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LA CAPITANATARivista quadrimestrale della Biblioteca Provinciale di FoggiaDirettore: Franco MercurioSegretaria di redazione: Maria Adele La TorrettaRedazione e amministrazione: «la Capitanata», viale Michelangelo 1, 71100 Foggiatel. 0881-791621; fax 0881-636881; e-mail: [email protected]

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“LA MAGNA CAPITANA”BIBLIOTECA PROVINCIALE DI FOGGIAè un servizio della Provincia di FoggiaPresidente: Carmine StalloneDirettore: Franco Mercurio, [email protected]

Authority catalografica: Gabriella Berardi, [email protected] editoriale: Elena Infantini, [email protected] logistica: Gino Vallario, [email protected] informatica: Antonio Perrelli, [email protected]: Centri di documentazione: Enrica Fatigato, [email protected]: Franco Corbo, [email protected] antichi e speciali: Antonio Ventura, [email protected] Narrativa: Annalisa Scillitani, scillitani @bibliotecaprovinciale.foggia.itSala Consultazione: Maria Altobella, [email protected] Ragazzi: Milena Tancredi, [email protected]

Erba curvata dal vento (… grano, canneti della costa o delle zone paludose…) e il terso cielo stellato sono elementisimbolicamente connotativi del nostro territorio. La dicitura A.D. 2000, insieme alla scritta ex-libris mutuata daMichele Vocino, rappresentano la volontà di tenere sempre presente il collegamento tra passato, presente e futurosenza soluzione di continuità. Questo ex-libris che d’ora in poi caratterizzerà i documenti posseduti dalla BibliotecaProvinciale, è stato per noi elaborato da “Red Hot - laboratorio di idee e comunicazione d’impresa” e da loro gentil-mente donato.Red Hot: Gianluca Fiano, Saverio Mazzone, Andrea Pacilli e Lorenzo Trigiani. Manfredonia, a.d. 2000.

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LA CAPITANATARASSEGNA

DI VITA E DI STUDIDELLA PROVINCIA

DI FOGGIA_______________

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Salute e Società_______________

Ottobre 2006

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Indice

Salute e Società

p. 11 Lettera apertadi Edoardo Beccia

15 Cardiologia oggi a Foggiadi Natale Daniele Brunetti e Matteo Di Biase

17 I consultori familiari:una risorsa preziosa per le nostre comunitàdi Antonio Bucz

23 I confini sconfinati delle neuroscienze nel terzo millenniodi Ciro Mundi

27 Ausl Fg/1: una programmazione sanitaria a dimensione della gente.Gli obiettivi triennali del Piano Attuativo Localedi Gaetano Fuiano1. Introduzione2. Descrizione generale dell’azienda3. Analisi dei bisogni4. Malattie di particolare rilevanza sociale5. Il metodo e gli strumenti6. Gli strumenti operativi principali7. Alcune priorità8. Obiettivi, azioni ed interventi nelle attività generali, di assistenza ed in quelle di supporto

75 Il consorzio europeo per l’educazione sul cancro cervicale.Progetto europeo per l’educazione sul cancro cervicaledi Pantaleo Greco, Luigi Nappi, Maria Matteo,

Ugo Indraccolo, Piergiorgio Rosenberg1. Introduzione2. Obiettivi del consorzio europeo per il cancro cervicale3. Funzioni del programma educativo (CCP Ed program)4. European cervical cancer association (ECCA)

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5. Situazione globale sul cancro cervicale (www.eccce.org)6. Cause del cancro cervicale (www.eccce.org)7. Notizie sull’HPV (www.eccce.org)8. Prevenzione del cancro cervicale (www.eccce.org)

p. 97 I progressi della chirurgia negli ultimi quarant’annidi Costanzo Natale

1. Evoluzione storica2. Dove va la chirurgia?3. Arte e Chirurgia

103 Chirurgia pediatrica a serviziodel bambino e dei suoi genitoridi Maria Nobili

105 Nascere troppo presto oggi.La realtà di Foggiadi Giuseppe Rinaldi

Giuseppe Mazzini e la democrazia in azione

Auditorium Biblioteca Provinciale“la Magna Capitana” 20 dicembre 2005

113 L’eredità di Mazzini all’umanità e il ruolo dell’Italiadi Giuliana Limiti

117 Giuseppe Mazzini e la cultura inglese:testimonianze dall’epistolariodi Giuseppe De Matteis

127 L’eredità di Mazzini: l’Edizione Nazionale degli Scrittidi Michele Finelli

139 Giuseppe Mazzini Uomo Universale di Carlo Gentiledi Angelo Manuali

145 Mazzini e l’Europa sud-orientalenella storiografia degli ultimi trent’annidi Antonio D’Alessandri

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Saggi

p. 159 La Carta costituzionale delle relazioni sindacalidi Domenico Della Martora

165 Vibrazioni leopardiane nel Novecento europeodi Filomena Della Valle

181 Profilo di uno scrittore di razza: Domenico Lamuradi Giuseppe De Matteis

189 La Biblioteca Comunale di Luceradi Dioniso Morlacco

199 Paradigma metodologico di lettura poeticadi Luigi Paglia

221 Le attività creditizie a Foggiadi Sabina Stefania Samele

1. Premessa2. Strutttura dell’indebitamento3. I debiti

243 Le compagne del 23 marzo 1950 a San Severodi Maria Teresa Santelli

253 La diocesi di Lucera: genesi ed evoluzionedella presenza cristianadi Gaetano Schiraldi1. La cristianizzazione in Puglia2. La comunità cristiana di Lucera: la tradizione petrina3. Le prime fonti scritte sulla comunità di Lucera4. Le leggende sui primi quattro vescovi di Lucera: Basso, Pardo, Marco, Giovanni

267 “Da proletari a possidenti”. Un progetto di sviluppoin età liberaledi Carmen Sferruzzi Siniscalco

275 Il porto di Rodi Garganico nel primo Ottocentodi Bruno Vivoli1. Rodi e il suo territorio

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2. La produzione principale: l’agrumicoltura3. Le esportazioni dal porto di Rodi

Attività della Biblioteca

289 Fonti sonore e musicologia: alcune riflessionidi Grazia Carbonella

Recensioni

299 Giuseppe De Matteis, Vincenzo Cardarelli - un sogno:lo stile assolutodi Grazia Stella Elia

303 Luigi Paglia e i suoi due volumi su Giuseppe Ungarettidi Domenico Grassi

Gli autori

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Salute e Società

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Edoardo Beccia

Lettera apertadi Edoardo Beccia

Carissimo,la tua mia chiama in causa pur non essendo indirizzata a me e mi trovo co-

stretto a risponderti non volendo farlo.Mi piace infatti ricordare le nostre radici comuni in sala Manzoni quando

qualcuno ci insegnava: “Riprendi tuo fratello in privato e se non ti ascolta fallo poiin pubblico”.

Il tuo dar risalto a questa tematica e in questo modo, mi fa prendere posizio-ni in un momento di grande riflessione e tormento per una decisione non facile,non presa e ancora tutta da valutare, che mi sarebbe piaciuto discutere con te forseguardandoci negli occhi.

Da sempre nel nostro gruppo prima di prendere una decisione eri quello checi diceva: “Esaminiamo gli aspetti negativi della situazione”. Spesso quando devodecidere ripenso alla tua frase e all’insegnamento che contiene. Però poi decido.Perché non decidere è anche una decisione e troppo spesso lasciamo che gli altridecidano per noi.

Nel mio percorso di conoscenza del problema, personale innanzitutto, maanche pubblico in quanto relatore, sono stato a visitare la centrale di Porcari inprovincia di Lucca.

Nel salutare il responsabile dell’ufficio ambientale del comune, che era statoa Troia come turista e che conosceva bene la zona, a cui avevamo rivolto tante do-mande di tipo tecnico e non e a cui avevamo più volte chiesto, ma senza risposta, seera opportuna per noi la centrale, ci ha detto: “Tanti auguri, buon lavoro e soprat-tutto siate artefici del vostro destino”.

La frase mi è rimasta nella mente e ancora mi martella ed è il mio dubbio.I miei ricordi sono andati agli oracoli delfici che agli speranzosi guerrieri in

partenza dicevano “Sul tuo scudo tornerai” e lo scrivevano sul coccio senza virgole.E c’era chi lo leggeva come un presagio positivo (per il tuo scudo, per la tua abilitàguerriera, tornerai) e chi invece lo leggeva come un presagio negativo (tornerai so-pra il tuo scudo come feretro di trasporto, ultimo onore per il guerriero).

Era tutto in una virgola. Qual è la decisione giusta per il nostro destino? Nonper noi ma per i nostri figli?

Ti assicuro che non è facile la scelta. E questo fardello è il compito di chi èstato chiamato ad amministrare.

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Lettera aperta

Se domani il Signor FIAT ci dicesse: “Metto a Troia una fabbrica di autoper mille posti di lavoro”, tu mi scriveresti? Ne dubito. Perché mille posti dilavoro non si discutono. Eppure anche una fabbrica non inquinante con tutto lospostamento dei suoi operai sai quanto inquina? E rifacendomi sempre ai comuniinsegnamenti e se i posti di lavoro fossero cinquecento?, e se duecentocinquanta ese cento e se…

Allora la nostra coscienza “ecologica” esiste o è in continuo compromesso?Come verrei giudicato come amministratore se rinunziassi ad un opportuni-

tà di quel genere? È un discorso teorico il mio, speculativo, ma con te posso farlo,dura lex, sed lex. La coscienza ecologica è coscienza.

Tu ci inviti a riflette su un apparecchio di condizionamento. Hai ragione. Cirifletto ma ti domando dopo che insieme ci abbiamo riflettuto, hai buttato via il tuocondizionatore? Hai chiuso il tuo telefonino?Hai spento il frigorifero?

No di certo. Eppure sai è come quel medico nostro comune amico che entra-va in reparto con la sigaretta in bocca e parlava di gastroscopia fumando.

L’esempio è la migliore dimostrazione di credere in quello che si dice. Tral’altro forse è l’occasione per invitarti a venire più spesso a Troia dove il condizio-natore non è “necessario”, ma poi dovremo discutere cosa è necessario. E così comemi spieghi cosa significa vocazione del territorio. Quando sono stato a Porcari misono trovato a 20 Km da Lucca, una città stupenda, a 40 Km da Pisa che non devodecantare, a 30 Km da Livorno e da tutta la costa della Versilia.

Mi risulta che sia una località turistica, non a vocazione turistica che è un’ipo-tesi, ma una realtà turistica. Eppure è una tra le zone più industrializzate d’Italia.

Se guardiamo la nostra tradizione, la nostra “vocazione” era la pastorizia e itratturi ce lo ricordano.

Fortunatamente di strada ne abbiamo fatta.In Italia, ma aggiungerei nel mondo, non so se esista un’area a vocazione

industriale. Non esiste per nessuno questo tipo di vocazione ma diventa una neces-sità. Importante è coniugare necessità e volontà, opportunità e futuro, onori edoneri, vantaggi e danni. È l’equilibrio delle scelte che fa la saggezza.

Siate artefici del vostro futuro.Mi ricordo delle foreste brasiliane. Sono uno dei polmoni del mondo. Ci

ribelliamo quando le tagliano perché ne viene meno un qualcosa per la nostra salutema non ci battiamo perché migliorino le condizioni di vita di quei popoli.

Non possiamo fare discorsi a senso unico. Dobbiamo parlare di federalismosolidale. Questo sarebbe un discorso che mi piacerebbe fare con te. Io mantengo ilmondo pulito e tu mi dai da mangiare.

Anch’io ho bisogno del tuo sviluppo. È troppo comodo che qualcuno godadei benefici inquinando il mondo (ed usi telefonini, condizionatori, auto, frigorife-ri) e costringa gli altri a fare ecologia.

Nel mondo villaggio il mio vento vale quanto la tua acqua, i miei alberi val-gono quanto le tue ciminiere, i tuoi soldi valgono quanto i miei paesaggi. Possiamofare questi discorsi?

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Edoardo Beccia

Allora anch’io avrei la libertà delle mie scelte e non sarei tra l’incudine dellosviluppo e il martello dell’inquinamento.

Giorni fa sono stato al primo Convegno della Rete delle Città Sane a cui ilnostro comune partecipa. È stato ribadito un concetto che tu ed io già conosceva-mo: l’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità) dice che la salute non è as-senza di malattie è invece il benessere psicofisico. Però aggiunge che i parametriper valutare il benessere psicofisico sono la casa, il lavoro, la famiglia, ecc.

Se ho l’aria e non ho il lavoro non ho salute. È chiaro sto radicalizzando ilproblema, ma devi sapere che 18 (dico diciotto) aziende trevigiane stanno aspettan-do di sapere se attiviamo la centrale per scegliere il nostro PIP, perché in quel caso ilcosto dell’energia sarà inferiore.

Anche turismo, anche agricoltura, ma non solo.Non vorrei che una mia scelta oggi costringesse domani mio figlio ad andare

a vivere a Milano e a mettersi a Milano la mascherina per camminare nelle strade,mentre qui non c’è problema di mascherina e non ce ne sarebbe comunque anchecon la centrale.

Vediamo anche un altro aspetto.L’apertura di una centrale a basso (non voglio dire nullo) inquinamento po-

trebbe voler dire chiusura di impianti a maggior inquinamento. Anche questo èfederalismo solidale.

Sono un amministratore e come tale ho avuto dei beni da far fruttare e diquesto risponderò.

Saprò trasformarmi in politico se riuscirò a vedere oltre i bisogni contingentidella mia gente e predisporre il loro futuro. Sono un cittadino, non un tecnico. Pervedere più lontano dei giganti diceva il mio vecchio professore di filosofia bastasalire sulle spalle dei giganti.

Gli esperti sono i nostri giganti. Facciamoci illustrare la realtà ma poi salendosulle loro spalle guardiamo più lontano e soprattutto decidiamo noi il nostro futuro.

Sai, Celle San Vito, con cui confiniamo come territorio ha già deciso che senoi rifiutassimo farebbe sua l’idea della centrale. E noi?

A volte penso che se proprio dovessi operarmi sceglierei te per questo.Vale anche per altre decisioni difficili e penose. Se proprio dobbiamo farle

scegliamo chi, come, dove, quando, con che limitazioni, con quali rimedi, con qualiaccortezze e soprattutto con quali onestà mentali o non per evitare il massimo pos-sibile di danni.

Anche questo può significare coscienza ecologica, forse più difficile da ma-turare ma sicuramente sofferta e consapevole.

E comunque ti assicuro abbiamo dato una disponibilità agli studi di fattibilità.Siamo attenti a tutti i suggerimenti, vogliamo parlare ed ascoltare, senza pre-

giudizi. Ma piacerebbe che i pregiudizi fossero messi da parte da tutti.Quando anni fa si parlava di pale eoliche si diceva che portavano pazzie nelle

pecore. Ancora oggi, sui giornali di pochi giorni fa, si diceva che è colpa delle palese non piove. Non facciamo ricadere tutte le colpe su ciò che non ci piace. Abbiamo

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Lettera aperta

la serenità e l’onestà mentale di un confronto senza rete ma fatto veramente perl’interesse di tutti.

Sempre al convegno delle città sane ci hanno illustrato i profili di salute. Lecittà più all’avanguardia hanno convocato dei forum di cittadini per decidere lacittà che vedono nel futuro.

E hanno inviato i gruppi, le aziende, i sindacati, le associazioni. In terminetecnico vengono definiti i portatori di interessi. Ho obiettato, ma chi sente i disoc-cupati organizzati a Napoli? Chi ascolta i barboni di piazza Grande a Bologna?Chi fa discorsi di ecologia è spesso chi ha già il pane e vuole il dolce.

Facciamo i nostri piani regolatori prevedendo strade larghe e parchi. Eppure inostri vecchi costruivano centri storici con strade strette per mantenere il calore del-l’inverno ed evitare il caldo d’estate e per non fare molta strada a piedi. Le stradelarghe ci costringono a riscaldare e a raffreddare i nostri immobili con grande dispen-dio energetico. E i percorsi aumentano e ci vogliono le macchine. Chi ha ragione?

Io no so quale sia la verità, ma so per certo che il problema non si risolveeliminandolo. Non si toglie l’inquinamento non facendo le centrali ma poi lascia-mo le automobili. Si parla di multifattorialità e di equilibrio.

Importante è non saccheggiare la terra ma utilizzare con equilibrio ciò cheabbiamo. Importante è far convivere le esigenze e trovare insieme le soluzioni.

È facile dire di no. E poi? Sappiamo dire no veramente a tutto? Io no di certoe credo che se rispondessimo tutti con sincerità la risposta sarebbe comune.

La sfida è cambiare gli stili di vita.Ti aspetto per aiutarmi in questa difficile impresa.Sempre tuo con immutato affetto.

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Natale Daniele Brunetti, Matteo Di Biase

Cardiologia oggi a Foggiadi Natale Daniele Brunetti e Matteo Di Biase

Alla rapida crescita che ha caratterizzato negli ultimi anni la realtà culturale esociale foggiana, è corrisposto un altrettanto dinamico sviluppo di quella medica ingenerale e cardiologica in particolare, sia a livello scientifico che assistenziale. L’inne-sto corroborante dell’esperienza universitaria su una vivace tradizione locale ha con-tribuito ad allargare il respiro, la consapevolezza professionale e gli ambiti operatividi una attività già fortemente connotata da uno stretto rapporto con il suo territorio.

Negli ultimi anni l’attività assistenziale della Cardiologia Universitaria degliOspedali Riuniti di Foggia si è completata con tutte le più aggiornate procedurediagnostiche ed interventistiche che la moderna cardiologia offre per la cura del pazien-te cardiologico. A Foggia, è possibile sottoporsi ad esame coronarografico, l’esame che,mediante l’iniezione di mezzo di contrasto nelle arterie che irrorano il cuore, consenteal cardiologo di individuare i soggetti con stenosi coronariche e di completare la dia-gnosi di coronaropatia. Inoltre a Foggia è possibile anche trattare in maniera risolutivamolti di questi pazienti con ischemia cardiaca, andando ad intervenire a livello delleplacche aterosclerotiche delle coronarie con tecniche di angioplastica coronaricapercutanea, il cosiddetto “palloncino”, che, se possibile e correttamente effettuato, con-sente di evitare in molti casi l’intervento di by-pass coronario con una procedura dipochi minuti, condotta in anestesia locale, con il paziente sveglio e collaborante. Sonodecine e decine ormai i pazienti foggiani della provincia che si sono giovati di tale trat-tamento senza fastidiosi trasferimenti fuori provincia o addirittura fuori regione.

Oggi a Foggia è possibile non solo effettuare tutte le procedure di diagnostichepiù avanzate di elettrofisiologia, quella branca della cardiologia che si occupa diaritmie e disturbi dell’attività elettrica del cuore, ma anche essere sottoposti ad im-pianto di pace-maker, con una esperienza più che pluriennale e con una casistica trale maggiori a livello nazionale. Si eseguono, inoltre, impianti di defibrillatore cardi-aco, un sistema salvavita capace di interrompere mediante apposita stimolazione oscarica elettrica le aritmie che mettono a rischio la vita di alcuni pazienti (tachicardia/fibrillazione ventricolare). Foggia è poi all’avanguardia nazionale per le procedure,sempre di elettrofisiologia interventistica, di ablazione percutanea medianteerogazione di radiofrequenza. Tali procedure, con un’attenta selezione dei pazientie se correttamente effettuate, possono risolvere in maniera semplice ed indolore peril paziente, ma al contempo quasi sempre definitiva, molti casi di aritmie, dalle piùrare tachicardie parossistiche alla ben più comune fibrillazione atriale.

Alla realtà locale, ma anche nazionale che vede un generale invecchiamento

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Cardiologia oggi a Foggia

della popolazione, un aumento dei soggetti affetti da patologie cardiologiche croni-che, degli anziani bisognosi di assistenza continuativa o addirittura domiciliare, laCardiologia Universitaria degli Ospedali Riuniti di Foggia viene incontro con am-bulatori dedicati precipuamente all’assistenza del paziente con scompenso cardiacoo con programmi, ben rari a livello nazionale, anche in realtà almeno apparente-mente o presuntamente più avanzate, di assistenza cardiologica specialistica domi-ciliare. Il cardiologo cura a casa il paziente con scompenso cardiaco cronico quan-do l’ospedalizzazione potrebbe essere ancora necessaria, ma al momento non indi-spensabile. Cardiologia e assistenza dei familiari si incontrano quindi in un connu-bio che cura il paziente nel miglior modo possibile nel miglior luogo in cui ciascunpaziente vorrebbe essere assistito: a casa.

E ancora non bisogna dimenticare la silenziosa e diuturna, ma non per que-sto meno encomiabile ed imprescindibile, attività dell’Unità di Terapia IntensivaCoronarica (UTIC), il cui lavoro senza pause ha salvato, con un trattamento rapidoe qualificato dell’infarto o dell’angina pectoris, la vita di un numero di uomini edonne di Capitanata che è impossibile quantificare.

Una struttura quindi fortemente radicata nella realtà in cui vive e opera, a cui talerealtà foggiana deve molto non solo a livello assistenziale, ma anche a livello formativoe culturale. La Cardiologia Universitaria degli Ospedali Riuniti di Foggia è infatti ogginon solo sede di Cattedra della giovane, vivace e in grande crescita Università degliStudi di Foggia, ma anche sede di Scuola di Specializzazione in Cardiologia e del Dot-torato di Ricerca in Fisiopatologia dell’Apparato Cardiovascolare, uno dei pochi incardiologia d’Italia: fucina quindi dei futuri cardiologi del territorio, ma anche dei futu-ri ricercatori in cardiologia. Il salto di qualità culturale è testimoniato dalla sempre mag-giore spinta propulsiva esercitata dalla cardiologia foggiana a livello di cultura cardiolo-gia locale, nel senso di una diffusione sempre più capillare sul territorio della linee guidadelle società scientifiche nazionali ed internazionali, ma anche dal crescente e lusinghie-ro numero di pubblicazioni scientifiche su riviste internazionali.

Crescita assistenziale, quindi, tecniche avanzate, procedure moderne, fermen-to culturale… Un panorama dunque tutto rose e fiori? Non solo: molto ancora c’è dafare, molto ancora si può e si deve fare. Un’assistenza cardiologica qualificata e com-pleta non può prescindere da una stretta e continua integrazione con la cardiochirur-gia, ambito medico-chirurgico in cui la realtà foggiana ha ancora grossi margini dicrescita. Al momento, la Cardiologia Universitaria degli Ospedali Riuniti di Foggiaha reso inutili i tristi viaggi della speranza cui erano costretti molti pazienti dellanostra realtà fino a pochi anni fa; tutto ciò è purtroppo invece ancora tristementenecessario per chi ha bisogno di un intervento di by-pass coronarico. Molto ancorac’è da fare e si deve fare in termini di riduzione delle liste di attesa, ancora purtroppotroppo lunghe per chi ha bisogno di un elettrocardiogramma, di un’ecocardiografia odi una visita cardiologica.

L’obiettivo, quindi, è stato e sarà quello di curare il paziente cardiologico conle metodiche più aggiornate e con i migliori standard di qualità senza costringerlo aviaggi in altre città o altre regioni.

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Antonio Bucz

I consultori familiari:una risorsa preziosa per le nostre comunità

di Antonio Bucz

I consultori familiari sono nati più di 30 anni fa per dare concrete rispostealle nostre popolazioni in termini di salute, assistenza sociale e sanitaria all’infan-zia, a singoli, uomini, donne, coppie e famiglie, ed hanno sempre vissuto e sonocresciuti con poche risorse umane e scarsi finanziamenti pubblici.

Rappresentano, tuttavia, per l’intera comunità nazionale una grande risorsa,che va conservata e potenziata per le generazioni future.

Istituiti con la Legge quadro n°405 del 1975 ed inseriti nel Sistema SanitarioNazionale (Legge n°833/78) con tempi e modalità differenti da regione a regione, iconsultori familiari hanno incontrato contemporaneamente grandi difficoltà e grandipotenzialità.

Su di essi si sono riversate tematiche quali la procreazione responsabile, irapporti interpersonali e familiari, la tutela della gravidanza, la sessualità, la con-traccezione, la salute del bambino, il sostegno agli adolescenti ed ai giovani, l’affi-damento e le adozioni nazionali ed internazionali, il sostegno alla coppia ed allagenitorialità, la mediazione familiare.

Ostacoli di natura burocratica, carenze finanziarie, vastità di compiti, gene-ricità di contenuti ed interpretazione culturale da dare ad essi, hanno completato ledifficoltà del funzionamento dei consultori.

Accanto ai nuovi bisogni socio-sanitari avanzavano di pari passo le carenze ei ritardi delle istituzioni.

Eppure, nonostante queste contraddizioni, il consultorio come servizio so-cio-sanitario, è riuscito a diventare un luogo sicuro dove affrontare tali problemati-che.

Il lavoro svolto in tanti anni è ormai un patrimonio che appartiene a tutti edovrà sempre più essere rivolto verso l’intera comunità per sollecitarne la crescita.

Nella regione Puglia il primo riferimento è la Legge regionale n. 30 istitutivadel servizio consultoriale e che reca la data del 5 settembre 1977.

Successivamente – nel 1979 – sono stati definiti gli ambiti territoriali, i bacinidi utenza, e naturalmente, le città sede dei consultori.

Vediamo la seguente tabella:

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I consultori familiari: una risorsa preziosa per le nostre comunità

Come si può facilmente notare la sola fase di implementazione del servizioha richiesto un notevole numero di anni.

Il consultorio ha subito profonde trasformazioni istituzionali con passaggidi competenze dallo Stato, alle Regioni, ai Comuni, alle Unità Sanitarie Locali.

Per quanto riguarda i bacini di utenza c’è da rilevare che nel 1979 c’era unconsultorio ogni 38.000 abitanti, nel 1983 c’era un consultorio ogni 27.000 abitanti,nel 2005 un consultorio ogni 21.000 abitanti.

Nel 1979 la Regione Puglia stanziava per i consultori familiari la cifra di lire4.509.360.000, nel 1985 la cifra stanziata toccava lire 9.360.000.000. Pertanto la quotaassegnata a ciascun consultorio è passata da lire 21.680.000 + 595 pro capite perabitante del 1979, a lire 48.000.000 del 1981, a lire 65.000.000 del 1985.

Non molto dissimile è la situazione in provincia di Foggia per quanto riguar-da l’apertura e il funzionamento dei consultori.

Sono occorsi infatti molti anni per l’apertura dei servizi previsti.

Dal 1° gennaio 1982 sono state trasferite alle U.S.L. le funzioni in materia deiconsultori già di competenza dei comuni.

Nella stessa data le U.S.L. della provincia di Foggia erano 11.Attualmente esistono 3 aziende U.S.L. :

- FG/1 con sede a San Severo- FG/2 con sede a Cerignola- FG/3 con sede a Foggia

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Antonio Bucz

Ogni azienda è suddivisa in distretti. Il distretto è l’articolazione territorialedell’organizzazione sanitaria dove vengono date risposte in modo unitario e globa-le alla domanda di salute e costituisce punto di riferimento socio-sanitario. Obiet-tivo generale del Distretto è l’unitarietà e globalità della risposta ai bisogni di saluteespressi dalla popolazione attraverso l’integrazione dei servizi e delle risorse pre-senti nel territorio, perseguendo obiettivi di efficienza organizzativa, economica edi collocazione delle risorse.

DATI SUI CONSULTORIDELLA PROVINCIA

DI FOGGIA

ANN0 1976 N. 1ANNO 1978 N. 2ANN0 1980 N. 10ANN0 1982 N. 18ANN0 2005 N. 32

DATI SUI CONSULTORI A CURA DELMINISTERO DELLA SANITÀ(RILEVAZIONI REGIONALI)

ANNO 1976 N. 124ANNO 1978 N. 396ANNO 1980 N. 1.029ANNO 1982 N. 1.456ANNO 2005 N. 2151

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I consultori familiari: una risorsa preziosa per le nostre comunità

Dicevamo all’inizio delle difficoltà e delle potenzialità che esprimono i servi-zi consultoriali in contemporanea, rappresentati nel primo caso dai campi di attivi-tà della prevenzione e della promozione della salute che avevano bisogno di unaprogrammazione nazionale e regionale che purtroppo è mancata, e nel secondocaso sono state rappresentate dalle offerte attive per le popolazioni bersaglio, comeper le grandi campagne per la prevenzione dei tumori della sfera genitale femminilerivolte alle donne in età compresa tra i 25 ed i 65 anni.

Inoltre è opportuno ricordare come le maggiori difficoltà sono derivate an-che dalla carenza di completamento degli organici e dalla mancanza in molti casi diquei requisiti minimi strutturali e tecnologici previsti per le strutture.

Lo stesso posizionamento dei servizi consultoriali nel territorio, relegati inaree poco visibili e male pubblicizzati, non ha favorito una adeguata conoscenza trale popolazioni.

È opportuno, quindi, perseguire una azione di rilancio dei consultori fami-liari attraverso strategie di intervento che prevedano la capacità di utilizzare ade-guati studi sociologici ed epidemiologici per individuare gli obiettivi che si inten-dono raggiungere.

Occorrerà infine adeguare i servizi consultoriali agli standard normativi pre-visti dal PROGETTO OBIETTIVO MATERNO INFANTILE che evidenzia losviluppo di tre progetti strategici ed operativi che dovranno riguardare le nostrepopolazioni.

I tre progetti sono:

1. Percorso nascita2. Adolescenti3. Prevenzione dei tumori femminili

REGIONE PUGLIA NUMERO CONSULTORI FAMILIARI

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Antonio Bucz

Pertanto nella nostra Regione e nella nostra provincia la popolazione bersa-glio alla quale sono rivolte queste strategie operative saranno:

- donne e coppie nella realizzazione concreta del desiderio di maternità egenitorialità

- adolescenti in via di formazione- donne di età compresa tra i 25 ed i 64 anni

Nel PROGETTO OBIETTIVO MATERNO INFANTILE è opportunal’integrazione dei servizi sia in ambito distrettuale (secondo livello) che sovradi-strettuale (terzo livello).

In conclusione si può affermare che i consultori familiari rappresenterannoper il futuro un sicuro riferimento per la tutela e la promozione della salute comevalore per tutte le nostre comunità.

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Ciro Mundi

I confini sconfinati delle neuroscienze nel terzo millenniodi Ciro Mundi

Negli ultimi decenni, i progressi scientifici nell’ambito delle neuroscienze hannodeterminato una profonda ridefinizione dell’intero corpus disciplinare che non ha simi-litudini in altri settori di ricerca ed applicazione delle discipline mediche. È, finalmente,possibile ‘vedere’ le strutture principali del Sistema Nervoso (SN) grazie al sorpren-dente sviluppo delle grandi macchine neuroradiologiche (TAC, RMN, SpettroscopiaRMN) ed all’applicazione, in Neurologia, delle ricerche più avanzate nel campo dellamedicina nucleare (SPECT, PET). Inoltre, la Neurofisiologia dispone di metodiche perstudiare l’attività del SN, centrale e periferico, che consentono, grazie alla digitalizza-zione, di valutarne, con sempre maggior precisione, il funzionamento; la Neuropsico-logia ha aperto nuovi scenari nell’ambito dello studio delle funzioni corticali superiori;quelle funzioni proprie della corteccia cerebrale che rappresentano la massima integra-zione di tutte le altre funzioni del SN.

Tutte queste indagini, il cui utilizzo dovrebbe essere prescritto, esclusivamente,sulla base di protocolli convalidati, medicina basata sull’evidenza, ci consentono di stu-diare la morfologia normale e patologica del SN , di valutarne le funzioni fisiologiche epatologiche, la risposta alla somministrazione di farmaci, le modificazioni del metabo-lismo cerebrale; ed, ancor più stupefacente, di individuare le aree del cervello che si‘attivano’, si ‘incendiano’, in occasione di stimoli suscitanti emozioni (piacere, dolore,rabbia, ecc...) o di complesse prestazioni (calcolo, lettura, scrittura, interpretazioni diimmagini, ecc...). Sapevamo, da molto tempo, che il SN, ed il cervello in particolare, eracostituito da molti organi in un solo organo. Il cervello è strutturato in parti specializza-te per funzioni (linguaggio, motilità, sensibilità, ecc...). Non sapevamo, ed ancora ogginon lo sappiamo del tutto, come queste parti si integrano per esplicare, simultaneamen-te, tutte quelle funzioni che ci permettono di vivere al meglio e cioè di ricavare unsoggettivo senso di benessere nell’adattamento con l’ambiente circostante. Ambientecome insieme di variabili infinite che si modificano, assumendo significati e significantisoggettivi imponderabili, nella coniugazione individuale del rapporto uomo/ambienteche costituisce il vissuto, l’esperienza, la cui stratificazione mnesica informa e determi-na il comportamento che, a sua volta, inscrive ulteriori tracce nei circuiti neuronali. Ilpercorso tortuoso in questo labirinto conduce al segreto della simultaneità che resta,ancora oggi, uno dei punti più affascinanti della ricerca sul cervello e l’intero SN. In altritermini, concordiamo sulla visione del cervello come regista dell’intero organismo umanoe delle sue relazioni, ma uno dei punti cruciali è: esiste un regista all’interno del cervello,

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I confini sconfinati delle neuroscienze nel terzo millennio

o, al di là di esso, che opera la regia complessiva del cervello stesso? La mente è una merafunzione cerebrale, al pari di tante altre, o, è la superfunzione che delinea, nel corsodell’intera vita individuale, il principium individuationis, sfuggente ed affascinante, mi-metico, a volte irrintracciabile, di ognuno di noi. Il dibattito in proposito è serrato e siarricchisce, continuamente, di nuovi stimoli che illuminano zone, sino a poco tempo fa,ritenute non solo oscure ma, addirittura, inesplorabili. Peraltro, è un dibattito che si èarticolato per l’intero secolo scorso, a partire dalla contrapposizione, tra Golgi e Cajal,entrambi premi Nobel per la medicina nel 1906 per le ricerche in Neurologia. CamilloGolgi, ‘l’architetto del cervello’, grazie ai suoi innovativi sistemi di colorazione dellecellule nervose, visibili così per la prima volta, immaginò il cervello come strutturafisiologicamente unitaria, diffusa; una rete, senza soluzione di continuità, che funzionasimultaneamente e metabolizza i dati nel suo insieme; una macchina che pensa in bloc-co (Teoria reticolare). Ramon Cajal, di contro, propugnava la teoria del neurone : ilcervello è un immenso puzzle di cellule elementari, ciascuna delle quali svolge indivi-dualmente il suo compito, certo in comunicazione con le altre, ma secondo percorsiparticolari e diversi per ogni singola operazione mentale.

Oggi, potremmo tentare di unificare le posizioni usando l’immagine di PaoloMazzarello, curatore, a Pavia, delle celebrazioni di Camillo Golgi per il centenario delNobel: “non c’è rete senza nodi , non ci sono nodi senza rete”. Di strada, da allora ne èstata percorsa molta: l’ampliamento degli studi di genetica e di neurochimica, hannogettato nuova luce su molte, una volta inspiegabili, malattie neurologiche tra certezze(Corea di Huntingthon, Distrofia muscolare, ecc…) e probabilità (Sclerosi lateraleamiotrofica, ecc... ) ipotizzando terapie non solo farmacologiche ma anche geniche.Senza dubbio, la profilassi educativa eugenetica e la diagnosi precocissima hanno dimolto abbassato l’incidenza di gravi malattie altamente invalidanti, a prognosi infausta.Nonostante tutto, la domanda che ritorna, non eludibile, è: l’enorme ampliamento del-le conoscenze fisiologiche e fisiopatologiche ha determinato un reale miglioramentodelle capacità di cura e di possibilità di guarigione delle malattie neurologiche? Talequesito investe, oggi, come riflessione metodologica ed epistemologica, qualsiasi bran-ca della medicina; nel caso specifico della neurologia, la domanda, e, di conseguenza, lerisposte possibili assumono connotati di peculiare complessità.

Del resto, la sfida alla complessità è uno dei presupposti della ricerca in neuro-scienze che assume il maggior livello di criticità nell’applicazione, in vivo, dei possibilistrumenti di cura sapendo che non sappiamo, sino in fondo, come questi modificano ilcervello (organo), le sue funzioni normali e/o patologiche e/o la sua principale funzioneo superfunzione (la mente). Si perviene, così, alla chiave di volta dell’intero sistema: ilrapporto mente/cervello. Su questo tema, spesso eluso, si articola, quantomeno, la con-fluenza di saperi specialistici afferenti alla medicina, alla psicologia ed alle scienze uma-ne. La questione potrebbe essere liquidata, in perfetto stile positivista, mettendo in campoconsiderazioni lineari, di causa ed effetto, rifuggendo quindi dalla complessità. Consa-pevoli di questo, tuttavia, da questa tipologia di considerazioni non possiamo prescin-dere, poiché anche la complessità più inestricabile discende da quesiti semplici. La con-statazione, incontestabile, che esistono soggetti privi di facoltà mentali (amenza) con un

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Ciro Mundi

cervello anatomicamente integro, mentre non esistono soggetti con funzione mentalein assenza di cervello (anencefalia) potrebbe farci concludere che la funzione mentale èesclusivamente legata al cervello e che le alterazioni della funzione sono da ricercarenelle alterazioni della struttura (cervello) che esprime suddetta funzione. Enfatizzarequesto principio, in epoche anche recenti, è servito soltanto a creare un improprio spar-tiacque tra organicisti (in genere i neurologi ed una parte degli psichiatri con il loroinsufficiente armamentario semeiologico e neuropsicofarmacologico) e psicoterapeutidediti alla psicologia dinamica, ed alle psicoterapie derivate, che pubblicamente aborri-vano gli psicofarmaci, camicia di forza chimica, per prescriverli, ineluttabilmente, condovizia, nel drammatico confronto con la malattia mentale, specialmente nei suoi statidi acuzie. Il progresso repentino delle neuroscienze ha spiazzato, seppur in forme emodi diversi, gli uni e gli altri. I neurologi hanno, a fatica, dovuto imparare che molti deicosiddetti disturbi funzionali non sono da negligere solo perché non hanno il riscontrodi un’alterazione organica (es. la fatica nella Sclerosi multipla). Gli psichiatri hannoimparato che la plasticità neuronale, la neurochimica aiutano a spiegare il funziona-mento del cervello e che, quanto più si conosce il cervello tanto più si conosce la suafunzione/superfunzione che è la mente.

Questo reciproco riconoscimento, fortunatamente, è nei fatti: sia nell’ambitodella ricerca in Neuroscienze, sia nell’ambito operativo clinico. Non è più il tempo distabilire primati. Lo stato dell’arte ci consente di affermare che qualsiasi alterazione,d’organo e/o di funzione, del complesso mente/cervello si inscrive nelle nostre storiepersonali, sul nostro vissuto, sul nostro psichismo, ed a sua volta, tutto questo, si in-scrive nel nostro cervello determinando una traccia, spesso irrintracciabile, che, però,sarà parte integrante del funzionamento del cervello da quel momento in poi, caratte-rizzando le nuove strategie di adattamento. Molte, inevitabilmente, sono le questioniche rimangono aperte. Ne citeremo alcune. Le possibilità di cura sono notevolmenteampliate, mentre le possibilità di guarigione, restitutium ad integrum, sono pratica-mente immutate. Se è abbastanza comprensibile che malattie dovute ad una lesione delSN possono essere curate ma non guarite, poiché, allo stato attuale, la lesione non puòessere ricondotta ad integrum, diventa più difficile capire come risulti altrettanto diffi-cile guarire malattie in cui non si rintraccia alcuna lesione (forme di ansia che perduranotutta la vita, depressioni cicliche ecc...).

Quindi, sono aumentate le possibilità di cura, molto poco le possibilità di guari-gione. È necessario, pertanto, un ripensamento sulla distinzione, troppo semplicistica,tra malattie organiche e malattie funzionali. In un’ottica nuova, al posto di quella percui le malattie organiche esistono veramente, perché derivate da una o più lesioni, men-tre quelle funzionali sono dovute solo a suggestione del paziente o, peggio, alla suascarsa volontà di guarire, come se la volontà stessa non fosse una di quelle funzionicomplesse, alterate dallo stesso meccanismo che altera gran parte delle funzioni di rela-zione con sé e con l’altro da sé. Scrive Francesco Barale nella introduzione al monu-mentale dizionario Psiche (Torino, Einaudi, 2006): “Grazie allo sviluppo della ricercabiologica e tecnoscientifica siamo alle soglie della realizzazione di un sogno: una spiega-zione virtualmente integrale e scientificamente rigorosa dello psichismo umano. Que-

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I confini sconfinati delle neuroscienze nel terzo millennio

sto non vuol dire, pena un riduzionismo antico, che i correlati nervosi sono l’unicolivello di comprensione legittimo dell’esperienza mentale, normale e patologica, In-dubbiamente, nessuna discussione seria può ormai prescindere dalle conoscenze sullamateria della mente (sul substrato organico)”.

Questa considerazione è pienamente condivisibile; tenta di riunire, senza alcunaassimilazione, le diverse articolazioni delle Neuroscienze, affrontando le questioni piùostiche da molteplici angolazioni, tendenti alla convergenza, fondate sulla insostituibileesperienza clinica. Ed è proprio l’esperienza clinica a sorprenderci, allorquando verifi-chiamo che un soggetto affetto da esiti di ictus cerebrale (malattia organica) riesce asviluppare strategie di adattamento, spesso, più efficaci di quelle di un soggetto affettoda crisi di attacchi di panico (disturbo funzionale). E curare non significa, di fatto, con-correre, in alleanza con il paziente, a raggiungere il maggior grado di adattamento pos-sibile? Con strumenti adatti a modificare l’assetto patologico, qualunque ne sia l’origi-ne. L’obiettivo primario dei terapeuti, medici e non, resta quello di curare, nella speran-za fondata di poter anche guarire, constatando la eventuale guarigione, con serenità dimente, anche quando questa si verifichi attraverso strade che la scienza non prevede.Quest’ultima considerazione è uno dei frutti del clima neuropsichiatrico che ha in-fluenzato la ricerca e la pratica delle Neuroscienze anche in ambito pugliese. EugenioFerrari, per molti anni direttore della Clinica Neurologica dell’Università di Bari, esplo-rava la frontiera del Sistema Nervoso Vegetativo quale interfaccia fondamentale delrapporto uomo/ambiente.

Nella medesima Clinica, negli stessi anni, il compianto Francomichele Puca in-dirizzava i suoi studi principalmente sul sonno e sulle cefalee tracciando interessantiprofili psicopatologici nelle forme di cefalea cronica. A Foggia, la Neurologia è stataanimata, per circa quarant’anni, da Bruno Scillitani, recentemente scomparso; già neglianni Sessanta pensò alla Neurologia articolata in settori di interesse anche per le patologiedi confine: alcolismo e farmacodipendenze, medicina psicosomatica, neuropsicologia,neurofisiologia, nel tentativo di tenere ancorata la Neurologia alla “grande madre” del-la Medicina Interna (di cui Stefanutti era stato insigne clinico proprio a Foggia) operan-do affinché il sapere specialistico, soprattutto negli anni di frenetico sviluppo, non fran-tumasse la visione unitaria dell’individuo e non inducesse i neurologi a considerarsidepositari dei segreti del cervello e della mente. Nel terzo millennio gli allievi di questiMaestri che, attualmente, operano (a Bari, Foggia ed altrove) nel campo delleNeuroscienze, in postazioni universitarie ed ospedaliere, non possono che svilupparequest’imprinting scientifico ed esistenziale, diventando testimoni didattici nel confron-to con i più giovani ai quali è sempre più necessario rammentare che il rapporto medi-co/paziente non può essere sostituito, o schermato, da alcun esame mirabolante. Laresponsabilità della diagnosi, del prendersi cura, non sono derogabili e si articolano suprotocolli scientifici e creatività individuale per trasformare la distanza tra chi sa (ilmedico) e chi non sa (il paziente) in alleanza per suscitare tutte le parti sane in contrastocon le parti ammalate nella consapevolezza di muoversi, entrambi, sul crinale, entusia-smante e scoraggiante, di uno sconfinato confine.

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Gaetano Fuiano

Ausl Fg/1: una programmazione sanitariaa dimensione della gente.

Gli obiettivi triennali del Piano Attuativo Localedi Gaetano Fuiano

1. Introduzione

“Una sanità che vada a casa della gente, una sanità programmata e pensataper prevenire e coinvolgere gli utenti e gli operatori, una sanità per far viveremeglio e dare dignità alla persona […]”.

Si potrebbe sintetizzare così l’obiettivo di fondo di questi primi otto mesidi attività della nuova direzione generale.

Le linee future dell’Ausl FG/1 contenute nel piano di programmazionetriennale (Piano Attuativo Locale, detto anche PAL) ha fatto di questa Aziendasanitaria una delle prime a dotarsi di un indispensabile strumento programmaticodi politica sanitaria come, appunto, è un PAL. Ed è proprio la programmazionela parola chiave: una programmazione con obiettivi, strategie, risultati e verifi-che che sappia armonizzare le esigenze della sanità locale con la politica dellasalute nazionale e regionale. Una programmazione sottoposta a seria e rigorosaverifica attuata anche dalla Conferenza dei servizi che si terrà tra circa un annocon lo scopo di monitorare le attività svolte e lo “stato di salute” dell’Azienda.

Obiettivo fondamentale della “politica aziendale” dell’Ausl sanseverese èla prioritaria necessità del contenimento della spesa sanitaria, una migliore ra-zionalizzazione delle risorse e soprattutto una politica di prevenzione che equi-libri la domanda di prestazioni sanitarie e la fuga, detta “mobilità passiva”,verso altre strutture sanitarie, anche extra regionali. Su una popolazione di 216mila abitanti sono circa 180mila (pari al 60%) i cittadini che scelgono di farsicurare fuori dalle strutture sanitarie di quest’Azienda. Situazione che imponeun rilancio di servizi qualitativamente superiori e dotati di prestazioni e stru-mentazioni tecnologicamente all’avanguardia. Nell’ottica della prevenzione, equindi, anche del contenimento della spesa è previsto l’imminente avvio di unaserie di screening preventivi sul cancro della mammella, del collo dell’utero,delle malattie cardiovascolari, del diabete, del colon-retto, del melanoma, dellemalattie del cavo orale, del tumore della prostrata e della vescica…che interes-seranno capillarmente la variegata popolazione dei comuni facenti parte del-l’AUSL FG/1. Predisposto anche il Piano delle Vaccinazioni e della prevenzio-

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Ausl Fg/1: gli obiettivi triennali del Piano Attuativo Locale

ne degli incidenti domestici e della sicurezza stradale. Un più organizzato ecapillare rapporto con il territorio è una delle mete del programma della dire-zione generale attraverso un maggiore dislocamento dei servizi sanitari e quali-ficazione di quelli già esistenti. Per quanto possibile saremo noi a portare lasanità nelle case della gente. Obiettivo, quest’ultimo, che non prescinderà da unmaggiore coinvolgimento delle amministrazioni locali. Nell’ambito della pre-venzione e dello stesso contenimento della domanda il ruolo del medico di basedeve essere rivalutato ed improntato a maggiore corresponsabilità e coinvolgi-mento nella sensibilizzazione ed educazione sanitaria dei cittadini. La riduzio-ne delle liste di attesa sarà un ulteriore obiettivo messo in cantiere dall’attualedirigenza dell’Ausl FG/1. Altre importanti novità sono l’adozione del Pianodei lavori pubblici, il Programma Triennale dei fabbisogni del Personale, il Pia-no Aziendale di Formazione e Aggiornamento anche ai fini dell’ECM (Educa-zione Continua in Medicina). Particolare attenzione sarà posta sulla formazio-ne del personale finalizzata ad una maggiore umanizzazione della sanità locale ead un equilibrio tra la priorità del diritto all’assistenza dei cittadini e dei dirittidei lavoratori.

Questi primi mesi di gestione da parte della nuova direzione sono statiimpegnati per investire in potenziamento e riqualificazione di strutture ed at-trezzature. Per l’ospedale di San Severo sono stati aggiudicati 11milioni di europer il completamento dei tre piani superiori del nuovo ospedale,1,2 milioni dieuro per implementamento delle attrezzature e 1,8 milioni di euro per l’amplia-mento della struttura interna di radiologia per attività intramoenia. Appaltatianche i lavori della struttura mortuaria. A Vico del Gargano 1,2 milioni di europer il completamento del Presidio ospedaliero, 122mila euro per acquisto at-trezzature a Vieste, i presidi di San Paolo di Civitate, San Marco in Lamis eRodi Garganico saranno dotati presto di nuovi mammografi ed ecografi. Previ-sti ancora lavori di ristrutturazione dell’Area di degenza della PsichiatriaOspedaliera di San Marco in Lamis e messa a norma e acquisto attrezzature perla stessa struttura sanitaria. A Torremaggiore sono stati appaltati lavori diristrutturazione e completamento per i Poliambulatori, la struttura mortuaria ela residenza sanitaria per le persone anziane.

Dopo questa breve e sommaria descrizione che vuole sintetizzare i primipassi e i primi risultati avviati ed ottenuti nell’Ausl FG/1, pur se in manieraschematica, si sintetizzano alcune parti fondamentali del PAL con lo scopo didare le coordinate di base su cui si muove la politica sanitaria nell’ASLsanseverese e, nel contempo, fornire elementi di riflessione sulle problematichesocio-sanitarie del nostro territorio. Dopo una presentazione generale del-l’Azienda e l’analisi dei bisogni si passerà a schematizzare il metodo e gli stru-menti con cui si attuerà il programma. In seguito si sono scelte alcune grosseproblematiche considerate urgenti nella scaletta delle priorità individuate.

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Gaetano Fuiano

2. Descrizione generale dell’azienda

L’Azienda Unità Sanitaria Locale Foggia 1 di San Severo occupa la partenord della Provincia di Foggia e della Regione Puglia. I limiti territoriali del-l’Azienda sono definiti dal litoraneo costiero adriatico e, per la parte non co-stiera, sono comuni con le Aziende Usl Fg/2 e Fg/3 e con la Zona Sanitaria 4, diTermoli, dell’Azienda Sanitaria Unica Molisana.

L’Ausl FG/1 è stata costituita nel 1995 accorpando la quasi totalità deiComuni e del territorio delle ex Unità Sanitarie Locali di Torremaggiore (UslFG/1), San Severo (Usl FG/2), San Giovanni Rotondo (Usl FG/3), Vieste (UslFG/4); è composta attualmente da 20 Comuni suddivisi in 3 distretti sociosani-tari.

Il 1° gennaio 2005 la popolazione dell’Ausl risulta essere di 215.928 abi-tanti, di cui 105.723 maschi (pari al 49,0%) e 110.205 femmine (pari al 51,0%); inuclei familiari sono 76.506, il numero medio di componenti per famiglia è 2,8.La superficie totale dell’Ausl è di 2.644.440 kmq, con una densità pari a 82 abi-tanti per kmq.

La media della popolosità è di 10.796 abitanti per comune, compresa tra i413 abitanti delle Isole Tremiti ed i 55.717 abitanti di San Severo.

La densità abitativa media nel territorio dell’Asl FG/1 (82 ab./kmq), com-presa tra i 25 abitanti/kmq di Rignano Garganico ed i 278 abitanti/kmq di RodiGarganico, è bassa rispetto alla media nazionale (189 ab./kmq), alla media del sudItalia (190 ab./kmq), della Regione Puglia (208 ab./kmq) e della Provincia di Foggia(96 ab./kmq). (Tab. 1-7)

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Ausl Fg/1: gli obiettivi triennali del Piano Attuativo Locale

* Famiglia: insieme di persone legate da vincolo di matrimonio, parentela, affinità, adozione, tutela o davincoli affettivi, coabitanti ed aventi dimora abituale nello stesso Comune (anche se non sono ancora iscrittenell’Anagrafe della popolazione del comune medesimo).

Tab.1: Popolazione suddivisa per Comune, per sesso, numero famiglie e numeromedio di componenti per famiglia*

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Gaetano Fuiano

Tab. 2: I Comuni dell’Ausl Fg/1 (Popolazione, Superficie in kmq, Abitanti/kmq,Altitudine*)

*L’altitudine è calcolata in metri sul livello del mare ed è riferita al principale luogo di raccolta della popo-lazione, di norma la piazza del municipio o della chiesa parrocchiale principale o del mercato.

La media dell’altitudine indicata per l’Ausl ha ovviamente valore puramente indicativo.

Ausl FG/1

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Ausl Fg/1: gli obiettivi triennali del Piano Attuativo Locale

Tab. 3: Abitanti

Tab. 4: Superficie in Kmq

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Tab. 5: Abitanti per Kmq

Tab. 6: Altitudine comuni Ausl FG/1 in metri s.l.m.

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Ausl Fg/1: gli obiettivi triennali del Piano Attuativo Locale

Tab. 7: Densità abitativa e numero abitanti per Comune

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Tab. 7: Densità abitativa e numero abitanti per Comune

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Ausl Fg/1: gli obiettivi triennali del Piano Attuativo Locale

1.1 Aspetti geografici

Il territorio dell’Ausl Fg/1 occupa parte della subregione del Gargano (14Comuni: Apricena, Cagnano Varano, Carpino, Ischitella, Lesina, Peschici, PoggioImperiale, Rignano Garganico, Rodi Garganico, San Giovanni Rotondo, San Mar-co in Lamis, San Nicandro Garganico, Vico del Gargano, Vieste), e parte dellasubregione del Tavoliere (5 Comuni: Chieuti, San Paolo di Civitate, San Severo,Serracapriola, Torremaggiore); l’arcipelago delle Isole Tremiti geograficamente èclassificato nella subregione del Gargano.

Il territorio dell’Asl si presenta per lo più pianeggiante e collinare, con alcunezone considerate montuose; in effetti nel territorio del Comune di San GiovanniRotondo sono localizzati cinque tra i maggiori rilievi della Regione Puglia [MonteCalvo (1.065 m s.l.m.), Monte Nero (1.014 m s.l.m.), Monte Castellana (985 m s.l.m.),Monte Calvello (949 m s.l.m.), Coppa Romitorio (948 m s.l.m.)].

Il territorio dell’Asl è attraversato da due corsi d’acqua di bassa portata: ilfiume Fortore ed il torrente Candelaro, nei quali confluiscono vari corsi d’acquaminori (i torrenti Staina, Radicosa, Rovello). Vi sono inoltre due laghi, il lago diLesina, lungo circa 22 km ed esteso per circa 51 kmq, ed il lago di Varano, lungocirca 10 km ed esteso per circa 60 kmq (quest’ultimo, per estensione, è il settimo deilaghi italiani). Ambedue i laghi sono salmastri, situati a poca distanza dalla costa esono separati tra loro da una piccola asperità, il cosiddetto Monte Elio (260 metris.l.m.).

Molto esteso è lo sviluppo costiero; a Marina di Chieuti e di Lesina e lungole coste del promontorio del Gargano fino a Vieste, sono localizzati numerosiinsediamenti turistici di tipo sia alberghiero (alberghi, locande, pensioni) siaextraalberghiero (campeggi, villaggi turistici) che durante il periodo estivo causa-no un aumento esponenziale della popolazione. Particolarmente nella stagioneestiva, l’arcipelago delle Isole Tremiti, formato dalle isole di San Domino, SanNicola, Capraia e dallo scoglio di Cretaccio, è meta giornaliera di moltissimi turi-sti […].

a) I distrettiI 20 comuni che costituiscono l’Ausl Fg/1 attualmente sono suddivisi in 3

distretti:• Distretto 1, con sede a San Severo, comprende i comuni di Apricena,

Chieuti, Lesina, Poggio Imperiale, San Paolo di Civitate, San Severo,Serracapriola, Torremaggiore, per un totale di 107.388 residenti;

• Distretto 2, con sede a San Marco in Lamis, comprende i comuni diRignano Garganico, San Giovanni Rotondo, San Marco in Lamis, SanNicandro Garganico, per un totale di 60.927 residenti;

• Distretto 3, con sede a Vico del Gargano, comprende i comuni di CagnanoVarano, Carpino, Ischitella, Isole Tremiti, Peschici, Rodi Garganico, Vicodel Gargano, Vieste per un totale di 47.613 residenti.

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La popolosità media dei distretti è di 71.976 abitanti, compresa tra i 47.613abitanti del distretto 3 ed i 107.388 abitanti del distretto 1. L’estensione territorialemedia dei distretti è di 881,48 kmq, compresa tra i 671,67 kmq del distretto 3 ed i1.218,06 kmq del distretto 1. Il rapporto tra abitanti e superficie varia tra i 71 abi-tanti/kmq del distretto 3 e gli 88 abitanti/kmq del distretto 1 […].

3. Analisi dei bisogni

L’analisi della relazione tra domanda ed offerta è basilare per la individuazionedegli obiettivi da prefissare. Attualmente è possibile individuare con precisione leprincipali cause di ricovero della popolazione dell’Ausl FG/1.

Uno studio effettuato negli anni scorsi nell’Ausl FG/1, basato sull’analisidelle esenzioni ticket, evidenziò le seguenti come le più frequenti patologie nellapopolazione dell’Ausl Fg/1:

• patologie dell’apparato cardiovascolare• diabete mellito• neoplasie• malattie epatiche• patologie del sistema nervoso• malattie renali• patologie dell’apparato respiratorio

Le malattie cardio e cerebrovascolari, i tumori, il diabete mellito, le malattieepatiche sono incluse tra le principali patologie che il Piano Sanitario Nazionale1998-2000; un patto di solidarietà per la salute, il Piano Sanitario Nazionale per iltriennio 2003-2005 e il Piano Sanitario 2002-2004 della Regione Puglia, propongo-no di contrastare in quanto causa delle più frequenti situazioni patologiche checolpiscono la popolazione italiana e che provocano il maggior carico di decessi e didisabilità o malattia prevenibili attraverso interventi di prevenzione primaria e/osecondaria.

b) Attuale domanda di ricoveroDal 1996 al 2004 si sono verificati 376.559 ricoveri, sia ordinari sia in day

hospital, di cittadini residenti nei venti comuni dell’Ausl FG/1, con una media an-nua di 53.794 ricoveri. Nel periodo esaminato il tasso medio di ospedalizzazione(numero ricoveri per 1.000 abitanti) è stato di 247,1 ricoveri/1.000 abitanti, convalore minimo 224,6 nell’anno 2003 e valore massimo 263,7 nell’anno 2000. Nel-l’anno 2004 il tasso di ospedalizzazione è stato di 233,5 ricoveri per 1.000 abitanti.(Tab. 8)

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Ausl Fg/1: gli obiettivi triennali del Piano Attuativo Locale

Tab. 8: Tasso di ospedalizzazione nei comuni dell’Ausl Fg/1, anni 1998-2004

Nel periodo 1998/2004 nelle strutture ospedaliere dell’Ausl FG/1 i ricoverisono stati 142.126 (37,7%), in altre strutture ospedaliere pubbliche e private dellaRegione Puglia i ricoveri sono stati 184.321 (49,0%), nelle strutture extraregionali50.112 (13,3%). (Tab. 9)

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Tab. 9: % ricoveri di residenti nell’Ausl Fg/1 in strutture aziendali e non, anni1998-2004

Negli ultimi anni, in media, il numero dei ricoveri di residenti nei comunidell’Ausl FG/1 nelle strutture aziendali ha rappresentato circa il 38% del totale,nelle strutture non aziendali intraregionali ed extraregionali circa il 62%.

Relativamente agli importi, quelli realizzati nelle strutture aziendali hannorappresentato circa il 30% del totale, invece quelli realizzati nelle strutture nonaziendali intraregionali ed extraregionali circa il 70%.

c) Cause principali di ricoveroNella tabella seguente (Tab. 10) sono elencati i ricoveri avvenuti in quattro

anni (2000-2003) suddivisi per MDC. La principale causa di ricovero è dovuta allemalattie e disturbi dell’apparato cardiocircolatorio, che ogni anno rappresentanocirca il 13% dei ricoveri totali (nella popolazione al di sopra di 45 anni rappresenta-no il 19,1%, negli ultrasessantacinquenni il 20,6%).

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Ausl Fg/1: gli obiettivi triennali del Piano Attuativo Locale

Tab. 10: Ricoveri avvenuti in quattro anni (2000-2003) suddivisi per MDC

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4. Malattie di particolare rilevanza sociale

a) Malattie cardiovascolariLa mortalità per cause riconducibili alle malattie del sistema circolatorio è

Tab. 11: Ricoveri avvenuti in quattro anni (2000 – 2003) suddivisi per MDC

Nella tabella 11 sono elencati i ricoveri avvenuti in quattro anni (2000-2003)suddivisi per MDC; i ricoveri sono inoltre stati suddivisi in tre grandi aggregazionisecondo se avvenuti nei Presidi Ospedalieri dell’Ausl FG/1, in altri Presidi Ospedalierio Case di cura dell’Ausl FG/1, in Presidi Ospedalieri o Case di cura extraregionali.

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Ausl Fg/1: gli obiettivi triennali del Piano Attuativo Locale

circa il 43% e rappresenta la prima causa di morte nella popolazione generale. Sud-dividendo per fasce di età, le malattie del sistema cardiocircolatorio rappresentanola prima causa di morte in termini assoluti nella popolazione con età pari o superio-re a 65 anni; nella classe di età 45-64 anni sono la seconda causa di morte dopo itumori, mentre nella fascia di età 15-44 anni rappresentano l’11-12% delle cause didecesso.

Nell’Ausl FG/1 i ricoveri per malattie cardiovascolari rappresentano circail 13% (nella popolazione al di sopra di 45 anni sono il 19,1%, negli ultrasessan-tacinquenni il 20,6%). È in corso il monitoraggio dei nuovi casi di infarto acutodel miocardio che si sono verificati nella popolazione dell’Ausl FG/1 dal 1998 al2004. Inoltre rappresenta una notevole problematica per l’Ausl FG/1 il numerodi ricoveri (600-800) che ogni anno sono di competenza dell’area di chirurgiavascolare.

Le malattie cardiovascolari hanno una eziologia multifattoriale e la coesi-stenza di più fattori aumenta il rischio di esito infausto della malattia. I fattori dirischio modificabili possono essere favorevolmente influenzati mediante azionidirette alla variazione dello stile di vita e delle abitudini alimentari, ricorrendo,ove necessario, ad adeguati trattamenti terapeutici. Nella popolazione con etàcompresa tra 35 e 69 anni (nell’Ausl FG/1 circa 91.000 abitanti), secondo l’Istitu-to Superiore di Sanità il 26% degli uomini ed il 35% delle donne è iperteso (pres-sione arteriosa uguale o superiore a 160/95 mmHg oppure sotto trattamento spe-cifico); il 16% degli uomini ed il 9% delle donne è in una condizione a rischio(PA sistolica 140-159 mmHg, PA diastolica 90-95 mmHg); nella fascia di età indi-cata (35-69 anni) il 18% degli uomini ed il 16% delle donne ha ipercolesterolemia(≥240 mg/dl), mentre il 33% degli uomini ed il 25% delle donne è in condizionedi rischio (valore colesterolemia tra 200-239 mg/dl); il 49% degli uomini ed il63% delle donne non svolge alcuna attività sportiva durante il tempo libero; il33% degli uomini fuma circa 20 sigarette/die, il 17% delle donne fuma in media12 sigarette/die; il 16% degli uomini ed il 34% delle donne è obeso; l’8% degliuomini ed il 9% delle donne è diabetico, mentre il 7% degli uomini ed il 5% delledonne è in condizione di rischio per il diabete.

In sintonia con i Piani Sanitari Regionale e Nazionale, gli obiettivi dell’Auslsono di contrastare le malattie cardiovascolari tramite azioni di:

• promozione di programmi di educazione sanitaria finalizzati alla elimi-nazione o riduzione dell’abitudine al fumo, nonché alla riduzione delsoprappeso e dell’obesità attraverso un’adeguata attività fisica ed una sanaalimentazione;

• individuazione ed attuazione di percorsi diagnostico-terapeutici per il trat-tamento di ipertensione, ipercolesterolemia, diabete;

• sviluppo della riabilitazione cardiologica anche attraverso l’individuazioneed l’attuazione di linee guida che garantiscano l’efficacia, l’efficienza el’appropriatezza delle prestazioni da erogare.

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b) Malattie cerebrovascolariL’ictus è la terza causa di morte dopo le malattie cardiovascolari e le neoplasie

ed è causa, nel 35-40% dei pazienti, di grave invalidità residua. In Puglia si verifica-no ogni anno circa 8.000 nuovi ictus, nell’Ausl FG/1 si verificano in media 400nuovi casi di ictus per anno. Ad incidenza costante, correlata anche con il progres-sivo invecchiamento della popolazione, è stimabile che entro il 2008 vi sarà un in-cremento dei casi di ictus di circa il 25-30% (nell’Ausl FG/1 sono prevedibili 450-550 nuovi casi per anno). L’ictus cerebrale è una delle patologie più onerose sia intermini di qualità della vita per il paziente e la famiglia sia in termini di costi per lasocietà. Nell’assistenza di un caso di ictus, la spesa ospedaliera per la fase acutaincide solo per il 20% dei costi totali.

Per contrastare le malattie cerebrovascolari occorre promuovere inter-venti mirati di prevenzione, di cura per la fase acuta e post-acuta di malattia e diriabilitazione.

c) Disordini cognitivi e del comportamentoLa demenza è una malattia cronica invalidante, caratterizzata dal diffuso de-

terioramento delle funzioni cognitive. Le due più frequenti cause di demenza sonola malattia di Alzheimer (50-70% dei casi) e la demenza vascolare (10-20%); a que-ste, che sono da considerarsi demenze degenerative irreversibili, occorre considera-re anche alcune condizioni dementigine secondarie (1-10%), potenzialmente rever-sibili, su base metabolica, strutturali ed infettive, che devono essere prontamentericonosciute e trattate per impedire la progressione del deficit cognitivo. La demen-za, nelle sue varie forme, è in continuo aumento a causa dell’invecchiamento dellapopolazione. La prevalenza della demenza è stimata essere tra il 5-10% nei soggettietà ≥ 65 anni, e tra il 30-40% nei soggetti con età ≥ 85 anni. L’attesa nell’Ausl FG/1è di 1800-3600 nei soggetti con età ≥ 65 anni e di 1100-1500 considerando i soggetticon età ≥ 85 anni.

I disordini del movimento (il particolare morbo di Parkinson, tremore es-senziale e distonie, sindromi con spasticità ed incoordinazione motoria) sono ungruppo di patologie ad alta incidenza destinate ad aumentare a causa del progressi-vo invecchiamento della popolazione. La prevalenza stimata nell’Ausl FG/1 è di120-500 casi di morbo di Parkinson e di circa 110 casi di distonia.

La sclerosi multipla è la causa più frequente di invalidità con spasticità, adesordio giovanile. Nell’Ausl FG/1 la prevalenza stimata è di 175-200 casi, mentrel’incidenza attesa è di 4-6 nuovi casi per anno. Metà dei pazienti affetti da sclerosimultipla dopo dieci anni di malattia non è autonoma.

Patologie come demenza, disordini del movimento, sclerosi multipla impon-gono l’adozione di percorsi diagnostici e terapeutici specifici per la fase acuta, men-tre, per la fase cronica, occorre una efficiente rete che permetta l’integrazione traassistenza ospedaliera e territoriale ed il coordinamento dei livelli di assistenza so-ciale e sanitaria.

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d) TumoriDall’inizio della seconda metà del secolo scorso i tumori rappresentano una

delle maggiori cause di morte nel mondo. Ogni anno nel mondo si ammalano ditumore maligno circa 8 milioni di persone. Secondo le stime della World HealthOrganization (WHO) tale cifra tenderà nei prossimi anni ad aumentare a causaanche dell’incremento demografico, dell’allungamento della vita, del miglioramen-to delle condizioni sanitarie che ha ridotto la frequenza di altre malattie mortali(infezioni, malnutrizioni, eccetera). I tumori colpiscono ogni fascia di età, ma simanifestano più frequentemente con l’avanzare degli anni. Alcune malattie neopla-stiche hanno incidenza e prevalenza geografica a causa di fattori ambientali: clima,virus o altri agenti patogeni, stili di vita e particolari attività lavorative.

In Puglia la mortalità per tumori è di circa il 26%; i tumori sono la secondacausa di morte dopo le malattie cardiovascolari nella popolazione generale, la pri-ma nella fascia di età tra i 45-64 anni. Nell’Ausl FG/1 è in corso il monitoraggio deinuovi casi di tumori maligni verificatisi nella popolazione dal 1998 al 2004. Ognianno tra i residenti nell’Ausl FG/1 si verificano oltre 1.000 nuovi casi di tumore;ogni anno oltre duemila residenti nell’Ausl FG/1 sono costretti ad uno o più rico-veri per una patologia neoplastica.

La situazione attualmente evidenziata sembra sovrapponibile alle medie dipopolazioni con caratteristiche generali simili. La lotta ai tumori dovrà necessaria-mente prevedere azioni preventive di:

• promozione di programmi di educazione sanitaria finalizzati alla favore-vole modificazione degli stili di vita (abolizione/riduzione del fumo, ri-duzione del consumo di alcol entro limiti accettabili) e delle abitudini ali-mentari;

• prevenzione nell’ambito della esposizione a rischio in ambiente di lavoro;• attuazione dei programmi di screening e delle linee guida per l’approfon-

dimento diagnostico.

e) DiabeteIl diabete mellito è la più diffusa ed importante malattia metabolica presente

in Italia e nel mondo occidentale e, con le sue complicanze, rappresenta uno deimaggiori problemi sanitari; la sua prevalenza è in continuo aumento. Le due princi-pali forme di diabete sono il tipo 1 (prevalentemente dell’età infantile-giovanile) edil tipo 2 (caratteristico dell’età adulta-senile); quest’ultimo si associa spessissimo adaltre condizioni come obesità, ipertensione, dislipidemia, che concorrono a defini-re la cosiddetta “sindrome metabolica”. L’aumento della frequenza del diabete, inparticolare del tipo 2, è legato anche alle variazioni degli stili di vita (soprattuttoalimentari), all’aumento della sedentarietà, all’allungamento della vita media. In Italiala cura del diabete assorbe circa il 7% della spesa sanitaria complessiva; la maggiorparte di essa è legata alla cura delle complicanze. Infatti il vero e principale costo,umano ed economico, del diabete mellito è rappresentato attualmente dalle com-

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plicanze tardive (coronariche e cerebrovascolari, oculari, renali, neuropatie e va-scolupatie periferiche). Soprattutto nel diabete di tipo 2 le complicanze coronari-che e cerebrovascolari rappresentano la prima causa di morte e di ricovero per lapopolazione diabetica. La mortalità per eventi cardiovascolari nel diabete è netta-mente aumentata. La retinopatia diabetica è la prima causa di ipovisione o di cecitàin età lavorativa. Il diabete è la prima causa di insufficienza renale terminale connecessità di dialisi. Nel diabetico le lesioni periferiche neurologiche e vascolari rap-presentano una rilevante causa di morbilità e di ricovero.

Uno studio di prevalenza effettuato nel 2002 aveva permesso di individuarecirca 7.000 pazienti diabetici tra i residenti nell’Ausl FG/1. Il diabete rappresenta laprincipale causa di retinopatia, insufficienza renale cronica e di cardiopatia ischemica.Nel mondo, in Italia ed in Puglia, il numero dei pazienti affetti da diabete mellito èin continua crescita.

Attualmente nella popolazione dell’Ausl FG/1 è stimabile che il numero didiabetici possa essere compreso tra 9.000-12.000.

Occorre attuare programmi di educazione alla salute ed informazione sani-taria ed occorre intraprendere azioni per la corretta gestione terapeutica e la pre-venzione delle complicanze.

f) Malattie allergiche e del sistema immunitarioLe malattie allergiche e del sistema immunitario sono in continuo aumento.

È ipotizzabile che in Puglia circa 700.000-1.000.000 abitanti possano essere affettida una forma, più o meno severa di malattia immunoallergica, con costi sociali, intermini di assistenza diretta ed indiretta, che sono da considerarsi inferiori solo aquelli dei tumori e delle malattie cardiovascolari. Nell’Ausl FG/1 l’ipotesi attesa èdi 38.000-55.000 pazienti affetti da una qualsiasi forma di malattia immunoallergica[…].

5. Il metodo e gli strumenti

a) Dalla programmazione alla riorganizzazione delle attivitàL’introduzione di principi e di criteri di razionalità degli interventi a tutela

della salute, l’obbligo di esercitare le azioni di tutela applicando norme di dirittoprivato e la necessità di renderne la realizzazione economicamente compatibile conle risorse disponibili, non fa venir meno la collocazione dell’attività dell’Aziendanel novero di quelle proprie delle Amministrazioni pubbliche, con connesso obbli-go di osservanza di altri principi cardine: di prevalenza del fine pubblico, di traspa-renza, imparzialità e legalità nell’attività gestionale.

Nel rispetto di tali principi e criteri, si vuole realizzare, attraverso una effet-tiva partecipazione delle comunità interessate e degli organismi di rappresentanzadegli utenti, la progettazione o programmazione delle attività aziendali di tuteladella salute, nonché la riorganizzazione dei processi assistenziali e del contesto ope-

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rativo deputati a renderli, con garanzia della eticità delle funzioni corrispondenti edi equità ed universalità di accesso ai servizi e prestazioni essenziali di assistenza siasanitaria e sia, per la competente parte di integrazione, di interesse sociale.

La necessità di coniugare obiettivi di tutela della salute e di compatibilitàeconomica dell’azione complessiva, determina l’obbligo che quest’ultima sia og-getto di puntuale programmazione. Da ciò deriva che la programmazione sia rea-lizzata in un nuovo contesto di organizzazione dove la visione per “settori di com-petenza” venga sostituita da una che privilegi le attività con particolare attenzioneai relativi risultati ed esiti. Ciò per far sì che “la visibilità” sia solo conseguenza diazioni positive concrete, spostando, così, l’interesse dalla cultura “dell’apparire” aquella “dell’essere”.

b) La programmazione delle attivitàNei dieci anni precedenti, la gestione dell’Azienda non è stata mai sostenuta

da una effettiva programmazione triennale, e neanche annuale, delle attività, ossianon è stato mai predisposto e concertato (con i soggetti rappresentativi delle comu-nità locali e degli utenti), né approvato, un Piano Attuativo Locale (P.A.L.) dellaprogrammazione statale e regionale di tutela della salute.

La programmazione è strumento essenziale per capire qual è lo stato di biso-gno, cosa e come si deve fare per soddisfarlo nel massimo interesse degli utenti edell’Azienda.

Non a caso, la prima parte del presente Piano contiene un’analisi del conte-sto generale interessato, con riferimento al Territorio, alla composizione della po-polazione, ai bisogni di salute di questa, determinabili dalle analisi epidemiologico-statistiche.

La programmazione contenuta nel presente P.A.L. trae fonte dai vincoli, in-dirizzi ed obiettivi delle fonti di programmazione sovraordinate all’Azienda e pro-getta una coerente serie di azioni, positive e possibili, per conseguirle, oltre a defini-re i corrispondenti “indicatori” per la verifica dei risultati.

Gli obiettivi e le azioni del Piano sono anche sintetizzati in apposite matricioperative che vengono utilizzate quale strumento snello di supporto al generaleprocesso di pianificazione (o programmazione) e controllo direzionale, da attivare“effettivamente” nell’Azienda. Nel corso del periodo di riferimento ed in occasio-ne dell’attivazione del processo di budget, saranno definiti i premi di azione positi-ve già richiamate, per sintesi.

Il periodo di riferimento del presente Piano è il triennio 2006-2008, ma, dallostesso, è anche desunto il programma annuale delle attività ed azioni.

Coerenti con gli obiettivi di realizzazione di queste, saranno formati (nellastesura definitiva o “di assestamento”, anche a seguito dell’intervento del prossimoDocumento di Indirizzo Economico e Funzionale che la Giunta regionale emane-rà), sia il bilancio pluriennale, sia quello annuale (2006) economico preventivo.

Per la data di effettiva definizione dei bilanci aziendali saranno già pronti edoperativi i Piani Territoriali di Attività (P.T.A.) riguardanti i singoli distretti sanita-

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Gaetano Fuiano

rio-sociali dell’Azienda, che dovranno prevedere le azioni di coerenza necessarieper l’applicazione dei Piani di Zona utili alla integrazione sanitario-sociale, già de-finiti, pur in assenza dei presupposti (per l’Azienda) Piani Territoriali di Attività.

Notevole interesse viene dato alle relazioni operative con l’Università degliStudi di Foggia, sia per gli aspetti della formazione degli operatori e sia per possibiliintegrazioni di interesse assistenziale. Ulteriore interesse di integrazione e collabo-razione è previsto con l’IRCCS “Casa Sollievo della Sofferenza” e con altri sogget-ti, pubblici e privati, costituenti punti di “offerta” di attività di assistenza sanitaria.

Con questi l’Azienda intende promuovere intese, accordi e contatti che nonpossono prescindere dall’aspettativa di garanzia di prestazioni di buona qualità tec-nico-professionale, ma anche di agevolazioni e facilitazioni di accesso e di ospitalitàdegli utenti residenti nell’ambito territoriale dell’Azienda, presupposti che la Dire-zione Generale ritiene elementi essenziali di una esigenda “qualità totale” non infe-riore a quella che dovranno garantire, per prime, le articolazioni di attività a gestio-ne diretta dell’Azienda stessa.

A tali fini uno degli strumenti di monitoraggio sarà l’attività istituzionaledella struttura aziendale di verifica dell’appropriatezza dei ricoveri, nonché quelledei sistemi di controllo direzionale e di monitoraggio continuo della qualità, non-ché della struttura statistico-epidemiologica.

I Piani aziendali sono definiti dopo aver realizzato la partecipazione delle (edalle…) istituzioni locali (comuni), delle organizzazioni di tutela e di rappresentan-za (in sanità) degli utenti, delle associazioni ed organizzazioni del volontariato edelle organizzazioni sindacali degli operatori, nonché del Collegio Sindacale del-l’Azienda.

Il processo di formazione dei Piani contempla la preventiva e diretta azionepropositiva dei Direttori e dei Responsabili di attività dell’Azienda, prima ancorache i piani stessi assumano la forma di “proposta”, oggetto della fase di “partecipa-zione” richiamata nel precedente accapo.

6. Gli strumenti operativi principali

a) La pianificazione dell’organizzazionePerché sia effettiva l’aspettativa dei migliori esiti possibili, rivenibili dalla pro-

grammazione aziendale, è necessario ripensare la complessiva architetturaorganizzativa aziendale, nonché la connessa articolazione degli “uffici” dirigenzialie delle responsabilità di attività ed azioni. Ma, prima della progettazione fisica delsistema di organizzazione, occorre ripensare anche il modello organizzativo in atto.

Allo stato, il modello di organizzazione utilizzato dall’Azienda USL FG/1 èun ibrido che si compone della coesistenza di due forme classiche (ormai sorpassa-te) di organizzazione del lavoro: il cosiddetto modello Tayloristico ed il modelloWeberiano. Al primo è possibile far afferire la esistenza di tutta una serie di attigenerali e disposizioni interne, anche nelle forme di regolamenti, di particolareg-

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giate discipline di attività, che sono stati assunti dalla Direzione aziendale con l’obiet-tivo di ottenere la migliore performance tecnico-professionale, nelle attività, soloattraverso l’applicazione di tali rigide regole operative, che, però, limitano la possi-bilità di valutazioni critiche da parte degli operatori.La maggiore frequenza o pre-senza di tale modello è riscontrabile nella organizzazione delle attività di gestioneamministrativa.

Più frequente è, invece, la utilizzazione (riscontrata) di un modello di tipoWeberiano nelle strutture sanitarie, molte delle quali hanno basato l’organizzazio-ne interna, oltre che sulla rigida osservanza di linee guida, anche su una gerarchiapiramidale forte dei ruoli, con verosimile finalità di massimizzare la efficienza in-terna: obiettivo non utile se non è finalizzato a realizzare un completo intervento diazioni che si avvalgano dell’apporto integrato di tutte le professionalità interessate,a garanzia della migliore qualità totale possibile.

È, però, vero che, in alcuni casi (sia a livello di articolazioni ospedaliere e siaa livello di organizzazioni sanitarie territoriali), è riscontrabile una significativamaturità di innovazione organizzativa delle attività di assistenza, che ha privilegia-to l’elevazione del livello di specifica competenza professionale degli operatori del-l’articolazione operativa, ma che ha, anche, favorito e ricercato una relazione eduna integrazione di azioni con le altre articolazioni aziendali, anche territoriali, chehanno assunto un ruolo di intervento, preventivo o successivo, in ordine al proble-ma trattato: hanno rivolto, cioè, il proprio interesse solo all’intero processo opera-tivo (nei casi rilevati di assistenza sanitaria) relazionandosi e condividendo i pro-blemi di salute degli utenti con gli altri operatori sanitari del territorio.

La Direzione Generale dell’Azienda vuole privilegiare ed applicare quest’ul-timo modello di finalizzazione dell’organizzazione all’intero processo operativo(organizzazione che privilegia l’attività e gli esiti di questa) e non, invece, un mo-dello che prospetta una organizzazione che fonda l’interesse sul miglior risultatoconseguibile dallo specifico settore operativo (organizzazione “settoriale”), nonutile per affrontare, come si è detto, globalmente i problemi ed i bisogni di salute diuna moltitudine di persone, quale è la popolazione, stabile ed occasionale (vacanziera,ecc...), dell’ambito territoriale della Ausl FG/1.

La scelta operata è, quindi, verso una organizzazione per “processi operati-vi”, ossia per azioni complete, anche se, per il tempo necessario all’acquisizionedella “cultura” gestionale innovanda, sarà necessario procedere con gradualità, por-tando ad esempio anche i risultati (migliori) raggiunti da quelle articolazioni opera-tive e servizi aziendali che già si sono avviate (invero, per autonoma scelta deicorrispondenti Direttori o Responsabili di attività) verso il nuovo modello, asse-gnando a questi anche una funzione di “facilitatori” della diffusione di tale culturadella innovazione.

La riprogettazione dell’organizzazione aziendale e dell’articolazione delle“responsabilità” operative sarà, infine, funzionale alla applicazione dei piani di atti-vità e di intervento contenuti nel presente P.A.L., a tali fini utilizzando anche glistrumenti e le occasioni offerte dai Contratti Collettivi Nazionali di Lavoro del

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personale dipendente e del personale non a rapporto di impiego, quali i medici dimedicina generale, i pediatri di libera scelta, gli specialisti ambulatoriali, attori deiprocessi di cure primarie e (com’è per i medici di medicina generale ed i pediatri dilibera scelta) di governo principale dei problemi di salute dei singoli utenti.

b) La pianificazione delle attività assistenzialiOrientare (e spostare) l’organizzazione fisica, dall’interesse al risultato della

sola struttura operativa, verso quello privilegiante i processi operativi (attività ed azioni)realizzati, consente l’applicazione anche di un diverso e (per il contesto dell’AuslFG/1) nuovo modello operativo, che aggiunge alla gestione clinica dei problemi disalute, anche la responsabilità di guidare i diversi interventi di tutte le strutture sani-tarie coinvolte, integrandoli verso il miglior risultato esprimibile dalla complessivaorganizzazione aziendale, gestendo, così, l’intero processo (“modello divisionale”dell’organizzazione) finalizzato al bisogno di salute da soddisfare.

Il modello operativo che si intende realizzare è composto da un insieme diPercorsi Aziendali di Cura ed Assistenza (P.A.C.A.), progettati, approvati ed ap-plicati come strumenti operativi di riferimento per classi e tipi di patologie: ad ele-vata incidenza numerica (frequenza), ovvero a grado elevato di impegno assisten-ziale unitario, oppure che si riferiscono a fasce di età e di utenti a particolare rischiodi morbilità, ecc..

Dei P.A.C.A. approvati sarà formata una apposita banca di processi e di dati,che saranno resi disponibili alla conoscenza di tutti attraverso il “portale aziendaledella comunicazione”.

Funzionali e propedeutici alla realizzazione degli interventi nei P.A.C.A. sonola progettazione e la condivisione dei “protocolli diagnostico-terapeutici” e dei“percorsi diagnostico-terapeutici”.

I protocolli diagnostico-terapeutici sono delle indicazioni di comportamen-to alle quali gli operatori sanitari possono far riferimento (e, quindi, sono soggettiad una valutazione critica, caso per caso), tenendo, cioè conto che ogni problema disalute ha una sua particolarità.

La Direzione Generale dell’Ausl FG/1 ritiene di rilievo strategico la piena col-laborazione di tutti gli operatori e, pertanto, conferisce ruolo di puntuale direttiva,rivolta a tutti gli attori di processo, alla necessità di pervenire alla concertazione econdivisione di protocolli terapeutici unici. Questi devono essere il frutto di sceltecongiunte sulle migliori pratiche clinico-diagnostiche e di trattamento erogabili dal“sistema” aziendale e predisposti da commissioni composte da:

• medici di medicina generale (o pediatri di libera scelta, quando occorra);• specialisti sanitari e medici ambulatoriali, ospedalieri e medici specialisti

dei servizi diagnostici interessati;• operatori delle professioni infermieristiche e tecnico-sanitarie, ciascuno

secondo la specifica competenza;• farmacisti dipendenti dell’Azienda.

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Ausl Fg/1: gli obiettivi triennali del Piano Attuativo Locale

L’obiettivo è di garantire che a qualsiasi livello di intervento ed in qualsiasiparte del territorio dell’Azienda, ogni operatore sanitario affronti il problema disalute secondo quanto già concordato, condiviso ed espresso con un linguaggiounico ed omogeneo per tutta l’Azienda. Il “linguaggio” da utilizzare deve essere il“migliore esprimibile”, nel periodo interessato, dalla complessiva organizzazione.

Il percorso diagnostico terapeutico è una parte dell’intero percorso di cura edi assistenza ed ha un ruolo significativo in quest’ultimo, in quanto è il risultato diun sub-processo di organizzazione delle attività e delle prestazioni sanitarie neces-sarie per risolvere uno stadio del problema di salute assunto “in carico”. Esso ètanto significativo che può richiedere la integrazione di interventi di più operatori eservizi assistenziali.

Per diverso aspetto, il percorso diagnostico-terapeutico può riferirsi ai gradidi intervento realizzabili in uno stesso livello (per esempio, l’Ospedale), pur se im-plicanti integrazioni di attività anche di diversi livelli di assistenza (per esempiopartecipazione del medico di medicina generale nel percorso di assistenzaospedaliera).

Si conferma che, sia i protocolli e sia i percorsi diagnostico-terapeutici devo-no essere progettati ed intesi come “strumenti operativi” di riferimento, essendorimessa alla valutazione responsabile degli operatori la necessità di operare “scosta-menti” da quelli tipo (in relazione a specificità del caso), purché siano quelli piùappropriati, secondo i dettami delle conoscenze scientifiche di cura e di assistenza.

L’indirizzo operativo che la Direzione Generale dell’Ausl FG/1 vuole ren-dere è che, se la pratica clinica da applicare è derivata da apposite linee guida dellesocietà scientifiche di ogni singola disciplina e, in maniera più adeguata, dai proto-colli concertati e condivisi dagli attori di processo, il percorso diagnostico terapeuticoci dice anche come deve comportarsi la parte interessata di organizzazione aziendale,nel caso specifico e nell’ambito delle possibilità di intervento che essa può offrire.

In questo senso la progettazione (concertazione e condivisione) del percorsodiagnostico terapeutico, a cui si fa riferimento, deve intendersi come lo sviluppodegli interventi essenziali di cura della patologia e delle possibili complicanze dellastessa, insieme alla definizione temporale delle attività necessarie, dei luoghi in cuidevono essere rese e degli operatori chiamati a renderle: lo strumento da progettaredeve essere utile per definire cosa si fa durante il percorso, chi lo fa, come, dove equando farlo.

Invero, raramente un qualsiasi problema di salute può essere risolto con l’in-tervento di un solo livello essenziale di assistenza, inteso come area di offerta: ordi-nariamente, il primo livello interessato è quello di assistenza territoriale (salve, even-tualmente, le emergenze-urgenze) e cioè, la prima assunzione in carico del proble-ma di salute è del medico di medicina generale o del pediatra di libera scelta; even-tualmente, può passare a quello specialistico o polispecialistico territoriale, oppureal livello di assistenza ospedaliera, ma, sempre, il case deve ritornare all’attenzionedel medico di medicina generale o del pediatra di libera scelta, che hanno stabil-mente in “carico” la salute del Cittadino interessato.

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È così che il problema di salute richiede l’integrazione di più livelli essen-ziali di assistenza, ovvero, di più gradi di intervento: in ognuno di questi potreb-be, però, progettarsi ed applicare un continuum di percorso diagnostico-terapeu-tico, cioè di utilizzo anche gli esiti del propedeutico percorso già seguito dal pa-ziente. Non solo, ma i livelli di intervento necessari potrebbero non essere pre-senti nella Azienda USL FG/1 e la direttiva della Direzione Generale è che, inquesti casi, devono essere individuati a monte, eventualmente contrattati e disci-plinati, appositi rapporti o relazioni con i centri di offerta esterni verso i quali“orientare” il paziente.

Secondo quanto previsto dalla programmazione sanitaria nazionale e re-gionale, la scelta operativa è quella di integrare i percorsi diagnostico-terapeuticicon tutti i possibili soggetti erogatori e di rendere sequenziali gli interventi nel-l’ambito di quello generale ed unitario che si muove intorno al problema di salu-te, tanto da presentarsi come un percorso aziendale o interaziendale di cura edassistenza.

La direttiva di progettare ed applicare i Percorsi Aziendali di Cura ed Assi-stenza (P.A.C.A.) non corrisponde soltanto a criteri di razionalizzazione degli in-terventi sanitari e, quindi, ad obiettivi di maggiore economicità, ma, soprattutto, aiprincipi e codici etici, di garanzia della salute dei Cittadini, fatti già propri dallaprogrammazione statale e regionale e, quindi, da quella aziendale.

Il P.A.C.A. è un modello operativo che, nel prossimo triennio, deve essereprima sperimentato e poi applicato a regime e deve guidare la gestione del proble-ma di salute di pazienti che presentano una stessa tipologia di malattia.

Il vantaggio per l’interesse pubblico che la Direzione Generale dell’AuslFG/1 attende nell’applicazione di percorsi assistenziali è di migliorare continua-mente attività ed azioni, utilizzando uno strumento gestibile dinamicamente e checonsenta di mirare a risultati ottenibili dalla applicazione di una metodologia con-divisa di lavoro programmato ed integrato.

La responsabilità di un percorso individuale assistenziale deve essere affidataall’operatore sanitario che più di ogni altro ha ruolo determinante nel processo.Invero (e come si è già detto), il primo contatto della persona ammalata è con ilproprio medico di medicina generale, che approccia il problema secondo le suepossibilità di intervento e può risolverlo direttamente o può avviare il Paziente pressoun livello di intervento che dispone di maggiori possibilità diagnostico-terapeuti-che, seguendolo durante questa transizione.

Tale secondo livello può essere costituito da strutture specialistiche o polis-pecialistiche territoriali: il problema di salute può essere positivamente risolto ed ilpaziente può essere rinviato alla attenzione del medico di medicina generale, che loha sempre in carico, oppure può essere avviato al livello successivo per il trattamen-to (eventuale) di competenza. Questo livello può essere (per esempio) quello ospe-daliero: anche qui il problema può essere risolto positivamente, allora il Pazientetorna all’attenzione del proprio medico di medicina generale (che deve rimanere inrelazione con i medici ospedalieri), oppure può non risolversi (con la conseguenza

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che il Paziente potrebbe non essere sopravvissuto) o, ancora, il problema di salutepotrebbe essere stato risolto per una parte e potrebbe essere necessario avviare il Pa-ziente ad un trattamento riabilitativo o di cure per stati di cronicità. Anche in que-st’ultimo caso la decisione viene presa d’intesa, tra medico di medicina generale, me-dici ospedalieri e medici o dirigenti sanitari del centro di riabilitazione o per tratta-menti a stati di cronicità. Dopo questo livello di intervento assistenziale, il Pazienteritorna al medico di medicina generale che ha avviato il percorso.

Insomma, il sistema attribuisce la continuità del carico del Paziente al suo me-dico di medicina generale, che lo segue durante tutto il percorso di cura ed assistenza,ed a cui il Paziente stesso ritorna dopo il completamento del ciclo di trattamento.

La funzione che il medico di medicina generale (o il pediatra di libera scelta)assume per il proprio assistito, è quella classica del case manager.

È chiaro che non è detto che il Paziente debba seguire tutte le tappe del per-corso, in quanto, o direttamente il medico di medicina generale, o uno dei livelli diintervento intermedi del ciclo (reinvestendo la “assunzione in carico” del medico dimedicina generale, ossia la informazione e il consenso di questi) possono propen-dere di avviarlo direttamente al livello ritenuto più appropriato per il caso (ad esem-pio, direttamente ad un ospedale, oppure ad un centro di riabilitazione, se questonon è direttamente usufruibile nella stessa struttura che sta realizzando il propriopercorso diagnostico-terapeutico).

Il processo che si applica consente di raggiungere, al meglio possibile, più diun risultato:

1. agevola l’utente, orientandolo verso il trattamento più appropriato per lasoluzione del problema di salute;

2. evita duplicazioni di interventi dello stesso tipo, elimina quelli inutili osuperflui, sia diagnostici e sia terapeutici, con gli effetti di:

• limitare i “rischi” connessi alla “moltiplicazione” ingiustificata di indagi-ni diagnostiche;

• garantire massima appropriatezza alle prescrizioni terapeutiche, contri-buendo, così, alla politica di riduzione dei tempi di attesa ed alla riduzio-ne dei costi di intervento e favorendo, altresì, le politiche di reinvestimentodi conseguenti economie o, perlomeno, di più oculata allocazione di ri-sorse (maggiore efficacia allocativa di queste);

3. consente al “sistema” aziendale di non perdere “traccia” del Paziente e,più ancora, di avere il monitoraggio degli “esiti” dei complessivi interven-ti applicati intorno al problema di salute trattato.

Nel grafico che segue sono rappresentate le sequenze o le fasi di un percorsodi cura ed assistenza, con la evidenziazione degli effetti degli esiti di trattamento(non viene, ovviamente rappresentato l’effetto del decesso del paziente).

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PERCORSO DI CURA E ASSISTENZA

Le relazioni e le azioni che nel sistema aziendale si realizzano sono, per ilpercorso di cura ed assistenza, sia di interesse progettuale (a monte), sia di tipoapplicativo-gestionale.

Quelle del primo tipo, oltre alla concertazione e alla condivisione dei proto-colli e dei percorsi diagnostico-terapeutici, riguardano anche la partecipazione de-gli attori di processo:

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• nella formazione di prontuari terapeutici (farmaci) e dei dispositivi medi-co-chirurgici;

• alla definizione di metodiche e di stili della “comunicazione” con i Pa-zienti e con i loro familiari.

In fase di applicazione e gestione del processo, i soggetti attori applicanotutte le tecniche e scelte necessarie alla realizzazione del principio della condivisionedel trattamento e del problema di salute affidato (in carico) a loro, secondo le mi-gliori conoscenze ottenibili con le evidenze scientifiche ed in possesso del gruppodi operatori.

Tutte le fasi di processo sono oggetto di continuo monitoraggio e verifica, alfine di valutare ogni ipotesi di cambiamento finalizzato al miglioramento continuodella qualità totale del processo stesso e, soprattutto, degli esiti di salute fatti conse-guire.

I percorsi aziendali di cura ed assistenza, come si è già precisato, oltre chepoter essere distinti secondo la frequenza o il grado di impegno della malattia datrattare, sono ovviamente da considerarsi come “riferimento” per gli operatori oattori di processo. Gli scostamenti che dovessero essere necessari in corso di appli-cazione possono significare o nuovi comportamenti connessi a sopravvenutecomplicanze cliniche, oppure “opportunità” di intervenire per migliorare.

Il governo clinico-gestionale della classe di malattia, pertanto, lo detiene ilGruppo dei professionisti (o delle professionalità) attori del processo. Il GruppoOperativo di Processo (G.O.P.) svolge la funzione di disease management ed è co-ordinato da un Direttore o da un responsabile di processo, appositamente incarica-to dalla Direzione Generale dell’Azienda.

