Insomma, forse questo sogno nonsi definisce con la precisione di un’arte sicura, ma piuttosto con oscillazioni e vibra-zioni. Ma questa è una forma della poesia di oggi. Non mi ha persuaso la tua “Ele-gia”, la tua aspirazione a “vivere un giorno da leone” echeggia d’Annunzio in ma-niera inopportuna. E sei ben lungi dal sistemare un’espressione ritmica persuasiva.La metrica libera è una grande conquista, quando si è poeti, ma tu ti esprimi capric-ciosamente, o almeno questo è il tuo dattiloscritto, con l’articolo a fine del verso!

Ho finito. Mi aspetto da te che ti concentri nell’arte, dimenticando qualsiasialtra cosa, la filologia, la letteratura e tutte le tentazioni altrui.

Mi resta l’ansia di sapere e ti prego di scrivermi presto, se hai qualcosa dadirmi, in verso o in prosa.

Fraternamente tuo,don Tommaso

Bari, 18 novembre 1970

Amato figlio,ti ringrazio assai per tutto ciò che mi scrivi e il tuo articolo vedrà la luce nel

prossimo numero, il primo dell’anno seguente sulla rivista.Tu hai compreso però, anche se il foglio uscirà in settimana, spero (gran tempo

si perde coi correttori e io non mi fido di me, leggo a memoria!), che io ho già pubbli-cato i tuoi versi.

Tu avevi fatto l’abbonamento per £. 3.000; mandami ora, ti prego, altre 7.000,come promettesti.

Intanto ti annunzio due cose: che quell’antologia non è buona affatto, come tidimostrerò fra giorni, e io ne farò immediatamente un’altra: ciò è avvenuto perché ilmiliardario Macinagrossa ha i suoi vecchi legami, che giudica di poesia coi piedi. Tiaggiungo ora che stiamo facendo un’associazione libraria o casa editrice e che quinditu potrai farne parte come vedrai dalla circolare che racchiudo in questa lettera. Se staicon noi, non potrai che farmi nuovo piacere. Siamo intesi dunque che tu non scrivi iltuo articolo, se non appena finito il mio volume, che certamente venderò o regalerò adamici di Francia, d’Inghilterra, di Germania, di Russia e di ogni libero paese.

Un abbraccio dal tuo,don Tommaso

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L’impegno politico e culturale di Tommaso Fiore: memoria di un Amico a trent’anni dalla morte

Bari, 1 aprile 1971

Caro Peppino,mi dispiace assaissimo dei tuoi disturbi, tanto più che sei un giovine aitante di

forme e fresco di salute. Io penso che l’aria primaverile della collina dove sei natopotrà giovare alla tua salute e ad ogni modo non mancare di darmene notizie setti-mana per settimana.

Ma vedi cosa vuol dire scriversi di rado? È come una lebbra che si stendeattaccando un corpo, non fa pensare più a nulla. Così io non saprei più dove trovarela tua nota sul poeta Urrasio,6 che mi riesce completamente nuovo.

Chi mai ti consiglia di leggere uomini piccolini? Se lo fa il tuo professore diUniversità è certamente un pedante… Cosa ha fatto di buono questo scrittore? Co-munque… Mandamelo, perché io possa giudicare se è degno di essere conosciuto danoi meridionalisti o magari da noi uomini.

Perdonami la franchezza, che è la virtù più bella dell’uomo.Per “La Rassegna Pugliese”, non so perché tu non l’abbia preso dalla bibliote-

ca pubblica o da quella universitaria. Ma insomma devi scrivere, scrivere, scrivere,come faccio io.

Cordialmente dal tuo,don Tommaso

6 Tommaso Fiore nel 1971 ancora non conosceva le prime prove poetiche di Michele Urrasio, maestroelementare a Lucera ma nativo di Alberona, la cittadina del Subappennino dauno definita da Mario Petruccianie da Mario Sansone “il paese dei poeti”. Vari anni dopo, leggendo la produzione poetica di Urrasio, Fioreespresse parere favorevole.

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Tommaso Palermo

Il Ms. Casin. 218 dell’Archivio dell’Abbazia di MontecassinoStudio codicologico, paleografico, testuale

di Tommaso Palermo

1.Analisi codicologica del manoscritto

Il ms. Casin. 218 è un manoscritto composto da settantaquattro cartepergamenacee. Presenta una legatura moderna realizzata intorno al 1950 duranteun’operazione di restauro reso necessario a causa del mediocre stato di conserva-zione della materia scrittoria; strutturato in dieci fascicoli provenienti da codiciframmentari del X secolo, contiene prevalentemente glossari, di cui uno solo com-pleto, ed un frammento dell’ Interpretatio nominum haebreorum di Eucherio.

Il codice misura mm 250x200 e presenta una coperta in pelle marrone scuro,decorata a secco con cornice a tralci e posta su assi di cartone; sul dorso è la segnatura218, impressa in oro. Due fogli di guardia cartacei sono posti all’inizio ed uno allafine del codice; il primo reca due annotazioni del XVI sec. circa in latino, di manidiverse, che fanno riferimento una alla datazione e l’altra ad una rassomiglianza conun glossario cassinese del X sec., il ms. Cass. 402: Seculi X codex, et fortasse etiamIX seculi (vergata con inchiostro marrone scuro) e Scriptura omnino similis videturCod. 402 (realizzata con inchiostro marrone chiaro);1 le annotazioni poste in alto adestra su questo foglio sono note informative moderne sulla collocazione archivisticadel codice. A destra di queste è visibile la cifra 218 riferita all’attuale segnatura, benleggibile al centro del margine superiore del recto della prima carta. Ancora alla c.1r si legge, in basso a sinistra, una nota di possesso: Iste liber est sacri monasteriiCasinensis N.772, sicuramente databile al XVI secolo.

Le carte del manoscritto risultano divise in dieci fascicoli, così composti: ottoquaternioni, un ternione ed un binione.

Fascic. 1: (cc. 1-8)Fascic. 2: (cc 9-16)Fascic. 3: (cc. 17-24)

1 Il foglio iniziale di guardia cartacea del ms. Casin. 402 reca invece la dicitura: Seculi X codex forsano eademmanu Cod. 218 confr etiam Cod. 160. Il ms. Casin. 402 è databile, secondo il Cavallo, alla seconda metà del Xsecolo, e fu forse realizzato nella Montecassino ricostruita da Aligerno. Si veda: Guglielmo CAVALLO, Latrasmissione dei testi nell’area beneventano-cassinense, in La cultura antica nell’occidente latino dal VII all’XIsecolo, Settimane di studio del Centro italiano di studi sull’alto medioevo (Spoleto 18-24 aprile 1974), Spoleto,presso la sede del Centro, 1975, tomo I, pp. 372-373.

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Il Ms. Casin. 218 dell’Archivio dell’Abbazia di Montecassino. Studio codicologico, paleografico, testuale

Fascic.4: (cc. 25-32)Fascic.5: (cc. 33-40)Fascic.6: (cc. 41-48)Fascic.7: (cc. 49-56)Fascic.8: (cc. 57-64)Fascic.9: (cc. 65-70)Fascic.10: (cc. 71-74)

La fascicolazione non corrisponde però a quella originale giacché, come riferitodalla Orofino nel suo citato lavoro,2 durante i lavori di restauro del 1950 è stato inverti-to l’ordine tra i fascicoli VIII e IX: infatti nella struttura primaria il codice presentava,nell’ordine, l’unico glossario completo del codice (Glossarium ab Abeston ad Zacharias),quindi il frammento dell’Interpretatio nominum haebreorum di Eucherius (attuali fa-scicoli I-VII e IX), e i frammenti di altri glossari (attuali fascicoli VIII e X).

Sul verso dell’ultima carta di ogni fascicolo è presente la segnatura, al centrodel margine inferiore (fanno eccezione solo il primo e l’ultimo fascicolo), vergata innumeri romani; il nono fascicolo (il ternione) presenta il numero VIII anziché VIIIIpoiché posto in origine, come si è detto, dopo il settimo fascicolo.

Nel manoscritto si rileva una moderna numerazione, incompleta, delle pagine;apposta infatti solo sul recto (1, 3, 5, 7...), da c. 66 a c. 70v si presenta eseguita anche sulverso e, tra le cc. 67r e 68v è posta tra parentesi tonde; la numerazione solo su rectoriprende da c. 71 sino alla fine del manoscritto; la rifilatura dei margini ha portato allacaduta di alcuni numeri di pagine. Altra apposizione moderna risulta essere la nume-razione di alcune carte (cc. 20, 27, 30, 40, 50, 60, e c. 68, che reca il numero 70 poichésono stati contati evidentemente anche i fogli di guardia cartacei posti all’inizio delcodice); entrambe le numerazioni sono in cifre arabe, poste sul recto in alto a destra.La segnatura dei fascicoli, invece, è coeva al confezionamento del manoscritto ed èstata eseguita forse da più mani. Tutti i dieci fascicoli sono stati rilegati con una cuci-tura interna ben visibile al centro delle carte: tre tratti di filo, di cui quello centrale piùlungo rispetto agli altri due di eguale lunghezza (cm 8,5 contro cm 4,5).

Il binione finale è un fascicolo fittizio: secondo la Orofino, il bifolio formatoattualmente dalle cc. 72/73 non sarebbe nel suo stato originale ed esisterebbe soli-darietà originale tra le cc. 72 e 74, fogli esterni di un fascicolo.3

Nella confezione originaria del codice è stata adottata la scelta, puramented’ordine estetico, di disporre i lati pelo e carne delle carte in maniera tale che appa-rissero a coppie alternate, secondo la regola individuata dal Gregory per cui a duecarte affrontate che mostrano il lato pelo seguono due che mostrano il lato carne ecosì via. Dalla tavola VI è possibile vedere la rappresentazione schematica di questa

2 Giulia OROFINO (a cura di), I codici decorati dell’Archivio di Montecassino, Roma, Istituto poligrafico eZecca dello Stato, [s.d.], 2 voll.: vol. I, p.77.

3 Ibid., p. 77.

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Tommaso Palermo

disposizione. La regola del Gregory è interrotta nel ternione, a c. 67, e non vienerispettata assolutamente nel binione. Gli interventi di restauro apportati alle partimancanti di alcune carte sono stati condotti con l’accortezza di rispettare il relativolato della membrana.

La pergamena presenta una superficie ondulata, piuttosto spessa ma non ec-cessivamente rigida. Si tratta di una materia scrittoria di bassa qualità e lavorazione,e di colorazione non uniforme. Le parti ondulate si presentano a volte leggermentelesionate lungo la mezzeria e ciò a causa della pressione a volume chiuso (si veda c.28v). La colorazione è generalmente giallognola sul lato pelo e più chiara sul latocarne, non sempre uniforme; sono inoltre presenti striature biancastre (cc. 20r, 13r)o di colore marroncino (c. 51r) e carte più scure poiché esterne (cc. 1r e 74v). Difrequente sono individuabili sulla superficie i follicoli piliferi (cc. 13r, 27r, 35r, 44v),mentre del tutto assenti sono i residui di peli. Alla mancanza di un accurato lavorodi preparazione e lisciatura delle carte è imputabile la presenza di piccolissime grin-ze che si distinguono, anche al tatto, sul verso di molte carte, soprattutto del primoglossario, (si vedano ad esempio le cc. 13v e 29v). A queste caratteristiche comuni atutti i fascicoli se ne aggiungono altre più specifiche per alcuni: per i primi settefascicoli, più il ternione, il lato pelo è giallognolo, lucido e più liscio rispetto al latocarne che è di poco più chiaro, non sempre soffice al tatto ma sempre opaco e riccodi asperità; il quaternione ottavo si distingue, invece, per il lato carne molto biancoe liscio e il lato pelo leggermente più chiaro rispetto ai precedenti. Del binione sidistinguono le cc. 72 e 73 per la loro colorazione leggermente marroncina e la c. 74dal lato pelo di colore giallo intenso, notevolmente macchiato, e dal lato carnegrigiastro e molto soffice al tatto.

In diversi punti la pergamena presenta pieghe schiacciate di varia lunghezzache coprono parte di alcuni righi di scrittura, occultando parzialmente il testo. Inalcuni casi, come ad esempio per la piega più in basso di c. 17, esse dovevano esseregià presenti al momento del lavoro dello scriba che ha quindi dovuto, per necessità,disporre il testo a debita distanza. Sono presenti inoltre fori di forma irregolare (sivedano le cc. 9, 10, 12, 38) e carte con spigoli rifilati (cc. 3, 17, 21), uno solo deiquali, a c. 17, integrato con nuova pergamena in sede di restauro. Il margine supe-riore di c. 58 presenta una conformazione “a falce lunare”, mentre tre piccoli occhivetrosi sono visibili a c. 29 sul margine esterno, in alto.

L’umidità ha lasciato numerose macchie di varia estensione, tutte nella metàsuperiore delle carte: i danni conseguenti hanno influito sulla qualità del supporto(cfr., ad esempio, le cc. 38r, 66, 73r), sull’integrità di alcune iniziali decorate, chehanno subito diluizione e spargimento di pigmento (c. 13), e sulla leggibilità deltesto (c. 69); in quest’ultimo caso gli inchiostri hanno resistito meglio sul lato pelopiuttosto che su quello carne (ove si presentano scoloriti e molto sbiaditi): in en-trambi i lati il pigmento delle iniziali ornate si è però espanso, come nel caso delverde acquerellato che ha lasciato uno scialbo alone verdastro a c. 13.

Alcune carte presentano zone leggermente abrase (si vedano ad esempio lecc. 19v, 24v, 42r, 70r).

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Il Ms. Casin. 218 dell’Archivio dell’Abbazia di Montecassino. Studio codicologico, paleografico, testuale

Esempi visibili del recente intervento di restauro sono: la legatura, le integra-zioni in pergamena (cc. 9, 17, 58, 71, 74), i listelli preservatori in garza telata biancae le applicazioni di rinforzo e protezione in sottilissimo film protettivo (si vedanole grandi A iniziali di c. 1r e di c. 72r, per esempio).

Le carte hanno un formato medio compreso tra 250-245 x 197-190 mm; le cc.44 e 45 presentano, sul bordo inferiore, leggere imperfezioni dovute alla rifilatura.

Per delimitare lo specchio grafico sono stati praticati, tramite punctorium,fori guida sui bordi laterali per le linee rettrici nonché fori nei margini superiore edinferiore per le linee marginali delle colonne di scrittura. Tracce dei primi sonorilevabili soltanto nelle carte esterne di ogni fascicolo, dei secondi è superstite unesempio a c. 24; completamente privo di fori è il binione.

I fori, analizzati in controluce, appaiono via via più piccoli a seconda delladistanza dal punto in cui è stato poggiato il punctorium, a sezione triangolare. Lecc. 9 e 17, infine, presentano qualche traccia di una seconda leggerissima e quasiimpercettibile serie di fori. La rigatura delle carte è stata dunque eseguita per lo piùa secco, ma nel codice sono presenti anche tracce di rigatura a piombo (nel binione).Dall’analisi della rigatura è emerso che per i primi nove fascicoli è stata eseguita unarigatura a fascicolo aperto, giacché i solchi appaiono marcati solo sulle carte esternedi ognuno di essi, mentre seguono solchi sempre più lievi verso l’interno (TavolaVII). Lo specchio grafico è del tipo illustrato a tavola VIII e prevede due colonne ditrentacinque righi ciascuna le cui dimensioni sono di mm 197 x 140 (Tavole IX e X);le cc. 71 - 74 mostrano uno specchio leggermente diverso: le due colonne di scrittu-ra presentano infatti una doppia linea di margine. Nelle cc. 1r-56v il numero stret-tamente osservato dai copisti è di trentacinque righi di scrittura per colonna, conrare variazioni: ad esempio, la colonna di sinistra di c. 48v presenta trentatré righi;la scrittura è vergata al di sopra della linea di testa. A partire da c. 57r fino a c. 64r irighi diventano trentasei, ma anche qui si registrano eccezioni: la c. 62r presenta lacolonna A di trentasette righi e la colonna B di trentacinque; trentacinque righi percolonna si contano invece da c. 65r sino a c. 70v.

Integrazioni marginali alle glosse sono vergate nell’interlinea o negli spazi inbianco a fine rigo mediante l’utilizzo di diversi sistemi e segni grafici come la crocegreca (cc. 25v, 26r, 27v) e la croce greca potenziata (cc. 35v, 36r); altri segni di richia-mo sono visibili alle cc. 50v e 51r: nel primo caso, in corrispondenza della glossaprimus, è visibile, anche se leggermente scolorito, un cerchio tagliato orizzontal-mente da una linea che fuoriesce dalla circonferenza (esso introduce una nota ver-gata alla fine della colonna destra, in scrittura gotica).

A c. 51r, in corrispondenza della glossa Polimitum è visibile il segno , cheintroduce una glossa posta in alto, nella colonna di sinistra; infine a c. 52v si rileva-no una x con quattro punti tra gli assi. Nel caso il copista voglia integrare il testo dinuove glosse o citazioni, il metodo più diffuso è quello ben visibile nel primo glos-sario ove, negli spazi bianchi lasciati fra i gruppi alfabetici delle glosse si inseriscel’intervento di un secondo scriba: un esempio di questo lavoro è evidente alla c. 9v,nella quale sono state aggiunte nuove glosse ed è stato creato anche un nuovo grup-

. ..

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po alfabetico cominciante con Aq. Un secondo sistema consiste nell’inserire le glossenegli spazi bianchi alla fine del rigo di scrittura (cc. 5v, 15v); raramente si incontra-no glosse o integrazioni inserite nell’interlinea (cc. 5r, 21v, 22v, 71v); è egualmenteraro il caso di glosse vergate sul margine laterale esterno delle carte (cc.7v, 8v, 23v,71v).

Qualora il copista si trovi a vergare a fine rigo una parola che richiederebbedi essere vergata al rigo successivo, egli preferisce spostarla, per economia di spa-zio, al di sopra o al di sotto del rigo sfruttando l’interlinea e delimitando la parolastessa con una linea ondulata e continua (Fascenina, c. 29v), puntiforme e spezzata(Adeps, c. 4r), spezzata e curva (Acolithi, c. 73v), zigzagante (Adulterium, c. 5r).

Le citazioni presenti nel testo si inseriscono fra i lemmi rispettandone, con laloro prima parola, l’ordine alfabetico; per evidenziare la loro presenza si pone, incorrispondenza dell’inizio o della fine di esse, il nome abbreviato dell’autore e mol-to raramente il titolo dell’opera o il riferimento al passo; il nome figura di norma:sul margine esterno della colonna o nello spazio dell’intercolonna (cc. 44, 45r) o,ancora, nello spazio superiore o inferiore lasciato a fine glossa (cc. 25v, 28r).

Molto articolata è la gamma degli autori citati nei glossari: essa spazia daGaleno a Beda il Venerabile, da Isidoro il Giovane a Isidoro di Siviglia, da Clemen-te (forse alessandrino) ad Eucherio episcopo di Lione (e poi santo), da San Gerolamoe Sant’Ambrogio ad Origene e Solino, fino a Seneca; gli autori maggiormente citatirisultano Sant’Agostino (trentanove citazioni) e San Gerolamo (ventitré citazioni).Non ben identificati, sempre in riferimento agli autori, sono i nomi abbreviati conle lettere: GG (cc. 12v, 29r), G.P. (c. 39v), GR (cc. 37r, 61v), GS (c. 15v), AmbrLucan (c. 47r), G (cc. 53r, 55r, 56v). Raramente i nomi sono vergati senza abbrevia-zioni: Augustinus (c. 62r), Beda (cc. 25r, 43r, 52r, 54v), Clemens (c. 25r), Galenus (c.62v), Isidorus (cc. 10r, 12v), Solinus (c. 39v) e a volte si possono presentare vergativerticalmente: Isidorus c. 10r, Augustinus c. 9r, Hir c. 26v, Euche eps c. 45v, Eucheriusc. 5r, Beda c. 52r, Orosis c. 56r. Per alcuni autori infine esistono anche diverse ab-breviazioni del nome; Sant’Agostino viene citato per esempio come: Augustinus,Aug (anche con le prime due lettere in nesso), Ag, Agus.

Testi identificati grazie alla presenza del titolo dell’opera o in base al conte-nuto sono: commenti a brevi passi biblici tra cui quello al Vangelo di Luca (Lc 21,34vedi Attendite c. 11r), all’Apocalisse di Giovanni (Ap 16,15 e 20,6 vedi Beatus c.12v), al salmo 17(18) (Sal 17, 26-27 vedi Cum sancto c. 15v), quelli relativi ad alcunipassi della Genesi (In principio c. 34r, relativo ai primi versetti e Cum venisse c. 16v,relativo a Gn 3, 8-17), al libro di Osea (Os 13,14 vedi Ero mors tua c. 26r) ad unpasso dell’Epistola ai Galati dell’Apostolo Paolo (Gal 5,25-6,7 vedi Si spiritu vivimusc. 71v) e a quella ai Romani con commento di Sant’Agostino (Rom 9,18.21 vedi Cuivult c. 15v); si identificano inoltre alcune sentenze di Gregorio Magno (Sent GG c.68v); di Sant’Agostino: il De civitate Dei (c. 33r, In libro vicesimo De civitate Dei),il De anathemate in codice questionum libri numerorum Tituli XLI (c. 45v) eAug(ustinus) In libro re tractationum c. 70r; quest’ultima, costituita da pochi righia c. 70v, riporta un passo esposto all’interno del Liber Secundus delle Ritrattazioni,

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nel capitolo XVI intitolato: De consensu evangelistarium. Altre citazioni riportanoi titoli dei capitoli di opere attualmente non identificate: De furti et adulterio c. 41v,De superbia et umilitate c. 63v, Aug(ustinus) De diversitate m[...], Regu c. 26r. Allac. 74r sono presenti diverse probationes pennae, tra le quali rilevanti appaiono alcu-ni neumi sparsi e tre notazioni musicali neumatiche, una con testo relativo; un’altranotazione neumatica si trova alla c. 71v (per l’analisi di tali notazioni rimandiamo alcapitolo ottavo).

Brevi note di mano recente, vergate a matita, si rilevano frequentemente inquasi tutto il codice.

2. Analisi paleografica del manoscritto

La scrittura del Casin. 218 è una beneventana cassinese del X secolo; eccezio-nalmente nel manoscritto compaiono glosse vergate intorno all’XI secolo (cc. 25v e26r); sono inoltre presenti mani gotiche alle cc. 50v e 51r. Le lettere in beneventanasono state vergate con una penna a punta stretta e taglio leggermente obliquo asinistra che permette di realizzare un leggero contrasto ma non ancora quel tratteg-gio spezzato tipico della fase matura, cui si accompagna la caratteristica cordellatura;il ductus si rivela posato per tutte le mani.

Gli inchiostri presenti nel codice variano di composizione e colore spaziandodal marroncino chiaro al marrone scuro sino al nero corposo e uniforme (sarannoanalizzati in dettaglio in correlazione ai vari copisti).

Le lettere risultano così tracciate:la a è realizzata in forma di o e c accostate, in quattro tratti. Può anche pre-

sentarsi in due tratti, come due c continue: per questa forma aperta, tipica del primoperiodo (secc. VII-IX), si vedano gli esempi: Avitus: antiquus c. 11v, Augurium...avium c. 11v, Bachar c. 12r, Bachanal c. 12r, Origo au c. 45v, Labefactare c. 37v,Bargine c. 12r. Raro, ma non eccezionale, è l’uso di vergare la a onciale e, più fre-quentemente, il tipo maiuscolo con funzione distintiva: la parola connarratio, nellaglossa Quinque di c. 53v, presenta entrambe le forme. La a onciale viene usata nelleabbreviazioni nel nome degli autori di cui si riportano citazioni (vedi Ag c. 22v eAug c. 43r): essa si presenta con l’occhiello più o meno schiacciato, (si vedano, adesempio, le glosse: Abingruentes: ab c. 1r, Abstrusa... abscondita c. 1v, Aniles c. 8r,Catholicus c. 14r, Abrus c. 39r, Sedat... placat c. 57v) e il tratto discendente ondulato(Drama... fabula c. 21r, Prestantior... altior c. 50r, oppure diritto (Hier... Ka__E c.55v, Semicinctum... cincat c. 57v); se la lettera è preceduta da una r si lega ad essagrazie al tratto finale discendente di questa consonante (Manes... pulcra c. 40r, Ae-rarium... erarium c. 5v), mentre se preceduta da t, il legamento avviene tra il trattoorizzontale della t beneventana ed il tratto ondulato della a onciale (Et dixit... necprophetas c. 25v, Gnosius... iuxta c. 31v).

Rarissimo è l’uso della a minuscola con l’asta spezzata a 90°, come altrettan-to rari sono i casi in cui il tratto discendente e curvilineo della a onciale si presenta

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diritto e fortemente inclinato sul rigo di scrittura tanto da sfiorare quasi il paralleli-smo con esso, (Gnosius... fornicationis c. 31v). Inoltre molto raro è l’uso di accenta-re la lettera, per lo più nei vocaboli greci (Gymnáside seu gymnásile c. 32r).

La b si presenta vergata in due tratti: il primo costituisce l’asta ed il secondol’occhiello. Raramente si verifica un prolungamento dell’asta al di sotto dell’oc-chiello (Plebs c. 50r). Nell’uso maiuscolo la b si presenta sempre in tre tratti nellaforma capitale.

La lettera c è costituita da due tratti; è presente anche in forma spezzata,realizzata come due c sovrapposte (Accessit, Accola, Accio, Accisis, Accito c. 3r, Adeas:accedas c. 4r, Eccla...eccle c. 25v, Facdicas c. 29v, Achademici c. 73v, Abram... scilic&c. 72r). La c spezzata viene utilizzata raramente per le abbreviazioni e mai per ilegamenti. Un caso unico di c spezzata altissima, di tipo cancelleresco, si presenta ac. 57v nella parola placat della glossa Sedat. Secondo il Lowe la forma spezzata èfrequente specialmente in manoscritti più tardi e meno in quelli del X e XI secolo,non esistono regole per il suo utilizzo ed è comune soprattutto ove ricorrano due cconsecutive.

La lettera d viene eseguita secondo due tipologie: quella minuscola ma conpancia a sinistra; e con asta di varia lunghezza, (Componit: ordinat c. 17 v; Dardani:Troiani c. 21r, dove è più alta della i intervocalica; Lecebra: seductio c. 38r); quellaonciale, (questo tipo diverrà praticamente l’unico nel periodo desideriano), con l’astasi presenta di norma corta e inclinata a sinistra (Cubat...insidiatur c. 19r, Coniectura...iudicium c. 18v), e solo di rado, lunga (Acolithi...effugandu2...mundu2 c. 73v). Comeper la c può qui verificarsi uno sporadico uso contemporaneo delle due forme(Discernit: diiudicat c. 23v, Ramenta quodda2 c. 54r). Se la d si presenta tagliata, adesempio nell’abbreviazione di quod (qd), o di David (dd), allora è sempre minusco-la (Hir...dd c. 26v, Incentor... qd c. 35v). Queste ultime due caratteristiche valgonoper tutte le mani. La d di tipo onciale è usata con evidente funzione distintiva (c. 10rIsidorus), al pari della forma capitale (Isidorus c. 24r e Beda c. 54v); caso unico è unaparticolare forma di d spezzata (Beda c. 25r).

La e è tracciata in tre tempi; rarissimo è il tipo onciale (E...e littera c. 28r),anche con occhiello chiuso (Aerarium...equibus c. 5v). In un solo caso la e si pre-senta molto disarticolata nella forma (Procerus c. 52r).

La lettera f appare vergata in tre tempi: tratto verticale, tratto curvo in alto adestra e piccolo tratto sottile orizzontale al centro. Compare anche la forma maiu-scola.

La g è vergata in cinque tratti: due per l’occhiello, due inferiori che descrivo-no la curva verso sinistra ed il quinto per il legamento a destra. La g maiuscola èidentica al legamento ci con la i enclitica (Aug c. 45r).

Per la realizzazione della h sono necessari due tratti.La i è vergata in un tratto o perfettamente verticale (Abusi c. 1r) o leggermen-

te ondulato (Nimirum c. 42r), quasi preludio dei due tratti a losanga del periodomaturo della scrittura beneventana.

Compare anche la i alta (Actualis...SubIecta c. 3v, Discernit: diIudicat c. 23v),

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utilizzata in posizione intervocalica all’inizio di parola seguita da tratti brevi.La l è realizzata come una i alta con base ricurva verso destra (Radiatus

Illuminatus c. 54r).La m è composta da tre minuscoli tratti con leggero ispessimento alle estre-

mità. Solo in rarissimi casi i tre tratti non si toccano superiormente (Exequie:mortuorum c. 28v).

La n segue lo stesso tratteggio della m, ma prevede naturalmente due aste. Lao è costituita semplicemente da due tratti curvi.

La lettera p viene realizzata in due tratti: il primo è rappresentato dall’astaverticale, che presenta all’estremità superiore un piccolo ispessimento, il secondodal tratto curvo che chiude l’occhiello. (Discer p sit c. 23v).

Non molto dissimile per tratteggio dalla p è la q, vergata però in tre tratti.Esistono due forme di r: quella in due tratti, il primo dei quali verticale, il

secondo discendente verso destra, e quella utilizzata in fine di parola e non di radoanche all’interno. In quest’ultimo caso si tratta della forma di origine minuscolacorsiva costituita da un tratto verticale seguito da uno ondulato terminante in unleggero svolazzo verso l’alto; quest’ultimo si restringe di molto se la r è soprascritta(Atomorum...inrumero c. 11r, Adamas c. 4r, bargine c. 12r). La glossa Adamas a c.4r presenta i due tipi contigui.

La s viene vergata in due tratti: il primo è verticale ed il secondo è dato dallacurva superiore tendente verso il basso. È interessante notare la s presente alla glossasorosius (c. 59v) nella parola filius, che mostra il tratto curvo a mo’ di voluta.

Lettera caratteristica della scrittura beneventana, la t differisce dalla a soloper il tratto superiore destro che si allunga orizzontalmente. Raro è l’utilizzo dellaforma maiuscola all’interno di parola (Semicinctum... cingaT c. 57v, Serpillum...prohepTa c. 58r, Sopit...ArdebaT c. 60r).

La lettera u è costituita da due i accostate.La lettera v è realizzata come la precedente.La x viene vergata di solito in tre tratti: il primo è costituito da una linea

sinuosa discendente da sinistra verso destra, il secondo parte all’incirca dalla metàsuperiore di questa ed è realizzato da sinistra verso destra; l’ultimo è tracciato inbasso, da destra verso sinistra (Subsidit: auxilia c. 60r, Pseudopropheta: mendax c.52r, Strenuus: velox c. 57r, Axia c. 11v, Axioma c. 11v).

La lettera y, non molto frequente all’interno del glossario, è costituita da unaparte simile a una v e da un tratto verticale al di sotto della linea di scrittura (Abbasyre c. 1v, Adamas...yrcino c. 4v, Anubies deus egyptiorum c. 8v).

La lettera z, usata di rado, differisce nella forma per il primo e l’ultimo trattoora vergati orizzontalmente ora curvi verso l’esterno (Parma...amazonicum c. 47v,Exordium c. 55v, Corbana: Gazofilacium c. 69v).

I copisti del manoscritto utilizzano i medesimi legamenti ma non sempre lestesse abbreviazioni. Le legature adottate si dividono in obbligatorie (ei, fi, gi, li, ri,ti sordo e ti spirantizzato), e facoltative (ci, et, ma, na, mi, ni, nt, or, rp, sp, st, sti, te,tu, ur), assenti quelle per ae, ec, rit. La legatura ei si realizza tracciando, alla fine del

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tratto orizzontale della e, un tratto discendente verso sinistra (Scriptura...eius c.11v); il legamento fi è realizzato curvando verso l’interno la terminazione superioredella f e facendo seguire, al di sotto di questa curva aperta, una curva similare (Spe-cifica c. 58r).

Allo stesso modo la legatura gi è ottenuta vergando dal tratto superiore dellag un tratto discendente verso l’interno che costituisce la forma prolungata della i(Suffragium c. 60v, Candus...regia c. 14r, Legitur c. 39v).

La legatura ti del suono sibilante si realizza a forma di beta rovesciato(Sententia c. 57v).

Il legamento ri, invece, è dato da una r la cui parte marginale anziché volgereall’insù, si piega in basso e discendendo sotto la linea forma un tratto sinuoso a mo’di s capovolta (Agus...mereri c. 33v).

La e cedigliata è usata in funzione del dittongo ae ed è talvolta presente sottoil tratto più basso (Celides c. 15v, Ne eligas...elemosyne c. 41v).

Il legamento ci viene realizzato facendo discendere dall’estremità del trattocurvo inferiore, un tratto verticalizzato (Lecitus c. 38v, Acinus: hiacini c. 3r, Raphael:medicina c. 54r).

Il legamento et, utilizzato per la congiunzione sia a fine parola ed evitatoinvece nel corpo di parola, è costituito da una e il cui tratto centrale si inclina obli-quamente verso la linea di base incrociandosi con il prolungamento verso l’alto deltratto di base della lettera t (Delubra...et c. 22r, Insimulat...finget c. 36r).

I legamenti ma e na presentano la vocale aperta verticalizzata (Nabat... fir-mabat c. 41r, Sen...manducaverimus c. 41r, Prandeum... a romanis c. 48r,Parsimonia...tenacitas c. 47v); i legamenti mi e ni sono realizzati tracciando, all’estre-mità inferiore dell’ultimo tratto della consonante, un piccolo tratto verticale per lai (Semipes c. 57v, Dimidium...definitionem c. 24r). Rarissimo è il legamento pu(Aevum...tempus c. 5r).

La legatura nt è presente unicamente a fine parola (Scolaces: dicunt c. 60r,Audant c. 11v, Bispillus...portant c. 13r, Hier...deduxerant c. 34r).

I legamenti or, ur nascono dalla combinazione della vocale o con una r aforma di uncino (Abba...genitor c. 1v, Prestantior...altior c. 50r, Gaza...vocantur c.31v, Gazophilacium...servantur c. 31v).

La legatura rp viene realizzata tramite una r dal cui tratto superiore discendeuna linea curva spezzata al centro, e terminante verso destra (Intercalare: interpo-nete c. 36v); nel legamento sp invece, il tratto curvo della s si congiunge in bassoall’asta verticale della p (Crustula...conspersus c. 20v).

Nel legamento st la cui terminazione superiore curva della s prosegue verso ilbasso formando l’asta della t, tagliata orizzontalmente dalla traversa (Natis...est 41r).

Le forme delle legature te e tu, che nascono come adattamenti della t corsiva,si presentano sempre più raramente nel X secolo. Nella legatura te la curva superio-re, o tratto a croce della t, forma la curva superiore della e (Esto...tempore c. 28r);nel legamento tu, invece, la continuazione dell’occhiello superiore della t costitui-sce il primo tratto della u (Inclitum...ornatum c. 35r).

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Il sistema abbreviativo contemplato dai copisti del ms. Casin. 218 compren-de i seguenti diversi segni:

- Il punto e virgola posto a fine parola abbrevia il suffisso -us dopo b(Suspicibus c. 60v), m (Expromimus c. 29r), n (Epicurei: genus c. 27v, Ulna...manusc. 71r) o il gruppo ue dopo q (Undique c. 71v).

- Un segno simile a un numero 2 esponenziale indica (se posto accanto allevocali a, e , o, u) una m (Compulit c. 17v, Complectitur c. 17v, Conflictum c. 18r,Excidium c. 28v, Urbanus...urbem c. 71v, Era...item c. 27r) o, vicino alla sola a unan (Exanguis c. 28v); se posto sopra o unito al tratto orizzontale della t, abbrevia ur(Non frustabitur...reprobabitur c. 42v, Hier...interpretantur c. 55v).

- Il semplice trattino che, vergato nell’interlinea al di sopra di una lettera, confunzione generica può indicare una contrazione (per esempio: , Stultus...esse c.61v, Aug non enim...Deus noster c. 42v, , Panfagi sunt...omnia c. 48r, ,Pneuma: spiritus c. 48v) o troncamento ( , Aceron...apud c. 3r, , Noctua...autemc. 42v,). Un trattino che taglia l’asta superiore o inferiore di alcune lettere può indi-care i compendi per qui (Secunda...tranquilla c. 57r, Succentor: qui c. 60v), quid(Hier...quid c. 25v), per (Perculit c. 49r), bis, eccetera (Ecce...nobis c. 27r). Varie poisono le abbreviazioni rese con il taglio dell’asta della d: ad esempio per id est(Deposcit: id est rogat c. 22r, Aug non descedant... id est c. 42v), dicitur (Essentia...dicitur c. 27v), Deus (Helias: dominus deus c. 70r).

- Due simboli abbreviativi di origine insulare: quello per la forma verbale est, (Parandrum: animal est c. 48r, Unguis...est c. 71v), e quello per indicare enim, (Aug...enim c. 45r). Abbreviazioni rare sono: quella per e(ius), con taglio obli-quo del tratto discendente della i in legamento (Excetra...eius c.29r); il compendiodi p(ro) con il prolungamento a sinistra del tratto discendente dall’occhiello:ooo(Expromimus c. 29r), la caratteristica abbreviazione del suffisso verbale r(unt): (Hier...oppresserunt c. 55v). Molto raro si rivela anche l’uso di letterinesoprascritte, non ancora frequente nel X secolo (Qui vero c. 53v, Qui habet...ergo c.53v). Sono presenti molti Nomina Sacra (Ero mors...Xps c. 26r, Jhs c. 70v, Helias:dominus Deus c. 70r); assenti invece le abbreviazioni tramite segno a forma di ac-centi e quella per il genitivo plurale -r(um) (formata dal tratto orizzontale della r auncino intersecata da una lineetta: ), caratteristiche non ancora adottate nel peri-odo di confezione del codice e ricorrenti soltanto in rari interventi di annotatorisuccessivi al lavoro dei copisti (Attendite...vero...m’ c. 11r, Examin’ti c. 28v). Diparticolare interesse infine è l’uso, adottato da pochi copisti, di abbreviare gruppi diparole a sola iniziale preceduta e seguita da punto (Aug...i.x.i.d.n c. 62v, Aug...e.in.a.c. 33r, Hier...e.m.e.s.s.n.i. c. 27r).

L’analisi paleografica si rivela articolata nella distinzione fra mani di copisti,di correttori e di annotatori sporadici, operanti in epoche diverse, ma per quantoconcerne il testo del manoscritto appare evidente essenzialmente la presenza dellavoro di un copista, che per convenzione sarà contraddistinto come copista “A”(Tavola XI).

La mano “A” è quella che verga infatti la maggior parte del manoscritto, cioè

omia spsap au

nr, e e

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la quasi totalità del primo glossario, Glossarium ab Abeston ad Zacharias (Inc.:Abeston lapis arcadiae coloris ferrei dictus ab igne. - Expl.: roseum sanguinem passionispraefigurantem.) e dell’ Interpretatio nominum Haebreorum di Eucherius (Inc.:Adonai dominus in latino significat. - Expl.: Iosaphat domini iudicium. Ioram quiexcelsus.). Essa è attestata per tutti i primi cinque quaternioni, è sostituita nel VIfascicolo, ricompare quindi nel VII e nel ternione (fascicolo VIII in origine). Nonci è dato, purtroppo, sapere quale fosse l’estensione reale del lavoro della mano A,considerando che il codice raccoglie frammenti di manoscritti.

