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La “ guerre juive”La propaganda antisemita di “Je suis partout” nella Francia occupata
Valeria Galimi
“Je suis partout” è stato il più rilevante tra i giornali del collaborazionismo francese, intorno al quale si raccolsero noti pubblicisti dell’epoca, critici e scrittori, da Drieu La Rochelle a Céline, da Robert Brasillach a Lucien Rebatet. Era un giornale scritto e finanziato da francesi, che volontariamente si allineò sulle posizioni dell’occupante, compiendo una scelta coerente con il percorso intrapreso negli anni trenta al tempo della sua apparizione. In “Je suis partout” l’antisemitismo fu un elemento costante: in un’ottica antisemita venne analizzata la grave situazione in cui la Francia versava dopo la disfatta e nell’emarginazione degli ebrei venne ravvisata la soluzione più efficace e radicale per risolvere definitivamente la crisi in cui versava il paese. L’impostazione propagandistica si adattò alla situazione della Francia sconfitta, donde l’ulteriore spinta a rigettare sugli ebrei la colpa della guerra che venne definita appunto juive. In tal modo i collaborazionisti parigini, che credevano in una Francia fascista inserita nel Nuovo ordine europeo voluto dai nazisti, spostarono la figura del nemico da quella vera e reale — il tedesco aggressore e vincitore — a quella dell’ebreo. Attribuirono cosi la totale responsabilità della debolezza francese alle istituzioni repubblicane e democratiche, a loro dire egemonizzate dagli ebrei, con l’intenzione di legittimare la presenza dell’occupante. Rivolgendosi alla comunità dei francesi, i collaborazionisti individuarono gli ebrei come elementi estranei e stranieri, facendo appello ad un antisemitismo che affondava le radici in una tradizione xenofoba di lunga data e innestandovi gli elementi propriamente razzisti tipici della propaganda nazista.
"Je suis partout’’ was the spearhead among the journals o f French collaborationism, counting such contributors as Drieu La Rochelle, Céline, Robert Brasillac, Lucien Rebatet and others essaysts and writers o f the period. It was a journal written and financed by French people, voluntarily aligned to the positions o f the occupying Germans, in full consonance with the attitude held since its appea- rence in the Thirties. Antisemitism was one o f its constants: the miserable situation o f France after the collapse was read mainly in this light, the ousting o f the Jews being envisaged as the most radical and resolutive remedy against the crisis the country had been plunged into. The propagandistic cut was adapted to the condition o f the defeated: thence a further incentive to hold the Jews responsible for the war, which would be qualified simply as juive. So the Paris collabos, who believed in a fascist France included in the European order claimed by the Nazis, shifted the image o f the enemy from the real and true aggressor — victorious Germany — onto a presumptive and phantasmic Hebrew menace. They could thus lay the whole responsabi- lity for the French débàcle on the republican and democratic institutions, regarded as having been under Hebrew hegemony, so as to legitimate German occupation somehow. In addressing the French community, the collaborationists denounced the Jews as an alien element, by appealing to a deep rooted tradition o f antisemitism revisited through racist assumptions typical o f Nazi propaganda.
Italia contemporanea”, giugno 1997, n. 207
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Occorre risolvere il problema ebraico, perché l’ebreo è lo straniero, è il nemico, ci ha spinto alla guerra ed è giusto che paghi.
Robert Brasillach, 2 giugno 1941
Storia di un quotidiano di destra
Pochi giorni dopo l’insediamento a Vichy del Maréchal Pétain a capo del nuovo Etat français nato dalla Francia sconfitta, vennero promulgate nella zona non occupata le prime misure che colpivano gli ebrei nei loro diritti nella vita politica, sociale ed economica del paese1. Nella capitale occupata, in cui già dal settembre 1940 entrarono in vigore le direttive naziste in materia, restarono molti intellettuali e uomini politici francesi. Se il governo di Vichy decise di attuare una collabo- razione d ’Etat, ufficiale, con le autorità occupanti, vi fu chi volontariamente, per motivazioni culturali o politiche, di buon grado decise di lavorare per l’occupante, accogliendo in tutto e per tutto il messaggio politico del Terzo Reich2. I collaborazionisti, pur sostenendo il governo di Vichy, si servirono del controllo della rete di istituzioni culturali rimaste nella capitale per convincere l’opinione pubblica dell’utilità e della necessità per
la ripresa della Francia di proseguire nella “via della collaborazione” con la Germania nazista e, di conseguenza, per invitare il governo ad intraprendere scelte più radicali per la costruzione di uno stato totalitario3. Tuttavia, soprattutto riguardo all’antisemitismo, i collaborazionisti mossero critiche assai feroci ai politici di Vichy. Non soddisfatti dei due statuti che escludevano gli ebrei da un largo numero di professioni, i nouveaux mes- sieurs, così designati perché in breve tempo giunsero ad assumere posti di responsabilità e a detenere le leve del potere, misero in atto una violenta campagna antisemita su tutti i mezzi di informazione, richiedendo a gran voce una serie di misure repressive per gli ebrei, dalla chiusura in campi di concentramento, all’espulsione, alla morte, che rispecchiavano e anticipavano in un crescendo drammatico le effettive misure di discriminazione e di esclusione prese dal regime di Vichy. All’interno della campagna antisemita promossa dai giornali collaborazionisti nella Parigi occupa-
1 Cfr. Michael R. Marrus, Robert O. Paxton, Vichy et les juifs, Paris, Calmann-Lévy, 1981; Georges Wellers, André Kaspi, Serge Klarsfeld (a cura di), La France et la question juive 1940-1944 (Actes du colloque du Centre de Documentation Juive Contemporaine, Paris, 10-12 marzo 1979), Paris, Sylvie Messinger, 1981; S. Klarsfeld, Vichy-Auschwitz. Le rôle de Vichy dans la solution finale de la question juive en France, 2 vol., Paris, Fayard, 1983-1985; Roger Errera, Legislazione antisemita di Vichy, in La legislazione antiebraica in Italia e in Europa (Atti del convegno nel cinquantenario delle leggi razziali, Roma, 17-18 ottobre 1988), Roma, Camera dei Deputati, 1989, pp. 319-342.