Dovendosi raggiungere risultati di condivisione nella progettazione di pro-tocolli e percorsi, il Gruppo deve operare in modo da garantire l’evidenziazione el’esame della opinione di tutti i partecipanti (categorie di professionisti, attori diprocesso) e la tecnica che la Direzione Generale dell’Azienda suggerisce è quella(molto semplice) dei “gruppi nominali”; essa si realizza con le seguenti modalità:

• posto l’argomento, ognuno può rendere una proposta, sia per gli aspetticlinico- scientifici e sia per gli aspetti gestionali;

• riunite le proposte, il Gruppo valuta le stesse e procede, attraverso unaselezione (per eliminazione in successione continua, di quelle ritenute menocomplete o valide), alla scelta della soluzione migliore, che può anche es-sere composta dalla integrazione di elementi contenuti in più di una delleproposte presentate;

• la soluzione definitiva rappresenta, effettivamente, il frutto della parteci-pazione di tutti e risulta patrimonio assistenziale/gestionale di tutto ilGruppo e, quindi, unanimemente condivisa.

La Direzione Generale dell’Azienda opererà per ricercare ogni forma di faci-litazione della piena e leale collaborazione con, e all’interno, di ciascun gruppo.

L’insieme dei protocolli e dei percorsi definiti diventa patrimonio scientifico

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e gestionale che la Direzione Generale, continuamente, rende disponibili ad opera-tori ed utenti, attraverso la costituzione della citata banca dei dati e dei processioperativi e la realizzazione di una rete (informatica) di comunicazione a cui posso-no avere accesso gli operatori interessati (attori di processo), con tutte le garanzie ditutela della privacy degli assistiti.[…]

7. Alcune priorità

a) Tempi e liste di attesaQuello della riduzione dei tempi (e delle liste) di attesa costituisce uno degli

obiettivi prioritari della legislazione e programmazione, statale e regionale, rispon-dendo sia al principio etico di equità degli accessi alle occasioni di assistenza e sia aquello di qualità degli esiti di qualsiasi attività, azione e prestazione con riferimentoall’appropriatezza anche temporale degli accessi stessi.

In tutte e due le finalità considerate, è convincimento della Direzione Generaledell’Azienda che il problema debba essere affrontato secondo una diversificazione,per priorità, di bisogno di assistenza sanitaria (diagnostico o terapeutico) e cioè atti-vare un metodo secondo il quale l’utente sia (anche attraverso una puntuale educa-zione svolta dal “sistema” Azienda e, prima di tutti, dai M.M.G. e P.L.S.) avviato aduna “attesa” che può prevedere anche tempi differenti di accesso, in relazione allepossibili conseguenze che, per il suo problema di salute, può avere un “ritardo od unaaccelerazione” del trattamento sanitario da egli atteso.

Uno degli strumenti principali di informazione sul metodo e di “educazio-ne” degli utenti è costituito da apposito capitolo da prevedere nella Carta dei Servi-zi dell’Azienda.

Il modello che si vuole attivare fonda, cioè, sulla considerazione delle diversepriorità ed urgenze - gravità di intervento, connesse alle domande di prestazioni.

La gestione delle liste d’attesa già attivata nell’Azienda ha tenuto prevalente-mente conto dell’ordine temporale (o cronologico) di prenotazione degli utenti edella formazione di una lista unica d’attesa.

Si considera subito che tale sistema, non solo risulta inappropriato perchénon contiene nessun intervento che possa far diminuire il numero di accessi imme-diati, ma neanche “etico” in quanto potrebbe privilegiare (solo perché temporalmenteprenotata prima) una prestazione non immediatamente necessaria (per esempio diroutine in un processo di indagine preventiva periodica) ad una che sarebbe piùurgente perché connessa a “dubbio” diagnostico per patologia di evidente gravitàovvero di follow up da realizzarsi secondo rigide cadenze, solo perché prenotatadopo della prima.

L’occasione per progettare il nuovo metodo è data proprio dal processo diformazione dei percorsi di cura ed assistenza. È nel corso delle scelte condivise (daivari “gruppi di percorso”) per la formazione dei protocolli e dei percorsi, che puòraggiungersi l’intesa per disciplinare che (ai fini dei tempi d’attesa) i Centri Unici di

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Prenotazione, provvedano a formare più di una lista, in relazione alle citate prioritàe gravità che sono indicate dai medici prescrittori (almeno quelli dell’Azienda) se-condo quanto concordato e condiviso proprio in occasione della progettazione eformazione di protocolli e percorsi diagnostico-terapeutici.

Il risultato che può ottenersi sarebbe comunque utile a soddisfare la doman-da secondo il “grado” di bisogno e la nuova impostazione ha possibilità di successodipendente, in larga parte, dall’efficacia e continuità dell’azione di “educazione”agli accessi alle prestazioni sanitarie, che i citati medici prescrittori realizzerannonei confronti (verso) gli utenti. Perché questa azione di “educazione” possa essereforiera di comportamenti consenzienti da parte degli utenti, è anche necessario de-finire, comunque, dei tempi massimi entro i quali rendere anche le prestazioniincluse nelle liste di “non urgenza e gravità” dei casi.

È a questo punto che deve essere esaminata la possibilità di adeguare l’ “offerta”chel’intera rete aziendale può garantire. Di massima sono utilizzabili più soluzioni:

• assegnare ad una articolazione aziendale (preferibilmente per area territo-riale) il compito di soddisfare le prestazioni “non urgenti” e non connessea “gravità” di casi, mentre tutti gli altri punti di offerta (e, primi, quelli amaggiore dotazione di risorse) sono deputati a soddisfare le liste “di prio-rità” d’accesso;

• prevedere, per questo, il vincolo di “apertura di attività” (dei servizi) pernon meno di dodici ore giornaliere continuative (secondo il bisogno ef-fettivo), articolando opportunamente gli orari di lavoro del personale, tantoche si eviti una (non giustificabile) concentrazione di operatori in alcuneore diurne (per esempio quelle mattutine) e si eliminino i “tempi morti odi non attività” effettiva;

a tali ultimi fini, costituisce puntuale direttiva del Direttore Generale utilizzare almassimo l’impegno del personale, per cui, ove (ordinariamente, nello stesso ambitocittadino) fosse necessario, si dovrà procedere a diversa assegnazione, logistica e dipresidio, di articolazione operativa e di personale, previo (ovviamente) rispetto dellerelazioni sindacali, tenendo conto della qualificazione professionale di ciascun opera-tore. Deve tenersi, cioè, conto del fondamentale principio, costituente anche inte-resse pubblico, secondo il quale l’operato di ognuno deve essere funzionale al per-seguimento degli obiettivi dell’Azienda, essendo altresì chiaro che l’assunzione dipersonale (salvo casi specifici) avviene nella funzione o qualifica o profilo e non nel“posto”; solo dopo la verifica ed applicazione di tutti questi presupposti, ove visiano necessità prestazionali residue, può essere attivato l’istituto di “prestazioniaggiuntive” da richiedere agli operatori interessati, secondo quanto previsto daiContratti Collettivi Nazionali di Lavoro (CC.CC.NN.LL.): a questi ultimi fini,costituisce vincolo di comportamento, per tutte le articolazioni aziendali, il divietodi impiegare in prestazioni aggiuntive tutti quegli operatori (compresi i Direttori distruttura) che, nel normale orario di lavoro, non siano costantemente e direttamen-

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te (cioè con frequenza ordinaria individuale) impegnati a rendere prestazioni dellostesso tipo di quelli da rendere negli orari e/o quote (prestazionali) aggiuntivi. Que-st’ultimo vincolo costituisce direttiva specifica del Direttore Generale, con tutte leconseguenze previste per legge e dai Contratti Collettivi di Lavoro: non esiste possi-bilità di alcuna deroga.

Utilizzando le occasioni offerte dall’applicazione dei percorsi aziendali dicura e di assistenza, individuando interventi di riorganizzazione delle attività e del-le articolazioni operative aziendali ed adeguando anche le dotazioni di risorse com-plessivamente necessarie, in conclusione, si dovrà pervenire alla formazione di rag-gruppamenti per gradi di necessità e d’urgenza, attraverso i quali accogliere le pre-notazioni e gestire le conseguenti liste d’attesa.

Poiché alla formazione delle lungaggini dei tempi di attesa possono contri-buire anche quei casi in cui, ad accettata prenotazione, l’utente, senza preavvertirealmeno 24 ore prima o senza giusto motivo, non si presenti per ricevere la presta-zione chiesta, l’Azienda (con la stessa logica con cui è impegnata a rimborsare l’utentequando non sia stata in grado di garantirgli la prestazione già prenotata e questi siastato costretto a rivolgersi ad altro soggetto erogatore della stessa) procederà adavviare azioni di risarcimento (nel limite tariffario della prestazione) nei confrontidegli utenti inadempienti, perché il comportamento di questi determina un ritardo(danno) nei confronti di altri utenti che non hanno potuto accedere a quelle presta-zioni nel giorno considerato. Perchè possa raggiungersi il risultato generale di sod-disfo nel bisogno, la Direzione Generale emana l’indirizzo di associare, ai normaliorari di lavoro degli operatori interessati, una quota di eventuali orari aggiuntivi(che saranno utilizzati solo in caso di effettiva necessità) e di accettare le prenota-zioni di un numero ulteriore di utenti in corrispondenza delle prestazioni che pos-sono essere rese negli orari aggiuntivi programmati.

La nuova metodologia di progettazione e gestione dei tempi e liste di attesa è,ovviamente, soggetta a miglioramento continuo della qualità, secondo la tecnicadescritta nell’apposito precedente paragrafo del presente P.A.L.

b) L’educazione ed il consumo dei farmaciIl consumo dei farmaci origina un notevole costo per l’Azienda (che pure è

attestata ad un livello inferiore a quello medio unitario di obiettivo regionale), percui devono essere implementate tutte le azioni possibili, perchè si determini unaulteriore regressione dei costi, nel limite di quelli effettivamente necessari.

Anche in questo campo, la metodica di organizzare le attività sanitarie nel-l’ambito di tutte le occasioni offerte dall’utilizzazione dei percorsi di cura ed assi-stenza è utile a favorire le azioni di condivisione, tra i tutti i medici prescrittori,degli stessi trattamenti terapeutici e facilita, quindi, anche la corrispondente educa-zione degli utenti, in una condizione di garanzia della massima appropriatezza(esprimibile dal “sistema”) e di efficacia dei trattamenti terapeutici. Conseguente-mente, anche il consumo di risorse (costi) tende ad essere “quello effettivamentenecessario”.

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Perché tali circostanze si verifichino, è necessario l’impiego di altri stru-menti ed interventi, previsti sia dal livello istituzionale regionale e sia da quellodell’Azienda.

In particolare, è attivo nell’Azienda un primo sistema di verifica delle pre-scrizioni, quali – quantitative farmaceutiche, dei medici di Medicina generale, deipediatri di libera scelta e degli altri medici prescrittori.

In aggiunta a quello regionale, la Direzione Generale dell’Azienda ha appro-vato altri due interventi di analisi e verifica sulla correttezza scientifica delle stesseprescrizioni e sulla distribuzione dei farmaci per dosi unitarie. Il primo interventoè, non solo di guida e supporto ai medici prescrittori, ma anche di diretto beneficioper gli utenti: infatti è finalizzato a verificare direttamente (per ogni singola prescri-zione) eventuali effetti negativi dell’interazione di più farmaci ed è di ulteriorespecializzazione rispetto a quello regionale; l’intervento ha interesse sia territoriale(soprattutto) e sia ospedaliero. L’innovazione principale, ma che ha valenza fonda-mentale e non si limita ad interventi meramente burocratici, è che il sistema aggiun-to dall’Azienda utilizza un software dedicato che gestisce in proprio, con applica-zione di coerente professionalità, il quale consente di avere in tempo reale (e nonquando il consumo è già stato realizzato) le eventuali negative o nocive interazionitra farmaci. L’Azienda vuole estendere, attraverso la propria rete informatica, ladisponibilità del sistema ai medici prescrittori, in maniera tale che quella realizzatadal proprio dipartimento farmaceutico non assuma la funzione di un mero control-lo (peraltro necessario), quanto, invece, una reale collaborazione con gli stessi me-dici prescrittori, lasciando ad essi la gestione degli strumenti idonei a migliorare laqualità totale e la soddisfazione degli utenti. L’obiettivo del secondo intervento èquello che la struttura di Farmacia ospedaliera rifornisca quotidianamente la tera-pia di ogni singolo ricoverato, diminuendo drasticamente la quantità di farmaci“dispersi”, ma soprattutto il rischio di errori di terapia e superando in tal modo lostoccaggio in reparto delle multiconfezioni tradizionali ed i relativi problemi digestione.

È tuttavia prevista la fornitura di scorte minime di farmaci per far fronte alleurgenze ed ai cambi eventuali di terapia determinati da un’imprevista modifica del-lo stato di salute del singolo ricoverato. Il risparmio relativo atteso da questo inter-vento è previsto nella misura del 10% dei consumi medi attuali.

Oltre a questa iniziativa, la Direzione Generale ha già dato direttiva per larevisione del Prontuario Terapeutico Ospedaliero modificandone il riferimento versoun Prontuario Terapeutico Aziendale, ricostituendo l’apposita commissione in cuisono stati inseriti sia i rappresentanti dei medici di Medicina generale, sia (per quantodi competenza) dei pediatri di libera scelta e sia degli specialisti ambulatoriali. LaCommissione renderà nei prossimi mesi il nuovo Prontuario.

Analoga iniziativa è stata assunta, dalla Direzione Generale, per quanto ri-guarda il Prontuario dei dispositivi medico-chirurgici.

La combinazione delle azioni sopra indicate è finalizzata ad una significativarazionalizzazione della funzione farmaceutica, territoriale ed ospedaliera, ma so-

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prattutto ad un miglioramento qualitativo certo dei trattamenti farmacologici dagarantire agli utenti.

c) Il sistema direzionaleIl presente P.A.L. della programmazione nazionale e regionale in materia sa-

nitario-sociale rappresenta il presupposto fondamentale dei processi direzionali daattivarsi nell’Ausl FG/1.

Il Sistema Direzionale è finalizzato a sviluppare il senso di appartenenzaaziendale ed a rendere indirizzi e chiarezza operativa ai dirigenti delle strutture, aiprogrammi di attività delle articolazioni dell’Azienda in ordine a quello che si devefare per realizzare le azioni, generali e specifiche, facendoli diventare i principaliartefici della pianificazione delle attività, che essi stessi devono, poi, realizzare.

Mancando un precedente documento di programmazione aziendale, la Dire-zione Generale ha già chiesto a tutti i Direttori e Responsabili di attività una rela-zione sullo stato dell’arte di queste, sulle prospettive di sviluppo della domanda,sulle azioni proponibili per farvi fronte e sui risultati che si prospettano conseguibili,sulle potenzialità e carenze attuali rispetto al raggiungimento dei risultati attesi,nonché sulle risorse necessarie per conseguirli (con la evidenziazione anche di quellegià disponibili e di quelle che, invece, dovrebbero essere integrate).

Questa è stata l’impostazione direzionale propedeutica anche alla definizionedel presente P.A.L., dei Piani Territoriali di Attività, dei Piani di Zona (almeno perquanto riguarda la parte di realizzazione implicante attività aziendali), nonché deiPiani di attività ospedaliera: tutti quanti questi Piani devono essere finalizzati anchealla realizzazione dei percorsi di Cura ed Assistenza dell’Ausl FG/1.

Funzionali a questi sono anche i Piani delle attività di supporto che defini-scono e realizzano anche le risorse necessarie per il raggiungimento degli obiettivigenerali aziendali e di quelli specifici dei P.A.C.A. attivati o attivabili nel periodo diriferimento. Come indicazione (non esaustiva) i principali piani di supporto sonocostituiti da:

• programma triennale di fabbisogno di personale e piani annuali diassunzioni dello stesso;

• programma triennale e piani annuali dei lavori pubblici;• programma triennale e piani annuali di fabbisogno di beni e di servizi;• programmi triennali e piani annuali di investimenti in tecnologie ed at-

trezzature (non previste già nel programma di lavori pubblici).

Dalla riorganizzazione generale dell’Azienda si dovrà passare alla ridefinizionedell’architettura delle “responsabilità”, a tali fini utilizzando sia gli strumenti residisponibili dai Contratti Collettivi Nazionali di Lavoro del personale (in rapportodi pubblico impiego e non), sia dai corrispondenti Contratti Integrativi Aziendali esia dalla legislazione e programmazione, statale e regionale, vigenti e/o attive nelperiodo di riferimento. Strumento corrispondente è la graduazione degli incarichi

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(o uffici) dirigenziali, da definire previo rispetto delle relazioni sindacali previstedagli stessi CC.CC.NN.LL., nonché dai contratti collettivi degli operatori sanitariin rapporto di “convenzionamento” (interno) con l’Azienda.

Completata l’articolazione delle “responsabilità” e la graduazione delle stes-se, la Direzione Generale definirà anche il Piano Aziendale dei Centri di FunzioneEssenziale (C. F. E.), dei Centri di Responsabilità (C. di R.) e dei Centri di Costo(C. di C.). Ai primi corrispondono i “livelli essenziali di assistenza” (e, pertanto,sono tre) ai quali afferiscono i risultati di tutte le attività realizzate e nei quali afflu-iscono i costi impiegati per renderle. I Centri di Funzione Essenziale costituiscono,pertanto, lo specchio dei risultati complessivi di governo della salute realizzati nel-l’Azienda in un determinato periodo di riferimento. I Centri di Responsabilità co-stituiscono articolazioni operative e di attività ai quali si fa corrispondere la funzio-ne gestionale e che, pertanto, sono posti sotto la diretta responsabilità dei Dirigenti:per ogni C. di R. va fatta l’assegnazione, appunto, di un “responsabile”, tenutoconto, anche delle necessità che i CC. di RR. devono essere articolati in manieracorrispondente e/o coerente con il sistema di graduazione degli incarichi dirigen-ziali (e, quindi, degli “uffici” dirigenziali), per cui nel sistema direzionale aziendalesono previsti CC. di RR. di 1°, di 2°, di 3°, ecc… livello, a cui si fa corrispondere laresponsabilità (o Direzione) di Distretti, Dipartimenti Territoriali, Presidio Ospe-daliero (1° livello), piuttosto che degli altri Dipartimenti aggreganti attività (2° li-vello), oppure di strutture complesse o di programmi dipartimentali di attività, or-ganizzati anche nella forma di strutture semplici a valenza dipartimentale (3° livel-lo). Le ulteriori articolazioni interne di questi ultimi mantengono la stessa codificadel C. di R. al quale afferiscono, ma assumono una identificazione come Centri diCosto (C. di C.) ove siano ritenuti dalla Direzione Generale, interessanti per leanalisi dei risultati, dei costi e dei rendimenti. L’Azienda, cioè, nel suo complesso,viene considerata come un sistema unitario e principale, che ha come obiettivo ilperseguimento di una mission ed il raggiungimento di obiettivi di attività e di ri-sultati. Per questi si articola in sottosistemi funzionali (livelli essenziali di assisten-za) e sottosistemi operativi (attività delle diverse strutture o articolazioni operati-ve).

Gli obiettivi sono identificati nel presente P.A.L. e specializzati nei piani eprogrammi di attività, nei Piani Territoriali di Attività (P.T.A.), nei Piani di AttivitàOspedaliera (P.A.O.) e nei Piani (funzionali) dei Dipartimenti Territoriali (P.D.T.).

Agli obiettivi aziendali devono farsi corrispondere le azioni pianificabili daiDirigenti (Direttori e/o Responsabili), le quali devono essere definite previa con-trattazione con la Direzione Generale. Nella contrattazione devono essere specifi-cati i risultati attesi, da misurare attraverso l’individuazione di indicatori o parame-tri di verifica prefissati e condivisi, (tra la Direzione Generale e i Dirigenti interes-sati), contemporaneamente o (meglio) contestualmente alla assegnazione di mezzie di risorse necessari per la realizzazione delle stesse azioni.

Il processo che si realizza, così, è quello di budgeting, ossia della responsabi-lizzazione dei dirigenti stessi sul raggiungimento di risultati, sull’utilizzo di risorse

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o di fattori “della produzione”, a mezzo dell’assegnazione di budget, di obiettivi, dibeni, di servizi, di investimenti, ecc. Il processo di budget si realizza annualmente(ordinariamente) prima del mese di gennaio dell’anno di riferimento, sulla base an-che degli obiettivi generali e strategici che l’Azienda predefinisce, nel P.A.L. o negliaggiornamenti annuali dello stesso, entro la fine dell’anno precedente e che vengo-no partecipati (assegnati) ai Dirigenti (Direttori e/o Responsabili) perché possanoessere di temporaneo (o unico) riferimento sino alla definizione degli obiettivi spe-cifici che avverrà con l’approvazione e condivisione del budget annuale della corri-spondente articolazione strutturale e/o di attività.

Nell’Azienda è costituito un “Comitato di budget”, formato dal DirettoreSanitario, dal Direttore Amministrativo, dal Direttore del Controllo Direzionale edi Gestione e da un rappresentante del Collegio di Direzione dell’Azienda.

Con quello di budgeting si avvia il “processo direzionale” che si articola inpiù fasi, che sono comunque relazionate e finalizzate anche a consentire la verificae la valutazione dei risultati delle attività e delle azioni, da parte dell’apposito orga-nismo di controllo interno dell’Azienda che (non essendo influente il nomen) iContratti Collettivi Nazionali di Lavoro del personale identificano con il Nucleodi Valutazione Aziendale.

I controlli interni sono resi attraverso analisi, preventive e successive, dellaperformance conseguita, nelle attività rese dalle singole articolazioni aziendali eCC. di CC., che risulta essere anche parte essenziale dei risultati riferibili al Diret-tore o Responsabile del C.d.R. ovvero dei CC. Di CC. interessati.

Le analisi misurano il livello di conseguimento degli stessi risultati in relazio-ne agli indicatori di verifica fissati; alle scelte operative (di attività assistenziali egestionali) effettuate ed al grado di consumo delle risorse umane, finanziarie e ma-teriali (aspetto economico) in relazione ai risultati, procedendo anche attraversol’esame degli scostamenti rispetto ai livelli attesi; alla eventuale presenza di elemen-ti ostativi (ovvero di “condizionamenti esterni” e/o di cause non dipendenti o “noncontrollabili” dai Dirigenti interessati) che abbiano potuto compromettere il pienoconseguimento dei risultati; alle possibili responsabilità del Direttore o Responsa-bile dell’articolazione strutturale e/o di attività interessata ed, infine, ai possibilirimedi, realizzabili attraverso le stesse fasi mirate al “miglioramento continuo” del-la qualità totale (descritto in precedente parte del presente P.A.L.). Questo control-lo è definito “direzionale”, perché attraverso apposite comunicazioni periodiche(report trimestrale) rende la possibilità (ai Direttori o ai Responsabili delle articola-zioni strutturali e di attività) di apportare interventi correttivi alle azioni in corso(ciclo del miglioramento continuo), così fungendo anche da orientamento per leiniziative o scelte gestionali successive.

Tutto il sistema direzionale aziendale contempla processi condivisi e relazio-ni tra le diverse articolazioni dell’organizzazione aziendale e comprende anche lavalutazione dei risultati conseguiti dai singoli Dirigenti.

Dal sistema direzionale è effettivamente realizzata tutta la fase di attivitàgestionali che supportano la mission di periodo dell’Azienda, in quanto è finalizza-

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to a sviluppare anche il senso di appartenenza aziendale ed a rendere indirizzi echiarezza operativa ai Dirigenti in ordine a quello che si deve fare per realizzare iprogrammi generali e specifici aziendali, facendoli diventare i principali artefici dellapianificazione delle attività, che essi stessi devono, poi, realizzare.

In ogni caso, il sistema direzionale dell’Azienda tiene conto della coerenzacon le corrispondenti linee guida regionali.

d) Il sistema della comunicazione e della partecipazionePer progettare servizi appropriati e di qualità con un razionale impiego di

risorse, per dare trasparenza alle attività e alle caratteristiche dei servizi erogati èd’obbligo, per l’Azienda sanitaria, informare e ricevere informazioni, Per questo èindispensabile che l’intero sistema aziendale dell’Ausl FG/1 interiorizzi la “cultu-ra dell’informazione e della comunicazione” intesa come:

• gestione dei dati;• gestione della documentazione;• informazioni e relazioni con l’ utenza interna ed esterna.Le scelte di programmi o di interventi specifici, che hanno effetti sulla salute,

trovano nella comunicazione tra le parti coinvolte, la soluzione più efficace dalpunto di vista etico e strategico. Una buona comunicazione consente, infatti, dicreare all’esterno un livello di attesa controllato circa i servizi erogabili e di svilup-pare all’interno motivazione, coinvolgimento, senso di appartenenza.

Inoltre, alcuni obiettivi dei PSN e del PSR Puglia, (che pongono grande at-tenzione alla promozione di comportamenti e di stili di vita per la salute, all’usoappropriato dei servizi sanitari, all’integrazione socio-sanitaria, alla continuità deipercorsi assistenziali, alla tutela dei soggetti deboli), richiedono servizi sempre piùorientati verso un “modello a rete” e sempre più attenti al miglioramento dei “pro-cessi e dei percorsi assistenziali”. La necessità di elaborare e di programmare unpiano di comunicazione è, di conseguenza, un bisogno indispensabile. A tali fini sidovrà rendere chiarezza per distinguere a chi è rivolta la comunicazione, con qualimezzi si vuole comunicare e quello che si deve trasmettere perché si realizzi il mas-simo di conoscenza in maniera assolutamente trasparente.

In questa prospettiva l’Ausl FG/1, definita la programmazione e pianificatal’attività, intende rivolgere alla popolazione, sistematicamente, la comunicazione,nel modo seguente:

• assicurandosi il coinvolgimento e la partecipazione di tutti gli operatoriinterni;

• trasmettendo all’esterno il messaggio efficace, relativo a come intende porsirispetto ai possibili utilizzatori;

• dotandosi di un sistema informativo/informatizzato quale strumento perl’azione comunicativa capace di reggere l’attività interna e di generare leinformazioni necessarie per le verifiche di qualità dalle quali, successiva-mente, nasceranno le occasioni di miglioramento e le possibilità di azioniper l’adeguamento delle politiche e della pianificazione; il sistema infor-

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mativo deve essere tale da permettere una effettiva rete di informazionitra tutti gli operatori dell’Azienda.

e) La Comunicazione esterna - La Carta dei ServiziLa Carta dei Servizi dell’Ausl FG/1, emanata dalla Direzione Generale con

la consultazione delle categorie professionali e delle associazioni di tutela rappre-sentative dell’utenza, illustra e specifica, in modo chiaro, comprensibile ed esau-riente:

• l’Azienda Ausl FG/1 ed i suoi principi fondamentali• le strutture e i servizi forniti con esplicita dichiarazione di:• obiettivi e standard per la qualità;• impegni e programmi;• modalità di accesso alle prestazioni;• meccanismi di tutela e di verifica.

Della Carta dei Servizi sarà resa ampia diffusione, anche via Internet, previapubblicazione sul Sito Web Aziendale.

Per dare continuità di messaggio rispetto alla Carta dei Servizi, ciascuna strut-tura dovrà garantire ulteriore informazione all’utente (anche nei momenti in cuiesso si trova all’interno della struttura) con:

- modalità esplicite di erogazione delle prestazioni;- informazione alla persona e ai familiari sullo stato di salute;- l’identificazione del responsabile di ogni attività;- l’indicazione dei tempi e dei luoghi per dare l’informazione;- coinvolgimento degli utenti nel percorso assistenziale attraverso il con-

senso informato e la partecipazione alla definizione di quello individua-lizzato.

La comunicazione efficace (umanizzata) si dovrà fondare anche sull’atten-zione, da parte di ogni struttura, a comprendere/conoscere il paziente affidato, isuoi bisogni, le sue aspettative, la percezione che ha del servizio erogato e comeintende migliorarlo. Per favorire l’interscambio comunicativo ed orientare l’utenza,sarà completata la rete organizzata di UU.RR.PP./ACCOGLIENZA su tutto ilsistema di valutazione della soddisfazione dell’utente e del gradimento delle presta-zioni ricevute, della segnalazione di eventuali disservizi (reclami) e delle conseguentirisposte al cittadino contribuirà al conseguimento del miglior risultato possibile,nel massimo interesse del cittadino e dell’Azienda. Analogamente saranno previsteforme di confronto con gli organismi rappresentativi dell’utenza ed in particolaredelle sue fasce più deboli, attraverso lo sviluppo del ruolo di “partecipazione” delComitato Misto Consultivo.

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f) Relazioni con il pubblico – Ufficio StampaLa Direzione intende affrontare in termini progettuali ed operativi la revi-

sione dei compiti e del funzionamento dell’Ufficio Relazioni con il Pubblico (URP)dell’Azienda. La normativa dettata in materia delinea una visione di questo rappor-to profondamente innovativo, centrato sulla creazione di un sistema di comunica-zione ampio ed articolato, basato sul principio generale della massima trasparenzadelle attività e, più in particolare, sul principio della conoscibilità dell’azione e dellaorganizzazione aziendale.

La comunicazione è divenuta, come si è già detto, uno dei campi in cui sirealizza un passo importante anche nella transizione verso un modello di rapportocon i cittadini basato sulla efficienza ed efficacia dell’azione di gestione e sulla qua-lità delle prestazioni erogate, cosicché risulta decisivo il ruolo dell’URP sia nei con-fronti degli utenti, che hanno bisogno di informazioni o viceversa formulano ri-chieste e suggerimenti, sia come strumento interno alla stessa Azienda, per realiz-zare una circolazione di informazioni e di conoscenze tra le diverse articolazioni edattività, per contribuire a rendere più fluida e coordinata l’azione di queste.

La diffusione sempre più crescente di nuove tecnologie consente di progetta-re e realizzare un sistema di comunicazione a due direzioni che permetta di racco-gliere sia le segnalazioni su tutto ciò che riguarda il funzionamento dell’Azienda esia di stimolare direttamente, attraverso opportuni strumenti, le manifestazioni divalutazione sulla qualità dei servizi e l’esplicitazione delle esigenze degli utenti. Insostanza si attribuisce all’URP il ruolo di aprire un canale di comunicazione istitu-zionalizzato non solo verso il cittadino utente, ma anche dal cittadino verso l’Azien-da, con il compito di verificare il livello di soddisfazione per le prestazioni ricevutee di raccogliere ed elaborare proposte che l’utente ritiene di far pervenire alla stessaAzienda. Si tratta di rendere veramente fruibile la logica di catena del valore dellaqualità.

L’importanza dell’ascolto dell’utente o del cittadino e della valorizzazionedelle sue esigenze, costituiscono la motivazione di base del completamento deglielementi della qualità e l’URP deve essere lo strumento che raccoglie la voce deicittadini e la valorizza sia acquisendo i messaggi che essi inviano spontaneamente,sia organizzandosi per promuovere la rilevazione delle opinioni, dei bisogni, deisuggerimenti che da essi provengono. Si tratta in buona sostanza di rendere appli-cativa la logica della “soddisfazione dell’utente” applicata dalle aziende più attenteai temi della qualità dei servizi erogati.

La direttiva del Ministro della Funzione Pubblica 7/2/02 e gli atti di pro-grammazione regionale realizzati sulla attività di comunicazione delle aziende sa-nitarie oltre ad istituzionalizzare gli URP e l’Ufficio Stampa, (quest’ultimo man-cante presso l’Azienda) pongono l’accento sulla necessità che un valido sistema didistribuzione delle informazioni orientate verso l’esterno, cioè i mass-media e icittadini-utenti, deve necessariamente partire da un’efficiente comunicazione, tratutte le articolazioni aziendali, atta a garantire un flusso informativo organizzato epianificato. A questi ultimi fini, risulta indispensabile la costituzione di una rete di

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referenti di tutte le strutture aziendali, fornitori e garanti dell’informazione e di unsistema di redazione interna (back office).

La costituzione di questa rete di referenti deve essere formalizzata e la suaattività deve essere pianificata; pertanto, è necessario stabilire:

• modalità di trasmissione delle notizie dei referenti alla redazione;• modalità per inserimenti e/o modifiche dirette dei referenti, soggetti pri-

mari della comunicazione interna, attraverso l’utilizzo della rete informa-tica;

• scadenze per l’aggiornamento dei dati;• calendario di incontri per verificare il gradimento dei prodotti, per con-

cordare interventi migliorativi.La redazione interna raccoglie, rielabora, aggiorna ed archivia le informazio-

ni ricevute, le elabora per renderle adatte ad essere inserite in una banca dati attra-verso la creazione di schede notizia, le quali devono contenere ogni informazioneutile e necessaria per garantire una efficace erogazione dei servizi e creare spazi emodalità di partecipazione dei cittadini-utenti alle scelte che orientano le politichesanitarie aziendali.

L’URP deve perseguire azioni tese a rilevare, raccogliere e segnalare, alla di-rezione strategica, le aree di criticità nella qualità percepita dall’utente. Inoltre deveproporsi per interventi cosiddetti di “Assistenza URP” con i quali agevolare l’ac-cesso alle articolazioni di attività assistenziali interne, nonché ad altri centri di of-ferta, anche regionali e nazionali, di anziani, invalidi, soggetti portatori di handicap,nonché garantire l’aiuto necessario nella gestione a domicilio di anziani, rimborsidi cure e pratiche varie, ecc.

L’attività di informazione sull’accesso si dovrà sviluppare in modo capillaretramite la rete dei referenti URP e la rete dei punti informativi.

La rete dei referenti URP deve essere costituita da personale dipendente in-dividuato presso ogni struttura che in aggiunta alla loro specifica attività garanti-scono un apporto costante al sistema di comunicazione interno ed esterno.

La rete dei punti informativi deve riguardare, in modo principale, ogni stabi-limento ospedaliero, ogni distretto e ciascuna struttura sanitaria dislocata sul terri-torio dell’azienda. A questi ultimi fini la Direzione ritiene di assoluta necessità l’as-segnazione di dipendenti che costituiscano costante riferimento per gli utenti e sta-biliscano “punti di ascolto”, quale interfaccia informativa, presso ciascun stabili-mento ospedaliero di San Severo, Torremaggiore e San Marco in Lamis, presso cia-scuna sede di distretto, nonché presso le UDT di San Nicandro Garganico, Vico eVieste. Gli addetti ai punti informativi seguiranno un percorso atto a conseguireuna significativa formazione relazionale e svolgeranno tale funzione nell’ambitodei compiti dei profili professionali di appartenenza. In generale, la formazionedegli operatori volta al miglioramento del loro rapporto con l’utenza sarà un impe-gno costante che la Direzione Generale intende perseguire nel periodo di mandatoe costituisce priorità assoluta nel PFA (Piano Formativo Aziendale) per il triennio2006/2008.

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Inoltre è necessaria che venga predisposta la “Guida alla degenza”, un breveopuscolo informativo da distribuire ai pazienti durante la degenza in ospedale. Atal proposito dovrà essere elaborato un questionario di rilevazione della soddisfa-zione dei degenti che hanno avuto accesso di ricovero presso gli stabilimenti ospe-dalieri dell’Azienda, con esecuzione nel periodo settembre/dicembre dell’anno. Ilquestionario dovrà acquisire informazioni sulla qualità delle relazioni interperso-nali con il personale ospedaliero, l’informazione fornita, la percezione sull’esitodelle cure e la qualità percepita dei principali aspetti organizzativi. Il questionariodeve essere inviato al domicilio dell’Utente-Paziente che si sentirà libero da possi-bili condizionamenti che potrebbe subire nel caso che la somministrazione del que-stionario venisse proposta durante il periodo di ricovero, Un supporto fondamen-tale per la riuscita di tale iniziativa, può essere rappresentato dall’azione di coinvol-gimento delle associazioni di volontariato e dei volontari del Comitato Misto Con-sultivo.

In linea con lo sviluppo delle forme di partecipazione attiva della cittadinan-za promosso dalla Regione, l’Azienda renderà parte coerente le azioni ed interventisopra evidenziati con l’applicazione a regime del sistema di audit civico, di cui alsuccessivo paragrafo.

g) La Comunicazione InternaEssa, oltre a garantire la comprensione, la condivisione e la diffusione degli

obiettivi aziendali e di ciascuna articolazione, contribuisce al coinvolgimento, allamotivazione, all’aumento del senso di appartenenza e di integrazione di tutti glioperatori coinvolti.

L’informazione deve riguardare:• tutte le notizie che devono essere diffuse tra i vari operatori affinché i

contenuti siano un patrimonio di conoscenze comuni, uniforme ed omo-geneo per tutti;

• tutte le informazioni che derivano da incontri programmati fra i vari atto-ri della rete, a tutti i livelli (riunioni/integrazione);

• la conoscenza acquisita nei gruppi di miglioramento (valutazione dellecriticità);

• la conoscenza acquisita nei gruppi di ricerca;• la conoscenza acquisita attraverso la gestione dei dati.

La regolare e sistematica comunicazione all’interno dovrà necessariamenteprevedere puntuali e trasversali momenti di coordinamento, d’ integrazione e dicondivisione (riunioni ordinarie). La circolazione delle informazioni dovrà esseregarantita dalla Rete Intranet Aziendale.

La comunicazione assumerà, così, un ruolo strategico e di integrazione ac-quisendo forti potenzialità organizzative, di gestione, di omogeneizzazione delleattività, di risultati specifici e complessivi.

È evidente che l’interscambio comunicativo, a tutti i livelli intenso e perma-

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nente, si configura come direttiva per tutti e non dovrà rimanere solo ad un livellopuramente teorico: le “aspettative” generate nell’utenza dovranno trovare riscon-tro puntuale nell’operatività quotidiana dei professionisti (credibilità), pena l’inco-erenza dei messaggi forniti ed il disorientamento dei potenziali fruitori del servizio(utenti interni ed esterni).

h) La partecipazioneL’azienda deve porre al centro della propria azione l’individuo ed i suoi dirit-

ti alimentando, tra gli operatori interni, la cultura di “Azienda al servizio dei citta-dini” in quanto protagonisti della riuscita delle strategie aziendali.

In tale ottica la presenza e l’impegno delle associazioni di volontariato e dirappresentanza dei cittadini assolvono ad un ruolo fondamentale ai fini del rag-giungimento degli obiettivi di umanizzazione del servizio e di efficacia delle presta-zioni rese.

L’Azienda, inoltre, deve promuovere la partecipazione dei cittadini mediantela sottoscrizione di Protocollo d’intesa e/o accordo con le stesse associazioni, sta-bilendo modalità ed ambiti di collaborazione di queste con le strutture sanitarieaziendali, con particolare riferimento:

• alla tutela degli utenti, attraverso la pratica attuazione del regolamento dipubblica tutela e la costituzione della Commissione Mista Conciliativa;

• alla rilevazione del gradimento dei servi e la qualità percepita da partedegli utenti, attraverso la realizzazione di indagini di gradimento;

• al costante confronto sull’adeguamento delle strutture e delle prestazionialle esigenze degli utenti;

• all’umanizzazione ed accoglienza dei servizi.Necessita, dunque, consolidare il rapporto tra l’Azienda e le citate associa-

zioni per la tutela degli utenti, attraverso la istituzione del “Comitato Misto Con-sultivo”, formato da rappresentanti delle associazioni che aderiscono al “Protocol-lo di intesa”, con il compito di verificare, con cadenza mensile, gli impegni assuntinella Conferenza dei Servizi e lo stato di attuazione della Carta. Fondamentale saràl’apporto che il Comitato darà alla preliminare fase preparatoria per la realizzazio-ne della Conferenza dei Servizi.

Per potenziare la partecipazione dei cittadini attraverso le istituzioni che lirappresentano è necessario che la Conferenza dei Sindaci, quale organismo rappre-sentativo di tutte le amministrazioni locali dell’ambito territoriale dell’Azienda,provveda, in particolare, alla necessaria partecipazione per l’impostazione dei pianiprogrammatici attraverso motivate valutazioni e proposte di bisogni generali .

Particolarmente significativo è il ruolo della Conferenza dei Sindaci nellafase programmatoria necessaria per la realizzazione del sistema integrato di inter-venti in materia socio-sanitaria, quale facilitazione del ruolo di diretta partecipa-zione dei Comuni nel governo della sanità sul territorio.

Completamento e garanzia di tutte le richiamate modalità di “comunicazio-ne e partecipazione” sono rappresentate dalla applicazione del sistema di valuta-

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zione partecipata delle attività realizzate dall’Azienda attraverso il metodo di auditcivico, al quale il Governo regionale intende dare grande risvolto ed adesione com-pleta, ai fini del perseguimento dell’obiettivo strategico di miglioramento degli esitidegli interventi e della qualità totale, tenendo conto del parere-bisogno espressoliberamente dai cittadini destinatari della funzione di tutela della salute.

Al fine di rendere concreti gli esiti di miglioramento continuo della qualitàtotale, gli obiettivi ed i risultati di analisi e conoscenza derivanti dal modello-siste-ma di audit civico assumono fondamentale importanza. Già nel presente P.A.L.sono state previste molte azioni che sono coerenti con gli obiettivi di audit civico,che non sono state oggetto di una mera (o sterile) elencazione, ma sono invece parte“unitaria ed integrata” nel complessivo modello di organizzazione delle attivitàaziendali di tutela della salute.

In linea con la metodica di audit civico, vari sono stati i problemi di partico-lare interesse per i cittadini (come, per esempio, il fenomeno della eccessiva migra-zione o mobilità sanitaria verso le altre Aziende o verso altre Regioni, il potenzia-mento dell’offerta specialistica diagnostico-terapeutica; la applicazione di un siste-ma aziendale innovativo di organizzazione delle attività assistenziali, anche ai finidel miglioramento dei tempi o delle liste d’attesa, ecc.), ma soprattutto il potenzia-mento dell’assistenza ai malati oncologici (diagnostica, terapeutica, riabilitativa eper cronicità), che è assolutamente coerente e che determina, pertanto, migrazionesanitaria di quasi tutti i pazienti e, poiché trattasi di patologie anche ad elevatocoinvolgimento sociale, anche dei parenti. Per questi motivi ed ai fini dell’interes-samento per le azioni da monitorare con audit civico, il “problema concreto vissutocome urgente dalla comunità locale” è quello della “più completa possibile rispostaalla domanda di assistenza per patologie oncologiche”, che, peraltro, trova notevo-le risalto tra le “azioni” previste nel presente P.A.L..

i) La formazioneLe risorse umane sono fondamentali per l’organizzazione e per la sua corret-

ta gestione; pertanto le modalità di formazione/aggiornamento e di inserimento/addestramento del personale saranno particolarmente curate sotto tutti gli aspetti eper tutto il personale che opera ad ogni livello. Ciascuna articolazione o strutturadovrà proporre, entro il mese di ottobre di ogni anno, un piano di formazione/aggiornamento del personale per l’anno successivo (da finalizzare anche alla inte-riorizzazione della politica e della metodologia individuata dalla Direzione Gene-rale nel presente documento), indicando il referente. Devono essere altresì norma-lizzate (in procedure) le modalità per favorire l’inserimento/affiancamento del per-sonale di nuova acquisizione.

La formazione del personale deve essere realizzata con il diretto governodell’Azienda, evitando qualsiasi forma di “esternalizzazione” dei compiti di indivi-duazione dei bisogni e di predisposizione degli appositi piani. La formazione deveriguardare tutti gli operatori dell’Azienda, compresi i MMG, i PLS e gli specialistiambulatoriali interni.

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l) Formazione/Aggiornamento ECMDovrà essere prevista esclusivamente in relazione alle linee strategiche

dell’Ausl FG/1 e ponendo particolare attenzione alla formazione di quei professio-nisti che sono in relazione diretta con l’utenza. I programmi di formazione sarannoapprovati dalla Direzione Generale con appositi piani, triennali ed annuali, nei qualisarà previsto anche il finanziamento, di massima, dei singoli eventi.

Principio generale è che la formazione deve avvenire in loco, utilizzando prio-ritariamente le esperienze interne (espresse in occasione della formazione dei proto-colli e percorsi assistenziali dei quali si è più volte accennato nel presente P.A.L.) allequali associare, secondo una programmazione condivisa dell’Ausl, anche massimeesperienze scientifiche e professionali di livello nazionale ed internazionale, favoren-do collaborazioni con Università e con altri Centri di riconosciuta valenza scientifi-co/assistenziale e scientifico/gestionale. La scelta di privilegiare la formazione pressole sedi operative dell’Azienda risponde sia alla necessità di far formare, a parità (senon in ulteriore economia) di costi, un maggior numero di operatori interessati aglistessi processi operativi e sia alla circostanza che le eventuali pratiche clinico-terapeu-tiche o gestionali, siano realizzate come “nuova produzione aziendale”.

La realizzazione degli eventi sarà affidata ai Dirigenti responsabili, ciascunoper le proprie competenze, (direttori di strutture, infermieri coordinatori, ostetri-che coordinatrici, ecc...) con le seguenti modalità:

• calendarizzazione degli eventi programmati;• individuazione di strumenti e risorse interne per far fronte/collaborare

alle esigenze formative;• individuazione di chiari criteri di selezione/avvicendamento del persona-

le da formare;• individuazione degli indicatori/attività per misurare/valutare l’efficacia

(impatto) degli interventi formativi.Gli obiettivi di sviluppo della formazione devono essere funzionali alla rea-

lizzazione delle priorità appresso elencate:• mission e obiettivi generali e per la qualità dell’Azienda e delle articolazioni

operative di questa;• progettazione ed applicazione di protocolli diagnostico-terapeutici, di per-

corsi diagnostico-terapeutici, di percorsi di cura e di assistenza;• sviluppo delle buone pratiche assistenziali e comportamentali;• sviluppo della cultura di dipartimentalizzazione delle attività;• il miglioramento delle conoscenze scientifiche e delle pratiche da appli-

carsi nei vari processi assistenziali;• modalità di apprendimento per l’uso appropriato di strumenti, attrezza-

ture e dispositivi disponibili per l’erogazione di attività e prestazioni;• modalità per la conoscenza e l’applicazione delle norme di sicurezza rela-

tive ai rischi specifici che si presentano sul posto di lavoro.Le attività di addestramento devono essere programmate tenendo ben pre-

senti fattori quali: i tempi necessari al raggiungimento dei requisiti e delle abilità

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richieste; l’individuazione di personale esperto per l’affiancamento, il turn over e ilnumero del personale da formare.

Tutte le attività di qualificazione e di addestramento devono essere dimostrabiliattraverso un archivio nominativo/banca dati in cui risultino raccolti i documentiche rendono oggettiva e trasparente l’acquisizione della qualificazione e il suo man-tenimento nel tempo.

Il ricorso alla formazione presso Centri di offerta esterni all’Azienda assu-me un’occasione residuale e sarà così prevista:A) Formazione coerente con gli obiettivi aziendali;

• se avviata a seguito di domanda individuale, dovrà essere preventivamen-te autorizzata dalla Direzione Generale ed ha carattere di eccezionalità.L’autorizzazione della Direzione Generale comporterà solo la concessio-ne di assenze dal servizio retribuite ordinariamente secondo i contrattiindividuali di lavoro di ciascun operatore, senza alcuna ammissibilità diremunerazione di eventuali attività eccedenti (prolungamenti di orari, ecc...)e neanche di scomputo su orari di lavoro dovuti per attività ordinaria (adeccezione di quelli “consumati” durante l’attività di formazione). I costidi iscrizione, di viaggio e di permanenza restano a completo carico deglioperatori richiedenti;

• se avviata direttamente dall’Azienda, saranno garantiti agli operatori inte-ressati la concessione di autorizzazione per l’assenza dal servizio ordina-rio, il carico all’Azienda dei costi di iscrizione, viaggio e soggiorno, conesclusione di ogni ipotesi di remunerazione aggiuntiva.

B) Formazione non prevista dagli obiettivi aziendali:È quella movimentata a domanda individuale e comprende anche la parteci-

pazione a convegni di categoria: non è previsto alcun concorso dell’Azienda, nean-che per quanto concerne la concessione di autorizzazione all’assenza dal servizio ela conservazione di ordinaria remunerazione. La possibilità di partecipare è subor-dinata all’utilizzazione di congedo ordinario, ovvero all’utilizzo di orari di lavoroprestati in eccedenza a quelli minimi dovuti, regolarmente e/o preventivamenteautorizzati dalle Direzioni di appartenenza.

In generale i Contratti Collettivi Aziendali Integrativi (di quelli nazionali) dilavoro, definiranno la materia dei principi connessi alle attività di formazione: quantosopra indicato costituisce direttiva di riferimento, emanata dal Direttore Generale.

8. Obiettivi, azioni ed interventi nelle attività generali, di assistenza ed in quelle di supporto

a) Stato attuale e riequilibrio economico dell’aziendaLa situazione economica di partenza è negativamente segnata da uno squili-

brio economico per l’anno 2005 che si prospetta (perché non si può avere ancora

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certezza di sopravvenienze passive che quasi quotidianamente si sono appalesatenegli ultimi tre mesi dell’anno 2005) tra 33 e 35 milioni di euro.

La Direzione Generale ha già avviato una serie di interventi che riducono oeliminano solo costi superflui (in questi ultimi tre mesi sono stati risolti rapporti“di fatto” di servizi e provviste ritenuti non necessari ed anche contratti già affi-dati, per complessivi e 3.000.000,00 circa a valere sull’anno 2006) ed ha presenta-to una proposta di riequilibrio economico che fonda in larga parte su maggioritrasferimenti (assegnazioni) da parte della Regione e per il resto punta su unariduzione delle “perdite” realizzabile proprio con la eliminazione di costi perfinalità non essenziali. In particolare il finanziamento regionale deve tenere contodi almeno due condizioni che motivano una utilizzazione di parametri aggiuntividi finanziamento: il primo è costituito dalla eccezionalità del bisogno assistenzia-le delle popolazioni del Gargano Nord, non solo per la particolarità della situa-zione orografica, ma anche perché per 6 mesi all’anno la popolazione vacanzieratriplica quella ordinaria stanziale; il secondo è connesso alla vicinanza di una va-sta area con Regione limitrofa, circostanza che origina mobilità passiva sia permotivi connessi a distanze chilometriche a dispersione di interi centri abitati e siaperché non è stata mai “portata” effettivamente assistenza nell’area territorialeinteressata.

b) Obiettvi, azioni ed interventiIn ogni caso, la situazione economica dell’Azienda non determinerà riduzio-

ne di attività assistenziali, le quali, invece, avranno lo sviluppo necessario e coerentecon gli strumenti della programmazione sanitaria nazionale e regionale, secondoquanto indicato nelle allegate schede di individuazione di: obiettivi prioritari, azio-ni programmate, interventi ed indicatori relativi.

Dagli obiettivi, azioni ed interventi così indicati avranno avvio e fonte i “pia-ni di azioni” o “programmi e progetti di intervento”, nonché i programmi territo-riali di attività. A questi fini i presente P.A.L. costituisce il documento di avvio delprocesso direzionale e strumento di riferimento per la contrattazione di budget conle articolazioni di attività (Centri di Responsabilità), poiché solo contrattando econcertando azioni specifiche, risorse adeguate da impiegare, tempi e modalità diverifica dei risultati, sarà possibile realizzare i “piani di azioni” di cui sopra.

Per le attività sanitarie la metodologia organizzativa ed operativa da applica-re è stata fissata nel precedente capitolo II. Per quanto riguarda le attività generali edi supporto valgono le direttive e la pianificazione seguenti.

La programmazione delle attività amministrative, tecniche professionali del-l’Azienda del triennio 2006/2008 trae, necessariamente, gli spunti iniziali dalla ve-rifica dello stato dell’arte della vigente organizzazione aziendale, per proiettare esviluppare una politica di implementazione organizzativa nella quale, da un latotrovino una maggiore valorizzazione e conferma le situazioni che determinano puntidi forza facilmente rilevabili attraverso i reports di produzione, dall’altro una piùincisiva azione di riqualificazione dei punti di debolezza e/o di criticità orientata a

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Ausl Fg/1: gli obiettivi triennali del Piano Attuativo Locale

recuperare risorse e spazi funzionali al fine di determinare le condizioni miglioripossibili per il successo della missione aziendale.

L’Azienda dovrà conseguire, per le attività amministrative tecniche e profes-sionali gli obiettivi di organizzazione fondati sulla logica dipartimentale, così comeprevisto per le strutture e servizi sanitari e territoriali, nel pieno rispetto di quantostabilito dal D.Lgs. n.502/92 e s.m.i.

In tale ottica corrispondono ad esigenze di razionalizzazione e maggiore fun-zionalità organizzativa, anche in considerazione dell’elevato grado di complessitàdelle funzioni riservate all’Azienda, la previsione della costituzione di dipartimentiaggreganti attività.

In modo particolare, tutte le strutture e servizi, nel triennio di riferimentodella presente programmazione dovranno obbligatoriamente perseguire il raggiun-gimento dei seguenti obiettivi specifici:

1) garanzia della tempestività e correttezza dei flussi informativi interni e,soprattutto, verso l’esterno e verso la Regione;

2) rispetto della normativa, recepita nell’Atto aziendale, in base alla quale ipoteri di indirizzo e di controllo spettano agli organi di governo mentre lagestione amministrativa, tecnica ed economico-finanziaria è attribuita aidirigenti, i quali per il conseguimento degli obiettivi loro assegnati do-vranno, oltre che rendere applicative le linee guida e gli indirizzi stabilitidalla Direzione strategica negli atti di programmazione aziendale, impron-tare i rapporti al conseguimento dei principi di legittimità degli atti, del-l’efficienza, efficacia ed economicità della gestione;

3) contribuire, vigilando e ponendo in essere le azioni necessarie, al perse-guimento dell’obiettivo di garantire l’equilibrio economico della gestio-ne;

4) realizzare nei procedimenti amministrativi il pieno rispetto della norma-tiva dettata nelle relative materie, finalizzando ogni comportamento alconseguimento degli obiettivi di trasparenza dell’azione amministrativa,di partecipazione e di miglioramento dei rapporti con l’utenza;

5) osservare politiche per la razionalizzazione e l’impiego ottimale delle ri-sorse umane. L’obiettivo primario che questa Direzione intende perse-guire nel corso del proprio mandato, è rappresentato dalla introduzione egraduale realizzazione di politiche e metodiche organizzative di carattereinnovativo per l’Ausl FG/1, riguardanti sia l’aspetto della programma-zione e sia quello della gestione. Ovviamente la prima leva che occorreazionare è quella della più importante risorsa posta a disposizione del-l’Azienda e, cioè, il personale (a qualunque titolo impiegato). Pervenirealla determinazione di azioni che mirino ad ottenere un razionale ed otti-male impiego di risorse umane costituirà l’obiettivo costante della Dire-zione Generale, motivata dalla reale convinzione ed assoluta necessità divalorizzare le professionalità, esistenti, che vorranno effettivamente im-pegnarsi a fare il proprio dovere ed a lavorare con senso di appartenenza

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Gaetano Fuiano

all’Azienda, all’uopo applicando le migliori conoscenze professionali pos-sedute.

È intenzione della Direzione Generale garantire il successo di queste azioniattraverso un sistema di premiazione dell’impegno profuso dagli operatori, dirigenticompresi, chiarendo in modo inequivocabile che saranno “premiati” solo quelli chemeritano sulla base della evidenza del lavoro che fanno. Questi istituti normo-econo-mici saranno ridisciplinati nel pieno rispetto degli istituti contrattuali a questi finiprevisti e delle relazioni sindacali, con la garanzia che anche la Direzione Generaledeve fare la sua parte (impegni). La contrattazione collettiva nazionale di lavoro, siadell’Area dirigenziale e sia di quella del personale di comparto, ha ormai consolidatola disciplina di tali istituti, della retribuzione di risultato di produttività, prevedendo-ne la destinazione al conseguimento degli obiettivi di miglioramento dell’efficienza edell’efficacia di attività ed azioni realistiche. Più in particolare perché si raggiunganotali obiettivi è necessario che il processo programmatorio, quello riferibile ovviamen-te al lavoro delle singole strutture, diventi uno degli aspetti fondamentali per laindividuazione di strategie di migliore organizzazione e di nuove metodologie di la-voro. È richiesto che il lavoro discenda da adeguati processi programmatori, che me-glio rispondono alle esigenze del buon andamento, in quanto solo attraverso la pro-grammazione può pervenirsi al controllo ed alla verifica dei risultati. Dovrà realizzar-si un effettivo processo di formazione di tutti gli operatori delle strutture per la co-struzione di un nuovo modello operativo che privilegi una organizzazione fondatasulla realizzazione di processi operativi ed obiettivi dedicati, sicuramente più avanza-ta ed efficiente rispetto a quella attualmente esistente. La dirigenza è chiamata adutilizzare tutti gli istituti previsti dalla contrattazione collettiva di lavoro che possanofavorire una spinta motivazionale del personale dipendente che dovrà sentirsi parteattiva ed integrata nel sistema “Azienda”. A tale scopo il Dirigente, anche attraversouna specifica scheda da sottoporre a ciascun operatore, dovrà misurare il grado disoddisfazione di quest’ultimo ad operare nella attività e/o servizio di assegnazione, alfine di meglio comprendere gli eventuali stati di disagio lavorativo. A questi ultimifini, particolare oggetto di valutazione del dirigente costituirà la capacità dimostratadallo stesso nel motivare, guidare e valutare i collaboratori e di generare un climaorganizzativo favorevole alla produttività attraverso una equilibrata assegnazione diadempimenti e di lavoro, oltre alla gestione degli istituti contrattuali, con particolareriferimento all’attribuzione di quote di trattamento accessorio per produttività.

Evitare in modo assoluto il ricorso alle proroghe contrattuali: ciascun diret-tore e/o dirigente responsabile è chiamato a porre in essere e realizzare tutti i pro-cedimenti necessari ad evitare proroghe di contratti di forniture di beni e pre-stazioni di servizi, di rispettiva competenza gestionale, oltre i tempi di scadenza.

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Pantaleo Greco, Luigi Nappi, Maria Matteo, Ugo Indraccolo, Piergiorgio Rosenberg

Il consorzio europeo per l’educazione sul cancro cervicaleProgetto europeo per l’educazione sul cancro cervicale*

di Pantaleo Greco, Luigi Nappi, Maria Matteo,Ugo Indraccolo, Piergiorgio Rosenberg

1. Introduzione

Nel 2000 veniva istituito dalla Commissione Europea il Consorzio Europeoper il Cancro Cervicale, al fine di intraprendere una valutazione costi/benefici deiprotocolli di screening del cervicocarcinoma basata sulle nuove tecnologie, quali lacitologia in fase liquida, i test per l’HPV (Human papilloma virus), le terapie antiviralie i vaccini per l’HPV.

Successivamente, il Consorzio ha istituito un secondo organismo: il Consor-zio Europeo per l’Educazione sul Cancro Cervicale (ECCCE), al fine di condurreun programma pan-europeo di educazione pubblica strutturato in modo da esseredi complemento alle sue attività di tipo accademico. Tale progetto, denominato“Cervical Cancer Public Education Programm” (CCPEd, EC contract n.QLG4-Ct-2001-30142), è stato interamente finanziato dalla Comunità Europea, sviluppa-to in due anni (inizio giugno 2002), a supporto di un altro programma di ricercaeuropeo già in fase avanzata di sviluppo: “Development of Mathematical Models ofNovel HPV-based Cervical Cancer Screening Protocols for Evaluation of the projectHealth and cost benefits”.

L’intenzione primaria del programma educativo è di informare il pubblico ingenerale, i medici, nonché gli amministratori pubblici responsabili delle scelte dipolitica sanitaria sulle cause del cancro cervicale e sulle nuove tecnologie che posso-no essere applicate per la prevenzione di questa malattia, portando alla fine ad unariduzione di questa patologia sia a livello nazionale che europeo.

2. Obiettivi del consorzio europeo per il cancro cervicale

I membri dell’ECCCE sono costituiti da ricercatori nel campo della preven-zione del cervicocarcinoma, della sanità pubblica e dell’HPV, i quali abbiano un

*(CCPEd, EC contract n.QLG4-Ct-2001-30142) (www.eccce.org)

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Il consorzio europeo per l’educazione sul cancro cervicale

interesse nel verificare che l’informazione generata dalla loro attività di ricerca siaappropriatamente interpretata e divulgata in modo da accrescere la consapevolezzadell’impatto di nuove tecnologie sulla prevenzione di questa malattia. L’ECCCEriconosce il valore di sforzi educativi professionali che siano coordinati ad un livel-lo europeo in modo da assicurare che l’informazione sia tradotta in una terminolo-gia appropriata per l’audience selezionata, che messaggi consistenti siano convo-gliati in tutta Europa e che tali messaggi siano trasmessi regolarmente a tutte le partiinteressate. È inoltre nell’interesse dell’ECCCE di assicurare che l’informazionesia divulgata in un modo accurato e responsabile, ciò che si può ottenere meglioattraverso un programma educativo coordinato utilizzando canali di comunicazio-ne prestabiliti e sicuri, che non siano accondiscendenti al sensazionalismo.

3. Funzioni del programma educativo (CCPEd program)

Si possono individuare sei funzioni primarie del programma educativodell’ECCCE:

1. Raccogliere informazioni rilevanti sullo screening, prevenzione o tratta-mento del cervicocarcinoma in Europa.

2. Riassumere e tradurre le informazioni in una terminologia appropriataper l’audience selezionata.

3. Acquisire una migliore comprensione delle esigenze informative dell’au-dience di destinazione, particolarmente le prospettive delle pazienti ri-guardo alla colpocitologia anormale ed al cancro cervicale.

4. Definire i messaggi di educazione sanitaria adatti all’audience di destina-zione.

5. Diffondere l’informazione a livello nazionale ed europeo.6. Supportare l’evoluzione strutturale attuale dei programmi di screening del

cervicocarcinoma esistenti senza sminuirne i benefici che hanno, a tutt’oggi,apportato.

Uno schema delle attività di prevenzione del cancro cervicale in Europa èriportato nella Figura 1.

Raccolta di Informazioni ImportantiIl programma educativo si avvale dei partner dell’ECCCE per la presenta-

zione dei risultati delle loro ricerche. Inoltre, i partner comunicano all’ECCCE irisultati raggiunti, in Europa e altrove, da altri gruppi di ricerca per includerlinelle pubblicazioni elaborate dal programma. Dato il ruolo preminente ricopertodai rappresentanti dell’ECCCE nell’ambito della comunità scientifica interna-zionale rivolta allo studio del cervicocarcinoma, costoro sono legittimati ad indi-viduare ricerche affidabili che possano essere importanti per la prevenzione e loscreening del cervicocarcinoma. Va precisato che il programma di formazioneviene divulgato alla comunità scientifica mondiale qualora vi sia la volontà di in-

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Pantaleo Greco, Luigi Nappi, Maria Matteo, Ugo Indraccolo, Piergiorgio Rosenberg

viare contributi o altre informazioni importanti direttamente all’ufficio respon-sabile del programma.

L’ECCCE, inoltre, fa affidamento sull’impegno che le organizzazioni com-merciali profondono nel contribuire a sostenere l’attività di prevenzione del cervi-cocarcinoma in Europa. Molte di queste compagnie stanno intraprendendo vastiprogrammi di ricerca sui loro prodotti, che potrebbero incidere marcatamente sul-l’evoluzione delle strategie di prevenzione del cervicocarcinoma. L’ECCCE cer-cherà di ottenere da queste organizzazioni commerciali le informazioni scientifichepiù aggiornate nell’intento, dopo il vaglio dei partner dell’ECCCE, di utilizzarne irisultati all’interno dei propri messaggi educativi.

Sintesi delle InformazioniTutti i risultati scientifici presentati al programma vengono valutati, innanzi-

tutto, sotto il profilo della loro affidabilità ed obiettività da parte dei partner del-l’ECCCE. In seguito, i risultati più affidabili sono sintetizzati e tradotti in una termi-nologia adatta all’audience. Tali sommari sono controllati dai membri dell’ECCCEper garantire che l’informazione sia accurata, e vengono visionati da rappresentantidell’audience stessa per garantire che la terminologia sia appropriata. Le versioni ap-provate sono poi tradotte nelle lingue dei Paesi destinatari e pubblicate.

Comprensione della prospettiva femminileL’ECCCE si avvale di suoi membri, di gruppi di pazienti, di associazioni

benefiche, ecc., per acquisire una conoscenza approfondita del livello di attenzioneprestato dalle donne nei confronti del cervicocarcinoma e delle loro reazioni inseguito a referti di citologia cervicale anormale, di infezione da HPV, o di cancrodel collo dell’utero. Tale informazione potrà, così, essere utilizzata per garantireche gli intenti perseguiti dal programma raggiungano effettivamente i bisogni co-noscitivi e le esigenze delle donne, principali destinatari del messaggio.

Definizione dei Messaggi di Educazione SanitariaL’ECCCE si avvale della competenza dei suoi membri, dei gruppi di pazienti

e delle società di beneficenza per definire un messaggio educativo appropriato adogni tipo di audience; messaggio che viene, poi, usato per sostenere tutte le comu-nicazioni e le pubblicazioni.

Diffusione dell’informazioneÈ estremamente importante che l’informazione distribuita dall’ECCCE sia

appropriatamente trattata e supporti gli obiettivi nazionali di salute pubblica. Per-tanto l’ECCCE si avvale dell’esperienza dei suoi membri al fine di identificare unoo due giornalisti in ogni Paese partecipante che abbiano dimostrato una solida com-prensione dei temi riguardanti il cancro cervicale in Europa. Lavorando assieme,l’ECCCE tenterà di instaurare una relazione a lungo termine per favorire una buo-

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Il consorzio europeo per l’educazione sul cancro cervicale

na divulgazione e una migliore comprensione dell’argomento. Inoltre, l’ECCCEstabilirà connessioni con gruppi di supporto dei pazienti neoplastici, associazionibenefiche contro il cancro, enti professionali medici, amministratori della sanitàpubblica e politici; organizzazioni e soggetti, questi, da porre sulla lista di distribu-zione come destinatari delle pubblicazioni del programma.

Infine, l’ECCCE ha costituito il sito web www.eccce.org, disponibile in 11lingue europee (Figura 2), che agisce quale risorsa centrale per il materiale informa-tivo prodotto e come punto centrale di comunicazione per tutte le parti interessatenella prevenzione del cervicocarcinoma. Gli elementi inclusi nel sito web sono:

1. Sommari di pubblicazioni di ricerche di rilevante interesse con i link perla versione integrale degli articoli (laddove sia acquisito il permesso daparte dell’editore).

2. Sommari di progetti di ricerca in corso sul cancro cervicale (epidemiologia,screening, prevenzione, terapia e vaccini).

3. Aggiornamenti sui programmi di prevenzione del cancro cervicale nelmondo.

4. Una raccolta di pubblicazioni dall’ECCCE disponibile per l’utenza.5. Un’area dedicata ai medici di base che contiene:- protocolli aggiornati sull’uso di nuove tecnologie di screening del cervi-

cocarcinoma, inclusi citologia in fase liquida e test per l’HPV;- una bacheca virtuale intesa a promuovere il dibattito sull’uso appropriato

di nuove tecnologie per lo screening/prevenzione del cancro cervicale.6. Un’area dedicata ad aggiornamenti sullo sviluppo di terapie per l’HPV

che contiene:- resoconti sui progressi di terapie sperimentali;- una bacheca virtuale intesa a promuovere il dibattito sull’uso appropriato

di terapie contro l’HPV.7. Un’area dedicata ad aggiornamenti sullo sviluppo di vaccini per l’HPV

contenente:- resoconti sui progressi di vaccini sperimentali;- una bacheca virtuale intesa a promuovere il dibattito sull’uso appropriato

di vaccini per l’HPV.8. Link per altri siti web di interesse rilevante.9. Link per modelli on-line di screening cervicale.

Risultati previstiIl programma educativo pubblico dell’ECCCE si propone di ottenere i se-

guenti risultati:1. Maggiore consapevolezza pubblica del ruolo dell’HPV nello sviluppo del

cancro cervicale.2. Maggiore comprensione pubblica dei potenziali benefici per la salute

derivanti dalle nuove tecnologie per lo screening del cancro cervicale,dalle terapie virali e dai vaccini per l’HPV.

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3. Maggiore comprensione da parte dei medici e delle rispettive associa-zioni professionali dell’uso clinico delle nuove tecnologie e prodotti perlo screening e la prevenzione del cervicocarcinoma.

4. Maggiore sensibilità dei soggetti responsabili della politica sanitaria delpotenziale beneficio per la salute pubblica derivante dall’uso di nuove tec-nologie e prodotti per lo screening e la prevenzione del cervicocarcinoma.

5. Assicurare che nuove tecnologie, terapie o strategie di prevenzione sianopienamente tenute in considerazione nell’istituzione di politiche discreening cervicale in Europa.

6. Supportare il completamento di pratiche più efficaci di prevenzione delcancro cervicale.

Le Figure 3-8 riportano gli opuscoli attualmente disponibili per le pazienti, sulsito del Consorzio Europeo per l’educazione sul Cancro Cervicale (www.eccce.org).

4. European cervical cancer association (ECCA)

I partner dell’ECCCE si sono riuniti due volte (28 febbraio e 24 ottobre2003) a Lione, dove è stata stabilita la sede attuale dell’ufficio centrale dell’ECCCE.In tali occasioni è stata proposta, ed è in fase avanzata di realizzazione, l’istituzionedella European Cervical Cancer Association (ECCA) con sede in Lione, emanazio-ne del consorzio, a cui affluiscono i partner e che si rivolge a tutti gli altri soggettiscientificamente coinvolti a livello europeo nel settore.

L’obiettivo dell’ECCA è quello di continuare a perseguire, ben oltre la duratadell’attuale progetto, la promozione e la diffusione dei progressi scientifici nell’ambitodella prevenzione, diagnosi e trattamento della neoplasia cervicale in tutta l’Europa.

5. Situazione globale sul cancro cervicale (www.eccce.org)

Dati essenziali1. Nel Mondo

• 2° più comune cancro nelle donne nel mondo.• 500.000 nuovi casi di cancro cervicale diagnosticati ogni anno 230.000 de-

cessi per anno.• in alcune regioni è il più comune cancro femminile, superando anche il

cancro della mammella.

2. In Europa

• 60.000 nuovi casi ogni anno.• quasi 30.000 decessi ogni anno.

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Incidenza (numero di nuovi casi per 100.000); Mortalità (numero di decessiper 100.000) - Fonte Globocan 2000.

3. In Italia

Italia Europa occidentale Tutta l’Europa

9.05 9.34 13.48

Mortalità 2.42 3.91 4.98

4. Screening / No screening

La significativa diminuzione del cancro cervicale osservata negli ultimi cin-quant’anni nei Paesi industrializzati è dovuta ai programmi di screening e ai pro-gressi nel trattamento degli stadi precoci della malattia.

Nel mondo, 80% dei cancri cervicali si presenta in regioni dove non c’èscreening.

• Finlandia (con un programma di screening organizzato dal 1965), 60% didiminuzione dei decessi per cancro cervicale.

• Gran Bretagna, 60% di diminuzione nei decessi per CC tra il 1987 ed il2000 quando fu introdotto lo screening organizzato.

• USA, 40% di diminuzione dei decessi per cancro cervicale dall’inizio de-gli anni ’70 con lo screening volontario.

Incidenza

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Nell’Europa dell’Est, con pochi programmi di screening efficaci, il numerodi casi annui di cancro cervicale è in alcuni Paesi fino a 10 volte più alto che nell’Eu-ropa Occidentale.

Legenda: in grigio chiaro: incidenza; in grigio scuro: mortalità

5. Successo del trattamento precoce

Approssimativamente il 95% dei trattamenti per malattia agli stadi inizialirisulta efficace.

Impatto socialeIl cancro cervicale ha un rilevante impatto sulla società:• La bassa età d’insorgenza (la più alta incidenza è tra 40 e 55 anni) significa

che la maggioranza dei casi si presenta quando molte donne hanno ancoraimpegni sia familiari che lavorativi.

• L’età media di insorgenza per il cancro cervicale è più bassa rispetto ad altreneoplasie e ne risulta che il numero totale di anni di vita persi è più alto.

Conseguentemente, l’impatto del cancro cervicale sulla società nel comples-so è notevolmente importante.

6. Cause del cancro cervicale (www.eccce.org)

Oggi molto si conosce sulle cause del cancro cervicale.

a) Un cancro di origine viraleHPV è presente in più del 99% dei casi di cancro cervicale.Sulla base di queste osservazioni, gli studiosi ora considerano questo virus

come una causa necessaria del cancro cervicale. HPV causa il cancro cervicale attra-verso la produzione di proteine virali che interferiscono con il normale funziona-mento delle cellule cervicali.

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Tuttavia, la maggioranza delle infezioni da HPV si risolvono spontaneamen-te senza alcun effetto. Le ragioni per le quali solo alcune infezioni progrediscononon sono attualmente note.

b) Diversi stadi di sviluppoSi ritiene che il cancro cervicale si sviluppi lentamente, con la comparsa del

carcinoma da 10 a 15 anni dopo l’infezione iniziale da HPV e solo se l’infezionepersiste durante tutto questo periodo di tempo.

Tutto, quindi, comincia con una infezione da HPV che l’organismo non rie-sce ad eliminare. Il virus allora causa delle alterazioni nelle cellule cervicali. All’ini-zio, queste alterazioni non sono gravi, ma col passare del tempo, cominciano a peg-giorare ed alla fine risultano nello sviluppo del cancro.

Dall’inizio della infezione da HPV sino a quando si sviluppa il cancro, le cellu-le cervicali attraversano un numero di stadi che possono essere riconosciuti comealterazioni cellulari su un Pap test. In rapporto al grado di anormalità ritrovato sullostriscio, la paziente sarà indirizzata ad un appropriato follow-up o trattamento.

Tuttavia, questo processo può essere bloccato se il sistema immunitario eli-mina il virus. In questo caso, qualsiasi alterazione ritorna alla normalità; condizio-ne confermata dal Pap test, se effettuato periodicamente e con regolarità, così comeconsigliato dai ginecologi.

c)http://www.ecccecervicalcancer.org/contents/B3_CauseOfCervicalCancer/index.asp?lang=it - top

Fattori di rischio addizionali

1. Fumo

Le donne che hanno una infezione da HPV e che fumano hanno una probabi-lità quasi doppia di sviluppare il cancro cervicale rispetto alle non fumatrici. Questorischio aumentato è causato da un effetto diretto di agenti chimici ritrovati nel fumo

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di sigaretta su certe cellule della cervice (cellule di Langherans) che fanno parte delsistema immunitario dell’organismo e che lo aiutano a respingere l’infezione da HPV.

Il fumo indebolisce queste cellule. Tuttavia, in donne che hanno smesso difumare, tali cellule sembrano ritornare alla normalità senza alcun trattamento.

2. Indebolimento del sistema immunitario

Le donne con un sistema immunitario indebolito non possono facilmenteliberarsi dell’infezione da HPV. Questo spiega perché il cancro cervicale è più co-mune in:

• donne con HIV e AIDS;• donne che assumono farmaci che deprimono il sistema immunitario, ad

esempio donne che hanno avuto un trapianto d’organo.

Una dieta povera può ugualmente essere un fattore di rischio, poiché nonsupporta i nutrienti necessari per mantenere il sistema immunitario forte e sano.

7. Notizie sull’HPV (www.eccce.org)

È oggi riconosciuto che l’HPV sia una causa necessaria del cancro cervicale.

a) HPV, un virus molto comune

HPV è un virus molto diffuso. La maggioranza degli uomini e delle donne han-no un’infezione da HPV in un qualche momento della vita. È usualmente trasmessodurante i rapporti sessuali ed il virus è così comune che contrarlo è considerata unanormale conseguenza dell’inizio dell’attività sessuale. Sicché è maggiormente comunein giovani uomini e giovani donne, che tendono ad essere più attivi sessualmente.

L’HPV può essere trovato ovunque nell’area genitale. Pertanto, il profilatticonon previene efficacemente l’infezione, benché possa ridurne il rischio.

Ci sono più di 130 tipi di HPV, raggruppati in 3 categorie primarie che infettano:• la cute e talora causano verruche.• l’area genitale associati allo sviluppo di conditomi.• l’area genitale associati allo sviluppo del cancro cervicale.

b) Infezione da HPV e cancro cervicale

L’infezione da tipi di HPV che possono portare al cancro cervicale non causanessun sintomo evidente e la maggior parte delle donne eliminerà il virus senzaneanche sapere di essere state infettate.

In un piccolo numero di casi il virus produrrà alterazioni delle cellule cervicalideterminando un Pap test anormale. In un numero ancora minore di casi, l’HPV

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persisterà ed eventualmente porterà al cancro cervicale. Tuttavia, si ritiene che ilcancro cervicale necessiti di molti anni per svilupparsi (10-15 anni) e che ciò avven-ga qualora l’organismo non elimini il virus durante tutto questo periodo. Poichél’infezione da HPV può persistere per molti anni senza alcun sintomo, non è possi-bile definire quando l’infezione sia stata contratta.

c) HPV nello screening cervicale

Dato che l’HPV è stato identificato come causa necessaria del cancro cervicale,testare la sua presenza potrebbe rappresentare un prezioso strumento di screeningdel cancro cervicale in donne oltre i 30 anni d’età (al di sotto di questa età l’infezio-ne è troppo comune perché il test abbia una utilità).

Un certo numero di studi ha dimostrato che, raffrontato alla citologia cervicale,il test dell’HPV ha:

• una più alta sensibilità (scopre più malattie clinicamente rilevanti).• un più alto valore predittivo negativo (dà maggiore garanzia che la malat-

tia non sia presente).Tuttavia, tale più alta sensibilità e il più alto valore predittivo negativo sono

accompagnati da una minore specificità ed un minore valore predittivo positivo.Stime preliminari indicano che il test dell’HPV potrebbe essere conveniente dalpunto di vista economico all’interno di un programma di screening. In molti paesieuropei si sta indagando se il test dell’HPV debba essere usato per lo screeningprimario, o in associazione con il Pap test o in sua sostituzione. Negli USA, il Paptest in combinazione con il test dell’HPV è oggi approvato per lo screening delcancro cervicale in donne sopra i 30 anni d’età.

d) HPV nel follow-up e nel trattamento

Oltre allo screening, ci sono molti altri usi del test dell’HPV in supporto aiprogrammi di prevenzione del cancro cervicale.

e) Per selezionare pazienti che necessitano o meno del trattamento

Una piccola ma importante proporzione di donne con un risultato di Paptest equivoco potrebbero avere delle alterazioni cellulari cervicali che dovrebberoessere trattate. Il test dell’HPV può aiutare ad identificare quali donne necessitinodi essere seguite o meno.

La ricerca negli USA ha definitivamente dimostrato che donne con Pap testequivoco:

• se HPV positive, sono a più alto rischio di avere una malattia cervicale cherichieda terapia e dovrebbero essere mandate ad uno specialista;

• se HPV negative, hanno una bassissima probabilità di avere un substratopatologico e possono essere seguite in modo conservativo. Molti paesiEuropei usano già il test dell’HPV in questo modo.

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f) Follow-up dopo trattamento

Il test dell’HPV potrebbe essere usato nel follow-up delle donne che sonostate trattate per precursori del cancro cervicale o anormalità del Pap test al finedi valutare il successo del trattamento.

Di nuovo:• un test dell’HPV negativo fornisce un alto grado di sicurezza che il tratta-

mento abbia con successo rimosso la malattia;• un test positivo indica che un follow-up più ravvicinato sia la scelta più

sicura.

g) HPV e vaccinazione

L’origine virale del cancro cervicale suggerisce anche la possibilità di fare unavaccinazione:

• per prevenire l’infezione (vaccino profilattico) in prima istanza;• oppure come immunoterapia una volta che l’infezione sia già instaurata

(vaccino immunoterapeutico).Una grande mole di ricerca è in corso sui vaccini per l’HPV.I risultati preliminari dei vaccini profilattici sono estremamente incoraggianti. Se

fossero confermati in studi clinici successivi, la prospettiva di una vaccinazione di massaper prevenire il cancro cervicale potrebbe diventare una realtà in un ragionevole futuro.Al contrario, i risultati dei vaccini terapeutici a tutt’oggi sono stati deludenti.

8. Prevenzione del cancro cervicale (www.eccce.org)

La prevenzione del cancro cervicale si basa su efficaci programmi di screeningcombinati con il trattamento di ogni alterazione cervicale significativa identificata.Tuttavia, per essere efficace, la prevenzione del cancro cervicale deve essere parte diuna più complessiva politica sanitaria con una forte componente educativa al fine dicreare una consapevolezza tra le donne della malattia e dei benefici dello screening.

Tecniche di screening

1. Pap test (striscio cervicale)

Storicamente, il primo metodo di screening del cancro cervicale, la tecnicadello striscio di Papanicoalou, si basa su un esame al microscopio delle cellule cervicaliprelevate con la tecnica dello striscio cervicale.

Inventato da Georges Papanicolaou, questo metodo consente l’identificazionedi alterazioni cellulari che indicano il possibile sviluppo di un cancro cervicale. Il suouso nello screening ha portato ad una significativa diminuzione del numero di casi di

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cancro cervicale, laddove questi programmi siano stati efficacemente applicati.Tuttavia, il Pap test fu inventato più di 50 anni fa. Negli ultimi 10-15 anni, le

nostre conoscenze sul cancro cervicale e sulle sue cause sono progredite e oggi siritiene che l’efficacia dello screening potrebbe essere migliorata attraverso l’appli-cazione di tecnologie più nuove.

2. Test dell’HPV

La ricerca scientifica dimostra che il test dell’HPV potrebbe fornire tre diffe-renti tipi di benefici:

• più alta sensibilità nell’identificazione più precoce della malattia, mentreè ad uno stadio più facilmente curabile;

• più lungo periodo tra una visita di screening e l’altra, forse 5 anni o più;• riduzione del costo dello screening in modo da indirizzare fondi su altre

priorità sanitarie;Il test dell’HPV è oggetto di numerose ricerche e studi clinici in molti paesi

Europei. Se i risultati di questi studi confermano la sua utilità, il test dell’HPV saràparte integrante dei programmi di screening cervicale. Nel frattempo, lo screeningbasato sul Pap test fornisce la migliore protezione disponibile contro il cancrocervicale.

Trattamenti precoci di prevenzione

1. Trattamento precoce per prevenire lo sviluppo del cancro

Un risultato di Pap test anormale indica che vi è un rischio aumentato dipoter sviluppare un cancro cervicale, ma una gestione efficace può pressoché eli-minare questo rischio. Queste modificazioni spesso scompaiono da sole e un trat-tamento spesso non è necessario. Quando il Pap test è anomalo è indicata l’esecu-zione di un esame più ravvicinato della cervice, chiamato colposcopia, per deciderese è richiesto un trattamento e quale sia il trattamento più adeguato.

Se una qualsiasi anomalia è evidenziata sulla cervice uterina in corso dicolposcopia, un piccolo campione di tessuto (biopsia o curettage endocervicale)può essere prelevato. Il risultato della biopsia o del curettage aiuterà a migliorarel’accuratezza della diagnosi.

Se la presenza di anormalità delle cellule cervicali è confermata, può essereindicato un trattamento per rimuoverle e prevenire la loro evoluzione. Trattamentiprecoci sono altamente efficaci e la grande maggioranza delle donne trattate nonavrà ulteriori problemi. Generalmente, tali trattamenti non intaccano la capacità diprocreare della donna.

Il trattamento sarà tanto più efficace, quanto sarà precoce. Questo spiegaperché è importante seguire strettamente le raccomandazione del vostro medico.

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Pantaleo Greco, Luigi Nappi, Maria Matteo, Ugo Indraccolo, Piergiorgio Rosenberg

Molte tecniche possono essere usate per il trattamento. Tutte sono ugual-mente efficaci quando scelte con appropriatezza.

2. Opzioni di trattamento

• LEEP, LLETZ o ansa diatermicaQuesto è il trattamento più comune e più semplice usato oggi. Questa proce-

dura utilizza una piccola ansa di metallo che è riscaldata dal passaggio della corren-te elettrica e quindi usata per rimuovere il tessuto anormale. La procedura puòessere praticata in ambulatorio, prende solo pochi minuti ed è effettuata con ane-stesia locale per cui non dà dolore.

• CriochirurgiaDurante questa procedura, una piccola sonda di metallo raffreddata al di sotto

della temperatura di congelamento è utilizzata per congelare le cellule anormali. Taleprocedura può anche essere eseguita in ambulatorio è non causa quasi nessun fastidio.

• Vaporizzazione laserQuesto metodo usa un raggio laser per riscaldare le cellule anormali in modo

che evaporino. Ciò è eseguito con anestesia locale e perciò non fa male (http://www.eccce-cervical-cancer.org/contents/B5_Prevention/index.asp?lang=it - top).

• ConizzazioneQuesto termine si riferisce alla rimozione delle cellule anormali con il taglio

dalla cervice di un pezzo di tessuto a forma di cono. Ciò può essere fatto usandol’ansa diatermica il laser o un bisturi speciale.

3. Dopo il trattamento

Dopo il trattamento, ci si può aspettare un certo sanguinamento e perdite percirca 3-4 settimane. In questo periodo:

• usare assorbenti, non tamponi interni• evitare esercizio fisico eccessivo• non avere rapporti sessuali finché il sanguinamento non sia completamente

cessato e poi usare il profilattico per un altro mese mentre la zona è incorso di guarigione.

Questi trattamenti hanno usualmente un alto tasso di successo e la maggio-ranza delle donne non avranno più ulteriori problemi. Tuttavia, un piccolo numerodi donne continuerà ad avere Pap test anormali e potrebbe richiedere un altro trat-tamento. In tali circostanza è bene sottoporsi a regolari visite di controllo ginecolo-gico sino a quando il vostro medico non vi dirà che non sono più necessarie. Dopodi ciò, potrete continuare il vostro screening periodico normale.

La maggior parte delle donne che richiede trattamento per alterazioni cellulari

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cervicali avrà avuto un’infezione da HPV. Usualmente, il virus scompare dopo iltrattamento. Nuove ricerche hanno mostrato che se l’HPV è ancora presente dopoalcuni mesi dal trattamento, un ulteriore trattamento potrebbe essere necessario.Nel futuro, perciò, il test dell’HPV potrebbe essere usato per il follow-up delledonne dopo che siano state trattate.

4. Il vaccino - Nuova speranza per il futuro

Vaccini per prevenire l’infezione da HPV (vaccini profilattici) sono oggi og-getto di numerosi studi clinici in larga scala. I risultati preliminari indicano chesono molto efficaci contro i tipi di HPV presenti nel vaccino. Correntemente, lavarietà di tipi presenti è limitata e necessita di un ampliamento al fine di dare unaprotezione efficace. Se questi studi preliminari saranno confermati da ulteriori stu-di clinici, la prospettiva di vaccinazioni di massa per prevenire il cancro cervicalepotrebbe divenire una realtà in un ragionevole futuro.

Al momento, i dati della ricerca indicano che un vaccino per prevenire l’in-fezione da HPV per essere efficace deve essere somministrato alla popolazioneprima che sia esposta al virus. Nella maggior parte delle società europee, questopuò essere fatto in modo affidabile solo con una vaccinazione di preadolescenti eil pensiero corrente è che i programmi di vaccinazione dovrebbero essere indiriz-zati a ragazze di 11-12 anni e possibilmente anche ai ragazzi. Se ciò fosse confer-mato, i vaccini profilattici non potranno fornire protezione agli adulti che sianostati esposti all’HPV.

Ciò significa che lo screening cervicale rimarrà il miglior metodo di protezio-ne contro il cancro cervicale per le donne adulte, sebbene i nostri figli o nipotisaranno vaccinati e potranno non necessitarne più.

Figura 1. Pratiche di prevenzione del cancro cervicale più efficaci in tutta Europa(www.eccce.org).

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Figura 2. Home page del sito web dell’ECCCE (www.eccce.org).

Figura 3. Questo opuscolo riassume le conoscenze attuali sul cancro cervicale e spiega comeuna semplice iniziativa, lo striscio cervicale di screening, possa aiutare ad evitare questamalattia e salvare vite umane (www.eccce.org).

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Figura 4. Lo screening cervicale è un modo semplice per evitare il cancrocervicale. Questo opuscolo risponde a dubbi che ogni donna potrebbe averesullo screening cervicale: perché essere sottoposte a screening, quando e comevenga fatto lo screening, chi dovrebbe andarci, ecc… (www.eccce.org).

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Figura 5. Il cancro cervicale è causato da certi virus del gruppo HPV. Questoopuscolo riassume le conoscenze attuali sul ruolo dell’HPV nello sviluppo di questocancro e spiega come il test per l’HPV possa essere usato per migliorare lo screeninged il follow-up delle pazienti. Si discute anche del ruolo potenziale di un futurovaccino contro l’HPV nel prevenire il cancro cervicale. (www.eccce.org).

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Figura 6. Alterazioni minori sullo striscio cervicale sono quelle modificazioniche non rappresentano ancora uno stadio precanceroso o canceroso, mapotrebbero progredire in tale direzione. Questo opuscolo spiega cosa significhiper un esito del genere e riassume cosa sia necessario fare per minimizzare ilrischio di sviluppare il cancro cervicale (www.eccce.org).

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Pantaleo Greco, Luigi Nappi, Maria Matteo, Ugo Indraccolo, Piergiorgio Rosenberg

Figura 7. Ci sono molti possibili esiti anormali della citologia cervicale.Questo opuscolo spiega i termini medici usati dai professionisti sanitari,cosa significano, cosa bisogna fare per minimizzare il rischio di sviluppareil cancro cervicale (www.eccce.org).

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Figura 8. Se si ha un esito anormale dello striscio, è opportuno essere seguitida un ginecologo. In alcuni casi il ginecologo potrebbe decidere che sianecessario un trattamento per ridurre il rischio di sviluppare il cancro cervicale.Questo opuscolo descrive i vari trattamenti che possono essere usati(www.eccce.org).

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Costanzo Natale

I progressi della chirurgia negli ultimi quarant’annidi Costanzo Natale

1. Evoluzione storica

Quarant’anni di chirurgia sono un breve arco di tempo, un piccolo periodostorico.

Ma per chi lo ha vissuto intensamente, per chi ha contribuito ad aggiungeretessera su tessera, giorno dopo giorno, questo piccolo periodo storico rappresental’essenza di una vita, qualcosa per cui si possa dire che è valso la pena di vivere.

Tante cose sono cambiate da quando, oltre quarant’ anni fa, sono entrato perla prima volta in una sala operatoria, timido e compunto, come quando si entra inun tempio durante una cerimonia solenne. Era quello che ancora oggi io definisco iltempio antico, nel quale si apprezzava un’atmosfera quasi religiosa, in cui i gestierano solenni e si respirava un’aria come di mistero, di suspence, di santità.

Sulla parete bianca, al lato della camera operatoria, era scritto “Silentium”, inlatino, perché si potesse sottolineare l’importanza di ciò che si stava facendo all’interno.

Il rito operatorio cominciava con il lavaggio delle mani con acqua e sapone epoi con la disinfezione mediante immersione in una bacinella contenente alcool perun tempo che era inversamente proporzionale alla esperienza dell’operatore. Oggisi usa l’esaclorofene e i tempi si sono molto ridotti.

Le sale operatorie erano rigorosamente bianche, e bianchi erano i camici, iguanti di cotone, le maschere tipo odalisca, i teli per coprire il paziente. La salaoperatoria di quarant’anni fa aveva un odore particolare, che talvolta mi sembra dirisentire, e che non so dire se fosse di acido fenico o di lisoformio o di formolo.

L’arredo, estremamente spartano, era rappresentato da un tavolo operatorio,dal tavolo della suora ferrista, dalla lampada scialitica sospesa ma più spesso a stativo,dai cestelli della biancheria in un angolo; solo più tardi entrò l’elettrobisturi, guar-dato con occhio sospetto e usato con titubanza.

Gli attori di quel teatro erano: il chirurgo, l’aiuto, l’assistente, la suora ferristae la suora anestesista che somministrava al paziente etere solforico o cloroformioattraverso la maschera di Esmark.

In questo tempio celebrava una sola persona, il chirurgo (assistito da 2-3persone): personaggio straordinario, dotato di capacità eccezionali, chiamato da unvolere superiore ad una grande missione. Egli era capace di grande intuito diagno-stico con scarse indagini strumentali; con pochi ferri e con una anestesia artigianale

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I progressi della chirurgia negli ultimi quarant’anni

doveva affrontare grandi temi chirurgici, con la coscienza di intraprendere una av-ventura incerta, spesso fatale.

Il primo grande progresso fu l’avvento dell’anestesia con la scoperta deibarbiturici: nacque la figura dell’anestesista che oggi si avvale di farmaci moderni,di apparecchi di anestesia sofisticati con respiratori, e di un assistente di anestesia.

Maggiori strumenti diagnostici contribuirono a rendere più sicura la chirurgia.Nell’ospedale di via Arpi l’ambiente chirurgico non era molto diverso, eppu-

re in quella sala operatoria, alla fine degli anni ’60, cominciammo a porre le basi peril futuro sviluppo.

Ormai i tempi erano maturi per fare il passo di qualità e ciò coincise con iltrasferimento del nostro Ospedale nell’attuale sede di viale Pinto, il 16 settembre1969. Qui ci accolse uno splendido reparto operatorio con due nuove sale costruitecon criteri moderni e dotate di apparecchiature all’altezza dei tempi.

Eravamo agli inizi degli anni ’70 e da poco era stato realizzato da ChristianBarnard il primo trapianto di cuore.

Le sale operatorie cominciarono ad affollarsi: all’equipaggio chirurgico siaggiunse quello anestesiologico e, dove si eseguiva la cardiochirurgia, il gruppodella macchina cuore-polmoni, con cardiologi, tecnici, infermieri circolanti. Io stesso,che a quell’epoca mi ero dedicato prevalentemente alla chirurgia toraco-polmonaredopo un lungo staging a Zurigo, cominciai ad impiantare i pace-maker cardiaci.Portai perciò in sala operatoria un apparecchio radiologico preso in prestito daOrtopedia, monitor, defibrillatori e cardiologi.

Il vecchio tempio si era trasformato in una fabbrica frenetica dove operavanoin parallelo equipaggi multipli che si muovevano, parlavano, esigevano.

Gli stessi strumenti chirurgici diventarono più numerosi e di varia tipologia.Furono introdotte le suturatici meccaniche e le protesi vascolari.

Nel tempo la tecnologia è progredita e nelle sale operatorie, oltre all’elettro-bisturi, sono entrati il bisturi ad ultrasuoni, gli strumenti per la coagulazione adargon e quelli a radiofrequenza.

I dispositivi per l’anestesia sono diventati macchine complesse con monitorche consentono di visualizzare minuto per minuto tutti i parametri vitali.

Sofisticati apparecchi radiologici ed ecografi entrano spesso nelle nostre saleoperatorie per ulteriori esigenze diagnostiche intraoperatorie, specie in corso diinterventi sulle vie biliari, sul fegato, sul pancreas e in chirurgia vascolare.

Se un chirurgo di quarant’anni fa entrasse oggi in una delle nostre sale opera-torie non saprebbe più dove mettere i piedi.

Lo sviluppo della tecnologia ha consentito un progresso notevole in tutti icampi della chirurgia. Ormai ogni paziente può essere studiato dettagliatamente ela maggior parte degli interventi è standardizzata, ogni atto è previsto, ogni perico-lo può essere scongiurato.

Nella moderna chirurgia, non vi sono più spazi preclusi, né età impossibili.Gli anni ’80 sono stati caratterizzati dal progresso delle tecnologie diagnostiche:

endoscopia, tomografia computerizzata, angiografia digitale, ecografia.

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Costanzo Natale

In questo decennio raggiungono il massimo sviluppo i trapianti di organo.La tecnologia diagnostica e operatoria, con la standardizzazione degli inter-

venti, ha consentito la realizzazione di filmati di interventi chirurgici per fini didat-tici. Ciò ha portato alla demitizzazione della chirurgia: ciò che un tempo era quasiun segreto nel chiuso della sala operatoria, oggi viene portato fuori e messo a dispo-sizione di tutti.

Negli anni ’90 abbiamo assistito alla crescita dell’endoscopia che da diagno-stica è diventata anche operativa consentendo di evitare alcuni interventi chirurgici,ed alla nascita della laparoscopia.