Le caratteristiche che contraddistinguono questa mano sono: l’utilizzo di unapenna con taglio leggermente obliquo a sinistra, come rilevabile dal leggero contra-sto dei tratti delle lettere; il ductus posato che conferisce verticalità ai tratti e unbuon parallelismo tra i righi di scrittura; un modulo molto piccolo di scrittura (ilpiù piccolo fra quelli presenti nel codice) e di grandezza costante; una scritturaordinata, dal disegno sicuro e composto; spazi ristretti tra le parole; aste moltoslanciate rispetto al corpo delle lettere (c. 6v Alluvione: inundatione); spazi bianchitra i gruppi alfabetici delle glosse, in base a una scelta finalizzata all’eventuale inse-rimento di successive glosse o citazioni.

L’inchiostro utilizzato dalla mano A è di colore marroncino che si va scurendolentamente verso l’interno del codice.

Analizziamo ora le lettere tipiche della mano A:la a onciale è quasi inesistente (Aries...machinae c. 10r, Detestabilis...

execrandus c. 21v, Samum...aput, c. 56r, Thema...materia c. 66r), mentre più fre-quente è il tipo maiuscolo (Agustinus c. 9r), e rara la forma beneventana aperta.

La b mostra l’asta allungata ed in rarissimi casi assume forma maiuscola al-l’interno del testo ( c. 16 r Cyrogrillus...haBens).

La c è presente in maggior misura in forma corta, ma non di rado anche inquella spezzata, nel caso di due c consecutive (Accio c. 3r).

La forma più diffusa di d è quella onciale; nella forma minuscola la lettera hainvece l’asta molto alta sul rigo (Deposcit...id c. 22r).

La e può presentarsi anche rotondeggiante, di tipo onciale (εucherius c. 5r).La lettera h presenta sempre l’asta molto alta (Abrogans c. 1v) e, quando è di

modulo ingrandito, presenta il medesimo disegno di quella minuscola (Eucher c.28r).

La i corta è leggermente ispessita in alto ed in basso; risulta alta in posizioneiniziale seguita da lettera breve, ed intervocalica (Abimo c. 1v). In legatura enclitica,la i si estende poco al di sotto del rigo di scrittura, talora curvandosi leggermenteverso sinistra (Affabilis c. 6r), ma a volte anche esageratamente (è il caso raro diregalis alla glossa auleum di c. 11v).

La l, vergata in un unico e slanciato tratto presenta la base tondeggiante(Absistit c. 1v).

La mano A inoltre usa vergare dopo la q, di solito, la vocale u in alto, a guisadi esponente (Essenorum gens...nisiqem c. 28r, E...pro qestore c. 28r).

La lettera s viene tracciata a volte in forma maiuscola (Batillum...portandos

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carbones c. 12r, Aemulus...invidus e Aemula...seu c. 5r, Allegoria...similitudo c. 7r).Una delle caratteristiche più evidenti di questa mano consiste nell’uso di ab-

breviare solo raramente est, vergato anche con le lettere in legamento st (Fiat lux...estc. 30v, Aethera...est c. 5v, Fornicatio...est c. 5r), con la e sormontata da un piccolotratto orizzontale; molto raramente la stessa forma verbale appare rappresentatamediante il segno di origine insulare dato da un trattino e due punti (Primivirgius...estc. 50v, Portentum...est c. 51v, Querquera est c. 53r). Sporadiche sono le abbrevia-zioni tramite letterina soprascritta (Qui vero c. 53v, Qui habet...ergo c. 53v). L’ab-breviazione per il suffisso r(um) (Augustorum: sanctorum c. 6r, Aprasia...indorumc. 9v, Arnon...eorum c. 10r) è resa talvolta con la u sormontata da un segno a formadi piccolo 2 (Arbitrerium c. 10r).

Il suffisso -us viene spesso abbreviato tramite punto e virgola (culmisgallionibus c. 19v ); nel caso del termine genus questo segno è però adoperato moltodi rado (Rastrum: genus c. 54 r, Retica: genus c. 54v, Sambucae: genus c. 56r). Raroè l’uso di abbreviare t(er), con la t sormontata da un piccolo tratto orizzontale(Interpres: coniector c. 36v, Intercapedo: interiectio c. 36v ove ricorrono la formasciolta e quella abbreviata); invece t(ur) (Ardescit c. 9v, Bacchanalia c. 12r) e t(us)(Crenus c. 19v) non si presentano mai abbreviati. Non molto frequente è l’uso dellegamento -nt (Demones c. 22v, Audent: capiunt c. 11v, Catillare...arcuant c. 14r).

Rarissimo è l’uso fatto da questo copista di legare la n con la i seguente (Religiovera: non nisi c. 54r); indecisioni caratterizzano inoltre la scelta di vergare il prono-me huius, per esteso (Huius c. 34r), o in forma abbreviata con i alta tagliata dapiccolo tratto orizzontale (Humatus...huius c. 34r). Per l’abbreviazione di enim laforma consueta prevede il compendio solo della m.

La mano principale del VI fascicolo è la mano B (Tavola XI): intervallata daaltri interventi tra le cc. 41r e 43r, prosegue il suo lavoro sino alla fine del quaternione(c. 48 v). Utilizza una penna che determina un contrasto più netto tra i tratti dellelettere rispetto alla mano A; adopera un tratteggio più fluente e rotondeggiante,maggior spazio fra i termini ed utilizza un inchiostro marrone scuro.

Si evidenziano i primi sintomi di una prossima maturità grafica: basti vederele m e le n della glossa Nonne, a c. 42v, con i tratti simili a piccoli rombi sovrapposti(ma la scrittura B è ancora lontana dal cordellato e dalla regolarità grafica propriadel periodo post-capuano).

Il modulo presenta leggere oscillazioni e si presenta come uno fra i più gran-di tra quelli presenti nel codice. Fra le lettere tipiche della mano B sono la a, chericorre in entrambe le forme (beneventana ed onciale) in rari casi, nella forma onciale(nell’ultima sillaba della parola, a fine rigo, seguita talvolta da t maiuscola,Opulentia...abundanTia, c. 45v, Opima:...egregia c. 45v); molto rara è la forma aperta(Parius c. 47r, Opima...ampia c. 45v). La a ingrandita ha forma onciale con occhiel-lo schiacciato (Aug c. 45r).

La b, come a volte la d e la l, si presenta talvolta con asta leggermente clavata(Nutatio: Ire c. 43r); la c compare indistintamente nelle due forme (Occulit c. 44r);la d è usata maggiormente nella forma onciale (Nitor: splendor c. 42r) e raramente

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ricorrono le due forme in una stessa parola (Obsolitus: sordidus c. 43v, Opulentia:divitiarum abundantia c. 45v); la e quando è ingrandita ha forma minuscola (Hierc. 45r); la r finale si presenta spesso con il tratto orizzontale terminante in un lungosvolazzo verso l’alto (Parce: frugaliter tenaciter c. 47v; talvolta ciò avviene ancheper la r posta nel corpo di una parola, Nitelle...par vi c. 42r, Noctua...cor vus c. 42v);la lettera t presenta a volte maiuscola all’interno di parola: è il caso di alcuni terminiposti a fine rigo (Nuncupat...volat c. 43r, Oblatrat...obstrepit c. 43v,Obnuerat...obvolverat c. 43v, Parsimonia...tenacitas c. 47v). La forma verbale est,presente anche in forma estesa (Obstetrix...est c43v, Ob est 44r), è compendiatatramite il simbolo insulare (Sen...hoc est c. 41r, Aug c. 43r) e mai tramite una esormontata da un breve tratto orizzontale: e. La mano B utilizza il simbolo , diorigine insulare, per indicare enim (Aug...enim c. 45r).

La mano C (Tavola XII) verga il quaternione ottavo (all’interno del suo lavo-ro si rilevano piccoli interventi estranei realizzati in un secondo tempo); utilizzauna penna a punta stretta, dotata di una certa flessibilità che determina una certarotondità nel disegno e poco contrasto, ed usa un inchiostro marrone scuro. Vergacon generosa larghezza i termini, lasciando spazi fra le parole ma non fra le glosse.Il suo lavoro si estende ad un gruppo di glosse, vergate non sempre in successionealfabetica, comprese tra le cc 57r e 71v, tutte incipienti per s: ad esse fa seguito unafitta gamma di citazioni fino a c. 63v, dove ha termine il lavoro di questo copista.

La sua lettera a si presenta anche in forma onciale, in posizione sillabica fina-le di una parola a fine rigo (Sopit...ardebat c. 60r); sono presenti le due forme di c(Segmenta...εirculi c. 57r) e vengono utilizzate maggiormente d onciali (Secunda c.57r); la h ingrandita presenta il disegno di quella minuscola (Hieron c. 63r) e la epuò presentarsi anche rotondeggiante (Hieron c. 63r). La r finale mostra il trattoorizzontale curvo verso l’alto (Spirabile...spiratur c. 59v). Come abbreviazione perest figura soprattutto il simbolo insulare (Solum: est c. 60r); è presente inoltrel’abbreviazione per l’infinito esse: (Stacten...esse c. 61v). Il suffisso finale -us vieneabbreviato con una certa frequenza e tramite il segno ; .

La mano C talvolta abbrevia di alcuni termini a livello di sola iniziale(Aug...i.x.i.d.n c. 62v, Aug...e.in.a. 33r, Hier...e.m.e.s.s.n.i. c. 27r) e appone un segnosimile a un piccolo 2 sopra il pronome della proposizione interrogativa (cc. 25v, 36r,37r).

La parte finale del testo del fascicolo, contraddistinta dal titolo: De superbiaet umilitate (cc. 63v, 64r) sembrerebbe attribuibile ad un’altra mano: brusco e nettosi rivelano infatti il cambiamento del modulo, il disegno delle lettere e l’uso deglispazi fra i termini. Ad un attento esame delle carte è emersa la presenza, nei primisette fascicoli, di interventi di una mano molto simile alla mano C, nello spazio frai gruppi alfabetici delle glosse vergate dalla mano A: si tratta di citazioni (Ero morsc. 26r, Erugo c. 27v, Gr c. 37r), per la maggior parte di Sant’Agostino (cc. 15v, 33r,33v, 36r, 37r, 41v, 42r, 42v, 43r) e San Gerolamo (cc. 25v, 26r, 27r, 31v, 34r, 41r, 42r,55v), vergate con inchiostro marrone. Il raffronto ha messo in evidenza somiglian-ze nel modulo e nel disegno delle lettere (la r e la t ad esempio), nell’uso degli spazi,

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oltre che una somiglianza fra i nomi degli autori posti a fianco delle citazioni.Dopo il ternione, vergato dalla mano A, il binione, fascicolo finale del codi-

ce, rivela l’intervento di due mani diverse: mano D e mano E. La c. 71, vergata dallamano D (Tavola XII), cui segue sul verso un intervento successivo, contiene glosseincipienti per u e v, ma non in perfetta successione alfabetica (Inc. acefalo: ...clamorpredicationum. - Expl.: Utrubique utraque parte). Le due colonne di scrittura, inol-tre, non sono in perfetto parallelismo tra loro. La mano D utilizza un inchiostronero corposo e rende un leggero contrasto tramite una punta flessibile a sezionenon molto stretta con la quale verga una scrittura rotondeggiante dal disegno pe-sante. Le aste si presentano slanciate e clavate (Umentum: ultra c. 71r, Urbanus:nobilisc. 71v). La caratteristica è la forma della d onciale con l’asta piegata; inoltre la a sipresenta in un solo caso di forma onciale (Unguis...ungula c. 71v) e la forma verbaleest viene abbreviata tramite il simbolo insulare (Unguis...est c. 71v).

La mano E (Tavola XIII), invece, verga l’inizio di un altro Glossarium abAbeston ad Zacharias (Inc.: Abeston lapis arcadiae coloris ferrei dictus ab igne. -Expl.: Accusator dicitur quasi ad causator quia ad causam vocat eum quem appellat.)di cui ci restano soltanto le prime due carte (72 e 73). L’inchiostro presenta unapallida colorazione marroncina; la scrittura, di disegno sicuro e modulo costante, simostra ordinata ed in perfetto parallelismo; uno spazio è lasciato fra i gruppi alfabeticiAb e Ac. La a onciale ricorre raramente (Abingruentes: ab c. 71v, Abdidit...absconditaaut c. 72v); frequente invece è l’uso della c spezzata (Aprica c. 72r, Abactus c. 72r);sono adottate le due forme di d (Absurdum c. 72v, Abdidit c. 72v); rara è infine laforma estesa di est (Abominatus...est c. 72r, Abactor...est c. 72r) in confronto al sim-bolo insulare (Absintina...est c. 73r, Acuta...est c. 73v).

Un intervento interessante è quello della mano F (Tavola XIII), che ha ope-rato integrazioni di glosse all’interno dei primi cinque fascicoli (cc. 6v, 7r, 8r, 9v, 10r,10v, 11v, 12r, 13r, 13v, 14r, 15r, 15v, 16v, 17r, 18r, 19v, 20r, 22v, 23v, 24r, 26r, 26v, 27r,27v, 29v, 30r, 30v, 32v, 34r, 34v, 36r, 36v, 38r, 39r, 39v, 40v), del sesto (cc. 41r, 41v,42r), poi del settimo (cc 49 v, 51r, 53v) ed infine del quaternione VIII (c 57r).

La caratteristica più evidente di questa mano è data dal suo inserimento neglispazi bianchi fra i gruppi alfabetici vergati dalla mano A talvolta creandone di nuo-vi (il gruppo alfabetico Aq a c. 9v, per esempio) o dopo gli interventi della mano Cnei primi sette fascicoli (cc. 10r, 11r, 15v, 17r, 27v, 41r); ove ciò non sia possibile siinserisce nell’interlinea (Confrages: sunt c. 18v). Essa utilizza un inchiostro nero everga una scrittura tozza mostrando notevoli affinità grafiche con la mano D (neldisegno delle lettere si confrontino, per esempio, la v di Vitricus a c. 8r con quelle dic. 71v e la forma della d con asta perfettamente identica a quella della mano D o,ancora, la forma della r con svolazzo a punta lunga); adopera inoltre le medesimeabbreviazioni. Questo copista utilizza il simbolo insulare (Alveus c. 7r) per ab-breviare est e, molto raramente, la forma (Epicidion 27v)

Altre mani presenti nel codice ricorrono con minore intensità e rappresenta-no interventi sporadici di annotatori successivi all’intervento delle mani principali(Hie c. 9r, Isidorus c. 10r, GG...Idem c. 12v, Cum venisse c. 16v, Cum autem c. 17v,

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Poenitentia c. 52v), l’intervento a c. 11r (Attendite) rivela l’uso di letterine soprascritte(Attendite...vero...vero) e l’accento sulla m per compendiare il suffisso mus. Si no-tino la mano beneventana matura presente alle cc. 25v e 26r e che verga le glosseeiam con splendido effetto cordellato, quelle più vetuste e di disegno incerto di c.52r (Procerus) e c. 71v (Si spiritu) ed infine le mani gotiche alle cc. 50v e 51r. Illavoro dei copisti rivela interventi di correzione ravvisabili di frequente nel mano-scritto (Acathe c. 3r, A culmin e c. 3r), si segnala, inoltre, la presenza sporadica di unaR (abbreviazione di require)4 che funge da segno di richiamo soprattutto per passidi incerta lettura o dubbia interpretazione (Cleanthas c. 20r, Equidem c. 27v, Ligustrac. 38v), talvolta accompagnata dalla rispettiva correzione (Innocuus c. 35v). Raris-simo è l’uso di espungere le lettere tramite trattino (Euripus: piscina longna c. 26r).

Alcuni copisti (A, B, C), secondo l’uso proprio nel X secolo, usano apporre,talvolta, due tipi di accenti: quello acuto, su monosillabi brevi o sulla terz’ultimasillaba (Gymnáside c. 32r), e quello circonflesso, più raro, sui monosillabi lunghi(In rê c. 10v, Abolitio: rês c. 1r) o sulla penultima sillaba purché lunga e seguita dasillaba breve (Infîdus c. 35v, Instîgat c. 36r).

I termini ebraici che ricorrono nel manoscritto sono tutti vergati nei caratteridell’alfabeto latino (Inoth c. 28r, Aaron c. 69r), ciò vale anche per la maggior partedei termini greci (Argós c. 10r, Cinós c. 16r, Gelás c. 32r, Chronos c. 25v) e l’accentoacuto ne facilita la corretta pronuncia. Altri termini greci, invece, vengono vergatiin maniera più distintiva tramite caratteri greci e lettere beneventane ed onciali(Talpas...ACφΤΛΑΚΑ c. 65v, Hie...PABdONANTIAN c. 52v, Erucam...KA2Πεc.55v, Fatue...ΑΠΟΚΨΝε c. 70v).

I numeri cardinali sono vergati in cifre romane (Gomor...XV c. 32v,Adolescentia...XV...XX c. 4v),5 il numero quattro viene realizzato tramite quattro iconsecutive e non tramite IV; inoltre la i finale discende al di sotto del rigo(Era...DCCCCIIII c. 27r, Item...XLI c. 45v, IIII c. 32v segnatura posta al centrodel margine inferiore), secondo l’uso adottato dall’inizio del X secolo.6

3. Analisi sillabica e ortografica

I copisti del ms. Casin. 218 non utilizzano un sistema di regole ben precisoper la divisione in sillabe, tuttavia si possono individuare alcuni accorgimenti piut-tosto ricorrenti.

Nel caso di doppia consonante, per esempio, il copista divide la parola la-sciando una consonante a fine rigo e riportando l’altra all’inizio del rigo seguente

4 Elias Avery LOWE, The Beneventan script, rist. anast., Roma, Edizioni di storia e letteratura, 1980, pp 294-295.

5 Ibid., p. 296.6 Ibid., p. 296, nota 5.

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(bel-lum c. 65v, Adam...im-maculatus c. 3v, Acolithi..ef-fugandum c. 2v); ugualefenomeno si verifica per due vocali contigue (Abominatus...su-um c. 72r) o quandoall’interno di una parola sono presenti due consonanti diverse e contigue(Adamas...in-decorus c. 4v, Acolithi...evan-gelio c. 73v, Sofista...sapien-tiae c. 60r).

L’analisi del manoscritto ha rilevato l’inserimento, nell’uso classico della tra-scrizione del testo, dei seguenti mutamenti fonetici tipici del periodo medievale:7

- Il mutamento, tuttavia rarissimo, del dittongo oe nel monottongo e (Iusiurandum: fedus c. 34r, Prelium c. 50 r, glosse successivamente corrette con l’appo-sizione, sopra la e, di una o).

- L’uso della vocale o al posto della u (Humatus: sepoltus c. 34r) e quello,raro, della u anziché della i (Clupeum c. 20v).

- L’eliminazione della lettera h (Sceda c. 57r, Acerontea c. 2v, Cartago c. 14r,Cymera c. 16r), un suo inserimento arbitrario (Michahel c. 40v, Solitudo: heremusc. 55v) o il suo rafforzamento tramite la lettera c (Nichil c. 63r).

- L’uso di mutare consonanti dentali (d, t), in fine di parola, da sonore a sorde(aput anziché apud: Samum...aput c. 56r).

- L’uso della p invece della b (Scriba...puplicas c. 59r); della v anziché della b(Diocesis: guvernatio c. 23v, Sequus...vocavulum c.58r); della b al posto della v(Benustus c. 12r, Cadaber c. 14r, Essenorum...abdicaberunt c. 28r); della c anzichédella g (Lugubre c. 39 r, Antagonista c. 8v); della n invece della m (Conplectitur c.17v, Collibuit:conplacuit c. 17r); della y anziché della i (Cristallum c. 20r) e della minvece della n (Antistes: primceps c. 8r).

- Il raddoppiamento (Eximietas: subblimitas c. 29r) o lo scempiamento diconsonanti (Perduellio. Rebelator c. 49v).

4. Analisi della punteggiatura

La punteggiatura presente nel ms. Casin. 218 comprende essenzialmente tresegni che Tommaso Capuano, vissuto nel XIII secolo, chiama: comma, colon eperiodos.8 Si tratta di segni tipici del periodo della scrittura beneventana sviluppata,non corrispondenti al valore degli attuali segni di punteggiatura, che rappresentanotre tipi di pause:

Il comma consiste in un punto sormontato da un trattino vergato obliqua-mente da sinistra verso destra: e funge da subdistinctio, ossia da pausa sospensivaposta fra le subordinate e le proposizioni principali di un testo oppure, nel caso deiglossari, interposta fra il lemma e la sua spiegazione.

La cosiddetta distinctio media, rappresentata da un semplice punto detto colon,costituisce una pausa breve atta a separare più elementi elencati nel testo, siano essi

7 Ibid., pp. 282-285.8 Ibid., p. 228, nota 4.

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cose o concetti. La posizione del colon non è sempre definita, collocandosi ora alcentro del rigo di scrittura (Opibus c. 45v), ora sulla linea di scrittura (Geniatus c.32r). Nel Casin. 218 esso viene utilizzato, talvolta, anche come segno di distinctiofinalis in alternativa al periodos, il tipico simbolo per la pausa finale: quest’ultimo ècostituito da una virgola sormontata da due punti affiancati: (Seminarium c. 57v).

Tali segni rimarranno in uso dalla fine del IX secolo sino alla fine del XIII; adessi va aggiunto il segno interrogativo, che nella fase capuana è a guisa di un piccolo2, posto sopra il pronome della proposizione interrogativa (Hier...quid c. 25v,Aug...quis c. 36r, Aug...quid c. 37r). Secondo il Lowe, il ms. Casin. 218 costituisce ilprimo esempio datato in cui tale tipologia compare nell’uso più regolare.9

I copisti del ms. Casin. 218 mostrano di rispettare, non sempre costantemen-te, l’uso dei suddetti segni; se si rivela praticamente stabile l’uso del comma per lasubdistinctio, più incerta è invece la scelta optata per indicare la distinctio finalis chepresenta, infatti, ora il periodos (Natus c. 41r), ora il colon (Adsolitum, c. 4v), oranessun segno di pausa (Nuncupatio c. 43r).

9 Ibid., pp. 243-244.

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Luigi Gatta

Mattinata e la guerra di Spagnadi Luigi Gatta

1. La guerra di Spagna (1936 – 1939)

Dopo la vittoria repubblicana alle municipali di Madrid nel 1931 il re AlfonsoXIII lasciò la Spagna che pertanto divenne una Repubblica. I contrasti sociali in-tanto si acuivano sempre più e la maggioranza repubblicana e anticlericale dovevafronteggiare l’opposizione anarchico-sindacalista, ma soprattutto quella dei clericoconservatori. Inoltre, nella regione basca e nella Catalogna agivano forti movimentiautonomistici; anche in Spagna, poi, ben presto si organizzarono veri e propri par-titi fascisti, come la Falange di José Primo de Rivera.

E siamo alle elezioni politiche del 1936 che videro la netta affermazione delFronte Popolare: socialisti, comunisti, borghesi democratici e sindacati. I primi prov-vedimenti del governo repubblicano furono decisamente anticlericali (scuole con-fessionali, beni ecclesiastici, ecc…) e d’altra parte la Chiesa spagnola, arroccata neisuoi antichi privilegi, rimaneva del tutto insensibile alle istanze sociali dei ceti po-polari, così come alle esigenze di rinnovamento civile e laicizzazione della societàspagnola. Eppure proprio la Chiesa era l’unica istituzione che avrebbe potuto evi-tare gli orrori della imminente guerra civile; ma sicuramente era priva, ad esempio,di una pastorale del lavoro, non poteva capire, quindi, il profondo disagio dei lavo-ratori spagnoli, con tutte le tragiche conseguenze; intanto molti religiosi venivanouccisi e chiese, conventi e canoniche assaltati dalle milizie repubblicane, e non solo!

Il 17 luglio 1936 dalle guarnigioni del Marocco iniziava la rivolta militare,alla testa della quale ben presto si poneva il generale Francisco Franco Beamonte,già noto per le feroci repressioni antioperaie nelle Asturie. Franco si riteneva difen-sore della fede e della religione, fu subito appoggiato, perciò, dalla maggioranza delclero spagnolo e i cattolici diventeranno così la sua massa di manovra contro laRepubblica e una sicura base sociale dei militari golpisti. In poco tempo l’insurre-zione militare conquistò la Spagna occidentale, ma la regione basca e la rossaBarcellona, capoluogo della Catalogna, opposero una strenua e valorosa resistenza.

Temendo una Spagna rossa alleata della Francia del Fronte Popolare, in aiutodi Franco intervenne la Germania nazista e soprattutto l’Italia fascista con un fortecontingente militare, il C.T.V. (Corpo Truppe Volontarie), al comando del generaleRoatta: 72 mila unità tra esercito e milizia fascista, in contrasto col principio delnon intervento: era la prova generale del secondo conflitto mondiale. La Repubbli-ca, invece, era appoggiata dalla opinione pubblica progressista del mondo, Francia

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Mattinata e la guerra di Spagna

e Inghilterra, però, si guardavano bene dall’intervenire in aiuto del legittimo gover-no spagnolo. Generosamente, invece, accorsero in Spagna antifascisti da tutto ilmondo, 4000 dall’Italia, tra clandestini e fuoriusciti: andranno a costituire le “Bri-gate Internazionali” che dall’8 al 23 marzo 1937 a Guadalajara infliggeranno ai fran-chisti e soprattutto ai fascisti italiani una cocente sconfitta.

Con l’aiuto della Unione Sovietica alla Repubblica la situazione militare sicristallizzò in una tremenda guerra civile: da entrambe le parti non si facevano pri-gionieri! Anche chi combatteva per la Spagna cattolica ignorava del tutto la pietàcristiana! Il grande poeta Federico Garcia Lorca, una delle vittime più illustri diFranco, solo colpevole di simpatie repubblicane, fu ucciso malgrado avesse trovatorifugio in una casa di amici franchisti.

Nel 1939, grazie anche alle gravi divisioni interne alle forze repubblicane, trasocialcomunisti e anarco-trotzkisti del POUM (Partito Operaio di Unità Marxista),si arrivò addirittura allo scontro armato, Franco vinse e instaurò in Spagna un duroregime clerico-fascista. Dal 1936 al 1947 e oltre, tra caduti in combattimento, daentrambe le parti, e giustiziati dai tribunali franchisti o dalla milizia repubblicana,la guerra civile spagnola significò 1.375.000 vittime! In gran parte sulla coscienzadel cattolicissimo Francisco Franco!

Purtroppo anche da Mattinata partirono legionari “volontari” per la Spagna.In realtà erano dei lavoratori che si arruolarono volontari nella milizia unicamenteper una buona paga, e alleviare così i disagi di una cronica disoccupazione: £ 3000al reclutamento e £ 40 la paga giornaliera. Forse anche alcuni dei nostri lavoratorifurono ingannati dal fascismo: infatti, invece che nell’A.O.I, nelle colonie italianecioè, per far fortuna, si trovarono “volontari” a combattere in Spagna una feroceguerra civile, come i soldati della “Littorio”. Comunque, combatterono valorosa-mente, perché convinti dalla propaganda fascista di difendere la religione e la Chie-sa cattolica, “contro i nemici di Dio, della Patria e della civiltà”; in realtà contro altrilavoratori che difendevano le loro conquiste sociali e un governo legittimo.

Analizzando l’elenco dei nostri militari di leva e non fino al 1939 risulta chealmeno sei legionari di Mattinata partirono in tempi diversi per la Spagna. Il primoa imbarcarsi, il 17 febbraio 1937 è stato Vincenzo Di Bari fu Bartolomeo e di SaccoFilomena (1902 – 1973 ); fece parte della prima divisione camice nere “Dio lo vuo-le”, comando genio, prima compagnia radiotelegrafisti, agli ordini del generale Rossi.Il Di Bari forse prese parte alla battaglia di Guadalajara che, come accennato, signi-ficò una grave e umiliante sconfitta per i fascisti italiani; infatti per la prima volta, econ sorpresa, si trovarono a combattere contro altri italiani, antifascisti, però. Per laverità le truppe di Mussolini dovettero combattere su un terreno sfavorevole,infangato e con pessime condizioni atmosferiche, ma soprattutto isolate dai repartifranchisti; così non pochi legionari disertarono o furono fatti prigionieri dagliantifascisti e trattati, secondo precise direttive, con umanità e comprensione.

Di sicuro, invece, Vincenzo Di Bari prese parte alla battaglia del fiume Ebro,da luglio a settembre 1937. Nella fase iniziale della battaglia i miliziani della Repub-blica riuscirono a oltrepassare vittoriosi l’Ebro, ma poi, proprio con l’aiuto degli

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italiani, i franchisti conseguirono una decisiva vittoria che significherà l’inizio dellafine per la Repubblica spagnola. In queste vicende belliche, per il suo valore dicombattente, il Di Bari meritò due Croci di Guerra e la promozione a caposquadradella compagnia; sarà congedato il 10 giugno 1939.

Il 10 ottobre 1937 si imbarcò per la Spagna anche Esposito Giambattista, diMichele e Tomaiuolo Rosa, classe 1914, vivente; faceva parte del 1° Reggimento,divisione “Littorio”. Un vero eroe durante l’offensiva franchista in Aragona nelmarzo del 1938 e più che meritata la sua Medaglia d’Argento al Valor Militare,conferitagli da Franco con questa motivazione:

Vedetta avanzata di una importante posizione dopo aver dato l’allarme al pro-filarsi di un attacco nemico, da solo si avventava sulla pattuglia nemica piùavanzata catturando due prigionieri. Sopraggiunta la sua squadra combatté conessa incitando alla lotta con la parola e con l’azione.Visti due compagni feriti cadere nelle mani di un nucleo nemico, non esitavaad attaccarlo a colpi di bombe a mano, riuscendo nel generoso intento di porrein salvo i compagni. (Km. 8 strada di Torrevelilla).1

Congedato il 14 giugno 1939, con l’entrata in guerra dell’Italia, il 10 giugno1940, venne richiamato alle armi e assegnato al 10° reggimento “La combattente”operante a Rodi Egeo. Dopo l’8 settembre 1943, fatto prigioniero dei tedeschi fucondotto prima ad Atene e poi in un campo di concentramento in Polonia. Non volleaderire alla Repubblica Sociale Italiana (RSI) di Mussolini e perciò fu trasferito in uncampo di concentramento in Germania, dove i soldati italiani non collaborazionistierano trattati molto duramente. Venne liberato il 1945 all’arrivo dei Russi, coi qualipoi ha collaborato per circa un anno. Nel febbraio 1946 Esposito Giambattista tornòfinalmente in Italia e all’arrivo a Mattinata non fu quasi riconosciuto dai suoi cari.

Ancora nel 1938 soldati di Mattinata furono imbarcati per la Spagna: il 26gennaio Minuti Antonio di Giuseppe e Armiento Maria, nato il 13 aprile 1915; il 5aprile 1938, poi, si imbarcò Guerra Michele, di Michele Matteo e Di Mauro Maria,nato il 18 gennaio 1916. Non sappiamo se anch’essi presero parte alla battagliadell’Ebro, certamente parteciparono all’ultima offensiva franchista in Catalogna,che il 26 gennaio 1939 si concluse con l’occupazione di Barcellona, ultima veraroccaforte della Repubblica.

Gli ultimi due soldati di Mattinata ad essere inviati nel fuoco della guerracivile spagnola furono Di Bari Giuseppe, fu Pietro e di Clemente Francesca, natol’8 febbraio 1903, imbarcato il 24 gennaio 1938, che prese parte al momento finaledella battaglia dell’Ebro, e alla successiva offensiva contro la Catalogna, meritandodue Croci di Guerra; Armiento Giambattista, di Michele e Quitadamo Maria Lu-cia, nato l’8 febbraio 1915, che, imbarcato il 22 luglio 1938, partecipò all’ultima batta-

1 ISTITUTO DEL NASTRO AZZURRO, Albo d’oro. Decorati al valor militare della Capitanata, Foggia, Provinciadi Foggia, 1990, p. 76.

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Mattinata e la guerra di Spagna

glia per occupare Madrid, il 28 marzo 1939. Con la fine della guerra civile, il 1° aprile,il Di Bari sarà congedato il 14 giugno e Armiento Giambattista già il 20 maggio 1939.

I nostri soldati certamente in Spagna hanno combattuto per una causa sba-gliata, come quella franchista, ma si batterono valorosamente e con onore, come iloro padri durante la Grande Guerra; almeno per questo devono essere ricordatidalle future generazioni. Ma non tutte le camice nere in Spagna hanno lasciato unbuon ricordo. Nelle Baleari, ad esempio, la feroce repressione contro i repubblicaniad opera degli squadroni della morte, agli ordini del fascista Arconvaldo Bonaccorsi,mise in crisi le stesse coscienze cattoliche che appoggiavano Franco.

E significativa, poi, la vibrata protesta del rettore dell’Università di Salamanca,lo scrittore basco filonazionalista Miguel De Unamuno, contro i fascisti e gli slogandel generale franchista, invalido di guerra, Millon Astray: “Viva la morte e Abbassol’intelligenza”:

Voi vincerete perché avete la forza bruta, ma non convincerete. A voi mancaragione e diritto nella lotta.

2. Michele Rignanese (1897 – 1937)

Nacque a Monte Sant’Angelo, da Matteo e Maria Michela Piemontese, il 19dicembre 1897. Secondo la descrizione del foglio matricolare aveva gli occhi castani,capelli lisci, il naso greco e il mento regolare; scrivano era la professione annotata,che poi cambierà negli anni.

Chiamato alle armi con la classe del 1897, nel settembre 1916 è assegnato aldeposito del 1° Reggimento bersaglieri. Col grado di caporale del 4° battaglionebersaglieri nel 1917 partecipa a diversi fatti d’arme e il 30 novembre rimane grave-mente ferito alla fronte. Malgrado ciò il 6 agosto 1918, come si legge sempre nel suofoglio matricolare, “è deferito al Tribunale Militare di Roma per insubordinazioneverso gli ufficiali” e in seguito sarà condannato a un anno e un mese di reclusionemilitare. Logicamente per questa condanna al momento del congedo definitivo, il17 maggio 1920, non avrà la “dichiarazione di buona condotta”.

La burocrazia ed essenziale letteratura militare del foglio matricolare nonspiega i motivi reali di un così severo provvedimento, né conosciamo le giustifica-zioni del Rignanese, quindi non possiamo esprimere un giudizio in merito. È op-portuno ricordare, però, che una certa storiografia sul primo conflitto mondiale haaccertato non pochi casi di eccessiva severità (cfr. Emilio Lussu, Un anno sull’alto-piano, Torino, Einaudi, 1997) e autentiche ingiustizie degli ufficiali italiani verso isoldati semplici, specialmente in occasione di rovesci militari, imputabili spessosolo alla imprudenza delle nostre più alte gerarchie militari.

Sicuramente il Rignanese si ribellò a un ordine che riteneva ingiusto, a uncomando che poteva inutilmente mettere in pericolo la sua vita e quella dei commi-litoni. Ma può anche darsi che il nostro bersagliere, come tanti altri fanti, proprio al

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Luigi Gatta

fronte abbia abbracciato gli ideali del socialismo e manifestato in più occasioni lesue idee, magari anche con considerazioni critiche sulla tremenda realtà della guer-ra.

Comunque, una volta tornato a Mattinata continuerà certamente a profes-sarsi socialista, anche in pieno regime fascista. Nei primi anni ’20 fu uno dei respon-sabili della Lega Miglioramenti e poi della cooperativa “Laboremus”, che si aggiu-dicò alcuni lotti della costruenda strada statale Mattinata-Vieste.

Una volta emigrato clandestinamente in Francia, rivelò anche delle interessanticapacità tecniche e doti inventive. Infatti, alla Direzione della Proprietà Industrialedel Ministero del Commercio e Industria di Parigi, in data 26 agosto 1936, risultadepositato il brevetto di una invenzione a nome di Alessandro Azzaroni, questi poiin una dichiarazione del 15 settembre successivo, attribuisce la vera paternità del bre-vetto al nostro concittadino Michele Rignanese. Dalla Francia, però, non dette piùnotizie di sé, neanche ai familiari, che già dal settembre 1937 lo consideravanointrovabile, e le stesse autorità italiane ne persero in seguito, e per anni, le tracce.

Molte congetture si fecero così a Mattinata sulla sua fine, anche se qualcunogiurò di averlo visto in Africa. Ma il 1938 arrivò a Mattinata, forse proprio dallaFrancia, una lettera anonima che chiariva “come aveva raggiunto il suo ideale tro-vando la morte sul fronte di Spagna, anche se amava tanto la sua famiglia”. E natu-ralmente i familiari, la moglie Ida e le figlie Jole, Annita ed Elena, non vollero maicredere alla sua morte, anzi per decenni attesero un suo messaggio, anche se invano:per loro sembrava proprio sparito nel nulla!

Come vedremo in seguito, dopo 40 anni di inutile e rassegnata attesa il nipoteMatteo Rignanese volle iniziare una sua ricerca dello zio scomparso, verificandoper prima cosa la sua eventuale morte come combattente antifranchista in Spagna.Militante comunista, Matteo Rignanese pensò bene di interessare il suo partito, ilPCI, per avere notizie certe dello zio scomparso. Scrisse all’on. Pajetta e dopo po-chi mesi finalmente la verità su Michele Rignanese, antifascista e tra i primi sociali-sti a Mattinata: effettivamente era caduto in combattimento in Spagna, in difesadella civiltà contro la barbarie nazifascista.

3. Michele Rignanese: “Morire per la libertà del mondo”

Non abbiamo elementi per poter parlare di una presenza socialista a Mattinataanche nei primi anni della dittatura fascista. Certamente, però, il segretario della coo-perativa “Laboremus”, Michele Rignanese, era un socialista e considerato ‘sovversi-vo’ dalle autorità fasciste, anche se in realtà non esplicò alcuna attività di propagandain Mattinata, paragonabile, per esempio, a quella della cellula comunista.

Non è escluso, però, che facesse dell’antifascismo attivo quando si recava aRoma dai parenti della moglie Ida Morghen. Infatti, nel settembre 1929 venne arre-stato proprio in Roma e senz’altro per motivi politici; giunto il 1° ottobre in tradu-zione dalla capitale come ‘sovversivo’, dalla Regia Questura di Foggia fu poi conse-

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Mattinata e la guerra di Spagna

gnato al comando della Compagnia dei RR.CC. affinché “con l’ordinaria corri-spondenza dell’Arma” fosse fatto proseguire per Mattinata e “consegnato a quelDelegato Podestarile”.2

Il Questore di Foggia, Caruso, dispose altresì che il Rignanese, proprio per-ché “diffidato dalla Questura di Roma, ai sensi dell’articolo 158 della Legge di P.S.”(in caso di espatrio clandestino), fosse rigorosamente vigilato, per non perdere letracce, e segnalato immediatamente nella eventualità che si allontanasse dalla suaresidenza. Il Delegato del tempo Michele Giordani (che in realtà era l’amanuensedella Delegazione ed evidentemente sostituiva il Delegato Giovanni Malagoli nellefunzioni) dové assicurare una particolare vigilanza sull’antifascista Rignanese, checertamente fino a quando non emigrò in Francia nel 1936, forse in forma clandesti-na, non gli procurò alcuna noia.

Intanto in Spagna, come già detto, da qualche anno infuriava la guerra civiletra repubblicani e franchisti. Dopo aver soggiornato per alcuni mesi tra Parigi eVersailles, agli inizi del 1937 il socialista Michele Rignanese, originario della borga-ta Mattinata, accorre in Spagna, come tanti altri volontari, per combattere controFranco e il fascismo italiano.