La definizione di “collaborazione di Stato” è di Stanley Hoffmann, autore di un illuminante contributo su questi temi, La collaboration, in Id., Essais sur la France, Paris, Editions du Seuil, 1974, pp. 41-66. Egli mette in guardia dal contrapporre il governo di Vichy al fenomeno del collaborazionismo, che difficilmente si sarebbe sviluppato se non ci fosse stata la collaborazione d'Etat. Per un quadro europeo si veda Enzo Collotti, Il collaborazionismo con le potenze dell'Asse nell’Europa occupata. Temi e problemi della storiografia, in Luigi Cajani, Brunello Mantelli (a cura di), Una certa Europa: il collaborazionismo con le potenze dell’Asse 1939-1945, Brescia, Annali della Fondazione Micheletti, 1994, pp. 11-43.3 Si rinvia alle principali opere sull’argomento: Michèle Cotta, La collaboration 1940-1944, Paris, A. Colin, 1964; S. Hoffmann, La collaboration, in Essais sur la France cit.; Pascal Ory, Les collaborateurs 1940-1945, Paris, Editions du Seuil, 1977; Id., La France allemande: paroles du collaborationnisme français 1933-1945, Paris, Juillard-Gallimard, 1977; Gerhard Hirschfeld, Patrick Marsh (a cura di), Collaboration in France. Politics and Culture during the nazi Occupation 1940-1944, Oxford, Berg, 1989; Philippe Burrin, La France à l ’heure allemande 1940-1944, Paris, .Editions du Seuil, 1995.
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ta risulta paradigmatico il caso di “Je suis partout” , rivista politico-culturale fondata negli anni trenta che per quattro anni offrì un’importante cassa di risonanza agli attacchi antiebraici. Ad essa collaborarono noti intellettuali dell’epoca, Robert Brasillach, Pierre Drieu La Rochelle, Lucien Rebatet, Abel Bonnard4. In nome degli ideali fascisti il giornale — che presentava pagine scelte di letteratura, accompagnate da furenti ditirambi politici — promosse una costante e violenta requisitoria contro gli ebrei, accusati di essere responsabili di avere provocato la guerra, sempre definita juive, ebraica, e di essere causa principale della crisi politica, sociale, economica, ma soprattutto di identità in cui la Francia si trovava. “Je suis partout”, al contrario di altri giornali ferocemente antisemiti come “Au pilori” (alla gogna), già dal titolo assai eloquente, finanziato dai tedeschi, consente di porre in evidenza la continuità di posizione e di atteggiamento di un giornale diretto e amministrato totalmente da francesi, mostrando così che la propaganda antiebraica nella Francia occupata, pur fortemente influenzata dall’antisemitismo tedesco, si iscrisse in modo autonomo nel filone
della tradizione dell’antisemitismo francese5.“Je suis partout” fu lanciato dall’editore
Fayard, già possessore di “Candide” , nel novembre 1930, con il sottotitolo “il grande settimanale della vita mondiale” . Dapprima presentato come un giornale di informazione internazionale e, inizialmente, senza orientamento politico definito6, divenne presto uno dei fogli più violenti dell’estrema destra, e da luogo di raccolta delle nuove generazioni vicine all’Action Française si trasformò, accentuando sempre più i suoi tratti nazionalistici, in un sostegno per il fascismo nella sua versione francese. Fu una di quelle riviste politico-letterarie, sorte dopo la prima guerra mondiale, che conservando il formato dei grandi quotidiani permisero lo sviluppo di pagine artistiche e letterarie di grande qualità. Dalle centomila copie iniziali si attestò intorno alle trecentomila copie nel periodo dell’occupazione7. Dopo la campagna di stampa contro il Fronte Popolare e soprattutto contro la figura di Blum, l’editore Fayard decise nel maggio 1936 di interrompere la pubblicazione del giornale; la redazione si strinse allora intorno al direttore Pierre Gaxotte8 e scelse di proseguire nell’impresa, da quel mo-
4 Quest’ultimo fu membro dell’Académie Française e dal 1942 ministro deü’Education nationale. In questa veste, fu promotore della creazione della cattedra di Storia del giudaismo presso la Sorbona. Nell’agosto 1944 seguì il governo in Germania. Radiato dall’Académie nel secondo dopoguerra, andò in esilio in Spagna e nel 1960 ritornò in Francia. Cfr. Jacques Mièvre, L ’évolution politique d'Abel Bonnard (jusqu'au printemps 1942), “Revue d’histoire de la deuxième guerre mondiale”, 108 (ottobre 1977), pp. 1-26 e Jean-Michel Barreau, Abel Bonnard, ministre de l ’éducation nationale sous Vichy ou l ’éducation impossible, “Revue d’histoire moderne et contemporaine”, luglio-settembre 1996, n. 3, pp. 464-478.5 Hannah Arendt, Le origini del totalitarismo. Parte prima: l ’antisemitismo, Milano, Bompiani, 1978; Jacob Katz, From préjudice to destruction. Antisemitism 1700-1933, Cambridge Mass., Harvard University Press, 1980; Léon Poliakov, Storia dell’antisemitismo, Firenze, La Nuova Italia, 1976-1990, vol. III-IV; Norman L. Kleeblatt (a cura di), L'affare Dreyfus. La storia, l ’opinione, l'immagine, Torino, Bollati Boringhieri, 1990; Pierre Bimbaum, Un mythe politique: la République juive. De Léon Blum à Pierre Mendès-France, Paris, Fayard, 1988; Michel Winock, Nationalisme, antisémitisme et fascisme en France, Paris, Editions du Seuil, 1990.6 Ad esso collaborarono critici e letterati non ascrivibili all’estrema destra, come Benjamin Crémieux, nato nel 1880 a Narbonne e morto deportato a Buchenwald nel 1944. Insigne italianista, segretario generale dell’Istituto francese di Firenze, tra l’altro scopritore di Italo Svevo e traduttore di Luigi Pirandello, Crémieux cessò la sua collaborazione a “Je suis partout” nel 1936, anche per il vistoso aumento degli attacchi antisemiti.7 Cfr. Claude Bellanger, Henri Michel, Histoire de la presse française de 1940 à 1958, Paris, Puf, 1975, vol. IV, p. 51.8 Pierre Gaxotte (1895-1982), normalien, agrégé di storia, professore, intraprese anche la carriera di giornalista. Vicino all’Action Française, fu animatore ed editorialista di “Je suis partout” dalla sua fondazione. Se ne allontanò nel 1940, in seguito a forti divergenze con gli altri membri della redazione. Eletto all’Académie Française nel 1953, fu sovrintendente al castello di Chantilly e collaboré ai più importanti giornali del dopoguerra.