Quest’ultima è una metodica che consente di guardare nella cavità addominaleintroducendo in essa un’ottica che, per mezzo di una telecamera, trasmette le im-magini su un monitor. La introduzione di sofisticati strumenti chirurgici, attraver-so piccole incisioni, ha reso così possibile eseguire molti interventi chirurgici senzaaprire l’addome.

Questa metodica, che noi abbiamo introdotto nel nostro servizio nel 1991, ciha consentito di eseguire numerosi interventi laparoscopici sulle vie biliari, sul giuntocardio-esofageo (specie per il reflusso gastro-esofageo), sul colon e sul retto (ancheper neoplasie maligne), sulla milza, sul surrene.

A Foggia in particolare, in questo arco di tempo, siamo passati da via Arpi adun moderno complesso ospedaliero con uno sviluppo della chirurgia a buon livellonazionale, con la insistenza della Facoltà di Medicina e Chirurgia, con ventisei scuoledi specializzazione fra cui quella in Chirurgia Generale.

Un’oculata gestione delle strutture edilizie, con la costruzione di un nuovoplesso assistenziale e con la realizzazione della sede del triennio biologico dellaFacoltà di Medicina, potrà assicurare la nascita di una cittadella Ospedaliero-Uni-versitaria con un unico recinto e con ingresso monumentale su viale Pinto.

2. Dove va la chirurgia?

L’eccessivo sviluppo della tecnologia ha contribuito a demitizzare la figuradel chirurgo?

In verità oggi una più profonda valutazione del paziente consente una mi-gliore programmazione dell’intervento che risulta quasi sempre più standardizza-to. Il chirurgo di oggi è sicuramente un uomo più eclettico che deve essere in gradodi affrontare le procedure tradizionali accanto a quelle più innovative quali le pro-cedure incruente della chirurgia vascolare e quelle mini-invasive della endoscopia edella laparoscopia.

Dal 1850 al 1885 la vecchia chirurgia, povera e incerta, da mestiere è diventa-ta arte grazie alla scoperta dell’antisepsi e dell’asepsi, con risultati prodigiosi e stra-ordinari.

Nel secolo successivo, di conquista in conquista, una chirurgia ormai matu-ra, grazie all’audacia dei chirurghi non ha avuto più spazi preclusi né età impossibi-

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I progressi della chirurgia negli ultimi quarant’anni

li. Essa è passata dal ruolo di chirurgia infetta alle più audaci demolizioni, alle piùardite ricostruzioni, al trapianto.

Il progresso più recente ha portato ai prodigi della chirurgia teleguidata edella miniaturizzazione con la microchirurgia. Parallelamente i biologi, entrandonell’infinitamente piccolo, sono giunti alla manipolazione genetica.

Ma dove va oggi la chirurgia? E quali sono le sue prospettive per il futuro?Nell’evoluzione della medicina certamente alcune indicazioni chirurgiche si

contraggono come, ad esempio, gli interventi per l’ulcera gastro-duodenale confi-nati ormai solo alle complicanze della malattia; ma altre si dilatano.

In cardiochirurgia si riducono le sostituzioni valvolari per una maggiore pre-venzione e un migliore trattamento del reumatismo articolare acuto; altresì si ridu-cono i by-pass coronarici per una diagnosi più precoce delle stenosi coronaricheche si avvalgono sempre più della angioplastica.

Analogamente, in chirurgia vascolare le rivascolarizzazioni tradizionali si sonoridimensionate a favore delle angioplastiche e della chirurgia endovascolare.

Il prolungamento dell’età media della vita porterà sempre più ad un aumentodi incidenza dei tumori e delle malattie degenerative.

I primi rappresentano il grande spettro del momento e sinceramente tuttisperiamo in un prossimo maggiore apporto della biologia molecolare per migliora-re lo standard di guarigioni.

Le malattie degenerative rappresentano il grande campo di studio e di appli-cazione della chirurgia del domani, soprattutto attraverso lo sviluppo della chirur-gia dei trapianti.

Ma quali prospettive possono avere i trapianti di organo se il donatore deveessere un omologo cadavere vivente?

Vera pietra miliare nella storia della biologia e della chirurgia è stato il tra-pianto di fegato di babbuino eseguito da Starzl nel 1992 (il paziente è decedutodopo 60 giorni per sepsi da citomegalovirus).

Le vere prospettive, il luminoso domani della chirurgia possono derivare dallaetrocompatibilità (attraverso i tentativi della ingegneria genetica di creare celluleantirigetto) e dalla possibilità di realizzare organi con la utilizzazione di cellulestaminali.

3. Arte e Chirurgia

Certamente la Medicina (disciplina più antica) ha creato più occasioni di ispi-razione artistica attraverso il pathos, l’ansia, la sofferenza, la cura. Deve passare piùtempo perché il dolore, l’attesa, l’incertezza, la speranza rappresentassero validacornice di opera d’arte per la Chirurgia (disciplina giovanissima). È classica l’operache raffigura Theodor Billroth mentre opera nell’Auditorium dell’AllgemeineKraukenhaus a Vienna nel 1889.

Momenti di arte sono l’eloquenza delle mani del chirurgo che si esprimono

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sempre in silenzio. Stile e tecnica trovano spesso nelle mani il loro punto di miglio-re incontro. In chirurgia, dove non arriva la luce arrivano le mani supportate dalcuore e dalla mente. Mente, cuore e mani fanno di un chirurgo un uomo-chirurgo;mente e mani fanno di un chirurgo un buon professionista. Le mani del chirurgosono le messaggere operative di un pensiero che è la somma di coscienza, conoscen-za e dottrina. L’anagrafe delle mani di un chirurgo non sempre va di pari passo conl’anagrafe della sua vita. E quelle mani continuano ad interpretare lo stesso ruoloanche nella moderna chirurgia attraverso la robotica e la chirurgia teleguidata.

Ma il rapporto tra il chirurgo e un traumatizzato è un rapporto inconscio eda questo rapporto deriva la chirurgia così come deriva l’arte, sfera candida e vergi-ne delle emozioni.

Gian Battista Vico sostiene che “i primi popoli furono i fanciulli del genereumano e fondarono dapprima il mondo delle arti; poscia i filosofi che vennero lun-ga età appresso e in conseguenza i vecchi delle nazioni fondarono quello delle scienze,onde fu affatto compiuta l’Umanità”.1

La visione religiosa dell’arte trova certamente un parallelismo nell’azione delchirurgo, fatta di solennità dei gesti, di grazia delle manovre, di finalità dell’opera.

I tempi di un atto operatorio possono richiedere: manualità di artista, tocchidi ricamo, carezza di un pennello.

Talvolta il gesto eroico che sa di violento, viene eseguito con misura ed equi-librio, proprio come il colpo di mazza di uno scultore.

Alla fase cruenta della demolizione, segue il momento della ricostruzionedove l’opera del chirurgo assurge ad espressione artistica, dove deve inventare lemodalità della riparazione e, con gesti misurati, conseguire il ripristino più vicinodello status della forma e della funzione.

Innumerevoli sono le proposte e le realizzazioni, dall’estetica alla funzione.Mi piace solo ricordare lo splendido Atlante di Chirurgia di Valdoni (mirabilmentedisegnato da Fornasari), sfogliando il quale ho pensato alla possibilità di realizzareuna storia dell’arte della Chirurgia.

Il progresso ci ha certamente abituati ai prodigi, ma ancora oggi è concepibileuna chirurgia senza un rapporto fra malato e chirurgo, senza una carezza fra opera-tore e paziente?

La professione del chirurgo non è un mestiere, ma un’arte che va dal senti-mento all’estetica.

Alla mia età sento ancora il fascino assolutizzante di quest’arte, nel cui cultoho vissuto. Non ne ho mai sentito il peso ma soltanto, talvolta, la fisiologica fati-ca…

Tempora mutant et in illis mutant animi nostri. Non incontriamo più le vec-chie suore senza orologi e senza stipendi, ideale superiore, abnegazione superiorealla nostra.

1 Giambattista VICO, Autobiografia. Poesie. Scienza nuova, a cura di Pasquale Soccio, Milano, Garzanti,1983 (I grandi libri Garzanti).

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I progressi della chirurgia negli ultimi quarant’anni

I chirurgi del passato erano forse burberi, prepotenti, superbi, ma… nellaloro anima, erano piccoli, poveri, grandi uomini; spesso tristi e isolati a consumarenel silenzio il dolore di numerosi insuccessi.

E il chirurgo di oggi? È un uomo umanamente ridimensionato e tecnologica-mente enfatizzato. Ma è ancora un piccolo essere, dotato da Dio di notevole resi-stenza fisica, perché le sue mani non hanno diritto di tremare.

Ma dietro quelle mani che mai tremano, c’è un cuore che trema, c’è un cuoreche ama.

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Chirurgia pediatrica a serviziodel bambino e dei suoi genitori

di Maria Nobili

La nostra Struttura Complessa a direzione ospedaliera, diretta dal dott. Fran-cesco Marinaccio, è attiva ormai da un ventennio. Nel corso di questi anni ha subìtoun sempre più crescente processo evolutivo. Il raggio di azione della struttura ab-braccia un vasto bacino d’utenza provinciale, regionale ed extraregionale.

Presso la nostra struttura è possibile eseguire la correzione chirurgica di mal-formazioni neonatali, grazie alla sinergia con diverse figure di riferimento che van-no dal ginecologo, al chirurgo pediatrico, al neonatologo.

Il chirurgo prende in carico, già durante la gravidanza, il bambino, seguendola sua malattia in utero, instaurando un rapporto di fiducia con i genitori che affide-ranno il neonato al chirurgo, in alcune patologie, già dopo poche ore dal parto.Abbiamo infatti corretto circa 30 atresie dell’esofago (malformazione non moltofrequente, in cui l’esofago non si sviluppa completamente e spesso si associa adun’anomala comunicazione con la trachea). Abbiamo ricostruito 25 ernie diafram-matiche (assenza completa di una parte di diaframma con risalita in torace dell’inte-stino). Abbiamo inoltre corretto numerosi difetti della parete addominale, malfor-mazioni intestinali rare, interventi di salvataggio in emergenza in neonati di pesomolto basso, 700 gr., affetti da enterocolite necrotizzante (NEC) o occlusione inte-stinale, in altri tempi condannati.

Lavorando in stretta collaborazione con la terapia intensiva neonatale, ab-biamo raggiunto traguardi ragguardevoli, garantendo ai piccoli, ed ai genitori, laqualità che troppo spesso si cerca altrove, con immani disagi e viaggi della speranza.

Noi, da sempre, ci occupiamo dei bambini fino ai 16 anni, garantiamo la curadi patologie chirurgiche sia in elezione che in urgenza, oltre il 30% della nostraattività si occupa di bambini affetti da patologie acute e traumatiche. Eseguiamoendoscopie digestive ed urinarie, ed interventi in laparoscopia con degenza breveed ottimi risultati estetici e funzionali.

Accanto alla qualificata attività chirurgica, il nostro reparto offre un ottimocomfort alberghiero; inoltre è dotato di spazi per attività ludiche e ricreative.

Il punto di forza maggiore è, però, il rapporto costante che si crea tra glioperatori ed i pazienti. La disponibilità dei medici e del personale rende anche lesituazioni più difficili, sopportabili, ed anche l’accettazione della malattia da partedi genitori, parenti ed amici, rende il bambino più sereno e “paziente”.

Maria Nobili

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Giuseppe Rinaldi

Nascere troppo presto oggi.La realtà di Foggia

di Giuseppe Rinaldi

In questi ultimi anni è cambiata molto la storia della medicina perinatale: sisono ampliate le conoscenze e sono migliorate le tecniche di assistenza ai neonatipiccolissimi, permettendo così la sopravvivenza anche a quei neonati che la leggeitaliana considera prodotto abortivo.

Il reparto di Terapia Intensiva Neonatale di Foggia (UTIN) si prende cura inparticolare, infatti, del neonato piccolissimo nato pretermine, condizione ormaiabbastanza frequente nei paesi industrializzati dove si sono modificate le abitudinidi vita e di lavoro, è cambiata la società in cui domina lo stress e tutto ciò che puòpredisporre ad un maggior rischio di parto pretermine.

Almeno un terzo delle nascite pretermine rimane senza una causa conosciu-ta, altre volte questa è attribuibile a patologia materna o prettamente ostetrica, altreall’età materna, alla classe sociale o alla situazione psicologica che si ha alle spalle.Anche il ricorso sempre più frequente alle tecniche di procreazione assistita portaspesso al concepimento di neonati prematuri, spesso frutto di gravidanze gemellarimultiple.

La sopravvivenza di tali neonati è strettamente correlata all’età gestazionalee, in secondo luogo, al peso alla nascita. Infatti è dimostrato largamente che per unastessa età gestazionale la prognosi è migliore per i neonati con peso alla nascitamaggiore e, invece, nel caso di neonati con peso identico alla nascita, la prognosi èmigliore per quelli con età gestazionale più alta, con ridotta mortalità e minor ri-schio di outcomes neurologici.

Si discute frequentemente, specie in questi ultimi tempi, sul limite di vivibilitàche pare corrisponda ad una età gestazionale uguale o maggiore di 24 settimane econ peso alla nascita uguale o maggiore di 500 gr., anche se sporadicamente in lette-ratura sono segnalati casi che oltrepassano questi limiti.

Nel nostro reparto negli ultimi anni è ulteriormente migliorata l’assistenza alneonato piccolissimo, grazie soprattutto ai progressi effettuati nella fisiopatologiarespiratoria e cardiocircolatoria, alle nuove ed evolute tecniche di ventilazione arti-ficiale, come la ventilazione sincronizzata e la ventilazione ad alta frequenza, e al-l’uso di Surfattante (sostanza prodotta da alcune cellule polmonari), responsabiledella maturità e della elasticità polmonare, fondamentale per la respirazioneneonatale.

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Nascere troppo presto oggi. La realtà di Foggia

Inoltre la nostra attenzione è rivolta anche ai nati a rischio, nati con infezionipre e postnatali, in quanto il nostro centro fa parte del Gruppo di Studio delleInfezioni Ospedaliere, coordinato dall’Istituto Superiore di Sanità.

Anche la nascita di un bambino con cardiopatia congenita può sconvolgerel’equilibrio familiare, per cui siamo in grado di effettuare valutazioni in tempo realecon videoregistrazione e videocollegamento con la Cardiochirurgia e Cardiologiadel Policlinico di Bari.

Considerando poi l’importanza che oggi assume sempre più la diagnosi pre-coce per la prevenzione di eventuali patologie, è possibile già da parecchi anni effet-tuare presso la nostra UTIN esami di screening ecografici, come l’ecografia delleanche per la diagnosi precoce di displasia delle anche, e l’ecografia renale per lostudio delle vie urinarie ed il riconoscimento di uropatie malformative, che sarannopoi seguite in un programma di follow-up sempre presso il nostro centro.

Se è vero che per i neonati piccolissimi è aumentata la sopravvivenza, è purvero che va rivolta molta attenzione alle patologie a breve e a lungo termine a cuipotranno andare incontro. A breve termine entrano in gioco diversi fattori di ri-schio legati alla prematurità stessa, quali l’asfissia perinatale, l’ipotermia, il distressrespiratorio, l’enterite necrotizzante, le infezioni, la broncodisplasia e le gravi le-sioni cerebrali come l’emorragia cerebrale e la leucomalacia. In questi ultimi casil’ecografia cerebrale, eseguita direttamente al letto del paziente, ci permette di farediagnosi precoce e di seguirne l’evoluzione nel tempo.

Se invece ci riferiamo alla qualità della vita futura dei piccolissimi, il proble-ma diventa più complesso perché riguarda sia la loro crescita staturo-ponderale sialo sviluppo psicomotorio, oltre alla considerazione delle sequele iatrogene rappre-sentate da cicatrici, aggressioni acustiche e visive e ambientali responsabili nel tem-po, a volte, dell’alterazione del ritmo sonno-veglia o di altri disturbi di adattamentoe comportamento.

Il destino di questi neonati a rischio viene seguito con controlli seriati divalutazione sia del danno cerebrale, avvalendoci di esami strumentali ecografici, siadell’indice di intelligenza che, tramite controlli di test psicometrici programmatinel nostro ambulatorio, vengono svolti dalla nostra equipe formata dai medici edalla psicologa che, già durante la degenza in reparto, si erano dedicati alla loroassistenza.

Negli ultimi anni i neonati ricoverati presso il nostro centro vengono nutriticon latte materno che sappiamo essere fondamentale per la loro crescita, permet-tendo così di rinforzare quel legame madre-bambino che col parto prematuro sem-bra spezzarsi bruscamente, ridando così serenità ed equilibrio al sistema neurove-getativo sia della madre che del neonato. A tale proposito da anni è stata creata unaBanca del latte materno rifornita non solo dalle mamme dei neonati degenti, maanche da mamme volontarie da domicilio, grazie alla sensibilizzazione a tale pro-blema.

Anche la tecnica della marsupio-terapia da parte della madre e del padre èdiventata ormai una realtà in aggiunta alle misure antistress che mirano a protegge-

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Giuseppe Rinaldi

re i piccoli da stimoli visivi e acustici troppo forti; e inoltre particolare attenzioneviene posta oggi nel ridurre al minimo il dolore del neonato, adottando tutti quegliespedienti medici che completano quel processo di umanizzazione che ci sforzia-mo di adottare per i nostri piccoli pazienti.

Inoltre la nostra UTIN già dal 1983 iniziò, insieme ai centri pilota in Italia diRoma e Udine, l’esperienza del Trasporto Neonatale: la lunga pratica accumulatanegli anni ha portato il centro di Foggia ad essere coinvolto in un progetto obietti-vo finanziato dal Ministero della Sanità nel 1988, tanto che dal 1991, con decretoregionale, è stato riconosciuto al nostro centro il Servizio di Trasporto e di Emer-genza Neonatale. Col tempo si è creato uno scambio culturale con i centri afferentiche ha permesso, nell’ultimo decennio, una concentrazione delle gravidanze a ri-schio con aumento del numero di trasporti in utero.

Grazie poi al costante aggiornamento critico e alla continua revisione del-l’assistenza neonatale, vari centri universitari, centri di ricerca farmacologica ebiomedica, laboratori di epidemiologia e biostatistica ci hanno permesso di parteci-pare a trials assistenziali e di ricerca.

Insomma si tratta di un reparto, quello UTIN di Foggia, caratterizzato ognigiorno da impegno, collaborazione, assistenza che cerca di essere sempre più all’avan-guardia, ma è anche un reparto che vive di calore, di emozione, di legami con questiprematuri che, appena nati, e nati troppo presto, si trovano come su una “zattera disalvataggio ma in un mare in tempesta”, e ogni giorno tocchiamo con mano quantosia grande la responsabilità che abbiamo nei confronti di questi piccolissimi che siaffacciano alla vita e di cui dobbiamo prenderci cura con tanto amore.

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Il 20 dicembre 2005, in occasione del bicentenariodella nascita di Giuseppe Mazzini, si è tenuto aFoggia, presso l’Auditorium della Biblioteca Pro-vinciale, il Convegno “Giuseppe Mazzini e la de-mocrazia in azione”, organizzato dall’Associazio-ne Culturale “Icaro”.Se ne pubblicano in questo numero della rivista «laCapitanata» gli interventi più significativi

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Giuseppe Mazzinie la democrazia in azione

Auditorium Biblioteca Provinciale“la Magna Capitana”

20 dicembre 2005

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Giuliana Limiti

L’eredità di Mazzini all’umanità e il ruolo dell’Italiadi Giuliana Limiti

Un anno prima di morire (1871) Giuseppe Mazzini presentò, con la data del9 febbraio, la pubblicazione dal titolo La Roma del popolo, per ribadire il suo pro-gramma mai abdicato.

Roma era diventata la capitale d’Italia dopo il 20 settembre del 1870 e Mazziniera carcerato dalla Monarchia nel carcere di Gaeta. Roma era stata in un certo sensoprofanata perché dopo l’esperienza della Repubblica Romana del 1849 che avevainnalzato la volontà popolare per la prima volta espressa con l’elettorato universalemaschile, con la proclamazione dei principii di nazionalità, di collegamento euro-peo e universale, rifacendosi alla tradizione storica e agli istinti popolari e alla fun-zione della Terza Roma che la prospettava nel futuro dell’umanità con una missio-ne specifica.

La pubblicazione della Roma del popolo significava innalzare di nuovo labandiera di quarant’anni prima non soltanto per ricordare un periodo breve masplendido di gloria e di promesse segnato dall’eroismo della migliore gioventù d’Ita-lia, ma per riaffermare l’antica fede repubblicana che partiva dalla storia di Roma edalla sua missione da compiere nel mondo legata alla progressione storica che lachiamava a diffondere per la terza volta ai popoli una parola d’incivilimento e diunità morale che rimane come legato alle generazioni italiane ancora oggi da realiz-zare.

Dalla Roma dei Cesari uscì l’unità d’incivilimento comandata dalla forza al-l’Europa.

Dalla Roma dei Papi uscì una unità d’incivilimento comandata dall’Autoritàa gran parte del genere umano.

Dalla Roma del popolo, scrisse Mazzini, uscirà quando voi sarete, o italiani,migliori che oggi non siete, l’unità d’incivilimento accettata dal libero consenso deipopoli, all’umanità. Ribadì Mazzini questa fede che ci sostenne fra durissime provela vita, è tutt’ora la nostra.

Roma la concepiva come il Santuario della Nazione, la città sacra d’Italia, ilcentro storico dal quale si svolsero e si dovranno svolgere le missioni di unificazio-ne italiana legate alla iniziativa nel mondo. In questi due termini di unità nazionalee di iniziativa d’incivilimento all’estero è racchiuso tutto il programma della citatapubblicazione.

Mazzini impostò il problema di come passare dalla sfera delle idee a quelladei fatti e quindi sollevò la questione del “metodo” e delle istituzioni capaci di

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L’eredità di Mazzini all’umanità e il ruolo dell’Italia

attuare le riforme necessarie per condurre alla via del progresso, in nome del doveree del diritto vivente in ogni popolo ed in particolare nel popolo italiano destinatoad essere antesignano del processo di unificazione morale e civile dell’umanità.

L’istituzione sola capace di realizzare tale unione è la Repubblica; il mezzoper portare il popolo a dare sostanza all’istituzione è l’educazione. Per questo ri-vendicava di combattere ogni autorità che non si fondasse sul libero e illuminatoconsenso popolare in grado di accompagnare sulla scia del progresso l’unione ditutti i popoli dell’umanità a realizzare il principio religioso e politico del “Dio èDio e l’umanità è il suo profeta”.

Mazzini dettò la sua dichiarazione di fede:

Noi crediamo in Dio: In una Legge provvidenziale data da lui alla Vita: Legge,non d’espiazione, di caduta e di redenzione per grazia d’intermediari passati opresenti fra Dio e l’uomo, ma di Progresso, Progresso indefinito fondato emisurato sulle opere nostre: Nell’Unità della Vita, fraintesa, secondo noi dallaFilosofia dei due ultimi secoli: Nell’Unità della legge per ambe le manifestazio-ni, collettiva e individuale, della Vita: Nell’immortalità dell’io, che non è se nonl’applicazione della Legge Progresso, rivelata innegabilmente oggimai dalla tra-dizione storica, dalla scienza e dalle aspirazioni dell’anima, alla Vita manifesta-ta dall’individuo: Nella Libertà senza la quale non possono esistere responsa-bilità, coscienza e merito di progresso: Nell’Associazione successiva e crescen-te di tutte le facoltà, di tutte le forze umane, come unico mezzo normale diprogresso collettivo e individuale ad un tempo: Nell’unità del genere umano enella eguaglianza morale di tutti i figli di Dio, senza distinzione di sesso, dicolore o di condizione e da non interrompersi se non dalla colpa.

Il pensiero di Giuseppe Mazzini è ancorato all’avvenire dell’umanità, fonda-to sul concorso attivo di tutti i suoi membri, uno sviluppo libero e armonico delleproprie facoltà, al concepimento e al compimento della propria missione nell’uni-verso con il concorso attivo di tutti i suoi membri, liberamente associati per la solu-zione del problema sociale. Il fine dell’umanità è la unità delle famiglie umane nelloro viaggio nella vita e tale fine si può raggiungere a “mille vie” schiuse al progres-so. Non quindi omologazione, ma rispetto per la varietà delle espressioni di identi-tà nella libertà, nell’uguaglianza, nella fratellanza. Tale visione rende gli uomini for-ti dei diritti e consapevoli dei doveri. Tale equilibrio di diritti e di doveri è espres-sione della legge morale universale che scaturisce da un solo Dio, da un solo padro-ne, la sua legge, da un solo interprete di quella legge, l’umanità. La fratellanza chene scaturisce porta all’amore reciproco, alla tendenza a fare in modo che l’uomofaccia agli altri quello che vorrebbe si facesse da altri per lui.

Tale sillogismo fa cadere privilegi, arbitri, egoismi, considerati violazione dellafratellanza, per questa ragione l’istituzione della Repubblica è vista come essenzastessa del metodo per arrivare a quel fine e per Mazzini Repubblica significa educa-zione.

Nessun’altro pensatore politico ha affidato all’educazione una funzione così

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alta. Mazzini parlava anche a nome di tutti i popoli o individui oppressi su qualun-que punto della terra essi abitassero. Tramite l’educazione la Repubblica consentivail superamento dell’odio di classe, di razza, dell’agnosticismo o del municipalismo,del nazionalismo, del comunismo, della ricerca del benessere edonistico, in nome divalori morali, di un principio superiore. La fondamentale priorità del problemaeducativo richiedeva un lavoro profondo, umile, doveroso, ma di sicuro avvenire,consci che la impreparazione delle masse ad esercitare consapevolmente il suffragiouniversale avrebbe impedito alla Repubblica di estrinsecare la sua natura di istitu-zione educativa. Per questo lottò ed ammaestrò i suoi amici a combattere l’indiffe-renza per la politica e per la gestione pubblica. Dai suoi operai voleva una elevazio-ne del livello intellettuale e morale. Ad essi sono dedicati I doveri dell’uomo.

Tramite l’educazione era convinto che la rivoluzione politica che sognavacomportava anche successivamente la rivoluzione religiosa. Una educazione politi-ca desiderava che preparasse le moltitudini a condividere le idee di umanità checostituivano la finalità della rigenerazione individuale e collettiva di ogni popolo edi ogni individuo. Una rivoluzione religiosa che poteva accompagnare un popoloche si fosse già costituito. Sotto questa dimensione si opera in Mazzini una sintesisociale, della filosofia che diventa religione per l’adempimento dei destini umaninell’ottica della legge data da Dio all’umanità per cui libertà, uguaglianza e fratel-lanza costituiscono la missione speciale che coopera alla missione generale dell’uma-nità.

Non meraviglia quindi che tale impostazione sia stata recepita dal Presidentedegli Stati Uniti Wilson e presentata, proprio con riferimento a Mazzini, per larealizzazione della Società delle Nazioni.

Ma per far questo occorre che si superi lo stridente contrasto tra le finalitàdell’umanità e la prassi di corte e di corruzione delle istituzioni internazionali lega-te ad una rappresentanza dei governi e non dei popoli, organizzati secondo buro-crazie cieche e avide anziché tramite i migliori rappresentanti delle missioni deisingoli popoli che dovrebbero arricchire il patrimonio culturale e politico dell’uma-nità.

Roma ha questa missione e deve rendersene conto. La sua storia e il legatorisorgimentale della Repubblica Romana del 1849 e di Giuseppe Mazzini l’obbli-gano a non lasciar cadere questo sogno di una nuova religione umanitaria venientedall’Italia.

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Giuseppe De Matteis

Giuseppe Mazzini e la cultura inglese:testimonianze dall’Epistolario

di Giuseppe De Matteis

Il XIX secolo è considerato uno dei più ricchi e travagliati della storia euro-pea: vide fiorire il Romanticismo, con tutte le sue diverse connotazioni, strettamen-te legate alle situazioni storico – politiche e sociali dei vari Paesi europei.

In Italia il Romanticismo assunse una veste diversa e coincise con il Risorgi-mento, contribuendo con e per esso alla creazione di un Regno Italiano Unito.

Questo secolo segnò, infatti, in Italia l’atto di nascita della Nazione ad operadi illustri “padri fondatori” quali Cavour, diplomatico e statista, Garibaldi, il pro-tagonista dell’azione; ma il vero ideologo del movimento patriottico fu GiuseppeMazzini, a cui la storia non ha reso giustizia, perché, costretto all’esilio per lungotempo, è stato, suo malgrado, un protagonista nascosto. Pochi altri italiani sonostati considerati come Mazzini, la personificazione cioè di virtù tipicamente italia-ne: la generosità, l’eroismo, l’onestà.

Mazzini è stato il personaggio storico italiano più ammirato in Inghilterra,tanto è vero che le migliori biografie dedicate a lui sono state proprio quelle scritteda alcuni noti studiosi britannici: dalle prime, opere di due donne che in vita glierano state legatissime, Emily Ashurst Venturi e Jessie White Mario; a quelle diBalton King e di Gwillim O. Griffith.

In Italia per vari decenni ha dominato, ai danni del Mazzini, un grave pregiudi-zio ideologico: poco amato dagli storici di area liberal – moderata, dopo la secondaguerra mondiale, Mazzini non ha riscosso molta simpatia, neppure tra gli studiosi diformazione marxista, che hanno spesso posto in scarsissimo rilievo il contenutospiritualistico del credo mazziniano e la sua avversione per il socialismo scientifico.

In molti si sono chiesti e si chiedono ancora, specie in occasione di questosecondo centenario della nascita, se gli italiani amano veramente Mazzini. Giusep-pe Galasso, ad esempio, in un articolo apparso il 27 febbraio del 2005, Mazzini, chiè costui, sul «Corriere della Sera», ha affermato che “l’Italia ingrata si dimentica delMazzini: anche questo bicentenario della nascita appare sottotono”; e, sempre l’au-torevole storico partenopeo, aggiunge, in un altro articolo apparso sul «Corrieredella Sera» (19 ottobre 2005) che in

Mazzini si è sempre visto (al contrario del popolarissimo Garibaldi, l’uomod’azione, e del Cavour, il “grande tessitore” della politica italiana, cioè del-

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Giuseppe Mazzini e la cultura inglese: testimonianze dall’Epistolario

l’unità e del regime di libertà in Italia) qualcosa di severo e di triste; sempre idoveri prima e sopra i diritti, coerenza ed unità di pensiero e di azione, spiritodi sacrifico, la vita come impegno morale totale, la solidarietà sociale comevalore fondante […]. Figurarsi se, col discredito dell’idea nazionale dopo ilfascismo e, ancora più negli ultimi decenni, si poteva avere un Mazzini piùpopolare e più amato di prima. Eppure il mazzinianesimo non è mai sparitodalla scena storica. Ha alimentato, dopo la grande spinta al Risorgimento, unmovimento riformatore molte volte distintosi per la sua qualità nell’Italia Uni-ta. Ha mantenuto viva la fiaccola dell’idea della Repubblica, anche quando lavittoria della monarchia fu definitiva e irreversibile. Egli è stato all’origine dellaprima grande stagione italiana del movimento operaio e sindacale,dell’associazionismo cooperativo e mutualistico, delle leghe artigiane. Né soloin Italia, perché nel sorgere della Prima Internazionale socialista, nel 1864, fuconsiderato l’antagonista di Marx. Lasciò un nome di apostolo dell’indipen-denza e della libertà di tutti i popoli […] fino all’India e all’Indonesia. E lostesso nome ha lasciato negli annali dell’idea della democrazia, impostando, tral’altro, il problema arduo ma decisivo dell’etica e della solidarietà sociale. No-nostante ciò, è come se gli studiosi fossero andati in senso inverso a quello dellafama del personaggio, cioè nell’opinione e nella cultura corrente l’iconamazziniana perdeva sempre più colore e nettezza […]. In tempi, come i nostri,almeno uno dei punti di fondo delle idee mazziniane, cioè l’etica della solida-rietà sociale, pare – conclude il Galasso nell’articolo sopra citato – si stia av-viando a diventare sempre più un caposaldo della discussione e della vita poli-tica e civile; e ciò fa pensare che il nome di Mazzini ha probabilmente più frecceal suo arco di quanto si potrebbe credere”; certo è che quest’uomo in Italia èrisultato sempre più scomodo; ebbe rilievo piuttosto fuori dal nostro Paese,perché egli comprese bene “il valore etico e politico della nazionalità, credettealla fratellanza dei popoli ed auspicò per primo l’unione dell’Europa.

In tutto il programma politico mazziniano è evidente l’approccio pedagogi-co alla questione nazionale: egli fu un grande educatore del popolo, e l’educazioneresta sempre un elemento indispensabile per dare vita ad una vera nazione. Mazzinifu, insomma, il teorico che diede corso e vigore ad un autentico sentimento patriot-tico italiano.

Fin da giovane scrisse e lesse moltissimo, soprattutto autori francesi, attribuendoalla letteratura la capacità di oltrepassare le frontiere politiche e costruire così una co-mune coscienza europea. Fu grande lettore ed estimatore di autori come Dante, Foscolo,Byron, nei quali scorse i profeti di un’Italia unita e repubblicana, e dunque dimostrò diprediligere scrittori impegnati a portare avanti un messaggio sociale e politico. Di Dan-te in una lettera Mazzini scrisse: “Imprime se stesso, le sue tendenze, le sue aspirazioninell’universo che percorre”; e, sempre a proposito dell’Alighieri, aggiunse: “Dante spingealla missione, al dovere dell’azione, alla sofferenza, al martirio”.1

1 Giovanna ZAVATTI, Perché e nonostante, Milano, Edizioni Aries, 2000, p. 109.

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Fin da giovane si adoperò ad inseguire i suoi nobili ideali: la libertà indivi-duale, l’indipendenza dal dominio straniero, il sentimento patriottico. Costretto atrascorrere buona parte della sua vita all’estero necessariamente i suoi contatti conl’Italia furono prevalentemente di natura epistolare; “è, anzi, fu proprio l’epistolariomazziniano a costruire la spina dorsale di tutti gli studi più importanti intorno aquesto grande uomo”.2 Tutto ciò che Mazzini fece nel corso della sua vita non lofece né a scopo di lucro, né per cercare ed ottenere il plauso del prossimo o il con-senso immediato: egli agì sempre e senza mai stancarsi, spinto solo dal desiderio difar progredire l’Umanità. Non si stancò mai di incitare, stimolare chi lo ascoltava,ma cercò anche di rincuorarlo e rassicurarlo. Ciò che più gli importava era agiresulle coscienze e sul pensiero. Solo dopo molti anni (circa trenta) di lotte, di sogni,di speranza lo scopo della sua vita poté realizzarsi, ma egli non mutò e continuò avivere in povertà. Hamilton King, in proposito, traccia un ritratto dell’esule Mazzinimolto esauriente, sottolineandone, oltre le qualità fisiche, anche quelle peculiari delsuo carattere. La donna descrive Mazzini, incontrato per la prima volta nel 1864,come un uomo di mezza età che sembrava più alto di quanto in realtà non fosse acausa della sua magrezza ed eleganza: i capelli brizzolati e folti, nonostante avesse lafronte alta. Per quanto attiene alle qualità morali, la King giudicava Mazzini un uomodi straordinaria purezza, nel senso di scorgere in lui qualcosa di trascendente.

Prima di parlare del soggiorno mazziniano in Inghilterra come esule, credosia opportuno accennare al pensiero politico e religioso del Mazzini. È risaputoormai che, alla base del suo pensiero politico, Mazzini pone la religione, una reli-gione tutta sua, che è sentimento morale, forza eterna della politica. La concezionedemocratica del Mazzini non concepisce le classi, ma il Popolo, categoria moltoampia, che può essere politica, sociale, economica e che deve tendere al migliora-mento delle condizioni umane e morali della società. Da qui l’attenzione particola-re e di grande rilevanza data dal Mazzini all’educazione. Egli sostiene che è necessa-rio il ricorso alla rivolta armata, qualora il governo risulti dispotico ed assolutista erespinge la crudeltà punitiva, la pena di morte e il duello: l’assassinio è consideratoda lui una vera assurdità.

Pur accogliendo le istanze di giustizia sociale, che sono alla base del sociali-smo marxiano, Mazzini rifiuta la lotta di classe e la violenza come mezzo di lottapolitica. La nazionalità mazziniana va intesa come nazionalità dei popoli, affratellatida un intento comune. Mazzini non è un nazionalista, ma un patriota, perché il suopatriottismo sottintende il rispetto dei diritti dell’umanità. Egli parla e difende l’iden-tità nazionale, che prescinde dalla biologia e dalla razza delle popolazioni.

Gli elementi costitutivi dell’Italia, sempre secondo il suo pensiero, sono lalingua e soprattutto le tradizioni storiche, con un forte senso della comunità; non èconcepibile per Mazzini la frantumazione dell’Italia in tanti “staterelli” o aree re-gionali e provinciali.

2 Michele FINELLI, Il prezioso elemento, Verrocchio, Pazzini, 1999, p. 16.

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Giuseppe Mazzini e la cultura inglese: testimonianze dall’Epistolario

Va anche osservato che il Mazzini, al primato della Francia in Europa, oppo-ne sempre l’iniziativa italiana.

Importante è in lui il concetto di libertà, che non è un fatto materiale ma è unsentimento, una conquista morale, rappresenta cioè il senso della propria dignità e deipropri diritti. Ogni individuo, infatti, ha diritto alla propria libertà, la quale si conquistacon la consapevolezza di assolvere ai problemi sociali: diritti e doveri devono convi-vere e solo in questo senso si contengono gli individualismi egoistici. La vita perMazzini è una missione e come tale deve essere guidata dalla legge del dovere, cosicchéanche l’Unità d’Italia diventa per lui un vero e proprio dovere religioso.

Per quanto concerne l’istruzione, essa deve essere obbligatoria e gratuita pertutti. Della religione cristiana il Mazzini apprezza l’uguaglianza di tutti gli uominidavanti a Dio; deplora il clero, perché si è allontanato spesso dallo spirito evangelico,simpatizzando per forme deteriori di “modernità” e perché è allineato con il dispotismodel papato (non a caso egli dimostra grande simpatia per il trattato politico dantescoDe Monarchia). Mazzini rispetta, però, le altre fedi religiose: egli è un panteista chevede Dio in ogni cosa; non è né cattolico, né cristiano e persegue solo un obiettivo daraggiungere: il progresso morale dell’uomo e dell’umanità, auspicando una rivoluzionesociale e politica che vada di pari passo con una rivoluzione religiosa e morale.3

Va, infine, osservato che il Mazzini, pur di raggiungere il suo obiettivo, cioèl’unificazione dell’Italia, continuava a propendere per la Repubblica e non guarda-va con simpatia né alla Monarchia, né al Socialismo, né al Comunismo.

La triste esperienza dell’esilio mazziniano comincia nel 1831, con la condan-na a morte in contumacia, a Marsiglia, dove egli dà vita alla “Giovine Italia”: leggemolti scritti politici contemporanei, soprattutto in lingua francese, e scrive moltis-sime lettere. Conosce ed ama Giuditta Sidoli, dalla quale relazione si dice fosse natoun figlio, morto ancora bambino.4

La sua espulsione dalla Francia avverrà nel 1833; si rifugia a Ginevra, doveorganizzerà varie spedizioni militari. Nel 1834 lo troviamo a Berna e qui creeràl’associazione “Giovine Europa”, con la quale si auspicava che in futuro le liberenazioni si sarebbero unite per creare una Repubblica Federale Europea. La “GiovineEuropa” non perseguiva un intento pratico, ma morale. Mazzini maturerà bene inSvizzera il suo pensiero e il suo programma politico: a Berna, pur essendo attanagliatoda forte malinconia e depressione, si rende conto di aver conquistato una profondafede religiosa e un senso del proprio dovere e della propria missione; contempora-neamente matureranno nel suo pensiero e si concretizzeranno sia la sua profondafede religiosa che le sue convinzioni politiche.

La Svizzera accoglierà l’esule Mazzini dopo il suo lungo soggiorno in Inghil-terra, un po’ prima cioè della morte; in Svizzera, anzi, egli conobbe la grande amicaSara Nadham, un’italiana di Livorno che il Mazzini aveva già avuto occasione diconoscere a Londra.

3 G. ZAVATTI, Perché e nonostante..., cit., p. 100.4 Cfr. Salvo MASTELLONE, Mazzini e la “Giovine Italia” (1931-1934), Pisa, Nistri-Lischi, 1960, vol. II.

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Nel 1836, all’età di 31 anni, Mazzini fu espulso dalle autorità federali dellaSvizzera e raggiunse, dopo circa sei mesi di fughe e nascondimenti, l’Inghilterra,dove riuscì finalmente a respirare un’aria di libertà e serenità.

Al primo impatto con la capitale inglese, Mazzini non ebbe buona impressionedella città, perché la trovò sporca, umida e appiccicosa; gli inglesi bevevano moltogin, dimostrando d’essere schiavi dell’alcool. Unico aspetto affascinante della capita-le londinese era, agli occhi di Mazzini, la nebbia che gli ricordava i Canti di Ossian.

In Inghilterra la vita era più cara delle altre città europee: “i sigari, ad esem-pio, costavano almeno tre volte di più della Svizzera e costosissimi erano anche gliaffitti delle case”.5 Mazzini, comunque, sbarcò bene il lunario a Londra, scrivendoarticoli (15 circa) sulla società e sulla politica inglese, apparsi su «Le Monde», diParigi, guadagnando discretamente; continuò, intanto, a lamentarsi delle abitudiniinglesi: troppo pratici, dominati dalla filosofia utilitaristica, trascurano i sani prin-cipi morali, i doveri, la religione e la morale.

Mazzini pose molte attenzioni alla politica estera inglese e criticò l’imperiali-smo inglese in Cina, con la pena di morte; notò con disappunto il grande divario traricchi e poveri, ammirando invece la partecipazione popolare alle manifestazionipubbliche (i comizi, le petizioni, la tolleranza); ma Mazzini apprezzò soprattutto lapreparazione politica degli inglesi e la loro pazienza sconfinata, anche se non pocheriserve dimostrò di avere per l’isolazionismo inglese e per lo scarso interesse deglistessi verso i popoli stranieri. Mazzini ammirava però degli inglesi la libertà di stampa,le loro idee repubblicane e il loro dissenso religioso.

Censurava, inoltre, i politici inglesi che si sentivano padroni, mentre era piùgiusto che si sentissero “servitori del popolo”, considerando le tristi condizioni divita dei bassifondi londinesi specie di molti emigrati italiani. Per questo fenomenodi indigenza di grandi masse di persone, Mazzini pensò ad una scuola per emigratiitaliani e, come rovescio di medaglia, evidenziò varie altre pecche della vita londinesed’allora: le grandi distanze da percorrere da un capo all’altro delle città; il climapessimo e il caos insopportabile che costringevano spesso il Mazzini a restare tap-pato in casa e a desiderare solo di far ritorno in Svizzera. Tuttavia a Londra il Mazziniebbe modo di apprezzare alcuni aspetti della città e degli inglesi. Da qui egli ebbemodo di incrementare vari contatti culturali con poeti e scrittori allora famosi nonsolo in Inghilterra, ma in tutto il mondo: Elisa Fletcher, ad esempio, che presentò ilMazzini al poeta Thomas Campbell, per distoglierlo dal suo isolamento; a questoscopo Campbell procurò al Mazzini uno speciale permesso per studiare nella bi-blioteca del British Museum, dove Mazzini conobbe l’esule Antonio Panizzi,carbonaro, condannato anche lui a morte. Mazzini fu costretto, come si è già osser-vato, a industriarsi nel modo migliore a Londra, per poter sopravvivere: scrivevaarticoli e traduzioni. Stuart Mill lo invitò a scrivere qualcosa sulla letteratura italia-na contemporanea e Victor Ugo gli chiese un saggio su John Kemble da pubblicare

5 Giuseppe MAZZINI, Epistolario (lettera alla madre del 13/01/1857).

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Giuseppe Mazzini e la cultura inglese: testimonianze dall’Epistolario

su «Monthly Cronicle». Nel 1851 Mazzini rientrò in Italia, dopo diciassette anni diassenza. Andò successivamente in Svizzera e da qui a Londra nel 1851, dove restòparecchi anni, comprendendo che solo lì poteva trovare un po’ di pace, tranquillitàe sincerità di rapporti con persone ed intellettuali che lo apprezzavano molto; quinon smise mai di occuparsi delle vicende politiche dell’Italia: riorganizzò la retecospirativa della “Giovine Italia” e della “Giovine Europa”, alimentando senza tre-gua il suo progetto repubblicano. D’ora in poi considererà Londra e l’Inghilterratutta la sua seconda patria, perché si sentiva più compreso e al sicuro. Solo nel 1857egli raggiunse segretamente e per poco tempo l’Italia, per poi ritornare a Londra,dove restò fino al 1871, allorché lasciò definitivamente l’Inghilterra per l’Italia, pri-ma a Genova, poi a Pisa, dove morì nel 1872.

Bello il ritratto che traccia di lui e della sua casa a Londra, piena di libri ecanarini, King Hamilton: egli era confidenzialmente chiamato da lei e da altri amiciil Signor Ernest e le sue missive erano così indirizzate, anche se la Polizia sapevabenissimo che si trattava del famoso esule italiano. Fu la frequentazione che egliebbe, a cominciare dal 1838, con Thomas Carlyle, che spinse il Mazzini, col tempo,a innamorarsi di Londra e a ritrovare il suo buonumore. Mazzini, sollecitato daCarlyle, si trasferì a Chelsea, vicinissimo all’amico; pur essendo su posizioni diver-se, i due diventarono grandi amici e condivisero insieme la condanna control’utilitarismo e la dilagante ricerca della felicità individuale. Ogni settimana, il ve-nerdì per la precisione, Mazzini si recava a casa di Carlyle e qui ebbe modo distringere amicizia anche con la moglie di Thomas, Jane Welsh Carlyle. “Io nonl’amo, mamma – confessava Mazzini a sua madre – se non come sorella. È, comun-que, una donna eccezionale”. E, fu proprio grazie a Carlyle che Mazzini riuscì adallargare i contatti con la società bene di Londra, conoscendo molti scrittori, poeti,e a superare la noia e la malinconia. Conobbe Lady Byron, Dickens e i coniugiTaylor, ricco industriale quest’ultimo, radicale e rappresentante della scuola libera-le di Manchester. Ma a Londra Mazzini ebbe anche nemici e dovè a Taylor se, spes-so, su «Morning Chronicle» fu difeso. Conobbe anche la scrittrice inglese EmilyAshurst, la quale, con un cospicuo gruppo di amici, appoggiò l’azione politica delMazzini sia in Italia che in Inghilterra. In casa Ashurst Mazzini trovò pace, acco-glienza ed amicizia sincere e venne definito da essi un “angelo”.

Anche la famiglia Natham soccorse Mazzini in quest’ultimo periodo di vita,sia economicamente che moralmente: egli conobbe ancora Harriet Hamilton King,nota poetessa che fece di lui un idolo come poeta, mistico sognatore, profeta, mae-stro religioso, santo, insomma, un misto di ascetismo, di dolcezza e di forza.

Molti furono anche gli scrittori inglesi che si ispirarono al Mazzini: CharlesSwinburne, Tennyson e Wordsworth. Mazzini fu molto corteggiato ed amato dalledonne: ebbe grande ammirazione per George Sand, con la quale ebbe una lungacorrispondenza epistolare.

Di grande interesse sono anche i rapporti tra Mazzini e la realtà politica inglesedel tempo, perché egli esercitò una grossa spinta, col suo credo politico, all’evoluzionedel liberalismo inglese e al processo di formazione dei leaders radicali e del movimentooperaio; Maddison, infatti, leader del “New Unionism” (anni ‘80), affermava:

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Se dovessi menzionare l’autore che […] mi ha più influenzato, questi dovrebbeessere Mazzini, specie col suo saggio sui Doveri dell’uomo. Egli ha plasmato ilmio pensiero politico, economico, religioso, ottenendo la mia più piena ap-provazione”. E, dal dibattito aperto alla Camera dei Comuni, venne fuori unanobile immagine dell’esule piemontese: “Il Signor Mazzini, tenuto in grandeconsiderazione nel suo paese, è un valente scrittore di idee liberali e un entusia-sta della causa della libertà. Da sette anni vive in Inghilterra […]. Egli è unuomo di lettere ed il suo intento è quello di diffondere la cultura”.6 E, ancora, ildeputato Bowling osservava: “Il Signor Mazzini non ha avvicinato nessunapersona [in Inghilterra] senza lasciare la più favorevole impressione della suaintelligenza e della sua insospettata moralità.7

Nel 1851 giunsero dall’Italia al Governo britannico proteste per la perma-nenza a Londra di Mazzini, elevate dal Papa, dall’Austria, dalla Prussia e dalla Rus-sia. Anche Napoleone ne chiese l’espulsione, ma intanto sui giornali inglesi conti-nuavano i consensi e gli elogi per Mazzini, considerato da tutti un “ospite di riguar-do”, un rappresentante eletto della popolazione di Roma, uno che prendeva vera-mente a cuore la causa dell’Italia. Tutti, anche chi dissentiva da lui, ne ammiraval’integrità, la schiettezza e la perseveranza, anche se la Regina Vittoria e il cardinaleWiseman lo definirono “spietato apostolo dell’assassinio”. Mazzini trovò, comun-que, molti appoggi ed aiuti in denaro proprio tra numerosi amici inglesi, che loritenevano leale, di forte personalità, cordiale, amabile, affettuoso, gentile, allegro,di buon umore, saggio e di acuta intelligenza.

Mazzini sentì la connessione tra etica artistica ed etica sociale, esattamentecome i romantici inglesi della prima generazione (1790 - 1830).

Nel Romanticismo inglese, è bene ricordarlo, si fa strada la concezione se-condo cui i grandi uomini, i cosiddetti geni, rappresentano una incarnazione delsoprannaturale, giungendo ad identificare il tipo più alto di individuo con Coluiche aveva un destino, una missione da compiere. A questo proposito Wordsworth,il noto autore di Lirical Ballads, afferma che le sue poesie dovevano essere giudicatesui generis rispetto all’intera altra produzione poetica britannica, perché ognuna hauno scopo degno, in sostanza il didatticismo come missione del poeta. Wordsworth,teorico della pedagogia poetica romantica, si avvicina molto al nostro Mazzini “edu-catore”: entrambi si dedicarono ad aiutare il prossimo; ed entrambi, sul piano poli-tico, dichiararono il loro anticlericalismo, il loro ateismo, con frequenti incursioniteiste e panteistiche. Nella seconda metà dell’Ottocento, insomma, l’Italomania inInghilterra era giunta al culmine. Byron, ad esempio, dichiarerà, che dell’Inghilter-ra egli ama “la penna e la libertà di usarla”, ciò che anche Mazzini amava di quel-l’isola; non a caso, infatti, egli celebrò tanto il valore politico della poesia che ilvalore poetico dell’azione; non, dunque, arte per arte, in Mazzini, ma arte per lavita. Da qui scaturisce la vicinanza così naturale del Mazzini con le figure poetichedi Goethe, di Byron, di Dante e di Foscolo.

6 Giuseppe MAZZINI, Scritti, Edizione Nazionale, Imola, Galeati, 1906-1943, vol. XXVI.7 Andreina BIONDI, Mazzini uomo, Bresso (Mi), Edizioni Tramontana, 1969, p. 196.

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Giuseppe Mazzini e la cultura inglese: testimonianze dall’Epistolario

In comune con Byron, ad esempio, Mazzini ha anche la convinzione dell’im-portanza di non aver vissuto invano, vicinissima al concetto oraziano del non omnismoriar. E proprio su Byron e Goethe il Mazzini scrisse un saggio, pubblicato nel1847 nel noto suo libro Scritti letterari di un italiano vivente. Mazzini è assai gratoai due poeti per avere aiutato la causa della emancipazione intellettuale e per averrisvegliato il sentimento di libertà nella mente degli uomini, combattendo i giudiziaristocratici ed incrementando il sentimento di uguaglianza. E ancora, Mazzinievidenzia quanto sia stretto il rapporto tra il pubblico, il poeta e l’importanza del“genio”, capace di interpretare le aspirazioni dell’umanità. C’è, dunque, affinità traByron e Mazzini: stessa vita grama, stesse tribolazioni e ambasce, s tessa conce-zione di vita e stessi ideali da perseguire e realizzare; Mazzini, anzi, alla fine del suosaggio citato pocanzi, sente il dovere di esprimere a Goethe la sua profonda stima egratitudine per aver recepito tanti buoni messaggi dal suo insegnamento e dal suosplendido esempio di vita, anzi di eroicità di vita: egli, genio ed eroe, spentosi per lacausa dell’indipendenza greca proprio in quel paese.

Va anche ricordato che Mazzini, approdato in Inghilterra nel 1837, fu colpitodalle molte pubblicazioni a carattere popolare allora esistenti, dalle biblioteche cir-colanti (si pubblicavano allora i romanzi a puntate e Dickens raggiungeva la suapiena affermazione come scrittore con il romanzo Oliver Twist).

La “Scuola di Londra”, inaugurata nel 1841, rappresenterà un esempio lumi-noso dell’impegno profuso dal Mazzini nel diffondere la cultura, ma anche la suaferma convinzione della funzione comunicativa assegnata alla democrazia, un’ideafelicissima da cui scaturiranno poi le istanze pedagogiche e civili comprese nel notolibro mazziniano dei Doveri dell’uomo, del 1860.

E, a chiusura di questo nostro discorso, non possiamo non ricordare l’indefessaattività degli ultimi anni di vita del Mazzini: l’ “Unione degli operai italiani”, ad esem-pio, del 1840, una fondazione ideata con l’intento di promuovere la stampa di un giornalee di una scuola per adulti; il primo numero di questo periodico, che uscì nel mese dinovembre 1840, era intitolato «L’Apostolato popolare» e denunciava all’opinione pub-blica la condizione di povertà e di disagio della classe operaia del momento; nel secondonumero dello stesso giornale, Mazzini ritornava su questo argomento che gli stava acuore, affermando che solo “il progresso e la democrazia possono permetterel’innalzamento del popolo”; nel numero terzo dello stesso giornale, apparso nel novem-bre 1841, Mazzini annunciava con gioia l’apertura della “Scuola di Londra”.

Successivamente nacquero altri due periodici scolastici, «Il Pellegrino» e«L’educazione», sempre per iniziativa del Mazzini; e, di lì a poco, a Londra, nel1847, comparve la “Lega Internazionale dei Popoli”, un’associazione che aveva loscopo di fornire un’esatta rendicontazione, diffondendone i contenuti, delle realicondizioni politiche ed economiche degli altri paesi europei in quel periodo.

La lega nacque, dunque, per scopi umanitari, rivolti alla crescita della popolazio-ne: fu fondata per fini di pace, basati sul diritto e garantita dalla giustizia. Mazziniauspicava addirittura, con lungimiranza, la realizzazione di un mercato comune europeo.

Nel 1847 Mazzini fondò ancora un’ “Associazione Nazionale” e “Un fondoNazionale”; nel 1851, infine, fu ideata e creata sempre da lui l’Associazione “Amici

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dell’Italia”, con la quale si rivendicava coram populo l’unità e l’indipendenza dell’Italia.Come “appendice” a questo nostro discorso, crediamo sia opportuno trac-

ciare un breve itinerario del ricco patrimonio epistolare lasciato dal Mazzini: è ilmodo migliore per potersi avvicinare al suo pensiero. Le lettere sono depositarie diuna varietà di argomenti (politica, letteratura, educazione, religione, aspirazionidell’autore, ecc...); una corrispondenza esemplare è quella tra Mazzini e MariaAlgoult (quarantasei missive in tutto), l’affascinante contessa parigina, reduce dallatempestosa relazione con Franz Liszt, scrittrice che firmava le sue opere con il nomemaschile di Daniel Stern.Ci sono poi, le lettere alla madre, morta nel 1852, la perso-na certamente più vicina e più cara al Mazzini: tra loro perfetta era la consonanza diaffetto, la confidenza, la comprensione. Queste lettere finirono quasi tutte nellemani della sorella del Mazzini, che amava pochissimo il fratello e che le fece sparire.

Un altro importante epistolario è quello tra Mazzini e la famiglia Ashurst,che per Mazzini costituì una seconda famiglia. Anche queste lettere furono sempredistrutte dalla Signora Emily (Madame Venturi).

Il quarto gruppo di lettere è quello tra Mazzini e Hamilton King, mentre ilquinto gruppo (che vanno dal 1847 – 1853) è tra Mazzini e George Sand, scrittricemolto amata e stimata dal Mazzini: entrambi erano ammiratori di Byron.

Tutti gli scritti e l’Epistolario del Mazzini sono raccolti nell’Edizione Nazio-nale decretata nel 1905 (centenario della nascita del Mazzini). La cura dell’Operaomnia fu affidata ad una speciale commissione che curò fino al 1943 i cento volumidell’Edizione Nazionale (Imola, Galeati, 1906 – ’43): Scritti letterari, 5 volumi; po-litici, 30 volumi; Epistolario, 58 volumi; in più: 8 vol. di Appendice e un altro vo-lume ancora che comprende sia scritti letterari che politici.

In sostanza, tutto l‘Epistolario mazziniano comprende: lettere di natura poli-tica, lettere sentimentali e lettere ideologiche.

Le Lettere politiche: si veda quella ad Aurelio Saffi, ad esempio, del 29 mag-gio 1849, dove Mazzini chiede al triumviro Saffi di provvedere ad alcune importan-ti questioni. Vi sono, poi, lettere che danno testimonianza degli intensi contatti delMazzini con gli ambienti rivoluzionari polacchi: Marjan Langiewiez, polacco, na-turalizzato svizzero, partecipò alla Spedizione dei Mille e, fuggito poi a Londra nel1864, ebbe lì stretti contatti con il Mazzini.

Temi di natura politica sono presenti anche nelle lettere Mazzini – Agoult:Mazzini condanna il socialismo e disprezza chi considera l’uomo come un animalesì razionale, ma orientato solo alla ricerca del benessere personale; e anche sul co-munismo Mazzini esprime idee contrarie in alcune missive indirizzate ai suoi fami-liari: “[i Comunisti] vogliono – egli osserva – abolire la proprietà, mettere tuttonelle mani del governo, e fare in modo che il governo, dando non so quante ore dilavoro a tutti, distribuisca in natura, cioè non in denaro, il bisognevole a tutti. Que-sto è pensiero irrealizzabile, assurdo, che distruggerebbe qualsiasi stimolo all’atti-vità dell’umanità”. A Mazzini, in pratica, non interessava un’Italia unita politica-mente e libera dallo straniero, se essa deve essere un’Italia materialistica, schiava diinteressi immediati e di una visione riduttiva della vita.

Mazzini riversò in queste sue lettere politiche tutta la sua passione, l’entusia-

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Giuseppe Mazzini e la cultura inglese: testimonianze dall’Epistolario

smo, la tenacia per sostenere la causa della libertà della sua patria. Per questo diven-tò bersaglio della stampa londinese («Times»), che sferrò una serrata critica al suopensiero e alle sue opere.

Le Lettere sentimentali: Mazzini lamenta le sue esigue condizioni economi-che come esule a Londra, la vita carissima della città e i disagi degli alloggi. Sonolettere che egli invia prevalentemente ai suoi familiari (dal 1837 al 1843 come si èdetto), soprattutto alla madre, dove si lamenta del cattivo clima (pioggia, fango,umidità) di Londra, esprimendo tutta la sua nostalgia per il cielo azzurro dell’Italiae della Svizzera; un altro gruppo di lettere sono dirette alla Sand e qui il Mazziniracconta l’episodio della morte di Giacomo Ruffini; in un’altra bella missiva Mazziniconfessa il suo amore per la Sand, manifestando grande sensibilità. Ma, traboccantedi confidenze personali e passioni è anche l’epistolario tra Mazzini e la contessaAgoult: Mazzini la definisce “amica e sorella di Dante” e presto diventeràl’interlocutrice privilegiata delle conversazioni letterarie e culturali con il Mazzini.In altre lettere alla Agoult tornano i problemi di salute del Mazzini (egli ha doloriallo stomaco che lo intristiscono, facendolo innervosire e impedendogli di scrive-re). Le ultime lettere del Mazzini sono piene di malinconia e di rammarico; bella èsoprattutto quella del 1871, quando Mazzini sta per abbandonare l’Inghilterra.

Il terzo ed ultimo gruppo riguardante le Lettere ideologiche tratta del pro-gramma pedagogico mazziniano. Mazzini scrive su questo argomento otto articoli,apparsi sul «Giornale del popolo» londinese dal 1846 al giugno 1847. Tradotti daSalvo Mastellone, col titolo di G. Mazzini, pensieri sulla democrazia in Europa,rappresentano una sintesi dell’idea della democrazia mazziniana, il cui compito è dimigliorare la condizione morale dell’uomo e consentirgli di comunicare con glialtri suoi simili (è chiarita bene qui la funzione comunicativa assegnata alla demo-crazia e la necessità di creare un programma pedagogico che non si rivolga alleclassi, ma al popolo, in una visione più ampia, più spaziata, più ecumenica). Mazziniintendeva abbattere le barriere o ogni forma di steccato e far diventare uguali tutti,perché “ogni ineguaglianza porta con sé – egli scriveva – una quantità proporzio-nale di tirannia”. In una lettera alla King Mazzini afferma che l’azione è lo scopoprincipale della vita e che la rassegnazione dev’essere l’ultima spiaggia. Pensiero edazione coincidono solo in Dio, essere perfetto; ogni pensiero in Lui è creazione, ciònon può accadere con noi uomini, perché siamo esseri imperfetti. Bellissima è an-che la missiva inviata alla Fletcher (Londra, aprile 1837, Epistolario).

L’impegno sociale e morale del Mazzini è ribadito, infine, anche in altre lette-re indirizzate alla Agoult. È, però, nella istituzione scolastica italiana di Londra chesi concretizzeranno le aspirazioni del Mazzini.

E, a tal proposito, si consiglia la lettura delle missive dirette a sua madre e gliottimi e recenti due volumi del Finelli.8

8 Il prezioso elemento... cit.; cfr. anche Michele FINELLI, Il monumento di carta, Verrocchio, Pazzini, 2004.

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Michele Finelli

L’eredità di Mazzini: l’Edizione Nazionale degli Scrittidi Michele Finelli

Il primo gennaio del 1851 Giuseppe Mazzini scriveva all’amica Emilie Ashurst:“La mia idea non è che un’incessante attività per essa; ma un’attività che, all’infuoridi pochi casi, è consistita in uno o due milioni di lettere, biglietti, istruzioni, dimen-ticati, perduti, bruciati”.1 Di questa “incessante attività” i volumi dell’EdizioneNazionale delle opere di Giuseppe Mazzini rappresentano l’originale testimonian-za. Allo stesso tempo, essi rappresentano senza dubbio anche una delle più impo-nenti operazioni editoriali mai realizzate nel nostro paese. Tra il 1906 ed il 1943, peri tipi di Galeati, tipografia imolese, e sotto la paziente supervisione dello storicoromano Mario Menghini, furono dati alla luce ben centosei volumi: sessantaquattrodi Epistolario, trentuno di Politica, cinque di Letteratura e sei di Protocollo dellaGiovine Italia .2 Ad essi ne vanno aggiunti altri undici, usciti nel secondo dopo-guerra, sempre per conto della Galeati: quattro di Indici, cinque di Zibaldoni Gio-vanili e Zibaldone Mazzini e Foscolo, due di Lettere di familiari ed amici a Mazzini.3Per chi studia Mazzini, l’Edizione Nazionale rappresenta un passaggio necessario.

Con un pizzico di paradosso, Giuseppe Monsagrati ha osservato che le diffi-coltà che si incontrano nello studiare un personaggio come Mazzini non nascono“dalla penuria ma dall’abbondanza delle fonti”,4 e che proprio l’opera omnia costi-tuisce un primo, difficile scoglio per lo storico. Nel 2001 è partita la mia attività diediting degli Scritti mazziniani nell’ambito della loro informatizzazione, e dell’Edi-zione Nazionale ho cominciato a conoscere nei dettagli la struttura, in un rapportoquotidiano con gli scritti mazziniani, tuttora in corso, che mi sta portando alla let-tura completa delle opere del patriota genovese. Al fascino di questa attività si ac-compagna la sensazione di cimentarsi in un’attività fuori dal comune, se solo pen-

1 Giuseppe MAZZINI, Scritti editi ed inediti, Edizione Nazionale, Galeati, Imola, 1906-1943, vol. XLV, p. 119.2 Ibid., vol. CVI. D’ora in poi abbreviati in S.E.N., Scritti Edizione Nazionale. Di questi centosei volumi,

sessantaquattro sono di Epistolario, trentuno di Politica, cinque di Letteratura e sei di Protocollo della GiovineItalia.

3 G. MAZZINI, op. cit., Nuova Serie, voll. XI, così ripartiti: Indici, voll. IV; Zibaldoni Giovanili e ZibaldoneMazzini e Foscolo, voll. V; Lettere di familiari ed amici, voll. II. A questi va aggiunto il recente Giuseppe MAZZINI,L’età rivoluzionaria e napoleonica. Note ed appunti, a cura di Lauro Rossi, Roma, Carocci, 2005. Questo volu-me è il VI della Nuova Serie dell’Edizione Nazionale dei suoi scritti.

4 Giuseppe MONSAGRATI, Mazzini, Firenze, Giunti-Lisciani Editore, 1994, p. 118.

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L’eredità di Mazzini: l’Edizione Nazionale degli Scritti

siamo al numero complessivo delle pagine, circa 40.000. Ad un interesse stretta-mente filologico per l’opera, se n’è affiancato uno di natura più storiografica, sfo-ciato nella pubblicazione del volume Il monumento di carta, titolo non casuale.5Ho infatti cominciato a chiedermi come fosse nata e gestita un’operazione editoria-le certamente fuori dal comune, e che riguardava un personaggio come Mazzini chefino a quel momento aveva risentito dell’ostracismo delle istituzioni e della culturaufficiale. La cosa che maggiormente mi ha stupito è stata la bibliografia deficitaria,se comparata al significato politico ed al valore scientifico dell’opera, sull’EdizioneNazionale: essa è sostanzialmente riconducibile a quattro articoli.6 Un paradossodel resto frequente in una storiografia ipertrofica come quella mazziniana, che so-vente ha ignorato l’approfondimento di tematiche dalle vaste potenzialità, conside-rando i centosei volumi un patrimonio acquisito. Per me invece hanno rappresenta-to un grande stimolo, poiché in tale progetto avevo la possibilità di far incontrare ledue direzioni di ricerca che fino a questo momento hanno caratterizzato il miopercorso di studi: mi riferisco alla pedagogia laica mazziniana ed alla costruzionedel consenso e di una memoria nazionale nell’Italia post-unitaria, concentrando lariflessione sugli strumenti che Mazzini utilizzò per una concreta diffusione dellacultura, ispirato dai suoi frequenti riferimenti all’editoria popolare e dall’impegnoprofuso dai più stretti collaboratori perché dopo la morte le sue opere continuasse-ro ad essere pubblicate.

Alla costruzione del consenso nell’Italia post-unitaria è invece collegato unaltro mio interesse, relativo alla scarsa incisività di Mazzini nella memoria collettivadel paese. Perché, come osserva Roland Sarti, “tra le figure dei ‘Padri della Patria’quella di Mazzini è la più sfuggente?”7 Parte della risposta risiede nella disorganicitàdel suo pensiero, ma anche nel modo in cui le istituzioni ed i mazziniani stessigestirono l’immagine del patriota dopo la morte, puntando più sulla diffusione deisuoi scritti che sulla realizzazione di un monumento nazionale. L’Edizione Nazio-nale ha rappresentato la chiave di lettura per entrambi i problemi. Se da un latorappresenta la più completa espressione di un modello di cui lo stesso Mazzini

5 Michele FINELLI, Il monumento di carta. L’Edizione Nazionale degli Scritti di Giuseppe Mazzini, Verrochio,Pazzini, 2004.

6 Una bibliografia sull’Edizione Nazionale è sostanzialmente riconducibile agli articoli seguenti: GiovanniFERRETTI, La Edizione Nazionale degli Scritti di Giuseppe Mazzini, estratto dalla «Nuova Antologia», XX (1942),agosto, Roma, Società anonima La Nuova Antologia; Armando LODOLINI, Gli archivi di stato e l’ “opera omnia”di Giuseppe Mazzini. (Osservazioni e proposte), estratto dalla «Rassegna Storica del Risorgimento», Roma,Libreria dello Stato, 1950, fascicolo I-IV; Ermanno LOEVINSON, L’Epistolario di Giuseppe Mazzini, estrattodalla «Nuova Antologia», Roma, 1909; Lajos PÀSZTOR, Osservazioni sull’Edizione Nazionale degli Scritti diMazzini, estratto dalla «Rassegna Storica del Risorgimento», Roma, Libreria dello Stato, 1953, fascicolo I. Aquesti lavori, non proprio recenti, va aggiunto il prezioso contributo fornito dalla pubblicazione di MarioSCOTTI-Flavia CRISTIANO, Storia e bibliografia delle Edizioni Nazionali, Milano, Silvestre Bonnard Editore,2002, nella quale ampio spazio viene dedicato all’opera omnia mazziniana.

7 Roland SARTI, Giuseppe Mazzini e la tradizione repubblicana, in Maurizio RIDOLFI (a cura di), Almanaccodella Repubblica. Storia d’Italia attraverso le tradizioni, le istituzioni e le simbologie repubblicane , Milano,Bruno Mondadori, 2003, p. 56.

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aveva dato vita nel 1861 cominciando a pubblicare i suoi Scritti editi ed inediti pres-so l’editore milanese Gino Daelli,8 dall’altro simboleggia il monumento che lo sta-to unitario, piuttosto tardivamente, gli tributò. Per quale ragione lo stato monarchicofinanziò a partire dal 1904 la pubblicazione dell’opera omnia mazziniana, ma ab-bandonò il progetto di monumento nazionale a Mazzini, approvato dal parlamentonel 1890? Ho dunque collocato l’Edizione Nazionale nel periodo storico in cui ènata e si è sviluppata, verificando come intorno ad essa si siano mossi gli attoripolitici che intorno a Mazzini hanno combattuto una battaglia sotterranea ma in-tensa. Nathan, avvicinando Mazzini alla monarchia, cercava consensi e legittimazioneper il suo progetto dei “blocchi popolari”, antagonista a quello di Giolitti, che allafine uscì vincitore.

Elemento determinante per compiere le ricerche, data l’esiguità di materialebibliografico sull’Edizione Nazionale è stata la presenza, ad Imola, dell’archiviodella cooperativa “Galeati”. Al suo interno è conservata la documentazione relativaall’opera: materiale pubblicitario, documenti amministrativi, corrispondenza. Inparticolare ho concentrato la mia attenzione sulle persone che alla realizzazionedell’opera dedicarono la loro vita: i già citati Ernesto Nathan e Mario Menghini,nonché Ugo Lambertini, direttore tecnico della tipografia. A Nathan va ascritto ilmerito di aver raccolto gli autografi mazziniani e di aver creduto fino in fondo allarealizzazione dell’opera, a Menghini e Lambertini quello di averla realizzata mate-rialmente. Ciò conduce in presenza di un altro grande paradosso dell’opera omniamazziniana: a fronte della sua vastità e degli sforzi che essa richiedeva, vi lavoraro-no solo due persone. A fianco di questi personaggi offrirono il loro contributo altriesponenti della politica e della cultura italiana: Andrea Costa, Vittorio EmanueleOrlando, Giosuè Carducci, Benedetto Croce e Giovanni Gentile. Il loro nome siaccostò all’Edizione Nazionale non solo per ragioni culturali, ma anche per esigen-ze politiche. Il decreto istitutivo dell’ Edizione Nazionale, promulgato da VittorioEmanuele III nel marzo del 1904, rappresenta il risultato di manovre politiche co-minciate circa dieci anni prima, con la nomina nel 1897 di Ernesto Nathan a GranMaestro della Massoneria, e trovò sicuramente fertile terreno nel rinnovato climapolitico e sociale che grazie a Zanardelli e Giolitti si respirava nel paese all’inizio delsecolo. Di Ernesto Nathan, a parte rare eccezioni,9 si è parlato troppo poco, ridu-

8 Giuseppe MAZZINI, Scritti editi ed inediti, Edizione Daelliana, Milano, Firenze, Forlì, Roma, 1861-1904,voll. XX. I primi sette dall’editore Gino Daelli tra il 1861 ed il 1864, l’ottavo, nel 1871, dal libraio milaneseLevino Robecchi; i restanti, dopo la morte dell’esule furono redatti a cura della “Commissione Editrice degliScritti di Giuseppe Mazzini”. L’edizione fu chiamata Daelliana dal nome del primo editore.

9 Si vedano i lavori di Anna Maria ISASTIA, ed in particolare Ernesto Nathan, Un mazziniano inglese tra i demo-cratici pesaresi. Appendice di documenti a cura di P. D. Mandelli, Milano, Francoangeli, 1994 e le curatele di ErnestoNATHAN, Scritti Politici, Foggia, Bastogi, 1998; Gran Maestro della Massoneria e Sindaco di Roma. Ernesto Nathanil pensiero e la figura a 150 anni dalla nascita, Atti del Convegno (Roma, 11-12 novembre 1995), Roma, G.O.I.,1998; Romano UGOLINI, L’educazione popolare di orientamento mazziniano a Roma, in L’associazionismomazziniano, pp. 121-141; La famiglia Nathan e l’istruzione popolare a Roma, in «La Critica Sociologica», 1997,121, pp. 80-91; Ernesto Nathan tra pragmatismo e realtà, Roma, Edizioni dell’Ateneo, 2003.

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cendo la sua azione politica alla fortunata ed innovativa esperienza amministrativaromana, cominciata nel 1907. In realtà la politica dei “blocchi popolari”, risultatavincente a Roma, nell’intento di Nathan doveva diventare un modello di politicanazionale da contrapporre alla gestione giolittiana del potere. Cosa c’entra Mazziniin tutto questo? Secondo Nathan, un Mazzini istituzionalizzato ed inserito final-mente tra i “Padri della Patria” avrebbe senza dubbio sdoganato i repubblicani elegittimato proprio la politica dei “blocchi popolari”. Come ha ben evidenziatoRomano Ugolini, Nathan fu mazziniano nella formazione morale, ma garibaldinoin quella politica: egli preferiva cioè “la figura di Mazzini ‘ispiratore’ su quella del‘cospiratore’, fornendo quindi un’immagine che poteva entrare nella coscienza na-zionale priva di quei connotati di parte che, di fatto, lo avrebbero caratterizzatonegativamente agli occhi dell’establishment liberale”.10

Del resto Nathan non fu mai un repubblicano ortodosso, e neppure unantimonarchico. Egli infatti vedeva nella monarchia un elemento propulsivo per ilprogresso civile del paese, nel re un arbitro imparziale ed autorevole della lotta poli-tica. Per arrivare a far finanziare l’opera omnia mazziniana dallo stato, Nathan seguìuna politica graduale. Il 29 dicembre del 1900 egli raggiunse con l’allora ministrodella Pubblica istruzione Gallo un’intesa per la donazione dei manoscritti mazziniani(di cui aveva l’esclusiva) allo Stato, in modo che dopo la sua morte fossero custoditinella biblioteca “Vittorio Emanuele” o nel costituendo archivio “dove possa in futu-ro essere stabilito, con disposizione legislativa, che siano raccolti e conservati i cimelidel Risorgimento italiano”,11 mentre nel 1903 vinse la sua sfida più importante, quelladell’adozione scolastica dei Doveri dell’uomo come testo di educazione civica nellescuole elementari e medie del Regno. Ad affiancarlo in questa battaglia culturale,l’autorevole personalità di Giosuè Carducci e il ministro della Pubblica istruzione delgoverno Zanardelli, Nunzio Nasi. Impegno culturale, certo, ma anche politico, seconsideriamo la comune appartenenza massonica dei tre. Per Nathan non fu affattofacile: oltre alle reticenze delle istituzioni egli dovette vincere quelle dei repubblicaniortodossi, Colajanni su tutti, che non accettarono i tagli all’edizione scolastica deiDoveri dell’Uomo, poiché cassavano i passaggi in cui Mazzini si esprimeva aperta-mente a favore della repubblica.12 Da cosa fu motivato l’atteggiamento di Nathan?Egli era consapevole del fatto che “sacrificare” Mazzini costituiva un’operazione ri-schiosa, ma credeva fortemente nella politica dei “blocchi popolari”, che secondo luiavrebbe consentito alla sinistra riformista di governare autonomamente il paese senzaessere risucchiata dal “trasformismo” giolittiano e avrebbe garantito, come in ognistato realmente liberal-costituzionale, alternanza di governo. Per quanto concerneGiolitti, la sua posizione restò piuttosto defilata, avendo egli lasciato la regia dell’ope-

10 Romano UGOLINI, L’organizzazione degli studi storici, in Cento anni di storiografia sul Risorgimento,Atti del LX Congresso di Storia del Risorgimento Italiano (Rieti, 18-21 ottobre 2000), Roma, Istituto per laStoria del Risorgimento Italiano, 2002, p. 95.

11 Alessandro LEVI, Ricordi della vita e dei tempi di Ernesto Nathan, Firenze, Tip. Ariani, 1927, p. 91.12 Napoleone COLAJANNI, Preti e socialisti contro Mazzini, Roma, Biblioteca della Rivista Popolare, 1903.

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razione al ministro della Pubblica istruzione Vittorio Emanuele Orlando. Del restoGiolitti apparteneva ad una classe dirigente giovane, emotivamente slegata dalle bat-taglie risorgimentali e post-unitarie, e quindi in grado di affrontare con minori impli-cazioni sentimentali il confronto con Mazzini. Pragmatico e realista come Nathan,voleva governare, e si rendeva conto che nell’ambito del suo progetto politico miran-te a tagliare le estreme ed in cui aveva già coinvolto socialisti riformisti e radicali, unarivalutazione di Mazzini avrebbe freddato le velleità repubblicane, che del resto nonrappresentavano un pericolo concreto per l’equilibrio politico istituzionale del paese.Vittorio Emanuele III, rappresentante della monarchia combattuta da Mazzini, meri-ta un discorso a parte. Senza dubbio la sua firma in calce al decreto istitutivo dell’Edi-zione Nazionale era un atto dovuto, ma ciò non significa che il re non cogliesse l’op-portunità mediatica offerta da tale operazione.

Ispiratosi più al modello del nonno che a quello del padre, il giovane re desi-derava risultare il sovrano di tutti gli italiani, e patrocinare la pubblicazione delleopere di Mazzini equivaleva a risaltare la sua modernità ed apertura. Inoltre la lealtàdi Nathan, di cui era amico, verso l’istituto monarchico, costituiva per lui ulterioreelemento di garanzia politica. Non è un caso che il 22 giugno 1905 spettò a Nathan,in presenza del re, la commemorazione ufficiale per la celebrazione del centenariodella nascita di Mazzini.13 Restano da analizzare tre aspetti, solo in apparenza se-condari, che ci dimostrano come intorno alla memoria di Mazzini si stesse giocan-do una importante partita politica. Uno è relativo alla scelta del presidente dellacommissione ministeriale che avrebbe dovuto seguire la realizzazione dell’opera,l’altro è legato alla casa editrice cui sarebbe stato assegnato l’appalto per la stampadei volumi, mentre il terzo riguarda Mario Menghini, curatore dell’opera. Per quantoconcerne la presidenza della commissione, Vittorio Emanuele Orlando, ErnestoNathan e Mario Menghini fino all’ultimo cercarono di convincere Giosuè Carducciad assumerla. Il ministro della Pubblica istruzione scrisse così al poeta nel febbraiodel 1904: “Maestro, mentre l’arte apparecchia a Giuseppe Mazzini l’immagine voti-va, decretata per mirabile consenso di Governo e di Ordini rappresentativi, cuiun’altra manifestazione di volontà diede anticipata conferma, ho pensato che unaltro monumento, la magnifica mole di grandezza e di sapienza civile da lui mede-simo eretta, abbia una riconoscente consacrazione in una completa edizione nazio-nale delle opere di lui. […] Ora, dopo il giudizio sereno della storia, dopo l’augustoe memorando esempio di giustizia resa alla virtù animatrice di Giuseppe Mazzini ,mal si ritarderebbe un atto di reintegrazione doverosa, al cui altissimo significatoardisco sperare che Ella non ricuserà una singolare conferma, accettando la presi-denza della Commissione che alla divisata edizione nazionale attenderà devota-mente”.14 Carducci rifiutò a causa delle precarie condizioni di salute. Furono Ernesto

13 Ernesto NATHAN, Giuseppe Mazzini. Discorso tenuto il 22 giugno 1905 nell’Aula Magna del CollegioRomano, Roma-Torino, Roux e Viarengo, 1905.

14 A. LEVI, Ricordi della vita e dei tempi di Ernesto Nathan..., cit., p. 97.

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Nathan e Mario Menghini ad insistere. Il primo, il 17 marzo del 1904, pochi giornidopo l’emanazione del decreto: “Se voi non potete contribuire al lavoro quotidia-no, potete determinare i criterii su cui deve procedere, vegliare sull’andamento […]Caro amico, non abbandonateci; siate con noi a dirigere e a consigliarci a fin dicompiere insieme l’atto di solenne onoranza al Maestro comune […]. Menghini edio avremo a piacere ed onore il venire a Bologna da voi”.15 A Nathan Carduccirispose che declinava perché non era “uomo di decoramentazione, da far figura enon lavoro”.16 Toccò a Menghini l’ultimo tentativo, nell’aprile del 1904: “Perchénon accetta? Se me ne fa scrivere un cenno, io farò sapere all’Orlando che giovainsistere. Pensi, professore, dove si può cadere! Con Lei saranno il Fiorini, ilMazzatinti, e il sottoscritto”.17 La risposta, più concisa di quella data a Nathan,aveva lo stesso tono: “Io fui avvezzo a lavorare quanto potevo: e non fo l’uomodecorativo”.18 È indubbio infatti che la presidenza affidata all’anziano poeta, im-possibilitato per ragioni di salute ad onorare un impegno così gravoso, avrebbeassunto un valore di garanzia politica, accontentando i repubblicani e gli ambientimassonici, che da Carducci si sarebbero sentiti ben rappresentati e tutelati, la fami-glia reale, e più in generale i moderati e i non mazziniani, che difficilmente poteva-no mettere in dubbio lo spessore del poeta.

Sfumata la presidenza super partes, si decise di conferire l’incarico al ministrodella Pubblica istruzione in carica. Anche la scelta della “Galeati” si ispirò a sceltedi natura politica. In verità, la stampa dell’opera omnia mazziniana non dovevasembrare molto appetibile, dato che “due licitazioni pubbliche erano andate deser-te”,19 ma la cooperativa ottenne l’incarico grazie alle pressioni di Andrea Costa,deputato del collegio di Imola, che nel 1900 si era battuto per la fusione delle quat-tro tipografie esistenti sul territorio in un’unica cooperativa tipografica per rispon-dere alla crisi del mercato.20 Esigenze di collegio da un lato, ed omaggio alla figuradi Mazzini, il cui pensiero era stato determinante per la sua formazione politica,spinsero dunque Andrea Costa a muoversi in questa direzione. C’è un altro parti-colare da non sottovalutare: l’amicizia tra Costa ed Ernesto Nathan. I due fin dal1890 avevano collaborato alla politica dei “blocchi”, candidandosi nella stessa listaalle elezioni nel collegio di Pesaro, ed entrambi erano massoni. Quale fu invece ilruolo di Mario Menghini, che a Mazzini dedicò tutta la sua vita? Senza Menghini

15 Ibid., p. 98.16 Ibid.17 Torquato BARBIERI (a cura di), Giosue Carducci-Mario Menghini. Carteggio (ottobre 1888-aprile 1904),

Modena, Mucchi Editore, 2000, p. 185.18 Ibid., p. 186.19 Appunti sulla Cooperativa Galeati e sulle opere mazziniane, in Biblioteca Comunale di Imola, Archivio

Galeati, B. 15, fasc. 2.20 A questo proposito cfr. Aurelio ALAIMO, Le cooperative tipografiche in Italia e le origini della Galeati di

Imola (1890-1903), in Un tipografo di provincia. Paolo Galeati e l’arte della stampa tra otto e novecento,Catalogo della mostra, a cura di Marina Baruzzi, Rosalba Campioni, Vera Martinoli, Imola, Editrice Coope-rativa Marabini, 1991 e Nazario GALASSI, Vita di Andrea Costa, Milano, Feltrinelli, 1989.

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oggi non avremmo un’Edizione Nazionale così imponente e completa. Romano,collaboratore di Carducci, che lo presentò a Nathan agli inizi del Novecento, stu-dioso di letteratura e storia, Menghini rinunciò a prospettive di carriera più gratifi-canti all’interno della Pubblica amministrazione o nell’università, per portare a com-pimento l’opera omnia mazziniana, cui lavorò anche dal letto di casa, fino alla mor-te, avvenuta nel 1945. Nonostante ciò, ad eccezione di alcuni articoli commemora-tivi, o a rapidi cenni in biografie mazziniane, l’attenzione prestata a Menghini èsempre stata limitata.21 Il suo nome, e non potrebbe essere altrimenti, è semprestato associato all’opera mazziniana, ma nessuno si è mai sforzato di andare oltreuna valutazione scientifico-storiografica del suo impegno. In questo modo l’im-pressionante lavoro compiuto da Menghini è stato ridotto ad una fatica ai più in-comprensibile e ad un estenuante lavoro di redazione e meticolosa ricostruzionestorica, che difficilmente spiegano, da sole, la sua dedizione all’Edizione Naziona-le. Leggendo infatti le centotrentaquattro lettere inedite che tra il 1911 ed il 1943Menghini indirizzò alla “Paolo Galeati”, il primo dato che appare evidente è cheegli non si limitò a curare semplicemente l’aspetto editoriale dell’opera, ma gestì idifficili rapporti tra la casa editrice, la commissione ed il ministero della Pubblicaistruzione al fine di tenere in vita l’edizione mazziniana. La sua opera di mediazio-ne fu determinante nel 1921, quando con la crisi del primo dopoguerra sembravache il ministero volesse sospendere il finanziamento dell’Edizione Nazionale, e nel1933, quando fu stipulato il quarto ed ultimo contratto tra la società ed il ministero.Il 22 febbraio del 1939 faceva notare al Lambertini che “dopo di aver dato tutta lamia vita all’edizione mazziniana, che dicono e scrivono monumentale, sono ridottoa lavorare per arrotondare la mia modesta pensione”,22 segno che la passione dellostorico era accompagnata da una frustrazione vissuta con grande dignità. Ho cerca-to allora di capire da dove provenisse tale attaccamento nei confronti dell’EdizioneNazionale, perché oltre alla competenza ed al talento c’era in Menghini una forte

21 Mario Menghini, (Roma, 3 maggio 1865-Roma, 12 febbraio 1945), fu l’infaticabile curatore dell’opera omniamazziniana, cui dedicò quarantacinque anni della sua vita. Allievo e collaboratore di Carducci, fu presentato adErnesto Nathan, promotore dell’edizione mazziniana, proprio dal poeta. Uomo poliedrico e di grande cultura,non ridusse la sua attività di ricerca al solo Mazzini. Dal 1923 fu direttore del Museo del Risorgimento di Roma,di cui riorganizzò la Biblioteca, mentre con Giovanni Gentile diresse l’importante collana di “Studi e Documen-ti di Storia del Risorgimento” per i tipi di Le Monnier. Era anche responsabile della sezione di Storia e Modernae Contemporanea dell’Enciclopedia Italiana diretta da Gentile e Treccani, Enciclopedia nata su un’idea che luistesso aveva sviluppato nel primo dopoguerra con Ferdinando Martini. A ciò si accompagnava una freneticaattività di pubblicazioni: centocinque sono le sue opere censite nel Sistema Bibliotecario Nazionale. Per una suabiografia essenziale si rimanda a Cristina ARCAMONE BARLETTA, Ricordo di Mario Menghini, in «Accademie eBiblioteche d’Italia», Roma, gennaio 1955; CECCARIUS (G. Ceccarelli), In ricordo di Mario Menghini, «Il Tem-po», 12 febbraio 1955; Alberto Maria GHISALBERTI, Mario Menghini, «Strenna dei Romanisti», Roma, Staderini,1955, pp. 222-231, poi ristampato in Alberto Maria GHISALBERTI, Attorno e accanto a Mazzini, Milano, Giuffré,1972, pp. 115-122; Giuseppe MARTINOLA, Un amico del Ticino, Mario Menghini, «Il Corriere del Ticino», 6luglio 1955; Emilia MORELLI, Mario Menghini, in «Rassegna Storica del Risorgimento», XLII (1955), fascicoloIV (ottobre-dicembre), pp. 663-664, mentre per il ruolo da lui avuto nello sviluppo dell’Enciclopedia Italiana,cfr. Gabriele TURI, Il fascismo e il consenso degli intellettuali, Bologna, il Mulino, 1980.

22 Lettera di Mario Menghini ad Ugo Lambertini del 22 febbraio 1939, in Archivio Galeati, B. 17, fasc. 94.

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componente passionale. Sono stati di aiuto Walter Maturi, il quale ha sottolineatocome Menghini “non era solo uno studioso esemplare, […] ma era anche unmazziniano di stretta osservanza”,23 e Alberto Maria Ghisalberti, che collegava leorigini della passione di Menghini per Mazzini ed il Risorgimento ad un suo ziomaterno, il Rubicondi, che “aveva fatto le schioppettate a Roma, nel ‘49, tra i legio-nari polacchi”.24 Lo storico romano era dunque un mazziniano. Discreto e riserva-to, esplicitò la sua ammirazione per Mazzini in due lettere indirizzate a GiosuèCarducci. La prima risale al 13 marzo del 1901. All’epoca stava curando l’Epistolariomazziniano voluto da Nathan presso l’editore Sansoni; in essa descriveva con entu-siasmo la sua attività: “Ho scritto a Casalini che le mandi i fogli del Mazzini. Sonocontento che l’epistolario vada a genio a Lei. D’altri non curo, dopo il suo giudizio.Ella vedrà che figura ne balza fuori. Che continuità di pensiero politico! Che lezio-ne per certe coscienze di velluto che fingono di tenerla in disparte”25 La secondainvece reca la data del 5 giugno 1902. Menghini si occupava dell’edizione scolasticadei Doveri dell’Uomo, probabilmente ancora ignaro dei tagli che il Nathan vi avrebbeapportato, e chiedeva a Carducci una piccola prefazione: “Ci pensi, professore, eme ne dica. Nessuno, più di Lei, ha il diritto di condurre dinanzi ai giovinetti ildecalogo italiano come ammonimento alla generazione che sorge tra l’epopea delRisorgimento d’Italia, e il putridume, nato da questo Risorgimento, e impostosi alnostro popolo”.26 Fu dunque anche la sua fede in Mazzini a guidarlo per quarant’an-ni. In una situazione che lui stesso definì di “putridume”, aveva notato i tentativi diappropriazione di Mazzini da parte delle istituzioni e delle forze politiche. In silen-zio, comprese che l’unica cosa da fare davvero per onorare Mazzini era mantenerel’integrità dei suoi scritti e conservarli per il futuro.

E lo fece con estrema correttezza e professionalità, dopo che il 30 novem-bre 1906, con un decreto ministeriale era stata ufficializzata la sua posizione disegretario della commissione. Nelle introduzioni ai centosei volumi, esaminate elette con attenzione, non emerge alcuna presa di posizione politica, ed è risaputoche Menghini non volle mai apporre la sua firma in calce all’introduzione deivolumi perché il lavoro della commissione, organo puramente formale, non sfi-gurasse. Ultime considerazioni vanno dedicate alla struttura dell’opera e ad even-tuali limiti editoriali. Tecnicamente parlando, un’Edizione Nazionale è “la pub-blicazione di un’ opera omnia di un autore in edizioni condotte secondo i piùrigorosi criteri della filologia moderna, fondate sulla ricognizione di tutte le stampeo i manoscritti conosciuti”,27 sostenuta, e questo è l’elemento che la rende nazio-nale, non da un ente privato, ma dallo stato. La redazione dell’opera è affidata aduna commissione composta di studiosi, esponenti della cultura e rappresentanti

23 Walter MATURI, Interpretazioni del Risorgimento, Torino, Einaudi, 1962, p. 680.24 A. M. GHISALBERTI, Attorno e accanto al Mazzini..., cit., p. 120.25 T. BARBIERI, Giosuè Carducci-Mario Menghini. Carteggio..., cit., p. 177.26 Ibid., p. 181.27 M. SCOTTI-F. CRISTIANO, Storia e bibliografia delle Edizioni Nazionali..., cit., p. 9.

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del governo. Quella di Mazzini fu la terza Edizione Nazionale ad essere messa incantiere, dopo quelle di Galilei e Machiavelli, ed il patriota genovese fu il primoitaliano contemporaneo a ricevere tale onore. Ma quale criteri furono seguiti dal-la commissione per allestire ed impostare un lavoro così impegnativo, soprattuttose si tiene conto della prolificità di Mazzini? L’impianto di base è stato quellodisegnato da Mazzini con la già citata edizione Daelliana delle sue opere, con ladivisione degli scritti in Letterari e Politici. In realtà, attraverso un esame piùattento si può comprendere come questo sia l’unico punto in comune tra le dueopere. La Daelliana infatti non voleva essere la raccolta completa delle operemazziniane, ma una selezione, compiuta prima dallo stesso Mazzini e poi daAurelio Saffi, in base alle esigenze del momento politico, senza alcuna attenzioneriposta all’ordine cronologico del materiale. Ciò costituiva un grande limite poi-ché non dava ai volumi quell’uniformità e continuità che era fondamentale pergestire una produzione disorganica e di difficile controllo come quella di Mazzini.La prima esigenza della Commissione regia era dunque quella di razionalizzare illavoro utilizzando criteri rigidamente storiografici. Il primo fu quello di rispetta-re la cronologia degli scritti mazziniani: per tale ragione il primo volume dellaserie è di Letteratura , “essendo gli scritti letterari prioritari di data rispetto aipolitici nella produzione giovanile del Mazzini”.28

Altro caso di organizzazione del materiale è dato dall’accorpamento neglistessi volumi di scritti che nella Daelliana si trovavano in ordine sparso: un esem-pio è costituito dagli articoli pubblicati da Mazzini nell’“Apostolato Popolare”,che la commissione raggruppò interamente nel XXV volume, mentre nella Daellia-na furono pubblicati nel V e nel VI, senza alcun ordine. Ma c’era un altro problema,ben più rilevante, con cui si dovevano fare i conti, ed era quello dell’abbondanza edella indeterminabilità del materiale mazziniano in circolazione. Il vincolo previstodal decreto di edizione completa delle opere, implicava, una volta verificatane laveridicità, la pubblicazione di tutti gli inediti di cui la commissione fosse venuta inpossesso, soprattutto lettere. Il primo contratto tra la “Galeati” ed il ministero dellaPubblica istruzione, risalente al 1905, stabiliva le dimensioni dell’Edizione Nazio-nale in un numero di quaranta volumi. Il calcolo si rivelò ben presto in difetto,perché oltre a sottovalutare il fatto che anche gli Scritti politici sarebbero aumentati,non si tenne conto delle lettere. È stato infatti l’Epistolario a costituire la reale diffe-renza tra le due edizioni, facendo lievitare nettamente il numero dei volumi. Lascelta di non pubblicare le lettere di Mazzini all’interno della Daelliana era abba-stanza ovvia. Quando partì la pubblicazione dell’opera il patriota era ancora in vita,e quindi avrebbe avuto poco senso; secondariamente c’erano difficoltà oggettivenel reperire le sue lettere, sparse in tutta Europa e in mezzo mondo, e che lui stessochiedeva ai suoi corrispondenti di distruggere per evitare che fossero scoperti i suoipiani insurrezionali. Nel 1909, quando fu licenziato il primo volume di Epistolario,

28 Ibid., p. 55.

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la commissione possedeva più di ottomila lettere: nuovi autografi mazziniani veni-vano direttamente scoperti dalla commissione o pubblicati in svariate raccolte daaltri studiosi. Curiosamente, però, proprio nell’introduzione al primo volume dellelettere, la commissione spiegava che “pure avendo formata una numerosa raccoltadi lettere, le quali, tra edite ed inedite, superano ormai l’ottavo migliaio, avrebbeassai di buon grado differito la pubblicazione di questo primo volume dell’Episto-lario, e continuato invece ad allargare ed approfondire le sue ricerche, se non avessedovuto tenere conto delle impazienze degli studiosi; i quali, più che negli scritti diargomento politico e letterario, intendono con ragione di vedere, nella corrispon-denza epistolare, rappresentare il sorgere e lo svolgersi graduale dell’azione e delpensiero mazziniano”.29 Curiosamente, perché se la commissione avesse deciso diraccogliere tutte le lettere di Mazzini, l’Edizione Nazionale non sarebbe mai stataportata a termine. L’ammontare di autografi mazziniani incideva pesantemente sul-l’andamento dei lavori, anche perché il solo Menghini era capace di muoversi conagilità nella complessa scrittura mazziniana, che pure gli creò numerosi grattacapi.Le lettere di Mazzini rappresentavano un ostacolo per due ragioni di fondo. Laprima legata alla qualità della carta: i fogli, sottilissimi, facevano trasparire l’inchio-stro da una parte all’altra della pagina, creando problemi di lettura. La seconda, benpiù consistente, era la scarsa propensione di Mazzini ad apporre la data nelle suelettere.