È uno dei tanti garibaldini che formano la compagnia italiana del Battaglione“Dimitrov” (XV Brigata Internazionale). Appena giunto in Spagna, evidentementedopo qualche settimana di addestramento, forse ad Albacete, lui già esperto di armiin quanto reduce del 1° conflitto mondiale, col suo battaglione prende parte allabattaglia di Morata De Tujunia, per respingere l’offensiva franchista tesa a isolareMadrid. Oltre la metà furono le perdite del “Dimitrov”, tra dispersi, feriti e morti,nell’elenco dei caduti sul fronte dello Jerama figura anche il nostro concittadinoMichele Rignanese (Rignanesi, senz’altro per un errore di trascrizione), deceduto il12 febbraio 1937, e le cui spoglie riposano ancora nel cimitero spagnolo di Morata.3

La resistenza e il valore soprattutto delle Brigate Internazionali fecero fallirel’offensiva nemica: franchisti e fascisti saranno poi ancora sconfitti, come già detto,nel marzo del 1937 a Guadalajara. Il comunista Luigi Longo, ispettore generaledelle formazioni internazionali, esaltò commosso l’eroico comportamento dellacompagnia italiana del Battaglione “Dimitrov”, della XV Brigata Internazionale,“per il grave tributo di sangue dato per difendere la terra di Spagna”.4

Certamente non sfugge il significato della morte di Michele Rignanese nel-l’inferno della guerra civile spagnola. Eppure il suo sacrificio è rimasto ignorato a

2 ARCHIVIO COMUNALE MATTINATA, b. cat. XV, P.S., 1929.3 Il suo nominativo è riportato in GIACOMO CALANDRONE, La Spagna brucia, Roma, Ed. Riuniti, 1974, pp.

88-90-93.4 Ibid., p. 93. La prima Brigata Internazionale ad essere formata è stata l’XI, comandata da E. Lister (un ex

cavapietre), con 3 battaglioni, uno dei quali in ricordo de La Comune di Parigi. La seconda formazione interna-zionale, la XII Brigata Internazionale, al comando del Generale ungherese Lukas, comprendeva 3 battaglioni,uno dei quali era il “Garibaldi” (di Italiani); la XII Brigata ha partecipato alla battaglia di Madrid e Guadalajara.La XV Brigata Internazionale comprendeva anche il battaglione “Lincoln” (volontari Americani, tra i quali E.Hemingway). Non più di 40 mila erano complessivamente i volontari internazionali in Spagna.

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Luigi Gatta

Mattinata per decenni. Pensando alla sua gloriosa fine ci viene in mente il motto deivolontari polacchi in Spagna: “Per la vostra e la nostra libertà”.

Il fascio di combattimento di Mattinata il 19 marzo 1939 fece celebrare unamessa in suffragio di tutti i valorosi caduti italiani nell’A.O.I. e in Spagna.5 Senz’altroi nostri fascisti quel giorno non potevano mai immaginare che l’unico caduto diMattinata in terra di Spagna fosse proprio il sorvegliato speciale, da mesi irreperibi-le, Michele Rignanese.

Dobbiamo considerare, inoltre, che solo il tempo ha evitato nella già cruentaguerra civile spagnola anche l’eventualità di uno scontro fratricida tra Mattinatesi:il Rignanese, infatti, era già caduto in combattimento quando partirono per la Spa-gna i nostri soldati e camice nere, che, come abbiamo visto, presero anch’essi parteai fatti d’arme della grande “battaglia dei 3 fiumi” (lo Jerama, il Manzanarre e ilTajunia) per isolare e occupare poi Madrid.

Queste le cifre dell’intervento italiano in Spagna: 100 mila uomini, 1930 can-noni, 113 automotrici, 7688 automezzi e 763 aerei; risultato: 6 mila caduti.

4. Matteo Rignanese: alla ricerca dello zio antifranchista

Riteniamo interessante riportare lo scambio di corrispondenza che ha per-messo a Matteo Rignanese di sapere, finalmente dopo tanti anni, la verità sulla scom-parsa dello zio Michele Rignanese.

-I-

Al CompagnoGiancarlo PajettaCAMERA DEI DEPUTATI

R o m a

Caro compagno,

mi scusi se sto a darti un po’ di noia.Sono un compagno comunista, segretario di sezione e Consigliere comunale

del Comune di Mattinata (Foggia-Gargano).Sempre nell’ambito del possibile, vorrei attingere eventuale notizia riguar-

dante un mio zio (fratello di mio padre) tale Rignanese Michele, fu Matteo e fuPiemontese Maria Michela, nato a Monte Sant’Angelo (Fg) il 19-12-1897 e residen-te a Mattinata (Fg), che in occasione della Guerra di Spagna nel 1936 abbandonan-

5 La Voce del Pastore, «Bollettino Parrocchiale di Mattinata», aprile 1939.

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Mattinata e la guerra di Spagna

do tutto riparò in Francia e precisamente a Versailles e poi in terra di Spagna acombattere il fascismo. Il 1938 arrivava a Mattinata forse dalla Francia una letteraanonima, “come aveva raggiunto il suo ideale trovando la morte sul fronte di Spa-gna, anche se amava tanto la sua famiglia”.

Noi famigliari quella lettera anonima non l’abbiamo mai creduta con la spe-ranza che un giorno fosse ritornato ma invano!

Ora sono trascorsi quasi quarant’anni e non facendo più ritorno mio zio èstato necessario rivolgermi al nostro Partito con la speranza di ottenere qualcheeventuale informazione necessaria.

Penso che il Partito avrà una specie di brogliaccio e compagni che lo posso-no (bensì che sono passati tanti anni) ricordare? Ad esempio il compagno Vidali,Longo, Terracini.

[…]Mi voglio augurare tutto bene e ringrazio immensamente inviando i più fra-

terni saluti. Prego farmi sapere sempre nell’ambito del possibile.

CompagnoMatteo Rignanese

Mattinata, 18 gennaio 1974

-II-

PARTITO COMUNISTA ITALIANODIREZIONE

Roma, lì 28 marzo 1974Via delle Botteghe oscure

Prot. N. 833/ra

Compagno Matteo RignaneseVia Amicarelli 65

MATTINATA (Foggia)

Caro compagno,

Ecco le notizie che tanto desideravi. Ti allego la lettera che è stata inviata alcompagno Pajetta dal compagno Vanelli. Puoi metterti direttamente in contattocon lui per avere gli oggetti appartenuti a tuo zio.

Scusami se rispondo io, ma in questi giorni, come puoi immaginare, il com-

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Luigi Gatta

pagno Pajetta è molto impegnato ed ho pensato che questa notizia era bene comu-nicartela subito, tanto più che la lettera da Bologna è arrivata a Roma con moltoritardo. Queste poste proprio non funzionano!

Cordiali saluti e auguri di buon lavoro.

p. la segreteria diGiancarlo PajettaAnna Rasetti.

- III -

FRATELLANZA EX GARIBALDINI DI SPAGNAComitato Promotore

Bologna 24 febbraio 1974… Espana e Italia Via Rizzoli, 9 (40125)… di Prot.… Caduto RIGNANESE Michele

Al CompagnoGiancarlo PajettaDirezione del P.C.I. R O M A

Caro compagno,

le notizie che ti trasmetto in merito al Comp. Combattente in oggetto sonobrevi in quanto le ricerche effettuate tra i combattenti viventi non hanno dato ilrisultato che noi speravamo, in quanto il suo nome non è stato citato da nessuno epenso che la ragione di ciò sia dovuta al fatto della sua breve permanenza a Parigi edanche che tutti i combattenti che hanno fatto parte alla Compagnia Italiana delBattaglione Dimitrov (XV Brigata Internazionale) sono giunti in Spagna nel gen-naio 1937 e che nel loro primo incontro con il nemico – che era in piena offensiva –avvenuto il 12 febbraio 1937 a Morata de Tajunia, oltre la metà furono le perdite inmorti e feriti, e nell’elenco dei caduti figura anche il comp. RIGNANESE Michele.

Le notizie della sua morte sono state pubblicate su libri e su riviste sociali:Garibaldini in Spagna di Estella (Teresa Noce), sul libro Quaderni Italiani volume3° pubblicato a New York nel 1943, sul libro La Spagna brucia di G. Calandrone econtengono solo il nominativo, data e luogo di morte.

Qui in deposito, tra gli oggetti appartenenti ai caduti, abbiamo il portafoglio

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Mattinata e la guerra di Spagna

con alcune lettere – che il Rignanese non poté leggere – alcuni documenti e fotogra-fie che potremmo, se richieste, trasmetterle a qualche famigliare. Questo è tutto.

Saluti fraterni

In allegato ti invio Copia della Patentedi Guida del Rignanese il Segretario

Lorenzo Vanelli

- IV -

ASSOCIAZIONE ITALIANA COMBATTENTI VOLONTARIANTIFASCISTI DI SPAGNACOMITATO REGIONALE EMILIA ROMAGNA

PRESIDENZA D’ONORE Bologna, lì 18 aprile 1974I Caduti nella Guerra di Spagna Via Rizzoli, 9E nella Lotta per la Libertà

Giaele ANGELONI Al comp. Matteo RignaneseEnrica BATTISTELLI Via Amicarelli, 65Arrigo BOLDRINI 71030 MATTINATAPiero CALEFFILuigi LONGOEmilio LUSSUPietro NENNIFerruccio PARRISandro PERTINIGiovanni PESCEMario RICCIUmberto TERRACINI

Caro compagno,

esaudendo il tuo desiderio, espresso nella tua del 15 aprile 1974, ti spedisco,in pacchetto raccomandato, i documenti relativi al tuo zio, Compagno Michele,dispiacendomi di non poterti rilasciare notizie più ampie di quelle già rilasciatenella mia precedente.

Per quanto riguarda i libri che desidereresti avere solo uno di essi potrestivenirne in possesso, ed è il più importante: si tratta del libro Garibaldini in Spagna

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Luigi Gatta

di Teresa Noce (Estella), contenente articoli e corrispondenze dal fronte sia di com-battenti e di comandanti che potrai trovare presso l’Editore Feltrinelli il quale ne hafatto una ristampa in questi ultimi anni.

Abbiti i miei sinceri auguriLorenzo Vanelli

- V -

Il 31 ottobre 1983, l’allora Sindaco di Mattinata Insegnante Giuseppe Argen-tieri prese una lodevole iniziativa. Conoscere con esattezza il luogo della sepolturain Spagna del combattente repubblicano Michele Rignanese, ed eventualmente ot-tenere il ritorno della salma a Mattinata.

Scrisse perciò prima all’Ambasciata spagnola in Roma e poi al Consolatoitaliano di Madrid; la risposta non tardò: il nostro antifascista Rignanese era sepoltoin una fossa comune a Morata de Tujunia, impossibile, quindi, il rimpatrio dei po-veri resti.

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Antonella Iacobbe

Dalla poetica della “terra” alla traduzione:Umberto Fraccacreta e Marthe Yvonne Lenoir

di Antonella Iacobbe

Nella poliedrica attività intellettuale ed impegno di studio di UmbertoFraccacreta, credo che un rilievo particolare debba essere dato alla sua qualità ditraduttore. Non si può affermare che il Fraccacreta abbia una posizione fra i poetiitaliani, nonostante le sue numerose opere; egli è una di quelle figure cosiddetteminori di letterati e scrittori dei quali per offesa del tempo, incuria o esclusione dalcanone, si è quasi perduta la memoria. Con la sua morte vi è stata una svalutazionedella sua produzione letteraria, pur se egli seppe essere un poeta aperto alle lezionidella letteratura europea, farle proprie ed esprimerle in modo autentico e sincero.

Umberto Fraccacreta, poeta di San Severo, uomo colto ed intellettuale delprimo ‘900, è ristretto nella formula “Poeta del Tavoliere” poiché espressione dellaletteratura georgica della Capitanata.

Ebbe una vita semplice e poco movimentata, uomo introverso, riflessivo, riuscìa cogliere e ad esprimere le sofferenze e i dolori legati ai lavori dei campi.

La sua fanciullezza fu segnata da una forte malinconia determinata dalla se-verità con cui fu educato. Ben presto si rivelò in lui un forte interesse per gli studiumanistici; riprese contro la volontà del padre gli studi letterari, mostrando unaparticolare ammirazione per le letterature straniere tanto da seguire corsi di inglesee tedesco a Roma e per perfezionarsi si recò nel 1922 all’estero.

Il suo interesse per la letteratura straniera si evidenzia già nell’esaminare lasua raccolta libraria privata, ove si possono trovare libri come Discorso del Metodo,Meditazioni filosofiche di René Descartes, Preziose ridicole e Il Tartufo di Molière,La tragica storia del Dottor Fausto di Marlowe, Don Chisciotte di Miguel deCervantes, ma Umberto Fraccacreta predilesse autori di fine ottocento, inizi nove-cento come: Edouard de Goncourt, Guy de Maupassant, Charles Baudelaire,Mallarmé, Dickens, Kipling.

Di modeste abitudini, tipiche di un paese meridionale, si sentiva fortementelegato alla sua terra, la Puglia, il cui paesaggio imperverserà nel suo poetare.

Verso il 1917 incominciò a far leggere qualche sua poesia ai suoi maestri, neiquali non trovò nessun incoraggiamento, solo da Benedetto Croce, nel 1919, rice-vette degli elogi per quelle poesie, trovandole “molto pregevoli per semplicità egarbo, come ormai fatte rarissime!”.

Per dieci anni rimase in silenzio, ma sotto invito di Ezio Levi riprese il suo

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Dalla poetica della “terra” alla traduzione: U. Fraccacreta e M. Y. Lenoir

scrivere e fece del suo poetare il canto della sua terra, ed ecco che troviamo poesiepregne di riconoscenza verso il contadino, verso il suo lavoro, e verso la primeforma nutrizionale per l’uomo: Il Pane.

Negli anni in cui il Fraccacreta incominciò a scrivere (1928-1929) in Italiaimperversava una forte letteratura provinciale, basti pensare ad autori come Gio-vanni Papini, Ardengo Soffici, Enrico Pea, Ettore Allodoli abili nel saper rappre-sentare il paesaggio e la gente della propria terra.

Per il nostro autore la sua terra non è momento di contemplazione o occasio-ne di rimembranze ma diviene il vero fulcro, il vero soggetto del suo poetare.

La campagna ha enormemente influenzato gli autori di tutti i tempi, bastiricordare Virgilio, Pascoli, Carducci da cui il nostro autore fu enormemente in-fluenzato, o autori che furono voce della loro regione facendola diventare voceuniversale come Giovanni Verga, Grazia Deledda, Sebastiano Satta.

Le opere del Fraccacreta, inoltre, si collocano nel periodo fascista pur nonpresentando alcun elemento di propaganda, solo la prima guerra mondiale lasceràdei segni all’interno di esse. In tale periodo imperversava il futurismo, la cui poeticaandava contro il sentimentalismo, gli scrittori si abbandonarono all’analogia pre-sentando un interesse verso la velocità, la rapidità di comunicazione che imponecertamente un abbandono della sintassi. Ecco il motivo per il quale le poesie delnostro autore non piacquero in quel periodo ai suoi maestri. Egli non seguirà letendenze del momento, ma conserverà una eleganza ed una forbitezza stilistica ti-piche dello scrivere classico. In lui vi è romanticismo, classicismo, realismo ed ele-menti della poesia crepuscolare, del loro gusto per i toni e gli oggetti dimessi eminori. Il crepuscolarismo presentava il desiderio di un ritorno alle più intatte sor-genti di vita naturale, una stanchezza dell’esistenza faticosamente impegnata nellelotte del presente.

Il Fraccacreta sentiva dentro di sé l’angoscia di vivere, il passare del tempo, ilsenso di solitudine, l’incapacità ad adeguarsi alla vita circostante, temi che caratte-rizzano fortemente il romanticismo e che hanno portato molti critici ad avvicinareil Fraccacreta al Leopardi.

I temi delle sue opere, e romantici e crepuscolari, sono improntati da un fer-vente realismo che va a caratterizzare la descrizione della vita campestre e ciò fece sìche il Fraccacreta fosse ingiustamente accusato da alcuni critici di “immobilismosociale”; ingiustamente poiché il nostro autore non si interessa esclusivamente dellasua terra, ma nella sua produzione letteraria troviamo dei poemi che ci presentanoun nuovo volto del poeta, il suo grande interesse per l’amore.

Pur se appartenente ad una famiglia aristocratica, seppe avvicinarsi alla suagente con profonda sensibilità, ed esprimere le loro sofferenze, la loro miseria, illoro dolore.

Anche se non seppe levarsi alle altezze espressive e sentimentali di poeti a noinoti, il suo poetare ebbe notevole importanza come scoperta di un mondo ruraletipico nei suoi costumi e nella sua mentalità, come valorizzazione delle tradizionilocali nel momento in cui si tendeva a creare un costume di vita unitario che fatal-

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Antonella Iacobbe

mente si sarebbe sovrapposto alle caratteristiche regionali soffocando gli aspettigenuini e spontanei di forme sociali che avevano radici secolari nella vita autonomadelle nostre regioni.

Tutta la sua opera ha un solo protagonista: il Tavoliere, col suo popolo esoprattutto il suo paesaggio. Egli ci descrive una società di miseria contadina, chenon gli apparteneva, facente parte di una famiglia aristocratica allora importanti,ma proprio ciò gli permise di avere acuto e pungente il senso che la vita vera biso-gnava cercarla al di fuori della propria cerchia sociale, dove non si combatteva confisime e con ombre, ma con cose salde e con bisogni inesorabili, col pane quotidia-no.

Umberto Fraccacreta godette ai suoi tempi di una grande notorietà, ottenutaper tre delle sue opere: Poemetti, Elevazione e Nuovi Poemetti.

Tre volumi scritti in quindici anni, questo indica una certa serietà da partedell’autore.

Nel 1935 i Poemetti furono tradotti in francese da Yvonne Lenoir, con iltitolo di Chants d’Apulie; nel 1938 toccò ad altre due opere del Fraccacreta, adIgnota e Straniera, resi in francese da Pierre de Montera, divenendo Deux poèmesd’amour.

All’estero l’opera del Fraccacreta ebbe molta fortuna soprattutto in Francia eSpagna, ma anche i rumeni Alexandru Marcu e Alexandru Balaci e la belga SuzanneMisset scrissero sull’argomento. La prof. Venturo Lamedica afferma che le antolo-gie delle scuole medie e del ginnasio superiore usate per i suoi studi riportavano Latomba d’oro, Il gelsomino, Nevicata e brani da Il Pane.

Francesco Flora comprese Fraccacreta nella sua Storia della letteratura ita-liana, ponendolo tra coloro che sono nell’aura della tradizione, pur con sensi mo-derni; e il volume sul Novecento della Storia letteraria d’Italia della Vallardi, cura-to dal Galletti, dedica al nostro lo stesso spazio che ha Saba.

Nel 1937 l’Accademia d’Italia premia il poeta per la sua opera. Fra il 1934 e il1948 saranno pubblicate: Motivi lirici, Antea, Amore e Terra, Vivi e morti, Sotto ituoi occhi, Ultimi canti.

Nei Poemetti e Nuovi Poemetti si evidenzia la fatica contadina, vi sono inrisalto gli elementi naturali; Fraccacreta insiste sul concetto di terra, la terra che nonè la materia tout-court coglie gli elementi materiali nel legame con l’originario, laterra si fa parola.

All’apice di tali opere epico-liriche1 vi è Il Pane. La lirica si apre e si svolgesulle sponde del Tavoliere, dal quale si delinea la figura di un vecchio coltivatoreche, fiducioso, dopo anni di cattivo raccolto, si ostina ancora a seminare quel pocoche gli rimane nel suo granaio e quasi non regge quando sente che il figlio vuoleabbandonare la terra ed emigrare.

1 Cfr. Pierre RONZY, L’oeuvre poètique d’Umberto Fraccacreta, in Cahiers franco-italiens “Ausonia”, 1936,3 (lug. - sett.), pp. 3-4.

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Dalla poetica della “terra” alla traduzione: U. Fraccacreta e M. Y. Lenoir

Lirica che ricevette le migliori critiche, basti citare l’affermazione di ManaraValgimigli: “Le poème du pain, […], est vraiment le poème du grand Tavoliere chargéd’épis”.2 Ecco troviamo una terra piena di “spirito”, un sentimento religioso dellaterra; sin da Virgilio la terra era considerata come elemento di creazione e di distru-zione, “grembo e sepolcro delle razza”,3 sentimento pagano presente in UmbertoFraccacreta mescolato con un forte sentimento cristiano.

Fu proprio la vasta pianura pugliese che diede al Fraccacreta quella malinco-nia e quella purezza che lo caratterizzano.

Il lavoro dei campi, rappresentato nelle diverse stagioni e cicli cosmici, di-venta materia inesauribile nella sua produzione letteraria, ed è proprio dalla sempli-cità della terra, pregna della solitudine e di silenzi, che è caratterizzata l’opera delnostro autore. Quella del Fraccacreta si presenta come un’anima pensosa, pronta ameditare sulla vita della sua terra, e per far ciò il poeta popola le campagne, immersenella notte, con i suoi pensieri ed i suoi sentimenti.

Con queste caratteristiche nasce L’Assiolo, da molti associato a Il Passerosolitario del Leopardi, una specie di canto dipinto di romanticismo, dove il tuttoviene espresso con una emozione ed una purezza che coinvolgono il lettore.

La Puglia, regione d’Italia, viene rappresentata come una delle regioni in cuila vita è basata sulla terra e gli uomini sono legati da una sorta di legame religiosoprimitivo e sacro. Meditazioni melanconiche e religiose, cose viste e contemplatedagli occhi del corpo e interpretate con un cuore vibrante.

Fraccacreta ha fatto per la Puglia ciò che Brizeaux sperava di fare per la suaBretagna e ciò che Mistra è riuscito a fare per la Provenza.

La costruzione, la lingua, il verso, lo stile, derivano tutti dal mondo classico.Il Fraccacreta si appropria della cultura classica durante il periodo trascorso pressoil Liceo classico di Lucera.

Grande ammiratore del Pascoli, tanto da subirne l’influenza in ciò che con-cerne i contenuti.

Nel Fraccacreta, come nel Pascoli è presente il sentimento dello spazio e deltempo familiare, il passato fatto di memorie e tradizioni certe, il presente colmo diopere fiduciose, il futuro preveduto sicuramente nel succedersi uguale delle stagio-ni e dei lavori agresti.

Altra caratteristica che accomuna i due autori è la limitazione estrema ad unambito sociale, quella che nel Pascoli sarà poi la riduzione della famiglia al “nido”.La tragedia avviene nel momento dell’abbandono di tale “nido” o per forzaturadall’esterno o per violenza, in questo caso bisogna ricollegarsi all’importanza in IlPane di non abbandonare la propria terra.

Lo stile è di derivazione classica, ma il vedere le cose che lo circondano gli dàla modernità.

2 Manara VALGIMIGLI, Prefazione a Umberto FRACCACRETA, Poemetti, Bologna, Zanichelli, 1929.3 Cfr. Rafael CANSINOS ASSENS, Critica Spagnola della poesia italiana, prefazione di Ezio Levi, Milano,

Edizioni Terra di Puglia, 1932.

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La poesia del Fraccacreta presenta un ritmo tranquillo, plasticità scultorea,esametro classico.

La proporzione tra le forme date e la materia da esprimere è evidente, vi èuna soluzione metrica di carattere classicistico e un impasto linguistico di stampocarducciano, ma questo non significa che le opere di stampo classicistico, ispiratealla civiltà, contadina non possano incontrare il favore anche dei lettori dell’epocapostindustriale.

Le sue poesie sono segnate da un ritmo tranquillo, e i sonetti e le poesiesegnate da tale ritmo sembrano che si adattino meglio all’andatura naturale del suopensiero malinconico.

Dunque compostezza di ritmi, uso degli endecasillabi caratterizzano ancoraL’Assiolo e Cantoria, i poemetti che meglio esprimono il tono lirico dell’arte delFraccacreta.

La prima raccolta è quella che risente maggiormente della vena classica, men-tre in poemi come l’Ignota, la Straniera ed Antea troviamo descrizione e riassuntidelle proprie impressioni, la natura mescolata con espressioni di sentimenti dal tonomelanconico.

In tali poemetti troviamo la natura, il sentimento imperniato di una grannostalgia, la passione espressa con gioia e rimpianto, l’anima femminile presentequasi in figura d’ombra.

La natura e l’amore sono in completa armonia. Egli ha voluto soprattuttoprendere un soggetto di studio nella vita reale, creare, plasmare dei tipi veri nellaclasse contadina, presentando al lettore il quadro vero di quello che si trova piùspesso nel mondo.

Non abbiamo la semplice descrizione, ma attraverso gli elementi della naturasentiamo l’anima di essa, messa ancora di più in risalto dalla presenza delle creaturee dei contadini.

Nel Fraccacreta è presente anche un forte sentimento religioso.Il sentimento cristiano di Fraccacreta sarà presente in quasi tutte le sue ope-

re, ci sarà l’omaggio alla Madonna del Soccorso, la Madonna Nera patrona di SanSevero, la descrizione delle edicole votive, la rimembranza dei pellegrinaggi al San-tuario dell’Angelo.

Inoltre bisogna pensare alla corrispondenza tra il calendario religioso e quel-lo agreste, sembra quasi che il lavoro dei campi voglia essere lavoro offerto a Dio, esembra mettere in risalto come l’uomo possa essere redento da Dio.

Anche attraverso minuzie di particolari riesce a cogliere il significato del-l’esistenza.

Il Fraccacreta non è solo il poeta del Tavoliere, ma le sue ultime poesie sonoambientate a Como e a Roma.

La sua forma poetica si svolse con una fraseologia che segue le movenze deimaggiori poeti italiani e latini come: Carducci, Virgilio, Ovidio. Non è una poesiavaria di tono né ricca di spunti, anzi un po’ uniforme e senza sorprese.

Ad ogni modo ritroviamo la fedeltà a certi temi, che dove li esamina, rispon-

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Dalla poetica della “terra” alla traduzione: U. Fraccacreta e M. Y. Lenoir

dono in modo limpido. Più che da certe parole la bellezza di tali opere nasce dalmovimento del canto coinvolgente, e dal sentimento e non dal linguaggio, poichéquest’ultimo avvolte cade in pedanteria.

In Fraccacreta vi è un distacco dalla polemica civile e politica della sua socie-tà, questa rinuncia porta ad una celebrazione aperta della vita.

L’arte del nostro autore non consiste né nella forma esteriore, come volevanoi classici, né nel contenuto o idea, come ritenevano i romantici, ma è la sintesi dientrambi gli elementi: è un contenuto, un’idea, una somma di pensieri o di senti-menti che trovano la loro perfetta espressione in una forma poetica, con la qualesostanzialmente si identificano.

Con addentellati di carattere tradizionale, gli scritti di Fraccacreta assumonoun sapore folclorico che deriva dall’analisi e dalla descrizione attenta e minuziosa diun luogo provinciale e di piccoli borghi.

È la vita del paese con le sue tradizioni, in tutta la sua carica di vitalità, cheviene alla luce in un’armonica espressione definitivamente lucida e chiara, che neavvalora la freschezza e la genuinità. La ricerca estetica, lungi da formalismi, tenta,attraverso una forte introspezione, di scrutare nell’animo umano per denudarlo escoprirne le più intime tribolazioni.

In lui vi è un unico grande desiderio, di permeare la vita di una spiritualitàche nella sua genesi reale ha profonde radici nella sofferenza, nel dolore. La vita èespressa e attraverso canoni veristi, e romantici, e classici, e realistici.

La descrizione della vita umile del paese, della sua realtà semplice, del suofolklore romantico dà all’opera del Fraccacreta una validità sia storica, sia letteraria,che, a prescindere di giudizi superficiali, può considerarsi molto attuale e modernanella sua trattazione spontanea.

Per tali caratteristiche, l’opera del Fraccacreta ebbe molta fortuna all’estero,in Francia e in Spagna.

Gli scritti del Fraccacreta ebbero una tale risonanza da destare l’interesse delcritico spagnolo Rafael Cansinos Assens.

Egli dedica a Poemetti ed Elevazione due scritti: La poesia del pane creatricedi miti e di riti (in «Libertad» di Madrid, novembre 1929) e Sensi pagani e sensicristiani (ibid., agosto 1931).4

Egli considererà i componimenti del nostro autore come: “Sonetti di fatturaimpeccabile, di un ritmo tranquillo che li fa solenni col solo incanto della loro inti-ma malinconia, senza però che dell’imponenza abbiano alcuna pretesa od ostenta-zione. La plasticità scultorea viene loro dall’idioma stesso in cui sono espressi e nonda alcuno impiego di speciale ceselli”.5

Rafael Cansinos Assens mette in evidenza come il Fraccacreta, con le suedeterminazioni concrete e i suoi limiti, non mortifica l’ampiezza e la profondità

4 Ibid., p. 32.5 Ibid., p.14.

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della poesia classica; strofe saffiche, dall’esametro classico, che però non ostacolanol’espressione del suo temperamento giovanile.

Con la sua semplicità d’animo riesce ad esprimersi con un verso chiaro, purrifacendosi a Carducci, Pascoli, d’Annunzio.

“È sempre bene che sorga un poeta che sia intento alla bellezza antica e canticome un usignolo, invece di fischiare come fanno i merli. Sul piano di Puglia,Umberto Fraccacreta eleva la sua poesia con gesto grave e puro”.6

Se è vero che il Fraccacreta pone i classici e il passato come modello, è altret-tanto vero che egli descrive una realtà viva, esperenziale e non un concetto astratto.

Infatti, di per sé non esiste la sua poesia, ma essa va a servizio dei miti, dei riti,del lavoro del contadino visto come “fede”; il lettore sente che esiste colui che vivein quel particolare atteggiamento dello spirito che è la fede.

Questa crescita e sviluppo della fede, considerata come attaccamento al lavo-ro, si attua, in Umberto Fraccacreta, in una triplice direzione: nella conoscenzadiretta del lavoro della gente umile, nell’amore, nell’azione. Sembra esserci un’op-posizione o netta distinzione fra elementi pagani ed elementi cristiani, ma il nostroautore non si allontanerà mai dalla fede cristiana, presente in modo esplicito inmolte sue poesie.

Il rifarsi agli antichi, non significa pedante erudizione retorica, ma l’evoca-zione dell’altro permette una maggiore evocazione di se stesso, resa possibile dauna preparazione morale fatta dalla conquista effettiva di una consapevolezza criti-ca della condizione umana.

Il poema Il Pane permise di far conoscere il nostro autore e la terra pugliesein Italia e all’estero. Paul Guiton affermò che, dopo Mistral, nessun poeta ci avevadato canti siffatti in onore della terra e dei suoi coltivatori.

All’estero, l’opera del Fraccacreta ebbe molte fortuna; nel 1935, Pierre DeMontera, in “Etudes Italiennes”, scriverà: “Tout cela est écrit dans une langue claire,infiniment souple, où l’on ne sent jamais l’effort ni la recherche, où les plus beauxeffets naissent de la semplicité de l’expression. Les vers coulent si amples, si naturelsqu’on se prend à croire, en les lisant, que la vraie poésie n’est pas tout à fait morte”.Un anno dopo Maurice Muret, nell’avant propos de Chants d’Apulie, dirà: “Je nevois personne parmi les jeunes poètes d’Italie qui méritat à l’égal de l’auteur desPoemetti et d’Elevazione d’être connu hors de sa patrie”. Anche Misset Suzannerivela il talento dell’autore e l’epopea della sua terra, “dalla quale come un atto difede attinge il cielo”.7

Pierre Ronzy suddivide, in L’oeuvre poétique d’Umberto Fraccacreta, l’ope-ra poetica del nostro autore in una parte epico - lirica ed una esclusivamente lirica,entrambe caratterizzate da una profonda originalità. Da uno scrittore così ricco dioffesa pietà per gli umili, ci si sarebbe aspettato veramente un approfondimento

6 Ibid., p.19.7 Suzanne MISSET, Chants d’Apulie par Umberto Fraccacreta, traduit par Yvonne Lenoir, in «Terres Latines»

IV (1936), 10 (dicembre), p. 362.

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Dalla poetica della “terra” alla traduzione: U. Fraccacreta e M. Y. Lenoir

delle sue preferenze sentimentali e delle sue convinzioni morali, una loro chiarifica-zione e certificazione in una sia pure rudimentale ideologia sociale.

Ma questo non avvenne, sia per l’ambiente sociale in cui si era formato il suocarattere, sia per la politica fascista del tempo, sia per la sua concezione artistica.Tutta l’ispirazione del Fraccacreta passa attraverso tre momenti: un momento diabbandono fantastico, più propriamente lirico; un momento meditativo ed illustra-tivo; e un momento poetico vero.

Quando si asserisce che il Fraccacreta ritorna alla tradizione letteraria, non sideve pensare che questa intervenga come un freno, non è che si tratti di una coazione,non immette in uno stato passivo.

Se il Fraccacreta e i suoi contemporanei francesi sono ricorsi alla tradizione,è perché hanno sentito la necessità di un discorso grammaticale che potesse espri-mere, nel migliore dei modi e in tono melodico, la sintesi tra immagini di natura esentimento.

A volte la sua poesia è eccessivamente piena, carica di preziose trovate, tantoda rasentare la stucchevolezza; ma dove la sintesi è più viva presuppone un suovivo contenuto poetico.

Nel Fraccacreta migliore è sempre presente comunque la sua bravura, la suaumanità attenta e profonda.

Certamente le opere del Fraccacreta non presentano il carattere di provoca-zione, non danno adito a laceranti giudizi.

Varrebbe la pena forse di cercare di capire, attraverso quali esperienze UmbertoFraccacreta abbia sempre più affinato in sé l’esperienza letteraria.

L’affinamento della sua ricerca artistica è dato da un continuo scambio diidee con amici francesi, in particolar modo con Yvonne Lenoir e Pierre de Montera.

Questo interscambio culturale potrebbe essere considerato un aspetto mino-re ed intimo della vita del Fraccacreta, ma vanno ricordati perché permettono an-ch’essi di ricostruire quella totalità artistica e stilistica che è alla base del nostroautore. Egli è riuscito, nelle varie traduzioni, ad esprimere mirabilmente il pensierodei suoi amici e viceversa.

Certamente nella traduzione scompaiono le stesse architetture, ma il senti-mento, il linguaggio, la musicalità conserva la medesima parvenza.

Prendendo in considerazione le poesie tradotte da Pierre de Montera notia-mo la sua indecisione nella scelta dei termini, egli vuole utilizzare una forma e degliidiomi che facciano emergere l’ispirazione musicale del Fraccacreta.

Pierre de Montera rimane fedele al testo, riuscendo a far trapelare quella pro-fonda tristezza e solitudine che il nostro poeta voleva esprimere attraverso immagi-ni, come la chiesa vista come rifugio, o sensazioni date dalla musica, dai cipressi, daltramonto.

Nella versione italiana il verso si fa aggrovigliato per la ricerca di termini e lanecessità di strofe rimate, nel passaggio al francese si perde la ricercatezza di rimarimanendo, comunque, la musicalità. L’atteggiamento del Poeta nei riguardi delmondo e dei suoi simili, la sua solitudine espressa per mezzo della natura, fa sì che

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la produzione lirica di Fraccacreta possa essere accostata alle poesie del poeta fran-cese La Martine.

Egli si avvicina a tali autori francesi per l’ugual modo di intendere l’arte. Essila considerano come mezzo per sottrarsi alla vita quotidiana, per evadere dal pro-prio tempo e spazio, pervasi dai postumi della guerra.

Sia nelle opere del Fraccacreta che in quelle di Yvonne Lenoir, cogliamo ilgusto romantico del colore, il piacere delle parole come suono ed immagine anchese circoscritte in una determinata forma. Inoltre, leggendo le loro opere si può ri-scontrare una particolare attenzione per la tecnica poetica, espressa in maniera scru-polosa e paziente. Essi si avvicinarono per tendenze ed affinità.

In Francia, l’episodio della guerra, dell’Occupazione e della Resistenza (1939- 1945) provocarono un vero rilancio poetico.

Nel XX secolo la poesia riacquista grande importanza. La Francia esce dallaguerra esaltata dalla vittoria ma spossata dal gran numero dei morti; anche per questola vita culturale dal periodo successivo è caratterizzata da tendenze individualistiche.

La poesia diventa il solo linguaggio capace di esprimere la libertà; questainsieme alla Natura, a Dio, alla Vita, alla Morte, all’Amore, alla Patria e alla penadegli uomini dovuta alla guerra, diventano i temi fondamentali che si eternizzanoper mezzo della poesia.

Le riviste diventano un mezzo per diffondere la cultura, ed i nostri autoripubblicano molte delle loro poesie in alcune di esse.

La nostalgia, le inquietudini, le disperazioni di un periodo di crisi riprendo-no posto nel poetare di questo periodo.

Anche l’amore, la natura, rivestiti di una nuova freschezza lirica, diventanoelementi caratteristici.

Attenzione al quotidiano, comunione con la natura, interesse e riscopertaper gli oggetti e le cose semplici, epopea interiore sono le prerogative fondamentalidel rilancio poetico di allora.

Ancora una volta la poesia fa spazio alla solitudine come grande ispiratrice.Era proprio questo tipo di poesia che avvicinava il nostro autore alla cultura

francese conosciuta maggiormente per mezzo di Marthe Yvonne Lenoir.La poesia della Resistenza insegnava, secondo la formula di Pierre Emmanuel,

una «sensibilità spirituale» al destino dell’uomo nella solitudine del dopoguerra.È il caso di ricordare Pierre-Jean Jouve (1887 - 1976) contemporaneo di

Umberto Fraccacreta, anch’egli affidava la musicalità del suo poetare al verso ilquale, con ritmo armonioso, passa dall’oscurità verso la luce.

La poesia dell’avvenimento può essere decifrata in queste parole: “Se la poe-sia è creazione, anzitutto è creazione di una vera vita attraverso la vera parola oppu-re dell’autentica parola attraverso l’autentica vita”. (Parole di Gaetan Picon, unodei migliori commentatori di Jouve).

Il nostro autore può essere accostato maggiormente a Guillevic, il quale comeil Fraccacreta, pone la sua attenzione alla realtà semplice: le rocce della sua Bretagnanatale, gli alberi.

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Dalla poetica della “terra” alla traduzione: U. Fraccacreta e M. Y. Lenoir

I regimi autoritari cercano di reprimere e di sottomettere l’intellettuale alpotere, trasformandolo in strumento di propaganda.

Tutto questo porterà una chiusura verso nuovi pensieri e non permetterà ladiffusione incontrollata della letteratura e la conoscenza di autori anche minori.Forse questa potrebbe essere considerata una delle cause, per la quale il nostroautore non ebbe risonanza all’interno di quella schiera di poeti famosi di inizionovecento.

La Francia e Parigi venivano ancora considerate come punto di riferimentodi tutta la cultura europea e promotrice del futurismo.

La poesia crepuscolare, infatti, ricevette notevole influenza da queipoeti solitamente chiamati intimisti e simbolisti belgi come Georges Rodenbach eMaurice Maeterlink e dai francesi Paul Verlaine, Jules Laforgue e Francis Jammes.

Tali autori furono conosciuti in tutta Europa, e i loro libri rientrano anchenella biblioteca personale del nostro autore.

Anche i motivi e i significati del mondo simbolista francese furono, per ilnostro autore, fondamentali poiché i simboli favorivano la descrizione degli statid’animo.

Come diceva Pierre Ronzy “Le poète méritait d’avoir l’audience du publicfrançais et il faut sauhaiter que cette audience s’accroisse encore.”8

Dunque il nostro autore fu conosciuto in Francia, con la quale mantenne icontatti grazie ad Yvonne Lenoir. Ella, attraverso la sua traduzione, ha saputo espri-mere, in modo commovente, l’originale poesia del Tavoliere.