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mento finanziata dall’industriale di Lione André Nicolas, dal tipografo André Lang e da un ricco possidente di origine argentina, Charles Lesca9. Seguendo Charles Maurras nella simpatia verso il fascismo italiano, nell’antisemitismo e nell’ostilità contro la democrazia, spinti anche dalla vocazione internazionale del settimanale, i giornalisti di “Je suis partout” dedicarono grande spazio all’Italia fascista, al movimento rumeno della Guardia di ferro e soprattutto al rexismo di Léon Degrelle10. Durante la guerra di Etiopia, il giornale prese posizione contro le sanzioni nei confronti dell’Italia fascista e durante la guerra di Spagna appoggiò apertamente il franchismo, dedicando contemporaneamente sempre più attenzione al nazionalsocialismo. Dopo la vittoria del Fronte Popolare, molti collaboratori aderirono al Parti Populaire Français di Jacques Doriot e il giornale divenne l’organo più importante del fascismo francese. Nel maggio 1940 il giornalista Alain Laubreaux e l’amministratore nonché collaboratore di “Je suis partout” Lesca furono arrestati perché accusati di fare propaganda contro la Francia; la pubblicazione del giornale fu pertanto sospesa. Dopo la sconfitta, il giornale riapparve nel febbraio 1941 e mantenne sostanzialmente costante la propria linea politica. Il pubblico era composto da fedeli lettori, perlopiù giovani e studenti; nella nuova serie vi furono nuove firme e la collaborazione di letterati prestigiosi (Jean Anouilh, Marcel Aymé,
Drieu La Rochelle, Jean de La Varende). Progressivamente, il giornale sostituì Hitler a Mussolini quale punto di riferimento ideologico e consumò una rottura definitiva con l’Action Française, poco propensa alla prospettiva del Nuovo ordine europeo11. Durante l’estate del 1943 una crisi si aprì all’interno della redazione, poiché Brasillach, dopo la caduta del fascismo italiano, aveva cessato di credere nella vittoria della Germania nazista ed insieme ad altri abbandonò il giornale. Il “nocciolo duro” di “Je suis partout” potè così allinearsi totalmente sulle posizioni del nazifascismo: molti dei suoi giornalisti, già aderenti al Parti Populaire Français, passarono alla Milice, e alcuni si arruolarono nelle Waffen SS.
La redazione
I giornalisti di “ Je suis partout” poterono vantarsi, tra i collaborazionisti, di non essere dei “convertiti” , — e a ragione — anche nell’antisemitismo12. Per quanto fosse Rebatet lo specialista delPantisemitismo, tutti i redattori di articoli politici contribuirono alla propaganda contro gli ebrei. Caporedattore e autore degli editoriali nel periodo dell’occupazione fu Brasillach. Di origine catalana (1909-1945), allievo dell’Ecole Normale Supérieure, aveva iniziato negli anni trenta la carriera di critico, drammaturgo e scrittore di romanzi. Seguace di Maurras, fu presto so-
9 Cfr. C. Bellanger, Jacques Godechot, Histoire de la presse française de 1871 à 1940, Paris, Puf, 1975, vol. Ili, pp. 589- 590. Sul primo periodo di “Je suis partout” si veda Pierre Marie Dioudonnat, Je suis partout 1930-1944. Les maurras- siens devant la tentation fasciste, Paris, La Table Ronde, 1973, pp. 11-60. Tale analisi, benevola con le posizioni politiche del giornale, si concentra soprattutto sul tema dell’estrema destra francese nel suo rapporto con il nazionalismo e il fascismo, esaminandone l’evoluzione tra il 1930 e il 1944. Essa si sofferma ampiamente sugli anni trenta, riservando al periodo 1940-1944 solo un breve capitolo conclusivo. Le notizie biografiche sui collaboratori di “Je suis partout” sono tratte dal testo, dello stesso autore, Le 700 rédacteurs de Je suis partout 1930-1944, Paris, Sedopols, 1993.10 II giornalista Pierre Daye, collaboratore del giornale dal 1932, divenne presidente del gruppo rexista della Camera dei rappresentanti in Belgio.11 Sul movimento di Maurras si veda Eugen Weber, L'Action Française, Paris, Fayard, 1987 [la ed. 1962].12 “Non siamo dei convertiti!” fu lo slogan della conferenza del giornale del maggio 1942. Cfr. Cinq milles Parisiens acclament à Magie-City les orateurs et les idées de Je suis partout, “Je suis partout” , 9 maggio 1942, p. 3.
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stenitore del nazionalismo, ma durante i suoi viaggi in Italia, Germania e Spagna si avvicinò all’ideologia fascista e divenne ammiratore di quella nazista13. Dal 1936 fu collaboratore stabile nella redazione del giornale, di cui divenne l’anno seguente caporedattore. Arruolato nel 1939, fu fatto prigioniero nei giorni della disfatta e liberato nel 1941 grazie all’intervento delle autorità tedesche. Nel 1943 si recò sul fronte dell’Est per sostenere la crociata contro il bolscevismo e nell’estate del medesimo anno ruppe con la redazione di “Je suis partout” , divenendo redattore della rivista “La Révolution Nationale”, il giornale del Mouvement Social Révolutionnaire. Nel 1944, decidendo di non seguire i colleghi di “Je suis partout” nella fuga in Germania, si consegnò alla giustizia e fu condannato a morte e fucilato il 6 febbraio 1945, nonostante una campagna a favore della grazia sostenuta tra gli altri da François Mauriac, Albert Camus, Jean Cocteau14.