Raramente indicava il giorno, mai il mese e l’anno. Per stabilire la data Men-ghini finì per utilizzare come principale parametro il timbro postale, mentre in casodi assenza del timbro, fece ricorso agli avvenimenti storici descritti nelle lettere. Pertale ragione le date su cui vi era assoluta insicurezza furono accompagnate con unpunto interrogativo, mentre quelle più attendibili, di cui non v’era però esatta cer-tezza, vennero chiuse tra due parentesi quadre. Il fatto che quasi tutte le date sianotra parentesi, indica comunque che le difficoltà poste dalle lettere di Mazzini, era-no, e sono, insuperabili. Per valutare l’impatto dell’ Epistolario sull’opera nel suocomplesso basta pensare che sui 106 volumi pubblicati tra il 1906 ed il 1943 bensessantaquattro sono di lettere: cinquantotto più sei di appendice, contenenti gliautografi che andavano ad integrare le annate già pubblicate. Tra edite ed inedite, lamaggior parte, presero posto nei volumi Edizione Nazionale 10.860, circa un quar-to di quelle stimate in circolazione. Di fronte a questa mole di lavoro, svolto dai soliMenghini e Lambertini, è chiaro che sorgessero innanzitutto problemi nella conse-gna dei volumi da parte della casa editrice. Al primo contratto, quello che prevede-va appunto la pubblicazione di quaranta volumi tra il 1905 ed il 1914, se ne aggiun-sero altri tre: uno dal 1915 al 1923, uno dal 1924 al 1932, ed uno dal 1933 al 1941.Non è questa la sede per entrare nei dettagli, ma è indubbio che la Galeati nonpossedesse i mezzi per far fronte a questa operazione editoriale, sul cui rallenta-mento incise anche la Prima guerra mondiale. A più riprese, gli stessi dirigenti del-

29 S.E.N., vol. V, p. VII.

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l’azienda, espressero i loro dubbi sull’ Edizione Nazionale.30 Da parte loro, le isti-tuzioni non fecero nulla per cessare questo rapporto, ed anzi furono prima Bene-detto Croce e poi Giovanni Gentile, con la “benedizione” di Benito Mussolini, amantenere in vita un’operazione visibilmente in perdita. Inoltre, la scelta della casaeditrice di venderla per abbonamenti, si rivelò perdente: chi è che poteva aspettarequarant’anni per completare un’opera? Da un punto di vista strettamente filologi-co, la struttura dell’opera resta impeccabile. Non deve certo stupire se essa sia pienadi refusi di stampa o che una stessa lettera possa essere stata riprodotta due volte.Siamo in presenza di limiti fisiologici giustificabili, se consideriamo che stiamo par-lando complessivamente di più di quarantamila pagine, corrette letteralmente aquattro mani da Menghini e Lambertini. Se ci fu un errore commesso da Menghini,è stato a mio parere quello di aver sovraccaricato eccessivamente le introduzioni deivolumi e le note a piè di pagina. Per quanto concerne le prime, alla descrizione deisingoli saggi, articoli, scritti presenti nel volume, vengono presentati brani inediti,differenti versioni di testo, lettere indirizzate a Mazzini dai suoi corrispondenti, alpunto che non è errato ipotizzare la possibilità di ricavare singoli volumi dal mate-riale presente nelle introduzioni. Per quanto concerne l’impianto delle note, rigo-roso, completo ed efficace, esso si rivelò eccessivo quando piuttosto che rimandaresemplicemente alla fonte o ad un volume, riportava per pagine e pagine un interodocumento. È il caso delle lettere di George Sand a Giuseppe Mazzini: Menghininon si limitò a indicare il testo di riferimento, ma le trascrisse nella loro interezza,andando quindi a gonfiare il numero delle pagine ed il lavoro di correzione dellebozze. Con questo contributo non potevo certo esaurire gli argomenti affrontatinel Monumento di Carta, ma ho cercato di sottolineare l’elemento di contraddizio-ne che a mio parere ha segnato sin dalla nascita l’Edizione Nazionale, che ha certa-mente fallito nel suo scopo principale, quello di avvicinare Mazzini agli italiani. Ascapito dell’immagine di perdente, triste e menagramo, Mazzini, personaggio in-gombrante e scomodo rispetto agli altri “Padri della Patria”, ha influenzato la sto-ria politica del nostro paese più di quanto si creda. Tutti i leader politici e le forzepolitiche dell’Italia liberale prima, e gli stessi fascisti successivamente, hanno dovu-to fare i conti con lui, non solo perché come sosteneva ironicamente ArcangeloGhisleri ognuno ebbe, “anche se finì ministro del re, qualche breve rapporto con lecongreghe mazziniane”,31 ma perché Mazzini era parte integrante della storia poli-tica italiana. Crispi, Nathan, le diverse anime del repubblicanesimo, Gentile, incon-sapevolmente lo stesso Vittorio Emanuele III, crearono un Mazzini a loro immagi-ne; il Mazzini pragmatico e disposto a collaborare con la monarchia di Crispi eNathan non era molto diverso da quello dei liberali; quello dei mazziniani ortodos-

30 A questo proposito, cfr. Alfredo GRILLI (a cura di), Paolo Galeati e un sessantennio di vita cooperativa(1900-1960), Imola, Cooperativa Tipografico Editrice “Paolo Galeati”, 1960.

31 Lettera di Arcangelo Ghisleri a Terenzio Grandi del 12 giugno 1916, in Lorenza GRANDI (a cura di),L’intransigente e l’idealista. Arcangelo Ghisleri-Terenzio Grandi. Carteggio (1904-1938), Torino, Museo Na-zionale del Risorgimento Italiano, 1992, p. 60.

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L’eredità di Mazzini: l’Edizione Nazionale degli Scritti

si era rimasto antiparlamentare quando i repubblicani riformisti volevano comin-ciare a combattere dal parlamento le battaglie per la laicità dello stato, mentre ilMazzini di Gentile era il “profeta” di un Risorgimento che secondo il fascismo finìil 28 ottobre 1922, con la marcia su Roma. Ma esiste un Mazzini a cui tutti gliitaliani possano unanimemente rapportarsi? Di questa contraddizione l’EdizioneNazionale è lo specchio. Voluta dallo stato più come atto dovuto che per sinceroomaggio, si trasformò col tempo in un gigantesco monumento di carta la cui diffu-sione non giovò all’immagine del patriota, e costò notevoli sacrifici umani ed eco-nomici a chi vi lavorò. Per la Galeati rappresentava una perdita, ma la tipografianon poteva liberarsene per non rinunciare ad altre commesse statali, mentre lo stes-so ministero avrebbe probabilmente smesso di finanziarla senza il continuo inte-ressamento di Menghini, e successivamente, di Giovanni Gentile. Io ho voluto in-quadrarla nella vicenda politica del nostro paese per riflettere sulla mancata meta-bolizzazione della figura di Giuseppe Mazzini da parte della cultura italiana, meta-bolizzazione auspicabile.

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Angelo Manuali

Giuseppe Mazzini Uomo Universale di Carlo Gentiledi Angelo Manuali

Sono grato al Circolo Culturale “ICARO” e al suo Presidente GiancarloRoma per avermi dato l’opportunità di parlare di Carlo Gentile e del suo libro suGiuseppe Mazzini. E ciò perché egli è stato mio maestro e amico fraterno, oltre cheprezioso collaboratore, sia come curatore che come autore di varie opere da mestampate nella Bastogi Editrice Italiana.

Tutti quelli che hanno conosciuto Carlo Gentile conservano di lui un ricordoindelebile per le sue doti umane, per la sua cultura e il suo impegno di docente e dieducatore.

Nel 1994, a dieci anni dalla morte, ebbi a pubblicare, come testimonianza eatto di devozione alla sua memoria, un libro intitolato “Carlo Gentile. Una vita perla cultura”, in cui raccolsi alcuni scritti di amici ed estimatori, tra cui quelli dall’on.Armando Corona, che nel 1984 era Gran Maestro della Massoneria del GrandeOriente d’Italia e dello storico Prof. Aldo Alessandro Mola, oltre a un commoven-te testo poetico e ad un brano esoterico dello stesso Gentile.

Di quel libro mi piace riportare un brano tratto dallo scritto del dott. CiroMundi, attuale vicesindaco di Foggia:

Del periodo risorgimentale non studiò solo le figure mitiche, Mazzini e Garibaldi,ma anche, e soprattutto, i cosiddetti minori seguendo un preciso metodo di inda-gine storiografica che vuole i personaggi minori quale più veritiera espressioneumana del periodo storico in esame in quanto ne mettono più facilmente in risal-to le ombre. In questa ottica vanno visti i saggi su Giuseppe Ricciardi, VincenzoLanza, Giuseppe Libertini, Francesco Saverio Salfi ed altri.Gli ideali risorgimentali non furono vissuti da Carlo Gentile con il distaccodello storico ma trasfusi nell’impegno civile quotidiano: partecipò in primalinea alla battaglia per l’abbattimento della monarchia; quale membro della LegaInternazionale per i Diritti dell’Uomo, organismo affiliato all’O.N.U., tennemanifestazioni in ogni parte d’Italia contro la temuta abrogazione della leggesul divorzio. Per contrastare, libero da patteggiamenti politici e vincoli partiti-ci, la violazione sistematica dei diritti civili nei paesi a regime totalitario, aderìad Amnesty International. Il suo operato politico fu improntato al rigore mo-rale: repubblicano da sempre, fu chiamato dal suo partito a far parte del Consi-glio Nazionale dei Probiviri.

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Giuseppe Mazzini Uomo Universale di Carlo Gentile

Ed io aggiungo che fu socio attivo dell’AIDO, dell’AVIS e dell’ENPA, non-ché amico e collaboratore di Aldo Capitini nel movimento non violento e nelleprime marce per la Pace di Assisi. Ma fu anche un grande esoterista e Gran MaestroOnorario della Massoneria. Autore di ben 47 pubblicazioni e di moltissimi articoli,fu infaticabile operatore culturale, con conferenze incontri e dibattiti, pronto a im-pegnarsi, anche come zoofilo, ovunque c’era da proteggere e difendere i valori e lasacralità della vita.

A riconoscimento del suo valore e del suo impegno civile, sociale, umano eculturale, l’Amministrazione Provinciale di Foggia ha promosso un convegno distudi su di lui, con la conseguente pubblicazione degli Atti e la Civica Amministra-zione gli ha dedicato una piazza. Un bel monumento funebre consente di rendergliomaggio nel cimitero di Foggia.

Veniamo ora al libro oggetto di questa relazione.Nel 1972, in occasione del primo centenario della morte di Giuseppe Mazzini,

la Giunta della Massoneria del Grande Oriente d’Italia, volendo partecipare allecelebrazioni nazionali, commissionò a Carlo Gentile un libro che raccontasse edocumentasse i rapporti tra il grande Apostolo e la Massoneria. Carlo Gentile fufelicissimo di questo incarico e si dedicò con grande impegno alla stesura del volu-me. Nacque così Giuseppe Mazzini Uomo Universale, che poi alcuni anni dopo fuda me ristampato con la Bastogi, accanto a quello su Giuseppe Garibaldi.

Il libro inizia dalla morte di Mazzini, l’oscuro esule “Signor Brown”, avve-nuta il 10 marzo del 1872 a Pisa.

Appena si diffuse la notizia, a Genova, presieduto da Michele Barabino, GranMaestro Aggiunto del Grande Oriente d’Italia, fu costituito un comitato massonicoche accompagnò a Staglieno il feretro con sopra la sciarpa di Maestro Libero Mura-tore. E a Pietro Corini, conservatore delle spoglie mortali del fratello GiuseppeMazzini, i liberi muratori liguri offrirono una medaglia che mostrava Mazzini sulletto di morte con la sciarpa del 33° grado di Rito Scozzese (il massimo grado dellainiziazione massonica) con accanto il compasso e la squadra, simboli specifici dellaLibera Muratoria.

Da questi primi atti, immediatamente successivi alla morte, sembrerebbe pa-cifico e acclarato che Mazzini appartenesse alla Famiglia massonica. Di certo taleappartenenza era evidente per i massoni genovesi. A ciò va aggiunto che il GrandeOriente d’Italia commemora i defunti il 10 marzo, proprio il giorno della mortedell’Apostolo.

Carlo Gentile non si accontenta di tutto questo e, con l’impegno del ricercato-re, inizia una lunga indagine, per rintracciare i documenti e le testimonianze che con-fermino e certifichino i rapporti realmente intercorsi tra Mazzini e la Massoneria.

Prima di affrontare con Gentile la questione, però, è necessaria una brevericostruzione storica.

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Angelo Manuali

La Massoneria moderna, nata in Inghilterra nel 1717, si è diffusa negli annisuccessivi in tutta Europa e poi nel resto del mondo. La prima Loggia sul continen-te europeo fu fondata a Parigi nel 1725. In Italia, a Firenze nel 1735, dove assunseatteggiamenti anticlericali e perfino rivoluzionari, subendo condanne sia dai prìncipiche dalla Chiesa Cattolica.

Con l’avvento di Napoleone, dopo un primo periodo di diffidenza recipro-ca, le cose cambiarono radicalmente e la gran parte delle Logge entrarono nell’orbi-ta francese, tanto che molte di esse furono messe all’obbedienza del Grande Orien-te di Francia.

Dopo il 1815, a seguito della sconfitta definitiva di Napoleone e la Restaura-zione sancita dal Congresso di Vienna, l’attività massonica dovette essere ufficial-mente interrotta a causa delle repressioni poste in atto dai nuovi governi.

Solo nel 1859, dopo le vicende del Risorgimento, ricominciò l’attivitàmassonica a opera soprattutto dei patrioti ex combattenti, spesso divenuti anchemembri di governo. Molti di essi, come lo stesso Garibaldi, vedevano infatti laMassoneria alla base della politica nazionale.

L’8 ottobre del 1859 venne costituita a Torino la Loggia Ausonia al fine direalizzare una Comunione massonica, il Grande Oriente d’Italia (G.O.I), indipen-dente dalla Francia e dalle altre obbedienze straniere, filo-cavouriana e quindi filo-monarchica, la quale avrebbe dovuto avere a suo Gran Maestro lo stesso Cavour.

Con la morte del Cavour si cercò di rimediare al problema con la nomina diCostantino Nigra, ambasciatore del Piemonte in Francia. Ma quest’ultimo era soloun apprendista, primo grado della iniziazione massonica, per cui la sua nomina erairregolare, perché ci voleva almeno il terzo grado, quello di Maestro. Nigra, pernon creare difficoltà alla Famiglia, rinunciò all’incarico. Al suo posto fu allora no-minato Filippo Cordova, in contrapposizione a Garibaldi, con la prevalenzaquindi dei liberali- monarchici sui democratici-repubblicani.

Nel frattempo era stato costituito il Grande Oriente di Palermo, di orienta-mento repubblicano, il quale, nel 1862, in concorrenza con il Grande Oriente d’Ita-lia, conferisce la Gran Maestranza a Giuseppe Garibaldi.

Nel 1863 il Grande Oriente d’Italia indice un’assemblea costituente che perònon viene riconosciuta dal Grande Oriente di Palermo. Nel successivo 1864, vieneindetta a Firenze una nuova assemblea del Grande Oriente d’Italia, nel corso dellaquale viene offerta la Gran Maestranza a Garibaldi. Inaspettatamente Garibaldi ac-cetta, nella speranza che combinando le due cariche si potesse realizzare l’unifica-zione della Massoneria italiana. Ma non fu così. Criticato da una parte e dall’altra,decise di dimettersi da entrambi gli incarichi.

In data 2 giugno 1867 il Grande Oriente d’Italia, che aveva trasferito la suasede a Firenze, nuova capitale provvisoria del Regno, convoca una nuova assem-blea legislativa a Napoli.

Un mese prima Garibaldi aveva inviato al Supremo Consiglio della Masso-

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Giuseppe Mazzini Uomo Universale di Carlo Gentile

neria di Palermo un’importante lettera nella quale manifestava il convincimentoche l’unità massonica avrebbe tratto a sé l’unità politica dell’Italia ed esprimeva ildesiderio di un’assemblea costituente nazionale. Il Supremo Consiglio non aderìalla richiesta e rispose di non poter partecipare all’assemblea che nel frattempo erastata convocata a Napoli. Garibaldi allora ruppe gli indugi e aderì definitivamenteal Grande Oriente d’Italia. E con la lettera del 21 settembre, da Firenze, dichiarò“di appartenere ad una sola Massoneria Italiana e Umanitaria, rappresentata dalGrande Oriente eletto nell’assemblea di Napoli”.

Tornando ora al Giuseppe Mazzini di Carlo Gentile, dobbiamo rilevare chein realtà, come dallo stesso ampiamente documentato, Mazzini non fu mai iniziatoritualmente in una Loggia, a differenza di Garibaldi, anche se ebbe ed accettò variriconoscimenti onorari e fu considerato unanimemente fratello massone. Unainiziazione “sulla spada” cioè con una procedura eccezionale, la ebbe nel carcere diSavona da parte del marchese Passano. Lo stesso Mazzini ne parla, scherzandoci unpo’ sopra. Di certo comunque c’è, come ho già detto, a testimonianza del suo pre-stigio e alto apostolato, che la Massoneria italiana commemora i defunti il 10 mar-zo di ogni anno (giorno della sua morte) e che sia in Italia che all’estero vi sonovarie Logge a lui intestate. E nella Gran Loggia di New York è inciso, tra i nomi delgrandi massoni, quello del Gran Maestro Giuseppe Mazzini.

Ma quali sono stati i reali rapporti tra lui e la Massoneria?Fondamentale è a riguardo il 1866, anno in cui Mazzini fonda la “Alleanza

Repubblicana Universale”, una sorta di para-massoneria repubblicana. Da quelmomento i rapporti con i singoli massoni, molti dei quali erano suoi sodali, e con lecomunioni massoniche, furono ben più intensi, soprattutto sul versante palermita-no, che era quello a lui più vicino e verso cui cercava di indirizzare i fratelli masso-ni, distogliendoli dal Grande Oriente d’Italia. Mazzini infatti mirava alla trasfor-mazione della Massoneria in una società politica, parallela, possibilmente confede-ra all’Alleanza Repubblicana.

Nella lettera a Federico Campanella (SEI LXXXV, Epistolario, LIII, p. 311)Mazzini ricorda “che non tocca a noi uomini dell’Alleanza Repubblicana di fonda-re Logge, ma di lavorare a che le Logge già fondate o che da altri si fondano, siriannettano a Palermo”. Nella lettera a Maurizio Quedrio (Londra, 4 luglio 1868)scrive: “Tento di trasformare o di compromettere la Massoneria. È elemento nume-rico forte e inclinato da qualche tempo a venire a me. Cerca di farla ridiventarerepubblicana, come già in Sicilia”. In un’altra lettera, a Federico Campanella (28luglio 1868) scrive: “Anche la Massoneria Piemontese va ponendosi in contatto conme. Ciò a cui dobbiamo tendere è disfare il Grande Oriente di Firenze e trasforma-re più sempre quello di Palermo”.

Da queste posizioni “settarie” di Mazzini nascono i contrasti con Garibaldi,che invece era per l’unificazione massonica senza pregiudiziali politiche. Il contra-

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sto era ormai insanabile. L’influenza di Mazzini sulla Massoneria siciliana fu deter-minante per la rottura tra Garibaldi e il Grande Oriente di Palermo. Per cui dalSupremo Consiglio partì per Mazzini il brevetto di 33° (cioè del trentatreesimogrado del Rito Scozzese), che era la condizione per diventare Gran Maestro delGrande Oriente di Palermo.

A questo punto Mazzini è messo di fronte a una decisione importante.Egli, come precisa Carlo Gentile, non escludeva “di poter assumere l’altissi-

ma carica, ove Garibaldi gli lasciasse completamente il campo libero, ma sempresulla linea della repubblicanizzazione dell’Ordine, in una maniera, cioè, che glipermettesse di conciliare massoneria ed alleanza in una formazione, anche federativa,ma con crismi comuni definitivi, di logge rivoluzionarie”.

Alla fine però la risposta fu negativa. Egli, infatti, il 9 luglio 1868 rispose cosìda Londra al Supremo Consiglio: “Sento profondamente nell’animo l’onore che mifate, e mi dorrebbe quanto non so dirvi il dispiacervi. E nondimeno: non credo dipotere addossarmi l’alto incarico che mi affidate. È ufficio di coscienza e voi piùche altri siete capaci d’intendere le mie ragioni… La parte nella quale io posso esse-re più utile allo sviluppo delle cose, è quella piuttosto di un membro influente inuna associazione, d’intermediario fra tutte per armonizzarle nella conquista del finecomune; apostolato esplicito, chiaro, non vincolato da formule o simboli, del prin-cipio repubblicano che dev’essere l’anima di tutti... Lasciatemi, fratelli, alla miaparte indipendente. Lasciate che io possa parlare del vostro santo scopo ad altri,senza ch’io sembri vincolato a farlo.”

Per i massoni del Grande Oriente di Palermo, però, è come se avesse accetta-to, tanta fu la sua influenza e tanti furono a seguire i rapporti con il Supremo Con-siglio e l’Oriente di Palermo. Il 17 luglio successivo, infatti, egli scrive al Campanel-la: “Per ragioni lunghe a dirsi, e dopo aver pensato e ripensato, è meglio che io nonsia Gran Maestro dell’Oriente Palermitano. Sii tu quello. Quanto alla tendenza pro-spettata è come se lo fossi io. E quanto al da proporsi, prometto di aiutarti: fra pocofarò di scriverti lungamente in proposito… Intanto dall’Oriente di Firenze m’han-no scritto: li suppongo ingiusti. Comincio del resto a aver mano nelle Logge diPiemonte e vedrò di trarne partito. Accetta dunque; è il mio serio consiglio”.

Come rileva Carlo Gentile “Mazzini non ha accettato la grande maestranzaperché, in quel momento, doveva avere le mani libere per parlare massonicamenteanche con gli altri gruppi italiani, dei quali non era impossibile riuscire ad impadro-nirsi direttamente o indirettamente...”

Ma ormai il tempo e le circostanze politiche lavoravano a favore dei Piemon-tesi, specie dopo la Breccia di Porta Pia del 20 settembre 1870. Giuseppe Mazzinimoriva il 10 marzo del 1872 e il successivo 23 marzo a Roma si riuniva l’assembleacostituente della Massoneria, determinando il prevalere del Grande Oriente d’Ita-lia, anche se, per una sorta di rivalsa del destino, i Grandi Maestri furono nel succe-

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Giuseppe Mazzini Uomo Universale di Carlo Gentile

dersi degli anni repubblicani e mazziniani: da Adriano Lemmi a Ernesto Nathan.Per la Repubblica, però, si doveva aspettare ancora per altri 74 anni.

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Antonio D’Alessandri

Mazzini e l’Europa sud-orientalenella storiografia degli ultimi trent’anni

di Antonio D’Alessandri

Nel 1972, in occasione del centenario della morte di Giuseppe Mazzini (1805-1872), si tenne a Genova, dal 24 al 28 settembre, il XLVI Congresso di storia delRisorgimento italiano sotto gli auspici dell’omonimo Istituto. I risultati di quellegiornate di studio e riflessione sulla figura dell’illustre Genovese furono pubblicatidue anni dopo nel volume degli atti, che costituisce un momento fondamentaledella storiografia mazziniana. Tale affermazione, per quanto riguarda il tema speci-fico di questo articolo, mi sembra senza dubbio valida per l’importante sezionededicata a Mazzini e l’Europa orientale1 che raccoglie i contributi dei partecipantial gruppo di lavoro coordinato da Angelo Tamborra,2 che già nell’introduzionemise in luce i punti fondamentali delle approfondite ricerche presentate dai singolistudiosi in quella occasione.

Limitando l’analisi ad un’area ben definita dell’Europa dell’Est, ossia quellameridionale, compresa tra l’Adriatico e il mar Nero, e tra il Danubio e la penisolaellenica, in questo intervento si cercherà di svolgere alcune considerazioni su quan-to la storiografia abbia prodotto sul tema dei rapporti tra Mazzini (e il mazziniane-simo) e le popolazioni dell’area balcanica negli ultimi trent’anni.3 Il punto di par-tenza è proprio il citato volume del 1974, in particolare due saggi ivi contenuti:quello di Giuseppe Pierazzi (Joze Pirjevec), dedicato agli slavi dell’Austria e della

1 Mazzini e il mazzinianesimo, Atti del XLVI Congresso di storia del Risorgimento italiano, Roma, Istitutoper la storia del Risorgimento italiano, 1974, pp. 285-485.

2 Angelo Tamborra (1913-2004) è stato in Italia il fondatore della storia dell’Europa orientale come discipli-na autonoma nell’ambito dell’ordinamento universitario, studioso dai molteplici interessi e autore di moltis-simi studi (ancora oggi fondamentali) sugli stati, la cultura e le popolazioni dell’Oriente europeo. I suoi vastiinteressi di ricerca comprendevano la storia del Risorgimento e delle relazioni internazionali, quella del pen-siero politico e religioso. Fra le sue monografie si ricordano in particolare Cavour e i Balcani, Torino, ILTE,1958, L’Europa centro-orientale nei secoli XIX-XX (1800-1920), Milano, Vallardi, 1971 e Chiesa cattolica eOrtodossia russa. Due secoli di confronto e dialogo. Dalla Santa Alleanza ai giorni nostri , Cinisello Balsamo,Edizioni Paoline, 1992. Per un profilo dell’uomo e dello studioso si rimanda a Francesco GUIDA, AngeloTamborra, in «Rassegna storica del Risorgimento», XCI (2004), 4 (ottobre-dicembre), pp. 601-605.

3 Per maggiori indicazioni bibliografiche riguardanti la storiografia recente sui rapporti tra Risorgimentoitaliano ed Europa centro-orientale, si veda la sezione curata da Francesco GUIDA, L’Europa centro-orientale,in Bibliografia dell’età del Risorgimento 1970-2001, Firenze, Olschki, 2003, vol. III, pp. 1833-1860.

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Mazzini e l’Europa sud-orientale nella storiografia degli ultimi trent’anni

flTurchia,4 e quello di Stefan Delureanu sulla Romania.5 Come sottolineato dallostesso Tamborra nell’introduzione, le popolazioni slave meridionali (in particolareserbi e croati) e romene si rivelarono particolarmente sensibili e ricettive della pre-dicazione mazziniana.6 In effetti sono proprio questi due popoli che hanno attiratomaggiormente l’attenzione della storiografia specializzata in tale argomento. Lemotivazioni sono di vario tipo e non tutte sono riconducibili agli interessi dei sin-goli studiosi, come ha rilevato recentemente Francesco Guida.7 All’epoca in cui sicolloca l’azione politica e la riflessione teorica di Mazzini, sia gli slavi del Sud sia iromeni erano divisi fra la dominazione ottomana e austriaca, pur esistendo formedi autonomia politica concesse a queste popolazioni dai governi turco e asburgico.8La lotta contro la dominazione austriaca era dunque un elemento comune fra italia-ni, serbi, croati, romeni. Era quindi piuttosto naturale che, nei suoi disegni politici,Mazzini auspicasse l’unione e il coordinamento del moto nazionale italiano conquello dei popoli del Sud-est europeo. Affinché ciò avvenisse, era tuttavia necessa-rio avere degli interlocutori in quelle regioni. Questo fu uno dei problemi più seriper il Genovese: l’allacciamento cioè di legami seri e stabili con i democratici diquelle popolazioni alle quali guardava con speranza e ottimismo. Non fu infatticasuale che con la progressiva affermazione della diplomazia ufficiale piemontesenei Balcani (a partire dalla missione Cerruti in Serbia nel 1849),9 i patrioti di quellezone recepissero con maggiore speranza e fiducia i segnali e gli incoraggiamenti cheprovenivano da questa piuttosto che dagli emissari e inviati di Mazzini. In sostanzaera necessaria un’élite politica di orientamento democratico con la quale avviare unprogramma di azione comune. Mentre con i romeni ciò avvenne già all’indomanidel biennio rivoluzionario 1848-‘49, nel caso degli slavi balcanici contatti diretti edi un certo rilievo furono stabiliti solo a partire dagli anni Sessanta allorquando dei

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4 Giuseppe PIERAZZI, Mazzini e gli slavi dell’Austria e della Turchia, in Mazzini e il mazzinianesimo…, cit.,pp. 301-412. Si veda anche, dello stesso autore, Il pensiero e l’azione di Mazzini e Tommaseo nei confronti deipopoli balcanici (1830-1874), in «Revue des études sud-est européennes», 1976, tomo XIV, 2, pp. 283-287.

5 Stefan DELUREANU, Mazzini e la Romania, in Mazzini e il mazzinianesimo…, cit., pp. 413-479.6 L’introduzione di Tamborra era apparsa poco tempo prima degli Atti citati, anche in un’altra pubblicazio-

ne. Si veda Angelo TAMBORRA, Mazzini e l’Europa orientale, in «Il Veltro», XVII (1973), 4-6 (agosto-dicem-bre), pp. 577-588.

7 Francesco GUIDA, Mazzini nella visione dei contemporanei e degli storici del Sud-est europeo, in Pensieroe azione: Mazzini nel movimento democratico italiano e internazionale, Atti del LXII Congresso di storia delRisorgimento italiano, Roma, Istituto per la storia del Risorgimento italiano, 2006, p. 505.

8 Esisteva ad esempio un Principato autonomo di Serbia nella regione a sud del Danubio con un propriogoverno ma posto sotto l’alta sovranità ottomana. I Principati di Valacchia e Moldavia si trovavano in unasituazione molto simile, ma, a differenza della Serbia, erano sottoposti anche al protettorato della Russia, invirtù delle disposizioni del trattato di Adrianopoli del 1829. Sulle vicende storiche delle popolazioni balcani-che nel XIX secolo si veda il ricco volume di A. TAMBORRA, L’Europa centro-orientale nei secoli XIX-XX(1800-1920)…, cit., e il profilo di Francesco GUIDA, La Russia e l’Europa centro-orientale 1815-1914, Roma,Carocci, 2003.

9 Si vedano Stefano MARKUS, La missione del console Marcello Cerruti nel 1849, in «Rassegna storica delRisorgimento», XXXVIII (1950), fasc. I-IV, pp. 287-304 e Pasquale FORNARO, Risorgimento italiano e que-stione ungherese (1849-1867). Marcello Cerruti e le intese politiche italo-magiare, Soveria Mannelli, Rubbettino,1995.

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movimenti di tendenza spiccatamente democratica e repubblicana, influenzati pro-fondamente dall’ideologia mazziniana, si affermarono nel Principato di Serbia e inBulgaria (rispettivamente l’Omladina e la “Giovine Bulgaria”), secondo quantoosservato da Stefan Kieniewicz.10 Un recente studio di Stefan Delureanu ha gettatoinvece un po’ più di luce sui rapporti tra Mazzini e gli esuli romeni nell’ambito delComitato centrale democratico europeo, fondato a Parigi nel luglio del 1850 e consede a Londra.11

Per quanto riguarda invece la Grecia, l’impatto del mazzinianesimo fu piut-tosto limitato, come è stato dimostrato in uno studio di Giuseppe Monsagrati, cheha fatto chiarezza su alcuni personaggi e momenti dell’emigrazione italiana in Gre-cia. Se da una parte alcuni esuli, come i fratelli Paolo e Carlo Fabrizi, al correntedella predicazione mazziniana, cercavano (Paolo in particolare) di farsene promo-tori in vista di una probabile ripresa della lotta per la nazionalità, dall’altra, sia nelleIsole Ionie che nella Grecia continentale, è stato rilevato il “carattere globalmentenegativo di un quadro che non presenta elementi tali da consentire l’elaborazionedi prospettive serie di lotta”.12 Questa lettura del contesto politico ellenico e corfiotain particolare, fondata sostanzialmente sulla testimonianza diretta della primaveradel 1835 contenuta in alcune lettere di Emilio Usiglio (fratello di Angelo – uno deifondatori della Giovine Italia – e inviato di Mazzini in Grecia al fine di porre le basidella Giovine Grecia), è stata a sua volta criticata da Silvio Pozzani secondo il quale“lo sconfortante panorama descritto dall’Usiglio è evidentemente esagerato e noncorrisponde alla realtà effettiva, e deriva probabilmente dalla “lente deformante”delle difficoltà di ambientamento nell’isola [Corfù, n.d.r.] dei fratelli Fabrizi, Paoloe Carlo, amici dell’Usiglio”.13 Al di là dell’ambiente politico delle Isole Ionie (al-l’epoca sotto il protettorato britannico) anche Pozzani ha però ammesso una certadifficoltà di penetrazione delle idee mazziniane nel Regno ellenico (pienamenteindipendente) a causa dell’ostilità del governo del re Ottone, che aveva espulsol’Usiglio nel 1835 e poi definitivamente nel 1837, causando così il naufragio delprogetto della Giovine Grecia anche se mai “venne meno nel Genovese – concludePozzani – l’attenzione per la nuova Grecia e le relazioni intrattenute, anche in se-guito, con attivi e fervidi elementi del mondo politico ellenico dovevano contribu-ire a produrre ulteriori sviluppi nei rapporti fra Risorgimento greco e Risorgimen-

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fl10 Stefan KIENIEWICZ, La pensée de Mazzini et le mouvement national slave, in Mazzini e l’Europa, Roma,Accademia dei Lincei, 1974, p. 122.

11 Stefan DELUREANU, I democratici romeni e il Comitato Democratico Europeo (1850-1857), in Mazzini egli scrittori politici europei (1837-1857), a cura di Salvo Mastellone, Firenze, Centro Editoriale Toscano, 2005,tomo II, pp. 583-597.

12 Giuseppe MONSAGRATI, Frammenti di vita d’esilio. I fratelli Fabrizi e le Isole Ionie (1831-1838), in «Bol-lettino della Domus Mazziniana», XXXVI (1990), 1, p. 27. Per ulteriori informazioni biografiche sui fratelliFabrizi, si rimanda alle rispettive voci a cura dello stesso autore nel Dizionario biografico degli italiani, vol.XLIII, pp. 801-816.

13 Silvio POZZANI, La Giovine Europa e la Giovine Grecia, in «Bollettino della Domus Mazziniana», XXXVII(1991), 1, pp. 58-59.

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to italiano”.14 Il pensiero di Mazzini sulla Grecia era peraltro già stato illustratoquasi un decennio prima nelle sue linee essenziali dallo stesso autore in due saggi,scritti all’indomani della fine della dittatura del regime dei colonnelli e dopo la fir-ma dei trattati di adesione della Grecia alla Comunità europea.15 Si tratta di un’ap-passionata carrellata delle vicende che videro impegnati su un comune fronte per lademocrazia, nel corso dei secoli XIX e XX, italiani e greci, fino a giungere alla finedella dittatura militare nel 1974 col ritorno alla democrazia della Grecia che, conreferendum, scelse la repubblica.16

Completano il panorama degli studi recenti dedicati ai rapporti tra Mazzini e ilmondo ellenico, due importanti lavori a firma di Giuseppe Monsagrati e di AntonisLiakos. Nel primo, l’autore mette a fuoco un problema molto importante dellastoriografia mazziniana, ma che fino a quel momento ancora non era stato affrontatoin maniera sistematica, quello, ossia, dell’influenza della cultura greca sulla formazio-ne intellettuale del giovane Mazzini. Scarsamente interessato allo studio della Greciaclassica, il Genovese vedeva invece nella storia della lotta per l’indipendenza del po-polo ellenico nel XIX secolo, il seme di una nuova epoca, nella quale i greci, finalmen-te liberatisi del peso schiacciante delle glorie dell’antichità, erano così in grado disoddisfare i loro bisogni reali, primo fra tutti quello di libertà e di istituzioni libere.17

Il pensiero di Mazzini sul mondo ellenico e i tentativi volti a stabilire rappor-ti di collaborazione politica e di alleanza con i patrioti greci è stato ricostruito an-che da Antonis Liakos, in un importante volume dedicato alle relazioni tra Italia eGrecia nel XIX secolo, dove queste tematiche sono opportunamente inquadratenell’ambito del sincronico processo di formazione dello Stato nazionale in Grecia ein Italia.18 In uno studio apparso nel 1996, lo stesso Liakos ha infine fornito un’in-teressante lettura dei moventi alla radice della difficile affermazione del mazzinia-nesimo presso i greci. Secondo questo studioso, mentre in Italia le idee di Mazzinifecero presa su quella parte della classe popolare composta da artigiani, operai qua-lificati e da chi esercitava una professione liberale, nella società greca invece, per la

14 Ibid., p. 60. Secondo Giuseppe Tramarollo, sebbene Mazzini progettò una Giovine Grecia “gli abitantidelle Isole Jonie non risposero, perché privi di ogni idea nazionale, ai tentativi di Emilio Usiglio, mentre iGreci del continente erano probabilmente troppo fieramente nazionalisti: le “eterie” avevano suscitato ilfilellenismo europeo ed infiammato il primo patriottismo proprio del Mazzini adepto carbonaro”. GiuseppeTRAMAROLLO, L’europeismo di Mazzini, in «Bollettino della Domus Mazziniana», XXX (1984), 1, p. 13.

15 Silvio POZZANI, Mazzini e la Grecia moderna, in «Il Risorgimento», XXX (1978), 1-2 (giugno), pp. 76-80e ID., Risorgimento greco e Risorgimento italiano, in «Nord e Sud», XXVII (1980), 9 (gennaio-marzo), pp.167-176.

16 Su queste vicende si rimanda a Richard CLOGG, Storia della Grecia moderna, Milano, Bompiani, 1998,pp. 189-206.

17 Giuseppe MONSAGRATI, Mito e realtà della Grecia nella formazione intellettuale di Giuseppe Mazzini, inStudi Balcanici, pubblicati in occasione del VI Congresso internazionale dell’Association Internationale ÉtudesSud-Est Européennes (AIESEE) (Sofia, 30 agosto-5 settembre 1989), a cura di Francesco Guida e LuisaValmarin, Roma, Carucci, 1989, pp. 155-179.

18 Antonis LIAKOS, L’unificazione italiana e la Grande idea. Ideologia e azione dei movimenti nazionali inItalia e in Grecia, 1859-1871, Firenze, Aletheia, 1995.

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19 Antonis LIAKOS, Mazzini e la Grecia, in Il mazzinianesimo nel mondo, a cura di Giuliana Limiti, con lacollaborazione di Mario di Napoli, Francesco Guida, Giuseppe Monsagrati, Pisa, Istituto Domus Mazziniana,1996, vol. II, p. 258.

20 Lettera di Giuseppe Mazzini a Jessie M. White Mario, Londra, 23 marzo 1857, in Edizione nazionale(d’ora innanzi EN), Imola, Galeati, 1931, vol. LVIII, epistolario vol. XXIV, p. 43.

21 Giuseppe MAZZINI, Missione italiana. Vita internazionale [1866], in EN, vol. LXXXVI, politica vol.XXVIII, p. 9.

22 Si pensi, ad esempio, agli studi albanesi Girolamo De Rada (1814-1903), risalenti già al 1834, e a quelli diDemetrio CAMARDA, Saggio di grammatologia comparata sulla lingua albanese, Livorno, Vignozzi, 1864 e diDora D’ISTRIA, La nationalité albanaise d’après les chants populaires, in «Revue des deux mondes», vol. LXIII,XXXVI (1866), 15 maggio, pp. 382-418. Sul De Rada ancora molto utile è Michele MARCHIANÒ, L’Albania el’opera di Girolamo De Rada, Trani, V. Vecchi, 1902; si veda anche Francesco ALTIMARI, Gli esordi letterari inlingua albanese di Girolamo De Rada, in «Microprovincia», 2003, 41, pp. 24-50.

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maggior parte fatta di contadini, ciò non era potuto accadere. Il ceto popolare equasi esclusivamente rurale della Grecia era invece legato alla cultura ortodossa e,quindi – scrive Liakos – “il nazionalismo popolare fu orientato, specialmente apartire dalla seconda metà del XIX secolo, verso la religione e le idee conservatrici,e di conseguenza chiuso a quel tipo di nazionalismo democratico-popolare imper-sonato da Mazzini”.19

Strettamente connessa alla questione ellenica, è la concezione mazziniana del-l’Albania. Secondo il Genovese infatti il popolo delle aquile era parte della Grecia, ilcui assetto territoriale doveva essere il seguente: “L’Ellenia (Grecia) con l’Epiro, laTessaglia, l’Albania, la Macedonia, la Rumelia, sino ai monti Balcani, e inclusaCostantinopoli”.20 Tale convinzione, ribadita anche in altri scritti, si radicava nel-l’idea che la lingua albanese fosse una variante dialettale dell’idioma greco: “Ellenica –dacché l’Albanese non è se non un dialetto Greco misto di vocaboli slavi e romani – èl’Albania”.21 Bisogna inoltre precisare che il risveglio nazionale albanese fu un feno-meno tardivo rispetto a quello delle altre popolazioni balcaniche e iniziò a dare leprime significative manifestazioni solo negli ultimi tre decenni del secolo XIX e, comenoto, la morte colse Mazzini nel marzo 1872. Egli dunque non fece in tempo adassistere alle prime rivendicazioni del movimento nazionale albanese, le quali, peral-tro tenacemente preparate e stimolate dalle ricerche di alcuni intellettuali negli anniprecedenti,22 presero l’avvio solo dopo il congresso di Berlino (1878). La più impor-tante di queste manifestazioni fu la Lega di Prizren, attraverso cui le tribù e i clanunirono le loro forze per opporsi alle decisioni del congresso in merito al trasferi-mento di territori (albanesi) dell’Impero turco a Montenegro e Grecia. La resistenzaopposta dai maggiorenti albanesi alle decisioni prese a Berlino riguardanti il loro ter-ritorio non ebbe successo ma li rese più coscienti della loro nazionalità.23 Alla luce diqueste considerazioni, non deve stupire che nella storiografia (italiana e internaziona-le) non abbiano trovato spazio contributi specifici su Giuseppe Mazzini e l’Albania.

Una situazione totalmente diversa si riscontra invece nel caso romeno, comeperaltro è già stato accennato. I numerosi studi firmati da Stefan Delureanu si con-figurano come un punto di riferimento indispensabile per tutti coloro che si occu-pano dei rapporti tra mazzinianesimo e Romania. Dopo il già citato ampio studio

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del 1974 apparso in occasione del congresso di Genova (1972), l’autore ha conti-nuato a proporre contributi finalizzati al chiarimento di specifici aspetti di tale que-stione. Si apprende dunque da questi lavori come la funzione dei Principati romeninel pensiero mazziniano sia stata subalterna fino al 1848, poiché essi erano visti inun rapporto di dipendenza dall’Ungheria, centro di una futura confederazionedanubiana, attorno alla quale sarebbero dovuti orbitare.24 Tale situazione muteràall’indomani del biennio rivoluzionario, quando Mazzini, convinto della necessitàdi riorganizzare il movimento democratico e rivoluzionario dell’Europa, riproporràil progetto di unione delle nazioni fondando il Comitato centrale democratico eu-ropeo, nel quale, come si è accennato, troverà posto anche un rappresentato rome-no, Dimitru Bratianu.25 Sarà proprio a costui che, alla morte di Mazzini, toccheràl’onore di ricordarlo sul giornale «Românul» (Il Romeno). L’elogio funebre è statotradotto in italiano e pubblicato dallo stesso Delureanu in uno studio apparso nel«Bollettino della Domus mazziniana».26

L’attenzione verso le fonti originali, soprattutto inedite, è un altro tratto di-stintivo dei lavori di questo studioso, al quale va dunque riconosciuto il merito diaver scoperto, utilizzato e pubblicato documenti quasi del tutto ignorati dagli sto-rici, ma di notevole interesse, poiché in grado di fare luce su specifici aspetti delpensiero e dell’azione di Mazzini nei riguardi dei romeni e dell’Europa danubiano-balcanica in generale. A questo proposito, di grande importanza è il tema dellapenetrazione delle idee mazziniane nei Principati prima della rivoluzione del 1848.In un articolo ricco di spunti e informazioni, Delureanu ha dimostrato che essaavvenne attraverso molteplici modalità: “dalla lettura dei testi mazziniani a quelladella stampa democratica, dai contatti con l’emigrazione polacca e italiana a quellicon i marinai delle navi a bandiera sarda […], che più di frequente approdavano ailidi del Basso Danubio, facilitando l’incontro fra i democratici di ogni nazione”.27

La funzione della stampa nel far conoscere al pubblico dei Principati danubianiMazzini e le sue idee è stata studiata in maniera approfondita da Alberto Basciani.28

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23 Stavro SKENDI, The Albanian National Awakening 1878-1912, Princeton (New Jersey), PrincetonUniversity Press, 1967, pp. 31-87.

24 Stefan DELUREANU, I romeni nel pensiero e nei programmi d’azione di Mazzini, in «Archivio Trimestrale»,XI (1985), 4 (ottobre-dicembre), p. 792. Articolo reperibile anche negli Atti del Colloquio 150 ans depuis lafondation de la société “Giovine Europa”, in «Revue roumaine d’histoire», tomo XXIV, 1985, 4 (ottobre-dicembre), pp. 323-329. Si veda anche l’articolo di Dan BERINDEI, Les Roumains et Giuseppe Mazzini, in ibid.,pp. 313-322.

25 Stefan DELUREANU, I democratici romeni e il Comitato Democratico Europeo (1850-1857)…, cit.26 Stefan DELUREANU, Un protagonista romeno della democrazia mazziniana: Dimitru Bratianu (1818-

1892), in «Bollettino della Domus Mazziniana», XXXIX (1993), 2, pp. 152-160.27 Stefan DELUREANU, Il mazzinianesimo nell’Europa orientale prima del ’48: il caso della Romania, in

«Archivio Trimestrale», XII (1986), 1 (gennaio-marzo), p. 62.28 Alberto BASCIANI, Mazzini nella stampa romena dell’Ottocento, in Il mazzinianesimo nel mondo…, cit.,

vol. I, pp. 259-327. Si veda anche di Stefan DELUREANU, Il Risorgimento italiano nella stampa romena, in Saggidi storia del giornalismo in memoria di Leonida Balestreri , Savona, Tip. Priamar, 1982 (Quaderni dell’Istitutomazziniano, II), pp. 319-329.

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Attraverso l’analisi dei giornali romeni dell’epoca, egli ha ricostruito le modalitàattraverso le quali il Genovese era presentato ai lettori, a partire dal febbraio 1834quando il giornale di Iasi, Albina Româneasca, diede notizia della spedizione inSavoia. Alla luce di queste ricerche è corretto dunque affermare che, nonostantecontatti diretti tra Mazzini e i patrioti romeni risalissero soltanto al periodo dopo il1848 (tema sul quale si deve peraltro registrare anche un contributo di CorneliaBodea),29 la diffusione delle sue idee e di notizie che lo riguardavano si riscontra giàa partire dagli anni Trenta del XIX secolo. In questo modo, “la fede e la terminolo-gia mazziniana conquistarono l’opinione romena, le idee promosse da Mazzini pre-sero corpo in organizzazioni simili alla Giovine Italia e al Partito d’Azione”, hascritto Delureanu.30 Sintesi e al tempo stesso simbolo di questa tendenza, è lo stori-co e uomo politico Nicolae Balcescu (1819-1852), il quale, nonostante non abbiamai incontrato personalmente Mazzini, è stato “il Romeno più profondamentefamiliarizzato con la dottrina mazziniana, da lui coerentemente professata sul pia-no dell’elaborazione teorica ed in quello dell’esperienza storica”.31

Una significativa parte della produzione scientifica di Delureanu è infine de-dicata ai programmi d’azione concepiti non solo da Mazzini ma anche da Garibaldie i suoi collaboratori nell’area centro-orientale e, naturalmente, nei Principati da-nubiani.32 In questo contesto, particolarmente interessante è una lettera inedita diMazzini al romeno Eugen Carada, conservata presso la Biblioteca dell’Accademiaromena di Bucarest e pubblicata dallo studioso con una breve introduzione nellaquale egli mette in luce la parte tutt’altro che secondaria svolta dal Carada nellecospirazioni e nei tentativi mazziniani di fondere le aspirazioni italiane con quelledei popoli dell’Europa centro-orientale, in particolare nel vasto piano mazziniano-garibaldino-sabaudo che doveva coinvolgere nel 1864 mezza Europa.33 L’illustreGenovese esortava i romeni alla concordia, ad intendersi con i greci e gli slavi dellaSerbia e ad organizzare un contatto regolare con i romeni della Transilvania, delBanato, della Bucovina, della Bessarabia. Bisognava cercare l’intesa con gli unghe-resi e non si doveva discutere di questioni in quel momento inutili (il riferimentoera alla questione transilvana contesa da magiari e romeni), che rischiavano di crea-

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29 Cornelia BODEA, “Interferenze” rivoluzionarie romeno-mazziniane dopo il 1848, in Risorgimento: Italiae Romania 1859-1879. Esperienze a confronto, a cura di Giulia Lami, Milano-Bucaresti, CIRSS-Editura Ani-ma, 1992, pp. 235-242.

30 S. DELUREANU, Il mazzinianesimo nell’Europa orientale prima del ’48: il caso della Romania…, cit., p. 49.31 STEFAN DELUREANU, Mazzini e Balcescu, in «Il pensiero mazziniano», XXXIII (1978), 9 (25 settembre),

p. 51.32 Si vedano i seguenti contributi: Progetti d’azione di Mazzini e di Garibaldi nell’area centro-orientale

europea (1859-1866), in «Archivio storico sardo», XXXIV (1983), 1, pp. 177-188; Mazzini e Garibaldi traprogetto e azione nell’area centro-orientale (1859-1870), in «Revue roumaine d’histoire», tomo XXII, 1983, 2(aprile-giugno), pp. 159-168; Il mondo romeno di fronte a Mazzini, a Garibaldi e all’impresa dei Mille, in«Archivio Trimestrale», IX (1983), 3 (luglio-settembre), pp. 567-576.

33 Stefan DELUREANU, “Consigli di un fratello”: una lettera inedita di Mazzini al repubblicano romenoEugen Carada, in «Bollettino della Domus Mazziniana», XXXVIII (1992), 1, pp. 109-112.

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34 Un segnale positivo in questa direzione è un recente volume edito sotto gli auspici dell’Istituto italianoper gli studi filosofici di Napoli: Stefan DELUREANU, Risorgimento italiano e Risorgimento romeno, Napoli,La città del sole, 2005. Per un compendio delle principali questioni si vedano dello stesso autore Mazzini e imazziniani romeni nel Risorgimento centroeuropeo e balcanico, in Il mazzinianesimo nel mondo…, cit., vol.II, pp. 155-227 e Il mazzinianesimo romeno nel Risorgimento e nella democrazia europea, in Italia e Romanianell’Europa moderna, a cura di Gianfranco Giraudo e Francesco Guida, in «Letterature di frontiera», VII(1997), 2, pp. 21-30.

35 Nik‰a STIPãEVIç, Dva preporoda. Studije o italijansko-srpskim kulturnim i politiãkim vezama u XIXveku, Beograd, Prosveta, 1979, pp. 105-169.

36 Nik‰a STIPãEVIç, Serbia e Italia nel XIX secolo, in «Quaderni giuliani di storia», XXI (2000), 1, p. 12.

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re di nuovo una spaccatura fra le nazioni a beneficio dell’assolutismo degli imperi(asburgico e ottomano). “Ce sont là les conseils d’un frère, rien de plus”, concludevaaffettuosamente Mazzini.

L’itinerario di studio e di ricerca di Stefan Delureanu è, a mio avviso, il datopiù significativo della storiografia dei rapporti tra Mazzini e l’Europa sud-orientalenegli ultimi trent’anni, non soltanto per l’ampiezza della produzione, ma anche peri nuovi spunti di riflessione offerti al lettore, che nei suoi scritti è altresì sicuro ditrovare numerose indicazioni e suggerimenti per svolgere ulteriori ricerche origi-nali. Mi sia permesso auspicare una raccolta e una complessiva rielaborazione esistemazione dei numerosi scritti di questo autore dedicate a Mazzini e la Romaniache darebbero vita a un volume di sicura qualità.34

Di valore consistente, sebbene quantitativamente minore rispetto al caso ro-meno, è la produzione scientifica concernente un altro gruppo di popolazioni a cuiMazzini prestò particolare attenzione, ossia gli slavi balcanici. I contributi più si-gnificativi concernenti le popolazioni jugoslave sono quelli dello studioso serboNik‰a Stipãeviç e di Tatjana Krizman Malev. Il primo, autore di un volume fonda-mentale per la storia dei rapporti tra l’Italia e la Serbia nel XIX secolo, ha ricostru-ito in maniera accurata il rapporto personale e ideologico tra Giuseppe Mazzini eVladimir Jovanoviã (1833-1922).35 Il Genovese ebbe un’influenza determinante sulpensiero di questo personaggio, figura chiave della Serbia della seconda metà del-l’Ottocento, ed esponente di punta del raggruppamento liberale, che chiedeva ri-forme radicali in senso democratico del sistema politico del Principato. L’ideologiapolitica dei liberali serbi degli anni Sessanta, raggruppati intorno all’associazioneculturale studentesca dell’Ujedinjena omladina srpska (Gioventù serba unita), al-l’incirca l’equivalente serbo della Giovine Italia, presenta notevoli punti di conver-genza col pensiero mazziniano. In Jovanoviã e nella sua cerchia, Mazzini avevafinalmente trovato il punto d’appoggio per le proprie iniziative rivoluzionarie, non-ché degli interlocutori attenti alla sua predicazione, i quali, fino ad allora, gli eranomancati. Infatti nel Principato di Serbia non esisteva una borghesia illuminata chepotesse fare proprie e tradurre in azione politica le idee mazziniane e dunque, finoalla fine degli anni Cinquanta, come ha osservato ancora Stipãeviç in un altro stu-dio, il mazzinianesimo rimase un’utopia.36

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37 Giuliana LIMITI, La presenza di Mazzini nel mondo, in Il mazzinianesimo nel mondo…, cit., vol. I, p. IX.38 Ljubinka TO‰EVA KARPOWICZ, Mazzini e il Risorgimento serbo (1848-1878), in Il mazzinianesimo nel

mondo…, cit., vol. II, pp. 513-567.39 Tatjana KRIZMAN MALEV, Mazzini e il processo d’integrazione nazionale dei popoli jugoslavi, in Il

mazzinianesimo nel mondo…, cit., vol. I, pp. 329-383.

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Nell’ambito dei recenti studi su Mazzini e l’Europa orientale, un ruolo diprimo piano è stato rivestito dai due volumi (peraltro già citati qui in più occasioni)dal titolo Il mazzinianesimo nel mondo, curati da Giuliana Limiti, la quale, nell’in-troduzione, ha sottolineato “come il termine “mazziniano” viene ovunque ad iden-tificare, ora positivamente, ora polemicamente, quella parte politica rivoluzionariache si rifà alla democrazia e al radicalismo repubblicano”.37 Attraverso le ampiericerche contenute in quei due volumi, è stato fornito un importante contributoalla ricostruzione dell’influenza mazziniana nell’evoluzione democratica di vari Paesidel mondo. Per quanto riguarda l’Europa sud-orientale, si è precedentemente datanotizia dei saggi di Alberto Basciani (nel primo volume) e di quelli di StefanDelureanu e di Antonis Liakos (apparsi entrambi nel secondo); restano ora da ri-cordare quelli rispettivamente di Ljubinka To‰eva Karpowicz, della già menzionataTatjana Krizman Malev e infine di Krumka ·arova e Ludmila Genova dedicato allaBulgaria. Mentre la prima ha tracciato nel suo scritto una panoramica del pensieroe dell’influenza di Mazzini fra i serbi,38 la seconda ha invece esteso l’analisi anchealle popolazioni croate, arricchendo così questo scenario con una complessiva ana-lisi del rapporto tra l’illustre Esule e le popolazioni jugoslave nel loro insieme, dellacui integrazione egli fu peraltro un precursore. Apparso in un momento in cui laJugoslavia si avviava ormai inevitabilmente alla sua completa dissoluzione, il saggiodella Krizman Malev ripercorre alcune fasi del processo di integrazione delle variepopolazioni slave del Sud attraverso l’opera e il pensiero di Giuseppe Mazzini.39

Completa il quadro degli studi dedicati al tema oggetto di questo articolo,l’ampio e originale studio di Krumka ·arova e Ludmila Genova dedicato al movi-mento nazionale bulgaro nelle sue relazioni col mazzinianesimo. L’attenzione limi-tata della storiografia nei riguardi di tale questione si spiega in parte (ma non deltutto) con il relativo ritardo col quale si ebbero contatti diretti fra Mazzini ed espo-nenti del movimento nazionale bulgaro (1869). Nonostante il Genovese fosse bennoto ai rivoluzionari e presente sulla stampa locale, l’assenza, nei luoghi dove Mazziniviveva, di una consistente emigrazione bulgara che invece era tale in Romania, Serbiae Russia, pesò molto sui suoi rapporti con questa popolazione. Attraverso la stam-pa e i politici del Principato di Serbia (assai interessanti sono le pagine dedicatedalle due autrici al rapporto tra Jovanoviã e Karavelov) molti bulgari vennero incontatto con le idee di Mazzini. Nei primi mesi del 1869 fu poi creata la GiovineBulgaria, i cui adepti divennero in seguito membri del Comitato Centrale rivolu-zionario bulgaro (ovvero il partito rivoluzionario) che diresse la lotta nazionale diquesta popolazione fino al 1876 (ossia alla crisi che condusse poi alla formazione di

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40 Krumka ·AROVA – Ludmila GENOVA, Il movimento nazional-rivoluzionario bulgaro e le idee di Mazzini,in Il mazzinianesimo nel mondo…, cit., vol. II, p. 365.

41 Mazzini e Levski: Apostoli della libertà, in «Quaderni giuliani di storia», XVII (1996), 1, pp. 39-47.42 Emilia MORELLI, Mazzini. Quasi una biografia, Roma, Edizioni dell’Ateneo, 1984, p. VIII.43 Francesco GUIDA, Idea di nazione e questione delle nazionalità nel pensiero di Giuseppe Mazzini, in

«Cuadernos de Historia Contemporánea», 2001, 23, p. 175.

uno Stato bulgaro indipendente nel 1878). Scrivono la ·arova e la Genova che “lateoria politica di Mazzini arriva ai bulgari per via indiretta, non come risultato dicontatti personali e di azioni coordinate e simultanee contro gli Stati oppressori, laTurchia per il popolo bulgaro e l’Austria per gli italiani. Ma proprio per questo ilcaso bulgaro è una testimonianza della grande importanza delle idee di Mazzini perl’Europa, per ogni movimento nazionale e per tutti i movimenti insieme”.40 L’in-fluenza mazziniana sui patrioti bulgari, esaminata anche in una serie di parallelismitra l’Esule genovese e il rivoluzionario Vasil Levski (1837-1873), non ultimo quellodell’appellativo di “apostoli della libertà” attribuito al secondo sull’esempio delprimo, è stata oggetto di un interessante saggio della studiosa Kirila VâzvâzovaKarateodorova.41

Modesta dunque è stata finora la produzione storiografica recente riguar-dante i rapporti tra Mazzini e la Bulgaria, soprattutto se la si paragona a quellarelativa alle relazioni con i romeni. In conclusione, possono tuttavia essere svoltealcune riflessioni complessive, cioè valide per tutta l’area in questione ma cheassolutamente non vogliono avere carattere definitivo. Ad esempio il ruolo de-gli emissari e degli inviati di Mazzini nei Balcani come già segnalato più di ventianni fa da Emilia Morelli,42 ancora è tutto da chiarire. In proposito sarebberonecessarie lunghe e accurate indagini in loco tese ad accertare l’effettiva e realeconsistenza della presenza mazziniana fra serbi, croati, bulgari, bosniaci, rome-ni, greci. Molto è stato fatto ma probabilmente ancora molto si potrebbe fare.Un tentativo di sistemazione delle ricerche finora disponibili su Mazzini e l’Eu-ropa orientale per operare una sorta di riduzione al minimo comune denomina-tore della credibilità scientifica dei materiali fin qui prodotti sul tema, è statoeffettuato da Francesco Guida, il quale ha concluso che “se Mazzini fu un ideo-logo le cui idee furono comprensibili e condivisibili in qualsiasi Paese, in parti-colare il suo pensiero era adatto alla condizione di quei popoli che non avevanopotuto ancora, nel secolo XIX, realizzare un proprio Stato nazionale”.43 Pro-prio a partire da questa riflessione, che è forse il dato inoppugnabile che finorala storiografia specializzata ha dimostrato con abbondanza di dati, sarebbe op-portuno che nuove e originali ricerche prendessero le mosse con l’obiettivo dichiarire il più possibile da un lato l’effettiva incidenza del mazzinianesimo sul-l’evoluzione democratica delle popolazioni dell’Europa orientale e, dall’altro,il suo retaggio ideale e politico.44 Proprio l’eredità mazziniana nella storia, nella

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Antonio D’Alessandri

politica e nella cultura è un ulteriore immenso campo di indagine sul quale dav-vero si potrebbero ancora svolgere ricerche di grande spessore.45 Il messaggiodi Giuseppe Mazzini fu infatti interpretato e assimilato attraverso modalità dif-ferenti in vari momenti storici, talvolta implicando anche degli sviluppi negatividi certo non imputabili a colui che ne fu l’ispiratore (si pensi ad esempio alfanatismo dell’appartenenza nazionale). Questo lascito ideale si dimostrò par-ticolarmente fecondo per le popolazioni dell’Europa orientale, che seppero ri-cavarsi un loro posto nella storia anche in nome e sotto l’influenza degli idealiche già erano stati di Mazzini molti decenni prima: “Ritemprare la nazionalità emetterla in armonia coll’Umanità: in altri termini redimere i popoli colla co-scienza d’una missione speciale fidata a ciascuno d’essi e il cui compimento,necessario allo sviluppo della grande missione umanitaria, deve costituire la loroindividualità e acquistare ad essi un diritto di cittadinanza nella Giovine Euro-pa che il secolo fonderà”.46 Parole indiscutibilmente profetiche.

44 Recentemente è stata proposta una visione molto interessante dell’eredità politica di Mazzini, sulla qualeperaltro si potrebbe discutere a lungo. Secondo questa interpretazione, il Genovese elaborò una “geopoliticadella libertà” di ispirazione democratica, seppur non esente da qualche incoerenza (soprattutto per quantoriguarda l’omogeneità etnica delle nazioni – presupposta da Mazzini – che non teneva nel giusto conto leminoranze). Le linee generali di tale “geopolitica della libertà” sarebbero continuate ad essere presenti a lungonella politica estera italiana verso l’Europa centro-orientale. Si veda Bianca VALOTA, Giuseppe Mazzini’s“Geopolitics of Liberty” and Italian Foreign Policy toward “Slavic Europe”, in «East European Quarterly»,XXXVII (2003), 2 (giugno), pp. 151-166. È bene osservare che di “geopolitica democratica”, a proposito dellepagine mazziniane dedicate alla nuova carta d’Europa, aveva tuttavia già parlato Cosimo Ceccuti alcuni annifa. Si veda Cosimo CECCUTI, L’Ungheria negli scritti di Mazzini: le tentazioni della geopolitica, in Le relazioniitalo-ungheresi nel secolo XIX, «Rassegna storica toscana», XXXIX (1993), 2 (luglio-dicembre), pp. 231-242.

45 Alcuni suggerimenti di un certo interesse, in particolare sull’eredità mazziniana nell’area adriatica, nelvolume Mazzini e il mazzinianesimo nel contesto storico centroeuropeo, a cura di Gizella Nemeth, AdrianoPapo e Fulvio Senardi, Duino Aurisina (TS), Associazione culturale italoungherese “Pier Paolo Vergerio”,2005.

46 Giuseppe MAZZINI, Dell’iniziativa rivoluzionaria in Europa [1834], in EN, vol. IV, politica vol. III, p.180.

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Saggi

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Domenico Della Martora

La Carta costituzionale delle relazioni sindacalidi Domenico Della Martora

La più consistente correzione dei conti pubblici mai realizzatasi, 93 mila miliardidi vecchie lire, viene varata alla fine del 1992 con la finanziaria del 1993 del GovernoAmato. Una manovra dura, ma necessaria, pari al 5,8 % del Prodotto Interno Lordo(P.I.L.).

Il debito pubblico che nel 1982 era pari al 64 % del P.I.L., in quelle dramma-tiche giornate risulta essere al 110,8 %. Il deficit si colloca sopra il 10 % del prodot-to interno lordo.

Il conto di un decennio di gestione senza regole della finanza pubblica è ser-vito. È il decennio della cosiddetta “finanza allegra”.

La “maximanovra Amato” è stata preceduta in luglio da una stangata di 30mila miliardi di lire (è compresa, tra l’altro, l’odiosa patrimoniale del 6 per mille suidepositi bancari).

La finanziaria del ’93 contiene tra le misure ormai storiche il blocco dei con-tratti pubblici e delle pensioni di anzianità, la tassa dello 0,75 % sul patrimonionetto delle società di persone e di capitali, il congelamento dello scatto di contin-genza per i pensionati, il blocco del fiscal drag, la minimum tax per i lavoratoriautonomi.

Per dare respiro strutturale alla manovra si aggiungono quattro leggi dele-ghe: pubblico impiego, sanità, previdenza e finanza locale.

Nei primi mesi del ’93 il Presidente Scalfaro chiama l’allora Governatore del-la Banca d’Italia Ciampi a traghettare il Paese nel difficile passaggio alla cosiddettaseconda Repubblica.

Ha inizio il consolidamento del risanamento. Buona parte dei risparmi sonoaffidati al “pacchetto Cassese”, che prende il nome del ministro della Funzionepubblica.

Senza ombra di dubbio, possiamo però affermare che il contributo decisivoal risanamento, Ciampi lo raggiunge con l’accordo del 23 luglio 1993.

La Carta costituzionale delle relazioni sindacali di Gino Giugni, illustregiuslavorista e ministro del Lavoro, definisce questo accordo.

Un risultato straordinario, frutto di un lavoro lungo e complesso che è ini-ziato con la disputata abolizione della scala mobile ratificata dal “miniaccordo” deldicembre 1991 durante il Governo Andreotti.

In questi anni i partiti politici non sono più in grado di assolvere alla loro

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La Carta costituzionale delle relazioni sindacali

funzione cardine di mediazione sociale. Il sindacato deve ricoprire ruoli e spazilasciati liberi dalle organizzazioni politiche.

Storicamente nei momenti di emergenza il sindacato è sistematicamente chia-mato a dare il proprio contributo alle risoluzioni delle crisi, spesso deve pagareprezzi non indifferenti in termini di consensi, ma accetta comunque la sfida lanciatada Ciampi dando inizio alla stagione della concertazione.

Quale modello politico di gestione concordata dei processi economici e so-ciali, la concertazione è figlia sia della concezione “lamalfiana” della politica deiredditi, sia dell’idea di un sistema contrattuale basato sull’inflazione programmataconcepita dall’economista Ezio Tarantelli.

La riduzione del conflitto sociale è in questo periodo la sfida più impegnati-va. Ogni organizzazione sindacale, in relazione alla propria identità, fornisce le suerisposte.

La componente più operaista, figlia del conflittualismo degli anni ‘70 e ‘80non ha gli enzimi per metabolizzare quella politica e non può di conseguenza ri-nunciare all’identità antagonista.

Il sistema di regole su cui si basa la concertazione non può appartenere aquella specifica realtà del mondo del lavoro.

Non hanno, al contrario, alcuna difficoltà ad appoggiare quel modello le as-sociazioni riformiste.

Le parti sociali con questa nuova impostazione partecipano concretamentealle sessioni di politica economica: a giugno, in occasione della preparazione delDocumento di Programmazione Economica e Finanziaria (DPEF) e a settembrecon la presentazione della finanziaria.

Mutuando la terminologia dalla prassi tedesca possiamo dire che il sindacatoviene chiamato a “cogestire” la politica economica e sociale del nostro Paese.

Il modello di confronto che ha come obiettivo il risanamento si fonda sulcontrollo del Tasso di Inflazione Programmata (T.I.P).

La nuova politica economica è legata alla dinamica salariale; la crescita delsalario non è più, quindi, una variabile indipendente, ma diventa funzione di unadecisione di politica economica congiunta, rapportata al tasso di inflazione pro-grammata.

Questa decisione è parte della più ampia manovra della politica dei redditiche si prefigge anche il controllo dei prezzi e delle tariffe.

Il sindacato deve, in qualche modo, nel contesto della politica contrattuale,controllare la dinamica salariale.

Il modello simbolicamente potrebbe essere immaginato a forma piramidale.Al vertice si colloca il tasso di inflazione programmata che sostiene il sistema con-trattuale; nel mezzo, e alla base la politica dei redditi.

La concertazione si può immaginare come una sfera che contiene il tutto.L’accordo sostituisce il metodo negoziale al sistema degli adeguamenti auto-

matici. Ogni automatismo è la negazione dell’essenza dell’accordo stesso. Il fine èquello di evitare una ripresa della rincorsa tra prezzi e salari.

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Il protocollo si occupa, quindi, delle procedure di rinnovo e stipulazione deicontratti prevedendo la “vacanza contrattuale” in caso di non rispetto dei tempi. Sitratta però di un rimedio poco efficace, ma che riesce a produrre ottimi risultati neltriennio 1993/’95; tre anni che fanno registrare risultati significativi sul fronte del-l’inflazione e del risanamento.

Il simbolo di questa nuova stagione è rappresentato dal contratto dei me-talmeccanici del 1994, firmato senza far ricorso ad un’ora di sciopero.

La crisi della concertazione comincia a manifestarsi nel 1998. Ancora unavolta, il contratto dei metalmeccanici fa da cartina di tornasole.

Il convincimento della necessità di apportare delle modifiche al patto rendemolto sofferta la stipula del nuovo contratto con numerose ore di sciopero.

Intanto il Governo D’Alema, nella stessa legislatura, sostituisce quello diProdi. È di questo periodo la firma del “Patto di Natale”, da cui però non si hannoi risultati sperati.

Nel maggio del 1999 il barbaro assassinio del professor Massimo D’Antona,consulente del ministro del lavoro Bassolino e tre anni dopo quello di un altroriformista, il professor Marco Biagi, autore del Libro Bianco, ad opera delle BrigateRosse, riportano il Paese in un clima di tensione e di paura.

Nel 2001 torna alla guida del Paese un governo di centrodestra. È eloquenteil suo biglietto di presentazione: sostituzione della concertazione con il dialogosociale e modifica dell’art. 18 dello Statuto dei Lavoratori. Quest’ultimo, in parti-colare, è diventato il simbolo, l’emblema del conflitto, della sospensione dellaconcertazione.

Dopo diversi scioperi unitari, la CGIL di Sergio Cofferati sceglie la via soli-taria, inasprendo ulteriormente il conflitto sociale. Qualsivoglia messa in discussio-ne dei diritti fondamentali dei lavoratori, sostiene la CGIL, non permette nessuntipo di discussione.

Al contrario, CISL e UIL ritengono necessario discutere ed accordarsi pro-prio per evitare che le tutele possano subire un ridimensionamento.

Con la firma del “Patto per l’Italia” si punta ad evitare proprio questo: lareale modifica dell’art. 18. Due gli obiettivi perseguiti: non causare ulteriori danni enon rischiare di peggiore la condizione dei lavoratori e il rilancio di una politicaanticiclica.

Ogni buon sindacato che voglia fare il suo mestiere, non può abbandonare laricerca di un denominatore comune tra interessi diffusi e interessi collettivi e gene-rali, specie in considerazione delle gravi emergenze contingenti.

L’abbandono della concertazione e la sua sostituzione con il dialogo socialepiù volte sostenuto dai rappresentanti del Governo Berlusconi, specie nelle occa-sioni di presentazione del Libro Bianco di Biagi, porta con sé un inevitabile corollario.Senza concertazione non c’è più politica dei redditi e di conseguenza la politicacontrattuale è ridotta ad un libero confronto tra due parti senza alcun parametro diriferimento.

L’errore di fondo del Governo di centrodestra è molto probabilmente la con-

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La Carta costituzionale delle relazioni sindacali

vinzione che la concertazione sottende un diritto di veto il cui esercizio da parte diuno qualsiasi dei contraenti impedirebbe la realizzazione delle riforme.

In realtà il Protocollo del luglio del ’93, non solo non prevede ma neanchesottintende, alcuna unanimità per procedere alla stipula degli accordi. L’eventualeaccettazione di un diritto di veto è frutto di una scelta di opportunità politica che,di volta in volta, il Governo è libero di assumersi.

La pratica concertativa, dobbiamo prendere atto, ha avuto la sua massimaaffermazione con i governi di centrosinistra. Non sappiamo se ciò sia la conseguen-za di una sorta di affinità politica o invece di valutazioni squisitamente politico-elettorali.

Il dialogo sociale si traduce in una sorta di mero intrattenimento nel corsodel quale sono semplicemente comunicate dal Governo alle parti sociali le scelte giàpredefinite. Occorre, invece, che venga riempito di contenuti e di regole se si vuoleche diventi uno strumento di partecipazione per accordi di politica economica esociale.

Peculiarità caratterizzante della concertazione è la sua concreta attuazionenelle due sessioni di politica economica: a giugno per il varo del DPEF ed a settem-bre per la presentazione della legge finanziaria.

Occorre riavviare un sistema di relazioni sindacali trilaterale e poco importase bisogna definirlo concertazione o dialogo sociale.

È importante, invece, fissare un obiettivo da perseguire e precisare dei conte-nuti.

Concertazione o dialogo sociale svuotati di argomenti e senza obiettivi daconseguire sono dei meri contenitori vuoti.

Attualmente, però, l’obiettivo prioritario non è più quello del risanamentoche dovrà essere sostituito con quello dello sviluppo.

Il tasso di inflazione programmata non ha più motivo di essere il centro dellapolitica salariale; occorre introdurre altri punti di riferimento.

Sul piano del sistema contrattuale vanno individuate altre forme più efficacidi ripartizione della ricchezza prodotta anche in funzione dei cambiamenti impostisia dalla globalizzazione sia dalle spinte localistiche.

Alla politica dei redditi va accompagnata una politica per gli investimenti eper le infrastrutture.

Solo l’effettivo coinvolgimento di tutte le forze sociali può realizzare l’obiet-tivo dello sviluppo, così come è stato conseguito quello del risanamento.

Larizza sostiene che “la politica dei redditi si può fare solo con la concerta-zione, se la concertazione è in crisi, lo è anche la politica dei redditi. Se salta laconcertazione, saltano i riferimenti macroeconomici, salta la compatibilità e si ri-torna alla contrattazione basata solo sui rapporti di forza senza un parametro diriferimento universale. Qualcuno avrà più dell’inflazione reale qualcuno avrà l’in-flazione reale. Se c’è chi vuole che in Italia si ritorni ad un livello di inflazione alta,basta che decide di abbandonare la concertazione e quindi la politica dei redditi. Aquesto punto possiamo pure uscire dall’Europa”.

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La concertazione sta attraversando una crisi profonda dovuta ai cambiamen-ti politici ed economici nazionali ed internazionali. Il Governo perde sempre più ilpotere di tenere sotto controllo i prezzi dei servizi erogati a causa del decentramentodella politica tariffaria. Inoltre le imprese devono confrontarsi con il mercatoglobalizzato ed è difficile che possano tener conto degli interessi nazionali.

La politica dei prezzi dei carburanti e quella dei premi delle assicurazioni, adesempio, non potranno mai simultaneamente e automaticamente sposare la logicadel mercato e quella degli interessi nazionali.

Occorre, però, aspettarsi che se in molti campi l’unica logica riconosciuta èquella del mercato, questa potrebbe essere applicata anche in altri.

Non si può pensare che da una parte si fanno le tariffe che si vogliono edall’altra si tengano bloccati i salari all’inflazione programmata.

Gli attori sociali non possono e non debbono esaurire le loro energie in ste-rili contrapposizioni antagoniste.

La concertazione, quale strumento di condivisione degli obiettivi, è indispen-sabile per la crescita della competitività. Ma la competitività non è una vocazionenaturale della natura umana, è una necessità. Solo se gli obiettivi sono largamentecondivisi un team, una comunità, un Paese possono essere più competitivi. Se peròdomina la tendenza allo scontro può voler dire che non vi è piena contezza dellanegatività del conflitto sociale.

Per riportare il Paese ai livelli competitivi che gli competono e ridistribuire laricchezza prodotta in modo più equo occorre che ci sia una nuova primavera dellaconcertazione.

Va da sé però che non è possibile traslare, sic et simpliciter, nel 2004 la concer-tazione del 1993.

L’impianto strutturale e valoriale non deve cambiare, le regole ed i contenutivanno adeguati al nuovo scenario politico, economico e sociale. Occorre fare i con-ti con le politiche europee da un lato e con il decentramento regionale dall’altro.

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Filomena Della Valle

Vibrazioni leopardiane nel Novecento europeodi Filomena Della Valle

Nella sua esclusività artistica ed umana, Leopardi è stato a lungo oggetto dinumerosi studi critici che hanno condotto gli studiosi a sposare varie tesi, a scinder-si tra loro e a darne le più disparate e contrastanti interpretazioni.

Sebbene siano trascorsi quasi due secoli dalla morte del poeta, Leopardi con-tinua ad essere “materia viva” d’indagini ed investigazioni esegetiche, mostrandoquanto, sia i denigratori che i cultori del leopardismo, ruotino ininterrottamenteintorno all’universo leopardiano e quanto la critica continui, indarno, ad arrovellarsisulla millenaria diatriba che vuole, da un lato Leopardi padre spirituale del pessimi-smo, dall’altro, seppur in misura più contenuta, un Leopardi paladino della speran-za, dell’ottimismo. Le prime avvisaglie che hanno condotto la critica a giungere allanefasta conclusione di un Leopardi pessimista, si riscontrano proprio tra i contem-poranei del Recanatese, la cui grave pecca fu quella di metterne in dubbio l’equili-brio psico-fisico, oltre ad attribuire erroneamente, alle affezioni organiche ed alleimperfezioni corporee, la sua ideologia pseudo-dissacrante. Dunque, troppo a lun-go il Leopardi è stato bersaglio prediletto di una critica accecata da logori cliché edimpegnata in un’astiosa campagna denigratoria.

Tuttavia, è doveroso puntualizzare, contro quanti hanno voluto scorgere equanti si ostinano tuttora a vedere nel Nostro, un’insignificanza letteraria, contras-segnata dall’idea preconcetta di un poeta, spregiatore dell’esistenza umana, che ba-sta immergersi nella sconfinata produzione critica condotta sul Nostro, nonché neinumerosi convegni internazionali, promossi nell’intento di caldeggiarne la presen-za nelle più disparate aree culturali, per poter riscontrare quanto non solo il Reca-natese abbia sopravvissuto alla deformazione patologica che ne fecero alcuni critici,ma anche come la grandezza leopardiana, vada al di là dell’esperienza letteraria.Contro quanti ne vilipesero la memoria in un’astiosa campagna denigratoria, cul-minata nel tacciare il poeta di temperamento nevropatico e stato morboso, l’im-pronta leopardiana europea e mondiale costituisce la chiara testimonianza di comel’animo leopardiano abbia saputo scuotere le coscienze letterarie più recalcitranti,lasciando un segno indelebile non solo della sua levatura artistica, ma anche dellasensibilità con cui legge ed interpreta l’esistenza umana.

Dunque, seguendo questo percorso di contrasti e riconciliazioni critiche, unadelle più autorevoli voci esegetiche del panorama culturale italiano è l’emeritoleopardista Emilio Giordano, il quale, si fa portavoce della leopardistica italiana

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Vibrazioni leopardiane nel Novecento europeo

otto-novecentesca, ponendo l’accento non solo su quanto il leopardismo sia unmovimento letterario a tutti gli effetti, ma anche come l’universo leopardiano costi-tuisca un vero e proprio fenomeno di studio, sempre più all’avanguardia e con l’inten-to di riportare in luce la magnificenza artistica di un autore che ha saputo scuoterele coscienze letterarie, lasciando, a distanza di anni, che si parli ancora di sé. Pur-troppo, malgrado i vani tentativi compiuti da abili critici nel discostarsi da una linead’indagine preconcetta e pregiudiziale verso il Recanatese, così come farà l’ermeneutaGiordano, ci si trova ancora a dover combattere contro l’emergere di quella criticaantileopardiana, corrosiva e misoneista, che tende ad escludere, dal suo campo d’in-dagine, la modernità del Leopardi, ma che, alla luce del sentito riscontro leopardiano,è costretta a tornare sui propri passi.

In tal senso, tra i molteplici protagonisti dell’esegesi leopardiana del nostrosecolo, emblematico ed imprescindibile, oltre che di grande prestigio, è il ruolorivestito dal direttore del Centro Nazionale di Studi Leopardiani, on. prof. FrancoFoschi, il quale, oltre a promuovere le più disparate iniziative culturali, curando gliaspetti tecnici ed organizzativi che tali manifestazioni richiedono, ha dato vita allosviluppo della leopardistica nel mondo, contribuendo personalmente ad approfon-dire un filone di studio innovativo e, per alcuni versi anche ostico, vista la grand’ecointernazionale che il Leopardi ha avuto, toccando anche alcune aree culturali pro-fondamente differenti dalla realtà italiana.

Unitamente agli sconfinati contributi esegetici, ispirati all’opera del Leopar-di, nel corso degli anni, la tradizionale manifestazione che mira a celebrare l’anni-versario leopardiano, dapprima confinata alla città di Recanati e vissuta in misurapiù contenuta, in seguito vera e propria espressione propalatrice della leopardisticamondiale, ha intensificato la nascita di una sentita vocazione, presso estimatori edetrattori del leopardismo, a farsi portavoce della fortuna critica del Nostro.

È proprio in nome di mostre, convegni, dibattiti e quant’altro, che si è verifi-cato un sentito riscontro della materia leopardiana anche presso i mass media, A talriguardo, il bicentenario della nascita del Leopardi ha costituito un evento in cui,alcuni giornalisti, hanno puntualmente menzionato e pubblicizzato le varie mani-festazioni organizzate e, soprattutto, hanno colto l’occasione per ricordare l’attua-lità della filosofia leopardiana.

Interventi critici, inserzioni, articoli, interviste, corredano la giornalistica esaggistica testimonianza di quanto la materia leopardiana non sia soltanto un pretestoper riempire pagine di giornale o volumi, in onore del suo bicentenario, ma costitui-sca qualcosa di ben più alto: la modernità di un’artista la cui fama e grandezza lettera-ria aleggiano ancora nell’aria lasciando un segno indelebile nell’anima di ogni cultura.E se il Leopardi a soli 39 anni, abbandona inderogabilmente la vita, la sua levaturaartistica ha intrapreso un lungo cammino in cui, seppur i sentieri percorsi a volteappaiono ostici e fatiscenti, ha già ampiamente mostrato di aver raggiunto le aree piùvaste della nostra dimensione, cristallizzandosi per sempre nel tempo.

Pertanto, benché l’Italia costituisca la culla del leopardismo, la fortuna criticae letteraria del Leopardi non è relegata e legata esclusivamente all’ambito culturale

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italiano, bensì trova un suo sentito riscontro, anche presso la critica d’oltralpe. A talriguardo, nell’ambito del processo esegetico leopardiano in Europa, l’attenzionerivolta al Nostro investe, non solo zone europee in cui la conoscenza leopardiana èstata agevolata dalla vicinanza geografica al nostro paese, o ancora, da un interessa-mento nutrito dal Leopardi stesso verso alcuni territori internazionali, ma ancheculture o paesi in cui, le motivazioni storico - politiche che ne hanno determinatouna chiusura culturale, tuttavia non hanno compromesso l’avvento del leopardismo.

Una prima testimonianza della difficoltà ad aderire ed interpretare il tantodibattuto tema del leopardismo, proviene dal mondo iberico, in cui, seppur le vocicritiche leopardiane risultano molteplici ed accreditate, ciò non ci esime dal pren-dere coscienza di quanto Leopardi abbia fatto fatica ad affermarsi in questo territo-rio, pur riscontrando quanto sia tangibile l’eredità leopardiana nella cultura ispanica.

Tra i molteplici interventi esegetici, atti a testimoniare quanto il Nostro ab-bia costituito un vivo richiamo per alcune grandi personalità del clima letterariospagnolo, un ruolo preminente è quello svolto da Roberto Paoli.

Il critico, nel saggio La filosofia poetica di Unamuno e Leopardi,1 rileva quantoUnamuno, al di là della partecipazione alla visione etico-filosofica leopardiana, vedanel Nostro un’imprescindibile modello di aedo, come testimoniano i primi compo-nimenti del poeta spagnolo in cui affiora la lezione stilistica leopardiana.

Quanto alle corrispondenze ideologiche ed artistiche tra il Leopardi edUnamuno, un altro notevole studio è quello condotto da Vicente Gonzàlez Martìn,Presenza di Leopardi nell’opera di Miguel de Unamuno,2 in cui, l’esegeta, alla lucedei numerosi riferimenti che lo stesso Unamuno farà del Leopardi all’interno dellesue opere, illustra i punti salienti del lascito leopardiano e l’ammirazione che il po-eta spagnolo nutriva per il Nostro.

Una ricca testimonianza di come il Recanatese si sia affermato nella culturaiberica, ci viene fornita dai diversi contributi critici di Maria de las Nieves MuñizMuñiz.3

La nota leopardista dedica un nutrito studio4 alla notevole risonanza liricaleopardiana in Spagna, incentrando la sua disamina prevalentemente intorno alle

1 Roberto PAOLI, La filosofia poetica di Unamuno e Leopardi, in La corrispondenza imperfetta. Leopardi tradottoe traduttore, Atti del Convegno (Trento 9-10 dicembre 1988), a cura di Anna Dolfi e Adriana Mitescu, Roma,Bulzoni, 1990, pp. 161-168.

Lo stesso saggio, è presente nell’introduzione all’edizione italiana di Miguel DE UNAMUNO, Poesie, a cura diRoberto Paoli, Firenze, Vallecchi, 1968, pp. XCIX-CVI.

2 Vicente GONZÀLES MARTIN, Presenza di Leopardi nell’opera di Miguel de Unamuno, in Leopardi e la culturaeuropea, Atti del Convegno internazionale dell’Università di Lovanio (Lovanio 10-12 dicembre 1987), a cura di F.Musarra, S. Vanvolsem, R. Guglielmone Lamberti, Leuven University Press/Roma, Bulzoni Editore, 1989, pp. 279-296.

3 Cfr., Maria DE LAS NIEVES MUÑIZ MUÑIZ, Leopardi nella cultura spagnola e Bibliografia leopardiana in linguaspagnola, in «Studi leopardiani», 1991, 1, pp. 25-30, 31-47.

4 Maria DE LAS NIEVES MUÑIZ MUÑIZ, Tradurre “L’Infinito” (intorno ad alcune versioni spagnole dei“Canti”leopardiani), in La corrispondenza imperfetta. Leopardi tradotto e traduttore..., cit., pp. 127-160; cfr. Leo-pardi nella cultura spagnola, in Giacomo Leopardi nel mondo, Atti dell’incontro internazionale (Macerata 2 ottobre1991), Firenze, Leo S. Olschki, 1995.

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diverse traduzioni spagnole delle opere leopardiane, particolarmente dell’Infinito,che se da un lato rivelerebbero le molteplici incongruenze traduttive, frutto di unaminimizzazione del pensiero leopardiano e di una scarsa conoscenza dell’operazibaldoniana, dall’altro testimonierebbero la costante peculiarità del leopardismodi valicare i confini nazionali ed approdare nella cultura ispanica, tanto da rappre-sentare un punto focale della leopardistica europea.

Ma tra i propalatori della leopardistica novecentesca, interessati all’accogli-mento della materia leopardiana, un ruolo di rilievo è quello svolto dall’esegetaAngel Chiclana, il quale, nell’intervento al Convegno internazionale di Lovaniodel 1987, argomenta circa il leopardismo spagnolo, approntando una relazione de-gna di nota, seppur contraddistinta da una certa vena polemica.

La sua disamina, Leopardi nel mondo ispanico,5 volta a mostrare quanto l’ecoleopardiana abbia una forte ripercussione nel milieu culturale iberico, prende cor-po seguendo due indirizzi differenti: da un lato il critico analizza i prodromi di unavvicinamento leopardiano alla cultura spagnola, dall’altro rileva come il mondoispanico abbia accolto Leopardi ed il leopardismo.

Interessante campo d’indagine, in cui il critico s’immerge, è l’individuare lerilevanti affinità fra il poeta spagnolo Nicasio Alvarez Cienfuegos ed il Recanatese.Tuttavia, quanto Leopardi sia legato alla cultura iberica si evidenzia non solo daquesto suo accostamento al poeta madrileno, ma anche dalle riflessioni affidate alloZibaldone. Il relatore, in ogni caso, ricorda quanto l’ammirazione espressa dal Nostrosulla cultura iberica derivi dall’accostamento ad un saggio del gesuita spagnoloFrancisco Xavier Llampillas, di cui lo stesso Leopardi ne ammette l’approccio. Ciòche il Chiclana riscontra non è, però, una piena condivisione delle argomentazionidel gesuita da parte del Nostro, ma una vera e propria riproduzione delle sue teorie,pur non omettendo quanto Leopardi sia persuaso da un “sincero entusiasmo”.6

A questo punto si ha la sensazione che il critico abbia un atteggiamento ec-cessivamente polemico verso il Recanatese e che si limiti a riscontrare esclusiva-mente gli influssi iberici colti dal poeta, senza considerare come questi li faccia au-tenticamente propri. Del resto, Leopardi non ricalcherà mai pedissequamente leorme di altri intellettuali, ma piuttosto si discosterà, spesso, persino dalle tendenzeculturali della sua epoca, a tal punto da inimicarsi la critica contemporanea e postera.Oltretutto, la dichiarazione dell’ermeneuta è incongrua e contraddittoria, poichénon si può asserire che il Nostro si sia lasciato suggestionare da contributi critici diintellettuali spagnoli e, poi, porre l’accento sul “sincero entusiasmo” che circoscri-ve le dichiarazioni leopardiane. Dunque, concordemente al relatore, si può indub-biamente notare come Leopardi abbia accolto il lascito dell’autore madrilenoCienfuegos, ciò nonostante non gli si può attribuire un’integrale e particolareggiataimitazione di tutti i fautori della cultura letteraria iberica.

5 Angel CHICLANA, Leopardi nel mondo ispanico, in Leopardi e la cultura europea..., cit., pp. 125-138.6 Ibid., p. 131.

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È nel sincronismo degli eventi storico-letterari d’entrambe le nazioni, la Spa-gna da un lato e l’Italia dall’altro, che è possibile intravedere una concomitanza diopinioni tra il Leopardi ed altri intellettuali, e non come vorrebbe il Chiclana daun’eventuale mancanza di personalità del Nostro che lo condurrebbe a sposarepappagallescamente qualunque causa. In effetti, sarà proprio la sua forte personali-tà letteraria, oltre che un’acuita capacità cognitiva, a spingerlo verso scelte che van-no controcorrente.

L’impronta leopardiana ed il retaggio culturale del Nostro nell’ambiente let-terario ispanico costituiscono un’altra fase del lavoro critico del Chiclana, il qualepremette, senza indugio, quanto il nostro portentoso poeta fosse misconosciutodai suoi coevi iberici. Dunque, il leopardismo si radica e prende forma molto lenta-mente in Spagna, ma non per questo non darà i suoi proficui frutti. Tuttavia, lacausa del protratto sviluppo del leopardismo nella penisola iberica, ha una suaradicazione storica: il dispotismo di Fernando VII, il quale disciplina direttamentetutti i rapporti sociali su posizioni di rigido assolutismo. L’esilio per letterati, intel-lettuali e persone colte, costituisce una sorta di allontanamento dalle scene europeetanto da determinare, successivamente, la pochezza degli scambi culturali, utili allapromozione degli studi leopardiani ed alla diffusione del leopardismo in tutte le sueespressioni.

Dunque, se inizialmente si può cogliere un minimo, o quasi inesistente inte-ressamento al retaggio culturale leopardiano in Spagna, le molteplici testimonianzecritiche, tese a divulgare e promuovere la leopardistica iberica, mostrano quanto ilXX secolo costituisca il periodo di maggior diffusione del leopardismo. Indipen-dentemente dalla portata dell’eco leopardiana e dai tempi necessari per la sua affer-mazione in Spagna, il Nostro riesce, in ogni caso, ad affermarsi, penetrando nellacultura moderna e lasciando un segno indelebile del suo inconfondibile patrimoniopoetico.

A differenza di alcune zone europee in cui la leopardistica novecentesca,muove a stento i suoi primi passi, l’ambiente culturale francese mostra, invece, unsentito trasporto verso il Leopardi, da cui ne deriva un sostenuto interesse, testimo-niato anche dai molteplici lavori esegetici dedicati al Nostro.

Il critico Nicolas Serban, rappresenta, a tal riguardo, un iniziatore dellaleopardistica francese, esaminando nel volume Leopardi e la Francia,7 il biunivocoe, per tanti versi, contrastante rapporto tra il Nostro e la cultura romanza. Fonteimprescindibile del leopardismo ottocentesco in Francia, il lavoro di Serban costi-tuisce il punto di partenza della disamina condotta da un’altra eccellente leopardista,Anna Dolfi.

La studiosa, nel lavoro Nicole Serban: un caso di fortuna leopardiana in Fran-cia,8 oltre ad attingere al contributo del critico francese, ai fini di rilevarne l’interes-

7 Nicolas SERBAN, Leopardi et la France, Paris, Champion, 1913.8 Cfr. La corrispondenza imperfetta. Leopardi tradotto e traduttore…, cit., pp. 91-100.

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se leopardiano, conduce un innovativo studio su un’altra opera del Serban, Leopar-di sentimental, in cui, questi, delinea un ritratto psicologico del Nostro che, a pare-re della Dolfi, non è privo contraddizioni.

Sulla stessa linea d’indagine, s’inserisce il saggio di Alberto Frattini, Nuovepostille al “Leopardi et la France” di Nicole Serban ,9 nel quale, lo studioso, testi-monia quanto il volume di Serban abbia costituito per i critici francesisti, un mo-dello critico a cui attingere, per poter cogliere le analogie e le contraddizioni tra ilLeopardi ed il mondo culturale francese.

Tra gli interventi che testimoniano il grande lascito leopardiano in Francia, sipuò annoverare la disamina condotta da José Lambert, il quale, tra le pagine dellavoro Leopardi et les interactions entre traditions et traductions au XIX siècle,10

spiega le motivazioni che hanno condotto il Recanatese a godere di ottima famanell’ambiente francese, riconducendo i meriti del Nostro alla sua abilità filologica etraduttiva, anche se non desiste dal metterla in dubbio.

Mentre, Michèle Dehilage, ripercorrendo le orme della critica leopardianafrancese, nella relazione Quelques lignes de force dans la réception de Leopardi enFrance au XIX siècle,11 delinea un Leopardi poliedrico nella sua attività poetica,mostrando come, il Nostro, sia stato colto, dalla critica e dal mondo intellettuale,nelle sue più profonde sfaccettature artistiche.