Marthe Yvonne Lenoir si servì per la propria produzione letteraria della sualingua natale, e come traduttrice predilesse il passaggio dalla lingua italiana a quellafrancese.

Ricordiamo alcune delle sue più importanti traduzioni come: Chanson sontour 1934 (Il Turno 1902), romanzo di Pirandello ed ancora del medesimo L’Exclue1928 (L’Esclusa 1901); di Curzio Malaparte L’Italie contre l’Europe 1927; diGuglielmo Ferrero Les femmes de Césars 1930; di G.A. Borgese La maison dans laplaine 1931 e Rubé 1928; di A. Aniante Mustapha Kemel. Le Loup gris d’Angorà1934; di G. Prezzolini Vie de Nicolas Machiavel, florentin 1929.

Yvonne Lenoir ha dimostrato di essere un’ottima traduttrice, infatti è riusci-ta a far passare il messaggio del Poeta dalla lingua italiana a quella francese, ha resoil messaggio d’origine conforme alla sensibilità collettiva d’arrivo.

Certamente il testo ha perso qualcosa nell’essere tradotto, come la sponta-neità specifica di ogni lingua, ma in ogni parte si riesce a trovare l’essenzialità delmessaggio.

Ella riesce a leggere in profondità le poesie del nostro autore, pesando e ap-prezzando ogni parola e ogni immagine; ogni qualvolta non ne comprendeva ilsenso chiedeva spiegazioni direttamente ad Umberto Fraccacreta, avvolte ne invia-va abbozzi per averne consenso (tecnica usata anche da Pierre de Montera).

8 P. RONZY, L’oeuvre poétique d’Umberto Fraccacreta…, cit., p.1.

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Infatti nella lingua d’arrivo la cosa più difficile è il “rendre”, scegliere il ter-mine e la struttura appropriata, per evitare “le faux sens” e “le contresens”.

Il continuo interscambio epistolare tra i due autori permise ad Yvonne Lenoirla massima comprensione del vero senso delle poesie, ciò che permetterà una tradu-zione la più fedele al testo d’origine.

Elaborazione, abilità, saggezza, penetrazione, bellezza sono abilmente fuseall’interno di tale traduzione.

L’ambiente emerge con verosimiglianza straordinaria, ma l’effetto comples-sivo è meno soddisfacente di quello più lieve, ma squisitamente armonioso dell’ori-ginale.

Leggendo a caso parti di qualsiasi poesia ci si accorgerà che la traduttrice èsolo episodicamente fedele alla versificazione dell’originale, alle strutture metricheadottate dal Fraccacreta.

L’infedeltà è solo apparente, infatti pur se non ne abbiamo il calco, i suoni e isignificati risultano essere gli stessi, i termini usati risultano appartenere alFraccacreta.

Nella traduzione di Yvonne Lenoir ritroviamo una terminologia precisa, unincontro tra termine letterario e termine realistico, usati con critica oculatezza.

Tale poesia non può essere definita realistica, se per realismo si intende iltentativo di rendere la realtà esteriore. Ciò che diventa fortemente realistico sono leimmagini della realtà che sorgono in lui. Il lavoro della terra assume una forteconnotazione tanto da poter rappresentare delle qualità simboliche. Il grano, e diqui il pane, è un prodotto tipico pugliese, sanseverese, ed in questa poesia serve perlegare il paesaggio naturale ad una atmosfera umana e locale. Il paesaggio, acquistaanch’esso i caratteri sentimentali della classe contadina. Ben difficilmente una tra-duzione può restituire al lettore straniero gli artifici con cui una poesia è scritta.

Lessico letterariamente assai nobile, la misura dei versi è variabile, la rima èassente. Vi è quindi una notevole libertà metrica, alla quale corrispondono, comun-que, raffinatissimi effetti musicali che Yvonne Lenoir riuscirà mirabilmente a man-tenere nella sua traduzione. Il senso di ogni parola è arricchito dalla collocazionemetrica, che crea in noi un senso di eco. Il verso, che isolatamente potrebbe sem-brare banale, ritrova, in quella precisa sequenza, tutto il suo significato. Le paroleutilizzate si arricchiscono reciprocamente; se noi togliamo quella parola, sostituen-dola con un’altra, il senso non è più il medesimo. Dunque è corretto dire che YvonneLenoir ha saputo riscrivere un bel testo poetico, certamente non identico ma affineall’originale. Tale testo presenta una ricchezza di artifici fonici che difficilmentepossono essere trasferiti identici in francese.

La stessa Yvonne Lenoir sente tali poesie vicine al suo modo di poetare e perdiverse analogie, e per forma e per pensiero. Ella comprende totalmente il senti-mento del Fraccacreta perché vicino al suo. Entrambi sono pervasi da solitudine,amore per la propria terra, per la natura. La poesia del Fraccacreta, nella versionetradotta, rimane una poesia seria, di lenta ed ardua lettura.

Yvonne Lenoir riesce a mantenere l’equilibrio tra il momento di abbandono

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Dalla poetica della “terra” alla traduzione: U. Fraccacreta e M. Y. Lenoir

fantastico, più propriamente lirico, il momento meditativo ed illustrativo, ed infineil momento religioso; proprio grazie a questo equilibrio riesce a raggiungere la mi-gliore versione di tale poesia.

L’artista partecipa intensamente alla sua poesia, e nello stesso tempo la con-templa in una sfera distaccata.

Attraverso i versi del Fraccacreta, condivisi pienamente da Yvonne Lenoir,possiamo risalire agli elementi caratteristici del loro poetare: unità di creazione,materialità e spiritualità delle creature, corrispondenza tra mondo materiale e mon-do spirituale per mezzo dei simboli (analogie universali), corrispondenza tra i di-versi ordini di sensazioni.

La poesia diviene testimone del senso misterioso degli aspetti dell’esistenza.Spesso un’aggettivazione esatta, essenziale, ricavata da quella del Fraccacreta pervia di sfrondamenti, ha reso più asciutto il tono di certe composizioni: non perdesiderio della traduttrice, ma per salvare, nel testo della traduzione, il nucleo poe-tico.

Sono presenti ben pochi difetti nella traduzione, in quanto, in più di un casola Lenoir ha saputo far tesoro dei suggerimenti datigli con tanto affetto e tantacompetenza direttamente da parte dell’autore.

Si è voluto rimanere scrupolosamente fedeli al testo italiano, rispettando, findove lo consentono le differenti peculiarità e le diverse esigenze delle due lingue,anche la punteggiatura, per lasciare il più possibile, almeno nelle intenzioni, il sapo-re, per così dire, delle scritture originarie.

La produzione artistica di Umberto Fraccacreta e la sua presenza nella vitaculturale francese, mettono in risalto la complessità dell’ispirazione culturale diquesto autore.

Quel complesso di atteggiamenti sia interiori, sia pratici, che caratterizzanoil Fraccacreta, in una parola i valori spirituali, le forme e le strutture della vita indi-viduale, sono presenti nuovamente nelle poesie di Marthe Yvonne Lenoir e Pierrede Montera, tradotte dal nostro autore.

Anche nelle poesie di Yvonne Lenoir [Avec une ombre; da Romances: Levillane, Litanies de la mort; da Nés de l’écume: Le Lac, Lac Majeur, De soi seul…;Fresole (Mystère du plein d’été, I,II; Jardin de Paris, inédits)], vi è espressione del-l’istinto musicale, l’immersione delle sue osservazioni nel silenzio, evocando indi-rettamente la solitudine remota in mezzo a cui meditava.

Le situazioni ed i termini proposti sono quelli della realtà quotidiana; il no-stro poeta acquisisce e riproduce, in un quadro che gli è familiare, le strutture fran-cesi.

Il Fraccacreta si è dimostrato un abile traduttore, infatti la perdita del passag-gio dal francese all’italiano è poca cosa. Questo minimo calo è dovuto non solo allabravura del Fraccacreta, ma anche alla natura del testo, scritto con un linguaggiosemplice e con termini usuali.

Il nostro poeta ha in se le tre caratteristiche del buon traduttore: oltre a pos-sedere le due lingue, capisce ciò che traduce. Egli riesce a leggere veramente il testo,

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lo legge in profondità, in tutte le sue pieghe, comprendendo ogni parola, ogni im-magine. Inoltre in lui è presente la sensibilità linguistica, che gli permette di calarsinella personalità dell’autore del testo da tradurre, e si rende conto quando vi è qual-cosa di superfluo o sfasato. La forza espressiva del testo originale viene mantenutadal nostro autore. La struttura delle poesie d’origine è mantenuta nella traduzione,ma la rima, l’omotelèuto, molte figure retoriche, nel passaggio all’italiano, vengonmeno. Logicamente le assonanze, le rime non possono essere mantenute nella tra-duzione, ma queste sono sostituite da un profondo equilibrio e musicalità resi intutta la strofa. Gli imperfetti numerosi della poesia, esprimono gli indugi della me-moria, conferiscono durata alla contemplazione.

Yvonne Lenoir canta soprattutto il sentimento espresso per mezzo della po-esia nell’ambiente tipicamente romantico, il lago. L’acqua diviene mezzo per espri-mere toni malinconici, una malinconia calma come le acque di un lago, per utilizza-re un’espressione di Huysmans, l’acqua è l’élément mélancolisant. Da sempre l’ac-qua è elemento ambivalente di nascita e di morte. La natura diviene simbolo delleemozioni dell’anima. Trae la sua ispirazione dalla natura, rievoca con la fantasia ilpassato, esprime i sentimenti dell’animo: gioia, dolore, meraviglia, lode. La naturacome fonte di ispirazione, e il sogno sono ancora presenti in: Jardin de Paris. Lostile è ricchissimo di immagini, di sostantivi e di aggettivi che si accumulano e sirispondono in un sapiente gioco di echi.

Nelle poesie di Yvonne Lenoir vi è la comunione dell’anima umana con quel-la delle cose; si immedesima con la vita, con i mari, con i fiumi, con gli alberi.

Si ritraggono figure ricche di immagini, colori e suoni; figure ricche di unaintensità appassionata.

In tali poesie ritroviamo molti elementi che hanno caratterizzato la poesia diProust e la poesia decadente: l’importanza simbolica del sogno, v.1-2 Le plus jolijardin/ qui flotte entre mes rêves (Il più grazioso giardino/ che ondeggia nei mieisogni), la fertile vita dell’istinto, la memoria rievocata dai sapori, dagli odori, v. 8 - 9- 10 - 11 - 12 Les cailloux y sont ronds/ amoureux à la bouche/ car je les suceperfidement,/ y trouvant je ne sais/ quelle saveur farouche (Rotondi sono i ciottoli/graditi alla mia bocca;/ perfidamente li succhio,/ e ci trovo non so che/ sapor sel-vaggio), e l’infanzia, v.5 je m’y promène enfant (io m’aggiro bambina).

È nell’infanzia che si vive in comunione con la natura, non si ha nozione deltempo e dello spazio, si vive nella sicurezza delle cose familiari; non è ancora nata laconsapevolezza della vita.

Ricercare l’infanzia significa ricercare il proprio essere vero, aldilà delle an-gosce e delle nevrosi procurate dagli adulti con la realtà storica e sociale.

Inoltre, ritroviamo il tipico elemento romantico, «la solitudine», cercando diinfrangere ogni barriera nella ricerca di una possibile comunione con l’infinito.

Poesie dalle caratteristiche autobiografiche che riescono a raggiungere altez-ze universali.

Dalla poesia Jardin de Paris, riusciamo a comprendere il significato che YvonneLenoir attribuisce alla poesia.

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Dalla poetica della “terra” alla traduzione: U. Fraccacreta e M. Y. Lenoir

La poesia è sentita come voce del sentimento ed in quanto tale deve esserelibera, spontanea, immediata. Alla vigorosa trama di pensieri e di sentimenti ri-sponde adeguatamente lo stile. La lingua, senza forzature, asseconda la rapiditàdello stile.

Nell’esaminare la produzione poetica dell’autrice francese si riesce a com-prendere come il Fraccacreta si fosse sentito così vicino e per temi, e per sentimenti,e per cultura ad Yvonne Lenoir.

Quello che bisogna sottolineare è che la forma passa in sottordine rispetto alcontenuto. Yvonne Lenoir filtra in forma d’arte, impressioni, considerazioni sullaFrancia e sul grande amore che prova per l’Italia (A l’Italie), pur non disdegnandola sua terra natia.

I motivi da loro cantati trovano armoniosa unificazione nel concetto e nelvalore della TERRA, nel significato del valore umano.

Il loro poetare non è solo questione di intelletto, anzi è, come dice BlaisePascal, raisons du coeur.

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Rosanna Curci

Julia Kavanagh nelle Due Siciliedi Rosanna Curci

1. Introduzione

Julia Kavanagh nacque il 7 gennaio 1824 a Thurles, in Irlanda, unica figliadi Bridget Fitzpatrick e Morgan Peter Kavanagh, poeta e filologo, autore di alcu-ne curiose opere sull’origine e la scienza del linguaggio. Quando aveva circa do-dici anni, accompagnò i suoi genitori a Londra, dove risiedette per poco tempo,trasferendosi presto in Francia, dove visse e studiò fino ai vent’anni. Questo lun-go periodo di residenza, cui si aggiunsero diverse altre visite in seguito, le consentìuna comprensione della vita e del carattere francese, che ritrasse con fedeltà in mol-te sue opere. Nel 1844, Julia tornò a Londra ed iniziò a dedicarsi alla carriera discrittrice, dapprima scrivendo racconti e saggi per alcune riviste, poi pubblicando,nel 1847, il suo primo libro, The three paths, un racconto per bambini. A questoseguirono Madeleine, che le diede la fama, basato sulla storia di una giovane conta-dina di Auvergne, e alcuni saggi storici e letterari, riguardanti soprattutto le donne:Women in France during the Eighteenth Century (1850), Women of Christianityexemplary for Acts of Piety and Charity (1852), French Women of Letters ed EnglishWomen of Letters (1862). La sua opera comprende nel complesso circa venti ro-manzi, che ebbero grande successo soprattutto in Inghilterra e America, ma chefurono tradotti anche in francese. La sua vita fu, tutto sommato, priva di eventiimportanti, e trascorse per la gran parte tra gli impegni della scrittura e la cura dellamadre, vedova e invalida.1 Prima della morte del padre, comunque, Julia poté intra-prendere, nel 1853, un lungo viaggio sul Continente, esperienza di cui diede contonel diario A Summer and Winter in the two Sicilies, pubblicato nel 1858.

2. Il diario di viaggio

Il diario di viaggio si rivela per la Kavanagh, fin dall’inizio, per il suo caratte-re di narrazione in prima persona, un lavoro ben diverso dagli scritti cui si era dedi-

1 Per le notizie biografiche cfr. The Catholic Encyclopedia, New York, Robert Appleton Company, 1910,15 voll.: vol. VIII.

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cata fino a quel momento: “in a personal narrative, the unfortunate pronoun “I”must necessarily occur oftener than I cared to use it” (trad.: “in un resoconto perso-nale, lo sfortunato pronome “io” deve necessariamente ricorrere più spesso di quantovolessi usarlo”).2 L’irresistibile desiderio, comune ad ogni viaggiatore, di racconta-re ciò che ha visto, la aiuta però a superare il disagio, dovuto alla mancanza di per-sonaggi immaginari attraverso i quali filtrare la propria esperienza. Un altro osta-colo si oppone, tuttavia, all’intenzione di rendere pubblico il suo resoconto: “Whatwas there to say about Italy that had not been said?”3 (trad.: “Cosa c’era da diresull’Italia che non fosse stato detto?”). Anche quest’obiezione è rimossa con facili-tà, appurato che l’Italia è, in realtà, un soggetto inesauribile. Infatti, il diario dellaKavanagh riesce ad essere nuovo e originale, non solo per quanto dice delle bellez-ze paesaggistiche dell’Italia meridionale, ma soprattutto per le riflessioni di caratte-re sociale e politico, riguardanti in special modo la condizione della donna.

L’occhio della viaggiatrice si posa spesso sulle figure femminili che incontra nelcorso del viaggio: osserva con curiosità il loro aspetto fisico, le loro movenze, il ve-stiario, e ancor più il loro stile di vita, non mancando di indicarne la durezza e ledifficoltà. Le donne napoletane appaiono nel complesso poco attraenti: “they arelarge, coarse, heavy, without grace or softness”4 (trad.: “sono grosse, rozze, pesanti,prive di grazia o dolcezza”). E nessuna differenza vi è, quanto a bellezza, tra le popo-lane e le donne dell’aristocrazia: “Neapolitan princesses, though dressed in the lastParisian fashion, are just as plain as the bareheaded girls who saunter here in theevening”5 (trad.: “le principesse napoletane, sebbene vestite secondo l’ultima modafrancese, sono tanto brutte quanto le ragazze a capo scoperto che gironzolano qui lasera”). Anzi, la grazia spontanea e genuina che si trova, seppur raramente, tra le con-tadine, rende il loro portamento invidiabile anche per una duchessa inglese. La bel-lezza sembra quasi un lusso che le donne del sud non si possono permettere, affac-cendate come sono e costrette in attività che mortificano la loro femminilità. Più diuna volta, leggiamo l’indignazione della Kavanagh di fronte a spettacoli pietosi dipopolane curvate sotto gravosi carichi, che trasportano per lunghi tragitti lungo ilciglio delle strade: “we met women carrying such burdens as I could not have imagi-ned that women could carry - logs of wood, some of them entire trees […] They bentbeneath the weight; it was a painful and pitiable sight” 6 (trad.: “incontrammo donneche portavano fardelli tali che non avrei immaginato che donne potessero portare -tronchi di legno, alcune alberi interi […]. Esse si piegavano sotto il peso; era una vistadolorosa e pietosa”). Spesso giovani ragazze, o addirittura bambine, bruciate dal sole,malformate e di bassa statura, vestite dei più miseri stracci e schiacciate da pesi che

2 Julia KAVANAGH, Preface to A Summer and Winter in the two Sicilie, Leipzig, Bernhard Tauchnitz, 1858, 2voll.: vol. I, p. 5.

3 Loc. cit.4 Ibid., vol. II, p. 96.5 Ibid., vol. II, p. 97.6 Ibid., vol. I, p. 201.

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affaticherebbero anche gli uomini più forti, esse non possono avere né la delicatezzané la grazia del loro sesso: “they seemed to me the saddest objects I had ever seen”7

(trad.: “mi sembrarono la cosa più triste che avessi mai visto”).La condizione della gentildonna meridionale, invece, è illustrata nel modo

più organico nel capitolo dedicato alla società sorrentina: “When they are ladiestheir life is retired, domestic and dull”8 (trad.: “quando sono gentildonne, la lorovita è ritirata, domestica e monotona”); il loro destino non lascia scelta: “They marry,they enter a convent, or they become house-nuns; that is to say, they take the vows,but live at home”9 (trad.: “si sposano, entrano in convento, oppure diventano suo-re di casa, cioè prendono i voti, ma vivono in casa”). In una terra così popolosa qualè quella meridionale, scrive la Kavanagh, è improbabile che ogni donna riesca atrovare marito, ed è perciò frequente che chi resta sola entri in convento solo peravere una posizione sociale, e non per vera vocazione. Ogni giovane donna è cosìdestinata ad un futuro di reclusione, sia che la prigione si identifichi con le quattromura di un convento, sia che essa corrisponda alla casa in cui dovrà onorare suomarito. Per meglio comprendere la posizione della donna, la Kavanagh cerca disapere quanto può sui matrimoni italiani, sforzandosi di carpire informazioni dalleconversazioni con le donne del popolo: “I am sorry to say that Italian wives are notvery happy”10 (trad.: “Sono spiacente di dire che le mogli italiane non sono moltofelici”) - è la conclusione cui ella giunge -“Their husbands rarely trust or honourthem, they treat them like children, and are as jealous as Turks”11 (trad.: “I loromariti raramente si fidano di loro o le onorano, le trattano come bambini, e sonogelosi come Turchi”). La moglie italiana raramente conosce il prezzo dei prodottidi cui usufruisce, neppure della carne o della verdura, perché è l’uomo che compra,anche nelle classi medie. A Sorrento e, in generale, in tutto il Sud, inoltre, è ancorauna regola tra i contadini, che la donna possa essere capace di leggere ma non discrivere: “the reason is obvious: if these frail and dangerous creatures knew how towrite, they would indite love-letters at once”12 (trad.: “la ragione è ovvia: se questefragili e pericolose creature sapessero scrivere, esse redigerebbero immediatamentelettere d’amore”). La mancanza di fiducia e la gelosia dei mariti del Sud, inoltre, sitraduce spesso in atti di violenza nei confronti delle mogli, che essi obbligano a unavera e propria prigionia, vietando a volte perfino la frequenza alle funzioni religio-se. Significativa è l’osservazione di Carmela, la contadina della masseria di Sorrentopresso cui alloggia la Kavanagh: “A man is like this apple; he is fair and smoothwithout, but there is a worm within”13 (trad.: “Un uomo è come questa mela; è

7 Ibid., vol. I, p. 196.8 Ibid., vol. I, p. 99.9 Loc. cit.10 Ibid., vol. I, p. 108.11 Loc. cit.12 Ibid., vol. I, p. 110.13 Ibid., vol. I, p. 111.

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bello e dolce fuori, ma c’è un verme dentro”). La Kavanagh, che nella sua vita scelsel’autonomia e l’indipendenza, e non si sposò mai, scorge le cause del cattivo funzio-namento dell’istituto matrimoniale in Italia, nelle scarse occasioni che si concedonoalla donna per sviluppare una propria personalità. Ad un napoletano istruito, madotato di tutta la semplicità dei meridionali, il quale depreca il matrimonio qualefonte di delusione per gli uomini che, dopo il primo entusiasmo, presto si stancanodelle loro mogli, la Kavanagh suggerisce: “Then perhaps […] the low state of femaleeducation makes wives dull company at home”14 (trad.: “Allora, forse […] il cattivostato dell’istruzione femminile rende le mogli una compagnia monotona in casa”).L’uomo approva con prontezza: “our women are not naturally inferior. They aregood-natured, amiable, and lively”15 (trad.: “le nostre donne non sono natural-mente inferiori. Sono benevole, amabili, e vivaci”); riconosce, però, che quella vi-vacità è destinata a spegnersi col tempo, man mano che la donna si accostuma aduna vita piatta e priva di stimoli.

L’interesse della Kavanagh si rivolge anche ad altri aspetti contraddittori del-la società meridionale. A Sorrento ella osserva come “The social life of this littleplace is as un-English as its external aspect”16 (trad.: “La vita sociale di questo pic-colo posto è tanto antiinglese quanto il suo aspetto esteriore”). Mancano bibliote-che, libri, club, concerti, sale da ballo e passeggiate pubbliche. La gente si incontrasoltanto in sporchi caffè, nelle strade, nelle piazze e nelle chiese. L’unica vera fontedi divertimento per il popolo è la festa, “and a festa is the only token of public lifewhich a place like this exhibits to a stranger’s eye”17 (trad.: “e una festa è l’unicosegno di vita pubblica che un posto come questo può esibire agli occhi di uno stra-niero”). Essa è l’unica occasione capace di riunire, per un unico proposito, rappre-sentanti di tutte le classi sociali: “Take away the festa, and what remains to thepeople?”18 (trad.: “togliete la festa, e cosa rimane al popolo?”) La festa ha un doppioaspetto, quello devozionale e quello gioioso, “and both are thoroughly southern”19

(trad.: “ed entrambi sono completamente meridionali”). Le spese per realizzarlasono volontariamente sostenute dai cittadini, tanto ricchi quanto poveri. Decora-zioni di ogni tipo adornano le case e le chiese della città, tanto che, a volte, questeultime assumono un aspetto simile alle colorate pagode cinesi, mentre le cornicidipinte e le false colonne con capitelli corinzi ostentano un palese cattivo gusto.“We like them”20 (trad.: “ci piacciono”) è la risposta della gente, che non ammetterepliche, viste le spese sostenute per comprare tanto ciarpame.

Trattandosi di un’irlandese, pertanto più vicina a quelle pratiche religiose

14 Ibid., vol. II, p. 175.15 Loc. cit.16 Ibid., vol. I, p. 66.17 Ibid., vol. I, p. 73.18 Loc. cit.19 Ibid., vol. I, p. 66.20 Ibid., vol. I, p. 67.

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degli italiani che i viaggiatori protestanti schernivano o addirittura deprecavano, laKavanagh coglie nella religiosità della gente del Sud anche elementi positivi. Ifesteggiamenti rumorosi, i fuochi d’artificio, o l’orgoglio di un padre che vede ilsuo figlioletto prescelto per impersonare il Bambin Gesù nella rappresentazionedel paese per il giorno di Natale, sono “worthy of a poetic people, whose thoughtsmust ever take a visible and poetic form”21 (trad.: “degni di un popolo poetico, i cuipensieri devono sempre prendere una forma visibile e poetica”). È questo un modoper rendere tangibile il significato di misteri religiosi che, vissuti in modo troppoesclusivamente spirituale, rischiano di far perdere di vista il loro senso ultimo: “Dowe, indeed, always remember that Christ became a weak little child for our sakes?We know it, but do we think much of it?22 (trad.: “Ricordiamo noi sempre, invero,che Cristo si fece piccolo e fragile bimbo per noi? Lo sappiamo, ma ci pensiamomolto?). I costumi religiosi degli Italiani, “now Italian and once European”23 (trad.:“ora italiani e una volta europei”) le appaiono belli e toccanti: “Eighteen hundredand fifty years have passed away, and yet not a day goes by but this people rememberhow Christ was born of woman and died for man”24 (trad.: “diciotto secoli e cin-quant’anni sono passati, e tuttavia non passa un giorno senza che questo popoloricordi come Cristo nacque di donna e morì come uomo”).

A Napoli, comunque, la situazione è diversa dalle altre città meridionali, per-ché le feste religiose non sono affatto l’unica forma di divertimento a disposizionedel popolo: “Pleasure of all kinds come easily to the Neapolitans, if we may judgeby the quantity of cheap theatres and public shows in the popular parts of the city”25

(trad.: “Piaceri di ogni tipo vengono facili ai Napoletani, a giudicare dalla quantitàdi economici teatri e spettacoli pubblici nelle parti popolari della città”). Un’altrapiacevole occupazione dei Napoletani è, poi, la lotteria, per cui in ogni angolo dellacittà si può incontrare un “lottery-ticket office”26 (trad.: “rivendita di biglietti dellalotteria”). Esso si presenta alla viaggiatrice come un negozio ospitalmente aperto eprivo di porta, decorato con festoni di carta su cui sono scritti numeri e frasi cheinvogliano il giocatore a puntare su di essi: “Italian genius shines here in all itsglory”27 (trad.: “Il genio italiano brilla qui in tutta la sua gloria”). Per il popolo èuna vera e propria passione e, come tutte le passioni dei meridionali, ha le sue ab-bondanti superstizioni, perché “There is still plenty of old superstition here”28 (trad.:“C’è ancora tanta vecchia superstizione qui”).

La vita quotidiana del Mezzogiorno fa capolino nella narrazione della Kava-

21 Ibid., vol. I, p. 270.22 Loc. cit.23 Ibid., vol. I, p. 13.24 Loc. cit.25 Ibid., vol. II, p. 147.26 Ibid., vol. II, p. 144.27 Loc. cit.28 Ibid., vol. II, p. 145.

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nagh continuamente; i quadretti pittoreschi, scorci di vita arcaica e fascinosa, riem-piono pagine e pagine del diario: donne sporche, con gli scialli in testa, intente asalire e scendere le scale di una chiesa; fruttivendoli che dispongono arance e limonisulle loro bancarelle; venditori ambulanti che danno sfogo a tutta la loro voce perattirare i clienti; maiali che scorrazzano per le strade in mezzo a bambini che gioca-no nel fango; mucche portate da una casa all’altra perché ogni famiglia possa mun-gerne il latte; tutto questo si alterna alle riflessioni sociologiche, offrendo un assag-gio del colore locale. Di tanto in tanto, poi, si ode un tamburello in lontananza,segno che da qualche parte qualcuno sta ballando la tarantella, danza che l’autricevede come una reliquia pagana, un misto di ballo e pantomima, una sorta di rusticocorteggiamento, in cui l’uomo ammicca alla donna ed ella “lures him on, laughs athim, and jilts him, or will do some day”29 (trad.: “lo alletta, gli sorride, e lo pianta inasso, o lo farà un giorno”). Il significato della tarantella non può essere frainteso,così diversa com’è dalle quadriglie, il cui senso non va al di là del semplice movi-mento. I ballerini della tarantella che si esibiscono dinanzi a lei, invece, “dancedadmirably - their bare feet kept better time than many dainty feet in satin shoes -their gestures, though concise, were most expressive”30 (trad.: “danzavano in modomirabile - i loro piedi nudi tenevano il tempo meglio di tanti piedi delicati in scarpedi seta - i loro gesti, sebbene concisi, erano i più espressivi”).

In questi modi primitivi di vita c’è una poesia che i paesi più avanzati hannodimenticato. In una terra minacciata da un vulcano che potrebbe risvegliarsi in qual-siasi momento, e devastata dal colera, che riempie di vittime i cimiteri, il cocchierenapoletano cui la Kavanagh chiede se queste cose non gli incutano timore, puòrispondere: “Afraid! No, Signora. When the Lord wants a flowers, he gathers it”31

(trad.: “Paura! No, signora. Quando il Signore vuole un fiore, lo coglie”). L’autriceosserva: “could he had answered better? - but, alas! Fancy a London cabman callinghimself a flower!”32 (trad.: “avrebbe potuto rispondere meglio? - ma, ahimè! Im-maginate un vetturino londinese che chiami se stesso un fiore!”). I popoli più mo-derni riservano la loro poesia solo per i libri, esiliandola dal quotidiano, quasi perpaura che qualcuno possa riderne; nel concreto, poi, “do a hundred foolish thingsthat draw on them the ridicule of their poetic neighbours”33 (trad.: “fanno centocose sciocche che gettano su di loro il ridicolo dei loro poetici vicini”).

Non c’è traccia di razzismo in queste pagine. In più di un’occasione, adesempio, la Kavanagh smentisce la fama negativa dei napoletani: “The vice, thecruelty, of which they are accused, we have not seen. We have even gained nopractical knowledge of the disonesty for which they are so famous”34 (trad.: “Il

29 Ibid., vol. II, p. 206.30 Ibid., vol. II, p. 205.31 Ibid., vol. II, p. 107.32 Loc. cit.33 Ibid., vol. II, p. 108.34 Ibid., vol. II, p. 164.

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vizio, la crudeltà, di cui sono accusati, non li abbiamo visti. Non abbiamo avutoalcuna conoscenza pratica della disonestà per cui sono così famosi”). Sono glistessi italiani delle altre città a metterla in guardia, o a volte perfino napoletanisnob, come la signora che a Sorrento sussurra a Julia, con un gesto di disgusto:“Neapolitan are such animals […] and foreigners are so amiable”35 (trad.: “I na-poletani sono dei tali animali […] e gli stranieri sono così amabili”). In realtàl’atteggiamento dell’autrice tende ad essere sempre benevolo, come quando simostra comprensiva verso i bambini che saccheggiano con fare vandalico la vege-tazione del giardino botanico di Napoli: “At first, it annoyed me”36 (trad.: “Al-l’inizio, mi diede fastidio”), ma il pensiero che i cespugli e gli alberi denudatiimpiegheranno poco tempo a rivestirsi nuovamente dei loro frutti, le fa pensareche sia “a pity to grudge the poor children their cheap and pleasant treat”37 (trad.:“un peccato serbar rancore ai poveri bambini per il loro economico e piacevolebanchetto”). In realtà l’autrice viene a conoscenza, sebbene per interposta perso-na, di storie terribili di rapine e furti finiti nel sangue, avvenuti nel napoletano, maa chi le racconta “wonderful stories of the dexterity of Neapolitan pickpockets”38

(trad.: “storie meravigliose sulla destrezza dei borsaioli napoletani”) ella rispon-de con “stories as wonderful of the London pickpockets”39 (trad.: “storie altret-tanto meravigliose dei borsaioli londinesi”). Con acume, ella analizza il problemadella delinquenza napoletana, rilevando come ciò che la caratterizza sia il fattoche la polizia non fa nulla per contrastarla, anzi è in lega con essa, ed è perciò“more pernicious than useful”40 (trad.: “più perniciosa che utile”). L’unico limitea questa alleanza tra ladri e polizia è che quest’ultima non ammette il possesso diarmi da fuoco, proibito a tutte le classi di cittadini. È per questo che, chi riesceugualmente a possedere una pistola, può ritenersi davvero al sicuro, per le stradedella città: “The Neapolitan thief fears neither the stick nor the knife, but fire-arms, which he has never handled and rarely seen, inspire him with mortal dread”41

(trad.: “Il ladro napoletano non teme né il bastone né il coltello, ma le armi dafuoco, che non ha mai maneggiato e raramente visto, lo riempiono di un terroremortale”). In conclusione, le vie di Napoli appaiono alla scrittrice insicure quan-to lo erano le grandi città cento anni prima, e quanto ancora lo sono alcune partidi ogni città.

I Napoletani, poi, sono dotati di uno spirito proverbiale, che si esprime spes-so nei soprannomi satirici, come quelli che usano per definire gli inglesi, che sono

35 Ibid., vol. I, p. 273.36 Ibid., vol. II, p. 102.37 Ibid., vol. II, p.103.38 Ibid., vol. II, p. 164.39 Loc. cit.40 Ibid., vol. II, p. 165.41 Ibid., vol. II, p. 166.

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“sea-robbers”42 (trad.: “predoni del mare”), e quello per gli austriaci, “who arecordially detested here as in the rest of Italy”43 (trad.: “che sono cordialmente dete-stati qui come nel resto d’Italia”), e che sono chiamati “tallaw-eaters”44 (trad.:“mangiatori di sego”). In effetti, nel sud l’odio per gli austriaci non prende le formetragiche che esso assume nel nord, ma “the Swiss soldiers, whom the king keeps,nourish them in the hatred of the Tedesco, and that hatred often takes the form ofinsult”45 (trad.: “i soldati svizzeri, che mantiene il Re, li nutrono dell’odio del Tede-sco, e quell’odio spesso prende la forma dell’insulto”). Parlare delle questioni poli-tiche napoletane, confessa la Kavanagh, non è facile: ella può gettare solo “glimpsesof things”46 (trad.: “occhiate di sfuggita delle cose”), perché si può parlarediffusamente solo di ciò che si è visto e conosciuto a fondo, soprattutto quando sitratta di “great questions”47 (trad.: “questioni importanti”), e non è questo il caso,perché a Napoli “As a rule, politics are not spoken […] it is not safe”48 (trad.: “Diregola, di politica non si parla; non è sicuro”). Lo stesso odio che i napoletani han-no per gli oppressori austriaci, osserva la scrittrice, è rivolto verso i napoletani stes-si dai siciliani. A Napoli, infatti, anche i liberali guardano con compiacimento allasoggezione dell’isola, e nei loro sogni di indipendenza politica, la Sicilia non hadiritti. Il turista, nota la Kavanagh, deve essere un osservatore esterno, ma in questocaso è facile comprendere il motivo di questi sentimenti: “just as the Neapolitanhates the German, who hates the Russian, who hates the Turk, who hates theChristian, and so on, ad infinitum, all the world over”49 (trad.: “proprio come ilNapoletano odia il Tedesco, che odia il Russo, che odia il Turco, che odia il Cristia-no, e così via, ad infinitum, in tutto il mondo”).

L’organizzazione della società meridionale negli ultimi decenni del Regno èspiegata esaustivamente nello studio su Sorrento: “The most important person inthe place is the archbishop”50 (trad.: “La persona più importante del luogo è l’arci-vescovo”), seguito dal Barone, di antica e ricca famiglia, come la Contessa, “anotherspecimen of Sorrento aristocracy”51 (trad.: “un altro esemplare dell’aristocraziasorrentina”), la quale, pur mantenendo il contegno e l’atteggiamento altezzoso ri-chiesti dal suo titolo, è invero ridotta alla povertà. Queste sopravvivenze della no-biltà feudale italiana sono il ricordo di tempi andati, prive come sono, ormai, delpotere politico di cui godevano prima dei cambiamenti che vennero con il governodi Murat; essi, però, incuriosiscono la scrittrice come “fair illustrations of a peculiar

42 Ibid., vol. II, p. 158.43 Loc. cit.44 Loc. cit.45 Ibid., vol. II, p. 159.46 Ibid., vol. II, p. 156.47 Loc. cit.48 Ibid., vol. II, p. 157.49 Ibid., vol. II, p. 36.50 Ibid., vol. I, p. 72.51 Ibid., vol. I, p. 76.

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little world”52 (trad.: “belle illustrazioni di un peculiare piccolo mondo”). E in que-sto piccolo mondo, non solo non è sicuro parlare di politica, ma neppure leggerelibri, di qualsiasi argomento essi trattino. L’ignoranza che regna tra la popolazione,dunque, non è solo conseguenza della diffusa povertà e arretratezza, ma soprattut-to degli atteggiamenti oppressivi del governo, che persegue e tiene d’occhio chilegge, perché sospettato di essere un repubblicano.

Al contrario, il governo tollera le piccole forme di corruzione, come la co-siddetta “bottiglia”, l’offerta di denaro che è parte del sistema sociale di tutto ilsud, e che garantisce la realizzazione di qualsiasi impresa: “The bottle is a wonderfulthing in Italy, as wonderful as ever was Alladin’s lamp in the celestial empire”53

(trad.: “La bottiglia è una cosa meravigliosa in Italia, tanto meravigliosa quanto lalampada di Aladino lo era nell’impero celeste”). Benché diffusa in tutta l’Italia, innessun luogo essa si svolge così liberamente e alla luce del sole come nel Regno diNapoli. Qui essa si attua anche alle varie dogane: per una somma che può variareda pochi carlini a molte piastre, a seconda delle circostanze, questo espedienteconsente di evitare noiose perdite di tempo e il fastidio di vedere i propri bagagliaperti ed esaminati. “They do not do those dirty things in your country”54 (trad.:“Non si fanno queste cose sporche nel vostro paese”), osserva un napoletano,“But poor fellows, it is not their fault; they are not well paid, and they must live”55

(trad.: “Ma, poveretti, non è colpa loro; non sono ben pagati e devono campare”).I controlli si succedono spesso a brevi intervalli e, sebbene il cambio favorevoleagli inglesi consenta loro di fare offerte generose senza che ciò costi loro troppo,quando le richieste di denaro diventano troppo insistenti, c’è la possibilità, conun po’ di pertinacia, di riuscire a superare indenni gli sbarramenti, senza controlliné ulteriori spese: infatti, “if travellers hate to have their luggage visited, theymay be sure that the lazy Neapolitan Gabelliere hates the whole affair as much asthey do”56 (trad.: “se i viaggiatori odiano che i loro bagagli siano esaminati, pos-sono star sicuri che il pigro Gabelliere napoletano odia l’intero affare tanto quan-to loro”).

Vale la pena, però, di affrontare i piccoli sacrifici di una ricezione turisticaancora imperfetta, per vedere lo spettacolo che i paesaggi meridionali offrono allosguardo del viaggiatore: “The lightness of the air, and the brightness of everythingseem to me to breathe happy cheerfulness and the spirit of content”57 (trad.: “Laleggerezza dell’aria, e la luminosità di ogni cosa mi sembrano infondere gioia felicee spirito di letizia”). I Sorrentini dicono della loro aria natia che ridarebbe vita ai

52 Ibid., vol. I, p. 81.53 Ibid., vol. I, p. 284.54 Ibid., vol. I, pp. 285-286.55 Ibid., vol. I, pag. 286.56 Ibid., vol. I, p. 288.57 Ibid., vol. I, pp. 144-145.