Un altro collaboratore di rilievo nel periodo giugno 1937-luglio 1943 fu Drieu La Rochelle, autore di numerosi articoli letterari e politici; nel periodo dell’occupazione, divenuto direttore della “Nouvelle Revue Française” , pubblicò su “Je suis partout” solo articoli di critica letteraria in cui espresse il suo
accanimento contro la presenza, nella cultura francese, degli ebrei, rappresentanti della modernità che egli detestava15. Rebatet (1903-1972) fu critico musicale e cinematografico, collaboratore dell’ Action Française dal 1940 e membro dal 1933 della redazione di “Je suis partout” , dove firmò le rubriche di critica cinematografica con lo pseudonimo di François Vinneuil. “Specialista” dell’antisemitismo, diresse la redazione dei due numeri speciali Les juifs (15 marzo 1938) e Les juifs et la France (17 febbraio 1939). Nell’estate del 1940, chiamato dal governo àzìV Etat Français, ebbe un ruolo a Radio Vichy. Fu anche autore del libro di maggior successo commerciale negli anni dell’occupazione, Les Décombres (Le macerie)16. Nell’agosto 1944 fuggì in Germania, prima a Baden Ba- den e poi a Sigmaringen; arrestato in Austria nel 1945, fu condannato a morte nel novembre 1946, ma in seguito graziato. Nel secondo dopoguerra collaborò a molte riviste di estrema destra. Altro responsabile di una rubrica culturale venata da forte antisemitismo fu Alain Laubreaux17, già critico letterario del giornale radicale la “Dépêche de Toulouse” e di molti altri finanziati da ebrei; condannato per plagio dopo l’uscita del suo primo romanzo e sempre più emarginato dagli am-
13 Cfr. la descrizione del suo viaggio in Germania in Robert Brasillach, Notre avant-guerre, Paris, Plon, 1941, pp. 229- 231 e del suo incontro con Hitler, raffigurato in un’aura quasi divina, in ld., Notre avant-guerre, cit., p. 238.14 Si veda Pierre Assouline, L ’épuration des intellectuels, Bruxelles, Complexe, 1985, pp. 47-62 e la biografia letteraria di Anne Brassié, Robert Brasillach ou encore un instant de bonheur, Paris, Laffont, 1987, pp. 309-370.15 Pierre Drieu La Rochelle, Gilles, Gallimard, 1939, p. 99; Id., Journal 1939-1945, Paris, Gallimard, 1992 [trad. it. Diario 1939-1945, Bologna, Il Mulino, 1995]; Lionel Richard, Drieu La Rochelle et la Nouvelle Revue Française des années noires, “Revue d’histoire de la deuxième guerre mondiale”, 97 (ottobre 1974), pp. 67-84; Robert Soucy, Le fascisme de Drieu La Rochelle, “Revue d’histoire de la deuxième guerre mondiale”, 66 (aprile 1967), pp. 61-84.16 Cfr. Robert Belot, Les lecteurs des Décombres de Lucien Rebatet: un témoignage inédit du sentiment fasciste sous l ’occupation, “Guerres mondiales et conflits contemporains” , 163 (luglio 1991), pp. 3-32, in cui l’autore analizza 118 lettere scritte a Rebatet dai suoi lettori. Risulta che essi erano perlopiù residenti nei quartieri residenziali delle grandi città, molti di loro ex-combattenti ed ex-prigionieri in Germania e socialmente appartenenti ai ceti agiati. Si veda anche la biografia di R. Belot Lucien Rebatet. Un itinéraire fasciste, Paris, Editions du Seuil, 1994.17 Alain Laubreaux (1899-1968), nato in Nuova Caledonia, si stabili a Parigi nel 1921, avviando una collaborazione con molte riviste e giornali del periodo. Fu critico teatrale di “Je suis partout” dal 21 ottobre 1936; dopo l’arresto con Lesca durante la disfatta acquistò maggiore importanza all’interno del giornale, quando esso riapparve nel febbraio 1941. Oltre a tenere una rubrica settimanale di critica teatrale, pubblicò articoli politici, romanzi, memorie. Fu una delle personalità più contestate del mondo collaborazionista. Fuggito in Germania alla liberazione, andò in Spagna, dove rimase. Fu condannato a morte in contumacia nel maggio 1947.
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bienti del giornalismo, approfittò della rubrica di critica teatrale di “Je suis partout” per vendicarsi dei propri fallimenti e insuccessi. Nel 1942 recensì con favore Les pirates de Paris, una pièce teatrale scritta da lui medesimo sotto lo pseudonimo di Marcel Daxiat, che non ottenne alcun consenso18. Fu anche l’autore dei piccoli échos nella pagina di cronaca, brevi notizie su fatti e persone assai vicine alla denuncia e alla delazione. Pierre Villette, sotto lo pseudonimo di Dorsay, nella sua rubrica settimanale di commento politico e Pierre Antoine Cousteau nei suoi numerosi articoli di politica estera non si sottrassero all’uso di violenti attacchi antisemiti19. Infine anche Còline, che non scrisse articoli per il giornale, — il 4 marzo 1938 “Je suis partout” pubblicò alcuni brani di Bagatelles pour un massacre —, inviò cinque lettere aperte, inventando un nuovo stile di intervento politico, spesso messo in risalto in prima pagina, in cui invitava ad aderire fino in fondo all’impegno collaborazionista20.
I temi della propaganda
L’analisi della campagna antisemita svolta dal giornale durante l’occupazione mostra che i numerosi articoli, redatti dall’intera re
dazione, nonostante la varietà delle esemplificazioni presentano un numero di argomentazioni abbastanza limitato, attinto ai miti tradizionali dell’odio antiebraico21. Pur con formulazioni diverse, trovarono nuovo vigore i temi tradizionali della cospirazione ebraica, dell’ebreo errante e straniero, della corruzione fisica e morale del popolo ebraico; ma senza dubbio fu il tema della guerre juive a risultare centrale nella propaganda di “Je suis partout” . Nel procedere alla ricerca di colpevoli cui imputare la disfatta della Francia, nell’ambiente del collaborazionismo non vennero presi in esame i motivi comunemente addotti, come la scarsità di mezzi e di uomini rispetto al nemico tedesco, né le responsabilità degli alti gradi dell’esercito per non avere preparato una guerra non voluta à tout prix22, né infine venne accettata la spiegazione più globale avanzata da Pétain, cioè la crisi morale della Francia. L’intera “colpa” dell’esito della guerra fu attribuita alle istituzioni repubblicane e al governo del Fronte Popolare; dal momento che fin dagli anni trenta “Je suis partout” aveva denunziato la Répu- blique juive, ossia la dominazione degli ebrei sulla politica francese, il giornale giunse a rigettare la responsabilità del conflitto sugli ebrei i quali, a suo dire, avevano fortemente voluto la guerra per vendicarsi delle persecu-
18 La pièce, che rappresentava l’Affare Stavisky sul modello del melodramma, pare fosse mediocre. Cfr. Serge Added, V euphorie théâtrale dans Paris occupé, in Jean-Pierre Rioux (a cura di), La vie culturelle sous Vichy, Bruxelles, Complexe, 1990, p. 318. Si può trovare un feroce ritratto del giornalista nel film Le dernier métro, regia di François Truffaut (1980) sugli ambienti del teatro negli anni dell’occupazione, ben documentato sui fatti dell’epoca.19 Pierre Villette (1883-1966) collaborò a “Je suis partout” dal febbraio 1931 all’agosto 1944. Amministratore della società del giornale, scrisse anche per il giornale di estrema destra “Le cri du peuple”; nell’agosto 1944 si rifugiò in Germania e poi in America Latina. Pierre Antoine Cousteau (1906-1958) dal 1932 fu uno dei principali redattori del giornale; nel 1942 pubblicò il pamphlet antisemita L'Amérique juive; aderì alla Milizia e si rifugiò in Germania e poi in Austria. Condannato a morte, fu poi graziato. Collaborò nel dopoguerra alla stampa di estrema destra.20 Cfr. Pierre Birnbaum, Céline, un autre Drumont in Id., "La France aux Franpais". Histoire des haines nationalistes, Paris, Editions du Seuil, 1993, pp. 199-218.21 Sulla continuità e l’evoluzione dei miti tradizionali dell’antisemitismo si vedano Norman Cohn, Licenza per un genocidio."! protocolli degli Anziani di Sion": storia di un falso, Torino, Einaudi, 1969; Furio Jesi, L ’accusa del sangue. M itologie dell’antisemitismo, postfazione di David Bidussa, Brescia, Morcelliana, 1993; Bernard Lewis, Semiti e antisemiti. Indagine su un conflitto e su un pregiudizio, Bologna, Il Mulino, 1990; Pierre A.Taguieff (a cura di), Les protocoles de sages de Sion. Faux et usage d'un faux, 2 vol., Paris, Berg Internationales, 1992; M.Winock, Nationalisme, antisémitisme et fascisme en France, cit.22 Cfr. l’analisi di Marc Bloch, L ’Etrange Défaite. Témoignage écrit en 1940, Paris, Gallimard, 1990 [la ed. 1946].