Nell’ambito della leopardistica francese sembra però doveroso approfondireil lavoro critico condotto dall’emerita studiosa Anna Dolfi, la quale tra i vari saggidedicati al Nostro, propone un esempio di leopardismo francese, nella relazioneLeopardi e il pensar filosofico di Madame de Stäel.12

La rassegna svolta dall’emerita studiosa Anna Dolfi, si focalizza su un puntofondamentale: quanto Leopardi abbia attinto all’opera Corinne di Madame De Stäel,riportandone esplicitamente un passo nelle annotazioni alle Operette morali, oltreche sentiti rimandi nello Zibaldone.

L’ideologia filosofica della scrittrice francese sembra costituire il sostrato diuna taciuta complicità sentita dal Nostro. Tuttavia, al di là di un sentimento di co-munione, nato dalla constatazione di una donna la cui bellezza corporea gli è nega-ta, contrariamente all’avvenenza della sua sensibile anima, ciò che sembra muovereil Leopardi verso l’autrice francese è la singolarità delle sue opere.

In un clima culturale in cui la letteratura sembra perdere la propria consi-stenza, aderendo per lo più alle tendenze in voga, a disegni precostituiti, o ad inse-rirsi entro schieramenti ideologico-classistici, Leopardi aveva già ampiamente mo-strato con la sottovalutata pubblicazione delle Operette, quanto un’artista dovesseseguire la propria ispirazione, rischiando a volte di risultare demodé o, addirittura

9 Ibid., pp. 101-107.10 In Leopardi e la cultura europea..., cit., pp. 313-318.11 Ibid., pp. 487-492.12 Ibid., pp. 191-205.

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tacciato dalla critica del tempo. Pertanto, in Madame De Stäel, il Nostro vede ger-mogliare una sorta di sovvertimento letterario di cui egli stesso se ne era fatto pro-pugnatore, dichiarando in merito: “V’è qualche secolo che, per tacere del resto,nelle arti e nelle discipline presume di rifar tutto, perché nulla sa fare”.13

Sarà proprio la lettura del romanzo stäeliano a suggerire al Leopardi un’aper-tura ideologica, un ampliamento di vedute, che lo condurrà ad una visione menoradicalizzata della cultura moderna, in cui possono finalmente coesistere componenticontrastanti che, tra l’altro, caratterizzeranno l’iter poetico leopardiano: classicismo eromanticismo da un lato, poesia e filosofia dall’altro. In realtà, come asserisce la vali-da leopardista, richiamando alla memoria un passo dello Zibaldone, lo stesso Leopar-di conferma quanto le opere stäeliane lo abbiano destato alla cultura filosofica, di cuise ne sente ambasciatore. Ma sarebbe opportuno rilevare come l’influsso della DeStäel non sia totalizzante, in quanto Leopardi già promulgava l’esigenza di un cam-biamento letterario, o quanto meno non aveva esonerato i suoi contemporanei daaspre critiche, prima ancora di prendere posizione all’interno della secolare polemicatra classicisti e romantici, di cui la De Stäel se ne era fatta portavoce.

Ebbene, malgrado l’asserzione dell’esegeta sia ampiamente documentata enon dia adito ad equivoci di sorta, bisogna chiarire come, in ogni caso, non si veri-fichi una ‘stäelizazzione’ dell’ideologia leopardiana, che nasce sempre da profondemeditazioni introspettive e, in quanto tale, mantiene salda la propria originalità.

Di là dalla condivisione filosofica di alcuni aspetti esistenzialistici, probabil-mente Leopardi trova proprio in Madame De Stäel quel valido punto di appoggioche non era stato in grado di fornirgli la sua contemporaneità, quel “secol morto” 14

che aveva appiattito la cultura, stagnandosi in moduli e suggestioni letterarie cheprovenivano dall’estero, a discapito di quei geni poetici nazionali che avrebberocambiato la storia della cultura italiana. Leopardi fu uno di loro, ma ne pagò cara-mente il prezzo.

Quanto il leopardismo costituisca una presenza costante nella cultura euro-pea, approdando anche in Belgio, è attestato dal critico Walter Geerts, il quale,ripercorrendo il panorama critico italiano del Novecento e focalizzando la sua at-tenzione intorno ad autorevoli cultori della materia leopardiana, quali Sinisgalli eDe Robertis, mostra quanto il leopardismo non abbia confini storici, geografici,generazionali, religiosi, politici o sociali, ma solo la necessità di approdare nellacultura moderna, senza soggiacere a classificazioni od estenuanti analisi di sorta.

Per quanto concerne il leopardismo fiammingo, l’approccio olandese verso ilLeopardi, affiora molto più tortuoso rispetto ad altre aree culturali, tant’è vero chene vengono scandagliate le cause in una scrupolosa e competente relazione del cri-tico Minne Gerben De Boer, La fortuna di Leopardi in Olanda.15

13 Giacomo LEOPARDI, Pensieri, XI.14 Giacomo LEOPARDI, dai Canti, Ad Angelo Mai, 1820, v. 4.15 In Leopardi e la cultura europea... cit., pp. 151-178; cfr., La fortuna di Leopardi in Olanda, in Giacomo

Leopardi nel mondo…, cit.

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Innanzitutto, bisogna rilevare come l’atteggiamento culturale fiammingo, purripercorrendo la ritrosia irlandese, trovi i suoi presupposti non in una posizionegeografica sfavorevole, o in un certo settarismo culturale, ma in vere e proprie dif-ficoltà tangibili. Infatti, come mostrerà l’esegeta De Boer, il timido accostamento alNostro deriva fondamentalmente da difficoltà cognitive ed interpretative della liri-ca leopardiana. Inoltre, puntualizza quanto il leopardismo nel territorio olandesesia stato ostacolato dall’assenza di fonti che ne possano ricostruire l’iniziale appro-do, scarni cenni al poeta ed un lavorio esegetico a volte molto deludente e oltremo-do dilettantesco.

Per De Boer l’Ottocento è un secolo lacunoso, in cui oltre ad una versioneteutonica dei Canti di Kannegiesser, risalente al 1837, non si reperiscono altre fonti.

Se il XIX secolo sembra mostrare una carente adesione al leopardismo, ilNovecento risulterà più proficuo, grazie all’incremento dei viaggi nel nostro paesee ad una vocazione all’interpretazione poetica. Tra le personalità di maggior rilievoche accolgono il leopardismo agli inizi del Novecento, il De Boer annovera VanEyck e Bloem.

Appartenente alla stessa generazione sarà il poeta Keuls, che viene encomiatodall’ermeneuta fiammingo in quanto esperto di lingua italiana ed abile traduttoredei Canti leopardiani. In realtà, dopo le sue versioni si avranno delle creazioniestemporanee: pseudo-traduzioni poco edificanti e addirittura, in alcuni casi, frut-to di un accecato dilettantismo. La conseguenza prevedibile è una serie di traduzio-ni ex novo, che denigrano la maestria leopardiana e ne appiattiscono le penetrantivibrazioni dell’animo. Alcuni esempi fornitici dal De Boer ci mostrano quanto ilmessaggio leopardiano venga completamente distorto. È il caso del poeta JanEekhout, il quale, fa del toccante canto A se stesso un compendio propagandisticoin cui è messa in prima linea la personale eticità protestante, rendendone inaccetta-bile la versione.

Altrettanto inammissibile è la trasposizione di Valkhoff del Passero solitario,che mostra come anche le iniziative personali possano deturpare la musicalità deiversi leopardiani, susseguiti da una fredda definizione tecnico-scientifica: il Monticolacyanus. Non si può attribuire una denominazione ornitologica ad un poema in cuiè chiara l’allusività del titolo ed il rimando autobiografico. Il Passero solitario altronon è che l’alter ego leopardiano, dunque, scevro da qualsiasi tentativo di classifica-zione zoologica.

Nel corso del Novecento, in Olanda, oltre ad un nutrito interesse per laversificazione poetica, si diffonde anche un profuso accrescimento degli italianisti,tra i quali degno di nota, è Frans van Doren. Lo studioso riesce a promuovere unapprofondimento del leopardismo, fino ad ora relegato all’apprendimento biografi-co dell’artista e, solo in parte, della sua attività poetica. Così, nell’intento di renderenote anche altre opere del Recanatese, si dedicherà alla traduzione della Palinodiaal marchese Gino Capponi e dei Pensieri, opera quest’ultima, che contrariamente aquanto accade per i Canti, di cui non se ne tradurrà mai l’intera raccolta, sarà inte-grale.

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Il leopardismo in Olanda penetra attraverso due settori, generico l’uno, piùspecifico l’altro, ossia, il percorso letterario e quello accademico, che ne regolano losviluppo condizionandone, in alcuni casi, l’esito. Nel suo percorso letterario il Le-opardi, intorno al 1880, raggiunge l’acme nelle vesti di aedo dell’ideologia pessimi-stica europea, ruolo da cui si riscatterà nel secolo successivo. Il Novecento, infatti,lo vede rivalutato da un lato ed imitato dall’altro, avendone comprovata la fama digran versificatore. Dunque, in entrambi i periodi, il leopardismo in Olanda soprag-giunge come eco di un’espressione culturale ed internazionale preesistente e noncome fenomeno autonomo. Come asserisce il De Boer, è in questa situazione e nelmancato riconoscimento della levatura europea leopardiana, che vanno ricercate lecause di un superficiale accostamento del mondo intellettuale fiammingo verso ilNostro.

Per quanto concerne la sfera accademica, l’ermeneuta sostiene come anchequesto percorso abbia ritardato il leopardismo e ne abbia vincolato l’accrescimen-to. L’ambiente universitario non è stato in grado di concedere al poeta recanateseuna giusta collocazione e di percepirne l’importanza, in quanto il dipartimento dilinguistica straniera è rimasto troppo a lungo relegato nel proprio mondo.

Pertanto, se la lirica leopardiana risulta una materia difficilmente verseggiabile,lo si deve non solo ad un limitato approccio alla nostra lingua, o agli ostici ricorsitrecenteschi della poesia leopardiana, ma anche all’assenza di una totalecompenetrazione tra due settori che dovrebbero costituire il presupposto per l’am-pliamento dei propri orizzonti culturali e lo sviluppo intellettuale di un paese pro-gredito.

Nel momento in cui il mondo letterario e quello accademico, smetteranno diessere spazi circoscritti ed elitari, acquistando coscienza della necessità o della pro-pensione ad una migliore collaborazione, sopraggiungerà un accrescimento dellamateria leopardiana ed il popolo fiammingo non sarà più costretto ad ignorare leopere del Nostro o ad interrogarsi su cosa sia lo Zibaldone. Del resto, la cultura èpatrimonio appartenente ad ognuno di noi e non la si può confinare all’interno diuna stretta cerchia sociale o ad istituzioni formative che, a volte, sembrano smarrirela propria natura.

Ben altro aspetto assume l’ellenismo leopardiano ed il leopardismo ellenico,di cui si fa degna scrutatrice la studiosa greca Margherita Dalmàti, la quale, riscon-trando quanto l’amore che il Nostro nutre per le lettere classiche e la conseguentededizione all’antichità, siano smisurati, traccia un attento profilo del grecismoleopardiano e constata l’entusiastica adesione degli intellettuali ellenici alla materialeopardiana.

Nell’indagine esegetica Giacomo Leopardi-uno dei greci. (La fortuna di Leo-pardi in Grecia)16 condotta dalla ricercatrice, si evince come la sua analisi prendacorpo dai componimenti di stampo civile-patriottico per poi dirigersi agli idilli, in

16 Ibid., pp. 139-150.

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cui emergono chiaramente componenti tematiche, ma anche metrico-stilistiche cheil Leopardi emula sapientemente dalla classicità. L’equilibrio, l’eleganza, l’armoniadei suoi versi costituiscono un chiaro richiamo a quel mondo vetusto tanto decla-mato e decantato non solo nei suoi componimenti poetici, ma in particolar modo,in quella sorta di compendio che dietro la nomenclatura di Zibaldone, racchiudeperle di saggezza, emozioni, levatura intellettuale, autobiografismo, inclinazioneculturale… e così via. Ed è proprio in questo ambito che va indicata e non ricercata,vista la diretta e chiara esposizione del poeta, la magnificazione del mondo ellenico,di cui, il Leopardi, ne ammira ogni espressione artistica e se ne fa portavoce.

Dunque, se gli idilli leopardiani rappresentano l’epitome di contenuti svilup-pati anche nell’area culturale ellenica, lo Zibaldone inneggia, con il suo profluvio diriferimenti, al grecismo leopardiano. Infatti, se da un lato la patria, la natura, l’amo-re, la morte, la fugacità d’ogni cosa, esprimono tematiche tipicamente elleniche,dall’altro lato, le riflessioni che si annidano nello Zibaldone, mostrano il mito delgrecismo in Leopardi.

Per quanto concerne l’accrescimento del leopardismo in Grecia, le prime te-stimonianze risalgono al periodo della morte del poeta, nel 1837, di cui se ne famenzione in un quotidiano locale. Dunque, il percorso del leopardismo ellenicoappare molto lento ed impalpabile, malgrado ci siano stati cenni, traduzioni, e brevirecensioni sul poeta Recanatese. Un contributo più tangibile proviene dal versatileletterato Panayotis Kanellopoulos. Di diretta filiazione leopardiana sarà la sua ope-ra Storia della Cultura Europea, in cui affiora il precostituito disegno del Recanatesedi un’opera variegata, pronta ad accogliere ogni sorta di notificazione letterario-culturale, ma anche scrigno di riflessioni. La matrice zibaldoniana è chiaramentevisibile, anche se la differenza principale risiederà nella destinazione dell’opera: di-dattico-pedagogica per il cultore leopardiano e, quindi, indirizzata principalmenteagli studenti, mentre, di validità universale nella progettazione del Leopardi. LoZibaldone costituirà, dunque, una primaria fonte d’ispirazione e tale rimarrà, inquanto l’intima essenza che trapela dalle pagine leopardiane, cede il posto ad unafigurazione molto più schematica e formativa in Kanellopoulos. Del resto, si puòtrarre spunto dalla cultura leopardiana e tentare di ricalcarne le gesta letterarie, masenz’ombra di dubbio non ci si può ispirare ai moti d’animo del poeta, che in quan-to tali, restano unici nel loro genere e, fortunatamente, scevri da qualsivoglia tenta-tivo di emulazione. Ed è proprio questa la nota distintiva leopardiana, che, di là daogni schematizzazione letteraria riesce con il suo percorso emotivo a penetrare inogni tipo di cultura, se pur contraddistinta da comprensibili ed inevitabili differen-ze rispetto alla propria ascendenza culturale.

Lì dove fiorisce la culla del sapere umano, il trasporto che si alimenta verso ilNostro, costituisce un’ulteriore attestazione di quanto possa essere indiscutibile lagrandezza letteraria del poeta, rendendone le opere moderne e valide nel corso deltempo.

Quanto il leopardismo abbia costituito un tratto distintivo nell’ambienteculturale anglofono, è attestato da svariati saggi critici che mirano a cogliere non

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solo la centralità del pensiero leopardiano, ma intendono anche diffonderne la ma-estria poetica, tramite un cospicuo lavorio traduttivo.

A tal riguardo, il più noto ed autorevole leopardista, nonché divulgatore dellascito leopardiano nei paesi anglosassoni è Ghan Shyam Singh, il quale, fin dal suoprimo lavoro critico, Leopardi and the Theory of Poetry.17 manifesta una totalededizione alla poetica del Nostro, che va concretandosi, nel corso degli anni, nellapubblicazione di diversi studi critici di carattere comparatistico, aprendodefinitivamente le porte al leopardismo anglosassone. Dunque, i primi germoglidel leopardismo in area anglofona, trovano un loro riscontro nell’opera singhianaLeopardi e l’Inghilterra,18 a cui seguiranno Leopardi e i poeti inglesi 19 e “Canti” byGiacomo Leopardi.20

Sebbene il leopardismo abbia oltrepassato i confini nazionali, varcando a voltepersino la chiusura mentale di alcune aree europee e, si sia affermato come vero eproprio movimento letterario, occorre sottolineare come assuma peculiarità diffe-renti, a seconda del clima culturale in cui penetri. È il caso dell’Inghilterra in cui,come asserisce il Singh nella relazione La fortuna di Leopardi in Inghilterra,21 l’ascen-denza leopardiana ha trovato conferme ed approvazioni in questo territorio, sol-tanto negli ultimi tempi.

La carenza di esperti italianisti da un lato e le difficoltà legate all’attività ditrasposizione dell’opera leopardiana dall’altro, hanno, in qualche modo, contribu-ito a diffondere per molto tempo un timido leopardismo, meno sentito rispetto adaltre zone europee. Ma, alla luce di tali difficoltà, il Singh pone l’accento su come, inogni caso, si sia affermata la presenza del Nostro, grazie anche alla caparbietà cheha contraddistinto i traduttori leopardiani, i quali, dinanzi alla perfezione prosodicadella poesia del Leopardi e, nonostante le asperità rilevate durante la trasposizione,non hanno desistito, dando vita ad una cospicua quantità di traduzioni, che tuttorasono esemplari imprescindibili per chi si accinge ad uno studio più approfonditodei versi leopardiani.

È proprio nell’ambito dell’attività traduttiva che il Singh si propone di scan-dagliare non solo l’impatto del traduttore con le barriere stilistico-formali dei testileopardiani, ma anche il dilettantismo che, in alcuni casi, ne contraddistingue illavoro, dando vita a componimenti del tutto avulsi dal testo originale.

Una pertinente esemplificazione dell’analisi in questione, si può riscontrarenello studio esegetico “A se stesso” in lingua inglese,22 in cui il Singh conduce un’ocu-

17 GHAN SHYAM SING, Leopardi and the Theory of Poetry, Lexington, University of Kentucky Press, 1964.18 GHAN SHYAM SING, Leopardi e l’Inghilterra, Firenze, Le Monnier, 1968.19 GHAN SHYAM SING, Leopardi e i poeti inglesi, Influenza di Giacomo Leopardi nella letteratura inglese, Ancona,

Transeuropa Libri, 1990.20 GHAN SHYAM SING, I “Canti” di Giacomo Leopardi nelle traduzioni inglesi, prefazione di Mario Luzi, presenta-

zione di Franco Foschi, Ancona, Centro nazionale di studi leopardiani-Transeuropa, 1990.21 GHAN SHYAM SING, La fortuna di Leopardi in Inghilterra, in Giacomo Leopardi nel mondo…, cit.22 GHAN SHYAM SING, “A se stesso” in lingua inglese, in La corrispondenza imperfetta. Leopardi tradotto e tradut-

tore…, cit.

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lata disamina del criterio traduttivo applicato ad uno dei componimenti che,unitamente all’Infinito, appare il più singolare ai fini della trasposizione.

Innanzitutto il leopardista rileva quanto sia labile la linea di demarcazionetra testo originale e testo tradotto, a tal punto che, nella trasposizione, qualora iltraduttore riproduca fedelmente ogni parola, rischia di far cadere il componimentonella totale insignificanza, perdendo quelle sfumature lessicali proprie ad ogni lin-gua e per le quali, spesso, non esiste un termine corrispondente. Oltretutto, appareproblematica anche la soluzione opposta, ovvero, la deliberata interpolazione divocaboli o espressioni che, se rendono gran merito all’estro del traduttore, d’altrocanto si discostano completamente dal testo primigenio, precludendo al lettore lapossibilità di cogliere non solo la versificazione dell’autore tradotto, ma persino ilsuo universo ideologico. Entrambe queste soluzioni si riscontrano nella sceltatraduttiva del componimento A se stesso, dando risultati limitanti e, solo in casiesigui, rispettando la matrice leopardiana.

A tal riguardo è doveroso ricordare come sull’argomento si è espresso il Le-opardi stesso, affidando allo Zibaldone fitte e nutrite riflessioni degne di essereprese in considerazione e che riguardano la “difficoltà o impossibilità di ben tra-durre, a ciò che perde un libro nelle traduzioni le meglio fatte, all’assoluta impossi-bilità, e contradizione ne’ termini, dell’esistenza di una traduzione perfetta […]”. 23

Quanto mai veritiera è l’asserzione in cui il Nostro chiarisce:

La perfezione della traduzione consiste in questo, che l’autore tradotto, nonsia p.e. greco in italiano, greco o francese in tedesco, ma tale in italiano o intedesco, quale egli è in greco o in francese. Questo è il difficile, questo è ciò chenon in tutte le lingue è possibile […] .24

Probabilmente risulterebbe necessario che, di là dal testo leopardiano sotto-posto a traduzione, si rivisitassero alcune sezioni dello Zibaldone, le quali non solofornirebbero ai traduttori valide direttive ai fini di una trasposizione quanto piùvicina all’originale e che ne conservi l’ideologia di fondo, ma renderebbero al No-stro il merito di essere accreditato anche come esperto filologo.

Tuttavia, al di là del nutrito corpus di traduzioni, atte a testimoniare il cre-scente fascino verso il mondo del Recanatese, sarà proprio il Singh a diffondere larisonanza leopardiana nella cultura inglese.

Una prima testimonianza di come l’influsso leopardiano sia stato avvertitodai poeti inglesi della seconda metà dell’Ottocento, viene fornita dall’opera Leo-pardi e Matthew Arnold: i miti e le delusioni dell’età romantica,25 in cui, l’analisi delSingh, prende corpo individuando i punti di contatto esistenti e riscontrabili, nel-

23 Giacomo LEOPARDI, Zibaldone, 3954.24 Ibid., 2135.25 In «Italianistica», 1980, 1 (gennaio-aprile), pp. 7-18.

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l’analogia concettuale tra il Bruto minore leopardiano ed il poema arnoldianoEmpedocles on Etna.

La presenza di Leopardi presso la cultura anglo-americana e la sua persisten-te e crescente modernità divengono il prediletto campo d’indagine del Singh, il quale,si ripropone di ampliarne i confini con il lavoro esegetico Melville and Leopardi,26

attraverso la comparazione con lo scrittore newyorkese, in cui, il leopardismo,attecchisce nel suo più famoso romanzo: Moby Dick, or the White Whale (1851).

Dunque, il lascito leopardiano nella cultura anglo-americana, ha preso corponel corso dei secoli, nutrendosi sempre più dell’imprescindibile lezione del Nostro,il quale, amava ampliare i propri orizzonti culturali, dissetando la sua incontenibilesete di conoscenza in un costante ed accurato interesse per la cultura d’oltralpe.

Leopardi, in più occasioni, esalterà il mondo anglosassone, dichiarando nelloZibaldone:

L’Inghilterra in dispetto del suo clima, della sua posizione geografica, credoanche dell’origine de’ suoi abitanti, appartiene oggi piuttosto al sistema meri-dionale che al settentrionale. Essa ha del settentrionale tutto il buono (l’attivi-tà, il coraggio, la profondità del pensiero e dell’immaginazione, l’indipenden-za, ec. ec.)senz’averne il cattivo. E così del meridionale ha la vivacità, la politezza,la sottigliezza […] raffinatezza di civilizzazione e di carattere (a cui non si tro-va simile se non in Francia o in Italia), ed anche bastante amenità e feconditàd’immaginazione, e simili buone qualità […]. 27

Se, quindi, già nel 1821, il Nostro, esprimeva chiaramente nel passo zibaldo-niano la sua ammirazione per la cultura inglese, mostrando di conoscerne le pecu-liarità, non si può certo dire lo stesso per ciò che concerne il mondo anglosassone,per il quale il Leopardi era un perfetto sconosciuto. Ma sarà proprio la sua grandez-za letteraria da un lato, e “la profondità del pensiero”28 anglosassone, di cui parla lostesso Leopardi, dall’altro, a rendergli merito e a far maturare una sentita coscienzaleopardiana nel mondo anglosassone, in cui Leopardi è divenuto un imprescindibi-le classico letterario a cui attingere costantemente.

Altro campo d’indagine in cui cogliere l’eco leopardiana è l’Irlanda, di cui ilcritico John C. Barnes, nel suo studio esegetico La fortuna di Leopardi in Irlan-da,29 ci fornisce uno scrupoloso esame della mancata popolarità leopardiana nel-l’oasi gaelica, verificata rispetto ad altre nazioni europee e, della minima partecipa-zione che il mondo intellettuale irlandese alimenta verso il Nostro.

Al di là di scarni cenni attinenti all’isola e, presenti nello Zibaldone, il Leo-

26 In «Rivista di Letterature moderne e comparate», 1980, 1 (gennaio-marzo), pp. 23-37.27 Giacomo LEOPARDI, Zibaldone, 1043.28 Ibid.29 John C. BARNES, in Leopardi e la cultura europea... cit., pp. 39-50. Cfr. Leopardi e l’Irlanda, in La corrispon-

denza imperfetta. Leopardi tradotto e traduttore..., cit., pp. 273-280.

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Vibrazioni leopardiane nel Novecento europeo

pardi sembra escludere qualsiasi approfondimento relativo alla cultura irlandese e,d’altro canto, l’intellettualità irlandese non si mostra proclive ad accogliere il note-vole lascito culturale leopardiano.

Il primo segno costruttivo di un interesse maturato verso il Nostro risale al1882, anno in cui si tiene una conferenza sul Leopardi presieduta da Owen O’Ryan,a quell’epoca docente di lingue e letterature straniere al Queen’s College di Corke.

Accanto ad Owen O’Ryan, altro rilevante estimatore del Nostro è TomO’Neill, il quale, non discostandosi dalla metodologia esegetica del Singh, proponeinteressanti saggi comparativi, nei quali il Leopardi viene esaminato in parallelo adaltri grandi artisti di fama mondiale. Un esempio ci deriva dalla ponderata disserta-zione Ungaretti tra Leopardi e Góngora, nella quale, dopo aver ricordato l’interes-se e l’approccio critico profusi dall’Ungaretti per il Nostro, volge a collazionare ilcomponimento leopardiano A Silvia, con quello ungarettiano Tu ti spezzasti.

Come argomenta il Barnes, il componimento lirico A Silvia si mostra mag-giormente accreditato e prescelto dagli intellettuali del territorio irlandese, rispettoagli altri. Ciò è comprovato da vari tentativi di traduzione per mano di differentiappassionati alla materia leopardiana, come ad esempio quello del Synge, tra i pochistudiosi irlandesi dediti alla letteratura estera. Eppure, non lo si può considerare unossequiente chiosatore leopardiano, in quanto dà una trasposizione incompleta delsonetto A Silvia, soffermandosi alle prime tre strofe, ed oltretutto propina ai letto-ri, una libera versione in prosa che, di conseguenza, non risulta conforme all’origi-nale.

Più felice sembra essere la traduzione del ‘grande idillio’ portata a termine daDesmond O’Grady, in cui si scorge non solo la volontà di divulgare la grandezzaletteraria del Leopardi nel mondo inglese, ma anche la competenza critica e traduttiva.Quella di O’Grady sarà una traduzione, a differenza della precedente, fedele almodello leopardiano, pertanto, in grado di far comprendere più adeguatamente lapoetica del Nostro e la sua vicenda personale.

Il Barnes non dimentica di annettere nel suo novero lo studioso Creagh, ilquale, ha fornito del Leopardi un’analisi cospicua e completa rispetto ai suoi con-terranei. Egli, infatti, ha indirizzato i suoi studi dedicandosi alla traduzione dell’ul-timo Leopardi, prediligendo la traduzione letterale, nonostante le varie difficoltà acui ha dovuto far fronte che, però, gli hanno fatto guadagnare l’ammirazione dellacritica. Inoltre, la stima e l’approvazione derivatagli, nascono dalla diligenza con laquale correda le sue traduzioni di postille chiarificatrici.

Innovativa, invece, appare la metodologia traduttiva del poeta irlandese EamonGrennan, il quale, proponendo una lettura assolutamente rivoluzionaria dei ‘picco-li idilli’, entra nel computo di Barnes. Il relatore, infatti, passando in rassegna alcu-ne tra le più famose liriche leopardiane, attonito, segnala la versione inusitata del-l’Infinito propostaci dal verseggiatore irlandese. Innanzitutto, Grennan parafrasa iltitolo del capolavoro leopardiano dandone una qualificazione grammaticale ed usan-do, per la traduzione in inglese, un aggettivo non consono e non corrispondenteletteralmente al titolo originario del componimento. “Infinitive” è un aggettivo uti-

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Filomena Della Valle

lizzato esclusivamente per indicare un tempo verbale: l’infinito, appunto. In realtà,una traduzione più fedele avrebbe richiesto l’impiego della formula grammaticale:“The Infinite”. Naturalmente, il Barnes vuol vedere nell’approccio traduttivo delpoeta irlandese l’innovazione e l’ingenuità, ma, forse, si potrebbe riscontrare ancheun pizzico di superficialità, che deturpa un’icona della letteratura italiana e mon-diale quale l’Infinito. La lirica leopardiana ha in sé qualcosa di mistico, di magico,d’inspiegabile, e se da un lato si può riconoscere al Grennan il merito di aver tentatodi diffondere l’incanto del componimento, dall’altro si deve prender coscienza del-la faciloneria e, per alcuni versi, anche del dilettantismo con il quale affronta il suoproposito esegetico, riconducendo la lirica leopardiana ad un tempo verbale. IlGrennan, sembra peccare di presunzione, volendo cogliere del capolavoroleopardiano un banale modo verbale e, trascurando, il profluvio di significati edemozioni che vi si annidano verso dopo verso.

Ma al di là del lavorio traduttivo dell’opera leopardiana, quello evidenziatodal Barnes è uno pseudo-leopardismo irlandese, che trova in Beckett, Singh e Creaghfigure isolate e, se assistiamo ad una carenza di leopardisti pronti ad occuparsi di-gnitosamente del Leopardi, ciò dipende dalla ritrosia culturale che dilaga in Irlan-da.

Tra le ragioni principali di tale isolamento culturale s’individuano, sicura-mente, un certo esclusivismo per la propria cultura ed una posizione geograficapenalizzante. Inoltre, il Barnes suggerisce un’innovativa chiave di lettura, atta achiarificare il deliberato allontanamento culturale irlandese dall’Europa: la tardivaindipendenza, raggiunta solo recentemente, ovvero, nel 1922. Così, il riconosci-mento dell’isola come stato indipendente, avvenuto ufficialmente nel 1937, èsenz’altro una concausa all’avversione per qualsiasi movimento culturale che si agi-ti al di fuori dei confini irlandesi.

Fortunatamente, ci sono ancora artisti che, pur coltivando interesse per lapropria cultura, non si negano la possibilità di ampliarne i confini. Processo, que-st’ultimo, che ha luogo attingendo proprio dal Leopardi, fonte inesauribile di sape-re che, si estrinseca nella costante e tenace esigenza di accostarsi, durante l’interoarco della sua vita, a tutte le espressioni intellettuali.

La labirintica ed infinita produzione critica leopardiana, regala singolari sguar-di, tesi a cogliere, un leopardismo ormai dilagante, i cui tratti distintivi percuotono,e scuotono, le coscienze di estimatori, denigratori, cultori della materia leopardiana,o di chi, in un incontro del tutto fortuito, si è trovato coinvolto nell’universoleopardiano e ne è rimasto esterrefatto.

In un vertiginoso panorama di saggi critici nazionali, europei ed ancheintercontinentali, a poco a poco, è accresciuta la tendenza a chiedersi l’identità del‘gran dispregiatore della vita’ o del pessimista per eccellenza, e, in questa direzione,una certa critica, ha, lungamente, fornito tutti gli elementi per risolvere i numerosiinterrogativi, placare la sete di curiosità, e, in alcuni casi, approfittarne anche perpropagandare opere quanto mai controverse.

Dal primo recensore leopardiano, Giuseppe Montani, il quale si occupò del

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Vibrazioni leopardiane nel Novecento europeo

Leopardi pubblicando articoli sulla rivista «Antologia» nel lontano 1827, fino al1947, anno in cui appaiono interessanti studi critici del Binni e del Luporini, affian-cati, nel 1953, dal De Sanctis, che ne segue le orme metodologiche, proponendo unanuova chiave di lettura dell’opera leopardiana, nessuno, per oltre un secolo e mez-zo, si è interrogato sulla vera essenza del Recanatese, oltre che sulla sua stessa ideo-logia. Eppure, Leopardi non è stato soltanto un grande artista, ma anche un grandeuomo, aspetto, quest’ultimo, parso alla critica del tutto marginale, ed in alcuni casi,ancora oggi, si tende a prescindere dalla biografia leopardiana; testimonianza im-prescindibile di quanto sia proprio nell’animo leopardiano che bisogna sondare,per cogliere quel distinto segno di vita, quel soffio vitale che si espande nel dolore enella leopardiana capacità percettiva del palpitio più profondo dell’esistenza uma-na. Dotato di una sensibilità oltremodo acuita, ma senza la quale non avremmo maipotuto leggere versi sublimi, come quelli dell’Infinito, Leopardi percorre intera-mente il sentiero della propria vita.

Dunque, appare evidente quanto l’universo leopardiano sia oltre l’esperien-za letteraria: è dall’anima che nascono i palpiti del Leopardi e, successivamente,prendono corpo nei suoi versi, e dall’anelito alla vita che scaturiscono i moti, lesperanze disilluse, la tendenza a carpirne i più intimi segreti, consegnati poi, allepagine delle sue liriche, è nel bambino prima e nell’uomo poi, che si evidenziaun’incolmabilità affettiva, racchiusa, a volte, in versi suggestivi e toccanti. Tuttoquesto è nell’intima essenza di un uomo, e non nella vena poetica di un artista.

Leopardi non guarda il mondo attraverso i vetri, dimenticando la vita, mavive, esiste e continua ad esistere nei cuori e negli animi di coloro che, condividen-done la medesima sensibilità, ne hanno fatto un credo di vita.

Senza esagerazione alcuna, lettori sempre più invogliati a cogliere la gran-dezza letteraria del Nostro e, soprattutto, le grandi verità consegnate ai suoi versi,si accingono a carpire l’universo leopardiano, dal quale, vengono non solo sfamati,ma anche dissetati dalla freschezza delle sue fluenti parole, per chi attinge dallafonte e chi della fonte sa far l’oceano della propria esistenza.

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Giuseppe De Matteis

Profilo di uno scrittore di razza: Domenico Lamuradi Giuseppe De Matteis

Ricordo, a distanza di cinque anni dalla sua morte, con profonda stima egrande amicizia, la figura e l’opera di Domenico Lamura di Trinitapoli (FG). Egli èscomparso il 30/7/2001, all’età di novanta anni, lasciando un vuoto incolmabile nelcampo culturale e letterario della Puglia e della Daunia in particolare.

Negli anni della sua permanenza a Roma (1934-‘40), come studente alla Fa-coltà di Medicina, egli ebbe contatti e frequentazione con l’allora assistente spiri-tuale della FUCI, Giovanni Battista Montini, e con altri autorevoli esponenti dellacultura cattolica italiana. Tornato a Trinitapoli, esercitò con amore ed impegno laprofessione di medico, iniziando un’intensa attività di giornalista-pubblicista, spe-cie all’ «Osservatore romano». Nel 1943 scrisse la sua prima opera d’ispirazionereligiosa: Noi poveri, capitolo compreso nel volume Appello ai fratelli più ricchi, acui collaborarono anche Giorgio La Pira, Igino Giordani, Luigi Moresco e FaustoMontanari. Negli anni 1944-’45 fu anche Sindaco di Trinitapoli, esplicando in pie-no una corretta ed operosa azione civile, affiancata ad un laicato consapevole dellapropria vocazione anche nella comunità cristiana del proprio popolo.

Il Lamura ha rappresentato per la Puglia (e per la Capitanata in particolare)una delle voci più autorevoli della civiltà culturale e letteraria nazionale. Di luil’«Osservatore romano» (3/8/2001) ha scritto: “Dalla penna di Domenico Lamuraè scaturita, in prosa e in versi, un’importante testimonianza del meridione cristianoe contadino, con una ricchissima complessità di temi, illuminata sempre dalla lucedel Vangelo. Esperto conoscitore e sensibile interprete della realtà meridionale, eglil’ha spesso descritta con stile passionale e a tratti rugoso. Le sue opere, animate daprofonda ed autentica ansia religiosa, colgono, nell’esperienza di ogni uomo, il vol-to del Cristo sofferente”.

Oltre a questo autorevole giudizio, altri importanti profili sono stati espressinella stampa nazionale sul Lamura: da Goffredo Bellonci a Raffaele Ciasca; da Vin-cenzo Terenzio a Lorenzo Bedeschi; da Tommaso Fiore a Piero Bargellini; daBonaventura Tecchi ad Enzo Panareo; da Leonardo Cruciani a Nicola Carducci; daFortunato Pasqualino ad Alfredo Massa; da Mario Sansone a Michele Palmieri; daMichele Abbate a Francesco Bruno; da Ottavio di Fidio a Domenico Lattanzio; daLeonardo Sacco a Nino Palumbo; da Cristanziano Serricchio a Michele Dell’Aquila;da Giuseppe De Matteis a Donato Coco, ecc.. Sue poesie e brani della sua narrativasono presenti ormai in molte antologie di poesia e narrrativa italiane contemporanee.

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Profilo di uno scrittore di razza: Domenico Lamura

Il medico - poeta e scrittore - Lamura iniziò la sua attività dagli anni cin-quanta in poi, pubblicando varie opere, ormai ampiamente conosciute ed apprez-zate dalla critica ufficiale: Falciata spiga (sua prima raccolta poetica, con prefazionedi Goffredo Bellonci, Roma, Fratelli Palombi, 1947); Terra salda (narrativa, Fog-gia, quaderno ETP di Capitanata, 1952, 1958 e 1981); Il cenciaiolo pagatore (narra-tiva, con prefazione di Lorenzo Bedeschi, Coletti, Roma, 1955, 1964 e 1987); Alle-gria di un carro merci (poesia, con prefazione di Tommaso Fiore, Cosenza, Pelle-grini, 1968); Adamo e la terra (romanzo, con presentazione di Michele Palmieri,Bari, Adda, 1969: Premio “Gargano”, 1970); La saggezza di John Spencer (racconti,con presentazione di Mario Sansone, Bari, Adda, 1980); Il lamento per Aldo Moroe altre poesie (poesia, con prefazione di Ottavio Di Fidio, Bari, Adda, 1981); Ildialogo dei ladroni (poesia, con prefazione di Giuseppe De Matteis, Bologna, 1989).

Terra salda è una raccolta di meditazioni, osservazioni varie e cenni storicisul Tavoliere che intende mettere in luce il fatto umano concreto. L’intonazionegenerale del libro presenta aspetti di eticità quasi di sapere biblico. Vi campeggiano,infatti, la Puglia antichissima dei pastori; le stagioni sempre uguali dell’assolata esitibonda nostra terra; l’estraneità, da parte dei re, imperatori e dei loro annosi con-flitti bellici, alla storia della povera gente. L’arco di tempo di questa storia racconta-ta egregiamente dal Lamura comprende gli ultimi due secoli della vita del Tavoliere,quando cioè alcune famiglie di contadini, alla fine del Settecento, decisero di lavo-rare quell’arida terra. Da questa indagine scaturisce una prosa realistica asciutta,essenziale, che riscopre usi, costumi, tradizioni, mentalità, fede della popolazionedella Daunia, accennando e fornendo a volte, con estrema puntigliosità, note distatistica e osservazioni economiche davvero importanti per capire il nostro Sud.Lamura era fermamente convinto, infatti, che per intendere in pieno la “triste” re-altà del nostro meridione è necessario rifarsi alla “vita concreta” di quei contadini,di quegli umili “pionieri” (avrebbe detto il Manzoni), che li seguirono e che diederovita a quel “western contadino del Tavoliere” come lo chiamò lo stesso Lamura.

Il Cenciaiolo pagatore è la biografia del sacerdote di Trinitapoli GiuseppeMaria Leone, visto dal Lamura come l’artefice della rinascita religiosa, che avvennenel sud Italia, dopo la crisi seguita all’Unità. I frutti di questa rinascita l’Autore livedrà realizzati dal gran proliferare di alcuni ordini religiosi che si adoperarono intutti i sensi nella fondazione del Santuario di Pompei e delle annesse istituzioni diopere pie per opera dell’avvocato Bartolo Longo e per opera anche dell’instancabi-le padre Leone. È questa un’opera di parenetica religiosa, a favore delle ragionidella fede e della Chiesa, in sostanza.

Di Adamo e la terra va subito osservato che è un libro scabro, severo, chedescrive la disperata situazione del contadino del Tavoliere pugliese. Il raccontonon presenta toni pietistici o drammatici o, anche, sentimentali. Tutto è teso, inve-ce, ad esprimere sentimenti reali, con forme e umori dialettali, talvolta. Il Lamurapare senta molto l’influsso del Verga maggiore, che sa dare forma alla nuda realtàdei fatti, delle persone e della religiosità e che ha anche grande considerazione erispetto della misera condizione umana. Protagonista del romanzo è la famiglia

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Giuseppe De Matteis

Croce, insieme al Tavoliere: Lamura tesse la storia di tre generazioni di questa mi-sera famiglia contadina, tutta dedita al lavoro, alla procreazione dei figli e alla lorocura e, infine, alla morte. Si può affermare che l’Autore si sia ispirato, in questastoria, con una sua memoria linguistica, narrativa ed etnica, al grande esempio deiMalavoglia del Verga. Belle sono le descrizioni degli ambienti umani e naturali diquesto libro, fotografati con lo sguardo genuino, autentico del contadino verace.Lo stile è discorsivo e comunicativo, specie verso la fine del racconto.

La saggezza di John Spencer. Vengono narrate in questo romanzo, sull’ondadella memoria, le vicende di Trinitapoli fra gli anni della seconda guerra mondiale(1939-‘45) e del dopoguerra anche; inoltre, l’Autore parla di episodi della sua vitamilitare e di quella professionale. Manca qui il linguaggio espressivo e pregnante diAdamo e la terra per far posto all’intrusione dell’ammaestramento morale e del-l’apologia ecclesiastica. Tutta la storia presenta, comunque, scorci felici e di buonafattura, specie il brano di prosa La fabbrica.

Lamura iniziò assai presto ad avvicinarsi alla poesia. Nel 1947, presso Pa-lombi di Roma, pubblicò una bella ed agile plaquette, Falciata spiga, con un’entu-siastica prefazione di Goffredo Bellonci, allora considerato uno dei più importantilettori ed interpreti della poesia italiana del Novecento. Questo critico intuì subitola fine sensibilità lirica del Lamura, la sua natura umile, che si nutriva però dei validivalori della rassegnazione e della fede. Il Bellonci sottolineò i toni domestici e l’ascen-denza crepuscolare del dettato poetico lamuriano, osservando anche di trovarsidavanti ad una materia poetica densa e precisa, pur palesando che il Lamura era unpoeta ancora alla ricerca di un proprio linguaggio, in fieri dunque. Bellonci eviden-ziava la poetica delle piccole cose, di gozzaniana memoria, e notava con piacerecome il linguaggio del Lamura rivelasse forti e robuste influenze della tradizioneletteraria (Leopardi, Manzoni, Pascoli, Carducci): da qui, dunque, l’individuazionedi un primo parto poetico del Lamura sostanziato di freschezza e di commozione.

Con la seconda silloge poetica, Allegria di un carro merci, c’è la rivelazione inLamura di una sensibilità religiosa e sociale, con un linguaggio intenso, vicino allapoesia moderna e contemporanea (Saba, Ungaretti, Montale, Quasimodo), ma an-che di poeti religiosi ed ermetici (Eliot e Rilke). I sentimenti di Allegria risultanodecisamente più concreti ed umani rispetto a Falciata spiga. La religiosità del Lamuraappare in questa nuova silloge davvero come “partecipazione umana”, sociale ereligiosa. Sono venti poesie, che testimoniano l’autentico e sincero suo atto di fedenella vita. La bella prefazione a questa raccolta è firmata da Tommaso Fiore, grandemeridionalista pugliese.

Lamento per Aldo Moro ed altre poesie, con note critiche di Ottavio Di Fidioe di Renato Dell’Andro, è il titolo della terza silloge poetica del Lamura, dove siregistrano con chiarezza la tensione morale, politica e psicologica della Nazioneitaliana nei giorni della prigionia e dell’assassinio di Aldo Moro. Oltre al sensodell’orrore e della paura, si evidenzia anche nel volumetto la bella visione della cam-pagna romana, dolce e distesa e, in senso più spaziato, la prospettiva storica, ossia laviolenza e la sua vittima innocente (Moro) vista come storia; ma Lamura mette in

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Profilo di uno scrittore di razza: Domenico Lamura

evidenza, anche, il valore altissimo e profondo dell’amore. L’importanza di questaraccolta poetica risiede nel fatto che l’esistenza dell’io non è individuale, ma diventapartecipe di una vita universale e forma un unicum col granello di terra, i silenzistellari e il filo d’erba: il tutto modulato in un canto disteso, che equivale al messag-gio che il Lamura vuole suggerire al lettore.

Nell’ultima sua raccolta poetica, Il dialogo dei ladroni, notiamo subito che ilcentro poetico e religioso di questo poemetto dialogico tra Dismas e l’Altro, cioè idue ladroni che saranno crocifissi come Gesù e moriranno, è il momento della con-fessione di Dismas, in cui c’è lo scontro fra la sua iracondia infanticida (o assenza diCristo) e la sua meditata e palpitante costrizione (o viva presenza di Cristo). Il verodialogo o dialettica drammatica – osserva Lamura – è nel cuore di Dismas, fra ilprius e il posterius del suo spirito. Questo dialogo fra i ladroni segna, a mio avviso,uno dei più vivi risultati poetici raggiunti dal Lamura.

L’ultima opera, a carattere narrativo, del Lamura è stata: Venne a Napoli ilgiovane studente. Storia di Bartolo Longo (La giovinezza), Pompei, 2000. Lamuraricostruisce, con questo suo libro, la storia della giovinezza di Bartolo Longo dalleradici di Latiano in Puglia dove era nato nel 1841. In questo libro salta subito agliocchi il desiderio di Bartolo Longo di indipendenza e di giustizia: la spedizione deiMille in Sicilia accende in Longo un travolgente entusiasmo per l’unificazione d’Italia.Egli nel 1863 va a Napoli per frequentare la Facoltà di Legge all’Università e seguele lezioni di Luigi Settembrini, Bertrando Spaventa e del Tommasi. L’anticlericalismodi Spaventa offusca un po’ la mente del Longo, ma egli alla fine riesce ad imboccarela strada giusta nella ricerca del vero, nel bisogno di Dio e questo dissidio interiorelo spinge verso la spiritualità. Cominciano le sue frequentazioni con altri personag-gi importanti mossi dagli stessi interessi morali e religiosi, come Vincenzo Pepe,Crocefissa Capodieci e Caterina Volpicelli, e si avvicina sempre più ai sacramentidella confessione, alla celebrazione eucaristica, dedicandosi soprattutto ad opere diapostolato religioso. Egli intende, in quell’epoca di irreligiosità ed anticlericalismoimperanti, riscoprire l’eredità cristiana nella crisi sociale del suo tempo. Crea, incollaborazione con Pepe, padre Ribera, Radente e Leone, scuole, convitti, case dilavoro, strappando alla povertà ed indigenza molte persone: visita i bassifondi, aiu-ta i diseredati e frequenta l’Ospedale degli Incurabili. Intuisce bene che nella caritàcristiana c’è la restaurazione sociale e l’aristocrazia del cattolicesimo. Bartolo Longonel 1871 diventa terziario domenicano con il nome di fra’ Rosario. D’ora in poi,studierà e farà opera di carità con sempre maggiore impegno e dedizione: fonda ilSantuario della Madonna di Pompei, aiuta gli orfani e i figli dei carcerati.

Con quest’opera Lamura conferma ancora una volta le sue doti di saggista enarratore ma anche di grande conoscitore dell’animo umano. Egli, anche nel giudi-zio della critica italiana contemporanea, è riconosciuto come narratore e lirico sen-sibilissimo, che ha saputo individuare con chiarezza l’autentico sentire spiritualenel mondo della fede e della religiosità.

Per Terra salda e Il cenciaiolo pagatore Lamura ebbe ripetutamente il Premiodella Cultura della Presidenza del Consiglio. È, però, con il Il dialogo dei ladroni

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che il Lamura ci ha offerto la dimensione della tragedia dell’uomo d’oggi, del suo“feroce egoismo che lo rende sordo al grido di dolore degli altri” (De Matteis). Ladrammaticità della rappresentazione è evidente e potente e l’Autore sa offrirci, conquesto testo teatrale, un’esatta e variegata conoscenza della moderna speculazionefilosofica su questo problema, avvicinandosi al pensiero di Kierkegaard, Camus,Nietzsche e Maritain.

Tutta l’ispirazione artistica del Lamura è sostanziata di un notevole rigoreetico-religioso e di alta ed accesa significatività poetica, soprattutto di quella cristia-na (la luce salvifica di Dio), sorretta costantemente da un senso di fiduciosa speran-za e da una salda fede. Domenico Lamura è stato, infatti, uomo di grande fedecattolica e di nobili ideali umani: egli merita d’essere sempre ricordato, soprattuttoper il suo impegno umano e sociale, testimoniato come medico e come scrittore,come hanno saputo fare i grandi autori della nostra letteratura nazionale, specie ilManzoni, che il Lamura indicava sempre come “Maestro” impareggiabile di cultu-ra, umanità e perfezione stilistica. Il linguaggio asciutto, pregnante ma fortementeraziocinante del Lamura ci ricorda, infatti, proprio il Manzoni. La scrittura di Lamuraè sobria e comunicativa, è curata con scrupolo artigianale, è sottesa da forti solleci-tazioni e fremiti moralistici, da attivo e combattivo sentimento religioso cristiano.Egli è stato uno scrittore fortemente legato alla dolente realtà della propria terra edella propria gente; perciò anche il suo linguaggio è teso alla chiarezza, alla concre-tezza, alla purezza. Anche dopo un quinquennio dalla sua morte, noi sentiamo ildovere di ricordare ancora questa nobile figura di intellettuale meridionale, espri-mendo il nostro cordoglio e la nostra convinzione piena e sincera che egli ci halasciato, come eredità, il segno della sua rettitudine e della sua saggezza.

Due esempi della poesia di Domenico Lamura:

LE ULTIME TEGOLE

Mi dicono che quest’ultime tégole,condominio del passero,presto le abbatteranno.Povera terra cotta,vissero anch’esse,da quando, ed è tant’anni,dal fornaciaio appreserocome grembo a incavarsi,pei nati della donna e della pàssera.E vecchie e gialle, s’allegrano ancorase piove, e sanno il girodelle stelle, e le nuvole e la luna.E vedo che qualcuna

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Profilo di uno scrittore di razza: Domenico Lamura

un suo ditale di terriccio accatta,granello su granello, per accogliereseme d’erba lontana.Argilla anch’io,io che sono a me stessomalessere e problema,nella tua mano ch’io m’incavi, o Dio;e che méscoli il fiatocol granello di terrache tu chiami al lavoro,e col tumulto d’àtomi che fervenei silenzi stellari:col fiato d’erba effimero di tetto,cui procuri una cruna,e le grandi forestech’àgiti e allevi,

come il cuore dell’uomo.

Da: Lamento per Aldo Moro e altre poesie, Bari, Adda editrice, 1981.

FALCIATA SPIGA

Dagli ultimi. Ulivetispunta la lunae puraombre tacite pasceall’adusta pianura,e imbianca l’aia.

E il venticello si risente a mezzodella notte come un bambino,e con lievecalpestio vien per l’aia,scalzo e odoratodi stelle in fiore e di grano falciato.E gli uomini con alitod’angelo tocca:ciascun si riconfortache in palmo d’ombra d’umile tettoiadella stagion dell’operes’attardi a conversare.E avvien che in cuore

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Giuseppe De Matteis

dell’eterno io ragioni,Per la stradache la luna dipana,cigola un carro e paremi lasci, mentrelento lontana, una falciata spigad’uman dolore.

Da: Falciata spiga, Roma, Fratelli Palombi editori, 1947.

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Dionisio Morlacco

La Biblioteca Comunale di Luceradi Dionisio Morlacco

Se le opere, i monumenti, le pubbliche istituzioni possono considerarsi, aragione, segni e momenti del progresso di una città, dello sviluppo socio-culturaledi un popolo, questo è tanto più vero quando si viene a parlare della Biblioteca“Ruggero Bonghi” di Lucera, che costituisce una significativa pagina di storia e diciviltà della città, a scrivere la quale hanno contribuito uomini di sicura ed ampiacultura, di provata rettitudine, di grande amore di patria.

La Biblioteca Comunale di Lucera rappresenta l’ultima fase dello sviluppo neltempo di quella prima Biblioteca Civica che fu fondata nel 1817, col patrimonio li-brario del marchese Giuseppe Scassa, patrimonio in precedenza arricchito dallo stes-so con l’acquisto presso un libraio napoletano della libreria del letterato Paolo Rolli.1Sulla data della fondazione è necessario, però, fare una precisazione: nel 1817 la bi-blioteca nacque solo come dichiarazione d’intento, cioè come espressione di volontà,perché la sua sistemazione materiale e la sua apertura avvenne solo alcuni anni dopo.

Alla morte dello Scassa,2 poiché anche la sua “libreria” pervenne per ereditàalla famiglia De Nicastri, il marchese Gaetano De Nicastri (nipote dello Scassa), perfavorire lo spirito di rinnovamento civile e culturale della città - avviato già sotto ladominazione francese - e per contribuire all’elevazione dei concittadini, nella nuo-va situazione politico-culturale venutasi a determinare a seguito della restaurazio-ne, “con un gesto di squisita sensibilità e di spirito culturale e civile”,3 volle destina-re l’eredità libraria dello Scassa alla creazione di un luogo di cultura, dove i lucerinipotessero trovare “il comodo di approfondire nelle Scienze e rendersi utili a lorostessi e alla Patria” - nella quale in passato non erano mancati fermenti culturali (sipensi all’Accademia di Antonio Muscettola) ed elette figure (Pietro Ranzano,Domenico Caropresa, i fratelli Lombardi, i Bonghi, ecc...). Ne avrebbero tratto

1 Poeta italiano (Roma 1687-Todi 1765). Compiuti gli studi sotto la direzione di Gian Vincenzo Gravina(1664-1718), nel 1715 si recò a Londra, dove divenne precettore dei figli di Giorgio II. Qui si adoperò adiffondere la cultura italiana (Dante, Tasso, ecc...). Scrisse diversi testi per melodrammi e tradusse (1735) ilParadiso perduto di Milton. Tornato in Italia nel 1744 si ritirò a Todi, paese della madre, dove morì. In poesiafu poeta dell’Arcadia ben prima del Metastasio.

2 Il Conte Berardo Candida Gonzaga, nella sua ponderosa opera sulle Famiglie Nobili del Regno di Napoli,scrive che la morte dello Scassa fu dovuta ad avvelenamento

3 Giuseppe TRINCUCCI, La biblioteca “R. Bonghi“ di Lucera, Lucera, Tip. Ed. C. Catapano, 1977 (Quader-no della Pro-Loco di Lucera, 3).

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profitto quanti, desiderosi di apprendere e di sapere, non disponevano però deimezzi per farlo: pensiamo ai volenterosi giovani dei ceti meno abbienti, cui nonarrideva la fortuna economica di potersi pagare gli studi, mentre nelle dimoremagnatizie e negli studi professionali ricche biblioteche si stagliavano sulle pa-reti.

Fu così che nell’assemblea decurionale del 16 marzo 1817 il sindaco OnofrioBonghi4 dava conto della volontà del cav. De Nicastri, e il decurionato,

intieramente penetrato da un tratto sì segnalato di gratitudine, e beneficenza,reso a gran vantaggio de’ cittadini, nell’atto che infinitamente ringraziava essoprelodato Signor Cavaliere, che vieppiù immortalava il suo nome, al tempostesso pensava alla conservazione di tale Monumento Pubblico ed affinché sifossero dati quei passi giusti e regolari che si convenivano onde situarla in unodei locali de’ Conventi soppressi, donati da S. M. D. G. al Comune, e quant’al-tro fosse stato necessario per far consolidare sì giovevole stabilimento, si veni-va tale decurionato medesimo a formare una deputazione permanente, che, d’ac-cordo col Sig. Sindaco, potesse fare quanto si conveniva. Quindi, essendosiproposto dallo stesso Sig. Sindaco il Sig. Cav. D. Gaetano De Nicastro, Can. D.Francesco da Paola Lombardi,5 D. Giambattista Gifuni e D. Potito Bonghi, imedesimi ad unanimità dal decurionato rimasero eletti e confermati

membri della Commissione comunale per la pubblica Biblioteca. L’IntendentePignatelli, principe di Monteroduni, approvava incondizionatamente sia la gene-rosità del De Nicastri che l’operato del decurionato.

Circa due anni dopo, nell’assemblea del 28 febbraio 1819, dopo aver precisa-to che le spese necessarie per il trasporto e per la sistemazione dei libri sarebberoricadute sul fondo dello stato di variazione del 1819, e dopo aver dichiarato “chel’impiego di Bibliotecario era un posto d’onore, da darsi a culto cittadino, attaccatoal benessere della Patria”, i decurioni, con voto segreto, designavano all’unanimitàFilippo Antonio Lombardi quale bibliotecario e Pasquale Pastore quale commessodella medesima biblioteca.

Figura eletta di sacerdote, Filippo Antonio Lombardi - che si ritroverà comeMaestro di economia rurale nel Liceo (1820) - era subentrato allo scomparso(23.4.1817) fratello Francesco da Paola - “rapito dal miasma corrente nel piùforte della sua età” - nella Commissione per la biblioteca; e, benché avesse rinun-ciato a far parte della Commissione provinciale della Pubblica Istruzione, purenon pochi e importanti incarichi ricoprì con onore, tra cui quelli di Ispettore

4 Archeologo e collezionista di una ricca serie di monete normanne e sveve, ebbe il merito di avere perprimo riconosciuta la moneta onciale di Lucera. Fu sindaco di Lucera dal 1808 al 1819, anno in cui ospitòKeppel Craven, Ufficiale dello Stato Maggiore dell’esercito del Regno Unito.

5 Il Lombardi era membro di altre deputazioni, tra cui quella delle Scuole primarie di ambo i sessi, deimobili e riattazioni del Palazzo della Corte Criminale e Tribunale di 1a Istanza di Capitanata e quella incarica-ta della costruzione del Camposanto.

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delle scuole primarie della Capitanata e di Rettore del Convitto “Carlo AntonioBroggia” nel 1824.6

Il 31 maggio 1820 l’amministrazione comunale stanziava, finalmente, 150ducati per il “traslocamento della pubblica biblioteca dal Palazzo del fu Sig. Mar-chese Scassa nella parte di S. Francesco all’uopo preposta” e per gli adeguamenti “difabbriche e legnami” occorrenti.

L’anno dopo (14 ottobre 1821), dovendosi provvedere alla successione delLombardi - rinunciatario - il decurionato cittadino fece pervenire - secondo le di-sposizioni allora vigenti - all’Intendente di Capitanata una terna di “uomini probi edegni”: Can. D. Luigi Nocelli, il Sac. D. Tommaso Vigilanti e D. Antonio Longhi.Rispettando l’ordine di preferenza indicato, l’Intendente Biase Zurlo nominò bi-bliotecario il Can. D. Luigi Nocelli.

Due anni più tardi (28.3.1823) il re Ferdinando I con suo rescritto volle asse-gnare dei fondi per l’incremento dell’istituzione culturale lucerina, per manifestarecosì la sua benevolenza verso la città e il suo apprezzamento per la nuova bibliote-ca. E fu questo, certamente, un atto particolare verso Lucera del re “lazzarone”,perché “il governo borbonico non prese mai iniziative per la formazione di nuovebiblioteche o per potenziare le attività culturali”.7

Nel 1824 alla scomparsa di Gaetano De Nicastri, principale artefice con la suadonazione della nascita della biblioteca, il figlio cav. Pasquale venne chiamato a pren-derne il posto nella Commissione, con il placet dell’Intendente Zurlo. E la Commis-sione venne così ad essere costituita dal sindaco Alfonso Ciaburri, Pasquale de Nicastri,Giambattista Gifuni, Filippo Lombardi e Potito Bonghi. Il cav. Pasquale De Nicastrisi adoperò concretamente alla realizzazione del desiderio del padre.8

L’anno dopo la Commissione provinciale di Pubblica Istruzione - nella qualenon mancava la qualificata presenza lucerina - rispettando la disposizione dell’Inten-dente, che prescriveva il differimento delle rilegature dei libri, deliberava di “aumen-tare la biblioteca con nuovi acquisti” (innanzitutto dalla libreria Borel di Napoli).

A questo punto non si sa se la biblioteca venisse già aperta al pubblico neglianni che intercorsero tra il suo insediamento in S. Francesco e la sua inaugurazione,che avvenne solo il 30 maggio 1831, “per solennizzare il fausto giorno onomasticodi S. M. Ferdinando II Re del Regno delle Due Sicilie”, che solo pochi giorni prima

6 Il decurionato chiese all’Intendente prov. che a Filippo Lombardi fossero trasmesse le cariche già tenutedallo scomparso Francesco da Paola, cosa che fu possibile solo per le cariche conferite dal comune, mentre perle altre occorreva l’autorizzazione delle superiori autorità.

7 G. TRINCUCCI, La biblioteca “R. Borghi” di Lucera…, cit.8 Il gesto encomiabile e liberale del marchese solo più tardi fu fatto segno al comune apprezzamento con

una iscrizione che doveva essere incisa su una lapide, che non vide mai la luce: “Al Marchese don Pasquale DeNicastri - perché con tutti i suoi libri aveva fondato nell’anno 1817 questa biblioteca - per il comune uso deicittadini - il Senato e il Popolo di Lucera - geloso custode e conservatore di tanto tesoro - ogni anno congrande sollecitudine e zelo - affinché non si obliasse il ricordo di - un cittadino sì benemerito della Patria - edegli studi e affinché l’esempio di - sì notevole munificenza ingenerasse nel - futuro imitatori - con obbligomorale - non disgiunto da titolo d’onore ebbe cura di porre questa iscrizione nell’anno 1882”.

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(17 maggio) era stato a Lucera, accolto con entusiasmo dal popolo, compiaciuto perla venerazione che il sovrano dimostrava verso S. Maria Patrona e per la sua prefe-renza accordata ai prodotti della terra di Capitanata, le cui fiere era solito frequen-tare. L’inaugurazione, alla presenza del vescovo di Lucera, Mons. Andrea Portanova,del bibliotecario Can. D. Luigi Nocelli e dei membri della Commissione per labiblioteca, avvenne nel corso di una pubblica Accademia letteraria, per la quale “D.Luigi Nocelli tenne il discorso inaugurale, parlando della importanza della biblio-teca e di questo nobile istituto culturale, indicando in quella di Lucera uno ‘stabili-mento singolare in Provincia di cui può andar superba Lucera’”.9 Per la cui conti-nuità, dell’Accademia appunto, negli anni successivi lo stesso can. Nocelli avanzòpresso il sovrano “una supplica umiliata”, tale che fu “accordata al Bibliotecario eProtonotario Apostolico Signor D. Luigi Canonico Nocelli con Sovrano Rescrittode’ 18 Febbrajo 1832”,10 e così ogni anno - fino al 1847, come attestano i documentidella biblioteca stessa - essa ebbe regolare svolgimento. Di queste pubbliche mani-festazioni culturali restano i preziosi e introvabili libretti (messi a stampa dall’edi-tore Coda di Napoli e poi da Scepi di Lucera), in cui furono raccolti le prolusioni, itesti poetici e di prosa dei partecipanti. Testi per la maggior parte celebrativi dellafigura del Re, non solo in lingua italiana, ma anche in latino, e perfino in greco, adimostrare il grado di cultura dei partecipanti, i quali erano in gran parte esponentidel clero, professori del Liceo e del Seminario, ed anche alunni di questi istituti.11

Della cerimonia dell’inaugurazione, che fu un avvenimento molto importan-te per la vita della città ed avvenne, come detto, con l’Accademia del 1831, si leggenella cronaca di Saverio del Pozzo: “La città si vide la sera spontaneamente tuttailluminata. In Piazza Duomo venne eretto un arco trionfale con una gran statua

9 TRINCUCCI, op. cit.10 “Dopo un triennio di regno caratterizzato da misure innovatrici che fecero pensare a una sua possibile

evoluzione in senso liberale, imboccò invece decisamente la via dell’assolutismo più gretto e reazionario”; cfr.Enciclopedia Rizzoli-Larousse, alla voce Ferdinando II di Borbone.

11 Tanto per farsi un’idea del livello culturale dei partecipanti vogliamo segnalare i temi svolti nelle prolusioni:Origine della Pubblica Accademia di Capitanata e sua importanza nella storia della cultura , di D. Luigi Nocelli(1832); Discorso intorno l’origine, progressi, ed utilità dell’Eloquenza, di Biagio de Benedictis, Giudice dellaG. Corte Criminale di Capitanata (1833); Sull’origine e contagio della Poesia tanto per la Società Civile, quan-to per le Scienze, e per le belle Arti, di Francesco Pellegrini, Professore di Eloquenza del R. Collegio di Lucera(1834); Sulla utilità che apporta la lettura della storia, di Vincenzo Del Pozzo (1835); Della connessione tra laFilosofia teoretica e l’Eloquenza di D. Felice Terzulli, Professore di Logica, metafisica etica, diritto di natura ematematica sintetica nel R. Collegio di Capitanata (1836); Utilità delle passioni dell’uomo, di AngelantonioScambellari, Vicerettore del Collegio (1841); L’integrità della vita e la conservazione della stessa è un preziosodono della natura, di Felice Terzulli (1842); La giustizia come fonte della felicità dei popoli, di DomenicoFrisari, Giudice (1843); Sui vantaggi della pace, del Can. Michele Castrucci (1844); La virtù nell’infortunio, diFrancesco Di Giovine, Avvocato e Giudice supplente (1845); Se l’amore sia il principio di ogni dovere sìteologico che etico e sociale, di Giuseppe Forleo, Professore del Liceo (1846); L’influenza della religione sulbuon ordine sociale, del Can. Raffaele Nocelli (1847). Tra i nomi più rappresentativi della cultura lucerina deltempo figuravano i professori Tommaso Vigilanti, Leonardo Del Vecchio, Gaetano Vigilanti, Benvenuto Spano,Giuseppe Moffa, Matteo Perrucci; e anche Orazio Antonio Lepore, Mattia Spano, Carlo Summonte, AchilleBonghi, Luigi Goffredo, Giambattista Albarella; tra gli alunni Nicola e Ignazio Gifuni, Nicola De Peppo,Giulio Cassitto, Domenico Miraglia, Alfonso De Giovine, Vincenzo Cavalli, Raffaele Santollino, NicolaRenzulli, Domenico Cairella, Vincenzo e Raffaele Perrucci, Luigi della Martora.

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equestre, e un obelisco venne piantato su un giardino pensile. Sia sull’arco, comesulla base della statua e sull’obelisco erano eleganti iscrizioni in latino. La città fusvegliata dal suono delle campane, dallo sparo dei mortaretti e la banda passò per lestrade della città. Finalmente alle ore quattordici d’Italia (circa le ore dieci) tutte leautorità si riunirono presso il palazzo vescovile, per portarsi poi nella Cattedraledove si celebrò una messa solenne. Solo più tardi venne inaugurata la biblioteca conla recita di componimenti poetici di letterati locali e con “un nobile discorso inau-gurale”, pronunciato dal Bibliotecario Luigi Nocelli sull’utilità delle pubbliche bi-blioteche, e su quanto poteva offrire la nuova istituzione culturale lucerina, dotatadi ben 4231 volumi registrati. “La sera venne acceso un fuoco artificiale, mentre nelpalazzo comunale fu data una festa da ballo con l’intervento di tutte le autorità delComune e della Provincia, festa che durò fino alle ore 5 del giorno seguente”.

Circa dieci anni dopo (17.12.1840), allo scopo di assicurare una maggiore tute-la del prezioso patrimonio culturale, si rese necessario assegnare alla biblioteca uncustode (Giuseppe Siliceo), al quale venne aggiunto come coadiutore tal FrancescoCaravano, che alla morte del Siliceo (3.4.1860), gli subentrò, preferito agli altri duedella terna proposta: Pasquale Rinaldi fu Giuseppe e Raffaele Russo fu Pasquale.

Intanto, non scemava il costante impegno della civica amministrazione, siaper la conservazione del patrimonio librario, attraverso la rilegatura e l’acquisto dinecessarie suppellettili, sia per l’accrescimento dello stesso: nel 1841, ad esempio, siprovvide all’acquisizione del fondo del napoletano D. Giacomo Castrucci; sia, infi-ne, per conservare l’efficienza dell’ambiente (con interventi riparatori dei tetti, por-te, vetrate, ecc...), pure si cominciava ad avvertire la necessità del trasferimento dellabiblioteca in più ampi locali. Necessità che veniva riconosciuta pubblicamente inconsiglio comunale; nel 1842, infatti, si dichiarava “essere necessario di provvedereal locale della Biblioteca Comunale, perché quello nel quale attualmente trovasi èesposto a borea ed i libri soffrono nel deterioramento. Considerato che lo stabili-mento della detta Biblioteca merita tutta l’attenzione del Collegio (Consiglio Co-munale) per i preziosi monumenti che conserva […] venga (pertanto) elevata peri-zia per la spesa necessaria non solo (a realizzare “una stanza di Compagnia, onderendere più comoda la sala da ballo, affinché le persone invitate nelle feste potesse-ro avere massimo comodo nei divertimenti”), ma ancora per la Biblioteca, la qualeper maggior comodo del pubblico dovrebbe occupare l’intero quarto del palazzocomunale verso la parte di levante”.12 Il progetto dei proposti lavori di adeguamentodella casa comunale per un migliore funzionamento degli usi amministrativi, checomprendevano anche il locale per la biblioteca, fu eseguito dall’architetto AchilleCavalli (2.6.1844); nel frattempo si rese urgente (5.7.1846) sistemare nella stanzadella Biblioteca “una tela dipinta […] - forse un telone colorato - onde impedire chela polvere, cadendo dal tetto, rovinasse i libri, restaurare armadi e scaffali”. Si devepresumere che tali lavori di adeguamento della casa comunale si svolgessero con

12 Deliberazione del 10.8.1842.

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molta lentezza; difatti solo una decina d’anni dopo si effettuò il passaggio dellabiblioteca nei nuovi locali. E tuttavia ancora nel 1854 i libri si trovavano

ammassati e depositati in una stanza. Ora che il locale per tale pubblico stabili-mento letterario trovasi già pronto (sottoposto alla sala da ballo del Comune), fad’uopo che i libri tutti vengano con ordine rinchiusi nei rispettivi scaffali affinchési assicuri la loro conservazione, ed anche perché possa aprirsi alla pubblica lettu-ra. E siccome per siffatta laboriosa operazione vi occorrono delle spese sia pertrasporto dei libri nel suo proprio locale, sia per la rimessa nei proprj scaffali, eper tutt’altro che all’oggetto potrebbe bisognare, così la spesa in parola può pre-levarsi dal proprio fondo segnato all’art. 90 dello stato variabile in corso, destina-to per manutenzione del cennato stabilimento. Il decurionato trovando giusta eregolare la proposizione del Sindaco non potendosi ulteriormente tener chiusouno stabilimento che onora il Comune, che bisogna alla gioventù studiosa, epoiché avvi in Lucera un Bibliotecario nella persona del Can. D. Luigi Nocelli,ad unanimità si avvisa sarà riordinata la Biblioteca dal Bibliotecario D. LuigiNocelli con l’assistenza del Cancelliere Comunale D. Vincenzo Guerrieri cui sidarà un compenso in vista del lavoro compiuto (24.10.1860).

Il 9 maggio 1864 il Can. Luigi Nocelli rinunciava all’incarico di bibliotecario.Il consiglio comunale con votazione segreta procedeva alla nomina del successorenella persona di Francesco Del Buono - latinista, già professore di retorica nel RealCollegio e poi professore ordinario di lettere latine e greche nel Liceo lucerino -onorato patriota della vendita carbonara lucerina Virtù Premiata, che aveva parte-cipato al moto napoletano del 1820 ed era andato esule in Grecia.13 Come vice bi-bliotecario fu designato Filippo Nocelli (23.10.1866), al quale poi nel 1866 venne adaggiungersi un secondo vice bibliotecario, Alfredo Giannone. Siccome l’Accade-mia Ferdinandea era cessata da tempo, il nuovo bibliotecario, memore del benefi-cio culturale di quei convegni cui anch’egli aveva partecipato, fondò una nuovaAccademia Letteraria. Ma la direzione della biblioteca di Del Buono non durò molto,perchè alla sua morte (1866) con lo stesso procedimento consolidato il consigliovenne ad eleggere (11.5.1868) il barone Giambattista d’Amelj (12 voti), il quale, nonmolto dopo, richiese, per motivi di salute, l’assistenza di un coadiutore, che gli fuassegnato nella persona di Emmanuele Cavalli (30.5.1869).

Nel 1869, in seguito alla soppressione dei beni ecclesiastici, circa 2000 volu-mi, provenienti dalle biblioteche delle Congregazioni religiose, confluirono in quellacomunale, che venne così ad incrementarsi notevolmente. Erano libri appartenutiagli ordini dei Cappuccini, dei Mannarini, dei Minori conventuali, dei Minori os-servanti, dei Riformati. Un ricco patrimonio di edizioni rare e di preziosi testi dalcontenuto non solo religioso, ma anche laico e scientifico, e soprattutto testi classi-

13 A lui si deve il recupero del testo della lex lucerina o lex de luco sacro; scrisse Racconti e novelle per igiovani, Vocabolario di voci e di maniere erronee, Principi generali di grammatica, Fioretti grammaticali.

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ci. L’applicato di segreteria Francesco Di Giovine fu delegato al riordino di dettilibri e alla compilazione del relativo catalogo, e per questo lavoro straordinario glifurono assegnate 200 lire.

Alle dimissioni del barone D’Amelj (27.5.1872) la nomina a bibliotecario ri-cadde sull’avv. Filippo Nocelli (con 13 voti),14 che ebbe per coadiutore l’avv. Mi-chele Dandolo.

Qualche anno dopo (1875) il patrimonio della biblioteca assommava già a9000 volumi. Essa aveva acquistato una tale importanza per la frequenza degli stu-diosi da meritare tutta l’attenzione e la cura dei pubblici amministratori. “E perchéquesta via di progresso in cui trova si possa vieppiù sviluppare ha bisogno di unpersonale scientifico che ne secondi le ambizioni municipali, stante che ora non visono che un custode e un aiutante, che si prestano pel mantenimento materiale dellocale ed alle occorrenze. Propone perciò crearsi un posto di Direttore con l’annuoassegno di 360 lire”. Si passò poi alla nomina (1.12.1875) del nuovo Direttore eriuscì eletto all’unanimità Vincenzo Del Pozzo.

Un fatto eccezionale si verificò nel 1883, quando la biblioteca restò chiusaper alcuni mesi per consentire di svolgere le verifiche disposte all’accertamento del-la frode commessa da parte del Consegnatario Economo (A. P.) della biblioteca,verificata la quale, l’assessore delegato alla P. I. Guglielmo Paolucci chiese ed otten-ne (30.10.1883) l’esonero dall’impiego dello stesso; il consiglio rifiutò tuttavia l’azionegiudiziaria di rivalsa verso lo stesso per il danno arrecato e quantificato in 513 lire.

Il 17 dicembre 1883 l’assemblea consiliare, elevando lo stipendio del Conse-gnatario Economo a lire 1200 annue, accresceva i suoi compiti “con l’obbligo di ese-guire tutti i lavori dell’Ufficio Comunale che gli si fossero affidati”, e lo assimilavaall’impiegato di segreteria. Procedeva poi all’elezione del nuovo Consegnatario: con14 voti su 17 votanti veniva designato Michele Romeo. E perché l’acquisto dei librifosse più ragionato si proponeva la costituzione di una commissione di persone di-stinte nel ramo letterario, scientifico e giuridico, da rinnovare per metà ogni anno, cheinizialmente venne ad essere composta da Generoso Bozzino, Ariodante Mambelli,Michele Dandolo e Matteo Perrucci. Al rinnovo, mentre Generoso Bozzino venivaconfermato, Michele Dandolo veniva sostituito da Raffaele Nicoletti.

Due anni dopo lo stipendio del Consegnatario - che era stato confermato il25.1.1886 - veniva portato a 1400 lire, ma gli si riduceva la sfera dell’impegno, to-gliendogli quello di segreteria: “oggi le condizioni della biblioteca affatto mutatenon consentono che il Romeo assolva altri obblighi oltre quelli del proprio ufficiodi bibliotecario” (31.10.1887). Nel 1888 il Romeo chiedeva la nomina a vita, e poi-ché aveva sempre tenuto lodevolmente l’ufficio, la sua richiesta fu accolta con 10

14 Filippo Nocelli (1833-1912) insigne civilista e magistrato, benemerito sindaco di Lucera dal 1872 al 1876,consigliere e deputato provinciale, fondatore e direttore della «Gazzetta di Capitanata» che, in opposizione algiornale progressista «Unione», vide la luce il 3 gennaio 1880 e fu “il primo periodico di una certa importanzae diffusione. Presidente per molti anni del Circolo “Vittorio Emanuele II”, fu candidato al Parlamento nel1882 opposto al foggiano Serra, ma non riuscì eletto per broglio elettorale. Nel 1886 dovette soccombere difronte alle forti personalità di Salandra e del Pavoncelli.

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voti favorevoli e 3 contrari. Il 9 dicembre 1889 si procedeva al rinnovo della Com-missione per la biblioteca: Generoso Bozzino, Eugenio Pitta, Raffaele Nicoletti eMatteo Perrucci.

Nel 1893 si ripresentò urgente il problema dei locali, perché l’umidità dellabiblioteca pregiudicava fortemente la conservazione dei libri, attaccati anche daitarli. L’umidità, tra l’altro, costituiva grave pregiudizio alla salute dei lettori. Il loca-le, inoltre, non era abbastanza illuminato e difettava di aria, e questo accresceva ilbisogno di altro locale più adatto allo studio e alla conservazione dei libri; per di piùesso era diventato ormai angusto, poiché vi si andavano raccogliendo anche i reper-ti preromani, romani e medievali, primo nucleo del futuro museo (inaugurato nel1905). Il cav. Dandolo riferiva che “i libri facevano pietà, attesa la continua umiditàdelle pareti, fra le quali erano tenuti […] oltre alla migliore conservazione dei libris’imponeva la tutela della salute di chi si recava a studiare”. La soluzione fu ravvisa-ta nella contemporanea possibilità di acquistare e adattare alcuni locali della fami-glia Testa, confinanti con la casa comunale; “le case suddette hanno i migliori requi-siti per essere destinati ad uso della biblioteca, sia perché hanno l’esposizione amezzogiorno, ed i vani possono essere dotati di aria e di luce, sia perché sono lon-tane dal rumore delle vie interne […] constatata anche la convenienza del prezzo:9550 lire”. La discussione, incentrata su questa soluzione e sull’ammontare dellaspesa, andò avanti per parecchi consigli comunali e vide la presenza vivace di molticonsiglieri, con pareri discordi tra quelli che appoggiavano la proposta del sindacoGiuseppe Cavalli (Michele Dandolo, Francescopaolo Persico) e quelli (AgericoColasanto, Costantino Venditti) che vi si opponevano, proponendo la costruzione“di un locale di pianta”. Polo del disaccordo era, ovviamente, il costo complessivodell’opera: oltre la somma necessaria per l’acquisto si prevedevano altre 3000 lireper i lavori di adeguamento.

Acquisiti infine i locali di Testa, fu affidato (1895) all’ing. Emanuele Landinola stesura di una relazione tecnica riguardante la ristrutturazione dei nuovi locali,per destinarli ad uffici comunali (Archivio, Ufficio sanitario, ecc...), mentre per labiblioteca l’orientamento pareva essere quello della costruzione di un nuovo locale,da realizzarsi nel giardino del Comune in aderenza ai locali Testa. Epperò trovan-dosi a Lucera “un ottimo costruttore tecnico, tal Michele Vacca di Bari”, egli, insie-me con l’amico Antonio Nicoletti, volle visitare il palazzo comunale, la biblioteca ei locali Testa, e, pregato di esprimere un parere sulle opere da farsi, incontrandosi lasera col sindaco a teatro, “non esitò ad affermare che era più conveniente e menocostoso adattare il fabbricato Testa, e coordinare nello stesso tempo l’architetturainterna del Palazzo comunale a quella del prospetto principale”. In tal modo siottenevano “ampi e adatti locali per la biblioteca”, e, mettendo in comunicazione ilpiano superiore del palazzo comunale con la casa Testa, i vani superiori di questopotevano destinarsi ad uffici comunali.

Accolta tale soluzione, il Vacca fu incaricato di redigere il progetto che com-prendeva anche un locale per il museo, ma poi accantonato. La spesa complessivaera stimata intorno alle 44 mila lire. Messo ai voti in consiglio comunale, il progetto

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fu approvato con 17 voti contro uno. I lavori di adattamento furono aggiudicatiall’imprenditore Raffaele Follieri (con delibera consiliare del 19.9.1896, resa esecu-tiva il 6.11.1896 e registrata in Lucera il 25.11.1896 col n. 237). I lavori, che furonoprevisti in due anni, subirono qualche rallentamento, perché nel corso della loroesecuzione sorsero alcune controversie con i confinanti (Testa, Folliero, Di Gioia),risolte alla buona con scambievoli concessioni; non così, invece, fu la controversiacon Matteo Giannini, il quale aveva un finestrino per luce di tolleranza nel muroconfinante col Comune. All’avvenuta occupazione del muro, il proprietario pre-tendeva l’indennizzo “non solo nel valore della metà del muro, ma anche del dannoche gli sarebbe derivato dalla parziale chiusura del finestrino”, per la qualcosa chie-deva la somma di 2000 lire. Non essendosi addivenuto ad un accordo, la giuntaautorizzò il sindaco a stare in giudizio contro il Giannini e, per evitare la sospensio-ne dei lavori, fu proposta dal Nicoletti l’espropriazione forzata per causa di pubbli-ca utilità, sia del diritto della luce di tolleranza che del muro al quale addossare lafabbrica.

Nella primavera del 1902 la nuova sede della biblioteca era pronta e l’ing.Celentani Ungaro di Foggia ne eseguiva il collaudo (15.5.1902), dopo di che si au-torizzava acnhe lo svincolo della cauzione dell’impresa.

Intanto nel marzo del 1901, dovendosi rinnovare la commissione di vigilanzasulla biblioteca, al fine di assicurare un migliore funzionamento della struttura, erastato elevato il numero dei componenti da tre a quattro: Michele Dandolo, RaffaeleNicoletti, Luigi Candida e Eugenio Pitta.

Quattro mila volumi, posti l’uno sull’altro nei locali del Teatro, attendevanoi nuovi scaffali e la riparazione dei vecchi. L’anno dopo, però, l’assessore GirolamoPrignano veniva a riferire “che nei nuovi locali della biblioteca i libri erano stati giàcollocati parte negli scaffali di nuova costruzione, parte nei vecchi conveniente-mente sistemati, sicché dovunque vi era ordine e simmetria, e ben poteva dirsi chela nuova biblioteca era riuscita degna di una grande città - difatti il Primo Presiden-te della Corte d’Appello di Trani, visitandola, ebbe a dire che Lucera possedeva un‘tesoro’ ” -. E siccome non si poteva pretendere che il Consegnatario Economodella biblioteca prendesse e rimettesse a posto i libri, che venivano chiesti per lalettura giornaliera, e che periodicamente li spolverasse, perché tale lavoro era pro-prio di un bidello, vi era necessità di un bidello, cosa del resto “non nuova, perchénei vecchi locali della biblioteca fu sempre tenuto in servizio un bidello, il cui sti-pendio fu temporaneamente cancellato dal bilancio quando, morto colui che neesercitava le funzioni, e crollata una sezione dei pavimenti di quei locali, si dovette-ro accatastare in diversi punti libri e scaffali”. Si rendeva quindi indispensabile l’isti-tuzione di un posto di bidello, per il quale si poteva stabilire uno stipendio annuo di540 lire.

Dopo il trasferimento della biblioteca nel nuovo e più moderno locale (1904) - lacui sala di lettura fu nobilitata col mosaico imperiale romano rinvenuto in PiazzaNocelli nel 1899, postovi per pavimento - essa fu intitolata a Ruggero Bonghi, se-condo i voti del consiglio comunale del 23 ottobre 1895. In questa nuova sede la

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La Biblioteca Comunale di Lucera

biblioteca cominciò a vivere il periodo più fulgido della sua storia e della sua cresci-ta, contrassegnata dall’aumento dei giornali locali, delle riviste specializzate per set-tore (storico, giuridico, scientifico, ecc...), di opuscoli vari, nonché dalla raccolta econservazione di manoscritti provenienti dai privati, e soprattutto di ricchi fondi dibiblioteche private, quali Bonghi, Iliceto, Nocelli, Bozzini, Gifuni, Prignano, Per-sico, Uva, Pitta. Solo pochi anni dopo (1908) Gaetano Conte scriveva che la biblio-teca di Lucera contava già 20 mila volumi. Reggeva allora l’istituzione, con moltadignità e onore, Alfonso De Troia, valente studioso di archeologia e numismatica,autore di studi e ricerche, al quale subentrerà più tardi l’emerito storico Giambatti-sta Gifuni, il direttore per eccellenza, che si renderà sommamente meritevole per ilsuo instancabile e prezioso impegno, durato tutta la vita, nella continuità dell’ac-quisizione alla nostra biblioteca - che si vanta di essere la più antica di Puglia - difondi librari di studiosi, giuristi, letterati non solo lucerini, e provvedendo con pe-rizia alla puntuale sistemazione e catalogazione, con la valida collaborazione diAlfredo e Annita De Nicola. “Per sua cura furono acquisite biblioteche private einteri archivi privati furono guadagnati alla pubblica cultura. Così venne acquistatoil ricco archivio dell’avv. Alessandro Cavalli, notevole per la vastità del materiale distoria locale: tra cui i manoscritti del Corrado che integravano quelli recuperati daDel Pozzo”. Ma si pensi anche ai fondi Checchia, Salandra, Tommasone, Lastaria,ai libri donati da Riccardo Del Giudice, da Carlo Cavalli, ecc... A lui, nella direzio-ne della Biblioteca Comunale, successero poi Pietro Roselli, Alessandro De Troia eAntonio Orsitto, col quale siamo ormai ai nostri giorni.

Superata la crisi della seconda guerra mondiale, durante la quale i locali subi-rono danni per l’occupazione tedesca ed alleata, nel 1950-’51, col suo restauro, labiblioteca si avviò verso un’altra fase di crescita e di splendore.

Nel 1970, dovendosi ampliare gli uffici comunali, con l’aggiunta di un nuovocorpo di fabbrica, anche la biblioteca venne ad essere ampliata. Successivamentefurono introdotte altre migliorie: installazione di moderni impianti di allarme an-tincendio, di illuminazione, di telecamere di controllo, ecc... Epperò, da non pochianni la penuria dello spazio si è riacutizzata, sicché molto materiale librario si trovaaccantonato in un inadeguato deposito e tanti altri volumi aspettano ancora di esse-re inventariati.

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Luigi Paglia

Paradigma metodologico di lettura poeticadi Luigi Paglia

Si vuole esemplificare, con questo articolo, un approccio metodologico al-l’analisi e alla scrittura critica, proposto nelle classi finali delle Scuole superiori, conla collaborazione della Cattedra di “Laboratorio di scrittura” della Facoltà di Let-tere e Filosofia dell’Università di Foggia.1

L’itinerario si sviluppa in fasi successive di avvicinamento al testo poetico (infunzione della conclusiva scrittura critica) secondo una metodologia di indaginearticolata su quattro piani: primo inquadramento, denotazione, connotazione,contestualizzazione storico-letteraria (rapporto tra l’intertestualità interna e quel-la esterna o extratestualità) e valutazione critica.

Non mi soffermerò molto sui primi due punti riguardanti le operazionipreliminari, che pure sono indispensabili alla comprensione del testo, e del con-testo della sua realizzazione, relative, da una parte, al primo inquadramento,cioè all’individuazione biografica dell’autore, del periodo storico, della situa-zione e delle circostanze in cui si è realizzata l’opera, della corrente poetica,delle funzioni e degli scopi della comunicazione poetica, ed, inoltre della tipo-logia (poesia lirica, epica, realistica ecc.) e del genere della composizione (sche-ma metrico-ritmico: sonetto, ballata, versi liberi, ecc.), e, dall’altra parte, al pro-filo denotativo (senso superficiale o primario), riguardante l’analisi e il riordi-namento logico-sintattico, l’esplicitazione lessicale, le ipotesi circa l’argomen-to principale e i motivi parziali (e, per la poesia epico-narrativa, l’individuazio-ne delle micro e macrosequenze, delle strutture narrative, del ruolo dei perso-naggi, secondo le indicazioni della narratologia),2 il riconoscimento della vocelirica (in prima o terza persona).

Mi fermerò poco, talmente è evidente la sua importanza, anche sulla quartaparte, quella in cui si esamina il testo poetico in rapporto al contesto storico -culturale - sociale - ideologico - filosofico - religioso - artistico, alla tradizioneletteraria, alle correnti poetiche ed ai testi del periodo, e si valutano l’originali-tà, l’innovazione, l’efficacia e la pregnanza tematico-stilistica (e la idoneità di

1 Queste pagine nascono dal lavoro didattico condotto con i miei allievi dell’Università e con gli ex alunnidell’Istituto Blaise Pascal di Foggia ai quali sono dedicate.

2 Cfr. Gerald PRINCE, Narratologia, Parma, Pratiche, 1984 e Seymour CHATMAN, Storia e discorso, Parma,Pratiche, 1981.

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Paradigma metodologico di lettura poetica

attualizzazione tematica) della composizione inserita nel macrotesto e rappor-tata al panorama intertestuale.3

Insisterò soprattutto sulla terza parte metodologica, che ha bisogno di unamaggiore puntualizzazione: quella relativa alla connotazione (il cui concetto è ri-preso da Hjelmslev)4 che riguarda gli aspetti profondi, nascosti del testo poetico,non individuabili ad una lettura superficiale.

Ogni significazione implica un rapporto tra un Significante ed un Significato(concetto di Segno), e tale processo insiste su un piano di Denotazione. Ma se talesistema di significazione diventa il significante di un secondo processo disignificazione si entra nel campo della Connotazione. La letteratura è un sistema diconnotazione o secondo di senso, di cui debbono essere esplicitati i meccanismi e isignificati di fondo.

La connotazione, nella mia ipotesi interpretativa, abbraccia dieci livelli, deiquali i primi quattro riguardano la “forma dell’espressione” e gli ultimi sei la “for-ma del contenuto”:5

A) Livello iconico che riguarda l’elaborazione visiva, la disposizione e l’or-ganizzazione spazio-tipografica del testo.

Diverso può essere il grado di iconicità (ossia il segno che rimanda all’ogget-to o la rappresentazione per somiglianza) dal Futurismo a Ungaretti, alla poesiavisiva:6 in Ungaretti lo spazio bianco è l’equivalente visivo del silenzio in cui galleg-giano le parole, che si staccano isolate nel verso, apparendo come grumi semanticiche realizzano la massima intensità comunicativa.

Nelle tavole parolibere di Marinetti e dei Futuristi (e nella più recente poesiavisiva o concreta) si produce la percezione simultanea, insieme al significato, didiverse sollecitazioni visive e sensoriali (mediante il raddoppiamento del signifi-cante:7 grafemi + segni iconici (sul piano visivo) e fonemi + onomatopee (sul pianoauditivo), modalità spesso combinate. Nella Tavola parolibera omonima, il Pallonefrenato turco (in Zang TumbTumb) è disegnato con le parole disposte circolarmente.

3 Sul concetto di macrotesto, cfr. Maria CORTI, Principi della comunicazione letteraria, Milano, Bompiani,1976, pp. 145-146, e Enrico TESTA, Il libro di poesia, Genova, il melangolo, p. 11 e segg. Per quanto riguardal’intertestualità, interna ed esterna, e l’extratestualità, cfr. Julia KRIESTEVA, Σηµειωτικη’, Milano, Feltrinelli,1978, p. 209, Cesare SEGRE, Teatro e romanzo, Torino, Einaudi, 1984, pp. 103-117, Angelo MARCHESE, Dizio-nario di retorica e di stilistica, Milano, Mondatori, 1978, pp. 126-127 e 92-93. Si veda anche l’analisi di PaulZUMTHOR, Semiologia e poetica medievale, Milano, Feltrinelli, 1973, p. 24: il testo è “luogo di confluenza e ditrasmutazione globale degli elementi di una cultura: sociali, intellettuali, estetici, persino tecnologici”.

4 Sull’argomento, cfr. Louis HJELMSLEV, I fondamenti della teoria del linguaggio, Torino, Einaudi, 1968, pp.122-134; Roland BARTHES, Elementi di semiologia, Torino, Einaudi, 1966, pp. 79-83 e Umberto ECO, Le formedel contenuto, Milano, Bompiani, 1971, pp. 58-64.

5 Cfr. L. HJELMSLEV, I fondamenti della teoria del linguaggio..., cit., passim, R. BARTHES, Elementi disemiologia..., cit., p. 38; M. CORTI, Principi della comunicazione letteraria, Milano, Bompiani, 1976, pp. 138-142.

6 Sulle operazioni delle avanguardie del Novecento e della poesia visiva e concreta, cfr. Lamberto PIGNOTTI

e Stefania STEFANELLI, La scrittura verbo-visiva. Le avanguardie del Novecento tra poesia e immagine, Roma,Espresso strumenti, 1980, passim.

7 Cfr. il mio libro Invito alla lettura di Marinetti, Milano, Mursia, 1977, pp. 154-157.

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Le vibrazioni del pallone sono indicate con l’intersezione di linee oblique (segnoiconico) che compongono le parole “vibbbrrrrrrrarrre” (segno verbale) conl’accentuazione onomatopeica per moltiplicazione della /b/ (3 volte) e della /r/ (10volte). Sempre in Zang TumbTumb sono anche da notare i caratteri tipografici dicorpo diversificato, che evidenziano differenze concettuali, e il ricorso ad altri co-dici (segni matematici: + - x : =) per velocizzare e sintetizzare il discorso.

B) Livello ritmico - metrico che si riferisce ai fenomeni della versificazionerelativi al ritmo (la successione ad intervalli di ictus-accenti metrici; pause, cesure,interpunzione; scarto tra ictus e accento tonico; spezzatura: enjambement o inarca-tura) e al metro (numero di sillabe metriche o posizioni nel verso; figure metriche:sinalefe, dialefe, sineresi, dieresi, ecc).8

Tale livello, che può sembrare puramente tecnico (ma la tecnica è, comunque,importante per l’elaborazione del tessuto della poesia), è spesso rivelativo di signifi-cati più profondi, è la spia della poetica di fondo. Per es., in A Zacinto il livello ritmi-co-metrico evidenzia: 1) la rivoluzionaria dissonanza tra la forma istituzionale (sche-ma metrico-ritmico) del sonetto e la sua realizzazione sintattica, per cui il primo pe-riodo si prolunga per 11 versi; 2) il travalicamento dei confini di strofa e verso percui non si realizza la coincidenza verso-frase e strofa-periodo (per l’introduzione dinumerose inarcature); 3) l’esordio in medias res (“Nè più mai”) che presuppone ilnon detto, il flusso non registrato dei pensieri precedenti. Tali modalità compositiverivelano, quindi, la violenta, inquieta spirale della passione.

Pertanto, la forma istituzionale appare come il terreno di lotta, l’espressionedella bipartizione e/o dialettica tra spirito classico (le figure e le forme della classicità)e (pre)romantico, che si rispecchiano nelle duplicazioni tra poeta classico: Omeroe preromantico: Foscolo (contrassegnati dalla figura etimologica “cantò” - “can-to”) e tra eroe classico (Ulisse) e preromantico (lo stesso Foscolo) in rapporto alFato: “acque fatali” e “il fato prescrisse a noi”.

C) Livello fonico che concerne le figure di suono: rima, allitterazione, asso-nanza, assonanza consonantica, paronomasia, anagramma, onomatopea, fonosim-bolismi.