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morti, ma “it certainly doubles the sense of life to the living”58 (trad.: “essa raddop-pia certamente il senso della vita nei viventi”). L’effetto sulla mente, infatti, è for-tissimo: tutto è colore, nettezza di linee e, soprattutto, luce: “Light literally paintsin Italy - every object is drawn in keen lines, in strong colours”59 (trad.: “La luceletteralmente dipinge l’Italia - ogni oggetto è disegnato in linee vive, in forti colo-ri”). Ciò che distingue il paesaggio italiano non è il vago terrore e il rapimento chegenera il senso del sublime: il piacere che si prova quando si rivive in “forma didiletto colmo d’orrore”60 il terrore suscitato dal dolore e dal pericolo, è sconosciu-to agli italiani. I popoli del nord hanno imparato ad amare “the wild heath, thebarren peak, the cold, grey lake and the barrier of mountain and mist”61 (trad.: “labrughiera selvaggia, l’arida vetta, il lago freddo e grigio e la barriera della montagnae della nebbia”); gli italiani, invece, sanno che gli stranieri cercano questi scenari,che si deliziano con il pittoresco, ma non ne intendono la ragione: “no Italian thatI ever met with really liked mountain scenery […] High wind has no music forthem”62 (trad.: “a nessun italiano che abbia mai incontrato piaceva lo scenario mon-tano. […] Il vento forte non ha musica per loro”). Le nuvole che si accumulanoscure e minacciose sopra le montagne sono solo motivo di angoscia per gli italiani,i quali sopportano la pioggia in quanto “a necessary evil”63 (trad.: “un male neces-sario”) che serve a rendere fertile la terra, ma giudicano che “a storm is a calami-ty”64 (trad.: “una tempesta è una calamità”) e un’eruzione del Vesuvio li riempiesoltanto di orrore: “it is with a shudder that Carmela tells me of the three fierymoaths […] which opened last year in the flanks of the mountains”65 (trad.: “È conun fremito d’orrore che Carmela mi racconta delle tre bocche infocate […] che sisono aperte l’anno scorso sui fianchi della montagna”). I paesaggi in cui essi si deli-ziano sono gli stessi che rapivano i sensi degli antichi: gli scenari calmi e impertur-bati che si disegnano nelle pagine di Virgilio, la valletta incantata e il Paradiso terre-stre di Dante, sono ciò che più può cullare il loro spirito.

Il gusto moderno per il pittoresco ed il sublime non ha attecchito fra gli ita-liani, restando escluso anche dalla loro immaginazione letteraria: è per questo cheun libro come I Promessi Sposi non è divenuto popolare fuori d’Italia, perché “it istoo calm, too serene”66 (trad.: “È troppo calmo, troppo sereno”). C’è, nelle suepagine, tutta la natura del popolo italiano: “only in Italy, and by an Italian, couldthese pages have been written”67 (trad.: “solo in Italia, e da un italiano, avrebbero

58 Ibid., vol. I, p. 145.59 Loc. cit.60 Mirella BILLI, Il gotico inglese, Milano, il Mulino, 1986, p. 23.61 J. KAVANAGH, Preface to A Summer and Winter in the two Sicilie…, vol. I, p. 155.62 Loc. cit.63 Ibid., vol. I, p. 156.64 Loc. cit.65 Loc. cit.66 Ibid., vol. I, p. 158.67 Ibid., vol. I, p. 157.

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potuto essere scritte queste pagine”). Si avvertono in esso i costumi di questa gente,in cui c’è la stessa grazia e la stessa poesia che si trova nel paesaggio: “they are clearand positive, like it, in their feelings and in their actions”68 (trad.: “sono sereni, vivie positivi, come esso, nei loro sentimenti e nelle loro azioni”). Le loro passioni e leloro sensazioni, nel bene e nel male, possono essere acute, ma “not becuse they areromantic, but because life flows swiftly through them like light through their skies”69

(trad.: “non perché siano romantici, ma perché la vita fluisce dolcemente attraversodi loro come la luce attraverso i loro cieli”). Una volta sfogata la passione, però,“the Italian returns to that masterdom of himself which is his greatness”70 (trad.:“l’Italiano ritorna a quel dominio di sé che è la sua grandezza”). Questo stessocontrollo di sé si trova anche tra i personaggi manzoniani, i quali sopportano trop-po pazientemente e parlano troppo quietamente. Inoltre “Lucia is too simple, Renzois too calm, Don Abbondio is too pitilessly commonplace”71 (trad.: “Lucia è tropposemplice, Renzo è troppo calmo, Don Abbondio è troppo pietosamente ordina-rio”), ragion per cui essi “disappoint imaginative minds”72 (trad.: “deludono le mentiimmaginose”). Il carattere nazionale riflette perciò la natura paesaggistica dell’Ita-lia: in entrambi c’è la stessa pacatezza e placidità, così diversa dall’impeto e dalfurore romantici in voga in tutto il nord d’Europa.

Ma “This is the charm of Italy”73 (trad.: “Questo è il fascino dell’Italia”): ilcielo limpido, l’ampiezza dell’orizzonte, lo splendore dei tramonti, la fertilità deigiardini, il profumo degli aranceti, il dolce canto dei merli e degli usignoli, e soprat-tutto “the sun from morning until night”74 (trad.: “il sole dal mattino alla sera”). Laluce solare, riflessa sulle mura delle case bianche e sparsa sui vigneti, diventa a volteabbagliante: “We looked with rapture, and at last turned away, dazzled with somuch light and beauty”75 (trad.: “Guardammo con rapimento, e alla fine ci voltam-mo, abbagliati da tanta luce e bellezza”). Nei giardini di Palermo si può vederecrescere liberamente una vegetazione che nei paesi settentrionali si può ammiraresolo nelle serre, dove quegli stessi splendidi alberi e fiori che qui incantano il viag-giatore proprio perché “unsheltered by glass prisons, unfostered by the heat of stove”76

(trad.: “non protetti da prigioni di vetro, non nutriti dal caldo della stufa o delvapore”) sono “associated with prison-like confinement and suffocating heat”77 (trad.:“associati con un confino simile a una prigione e con un caldo soffocante”).

68 Ibid., vol. I, p. 152.69 Loc. cit.70 Loc. cit.71 Ibid., vol. I, p. 159.72 Loc. cit.73 Ibid., vol. II, p. 182.74 Ibid., vol. I, pp. 155-156.75 Ibid., vol. I, p. 204.76 Ibid., vol. II, p. 81.77 Loc. cit.

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Julia Kavanagh nelle Due Sicilie

Quello del sud è, dunque, un paesaggio arcadico e incontaminato, in cui lostato di benessere prodotto dal clima e dalla purezza dell’aria si associa ad un ritro-vato senso di libertà, un risvegliarsi delle sensazioni, un diverso modo di sentire lavita, tanto più importante quando la viaggiatrice è una donna. L’identificazionedell’Italia come il luogo di un sentire totale, nel quale il rigoglio spontaneo dellanatura si accompagna ad altrettanto franchi e spontanei stili di comportamento,ridesta nella scrittrice la consapevolezza del proprio diritto ad esistere in quantodonna, come soggetto umano dotato di sensibilità e volontà, e la esorta a denuncia-re i modi in cui questo stesso diritto è negato alle donne italiane.

Qui sta, appunto, l’originalità di questo diario di viaggio, in come esso offrauna lettura del tour nel meridione da una prospettiva prettamente femminile. Lasensibilità verso la condizione della donna percorre tutto il resoconto, promuoven-do riflessioni di genere anche quando le visite ai siti archeologici le richiamano allamente il destino della donna nel mondo romano,78 o quando l’immagine di Briseidele sembra incarnare “the ancient ideal of woman’s loveliness”79 (trad. “l’antico ide-ale della grazia della donna”), intesa com’è solo a suscitare il piacere e l’ammirazio-ne dell’uomo, per cui “respect, tenderness, love, she never can command” (trad.:“rispetto, tenerezza, amore, ella non può mai comandare”).80 L’autrice di tante in-chieste sulla politica di genere nella storia, sulla letteratura delle donne in Inghilter-ra e in Francia, dunque, è qui visibilmente presente, in questa personalissima letturadel Regno delle Due Sicilie alla metà dell’Ottocento, ingiustamente trascurata edimenticata, pur entro il crescente interesse della critica verso la letteratura odeporica.

78 Ibid., vol. I, p. 293.79 Ibid., vol. I, p. 299.80 Ibid., vol. I, p. 300.

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Felice Clima

Il processo contro Firenzene la Procìna del XIII secolo1

tra palazzi e domus imperiali di Capitanatadi Felice Clima

A la Procìna correva l’anno dell’incarnazione di Nostro Signore Gesù 1232,nove del mese di dicembre e il dodicesimo del Nostro Signore Federico, per Graziadi Dio, Imperatore sempre Augusto dei Romani.

1. Il Castellum

Nell’Aula Magna delle Udienze Imperiali nell’ala nord verso la torre roton-da nel Castello di Procinae,2 esposto sul colle alla fresca brezza della Maiella, spruz-zata già della prima neve dell’inverno e baciato dal sole ormai levatosi da qualcheora dalla chiostra dei monti del Gargano, emergenti dall’Adriatico luminoso e chesi specchiavano nell’azzurro metallico del suo cielo, il brusio del popolo variegato,

1 Liberamente ispirato dalla sentenza della Gran Corte dell’Imperatore Federico II il 9 dicembre 1232 nellaDomus Procina. La sentenza è uno dei 25 documenti e provvedimenti così come raccolti in Jean Louis HUILLARD

BREHOLLES, Historia Diplomatica Federici Secundi, Parigi, Plon fratres, 1852-1861. Essa venne emessa inApricena alla presenza dell’Imperatore, del Logoteta Pier delle Vigne e dei dignitari della cancelleria imperialee coinvolse le Università di Siena e Firenze, all’epoca fieramente antagoniste. Cfr. ARCHIVIO DI STATO DI SIENA,Pergamena, Diplomatico Riformazioni, scheda n. 257 e ARCHIVIO STORICO DI APRICENA, Pergamena di mm.390x 450 ora conservata nella scheda n.11 curata da G. Brunetti.

2 Cfr. Dankvart LEISTIKOW, Castelli e Palazzi nella Capitanata del XIII secolo, Foggia, AmministrazioneProvinciale, 1989, in cui è indicato in Apricena l’esistenza di una Domus (ma anche quale Castrum?) ai marginisettentrionali del Monte Gargano, quale luogo di soggiorno preferito dall’Imperatore Federico II (con i resti diuna costruzione sveva nella torre rotonda, tuttora esistente (?)), Arthur HASELOFF, Architettura sveva nell’ItaliaMeridionale, traduzione di Leopoldo Bibbò, Bari, Adda, 1992, e Consalvo DI TARANTO, La Capitanata al tem-po dei Normanni e degli Svevi, a cura di Antonio Ventura, Foggia, Edizioni del Rosone, 1994. Sull’ipotesi disuddivisione degli ambienti della residenza imperiale di Apricena vedi: Felice CLIMA, Apricena ...percorsi, Fog-gia, Tipografia Litostampa, 1998. La domus solaciorum Precinae era terra regia, frequentata abitualmente dal-l’imperatore svevo a conferma dell’ “Exemplum Apuliae, cum solatiis nostris Capitanatae provinciam frequentiusvisitemus et magis quam in aliis regni nostri moram saepius trahimus ibidem”. Nell’istruttoria del procedimentoe soprattutto nella stesura delle sentenze, molta influenza ebbe l’elemento laico dei membri della Curia, di pro-venienza non necessariamente nobile, ma purché di provata valentia, formatasi alla scuola siciliana o bolognesee perfezionata alla giovane università di Napoli; sull’argomento vedi: Antonio DE STEFANO, La cultura dellaCorte di Federico II, Imperatore, Bologna, Zanichelli, 1950.

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Il processo contro Firenze ne la Procìna del XIII secolo

assiepato in attesa del processo, a stento trattenuto oltre la transennatura dalle guardiesaracene, cessò d’incanto all’apparire del Gran Cerimoniere.

Un fragoroso squillo di tromba dagli spalti e, spalancata la porta del Salone,dagli appartamenti imperiali nell’ala di sud-est della opulenta Domus, precedutodal nuncius, incedeva il Rex Romanorum Federico II di Svevia.3 Avvolto nella lun-ga veste cremisi bordata d’oro4 delle grandi occasioni, con la stola di leopardo adabbracciargli il collo, biondo, con sfumature ramate il crine, appena smosso, sguar-do tagliente nel volto glabro e serio, s’assise in alto sul trono eburneo.5

Dalle finestre screziate tra le lamelle di vetro colorate e martellate nelleincernierature metalliche di congiunzione, i raggi obliqui del primo sole accende-vano vieppiù le vestimenta arabescate di rito indossate con gran pompa dai Giudicidel Tribunale dispostisi negli scranni del salone.

2. La caccia al cinghiale

Per i boschi fitti a piè del Colle di Bellumvideri6 prima di S. Annea7 sulle riveubertuose, tagliate dalla corrente tiepida del Caldulo,8 in groppa a “Biscrane”,9 lostallone arabo che conosceva gli antichi sentieri attraverso le forre delle aspre colli-ne del monte e ancor più degli stagni delle paludi della Sacca ad oriente di Alesinae,10

il giorno antecedente, con al fianco il fido scudiero del borgo, Taddeo de Procìna,che stentava a tenergli il passo, il biondo sire aveva lungamente rincorso la turba dicani alla scova del grosso cinghiale fulvo, appena intravisto tra i macchioni di rovi,ginestre e salicornia11 e tra gli ‘sguacci’ fangosi e i cutini umidi del bosco.

3 Gli Svevi erano gli originali abitanti della Svevia, in Germania, ove possedevano il castello di Zaringhen.4 Che ricordava sotto molti aspetti il “manto d’oro”, la veste indossata da Federico II per la sua incorona-

zione, tessuta dagli arabi nel 1134 per il nonno Ruggero II (ora conservata a Vienna presso il Museo Storico;cfr. Angela PICCA, Syfridina, Roma, Ed. CIAC, 1999. Cfr. anche infra Felice CLIMA, Leggende, microstorie estorie di Capitanata, Foggia, Bastogi, 1999, cap. II, “La cena del cinghiale dell’Imperatore Federico II nellaDomus Precinae”.

5 Sui caratteri somatici dell’Imperatore, cfr. Renato RUSSI, Federico II, Barletta, Rotas, 1934.6 Il tenimento di Bellumvideri era ubicato in agro di Apricena, approssimativamente nell’area d’attorno

all’attuale chiesa della Madonna della Selva della Rocca (vedi innanzi Castelli, tenimenti, abazie... legati allaDomus).

7 Dell’insediamento monastico alto medioevale di S. Annea esistono tutt’ora le vestigia nella masseria sulbordo della collina, oltre Sannazario, in fronte quasi alla masseria detta dei “Cinque balconi” ben visibili dallaS.S.V. del Gargano.

8 Il Caldulo è un piccolo fiumicello che porta al lago di Lesina, creato dalle sorgenti calde e terapeutiche chesgorgano ai margini dell’areale della chiesa di Sannazario, che anticamente alimentavano i mulini già citati inuna disputa tra i monasteri di Santa Maria di Tremiti e quelli di San Giovanni in Piano sin dal ‘300.

9 Letteralmente “dalla testa grande”, quasi doppia, per indicarne la possanza, da collegarsi in qualche modoai famosi puledri arabi, discendenti dalle cavalle di Maometto: Abbajah, Habdah, Hamdanjak, Kobailah,Sakliwijah.

10 Tutt’ora l’area della Sacca orientale del lago di Lesina, ormai bonificata, esiste, e la parte del lago cosìindicata è stata oggetto di secolari dispute tra i comuni di Lesina e Sannicandro G.co.

11 Detta volgarmente sav’zaridd’ , pianta che cresce spontanea nelle zone salmastre.

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Felice Clima

L’apparire e scomparire del grosso suide che sfuggiva alla muta, aveva invasa-to il gruppo dei cacciatori. Cortigiani audaci e cavalieri temprati anche alla pugna, ela scorta tutta, si erano dispersi ed inseguivano a loro volta e la preda nella disperatafuga liberatoria e l’Augusto cacciatore che li precedeva, tutto preso ormai nel“braccaggio”.

Nel buio dei cappuccetti, i falchi sballottolati sul braccio dei falconieri fedeli,che seguivano il sire nella scorribanda ormai irrefrenabile, erano rimasti questa vol-ta inoperosi..., e tortore e colombacci dei declivi olivetati delle prime balze del bel-vedere potevano volare sicuri nell’aria fredda del primo mattino di quell’invernodella prima metà del ‘200.

E finalmente nell’ultima radura, prima del cutino di Podalirio,12 in cui si erainconsciamente cacciato, spinto ormai dai cani alle prossime terga, il cinghiale offrìil fianco alla freccia precisa e ferale del Signore.

Scarrocciando sulle zampe, un ultimo inutile balzo, e la ressa della muta ab-baiante vi fu d’attorno sulla ghiaiata, che presto si arrossò di sangue...!13

3. La corte

Sin dalle lontane terre di Piemonte e di Germania, da Teati nell’AbruzzoCiteriore e dalla Terra del Lavoro erano convenuti a la Procìna ed ora alla destradel Signore sedevano i Magistrati: Gherardo de Arnstein,14 Simone Teatino,15

12 La polla sorgiva, che ora viene nomata di Sannazario è stata per millenni utilizzata per bagni termali.Nell’antichità era dedicata al culto di Calcante e Podalirio.

13 Lo stesso nome di Apricena, per secoli è stato - peraltro impropriamente - legato alla caccia del cinghialeda parte dell’Imperatore; vedi tra le leggende in F. CLIMA, Apricena…percorsi…, cit., “La cena del cinghialedell’Imperatore Federico II nella Domus Precinae. Sapori e colori della Daunia sul desco imperiale”, p. 102. Isovrani altomedioevali erano a capo di un sistema sociale in cui la guerra e l’uso delle armi ricoprivano unruolo predominante e la caccia era intesa - solo marginalmente come ludes -, bensì come momento finalizzatoa mostrare e a riconfermare ai sudditi (ma anche a se medesimi) la forza e l’audacia indispensabili ad adempie-re alle funzioni del proprio ruolo. La caccia veniva praticata con armi da guerra, soprattutto con spade epugnali, talora con l’arco. Peraltro, così come per molti altri usi e costumi - oltre che per esperienze filosofichee scientifiche - Federico II ha attinto a piene mani dal mondo arabo che privilegiava la caccia con i rapaci. Unadimostrazione è data dal trattato De arte venandi cum avibus dello stesso Imperatore; cfr. Ortensio ZECCHINO,Prefazione, in FEDERICO II, De arte venandi cum avibus, a cura di Anna Laura Trombetti Budriesi, Bari,Laterza, 2000.

14 Gherardo de Arnstein o Gaybarro, nobile turingio del folto seguito di Federico II, nominato LegatoImperiale di Toscana, è noto per aver concluso un accordo con Firenze, sì da consentire il passaggio dellaToscana tutta nelle salde mani dell’Imperatore. Con Ermanno de Salza, Gran Maestro dell’Ordine Teutonicovenne messo a capo della Città di Verona, e quindi unitamente ad Ezzellino da Romano occuparono Padovae Treviso, cosicché tutta l’Italia settentrionale ad est della linea Ferrara/Verona, passava all’Impero; cfr. ErnstKANTOROWICZ, Federico II, Milano, Garzanti, 1976, pp. 382, 417, 429, 434.

15 Troviamo un Simone Teatino (cfr. E. KANTOROWICZ, Federico II…, cit., pp. 356 e 351) accanto ad unCipriano de Theati, tra i Vicari Generale e Podestà Imperiali dopo la divisione dell’Italia del nord in Vicariati,quali podestà di Padova nel 1237. Queste e le altre cariche più elevate di preferenza assegnate ai pugliesi (intesiin senso lato quali provenienti da tutta l’Italia meridionale) cresciuti nell’ambiente imperiale. Il Salimbene

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Il processo contro Firenze ne la Procìna del XIII secolo

Manfredo Lancia,16 Thoma de Aquino, comite Acerranum.17

Dai boni homines del borgo erano stati convocati e quindi alla sinistra sede-vano i Giurati di Procìnae:18 Johannes Maynardus, baiulus, Roberto De Maiorano,dominus, Robertus De Manfredo, de Madalberto Silvester.

Petrus De Vinea,19 il Logoteta e Primo Giudice a latere dextrum,- letto lo sguardo loquace dell’Imperatore nel suo viso, appena piegato nel-

l’assenso;- accertata la regolare costituzione della Gran Corte Imperiale;- constatata l’assenza dell’Università di Firenze regolarmente citata dal fun-

zionario imperiale Giudice Pellegrino e giudicanda in contumacia, impu-tata della mancata osservanza dell’ordine dell’Imperatore di non muovereguerra all’Università di Siena;

- nominato quindi difensore di ufficio dell’Università di Firenze l’Avvoca-to e Giudice de Procìna Giovanni de Gigura,20 chiamato in udienza;

- rilevata la presenza di Guidottus Luccensis,21 denunziante anche per l’Uni-

tracciando un quadro dell’amministrazione Appula in Italia designa i Vicari come Principi. Cfr. AntonioMORSOLETTO, Giovanni da Apricena, un capitano imperiale de Apulia nella Vicenza del Duecento, Vicenza,La Serenissima, 1995, “Miles omni morum honestate preclarus”.

16 Dell’antica famiglia piemontese dei Lancia, unitamente al fratello Giordanino, fu uno dei fedelissimidello Svevo. Alla stessa famiglia apparteneva Bianca, quarta moglie dell’imperatore, più amante che moglie, equasi certamente, la più amata; cfr. Joseph MUHLBERGER, Donne sveve, traduzione di Leopoldo Bibbò, Bari,Adda, 1979. Da non confondersi con lo zio Manfredi Maletta (? - 1270), gran cerimoniere e poeta. Al suonome è forse legata la costruzione della torre costiera in agro di Sannicandro G.co, tutt’ora esistente e notacon il nome di Torre Mileto; cfr. A. PICCA, Syfridina…, cit.

17 Per penetrare nel suo Regno del sud-est dell’Italia meridionale, diretto a Capua l’Imperatore si appoggiò adalcune famiglie nobili dell’area cassinese, fra queste le famiglie dei Cicala, degli Eboli, ma soprattutto degli Aquino.Di questa, Tommaso venne nominato Gran Giustiziere di Terra di Lavoro e delle Puglie oltre che della Contea diAcerra. Ritroviamo lo stesso quale Vicario Imperiale in Siria, durante la Crociata; successivamente quale inviatospeciale a Capua con il comando di quella guarnigione a resistere alla truppe fedeli al Papa che assediavano lapiazzaforte; e sempre vicino all’Imperatore in molte altre circostanze, anche quale suo fedele rappresentanteunitamente a Taddeo da Sessa, Enrico Morra e all’Arcivescovo di Palermo nel Governo della Sicilia.

18 Ipotizzati quali Giurati, anche se non riscontrati nel documento esaminato ma si riferiscono peraltro a perso-naggi storicamente certi che si ritrovano nel Quaternus excadenciarum di Federico II di Svevia (nella traduzione diGiuseppe De Troia, edita nel 1994 dalla Banca del Monte). I Giurati possono essere considerati dei funzionaripubblici in grado di conoscere leggi e regole da far rispettare e gli uomini tenuti al rispetto delle stesse e delle“scadenze”. Per gli altri Giurati e gli altri personaggi tenuti al rispetto delle scadenze, (rectius delle obbligazioni!) esulle contrade di Apricena rilevabili dal sopraddetto Quaternus, cfr. CLIMA, Apricena… percorsi…, cit.

19 Pier Delle Vigne (Capua 1190 - Torre di San Miniato di Pisa 1249), noto anche quale astrologo di Corte,addottoratosi a Bologna fu notaio presso la Corte di Federico II, giudice della Magna Curia (1225-1234) e unodei più fidati collaboratori dell’Imperatore. Peraltro, sospettato di aver partecipato alla congiura di Sala eCapaccio, fu imprigionato e rinchiuso nella torre di San Miniato, ove, pare, si suicidò. Altro astrologo allaCorte dell’Imperatore (e di quella di Ezzellino da Romano) era anche Guido Bonatti ; cfr. PICCA, op. cit..

20 È indicato tra i Giurati nello Scadenziario federiciano.21 Di Guidotto di Lucca, così tradotto dal tardo latino Guidottus Luccensis non si hanno notizie storiche atte

ad individuarlo con esattezza. Nel Quaternus il De Troia, indica un Guido quale Judex. Si deve ritenere sia statoun personaggio imparziale, comunque dotato di acume critico e osservazioni obiettive del mondo toscano del-l’epoca, incaricato dell’accertamento dei fatti di cui è causa dallo stesso documentate e prodotte in udienza.

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Felice Clima

versità di Siena, parte offesa, e del Giudice Pellegrino, inquirente imperia-le;22

- nominato Cancelliere il Gran Camerario Riccardo,23 diede inizio all’Udien-za nell’aula gremita, in cui - pur anche - spiccavano ospiti di rango in granpompa nel matroneo di fondo, sospeso sulla turba variegata e rumorosaalquanto, di borghigiani incuriositi dall’insolito avvenimento.

4. Il borgo24

L’ultima pia donnetta del borgo, abbracciato al castellum, gonna scura scam-panata sin sulle pianelle appuntite e foderate, stretta in vita nel corpetto dalla“baschina” chiara, di lana frusta, tirata al collo sottile da cui pendeva l’immaginedevozionale della Madonna di Lurito25 della Murgetta vicina, che appariva e scom-pariva tra le pieghe del pesante facc’l’tton26 che le ricadeva sulle spalle coprendole letrecce nere raccolte in canestro sul viso compunto e gentile, chiuso sotto il mentodalle due dita piegate, rigiratasi sui gradini del sagrato dell’antica chiesa di SanMartino per il saluto al Signore, guardò quasi timorosa verso il ‘Palazzo’.

Incessante era, nel cortile, l’arrivo e il movimento di cavalli e cavalieri, e perle ampie scalinate e per i corridoi di accesso ai saloni la vita e l’andirivieni di paggi,scudieri, e personaggi di alto rango per la Gran Corte.

Cessati botti e falò festosi, celebrativi per l’arrivo dell’Augusto ospite, sulcardo,27 l’antico cuore del vecchio borgo, che da Capo Terra menava alla Porta delSignore, la vita aveva ripreso il ritmo di sempre: le botteghe avevano riaperto leporte, inastate le insegne; il “carratino”28 esponeva le “formaggiere” di San Sabinoe della Torre e le ultime olive delle chiuse d’ sott’ i’mmerz;29 l’ortolano la verdura

22 Non si hanno notizie sul “Giudice Pellegrino” che deve ritenersi un funzionario della Curia, presente trai numerosi personaggi di Corte, con mansioni ispettive - corrispondenti a quelle demandate attualmente alPubblico Ministero.

23 Siciliano, Camerlengo Imperiale. Lo troviamo sempre assieme all’Imperatore sin dalla Crociata del 1220.Un suo nipote fu creato dallo Svevo, Vescovo di Squillace.

24 Vedi pianta del centro storico di Apricena, in CLIMA, Apricena…percorsi, cit.. Doverosamente va precisa-to che il primo nucleo urbano della Universitas identificata con il nome di Procìna, addossato al Castellum,era individuato con il termine “Terra” ed era circondato da mura. Extra moenia, era stato di poi aggregata, atale primo nucleo, una addizione a sud, ed ancora in periodo successivo un altro quartiere a nord, costituitodal “Casale”, abitato da Albanesi e Schiavoni.

25 L’attuale Madonna dell’Incoronata.26 Antica mantella nera, molto ampia di panno pesante.27 La strada centrale - ora Corso Garibaldi di Apricena - che taglia di netto il centro storico da “Capo

Terra” detta anche “Porta al Piano” (ora For la Croc) a “Capo Palazzo” (ora For u’ Palazz - Castello).28 Venditore di generi alimentari, originariamente di soli prodotti caseari, proveniente da Corato dai piani

prativi nella valle dell’Ofanto, ricca di armenti.29 Letteralmente “terre emerse” (che si elevavano dalla pianura) chiamate così quelle a piè di monte.

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Il processo contro Firenze ne la Procìna del XIII secolo

degli orti del Vallone, il “chianchero”,30 il primo maiale dell’inverno, squartato,appeso testa in giù alla ’ng’nagghiera,31 il “vinattiere”, il vino novello delle chiused’Murrich e delle coppe di Manfrino.32

Il Curato della Parrocchiale e lo speziale lì da presso; il medico dell’ospedale,nel vicolo verso la strettoia di “Capo Terra” ripresero ad attendere alla cura, il se-condo del corpo e il primo dell’anima dei borghigiani operosi.

“Funicheri”33 armeggiavano nei fondaci del centro con tele e pezzi di stoffa,finanche di sciamito; nell’immediato suburbio a piè di colle, mastri d’ascia con in-cudine e martello sin sul piazzale d’accesso tra stanghe di carri al cielo e cataste ditavoloni; fabbri e maniscalchi tra il tramestio di asini e cavalli e lo scalfio sonoro dimazzola e scalpello del marmorario34 tra massi enormi e chianghett35 modeste dellemurgette all’opera; sarti, barbieri e il cerusico financo, tra le quinte socchiuse d’af-faccio nei vicoli e negli angiporti, con aghi, pennelli e strumenti del mestiere, ani-mavano l’antico borgo diramantesi dall’abbraccio della Domus Imperiale. Nellataverna alla bocca di Porta al Piano, intra mura,36 s’era aperto l’ampio varco perl’ultimo cavaliere e l’odore di stallatico risaliva per i vicoli d’attorno e sullo slargodi poco fuori le mura del Convento di San Francesco37 .

Solamente il curiale ed il baiulo, frammisti già alla calca degli spettatori delprocesso, non avevano aperto lo studiolo (del primo si leggeva fiducioso, per i po-chi che erano in grado di leggere: “torno subito!”).

5. Gli altri ospiti

Eran giunti, alcuni per l’antico tratturo38 che dal Palatium di Foggia menavaa la Procìna, nomato “dell’Imperatore”, altri per la costiera Via Traiana, a rendere

30 Equivale a macellaio, che normalmente utilizzava una pesante lastra di pietra detta “chianca” per sezio-nare la carne macellata. È una probabile volgarizzazione del termine francese plance che era il luogo (rectius iluoghi) esterno all’abitato, ove erano ubicati i mattatoi (così regolamentati nel giugno 1231; cfr. la traduzionedel De Troia).

31 L’asta a cui si appendevano gli uncini che sostenevano i quarti degli animali macellati.32 Contrade, le prime verso S. Severo nella valle del Candelaro, le seconde verso San Nazzario, quest’ultima

- in specie - richiamante nella dizione volgarizzata il nome di Manfredi?!.33 Venditori di stoffe.34 Letteralmente lavoratore del marmo. Nel caso dell’area delle cave di Apricena deve intendersi più preci-

samente “scalpellino”, che equivale a lavoratore con lo scalpello. Tra questi vi sono veri e propri artisti capacidi opere di alto ingegno. Sull’argomento, cfr. Domenico POTENZA, Laboratorio Progetto Cultura. Sulla pro-mozione e valorizzazione dei marmi e della pietra di Apricena (03.08.2000); ed anche CLIMA,Apricena…percorsi…, cit., “La pietra di Apricena”.

35 Basole di pietra viva.36 Sulle antiche mura di Apricena, cfr. Teresa DE CANDIA-Giuseppina CLIMA, Apricena ed il suo territorio

durante il medioevo, inedita, Biblioteca Comunale di Apricena.37 Ove ora sorge la chiesa di Sant’Antonio con a lato Piazza Campo di Fiori.

38 Cfr. CLIMA, Leggende, microstorie…, cit., “Il Tratturo dell’Imperatore”, p. 31 e segg..

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Felice Clima

omaggio al Sire, ma anche a riferire su affari di Stato e, per aver Udienza attendeva-no la conclusione del processo: il Maestro supremo dell’antico ordine alemannoErmanno de Salza,39 il dotto consigliere Vescovo Berardo di Palermo,40 il Contenormanno di Lesina, già deposto e impetrante; da Lucera era giunto il capo dellaguarnigione della piazzaforte e della comunità araba fedele,41 e dal Castrum Paga-ni,42 vigile sul monte, Mohan Ibn Saud, il bellicoso suo capo; dalla collina diBellumvideri in fronte alle Tremiti verso Sanctum Nicandrum, il suo maestroteutonico. In groppa alla povera mula eran pure arrivati per i sentieri sulla murgiapetrosa Roberto, l’Abate di San Giovanni in Pane,43 opulenta e operosa, gratificatadall’Imperatore e quello dell’Hostium Jani, nella prima gola verso l’Honor MontisSancti Angeli per il tracciato dell’antica strada dei Longobardi.44

Si intrattenevano gli ospiti nell’ampia biblioteca, ridondante di codici epandette nel salone vicino agli appartamenti privati, nell’area opposta del Castellomentre la numerosa servitù sciamava, discreta, per le numerose incumbenze dellaCorte,45 già da alcuni giorni stabilmente quivi insediatasi proveniente da Luceraper trascorrere alla Procìna il Natale del Signore.

Dai monti dell’Abruzzo, per Larinum e Teanum, i bianchi cani pastore diguardia scortavano ormai l’ultimo numeroso gregge di bovini e ovini frammisti,diretti ai pascoli ubertuosi della Puglia Piana o a quelli ridenti degli altopiani delGargano, attraversati i folti boschi dell’Alta Daunia, eran già sull’antico polverosotratturo che rasentava il bordo del fossato sotto il Castello, riempiendo il salone delsuono sordo e costante dei loro campanacci, dando così un tono domestico allasolenne celebrazione.

39 Ermanno de Salza, Gran Maestro dell’Ordine Teutonico (1170-1239), ottenne dal Papa il bando di unacrociata e da Federico II, amico ed alleato suo, il titolo di principe dell’Impero.

40 Su segnalazione del Papa, l’Arcivescovo di Bari Berardo di Castacca entrò a far parte del Consiglio diReggenza dell’Imperatore, di cui divenne amico e confidente (con Ermanno De Salza cui era superiore percultura ed ingegno). Gli sarà vicino fino alla morte; cfr. R. RUSSI, Federico II…, cit..

41 La Lucera Saracenorum, non solo quale enorme caserma, ma anche autonoma colonia islamica in pienaregola con una popolazione di varie decine di migliaia di persone, con una propria organizzazione civile ereligiosa, con artigiani variamente e abilmente specializzati: orafi, argentieri, armaioli; sul punto cfr. LucianaCATALDO, Lucera nella storia in «Gazzetta di San Severo» del 25.09.00.

42 I Saraceni di Castelpagano non vanno confusi con quelli di Sicilia, trasferiti nella Puglia Piana (Lucera) aviva forza dall’Imperatore durante la sua dominazione, ma rappresentavano un gruppo autonomo - insediatosigià da qualche secolo antecedente sulle prime alture del Gargano a dominio della pianura sottostante. Questiprovenivano quasi certamente dal mare di Siponto a seguito delle non infrequenti incursioni turchesche eproseguite sulle montagne dell’interno. Tali penetrazioni erano già avvenute dalla costa del Golfo del Leone,in Francia fin in Provenza e da lì - oltrepassate le Alpi - addirittura in Piemonte.

43 Per ingraziarsi l’imperatore che con provvedimento emesso apud Tarentum il 9 aprile 1221 riconfermò almonastero di San Giovanni gli antichi privilegi allo stesso concessi dal Conte normanno di Lesina.

44 Di questi personaggi, non indicati nel documento in esame, i primi erano Consiglieri fidati dell’Imperatoree quindi di sua costante frequentazione; gli altri, legati al luogo, erano tenuti a riferire su fatti e vicende relative.

45 Vedi RUSSI, op.cit., ed anche Marcello ARIANO, Federico II tra storia e mito, in «Il Provinciale», dicembre2000: “[...] Alla sua Corte si respirava [...] sfarzo e opulenza, odalische e falconieri, eunuchi, animali esotici,cavalieri cristiani e guerrieri saraceni, letterati e matematici, giuristi e scienziati, architetti e astronomi, cantoricon vesti di porpora e - quando il giorno volgeva al termine - fiaccole ardenti accese qua e là, facevano dellanotte, giorno, fra gare degli attori [...]”.

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Il processo contro Firenze ne la Procìna del XIII secolo

6. Madonna Angiola

Madonna Angiola, l’ultima dei Bronte46 del Casale fortificato nella valledi Stignano a bordo rivo sul Candelaro fluente, la giovane donna dello Svevodagli occhi profondi nell’ovale perfetto nel carnicino del suo viso, quasi da che-rubino, avvolto dalle ciocche di neri capelli debordanti dalla reticella a racco-glierli sulla nuca, intratteneva gli ospiti in paziente attesa, mentre negli ampi eprofondi camini robusti ceppi delle non lontane forre delle coppe di Manfrino edella Castelluccia, riscaldavano l’ampio salone di rappresentanza con i loro ac-coglienti e profumati tepori. D’infilata dalla cucina - non lontana - provenivanosottili, invitanti aromi della cacciagione di caprioli e fagiani, intensamente aro-matizzati!47

Qualche piccolo crepitio, quasi di protesta, dei “ripolli”48 secchi di un anticoolivastro, già piegato dal vento della costa verso Maletta,49 ancor non domo allabisogna, sprizzava nell’aria luccicanti, pazzarelle stelline!

Sul collo ceruleo riluceva un sottile filo di perle, che s’adagiava sul seno appe-na accennato, eppur prepotente nel corpetto di raso nero stretto sulla gonna scam-panata di velluto amaranto. Era stato l’ultimo regalo che l’Augusto suo Signore leaveva offerto, tratto dal suo forziere, tra i monili cesellati dagli orafi della Fenicia,ormai saracenizzati, che il sultano Al Kemal aveva a sua volta donato al Re diGerusalemme... nell’ultima sua Crociata.

46 Del variegato e molteplice mondo femminile, legato all’Imperatore, in relazione alle sue costanti abitudi-ni di circondarsi di belle donne dei vari luoghi frequentati, dispensando una cospicua progenie di figli, quasisempre illegittimi, ma pure amati e cresciuti nella sfera d’influenza della sua Corte, considerate le sue numero-se frequentazioni e le lunghe permanenze nella Domus Precina - pur in mancanza di documenti attendibili dacui rilevarsi la presenza certa ed ufficiale delle regine delle varie epoche, né di qualsiasi altra donna - possiamolegittimamente ipotizzare che anche quivi avesse la sua donna; cfr. J. MUHLBERGER, Donne sveve…, cit.. Ma-donna Angiola è un personaggio puramente inventato, non rintracciabile nella storia, così come non è maiesistita una famiglia Bronte, che, infatti, è una voluta deformazione della famiglia Brancia; cfr. CLIMA, Leggen-de, microstorie..., cit.. Ovviamente l’aver legato la famiglia Brancia è una libertà ulteriore, se non proprio unarbitrio, di cui chiedo venia. Ritroviamo infatti questa famiglia solo incidentalmente, dopo il terremoto del-l’epoca quando - nel 1650 - acquistò quello che restava dell’originario Castello federiciano di Apricena. Laricostruzione che ne fece, e tuttora esistente, ne alterò sostanzialmente le linee architettoniche, ma conferìloro il titolo di Principi di Apricena (successivamente anche se per breve tempo, questa chiamata Casalmaggiore).Il Feudo di Apricena fu acquistato nel 1593 da Ferrante Lombardo, conte di Gambatesa, barone di Roseto eTroia da cui passò al figlio Ascanio e al nipote Giovanni Berardino. Questi lo vendette ai Brancia nel 1613(così come gentilmente trasmessomi con e.mail da Francesco Lombardi di S. Chirico - fonte: Giovanni MARESCA,Le ultime intestazioni feudali del Cedolario di Capitanata”, in «Rivista araldica» 1954; Annibale FACCHIANO,Roseto Val Fortore, Sant’Agata di Puglia, Casa S. C. di Gesù, 1971).