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zioni scatenate da Hitler contro i loro correligionari. In tal modo i collaborazionisti parigini, che credevano in una Francia fascista inserita nel Nuovo ordine europeo voluto dai nazisti, spostarono la figura del nemico da quella vera e reale del tedesco aggressore e vincitore a quella dell’ebreo. Il 7 febbraio 1941, con il numero 498 bis23, “Je suis par- tout” riapparve con un nuovo sottotitolo: “il grande settimanale politico e letterario” , che evidenziava un maggiore interesse per la Francia — era scomparso l’aggettivo “mondiale” presente nel sottotitolo originario — e l’intenzione di rivestire un ruolo di primo piano nel mondo culturale e politico della Parigi occupata. Il titolo a tutta pagina era così formulato: “ L’azione di forza dell’Ebreo Mandel” . Il primo titolo del giornale dopo il giugno 1940 non commentava quindi la sconfitta, l’occupazione o la presenza dei tedeschi a Parigi, ma riguardava il potere del ju if Georges Mandel. Colui che nella primavera del 1940 veniva definito, seppure in tono critico, un “ uomo intelligente e complesso” , di cui non si potevano negare le “capacità di lavoro, il senso dell’autorità”24, da quel momento incarnò l’Ebreo per eccellenza, che, infiltrandosi nel mondo della politica francese e giungendo a ricoprirvi un ruolo preminente, si era posto come primo obiettivo quello di vendicarsi dei giornalisti di “Je suis partout” , che avevano sempre denunciato con veemenza e lucidità la decadenza della Francia enjuivée25. Il nemico quindi non era l’occupante tedesco, cui peraltro non fu riservato molto spazio aH’interno delle colonne del giornale, ma, seguendo l’evoluzione degli avvenimenti bellici, gli angloamericani,
i dissidenti francesi e i Résistants, e perfino gli stessi uomini di Vichy, che pur perseguendo obiettivi affini a quelli dei collaborazionisti non erano arrivati a portare a termine la Révolution nationale\ tutti costoro erano manovrati dagli ebrei, che attraverso complotti aspiravano ad impossessarsi del potere. Nell’editoriale, intitolato “Motivi per rivivere e sperare” , Rebatet scriveva:
La sconfitta si abbatte su di noi. Per un sadismo razziale di cui abbiamo innumerevoli esempi nella storia, gli Ebrei, padroni del potere, hanno approfittato dei mali del paese, del terribile sgomento delle menti e delle cose per attuare una delle loro più dure vendette.
Spiegava poi in seguito i motivi della punizione, dovuta all’ iniziativa di Mandel, nei confronti del giornale. “ Unico in tutta la stampa francese, ‘Je suis partout’ aveva osato riprendere a fondo, razzialmente, politicamente, spiritualmente, lo studio della questione ebraica, denunciando nell’Ebreo il peggiore nemico della nazione, il più temibile agente di putrefazione sociale e di catastrofi belliche. [...] ‘Je suis partout’ diceva inoltre, malgrado le infernali menzogne dei giudeo-democratici, che la Germania era un grande popolo rigenerato, che esibiva lo spettacolo di una sorprendente potenza, unito dietro un grande capo”26. Dal momento che “fra gli Ebrei e la nuova Germania vi era una lotta mortale” e che questi avevano coinvolto anche la Francia in una guerra disastrosa, Dorsay invocava vendetta: “Occorre al più presto fare giustizia. Anche epurare e risanare. E necessario che la Juiverie sia distrutta” , chiamando in causa
23 Fu ripresa la numerazione, senza tenere conto dell’ultimo numero del giugno 1940, uscito per volontà di Thierry Maulnier e Pierre Varillon, che l’avevano pubblicato senza alcun cenno all’arresto di Lesca e Laubreaux.24 Manchette censurée, “Je suis partout” [d’ora in poi Jsp], 26 maggio 1940, p. 1.25 Charles Lesca scrisse un libro, Quand Israel se venge..., pubblicato a puntate sul giornale dal 7 febbraio al 14 marzo 1941, sull’arresto suo e di Laubreaux del giugno 1940 con l’imputazione di fare propaganda per la Germania nazista. Il rapporto di polizia relativo all’arresto è riportato in Comment les valets de Mandel fabriquaienl une inculpation, Jsp, 7 febbraio 1941, pp. 4-5.26 Lucien Rebatet, Raisons de vivre et d ’espérer, Jsp, 7 febbraio 1941, pp. 1 e 2.
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gli uomini politici della Terza Repubblica, che furono poi processati a Riom27. Il mito tradizionale delFomicidio rituale ritrovava quindi nuova forza: gli ebrei, avidi di sangue cristiano, erano colpevoli del fatto che i soldati francesi fossero stati costretti a versare sangue in battaglia. “Quando Israele si vendica... si vendica bene” , sosteneva Dor- say nella sua rubrica settimanale. “Vogliamo dire che si vendica con crudeltà e ferocia. Giunge fino alla tortura e all’assassinio”28.