Mentre le prime tre figure presentano omofonie, rispettivamente, complete ovocaliche o consonantiche nelle parti finali di due parole, l’allitterazione è lareiterazione dei fonemi all’inizio o nel corpo di una parola, come avviene in Matti-na di Ungaretti con la ripetizione delle cellule foniche /mi/ e /me/: “M’IlluMIno/d’IMMEnso”) che trasferisce e sottolinea anche sul piano fonico “la posizionetolemaica dell’io” (Barberi-Squarotti)

La paronomasia, ossia l’accostamento di parole anologhe per suono, e il mec-canismo simile dell’ anagramma, ossia la permutazione delle lettere, determinano

8 Si propongono alcuni esempi di combinazione di figure metriche: “Di/cias/cu/na/vir/tù*/al/ta e/gen/ti/le” (Petrarca): ù* = dialefe;ae = sinalefe; “L’aura sO/A/ve che dal chiaro viso” (Petrarca) = dieresi; “Pien difiloso/fia*/ la lin/gua e il/ petto” (Petrarca): ia* sineresi; a e il = sinalefe.

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associazioni (o anche opposizioni) semantiche, come è evidente nella gremita tramafonica di Cigola la carrucola di Montale, in cui le paronomasie “Trema un ricordonel ricolmo secchio” e “appartiene ad un altro […] atro fondo” e l’anagramma “ruota”“atro” realizzano, rispettivamente, l’identificazione o l’associazione metaforicatra il tremore dell’acqua e il ricordo della donna, tra la dissolvenza memoriale e ilbuio del pozzo, e tra il negativo dell’azione della discesa e dell’oscurità dello spazioprofondo.

L’anagramma leopardiano “Silvia - salivi” suggella e rafforza, nella prima strofadi A Silvia, lo sciame allitterativo del fonema /t/, cellula fonica del pronome diseconda persona, che rivela l’ossessione memoriale del Leopardi.

Il fonosimbolismo si differenzia, pur nell’ambito della stessa fenomenologiasonora, dall’onomatopea (l’imitazione linguistica di un suono naturale: “c’è un brevegre gre di ranelle”; “Don… Don… E mi dicono, Dormi!”, La mia sera del Pascoli)poiché il significante fonico non è strettamente legato al significato, o, comunque,ad una sonorità naturale, assumendo un valore autonomo, come in Meriggiare pal-lido e assorto di Montale il verso: “Che ha in cima cocci aguzzi di bottiglia” in cui leaspre dissonanze appaiono come il correlativo fonico dell’acutezza tagliente deivetri (e, in proiezione metaforica, delle asperità e del “travaglio” della vita).

D) Livello sintattico (e morfologico) nel quale rientrano le strutture sintattiche(di cui è esempio precipuo l’accanita proliferazione delle subordinate nei sonettifoscoliani e in particolare in A Zacinto che, in interazione con gli elementi ritmico-metrici sopra individuati, designa, come si è detto, la curva appassionata del senti-mento del poeta) e le figure sintattiche: ripetizioni a contatto (geminatio) e a distan-za, a inizio dei versi (anafora) alla fine dei versi (epifora) e con la disposizione in-crociata degli termini semantici o/e sintattici (chiasmo). Una straordinaria partituradelle forme reiterative è rappresentata dalla poesia di Rebora Dall’immagine tesa,in cui l’accanito ritorno delle frasi in epifora “non aspetto nessuno” (per tre volte)ed in anafora “verrà” (per sei volte) appare come una commossa insistente, martel-lante implorazione perché si realizzi la miracolosa apparizione dell’ospite misterio-so.

Anche gli elementi morfologici possono acquistare un grande valore. Esem-plare è la ricorrenza dei dimostrativi “questo” e “quello” nell’Infinito leopardianoche prospettano l’alternanza vertiginosa della presenza fisica, e dell’immaginazionedel poeta, nello squadernarsi dei luoghi e dei tempi.

E) Livello semantico-figurativo che riguarda le figure semantiche: similitudine,metafora, sinestesia, metonimia, sineddoche ecc.

In particolare, è necessario definire gli elementi costitutivi della metafora (edella similitudine) la quale si realizza con la sovrapposizione dei campi semici didue termini (uno proprio e l’altro traslato) appartenenti a campi associativi diversi.Richards9 ha proposto le definizioni di tenore (ciò di cui si parla), veicolo (il nuovo

9 Ivor Armstrong RICHARDS, La filosofia della retorica, Milano, Feltrinelli, 1967, p.92: il tenore è “l’ideasottesa o il soggetto principale che il veicolo o immagine trasmette”.

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argomento introdotto), terreno comune o tratti comuni (gli elementi di somiglian-za tra veicolo e tenore) e gli effetti di senso, o connotazione (le diverse idee associa-te al tenore per la presenza del veicolo). Per esempio, nella metafora “quattro ca-priole di fumo” (Natale di Ungaretti) i tratti comuni sono l’arrotolamento, l’avvol-gimento su se stesso, e gli effetti di senso si riferiscono alla spensieratezza, alla gioia,al gioco del mondo infantile.

I quattro elementi della metafora possono essere visualizzati col diagrammadi Eulero:

DIAGRAMMADI EULERO

TenoreVolute di fumo

Veicolocapriole

Terreno comune:avvolgimento

Connotazione: la spensieratezza, la gioia, il gioco

È da ricordare anche la teorizzazione di Albert Henry10, per cui la metaforasi fonda su un rapporto analogico a 4 termini di cui si propone un doppio esempiotratto dal Cimitero marino di Paul Valery: “Ce toit tranquille où marchent des co-lombes” (“Quel tetto tranquillo dove camminano delle colombe”), in cui solo imetaforizzanti (tetto e colombe) sono espliciti e gli altri termini sono impliciti:

tetto mare colombe vele metaforizzante metaforizzato

tegole onde tetto mare

A seconda del tipo di collegamento tra gli elementi analogici le figureprendono denominazioni diverse, andando da un massimo a un minimo dichiarezza e di esplicitazione, inversamente proporzionale alla vaghezza e allasuggestione (ed anche all’identificazione) metaforica: comparazione: “Le sueguance rosse come due rose”; metafora prepositiva: “Le rose delle guance”;metafora copulativa: “Le sue guance sono due rose”; metafora appositiva:“Le sue guance, due rose”; metafora massima (a un solo termine): “Sul suoviso due rose”; metafora verbale: “Le sue guance rosseggiano”; “Non ho vo-glia di tuffarmi”.

È da sottolineare lo straordinario meccanismo del collegamento o dell’inte-

10 Cfr. Albert HENRY, Metonimia e metafora, Torino, Einaudi, 1975, pp. 97-146.

–—–– = –—–– ; –—–––– = ——— � ——————— = ———————complementare

del metaforizzantecomplementare

del metaforizzato

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11 Roman JAKOBSON, Saggi di linguistica generale, Milano, Feltrinelli, 1972, p. 41: “Nella poesia varie ragio-ni possono determinare la scelta fra le due alternative. Il primato del processo metaforico nelle scuole roman-tiche e simboliste è stato sottolineato più volte, ma non si è ancora compreso abbastanza chiaramente che ilpredominio della metonimia governa e definisce effettivamente la corrente letteraria cosiddetta “realistica”che appartiene ad un periodo intermedio fra il declino del romanticismo e il sorgere del simbolismo, puressendo opposta ad ambedue. Seguendo la via delle relazioni di contiguità, l’autore realista opera digressionimetonimiche dall’intreccio all’atmosfera e dai personaggi alla cornice spazio-temporale. Egli si compiace disineddochi. Nella scena del suicidio di Anna Karenina, l’attenzione artistica di Tolstoj è incentrata sulla bor-setta dell’eroina; e in Guerra e pace i casi di sineddoche come “peluria sul labbro superiore” o “spalle nude”sono usati dallo stesso autore per caratterizzare i personaggi femminili ai quali appartengono questi tratti”.

razione di più metafore (e di altre figure): nella metafora massima “tuffarmi” è espli-cito solo il veicolo mare, metonimia di tuffo, mentre il tenore è desunto per interse-zione metonimica di “strade” = folla, e i tratti comuni appaiono la pluralità, l’on-deggiamento ecc. (così che si stabilisce la proporzione tuffarmi: acqua = passeggia-re: folla, secondo lo schema di Henry).

La sinestesia è una particolare forma di metafora che associa termini appar-tenenti a sfere sensoriali diverse, usata soprattutto dai poeti del Decadentismo e delSimbolismo. A seconda delle combinazioni dei diversi sensi si realizzano sinestesietipologicamente diverse: visivo-acustica: rosso squillante / “urlo nero” (Alle frondedei salici di Quasimodo); visivo-tattile: colore caldo/ luci fredde; tattile-acustica:gelida voce; tattile-gustativa: dolce tepore; visivo-gustativa: amara luce del giorno;tattile-acustico-visiva: “Luci fredde parlano” (Montale).

L’allegoria presenta due strati di significazione: il primo superficiale eapparente, il secondo profondo e nascosto, con la cancellazione o dissolvenzadel significato di base che deve essere richiamato mediante il riferimento ad uncodice sotterraneo (La “selva oscura” di Dante, rappresentata a livello referen-ziale e naturalistico, allude allegoricamente alla vita peccaminosa). L’allegoria,di solito definita una figura logica, viene presentata in questo livello poiché sipuò avvicinare alla metafora assoluta o a un solo termine.

La sineddoche e la metonimia sono figure di trasferimento semantico inbase a una relazione di contiguità, che è di maggiore e minore estensione nellasineddoche: la parte per il tutto (“i miei tetti saluto”, in cui si realizza una dop-pia sineddoche: tetti sta per case e case per paese) e viceversa (l’uomo - la mano- accese la sigaretta), la specie per il genere (mortali per uomini); il singolare peril plurale e viceversa, il significato più ampio per il più ristretto (macchina perauto); mentre nella metonimia i legami di contiguità sono di tipo logico, causa-le, materiale, spaziale: la causa per l’effetto (“mi percosse un duolo”: lamenticausati dal dolore), l’effetto per la causa (“sudate carte”: studi che fanno suda-re), la materia per l’oggetto (“itali acciai” per spade) il contenente per il con-tenuto (“cittadino Mastai, bevi un bicchiere” � vino), l’astratto per concreto(sfuggito all’inseguimento � agli inseguitori) e viceversa (ha del fegato �coraggio), l’autore per l’opera (Leggo il Manzoni � I Promessi Sposi), ecc.

Jakobson11 ha evidenziato l’opposizione tra direttrici o poli metaforici emetonimici, ricordando la prevalenza del procedimento metaforico nelle scuo-

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le romantiche e simboliste e il predominio della metonimia nella corrente lette-raria realistica.

Nelle poesie del Foscolo, in consonanza con la bipartizione (o compresen-za) tra spirito classico e (pre)romantico, è evidente la dialettica tra polo metoni-mico (“pietra” per sepolcro; “deluse a voi le palme tendo”, “i miei tetti saluto”) emetaforico (“il fior dei tuoi gentili anni”, “cure che al viver tuo furon tempesta”,“nel tuo porto quiete”).

F)Livello logico al quale attengono le figure logiche: antitesi ed ossimoro(che configurano formulazioni di tipo oppositivo, in ambito sintattico più ampio econ costruzione più articolata e distanziata per l’antitesi, talvolta con l’introduzio-ne di procedure di negazione, di reiterazioni anaforiche, come avviene in una famo-sa terzina dantesca: “Non fronda verde, ma di color fosco;/ non rami schietti, manodosi e ‘nvolti;/ non pomi v’eran, ma stecchi con tosco” in cui l’antitesi apparerafforzata dal profilo sintattico e dalla simmetrica ripetizione di “non” e “ma”;mentre l’ossimoro mette a stretto contatto, giungendo alla fusione degli opposti,sostantivo e aggettivo o verbo antitetici: “la morte che vive”, Montale, Notiziedall’Amiata), ironia (che presenta uno scarto tra il livello apparente dell’afferma-zione e il contenuto nascosto ed opposto, decifrabile per la linea intonativa econtestuale dell’enunciazione), litote (che deriva da un meccanismo, nella strutturasintattica, di negazione del contrario: “Don Abbondio non era nato con un cuor dileone”, e l’attenuazione o la minimizzazione implicano, da parte del lettore, unaspeculare operazione di integrazione semantica).

G) Livello temporale che riguarda la funzione dei tempi verbali nel testo:illuminanti, soprattutto per la narrativa ma utilizzabili anche per la poesia, sono ledefinizioni di Weinrich12 dei tempi commentativi (presente/ passato prossimo/ fu-turo) e dei tempi narrativi di primo piano (passato remoto), di sfondo (imperfet-to)13 e di prospettiva del futuro (congiuntivo imperfetto e trapassato), mentre lametafora temporale14 scocca dalla collisione dei tempi narrativi e commentativi.

In poesia sono da sottolineare i fenomeni delle transizioni o opposizioni tem-porali, evidenti, per esempio, nella poesia Natale di Ungaretti (nella quale èipotizzabile una metafora temporale per la collisione tra il presente della scrittura,

12 Cfr. Harald WEINRICH, Tempus, Bologna, il Mulino, 1978, pp. 37-73.13 Nella narrativa, la transizione dai tempi narrativi di sfondo a quelli di primo piano è esemplare nella

novella L’uomo solo di Pirandello. È la storia di quattro uomini che soffrono di solitudine e sono in attesa diuna donna che possa liberarli dalla loro vita solitaria, ma la loro attesa è vana. Alla fine uno di loro, Groapadre, si toglie la vita. La novella è scritta quasi tutta all’imperfetto, tempo di sfondo, che è l’equivalentelinguistico dell’attesa: nella vita dei quattro non accade nulla di importante, d’emozionante; essi si sentonospinti verso lo sfondo. Solo il finale drammatico fino al suicidio è coniugato al passato remoto che dichiaral’uscita dalla vita inessenziale, anche se solo per entrare nella morte, unica soluzione definitiva, finalmente (etragicamente) in primo piano. Ibid, p. 154.

Significativo è anche l’orizzonte temporale nel racconto di Andrea Zanzotto: Augusta, nel quale la vitadimidiata e insignificante della donna è resa con i tempi di sfondo, mentre l’inizio e la fine sono presentati coitempi commentativi.

14 Cfr. H. WEINRICH, Tempus..., cit., pp. 249-287.

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Paradigma metodologico di lettura poetica

15 Sulle prospettive temporali nei testi di Eliot e di Auden, cfr. il mio saggio I “Preludes” di T. S. Eliot:l’eclissi del tempo solare, in «Strumenti critici», 2000, 92 (gennaio), pp. 133-150.

16 Sui concetti di spazio interno (IN) e di spazio esterno (ES), cfr. Jurij M. LOTMAN, La struttura del testopoetico, Milano, Mursia, 1976, pp. 261-273, e Il metalinguaggio delle descrizioni tipologiche della cultura, inJurij M. LOTMAN-Boris A. USPENSKIJ, Tipologia della cultura, Milano, Bompiani, 1975, pp. 145-181.

17 Sull’argomento, si rimanda alle opere di Jung, e di studiosi della letteratura e dell’antropologia culturale(Dumézil, Bachelard, Durand, Lévi-Strauss) che hanno prospettato un universo immaginario e letterario gre-mito di simboli, archetipi e miti ricorrenti. Si ricorda il più acuto rappresentante della critica simbolica, NorthropFRYE che in Anatomia della critica (Torino, Einaudi, 1969) e Favole d’identità (Torino, Einaudi, 1973) indivi-dua le modalità archetipiche presenti nella letteratura. Sulla critica simbolica (o archetipica) è utile leggere ilprofilo di Ezio Raimondi, in AA.VV., I metodi attuali della critica in Italia, a cura di Maria Corti e CesareSegre, Torino, ERI, 1970, p. 71 e segg.

l’allusione sotterranea al passato prossimo e al futuro, che designano la traumaticaesperienza bellica, e la metafora del passato remoto dei giochi infantili) e nell’altro testoungarettiano: La Madre (nel Sentimento del Tempo) in cui si realizza la straordinariatransizione tra il presente della scrittura, il passato memoriale e il futuro ipotetico.

Insistono sempre sul piano della gestione dei tempi verbali l’ellissi temporalee degli eventi (esemplare ancora in Natale) e la continuità e la discontinuità tempo-rali (per es., nei Preludes di T. S. Eliot e nell’Ascesa dell’ F6 di Auden, nei quali siverificano dei salti nella linea cronologica).15

H) Livello topologico - culturale che si riferisce ai rapporti e opposizionispaziali con cui viene rappresentato il mondo, secondo la teorizzazione del Lotman:16

spazio interno o IN vs spazio esterno o ES, basso vs alto, vicino vs lontano, chiusovs aperto ecc.; i modelli spaziali hanno anche correlazioni con altre categorieoppositive: nativo-estraneo, caldo-freddo, sicuro-nemico (suono-silenzio, luce-co-lori-buio) e presentano le particolarità della frontiera e dell’eroe dinamico edell’antieroe statico. Sono significativi i valori spaziali oppositivi dell’Inferno diDante: la selva oscura (IN, basso, oscurità) e il colle illuminato (ES, alto, luce),dell’Infinito di Leopardi: “quest’ermo colle” (IN) e gli “interminati spazi” (ES),divisi dalla frontiera della “siepe”, e di Natale di Ungaretti: la casa (IN), le strade(ES), l’antieroe statico (il poeta). È straordinario il meccanismo di opposizionispaziali presente in Cigola la carrucola di Eugenio Montale: tra ES ed IN, alto ebasso, luce e buio, correlati metaforicamente alle istanze psichiche del conscio e delpreconscio, dell’affioramento e della dissolvenza memoriali.

La fluttuazione spaziale può essere proiettata anche nel mondo degli Uccelli,“stuolo che a volte trova pace/ e asilo sopra questi rami secchi./ E la schiera ripigliail triste volo”, come si legge nella memorabile poesia omonima di Mario Luzi (inOnore del vero).

I) Livello simbolico-archetipico e/o psicanalitico17 che contempla, sulla scortadi suggestioni junghiane, della psicologia del profondo e dell’antropologia cultura-le, le modalità o le istanze, appunto, simboliche e archetipiche, ossia le rappresenta-zioni inconsce di esperienze comuni a tutta l’umanità. Nell’Allegria ungarettiana,per esempio, è possibile individuare il sistema degli archetipi, appartenenti alla sfe-

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Luigi Paglia

ra superiore, del cielo, della luce del sole e del fuoco, e quelli, relativi alla sferainferiore, della terra, della vegetazione, dell’acqua, polarizzati sia sul versante posi-tivo della vitalità e creatività, sia su quello negativo della distruttività o corruzione(sole e fuoco distruttivi, sul piano superiore, e terra desolata, deserto, vegetazionesregolata, acqua distruttiva, sul piano inferiore).

È evidente la grande importanza dell’acqua in A Zacinto - che si può quasidefinire una poesia acquatica - sia a livello fonico per le rime in /onde/ e /acque/, siaper le immagini dell’acqua: referenziali (“onde, mare, acque”), metonimiche (“spon-de, Zacinto, isole, Itaca”) e metaforiche (“limpide nubi”). Per l’antropologia, la psi-canalisi (e la scienza), l’acqua è portatrice di vita. Pertanto, nella poesia si realizzal’identificazione tra Zacinto, la madre del poeta (Diamantina Spathis) e Venere nelsegno dell’acqua e si prefigura il ritorno al grembo materno.

Il simbolo antropologico e psicanalitico (e il correlativo oggettivo) dell’ab-bandono amoroso: l’aratro lasciato inoperoso nella terra, la quale simboleggia lafecondità non realizzata della donna, è presente in Lavandare del Pascoli

L) Livello tematico- ideologico- comunicativo in cui confluiscono, in con-nessione con i due precedenti livelli, le tematiche e le istanze comunicative a livellopiù o meno profondo, esplicito o implicito.

Nella Divina Commedia, per es., è possibile individuare una triplice stra-tificazione ideologica e comunicativa inerente alla visione del mondo del poe-ta, riferibile alla dimensione fisica e cosmologica (che è quella tolemaica, dellaterra, centro focale dell’universo, attorno alla quale si muovono nove cieli,mentre il decimo che tutti li domina è la sede di Dio, il motore immobile dellacreazione), a quella etica (desunta da San Tommaso, che configura l’amore na-turale per il bene e per Dio come centro della vita morale dell’uomo) e a quellastorica e di attuazione politica (della doppia guida spirituale e temporale, delPontefice e dell’Imperatore, che egualmente hanno un ideale centro spazialenella città di Roma). Tale prospettiva ideologica si riflette sull’articolazione dellospazio, di cui già s’è detto, nelle sue coordinate interne ed esterne, di basso edalto, per cui l’Inferno, il regno del male, sprofonda al centro della terra, oppo-nendosi specularmene al polo altissimo del sommo bene dell’Empireo, dellaGerusalemme celeste (che si riflette sulla Gerusalemme terrestre).

Per quanto riguarda l’Allegria è possibile elaborare, sulla traccia teoricadi Greimas,18 il quadrato logico-semantico (e semiologico) della raccolta che hacome termini fondamentali i quattro elementi, due di segno positivo: PACE eVITA-Amore, e due di segno negativo: GUERRA e MORTE da cui si diramala serie di rapporti di contrarietà: pace-guerra; e vita-morte (mediati e superatinella dimensione della fraternità umana, e in quella contraddittoria della comu-

18 Il grande semiologo francese si è occupato soprattutto di narratologia, ma il quadrato logico semantico èutilizzabile anche per la poesia. Cfr. Algirdas Julien GREIMAS, Del senso 2, Milano, Bompiani, 1984, pp. 45-63e 131-149.

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nione con la natura e dell’espansione nell’immenso o nel divino), di comple-mentarità: pace-vita, e guerra-morte (che esprimono gli elementi contrari: dauna parte di sicurezza, apertura all’ES e al futuro, e dall’altra, di precarietà,fissazione all’IN e al presente).19

L’esemplificazione di scrittura critica parte dall’analisi dei diversi livellitestuali della poesia Natale di Ungaretti, i quali vengono schematizzati nelle tretavole di connotazione relativa agli aspetti:

1) iconico, metrico, ritmico, fonico2) semantico-figurativo3) logico, topologico, temporale, simbolico-archetipico e ideologico-co-

municativo.Dall’analisi e dalla schematizzazione della “stratificazione” della poesia

si può quindi procedere all’elaborazione del saggio. Si possono ipotizzare al-meno due percorsi nella realizzazione del testo di scrittura critica: o seguendopunto per punto la progressione dei livelli del testo poetico, o privilegiando emettendo in primo piano alcune delle connotazioni che appaiono più rivelativedella semantica e della stilistica della composizione esaminata, come avvienenell’esempio proposto in cui si è data maggiore importanza all’aspetto figurati-vo rispetto ai livelli iconico, fonico-metrico, topologico, temporale, simbolico-archetipico e ideologico-comunicativo che pure sono precisati in seconda bat-tuta e aggiungono un ulteriore tasso di senso nell’interpretazione del testo po-etico.

È quasi superfluo aggiungere che si danno per presupposti, almeno inparte, l’inquadramento, la denotazione e la contestualizzazione storico-cultu-rale-letteraria della composizione presa in esame.

Naturalmente, tale metodologia per la scrittura può rivelarsi proficuaanche come metodo di lettura di un saggio critico su un testo poetico, mediantel’inversione o il rovesciamento del percorso: partendo dall’approccio al saggio,individuando i vari livelli di analisi e procedendo poi alla schematizzazionedegli stessi.

19 Sull’applicazione del quadrato greimasiano all’Allegria, cfr. il mio libro L’urlo e lo stupore. Lettura diUngaretti. L’Allegria, Firenze, Le Monnier, 2003, pp. 28-42.

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NataleNapoli il 26 dicembre 1916

Non ho vogliadi tuffarmiin un gomitolodi strAdE

Ho tantastanchezzasulle spAllE

Lasciatemi cosÌcome unacosa posatain unangoloe dimenticata

QuInon si senteAltrOche il cAldO buono

Stocon le quAttrOcaprioledi fumodel focolArE

G. Ungaretti

TAVOLA 1

l. metrico versi liberi e brevi (anche- ritmico mono e bisillabici)

frantumazione metrica evariazione ritmica >lessemi brevi-lunghiictus: - ossitoni

- parossitoni- proparossitoni

(gomìtolo-àngolo) (senso stanchezza-fatica)l.fonico (correlativo o rafforzativo

del livello semantico):Rime: cosI’-quI

posATA-dimenticATAEffetto eco: cosa-posataOmoteleuto: gomìtolo-àngoloAssonanze: s t r A d E - s p A l l E -

focolArE;A l t r O - q u A t t r O -CaldO

Consonanze: taNTa-seNTe;suLLe-spaLLe (interna)

Allitterazioni:- alveolari / s / , / n / (stanchezza”)- dentale / t / (“stanchezza”)- gutturali / k / , / q / , / g / (“valore

positivo del caldo + stanchezza”)- spirante / f / (“senso di evasione”) /

me/-/mi/ (“posizione tolemaica del-l’IO”)

Connotazione 1 > Livelli iconico-metrico-ritmico-fonico

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Connotazione2 > Livello semantico-figurativo

NataleNapoli il 26 dicembre 1916

Non ho vogliadi TUFFARMIin un GOMITOLODI STRADE

Ho tantastanchezzasulle spalle

Lasciatemi cosìCOME UNACOSA posatain unangoloe dimenticata

Quinon si sentealtroche il caldo buono

Stocon le quattroCAPRIOLEDI FUMODEL FOCOLARE

G.Ungaretti

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TAVOLA 2

figure semantiche:TUFFARMI (metafora massima):- veicolo: mare- terreno o tratti comuni: densità, pericolo, pressione, ondeggiamento ecc.- tenore: folla >metonimia strade (connessione con altra metafora)GOMITOLO DI STRADE:- veicolo: gomitolo; tenore: strade- t.comune: strettezza,- intersezione ecc.- connotazione: pena, stanchezza, pericolo

COME UNA COSA (comparazione):ferite psichiche > disumanizzazionecaldo buono (umanizzazione - valore morale)

CAPRIOLE DI FUMO:- tenore: volute di fumo- veicolo: capriole- t.comune: moto circolare- connotazione: gioia spensieratezza, infanziasemantica del profondo:guerra in absentia- stanchezza, disumanizzazione (“cosa”)- ferite psichiche, desiderio dipace, di isolamento (“in un angolo, dimenticata”)e della spensieratezza infantile- caldo buono vs freddo della guerracfr. collegamento con livello fonico

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Paradigma metodologico di lettura poetica

Connotazione3> Livelli logico topologico-temporalesimbolico-archetipico ideologico-comunicativo

NataleNapoli il 26 dicembre 1916

Non ho vogliadi tuffarmiin un gomitolodi STRADE

Ho tantastanchezzasulle spalle

Lasciatemi cosìcome unacosa posatain unangoloe dimenticata

QUInon si sentealtroche il caldo buono

Stocon le quattrocaprioledi fumodel focolare

G. Ungaretti

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TAVOLA 3

LIVELLO LOGICO:antitesi tra strade - guerra - casa(e tra freddo e caldo) proiettata anche sul

LIVELLO TOPOLOGICO: ANTITESIES1 (spazio esterno 1) = strade =IN (spazio interno) = Qui (casa)ES2 (spazio esterno 2) = guerra

LIVELLO TEMPORALEE IDEOLOGICO-COMUNICATIVO

Tempo presente: (ho, sente, lasciatemi, Sto)

Passato prossimo ASSENTE (Rimozione del tempo della guerra)

Futuro: ASSENTE (guerra = nessuna prospettiva del futuro)

Allusione al Passato remoto:capriole (desiderio di ritornare alla spensieratezza dell’infanzia)

LIVELLO SIMBOLICO-ARCHETIPICO:opposizione tra acqua/tuffarmi (negativo) ecaldo/ fuoco / focolare (positivo)

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Paradigma metodologico di lettura poetica

Esempio di saggio critico sulla poesia in rapporto con i livelli analitici evidenziati

Nel testo della poesia Natale vengono attivati procedimenti di espansio-ne nella doppia prospettiva della diffusione figurale e della stratificazione se-mantica, contemporaneamente alle procedure di condensazione compositivarealizzata con l’eliminazione dei passaggi narrativi, e delle ipotizzabili battutedi dialogo (per esempio, viene sottaciuto l’invito dell’interlocutore-amico Ghe-rardo Marone - che ospita nella sua casa napoletana il poeta in occasione di unabreve licenza dalla guerra combattuta da Ungaretti sul Carso - a uscire nellestrade di Napoli), per raggiungere la massima concentrazione degli elementiemotivamente e poeticamente più intensi, che appaiono quasi come punte del-l’iceberg psichico. La sintesi espressiva, inoltre, è fortemente evidenziata, percontrasto, dalla testura iconica e dallo sgocciolio metrico dei versi mono e bisil-labi e dalla disarticolazione sintattica dell’articolo diviso dal nome (“come una/cosa”, “in un/ angolo”).

I processi di condensazione e di diffusione che potrebbero apparire diver-genti, in realtà, costituiscono le due facce, interconnesse e inseparabili, dell’opera-zione poetica ungarettiana, che obbedisce alla logica della economicità dei mezzi edell’ottimizzazione dei risultati nel campo espressivo, per cui al massimo di conci-sione linguistica corrisponde il massimo di dilatazione del senso.

L’espansione figurativa, incentrata soprattutto nella prima strofa, derivadall’intersezione (ed interazione) delle due metafore: “gomitolo di strade” (metaforaprepositiva i cui tratti comuni al veicolo e al tenore sono rappresentati dal groviglio,dall’intersecazione, dall’arrotolamento delle strade-fili) e “tuffarmi” (metafora ver-bale massima che presenta, in restrizione metonimica, solo il veicolo, o metaforizzante:l’acqua o il mare, mentre il tenore, o metaforizzato,20 ossia il referente reale: la folla, sidesume solo in connessione con la prima realizzazione metaforica, in quanto è ri-chiamato - ancora in modo dissimulato, per la metonimia di “strade” - e convogliatoa sotterraneo compimento della metafora “tuffarmi”) per cui le caratteristiche del-l’elemento acquatico (la densità, la pericolosità, la pluralità dei componenti-gocce,l’ondeggiamento, la peculiarità di circondare, premere, travolgere, sommergere ecc.,che connotano il senso dell’ insicurezza, del pericolo, del rischio) vengono attribuitealla folla che circola nell’aggrovigliata matassa dei vicoli di Napoli.21

20 Sui concetti di metaforizzante e metaforizzato, cfr. A. HENRY, Metonimia e metafora..., cit., p. 101 e segg.21 Secondo il modello di Henry, le metafore “tuffarmi” e “gomitolo di strade” potrebbero essere ricostruite

nel seguente modo:

Metafora ad 1 termine: acqua efolla si ricavano per deduzionemetonimica da “tuffarmi” e da “strade”

Metafora a 2 termini

tuffarmi (passeggiare)

(acqua) (folla)

gomitolo strade

(groviglio) (intersezione)

=

=

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La stratificazione semantica si rapporta al motivo della guerra in absentia: laguerra, mai nominata, è tuttavia il tema ossessivamente presente a livello profondo,in sottotraccia memoriale (e, si direbbe, biologica, oltre che psichica); essa è latente,quasi rimossa, ma le sue ferite e le sue emergenze si evidenziano attraverso la seriefigurativa e locutiva:

1)”Ho tanta /stanchezza /sulle spalle” rivela il peso psicologico, ma anchequasi fisico, della guerra (la depressione dell’animo e la prostrazione del corpo), cheha il correlativo fonico nella sequenza allitterativa della dentale /t/ e della sibilantesorda /s/ ;

2)”Lasciatemi COsì /COme una /COsa /posata /in un /anGOlo /e dimen-tiCata” fa affiorare l’estrema sensibilizzazione emotiva, le profonde ferite psichi-che del conflitto subite dall’io lirico che è spinto in una spirale regressiva: quasi ildesiderio della perdità della propria identità umana nella disumanizzazione del-l’oggetto, nella chiusura spaziale (“in un angolo”) e psichica (“dimenticata”), nellaspirale di depressione, correlata alla frantumazione metrica e all’inceppamento rit-mico, quasi un balbettìo di stanchezza, e alla serie allitterativa delle dure gutturali /k/ e /g/ (oltre che alla deriva della dentale /t/ e della sibilante sorda /s/) e all’effettoeco ed alla rima: “cOSA pOSATA dimenticATA”; tuttavia, nella serie fonica e se-mantica si insinua anche la vibrazione positiva del calore domestico che si manife-sta appieno nella quarta e nella quinta strofa;

3) “Qui / non si sente / altro / che il caldo buono” in cui il deittico “qui”sotterraneamente rinvia al là della guerra, ed “il caldo buono”, correlativamente,allude in filigrana al freddo ‘cattivo’ (fisico e psichico) della vita in trincea;

4) “Sto / con le quattro / capriole / di fumo / del focolare”: la bellissimametafora prepositiva connota la spensieratezza, la gioia, i giochi dei bambini, o leevoluzioni dei giocolieri o dei clowns -assimilabili o riferibili al mondo infantile- incontrapposizione agli atroci ‘giochi’ della guerra.

Lo sciame fonico delle gutturali: /k/ e /q/ (a cui si aggiunge la sorda spirante/f/ che suggerisce il movimento di liberazione o di evasione) si diffonde, dalla terzastrofa, rivelando specularmente gli aspetti positivi del caldo e del focolare che, tut-tavia, come si è detto, sono il rovescio allusivo del freddo e della guerra, di modoche i fenomeni allitterativi più rilevanti sono collegati al tema già individuato dellastanchezza e a quello connesso del caldo, figura rovesciata del freddo.

La staticità della situazione evidenziata dalla poesia è rappresentabile (utiliz-zando lo schema del Lotman relativo ai rapporti spaziali) con la chiusura in IN(nello spazio interno, protetto, nel caldo nido della casa) del soggetto lirico, che simanifesta con l’assoluta incapacità o volontà di uscire all’esterno (ES1: le strade diNapoli, la gente); ma c’è un altro spazio esterno (ES2) che - emotivamente esotterraneamente - viene proiettato sul primo, non nominato, come si è detto, macostantemente presente a livello profondo: quello della guerra da cui il soggettolirico rifugge in modo totale, che viene allontanato e, forse, rimosso, da cui cercal’evasione all’interno della casa, della psiche.

In realtà il desiderio di non avventurarsi nello spazio ES1 nasconde e raffigu-

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22 È da segnalare che i tre spazi sono correlati anche con i nessi omofonici: “così – qui, posATA -dimenticATA” (IN), “focolArE” (IN) “strAdE” (ES1), l’omoteleuto “angOLO” (IN) – “gomitOLO” (ES1),“stanchezza suLLE spaLLE” (eredità della guerra ‡ ES2), “tanTa” (ES2) - “senTe” (IN).

ra quello ben più profondo, ed allontanato ai margini della coscienza, di esserelontano dalla guerra; tra i due spazi ES (1 e 2) si stabilisce un rapporto di trasposizionefigurale: in opposizione allo spazio interno che si collega al caldo, alla sicurezza eall’amicizia, lo spazio esterno viene connotato come freddo e nemico.22

Tale situazione si proietta a livello logico nell’antitesi tra la casa, le strade (e laguerra) e a livello simbolico-archetipico nell’opposizione tra il negativo dell’archetipodell’acqua (insinuato dalla metafora “tuffarmi”) e il positivo del fuoco (“il caldobuono”, il “focolare”).

Lo scambio topologico si realizza anche sul piano dei rapporti temporali, egual-mente visualizzati nello schema grafico: la poesia è rigorosamente coniugata al pre-sente, manca qualunque riferimento esplicito al passato prossimo ed al futuro, che siidentificano evocando la stessa situazione di guerra, con la sola variante della lonta-nanza temporale; è solo possibile ipotizzare, al di là del latente passato prossimo, unafuga nel passato remoto dell’ infanzia, a cui si allude metaforicamente (“capriole”).

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Anche se (e proprio perché) gli effetti della guerra (stanchezza, depressioneemotiva) perdurano nell’io lirico nel presente della scrittura, è evidente in lui ildesiderio di dimenticare gli eventi del passato prossimo, quasi di rimuovere il trau-ma del tempo della guerra, nella proiezione metaforica nel passato remoto dellafanciullezza, dei giocosi e lievitati paradisi infantili.

Pertanto, sul piano ideologico-comunicativo la lettura della poesia (e dellealtre dedicate alla guerra) mostra chiaramente l’antibellicismo di Ungaretti (ancorapiù rimarchevole per l’iniziale interventismo), del quale è quasi superfluo sottoli-neare il valore di attualità, in assoluto contrasto con la glorificazione marinettiana(e dannunziana) della guerra.

È da notare, a livello di extratestualità culturale, la concordanza dell’atteggia-mento esistenziale del soldato evidenziato in Natale con le affermazioni di un acu-tissimo psicologo: Eugène Minkovsky il quale nel libro Il tempo vissuto,23 svilup-pando le intuizioni di un lavoro iniziato nel 1918 (e quindi nella stessa atmosferaculturale ed esistenziale dell’Allegria) ma mai pubblicato: Come viviamo il futuro(e non che cosa ne conosciamo), analizza l’atteggiamento del soldato (Kern24 parladi “fenomenologia della vita di trincea”) rispetto al futuro: il blocco dell’attività, ela mancanza di attese e di prospettive creative che si trasformano nell’aspettativacatastrofica della morte, nel senso di precarietà vitale, come è evidente in Soldati:“Si sta come/ d’autunno/ sugli alberi/ le foglie” .

Per attuare l’operazione interpretativa, già avviata con i precedenti livelli,bisognerebbe valutare Natale all’interno del macrotesto25 dell’Allegria (conside-rando le poesie di guerra come una doppia partitura) e nell’intertesto dell’operaungarettiana (notando le differenze e le consonanze tematico-stilistiche con le com-posizioni del Sentimento del Tempo, e con quelle del Dolore segnate dalla crudeleirruzione della tragedia nell’ambito delle vicende personali del poeta: la morte delfiglio Antonietto, e collettive: gli eventi della seconda guerra mondiale, le deporta-zioni ecc.), con un’attenta disamina dei rapporti interstestuali interni.

È fruttuoso il raffronto tra le poesie dell’Allegria in cui la guerra appareinsinuata in absentia (come accade oltre che in Natale, in C’era una volta, inDormire ecc.) e quelle in cui la dichiarazione si fa esplicita, in cui il tema bellicoè coniugato in praesentia (come in San Martino del Carso, In dormiveglia, Sol-dati, Fratelli, Veglia ecc.).

In Natale e nelle altre poesie ‘allusive’, il grido contro la tragedia dellaguerra risulta implicito, sottotraccia, “un grido taciuto, un silenzio”, per dirlacon Pavese, ma non per questo perde la sua carica dirompente o appare menolancinante perché un elemento è messo maggiormente in luce proprio dalla sualatenza nello spazio del preconscio (e del testo).

23 Cfr. Eugène MINKOVSKY, Il tempo vissuto, Torino, Einaudi, 1971, p. 84 e segg.24 Cfr. Stephen KERN, Il tempo e lo spazio. La percezione del mondo tra otto e Novecento, Bologna, il

Mulino, pp. 117-140.25 Sui concetti di macrotestualità, intertestualità, interna ed esterna, ed extratestualità, si veda la nota 3.

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Paradigma metodologico di lettura poetica

La visione ungarettiana del mondo, rappresentabile secondo lo schema delquadrato logico-semantico elaborato da Greimas, si sviluppa coerentemente nel-le diverse opere del poeta. I quattro poli dell’Allegria, due sul versante positivo:pace e vita-amore, e due di segno negativo: guerra e morte, restano sostanzial-mente invariati nelle raccolte successive, con la sola (parziale) sostituzione dellavicenda soprapersonale della guerra (che, come si è già detto, appare nella primaopera come un elemento talvolta traumaticamente rimosso nella doppia paginadella coscienza e della scrittura) con il dissidio e la lacerazione interiori del pecca-to e del dolore dichiarati, per contrasto, nel modo più aperto ed esplicito.

Infine, per quanto riguarda la contestualizzazione storico-letteraria (ointertestualità esterna o extratestualità) e la valutazione critica, basti solo far cennoa D’Annunzio (in posizione contrastiva) e a Rebora, in particolare alla poesia Viatico,nel senso della concordanza ideologica ed anche formale, per cui le modalitàstilistiche, le emergenze espressionistiche26 e le istanze antibellicistiche, che si ritro-vano con la stessa carica nei due poeti, contrassegnano la grande originalità e lavitalità estetica e, inoltre, la possibilità di dilatazione e di attualizzazione tematica,di riconducibilità agli eventi del tempo presente, delle loro composizioni.

La rivoluzione linguistica e poetica dell’Allegria è attuata con la fusione ol’innesto, o la collisione, appunto, della violenza espressionistica27 e dell’evocazio-ne simbolista: l’attenzione indirizzata agli oggetti, che subiscono una straordinaria

26 Sulla poetica e le operazioni dell’espressionismo visto nella globalità delle manifestazioni e nel collega-mento delle diverse arti (letteratura, pittura, musica, teatro ecc.), cfr. Ladislao MITTNER, L’espressionismo, Bari,Laterza, 1965, pp. 153. Per quanto riguarda il rapporto tra l’io dell’artista e la realtà, è illuminante l’afferma-zione riferita all’espressionismo pittorico, ma estensibile alle altre arti, nella monografia di Jolanda NIGRO

COVRE, Espressionismo, Firenze, Giunti, 1997, p. 6: “Il termine espressionismo indica, innanzi tutto, la centralitàdel problema dell’espressione, ossia del “trarre fuori” gli elementi costitutivi del quadro dall’interiorità del-l’individuo. Questa urgenza di comunicazione, peraltro proporzionale alla difficoltà di comunicazione mani-festata dagli artisti, a un disagio esistenziale, a un rapporto conflittuale con la società contemporanea, è prioritariain tutti i centri dell’espressionismo, dove semmai è diversa l’impostazione del linguaggio e la traduzione instrutture formali”.

27 Sul piano dell’intertestualità interna dell’Allegria, è da rimarcare l’originalissima dialettica (e l’arditissimasintesi) tra l’esplosivo espressionismo, suscitato dalla disumanità della guerra (evidente in Veglia: “compagnomassacrato”, “bocca digrignata” “congestione delle sue mani”, e in quasi tutti i testi della raccolta), e il simbo-lismo e il folgorante balzo cosmico (di tante poesie tra cui La notte bella: “sono ubriaco/ d’universo” e Mat-tina: “M’illumino/ d’immenso”).

La distruttività della guerra e l’incombente presenza della morte sono collegate alle connotazioni negativedella durezza e della refrattarietà della pietra, caratteristiche dilatate al massimo dell’espressività (e dell’espres-sionismo) in Sono una creatura in cui anche il pianto appare prosciugato e la morte si paga con la dilungataagonia dell’esistenza.

L’espressionistica violenza della trama lessicale, l’innesto dissonante delle percussive figure di lacerazione(“feriscono / come fulmini”, la ‘blasfema preghiera’ di strazio e di ribellione fanno di Solitudine - con tutte lecautele dovute al passaggio dall’arte verbale a quella pittorica - l’equivalente del Grido del pittore EdvardMunch, precursore dell’Espressionismo.

È evidente che la situazione e la tragedia della guerra agiscono in Ungaretti come elementi catalizzatori e direalizzazione espressiva della visione e della poetica espressionistiche, così come accade anche per ClementeRebora. Pertanto, l’arte espressionistica fermenta, a livello più o meno consapevole, la ricerca e la rivoluzionepoetica dei due massimi poeti italiani del periodo della prima guerra mondiale.

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Luigi Paglia

deformazione o esasperazione figurativa, connesse alla violenza della partecipazio-ne emotiva ed esistenziale dell’esperienza del soggetto lirico, si lega al moto di espan-sione, diffusione, comunione (ed interrelazione) cosmica, con effetti di originalissi-ma dialettica, o interazione, tra microcosmo e macrocosmo, tra io ed oggetti, trafinito ed infinito, tra IN ed ES, e ciò rappresenta il segno distintivo, ed eccezionale,dell’operazione poetica ungarettiana nell’ambito della letteratura italiana del No-vecento.

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Sabina Stefania Samele

Le attività creditizie a Foggia: i debitidi Sabina Stefania Samele

1. Premessa

Questo studio si propone di focalizzare l’attenzione sulle principali attività eco-nomiche e creditizie realizzate nella città di Foggia relativamente al periodo 1841-1860.

Avvalendosi dei dati contenuti negli atti notarili1 e attraverso un pazientelavoro di classificazione quantitativa e qualitativa degli stessi (si calcola che com-plessivamente sono stati consultati più di 17.000 atti), questo studio intende perve-nire, per mezzo di un’analisi dettagliata delle fattispecie contrattuali più rappresen-tative, a delle conclusioni circa l’andamento degli affari, il movimento dei capitali,gli investimenti realizzati nel capoluogo dauno.

Le operazioni di riordino e classificazione degli atti notarili, basate su uncriterio che tiene conto dell’oggetto, del contenuto del documento, hanno consen-tito l’individuazione di novanta differenti fattispecie contrattuali.

Tra esse spiccano, per maggior numero di atti rogati, i debiti, gli affitti e lecompravendite, seguiti dagli appalti, dalle società e da una serie di atti minori, deiquali ci limiteremo ad indicarne le caratteristiche generali.

2. Struttura dell’indebitamento

Negli anni che vanno dal 1841 al 1860, piuttosto rilevante appare sulla piazzafoggiana l’importanza del credito nelle sue diverse forme, sia per la debolezza eco-nomica della maggior parte delle figure operanti nel settore primario e commercia-le, sia per la carenza di circolante che da diversi anni affliggeva quasi tutte le provin-ce del regno, complice una politica economica del governo borbonico volta al pro-tezionismo e all’isolamento commerciale.2

1 Le fonti documentarie utilizzate per questo studio sono costituite dagli atti dei notai, raccolti distinta-mente in repertori e protocolli, e conservati presso gli Archivi di Stato di Foggia e della sezione staccata diLucera. Gli atti dei notai sono una fonte essenziale per lo studio della “storia locale” del Mezzogiorno apartire dal XV secolo in poi. Si tratta di documenti il cui contenuto è assai diversificato: si va da transazionimercantili, contratti di compravendite e appalti a testamenti e capitoli matrimoniali. L’esame di questi con-tratti consente di studiare le forme e i rapporti di produzione, il paesaggio agrario, nonché le modalità cheregolavano la trasmissione delle ricchezze e la politica matrimoniale.

2 Ferdinando II, salito al trono alla fine del 1830, conformò il campo del commercio e dell’economia in

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Le attività creditizie a Foggia: i debiti

Il segnale tangibile di questa generale mancanza di mezzi di pagamento vaindividuato sia nell’eccezionale massa di circolazione fiduciaria che si ebbe in que-gli anni, sia nel diffondersi della pratica delle vendite a credito.

Ad avvalorare queste affermazioni di carattere teorico, intervengono sul pia-no pratico i dati contenuti nel grafico 1 e relativa alla struttura dell’indebitamentoin Capitanata tra il 1841 e il 1860.

L’entità del fenomeno appare subito evidente se si considera che su un totaledi 17.408 atti rogati nel periodo considerato, ben 6.162 hanno riguardato il ricorsoal credito nelle sue varie forme.

Questi valori ci consentono di pervenire ad una prima conclusione: tra lediverse fattispecie di atti notarili rogati sulla piazza foggiana nel periodo esaminato,le forme di indebitamento, complessivamente considerate, si collocano al primoposto con il 35% della produzione notarile complessiva.

Sempre dal grafico 1 si evince come nella cittadina dauna la struttura dell’in-debitamento assuma contorni ben precisi: nel 93% dei casi si parla di debiti in sensostretto, intendendo con ciò tutte quelle dilazioni di pagamento ottenute in occasio-ne di operazioni di compravendita, mentre, soltanto il 6% delle volte si è fattoricorso ai mutui. In posizione del tutto marginale si collocano le cambiali, le anti-cresi ed i titoli in genere.

La curva dell’indebitamento, raffigurata nel grafico 1, e relativa al periodo

Graf. 1.: Curva dell’indebitamento a Foggia dal 1840 al 1860.

generale a quelli che erano i principi ispiratori della sua politica: egli intendeva sottrarre il Regno delle DueSicilie al gioco della politica internazionale, lasciando che gli interessi economici dei Regno fossero subordi-nati esclusivamente al concetto di indipendenza, che in pratica significava isolamento. Cfr. L. Bianchini, Dellastoria delle finanze del Regno di Napoli, Palermo, Stamperia di Francesco Lao, 1839, p. 540.

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Sabina Stefania Samele

1841-1860, presenta un andamento sostanzialmente decrescente che si accentuasoprattutto in corrispondenza degli ultimi sei anni, e le cui cause vanno ricercate onell’incremento di ricchezza della popolazione foggiana o, molto probabilmente,in una diminuzione generalizzata degli affari dovuta al clima di instabilità econo-mica e di incertezza politica di quell’ultimo periodo.

Al proprio interno la curva è caratterizzata da forti irregolarità, determinatedall’alternarsi di fasi di espansione e contrazione dell’indebitamento: esso raggiun-ge valori massimi nel 1842 con 435 atti rogati e valori minimi nel 1860 con 127 atti.

3. I debiti

a) Natura dei debiti

I debiti, considerati finanziamenti a breve termine a cui si ricorreva per farfronte agli impegni correnti, assumono, tra le varie forme di prestito, un ruolo diprimo piano.

La loro diffusione è strettamente collegata alla pratica delle vendite a credito.Non più prerogativa del commercio dei prodotti della pastorizia, contrattati

principalmente nella Fiera di Maggio, le vendite a credito avevano trovato largadiffusione anche tra i prodotti dell’agricoltura e dell’artigianato, nonché tra le mer-canzie acquistate dai commercianti per soddisfare le esigenze di consumo della po-polazione locale.3

Inoltre, molti operatori agricoli della zona ricorrevano a questo tipo di ven-dita per acquistare gli attrezzi, le sementi, gli animali e quant’altro fosse necessarioper la conduzione delle loro masserie.4

La Tabella 4.3.1, riporta nel dettaglio l’insieme dei beni e delle spese il cuiacquisto e sostenimento ha determinato l’insorgere dei debiti tra il 1841 ed il 1860.

La voce più rilevante è rappresentata dai “prestiti di danaro” con 3.022 con-tratti stipulati, quasi la metà dell’intera produzione notarile relativa ai debiti.

Il carattere di indeterminatezza di questa voce non ci consente di risalire aimotivi che avevano determinato l’insorgere del debito impedendoci, per un buon50% dei casi, di stabilire e individuare un nesso di causalità tra gli indebitamenti egli investimenti realizzati in quel periodo.5

3 “Debito di ducati 180, prezzo di tanta quantità di generi ad uso di staccherie, per negoziarli e rivenderli[...]”, in A.S.F.G., Atti dei Notai, serie II, prot. n. 93, atto n. 68 del 15 giugno 1847.

4 Una parte consistente dei debiti contratti tra il 1841 ed il 1860 è stata generata dalle spese necessarie per laconduzione di masserie e di terreni. Un esempio è rappresentato dall’istrumento di debito rogato dal notaioBiondi Gaetano il 30 ottobre 1856: “Debito di ducati 600 contratto per preparare in queste terre della esten-sione di versure 28 la semina, per acquistare la semenza, per acquisto del vitto necessario agli animali e pertutte le altre spese di coltivazione, sino alla trebbiatura [...]”, in A.S.F.G., Atti dei Notai, serie II, prot. n. 587,atto n. 119 del 30 ottobre 1856.

5 La mancata specificazione dei motivi che avevano generato il debito si giustifica col fatto che, tutti iprestiti sono stati rilevati nei brevetti di debito. Infatti, come si è detto nella nota 1, gli atti dei notai venivano

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Le attività creditizie a Foggia: i debiti

Il ricorso al capitale di terzi per finanziare le proprie attività commerciali elavorative in genere, non era solo un “affare” tra privati.

Rapporti di debito sorgevano anche nei confronti di enti ed istituti aventinatura assistenziale, come la Reale Commissione di Sussidio.6

Essa operava soprattutto nell’ambito del prestito all’agricoltura, concedendofinanziamenti a tassi di interesse più agevolati rispetto a quelli praticati dai privati(generalmente i tassi di interesse non superavano la soglia del 6%). Dal canto loro ibeneficiari si impegnavano a non utilizzare queste somme per usi diversi da quellodella industria agraria.7

Tuttavia, non tutti i finanziamenti all’agricoltura venivano effettuati in danaro.Come testimoniano molti documenti, spesso l’oggetto del prestito era costi-

tuito direttamente da grano, da impiegare come semenza oppure da utilizzare perl’alimentazione animale o, ancora, per il “vitto dei garzoni”.

Il debitore si impegnava a restituire lo stesso quantitativo ricevuto, oppure ilprezzo equivalente, nell’anno successivo, alla data indicata nel contratto, tenendoconto dei prezzi di mercato del cereale in quello stesso giorno.8

Infine, un cenno va fatto anche ai debiti sorti in occasione dei ritardi interve-nuti nel pagamento di estagli o pigioni, e che nel nostro caso ammontano al 5% deltotale.

Al verificarsi di questo evento, laddove il contratto di affitto non ne prevede-va lo scioglimento immediato, il locatore poteva tutelarsi facendo stipulare un con-tratto di debito nel quale, una volta accertata la morosità del conduttore, quest’ul-timo si impegnava ad estinguere il debito alla scadenza ed alle condizioni previstenel nuovo atto.9

raccolti distintamente in repertori e protocolli. Tale separazione trovava il suo fondamento giuridico negliartt. 30 e 34 della “legge sul Notariato” n. 1767 del 23 novembre 1819. In virtù di queste disposizioni i reper-tori raccoglievano i “brevetti”, cioè tutti quegli atti di vendita, affitti, debiti, ricevute e quietanze il cui am-montare non superava i 100 ducati e fornivano unbreve sunto degli atti contenuti nei protocolli. Questi ulti-mi, viceversa, raccoglievano tutti gli istrumenti, ossia gli atti di vendita, debiti, mutui, affitti, testamenti, capi-toli matrimoniali rogati dal notaio nel corso di un anno, ed il cui ammontare superava i 100 ducati.

6 Tra le altre forme di credito all’agricoltura vi erano anche alcune istituzioni come i Monti Frumentari,banche sui generis, destinate a sussidiare la piccola coltura e ad incoraggiare l’agricoltura e il lavoro dellapiccola industria, e il “contratto alla voce”, tipica forma di finanziamento dei settori cerealicoli e olivicoli,estesa successivamente al commercio della lana.

7 “Il signor Buonfiglio dichiara di aver ricevuto dalla Commissione del Sussidio la somma di ducati 1.500 esi obbliga restituire tale somma alla fine di agosto 1842. Poiché questa somma è stata prestata al sol fine diacquistare sementi e per le spese di coltivi, il debitore promette di non farne altro uso e obbliga a beneficio didetta Commissione tutti i prodotti che si raccoglieranno dalle terre medesime nell’anno 1842 [...]”, in S.A.S.L.,Atti dei Notai, serie I, prot. n. 5389, atto n. 3 del 21 gennaio 1842.

8 Un esempio è dato dal brevetto di debito rogato dal notaio Nardella Antonio il 18 settembre 1842: “Ob-bligo per tomoli 17 di grano carosella, pagabili per il 22 luglio 1843 ai prezzi di aprile e maggio detta epoca,con l’obbligo sul seminato in misure due e mezzo ed arresto”, in A.S.F.G., Atti dei Notai, serie II, rep. n. 27,brevetto di debito del 18 settembre 1842.

9 “Debito di ducati 129 sorto per effetto di estagli arretrati relativi all’affitto di versure 12 e catene 11 di terreni,da pagarsi in moneta di argento effettiva e fuori carta monetata il 25 novembre 1841. In caso di inadempimentoil debitore ne vuole essere astretto non solo realmente, ma anche coll’arresto personale cui volontariamente siassoggetta (art. 1932 L.C.)”, in A.S.F.G., Atti dei Notai, serie II, prot. n. 87, atto n.278 del 16 ottobre 1841.

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b) Tempi di immobilizzo

Riconducibili nella quasi totalità dei casi alle operazioni di vendita a credito, idebiti consistevano in prestiti erogati alla clientela individuale in relazione a fabbisognifinanziari derivanti dall’acquisizione di beni di consumo o beni di uso durevole.

Il prestito poteva essere effettuato direttamente dal venditore sotto forma didilazione di pagamento o di pagamento posticipato, a seconda che l’estinzione av-venisse in più rate distribuite nel tempo, o in un unica soluzione a scadenza fissa;oppure poteva essere effettuato da terzi estranei al rapporto di compravendita.

In entrambi i casi, la brevità dei tempi entro i quali doveva avvenire la restitu-zione del danaro, conferiva a questi prestiti il carattere di finanziamenti a brevetermine.

La Tabella 4.3.2 relativa ai tempi di immobilizzo dei capitali dati a prestito,ripartisce tutti gli istrumenti e i brevetti di debito rogati a Foggia tra il 1841 ed il1860 in base alla scadenza, così come riportata nei documenti esaminati.

La stragrande maggioranza di essi, 2.653 atti, prevedeva che la restituzionedel danaro avvenisse dopo un anno dal momento della concessione del prestito,mentre in 1.921 casi la estinzione del debito era fissata a distanza di qualche mese.

Complessivamente, nell’80% dei contratti di debito, il termine pattuito perla restituzione delle somme prestate non superava i dodici mesi.

Scadenze in qualche modo vincolate erano quelle legate ai debiti sorti in oc-casione della “sostituzione militare”10 e quelle connesse con le spese per l’industriaagraria e la vendita del grano.

Nel primo caso il compenso derivante dalla sostituzione andava corrispostonon oltre i dodici mesi dal termine del servizio di Leva, dedotta la somma versata atitolo di anticipo.

Nel secondo caso, invece, sia che la restituzione del prestito dovesse avvenirein danaro, sia che dovesse avvenire in grano, la scadenza veniva fatta coincideregeneralmente con la fine delle operazioni di raccolta del cereale, dell’anno successi-vo a quello in cui era stato contratto il debito.11

Decisamente inferiore è, invece, il numero degli atti con scadenza superioreall’anno: si passa dalle poche centinaia di debiti da estinguere nel termine di due etre anni, ad un numero via via decrescente di atti con scadenza superiore ai quattro,

10 Con questa formula si indicano tutti quegli atti in virtù dei quali un soggetto si impegnava volontaria-mente a prestare il proprio servizio nei Reali Eserciti in sostituzione di un altro individuo, dietro pagamentodi un compenso. Un esempio è rappresentato dal seguente istrumento di sostituzione militare, rogato dalnotaio Magrone: “Vincenzo Pizzo, capobuttaro di Potenza, volontariamente si obbliga servire nelle RealiTruppe al posto di Alfonso Santarelli di San Severo. Compenso di ducati 300, di cui ducati 50 pagati pronta-mente ed il saldo di ducati 250 dopo un anno dal servizio militare”, in A.S.F.G., Atti dei Notai, serie II, prot.n.722, atto del 9 gennaio 1860.

11 “Debito di ducati 271 e grana 80 da impiegare nella coltivazione della masseria Amendola. La soddisfa-zione dovrà farsi nel venturo ricolto dell’anno 1847, con tanti generi di grano [...]”, in A.S.F.G., Atti dei Notai,serie II, prot. n. 707, atto n. 695 del 7 dicembre 1846.

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Le attività creditizie a Foggia: i debiti

cinque anni, fino ad arrivare ad una o due unità all’anno per i debiti con scadenzasuperiore ai tredici anni.

c) Capitali impiegati nei debiti

Tra i vari aspetti esaminati, quello relativo ai capitali impiegati risulta essereil più interessante, al fine di analizzare i debiti sotto il profilo finanziario e stabilirein che modo essi abbiano inciso sulla economia della città.

La stessa classificazione effettuata per individuare la natura dei debiti,12 èstata mantenuta nella grafico 4, relativa ai capitali impiegati nei debiti dal 1841 al1860.

La voce più consistente è senza dubbio quella costituita dai prestiti, con349.348 ducati impiegati nel corso dei vent’anni esaminati, e che rappresenta il 40%dei capitali complessivamente investiti.

La indeterminatezza di questa voce, come già si è detto,13 è collegabile al fattoche tutti i prestiti sono stati rilevati nei brevetti di debito, dove si dava semplice-mente indicazione delle parti intervenute, della scadenza e della somma prestata,quasi sempre inferiore o al massimo pari ai 100 ducati, senza specificare i motivi cheavevano generato il prestito.

Al secondo e terzo posto per entità di capitali impiegati, si collocano i debiticontratti per l’acquisto di semenzati vari e quelli per il sostenimento delle speserelative alla industria agraria, rispettivamente con 96.869 e 82.772 ducati.

Seguono i debiti sorti per l’acquisto di grano, avena e altri cereali con 50.559ducati, e quelli derivanti da sentenze del Tribunale di Commercio o del TribunaleCivile di Capitanata,14 ammontanti complessivamente a 46.595 ducati.

Nel complesso, la parte più consistente dei debiti è sorta in relazione al fi-nanziamento delle spese collegate allo svolgimento della principale attività dellaprovincia, vale a dire l’agricoltura, ed in particolare della cerealicoltura.

La distribuzione annua dei capitali immobilizzati nei debiti, come rappre-sentata dal grafico 4, di seguito riportato, mostra un’equa ripartizione tra periodi aforte indebitamento e periodi caratterizzati da un basso ricorso al capitale di terzi.

L’andamento ciclico assunto dalla curva dei debiti contratti tra il 1841 e il1860, è determinato dall’alternarsi di fasi di forte espansione della posizione debitoria,che raggiunge il culmine nel 1849 con 59.924 ducati, e momenti in cui l’esistenza dicircolante riduce al minimo il ricorso al capitale altrui, come dimostrano i 26.166ducati di debiti contratti nel 1857.

12 Vedi Tabella 4.3.1.13 Vedi nota 5.14 “Il signor Mongelli accetta col presente atto la sentenza del Tribunale Civile di Capitanata, in virtù della

quale è tenuto a pagare ducati 4.998 e grana 25, comprensivo di un residuo debito di ducati 3.791 e grana 52,danni ed interessi per ducati 557 e grana 1, spese del giudizio ducati 603 e grana 43 e compenso di avvocato,per un ammontare complessivo di ducati 4.998 e grana 25 [...]”, in A.S.F.G., Atti dei Notai, serie II, prot. n.701, atto n. 135 del 29 marzo 1841).

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Eccezion fatta per il 1848, anno particolarmente difficile dal punto di vistastorico ed economico, il periodo 1847-1851 ed il triennio 1858-1860, rappresenta-no gli unici due momenti in cui l’ammontare dei debiti si mantiene a livelli più omeno stabili, con valori superiori a 50.000 ducati nel primo caso e valori intorno ai40.000 ducati nel secondo caso.

Nei rimanenti periodi la fase ciclica è piuttosto accentuata, come dimostra ilgrafico stesso, con valori che si differenziano notevolmente da un anno all’altro,con scarti che spesso toccano i 10.000 o 20.000 ducati.

d) Tassi di interesse

Strettamente collegato con la contrazione dei debiti e con la conseguenteloro estinzione, appare il problema relativo agli interessi da corrispondere alcreditore.

Distinti in interessi semplici e interessi di mora, a seconda che rappresentas-sero un compenso dovuto al creditore per essersi privato temporaneamente di unasomma di danaro, o semplicemente una garanzia per tutelarlo in caso di ritardatopagamento del debitore, la loro corresponsione doveva essere espressamente previ-sta nell’istrumento o nel brevetto di debito.

L’89% dei contratti di debito da noi esaminati prevedeva il pagamento diinteressi.

Nella maggior parte dei casi si tratta di interessi semplici da corrispondersi su

Graf. 4: Capitali impiegati nei debiti a Foggia tra il 1841 e il 1860. Valori espressi in ducati

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Le attività creditizie a Foggia: i debiti

tutta la somma o solo su una parte di essa,15 mentre nei restanti casi si tratta diinteressi di mora.

Non mancano, tuttavia, contratti nei quali le parti prevedevano la correspon-sione di entrambi gli interessi, ovviamente con decorrenza e percentuali diverse,come si può leggere nell’istrumento di debito rogato dal notaio Biondi Gaetano il 4marzo 185016.

Le percentuali applicate agli interessi semplici oscillavano da un minimo del2 ad un massimo del 12%, con una netta prevalenza dei tassi del 10%, riscontrati in427 casi su un totale di 666 contratti in cui le parti avevano previsto la corresponsionedi questo compenso.

Gli interessi di mora, invece, erano generalmente fissati nella misura dell’8-10 %.

Il grafico 5, oltre ad indicare dettagliatamente i tassi applicati nel corso deiventi anni da noi esaminati, mette in luce un altro aspetto particolare degli interessi:non necessariamente la corresponsione di questi doveva avvenire in danaro, comedimostra il brevetto di debito rogato dal notaio Biondi nel mese di ottobre del1842.17

Infatti, le parti di comune accordo potevano stabilire che, nel caso in cui ildebito dovesse essere estinto con la consegna di un certo quantitativo di grano,anche gli interessi andavano corrisposti in grano, fissando alla stipulazione dell’at-to, le misure in tomoli da consegnarsi a questo titolo.

e) Garanzie a favore del creditore

Affinché ciascuna delle parti intervenute nel contratto potesse essere tutelatacontro le inadempienze dell’uno o dell’altro contraente, gli istrumenti di debito,come quelli di affitto e di compravendita, di cui si tratterà in seguito, prevedevanouna serie di garanzie il cui fondamento giuridico andava individuato nel codicedelle Leggi Civili.

Di fronte alla impossibilità sopravvenuta del debitore di adempiere regolar-mente alle obbligazioni assunte, la legge riconosceva al creditore una serie di azioniesecutive dirette ad assicurarne l’adempimento.

Esse potevano interessare sia la sfera personale del debitore, sia quellapatrimoniale.

15 Spesso, quando l’estinzione del debito veniva ripartita in più rate, gli interessi applicati erano del tiposcalare, ossia man mano che il debito si riduceva per effetto del pagamento della rata, anche gli interessidiminuivano, in quanto applicati sulla somma residuale da pagare.

16 “Debito di ducati 300 per altrettanti ricevuti in moneta di argento. Il debitore si impegna pagare talesomma nel seguente modo: ducati 100 ad ogni ordine e richiesta della creditrice, ducati 200 a fine novembre1852 con l’interesse scalare dell’8 per cento annuo. Non pagando il debitore dovrà corrispondere l’interessedel 9 per cento”, in A.S.F.G., Atti dei Notai, serie II, prot. n. 581, atto n. 35 del 4 marzo 1850.

17 “Debito di tomoli 40 di grano carosella restituibile per il 15 agosto 1843 con l’interesse di misure 3 atomolo”, in A.S.F.G., Atti dei Notai, serie II, rep. n. 25, brevetto di debito del 20 ottobre 1842.

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Cominceremo a parlare di queste garanzie partendo dal cosiddetto “pattorisolutivo”.

Questa clausola, introdotta principalmente in tutti quei contratti con paga-mento dilazionato, consentiva al creditore di risolvere la dilazione e ottenere laestinzione del debito in un unica soluzione18 nel caso in cui il debitore avesse man-cato al pagamento di un certo numero di rate indicate nell’atto.

Il fondamento giuridico di questo “patto” andava individuato nell’articolo1093 delle Leggi Civili, relativo alla costituzione in mora del debitore.19

Nel caso in cui il debito fosse stato contratto per l’acquisto di mezzi neces-sari alla gestione e allo sviluppo dell’industria agraria, a garantire il buon esitodell’operazione, e quindi la possibilità per il creditore di rientrare in possesso delproprio danaro, intervenivano gli articoli 1943 e seguenti, e gli articoli 1971 e1972 delle Leggi Civili, che regolavano rispettivamente le due figure del pegno edel privilegio.

Il pegno, come il privilegio, nasceva unicamente dalla legge, la quale repu-tava determinati crediti degni, per la loro natura, di un particolare trattamento difavore.20

Il pegno attribuiva al creditore, in caso di inadempimento, la facoltà di espro-priare la cosa, anche se passata in proprietà di terzi, per soddisfare il proprio creditoa preferenza di altri creditori.

Oggetto del pegno potevano essere i beni mobili, le universalità di mobili, icrediti ed altri diritti aventi per oggetto beni mobili. Nel nostro caso, il pegno veni-va costituito prevalentemente sugli animali esistenti nelle masserie, e solo in casisporadici sui mezzi ed attrezzi in essa esistenti.21

18 “Il signor Chimenti è puro debitore di ducati 2.865 del signor Cialenti. Il debitore promette di pagare talesomma in rate uguali di ducati 400, pagabili in due volte in ciascun anno. [...] In caso di mancato pagamento siain tutto, sia in parte la dilazione concessa viene annullata (art. 1093 L.C.)”, in S.A.L.S., Atti dei Notai, serie I,prot. n. 5388, atto n. 112 del 14 dicembre 1841.

19 Art. 1093: “Il debitore è costituito in mora tanto colla intimazione o altro atto equivalente, quanto invirtù della convenzione, allorché essa stabilisce che il debitore sarà in mora per la sola scadenza del terminesenza necessità di alcun fatto”, in Codice per lo Regno delle Due Sicilie, Napoli, Stamperia Reale, 1833, 3 voll.:vol. III, Leggi Civili.

20 Nota 1. Le fonti documentarie utilizzate per questo studio sono costituite dagli atti dei notai, raccoltidistintamente in repertori e protocolli, e conservati presso gli Archivi di Stato di Foggia e della sezione stac-cata di Lucera. Gli atti dei notai sono una fonte essenziale per lo studio della “storia locale” del Mezzogiornoa partire dal XV secolo in poi. Si tratta di documenti il cui contenuto è assai diversificato: si va da transazionimercantili, contratti di compravendite e appalti a testamenti e capitoli matrimoniali. L’esame di questi con-tratti consente di studiare le forme e i rapporti di produzione, il paesaggio agrario, nonché le modalità cheregolavano la trasmissione delle ricchezze e la politica matrimoniale. Art. 1943: “Il pegno conferisce al creditoreil diritto di farsi pagare sulle cose pegnorate, con privilegio e prelazione agli altri creditori”; art. 1946: “In ognicaso il privilegio non sussiste sul pegno se non in quanto lo stesso pegno sia stato consegnato e sia rimasto inpotere del creditore”, in Codice per lo Regno delle Due Sicilie…, cit

21 Nell’istrumento di debito rogato dal notaio Campanella Antonio il 27 ottobre 1849, il debitore si impe-gna a concedere in pegno 60 buoi aratori, onde garantire l’esatto adempimento dell’obbligazione, in A.S.F.G.,Atti dei Notai, serie II, prot. n. 95, atto n.88 del 27 ottobre 1849.

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Le attività creditizie a Foggia: i debiti

22 “Debito di ducati 1.317, di cui ducati 817 in moneta contante, tomola 500 di avena per prezzo di ducati500. Il debitore si impegna restituire i ducati 1.317, oltre all’interesse del 10 per cento, decorrente da oggi finoalla soddisfazione in moneta di argento effettivo, fuori banco, per il 25 maggio 1849. [...] Poiché il debito fucontratto per pagare i lavoratori di due masserie, oltre che per somministrare il vitto a 77 buoi, il debitoreoffre in garanzia del creditore il prodotto recolligendo delle due masserie, per cui il creditore avrà privilegio eprelazione ai sensi dell’articolo 1971 delle Leggi Civili [...]”, in A.S.F.G., Atti dei Notai, serie II, prot. n. 95,atto n. 7 del 2 marzo 1849.

23 Art. 1971: “I crediti privilegiati sopra determinati mobili sono i seguenti: le pigioni ed i fitti degli immobili,sopra i frutti raccolti nell’anno e sopra il valore di tutto ciò che serve a guarnire la cosa, o ad istruire il fondolocato, e di tutto ciò che serve alla coltivazione dei fondi [...]”; art. 1972: “I creditori privilegiati sopra gli immo-bili sono come siegue. 1° Il venditore sull’immobile venduto, pel pagamento del prezzo. Se vi sono più venditesuccessive il prezzo delle quali sia dovuto in tutto o in parte il primo venditore è preferito al secondo, il secondoal terzo, e così successivamente. 2° Quelli che hanno somministrato danaro per l’acquisto di immobili purché siacomprovato autenticamente coll’atto dell’imprestito, che la somma era destinata a tale impiego, e che il paga-mento del prezzo sia stato fatto col danaro dato a prestanza [...]”, in Codice per lo Regno.., cit.

24 “Le parti Schinco e Normanno si dichiarano debitori solidali del signor Stanziano per ducati 279 perl’acquisto di grano duro, orzo, avena, per la semina dei propri terreni. I debitori si obbligano restituire lasomma in moneta di argento effettiva, fuori Banco, il giorno 5 luglio 1842. [... ] A garanzia di tale debito, isignori Normanno e Schinco concedono al creditore il privilegio di effettuare il raccolto dei medesimi terreniper la cui semina il debito è stato contratto. Inoltre i debitori sottopongono a beneficio del creditore adipoteca convenzionale l’utile dominio delle medesime versure”, in S.A.L.S., Atti dei Notai, serie I, prot. n.5388, atto n. 97 del 6 ottobre 1841.

25 Art. 1931: “L’arresto personale nelle materie civili non potrà aver luogo se non quando sia convenuto trale parti, ordinato, o permesso dalla legge”; art. 1932: “L’arresto personale potrà convenirsi per qualunquedebito e tra qualsivoglia persone, fuorché tra ascendenti e discendenti, tra fratelli e sorelle, tra zii e nipoti, e traconiugi non potrà convenirsi a danno della donna”; art. 1933: “Esso nondimeno non potrà eseguirsi persomma minore di ducati venti, tranne il caso che il debito dipenda da affitto di podere, sia rustico, sia urbano”,in Codice per lo Regno…, cit.

26 “Il signor Rossi promette di soddisfare il di lui creditore signor Ventura della somma di ducati 204 disorta principale e ducati 18 e grana 55 di spese ed interessi finora scaduti, nel seguente modo: ducati 102 ilgiorno 18 maggio 1843, oltre ai ducati 18 e grana 55 per spese ed interessi, e l’altra metà di sorta principaleducati 102 nel giorno 18 maggio 1844 [...] Mancando al pagamento della prima danda la dilazione si ritieneabbreviata. In ogni caso di inadempimento il signor Rossi ne vuole essere astretto anche con arresto personaleai sensi degli articoli 1932 e 1933 delle Leggi Civili”, in A.S.F.G., Atti dei Notai, serie II, prot. n. 701, atto n.669 del 18 dicembre 1841.

Anche il privilegio, al pari del pegno, assicurava a certi creditori una prelazione,ossia attribuiva loro il diritto di soddisfarsi a preferenza degli altri creditori ed even-tualmente anche col totale sacrificio di questi ultimi.22

L’elencazione dei crediti e dei creditori privilegiati aveva carattere tassativo,essendo regolata dettagliatamente dagli articoli 1971 e 1972 delle Leggi Civili.23

Gli istrumenti di debito offrivano al creditore una duplice tutela, costituitadal fatto che nella maggior parte dei casi prevedeva l’esistenza sia del pegno che delprivilegio, oppure semplicemente dell’una o dell’altra garanzia unitamente all’ipo-teca su una serie di beni immobili del debitore, o dei suoi garanti.24

Accanto alle garanzie reali, ossia costituite sopra i beni mobili o immobili deldebitore, la legge riconosceva anche l’esistenza di una serie di garanzie personali.

Tra queste assumeva particolare rilevanza, per le conseguenze che avrebbe ri-portato nella sfera dei diritti del debitore, quella prevista dagli articoli 1931 e seguentidelle Leggi Civili,25 in virtù dei quali il debitore, in caso di mancato pagamento, siassoggettava volontariamente all’arresto personale della propria persona.26

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Sabina Stefania Samele

f) Casi particolari: le cessioni in solutum

Tra le modalità con le quali si potevano estinguere i debiti, oltre al pagamen-to in danaro ed alla cessione di crediti bisogna annoverare anche le cosiddette“cessioni in solutum”.

Al sopraggiungere del termine fissato dalle parti per la restituzione del pre-stito, il debitore, qualora non avesse avuto a disposizione il danaro sufficiente perfarlo, poteva comunque procedere alla estinzione del debito attraverso la cessionedi uno o più beni di sua proprietà.

Il valore del bene ceduto raramente coincideva con il debito da estinguere,pertanto l’atto con il quale il notaio ufficializzava la cessione, oltre a contenere iltrasferimento di proprietà del bene dal debitore al creditore, fissava anche il termi-ne e le modalità per la estinzione dell’eventuale residuo debito.27

Dalla lettura della Tabella 4.3.6, nella quale sono elencati tutti i beni che sonostati oggetto delle cessioni in solutum nel periodo 1841-1860, risulta piuttosto evi-dente che tra i beni ceduti la stragrande maggioranza è rappresentata da case. Connotevole distacco seguono poi fondi urbani, sottani, mobili e terreni.

Trattandosi prevalentemente di beni immobili, le parti, in alcuni casi, inseri-vano nel contratto di cessione il “ patto di ricompra”,28 onde consentire al debitoredi ritornare in possesso di quei beni dei quali aveva dovuto cedere la proprietà, acausa della mancanza di mezzi finanziari sufficienti ad estinguere il debito.29

g) Casi particolari: le anticresi

I contratti di anticresi, al pari delle cessioni in solutum, avevano come obiet-tivo quello di garantire l’adempimento del debitore in relazione alla obbligazioneassunta, consistente nel pagamento della somma capitale e degli interessi su di essamaturati.

27 “Il signor Bario risulta essere debitore del signor Nigri di ducati 700 che si era impegnato a pagare concambiali. Ma alla scadenza le cambiali sono state protestate. Allora il signor Bario per estinguere il suo debitocede al signor Nigri alcuni suoi oggetti, ovvero: dieci armadi di noce, tre vetrine, cinque tavolini, candelieri,due casse di noce ed altro per un valore complessivo di ducati 310; e per i restanti ducati 390 si impegna ilsignor Bario pagarli nel giro di due anni a rate mensili, con ciascuna rata di ducati 16 e grana 25 senza alcuninteresse, in moneta di argento effettivo”, in A.S.F.G., Atti dei Notai, serie II, prot. n. 703, atto n. 873 del 12dicembre 1842.

28 In molti casi gli atti di compravendita, relativi sia ai beni mobili che ai beni immobili, erano caratterizzatidall’inserimento, all’interno del contratto, di un’apposita clausola che consentiva l’esercizio del cosiddetto“patto di ricompera”, la cui disciplina era regolata dall’articolo 1519 delle Leggi Civili. Detto articolo preve-deva la possibilità per il venditore di riacquistare il bene precedentemente ceduto, attraverso la restituzionedel prezzo. Tale diritto’ andava esercitato entro una data specifica, indicata espressamente nell’atto di vendita.Il mancato esercizio entro detto termine, che poteva andare da qualche mese fino a 4-5 anni, avrebbe compor-tato la perdita irrevocabile della proprietà da parte dell’originario venditore

29“Vendita in solutum di un sottano e soprano per estinguere un debito di ducati 70. Il prezzo della cessionesarà fissato dai periti, ma non può eccedere i ducati 100. Il debitore può esercitare la ricompra dei fondacientro il 15 aprile 1847 mediante la restituzione dei ducati 70. In caso contrario, il creditore acquisteràdefinitivamente la proprietà dei beni pagando prontamente la differenza tra il valore di perizia e il debito diducati 70”, in A.S.F.G., Atti dei Notai, serie II, prot. n. 702, atto n. 316 del 25 maggio 1842.

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Le attività creditizie a Foggia: i debiti

Gli elementi che differenziano questi due contratti sono sostanzialmente ri-conducibili al trasferimento della proprietà ed al momento in cui si stipulava il con-tratto.

Con riferimento al primo punto, mentre la cessione in solutum comportava iltrasferimento di proprietà del bene dal debitore al creditore, sia pure con la possibi-lità di rientrarne in possesso qualora il contratto avesse previsto il “patto diricompra”, viceversa con il contratto anticretico il creditore poteva unicamentegodere dei frutti derivanti dall’immobile, in escomputo del capitale a lui dovuto edegli interessi su di esso maturati.30

Il secondo punto riguarda, invece, il momento a partire dal quale il benerientrava nella sfera di godimento del creditore.

Mentre nella cessione in solutum il bene veniva ceduto solo nel momento incui si accertava oggettivamente l’impossibilità sopravvenuta del debitore di adem-piere alla propria obbligazione, e quindi il contratto veniva stipulato in un temposuccessivo a quello in cui si costituiva il debito, viceversa nell’anticresi il bene veni-va ceduto in godimento a partire dal momento stesso in cui sorgeva il debito, tant’èche non si stipulavano due contratti separati, quello di debito e quello di anticresi,bensì un unico atto che andava sotto il nome di “istrumento di anticresi”.31

30 Art. 1955: “L’anticresi non si stabilisce senza sentenza. Il creditore in virtù di questo contratto non acqui-sta altro che la facoltà di raccogliere i frutti dell’immobile, coll’obbligo di imputargli annualmente a scontodegli interessi, se gli sono dovuti, e quindi del capitale del suo credito”, in Codice per lo Regno…, cit.

31 “Il signor Di Bari ha ricevuto a titolo di prestito dalla signora Santeramo la somma di ducati 100 inmoneta di argento effettivo, la quale somma il debitore si obbliga restituire in altrettante monete di argentoper il giorno 16 giugno 1845. Per maggior sicurezza della predetta somma il signor Di Bari cede in anticresi aprò della sua creditrice una camera per la durata del prestito. Per effetto del contratto anticretico la creditricegodrà i frutti provenienti da questa casa o fittandola, o abitandoci essa stessa. Per maggior cautela della signo-ra Santeramo si assoggetta a speciale ipoteca la casa suddetta”, in A.S.F.G., Atti dei Notai, serie II, prot. n. 89,atto n. 177 del 17 giugno 1843.

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Le compagne del 23 marzo 1950a San Severo

Maria Teresa Santelli

Gli anni cinquanta hanno il sapore della mia infanzia in un paese dalle fortipassioni, San Severo. Un paese dell’Italia meridionale che non ama mostrare il voltodella rassegnazione.

Il suo è un passato di lotte e giuste rivendicazioni.Dal 1864 al 1883 è tutto un fiorire di Società di Mutuo Soccorso e Cooperati-

ve,1 che, poi, confluiscono nel Fascio Operaio e, quindi, nel movimento socialista.Le idee circolano e camminano sulla carta stampata.I settimanali sono tanti e molti i lettori, se si considera l’alto tasso di analfabe-

tismo: nel 1896 del «Mefistofele», voce del partito socialista, si vendono 400 copie.2È un aprirsi alle nuove ideologie non solo per difendere i lavoratori salariati ma

anche (come nell’articolo Sano Socialismo del 25 settembre 1892 su «Il Fascio», vocedel Fascio Operaio)3 per combattere “ogni specie di sfruttamento e di oppressionesieno essi diretti contro un partito, una classe, un sesso. A base di queste massime ilpartito socialista domanda: 1. Diritto alle elezioni e votazioni, diritto uguale, univer-sale con votazione segreta per tutti i cittadini dell’età di 20 anni in più, senza distin-zione di sesso, per tutte le elezioni e votazioni […] 5. Abolizione di tutte le leggisubordinanti la donna all’uomo in rapporti pubblici ed in diritti civili”.4

Questa sensibilità per il mondo femminile diventa tangibile quando nel 1904,all’ottavo Congresso Nazionale Socialista di Bologna, delegata a parteciparvi è unadonna, Aristea Corvi. A lei, che vota l’ordine del giorno Labriola, sono diretti fortiapplausi come riportato in «La Bandiera Socialista» del 17 aprile 1904.5

Il fervore di idee e di iniziative non conosce soste in questa terra dall’acre odoredi mosto e, quando a Livorno si forma il Partito Comunista, alcuni suoi figli vi aderi-scono con profonda convinzione. Ed è così che, nell’aprile del 1921, il I CongressoProvinciale Comunista si svolge a San Severo. Terra che ha ospitato il I e il III Congres-so Provinciale Socialista e visto, nel 1896, la partecipazione dello stesso Andrea Costa.6

1 A.S.F.G.., Sottoprefettura di San Severo, b. 400.2 Assunta FACCHINI-Raffaele IACOVINO, Leone Mucci,Cavallino di Lecce, Capone Editore, 1989, p. 37.3 Ibid., p. 31.4 «Il Fascio» del 25 settembre 1892.5 «La Bandiera Socialista» del 17 aprile 1904.6 A. FACCHINI-R. IACOVINO, Leone Mucci…, cit., p. 37. Cfr. Michele PISTILLO, Prefazione, in Luigi ALLEGA-

TO, Socialismo e Comunismo in Italia, Roma, Editori Riuniti, 1971, p. 18.

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Le compagne del 23 marzo 1950 a San Severo

Lo scorrere del tempo non fiacca gli animi dei “compagni” che, nel secondodopoguerra, rivendicano i propri diritti con rinnovata forza.

Fu così che una mattina mi ritrovai barricata in casa con le persiane e i vetrichiusi mentre mamma gridava a me e a mia sorella che bisognava scendere nellefossette o giù in cantina per salvarsi dalla furia omicida del popolo tra cui, a sentirelei, le donne si distinguevano per ferocia.

La nostra casa aveva visto il crollo del muro di Berlino prima che fosse co-struito e, in quegli anni di guerra fredda, il Partito Comunista per i miei, che pureerano di tutt’altra ideologia, aveva il volto rassicurante di Lenuccia, di Maria lamacellaia e di tante altre donne con cui mia madre sapeva tessere relazioni di amici-zia ed umana solidarietà. Lenuccia aveva salvato mio padre che, dopo la guerra, sipresentava con un passato politico alquanto scomodo.

Alla vigilia della marcia su Roma era a Fermo e i suoi ideali patriottici digiovane studente si sarebbero radicati in lui per divenire, poi, principi di vita. Noncostituirono, però, mai barriera verso l’altrui pensiero né modificarono la sua natu-rale propensione a capire l’altro, a colloquiare con lui. Quel Cumbà - don Alfò, chespesso precedeva il saluto per le strade del paese, resta l’appellativo a me più caroche illumina la sua figura di uomo.

Era, quindi, inspiegabile per mia madre tanta violenza specialmente nelledonne.

Le voci arrivavano attutite lì, al primo piano di via Fraccacreta, a due passidalla macelleria Schingo in piazza Tondi. Verso le otto del 23 marzo del 1950, treagenti di P.S. erano intenti a depositare sul carretto parte della carne acquistata perla mensa quando “una turba di dimostranti, preceduti da alcune donne,” si diresseverso di loro.7 “Le donne gridavano: vogliamo pane e lavoro”.

A detta della stessa guardia Angiolillo, il loro “non era un atteggiamentoaggressivo”, era, io penso, l’esplicitazione di un male antico: la fame. E lui a quellegrida non aveva saputo rispondere altro che “non ho la possibilità di esaudire lavostra richiesta”.8

Sembrava, dunque, una dimostrazione pacifica come quella del giorno pre-cedente quando il corteo era sfilato per le principali strade cittadine in perfettoordine con Arcangela Villani9 che sventolava la bandiera dell’UDI di cui era la diri-gente, oltre che essere Consigliera Comunale. Era l’orgoglio delle compagne. Tutteconsapevoli e fiere del proprio compito. Accanto ad Arcangela, Teresa Dogna, Te-resa Palladino, Armida Salza, Soccorsa Sementino, Elvira Suriani, Isabella Vegliatoe poi tante, tante a sostenere con forza gli ideali condivisi. Madri come Lucia La

7 ARCHIVIO STORICO DEL COMUNE DI SAN SEVERO (A.S.C. SS.), 23 marzo 1950 a San Severo, ProcedimentoPenale, IX – 1 – 11, Verbale d’interrogatorio della Guardia Angiolillo. A.S.F.G., Ufficio Gabinetto, b. 42, cat.0, fasc. 17, Motivi di appello del P.M. Damiani Nicola, p. 4.

8 A.S.C.SS., 23 marzo 1950 a San Severo, Procedimento Penale, IX – 1 – 11, Verbale d’interrogatorio dellaGuardia Angiolillo.

9 Ibid., Verbale d’interrogatorio di Arcangela Villani.

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Maria Teresa Santelli

Pietra che marciava con le figlie Maria Teresa, Antonia e Bianca Custodero. E ma-riti, figli, padri, tutti insieme con le proprie donne a difendere i diritti calpestati daun Governo che, con Scelba e i suoi odiati “guardiacelere” o “scelbini”, aveva fattoun balzo nel passato, un ritorno ad azioni di forza contro operai e contadini inermi.Erano sempre loro a cadere sotto i colpi del fucile. Così era stato a Melissa, aTorremaggiore, a Montescaglioso. E a nulla era servito il patto di Modena, seguitoall’ultimo eccidio di lavoratori avvenuto in questa città. Il monito dei politici e deisindacalisti di sinistra restava inascoltato da parte delle forze dell’ordine, che, con laloro risposta violenta, continuavano a causare morti e feriti tra i manifestanti. IlConsiglio dei Ministri aveva, addirittura, autorizzato i Prefetti a disporre il divietodi comizi pubblici e cortei; si vietava, inoltre, lo “strillonaggio” di giornali nellepubbliche vie o la loro vendita a domicilio da parte di persone non debitamenteautorizzate.10

Il Comandante Ricciardi era lì a guardare quello sciopero per cui non erastata rilasciata nessuna autorizzazione perché non richiesta. Mordeva il freno, eracostretto a non intervenire perché la manifestazione era pacifica.11

Per i lavoratori di San Severo era stato naturale aderirvi dopo i fatti di Lentella,dove due disoccupati erano stati uccisi dalle forze dell’ordine e dieci erano rimastiferiti.

Bisognava protestare per i compagni morti e contro un Governo che ledeva idiritti dei lavoratori, limitava la libertà di esprimere il proprio dissenso.12

La manifestazione si era così pacificamente conclusa prima delle ore diciotto,termine fissato dai sindacati, e nulla sarebbe successo quel fatidico 23 marzo 1950,se nel pomeriggio del 22 non fossero giunti da Foggia alcuni dirigenti politici esindacali per i quali bisognava continuare lo sciopero. L’ennesimo fatto di sangue aParma, un operaio ucciso dalle forze dell’ordine, lo rendeva necessario.13

Carmine Cannelonga, segretario della Camera del Lavoro, e Matteo D’Onofrio,segretario amministrativo del Partito Comunista, pur non ritenendo opportuno farloper la situazione di per sé incandescente, indissero un’assemblea per prendere unadecisione che era già stata presa. Il verticismo del tempo non dava spazio a soluzionialternative: gli ordini non si discutevano. Seguirono le direttive, le fecero proprie e sene assunsero la piena responsabilità. Uomini di un tempo andato.

Ma come avvertire tutti gli altri? Entrarono in azione i capicellula e, ad ascol-tare il comizio dell’avvocato Erminio Colaneri, erano in molti e tante le donne.Quando il partito chiamava, le compagne accorrevano a dare il proprio contributodi forza, di idee.

10 «L’Unità» del 19.03.1950; cfr. Raffaele IACOVINO, 23 marzo 1950 – San Severo si ribella, Milano, Tetieditore, 1977, p. 16.

11Lelio BASSO, Arringa ,in R. IACOVINO, 23 marzo 1950 – San Severo si ribella…, cit., p. 81.12A.S.F.G., Ufficio Gabinetto,, b. 42, cat. 0, fasc. 17, Questura di Foggia, p. 41.13 Ibid. ; cfr. A.S.C.SS., 23 marzo 1950 a San Severo, Procedimento Penale, IX – 1 – 11, Verbale d’interro-

gatorio di Salvatore Colapietra.

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Le compagne del 23 marzo 1950 a San Severo

In un’intervista del 1976, a Raffaele Iacovino che gli chiede quale sia stato ilcompito delle donne in quel 23 marzo 1950, Matteo D’Onofrio dirà:

Le donne comuniste, alle quali la domanda è rivolta, sono, come per gli uomi-ni, l’avanguardia, la parte organizzata e perciò più sensibile ai problemi femmi-nili in particolare e di tutte le famiglie dei lavoratori in generale. Aiutare le altredonne, tutte le altre donne a prendere coscienza della propria sorte e della sortedelle proprie famiglie, per essere spose felici e per avere figli sani e sorridenti.Questo è il tributo che le donne comuniste, volontariamente, dedicano allaciviltà di un popolo. Non altro poteva essere il compito delle donne anche il 23marzo. E questo tributo queste care compagne lo hanno pagato a caro prezzoma con dignità.14

Quel grido di pane e lavoro in piazza Tondi non era, quindi, una voce indi-stinta che nella folla perde la propria identità ma una presenza attiva, un consape-vole incitamento alla lotta.

Armando Cassano, nella sua testimonianza, dichiarò di aver notato SoccorsaSementino aggregarsi ad un gruppo di uomini che si recava verso Piazza della Re-pubblica per imporre la chiusura dei negozi e, in tale occasione, si distingueva per lasua azione di comando.15

Ma non era sola e, tra le tante, spiccavano Soccorsa Mollica e Teresa Palladi-no.16 Avevano i volti di donne decise a far valere i propri diritti.17

Lo scioglimento dei gruppi che picchettavano le principali strade di accessoai campi e l’arresto di Antonietta Reale18 avevano acceso i loro animi.

Si erano alzate, come al solito, all’alba ma quella mattina il loro compito erastato quello di presidiare, insieme a compagni e compagne, le vie che portavano icontadini al lavoro. Avrebbero dovuto informarli dello sciopero e convincerli aparteciparvi. Lo avevano fatto anche con parole grosse e modi rudi. L’agente diPubblica Sicurezza Antonio Previti afferma di essere stato oggetto di violenza eminacce da parte di Antonietta Reale che, rivolgendosi a lui, aveva gridato: “Vifaremo a pezzi, vi uccideremo, figli di puttana, vi dobbiamo fare il culo grande a voie a Scelba”.19 Nella stessa circostanza Marianna D’Errico, rivolta al maresciallo deiCarabinieri Nicola Centrone ed all’agente di P.S. Michele Fratello, aveva urlato:

14 IACOVINO, op. cit., p.76.15 A.S.C.SS., 23 marzo 1950 a San Severo, Procedimento Penale, IX – 1 – 11, Carabinieri Compagnia di

San Severo - Al Procuratore della Repubblica di Foggia 15/4/1950, pp. 93-95.16 A.S.F.G., Ufficio Gabinetto, b. 42, cat. 0, fasc. 17, Motivi di appello del P.M. Damiani Nicola, p. 4.

A.S.C.SS., 23 marzo 1950 a San Severo, Procedimento Penale, IX – 1 – 11, Carabinieri Compagnia di SanSevero - Al Procuratore della Repubblica di Foggia 15/4/1950 pp. 92-93.

17 Ibid., p .96.18 A.S.F.G., Ufficio Gabinetto, b. 42, cat. 0, fasc. 17, Questura di Foggia, p. 58.A.S.F.G., Ufficio Gabinetto, b. 42, cat. 0, fasc. 17, Motivi di appello del P.M. Damiani Nicola, p. 4.19 A.S.C.SS., 23 marzo 1950 a San Severo, Procedimento Penale, IX – 1 – 11, Carabinieri Compagnia di San

Severo - Al Procuratore della Repubblica di Foggia 15/4/1950, p. 93.

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Maria Teresa Santelli

“Oggi non sarà come ieri; vi romperemo il c…… Scorrerà il sangue”.20 E paroleminacciose, secondo la testimonianza di Maria Carmela Cherzi, furono proferiteda Armida Salza nei confronti del vigile urbano Guglielmo Festa: “Disgraziato, sevuoi la pistola esci fuori e te la scarico prima addosso e dopo te la do”.21

“Verso le 5,30 reparti di polizia di stanza a San Severo, in collaborazione concirca 75 agenti inviati a San Severo nelle primissime ore dal Sig. Questore di Fog-gia”,22 erano giunti sul posto e avevano ordinato con la forza lo scioglimento diquei picchetti, che per il pubblico ministero sarebbero diventati blocchi stradali, eportato in carcere i più facinorosi. Tra costoro anche Antonietta Reale.