47 Per sapori e colori di Capitanata sul desco imperiale, cfr. Clima, Apricena... percorsi…, cit., “La cena delcinghiale nella Domus Precinae”, p. 102.

48 Virgulti selvatici.49 Oltre Manfrino verso il mare.

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Felice Clima

7. Le inchieste a Siena di Ser Guidotto; a Firenze del Giudice Pellegrino

a) Le requisitorie - La difesa

Dall’Assise si levò grave Ser Guidotto, l’inquirente, chiamato dalla nativaLucca a indagare sulla fondatezza della denunzia dell’Università di Siena, nellaCancelleria Imperiale, in ordine all’affermata proditoria azione di guerra mossa con-tro la stessa dai vicini, eterni nemici, fiorentini.

Riferì delle non facili indagini; delle raccolte testimonianze dei cittadini delcontado e delle valli della Chiana e delle colline luminose e gaie delle Crete e delleFonti d’attorno a Siena, che gli attestarono della invasione delle milizie fiorentineper i casali e i coltivi della fertile campagna, tutto razziando, depredando e distrug-gendo; gli attestarono del sacco e della distruzione dei borghi e dei castelli di Selvulae di Quercegrossa, nell’agro senese, fin sotto le mura della stessa; e del sangue ver-sato, dei difensori e dei cittadini della stessa e del danno provocato agli abitanti eall’Università di Siena.

L’inquirente imperiale, Giudice Pellegrino, confermò le accuse di Ser Guidottoe riferì che non v’era stata giustificazione alcuna da parte dei Capitani di Firenze, dasempre impegnati al rafforzamento di quelli che ritenevano propri diritti sulle cittàe sulle popolazioni della Toscana, non riconoscendo ingerenze esterne, vuolsi diPontefici che di Imperatori... .

Entrambi concludevano, pertanto, anche richiamandosi ai principi affermatiin più occasioni da Taddeo da Sessa,50 per l’affermarsi della responsabilità esclusivadei fatti di sangue e di guerra avvenuti, a carico dell’Università di Firenze, con laconseguenza della punizione della stessa, e quindi per il risarcimento dei danni pro-vocati a quella di Siena.

Attento, in silenzio, il Collegio ascoltò le requisitorie; Gherardo de Arnsteinrichiese alcuni chiarimenti sull’iter dell’azione bellica e sulla documentazione rac-colta e prodotta, Thoma de Aquino, che rivedeva nelle verdi colline senesi, invase esaccheggiate, i monti e le colline d’attorno ad Acerra, la propria città, i Simbruini ei Lattari, aspri e selvaggi, s’interessò alla quantificazione dei danni ai borghi e ca-stelli e al contado stesso... .

Il brusio del volgo riprese il sopravvento!Cessò, allorché Giovani De Gigura, il difensore di ufficio dell’Università di

Firenze, prese la parola.Pur non conoscendo approfonditamente i particolari dell’intera controversia

in quanto, sostanzialmente, non aveva avuto modo di contattare alcun emissario diquella città, sostenne coraggiosamente un’appassionata difesa. Sollevò alcune obie-zioni procedurali - peraltro subito rigettate dalla Corte - sull’inefficacia della con-

50 Taddeo da Sessa (1190-1247) ricoprì la carica di Gran Giustiziere e, quale esperto giurista, contribuì allarinascita del diritto.

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Il processo contro Firenze ne la Procìna del XIII secolo

vocazione al processo della città dell’Arno; adombrò una carenza di legittimazionepassiva della stessa all’osservanza dell’ordine Imperiale; nel merito, eccepì - sia puresenza crederci molto - l’inefficacia delle prove addotte dall’Accusa, non essendo ingrado di confutare quanto evidenziato e documentato dal Guidotto Luccense edall’inquirente imperiale.

8. Le aree d’attorno alla Domus

Le ogive delle ampie finestre screziate di fondo sala, si aprivano sul sottostantelussureggiante parco della Domus, dai rivi fluenti lievi tra le ricche serre e i gazebomoreschi e le aiuole ancor illeggiadrite nel dolce inverno di Capitanata dai fioriesotici delle terre dei Bruzzi e degli Enotri e sin della Fenicia51 e consentivano dispaziare lo sguardo tra i boschi fitti della Difesa, oltre il Candelabro,52 sino ai bor-ghi di Terra Majoris e di Civitate53 tra i rilievi montuosi dell’ultimo Appennino,serrati dalle balze e con le essenze dei monti del lontano Sannio.

Ancora più oltre, nel baluginio della luce quasi metallica del sole invernale dimezzodì - appena accennati e percettibili - s’intravedevano i tetti di Foggia Impe-riale e - più netti - quelli della Luceria Saracenorum sui primi contrafforti preap-penninici oltre la Puglia Piana.

Dai ventiquattro rettangoli di vetro policromi dell’ampia porta che dava sulbalcone della sala, sporgente sul profondo fossato, il sole invernale luminoso e freddodell’ora sedicesima, che già sulla prima fascia dei monti del Gargano aveva inonda-to il mastio di Castelsaraceno,54 vigile sul colle, e accarezzato i prati e i boschi diMonte Castello e Voltapianezza e la gola di Stignano verso il Sacro Monte, penetra-va nella grande sala e infiammava, alle spalle, ancor più le casacche scarlatte di ritodei Giurati, i boni homines di Procìnae, intenti ormai già a formulare il responso.

Sul seggio di capo sala, in trono, si proponeva il Rex Romanorum che avevaattentamente seguito il dibattimento; diede il suo assenso al logoteta Petrus De Vinea,in piedi al proprio fianco, perché concludesse il processo e venisse emessa la sentenza.

9. La sentenza

Sentito il parere dei Giurati, i Giudici della Gran Corte, levatisi tutti in piedi,solennemente pronunziarono la sentenza accogliendo in pieno le accuse formulate:

51 Con riferimento rispettivamente alla Calabria, alla Sicilia e ai luoghi sacri delle crociate.52 Val la pena ricordare l’amoenitas loci. Nei periodi storici in esame tutta la piana di Capitanata era ben

diversa da quella arida attuale; cfr. G. SALVIOLO, Contributi alla storia economica dell’Italia nel Medioevo.SulloStato e la popolazione dell’Italia prima dell’invasione barbarica, in A. HASELOFF, Architettura sveva nell’Ita-lia Meridionale…, cit.

53 Con riferimento a Torremaggiore e a S. Paolo Civitate.54 L’originario nome che indicava l’antico borgo e la fortezza di Castelpagano.

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Felice Clima

l’Università di Firenze, riconosciuta colpevole, veniva condannata al pagamentodi cento mila marche d’argento in favore dell’erario imperiale, oltre ad altre diecimila per non essersi presentata all’udienza dibattimentale; ed altresì al risarci-mento dei danni a favore dell’Università di Siena in seicento mila libbre di denarisenesi.55

D’infilata nei corridoi del castello sin nella Gran Corte penetrarono le bavedel vento freddo della Maiella a smuovere le fiaccole accese nell’ora ormai tarda;il fiato robusto dei trombettieri sugli spalti alimentò le trombe a chiusura delprocesso; al lume di fioche torce, i borghigiani fedeli abbandonarono il castelloriguadagnando i vicoli e gli angiporti del borgo; nel buio e nel silenzio della pia-na, solamente il castellum risplendeva ancora di luce e risuonava di vita... .

“Questi atti sono ad Apricena e nello stesso luogo presente il signore nostroImperatore, prescritti nell’anno, nel mese e nella indizione.

Io come sopra Pietro, Giudice della Grande Curia Imperiale.Io sottoscritto Dino, notaio una volta del notaio Ser Azzini, cittadino di Siena

presi due copie prescritte immediatamente da autentici mezzi duplicati e fedelmen-te ritrascrissi.”

Appendice

Historia Diplomatica. Friderici secundi

Gebhardus de Arnesten imperialis in Italia legatus et magister Petrus de Vineaimperialis curiae judex, in praesentia imperatoris, ex conquestione syndiciuniversitatis Senensis universitatem Florentiae condemnant in centum milIibusmarcis argenti fisco imperiali solvendis, pro eo quod ab impugnatione Senensiumnon destiterunt, item in decem millibus aliis marcis pro eo quod ad curiam responsurivenire contempserunt; mittuntque commune Senensium in possessionem bonorumcommunis Florentiae usque ad sexcenta millia librarum denariorum Senensium proreparatione damnorum quae a Florentinis fuerunt perpessi.

(Edidit MURATORI, Antiquit. Italic. med. aevi, tom. IV, p. 481, ex transumptoanni 1236, 9 decemb.; nunc accurate collatum cum altero transumpto authent. inarchivo comm. Senensis , Caleffo dell’ Assunta , mater. terza, fol. 59-61)

In nomine Domini nostri Jesu Christi, anno ab incarnatione ejus millesimo

55 Franco TARDIOLI, Le Costituzioni di Melfi di Federico II, Roma, Nuovi Arrivi, 1985, Libro I, titolo IV“Delle Decisioni del Re Ruggero II”: “Non si devono discutere le leggi del Re” ; vedi anche Libro I, titoloXCIX , “La pena per i contumaci”; ed ancora Libro I, titolo LXXXIII, “Sulla istituzione degli avvocati”;Libro I, titolo LXXXIV, “La funzione degli avvocati”.

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Il processo contro Firenze ne la Procìna del XIII secolo

ducentesimo trigesimo secundo et duodecimo56 anno imperii domini nostriFrederici, Dei gratia Romanorum imperatoris semper augusti, Jerusalem et Sicilieregis invictissimi, anno vero regni Sicilie trigesimo quinto et Jerosolymitaniseptimo,57 mense decembris, sexte indictionis, domino Frederico, Dei gratiaRomanorum imperatore, Jerusalem et Sicilie rege, ad Precinam solemnem curiamregente, presentibus ibidem Gaybarro de Arnesten in Ytalia legato, Thoma deAquino comite Acerrarum, Simone Theatino, Manfredo Marchione Lancea etRiccardo imperialis aule privato camerario, nec non infrascripto magistro Petro deVinea magne imperialis curie judice et quampluribus aliis nobilibus et probis viris,Guidottus Luccensis sindicus seu actor comunis seu universitatis Senensis, nominedicti comunis, de cujus auctoritate et sindicatu legiptime et perfecte curie constitit,proposuit contra comune seu universitatem Florentie quod ipsum comune etuniversitas pro motu proprie voluntatis destruxit duo castra comunis seu universitatisSene, videlicet castrum de Selvula et castrum de Quercegrossa; in quorum castrorumdestructionem dicit universitatem Sene damnificandam in ducentis milibus librarumdenariorum Sene; item quod ipsa universitas Florentie in predictis cabellicatis etaliarum rerum destructione et ablatione damni-ficavit dictum comune inquadragentis millibus libris ejusdem monete, eundo etiam cum exercitu super dictumcomune et terras universitatis ejusdem et comitatus ipsius et incendendo et deva-stando res et bona Senensium et eorum comitatus; quam injuriam nollet substinuissedictum comune, melius vellet dedisse de suis quadrigenta millia librarum ejusdemmonete; unde dictus sindicus seu actor pro parte et vice universitatis et comunisSenensis a predicta universitate Florentie seu comuni petit sibi fieri justiciam deomnibus supradictis, salvo jure addendi et minuendi. Item accusavit idem GuidottusLuccensis sindicus comunis et universitatis Sene comune et universitatem Florentiequod ipsum comune et universitas pro motu et arbitrio proprie voluntatis movitguerram contra ipsam universitatem, cum exercitu, gente et manu armata asseditcastra eorum et expugnavit, videlicet castrum de Selvula et castrum de Quercegrossa,incendia supponendo terris et rebus eorum, omicidia in quamplures de Senensibuscommittendo, capiendo eosdem et privatum carcerem exercendo in quos captivos;unde petit sindicus ipse pro parte universitatis Sene ipsam universitatem seu comu-ne Florentie de guerra taliter mota secundum jura puniri. Hec acta sunt hoc annode mense junii proximo preteriti in ter-ritorio et comitatu ipsius Sene. Item aliolibello petit idem sindicus de incendiis taliter factis universitatem Florentie secundumjura puniri. Item alio libello petit idem sindicus dictam universitatem de exercituseu gente taliter congregata secundum jura puniri. Item alio libello petit ipsamuniversitatem de expugnatione taliter facta secundum jura puniri. Item alio libelloidem sindicus petit dictam universitatem Florentie de omicidiis taliter commississecundum jura puniri. Item alio libello idem sindicus petit ipsam universitatemFlorentie de eo quod privatum carcerem taliter exercuit in homines Sene, secundum

56 Recte tertio decimo.57 Recte octavo.

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jura puniri. In quibus omnibus libellis intelligatur facta repetitio ejusdem temporiset loci. In eadempreterea curia judex Petrus de Sancto Germano, advocatus fisci,denunptiavit imperiali curie quod cum universitas Florentie fuisset citata ex partedomini imperatoris sub peremptorio sub pena decem milium marcarum argenti utveniret factura justitiam comuni seu universitati Sene super quibusdam damnis datis,injuriis et rebus aliis, et non venerit in termino sibi prefixo, petit ipsa decem miliamarcarum ad opus surie a dicta universitate seu comuni Florentie auferri et exigiseu extorqueri. Denunptiavit etiam idem judex Petrus de Sancto Germano quodcum comuni seu universitati Florentie fuisset injunctum et prohibitum ex partedomini imperatoris sub pena centum millium marcarum argenti ne universitatemseu comune Sene offenderet, spreta tali prohibitione et defensa facta, destruxit ca-stra eorum, expoliavit, homines cepit ipsius comunis seu damna multa intulit ipsiuniversitati Sene. Unde petit dictus judex Petrus ad opus domini imperatoris dictamilia marcarum argenti ab universitate seu comuni dicte Florentie exigi seuextorqueri, cum fuerit ipsa universitas Florentie super hoc citata sub peremptorioet non venerit justiciam factura. Quibus accusationibus, denunptiationibus etpetitionibus in ipsa curia propositis, edicto comone (sic) facto et solempniter pro-posito, quesitum est si in curia ipsa sindicus, procurator aut actor aliquis pro parteFlorentinorum aut aliquis alius qui se defensioni ipsorum offerret inveniretur. Nullusapparuit qui vel sindicatum aut procurationem seu aliquam auctoritatem assereretaut defensioni Florentinorum etiam se of-ferret. Cumque prenominatus Guidottusactor et sindicus universitatis seu comunis Sene, necnon antedictus magister Petrusadvocatus et denunp-tiator pro parte curie instanter instarent adverse partisabsentiam et contumaciam incusando, cumque etiam ex rememoratione et testimo-nio domini nostri imperatoris plene et manifeste constaret antedictum Guidottumactorem et sindicum necnon prefatum magistrum Petrum advocatum fisci etdenunptiatorem pro parte curie in resto Omnium Sanctorum, quem terminum judexPeregrinus ejusdem domini nostri imperatoris nunptius partibus sub peremptorioet Florentinis sub banno decem milium marcarum prefixerat, prout per instrumentapublica inde facta in ipsa curia presentata manifeste constabat, se coram presentiaipsius domini nostri imperatoris et curie presentasse et per dies aliquot adversepartis expectando presentiam fuisse moratos, nos suprascripti Gaybardus deArnesten imperialis in Italia legatus et magister Petrus de Vinea magne imperialiscurie judex, de speciali mandato domini nostri imperatoris, curiam solemniterfecimus congregari de comitibus et baronibus et jurisperitis qui in curia ipsa erant,et diligenti cum eis consilio habito, pronunptiamus in hac forma: Quia constititnobis per publica instrumenta juris solepnitate vallata nec non ex rememoratione ettestimonio judicis Peregrini cui per dominum nostrum imperatorem specialitercommissum fuerat bannum centum millium marcarum imponere Florentinis necabalcatas facerent contra Senenses et ne eis damna, injurias vel molestias aliquasfacerent, sed jura sua in imperiali curia ordine judiciario persequerentur, prout hocipsum etiam de mandato et commissione facta judici Peregrino predicto fuit pleneprobatum, quod bannum predictum per prenominatum judicem Peregrinum fuit

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Il processo contro Firenze ne la Procìna del XIII secolo

legiptime impositum, prout curie constitit, et est etiam notorium [quod] predictiFlorentini et comune Florentie fecerunt cabalcatas, damna, injurias et molestiasantedictas Senensibus et comuni Senensium intulerunt; condempnamus ipsum co-mune et universitatem Florentie in predictis centum millibus marcarum argenti inbanno contentis fisco imperiali solvendis, parte ipsius comunis absente percontumaciam habita pro presenti, utpote cum per instrumenta etiam predicta decitatione facta et per judicem Peregrinum etiam constitisset quod de hoc etiam co-mune Florentie sub peremptorio citatum fuisset ut coram imperiali presentia intermino supradicto veniret de banno predicto in judicio responsurum. Item quiaconstitit nobis et imperiali curie plene de citatione predicta facta potestati et comu-ni Florentie sub pena decem millium marcarum argenti per peremptorium ut inprescripto termino ad curiam venire deberent, nec venerunt ut predictum est, spretisbanno et pena predictis; condempnamus ipsum comune Florentie in ipsis decemmilibus marchis imperiali fisco solvendis. Item quia in evidenti contumacia tam incivilibus petitionibus quam in criminalibus accusationibus contra predictum co-mune Florentie propositis per sindicum et actorem predictum pro parte comunisSenensium, ipsum comune inventum est formam juris comunis secutum,pronunptiamus ipsum comune Sene mictendum in possessionem bonorum comuniset universitatis Florentie pro mensura debiti declarati sexcentarum millium librarumdenariorum Senensium pro damno illato universitati ipsius in destructione castrorumSilvule et Quercegrosse et pro damno illato ipsi universitati in comitatu ipsius perdevastationes, incendia et depopulationes rerum et bonorum Senensium et comitatusipsorum, declaratione ipsius debiti facta imperiali curie coram nobis per sacramentumantedicti Guidotti sindici et actoris Senensium, qui specialiter habebat, prout perinstrumentum sindicatus et auctoritatis constitit, de jurando mandatum.Pronunptiamus etiam bona comunis et universitatis ipsius Florentie adnotanda juxtaordinem juris, quia peremptorie citati et requisiti pro criminalibus accusationibusantedictis in statuto termino se, ut dictum est, minime presentarunt. Ad cujus reimemoriam et perpetuam firmitatem, hec omnia qualiter gesta fuerunt nos antedictiGaybardus et judex Petrus tibi Angelo imperialis curie publico notario in scriptiscommisimus redigenda, nostris subscriptionibus roborata.

Acta sunt hec apud Precinam, ibidem domino nostro imperatore presente,anno, mense et indictione prescriptis.

Ego qui supra Petrus magne imperialis curie judex.Ego Dinus notarius olim Ser Azzini notarii civis Senensis infrascriptus

prescripta proxime duo exempla ex auctenticis instrumentis duplicatis sumpsi etfideliter suprascripsi.

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Felice Clima

Historia Diplomatica. Friderici secundiIn Precina, dicembre

Gherardo di Arnesten ambasciatore imperiale in Italia e il consigliere Pierdelle Vigne, giudice della curia Imperiale, in presenza dell’imperatore, a seguitodella denuncia della comunità di Siena condannano la comunità di Firenze a pagareal fisco Imperiale centomila marchi d’argento, per il fatto che non desistettero dal-l’assalto ai Senesi; altri diecimila marchi per il fatto che disdegnarono di venire acomparire dinanzi alla Curia; inoltre pongono il Comune di Siena in possesso dibeni del comune di Firenze per un totale di seicentomila libbre di denari a titolo dirimborso per i danni che furono causati ai senesi da parte di Firenze.

(Muratori pubblicò, Antiquit. Italic. Med. Aevi, libro IV, p. 481, dalla tra-scrizione dell’anno 1236, 9 dicembre; di qui in poi accuratamente confrontata conaltra trascrizione autentica dall’archivio del comune di Siena, Califfo dell’Assunta,mater. Terza, fogli 59-61)

In nome del Signore nostro Gesù Cristo, nell’anno 1232° della sua incarna-zione e 12°58 anno dell’impero del nostro Signore Federico, per grazia di Dio impe-ratore sempre augusto dei Romani, re invittissimo di Gerusalemme e di Sicilia, nel-l’anno altresì 35° del regno di Sicilia e 7°59 del regno di Gerusalemme, nel mese didicembre, della sesta dichiarazione, sotto il regno di Federico, per grazia di Dioimperatore dei Romani, re di Gerusalemme e di Sicilia, che qui presiede la solenneCuria di Precina, qui presenti Ghebardo di Arnesten ambasciatore in Italia, Tommasod’Aquino Conte di Acerra, Simone Teatino, Manfredi Marchese Lancia e Riccardociambellano privato della corte imperiale, nonché il sottoscritto consigliere Pierdelle Vigne giudice della grande curia imperiale e parecchi altri nobili e probiviri,l’avvocato Guidotto di Lucca in qualità di attore del comune e della Comunità diSiena, in nome della dichiarazione comune, della cui autorità e giudizio si fonda lacuria legittimamente e completamente, propose contro il comune ossia la popola-zione di Firenze, perché la stessa popolazione per impulso della propria volontàdistrusse due castelli della popolazione ossia della popolazione di Siena, vale a direil castello di Selvula e il castello di Quercegrossa; per la distruzione di questi castelliordina di dover indennizzare la popolazione di Siena di 200.000 libbre di denari diSiena; parimenti perché la stessa popolazione di Firenze, per le predette azioni e perla distruzione e l’appropriazione di altre cose condannò la detta popolazione a400.000 libbre della stessa moneta anche con l’esercito che andava sopra la dettapopolazione e le terre della stessa popolazione e dello stesso seguito e incendiandoe devastando le cose e i beni dei Senesi e il loro seguito, che la popolazione nonvolesse sopportare questa offesa, volesse meglio aver dato delle sue 400.000 libbre

58 Correggi tredicesimo.59 Correggi ottavo.

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Il processo contro Firenze ne la Procìna del XIII secolo

della stessa moneta; anche il detto inquirente sia che avvocato di parte e della vicen-da della popolazione e del comune di Siena dalla predetta popolazione di Firenzesia che chiese al comune che gli fosse fatta giustizia di tutte le cose sopradette, salvoil diritto di aggiungere e di diminuire.

Parimenti lo stesso Guidotto di Lucca inquirente del comune e della popola-zione di Siena accusò il comune e la popolazione di Firenze che lo stesso comune ela popolazione per incitamento e arbitrio della sua volontà mosse guerra contro lastessa popolazione con l’esercito, con gente e mano armata assediò ed espugnò iloro castelli, vale a dire il castello di Selvula e il castello di Quercegrossa, aggiun-gendo incendi alle terre e alle loro cose, commettendo omicidi contro parecchi deiSenesi, catturando gli stessi e usando il carcere privato contro quei prigionieri; ondelo stesso imperatore chiese da parte della popolazione di Siena che la stessa popola-zione ossia il comune di Firenze fosse punito secondo le leggi della guerra in talmodo mossa.

Questi atti sono di quest’anno il prossimo mese di giugno passato nel territo-rio e seguito della stessa Siena. Parimenti con un’altra denunzia lo stesso inquirentedegli incendi in tal modo fatti chiese che la popolazione di Firenze fosse punitasecondo le leggi. Parimenti con un’altra denunzia lo stesso inquirente chiese che ladetta popolazione dell’esercito sia della gente radunata fosse punita secondo le leg-gi. Parimenti con un’altra denunzia sull’espugnazione in tal modo fatta la stessapopolazione fosse punita secondo le leggi. Parimenti con un’altra denunzia lo stes-so inquirente chiese che la detta popolazione di Firenze fosse punita secondo leleggi degli omicidi in tal modo commessi. Parimenti con un’altra denunzia lo stessoinquirente di quel carcere privato che usò contro gli uomini di Siena chiese che lastessa popolazione di Firenze fosse punita secondo le leggi. In tutte queste denun-zie si comprenda la ripetizione fatta dello stesso tempo e luogo. Inoltre nella stessaadunanza il giudice Pietro di San Germano, avvocato del fisco, denunciò alla curiaimperiale che essendo stata citata la popolazione di Firenze da parte del signor Im-peratore sull’annullamento circa la pena di 10.000 marchi d’argento affinché venis-se fatta giustizia al comune e alla popolazione di Siena su certi danni fatti, offese edaltre cose, e non venisse fatta in un termine di sé prefisso, chiese che gli stessi 10.000marchi fossero imposti e comunque requisiti con la forza alla detta popolazione e alcomune di Firenze.

Denunciò anche lo stesso giudice Pietro di San Germano che al comune e allapopolazione di Firenze fosse stato ingiunto e proibito da parte del Signore Impera-tore sotto pena di 100.000 marchi d’argento affinché non danneggiasse il comune ela popolazione di Siena disprezzata tale proibizione e fatta la difesa, distrusse i lorocastelli, li spogliò, prese gli uomini dello stesso comune ovvero arrecò molti dannialla stessa popolazione di Siena. Onde il detto giudice Pietro chiese al comune delladetta Firenze sia di esigere sia di estorcere per la difesa del signore Imperatore ledette migliaia di marchi d’argento della popolazione essendo stata la stessa popola-zione di Firenze citata intorno a ciò sull’annullamento e non venendo a fare giusti-zia. Proposte nella stessa curia queste accuse, denunzie e petizioni, fatto il pubblico

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Felice Clima

avviso comune e propostolo solennemente, si chiese se nella stessa curia si trovasseun inquirente, un procuratore e qualche avvocato da parte dei Fiorentini o qualchealtro che si offrisse per la loro difesa. Nessuno si presentò che confermasse o larichiesta o la procura sia qualche autorità o anche si offrisse per la difesa dei Fioren-tini.

E quando il suddetto Guidotto denunciante ed inquirente della popolazioneossia del comune di Siena inoltre il predetto consigliere Pietro avvocato del Fisco edenunciante per parte della curia imminentemente insistessero nell’accusare l’as-senza e la contumacia della parte avversa, e quando anche dalla memoria e dallatestimonianza del Signore Nostro Imperatore pienamente e manifestamente fossepalese che il predetto Guidotto accusatore e inquirente avesse parlato e anche ilconsigliere Pietro avvocato del Fisco e accusatore da parte della Curia nel giornofestivo di tutti i Santi, il quale termine il giudice Pellegrino ambasciatore dello stes-so signore nostro Imperatore, divisi anche i Fiorentini sull’annullamento, avevafissato con decreto 10.000 marchi, in quanto che si constatava chiaramente attraver-so mezzi pubblici di poi fatti presentati nella stessa curia, che egli si presentassedavanti allo stesso signor nostro Imperatore e alla curia e indugiando aspettandoper alcuni giorni la presenza della parte avversa, noi sopraccitati Gherardo diArnesten ambasciatore imperiale in Italia e il consigliere Pier delle Vigne giudiceimperiale della grande curia, da uno speciale mandato del signor nostro Imperatorefacemmo solennemente radunare nella curia quelli del seguito, baroni e giureconsultiche erano nella stessa curia e tenuto un diligente consiglio con essi, ci pronunziam-mo in questa forma: Poiché noi sappiamo attraverso mezzi pubblici confermata lasolennità della legge e anche della memoria e della testimonianza del giudice Pelle-grino a cui per il signor nostro Imperatore era stato specialmente affidato di impor-re ai Fiorentini il decreto di 100.000 marchi affinché non imponessero le gabellecontro i senesi e non facessero danni, offese o alcune molestie, ma perseguissero iloro diritti nella curia imperiale secondo l’ordine giudiziario, in quanto questo stessoanche fu pienamente approvato dal mandato e dalla commissione fatta al predettogiudice Pellegrino, il quale predetto decreto fu legittimamente imposto per mezzodel nominato giudice Pellegrino in quanto fu palese alla curia ed è anche noto che ipredetti Fiorentini e il comune di Firenze fecero gabelle, danni, offese e arrecaronole anzidette molestie ai senesi e al comune dei Senesi; condanniamo lo stesso comu-ne e la popolazione di Firenze ai predetti 100.000 marchi d’argento da essere pagaticompresi nel decreto al fisco imperiale, essendo la parte dello stesso comune assen-te ritenuta come presente per contumacia, vale a dire essendosi anche saputo per imezzi anche predetti sulla citazione fatta e per mezzo del giudice Pellegrino che diquesto fosse stato sull’annullamento il comune di Firenze affinché venisse davantialla presenza imperiale nel termine sopradetto per rispondere in giudizio sul pre-detto decreto. Parimenti poiché consta a noi e alla curia imperiale pienamente fattala predetta citazione all’autorità e al comune di Firenze sotto la pena di 10.000 mar-chi d’argento per annullamento affinché nel termine prescritto dovessero venirealla curia ne vennero come fu predetto disprezzando decreto e pena predetti; con-

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Il processo contro Firenze ne la Procìna del XIII secolo

danniamo lo stesso comune di Firenze agli stessi 10.000 marchi da pagare al fiscoimperiale. Parimenti perché nella evidente contumacia tanto nelle petizioni civiliquanto nelle accuse criminali contro il predetto comune di Firenze proposte permezzo dell’inquirente e denunciante predetto a favore della parte del comune deiSenesi, fu trovato che lo stesso comune seguisse la forma della legge comune, di-chiariamo che lo stesso comune di Siena in possesso dei beni e della popolazione diFirenze deve mandare per la quantità del debito dichiarato di 600.000 libbre di de-nari Senesi per il danno recato alla popolazione della stessa nella distruzione deicastelli di Selvula e di Quercegrossa e per il danno recato alla stessa popolazione nelseguito per devastazioni, incendi e saccheggi delle cose e dei beni dei senesi e loroseguito con la dichiarazione dello stesso debito fatta alla curia imperiale davanti anoi per mezzo del giuramento del predetto Guidotto inquirente e accusatore deiSenesi che aveva specialmente notificato del giuramento in quanto si seppe per mezzodell’inquisizione e dell’autorità. Dichiariamo anche che i beni del comune e dellastessa popolazione di Firenze si devono annotare a lato dell’ordine della legge, per-ché perentoriamente i citati e requisiti per le anzidette accuse criminali non si pre-sentassero affatto nel termine stabilito, come è stato detto. Per la memoria e la per-petua conferma di questa cosa, ugualmente vi furono tutti questi fatti noi predettiGherardo e giudice Pietro, a te Angelo, pubblico notaio della curia Imperiale, ab-biamo affidato da redigere negli scritti confermati dalle nostre sottoscrizioni.

Questi fatti ad Apricena e nello stesso luogo presente il signor nostro Impe-ratore prescritti nell’anno, nel mese e nella dichiarazione.

Io come sopra Pietro giudice della grande curia imperiale.Io sottoscritto Dino notaio una volta del notaio Ser Azzino cittadino di Siena

presi due copie prescritte immediatamente da autentici mezzi duplicati e fedelmen-te sottoscritti.

187

Luigi Paglia

Il sistema analogico del primo tempo luziano 1

di Luigi Paglia

II procedimento analogico che intuisce in vertiginosa folgorazione la sotter-ranea somiglianza degli oggetti, egualmente vibranti della stessa vita cosmica (“illampo che candisce / alberi e muri e li sorprende in quella / eternità d’istante [...]”scolpisce Montale in La bufera), dichiara in modo evidente l’atmosfera mistica checircola nelle pagine delle prime opere luziane.

L’attuazione stilistica di quell’ideologia simbolista che è l’analogia, viene de-clinata da Luzi secondo i dettami tipici della letteratura ermetica che prevedono leraffinate strutture metaforiche dell’analogia portata dal verbo e delle ‘immagini diserra calda’ accanto alla metafora appositiva, a quella copulativa ed alla compara-zione, nella gradualità di manifestazione della vita noumenica, della realtà assoluta.

Gli elementi apportatori di oscurità, presenti nell’analogia introdotta dal ver-bo, riportano tutto l’enigma delle apparenze visibili che si pongono come sacra-mento metafisico, in quanto manifestano e, nello stesso tempo dissimulano, l’es-senza profonda del reale.

Nel caos degli oggetti e delle esistenze umane, il poeta scopre la ragione diquesta “simbolistica universale”, affiorante dall’oscurità mimetica del mondo.

La sostanziale equivalenza, statisticamente accertabile, di questo tipo d’im-magine e delle analogie più scoperte, è uno degli elementi che concorre a svelarel’orizzonte umano e fenomenico della poesia di La barca, l’immersione nel caosesistenziale precedente l’individuazione dell’orizzonte metafisico, nella rivelazionedel fermento dialettico sempre presente nella poesia di Luzi (anche nella prima fase,più aperta alle suggestioni metafisiche).

Abbastanza lunga è la serie delle analogie portate dal verbo nelle pagine dellaBarca:

1 Il presente saggio, che riguarda un aspetto particolare della poesia di Mario Luzi, è da inserirsi in unquadro più ampio di cui fanno parte i miei lavori già pubblicati in volume e riviste: I segni inquieti della vitae del tempo nelle prime stagioni luziane, in Poesia italiana del Novecento, Roma, Editori Riuniti, 1993, pp.95-110 (FM 1993, Annali del Dipartimento di Italianistica, Università di Roma “La Sapienza”); Le strutturedel dialogo nella poesia di Luzi, in «Rapporti», 1974, 2-3, (sett.), pp. 216-228; La parabola del dolore nellapoesia di Mario Luzi, in «Vita e pensiero», 1974, 4-5-6 (lug.-dic.), pp. 298-302; Appunti per un’analisi semioticadel sistema ‘analogico’ luziano, in «Paragone-Letteratura», 1975, 300, (febbr.), pp. 80-92 (che rappresental’antecedente diretto di questo saggio); La fuga e l’ascesa nel primo tempo luziano, in «Lingua e stile», Bolo-gna, il Mulino, 1993, 3 (sett.), pp. 401-430.

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Il sistema analogico del primo tempo luziano

II fantasioso vialevoga nella sua nuvola verde

(Serenata di piazza D’Azeglio);

[...] i visi perdono il loro tremulo fuocoper sempre nelle lacrime del perdono

(Lo sguardo)

in cui si nota, accanto alla sotterraneità, anche la continuità analogica;

Le creature s’immergono nei campiebbre di quella forza che li infiora

(Fragilità)

da cui è facile la deduzione della forza cosmica che regge il mondo ed acco-muna i vari regni della natura, la cui figurazione ritorna anche nelle altre analogiedella stessa poesia:

e la verginità profuma ancoraquest’anno con quei fiori che ritornanoe il vento preme il cuorecol suo passo uguale ora e sempre

con l’identificazione della vita umana e di quella naturale;

S’inondano di dolce sofferenzail cuore [...]

(Ragazze)

i corpi si spengano un giorno

della stessa poesia che richiama “dagli occhi che si spengono” di I fiumi, incui è anche presente l’immagine “il sangue ha una sponda”; ancora, in L’immensitàdell’attimo si nota:

[...] l’estaterapisce il canto agli armenti

e in La sera:

[...] le stradeemerse dal vento [...]

mentre in Terrazza avviene la triplice confluenza delle analogie verbali:

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Luigi Paglia

Un giorno troppo povero d’amores’è spento e tacenello spazio ed intorno il cielo giace

in un passo emblematico dell’estrema rarefazione di vita derivante da caren-za d’amore, scandito dai verbi: s’è spento, tace, giace.

Il procedimento dell’analogia portata dal verbo raggiunge in Avvento not-turno la massima espansione giustificata dal colore “notturno” della raccolta, dallaimperscrutabilità dei segni della vita metafisica che fermentano oscuramente il mondofenomenico e da cui deriva il carattere prevalentemente sacramentale e, nello stessotempo, mimetico della poesia di Avvento notturno.

La contiguità e lo scambio vitale delle diverse presenze del cosmo sono fissatigià nelle quattro analogie introdotte dal verbo della prima poesia della raccolta:Cuma.

Il sintagma

[...] Caravellevagabonde di sé scaldano i mari

fa vibrare gli elementi appartenenti al mondo marino (ed, inoltre, il terminecaravelle allude al travaglio del lavoro umano, e porta la suggestione della dimen-sione storica), oltre che della carica affettiva dell’aggettivo e del verbo, della vita delfuoco e della luce.

Gli altri due sintagmi inseriti nel testo con un parallelismo di strutturesintattiche ed anche di disposizione tipografica:

E umanamente il soletocca il fianco ai villaggi [...]

Lacrimevole il ventopalpa ancora le case [...]

propongono, incentrandosi sul verbo, la sintesi folgorante degli aspetti delmondo atmosferico e di quello umano e delle opere dell’uomo (case e villaggi) incui è anche presente il mondo minerale.

Il quarto sintagma:

[...] S’annuvolano i corvi

chiude, con l’identificazione tra il mondo animale e quello atmosferico, lepossibili combinazioni dei vari aspetti della vita cosmica.

Nella seconda strofa di Bacca:

Dal cielo penderà invano alle branche

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Il sistema analogico del primo tempo luziano

la frasca lacrimosa di settembrepresso le porte chiuse le tue tempieimporporando di meteore stanche

dall’incontro delle due immagini introdotte dal verbo viene disegnato unpaesaggio allucinante e metafisico mediante la riduzione folgorante dell’elementovegetale in quello astrale-atmosferico (con l’arditissima impennata verticale) e conl’accostamento, egualmente straordinario, tra l’evento umano e quello astronomi-co-vegetale (con i versi della quartina seguente: “[...] nero / alle pergole assurge / iltempo dell’uve [...]”, quasi a suggerire l’abbagliante visione delle meteore che cin-gono la fronte come pampini) così che è introdotta nel quadro un’aria di fissità e distraniamento che il desolato sintagma “presso le porte chiuse” e il verbo pieno divita (imporporare), che decade nella stanchezza, sottolineano intensamente.

Il paesaggio di miraggi astrali, di freddi deliri, si riperpetua nella quintaquartina della stessa poesia:

Se un giorno tacerà la bionda vocech’inesistenti soli educa e lunefrante [...]

con la straordinaria immagine della voce che ammaestra un panorama scon-finato di soli e lune allontanati o perduti nel cosmo.

Ma il catalogo delle immagini metamorfiche suggerite dal verbo è, in Avven-to notturno, quasi inesauribile. Un breve campionario di tali immagini, trascurandotantissimi altri esempi, viene presentato da Saxa:

quando rossa più esubera la caccia?

[...]un bramito gelava

[...]esulavasulle sabbie il cavallo fortunosoe la sua mano già trasecolavadalle briglie celesti all’orizzonte.

Un corno trafelato sull’alturafuochi dei pastori aduna, aduna

e da Vino e ocra:

la città dell’amata s’arrovella

[...] s’imperna la luna [...]

[...] esita il vento

191

Luigi Paglia

discorrono cavalli forsennatie presso l’onda annusano le nuvole

nelle cui immagini quattro poli della vita del cosmo si stringono con miste-riosi legami.