Altro tema tradizionale che si sviluppò e si adattò ai tempi di guerra fu quello dell’ebreo errante che fuggiva dalla Francia, venendo meno alle responsabilità verso il paese e effettuando scelte contrarie a quelle dei buoni patrioti, quale si era invece mostrato Philippe Pétain che aveva rifiutato, facendo dono di sé alla Francia, di lasciare il suolo francese e di trasferire la sede del governo in Africa del Nord, per continuare di li i combattimenti. Gli attacchi della redazione del giornale si rivolsero inizialmente a coloro che dopo la disfatta, nell’estate 1940, avevano lasciato il paese, come i parlamentari che si erano imbarcati alla volta di Casablanca sulla nave Massilia29, tra cui Jean Zay, Pierre Mendès-France o Georges Man- del, considerati dalla campagna di stampa che seguì la loro partenza come traditori, o a coloro che avevano trovato rifugio negli Stati Uniti all’avvicinarsi dei tedeschi nella capitale francese, come il drammaturgo
Henri Bernstein. In quest’ultimo caso, acredini professionali si mescolavano alla nuova formulazione dello stereotipo del disertore: Bernstein era definito infatti “ebreo due volte disertore, questo vigliacco e perfido nemico del nostro paese”30.
Un ulteriore motivo polemico fu quello dell’invasione tentacolare degli ebrei nella società francese. A partire dai primi numeri della nuova serie, tra i collaboratori di “Je suis partout” il dottor Paul Guérin si occupò di una singolare rubrica di medicina, “ Guéris-toi” , che illustrava e interpretava lo stato deplorevole dell’ambiente medico muovendo dalla presenza, o meglio dall’invasione degli ebrei31; ne risultò una serie di articoli contro il “ giudaismo medico, contro il parlamentarismo medico, per la Corporazione medica” 32. Nel quadro delle sue considerazioni, Guérin spiegava pure che l’esclusione degli ebrei, sancita dallo Statuto nell’ottobre 1940, dall’insegnamento, dal cinema, dal giornalismo o dall’esercito avrebbe dovuto essere estesa anche alle professioni liberali; inoltre le deroghe concesse agli ebrei insigniti di onorificenze per meriti di guerra non avevano alcun fondamento. “Pertanto né decorazioni né ferite, né questi meriti incontrastati, potrebbero fare di un negro un bianco, di un cinese un europeo, di un Ebreo un borgognone. [...] Concludiamo semplicemente che occorrerà arrivare al numerus clausus”33. U n’altra professione che secondo i giornalisti
11 Dorsay, Epilogue de la guerre juive. Le sang innocent crie justice, Jsp, 7 febbraio 1941, p. 3.' 8 Dorsay, La république franc-maponne continue, Jsp, 21 febbraio 1941, p. 2.' 9 Cfr. P. Birnbaum, Un mythe politique, cit., pp. 160-162 e Christiane Rimbaud, L'affaire du “Massilia", été 1940, Paris, Editions du Seuil, 1984.30 Partout et ailleurs, Jsp, 14 febbraio 1941, p. 2. Bernstein querelò Laubreaux per diffamazione e vinse la causa contro il giornale. Cfr. Henri Poulain, Bernstein fond sur Je suis partout à coups...de Masse, Jsp, 28 febbraio 1941, p. 3. Cfr. anche, sulla perdita di nazionalità francese del drammaturgo in seguito alla sua emigrazione negli Usa per decisione di Pétain, Un héros, un déserteur, Jsp, 12 maggio 1941, p. 2. Sull’evasione di Pierre Mendès France, cfr. Les juifs errants, Jsp, 30 giugno 1941, p. 1.31 Paul Guérin, A votre santé. Les médicins français sont-ils défendus?, Jsp, 28 febbraio 1941, p. 5.3~ P. Guérin, Profession de foi, Jsp, 28 luglio 1941, p. 5. Guérin cessò la sua collaborazione al giornale dopo l’attentato subito nell’autunno 1943, in cui rimase ferito.33 P. Guérin, Profession de foi, cit.
La “guerre juive” 265
doveva essere depurata dalla presenza ebraica era quella forense. Il giornale riferiva che un’associazione di giovani avvocati, il Jeune barreau, aveva votato una mozione che richiedeva l’esclusione dell’elemento ebraico, diventato sempre più numeroso durante la stagione del Fronte Popolare. Per quanto fosse difficile stabilire con certezza una statistica, poiché molti ebrei si dissimulavano sotto nomi francesi, l’autore asseriva che “ su 2.000 avvocati iscritti, almeno 350 sono Ebrei. Per coloro che fanno pratica, la proporzione è ancora più forte: almeno 175 su 800, di cui un grande numero di donne. In totale più di 500 su 2.800” 34. Contro l’invasione degli ebrei nell’economia francese, i giornalisti di “Je suis partout” ne richiedevano a gran voce l’espulsione attraverso l’applicazione di una legislazione più rigida e severa. Neppure la normativa in vigore, troppo moderata a loro avviso, emanata da Vichy, era seriamente applicata. Gli ebrei furono poi accusati di essere i responsabili del mercato nero; in tal modo fu creato un nemico visibile verso cui dirigere il malcontento della popolazione, cosi da dissimulare la reale opera di spoliazione messa in atto dall’occupante nazista35.