Bisognava, quindi, reagire: imporre la chiusura dei negozi.Le tre guardie Ardemagni, Crudele ed Angiolillo si trovavano lì per caso, dinan-

zi alla macelleria Schingo, per il solito carico di carne destinato alla mensa, e diventaro-no subito il simbolo di quel potere che ha da sempre oppresso il popolo e, quandoArdemagni afferrò un coltello e ferì tre lavoratori, i più persero il controllo delle pro-prie azioni. Dal suo interrogatorio si evincerà che aveva agito per legittima difesa.23

Come sempre in simili circostanze, non è possibile ricostruire l’esatta se-quenza dei fatti, eppure, data l’enorme disparità di numero tra agenti (tre) e sciope-ranti (circa un centinaio) e i bisognosi di cure ospedaliere (un agente e due manife-stanti) si può capire da che parte fosse la forza e la volontà di colpire!

La notizia dell’aggressione si era intanto diffusa in tutto il paese e dalla Ca-serma dei Carabinieri 20 guardie di P.S., al comando del capitano Mollo e del com-missario Ricciardi, si diressero verso la macelleria Schingo per andare in soccorsodei tre agenti aggrediti. Così dichiarò nell’interrogatorio Giuseppe De Simone chefaceva parte del rinforzo partito da Foggia alle quattro del mattino.24

Il prefetto li aveva inviati in seguito alla richiesta del Commissario Ricciardi,allarmato dalla denuncia fatta dagli agenti Bisceglie e Morgante che, obbedendo alsuo ordine, la sera del ventidue si erano recati, in abito civile, davanti alla Cameradel Lavoro per ascoltare gli oratori. Relazionando sull’accaduto, avevano parlato diduemila contadini infervorati dall’avvocato Erminio Colaneri che, con la sua fogaoratoria, li invitava alla rivolta.25

Nel suo interrogatorio De Simone disse che, liberati Angiolillo, Ardemagnie Crudele dalle mani della folla, insieme agli altri era ritornato in Caserma da cui era

20 A.S.F.G., Ufficio Gabinetto, b. 42, cat. 0, fasc. 17, Motivi di appello del P.M. Damiani Nicola, p. 4. Cfr.ibid., Questura di Foggia, pp. 7 e 58.

21 A.S.C.SS., 23 marzo 1950 a San Severo, Procedimento Penale, IX – 1 – 11, Carabinieri Compagnia di SanSevero - Al Procuratore della Repubblica di Foggia 15/4/1950, p. 95.

22 A.S.F.G., Ufficio Gabinetto, b. 42, cat. 0, fasc. 17, Motivi di appello del P.M. Damiani Nicola, p. 4.23 Ibid., p. 5. Cfr. ASC SS , 23 marzo 1950 a San Severo, Procedimento Penale, IX – 1 – 11, Verbale

d’interrogatorio di Ardemagni.24A.S.C.SS., 23 marzo 1950 a San Severo, Procedimento Penale, IX – 1 – 11, Verbale d’interrogatorio di

Giuseppe De Simone.25 Ibid., Verbale d’interrogatorio di Bisceglie e Morgante. Ibid., Verbale d’interrogatorio di Giuseppe De

Simone.

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Le compagne del 23 marzo 1950 a San Severo

uscito dieci minuti dopo per affrontare, nuovamente, gruppi di dimostranti che sierano fermati nei vicoli adiacenti al mercato e, quindi, in piazza Castello, semprenei pressi della macelleria Schingo. La folla caricata dagli agenti si era dispersa ma,poi, aveva attaccato quelli che erano rimasti indietro isolati.26

De Simone cadde colpito da una randellata e, quando si riprese, vide il suocollega Ruggero aggredito e colpito da un altro gruppo di dimostranti tra cui nu-merose donne.27

Le mitologiche Erinni. Bestie da soma fin dalla prima infanzia, il corpo se-gnato da immani fatiche fisiche e da continue gravidanze, le donne, chiamate al-l’azione, mettevano fuori tutto il livore accumulato in secoli di sottomissione, esplo-devano con una violenza, a volte, superiore a quella dell’uomo.

Nel suo interrogatorio il vigile urbano Guglielmo Festa parla di donne checapeggiavano il gruppo dei facinorosi, incitando alla rivolta. Furono loro a lanciar-gli sul viso della polvere, forse, per non essere riconosciute. Lui, però, ne identificòalcune: la moglie di Carmine Cannelonga, la consigliera comunale Arcangela Villa-ni, la moglie di Matteo D’Onofrio.28

La folla, ormai irrefrenabile, percorreva le strade del paese alla ricerca di armie strumenti di difesa, alzava barricate. Si voleva impedire che, dalla Caserma, arri-vassero nuovi rinforzi in piazza Tondi o che gli agenti giungessero alla Camera delLavoro e alla sede del Partito Comunista, luoghi simbolici per gli scioperanti.

Fu la barricata di via Mercantile29 a scatenare il terrore in mia madre che teme-va una probabile scalata al balcone di casa. Eravamo sole. Mio padre, come facevaogni giorno dalla fine della guerra, era partito alle cinque del mattino per recarsi aFoggia. Sarebbe tornato nel tardo pomeriggio a tranquillizzarci, a riportare serenità.

Le sedi del PCI e della Camera del Lavoro erano state illuminate tutta lanotte30 e alle 6,45 del mattino, come risulta dal verbale d’interrogatorio di AntonioBerardi, segretario della IV sezione, nella sede del partito erano riuniti diversi diri-genti “fra i quali - si legge - io, Matteo D’Onofrio, segretario amministrativo delpartito locale, Michele Fantasia, segretario della prima sezione, Arcangela Villaniconsigliera comunale e dirigente dell’UDI, Elvira Suriani moglie del segretario del-la Camera del Lavoro Cannelonga, attivista femminile del partito, SoccorsaSementino, moglie del senatore Luigi Allegato, anch’essa attivista del partito”31 .Ma anche Soccorsa Mollica Isabella Vegliato e Teresa Palladino, come riportato nel

26A.S.F.G., Ufficio Gabinetto,, b. 42, cat. 0, fasc. 17, Motivi di appello del P.M. Damiani Nicola, p.5.27A.S.C.SS., 23 marzo 1950 a San Severo, Procedimento Penale, IX – 1 – 11, Verbale d’interrogatorio di

Giuseppe De Simone.28 Ibid., Verbale d’interrogatorio di Giuseppe De Simone e 23 marzo 1950 a San Severo, Procedimento

Penale, IX – 1 – 11, Carabinieri Compagnia di San Severo - Al Procuratore della Repubblica di Foggia 15/4/1950, pp. 92, 94.

29 A.S.F.G., Ufficio Gabinetto, b. 42, cat. 0, fasc. 17, Motivi di appello del P.M. Damiani Nicola, p. 8.30 Ibid., pp. 2-3.A.S.C.SS., 23 marzo 1950 a San Severo, Procedimento Penale, IX – 1 – 11, Verbale d’interrogatorio di

Salvatore Colapietra.

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Maria Teresa Santelli

verbale dell’interrogatorio di Salvatore Colapietra, segretario locale della Fgci, che,nella sede, si era recato dopo le sette.32

C’era un andirivieni di staffette che riferivano sull’andamento dello scioperoe i dirigenti, dopo averle ascoltate, accorrevano lì dove era necessario per consiglia-re, difendere gli scioperanti. Venuto a conoscenza dell’arresto e del ferimento dialcuni operai, Cannelonga, dopo essere andato in ospedale a visitare i feriti, si eradiretto verso la Caserma dei Carabinieri con l’intento di ottenere una distensionedella situazione. Si proponeva di far cessare lo sciopero, facendo ritirare i dimo-stranti nella Camera del Lavoro.

La risposta al suo tentativo di mediazione fu l’arresto.33

L’atmosfera era ormai rovente. Bisognava difendersi e difendere le sedi delPCI e della Camera del Lavoro. Bloccare le vie di accesso alla città e, in modoparticolare, Porta Foggia da cui sin dal primo mattino erano giunti i rinforzi.34

Il commissario di Pubblica Sicurezza, Guido Celentano, giunto a San Severointorno alle 12,3035 “con 300 uomini, una metà agenti di P.S. e una metà artiglieridel 14° regg., e con 4 autoblindo” notò “4 ordini di barricate costituiti da fusti pienidi bitume, da carri e carrettoni agricoli rovesciati, da ruote di carretti, da grossitronchi di alberi, da massi di pietra e da un frantoio per la produzione di pietrisco.Innanzi una di quelle barricate vi era persino un reticolato evidentemente asportatoda un campo vicino”.36 La segnalazione dello sbarramento era stata fornita allaQuestura di Foggia da un motociclista inviato dal capitano Montemagno che, con120 uomini del battaglione mobile “Capitanata”, era giunto a San Severo alle 10,30per sostenere le forze dell’ordine locali. All’altezza del macello era stato, però, co-stretto a lasciare gli automezzi in custodia di “una quindicina di agenti, comandatida un brigadiere” e a procedere a piedi verso il centro abitato.37

Al commissario Celentano toccò, quindi, l’azione di sgombero della stradaed il successivo rastrellamento nelle case di periferia. L’incontro con il capitanoMontemagno e parte del battaglione mobile “Capitanata” avvenne a metà di viaMinuziano ed insieme, guardinghi e coprendosi le spalle con uomini che restavanoa presidio dei vicoli, marciarono verso piazza Castello. Qui, però, li attendevanoaltri blocchi. Nel verbale d’interrogatorio del Commissario Celentano si legge:

31 A.S.C.SS., 23 marzo 1950 a San Severo, Procedimento Penale, IX – 1 – 11, Verbale d’interrogatorio diAntonio Berardi. A.S.F.G., Ufficio Gabinetto, b. 42, cat. 0, fasc. 17, Motivi di appello del P.M. DamianiNicola, p. 4.

32 A.S.C.SS., 23 marzo 1950 a San Severo, Procedimento Penale, IX – 1 – 11, Verbale d’interrogatorio diSalvatore Colapietra.

33 Ibid.,Verbale d’interrogatorio di Carmine Cannelonga..A.SF.G., Ufficio Gabinetto, b. 42, cat. 0, fasc. 17, Motivi di appello del P.M. Damiani Nicola, p.7.34A.S.C.SS., 23 marzo 1950 a San Severo, Procedimento Penale, IX – 1 – 11, Carabinieri Compagnia di San

Severo - Al Procuratore della Repubblica di Foggia 15/4/1950, p. 92.; A.S.F.G., Ufficio Gabinetto, b. 42, cat.0, fasc. 17, Motivi di appello del P.M. Damiani Nicola, p. 4.

35 A.S.F.G., Ufficio Gabinetto, b. 42, cat. 0, fasc. 17, Motivi di appello del P.M. Damiani Nicola, p. 12.36 Ibid., p. 8. Cfr. A.S.C.SS., 23 marzo 1950 a San Severo, Procedimento Penale, IX – 1 – 11, Verbale

d’interrogatorio di Guido Celentano.37 A.S.F.G., Ufficio Gabinetto, b. 42, cat. 0, fasc. 17, Motivi di appello del P.M. Damiani Nicola, p. 12.

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Le compagne del 23 marzo 1950 a San Severo

Notammo 4 ordini di barricate meno consistenti di quelle notate alla periferiadell’abitato, costituite prevalentemente da panche rovesciate e da un carrettoadibito a trasporto di carni macellate e da due tronchi di alberi di quelli in usonelle macellerie per battervi la carne38 […]. Quando i miei uomini erano intentia rimuovere la prima barricata di corso Gramsci, io venni raggiunto dal Com-missario Ricciardi e dal capitano Mollo che erano riusciti a rompere il cerchioche li stringeva tra la Caserma e il Municipio.39

L’obiettivo finale era ormai prossimo. Le sedi del P.C.I. e della Camera delLavoro caddero ben presto nelle mani delle forze dell’ordine e le donne (20 su 70)40

e gli uomini che vi avevano trovato rifugio furono arrestati.Cominciò per loro un calvario durato due anni, anni di carcere e di processi

che videro alcune compagne, inizialmente rinviate in giudizio per aver partecipatoalla “insurrezione armata contro i Poteri dello Stato”41 e, poi, dichiarate colpevolidi “radunata sediziosa aggravata”.42

Protagoniste43 e non figure marginali dell’evento.44

Nel 1957 l’ultima sentenza, poi, le luci della cronaca si spensero. Il silenziosommerse ogni cosa.

In me quei momenti di terrore svanirono ben presto e per anni non ebberoricordo.

Dal buio dell’inconscio riemergono per caso, nel mezzo di una indagine dame condotta su “Donne tra politica e sociale nel secondo dopoguerra”. È l’inizio diuna nuova ricerca.

Come sempre l’archivio, con il fascino delle sue carte polverose e logore, miprende e vecchie veline dattiloscritte mi svelano l’elenco degli imputati per i fattidel 23 marzo 1950 a San Severo. Il mio sguardo scivola veloce suoi tanti nomi ma-schili, per posarsi attento su:

Arbolino MariaBarbieri RosaBoncristiano Ersilia Maria ClotildeBorsa Antonia MariaBruno Teresa

38 Ibid., p. 8. Cfr. A.S.C.SS., 23 marzo 1950 a San Severo, Procedimento Penale, IX – 1 – 11, Verbaled’interrogatorio di Guido Celentano.

39 Ibid.40 A.S.F.G., Ufficio Gabinetto, b. 42, cat. 0, fasc. 17, Prefettura di Foggia, p. 5.41 A.S.C.SS., 23 marzo 1950 a San Severo, Procedimento Penale, IX – 1 – 11, Sentenza della sezione istrut-

toria della corte di appello di Bari emessa il 20 aprile del 1951. A.S.F.G., Ufficio Gabinetto, b. 42, cat. 0, fasc. 17, Questura di Foggia, p. 10.42A.S.C.SS., 23 marzo 1950 a San Severo, Procedimento Penale, IX – 1 – 11, Sentenza della sezione istrut-

toria della corte di assise di Foggia in Lucera emessa il 5 aprile del 1952.43 A.S.C.SS., 23 marzo 1950 a San Severo, Procedimento Penale, IX – 1 – 11, Carabinieri Compagnia di San

Severo - Al Procuratore della Repubblica di Foggia 15/4/1950, p. 91.44 Severino CANNELONGA, Carmine Cannelonga, San Severo, Cromografica Dotoli, 2004, pp. 94, 96, 97,

100, 102.

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Maria Teresa Santelli

Caiafa AlberindaCampanaro Rosa CarolinaCapuano Erminia LiberataCardacino SoccorsaCardacino GraziaCensano Maria MichelaColaianni JolandaColò SoccorsaCustodero AntoniaCustodero BiancaCustodero Maria TeresaD’Amico LuciaDe Bucanan AssuntaD’Errico MariannaDiamante LeonardaDi Gennaro TeresaDogna TeresaFrugolini ElenaGiuliani RacheleIarossi AngelaLa Pietra LuciaMarocchella CostantinaMasiello M. SaveriaMastroiorio AngelaMaturo AntoniaMollica SoccorsaNardella MariarcangelaNiro Maria AddolorataPalladino Teresa AngelaReale Antonia TeresaSalza ArmidaSementino SoccorsaSorice EldaSuriani ElviraValente IncoronataVegliato IsabellaVillani Arcangela

Donne45 per me senza volto, a cui i verbali d’interrogatorio ridanno forma ecolore in una luce di consapevolezza politica che le vivifica.

45 Nell’elenco non è riportata De Bucanan Grazia informatrice dei Carabinieri come dichiarato dal com-missario di Pubblica Sicurezza, Gaetano Ricciardi (R. IACOVINO, 23 marzo 1950 – San Severo si ribella..., cit.p. 59).

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Gaetano Schiraldi

La diocesi di Lucera:genesi ed evoluzione della presenza cristiana

di Gaetano Schiraldi

1. La cristianizzazione in Puglia

Sulla cristianizzazione della terra di Puglia nei primi tre secoli non disponia-mo di alcuna fonte né scritta, né di indirette testimonianze. Perciò non possiamo,allo stato attuale, introdurre un discorso di carattere storico su questo argomento.

Le fonti, invece, di cui disponiamo sono tardive rispetto a quelle delle altreregioni e consistono in fonti scritte, cioè atti di sinodi o concili, o addirittura dilettere dei vescovi di Roma alle comunità e alle loro guide. Una importanza fonda-mentale va attribuita alle continue ricerche e scoperte archeologiche.

Allo stato attuale della ricerca la più antica comunità cristiana di Puglia èquella di Salpi,1 non solo ma conosciamo anche il nome del vescovo Pardo, il quale,nel 314, prese parte al concilio di Arles, accompagnato dal diacono Crescente,2 perla risoluzione della questione donatista3 e per quella circa l’elezione di Ceciliano avescovo di Cartagine. Questi dati attestano che nel IV secolo la comunità cristianadi Salpi era già organizzata ed attiva, tanto da inviare, ad un così importante conci-lio, il vescovo e un diacono.

Al concilio di Nicea, nel 325, era presente Marco di Calabria, ritenuto da alcunivescovo di Brindisi, da altri vescovo di Otranto. Un elemento interessante è il titolo di“metropolita”, attribuito al vescovo Marco, il quale fa pensare agli albori di una provin-cia ecclesiastica già dal principio del IV secolo nella penisola salentina meridionale.

Nel 342-343 il vescovo di Canosa, Stercorio, prende parte al concilio diSardica,4 ma con lui, è probabile, che siano intervenuti altri vescovi pugliesi, visto

1 Salpi o Salaria fu una città romana, fondata nel I sec. a. C., a 25 km a sud di Siponto, distante da Salaria vetus difondazione greca (cfr. Melata D. MARIN, Il problema delle tre “Salapia”, in «Archivio Storico Pugliese», XXXVI(1973), pp. 364-368). Questa città un tempo sorgeva tra Trinitapoli e Zapponeta, in provincia di Foggia.

2 Ada CAMPIONE-Donatella NUZZO, La Daunia alle origini cristiane, Bari, Edipuglia, 1999, p. 135.3 I donatisti erano seguaci del Vescovo di Cartagine, Donato († 355). Durante la persecuzione di Diocleziano, in

terra d’Africa, molti cristiani, per salvarsi, o sacrificarono agli dei o si procurarono un falso certificato di aver lorosacrificato o, coloro che avevano consegnato i libri sacri. Donato detronizzò il vescovo e ne prese il posto; cfr. Anto-nio Rosario MENNONNA, Donatisti, in Piccolo glossario del cristianesimo, Roma, Edizioni devoniane, 1992, p. 150.

“La dolorosa questione dei donatisti fece scrivere ad Agostino pagine profonde sulla natura della Chiesa santa mafatta anche di peccatori- e sul significato dell’azione sacramentale. Mentre per i donatisti la grazia agiva solo se ilministro era degno, Agostino sottolinea il ruolo strumentale del ministro, evidenziando Cristo come il vero operatoredell’efficacia sacramentale” (Enrico CATTANEO, Patres Ecclesiae, Napoli, ed. PFTIM, 2002, p. 174.

4 Attuale Sofia, in Bulgaria. “Stercorius ab Apulia de Canusio” (cfr. Jacques Paul MIGNE, Patrologia Latina, 10, p. 643).

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La Diocesi di Lucera: genesi ed evoluzione della presenza cristiana

che nella lettera sinodale, inviata alla comunità cristiana di Alessandria, si legge chepresero parte alla riunione di Sardica vescovi della Calabria, dell’Apulia e di altreregioni. La partecipazione di Stercorio alla riunione di Sardica, unico pugliese diuna ristretta delegazione di vescovi meridionali,5 evidenzia la crescita della comu-nità cristiana di Canosa chiamata a prender parte alle questioni discusse nella co-munità dei credenti in Cristo. La partecipazione di Stercorio al concilio di Sardica“prefigura il ruolo di diocesi metropolitana nell’ambito della provincia ecclesiasticaappulo-calabra e la funzione di rappresentante di Roma nei rapporti con l’Orientesvolta dalla comunità canosina con i vescovi Probo e Sabino”.6

Papa Innocenzo (401-407) invia una missiva agli episcopis Apuliae Agapito,Macedonio e Mariano; nella lettera, però, non troviamo esplicitato il nome dellecomunità da questi guidate.

Celestino, nell’anno 429, scrive a tutti vescovi dell’ “Apulia e della Calabria”.Per una lettura storica di un fenomeno è necessario l’approccio alle fonti scritte

che ci parlano direttamente o indirettamente dell’argomento scelto per l’analisi. Inmancanza di queste, ci si rifà alle notizie indirette fornite dalle discipline archeologiche.

La Puglia, per fortuna, è molto ricca di elementi e siti archeologici, che permet-tono, appunto, la ricostruzione storica, seppure parziale, del suo divenire nella storia.

A questo proposito è bene ricordare la basilica di Canosa, sorta su un tempiopagano, risalente al IV-V secolo; c’è poi quella dell’antica Siponto di cui possiamoammirare il primo strato di pavimento musivo, costituito da motivi geometrici inbianco e nero. Non sono da dimenticare le basiliche di Egnazia e quella di Herdonia.

Tra il 431 e il 451 furono realizzati i mosaici della chiesa di santa Maria diCasaranello, in provincia di Lecce. Questi:

sono i maggiori mosaici paleocristiani della regione, resti della decorazione di unedificio rimasto in piedi fino all’epoca medievale ed inserito poi in un nuovo edifi-cio. Isolata testimonianza di una presenza cristiana forse più ricca e dispersa nellecontrade circostanti, il mosaico della cupoletta centrale presenta un cielo stellato,in due toni di azzurro, incentrato in una croce latina di tessere di pietre gialle; suipennacchi si elevano volute di fogliame di acanto, mentre festoni di foglie tra le duefasce gemmate delimitano gli archi, e animali e frutti ornano le volte a botte.7

Nel museo civico “G. Fiorelli” di Lucera sono conservati due frammentimusivi, risalenti alla fine del V e l’inizio del VI secolo, probabilmente provenientida edifici di culto della stessa città dauna. Questi frammenti riproducono motivigeometrici ornamentali e iscrizioni votive di una certa Massima e di sconosciutiVittorio e Giusta. La prima iscrizione, su una sola riga, recita: BICTORIUS ETIUSTA PROMISSA SUA E(CCLESIAE) L(UCERINAE) SOLBERUNT.8 Il se-

5 Giorgio OTRANTO, Note sull’Italia meridionale paleocristiana nei rapporti col mondo bizantino, in «Augustinianum»,XXXV (1995), pp. 860-861.

6 A. CAMPIONE-D. NUZZO, La Daunia alle origini cristiane…, cit., p. 28.7 Salvatore PALESE, Diffusione del cristianesimo in Puglia, Trani, Vivere in, 1983, pp. 11-12.8 “Vittorio e Giusta sciolsero i loro voti alla chiesa di Lucera”.

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Gaetano Schiraldi

condo frammento, invece, recita così: MAXIMA AECLAE (=ECCLESIAE)LUC(ERINAE) VOT(UM) SOL(VIT)9 .

Tra il V e il VI secolo possiamo constatare la fase più antica della basilicascoperta sotto la cattedrale di Bitonto.10

Una fonte scritta che potrebbe essere illuminante per un progresso della ri-costruzione della storia della cristianità in Puglia è costituita dagli scritti di sanPaolino da Nola (+ 431). Il santo nolano presenta alcuni momenti della vita religio-sa ed ecclesiastica delle comunità cristiane dell’Apulia.

Sappiamo ancora che nel 465 papa Ilario (461-468) indisse a Roma, su solle-citazione dei vescovi spagnoli, un sinodo per la risoluzione di alcune questioni di-sciplinari.11 A questa riunione parteciparono quattro vescovi dell’Apulia: Palladiodi Salpi, Felice di Siponto, Probo di Canosa e Concordio di Bari. Palladio di Salpigodeva particolare favore a Roma, tanto che papa Simpliciano lo inviò come legatoa Costantinopoli “per spiegare all’imperatore Leone le ragioni che non conveniva-no al vescovo romano di approvare il canone 28 di Calcedonia”.12 Lo stesso Palladio,e dopo lui anche Probo di Canosa, intervenne in questa adunanza dichiarando dinon voler mai compiere nulla contro la disciplina ecclesiastica.13

Di notevole importanza sono pure le epistole di papa Gelasio (492-496).Dalle numerose notizie che è possibile rilevare è evidente che nel V secolo c’è

stato un progresso dell’evangelizzazione e un consolidamento delle istituzioni ec-clesiastiche; ma si evince anche la dipendenza dei vescovi della Calabria e dell’Apuliadai vescovi di Roma.

È intorno a quest’ultimo elemento che ruota l’evangelizzazione della terra diPuglia “la chiave risolutiva del problema riguardante la matrice dell’evangelizzazionedella nostra regione”.14

Nell’antica città di Siponto, il vescovo Lorenzo (471-493) fece erigere la chiesadei santi Stefano e Agata e quella di san Giovanni Battista, che probabilmente era unbattistero sito nelle vicinanze della basilica episcopale. Infatti nella Vita Laurentiiepiscopi Sipontini si narra che Lorenzo, partito da Costantinopoli, portando con séalcune reliquie di santo Stefano e di sant’Agata, dono dell’imperatore, sbarcò in Pugliae fu accolto festosamente dai sipontini. Le reliquie però non potettero essere rimossedalla barca, fino a quando non si deliberò la costruzione in quel luogo di una chiesa.15

In quel di Egnazia sorge una seconda e più grande basilica; a Trani è eretta lachiesa di santa Maria, che nei secoli successivi fu incorporata, nell’attuale splendidacattedrale romanica.

9 “Massima sciolse un voto alla chiesa di Lucera”.10 Maria Rosaria DEPALO-E. PELLEGRINO (a cura di), Alla scoperta delle radici del culto, Bari, 2004, p. 14.11 CAMPIONE-NUZZO, op. cit., p. 136.12 S. PALESE, Diffusione del cristianesimo…, cit., p. 13.13 “Nihil me contra disciplinam ecclesiasticam, vel statuta sanctorum canonum facturum esse polliceor” (CAMPIONE-

NUZZO, op. cit., p. 136).14 Giorgio OTRANTO, Le comunità cristiane dell’Apulia negli atti conciliari e nelle lettere pontificie dei secoli IV-VI

(314-590), Bari, Adriatica, 1977, p. 110.15 CAMPIONE-NUZZO, op. cit., p. 108.

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La Diocesi di Lucera: genesi ed evoluzione della presenza cristiana

Un importante sito archeologico è costituito dalla città di Canosa. Infatti ilvescovo Sabino (514-556) fece edificare il battistero di san Giovanni, la basilicacimiteriale di santa Sofia nei pressi della inesplorata catacomba e le non ancora lo-calizzate basiliche dei ss. Cosma e Damiano, di santa Maria e del Salvatore che sonocitate nella vita del santo (VII-IX sec.).

Nei primi decenni del VI secolo le sedi episcopali in Puglia erano 13, mentretre sole nella Calabria.

In questo periodo compare il primo vescovo di Gallipoli, Domenico, il qua-le nell’anno 551 sottoscrisse la condanna dei tre Capitoli; due anni dopo appareVenanzio di Lecce che firmò la lettera di papa Virgilio al concilio di Costantinopolidel 553.16

Per ciò che concerne la cristianizzazione dell’Apulia è necessario sottolinea-re che questa ha subito notevoli influenze africane, infatti

nella vita religiosa delle chiese si riscontrano elementi provenienti dall’Africa,come nelle tradizioni liturgiche si riscontra il culto dei martiri africani collegatial trasferimento di vescovi e comunità sulle isole e nelle regioni meridionalidopo che i Vandali occuparono le regioni settentrionali di quel continente.17

Infatti nelle chiese di Puglia si festeggiavano e ancor oggi si onorano moltisanti del continente africano: il 2 e il 13 settembre san Felice, il 6 settembre sanSecondino a Aecae (l’attuale Troia), l’11 settembre i santi Donato e Felice ad Erdoniae Venosa, san Leucio a Brindisi.

L’avvento dei Longobardi dopo il 570 arrecò all’ordinamento ecclesiasticodanni disastrosi, che avevano la loro origine già nella guerra gotica e la riconquistagiustinianea. Dalle lettere di papa Gregorio veniamo a sapere che alla fine del VIsecolo nell’Apulia vi erano Canosa e Siponto e nella Calabria, Taranto, Brindisi,Lecce, Otranto e Gallipoli. I Longobardi, poi, eliminarono molti vescovadi facen-do coincidere le sedi con i gastaldi. Allora secondo la innovazione longobarda vierano: Canosa, Siponto, Lucera e Bari. Il duca di Benevento nominava i vescovi e ilpopolo e il clero lo confermavano.

2. La comunità cristiana di Lucera: la tradizione petrina

Nella tradizione della chiesa diocesana di Lucera vi è, come del resto in altrediocesi pugliesi quali Canosa, Siponto, Taranto, Otranto, Gallipoli, Leuca e Brindisi,il famoso riferimento alla fondazione apostolica della stessa diocesi, cioè si ritiene,anche se ciò non è documentato, che l’Apostolo Pietro, sbarcato in Puglia sia passatoper questi centri e vi abbia predicato la buona novella. Nel suo passaggio, Pietro

16 PALESE, op. cit., p. 17.17 Ibid.

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avrebbe consacrato i primi vescovi. A Lucera avrebbe consacrato il vescovo: Basso.Numerosi, infatti, sono anche i toponimi di località riportanti il nome dell’apostoloPietro. Nell’agro di Lucera possiamo notare la contrada san Pietro in Bagno.

La “tradizione petrina” in Puglia risale all’età medievale e nel divenire stori-co si è arricchita di ulteriori elementi legati a leggende varie. Una tradizione che sidiffuse nella Puglia nei secoli VII-XII e che trovò il suo grado di autenticità nei varitoponimi di località intitolate all’Apostolo. Le tradizioni successive che hanno vo-luto avanzare una simile ipotesi, lo hanno fatto solo e unicamente per attestare l’an-tichità, e quindi la fondazione apostolica, della propria sede episcopale.

La tradizione petrina, però, non và esclusa a priori, né si deve dipendere daquesta; il fatto è che nella Puglia erano presenti due elementi fondamentali: la viaAppia e il porto di Egnazia. Erano i mezzi con cui si costruivano i rapporti traOriente e Occidente e viceversa. “Il cristianesimo, se non diffuso, dovette essereconosciuto assai presto in Puglia e nel Salento, pure se le sue diocesi appaiono averepresuli certi solo dal IV e nel VI secolo”.18

3. Le prime fonti scritte sulla comunità di Lucera

Le prime notizie storiche attendibili concernenti l’antica diocesi di Lucerasono alquanto scarse e lacunose, e come abbiamo precedentemente detto legate alla“leggendaria” tradizione petrina.

I primi dati storici che attestano l’esistenza della diocesi di Lucera risalgono al Vsecolo, “un’epoca cioè molto avanzata rispetto a quella in cui presumibilmente ricevetteil messaggio cristiano”.19 È evidente, infatti, che la vita della comunità cristiana di Luceranon vada di pari passo con la vita civile dello stesso e importante centro dauno.

I dati di cui sopra abbiamo accennato ci sono forniti da due epistole di papaGelasio, in cui è citato un anonimo Lucerinus antistes,20 il cui comportamento vie-ne sottoposto a critica in entrambe le epistole.

La prima epistola risale agli ultimi mesi dell’anno 493 o agli inizi del 494; laseconda, invece, è redatta tra la fine del 494 e l’agosto del 495. Quest’ultima, poi,verrà inserita nella prima parte del Decretum Gratiani.21

È probabile, vista la distanza temporale minima – un anno, un anno e mezzocirca – che l’episcopus sia lo stesso.

Riteniamo opportuno, riportare qui di seguito il testo delle due epistole per

18 Michelangelo CAGIANO DE AZEVEDO, Quesiti su Gallipoli tardoantica e paleocristiana, in «Vetera Christianorum»,XV (1978), p. 363.

19 CAMPIONE-NUZZO, op. cit., p. 87.20 È il primo vescovo di Lucera di cui siamo certi dell’esistenza, anche senza conoscerne il nome. Il primo vescovo

di cui si conosce il nome è Anastasio, ordinato nel 559 da Pelagio I.21 Giorgio OTRANTO, Due epistole di papa Gelasio (492-496) sulla comunità cristiana di Lucera, «Vetera

Christianorum», XIV (1977), p. 123.

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un maggiore approccio alla fonte documentale e per una più ponderata e profondaesegesi del testo.

Gelasius Iusto et Probo episcopis. Religionis probatur iniuria, si ea videanturadmitti, que contra regulas et constituta videantur antiqua. Marcus siquidempresbiter monasterii, quod in fundo Luciano noscitur constitutum, petitoriinobis insinuatione deploravit, Romulum et Ticianum presbiteros multamadversus se vel adversus aecclesiae22 contumeliam commisisse; quos23 asserit,adhibitio sibi Moderato, conductore24 domus regie, se ex ecclesia sacrosantodie pasce, cum ad processionem venisset, fuisse depulsum, et, effracto sacrariooratorii, ministeria supradicto conductori laico potius commisisse servanda,eiusque25 presbiteros monasterium depredatos. Et ideo inter supra dictospresbiteros omne, quod natum est, vestro iuditio determinetur ambiguum,quatinus servatis regulis et aecclesiasticis constitutis nichil permittatis audaciae,nichil arbitrio licere ; sed que petitorio suggesta sunt universa rimantes, quodreligioni et iusticie convenit censeatis. Sciatque frater et coepiscopus noster26

Lucerinus antistes, aut ita ad monasterium secundum consuetudinem se esseventurum, ut nichil in eisdem locis dampnum clerici valeant perpetrare, autsibi a conventu eius loci noverit abstinendum.27

Procediamo nella lettura del testo.

22 Interessante è la variazione sintattica di adversus con l’accusativo e il dativo.23 “Resta temporaneamente anacolutico per fungere poi da soggetto del successivo commisisse” (cfr. Giorgio

OTRANTO, Italia meridionale e Puglia paleocristaiana. Saggi storici, Bari, Edipuglia, 1991, p. 208, nota 17.24 “Il diritto romano classico conosce l’istituto della locatio-conductio, uno dei quattro contratti consensuali ‘in

forza del quale una delle parti (locatore) si obbliga a mettere nella materiale disposizione dell’altra (conduttore) unacerta cosa, che questa si obbliga a restituire dopo averla goduta per un certo tempo o dopo averla manipolata otrasportata nel modo convenuto: secondo le varie ipotesi, spetta al locatore o al conduttore il corrispettivo di unasomma di denaro, detta mercede” (cfr. Luigi AMIRANTE, Locazione, “Novissimo Digesto Italiano”, Torino, UTET,1963, vol. IX, p. 994).

25 “Il testo è certamente guasto; gli emendamenti proposti, eos per eius e monasterii per monasterium (Ep. 3:Loewenfeld p. 2, in apparato) appaiono entrambi probabili ma non decisivi” (ibid., p. 209).

26 L’espressione frater et coepiscopus noster è frequente nelle epistole di papa Gelasio.27 Samuel LOEWENFELD, Epistolae pontificum romanorum ineditae, Lipsia, Veit & C., 1885, p. 2, n. 3 (cfr. anche G.

OTRANTO, Italia meridionale e Puglia paleocristiana…, cit., pp. 208-209). Riportiamo qui di seguito la traduzionedell’epistola:

“Gelasio ai vescovi Giusto e Probo. Si offende la religione quando si permette ciò che è contrario alle norme e alleantiche costituzioni. Marco, presbitero del monastero che si sa istituito nell’agro luciano, ha protestato con unasupplica inviataci, che i presbiteri Romolo e Ticiano hanno recato oltraggio contro di lui e contro la Chiesa. Infatti,egli afferma che, recatosi alle sacre funzioni nel giorno di Pasqua, è stato scacciato dalla chiesa da costoro che avevanodalla loro parte Moderato conduttore (appaltatore di latifondi) della casa regia, e poi, violando il sacrario dell’oratorio,ha consegnato i vasi sacri a questo laico, privandone i presbiteri del monastero. Ed ora sia verificato dal vostro giudi-zio quanto di strano è accaduto tra i suddetti presbiteri del monastero (di Lucera), perché sia osservato quanto èstabilito dalle regole e dalle costituzioni ecclesiastiche e perché nulla voi permettiate all’audacia e all’arbitrio; maindagate su tutto ciò che ci è stato esposto e stabilite ciò che conviene alla religione e alla giustizia. E tenga in conto ilfratello e nostro coepiscopo, il vescovo di Lucera: o egli andrà a quel monastero secondo la consuetudine in modo chei chierici non possano arrecare nessun disordine, ovvero dovrà astenersi di esercitare la giurisdizione sulla comunità diquel luogo” (Salvatore PALESE, Diffusione del cristianesimo in Puglia, Trani, Vivere in, 1983, pp. 29-30).

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Il primo elemento da sottolineare è il destinatario dell’epistola di papa Gelasio,ricavabile dalla superscriptio della stessa epistola . Nel nostro caso, i destinatari sonodue: i vescovi Iusto28 e Probo.29

Il papa con questa missiva incarica i due suddetti vescovi di indagare circa unfatto accaduto nella città di Lucera. Vittima di questo evento fu Marco, presbitermonasterii, quod in fundo Luciano noscitur constitutum.

Da questa prima espressione possiamo già evidenziare un elemento impor-tante, cioè l’esistenza in Lucera, o meglio nel territorio di Lucera, di un monasterium.

L’altro elemento importante consiste nel fatto che il concetto di monasteriumnel pensiero di papa Gelasio indica un luogo dove più persone convivono.30

Questo monasterium, poi, continuando la lettura del testo, sappiamo che erasituato in un fundus Lucianus, ciò vuol dire che il monastero doveva trovarsi fuoridella città, infatti più avanti papa Gelasio pronuncia quest’espressione: “cum adprocessionem venisset”. Quindi, Marco si sarebbe mosso da Lucera, dove probabil-mente risiedeva abitualmente, per recarsi al monasterium per svolgere la processio.È probabile che il fundus Lucianus apparteneva a qualche patrizio il cui nome eraappunto Lucius.

A questo proposito, sappiamo che nel Museo Civico “Fiorelli” di Lucerasono conservate tre epigrafi risalenti al II-III secolo che riportano il nome Lucius.

Ora Marco inviava una lettera al papa per denunciare il comportamento scor-retto di due altri presbiteri, Romolo e Ticiano che si erano aggregati a Moderato,conductor domus regi(a)e.

Marco faceva presente al papa che nel giorno di Pasqua, recatosi almonasterium per la celebrazione della liturgia pasquale, fu cacciato dalla chiesa delmonasterium, dai due suddetti presbiteri. Questi, dopo aver scacciato Marco, vio-larono il sacrarium31 oratorii,32 impadronendosi dei ministeria33 , i quali furono af-fidati a Moderato, affinché li custodisse.

I due presbiteri, a quanto pare, volevano impedire la celebrazione della litur-gia pasquale, infatti la celebrazione non poteva svolgersi senza i ministeria, poichéerano in possesso del conductor.

Il nostro Moderato doveva essere una persona molto influente tanto da esse-re coinvolto dai due presbiteri in questo furto sacrilego contro il monasterium e ilpresbitero Marco, anche se vi ha preso parte passivamente. Si voleva conferire forseall’atto dei presbiteri una certa approvazione da parte dell’autorità?

28 Secondo il Kehr si tratta di quel “Giusto”, vescovo di Larino, a cui papa Gelasio inviò un’altra lettera (cfr. PaulFRIDOLIN-Waltheri HOLTZMANN, Italia pontificia, Berlin, 1962, p. 155).

29 “Probo” potrebbe essere identificato con Probo, vescovo di Carmeianum, sul Gargano, il quale intervenne aisinodi romani degli anni 501, 502, 504 (OTRANTO, op. cit., pp. 209-210).

30 Epistola 9,14.31 Il sacrarium era il luogo dove erano custoditi gli oggetti per lo svolgimento del culto; in molti casi esso poteva

assumere la forma di un armadio. Dal termine sacrarium deriva il sinonimo attuale di sacristia.32 Il termine oratorium presentava e presenta un luogo adatto alla preghiera.33 I ministeria erano dei vasi sacri che venivano utilizzati nelle liturgie.

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A questo punto della lettura esegetica di questa epistola gelasiana salta allanostra attenzione che il monasterium di Lucera era costituito da una ecclesia conannesso oratorium.

I presbiteri, Romolo e Ticiano, allora, con questo loro atto volevano impedi-re la “processione pasquale”.

La lettera di papa Gelasio si chiude con un forte rimprovero al vescovo lucerinoper il suo atteggiamento disinteressato ed indifferente circa il fatto increscioso acca-duto. Non è da escludere, però, il fatto che lo stesso episcopus non fosse al correntedell’accaduto o che ci sia una certa complicità del vescovo con i due presbiteri.

Dati derivati dalla i epistola gelasiana

1 - Esistenza di un monasterium, ben articolato, costituito da un’ecclesia e unoratorium;

2 - Il monasterium è sito nelle vicinanze di Lucera, poiché Marco cum adprocessionem venisset;

3 - Esistenza del fundus Lucianus, luogo dove sorge il monasterium. Che nonsia questo sito una donazione a favore del monastero?

La seconda epistola gelasiana di cui disponiamo è nei secoli successivi con-fluita, come abbiamo sopra accennato nel Decretum Gratiani. Riportiamo anche diquesta il relativo testo latino:

Gelasius papa Rufino34 et Aprilis35 episcopis. Quis enim aut leges principum autpatrum regular aut admonitiones modernas dicat debet contegni, nisi qui impu-nitum sibi tantum aestimet transige commissum? Actores siquidem filiae nostraeillustris et magnificae feminae Maximae petitorii nobis insinuatione conquestisunt, Silvestrum atque Candidum originarios suos contra constitutiones, quaesupra dictae sunt, et contradictione praeeunte a Lucerino pontifice diaconos or-dinatos. Ideo, fratres carissimi, tantae praevaricationis excessus noveritis saga-cius inquirendos; et si constiterit querelam veritate fulciri, continuo qui contra-dictione praeeunte non legitime sunt creati, a sacris officiis repellantur.36

34 Probabilmente Rufino è quel vescovo di Canosa che prese parte al sinodo di Roma dell’anno 499 (cfr. CAMPIONE-NUZZO, op. cit., p. 31).

35 È probabile che Aprile sia il vescovo di Larino che sottoscrisse gli atti del sinodo romano dell’anno 501 (cfr.OTRANTO, op. cit., p. 209).

36 GELASIO, Ep. 22 (cfr. Andreas THIEL, Epistolae Romanorum Pontificum genuinae, New York, Hildesheim, 1974,p. 389; Jacques Paul MIGNE Patrologia Latina, 59, p. 152; cfr. anche OTRANTO, op. cit., p. 219). Riportiamo qui diseguito una traduzione del testo dell’epistola gelasiana:

“Gelasio ai vescovi Rufino e Aprile. Chi dice che non vanno osservate (o rispettate) le leggi dei principi o le regoledei padri o le esortazioni recenti, se non chi ritiene possa passare impunito ciò che da lui è stato compiuto? I firmatariche ci hanno inviato una protesta della nostra figlia Massima, donna illustre e magnifica, hanno lamentato che Silvestroe Candido suoi schiavi sono stati ordinati dal vescovo di Lucera, in contrasto con le suddette costituzioni e nonostan-te le precedenti obiezioni. Ora, fratelli carissimi, sappiate indagare con sagacia sugli eccessi di tanta prevaricazione. Ese si costaterà che la denunzia è vera, siano allontanati dai sacri uffici coloro che, a causa della precedente opposizione,non sono stati legittimamente ordinati” (PALESE, op. cit., p. 31).

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Ora passiamo ad esaminare con attenzione questa seconda epistola.Papa Gelasio, dunque, incarica i due vescovi, Rufino ed Aprile, per accer-

tarsi della veridicità del caso, sottoposto alla sua attenzione. L’anonimo vescovodi Lucera aveva ordinato diaconi, non legitime, due schiavi, Silvestro e Candido,che svolgevano il loro servizio presso la matrona Massima. Per questa motivazio-ne la donna lucerina, forse dopo aver ricevuto una chiarificazione non molto sod-disfacente da parte del vescovo lucerino, si rivolge al papa per la risoluzione delcaso.

Nel V secolo, infatti, l’ordinazione di uno schiavo, secondo le costituzioniecclesiastiche, era illecita. Anticamente, invece, o meglio fino alla metà del III seco-lo, questi vi accedevano tranquillamente, anzi potevano accedere anche all’episcopatoe alla guida della comunità cristiana di Roma. Le limitazioni cominciarono conpapa Stefano (254-257). “Nel caso dell’ordinazione dei due servi da parte del vesco-vo di Lucera, ammesso che tale ordinazione sia effettivamente avvenuta, il vescovoha violato la disciplina canonica ponendosi palesemente contro le decisioniconciliari”.37

Un’altra fonte di notevole importanza per la storia della comunità cristianadi Lucera è un’epistola di papa Pelagio I (556-561), stilata nel febbraio del 559 eindirizzata al defensor38 Dulcio. Ne riportiamo il testo latino:

Pelagius Dulcio difensori. Experientia tua presenti admonitione suscepta filiisnostris viris magnificis Aemiliano magistero militum et Constantino iudici etAmpelio ex nostra exhortatione dicere non omittat: Ecce, sicut magnitudinisvestrae desiderium postulavit, sine mora aliqua et sine ullo dispendio, ita ut necipsas dare officiis ecclesiasticis consuetudines sineremus, Anastasium diaconumLucerinae civitatis ordinavimus sacerdotem. Propterea nunc magnificentia vestraeiusdem episcopi vel ecclesiae Lucerinae utilitatibus universis, quae sunt ne-cessaria, libenter impendat, et competentia vigilantiae suae tributa christianadevozione solatia.39

Come abbiamo potuto constatare dalla lettura dell’epistola, papa Pelagio

37 Giorgio OTRANTO, Due epistole di papa Gelasio I (492-496) sulla comunità cristiana di Lucera, in «VeteraChristianorum», XIV (1977), p. 134.

38 Il termine defensor sta ad indicare quel laico incaricato di aiutare l’episcopus nella risoluzione di questioni giuri-diche; egli è tenuto ad assolvere alla parte tecnica e amministrativa della sede apostolica.

39 PELAGIO, Ep. 29 (cfr. Pio M. GASSÒ-Columba BATTLE, Pelagii I papae epistulae quae supersunt (556-561),Montserrat, Abbazia di Montserrat, 1956, pp. 84-85; G. OTRANTO, p. 225). Riportiamo di seguito la traduzione deltesto:

“Pelagio al difensore Dulcio. La tua esperienza, ricevuta questa ammonizione, non ometta di riferire, per nostraesortazione, ai nostri figli, uomini illustri, generale Emiliano, giudice Costantino e Ampelio: Come chiese il desideriodi vostra grandezza, senza alcun indugio e senza alcun “dispendio” abbiamo ordinato sacerdote Anastasio, diaconodella chiesa lucerna; così che non lasciamo trascurate le consuetudini ecclesiastiche nel dare gli incarichi. Perciò lavostra magnificenza provveda ora volentieri ciò che è necessario per il vantaggio dello stesso vescovo e della Chiesalucerna e, con la vigilanza che gli compete, dia sostegno alla vita cristiana” (PALESE, op. cit., p. 33).

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chiede a Dulcio di recarsi da Emiliano, magister militum, da Costantino, iudex, e daAmpelio, di cui non è specificato il ruolo, ma che potrebbe essere stato comes ettribunus.40 È certo, però, che questi tre uomini dovevano ricoprire un’importantecarica nella Lucera di quel tempo. Dulcio, dunque, deve comunicare a questi chepapa Pelagio aveva consacrato Anastasio, vescovo di Lucera, e consiglia loro diaffidarsi alle sue cure. Dall’epistola si evince, infatti, che Emiliano, Costantino edAmpelio erano intervenuti presso papa Pelagio affinché consacrasse Anastasio. Èprobabile che questi tre uomini illustri avevano ricevuto questo incarico dalla co-munità cristiana di Lucera.

Questa epistola di Pelagio può essere messa in relazione con un’altra in cuilo stesso papa invita Domnino,41 vescovo di Aecae, affinché mandi a Roma coluiche doveva essere consacrato vescovo, che sicuramente doveva trattarsi di unaecanus, visto che il papa si rivolge al vescovo di Aecae. Purtroppo Pelagio nonspecifica né il nome del consacrando, né la diocesi a cui era stato destinato; èprobabile, però, che doveva trattarsi di una diocesi vicina a quella di Aecae, vistoche egli stesso si rivolge a Domnino, il quale avrebbe potuto conoscere le virtùdel neo-eletto.

Il prof. Otranto avanza l’ipotesi per la quale l’aecanus fosse proprio Anastasio,infatti se così fosse si comprenderebbe meglio la ragione per cui furono coinvolti itre viri magnifici per la richiesta della consacrazione di Anastasio.42 Se l’ipotesi delprof. Otranto dovesse risultare convincente, ne deriverebbe che la lettera di Pelagioa Domnino, andrebbe datata a poco prima del febbraio 559, “epoca in cui lo stessoPelagio comunica di aver già consacrato Anastasio”.43

Un’altra ipotesi ci viene avanzata dalla professoressa De Santis, la quale haevidenziato che la città di Troia, erede dell’antica Aecae, veneri tra i santi patronisant’Anastasio, il cui simulacro è rappresentato con i paramenti diaconali. Il ricor-do di Anastasio, dunque, diacono di Aecae eletto vescovo di Lucera, potrebbe es-sersi tramandato nella tradizione orale fino a determinare la sua elevazione tra isanti patroni della città di Troia.44

Attualmente Anastasio è il primo nome di vescovo della comunità cristianadi Lucera.

40 G. SANTINI, Il “castrum Callipolitanum” e la geografia amministrativa dell’Italia bizantina (sec. VI-IX), «Archi-vio Storico Pugliese», 38 (1985), p. 5.

41 Riportiamo la traduzione:“Pelagio a Domnino vescovo di Aecae. Poiché il propizio Iddio ha reso concordi il clero e il popolo nella scelta

della persona che deve essere ordinata, non si attenda, ma l’eletto in nome di Dio venga subito a noi per essereconsacrato, sia pure con poche persone” (PALESE, op.cit., p. 33).

42 G. OTRANTO, Italia meridionale e Puglia paleocristiana…, cit., pp. 228-229.43 Ibid., p. 229.44 M. DE SANTIS, Marco vescovo di Aeca tra III e IV secolo, in «Vetera Christianorum», XXIII (1986), pp. 155-170.

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4. Le leggende sui primi quattro vescovi di Lucera:Basso, Pardo, Marco, Giovanni

La tradizione ecclesiastica lucerina ricorda e tramanda la devozione verso iprimi quattro santi vescovi di Lucera: san Basso, san Pardo, san Giovanni e sanMarco. Questi sempre secondo questa pia tradizione avrebbero gettato le basi delladottrina predicata da Cristo e trasmessa dagli Apostoli.

Ora passiamo ad esaminare una per una le figure che ci vengono propostedalla liturgia propria della chiesa lucerina.

Il primo vescovo in esame è san Basso. Le notizie circa Bassus sono scarse eprive di fondamento storico.

Egli sarebbe appartenuto alla famiglia dei Bassi, residente in Lucera, la qualeera iscritta alla stirpe Claudia. La relazione che lega Basso alla stirpe Claudia èriscontrabile in due epigrafi riportate dal d’Amely nella sua storia di Lucera:

…. ELLIUS M………CL…. BASSUS…45

La seconda epigrafe così recita:

…. Q... ELVI……BASSUS CEN…....OPPIA…46

I vari studiosi di storia locale, hanno asserito che Basso fu consacrato dal-l’Apostolo Pietro, in cammino verso la città eterna. Ci troviamo di fronte alla co-siddetta “tradizione petrina”.

Riguardo all’anno della sua consacrazione vi è un po’ di confusione in quan-to, alcuni affermano che sia avvenuta nell’anno 44 dell’era cristiana,47 altri che lafissano intorno all’anno 70,48 altri ancora nel 74.49

Basso sarebbe, poi, morto martire sotto il regno di Traiano, essendo papaEvaristo, l’anno 112, per mano dei Cornicolari, insieme ai vescovi Liberale di Can-ne ed Eleuterio di Ecana.50 Il suo corpo sarebbe stato sepolto dapprima in Lucera,poi trafugato dagli abitanti di Termoli, dove fu proclamato patrono della città.

45 Giambattista D’AMELJ, Storia della città di Lucera, Lucera, Tip. S. Scepi,1861.46 Giambattista D’AMELJ, Storia, Appendice, iscrizione n. 73.47 MATTEO PERRUCCI, Lucera (chiesa di), in Enciclopedia dell’Ecclesiastico, Napoli, 1845, 4 voll.: vol. IV, p. 664.48 Vincenzo DI SABATO, Storia e arte nelle chiese e conventi di Lucera, Foggia, [s.n.], 1971, p. 32.49 Tommaso Maria VIGILANTI, Collezione di tutte le memorie interessanti la Real Chiesa Cattedrale della Città di

Lucera, Napoli, F. Perretti, 1835, p. 57.50 Pompeo SARNELLI, Cronologia de’ Vescovi et Arcivescovi sipontini, Manfredonia, nella Stamperia Arcivescovile,

1680, p. 21.

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La Diocesi di Lucera: genesi ed evoluzione della presenza cristiana

Attualmente, però, non disponiamo di alcuna documentazione storica cheattesti una traccia dell’episcopato di Basso a Lucera, o circa la sua presenza nellastessa città dauna. È difficile, infatti, comprendere chi sia realmente Basso, perchénella Biblioteca Sanctorum ne sono citati almeno otto e nessuno di questi otto vissesotto l’imperatore Traiano.51

È nota, a tal proposito, che in alcuni comuni siti sul litorale adriatico, la fortedevozione per san Basso, che probabilmente fu vescovo di Nicaea, in Bitinia e sa-rebbe stato martirizzato sotto Decio o Valeriano.52 Si tratta forse di un errore dilettura tra Nicaea e Luceria o Nuceria, nome con cui era chiamata anche Lucera?53

Più complessa, invece, si presenta la vicenda del vescovo Pardo. Gli unicielementi di cui potremmo servirci per delinearne la figura sono tratte da due bio-grafie, con evidenti trucchi e caratteri agiografici.

La Vita minor, risalente al X secolo, di anonimo autore, e la Vita maior, risa-lente all’XI secolo, redatta dal chierico Radoino.

In entrambe i testi agiografici possiamo evidenziare delle parti comuni:- Pardo, vescovo del Peoloponneso, ormai anziano, viene scacciato da lo-

schi individui dalla sua diocesi. Con lui c’erano anche dei rappresentantidel clero;

- Pardo, inizialmente andò a Roma, poi a Lucera, nell’Apulia;- Pardo a Lucera “mirae magnitudinis et puchritudinis edificari iussit duas

ecclesias, haerentes muro civitatis”;54

- Pardo trascorre gli ultimi anni della sua vita, tra digiuni e penitenze, inuna celletta costruita presso le mura della città di Lucera.

Le due agiografie, poi, continuano parlando delle incursioni di Costante II,durante le quali il vescovo di Lucera55 con alcuni chierici fuggì dalla sua sede e sirifugiò in un luogo dove fonda la città di Lesina.56

Nel 662 Costante II rade al suolo Lucera. Dopo questo episodio nelle due agiografiesi legge della “traslazione” delle reliquie di Pardo; la vicenda è assai ingarbugliata.

Gli abitanti di Lesina si recarono a Larino e trafugarono le reliquie dei santiPrimiano e Firmiano, portandole nella loro città. I Larinati, avendo scoperto il fur-to, entrarono in Lucera e, individuato il sepolcro di Pardo, ne trafugarono le reli-quie. Questi, cioè i Larinati, avvolsero il corpo privo di un pollice in un panno esalmodiando lo trasportarono nel loro paese.

Inizialmente le reliquie furono deposte nella chiesa di santa Maria, in at-

51 BIBLIOTHECA SANCTORUM (d’ora in poi BS), 2, 965-969, s.v. Basso.52 BS, 2, 966-967. s.v. Basso; cfr. anche Biblioteca Hagiographica Latina, p. 1041-1042.53 OTRANTO, op. cit., p. 205.54 CAMPIONE-NUZZO, op. cit., p. 88.55 Non si fa alcun cenno al nome del vescovo.56 P. CORSI, Le diocesi di Capitanata in età bizantina: appunti per una ricerca, in Storia e arte nella Daunia medio-

evale, Atti della Settimana di Beni Storico-Artistici della Chiesa in Italia (Foggia 26-31 ottobre 1981),Foggia, LeoneEditrice Apulia, 1985, pp. 53-54; Jean Marie MARTIN-Ghislaine NOYÉ, La Capitanata nel Mezzogiorno medievale,Bari, Editrice tipografica, 1991; CAMPIONE-NUZZO, op. cit., p. 90.

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Gaetano Schiraldi

tesa della costruzione di una nuova. Pardo divenne patrono di Larino.Nella Vita minor non è indicato il giorno della depositio, elemento importan-

te per la datazione storica. Si tratta di un’opera breve che illustra solo pochi avveni-menti della vita di Pardo.

La Vita maior intende presentare Pardo sicut exemplum per i cristiani.Da queste due opere agiografiche non emerge nessun riferimento

all’episcopato lucerino di Pardo. Probabilmente, siccome questi, a Lucera, fece co-struire due chiese e avendo presente il rapporto episcopus-dioecesim, fu ritenutovescovo della comunità cristiana di Lucera.

In base ai ritrovamenti archeologici, se realmente si deve a lui la costruzionedelle due chiese, è possibile fissare cronologicamente il suo episcopato tra il V e ilVI secolo; in riferimento poi alla sua morte, avvenuta prima della spedizione diCostante II, si pensa al VII secolo.

Per ciò che concerne l’episcopato di Giovanni è possibile ritenerlo storicoprobabilmente fra il III e il IV secolo.57

Il suo nome ricorre, assieme a quello del vescovo Marco, nella Vita de SanctoMarco episcopo Luceriae, Bovini patrono.

Le vicende di questi due vescovi si intrecciano per una serie di elementi.La Vita de Sancto Marco è un’operetta collocata verso la fine dell’XI secolo;

essa si presenta con i classici caratteri agiografici, facendo ricadere in essa diversetradizioni e non eliminando la duplicazione o lo sdoppiamento dei personaggi.

Nel suddetto testo agiografico leggiamo che Marco, nato ad Aecae, da agiatafamiglia fu educato cristianamente dal padre Costantino. Morto il padre, Marcodecise di dedicarsi unicamente alla cura dei poveri, perciò si libera dei suoi benidandoli in beneficio di questi. Fu ordinato sacerdote da Giovanni, vescovo di Lucera.Passato qualche tempo, alcuni abitanti di Aecae, invidiando la santità di vita delsacerdote Marco, inviarono una lettera al vescovo di Lucera Giovanni, in cui de-nunciavano delle scelleratezze, atti di stupro e di magia compiuti da Marco.

Il vescovo allora per la risoluzione della questione, incaricò due suoi diaconi,Vincenzo e Aristotele. Questi si sarebbero dovuti recare nella vicina città di Aecaee giudicare la falsità o veridicità delle denuncie a lui rivolte, circa il sacerdote Mar-co. Mediante eventi prodigiosi, che coinvolsero anche i due diaconi, Marco fu sca-gionato dalle accuse che i suoi concittadini gli mossero. Giovanni, allora, lo reinte-grò nel servizio sacerdotale.

Morto Giovanni, vescovo di Lucera, fu eletto vescovo Marco. Fu consacrato dapapa Marcellino (296-304); durante il suo episcopato guarì un indemoniato e un cieco efece risorgere il figlio di una vedova. Marco morì il 7 ottobre a settantadue anni. Per unsuo desiderio volle essere sepolto a Bovino, dove fu proclamato patrono della città.

Nel testo agiografico, poi, sono riportati i miracoli operati dopo la morte,l’autore della Vita de Santo Marco è un chierico, che testimonia di aver trovatoqueste notizie in un libellus rimasto a lungo nascosto.58 Quest’ultimo è un partico-

57 OTRANTO, op. cit., pp. 206-208.58 AA.SS. Jun. 3,294.

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La Diocesi di Lucera: genesi ed evoluzione della presenza cristiana

lare con cui si vuole attribuire veridicità e validità ad un fatto o personaggio avve-nuto o vissuto nei secoli addietro.

Dalla lettura della Vita de Santo Marco emergono questi elementi:- la dipendenza della diocesi di Aecae da quella di Lucera; una dipendenza

che interessa VIII e IX secolo e che è anticipata all’epoca in cui Marco fuvescovo di Aecae con evidente anacronismo. Infatti è Giovanni, vescovodi Lucera ad ordinare presbitero Marco;

- è al vescovo di Lucera che si rivolgono gli Ecani per denunciare Marco;- è Giovanni, vescovo di Lucera, che prende i dovuti provvedimenti.Secondo l’anonimo chierico, Marco diventa vescovo di Lucera e muore il 7

ottobre, die festus di papa Marco (+336), il cui ricordo ricorre nel Martirologiogerolimiano.59

Anticamente si era soliti far coincidere feste locali con quelle ricorrenze piùimportanti.

Gli elementi fondamentali che emergono ancora dal testo sono:- Marco è nato ad Aecae e qui visse tra la fine del III e l’inizio del IV secolo,

visto che fu consacrato vescovo da papa Marcellino (296-304);- Nella Passio Fratrum, della seconda metà dell’VIII secolo, si narra che

Marco, vescovo di Aecae, di notte, con i suoi clerici, si recò a Sentianumper trafugare le reliquie dei santi Felice e Donato, martirizzati nel 298. Ilfurto riuscì e le reliquie giunsero ad Aecae.

Anche gli Annali di Romualdo Salernitano, del XII secolo, confermano la no-tizia dell’episcopato di Marco alla fine del III secolo, aggiungendo che sarebbe statomartirizzato durante la persecuzione di Diocleziano (303). Poi si parla di Secondinoaltro vescovo di Aecae, ricordato per la sua fiorente attività edilizia.60 Proprionell’inventio del corpo di san Secondino (XI sec.) si ricordano i ruderi di una chiesadedicata a san Marco nella città di Aecae, dove stava sorgendo l’attuale città di Troia.

Il culto verso il vescovo di Aecae, dunque, menzionato nel MartirologioGerolimiano si diffuse rapidamente anche oltre i confini di Aecae, coinvolgendo levicine diocesi di Lucera e Bovino che ne rivendicarono l’episcopato, e finanche inalcune diocesi della Campania.61

In conclusione: san Basso non è storicamente accertato; né la sua figura, né ilsuo episcopato a Lucera. San Pardo, come abbiamo visto, sicuramente non è statovescovo di Lucera, e lo stesso dicasi per san Marco di Aecae. L’episcopato di Gio-vanni è più o meno storicamente attendibile.

Comunque ci sentiamo di condividere la stessa opinione avanzata da mons.Lanzoni, cioè quella di escludere dalla cronotassi episcoporum di Lucera i quattrovescovi di cui abbiamo in questo capitolo ampiamente disquisito.

Li veneriamo solo perché la tradizione ce li ha affidati come esempi da segui-re ed imitare.

59 AA.SS., Nov. 2/II, 543.60 Annales a. 1018; MGH.SS 19,402; CAMPIONE-NUZZO, op. cit.. p. 75.61 M. DE SANTIS, op. cit., pp. 155-156.

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Carmen Sferruzzi Siniscalco

“Da proletari a possidenti”.Un progetto di sviluppo in età liberale

di Carmen Sferruzzi Siniscalco

“È desiderio di tutti i cittadini indistintamente che il demanio Comunale instato di divisione sia ripartito in tante quote per quante sono le famiglie di questacomunità, ossia fra quelle in generale che vivono separatamente l’una dall’altra conletti ed economia separata”.1

Nel novembre 1864 il consiglio comunale di Accadia sottoponeva all’appro-vazione del Prefetto di Avellino la proposta di divisione dei terreni demaniali inquote tutte uguali nella estensione, contrariamente alla legge che prevedeva l’ugua-glianza nel valore della quota. In breve si chiedeva: quote uguali nell’estensione pertutti, canone diverso a seconda della qualità del terreno. Un progetto di democraziaimmediata, visibile, un ausilio per mantenere l’ordine pubblico, per calmare gli ani-mi dei “proletari di Accadia” che “fremono perché burlati da tre anni”.2

Questa proposta non fu autorizzata dalla Prefettura di Avellino, in quantocontraria al decreto del 3 dicembre 1808. Tale decreto prevedeva che la divisionepoteva effettuarsi “o per teste, o per offerte”.3 Il Prefetto non mancò di sottolineareil fine moralizzatore della legge:

Queste disposizioni di legge sono dettate dai principi eminentemente econo-mici e politici volendosi elevare alla condizione di possidenti i proletari e darealla terra, con l’industria de’ coltivatori operosi il maggior valore possibile, ilche non si ottiene dà coltivatori precari, e moralizzare con l’amore alla proprie-tà ed alla fatica una classe che per mancanza di averi suol essere ricorsa allasocietà e specialmente ai comuni cui appartiene. Da ciò credo bene che il Con-siglio proponendo una divisione a suo modo contro la legge e con intendimen-to poco onesto e disinteressato si opporrebbe alle mire del Governo, le piùprovvide, le più sante.4

1 A.S.AV., (Archivio di Stato di Avellino), Atti demaniali, bs.2, f.17, Delibera consiliare 7 novembre 1864.2 A.S.AV. , Atti demaniali, bs.2, f.17, Corrispondenza periti agrimensori-Prefettura.3 Il primo caso si verificava solo quando l’estensione del demanio divisibile era tale da poter destinare una

quota del valore di due tomoli del migliore terreno di seconda classe, ad ogni cittadino di qualunque età esesso. Non verificandosi questa situazione ad Accadia, bisognava eseguire la divisione per offerte, riducendoqueste al numero di quote disponibili, preferendo nelle assegnazioni i non possidenti.

4 A.S.AV., Atti demaniali, bs.2, f.17, Lettera del Prefetto di Avellino al Sindaco di Accadia, 28 novembre 1864.

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È l’eterno fine moralizzatore, “moralizzare con l’amore alla proprietà ed allafatica”, ricetta per lo sviluppo, dai tempi del riformismo illuminista, della polemicaantifeudale, dal Genovesi a Giuseppe Zurlo, ripresa e riproposta dall’autorità digoverno, il Prefetto di Avellino ai cittadini di Accadia, i quali a pochi anni daidiscorsi encomiastici della svolta liberale, sulle “cure del governo, le più provvide,le più sante”, dovettero scontrarsi con una dura realtà, dove alla maggior parte dei“beneficiati”, per mancanza di mezzi, non restò altro che l’abbandono, o l’aliena-zione della quota demaniale assegnata. Attualmente si parla tanto di sviluppo so-stenibile dei terrirori rurali, i riformisti, con le leggi eversive della feudalità, deldecennio francese, aspiravano alla formazione della proprietà privata della terra,come premessa al moderno sviluppo dell’agricoltura. In teoria, una volta quotizzatele grandi estensioni di terreni demaniali, eliminato il sistema di tutela ai contadini,in questo caso gli usi civici garantiti all’interno del sistema feudale, con la proprietàprivata i contadini sarebbero stati costretti a lavorare sodo e a produrre di più per ilmercato.5 Ma la realtà si presentava più complessa e le teorie dei legislatori avreb-bero incontrato non poche difficoltà in fase di applicazione.

Durante il decennio francese la cittadinanza di Accadia nonostante i ripetutiinviti per la quotizzazione del demanio non presentò domande per partecipare all’as-segnazione di quote. La principale fonte di reddito in Accadia era costituita dai pa-scoli più che dalle coltivazioni. Il comune, dopo le sentenze della commissione feuda-le fu reintegrato del Bosco Montuccio e della Difesa delle Coste, ebbe così a disposi-zione ampie zone per il pascolo, che oltre ai bisogni del comune, soddisfavano anchele esigenze di utenti forestieri. Una masseria specializzata nel settore armentizio eramolto produttiva in questa zona prossima alle pianure pugliesi, dove la trazione ani-male era elemento essenziale per lo svolgimento dei lavori di aratura. Da qui la grandeimportanza dell’uso civico del pascolo esercitato sul suolo demaniale.

Nel 1794 furono ridotti a coltura alcuni demani,6 i terreni furono poi censiticon un modesto canone di affitto. I coltivatori, constatando a loro spese le esigenzee le difficoltà di conduzione dei terreni in questione, preferivano restare semplicifittuari, piuttosto che divenire proprietari di territori gravati da un alto rischio difrane e quindi necessitanti di lavori di terrazzamento - coltura a gradoni, e relativacontinua manutenzione - in aggiunta ai normali lavori di coltivazione. Il tipo diintervento richiesto dal territorio, il pagamento del canone e della temuta impostafondiaria, era nelle possibilità di pochi intestatari, come emerge dalla lettura dell’in-cartamento relativo alle verifiche effettuate sui fondi in pendio, in ottemperanza aquanto previsto della legge del 21 agosto 1826. Dallo Stato delle terre appese colti-vate prima e dopo del 1815, datato 19 maggio 1834, su 86 quote, solo in due di esse

5 Domenico MORLINO, Riformismo e ambizioni borghesi, in «Studi Cattolici», 2002, 501 (novembre), Ilpensiero economico di Vincenzo Cuoco: agricoltura, demani e usi civici, «Rassegna Storica del Risorgimento»,anno LXXXIX (2002), f. IV.

6 F. SCANDONE, Cronache del giacobinismo irpino, in Atti della Società Storica del Sannio, Benevento, Tip.Istituto Maschile Vittorio Emanuele III, 1923.

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fu ridotta la coltura “a gradoni”, come disposto dall’ordinanza dell’Intendenza diCapitanata nel luglio 1831.7

Queste periodiche inchieste sul territorio, documentano l’andamento discon-tinuo delle coltivazioni, dove fasi di sviluppo si alternavano a fasi di abbandono.Frequenti erano le frane, a danno delle colture e strade sottoposte, mentre la partealta della montagna, restava esposta a fenomeni di erosione. Nella contrada comu-nale “Costa di Faggeto”, nel 1831 vi erano 58 quote censite ad altrettanti quotisti acolonia perpetua. Per circa metà delle quote, inclinate verso settentrione, è riporta-to: “Il terreno è sassoso. Le acque piovane che scorrono dalle quote appese danneg-giano le proprietà sative sottoposte del medesimo comune, e quindi si uniscono nelsottoposto Vallone denominato Fontana di Faggeto”.

Non mancavano conflitti tra pastori ed agricoltori. Nel novembre 1830, “mol-ti piccoli padronali di poche pecore del comune di Accadia”, denunciarono allasottointendenza di Bovino, che pur pagando il pascolo “in fida”, i terreni erano statidissodati da vari cittadini, e che tra gli autori delle usurpazioni figuravano il sindaco ealcuni decurioni. Il sindaco in questione fu interpellato solo nel 1847, dallasottointendenza di Bovino. Questi non negò le usurpazioni, e convenne che diversiproprietari del paese, dal 1820 in poi, si erano impossessati di varie estensioni demaniali,in maniera quasi impercettibile, a danno del “demanio erbifero addetto al pascolodegli animali”, ma nessuna regolare verifica era stata eseguita , non potendo l’ammi-nistrazione municipale esibire alcun titolo attestante i confini delle sue proprietà.

Le verifiche delle usurpazioni, una costante nella corrispondenza con l’Inten-denza, progettate a tavolino, si rivelarono di difficile attuazione pratica. L’incarico fuprima affidato al Sindaco di Santagata, Alfonso Volpe,8 successivamente al consiglie-re distrettuale Luigi Albani di Savignano, ma al 1857 nessuna verifica era statacompiuta.

Questi accertamenti erano destinati a rimanere pure elaborazioni teoriche,spesso il decurionato giustificava la loro mancata esecuzione adducendo che la spe-sa occorrente per le stesse superava il valore dei terreni usurpati, giustificazione,che potrebbe essere letta anche come alibi per sfuggire ad uno scomodo accerta-mento, che avrebbe potuto rilevare la posizione di usurpatori nelle stesse personedei denuncianti. È necessario un equilibrio nell’interpretare il documento, come

7 A.S.AV., Atti Demaniali, bs.1, f.6. L’ordinanza prevedeva che i fondi in pendio, classificati come dissodatianteriormente al 1815, potevano continuare ad essere coltivati, a condizione che nel termine di due anni sifosse adempiuto ai lavori di “riparo”. Per i fondi dissodati dopo il 1815, invece vigeva il divieto di coltivazio-ne. Il fatto che i terreni di Accadia siano stati classificati tutti come dissodati prima del 1815, probabilmentenon doveva essere estraneo a questa disposizione di legge.

8 Alfonso Volpe, di Decio, (1803-1873) esponente di una facoltosa famiglia borghese del comune di Santagatadi Puglia, esercitò la professione medica con grande prestigio. L’archivio di famiglia, offre materiale docu-mentario dal 1597 al 1959, con notizie risalenti al 1548. Viviano IAZZETTI (a cura di), L’Archivio Volpe diSant’Agata di Puglia, Sant’Agata di Puglia, Comune di S. Agata di Puglia, 1990. Un profilo del Volpe, inLorenzo AGNELLI, Cronaca di Santagata di Puglia, Cefalù, Tipografia Salv. Guscio, 1902. Su Lorenzo Agnel-li, cfr. D. DEL VECCHIO, Cultura e società nel Mezzogiorno d’Italia nell’opera di Lorenzo Agnelli (1830-1904),Vicum, 2004.

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vedremo, si tratta di terre difficili, e ai primi anni di coltivazione, seguiva spessol’abbandono a volte fittizio, spesso a causa delle frane, reale.

Nel periodo post-unitario, l’amministrazione comunale, cerca di perseguire,in materia di gestione demaniale, la linea politica adottata dalle precedenti ammini-strazioni: detenere il controllo della questione eludendo qualsiasi ingerenza ester-na. Ma questa strategia, dovette scontrarsi con l’impegno dell’agente demaniale econsigliere provinciale Francesco Paolo Trombetti, proveniente dal vicino comunedi Monteleone, il quale avviò malgrado molte difficoltà le operazioni di divisione.Nel novembre 1861, Trombetti, inviò al commissariato demaniale di Avellino, unanota nella quale elencava i demani, che secondo le sue stime potevano esserequotizzati, e non mancò di sottolineare che il Municipio era fin troppo restio a fareseguire la reintegra delle usurpazioni avvenute, in quanto nella maggior parte deicasi erano proprio i consiglieri comunali i detentori dei terreni in questione. Nelgennaio 1862, dopo un lungo discorso del nostro agente, e di fronte alle pendenzedemaniali da questi denunciate, il consiglio comunale non potè sottrarsi al votofavorevole per la ripresa delle operazioni di quotizzazione. La procedura, andò perle lunghe.

Escluse le tenute boschive, Trombetti, nel novembre successivo, terminò ilavori preparatori e presentò il verbale, ma il lavoro del nostro agente fu reso vanodall’intervento del duca Dentice, ex feudatario di Accadia, il quale sostenendo divantare alcuni diritti su un fondo inserito nel progetto, apportò un notevole allun-gamento dei tempi delle operazioni, e alle dimissioni di Trombetti. L’amministra-zione, in seguito propose di verificare solo le eventuali usurpazioni, lasciando que-sti fondi allo stato boschivo, addetti all’uso civico del pascolo in determinati perio-di dell’anno. Arrivò il nuovo agente, Nicola Miletti, medico di Bonito. Il consigliocomunale, profittando della poca esperienza del medico in materia di quotizzazioni,intesse una fitta corrispondenza con la Prefettura, e finalmente il 4 febbraio 1866,“alle ore 11.00 nella Casa Comunale di Accadia vengono sorteggiate 300 quote allapresenza della Guardia Nazionale, dei Reali Carabinieri, nonché di tutti i notabilidel paese.”9

Vari disordini seguirono la quotizzazione. La divisione del 1866 era stataeffettuata su territori del comune già coltivati dai cittadini, questa redistribuzionedei fondi, scatenò conflitti con i vecchi affittuari, con ripercussioni negative sul-l’agricoltura e sulle le finanze comunali. Furono denunciate varie irregolarità nellosvolgimento delle operazioni, inoltre si evidenziava che tra i quotisti sorteggiati, ipiù bisognosi, avevano ceduto la loro quota “ai proprietari del paese di accadia iquali li hanno somministrati delle somme per far fronte alle spese.....come poi puòcoltivare la terra e pagare il censo al comune se non ha mezzi?”10

Se da una parte, gli esclusi, invocavano l’intervento dello Stato per fare giu-stizia delle varie illegalità commesse, sull’altro versante, i “fortunati” sorteggiati, si

9 A.S.AV., Atti Demaniali, bs.2, f.17.10 Ibid., bs.3, f. 24.

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ritrovarono a fare i conti con la tenacia dei precedenti affittuari, i quali non avevanoalcuna intenzione di abbandonare le loro terre, per cederle ai nuovi quotisti. Siinvocava l’intervento delle autorità, al fine di sedare le violenze dei vecchi affittuari,“i quali si ostinano a non lasciarsi vincere dà nuovi quotisti, e che ogni mezzo han-no adoperato ed adoperano presso la Prefettura per intercettare i provvedimentiche l’onorevole signor Prefetto abbia emesso, o che sarebbe per emettere.”11

Mentre vecchi e nuovi quotisti si contendevano le quote demaniali, il consi-glio comunale si ritrovò impegnato nel cercare di arginare i dissesti e lo stato dianarchia in cui versavano le finanze municipali. Dopo la quotizazione, il Comunenon aveva più riscosso i fitti, e alle ingenti spese sostenute per la divisione non eraseguito alcun rimborso. Il cassiere comunale non poteva vantare alcun titolo, oltreal verbale di quotizzazione, per produrre azione contro i vecchi conduttori, delresto i nuovi quotisti possedevano solo il possesso precario delle quote, e per con-fermarlo in definitivo, ad un anno e mezzo dal sorteggio, si attendeva ancora il“Regio Decreto di approvazione”,12 il quale, a causa delle “intercettazioni” dei vec-chi conduttori, tardava ad arrivare.

Non mancarono danni all’agricoltura locale. Entrambe le fazioni avevanocontinuato a seminare sui terreni contesi “non rispettando l’alternativa nella coltu-ra”,13 favorendo così raccolti improduttivi. Negli anni seguenti ci furono abbando-ni di quote, e la relativa corrispondenza con la Prefettura, rivelava il sospetto daparte della autorità centrale, che dietro gli abbandoni si nascondesse un espropriodei veri bisognosi, in favore di pochi privilegiati. Le indagini promosse dalla Prefet-tura, non apportarono benefici agli indigenti. Le disposizioni emanate per gestire laquestione delle quote abbandonate o alienate, prevedevano un ampio margine didiscrezionalità a favore del consiglio comunale, la situazione ritornava quindi alpunto di partenza.

Nel dicembre 1873, il consiglio comunale, richiedeva l’autorizzazione allaPrefettura per procedere a trattative private per l’affitto della tenuta Montuccio,della estensione totale di 1470 tomola.14

Il Prefetto, una volta accertata la natura di bene demaniale comunale di origi-ne exfeudale, ritenne la tenuta Montuccio soggetta al riparto obbligatorio tra i cit-tadini a titolo di censo, in quanto l’affitto della stessa li avrebbe “spogliati degli usi

11Ibid., bs.3, f.24, Seduta consiliare 18 ottobre 1867.12 La quotizzazione fu sanzionata con Approvazione Sovrana del 15 marzo 1868. Undici anni dopo, il

Prefetto in qualità di Regio Commissario Riaprtitore pronunciò ordinanza di reintegra per 43 quote, dichia-rando di non aver percepito sulle medesime la relativa rendita per più anni.

13 A.S.AV., Atti demaniali, bs.3, f.24, Verbale seduta consiliare 4 febbraio 1868.14 La tenuta Bosco Montuccio, destinata in età Aragonese al pascolo delle Regie Razze equine, fu venduta

nel 1723 al duca Fabrizio Dentice d’Accadia, e con sentenza della commissione feudale del 20 agosto 1810,reintegrata al comune. Fu esclusa dalle quotizzazioni con deliberazione del 6 luglio 1812, perché riconosciutadal decurionato “frattosa e macchiosa”, e se ne propose il rimboschimento. Successivamente fu affittata per ilpascolo estivo, anche ad utenti dei comuni limitrofi. La cittadinanza continuava ad esercitare l’uso civico delpascolo dal I° dicembre all’otto marzo e del “legnare sul selvaggio”.

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civici che in origine rappresentavano sulle tenute demaniali, ed in considerazionedè quali i comuni divennero amministratori, anziché assoluti padroni dè fondi sog-getti alle servitù reali degli usi civici.”15

Ritornava a questo punto la giustificazione del riparto in quote e a titolo dicenso, secondo la legislazione demaniale, foriero di vantaggi per il comune e per icittadini. Il comune si sarebbe assicurato una rendita stabile non soggetta a varia-zione, il contributo fondiario sarebbe stato a carico dei quotisti, un’operazione van-taggiosa, in quando “elevando al grado di possidenti i proletari questi impieghereb-bero tutte le loro cure per migliorare i terreni, specialmente con piantagioni, e farpropri tutti i vantaggi che derivano dalla propria industria e dall’impiego dei propricapitali.”16 Potremmo chiederci quali capitali avrebbero potuto mai impiegare que-sti proletari? In questo periodo Giustino Fortunato denunciava la trasformazionedei Monti Frumentari, i tradizionali istituti di credito agrario dell’Italia Meridiona-le, in Casse di Previdenza, o di Pegni, riforma nella quale individuava la confermadella loro liquidazione. Fortunato si schierava per la permanenza di questa anticaistituzione di credito in natura, per la sua funzione di assistenza e di controllo so-ciale a favore delle masse rurali.

Una lettera dell’architetto Achille Rossi, preposto alle operazioni di misura-zione del Bosco Montuccio, fa luce sui retroscena della divisone. Il Rossi, segnalòl’eccessivo pendio dei terreni in questione, cosa ad arte occultata alla commissioneverificatrice, alla quale fu fatta visionare dalla amministrazione comunale una zonacon pendio inferiore ai 10 gradi.17

L’architetto, suggerì alla Prefettura di impedire il dissodamento, e non man-cò di cautelarsi, precisando di aver provveduto ad avvisare il consiglio comunale suipossibili danni derivanti dal dissodamento di terreni così in pendio, ma “quell’Am-ministrazione non volle ascoltare”.

La divisione del Montuccio si trasformò in strumento di condizionamentoelettorale, da impiegare per ottenere quanto prima l’autorizzazione per la pubbli-cazione del bando. Nell’ottobre 1874, il consiglio comunale, scrive alla Prefettura:“Non ometto di manifestarle che ulteriori remore, e precisamente nella contingen-za delle prossime elezioni generali, potrebber esser causa di avversare la candidatu-ra del deputato uscente Guevara, che da questa Amministrazione con energia verràsostenuta.”18

Alla pubblicazione del bando, giunsero 705 offerte per le 288 quote disponi-bili, si passò quindi alla preparazione dell’elenco degli ammessi al sorteggio. Lediscussioni per la riduzione delle offerte avvennero in pubblica seduta, per disposi-zione dell’agente Albani. Tre mesi dopo fu pubblicata una prima graduatoria, ma la

15 A.S.AV., Atti demaniali, bs.5, f.30, Lettera del Prefetto di Avellino al Sindaco di Accadia, 14 gennaio 1874.16 Ibid.17 A.S.AV., Atti demaniali, b.5, f.30.18 A.S.AV., Atti demaniali, bs.4, fasc.29. I Guevara, Duchi di Bovino, presero parte alla vita politica del Regno

d’Italia. Vedi Enciclopedia Biografica e Bibliografica Italiana.

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Carmen Sferruzzi Siniscalco

presentazione di 51 ricorsi allungò i tempi di lavoro, fino a formare una doppia“classe di miseri e dei quasi miseri del paese.”19 L’inizio di una sommossa popolare,espressione del malcontento delle 417 famiglie escluse dal sorteggio delle 288 quo-te, costrinse l’Albani a rivolgere alla Prefettura domanda per una nuovaquotizzazione del Bosco Montuccio “per rendere contento questo popolo diAccadia”. Promotrice di questa seconda divisione fu la famiglia Vassalli, la quale sioffrì per anticipare tutte le spese necessarie per la divisione. Albani, sottolineava ilvalore politico di una nuova distribuzione di quote: “ora il miglior ausilio dell’auto-rità di Governo per affezionare a sé questo popolo di Accadia, il quale porta ancorail peccato originale della reazione.......ordinando una nuova quotizzazione darebbeil battesimo liberale ad un popolo immeritatamente ritenuto retrivo.”20 Negli anniseguenti, ci fu una seconda quotizzazione del Bosco Montuccio, dal distacco dialtri 118 ettari, si ricavarono 297 quote di estensione ridottissima, per far ciò, i ter-reni che si badi bene, nella prima divisione erano stati esclusi per l’eccessivo pendio,furono quasi tutti classificati come terreni di prima classe. In questo modo si for-marono quote di appena un tomolo di estensione, vanificando così il fine dellaquotizzazione, in quanto quote ridottissime, e, in pendio si rivelarono di poca uti-lità per i coltivatori. In risposta alla circolare prefettizia del 7 agosto 1877 Albanidenuncia una situazione di grave disordine, dovuta alla “tracotanza municipale,perché è da osservarsi che le compre per lo più si effettuano da componenti i Muni-cipi. (...) Se loro tocca in sorte per via di maneggi ed intrighi una quota, si cerca dilargarla, e con la forza e l’oppressione il quotista viene ridotto in colono, dall’an-gheria feudale esercitata dai nuovi baronetti liberali.”21 La documentazione succes-siva presenta un carattere ripetitivo, incentrandosi sulla questione degli abbandoniveri o apparenti, alienazioni, mancate verifiche.

La crisi agraria di fine ottocento accelerò il disagio, preludio di un epilogo, lavalvola di sfogo dell’emigrazione di fine ottocento, epilogo già annunciato e scrittonel lontano 1810, quando la cittadinanza di Accadia, rivolgendosi in una supplica alConsigliere di Stato Paolo Giampaolo sottolineava l’importanza del bosco per ilpascolo brado, allora principale risorsa del territorio:

[…] questa scarsezza di terreno ha fatto rivolgere la cittadinanza quasi tuttaall’industria degli animali vaccini, bovi aratori, per mezzo dei quali scorrendoin tempo d’inverno al travaglio nella vicina Puglia e nei paesi limitrofi procurail sostentamento. Nei mesi estivi, la permanenza degli animali in Puglia è peri-colosa, e perché terminato il travaglio della coltura, si ritira ognuno nella pro-pria Patria, ed alimentando detti bovi e vacche aratorie colla indetta erba agreste,ed ecco come assicura la vita civile. Piantandosi oggi questo poco terreno, e

19 A.S.AV., Atti demaniali, bs.4, f.29, Relazione Albani.20 Ibid.; Albani, fa riferimento alla reazione popolare del 21 ottobre 1860, nella quale rimase vittima il

giovane medico liberale Luigi Labriola. Sulla richiesta,rimasta inevasa, di indennizzo per la madre della vitti-ma, inoltrata dall’agente Trombetti nel 1862; A.S.AV., Atti demaniali, bs.2, f.17.

21 Ibid.

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“Da proletari a possidenti”. Un progetto di sviluppo in età liberale

chiudendosi quei da particolari, luoghi pii, ex baroni, di dietro la divisione edabolizione del compascolo, restino assoluti padroni e viene a rimanere chiusol’intero tenimento ed ecco posto fine alle masserie di campo, finita la pastori-zia, terminato il sostentamento della cittadinanza intera, la quale non ritraendoil vitto nella propria Patria per la restrizione del territorio, che non basta per gliabitanti, non può retrarlo dai paesi vicini, né da quei di Puglia con l’aiuto deipropri animali ai quali mancherebbe il sostentamento nei mesi estivi, e ognunomorirebbe di fame e a sloggiare dove trova da vivere [...].”22

22 A.S.AV., Atti Demaniali, bs.1, f.1. Sui pericoli inerenti la permanenza degli animali in Puglia nel periodoestivo, vedi tra gli altri, Macario CHECCHIA, Saggio di osservazioni sulla morte violenta degli animali vaccini inPuglia, Napoli, Tipografia G. Migliaccio,1853. L’Autore tratta di un “tremendo malore”, chiamato “malvento”che colpiva mortalmente gli animali vaccini, in Capitanata, manifestandosi ogni anno verso la fine di agosto.Checchia segnalava la mancanza di “buon pascolo, come suole accadere in Puglia per la scarsezza delle acquene’ mesi di agosto, settembre ed ottobre, allora gli animali quasi per fame sogliono cibarsi di quelle erbenocive, che forse per naturale istinto rifiuterebbero se avessero del buono ed abbondante pascolo.” GalileoPALLOTA, Discorso della pianura di Puglia, Napoli, Borel e Bompard, 1851. L’Autore sosteneva che il“malvento”, fosse “un fenomeno totalmente elettrico”. Sul “Tanto calore estivo nella Puglia”, FrancescoLONGANO, Viaggi dell’Abate Longano per lo Regno di Napoli, Capitanata, Napoli, presso DomenicoSangiacomo, 1790, p. 43 e segg..

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Bruno Vivoli

Il porto di Rodi Garganico nel primo OttocentoDi Bruno Vivoli

1. Rodi e il suo territorio

“Esiste una meravigliosa terra, a brevissima distanza della più malinconica e de-solata pianura d’Italia, dal Tavoliere piatto e uniforme [...] Ha il sorriso della terra diSorrento e pei declivii stormiscono gli aranceti bruni, dai numerosi globi di oro, scossiperennemente dalla brezza balsamica [...] È una terra forte e leggiadra, è una delle gem-me più fulgide del serto di bellezze italiche, forse la più bella dell’Adriatico”.1

“Un magico incanto emana da questo cielo, da questa terra, da questo mareche intonano e spandono un’armonia di linee, di colori e d’effluvii inesprimibilmentericca e tenera e potente [...] Oh! qui il tempo non dev’essere misurato che dal pro-digioso alternarsi dei colori del mare e dei giardini: ci pensa il sole, svariando conadorabile arte le luci di questo divino scenario, a dirci, senza che un rammarico civinca, l’ora che passa”.2

“Questo bel Paese, in che natura sempre giovane invita gli abitanti dei siti piùcontristati, a passarvi in diporto, come a Mergellina, i bei giorni della Primavera edell’Autunno”.3

E ancora il frate Michelangelo Manicone, nel suo trattato La fisica appula,cita i Rodiani come coloro che abitano in un paese dove i numi, prima di ritirarsi incielo, avevano avuto il loro soggiorno.

Questi sono soltanto alcuni dei commenti e delle riflessioni che scrittori egiornalisti del passato hanno proposto su questa cittadina garganica. Rodi Garganicoè situata all’interno di un bellissimo paesaggio naturale fatto di oliveti con vastezone coltivate ad agrumi che, come vedremo, rappresentano i prodotti che più han-no caratterizzato il commercio e le esportazioni di questa zona del promontorio.

Il territorio di Rodi è collocato sul versante settentrionale del Gargano e siestende su una superficie di ha 1328. Pianeggiante per il 5% e collinare per il 95%,presenta un’altimetria compresa tra 0 e 395 mt s.l.m. Arroccata su un piccolo pro-montorio sui cui lati corrono distese di sabbia finissima, che costituiscono le mari-

1 Ernesto SERAO, in «Il mattino», 23-24 novembre 1912, ora in Michelantonio FINI, Appunti di storia e folklorerodiano con un’appendice, Lucera, Tip. S. Scepi, 1915, p. 15.

2 Nicola SERENA, in «La tribuna», 3 aprile 1913, ora in M. FINI, Appunti di storia e folklore…, cit., p. 17.3 Bartolomeo BACULO, Il Cholera morbus in Rodi, Foggia, Tip. P. Russo, 1836, p. 8.

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Il porto di Rodi Garganico nel primo Ottocento

ne rodiane, Rodi si protende in mare con leggera sporgenza contornata dagli scoglidi Cucchiara. L’ambiente litoraneo è caratterizzato da una costa alta e rocciosa ditipo calcareo ricoperta da vegetazione mediterranea, e da una costa bassa frequen-tata da gabbiani.

In passato alcuni ritenevano che l’aria di Rodi fosse insalubre, a causa dellavicinanza del lago di Varano. “Ma è questo un errore, giacchè il suolo che è frappostofra Rodi ed il lago, essendo ondulato da collinette, l’aria pestifera di esso non puògiungere fino a noi; e ciò viene confermato dalla florida salute dei nostri abitanti”.4Inoltre Manicone sempre nel suo trattato ricorda come “in questa piccola ed amenaCittà litorale non vi hanno cagioni naturali del mefitismo [...] dunque tutto quiconcorre a render balsamica l’aria. Egli è ben vero, che in questa Città vi soffiano iventi meridionali. Ma primieramente, essendo ella in que’ punti dell’orizzonte daalti colli circondata, i divisati venti non vi acquistan lena al pari delle alture. E se-condariamente, scorrendo essi sopra monti, e colli alberati, sono qui secchi, elastici,e salubri”. Prosegue ancora il frate: “Rodiani, miei Amici, è vero; voi avete un lidoincantatore; voi avete colli sempre verdeggianti, e casini biancheggianti, che il verdeinterrompono. Sì, se un Poeta vedesse i vostri giardini di agrumi, e udisse gli evòedella vostra vendemmia, evòe che le valli, e i poggi ripetono, egli non potrebbeastenersi di parlarne in versi”.5 Anche Bartolomeo Baculo, membro della commis-sione centrale di sanità di Capitanata, parlando dell’atmosfera di questa zona diceche “è la più pura e profumata da graditi olezzi”.6

2. La produzione principale: l’agrumicoltura

Nel Gargano gli agrumi, oltre a svolgere un’importante funzione economicae commerciale, contribuiscono a rendere pittoresche molte zone del promontorio.Ed è proprio su questa coltura che si concentrerà maggiormente la nostra attenzio-ne, visto che gli agrumi costituivano, in termini quantitativi, il principale tra i pro-dotti esportati dal porto di Rodi nel periodo da noi preso in esame. Quasi tutte lepiante fruttifere possono trovare ambiente favorevole sul Gargano e lo dimostra lapresenza del selvatico di esse, che cresce spontaneo nei terreni incolti e nei puntiprediletti. Le piante fruttifere che hanno certamente maggiore importanza sulGargano sono: l’olivo, la vite, il mandorlo e gli agrumi.7

Per la coltivazione degli agrumi sono assai adatte le insenature e le gole mon-tane non lontane dal mare e ben riparate dai venti. Inoltre, per coltivare gli agrumioccorre acqua d’irrigazione; infatti la coltura “seccagna” di queste piante fruttifere

4 Michelangelo DE GRAZIA, Memorie storiche di Rodi Garganico con alcune notizie sul Gargano, S.Severo, Tip. V.De Girolamo,1899, p. 84.

5 Michelangelo MANICONE, La fisica appula del P. F. Michelangelo Manicone, Napoli, 1807, t. III, p. 23.6 B. BACULO, Il Cholera morbus in Rodi…, cit., p. 7.7 Mario BIAGIOTTI, Uno sguardo all’agricoltura garganica, Foggia, Tip. Cappetta, 1955, p. 14.

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non dà buoni risultati. Le specie più coltivate nella regione garganica sono l’aranciaCitrus aurantium e il limone Citrus medica. Essi costituivano una preziosa indu-stria soprattutto nei tenimenti di Vico, Ischitella e Rodi. La particolare collocazio-ne, sia di latitudine che di altitudine, la presenza del vicino mare Adriatico, la buonapredisposizione delle terre, l’abbondanza di acqua per l’irrigazione, contribuisco-no alla ferace produzione di queste piante. Insomma, le particolari condizioni fisi-co-topografiche dei siti sopraindicati hanno fatto sì che la maggior parte dell’agru-meto fosse impiantato proprio in queste contrade.

La coltivazione dell’agrume comportava molteplici utilizzi e quindi diversiesiti commerciali: i fiori secchi degli agrumi venivano canditi e distillati; il frutto simangiava; l’acido dei limoni estratto era utile alla medicina e alla tintoria; i tronchidegli alberi adulti costituivano il materiale per i lavori d’intarsiamento.