Ma la più misteriosa e balenante delle figure di Avvento è costituita dall’in-nesto sulla metafora verbale di quella fondata sulla preposizione:

e le tue mani cercano la nottelungo lenti cristalli [...](esitavano a Eleusi i bei cipressi)

in cui l’analogia, in contiguità con la figurazione tattile verbale, viene suscita-ta dal contrasto della preposizione che implica l’idea del movimento a contatto delsostantivo di gelida immobilità, con l’ulteriore mediazione dell’aggettivo che, purcontinuando nell’azione del fluire, preannuncia la fine del movimento. L’immaginedel lento scorrere fluviale è costruita con sapientissime e progressive variazioni d’in-tensità, emergendo misteriosamente nel silenzio della parola dichiarata (con un pal-lido riferimento al verso 5: “Lungo i fiumi silenti [...]” di cui ripete il disegnocompositivo).

Le metafore portate dal verbo di Un brindisi possono essere riguardate comeelemento discriminante delle due diverse stagioni poetiche e psicologiche che coe-sistono nella raccolta o, meglio, del diverso grado di presa di coscienza ideologica,e ne rappresentano (come le metafore di tipo diverso) il terreno di passaggio. Dallavibrazione dialettica dei due poli ideologico-espressivi discende la contemporaneapresenza di immagini come quella della poesia Un brindisi:

Un nitrito s’impiglia tra le nuvole

di quella di Passaggio

l’ala del cielo torrido ed arboratodi fulmini cristallini

(nella concentrazione metaforica - mediante la figura prepositiva: l’ala delcielo e l’arcaismo verbale: arborare - delle vite più lontane degli uccelli, delle sta-gioni, degli alberi, dell’atmosfera, nel cerchio sconfinato della cupola celeste) edelle altre nella stessa poesia:

sente una rossa luna perniciosaliquefarsi nelle acque della Fiora.

il mio sguardo addolcito dai tiepidi equilibridelle nuvole appese sul deserto

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Il sistema analogico del primo tempo luziano

che ci riportano alla musica più folgorante di Avvento notturno; mentre, incontrasto, si accampano le immagini in cui si avverte il tremore sotterraneo chemina il mondo (“Un raggio s’affatica [...]” in Fenice; “[...] le catene / si smagliano[…]” nella stessa poesia; “E di suoni una siepe costernata” in Passaggio) o l’arrestodesolato della vita (“il tuo viso svapora [...]” e “Le cascate languiscono […]” inFenice; “Sui muri impallidiscono le tracce / ed i lampi graffiti [...]” e “Gli sguardi sidisciolgono [...]” in Impresa; “con le nubi ancorate agli acroteri, / le orifiammesopite dentro il cielo” in Labilità); e tali duplici e contrastanti espressioni rappre-sentano le due reazioni fondamentali allo stesso evento del dolore dell’esistenza.

Nelle “immagini di serra calda” così dette perché realizzanti, come in rare-fatte atmosfere di serre, sottili e vertiginosi trapianti linguistici, si attua l’accostamentoe la confusione della vita degli oggetti dell’universo in modo fulmineo ed intenso.Gli elementi metaforici sono raccordati di solito mediante la preposizione “di”, maanche con le altre preposizioni. Nella Barca spiccano le arditissime figure di Sere-nata di piazza D’Azeglio:

la levigata prora del giornos’incaglia nelle foreste

in cui l’immagine della nave (in rappresentazione di sineddoche), identificatacol giorno, subisce una nuova torsione metaforica, arenandosi nelle foreste (confu-sione della sfera temporale / botanica / marina), rivelando nuovamente quella dis-sonanza, questa volta sul piano del movimento, che si manifesta nell’arresto dellalinea di tensione.

Inoltre, in Natura si legge

[…] la veloce fiamma dei passeri

con la sintesi delle tre coordinate spaziali; ed in Le fanciulle di S. Niccolò:

[…] l’onda evanescentedella notte […]

in cui il trittico sintagmatico si svolge in una zona sempre più diradata edallusiva; mentre avviene la collisione tra elementi di concretezza e di astrazione inTerrazza:

sull’orlo dell’estate

e in Giovinetta, giovinetta:

sulle livide pietre dei crepuscoli.

A tali esempi bisognerà aggiungere le locuzioni prepositive “al silenzio dei

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Luigi Paglia

porti” (La sera) e quella gemella “nel silenzio delle strade” (Giovinetta, giovinetta),“dei cieli d’acqua di polvere” e “nei fiumi tenui di cenere” di Toccata, in cui ilritorno insistente su sintagmi che accostano termini contrastanti di aridità e diumidità (acqua-fiumi / cenere-polvere), col risalto dato ai colori neutri, dichiaraquella carenza esistenziale, quella stasi vitale che, tuttavia, allude ad una presenzapiù piena.

In Avvento notturno le “‘immagini di serra calda”, come le analogie portatedal verbo, assumono la massima importanza, sia come dato numerico, sia comedefinizione ideologica della prevalenza della misteriosità e notturnità dei processidi confusione mistica (sulla più spiegata chiarezza di tale identificazione espressadalle comparazioni).

Il testo di (esitavano a Eleusi i bei cipressi) presenta due immagini di notevolecondensazione metaforica:

[…] Ma già assentesul vetro della sera un viso spaziadi donna […]

in cui la fissità ghiacciata del mondo minerale è attribuita all’evento atmosfe-rico-luminoso e, di riflesso, anche al mondo umano; ed anche

[…] un gregge sfumad’incenso in nostalgia d’alpi e di grotte

in cui la metafora arditissima, dei vapori di incenso condensati nel-l’immagine del gregge, continua nella suggestione delle grotte e dei monti acui tendono egualmente, con nostalgia umana, entrambi i soggetti della me-tafora.

In Bacca oltre ad “[…] anca delle strade” v’è l’immagine straordinaria di

[…] alto in un veloaustrale l’Arno turgele efemeridi sperse degli scalmi

in cui si realizza l’identificazione tra il paesaggio terrestre e quello celeste(Arno, fiume stellare) derivante dall’uso sottilmente ambiguo di termini come alto,velo australe, efemeridi. In Cimitero delle fanciulle il sintagma

[…] taceil mare delle vostre ombre al mio piede

propone l’immagine, continuata nel verbo e nella dislocazione (al mio piede),dell’opaca vita marina (abissale) delle fanciulle morte, mentre nell’altro sintagma

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Il sistema analogico del primo tempo luziano

de’ miei sguardi infecondil’intenta umanità delle sue stelle:

si realizza un doppio scambio tra l’umano (infecondo) e lo stellare (fecondo)nel rispecchiamento dello scambio presentato in absentia tra l’umano (fecondo) el’inumano (infecondo) e nella sottolineatura del processo dialettico configurato insimmetria strutturale.

Ma tutto il libro di Avvento notturno è così gremito di “immagini di serracalda” e di locuzioni prepositive da rendere problematica la loro semplice citazione.

Anche Un brindisi contempla una serie abbastanza ampia di “immagini diserra calda”, ma tutte attraversate da un brivido, già avvertibile in Avvento nottur-no anche se sottomesso alle finalità della vita metafisica. È da notare in Un brindisila portata limitativa e vibrante che l’elemento dell’aggettivazione, spesso impiega-to, inserisce, implicando una più larga dissonanza, nell’incontro-scontro con il ve-icolo metaforico.

Ecco la serie di: “[…] brio pallido d’ulivi” (II cuore di vetro); “[…] occhioinerme/ della luna […]” (Un brindisi); “i cavalli di febbre […]”(Un brindisi); “Edi visi una nuvola errabonda” (Giardini); “fuoco scuro della mia stella” (A unfanciullo); “[…] fuoco fievole dell’aria” (Prima estate); “[…] pallide transenne/ dicipressi […]” (Fenice); “[…] precipita/ il vento della mia vita in un turbine” (Nonso come); “E di suoni una siepe costernata” (Passaggio); “[…] dolore delle stanze”(Quinta); “[…] le brume/ degli sguardi […]” (Fenice), in cui o il valore del sostan-tivo (febbre / brume / precipita il vento / dolore) o l’aggettivo applicato (pallido,per due volte, / inerme / errabonda / scura / fievole / costernata) immettono nelsintagma metaforico il senso del tremore, o l’oscurità e il dolore, o la caduta dellavitalità.

Nella serie delle analogie una più svelata chiarezza della vita cosmica, conuna progressiva tendenza alla dialettica fenomenologica, viene toccata con la meta-fora appositiva, con la metafora copulativa e, soprattutto, con la comparazione.

Della metafora appositiva si può citare nella Barca:

misteriosa stella che inviala morte, il visod’una donna in un esule sorriso

(Scendono primavere eteree)

Molto più ricco nella prima raccolta luziana è il novero delle comparazioni,in cui si attua l’estrema chiarezza analogica (e “l’immersione creaturale”), come sipuò osservare nel Canto notturno per le ragazze fiorentine:

Come acque di un fiume sepolto rampollano dalla nottele immagini addormentate

(Canto notturno per le ragazze fiorentine)

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Luigi Paglia

in cui sembra ovvio il riferimento psicoanalitico che è evidente anche neiversi della stessa poesia:

[…] del vostro corpo che dormee dormendo naviga senza dondolare al suo porto;

un’altra comparazione si nota in Le meste comari di Samprugnano, nei versi:

esse salendo a Diosaranno nelle sue mani come un fiore

in cui il riferimento metafisico esplicito si somma a quello umano, come av-viene anche nella composizione Alla vita:

ma ci potremo un giorno librareesilmente piegare sul seno divinocome rose dai muri nelle strade odorosesul bimbo che le chiede senza voce.

Inoltre, la globalità della vita è espressa nei Fiumi:

[…] il vuotodi sé l’opprime come un’infecondaprimavera i ruscelli

in cui la comparazione si estende e poggia tutta sull’epiteto “infeconda”; inLa sera:

e la sera come vergini paschilambisce fuggitiva gli occhi [...]

con il dissonante motivo della sera fuggitiva e della fissità degli occhi che,nella comparazione con i pascoli, perdono, o limitano, la caratteristica del movi-mento (dello sguardo), mentre l’immobilità della sera, al contrario, si muta in capa-cità motoria; in Natura:

e per quelle voci che scendonosfuggendo a misteriose porte e balzanosopra noi come uccelli folli di tornare

in cui l’identificazione voci-uccelli si riverbera sul piano fonico-ritmico nelprofilo discendente del novenario su cui si staccano l’andamento ascendente delritmo giambico del successivo endecasillabo (con l’ulteriore impennata dell’accen-to proparossitono di balzano) e la scansione affrettata e segmentata del verso che

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Il sistema analogico del primo tempo luziano

segue: “sopra noi come uccelli folli di tornare”; ed, infine, la totalità vitale è rimarcatain Scendono primavere eteree:

[…] il tempo voladai corpi al cielocome un liquido autunno oltre il suo velo.

con la corrispondenza analogica moltiplicata (e complicata) nel parallelismospaziale.

È interessante notare che, nelle strutture analogiche luziane di cui si sono datigli esempi precedenti, il secondo termine della comparazione è sempre tratto dal ciclodella vita naturale (acque / fiore / rose / paschi / uccelli / primavera / autunno) a volersottolineare la dialettica della vita cosmica e mistica e degli elementi naturali.

Metafore appositive, copulative e comparazioni risultano mezzi espressivi dievidente chiarezza nell’affermazione della somiglianza (o legame) della vita deglioggetti, come già si è detto, ma Luzi ricorre in Avvento notturno anche per questetipologie analogiche alle metafore di luce più sfumata, o addirittura notturna (in cuil’ambiguità è un dato fondamentale poiché dichiara e nasconde nello stesso tempola misteriosità dei rapporti delle cose), nella subordinazione della figurazione didissonanza dialettica rispetto a quella dell’armonia sintetica.

Anche le rarissime comparazioni di Avvento notturno:

[…] passano su voiepoche e donne poi come su un’ondai successivi venti senza sponda(Cimitero delle fanciulle)

[…] sapevi tu che vivere dimenticanza è solo come il labbro delle rose ai cancelli della Brenta

(Allure)

mostrano nella struttura avvolgente, nella complessità del paragone, elemen-ti di oscurità che ne riducono notevolmente la portata esplicativa.

Ed anche le metafore appositive sono generalmente portate in modo insidio-so, come in Miraglio:

Voi librate sugli indachi perversidei muschiosi angiporti, oasi d’amore,voi città, draghi insorti dal profondodella mia vita ancipite e indolore!

con la giustapposizione a contatto di due strutture appositive, o come in (semusica è la donna amata):

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Luigi Paglia

dal mare (una viola trafelatanella memoria bianca di vestigia)

con l’espediente della parentesi, o come in Già colgono i neri fiorì dell’Ade:

Nel vento il tuo corpo raggia infingardotra vetri squillanti stella solitaria

in cui i due termini appositivi sono allontanati dal sintagma “tra vetri squillanti”.La chiarezza delle metafore copulative: “[...] un’ombra temporale / fu la tua

mano [...]”(Periodo); “la sua voce nell’aria era una roccia” (Avorio), contrasta, inAvvento notturno, con altre immagini di più insidiosa portata, rilevabili solo inrelazione al contesto e che possono essere definite ‘immagini sotterranee’ e di cuipossono essere portati come esempi: “la falange odorosa a primavera” (Saxa); “[...]ma già eterna / la vedova di sé avvolge le tombe” (Vino e ocra); “[...] Nel tepore / deilattici notturni[...]” (Vino e ocra) con cui viene iniziato un quadro di estrema sugge-stione metafisica che si prolunga nei versi seguenti: “[...] esita il vento / cercandosinel solco delle aduste /Orse d’un tempo[...]”.

La portata già limitata in Avvento notturno delle comparazioni, metaforeappositive e copulative si riduce in Un brindisi, le cui scarse immagini esemplifica-no ancora una volta il tema di differenziazione o, meglio, di accentuazione, rispettoad Avvento notturno, del dolore vibrante e del silenzio, nelle metafore appositive:

Fra i visi inorriditi che si volgonoper non vedere, il tuo sporge più intenso,più alta rocca di lagrime confitta nel silenzio,

un debole sorriso quasi un’acqua latente(Viso, orrore)

[...] i palazzi,gelidi testimoni [...]

(Continuità)

nella metafora copulativa:

La mano nei rovi vizzi è una fiammacrepitante di febbre vitrea semiviva(Già goccia la grigia rosa il suo fuoco)

e nella comparazione:

[…] il piede freddo come il prisma(Passaggio).

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Il sistema analogico del primo tempo luziano

L’analisi semiotica del sistema metaforico (sul terreno “analogico”, del “pri-mo tempo” della poesia di Luzi conduce alla rilevazione di due linee di tendenza, inposizione di interferenza e di scambio reciproco: una linea, esplicitamente dichia-rata, che si rifà all’ideologia simbolista, nella raffinatissima formulazione del mo-mento mistico, di comunione universale di tutte le presenze del cosmo; e un’altralinea, più sotterranea ma non per questo meno incisiva (e corrosiva), che revoca,oscuramente e violentemente, in dubbio le strutture precostituite del sistema lette-rario vigente, insinuando lo scambio, la violenza dialettica tra le “persone separate”(e il sentimento della crisi e del dolore universale), e segnando un ulteriore procedi-mento dialettico fra le due linee di condensazione poetica, così che “il fermentodialettico” può essere riguardato come struttura portante, elemento di aggregazio-ne della costellazione tematico-espressiva della poesia di Luzi.

Lo scandaglio metaforico-tematico porta, inoltre, all’ulteriore rilevazione (insede di motivazione della solidarietà strutturale dei testi) della corrispondenzastratigrafica del piano figurativo (opposizione o scambio della raffigurazione antro-pologico-oggettuale e del rarefatto disegno metafisico) con la disposizione delle strut-ture metaforiche (dialettica delle immagini sotterranee e di quelle più scoperte).

Le strutture poetiche luziane appaiono, quindi, come “il luogo” di manife-stazione di una lotta interna tra l’ideologia apparente e la visione del mondo diprofondità (in un processo di affioramento dell’inconscio che lievita e sostanzia la“Persona” o “maschera”, secondo le ipotesi della psicologia analitica di C. G. Jung),motivando, sul piano poetico ed ideologico, l’importanza del poeta fiorentino cheriesce a presentare nella sua opera il “correlativo oggettivo”, in forma estremamen-te drammatica (perché sotterranea ed implicita), delle forze spirituali e del pensierodel mondo contemporaneo.

È quasi superfluo aggiungere che la linea dialettica luziana, sotterraneamenteviva nelle prime opere del poeta, ha lievitato in decisa coscienza di sé la sostanza del“secondo tempo” luziano (fino a giungere alla violenta affermazione di Nel magmae di Ipazia, il primo “poemetto drammatico” del poeta), mentre la seconda traietto-ria (metafisica) ne ha fermentato il fondo poetico (in una specie di bilanciamentosimmetrico) convertendosi (o stabilizzandosi) dall’astrazione folgorante alla co-cente concretezza dell’amore per gli uomini.

La mappa della figurazione poetica luziana rappresenta, pertanto, una seriedi rapporti (di contraddizione e scambio) che possono essere definiti nella loroomologia (piano verticale) ed opposizione (piano orizzontale), e con la confluenzadel tema 2a in 3b, nello schema seguente:

1 a Ideologia ermetico-simbolista <———> 1 b Visione del mondo di profondità (dialettica)

2 a Armonia / sintesi / comunione <———> 2 b Dissonanza / analisi / scontro

3 a Astrazione / metafisica <———> 3 b Concretezza / umanità / amore

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Luigi Paglia

Essi disegnano sul piano poetico quella figurazione di incontro di assicartesiani cosmici, del Dio verticale del cristianesimo e del Dio orizzontale delmarxismo, vaticinato da Teilhard de Chardin.

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Attività della Biblioteca

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203

Grazia Carbonella

Il trionfo della castità di Santo Alessio.Il dramma religioso come antenato dell’opera buffa

1. Introduzione

Dalla fine del Seicento, e poi per tutto il Settecento, grazie ai finanziamenti eal sostegno manifestato dal viceré, il duca di Medinaceli, Napoli conquistò un indi-scusso primato nella produzione operistica.1 E così, le classi dominanti che nel Sei-cento frequentavano il teatro San Bartolomeo per assistere all’opera seria per svagoe per coltivare relazioni sociali,2 dall’inizio del Settecento cominciarono a recarsianche al teatro dei Fiorentini, dove a partire dal 1709 iniziarono ad essere rappre-sentate le prime commedeje pe mmuseca.3 Si trattava di uno spettacolo in due o treatti destinato ad entrare ben presto in concorrenza con l’opera seria. Interamentescritto in dialetto napoletano portava sulle scene quadretti di vita quotidiana trattidalla realtà popolare. Oltre alla protezione delle autorità e dei ceti nobiliari anchel’ottimo sistema di istruzione musicale praticato dai celebri Conservatori,4 in cui sirappresentavano drammi sacri come saggi finali della carriera scolastica degli allievipiù meritevoli, concorse a favorire la produzione operistica napoletana.

1 Per una panoramica sulle prime apparizioni dell’opera a Napoli cfr. Michael F. ROBINSON, L’opera napo-letana, Venezia, Marsilio, p. 20 e segg.

2 Le famiglie più altolocate affittavano i palchetti, che venivano arredati con mobili e stemmi di famiglia,e si recavano tutte le sere a teatro, soprattutto nel periodo di carnevale – che cominciava il 26 dicembre eterminava il martedì grasso. Nei singoli palchi non si faceva solo conversazione, ma si allestivano ancherinfreschi e, talvolta, vere e proprie cene che i servitori potevano preparare in locali appositi. Cfr. MarioCARROZZO - Cristina CIMAGALLI, Storia della musica occidentale, Roma, Armando, 2001, 3 voll.: vol. II, pp.290-291.

3 Il capostipite comunemente riconosciuto di questo genere fu La Cilla di Francesco Antonio Tullio, rap-presentato con musica di Michelangelo Faggioli il 26 dicembre 1707 nel palazzo dei principi di Chiusano, alcospetto del viceré. Cfr. Paolo GALLARATI, Musica e maschera. Il libretto italiano del Settecento, Torino, EDT,1984, p. 107.

4 Nati nel Cinquecento per accogliere i bambini poveri, abbandonati o orfani, i Conservatori napoletanidivennero ben presto celebri per la formazione musicale impartita grazie alla presenza di musicisti di prim’or-dine in qualità di insegnanti. Col passare del tempo agli ospiti indigenti si affiancarono allievi a pagamento,i cosiddetti pensionisti. A partire dal Settecento l’insegnamento fu organizzato a piramide, per cui gli alunnipiù valenti, designati sotto il nome di “mastricelli” insegnavano agli alunni principianti. Per la storia dei Con-servatori cfr. Francesco FLORIMO, La scuola musicale di Napoli e i suoi Conservatori, Bologna, Forni, 1969, 4voll.: vol. II; Carlantonio VILLAROSA, Memorie dei compositori di musica del Regno di Napoli, Napoli, Stam-peria Reale, 1840, pp. VIII-XV; Fabrizio DORSI - Giuseppe RAUSA, Storia dell’opera italiana, Milano, BrunoMondatori, 2000, p. 77.

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Oggetto della nostra indagine è per l’appunto il libretto di uno di questi sag-gi: Il trionfo della castità di Santo Alessio,5 del giurista Nicola Corvo6 con musichedi Leonardo Leo,7 dramma allestito nel 1713 presso il Conservatorio Santa Mariadella Pietà dei Turchini di Loreto. L’allestimento di questi drammi, interamentecomposti, eseguiti e messi in scena dagli allievi dei Conservatori che, del resto, era-no largamente impiegati dalle principali istituzioni civili, ecclesiastiche e privatedella città8 durante il corso dei loro studi,9 faceva parte, come già accennnato, apieno titolo delle attività didattiche.

Il nostro libretto è un esempio di dramma sacro, genere che, a cavallo tra Seie Settecento, ha risentito profondamente dell’influenza del teatro spagnolo attraver-so l’impiego di modelli di riferimento quali gli autos sacramentales e le comedias de

5 Sul frontespizio del libretto si legge: Il / trionfo / della castità / di / Santo Alessio / dramma / di NicolaCorvo / dedicato / All’illustriss. ed Eccellentiss. Sig. / la Sig. Contessa / CAMILLA BARBERINI BORROMEI/ Vice-regina nel regno di Napoli. / Da Rappresentarsi nel Real Conservatorio, / detto delli Turchini, / conmusica /di Lionardo LEO / Figliuolo dello stesso Conservatorio. Il libretto è citato nel catalogo Sartori dovesono indicati solamente due esemplari conservati rispettivamente presso il Civico Museo Bibliografico Musi-cale e presso la Biblioteca Universitaria di Bologna. In realtà un esemplare è conservato anche presso la Bi-blioteca Provinciale di Foggia, rilegato in un unico volume insieme a Il Gaudio de’ pastori o sieno I sette donidello Spirito Santo di Marco Pasquale Garzillo, Il Goffredo o sia La Gerusalemme liberata, tragicommedia eIl simbolo della Grazia ovvero La Cassilda di Filippo Itto. Sono tutti drammi sacri, ma solo Il trionfo dellacastità di Sant’Alessio è destinato alla musica. Nel catalogo Sartori viene riportato anche il frontespizio di unaseconda impressione risalente al 1719: Drama sacro di Nicola Corvo dedicato all’eminentissimo […] cardinaleWolfango Annibale di Scrattenbach […] viceré, luogotenente e capitano generale in questo regno. Secondaimpressione. Per rappresentarsi nuovamente nel regal Conservatorio detto de’ Turchini in quest’anno 1719.Con musica del sig. Lionardo Leo in tempo ch’egli era figliolo dello stesso conservatorio. Di questa edizionesembra ci sia un solo esemplare conservato presso la Thomas Fisher Rare Book Library dell’Università diToronto.

6 Avvocato, fu anche Presidente della Regia Camera della Sommaria. Per ulteriori notizie su Nicola Corvocfr. Pietro MARTORANA, Notizie biografiche e bibliografiche degli scrittori del dialetto napoletano, Bologna,Forni, 1972, pp. 159-174.

7 Compositore di origine pugliese (S. Vito dei Normanni (Brindisi) 1694 - Napoli 1744) visse a Napoli alservizio della cappella reale, prima in qualità di organista, poi come maestro di cappella. Insegnò in vari Con-servatori napoletani ed ebbe tra i suoi allievi Jommelli e Piccinni. Esponente della ‘scuola napoletana’, chedominò le scene dei palcoscenici settecenteschi di tutta Europa, compose oltre settanta opere tra serie e comi-che, oltre a sette oratori, musica sacra e strumentale. Cfr. M. CARROZZO - C. CIMAGALLI, Storia della musicaoccidentale …, cit., pp. 298 e 326.

8 “Cresciuto di molto il numero degli ammessi [nei Conservatori], fu necessario di rinvenire nell’operastessa i mezzi come sostenere le spese del mantenimento del pio luogo […]. Fu dunque messa a profittol’opera degli alunni medesimi, dei quali, alcuni dei più piccoli furono destinati a servir le messe in diversechiese della città […]; altri fra i piccoli medesimi furono destinati a fare da angioletti attorno ai cadaveri deifanciulli; ed altri più grandicelli, a trasportarli nelle bare, sulle spalle o a mano, ed a seppellirli. Fra i mezzanied i più grandi di età, divisi in più sezioni che si chiamavano Paranze, c’erano alcuni piccoli Sopranelli eContraltini, addetti all’esecuzione delle musiche pagate. […] Pertanto non vi era giorno in cui non uscisseroda ciascun conservatorio, oltre i ragazzi suddetti pel servizio delle messe e per le esequie dei morticelli, tre oquattro di dette paranze, non solo per eseguire le musiche da chiesa […], ma ben anche per andare avanti alleprocessioni dei santi e far delle musiche che si chiamavano flottole, per cantare il Libera me Domine attorno aicadaveri nelle case private, per andare nelle medesime a sonare nelle feste da ballo o altri divertimenti, passan-dovi l’intera notte, per andar recitando commedie, in tempo di carnevale nei monasteri di frati e di monache,trattenendosi nei luoghi lontani per un mese o due, e finalmente per servir da coristi nei teatri […]”. Cfr. F.FLORIMO, La scuola musicale ..., cit. pp. 75-76.

9 Cfr. F. DORSI - G. RAUSA, Storia dell’opera…, cit., p. 77.

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santos, in cui i personaggi napoletani sostituivano i graciosos.10 Grazie alla mediazio-ne dei Conservatori, dove abbiamo visto questi drammi essere rappresentati pe-riodicamente,11 si definì un repertorio di situazioni musicali legate al linguaggio eai tipi partenopei, destinato a confluire poi nell’opera buffa.

In realtà, lo stesso Croce ricorda come questi drammi si rappresentassero “unpo’ dappertutto, nei conventi, nei collegi, nelle case private, nel palazzo reale e neiteatri pubblici durante la quaresima”.12

All’interno di questa produzione, che ebbe larghissima fortuna, soprattutto trale classi più umili fino all’Ottocento, è inoltre possibile individuare echi di un’altratradizione teatrale: quelli del teatro gesuitico.13 Del resto, nella stessa Ratio studiorumdella Compagnia del Gesù,14 redatta tra il 1580 e il 1630, in cui si definivano le carat-teristiche di ogni nuova istituzione educativa e le basi della formazione da impartire,si ribadiva l’importanza della retorica, considerata un fondamentale segno di distin-zione e di prestigio, insistendo prevalentemente sul suo aspetto orale. Per questopresso la Congregazione la retorica stabilì ben presto una proficua osmosi con ilteatro, tanto che nel 1727 Francesco Lang realizzò una specifica Dissertatio de actionesscenica. Era infatti largamente condivisa la convinzione che il forte impatto della rap-presentazione scenica sull’immaginazione degli spettatori potesse esaltare l’espres-sione del pensiero, che assumeva così, sebbene temporaneamente, un’efficacia supe-riore ad altre forme di espressione, quali ad esempio, il foglio stampato. In realtà giànel Medioevo fu riconosciuto pieno valore didattico agli exempla e ben presto ci siaccorse che quella narrazione, se ridotta a rappresentazione visiva, poteva acquistareuna più incisiva potenzialità di penetrazione da parte del pubblico.15 Per cui il teatronon era soltanto un’occasione per gli allievi di verificare la propria preparazione reto-rica, ma era anche un modo per raggiungere la persuasio del pubblico, obiettivo per-seguito costantemente durante tutta la storia della Compagnia.16 La commistione tralingua dialettale e temi sacri presente in questi drammi non deve stupire se pensiamo

10 Si deve a Lope de Vega l’impiego sistematico della “figura del donaire” o “graciosos”, che probabilmenterisale al pastore “parvo” del Cinquecento iberico, impiegato nelle egloghe drammatiche da Encina. Sarà tutta-via solo nel teatro seicentesco che questo personaggio diventerà il fulcro della commedia, favorendo la mesco-lanza e la confusione di situazioni comiche e serie, tipica della tragicommedia. Cfr. Spagna, in Silvio D’AMICO,(a cura di), Enciclopedia dello spettacolo, Roma, Sadea/Le Maschere, 1954-1962, 9 voll.: vol. IX, p. 168.

11 Il primo di questi sembra sia stato Il fido campione di Giovan Francesco del Gesù detto Apa, rappresen-tato nel 1656 presso il Conservatorio di S. Maria di Loreto. Cfr., F. DEGRADA, L’opera napoletana, in Storiadell’opera, Torino, UTET, 1977, 6 voll.: vol. I, p. 281.

12 Cfr. Benedetto CROCE, I teatri di Napoli dal rinascimento alla fine del secolo decimottavo, Bari, Laterza,1926, p. 110.

13 Cfr. F. DEGRADA, L’opera napoletana, cit., pp. 280-281.14 La potente Congregazione ebbe un ruolo notevole nella formazione del clero post-tridentino, nello svolgi-

mento di una poderosa attività missionaria e nell’acculturazione delle masse popolari, ponendosi sempre comeguida spirituale delle classi dirigenti. Cfr. Gian Paolo BIZZI, (a cura di), La “Ratio studiorum”. Modelli culturalie pratiche educative dei Gesuiti in Italia tra Cinque e Seicento, Roma, Bulzoni, 1981, pp. 8-9.

15 Cfr. Josè Antonio MARAVALL, Teatro e letteratura nella Spagna barocca, Bologna, il Mulino, 1995, pp. 13-14.16 Cfr. G.P. BIZZI, La “Ratio studiorum”…, cit., pp. 78-92.

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al dichiarato scopo di educare il popolo propugnata dai gesuiti che veicolavano iltema della vittoria del bene sul male attraverso il messaggio controriformistico, affi-dato ad angeli, diavoli e santi, commisto a forme di cultura popolare, con la funzionedi catturare l’attenzione del pubblico e di alleggerire l’azione teatrale.17

Il libretto de Il trionfo della castità di Santo Alessio testimonia inoltre ancheuna stretta parentela con la commedia per musica e, quindi, con la commedianapoletana in prosa che proprio in questi anni nasceva come ulteriore frutto dellaricca letteratura napoletana. E lo stesso Nicola Corvo altri non è che il misteriosoAgasippo Mercotellis18 autore della prima commedia dialettale in musica PatròCalienno de la Costa, rappresentata al Teatro dei Fiorentini nel 1709 con musicadi Antonio Orefice, inaugurando una lunga stagione che darà origine, in un se-condo tempo e in seguito alla diffusione nazionale, all’ ‘opera buffa’. L’identifica-zione si basa in gran parte sul fatto che lo stesso Corvo era l’autore di La Perna,una commedia che con pochi tagli è per l’appunto il Patrò. Quindi, sul troncodrammaturgico della commedia in prosa sembrano essersi innestate le forme del-l’aria e del recitativo, mentre l’uso del dialetto va interpretato come il rifiorire diuna tradizione culturale autoctona, in opposizione alla dominazione spagnola.Artefici di questo innesto furono in gran parte autori appartenenti al ceto forenseche per il loro stesso ruolo professionale conoscevano profondamente e diretta-mente la vita del popolo.19

Da questa panoramica appare chiaro come nel dramma sacro siano conflu-ite tradizioni molto diverse: il teatro gesuitico, la commedia musicale e la comme-dia in prosa. Ognuna di queste ha lasciato una traccia in un genere teatrale, quelloreligioso, che ha potuto così vantare una vasto e sommerso passato, senza avereun vero futuro.

2. Il libretto

Il trionfo della castità di Santo Alessio è un dramma in tre atti in cui si muo-vono quindici personaggi: il Coro di Demoni, che interviene poco e solo all’iniziodel dramma, Lucifero, Astarot, Levietan, Asmodeo, Angelo, Alessio, Eufemiano(padre di Alessio), Aglesia (madre di Alessio), Ersilia (sua promessa sposa), Valerio

17 Cfr. Pino SIMONELLI, Lingua e dialetto nel teatro musicale napoletano del ‘700, in Lorenzo BIANCONI -Reato BOSSA (a cura di), Musica e cultura a Napoli dal XV al XIX secolo, Firenze, Olschki, 1983, pp. 225-235.

18 L’identificazione è stata fatta da Benedetto Croce. Cfr., B. CROCE, I teatri di Napoli…, cit., p. 135. Perulteriori notizie relative alla produzione di Corvo cfr. Vittorio VIVIANI, Storia del teatro napoletano, Napoli,Guida Editori, 1969, pp. 26-27 e pp. 250-291.

19 “[…] lo spettatore non è più trasportato su terre straniere, in tempi remoti; ma qui sulla scena è sempre unsobborgo di Napoli, con in fondo la nostra marina e i nostri poggi infiorati. Vi si sente la viva voce del popolo,il frizzo indigeno e la canzone popolare; e si assiste non più al succedersi di scene bislacche e stravaganti, bensìdi tanti bozzetti colti dal vero”. Cfr. Michele SCHERILLO, L’opera buffa napoletana, Napoli, Remo Sandron,1916, p. 56.

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(pretendente di Ersilia), Masullo (servo napoletano di Eufemiano), Calista (vecchiadi casa), Cecchino (paggio) e Giampietro (servo calabrese). Si tratta di personaggiseri, comici e di mezzo carattere che conducono l’azione intrecciando la vicendareligiosa e intima della fedeltà al voto compiuta da Alessio e la disperazione dei suoicari per la sua assenza, con elementi comici e leggeri. Sul libretto mancano indica-zioni sceniche particolari: sono infatti elencate solo cinque vedute: l’inferno con iltrono di Lucifero, il cortile di Eufemiano, l’anticamera, la stanza di Alessio e lascena finale dell’estati. Non sono previsti quindi molti cambi di scena, né tantomeno l’impiego di una sfarzosa scenografia. Non è certo il luogo dove questo dram-ma fu rappresentato.20

La storia è quella della tradizione basata sulla leggenda orientale diffusasi inOccidente nel X secolo in una redazione prosastica latina, parafrasata in versi nellaVie de saint Alexis francese dell’ XI secolo. La leggenda ebbe molta fortuna in Italiae alimentò prose, versi e canti popolari, tra cui il noto Ritmo di Sant’Alessio.21

Alessio, appartenente ad una nobile famiglia romana, conduce una vita agiata espensierata, ma in fondo al suo animo già è forte il richiamo alla vita religiosa. Pocoprima di convolare a nozze con Ersilia, sua promessa sposa, parte romito per terrelontane. Dopo molti anni di assenza, ritorna come pellegrino ospite della sua famiglia;ovviamente nessuno lo riconosce, eppure tutti nutrono una forte simpatia nei suoi con-fronti. Durante la sua permanenza è continuamente tentato dal demonio Asmodeoaffinché riveli la sua vera identità, ma confortato dalla preghiera e dall’intervento di unAngelo riesce a mantenere il suo segreto fino a quando subentra il momento del trapas-so in cui rivela alla sua famiglia, tramite una lettera, la sua vera identità.

Questa è la trama essenziale, così come era stata sostanzialmente impiegatanel celebre antenato di questo dramma: Il Sant’Alessio di Giulio Rospigliosi rap-presentato con musiche di Stefano Landi a Roma nel 1632.

Il nostro libretto si apre con una lunga scena ambientata nell’inferno in cui idemoni al cospetto di Lucifero raccontano, in una sorta di prologo, la storia di Alessioe di come abbiano cercato di insidiarlo senza successo. Quindi Lucifero affida nuova-mente ad Asmodeo l’incarico di far recedere Alessio dal voto di castità. In questi versitraspare chiaro il richiamo alla tradizione gesuitica e alla loro disciplina:

20 Ralf Krause dice che prima che Leo concludesse i quattro anni di studio compose due drammi sacri: S.Chiara o L’infedeltà abbattuta e, per l’appunto, S. Alessio che trovarono unanime plauso nelle esecuzioni alteatro del Conservatorio e al Palazzo Reale nella stagione di carnevale del 1712 e del 1713. Cfr. Ralf KRAUSE,La musica sacra di Leonardo Leo. Un contributo alla storia musicale napoletana del ‘700, Brindisi, Provinciadi Brindisi, p. 3. Fétis, dal canto suo, parla de Il Santo Alessio cantata religiosa eseguita dagli alunni del Con-servatorio di Sant’Onofrio davanti alle porte del monastero di Santa Chiara. Cfr., Francois Joseph FÉTIS,Biographie universelles des musiciens et bibliographie générale de la musique, Paris, Firmin Didot, 1868-1869,8 voll.: vol. V, p. 274.

21 Si tratta di un esemplare unico legato all’ambiente benedettino marchigiano, risalente alla fine del XII - inizioXIII sec., copiato nei primi anni del Duecento all’interno di un codice del monastero di Santa Vittoria in Matenano,nella diocesi di Fermo. Il testo, che ci è giunto mutilo, è considerato una delle prime testimonianze della letteraturaitaliana in lingua volgare, probabilmente una registrazione di un testo orale, ad uso dei giullari. Cfr. Enrico MALATO

(a cura di), Storia della letteratura italiana, Roma, Salerno, 1995, 12 voll.: vol. I, pp. 244-245.

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Levietan Non vuol del Padre il Giovan discretoContraddire ’l disìo:Di veste ricche, e d’oroIn nobile lavoroSagace non ricusa,Che apparisca fra gli altri ’l corpo adorno;Ma poi di sotto intornoSopra la nuda carneCon duri ferri aspre punture innesta;In passatempi, e’n sestaTra compagni, ed amici non ischivaRitrovarsi per poco;Ma nel più chiuso locoDi sua Casa ridotto, quivi piangeColli suoi l’altrui falli,Al suo Signore orãdo, in chi sol si trovaVero contento, e pace,E così noi deride, e al Ciel piace.(I,1)

3. Arie

Dall’analisi del libretto risultano impiegate 35 arie con da capo,22 di cui 6 disortita23 e 9 di entrata.24 Negli altri casi l’aria è collocata al centro della scena, nelbel mezzo del recitativo che precede e segue come in un discorso diretto: siamoancora lontani da quella tendenza che si stava diffondendo nel melodramma serioin cui, grazie alla riforma di Zeno, l’aria era separata dall’azione drammatica. CosìEufemiano canta piangendo, proprio con lo stesso Alessio, il figlio disperso:

Eufemiano E non dovev’almenoSia da vicina, o da lontana parteScrivermi un foglio?

*Alessio25 Oh Dio

22 Si tratta di una forma che ebbe un enorme successo nel Settecento e comprendeva due sezioni nettamentedistinte, seguite dalla ripetizione della prima parte (forma aba). Da un punto di vista musicale le due sezioni ae b sono totalmente indipendenti e quasi sempre la sezione b non si conclude nella tonalità iniziale, ma in unavicina, rendendo quindi necessaria la ripresa della sezione a per riconquistare la tonalità d’impianto. Cfr.CARROZZO - CIMAGALLI, op. cit., p. 308.