L’intera colpa dell’esito della guerra fu attribuita alle istituzioni repubblicane e al governo del Fronte Popolare. “ La Terza Repubblica, di origine e di carattere essenzial-
mente massonico, è crollata. La sua effigie scomparirà dai nostri francobolli, dalle nostre monete. Il suo busto scomparirà — osiamo crederlo — dagli edifici pubblici. [...] La repubblica radicale e socialista, strumento politico delle Logge inglesi, ha condotto la Francia dove nessun regime l’aveva guidata. Deve pagare. Pagherà. Sparirà dai nostri spiriti e dalle nostre consuetudini”36. In tal modo la direttiva della propaganda nazista tesa a presentare il conflitto bellico come guerra “preventiva” fu portata avanti con ardore e con abbondanti esemplificazioni dalla redazione del giornale. Scriveva Dorsay: “L’astuzia della propaganda massonica ed ebraica — vi sono interessi collegati in tutti i continenti —, è di alimentare confusione sulle origini della guerra. Questa guerra non deve sembrare una guerre juive voluta dagli anglosassoni di Londra e di Parigi per punire Hitler di aver cacciato gli Ebrei e attaccato i regimi demoplutocratici”37. Già all’indomani della sconfitta il governo di Vichy aveva indicato nella debolezza morale della classe politica francese la principale causa del crollo della Francia38; il giornale dalla sua riapparizione chiedeva a gran voce che gli uomini politici della Terza Repubblica fossero condannati alla pena capitale39. Nel febbraio 1942 il governo offrì all’opinione pubblica come capro espiatorio per la sconfitta la classe politica del Fronte Popolare, istruendo un processo a Riom, vicino a Clermont-Ferrand. Si scatenò una violenta
14 Le Palais de Sion, senza firma, Jsp, 11 aprile 1941, p. 2.35 Cfr. P. Birnbaum, Un mythe politique, cit., p. 267. Sul ruolo dei nazisti nel mercato nero si veda M.R. Marrus, R.O. Paxton, Vichy et les juifs, cit., p. 259 e anche Jacques Delarue, Trafics et crimes sous l ’occupation, Paris, Fayard, 1988, pp. 32-35.36 Dorsay, Nous voulons de l ’action non de l ’inaction, Jsp, 4 aprile 1941, p. 2.37 Dorsay, Une nouvelle mystification maçonnique, Jsp, 7 marzo 1941, p. 2.3S Philippe Pétain, Discours aux Français. 17 juin 1940-20 août 1944, a cura di Jean-Claude Barbas, Paris, Michel, 1989, passim.39 Di Jean Zay vennero rivelati alcuni appunti, con lo scopo di voler dimostrare il suo zelo nel fomentare la guerra, De Munich à la guerre (Notes au jour le jour), Jsp, 28 febbraio-18 aprile 1941, ripubblicati in seguito come Carnets secrets de Jean Zay (De Munich à la guerre), a cura di Philippe Henriot, Paris, Les Editions De France, 1942. Cfr. l’accusa di debolezza della corte di Riom in Dorsay, Inquiétude à Paris, carence à Vichy, Jsp, 28 febbraio 1921, p. 2; L. Rebatet, Reynaud, Gamelin, Mandel, Jsp, 23 giugno 1941, p. 4.
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campagna di stampa soprattutto nei confronti dei Juifs d’Etat40, le personalità ebree della Terza Repubblica, che pur di orientamento politico assai diverso avevano in comune l’origine ebraica, come Mandel o Mendès- Fran- ce, o presunte tali, come Jean Zay, ministro della Pubblica istruzione. Tuttavia fu Léon Blum ad essere additato come massimo responsabile: “La corte suprema può perfettamente pronunciare una condanna alla pena capitale contro gli accusati Blum, Daladier, Gamelin, Guy la Chambre e Pierre Cot imputati di aver tradito i doveri del loro ufficio e anche contro Mandel, colpevole di attacco allo Stato”41 42. Dorsay nel suo articolo del febbraio 1942, commentando lo svolgimento del processo di Riom, esordiva: “ M. Léon Blum ha mantenuto, nel processo di Riom, la sua posizione di ebreo. Non poteva sottrarsi a questa fatalità. E apparso, come sempre,
,,42stranieroGià dal primo numero il tema della razza
ebraica “inassimilabile” al popolo francese fu arricchito di nuova forza, a causa della legislazione ufficiale di impronta razzista; Dorsay sosteneva che “un Ebreo non può migliorare perché non può cessare di essere un Ebreo”43; nel maggio 1941 Rebatet illustrava una serie di misure di “salute pubblica” :
Esprimo la nostra opinione dicendo che siamo razzisti. [...] L’esperienza ci insegna che esiste una sorta di uomini, chiamati Ebrei, che si rivelano inassimilabili alle nostre antiche stirpi di uomi
ni occidentali, e che in quasi tutte le unioni l’eredità ebraica ha prevalso in modo pericoloso.
Egli affermava poi che gli ebrei residenti in Francia da molte generazioni erano originari anch’essi del ghetto; contro tutti gli ebrei, quindi, era necessario stabilire misure che prevenissero qualsiasi contaminazione, praticando una politica razzista. “ Contro questi uomini segnati da una sozzura secolare, che non può essere cancellata né dalle conversioni né dalle diluizioni, dobbiamo difendere la nostra razza di Occidentali — Dobbiamo promulgare contro gli Ebrei le leggi in difesa del sangue” , impedendo i matrimoni fra ebrei e cristiani44. Anche secondo l’opinione “ scientifica” di Guérin era necessario difendere il popolo francese dai globuli inassimilabili: “ Il globulo ebraico non si mescola, sopravvive e trionfa in tutti gli incroci”45. Se numerose erano le descrizioni di ebrei secondo gli stereotipi fisici dell’antisemitismo popolare, tale tema trovava uno spazio ancora maggiore nell’iconografia. Infine, la corruzione fisica, la sozzura insita nell’animo ebraico erano attribuite anche ai bambini, come il giornalista sottolineava nella descrizione di piccoli scouts: “ Si vedono sfilare tristi greggi sotto l’uniforme insozzata del candeliere a sette braccia. Con le ginocchia sporche, le gambe storte, la schiena curva sotto un sacco che sembra essere la bisaccia dell’eterno viaggiatore, vanno per i nostri sen-
40 La definizione è di P. Birnbaum, Les fous de la République: histoire politique des Juifs d ’Etat. De Gambetta à Vichy, Paris, Fayard, 1992.41 In realtà Blum approfittò della propria difesa per svolgere le sue riflessioni sulle responsabilità della guerra, sostenendo le istituzioni repubblicane e accusando gli avversari del Fronte Popolare di aver voluto affondare la Francia. Il processo divenne scomodo e lo stesso Hitler dette disposizioni per la sua sospensione. Si veda R. Brasillach, “Mon procès est celui de la République" a dit justement Léon Blum, Jsp, 14 febbraio 1942, p. 1. Cfr. Giorgio Caredda, Il Fronte Popolare in Francia 1934-1938, Torino, Einaudi, 1977, pp. 291-294 e Henri Michel, Le procès de Riom, Paris, Albin, 1979.42 Dorsay, Blum, procureur de la III République contre la France, Jsp, 28 febbraio 1942, p. 2. Cfr. Id., Qui en France depuis 1933 voulait et cherchait la guerre?, Jsp, 7 marzo 1942, p. 2.43 Dorsay, Epilogue de la guerre juive. Le sang innocent crie justice, Jsp, 7 febbraio 1941, p. 3.44 L. Rebatet, L'intelligence française doit prendre position sur le problème de la race, Jsp, 19 maggio 1941, p. 8.45 P. Guérin, A votre santé. Au pied du mur, Jsp, 30 giugno 1941, p. 6.
La “guerre juive” 267
tieri; suoni rochi escono dalle loro gole deformate”46.