La stima razionale di un agrumeto veniva effettuata tenendo conto di tutti glielementi che concorrono alla produttività del fondo, e cioè: terra, lavoro, capitale.8Il reddito medio-normale annuo del podere si determinava desumendolo dal pro-dotto del suolo servendosi delle teorie agronomiche, delle cognizioni agricole esoprattutto della molta pratica ed esperienza. Il prodotto raccolto si vendeva fre-quentemente con regolari contratti stipulati con diverse Società. Questi contrattiassicuravano il proprietario dal danno del gelo, che poteva verificarsi alle piante dadicembre a febbraio, dal momento che, per convenzione, questi danni andavano acarico delle Società compratrici che, tra l’altro, sostenevano anche le spese perl’imballatura e il trasporto.

In siti come Rodi, Vico ed Ischitella gli agrumeti erano tutti condotti ad eco-nomia, e raramente si stipulavano contratti di locazione col pagamento di uno“staglio” sia in denaro che in derrate. Volendo riportare qualche cifra si è calcolatoche, in generale, un agrume in ottime condizioni di vegetazione e di tecnica colturalepuò dare in media da 550 a 600 frutti all’anno dal 5° al 90° anno, e quindi da 220 a240 mila frutti per ha.

Per quanto riguarda i limoni, invece, una produzione ottima è quella che vadai 280 ai 300 mila limoni per ha.9 Come già detto questi valori si riferiscono ad unaproduzione fatta in condizioni ottimali, valori che variano a seconda delle congiun-ture, come ad esempio periodi di avverse condizioni atmosferiche o particolarisituazioni economiche. Infatti i prezzi straordinari che gli agrumi avevano acquisi-to sul mercato spinsero molti proprietari, in diversi periodi dell’Ottocento, ad ab-battere tutto per impiantare l’agrumeto, anche in condizioni non favorevoli a que-sto tipo di coltura. Vi furono annate, come il 1847, in cui la rendita netta superò ilvalore della proprietà del fondo. Straordinaria fu anche la produzione del 1856 etale che nessuno se ne ricordò un’altra simile.10

8 Pasquale DE NITTIS, Descrizione e stima degli agrumeti del Gargano, Foggia, Tip. Cardone, 1886, p. 16.9 Giuseppe NARDINI, L’agricoltura e gli agricoltori del Gargano, Napoli, Tip. Del Giudice, 1914, p. 100.10 Giuseppe DE LEONARDIS, Monografia del promontorio del Gargano per Giuseppe De Leonardis, Napoli, Tip.

Pansini, 1858, p. 241.

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Il porto di Rodi Garganico nel primo Ottocento

3. Le esportazioni dal porto di Rodi

La marina mercantile ha sempre costituito per la cittadina di Rodi un fattoreimportante sia da un punto di vista economico che sociale. Infatti i Rodiani, nonpotendo dedicarsi molto all’agricoltura per via dell’estensione limitata del loro ter-ritorio, erano da sempre avvezzi al commercio marittimo che costituiva il loro prin-cipale mezzo di sussistenza. Questo ci fa comprendere come il porto di Rodi e levicende ad esso connesse abbiano sempre svolto un ruolo importante nella vita diquesta popolazione. Significativa è la breve ma efficace descrizione che GiuseppeMaria Galanti proponeva nel 1791, nella sua relazione intorno allo stato dellaCapitanata pubblicata in appendice al secondo volume della Descrizione geograficae politica della Sicilia, circa l’economia rodiana: “[...] Rodi tiene otto trabaccoli edodici mezze barche o sieno pinchi da viaggio, che trafficano pe’ medesimi luoghicome quelli di Vico, e spesso fanno il viaggio per Trapani a caricar sale. I marinai diRodi sono più attivi di quelli di Vico. Raccolgono la manna e l’olio di Viesti e diMonte S. Angelo, gli agrumi e l’olio di Ischitella e di Peschici, gran copia di cerchida botti e legne de’ vicini boschi, e li trasportano fuori stato. Riportano lino, panni,tele, acquavite, cappelli, tabacco, ferro, acciaio, lavori di seta. Ma il generale delpaese è misero per difetto di agricoltura e di pastorizia, e vive di contrabbando”.11

Da una lettera datata 3 gennaio 1828, inviata dall’allora sindaco di Rodi Mi-chele Saja all’Intendente della Provincia di Capitanata, si ricava un quadro abba-stanza significativo degli addetti al commercio marittimo di Rodi, nonché dei legniappartenenti al comune medesimo in quell’anno. Per cui si evince che 32 erano ipadroni dei legni, 166 i marinai, 34 gli “alunni”, 14 i “legni”. Due sembrano esserele tipologie di imbarcazione più diffuse: il “pielago” e la “paranza”, il cui tonnellag-gio andava da un minimo di 13 ad un massimo di 55 tonn. Le denominazioni piùfrequenti di queste imbarcazioni erano: “S. Antonio”, “Il Glorioso”, ma soprattut-to “La Libera”, in onore della Santa protettrice della cittadina garganica. Inoltrefacevano parte della marina rodiana anche quattro o cinque barchette addette alcommercio con i comuni limitrofi. Si registrano anche 170 facchini che traevano laloro sussistenza dal commercio marittimo e un numero considerevole di vetturiniche trasportavano i diversi generi scaricati oltre che nel paese, anche nelle diverseprovince del Regno. In più vi erano tanti altri individui che venivano impiegati peraltre mansioni, come ad esempio avvicinare al molo o spingere in acqua i legni.

I dati relativi ai traffici di merci nel porto di Rodi sono stati ricavati dai docu-menti redatti dai Deputati Sanitari, nei quali veniva annotato il numero dei legniche approdavano e partivano dal suddetto porto, precisandone la loro tipologia, illoro tonnellaggio, la loro denominazione, il luogo di provenienza o verso il quale sidirigevano e le merci contenute. Questi documenti sono conservati nel fondo In-

11 Giuseppe Maria GALANTI, Della descrizione geografica e politica delle Sicilie, a cura di Domenico DEMARCO

e Franca ASSANTE, Napoli, 1969, 2 voll.: vol. II, p. 535.

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tendenza e Governo di Capitanata, Atti, dell’Archivio di Stato di Foggia. Le inda-gini hanno interessato il periodo compreso tra il 1820 e il 1840.

I dati in questione hanno messo in evidenza come tre fossero le tipologie piùdiffuse dei legni che transitavano nel suddetto porto e cioè “pielago”, “paranza” e“barchetta”. Il primo era un bastimento di piccolo tonnellaggio senza ponte, contre alberi a vele latine inferite a terzo e con asta di fiocco e prora diritta.

La paranza era anch’esso un bastimento di piccolo tonnellaggio senza ponte,con asta di fiocco e un solo albero, a calcese, con antenna a vela latina inferita aterzo, usato generalmente per la pesca, e con prora tondeggiante e poppa a cuneo.Diffuse erano anche la barca e la barchetta e cioè piccole imbarcazioni senza ponte,a remi, con poppa a cuneo e prora diritta.12 Meno frequenti, ma comunque menzio-nate, erano il “trabaccolo”, la “bracciera”, il “brigantino”. Per quanto riguarda labandiera di appartenenza di queste imbarcazioni è emerso che la maggior parte deilegni era, naturalmente, di bandiera napoletana, seguono quelli di bandiera pontifi-cia e infine di bandiera austriaca. I luoghi verso i quali queste imbarcazioni, in par-tenza dal porto di Rodi, si dirigevano erano i porti del Barese (Bari, Trani, Barletta,Giovinazzo, Bisceglie, Monopoli, ecc.), i porti dell’Adriatico (Termoli, Pescara,Ancona, Venezia, Trieste, ecc.), i porti della Dalmazia (Spalato, Pola, Zara, Ragusa,Cattaro, ecc.), quelli vicini di Manfredonia, Vieste, Peschici, Tremiti, segno di uncommercio anche con i paesi limitrofi. Per quanto riguarda invece la tipologia dellemerci contenute nelle stive di queste imbarcazioni, notiamo una netta predominanzadegli agrumi, a conferma della spiccata vocazione agrumaria di questo territorio; vitroviamo anche l’olio, altra coltura tipicamente garganica; prodotti resinosi comemanna, pece, trementina; legname sia da costruzione che da fuoco; vino; carrube;leguminose come fave, ceci, fagioli. È stato riscontrato anche qualche carico di gra-no duro e soprattutto di maiorica; merci varie come mobilio, vestiti usati, ferra-menta, ecc. Non avendo a disposizione, se non per periodi limitatissimi, informa-zioni precise sul quantitativo delle merci trasportate, questo è stato dedotto tenen-do conto del tonnellaggio di stazza delle singole imbarcazioni, ipotizzando cheesse partissero a pieno carico.

Dai rapporti inviati dall’Intendente di Capitanata al Ministro Segretario diStato delle finanze, negli anni venti dell’Ottocento, emerge anche come a Rodi fos-se molto presente il problema del contrabbando. Un fenomeno che trovava spessola complicità degli stessi impiegati addetti al controllo del carico e scarico dellemerci. Ad esempio si faceva credere che alcuni legni approdati fossero vuoti, quan-do invece erano carichi di mercanzie, ovviamente per eludere il fisco. Contro que-sto atteggiamento “truffaldino” si cercò di assumere maggiore fermezza, richia-mando al dovere gli impiegati e confiscando i generi scaricati illegalmente. Ma se,

12 Lamberto RADOGNA, Storia della marina mercantile delle Due Sicilie (1794-1860), Milano, Mursia, 1982,pp. 257-258; cfr. anche Maria SIRAGO, La città e il mare. Economia, politica portuale, identità culturale deicentri costieri del Mezzogiorno moderno, Napoli, Edizioni scientifiche italiane, 2004.

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da una parte, questa maggiore fermezza delle autorità avrebbe prodotto il bene dieliminare il contrabbando da Rodi, dall’altra, avrebbe portato alla distruzione “del-l’unica marina mercantile che esita in questa Provincia e che è forse una delle piùconsiderevoli delle Puglie”.13

I commerci dei rodiani, come si evince anche dai dati a nostra disposizione, sisvolgevano più frequentemente con Venezia, Trieste, Fiume, Spalato; i collegamen-ti con questi siti erano favoriti dalla posizione topografica di Rodi. Ora, ove questicollegamenti fossero resi difficili o allungati, i Rodiani avrebbero visto svanire iloro vantaggi, e la loro industria, figlia più del lavoro che dei capitali impiegati, neavrebbe sofferto notevolmente. Inoltre l’obbligo di deviare i legni nel porto diManfredonia, non solo rendeva più difficili i viaggi dei Rodiani, che dovevano per-correre tutto il capo del Gargano con tutti i pericoli che si potevano incontrare, maprovocava per il proprio comune anche delle gravi perdite economiche, in quantovenivano meno gli introiti derivati dal pagamento dei dazi sulle merci importate.

Tutto ciò, quindi, aveva spinto i Rodiani a praticare il contrabbando. Unasoluzione per ovviare a questo problema era quella di accordare un risparmio suldazio, per cui se ne chiese la riduzione del 15% che avrebbe riportato nella legalitài commerci, nonché il passaggio della dogana di Rodi dalla seconda alla prima clas-se. Quest’ultima era stata degradata alla seconda classe proprio a causa del contrab-bando. Nel 1819, però, si autorizzava questa dogana all’importazione dei generiesteri e, malgrado l’Amministrazione dei dazi indiretti si opponesse a questa deci-sione, si provò a concederle per un anno le funzioni di dogana di prima classe. Manel marzo del 1822 l’Amministrazione dei dazi indiretti fu sollecitata a far ritornarela dogana di Rodi alla seconda classe, in quanto si era osservato che l’indulgenzausata nel 1819 aveva fatto aumentare il contrabbando, per cui se ne decretò la ridu-zione a seconda classe. Riflettendo su questa serie di fatti e quindi sugli esiti infeliciche ebbero questi esperimenti di classificazione, pare che fosse più convenientesviluppare zelo, energia, e rigore affinché “l’indole dei naturali dimenticando lainclinazione al contrabbando, ripiglino le operazioni commerciali il loro corso re-golare conforme alle leggi, ed agli interessi della interna economia”.14

Successivamente, con il decreto del 4 giugno 1831 firmato da Ferdinando II,si stabiliva il passaggio della dogana di Rodi dalla seconda alla prima classe e, diconseguenza, la possibilità di praticare traffici d’importazione ed esportazione ecabotaggio. Il commercio poteva così riprendere profitto e svolgersi nella legalità.

Dall’analisi dei dati a nostra disposizione possiamo trarre un quadro alquan-to significativo del commercio rodiano nei decenni da noi presi in esame. Abbiamooramai assodato come l’agrume rappresentava il prodotto principe dell’economia,non solo di questa zona, ma di tutto il Gargano settentrionale e di altre zone del

13 ASFG, Amministrazione finanziaria, b. 385, fasc. 40.14 Lettera di risposta del Ministro Segretario di Stato delle finanze all’Intendente di Capitanata del 5 Di-

cembre 1827, in ibid.

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Regno. Infatti, questo prodotto ha costituito, nell’Ottocento, l’elemento trainantee determinante dell’economia di alcune zone del Regno per diversi decenni.15 Ed èper tale motivo che le congiunture, positive o negative, relative a tale prodotto po-tevano influenzare, in un senso o nell’altro, l’economia del Regno. Ritornandoalla località oggetto del nostro lavoro si è visto come gli agrumi, sia come frutto checome cortecce secche, fossero presenti in quasi tutti i carichi, e come essi fosserotrasportati un po’ in tutti i porti con i quali Rodi svolgeva i suoi commerci. Infatti,per questo prodotto, non siamo riusciti a delineare una direzione prevalente, segnoquindi dell’importanza che tale merce aveva per tutti i mercati.

Per avere un quadro più preciso della situazione possiamo servirci di qualchedato: prendiamo un anno a caso, ad esempio il 1834, di cui abbiamo a disposizionei dati relativi ai mesi di aprile, maggio, giugno, luglio, settembre e ottobre. Su 214partenze registrate dal porto di Rodi in questi mesi, 104 erano i carichi di soli agru-mi, 49 quelli in cui gli agrumi risultavano misti con altri prodotti, 61 il numero delleimbarcazioni nei cui carichi non vi erano agrumi ma altre merci o che partivanovuote.16 Pertanto, si può notare come in più della metà dei carichi registrati compa-rivano prodotti agrumari e come tale tendenza caratterizzava un po’ tutto il ventenniopreso in esame. Per quanto riguarda le altre merci abbiamo notato come, a differen-za degli agrumi che assumevano svariate direzioni, alcune di esse avevano destina-zioni specifiche: la maggior parte dei carichi d’olio erano diretti a Trieste probabil-mente perché da qui l’olio veniva smistato sul mercato tedesco. La maggior partedel legname, invece, interessava le rotte del Barese, evidentemente perché qui eranopresenti centri di trasformazione di questo materiale; ancora Trieste sembrava esse-re la piazza principale per quanto riguarda prodotti come arancini, cortecce secchedi agrumi, semenze di lino e manna. Carichi di grano, granone e maiorica avevanosvariate destinazioni: molti si dirigevano nei porti limitrofi di Vieste, Manfredonia,Tremiti, in quelli del Barese, soprattutto Giovinazzo, di Termoli, Pescara, Ancona eanche Trieste e Fiume (verso questi ultimi si dirigevano in particolar modo carichidi granone).

Circa i quantitativi, per quanto riguarda gli agrumi, i dati variano a secondadelle congiunture. Il grafico che segue si riferisce al quantitativo di agrumi esporta-to da Rodi tra il 1836 e il 1841 per i mesi di cui abbiamo a disposizione i dati. Èdoveroso, però, precisare che i grafici riportati comportano un margine di inatten-dibilità a causa dei periodi limitati per i quali si posseggono informazioni. L’unità dipeso con cui sono espressi i valori è il “migliaio” che rappresentava, appunto, l’uni-tà di conto degli agrumi. Usata fino al secondo dopoguerra equivaleva a 1000-1100frutti, a seconda delle zone, per un peso leggermente superiore al quintale:

15 Cfr. Salvatore LUPO, Il giardino degli agrumi, Venezia, Marsilio, 1990.16 ASFG, Intendenza e governo di Capitanata. Atti (d’ora in avanti Intendenza), b. 1708, fasc. 29.

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17 ASNA, Min. Int., 2° inv., b. 508.18 ASFG, Intendenza, b. 1710, fasc. 33.19 Ibid., b. 1711, fasc. 34.20 Ibid., b. 1712, fasc. 35.21 Ibid., b. 1713, fasc. 36.

(a) il dato si riferisce al periodo compreso tra luglio 1836 e giugno 1837.17

(b) il dato si riferisce ai mesi di marzo, aprile, maggio, settembre, ottobre,novembre, dicembre 1838.18

(c) il dato si riferisce ai mesi di gennaio, aprile, maggio 1839.19

(d) il dato si riferisce ai mesi di febbraio, marzo, aprile, maggio, agosto,dicembre 1840.20

(e) il dato si riferisce ai mesi di aprile e maggio 1841.21

Per le cortecce di agrumi la situazione è sintetizzata dal grafico seguente, nelquale i valori sono espressi in “cantara”:

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22 ASNA, Min. Int., 2° inv., b. 508.23 ASFG, Intendenza, b. 1710, fasc. 33.24 Ibid., b. 1712, fasc. 35.25 Ibid., b. 1713, fasc. 36.26 ASNA, Min. Int., 2° inv., b. 508.27 ASFG, Intendenza, b. 1710, fasc. 33.28 Ibid., b. 1712, fasc. 35.

(a) il dato si riferisce al periodo compreso tra luglio 1836 e giugno 1837.22

(b) il dato si riferisce ai mesi di marzo, aprile, maggio, settembre, ottobre,novembre, dicembre 1838.23

(c) il dato si riferisce ai mesi di febbraio, aprile, maggio, dicembre 1840.24

(d) il dato si riferisce al mese di maggio 1841.25

Il grafico successivo, invece, illustra la situazione di un altro prodotto moltoimportante come l’olio. I valori sono espressi in “staia”:

(a) il dato si riferisce al mese di agosto 1837.26

(b) il dato si riferisce ai mesi di aprile, maggio, settembre, ottobre, novem-bre, dicembre 1838.27

(c) il dato si riferisce ai mesi di febbraio, aprile, dicembre 1840.28

Meno significative erano le esportazioni di grano, i cui dati a disposizione siriferiscono a quantitativi e a periodi limitati.

Riportiamo qualche cifra anche per gli altri prodotti che, insieme a quelliprincipali, riempivano le stive delle imbarcazioni in partenza dal porto garganico.Per le carrube, ad esempio, registriamo i seguenti quantitativi: 389 cantara nel 1836-

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Il porto di Rodi Garganico nel primo Ottocento

37 (da luglio a giugno); 117 cantara nel 1838 (marzo, aprile, settembre, ottobre);370 cantara nel 1840 (febbraio, agosto, dicembre). Per i prodotti resinosi comemanna, catrame, pece, trementina: 71 cantara nel 1836-37 (da luglio a giugno); 35cantara nel 1838 (marzo, settembre, novembre, dicembre); 52 cantara nel 1839(giugno); 34 cantara nel 1840 (febbraio, maggio, agosto). Per i legumi: 85 cantaranel 1838 (marzo, settembre); 20 cantara nel 1839 (gennaio, giugno); 60 cantara nel1840 (febbraio, aprile, dicembre). Per il legname: 21 carri nel 1837 (agosto); 23carri nel 1838 (maggio, settembre); 8 carri nel 1840 (luglio); 340 cantara nel 1841(maggio). Per le semenze di lino: 100 cantara nel 1837 (gennaio); 30 cantara nel1838 (settembre).

Riferiamo qualche dato anche per quanto riguarda la bandiera di apparte-nenza dei legni registrati nei documenti stilati dai Deputati Sanitari. Ebbene,nel 1827, su 190 imbarcazioni attraccate nel porto di Rodi, nei mesi per i qualiesistono i dati, 178 erano di bandiera napoletana, 8 di bandiera pontificia e 4 dibandiera austriaca.29 Se i primi erano diretti un po’ in tutti i porti dell’Adriati-co, da quelli del Barese fino a Trieste, i secondi orientavano le loro rotte princi-palmente verso Ancona, Senigallia, Rimini, Venezia, Trieste, mentre quelli dibandiera austriaca, invece, si indirizzavano verso i porti di Trieste, Fiume e so-prattutto Spalato. Alcune imbarcazioni di bandiera napoletana si dirigevanoanche verso le Reali Saline, a nord di Barletta, alcune volte cariche di agrumi,altre invece, vuote, probabilmente per caricarvi il sale. Vi troviamo poi anchedestinazioni eccezionali perché meno frequenti se non, in alcuni casi, unicherispetto a quelle più ricorrenti. Ad esempio nel foglio relativo al mese di maggiodel 182330 compare un “brigantino” di bandiera napoletana carico di legna dafuoco che aveva come destinazione Malta. Per quanto riguarda la tipologia delleimbarcazioni più utilizzate, non c’è dubbio che se la “barchetta” veniva usataper il cabotaggio o comunque per il commercio con porti non molto lontaniquali potevano essere quelli di Termoli, Vasto e Pescara in direzione nord, eBarletta, Bisceglie, Bari in direzione sud, il “pielago” e la “paranza” venivanoinvece utilizzati per le più lunghe distanze.

Un altro aspetto interessante è quello che riguarda il numero delle imbarca-zioni propriamente rodiane impegnate nel commercio marittimo. Prendiamo comeesempio il biennio 1833-1834:31

29 Ibid., b. 1704, fasc. 22.30 Ibid., b. 1701, fasc. 18.31 Ibid., bb. 1707 - 1708, fascc. 28 – 29.

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Come possiamo notare dal grafico sovrastante su 464 partenze registrate nelporto di Rodi nei mesi di aprile, maggio, luglio, agosto, settembre, ottobre del 1833e aprile, maggio, giugno, luglio, settembre, ottobre del 1834, 162 sono le imbarca-zioni di proprietà di rodiani, di cui 141 denominate “La Libera” e 21 denominate“S.Antonio” mentre le restanti 302 imbarcazioni sono forestiere.

Come si nota, la quota del traffico commerciale con barche di Rodi è ap-prezzabile. Tali imbarcazioni si dirigevano di solito verso i porti di Trieste e Vene-zia dove portavano, oltre agli immancabili agrumi, anche olio, cortecce secche diagrumi e manna. Non mancano contatti con i porti del medio Adriatico comePescara, Ancona, Rimini, dove si dirigevano carichi in cui predominavano i pro-dotti agrumari. Verso i porti del Barese, soprattutto Barletta, sono attestati carichidi legname, a conferma di una tendenza generale che vedeva il legname avere comedestinazione questa zona. È stato, invece, riscontrato come nei collegamenti con iporti limitrofi, soprattutto Tremiti, Vieste e Peschici, oltre alle imbarcazioni cari-che di merci varie come fagioli, farina, frutti freschi e secchi, attrezzi per la pesca,etc., vi erano anche molti “legni” che partivano da Rodi vuoti, sicuramente peressere poi caricati nei porti di destinazione.

Rispetto al passato la situazione economica del comune di Rodi è moltocambiata. Per quanto riguarda l’agricoltura, un tempo florida, come abbiamo visto,sia per la produzione degli agrumi che delle olive, oggi risente di una crisi concor-renziale, specialmente nel settore agrumicolo. I pochi prodotti ortofrutticoli che sicoltivano sono destinati al mercato interno. Di conseguenza anche l’attività com-merciale del paese risulta molto esigua.

Anche per quanto riguarda l’attività peschereccia si può notare un grossocalo rispetto al passato quando la flotta peschereccia e commerciale rodiana fino al1942 era tra le più floride dell’Adriatico. Tale attività, oggi, si pratica prevalente-mente con piccole imbarcazioni lungo le coste del Gargano e con le Isole Tremiti.

La pastorizia, invece, continua a portarsi dietro il suo problema storico ecioè l’esiguità del suo territorio comunale e quindi la mancanza di pascoli.

"La Libera"

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Il porto di Rodi Garganico nel primo Ottocento

Oggi il paese vive, per la maggior parte, di turismo perché possiede un mareche più volte è stato riconosciuto tra i più puliti d’Italia e un ambiente ancora rigo-glioso e affascinante che favorisce, ogni anno, l’afflusso di migliaia di villeggianti,molti dei quali stranieri. Resta il problema del miglioramento delle strutture ricettiveturistico-alberghiere, un problema sicuramente importante visto che il turismo è ilsettore su cui oggi si basa, prevalentemente, l’economia locale. Un altro aspettointeressante è lo sviluppo, registratosi negli ultimi anni, di una nuova dimensionedell’agricoltura, quella legata all’agriturismo, attraverso il recupero dei numerosiedifici rurali immersi nel verde presenti nella zona, attività che va sicuramente in-crementata attraverso incentivi e pubblicizzazioni.

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Attività della Biblioteca

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Fonti sonore e musicologia: alcune riflessionidi Grazia Carbonella

Il campo di ricerca della musicologia, nell’accezione impiegata dall’AmericanMusicological Society nella sua dichiarazione d’intenti del 1934, nella quale s’impe-gnava “per il progresso della ricerca nei vari campi della musica intesa quale brancadel sapere e dell’erudizione”, ha poco più di un secolo ed è un fenomeno prevalen-temente del Novecento.1 In questo arco di tempo si è abbandonata l’idea della musicacome sottoinsieme della filosofia e della storia dell’arte per considerarla disciplinaautonoma con una propria identità professionale, con standard e requisiti di prepa-razione specifici. Tant’è che dal bilancio effettuato dalla Società Italiana diMusicologia sulle discipline musicologiche, tracciato in chiusura del secolo appenatrascorso, Enrico Fubini precisa che la “musicologia è complessa e multiforme per-ché tale è il suo oggetto, visto sia orizzontalmente nella sua estensione geografica,sia verticalmente nella sua estensione storica” e che per questo “non si può parlaredi musicologia al singolare”.2 Nel corso del Novecento infatti c’è stato un progres-sivo passaggio dalla netta prevalenza della musicologia storica, come approcciodominante alla ricerca, ad una progressiva affermazione di nuove discipline - qualila sociologia della musica, la semiologia della musica, la psicologia della musica,l’etnomusicologia, per citarne solo alcune - che hanno arricchito l’odierno panora-ma di studi con l’applicazione di metodologie distinte.3 Questi mutamenti hannotrovato riscontro nell’allargarsi degli orizzonti musicali, con l’avventodell’atonalità, della dodecafonia e del serialismo in Occidente, e nel progressivoindebolimento dell’eurocentrismo, con il dilagare di studi sistematici su patrimo-ni musicali di altri popoli e di altre civiltà. Non da ultimo si deve aggiungere losviluppo di nuove tecnologie di produzione e riproduzione del suono che da una

1 Cfr. Margaret BENT, Il mestiere del musicologo, in Enciclopedia della musica, diretta da Jean-JeacquesNattiez, Il sapere musicale, Torino, Einaudi, 2002, 3 voll.: vol. II, p. 575.

2 Cfr. Enrico FUBINI, Introduzione, in «Rivista Italiana di Musicologica», vol. XXXV, 2000, 1-2, Le discipli-ne musicologiche: prospettive di fine secolo, p. 4.

3 Risale al 1885 la pionieristica divisione tra musicologia storica e quella sistematica operata da Guido Adlerdurante la sua docenza a Vienna. Nel 1955 il Dräger aggiunge alla suddivisione in tre “classi” degli ambiti diricerca - Storia della musica, Musicologia sistematica, Etnomusicologia - due altri campi di indagine: la Sociologiadella musica e la Musicologia applicata. Cfr E. FUBINI, Introduzione…, p. 579; Alberto BASSO, Musicologia, inDizionario della musica e dei musicisti. Il lessico, Torino, UTET, 1985, 3 voll.: vol. III, pp. 281-304.

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Fonti sonore e musicologia: alcune riflessioni

parte hanno indotto gli studiosi a riflettere a livello filosofico e analitico sul signi-ficato della tecnica, dall’altra hanno costretto ad analizzare sempre meglio il fe-nomeno dei mezzi audiovisivi di diffusione e riproduzione della musica. La sto-ria della musica, soprattutto quella del XX secolo, infatti, è per lo più storia dellamusica riprodotta.

È chiaro che analizzare l’incidenza delle tecnologie sulla musica significaper lo studioso condurre un’indagine in più direzioni. In primis perché l’avven-to del fonografo ha consentito di ripetere, di riascoltare un’esecuzione musicalesvincolandola dall’evento, privandola del gesto e dell’elemento visivo; in secon-do luogo l’ha resa merce, le ha dato, ancor più che con la stampa, un valorecommerciale. Sull’altro fronte, l’impiego delle tecnologie per la riproduzione ela conservazione della musica ha avuto, negli anni, una valenza didattica e do-cumentaria enorme, sancendo la nascita del jazz e dei primi studietnomusicologici. Non da ultimo la possibilità di registrare e riprodurre deisuoni ha influenzato largamente anche il processo creativo, garantendo ai com-positori una libertà nuova.

Questi sono solo alcuni aspetti che verranno di seguito illustrati e che rap-presentato il nuovo e articolato panorama in cui si muove la ricerca musicologicaquando fa oggetto della sua indagine le fonti musicali sonore nel quadro storico delNovecento.4

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Abbiamo già accennato come i campi di interesse dell’attuale ricerca musico-logica si siano allargati affiancando alla tradizionale indagine storica una serie dinuovi ambiti disciplinari. Così il musicologo oggi è portato a consultare fonti di-verse a seconda del lavoro che si prefigge: oltre a manoscritti, trattati teorici, libret-ti, pubblicistica periodica, epistolari, si avvale anche di strumenti di consultazionequali bibliografie e repertori, ma anche OPAC di biblioteche, banche dati biblio-grafiche, archivi testuali on-line.5

La tecnologia ha non solo cambiato l’approccio alla ricerca, ma ha trasfor-mato anche la musica: svincolata dalla concezione idealistica ed elitaria di arte, èdiventata oggetto.6

4 Il primo bilancio italiano del rapporto tra storiografia e studi sulla musica riprodotta è stato realizzato daRoberto GIULIANI, Le fonti sonore e audiovisive e la storiografia contemporanea, in «Rivista Italiana diMusicologica»…, cit., pp. 539-584.

5 Per l’ indagine musicologica cfr. Gianmario MERIZZI, La ricerca bibliografica nell’indagine storico-musicologica, Bologna, Clueb, 1996; Antonia Alberta IANNE, Le risorse Internet per la musicologia: strategiedi ricerca e criteri di valutazione, in «Fonti Musicali Italiane», 2001, 6, pp. 119-143.

6 Per il rapporto tra musica e mezzi di comunicazione di massa e musica e tecnologia, cfr. Simon FRITH,L’industrializzazione della musica e il problema dei valori, in Enciclopedia della musica, Torino, Einaudi,2002, 3 voll.: vol. I, Il Novecento, pp. 953-965; Jean MOLINO, Tecnologia, globalizzazione, tribalizzazione, inibid, pp. 767-782; e ovviamente Walter BENJAMIN, L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica:arte e società di massa, Torino, Einaudi, 2000.

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L’archiviazione su supporto fonografico e la riproduzione meccanica, digita-le, elettronica, infatti, trasformano profondamente l’esperienza materiale della mu-sica che ora può essere ascoltata ovunque, superando barriere spazio-temporali,diventando merce, proprietà.

La riproduzione sonora ci ha ormai abituati a una percezione esclusivamenteuditiva della musica, in cui ambiente e gesto vengono annullati, slegando così l’eventoesecutivo dal contesto ambientale originale.7 Che la musica sia fatta per essere ascol-tata, in realtà, non è un’idea così ovvia come potrebbe sembrare: lo è per noi, manon lo era nel primo Cinquecento, ad esempio, quando l’esecuzione di un madriga-le polifonico era principalmente un’occasione per una pratica domestica di lettura edi canto in comune. Del resto, l’ascolto concentrato è diventato la ragion d’esseredella musica lentamente, fra il XVII e il XIX secolo, con un lungo processo che hatrovato la sua conclusione nell’avvento del concerto pubblico. E proprio nell’Otto-cento è emersa la figura dell’ascoltatore, il nuovo “committente” per il quale daquel momento si comincerà a scrivere e a interpretare la musica. Con il concertopubblico, e poi con i recitals, la musica crea i suoi rituali: non più canti nuziali,requiem, processioni, occasioni con le quali in Occidente fino al XVIII secolo ave-va mantenuto un rapporto strettissimo, ma una rigida etichetta fatta di applausi,bis, abiti eleganti: “era come una cerimonia religiosa, dove la religione celebrata erala musica stessa”.8 Il concerto ottocentesco era quindi un evento mondano, un ri-tuale, e, in quanto tale, aveva una propria architettura del tempo che si innestava nelfluire dell’ordine temporale più grande, quello che si dispiega in un ciclico susse-guirsi di giorni, mesi, anni. Ebbene, quest’equilibrio è stato rotto dall’avvento delfonografo: con la registrazione la musica è diventata per l’appunto oggetto, fruibilein qualunque momento della giornata e in qualunque luogo. Con la registrazione lamusica perde di “sacralità” perché facilitando il rituale privato lo banalizza.9 Tuttoquesto però ha portato anche ad una libertà nuova, lì dove la musica diventava unsimbolo, quasi una bandiera ideologica tanto da suscitare ostilità nei regimi totali-tari: nel 1928, ad esempio, nell’Unione Sovietica il jazz americano, suonato o im-portato, era punibile con sei mesi di carcere e una multa di cento rubli.10

L’ascolto è diventata quindi la pratica musicale dominante del XX secolo: que-sta nuova condizione induce l’ascoltatore ad una maggiore concentrazione sull’ope-

7 “Per definire questa nuova situazione d’ascolto Schaffer ha rimesso in voga il termine “acusmatico”,indicante la modalità usata da Pitagora per rivolgersi ai suoi discepoli attraverso la cortina. Anche per unpubblico colto e musicale la pratica di ricezione più consueta è l’ascolto “acusmatico” tramite altoparlanti”.Cfr. François DELALANDE, Il paradigma elettroacustico, in Enciclopedia …, cit., vol. I, Il Novecento, pp. 380-403 e 386. Riguardo all’incidenza del disco e della radio sulla storia della ricezione, in un discorso limitato allavoce, cfr. Rossana DALMONTE, Voci, in Enciclopedia…., cit., pp. 283-305: 284-288.

8 Cfr. Evan EISENBERG, L’angelo con il fonografo. Musica, dischi e cultura da Aristotele a Zappa, Torino,Instar Libri, 1997, p. 39.

9 In realtà già Glenn Gould riteneva che la musica registrata non va intesa come riproduzione del concerto,ma come un’arte indipendente, distinta dalla musica dal vivo quanto il cinema lo è dal teatro. Cfr. ibid., p. 145.

10 Cfr. ibid, p. 43.

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ra d’arte musicale grazie anche alla possibilità di ripetizione ad anfinitum del brano,sia nel suo insieme che per sezioni, e alla possibilità di comparare interpretazionidiverse di una stessa opera.11 Così scrive Roberto Giuliani a questo proposito: “Ascol-tare e riascoltare: il documento sonoro, e poi audiovisivo, concede il tempo per capi-re, oltre che per studiare, per dar conto delle diverse interpretazioni, per comprende-re come è cambiata la nostra percezione nel corso della storia. La possibilità di ripro-duzione, come anche per il cinema, e per le arti in genere, offre più tempo per riflette-re, per sentire e vedere più cose, e cose diverse”.12 Il musicista oggi non può prescin-dere, per lo studio di una composizione, dall’ascolto critico e comparato di altre in-terpretazioni: avremo così l’analisi dell’interpretazione e l’analisi per l’interpretazio-ne. D’altro canto l’ascoltatore medio, generalmente privo di un autonoma capacità dilettura musicale, trova nelle registrazioni sonore l’unica chiave di accesso alle compo-sizioni musicali. In questa prospettiva la registrazione fornisce all’ascoltatore un’im-magine sonora delle composizioni,13 frutto della politica editoriale delle casediscografiche, un’ immagine spesso faziosa, o quantomeno parziale, perché selettivarispetto all’intera produzione. Poche sono infatti le operazioni editoriali di alto pro-filo sollecitate da critici e da musicologi condotte su corpus omogenei di composizio-ni: le scelte editoriali delle case discografiche, mosse troppo spesso da fattori esclusiva-mente commerciali, raramente si conciliano con progetti di educazione del pubblico.14

Influenzando l’apprendimento, la registrazione condiziona anche la compo-sizione, operando su un duplice livello. Da un lato, giocando “un ruolo simile aquello del libro, nel senso di memoria culturale che preserva e diffonde le invenzio-ni umane”,15 veicola una larga circolazione di idee, esponendo i compositori a mol-teplici influssi musicali. Dall’altro, la tecnologia applicata al processo creativo rap-presenta una momento di “rottura”, paragonabile solamente alla scrittura. Quan-do, nel 1948, Pierre Schaeffer compose i primi Études de bruits era la prima voltache la musica veniva composta direttamente sul supporto.16 In questo modo il mu-

11 Cfr. Carlo MARINELLI, Prolegomeni ad una nuova disciplina scientifica: Discografia e Videografia musica-le, <http: //carlomarinelli.it/Prolegomeni.rtf>, 5 marzo 2006.

12 Cfr. R. GIULIANI, Le fonti sonore e audiovisive…, cit. p. 584.13 La musica, come il teatro e la danza, ha bisogno di un mediatore perché sia comunicata, tradotta. L’inter-

vento dell’interprete fornisce sempre una chiave di lettura soggettiva e personale.14 “L’esistenza di una categoria di operatori culturali che producono per le masse, usando in realtà le masse

per fini di profitto anziché offrire loro delle reali occasioni di esperienza critica, è un fatto assodato: e l’opera-zione culturale va giudicata per le intenzioni che manifesta e per il modo in cui struttura i suoi messaggi”. Cfr.Umberto ECO, Apocalittici e integrati, Milano, Bompiani, 1965, p. 20.

15 Cfr. Marc BATTIER, La scienza e la tecnologia come fonti d’informazione, in Enciclopedia …, cit., vol. I, pp.360-379, in particolare p. 361.

16 L’attenzione del compositore al timbro e alla sonorità matura lentamente nel corso dei secoli: è solonell’Ottocento che si sviluppa il concetto di orchestrazione ed è a partire dall’inizio del Novecento che iltimbro e la sonorità fanno parte integrante del progetto compositivo. Questa ricerca della sonorità induce ilcompositore a specificare sempre più i dettagli esecutivi e a lasciare una margine sempre più ristretto all’inter-prete, finché l’impiego delle tecnologie lo aiuteranno a realizzare il sogno di fissare il suono. Risulta chiaro,quindi, che la musica dei suoni nasce da esigenze musicali prima che da circostanze tecnologiche. Cfr. FrançoisDELALANDE, Il paradigma elettroacustico, in Enciclopedia … , cit., vol. I, p. 387.

Sono esaurienti a questo proposito le parole di Ferruccio Busoni: “Ogni notazione è già trascrizione di

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sicista, infatti, portando alle estreme conseguenze le tecniche di montaggio, avevautilizzato frammenti sonori estrapolati dal loro contesto originario, organizzando-li secondo una precisa estetica compositiva. È possibile comprendere a pieno laportata di questa rivoluzione solo se pensiamo all’analoga situazione creatasi conl’avvento della scrittura come tecnica di composizione. Per circa sette secoli la scrit-tura non era destinata a scrivere la musica, ma solo a trascriverla: prima del XIIsecolo la musica sembra essere essenzialmente orale e trascritta solamente a poste-riori. Nel Trecento, invece, troviamo brani la cui composizione sarebbe inimmagi-nabile senza l’ausilio della scrittura (pensiamo alle retrogradazioni del rondeau diMachault, Ma fin est mon commencement, o alle composizioni isoritmiche). Così,come la registrazione, anche la notazione è stata in un primo tempo il mezzo perfissare la musica, per diventare, solo in un secondo momento, il supporto dell’in-venzione.

Lo studioso che si appresta ad indagare un documento musicale sonoro devechiaramente avere piena consapevolezza di tutta questa situazione: se cioè, si trattadi una registrazione come impronta di un’esecuzione tradizionale, oppure di unatto creativo vero e proprio. L’approccio alla ricerca sarà, inoltre, ulteriormentediverso rispetto al documento musicale notato, se si pensa che la notazione, e ri-spettivamente la tecnologia della realizzazione meccanica, designa non solo un mezzodi creazione, ma l’intera organizzazione sociale relativa a quella specifica produ-zione musicale. Avremo così da un lato per i documenti notati copisti, poi stampatori,editori, rete commerciale, interpreti, biblioteche, ecc..., dall’altro per le registrazio-ni nessun interprete, nessuna traccia scritta, una maggiore possibilità di dilettanti-smo nel processo compositivo (fenomeno, questo, sconosciuto nel campo dellamusica colta dopo il periodo barocco). È chiaro che dall’analisi dell’una e dell’altramodalità, registrazione e scrittura, lo studioso evincerà implicazioni sociali nonmeno che estetiche molto diverse.17

Agli occhi dello studioso le fonti sonore hanno anche un intrinseco valoredocumentario18 di non trascurabile portata. Esse custodiscono infatti informazionirelative all’interpretazione vocale e orchestrale, alle prassi delle varianti e dei tagli.Non dobbiamo inoltre dimenticare che grazie alla registrazione l’improvvisazionejazz cominciò ad essere documentata e a fare storia così come ha consentito lo

un’idea astratta. Nel momento in cui la penna se ne impadronisce, il pensiero perde la sua forma originale” eancora “in base alle mie personali concezioni, avrei bisogno di un mezzo di espressione completamente nuo-vo, una macchina del suono (non riproduttrice di soni)[…]. Solo così quello che compongo, qualunque sia ilsuo messaggio, arriverebbe all’ascoltatore senza essere deformato dall’ “interpretazione”. […] Basterebbepremere un bottone e si avrebbe una musica quale il compositore l’ha scritta, come quando si apre un libro”.Cfr. EISENBERG, op. cit., p. 182 e 184.

17 Cfr. F. DELALANDE, Il paradigma elettroacustico, in Enciclopedia … , cit., vol. I, in particolare pp. 383-391.18 Stravinskij è stato tra i compositori il primo a intraprendere la registrazione completa dei suoi lavori.

Attribuiva a questi dischi, realizzati dalla Columbia, valore di “guida documentaria”, utile a chiunque volesseeseguire la sua musica. Cfr. EISENBERG, op. cit., p. 179.

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19 In realtà oggetto di studio della etnomusicologia non è solo la musica della tradizione popolare o dei paesiextraeuropei, ma anche il rapporto che la modernità intrattiene con i mezzi di comunicazione di massa e lenuove tecnologie della comunicazione. A riguardo cfr. Ramón PELINSKI, Etnomusicologia nell’epocapostmoderna, in Enciclopedia …, cit., vol. II, Il sapere musicale, pp. 694-717.

20 Lo stesso Farinelli aveva piena consapevolezza della caducità della propria arte. Così diceva nell’estatedel 1770 a Charles Burney, parlando di Padre Martini: “Ciò che egli fa resterà; ma il poco che ho fatto io, è giàdimenticato”. Cfr. Charles BURNEY, The present state of music, London, Printed for T. Becket 1773, traduzio-ne di Corrado RICCI, in Burney, Casanova e Farinelli in Bologna, Milano, 1891, p. 20 (cit. contenuta in LuigiVERDI, Il Farinelli a Bologna. Dai primi successi alla fama internazionale del più celebre cantante italiano delSettecento, in «Nuova Rivista Musicale Italiana», 2003, 2, pp. 197-237: 213). Dall’ampia letteratura sugli eviraticantori cfr. almeno Giorgio APOLLONIA, Il fenomeno della voce castrata, in «Nuova Rivista Musicale Italia-na», 1998, gennaio-febbraio, pp. 164-177; John ROSSELLI, Il cantante d’opera, Bologna, il Mulino, 1993, inparticolare pp. 45-78. Tutte le incisioni di Moreschi sono contenute in Alessandro Moreschi. Le registrazionioriginali, in Le grandi voci italiane, Fonit-Cetra, vol. 9, CDO 519 (1997).

21 Nonostante la filosofia delle “esecuzioni storiche” guidi gli interpreti nel ricreare la prassi esecutiva diepoche trascorse, non sempre trova reale applicazione praticamente. Spesso, infatti, le esecuzioni originalisono musicalmente troppo distanti dal gusto odierno. Cfr. Marcello SORCE KELLER, Cosa ci dicono sulla musi-ca le più antiche registrazioni fonografiche, in «Musica/Realtà», XXVI (2005), 76 (marzo), pp.160-170.

22 Ibid, p. 167.

studio e la conoscenza di repertori popolari ed extraeuropei, sancendo la nascitadell’etnomusicologia.19 D’altro canto gli stessi musicologi negli ultimi anni hannolavorato alle edizioni critiche con una nuova attenzione ai risultati sonori e questo,congiuntamente alla maggiore preparazione storico-stilistica dei musicisti, ha por-tato ad una maggiore consapevolezza nelle scelte operate a livello esecutivo. Diver-samente da un testo, che sia una partitura musicale o un trattato, la registrazionenon lascia spazio all’immaginazione, ma fornisce la versione esatta dell’interpreta-zione di quell’esecutore o di quel compositore. E proprio grazie a questo suo aspet-to si fa portatrice di informazioni di prima mano relative alla prassi. Sono un esem-pio le registrazioni della voce di Alessandro Moreschi. Ultimo evirato della storia,cantore e poi direttore del coro della Cappella Sistina, Alessandro Moreschi ci halasciato una testimonianza unica: la sua voce incisa sul disco consegnata alla storia.E noi, figli del XX secolo, grazie alla registrazione possiamo fare una salto nel tem-po e ascoltare quale era presumibilmente la vocalità che ha incantato per più di unsecolo nobili e regnanti di tutta Europa.20 Quindi, le registrazioni consentono allostudioso e al musicista di rendersi conto realmente del suono di un certo interprete,di come un certo compositore dirigeva le proprie musiche, informazioni che nonsempre sono in linea con i gusti musicali correnti.21

In realtà l’odierna indagine musicologica non ha ancora maturato gli stru-menti necessari per uno studio condotto con rigore scientifico sui più antichi do-cumenti sonori, non ha ancora sviluppato un metodo di analisi specifico da applica-re, semmai, in modo complementare alle fonti cartacee, su cui lo studioso è piùabituato a lavorare. I più antichi documenti sonori avrebbero bisogno, ad esempio,di un approccio filologico per accertane la veridicità, così come accade per i docu-menti testuali. Non sempre, infatti, le informazioni riportate sulle copertine deidischi sono esatte: spesso gli interpreti – cantanti, strumentisti o gli stessi direttori –non sono quelli citati.22

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Grazia Carbonella

Da questa breve panoramica risulta che la ricerca musicologica condotta sul-le fonti musicali sonore deve tenere conto di una varietà di aspetti a seconda che sianalizzi la registrazione nel suo valore documentario, come testimonianza di unaprassi o di un genere – come nel caso del jazz e delle tradizioni popolari – piuttostoche nelle sue implicazioni sociali, estetiche, ideologiche, economiche. Ciascuno diquesti aspetti implica un metodo e un approccio di analisi diverso, si tratta di “aspettidiversi ma che si integrano, che si devono integrare per ricostruire, per illuminare,per spiegare quell’oggetto altrettanto prismatico e multiforme che è la musica”.23

23 FUBINI, op. cit., p. 4.

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Recensioni

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Grazia Stella Elia

Giuseppe De Matteis, Vincenzo Cardarelli - un sogno:lo stile assoluto*di Grazia Stella Elia

Ancora una fatica, ancora un lavoro di analisi poetica, di scandaglio lettera-rio, dopo circa venti pubblicazioni di questo infaticabile esegeta, Giuseppe DeMatteis, che divide la sua vita tra l’insegnamento universitario e attività di scrittu-ra e promozione culturale. Il volume Vincenzo Cardarelli un sogno: lo stile asso-luto, il terzo sullo stesso Cardarelli, vuol essere una vera e propria “radiografia”cardarelliana e il titolo è un eloquente preannuncio al lettore, che vi troverà pagi-ne riguardanti lo “stile” del poeta di Tarquinia: uno “stile assoluto”, un sognorealizzato.

Ma procediamo per gradi. Nella prefazione l’Autore chiarisce al lettore cosaintende fare: “riguardare l’opera omnia cardarelliana, anche quella concernente il‘critico’; considerare la ‘disordinata’ formazione intellettuale e letteraria di Carda-relli”, autodidatta sui generis e, dulcis in fundo, “assegnare a Cardarelli il posto chegli compete nella letteratura italiana della prima metà del Novecento”.

Il volume è suddiviso in cinque capitoli: 1) Fortuna critica di VincenzoCardarelli; 2) Formazione intellettuale e letteraria di Cardarelli; 3) L’esperienzarondista e la concezione della lingua in Cardarelli; 4) Il prosatore e il critico; 5) Ilpoeta. Aspetti della lingua e dello stile di Cardarelli nel contesto della lirica italianadel Novecento.

Nel primo capitolo ci s’imbatte in una serie di opinioni e giudizi quasi tuttipositivi, qualcuno negativo, sulle opere poetiche e in prosa, espressi da notevolicritici: dal Debenedetti al De Robertis, dal Contini al Falqui, dal Solmi al Piovene,dal Ferrata al Macrì, dal Bigongiari al Mucci, dal Luzi al Sapegno e, dopo la morte,avvenuta nel 1959, le critiche di Montale, Raimondi, Anceschi, Solmi, Cecchi, Falqui,Baldini, Petroni, Bartolini, e poi ancora il pensiero di Gramsci, Montanaro, Ulivi,Pozzi, Landolfi e Moravia. Il tutto seguito dalla rassegna, sulla tanto varia operacardarelliana, dei lavori monografici del Romani, della Risi, della Parra Cristadoro,del Fuselli e infine del Grasso.

Il secondo capitolo, Formazione intellettuale e letteraria di Cardarelli, par-tendo dalla difficile infanzia alla stazione ferroviaria, sede di lavoro del padre di

*Giuseppe DE MATTEIS, Vincenzo Cardarelli - un sogno: lo stile assoluto, Foggia, Leone Editrice, 2004.

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Giuseppe De Matteis, Vincenzo Cardarelli - un sogno: lo stile assoluto

Cardarelli, prosegue attraverso la non meno difficile adolescenza e la iniziale for-mazione da autodidatta, l’attenzione rivolta al teatro, l’entrata negli ambienti lette-rari di Roma. Notevole incidenza ebbero, nel processo formativo del poeta, le let-ture di Nietzsche, Baudelaire, Rimbaud, Joice e Proust, da cui potè ricavare utiliinsegnamenti stilistici.

Molto incideranno anche Pascal e Leopardi e, dopo la composizione dei Pro-loghi, sarà letterato di professione e si stabilirà a Roma.

L’impegno va di pari passo con il progresso e i suoi libri vanno inseriti “nelrepertorio delle prose liriche”.

Gli anni della senilità coincidevano con “una solitudine uggiosa, ‘compatta’ eamara”.

Si passa al terzo capitolo con l’esperienza de «La Ronda», che ebbe una partedecisiva “nello svolgimento dell’arte cardarelliana”. Cardarelli, con gli altri rondiani,dileggiava Pascoli, esaltando Leopardi e Manzoni. È lo Zibaldone a fargli intendereche “eleganza” è “sinonimo di personalità e originalità”.

Il quarto capitolo, Il prosatore ed il critico, passa in rassegna le opere delCardarelli, dai Prologhi ai Viaggi, ad Addio, Liguria, alle Favole della Genesi, a Ilsonno di Noè, a Le memorie della mia infanzia, in cui si riscontra già la prosa piùalta del Cardarelli, con un “classicismo” che sa di leopardiano.

Il Sole a picco (1929) è l’opera della “raggiunta fermezza di linguaggio e distile”, come afferma il De Robertis; qui si leggono pagine autenticamente autobio-grafiche, come pure in Lettere mai spedite: autobiografia e confessione.

Quelle di Viaggio d’un poeta in Russia (giornalista dell’ “Avanti”) sono pagi-ne, come dice il Falcui, di “una prosa altamente virile nella dolcezza stessa della suamalinconia”.

Passando al Cardarelli critico (aspetto scarsamente considerato da altri criti-ci), il De Matteis esplicita chiaramente l’intento cardarelliano di vedere, in ogniopera, l’uomo più che l’artista, esprimendo il giudizio con oggettiva “incorruttibi-lità”.

Egli fu, inoltre, vero, autentico critico teatrale, lui che credeva nella “malat-tia” del teatro.

E siamo al quinto ed ultimo capitolo: Il poeta. Aspetti della lingua e dello stiledi Cardarelli nel contesto della lirica italiana del Novecento. Cardarelli non appar-tiene alla corrente ermetica; egli “rimane integro, con tendenza al discorsivo e alprosastico”.

Il poeta descrive, racconta e intanto, scavando in sé, si ritrova a raccontarsi,come nei versi che incontriamo nelle pagine di questo volume, intelligentementescelti a dimostrazione della bellezza profonda della poesia cardarelliana, nata daun’appassionata attenzione alla poetica leopardiana, mutatasi in lezione di stile.Secondo Cardarelli “scrivere bene è scrivere trasparente”.

Cardarelli amava i dialetti, rammaricandosi di non averne uno tutto proprio.L’anelito alla precisione fu una sua prerogativa costante: non cessava, infatti,

di rivedere le proprie composizioni, al fine di effettuare cambiamenti utili alla mag-

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Grazia Stella Elia

giore “evidenza e chiarezza espressiva” oltre che ad una maggiore essenzialità eimmediatezza.

Il nostro Autore fa un’attenta disamina del lavoro letterario di Cardarelli,tirando in ballo, per confronto e differenze, Montale, Saba, Pavese e Tomasi diLampedusa, per giungere ad affermare che il poeta di Tarquinia è “classico” per lasua “preziosa ed elegante dignità” ed è “moderno” nel desiderio, comune ai poetinuovi, di “confessare, attraverso il dialogo e la comprensione degli uomini”.

Un valido, importante tassello - questo lavoro del De Matteis - da inserire abuon diritto nel mosaico sempre incompiuto degli studi cardarelliani.

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Domenico Grassi

Luigi Paglia e i suoi due volumi su Giuseppe Ungaretti*di Domenico Grassi

I due volumi di Luigi Paglia appaiono in un rapporto di complementarità edi interscambio, in quanto Il viaggio ungarettiano nel tempo e nello spazio comple-ta la presentazione del contesto storico e culturale che nell’Urlo e lo stupore si fer-ma al 1919, in coincidenza con l’uscita dell’Allegria di naufragi, e dilata anche l’es-senziale bibliografia critica relativa alle prime pubblicazioni ungarettiane e, d’altraparte, dà per acquisito il ricco armamentario analitico dispiegato nella precedentemonografia.

Il viaggio ungarettiano nel tempo e nello spazio, inoltre, riproduce nella lorointegrità e completezza le otto prose, dedicate a Foggia e alla Daunia da uno dei piùgrandi poeti del Novecento.

“L’itinerario dauno tracciato dal poeta - come afferma Paglia - assume la par-ticolare strutturazione della circolarità e della concentricità, aprendosi (nella primaprosa: Il Tavoliere) e riaprendosi (nella sesta prosa: Da Foggia a Venosa) con lavisione di Foggia, ed avendo il suo fuoco nella doppia immagine di Lucera (quartae quinta prosa: Lucera, città di Santa Maria, e Lucera dei Saraceni), dopo essersisvolto nella sinuosa divagazione garganica (seconda e terza prosa: La giovine ma-ternità, e Pasqua), per ritrovare a Caposele le fonti di quell’acquedotto (settima edottava prosa: Alle fonti dell’acquedotto, e L’acquedotto) di cui, con rovesciamentotemporale e funzionale, si celebra nella prima prosa la conclusiva e gioiosa manife-stazione”.

L’elegantissimo volume, sulla cui copertina spicca l’intensa e magnetica im-magine fotografica in primissimo piano di Ungaretti, si articola, secondo l’analisi diPaglia, nelle prospettive temporali e spaziali, prima delineando l’itinerario esisten-ziale, culturale, operativo del poeta e poi concentrandosi nell’esame delle prose diviaggio ungarettiane, veri e propri poemi in prosa, di cui sono individuati, appunto,i rapporti dialettici tra prosa e poesia, tra il racconto di viaggio e l’invenzione fanta-stica, tra i motivi paesaggistici e gli elementi vitali ed archetipici dell’aridità e del-l’umidità, del sole e dell’acqua, del deserto e della terra ferace.

* Luigi PAGLIA, Il viaggio ungarettiano nel tempo e nello spazio. Le prose daunie di Giuseppe Ungaretti,Foggia, Claudio Grenzi, 2005.

Luigi PAGLIA, L’urlo e lo stupore. Lettura di Ungaretti. L’Allegria, con una testimonianza di Mario Luzi,Firenze, Le Monnier, 2003 (Quaderni della Nuova Antologia).

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Luigi Paglia e i suoi volumi su Giuseppe Ungaretti

Tali motivi, che si dispiegano nell’esplorazione dei luoghi cari al poeta, dalnatio Egitto alla selvaggia Corsica, dalla ridente Campania ai “paesi d’acque” delPolesine e dell’Olanda, si concentrano in modo esemplare proprio nella Capitanatain cui alla “dialettica degli archetipi acqua-sole (e luce) si sommano la polarità natu-ra-arte, la transizione temporale passato-presente ed il collegamento religione-sto-ria che percorrono, incrociandosi e sovrapponendosi, tutta la trama del racconto”.

Il volume si segnala anche come un insostituibile strumento bibliografico, per-ché presenta le più estese (e si potrebbe dire complete) bibliografie critiche ungarettianesettoriali e generale, realizzando, tra l’altro, per la prima volta un’accurata ed esaustivaricognizione delle opere musicali ispirate alle poesie di Ungaretti (di oltre cinquantamusicisti per centinaia di composizioni) ed una registrazione dei pittori a cui il poetaha dedicato la sua attenzione di singolare ed originale critico d’arte.

L’altra monografia L’urlo e lo stupore prende il suo giusto posto accanto aifondamentali studi ungarettiani di Cambon, Ossola, Guglielmi, Bigongiari, Giachery,Baroni, ecc., costantemente tenuti presenti (soprattutto quelli di Ossola) nell’ana-lisi che, tuttavia, in costante dialettica con essi, presenta un taglio interpretativooriginale.

Il libro, che - come anticipa l’autore nella nota bibliografica - è la prima partedello “studio su tutta l’opera ungarettiana”, costituisce la prima completa indaginetestuale di tutte le poesie dell’Allegria, che, secondo la testimonianza di Mario Luzipremessa al volume, appare “una prova di lettura e di inquisizione testuale strin-gente, attentissima, perfino virtuosa”.

Particolarmente felice appare già il titolo L’urlo e lo stupore, probabilmenteesemplato sui versi di Ungaretti: “Ma le mie urla feriscono come fulmini” (Solitu-dine) e “il limpido stupore dell’immensità”, che prospetta i due versanti, pertinen-temente esaminati dallo studioso, della poesia dell’Allegria: appunto la violenzaespressionistica (che richiama l’urlo di Munch), suscitata dalla partecipazione emo-tiva dell’io lirico alle vicende ed allo strazio della guerra e dell’esistenza umana, e,d’altra parte, lo stupore cosmico e la comunione con l’universo.

Le due dimensioni e polarità predette sono inoltre collegabili, come puntua-lizza Paglia, alle due correnti poetiche nell’ambito delle quali si realizza la poesiadell’Allegria: quelle dell’Espressionismo e del Simbolismo la cui dialettica, o inte-razione, appare come il “connotato esemplare e caratterizzante” dell’operazionepoetica ungarettiana.

Le poesie ungarettiane sono esaminate con una metodologia di indagine stra-tigrafica sincronica, che si riferisce ai vari livelli testuali, da quelli del significante aquelli del significato, ma anche diacronica, che riguarda le famose “varianti” (pp.61-184), ed è corredata da una puntuale bibliografia critica sull’Allegria.

La lettura testuale è preceduta da un discorso globale sulla raccolta ungaret-tiana che è accuratamente contestualizzata dal punto di vista storico-culturale (pp.1-28) e di cui “sono indagate le strutture portanti, le articolazioni logico-semanti-che, simbolico-archetipiche, linguistico-metaforiche e spazio-temporali” (pp. 25-60).

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Domenico Grassi

Sulla scorta di un preciso collegamento intertestuale e del quadrato semiolo-gico di A. J. Greimas, viene individuato il sistema semantico dell’Allegria, i cui “assisemici - come precisa Paglia - si stabiliscono sulle relazioni di contrarietà guerra-pace e vita-morte, legate alle situazioni vissute e sofferte dall’io lirico e che trovanola loro folgorante espressione in testi capitali dell’esperienza poetica novecentescacome Soldati o San Martino del Carso”.

La dialettica dell’Allegria, inoltre, si articola nelle polarità del biologico edello spirituale, della sicurezza e della precarietà (come in Vanità e in Soldati), dellaparola poetica (come nella poesia Il Porto sepolto) e della comunione con la natura(come nei Fiumi), della fraternità umana (come in Fratelli) e dell’amore universale edella comunione cosmica (come in Mattina) e divina (Preghiera).

Questi nuclei tematici e semantici trovano il puntuale rispecchiamento e laproiezione nell’organismo archetipico-simbolico, individuabile nell’Allegria, orga-nizzato “in modo quadripartito sui piani superiore (archetipi del cielo, del sole,della luce) ed inferiore (archetipi della terra, della vegetazione, dell’acqua e dellanotte) e sul versante positivo, della vitalità o fecondità (del sole e della terra) e suquello negativo della distruttività (sole calcinante e terra desolata)”.

La “concentrazione linguistica” e la “dilatazione del senso a livello metafori-co-semantico”, mediante “lo scavalcamento dei campi metaforici e l’interconnes-sione figurale”, rappresentano –nell’analisi di Paglia- i due connotati esemplari dellaraccolta ungarettiana. Nella quale penetrante e suggestiva appare anche l’indivi-duazione della dimensione temporale del “presente dilatato” in cui “si realizza lacompresenza degli eventi del passato nell’espansione del presente (col blocco fre-quente della proiezione del futuro)” per la cui definizione vengono utilizzate laprospettiva dello spazio-tempo di Einstein, le illuminazioni di Bergson e della psi-cologia contemporanea: di F. Kummel, di D. E. Schneider e di E. Minkowski, einoltre della sociologia di S. Kern che parla della “fenomenologia della vita di trin-cea”, connessa alla situazione traumatica della guerra.

Fondamentale appare anche nell’analisi di Luigi Paglia, “così minuziosa, at-tenta, acutissima, preziosa per la complessità dei punti di vista”, secondo il giudiziodi Barberi Squarotti, l’identificazione della prospettiva spaziale o topologica, mu-tuata da Jurij M. Lotman, dello spazio interno (o IN) e dello spazio esterno (o ES)sulla cui alternanza sono articolate quasi tutte le poesie dell’Allegria, come appareemblematico in C’era una volta, in cui “l’atteggiamento psichico che era orientatonel senso dell’allontanamento (dall’ES all’IN), in Natale, invece appare fermato nelcuore della casa, nella posizione di centralità (IN), con l’assoluta chiusura versol’ES, che appare pericoloso, nemico, quasi una trasposizione della guerra”.

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Gli autori

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Gli autori

Edoardo Beccia è nato a Troia il 3 agosto 1953, dove vive e lavora. Si è laure-ato preso l’Università “La Sapienza” di Roma in Medicina e Chirurgia. È impegna-to nella vita politica fin dal 1980, quando venne eletto Consigliere comunale pressoil Comune di Troia nelle fila della Democrazia Cristiana, partito nel quale ha rico-perto anche la carica di Capo gruppo. È stato eletto una prima volta sindaco nel1986 e ancora Consigliere dal 1989 al 1998. Nel 1999, eletto con una lista civica, èstato nominato vice sindaco, incarico ricoperto sino al 2004. È stato eletto sindaconel giugno 2004 a capo della lista civica “I Troiani”. La Giunta Beccia ha attuato ilP.U.G. e realizzato una serie di opere infrastrutturali. Particolare attenzione è statariservata alla cultura e al settore dei servizi sociali: sono operanti l’Università dellaTerza Età, l’A.D.I. e la ludoteca con il progetto “Crescere Insieme”. Dopo un lun-go lavoro con la Diocesi, l’8 luglio 2006 è stato inaugurato il Museo Del Tesorodella Cattedrale con tutti i servizi turistici e logistici connessi, progetto denominato“Daunia Vetus”.

Daniele Brunetti si è laureato cum laude e plauso della commissione in Me-dicina e Chirurgia presso l’Università degli Studi di Bari nel 1998. Si è specializzatocum laude sempre a Bari in Cardiologia nel 2002. Nel 1997 ha fatto uno stage pres-so la Cardiolgia Universitaria dell’ “Eberhard Karls” Universität di Tübingen (BadenWürttemberg, Germania) e nel 1998 uno stage presso la Cardiologia Universitariadel “Carolinska Institutet” di Stoccolma. Ha conseguito il dottorato di ricerca in“Fisiopatologia e clinica dell’apparato cardiovascolare e respiratorio” presso l’Uni-versità degli Studi di Foggia il 22/02/2006.

Ha svolto attività in ambito di emodinamica diagnostica ed interventisticadal 2000. Ha all’attivo 47 pubblicazioni su riviste scientifiche («International Journalof Cardiology», «European Herart Journal Suppl», «Italian Heart Journal»).

Dal luglio 2005 è in servizio presso l’U.O. Cardiologia Universitaria Ospe-dali Riuniti di Foggia.

Antonio Bucz è nato a Torremaggiore nel 1951. Si è laureato con lode inSociologia presso l’Università degli Studi “La Sapienza” di Roma nel dicembre 1975con una tesi sulla organizzazione dei servizi sociali, relatore il prof. GiovanniBerlinguer.

Si occupa di ricerche sociali nell’ambito dei consultori familiari, dove lavoradal 1° marzo 1976 inizialmente a Torremaggiore ed attualmente a San Severo.

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Gli autori

Ha partecipato come ricercatore alla prima indagine nazionale sui malati disclerosi multipla per conto dell’AISM. Ha collaborato con il CENSIS ad una inda-gine nazionale sui servizi socio-sanitari in tre aree campione. Con l’Istituto Supe-riore di Sanità ha collaborato ad indagini nazionali sulla gravidanza ed il puerperio.

Insegna Sociologia Generale presso l’Università degli Studi di Foggia - sededecentrata di San Severo – nel corso di laurea in Infermieristica.

Ha pubblicato articoli e lavori specifici sui consultori familiari. Si interessa distoria locale ed ha pubblicato alcuni volumi. Scrive racconti.

Grazia Carbonella nasce a S. Giovanni Rotondo il 25 maggio 1974. Dopo lamaturità classica, consegue il diploma di chitarra presso il Conservatorio di musica“Umberto Giordano” di Foggia. Nel 1997 si laurea in Storia della musica presso lafacoltà di Lettere dell’Università “La Sapienza” di Roma, con la tesi L’uso del bassoostinato nella musica italiana del Seicento, relatore il prof. Pierluigi Petrobelli. Nel1999 frequenta il corso di perfezionamento in “Filologia musicale” organizzatodalla Fondazione Rossini di Pesaro e nel 2000 il corso di “Iconografia musicale”organizzato dalla Fondazione Italiana per la Musica Antica di Urbino. Nel 2001segue il corso regionale “Esperto in tecnologie di sistemi multimediali” presso laKnowK. di Foggia. Dal 2002 collabora con la cooperativa “Mediateca 2000” per lacatalogazione dei documenti sonori della Biblioteca Provinciale di Foggia. È gior-nalista pubblicista.

Antonio D’Alessandri ha conseguito il dottorato di ricerca in Storia delledottrine politiche presso l’Università Roma Tre, dove collabora come cultore dellamateria con la cattedra di Storia dell’Europa orientale della Facoltà di Scienze poli-tiche. Si occupa di storia politica e culturale dei Balcani in età moderna e contempo-ranea. È autore di diversi contributi apparsi in riviste scientifiche, membrodell’Association internationale d’études du Sud-est européen (AIESEE), nonchécollaboratore della Nuova rivista storica di Milano. È in corso di pubblicazione lasua monografia sulla scrittrice e intellettuale romena Dora d’Istria (1828-1888).

Domenico Della Martora è nato a Foggia nel 1957. Ha conseguito la laureain Economia e Commercio presso l’Università degli Studi di Bari nel 1984.

È stato docente di Economia aziendale e materie giuridiche presso diversiistituti tecnici e corsi di formazione professionale post-diploma. Ha svolto la pro-fessione di commercialista e revisore dei conti. Attualmente è dirigente sindacaleprovinciale e regionale. Presta servizio presso l’Amministrazione provinciale diFoggia in qualità di responsabile del servizio previdenza.

Filomena Della Valle si è laureata in Lingue e letterature straniere nel 2004presso l’Università degli Studi di Chieti-Pescara, con la tesi La fortuna critica delLeopardi degli ultimi cinquant’anni.

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Gli autori

Giuseppe De Matteis è nato ad Alberona. Ha insegnato presso le scuole su-periori di Foggia e di Bari prima di passare all’Università di Pisa come docente diLingua e Letteratura Italiana sino al 1986. Da quell’anno si è trasferito a Pescaradove gli è stata affidata la cattedra di Storia della critica letteraria e contemporane-amente, la supplenza di Lingua e Letteratura Italiana, insegnamento che attualmen-te continua a svolgere presso l’Università “G. D’Annunzio” di Chieti in qualità diTitolare.

Collabora a varie riviste letterarie nazionali: («Galleria», «Italianistica»,«Studium», «Esperienze Letterarie», «Aevum», «Opinioni», «Merope», «Propo-ste», ecc...). Ha pubblicato numerosi volumi, tra i quali: Cultura e poesia di Vincen-zo Cardarelli (1971), Critica, poesia e comunicazione (1978), Il nomade illuso: let-ture e sondaggi carducciani (1983), Dittico pirandelliano (1989), Ragioni e certezzadella poesia (1990), La narrativa di Italo Calvino (1991), protagonisti della culturaletteraria meridionale (1993) e l’ultimo in ordine di tempo: Istanze della narrativaitaliana contemporanea (2002).

Nel 1985 gli è stato conferito il Premio della cultura della Presidenza delConsiglio dei Ministri. È membro della “Società di Storia Patria per la Puglia” edella “Società Dauna di Cultura”. Ha svolto e svolge numerose iniziative di carat-tere culturale a Foggia, in provincia, a Chieti, a Roma e a Pisa.

Ha organizzato e curato da vari anni molti convegni nazionali di letteratura,tra i quali si ricordano tre convegni su Leopardi, uno su Pietro Giannone e unconvegno di carattere internazionale sul tema: Dante in lettura.

Matteo Di Biase è nato a Canosa di Puglia il 27/02/1947. Si è laureato inMedicina e Chirurgia nel 1971 presso l’Università degli Studi di Bari ed ha conse-guito, sempre a Bari, la specializzazione in Cardiologia nel 1974 ed in Radiologia eRadioterapia nel 1979.

La sua formazione cardiologia si è svolta presso la Clinica Cardiologia del-l’Università di Montpellier (Francia) per un anno e presso l’Ospedale Hammersmithdi Londra per sei mesi. Ha svolto la sua Carriera Clinica presso l’Istituto di Malat-tie dell’Apparato Cardiovascolare dell’Università degli Studi di Bari.

È autore di 281 lavori a stampa.È Professore Associato di Cardiologia presso l’Università degli Studi di Bari

dal 1988 e presso l’Università degli Studi di Foggia dal 2001 al 2002; è stato ProfessoreOrdinario di Cardiologia presso l’Università degli Studi di Foggia dal 2002 al 2005.

Dal Maggio 2005 a tutt’oggi è Professore Ordinario di Cardiologia presso laUniversità degli Studi di Foggia. È direttore, dal 10/11/1997, Direttore dell’UnitàOperativa Universitaria di Cardiologia presso l’Azienda Ospedaliero-Universita-ria “Ospedali Riuniti” di Foggia. Dal 2000 è Direttore della Scuola diSpecializzazione in Cardiologia dell’Università degli Studi di Foggia. Inoltre, è co-ordinatore del Dottorato di ricerca in Fisiopatologia e Clinica dell’ApparatoCardiovascolare e Respiratorio dal 2002 e da giugno 2005 a tutt’oggi è Pro-Rettoredell’Università degli Studi di Foggia.

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Gli autori

Grazia Stella Elia è nata e vive a Trinitapoli (Fg). Ha insegnato per moltianni, trasmettendo ai suoi alunni l’amore per la poesia e per il teatro. Si è impe-gnata sin da giovanissima nello studio del suo dialetto (“casalino”). Collaboracon saggi, articoli e recensioni a vari giornali e riviste. Ha pubblicato: Nostalgiadi mare (poesie in lingua), prefazione di Pasquale Matrone, Foggia, Editrice Apulia,1985; I racconti del focolare (narrativa folklorica), prefazione di Daniele Giacane,Foggia, Leone Ed., 1988; Il cuore del paese (scritti popolari nel dialetto diTrinitapoli), prefazione di Daniele Giacane, Foggia, Leone Ed., 1990; La sapienzapopolare a Trinitapoli (paremiologia), prefazione di Vincenzo Valente, Fasano,Schena, 1995, Le opere e i giorni della memoria (racconto in versi di mestieriestinti o in via di estinzione), Bari, Ed. La Vallisa, 1996, Versi d’azzurro fuoco(canzoniere d’amore in lingua italiana), prefazione di Grazia Distaso, Foggia,Bastogi, 1997; Paràule pèrse ( raccolta di poesie in vernacolo casalino), prefazionedi Vittoriano Esposito e Pietro Sisto, Foggia, Bastogi, 1999.

Michele Finelli (Massa, 1972), sta svolgendo il Dottorato di Ricerca in “Sto-ria e sociologia della modernità” presso la Facoltà di Scienze Politiche dell’Univer-sità degli Studi di Pisa, con un progetto di ricerca sulla conservazione della memo-ria mazziniana in Italia. Già autore di due saggi su Mazzini, Il Prezioso Elemento.Giuseppe Mazzini e gli emigrati italiani nell’esperienza della scuola italiana di Lon-dra, Rimini, Pazzini, 1999 ed Il monumento di carta. L’Edizione Nazionale degliScritti di Giuseppe Mazzini, Pazzini, Rimini, 2004, e di uno sul IX febbraio, LaMemoria, la Storia, l’Attualità, Forlì, UIL, 2004, sta curando la redazione su sup-porto informatico dell’Edizione Nazionale degli Scritti di Giuseppe Mazzini incollaborazione con la Commissione editrice degli Scritti di Giuseppe Mazzini e laDomus Mazziniana di Pisa.

Si interessa anche alla storia d’Italia nel periodo post-unitario, con particola-re sensibilità verso gli aspetti relativi alla costruzione dell’identità nazionale. Re-dattore della rivista il «Pensiero Mazziniano», ha pubblicato saggi su «Memoria eRicerca», «Il Risorgimento» e «Storia e futuro».

Recentemente è uscito, a cura del Comitato padovano per il BicentenarioMazziniano un piccolo compendio ad uso degli studenti delle scuole medie supe-riori di Padova e Rovigo dal titolo Mazzini. Una vita europea.

Gaetano Fuiano, Direttore generale dell’Ausl Fg/1 di San Severo, è nato aTorremaggiore (Foggia) nel 1949. È laureato in Scienze Politiche ad indirizzo poli-tico amministrativo. Dopo aver svolto funzioni di dirigente amministrativo, conposizione apicale, nell’ex Usl Fg/1 di Torremaggiore e nell’Azienda Usl Fg/1 di SanSevero è stato Direttore Amministrativo Aziendale dell’Azienda Ospedaliero-Uni-versitaria “Ospedali Riuniti” di Foggia. Nel corso della sua lunga ed intensaprofessione ha direttamente curato la elaborazione di regolamenti, approvati e fattipropri dalle rispettive Amministrazioni, nonché di atti di disciplina di attività sani-tarie e di organizzazione del lavoro in organizzazioni sanitarie pubbliche. È’ stato

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Gli autori

docente di Diritto amministrativo, di Legislazione sanitaria e Statistica sanitariapresso Scuole pubbliche e presso l’Università degli Studi di Foggia per Infermieried Ostetriche. Ha approfondito e dedicato i propri studi sull’organizzazione e fun-zionamento delle attività sanitarie, nei tre livelli essenziali di assistenza, con parti-colare riferimento e ricerca sperimentale in ordine alla progettazione ed applicazio-ne di percorsi diagnostico-terapeutici e dell’aggregazione–integrazione delle atti-vità di questi in “Percorsi Aziendali ed Interaziendali di Cura ed Assistenza”(P.A.I.C.A), interessanti anche la integrazione sia di assistenza sociale (nei Piani diZona) e sia delle attività assistenziali della Facoltà di Medicina e Chirurgia dellaUniversità degli Studi. Ha personalmente elaborato e presentato una proposta diatto di intesa tra la Regione Molise e l’Università Cattolica del “Sacro Cuore” Po-liclinico “A.Gemelli” di Roma, per l’organizzazione interna e per l’attività assi-stenziale sanitaria del Centro di alta tecnologia e di assistenza sanitaria, di ricerca inCampobasso.

Domenico Grassi è ricercatore di Letteratura italiana moderna e contempo-ranea presso l’Università degli Studi Roma 3.

Pantaleo Greco è nato a Roma nel 1958. Si è laureato con lode in Medicina eChirurgia nel 1981 presso l’Università degli Cattolica di Roma e nel 1985 si è specia-lizzato in Ginecologia ed Ostetricia presso l’Università degli Studi di Bari. È registra-to a pieno titolo presso il General Medical Council di Londra dal 1986; è specializza-to in Patologia della Riproduzione Umana presso l’Università degli Studi di Bari.Collabora al progetto di ricerca “HIV e gravidanza”, al progetto “Diabete e gravi-danza” e al progetto “Intrauterine stem cell transplantetion for correction beta-thalassemia major in the fetus”. È segretario nazionale della Società Italiana di Medi-cina Perinatale dal 1998, segretario nazionale della Società Italiana di Gineco-Patolo-gia dal 1999, ed è professore ordinario a tempo pieno della cattedra di Ginecologia edOstetricia dell’Università degli Studi di Foggia. Autore di oltre 350 pubblicazioniscientifiche, di cui 100 peer-reviewed su riviste straniere con referee. Attualmente èdirettore dell’Unità Operativa (struttura complessa) di Ostetricia e Ginecologia Uni-versitaria dell’Azienda Ospedaliera Mista – Ospedali Riuniti di Foggia.

Ugo Indraccolo è nato nel 1976 e si è laureato in Medicina e Chirurgia nel2001 con la tesi sperimentale L’elettrocardiogramma fetale: nuova metodica dimonitoraggio fetale intrapartum. È membro dell’Ordine dei Medici della sezionedi Macerata. È al momento al V anno di specializzazione in Ginecologia ed Ostetri-cia presso la Scuola di specializzazione in Ginecologia ed Ostetricia della Facoltà diMedicina e Chirurgia dell’Università di Perugia e collabora con la Ginecologia edOstetricia Universitaria dell’Università di Foggia.

Giuliana Limiti è nata il 30 gennaio 1930 a Roma dove risiede. È consulentestorico-archivistico del Presidente della Repubblica, Sovrintendente Onorario al-

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Gli autori

l’Archivio Storico della Camera dei Deputati, Presidente Onorario degli ArchiviStorici Parlamentari in seno al Consiglio Internazionale degli Archivi.

È stata professore di educazione comparata alla III Università di Roma, Pre-sidente del Comitato educazione della Commissione nazionale dell’UNESCO,Presidente dell’OME (Organizzazione Mondiale per l’Educazione Prescolare) –Italia, Presidente dell’Associazione italiana “Janusz Korczak”, Presidente dellaMazzini Society.

Per i suoi lavori scientifici e storici è stata insignita del più alto riconoscimen-to culturale della Repubblica Ceca e Slovacca, la medaglia d’oro comeniana e dalloStato italiano della medaglia d’oro per i benemeriti della scuola, della cultura e del-l’arte. Inoltre, è stata la coordinatrice dei disegni dei bambini di Terezin e la primapromotrice della loro conoscenza mondiale nel campo educativo e psicologico. Èall’avanguardia per la difesa dei diritti dei bambini e per la deontologia e prepara-zione culturale del personale docente. Ha fatto conoscere sul piano scientifico ilmessaggio e la figura di Janus Korczak di cui ha pubblicato i testi in lingua italiananella collana da lei diretta per le edizioni Luni di Milano.

Ha organizzato e coordinato il Convegno mondiale su Margaret Fuller, grandescrittrice e giornalista americana che contribuì a far conoscere la Repubblica Ro-mana del 1849 agli Stati Uniti d’America e collaborò con Giuseppe Mazzini,triumviro della stessa. Inoltre ha guidato una ricerca mondiale su Ralph W. Emersone il trascendentalismo americano.

Negli Stati Uniti ha promosso la conoscenza di Dante Alighieri, di GiuseppeMazzini e della tradizione religiosa della democrazia europea.

La Fondazione SHOAH di Los Angeles l’ha considerata degna di una inter-vista come persona appartenente ai Giusti per aver salvato ebrei durante il periodofascista e nazista.

Fa parte del Comitato Nazionale per le onoranze del bicentenario della na-scita di Giuseppe Mazzini.

Continua la sua funzione di Consulente Storico Archivistico del Presidentedella Repubblica e come studiosa apprezzata unanimemente nella storia dell’edu-cazione e della identità italiana ed europea. È stata chiamata il 18 giugno 2003 apronunziare il discorso ufficiale su Carlo Cattaneo in occasione dell’inaugurazionedel suo busto tra i grandi italiani alla Camera dei Deputati, alla presenza del Presi-dente Carlo Azeglio Ciampi.

Angelo Manuali è nato a Cagli (Pesaro) il 12 ottobre 1935. A sei anni sitrasferisce con la famiglia in provincia Caserta. prima a Sant’Angelo d’Alife e poi aPiedimonte d’Alife (ora Piedimonte Matese).

Nel 1935, a seguito di un ulteriore trasferimento, va a vivere a Foggia, doveconsegue la maturità classica. Compie gli studi universitari a Napoli laureandosi inGiurisprudenza. Nel frattempo adempie gli obblighi di leva come ufficiale deiBersaglieri. Congedatosi, nel 1960 trascorre un periodo a Roma dove svolge la pra-tica e consegue l’abilitazione all’insegnamento in Materie Giuridiche ed Economi-

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Gli autori

che. Nel 1961 rientra a Foggia e inizia l’attività forense abbinandola all’insegna-mento. Nel frattempo si sposa e ha due figlie.

Nel 1979 rileva la casa editrice Bastogi di Livorno dandole nuovo impulso,ampliandone il catalogo e l’attività, soprattutto nel campo letterario.

Autore di un romanzo e di undici raccolte di poesie, Angelo Manuali ha avu-to numerose attestazioni critiche e vari premi letterari. Maria Grazia Lenisa ha pub-blicato su di lui il volume di critica La poesia di Angelo Manuali.

Maria Matteo è nata a Bari nel 1970; si è laureata in Medicina e Chirurgiapresso l’Università degli Studi di Bari nel 1994, conseguendo la specializzazionein Ginecologia ed Ostetricia nel 1999. Attualmente è dirigente medico di I livellopresso l’Unità Operativa di ginecologia ed Ostetricia Universitaria degli Ospe-dali Riuniti di Foggia, diretta dal prof. Pantaleo Greco; inoltre, è co-responsabiledel servizio di Endoscopia Diagnostica ed Operativa, presso la suddetta struttu-ra. È socia dell’European Society of Human Reproduction and Embryology(ESHRE), della Società Italiana di Fertilità e Sterilità e Medicina della Riprodu-zione, della Società Italiana di Endoscopia e Laserterapia ginecologica, nonchédella Società Italiana di riproduzione (Sidr). Ha partecipato come relatore a nu-merosi congressi in Italia e all’estero; è coautrice di pubblicazioni su riviste italia-ne e straniere.

Dionisio Morlacco, socio ordinario della “Società di Storia Patria per laPuglia”, è impegnato da anni in studi e ricerche che illustrano figure, aspetti e mo-menti del vario e plurisecolare patrimonio di storia e di civiltà di Lucera, sua cittànatale. Nella sua ampia bibliografia, oltre alla assidua collaborazione a giornali eriviste d’ambito locale («la Capitanata», «Fortore», ecc.) e nazionale («ArchivioStorico Pugliese», «Rassegna Storica del Risorgimento»), si evidenzia la pubblica-zione di saggi e monografie di argomento storico e di recupero delle tradizionilocali, che se pur si ascrivono al filone della cosiddetta “storia minore” (Fiere emercati a Lucera, 1987; Le mura e le porte di Lucera, 1987; Pozzi cisterne e spacciper la sete di Lucera, 1991; Bazar Tripoli, 1995; Toponomastica di Lucera, pubblica-ta su «Il Centro», Dimore gentilizie a Lucera, 2005), costituiscono pur sempre ilsubstrato (indispensabile) della grande storia, alla quale più direttamente l’autoreperviene con i suoi accurati profili biografici dei Parlamentari lucerini (dal Parla-mento del Regno d’Italia alla Repubblica), tra i quali si ricordano quelli di RuggeroBonghi, di Giandomenico Romano, di Antonio Salandra, ed ancor più quello diRiccardo Del Giudice, in corso di stampa.

Ciro Mundi è nato a Foggia. Ha conseguito la laurea in Medicina e Chirur-gia all’Università Cattolica di Roma. Si è specializzato in Neurologia all’Universitàdi Bari. Attualmente è direttore della Struttura complessa ospedaliera di Neurolo-gia dell’Azienda Ospedali Università di Foggia.

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Gli autori

Costanzo Natale si è laureato in Medicina e Chirurgia presso l’Universitàdegli Studi di Napoli nel 1962. Ha conseguito la specializzazione in Chirurgia nel1967 e quella in Chirurgia toracica nel 1969. Dal 1979 è Primario di Chirurgia gene-rale presso gli Ospedali Riuniti di Foggia. Ha ricoperto più volte l’incarico di do-cente sia presso l’Università degli Studi di Bari, che presso l’Università degli Studidi Foggia. Vastissima l’attività scientifica; attualmente è in corso uno studio suirisultati della linfectomia D/2 D/3 nel trattamento del cancro gastrico; inoltre, è incorso uno studio di biologia molecolare e di immunoistochimica sui tumori colon-rettali. È membro del comitato scientifico delle seguenti riviste: «La ChirurgiaToracica» (SEROS, Roma); «Archivio Casa Sollievo della Sofferenza»; «Actaoncologica» (Piccin, Padova); «Il Giornale di Chirurgia» (CIC Edizioni Interna-zionali, Roma); «European Journal of Oncology» (Casa Editrice Mattioli, Milano).

Luigi Nappi è nato a Ferrara nel 1967. Si è laureato in Medicina e Chirurgianel 1993 presso l’Università degli Studi di Bari. Nel 1998 ha conseguito, sempre aBari, la specializzazione in Ostetricia e Ginecologia presso l’Istituto di ClinicaOstetrica e Ginecologia II. È membro dell’Editorial Staff dell’Italian Journal ofGynaecology & Obstetrics; nel 1999 è stato nominato membro dell’InternationalScientific Committee dell’European Association of Gynaecologists & Obstetricianse dell’ European Board and College of Gynaecology and Obstetrics (EAGO-EBCOG). Dal 2000 è corrispondente straniero per l’Italia dell’European Journalof Obstetrics and Gynaecology & Reproductive Biology. È autore di oltre 150pubblicazioni scientifiche pubblicate su riviste nazionali ed internazionali.

Maria Nobili è nata a Foggia, dove ha conseguito la maturità scientifica. Si èlaureata in Medicina e Chirurgia presso l’Università di Roma e si è specializzata inChirurgia generale, Anestesia e rianimazione e Chirurgia pediatrica. È dirigentemedico della Struttura complessa di Chirurgia pediatrica ospedaliera di Foggia.

Ha partecipato a convegni e congressi nazionali e regionali, relazionandosull’attività chirurgica della struttura.

È impegnata nel volontariato come presidente del gruppo comunale AIDOdi Foggia, dedicandosi alla cultura della donazione degli organi per trapianti.

Luigi Paglia svolge la sua ricerca soprattutto nel campo della Letteraturacontemporanea. È docente di “Laboratorio di scrittura” nella Facoltà di Lettere eFilosofia dell’Università di Foggia. Ha anche insegnato “Scienze dell’Informazio-ne” e “Metodologia e critica letteraria” nella Scuola di specializzazione per laureatidell’Università di Bari. Ha, inoltre, partecipato al Progetto nazionale R.eT.E. delMinistero della P.I., per l’introduzione delle tecnologie informatiche nella didatticadell’Italiano, in qualità di Formatore-Tutor.

Ha pubblicato in volume: Invito alla lettura di Marinetti, Milano, Mursia,1977; Poeti in Puglia, in AA.VV., Inchiesta sulla poesia, Foggia, Bastogi, 1979; Luzi,in AA.VV., Poesia italiana del Novecento, Roma, Editori Riuniti, 1993; Ungaretti,

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Gli autori

in AA.VV., Letteratura italiana ed utopia, Roma, Editori Riuniti, 1995; L’ incendiodella terra a sera, in Studi in onore di Michele Dell’Aquila, Pisa, I.E.P.I., 2003; L’ur-lo e lo stupore. Lettura di Ungaretti. L’Allegria (con una testimonianza di MarioLuzi), Firenze, Le Monnier, 2003; Il viaggio ungarettiano nel tempo e nello spazio.Le prose daunie di Giuseppe Ungaretti, Grenzi, Foggia.

Ha collaborato con le più qualificate riviste letterarie («Vita e pensiero», «Rap-porti», di cui è stato membro della direzione, «Paragone-Letteratura», «Otto/No-vecento», «Annali dell’Università di Roma La Sapienza», «Critica letteraria», «Lin-gua e Stile», «Nuova Antologia», «Strumenti critici», «Rivista di Letteratura italia-na», «Quaderni di didattica della scrittura», «Forum Italicum», «Italica», «Giorna-le storico della letteratura italiana», ecc…) con saggi e studi su Dante, G. Ungaretti,T.S. Eliot, G. Grass, C. Wolf, M. Luzi, L. Pirandello, U. Betti, ecc…

Giuseppe Rinaldi è nato a Foggia il 31/03/1939. Si è laureato in Medicina eChirurgia presso l’Università di Roma “La Sapienza” nel 1964; nello stesso Ateneoha conseguito le seguenti specializzazioni: Pediatria nel 1967, Puericultura nel 1968,Neonatologia nel 1973. Nel 1969 è stato assunto dagli Ospedali Riuniti di Foggia inqualità di Assistente medico presso la divisione di Pediatria; nel 1974 è stato inqua-drato nella posizione funzionale di Aiuto medico presso la Sezione Neonatale-Im-maturi aggregata alla Divisione di Pediatria degli Ospedali Riuniti di Foggia. Dal1980, a seguito della trasformazione della suddetta Sezione Neonatale-Immaturi inSezione autonoma prima e in Divisione di Patologia e Terapia Intensiva poi, rico-pre ininterrottamente il ruolo di Primario di detta Divisione. Nel 2004 ha conse-guito la carica di Direttore del Dipartimento Materno-Infantile che tuttora riveste.È stato membro di numerose Società medico-scientifiche ed è componente dei cor-rettori della rivista «Neonatologia». Ha organizzato numerosi congressi scientifici,convegni monotematici e corsi di aggiornamento, sia a carattere nazionale che re-gionale. Ha partecipato a Congressi nazionali ed internazionali in campo pediatrico-neonatologico, come relatore e/o moderatore, producendo circa 200 pubblicazioniscientifiche.

Piergiorgio Rosenberg è nato a Foggia nel 1981; si è laureato in Medicina eChirurgia nel 2005 presso l’Università degli Studi di Foggia. È iscritto al I annodella Scuola di specializzazione in Ginecologia ed Ostetricia dell’Università degliStudi di Foggia.

Sabina Stefania Samele, nata e residente a Foggia, si è laureata in Economiae Commercio presso l’Università degli Studi di Bari con una tesi sperimentale inStoria economica. Dopo aver collaborato come assegnista di ricerca presso il Di-partimento di Storia Economica della Facoltà di Economia dell’Università di Bari,attualmente è dottoranda di ricerca in “Analisi e storicizzazione dei processi pro-duttivi” presso la stessa facoltà. Nell’ottobre del 2004 è intervenuta al Seminario distudi “Amministrazione e società in Capitanata nell’età della destra storica” orga-

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nizzato dal Centro di Ricerca e di Documentazione per la Storia della Capitanata,con la relazione Collegamenti e rete viaria in Capitanata dopo l’Unità. Dal 2004 ècultrice della materia in “Storia economica” ed “Economia politica” presso la Libe-ra Università “S. Pio V” di Roma.

Maria Teresa Santelli, nata a San Severo nell’ormai lontano 1943, ha con lasua terra un forte legame di appartenenza.

Ma altrettanto forte è il sentimento che la lega al “S. Altamura”, Istituto Tecni-co in cui ha insegnato per venticinque anni. Gli anni della sua piccola, personalerivoluzione.

Importante per lei l’incontro con il professor Antonio Brusa. Seguendo lesue indicazioni metodologiche, ha elaborato programmazioni, test ed unità didatti-che in relazione all’insegnamento della Storia. Ne sono un esempio: Ma cos’è que-sta storia su “Contro-verso” n°17 , Benvenuti al biennio su «I viaggi di Erodoto» -Quaderno n°2 e «Il Foglietto» in Quaderni di didattica della Storia, prima pubbli-cazione del Laboratorio storico di Foggia di cui è tra i soci fondatori. Nell’ambitodi questa associazione culturale, per suo espresso desiderio, è in atto una ricercafinalizzata al recupero della tradizione femminile, tradizione intesa come “conti-nuità tramandata con un esplicito atto di volontà” (Hannah Arendt, Tra passato efuturo).

Relatrice in alcuni incontri volti a cogliere lo sguardo femminile sul mondo,nel racconto Le compagne del 23 marzo 1950 a San Severo mette in evidenza ilruolo delle donne in un episodio di ribellione popolare che le ha viste protagonistee non figure marginali dell’evento.

All’attivo, oltre ad articoli riportati in alcuni numeri di codesta rivista, rac-conti e versi inseriti in pubblicazioni de “La Merlettaia” ed un breve racconto, E,se…, da lei pubblicato nel 1999.

Gaetano Schiraldi è nato a Lucera e attualmente è studente di Teologiapresso il Pontificio Seminario Regionale “Pio XI” di Molfetta (Bari). È membroaggregato della Società di Storia Patria per la Puglia – Sezione di Lucera-Troia – eSubappennino; è membro della Commissione Storica per la Causa di Beatifica-zione e Canonizzazione del Servo di Dio Don Alesandro di Troja. Ha pubblicatola prima guida scientifica sul Duomo di Lucera (Il Duomo di Lucera. 700 anni distoria, Lucera, 2005). Ha in attivo articoli apparsi sull’ «Archivio Storico Puglie-se» (L’Ordine Templare ad Alberona, LVIII (2005), pp. 279-295), sulla rivista «ArteCristiana» della Scuola del Beato Angelico (Il Nymphios della Cattedrale di Lu-cera: appunti storici e lettura teologica dell’affresco, di prossima pubblicazione). Èin corso di pubblicazione il volume La devozione di Lucera a Santa Maria e laStoria di Alberona. Dalle origini al XIX secolo. Collabora mensilmente con ilgiornale «La Diocesi», con il «Fortore» e con il «Bollettino Diocesano della Dio-cesi di Lucera-Troia».

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Carmen Sferruzzi Siniscalco (Asti 1970) è Cultore della Materia presso lacattedra di Storia del Risorgimento, Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Universitàdegli Studi di Salerno. Ha pubblicato diversi articoli sul delicato passaggio del Re-gno di Napoli dalla feudalità alla gestione borghese.

Bruno Vivoli è nato a Foggia nel 1975. Si è laureato in Lettere moderne pres-so l’Università egli Studi di Foggia, discutendo una tesi in Storia moderna dal tito-lo Il porto di Rodi Garganico nel primo Ottocento, relatore il prof. Saverio Russo.Nel 2006 ha conseguito l’abilitazione all’insegnamento secondario presso la SSISPUGLIA.

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Finito di stampare nel mese di ottobre 2006presso il Centro Grafico Francescano

1a trav. Via Manfredonia - 71100 Foggiatel. 0881/728177 • fax 0881/722719www.centrograficofrancescano.it