23 È l’aria che apre la scena, in cui il personaggio uscendo dalle quinte sul palcoscenico si presenta. Ha unafunzione propulsiva rispetto alla vicenda. Cfr. ibid., p. 84.

24 È l’aria che chiude la scena, dopo di che il personaggio rientra fra le quinte; ha una funzione drammatur-gia più statica perché quasi sempre il personaggio commenta quanto accaduto in scena. Cfr. ibid.

25 L’uso dell’asterisco, così come compare sul libretto, indica che il personaggio parla da parte.

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Da’ forza al petto mioEufemiano Figlio amato

Se sei vivo,Non più ingratoMi far privoD’un avviso almen di te:

E se morteL’aspra sorteGia ti die,Per consuoloDel mio duoloL’ombra bella veng’a me:

Figlio & c.(I,3)

In questo libretto, così come nelle prime commedie in musica napoletane, èforte l’influsso della commedia recitata, in cui il comico si accompagna al gusto peril mezzo carattere, tanto da sfumare in momenti di malinconia e di introspezione. Èuna comicità piuttosto lontana da quella della commedia dell’arte, impostata sutopoi e su personaggi fissi, sul gioco di parole e su allusioni oscene. L’elementocomico qui agisce su due piani diversi: quello di Masullo e di Giampietro, e quellodi Cecchino. Se con i servi gli episodi comici nascono dalla rappresentazione delquotidiano - e si tratta di buffonerie leggere e schiette - con Cecchino si avvertetutto il Barocco e la sua dissimulazione, il servire con astuzia e con circospezione.

Così, rimproverando ad Alessio di mangiare pane a tradimento da ben di-ciassette anni in casa dei suoi padroni, Masullo dice:

Masullo MperzoneCommico statte zitto,Già che te vene bona, tira nnante,Ca è na bell’arte fare lo berbante.

A me che so de Napole,Ammico de Salemme,Co fà lo ghiemme ghiemmeNon me la suone no:

Sto ntiso de ste trapole;A stì patrune racchie,Rechiamme de vernacchiePuo dì chello che buo.

A me che so & c.(I,4)

È una comicità fresca quella di Masullo, è la voce del popolo che si esprimecon toni di accesa misoginia deridendo l’innamoramento di Valerio per Ersilia:

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Masullo Chi fid’a femmenaMalanne femmenaCridel’a me

Accossi disseroChille che morzero,Accossi dicenoChille che campanoE lo mmedesemoDerranno ll’autreCh’appriesso veneno,Ch’accossi è

Chi & c.(II,8)

Diversa è la comicità di Cecchino, più sottile e più subdolo il personaggio.Quando rivela di derubare puntualmente il cesto del pranzo destinato ad Alessiocosì canta, chiudendo la scena:

Cecchino Mangia pur’ a tuo piacere,E puoi bere a sazietà

Ah, Ah, AhChe tu mangi, io mangerò,

E tu bevi, io beveròMa la pancia io m’empirò,La tua vuota resterà.

Ah, Ah, AhMangia & c.(I,8)

Dello stesso stampo è l’aria in cui Cecchino descrive Alessio dopo cheAsmodeo, in forma umana, ha accusato di diffamare Eufemiano e tutti gli abitantidella casa, suoi benefattori:

Cecchino Vero, verissimo:Certo, certissimo:Tutt’e malizia,Tutt’è tristizia,da capo a piè:

Quel languidettoUmil visetto,Quell’occhio basso,Quel tardo passo,Per ingannare,

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Per funfantareFatto sol’è.

Vero & c.(II,4)

Ma Cecchino è anche portavoce di una forte critica sociale:

Cecchino […]Perché piange il PadroneHa da pianger la Corte? e pur’è questaDel corteggian la vita.Se vita puo chiamarsi(Come disse colui) quella, che in CorteÈ registrata al libro della morte:

Se non fosse in ver peccato,Chi mi pose in questo statoVorrei sempre maledir:

Star soggetto de’ PadroniAgli umori, or mali, or buoniÈ un tormento da morir:

Se non fosse, & c.S’essi piangon, s’ha da piangere,

S’essi ridon, s’ha da ridere,E di piangere,E di ridere,Non avrai forse disir.

Star, & c.Nella Corte in conclusione

Regna solo la finzione,Non v’è amor, ne carità,E chi fingere non saMille torti ha da soffrir.

Se non fosse, & c.(II,11)

Ed è indicativo come c’era ancora una certa cautela a esprimere palesementeidee come queste, tanto che sul libretto è indicato di non mettere in musica questasezione. In queste parole si percepisce ancora tutto il peso del secolo appena tra-scorso, in cui la pratica della dissimulazione26 aveva contraddistinto qualunque at-teggiamento di vita sociale.

26 “Affrontata dal pensiero classico e medievale come un problema eterno dell’uomo, del rapporto tra appa-renza e realtà, tra menzogna e verità, essa fu considerata nel tardo Cinquecento e nel secolo successivo soprat-

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4. Concertati

Ci soffermiamo ad analizzare le due scene di alterco che nel Il trionfo dellacastità di Santo Alessio chiudono i primi due atti con il terzetto Calista-Masullo-Giampietro e il duetto Masullo-Giampietro.

Calista Così parli bricconeDi una Donna mia pare?

Giampietro Un fare llu smargiassuCca dintra, jammu fora,Se boui brutto anemale,Che cuomo pittu srappa ssu gangale.

Calista E ti farò ancor ioAssagiar l’ira mia.

Masullo Facitev’a tenereCa mme facite torcere.

Calista Arrogante:Masullo O’ sio Roggiero mio, sia sbratamente.

O’ che brave nnamorateN’autra cocchia addove ll’ascie:Bella razza de verlasciePotarriano certo fa:

Calista Mala lingua, furfantoneTi farà questo bastoneDir’assè la verità.

Giampietro Cuzzalune malandrinuPuorcu, fintu, cannaijnuVà ti mbizza de parrà;

Calista comincia a bastonare MasulloMasullo Ma ve siti allecordate

Troppo a tardo: chiano, chiano.Giampietro Dalle buono a ssu berbante.Calista Prendi questa ch’è galanteMasullo Te sia cionca quella manoCalista To quest’altra.

Masullo procurerà sempre

tutto come un aspetto della vita politica e del costume del tempo.” Nel 1641 Torquato Accetto scrive Delladissimulazione onesta, libretto che sarà ripubblicato nel 1928 da Benedetto Croce che individua il fulcro diquest’opera nel voler salvaguardare “con la pratica del “viver cauto”, la libertà interiore dell’individuo edesaltarne il valore”. Per la durezza dei tempi e l’oppressione politica e culturale, la verità doveva rifugiarsinell’intimo, giustificando così il paradosso dell’accostamento tra dissimulazione e onestà. Cfr. Rosario VILLARI,Elogio della dissimulazione. La lotta politica nel Seicento, Bari, Laterza, 1987, pp. 18 e 30.

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27 P. GALLARATI, Musica e maschera…, cit., p. 117.

di risparmiar’ esso dalle bastonate, e checolpiscano Giampietro.

Masullo Scappa, scappa.Zuc’alleffe, sbruffa pappa

Giampietro Un fa arruri, jeu sulu piscu.Masullo Dalle forte.Giampietro Stignu friscu.Calista Oimè stanca son giá.Giampietro Ahi, Ahi.Masullo Ah, Ah, Ah, Ah, Ah, Ah, Ah

(I,11)

Questo concertato in ottonari e l’altro “Jeu signu nnuzente” (II,15) in quinarivariamente rimati per la loro stessa struttura testuale presuppongono una formamusicale altrettanto chiusa. Si tratta di concertati dialogici d’azione che nasconoproprio nelle scene d’alterco: “vivacissime scene di confusione dove la stratificazionepolifonica ‘imita’ ancora il sovrapporsi delle voci nel brulichio sonoro del battibec-co; solo in seguito, nella loro progressiva emancipazione, i pezzi d’assieme giunge-ranno invece a rappresentare le situazioni e i sentimenti più diversi, sino agli abissidel dolore e della tragedia spalancati dal teatro di Mozart dove i concertati si esten-deranno a macchia d’olio”.27

5. Conclusioni

Diversamente da quanto si potrebbe pensare per l’impiego del dialetto e perla presenza di personaggi comici, il libretto di questo dramma è il frutto di unaprecisa volontà di rinnovamento, compiuto in piena consapevolezza culturale. Sitratta di un testo colto quindi, in cui le stesse citazioni dantesche ribadiscono unasolida formazione umanistica dell’ autore.

Nella scena sesta del primo atto Asmodeo a Valerio, che confida le sue pened’amore per Ersilia, risponde proprio con le parole di Francesca da Rimini (Infer-no, canto V).

Asmodeo Amore’n cor gentil ratto s’apprende.(I,6)

E ancora echi danteschi risuonano nella falsa lettera di Ersilia che Asmodeoconsegna a Valerio contenente una sua falsa dichiarazione d’amore:

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Il trionfo della castità di Santo Alessio. Il dramma religioso come antenato dell’opera buffa

Valerio Ersilia scrive?Asmodeo Appunto.Valerio O note care,

Dolce nome adorato.Amor, che a un cor’amato LeggeNon perdona l’amar, dalla mia menteSgombrato ogn’altro affettoGia m’accese ’l desioD’esser tua serva, e sposa.(II,2)

Così sembra di risentire Catullo e il suo amore per Lesbia,28 quando Valerios’illude per la confessione d’amore dichiarata nella falsa lettera da Ersilia e cosìcanta:

Valerio Con cento baci, e centoPegni del mio contento,Ricevo del mio benL’amato foglio:

E un di se baceròLa man, che lo vergòPer sempre nel mio senTener lo voglio

Con, & c(II,2)

Il carattere colto della composizione si evince dalla stessa dedica del dram-ma. Si tratta della contessa Camilla Barberini Borromei, vice regina del regno diNapoli, come si legge sul frontespizio del libretto. Pronipote di Urbano VIII efiglia del principe di Palestrina, aveva sposato nel 1689 Carlo Barberini che dal1710 al 1713 era stato insignito della carica di viceré di Napoli, dopo che gli antichidomini spagnoli d’Italia erano passati all’Austria.29 La dedica è firmata dal delegatoe dai governatori del Conservatorio e questo ci fa capire che il dramma era chiara-mente un dono di riguardo e che non poteva che essere frutto di un accorto lavorotanto musicale che letterario.

28 Ovviamente si tratta del celebre Carmina V.29 Cfr. http://www.borromeo.it/storia.htm, dicembre 2004.

Recensioni

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Pasquale di Cicco

Cristanziano Serricchio: Siponto-Manfredoniadi Pasquale di Cicco

Il posto di spicco che Cristanziano Serricchio occupa nel panorama cultura-le, non solo dauno e meridionale, non è certamente immeritato.

Esso trova infatti solide fondamenta in un’intensa ed apprezzata attività in-tellettuale, documentata in particolare da un lungo, fecondo magistero e da unanotevole serie di pubblicazioni che riflettono la molteplicità degli interessi del loroautore, spaziando fra poesie, narrativa, storia ed archeologia.

Nel tempo, dopo la significativa fatica letteraria degli anni ’60, G. T. Giordanied il liberalismo dauno nel 1820, nutrita ed impegnata è stata la sua produzionenelle due ultime discipline. Gli studi storici ed archeologici del Serricchio riguarda-no specialmente la città in cui egli ha più vissuto ed operato, Manfredonia. A questocentro garganico, a molte sue vicende ed a molti suoi personaggi, egli ha dedicatoattente ricerche, condotte con rigoroso metodo ed utilizzo accorto non solo dellefonti librarie ma anche di quelle documentarie, quali si conservano negli Archivi diStato di Napoli e di Foggia o nell’Archivio storico comunale o in quello della Curiaarcivescovile di Manfredonia, e di cui mostra adeguata padronanza.

I suoi lavori restano connotati dalla validità delle documentazioni usate edegli argomenti addotti e risultano riusciti saggi di storiografia locale, sul cui valo-re, può dirsi, il primo giudizio di merito viene espresso implicitamente dalla stessaloro sede di stampa e di divulgazione, che di solito è una rivista d’indiscusso presti-gio.

Recentemente un buon numero di studi del Serricchio, apparsi per lo più in«Archivio Storico Pugliese», «Rassegna di Studi Dauni» e «Vetera Christianorum»negli anni dal 1961 al 1998 e spesso costituiti da atti di convegni e seminari tenutisia Manfredonia o a Bari, è stato con grande opportunità raccolto e ripubblicato inun apposito volume, intitolato Siponto-Manfredonia, ed inserito nella collana “Cittàe Paesi di Puglia” delle Edizioni del Rosone.

Dei sedici scritti compresi, integralmente o parzialmente, piace qui ricordarecon distinzione almeno i più importanti, dicendone solo quel tanto che si fa utileper una loro brevissima presentazione.

Iscrizioni romane paleocristiane e medievali di Siponto, in cui per la primavolta - al 1978 - si raccolgono tutte le epigrafi latine, sia quelle già note sia altreinedite, che riguardano Siponto e sono databili dal II secolo a. C. al XV secolo d. C.

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Cristanziano Serricchio: Siponto-Manfredonia

La cattedrale di S. Maria Maggiore di Siponto e la sua icona, ove si fa l’ipotesiche la prima chiesa medievale di Santa Maria venisse impiantata, tra la fine del XI edil principio del XII secolo, sul battistero eretto dal vescovo Lorenzo in onore delbeato Giovanni Battista, e, fra l’altro, si può leggere una minuziosa e puntuale de-scrizione dell’icona, attribuibile al secolo XI, raffigurante la Madonna che regge ilBambino sul braccio sinistro, in una “composizione che si richiama all’Odigitria” eche dal 1972 si conserva nella cattedrale di Manfredonia.

Federico II e il “De arte venandi cum avibus”, che è un attento e completostudio del trattato di ornitologia e di falconeria dovuto all’imperatore svevo e con-siderato “una delle più importanti opere di zoologia del medioevo”.

Manfredi e la fondazione di Manfredonia, nel quale si dimostra che la data dinascita effettiva della “Nuova Siponto” è l’anno 1256, così come precisato nei suoiDiurnali da Matteo Spinelli da Giovinazzo, e non il 1263, quale si evince dal diplo-ma “Datum Orte” di re Manfredi e che va inteso solo come quello della nascitaufficiale della città.

Il sacco turco di Manfredonia nel 1620 in una relazione inedita, che è quelladi Antonio Nicastro, riportata integralmente e di grande valore documentario per-ché dovuta ad un testimone oculare dell’evento.

Si tratta di uno studio basilare sulla tragica vicenda nel quale, anche con ilricorso ad ogni altra fonte disponibile, vengono chiariti, fra l’altro, i comportamen-ti allora avuti dalle varie autorità manfredoniane e provinciali e si precisano i gravidanni subiti dalla città, ancora evidenti più di mezzo secolo dopo.

La rivoluzione del 1820 a Manfredonia e in Capitanata, nelle cui pagine,stralciate da un’opera maggiore e fondata principalmente su documenti dell’Archi-vio di Stato di Foggia, si ricostruisce un importante avvenimento storico, così comesi realizzò in Capitanata, e si sottolinea il ruolo da protagonista allora svolto daGian Tommaso Giordani, che proclamò la Costituzione prima a Manfredonia e poia Monte S. Angelo.

I pochi studi, ora succintamente segnalati, bastano per intendere il valoredella pubblicazione, peraltro lodevole anche per la sua veste tipografica.

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Luigi Paglia

Studi in onore di Michele dell’Aquiladi Luigi Paglia

Venerdì 6 febbraio 2004, nella Sala degli Affreschi del Palazzo dell’Ateneo diBari, con l’intervento del Magnifico Rettore dell’Università barese, prof. GiovanniGirone, del Preside della Facoltà di Scienze della Formazione, prof. GiovanniMassaro, e dello scrittore Raffaele Nigro, sono stati presentati da parte degli auto-revoli professori Maria Luisa Doglio, dell’Università di Torino, e Andrea Battistini,dell’Ateneo bolognese, gli Studi in onore di Michele dell’Aquila.

I due densissimi volumi miscellanei, fascicoli speciali della rivista «La NuovaRicerca» n. 11/2002 e 12/2003, pubblicati in onore dello studioso, ben conosciuto aFoggia, per i suoi quarant’anni (1962-2002) di attività scientifica e per il compimen-to del suo insegnamento universitario, si configurano, per l’alta qualità complessivadei contributi, come una straordinaria storia per saggi di buona parte della lettera-tura italiana, con sapide escursioni in quelle spagnola e inglese (nonché nella cultu-ra pugliese).

Il primo dei volumi (di 372 pagine) abbraccia il periodo che va dal Duecentoal Settecento, mentre il secondo (di 396 + 60 pagine) è dedicato all’Ottocento e alNovecento, con il contributo complessivo di ben 53 studiosi quasi tutti d’Italiani-stica, di varia estrazione culturale e collocazione geografica, tra cui sono individua-bili molti allievi e colleghi dell’Ateneo di Bari (di cui Michele dell’Aquila è statoprestigioso docente e Preside di Facoltà), ma anche professori di molte altre univer-sità italiane: da Milano e Torino a Palermo e Lecce, da Trieste e Ferrara a Roma eNapoli, da Pisa e Perugia a Pescara e Palermo, per finire con la neonata facoltà diLettere di Foggia.

È un’impresa ben ardua render conto, anche solo sommariamente, della stra-ordinaria costellazione letteraria squadernata nei due nitidi ed eleganti volumi, pub-blicati dagli Istituti Editoriali e Poligrafici Internazionali (I.E.P.I.) di Pisa, curati daun nutrito gruppo di studiosi coordinati da Ruggero Stefanelli al quale si deve an-che la presentazione degli obiettivi e delle finalità della compilazione.

Per quanto riguarda il primo volume, il saggio introduttivo di Giuseppe E.Sansone si distende sull’arco temporale che va dal Medioevo alla contemporaneità.I cinque studi successivi illustrano alcune tematiche fondamentali dei “padri” dellaletteratura italiana: si va dal lavoro di Leonardo Terrusi su Guittone d’Arezzo alledue stringenti indagini, dedicate ai Canti XXIV del Purgatorio e XXXIV dell’In-ferno, di Ruggiero Stefanelli e di Raffaele Giglio e alle investigazioni di Leonardo

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Studi in onore di Michele dell’Aquila

Sebastio e di Rosaria Amendolara sulle quarta e quinta giornata del Decameron delBoccaccio. La letteratura tra ’500 e ’700 è l’oggetto di alcuni puntuali studi: il Rina-scimento è riguardato con l’obiettivo puntato sul femminile nei due saggi di Rober-to Fedi e di Maria Stomeo; Pasquale Guaragnella si sofferma sui Pensieri medico-morali di Paolo Sarpi; Federica Troisi individua la presenza del modello senechianonel Sogno di una notte di mezza estate; Giulia Dell’Aquila documenta la fluttuazionedella critica per le opere di Benvenuto Cellini; Alfonso Falco cura la pubblicazionedi testi poetici del Marino conservati nella Biblioteca Nacional de Madrid, mentreGrazia Distaso esamina le valutazioni sul teatro nel trattato Del verso tragico del1709 di Pier Jacopo Martello.

Una sostanziosa parte del volume è dedicata al Sud e, in particolare, alla let-teratura e alla cultura pugliese. L’indagine di Alberto Granese, si riferisce agli scrit-tori meridionali Salfi, Lomonaco e Cuoco, mentre si devono a Francesco Tateo lenotazioni sulla storia antica di Taranto dello scrittore Giovanni Giovane, forse na-tivo di Grottaglie, ed a Pietro Sisto quelle rivolte ad illustrare l’attività dell’arcive-scovo di Trani Giuseppe Davanzati, figura di spicco del pensiero riformatore inPuglia, e, inoltre, Mariateresa Colotti investe il campo teatrale regionale, analizzan-do il “substrato” linguistico della Rassa a bute.

Al panorama storico, politico e culturale della Daunia sono dedicate le inve-stigazioni di Vitilio Masiello, che prende il esame il Viaggio per la Capitanata (1790)di Francesco Longano, e di Giuseppe De Matteis che puntualmente delinea, neisuoi aspetti e nei suoi scrittori più rappresentativi, il variegato scenario culturaledaunio del Settecento a cui dettero vigore e movimento le accademie letterarie. L’Ot-tocento è rivisitato in otto contributi: dedicati al Foscolo sono i due saggi di CarmenDi Donna Prencipe e di Silvana Ghiazza, che aprono il secondo gremitissimo volu-me, sull’influenza pariniana sul poeta, e sulle strutture strofiche e metriche dei So-netti; Arnaldo Di Benedetto, analizzando le opere storiche di Manzoni, precisa chela dimensione “contemplativa” dello scrittore non eclissa la sua capacità di misurar-si con la storia; il saggio di Wanda De Nunzio Schilardi illumina la figura di Ranieri,nel suo rapporto con Leopardi; Marziano Guglielminetti traccia un sintetico profi-lo dell’opera di Arturo Graf e dei Poeti di Medusa; il valore rivelativo dell’onomasticaè lumeggiato da Davide De Camilli sulle connotazioni tenebrose dei personaggi diFosca del Tarchetti e di Malombra del Fogazzaro; l’analisi di Marocco di EdmondoDe Amicis di Maria Pagliara evidenzia l’immagine stereotipata di colori e di spetta-coli dell’Africa, mentre sono al centro dell’indagine di Sebastiano Martelli i temidell’emigrazione transoceanica presenti nella letteratura della fine dell’Ottocento.

I grandi poeti tra Ottocento e Novecento sono oggetto di indagine di benotto saggi: Giorgio Bàrberi Squarotti rivela la figura del Cristo nelle pagine di Pa-scoli e di D’Annunzio; Gianni Oliva presenta il tema della malinconia nel Fuocodannunziano; Anna De Macina rende conto delle numerose stratificazioni simboli-che delle Vergini delle rocce di D’Annunzio; l’intervento di Paolo De Stefano illu-stra la celebrazione del mare e dell’Ammiraglio di Saint-Bon, operata dal pescarese;due poemetti pascoliani che hanno per protagonista Ulisse sono analizzati da

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Luigi Paglia

Antonino Sole; l’intervento di Bruno Porcelli si concentra sulla poesia di Gozzano;Ungaretti è al centro delle indagini di Mario Petrucciani (sul tema dell’aurora) edell’estensore di questa nota sugli Ultimi cori per la Terra Promessa.

Una vasta area della narrativa del Novecento è analizzata da ben nove son-daggi critici: Raffaele Cavalluzzi individua alcuni temi della narrativa (e del teatro)di Pirandello; il saggio di Gigliola De Donato è dedicato alla trilogia dei romanzisiloniani dell’esilio; Cristo si è fermato ad Eboli di Carlo Levi è l’oggetto degli in-terventi di Giovanni Battista Bronzini e Franco Vitelli, condotti con gli strumentidell’indagine narratologica e antropologica; l’analisi di Francesco Mattesini mette aconfronto i romanzi Le città del mondo di Elio Vittorini e Le Città invisibili diItalo Calvino; Giovanna Zaccaro, analizzando La tregua di Primo Levi, ne rileva ilcarattere di “giornale di viaggio”, di esperienza antropologica; infine, rendono con-to delle ricerche narrative di un’area del Nord-Est i sondaggi di Giorgio Baroni suPier Antonio Quarattotti Gambini, di Irene Visintini su Franco Vegliani, e di Bru-no Maier su Nino Di Giacomo. La riflessione sulle modalità della critica di Anceschie di Tozzi su Pirandello ricorre nei contributi di Donato Valli e di Pasquale Voza.

Anche il secondo volume, come il primo, presenta un panorama abbastanzaampio della cultura e della letteratura pugliese, indagate in alcuni aspetti significati-vi della modernità e della contemporaneità: Antonio Iurilli presenta il quadro del-l’evoluzione civile e sociale della Ruvo ottocentesca; Fernando Schirosi ricorda letappe poetiche di Umberto Fraccacreta, il poeta della Capitanata; Domenico Cofa-no cura la pubblicazione di dieci lettere del poeta tarantino Raffaele Carrieri adHrand Nazariantz; il saggio di Mario Marti è dedicato a lumeggiare l’opera delpoeta salentino Salvatore Toma, e quello di Ettore Catalano esamina la produzioneletteraria di Franco Tilena e di Anna Santoliquido, due scrittori di origine lucana,ma con forti legami con la Puglia.

Infine, Giovanni Dotoli proietta la sguardo nel futuro (e nel presente) dellapoesia e riflette sulla sua funzione nell’era tecnologica. Completa i due volumi inonore di Michele dell’Aquila la compilazione, a cura di Franco Vitelli e di GiuliaDell’Aquila, della vastissima bibliografia degli scritti dello studioso nel quaranten-nio 1962-2002, per un totale di ben 959 titoli, tra monografie, saggi, articoli e recen-sioni che spaziano dal ’200 fino alle ricerche letterarie in atto (con una predilezioneparticolare per Leopardi, oggetto di ben 80 interventi), luminosa testimonianza delsuo fecondo lavoro scientifico e della sua costante presenza nel panorama culturaleitaliano e pugliese.

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Gli autori

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Gli autori

Gli autori

Grazia Carbonella nasce a S. Giovanni Rotondo il 25 maggio 1974. Dopo lamaturità classica, consegue il diploma di chitarra presso il Conservatorio di musica“Umberto Giordano” di Foggia. Nel 1997 si laurea in Storia della musica presso lafacoltà di Lettere dell’Università “La Sapienza” di Roma, con la tesi L’uso del bassoostinato nella musica italiana del Seicento, relatore il prof. Pierluigi Petrobelli. Nel1999 frequenta il corso di perfezionamento in “Filologia musicale” organizzato dallaFondazione Rossini di Pesaro e nel 2000 il corso di “Iconografia musicale” organiz-zato dalla Fondazione Italiana per la Musica Antica di Urbino. Nel 2001 segue ilcorso regionale “Esperto in tecnologie di sistemi multimediali” presso la KnowK. DiFoggia. Dal 2002 collabora con la cooperativa “Mediateca200” per la catalogazionedei documenti sonori della Biblioteca Provinciale di Foggia. È giornalista pubblicista.

Angelo Cavallo nasce a Foggia il 07.05.1960. Negli anni ’70 è cantautore, eoltre alle sue composizioni, nei concerti pubblici, canta le ballate tratte dal reper-torio di Matteo Salvatore (cantastorie di Apricena) ed Enzo Del Re (cantastoriedi Mola di Bari).

Dopo la metà degli anni ’80 l’attività artistica diventa professione. Inventa,dal nulla, una delle prime attività di servizi per il turismo e lo spettacolo in pro-vincia di Foggia. Insegna ai corsi di animazione turistica organizzati dal – Cesan- Camera di Commercio di Foggia. Nel 1989 inizia la collaborazione con Anto-nio Albanese; per lui scrive testi e produce i suoi primi spettacoli, con la collabo-razione di Nicola Rignanese.

Si concede un “gioco letterario” scrivendo il romanzo Il Paese della navefelice per conto della casa editrice Books&New; una storia fanta-politica, meta-fora del sud, ambientata in un paese del mezzogiorno d’Italia.

Dal 1991 in poi sarà ancora la musica al centro della sua attività. Svolgel’attività di agente e produttore artistico. Tra i tanti impegni, in quegli anni, l’or-ganizzazione del tour pugliese di Roberto Murolo, la produzione e l’organizza-zione di tournèe di svariati artisti dell’area mediterranea..

Nel 1997 insieme a Rocco Draicchio crea l’etichetta discografica La Vocedel Gargano, produce l’omonima antologia musicale e cura la direzione artisticadel “Carpino Folk Festival” sempre con Draicchio. Dopo l’esperienza di Carpino,intensifica e specializza la sua professione come operatore musicale nella WorldMusic e nel lavoro di rivalutazione del suo intimo amico, il cantastorie MatteoSalvatore.

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Già personal manager, produttore ed assistente del cantastorie, nel 2001scriverà, per conto della casa editrice Stampa Alternativa il libro Matteo Salvato-re la luna aggira il mondo e voi dormite autobiografia raccontata ad Angelo Ca-vallo (con allegato CD).

Al grande cantastorie dedicherà il Caffè del bando, di sua proprietà, picco-lo ritrovo letterario e musicale, sito in Foggia. Il ruolo ovviamente sarà quello dianimatore culturale.

Nel 2004 è direttore palco dello spettacolo “Craj” di Teresa De Sio e Giovan-ni Lindo Ferretti, dove l’artista Matteo Salvatore ha il ruolo di protagonista. Colla-bora al film omonimo sulla musica pugliese “Craj domani” di Davide Marengo.

È direttore artistico delle rassegne musicali: “Suoni dal Mondo”, presso ilsito archeologico di Canne della Battaglia a Barletta, “Madre Terra” presso il Co-mune di Santa Croce di Magliano in Molise, “Le notti di Pizzomunno” a Vieste e“Tamburi dal Mare” a Foggia.

Attualmente lavora alla costruzione del “Premio Matteo Salvatore” qualeriferimento ufficiale futuro per la divulgazione e l’informazione sulla figura delgrande cantastorie della Capitanata, deceduto il 27 agosto 2005. Un lavoro indiriz-zato alla conoscenza musicale pugliese, nel panorama nazionale ed internazionale.

Felice Clima, avvocato, è nato ad Apricena nel 1930 e si è laureato in leggea Napoli nel 1955.

Appassionato di viaggi, ha da sempre alternato viaggi in ogni dove afrequentazioni assidue e costanti nella sua Apricena.

Suoi articoli ed interventi di natura professionale, ma anche umanistica,economica e politica, sono stati pubblicati oltre che sui giornali della sua cittàd’origine («La Matricola», «La Voce» negli anni ’50 e da ultimo «Il Torrione»,«Apricena», «Città viva»), anche su «Il Gargano», «Il Provinciale», «La Gazzettadel Mezzogiorno» e «La Virgola», rivista del Consiglio dell’Ordine degli Avvo-cati. Tra i volumi pubblicati: Apricena…percorsi (Litostampa, 1998), Leggende,Microstorie e storie di Capitanata (Bastogi, 2000), Amazzonia e… dintorni (Bastogi,2001). In corso di pubblicazione: L’altra metà del paradiso.

Rosanna Curci, nata a San Giovanni Rotondo il 26 giugno 1975, si è laure-ata con lode in Lingue e Letterature Straniere. Attualmente frequenta corsi dispecializzazione di didattica della lingua inglese. Particolarmente interessata allavita sociale delle donne tra Ottocento e Novecento, ha condotto studi approfon-diti sulle viaggiatrici inglesi nell’Italia meridionale di questo periodo.

Giuseppe De Matteis è nato ad Alberona. Ha insegnato presso le scuolesuperiori di Foggia e di Bari prima di passare all’Università di Pisa come docentedi Lingua e Letteratura Italina sino al 1986. Da quell’anno si è trasferito a Pescaradove gli è stata affidata la cattedra di Storia della critica letteraria e contempora-neamente, la supplenza di Lingua e Letteratura Italiana, insegnamento che attual-

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Gli autori

mente continua a svolgere presso l’Università “G. D’Annunzio” di Chieti inQualità di Titolare.

Collabora a varie riviste letterarie nazionali: («Galleria», «Italianistica»,«Studium», «Esperienze Letterarie», «Aevum», «Opinioni», «Merope», «Propo-ste», ecc...). Ha pubblicato numerosi volumi, tra i quali: Cultura e poesia di Vin-cenzo Cardarelli (1971), Critica, poesia e comunicazione (1978), Il nomade illuso:letture e sondaggi cardarelliani (1983), Cultura letteraria contemporanea inCapitanata (1984), Dittico pirandelliano (1989), Ragioni e certezze della poesia(1990), La narrativa di Italo Calvino (1991), Lettura di «senilità» di Italo Svevo(1992), Edizione critica dell’opera omnia (poesie dialettali) di Giacomo Strizzi(1992), Il segno e l’enigma (itinerario poetico) di Michele Urrasio (1993), protago-nisti della cultura letteraria meridionale (1993), Il fantastico nel Decamerone (1996),Lettura dei «postuma» di Olindo Guerrini (1996), Sondaggi foscoliani (1998),Manzoni e altri studi (1999), Istanze della narrativa italiana contemporanea (2002),Vincenzo Cardarelli.Un sogno: lo stile assoluto (2005), Una «lunga fedeltà»: aspettie figure della Puglia letteraria contemporanea (2005),

De Matteis ha organizzato e curato molti convegni nazionali di letteratura,tra i quali si ricordano tre convegni su Leopardi, uno su Pietro Giannone e unconvegno di carattere internazionale sul tema: Dante in lettura.

Pasquale di Cicco, (Maddaloni 1930), attualmente Ispettore OnorarioArchivistico per la Puglia, ha diretto l’Archivio di Stato di Foggia e la Sezione diLucera dal 1959 al 1994.

È autore di molte pubblicazioni, fra cui Censuazione ed affrancazione delTavoliere di Puglia 1789-1865 (1962); Il Libro rosso della città di Foggia (1965); ilTavoliere della Puglia nella prima metà del XIX secolo (1966); I documenti anti-chi dell’archivio comunale di Foggia (1970); L’archivio del Tavoliere di Puglia(1970-1991, 5 voll. I primi 4 in collaborazione con Dora Musto); Gli statuti eco-nomici dell’Università di Lucera (1972); Il Libro rosso dell’Università diManfredonia (1974); I manoscritti della Biblioteca Provinciale di foggia (1977);Notizie per il buon governo della R. Dogana della mena delle pecore di Puglia diAndrea Gaudiani (1981); Atlante delle locazioni della Dogana delle pecore di fog-gia di Antonio e Nunzio Michele (1984); Il “Giornale Patrio Villani” 1801-1810(1985); Il Molise e la Transumanza. Documenti dell’Archivio di Stato di Foggia(secoli XVI-XX) (1997).

Tiziana di Cicco è nata a Napoli nel 1964. Si è laureata in Lettere modernepresso l’Università di Chieti e diplomata in grafologia presso l’Università diUrbino. Insegna a Foggia.

Luigi Gatta è nato a Mattinata (FG) nel 1945. Al lavoro di “routine” perPoste Italiane, affianca una puntuale ricerca storica, fatta sulle fonti documenta-rie negli archivi pubblici di Capitanata (di Stato, comunali e privati).

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Gli autori

Ha pubblicato Mattinata, frazione di Monte Sant’Angelo, tra ‘800 e ‘900,vol. I, Foggia, Claudio Grenzi Editore. Ha collaborato con la rivista del CentroStudi Garganici di Monte Sant’Angelo «Gargano Studi». Ultimamente ha pub-blicato [«la Capitanata», XIL (2002), 11 (febbraio)] i saggi Dalle Poste borbonichealle Poste Italiane; Raffaele Bisceglia e l’antifascismo a Mattinata [«la Capitanata»,XLII (2004), 15 (febbraio)].

Francesco Giuliani, laureato in Lettere presso l’Università di Bari, insegnanel Liceo Classico “Fiani” di Torremaggiore.

Dal 1998 è Cultore della Materia presso la Cattedra di Letteratura Italianae Storia della Critica, nella Facoltà di Lingue dell’Università di Pescara.

Nell’ambito dell’Italianistica svolge un’attività di ricerca imperniata, da unaparte, sullo sforzo di valorizzare le ricchezze letterarie del territorio pugliese, inun’ottica quanto più ampia possibile, dall’altra, sull’analisi critica di personaggi emomenti della storia letteraria nazionale.

Giornalista pubblicista, dirige da alcuni anni «Il Giornale di San Severo».Dal 1998 è socio ordinario della Società di Storia Patria per la Puglia per la

rilevanza dei suoi studi.Dal 2000 è consulente della Città di San Severo per l’attivazione dei corsi di

laurea decentrati dell’Università di Foggia. Tra le sue pubblicazioni, Il rondò, letorri e la Certosa.

Antonella Iacobbe si è laureata con il massimo dei voti presso l’Universitàdegli Studi “G. D’Annunzio” di Chieti – Pescara. È cultore di Letteratura italiana edi Storia della critica e storiografia letteraria da febbraio 2000 presso l’Universitàdegli Studi di Pescara e dottoranda all’ultimo anno in Lingua, Testo e Letterarietà(XIII ciclo) presso la stessa Università. Ha tenuto diversi seminari per la cattedra diLetteratura italiana.

Dopo varie recensioni ha pubblicato un saggio dal titolo: Lettura gotica deiPromessi Sposi, Quaderni del Dottorato: Lingua, Testo e Letterarietà, a cura diAlfonso De Petris (Editrice Itinerari, 2005).

Luigi Paglia svolge la sua ricerca soprattutto nel campo della Letteraturacontemporanea. È docente di “Teoria e prassi dell’intertestualità” nella Facoltà diLettere e Filosofia dell’Università di Foggia. Ha anche insegnato “Scienze del-l’Informazione”, “Metodologia e critica letteraria”, “Laboratorio di scrittura”, edè stato Formatore-Tutor nel progetto R. eT.E. del Ministero della P. I., per l’intro-duzione delle tecnologie informatiche nella didattica dell’Italiano.

Ha pubblicato in volume: Invito alla lettura di Martinetti, Milano, Mursia,1977; Poeti in Puglia, in Inchiesta sulla poesia, Foggia, Bastogi, 1979; Luzi, inPoesia italiana del Novecento, Roma, Editori Riuniti, 1993; Ungaretti, in Lette-ratura italiana ed utopia, Roma, Editori Riuniti, 1995; L’incendio della terra asera, in Studi in onore di Michele Dell’Aquila, Pisa, I.E.P.I., 2003; L’urlo e lo stu-

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Gli autori

pore. Lettura di Ungaretti. L’Allegria (con una testimonianza di Mario Luzi),Firenze, Le Monnier, 2003; Il viaggio ungarettiano nel tempo e nello spazio. Leprose daunie di Giuseppe Ungaretti, Foggia, Grenzi, 2005.

Ha collaborato con le più qualificate riviste letterarie («Vita e pensiero»,«Rapporti», di cui è stato membro della direzione, («Paragone-Letteratura»,«Otto/Novecento», «Annali dell’Università di Roma “La Sapienza”», «Criticaletteraria», «Lingua e Stile», «Nuova Antologia», «Strumenti critici», «Rivista diLetteratura italiana», «Quaderni di didattica della scrittura», «Forum Italicum»,«Italica», ecc…) con saggi e studi su Dante, G. Ungaretti, T.S. Eliot, G. Grass, C.Wolf, M. Luzi, L. Pirandello, U. Betti, ecc…

Tommaso Palermo è nato a Roma nel 1976. Da sempre appassionato diricerche storiche, si è laureato con lode in Codicologia presso l’Università di Bari.Ha conseguito l’abilitazione all’insegnamento nelle scuole secondarie di primo esecondo grado; è attualmente in attesa di iscriversi ai corsi abilitanti per insegnan-ti di sostegno.

Antonio Vigilante è nato a Foggia nel 1971. Docente di Filosofia e scienzeumane presso il liceo “Federico II” di Apricena, è studioso della nonviolenza emembro del consiglio scientifico della rivista «Quaderni Satyagraha» di Pisa. Hapubblicato: La realtà liberata. Escatologia e nonviolenza in Capitini, Foggia, Edi-zioni del Rosone, 1999; Il brigantaggio fra il 1799 e il 1865, Napoli, Procaccini,2000 (con M. Battaglini, D. Donofrio e V. Caruso); Quartine, Foggia, Edizionidel Rosone, 2001.

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Finito di stampare nel mese di ottobre 2005presso il Centro Grafico Francescano

1a trav. Via Manfredonia - 71100 Foggiatel. 0881/728177 • fax 0881/722719

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