Gli ebrei dietro l’anti-Francia
Con il susseguirsi degli avvenimenti bellici, si moltiplicarono le accuse nei confronti dei nemici della Francia; gli articoli politici furono l’esemplificazione infinita del tema della cospirazione mondiale ebraica; quanto all’attacco contro gli ariani, mutavano gli “esecutori” , rappresentati da coloro che in un dato periodo avevano riscosso maggiore successo militare, ma dietro ognuno di essi, fosse Stalin o Roosevelt o De Gaulle, si celavano sempre gli ebrei. La riflessione politica si svuotava di contenuti, per appiattirsi in un lungo e costante attacco contro gli avversari del Reich. “Dietro Churchill a Londra, anche dietro Roosevelt, vi sono innanzitutto gli Ebrei. Ne abbiamo innumerevoli prove: dal 3 settembre 1939, questa assurda guerra è ebraica”47 48. Gli ebrei ordivano un complotto, attraverso alleanze strategiche con il bolscevismo sanguinario, con le potenze democratiche degli angloamericani e con i principali traditori, i francesi agli ordini di De Gaulle, che si erano messi al servizio degli stranieri e miravano a distruggere il Nuovo ordine europeo, foriero di pace e di progresso, con l’intenzione in realtà di sottomettere la Francia e l’Europa alla schiavitù di un dominio ebraico. Nel corso dell’inverno del 1941 furono numerosi gli articoli soprattutto contro la Gran Bretagna, con l’obiettivo di sottolineare il suo isolamento; in seguito, oltre ad essere sede
della finanza ebraica mondiale, essa aveva anche accolto i traditori francesi, De Gaulle
• • • '48e i suoi sostenitori .Inizialmente il regime di Vichy era appro
vato da “Je suis partout” in quanto esecutore della politica che il giornale aveva propagandato negli anni trenta; la figura di Pétain era onorata e raccoglieva spesso manifestazioni di stima. Brasillach notava che il regime aveva fin dall’inizio adottato le misure politiche proposte per risolvere il malessere della nazione: “statuto degli Ebrei, soppressione del parlamentarismo e della massoneria, statuto della gioventù, collaborazione fra le classi, adattamento alla Francia di ciò che può essere utile nelle esperienze straniere che noi abbiamo descritto con precisione, che siano tedesche, spagnole o italiane”49. Tuttavia, già dopo appena pochi mesi dalla creazione àzWEtat Français, la redazione di “Je suis partout” muoveva rimproveri al governo di Vichy perché non aveva avuto il coraggio di attuare fino in fondo la “rivoluzione nazionale” . Dapprima la colpa era imputata al mancato ricambio del personale che rimaneva quello del Fronte Popolare, contaminato ancora dalla Juiverie50, ma ben presto per i collaborazionisti apparve chiaro che il governo di Vichy non voleva adottare misure radicali per l’applicazione rigorosa della legislazione ebraica. Le allusioni a una complicità con gli ebrei apparvero sin dall’inizio del nuovo corso di “Je suis partout” , nei primi mesi del 1941, anche se celati dietro le brevi notizie degli échos. Era riportata la notizia che l’ebreo rumeno Moi- se Goldyn, ex direttore del teatro di varietà Abc, non aveva preso il treno per Lisbona,
46 Claude Maubourguet, Jeunesse d ’Israël, Jsp, 24 gennaio 1942, p. 8.47 Partout et ailleurs, Jsp, 18 aprile 1941, p. 2.48 François Dauture, L ’Angleterre chassée des Balkans, Jsp, 7 marzo 1941, p. 4. Cfr. Dorsay, L ’Angleterre laisse tomber le masque, Jsp, 14 marzo 1941, p. 2; Dorsay, Du ridicule à la sottise, Jsp, 11 aprile 1941, p. 2. Si veda Max Pevsner, Les thèmes de propagande avant le 22 juin 1941, “Revue d’histoire de la deuxième guerre mondiale” , 64 (ottobre 1966), pp. 29-38.49 R. Brasillach, Le cri ardent d ’un prisonnier, Jsp, 21 marzo 1941, p. 1.70 Dorsay, La Révolution Nationale n ’est encore qu’ une chimère, Jsp, 18 aprile 1941, p. 2.
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ma si era stabilito, grazie alle sue vecchie amicizie politiche, a Vichy51.
Se nel primo periodo fu la Gran Bretagna ad attirare l’avversione del giornale, a partire dall’attacco all’Unione Sovietica, il 22 giugno 1941, furono svelate le collusioni tra le potenze nemiche, che avrebbero portato alla vittoria del bolscevismo in Europa e con esso alla fine della libertà e della civiltà. “La guerra in Russia ha fatto luce sulla collusione, che risale molto indietro nel tempo e che non ha mai avuto fine, fra Israele e i comunisti” 52. Anche le cellule dei comunisti della zona libera erano senz’altro sostenute dal denaro di ebrei e lavoravano in accordo con i gollisti. Già allo scoppio della guerra, “Je suis partout” scatenò una campagna anticomunista, considerando lo scioglimento del partito comunista francese, avvenuto nel settembre 1939, una “misura salutare” , che doveva aprire il cammino all’estirpazione del comuniSmo53. L’attacco all’Unione Sovietica da parte del Reich venne presentato come una mossa preventiva per evitare la conquista bolscevica dell’Europa, che avrebbe causato “un flutto selvaggio che si riversa fino a Lisbona — e forse raggiunge perfino Londra” 54. Il bolscevismo era presentato come il mostro barbaro e distruttore, contro cui venne invocata una vera e propria “crociata” in difesa della civiltà; questo appello serviva in realtà a propagandare l’azione della Légion des volontaires français e a legittimare la partecipazione militare della Lrancia alla
guerra contro l’Unione Sovietica55. La collusione paradossale tra il Capitale, rappresentato dalle potenze angloamericane, e il comunismo era in realtà possibile per la presenza del- l’“Ebreo” , che muoveva le fila del complotto internazionale contro il Nuovo ordine europeo. Il bolscevismo juif, che si serviva quindi delle potenze angloamericane per instaurare il proprio dominio, divenne il nemico principale fino al termine della guerra. Cousteau definiva il bolscevismo, riprendendo le parole del “geniale” Céline, “la più esorbitante impresa di frottole immonde mai preparata dagli youtres [termine dispregiativo per ebrei] nel corso dei secoli” . La rivoluzione russa aveva difatti organizzato il più gigantesco pogrom di ariani di tutti i tempi, tanto che era sufficiente essere coscienti del pericolo ebraico per divenire automaticamente antimarxisti. “Ma i Lrancesi corrotti da centocinquan- t ’anni di principi immortali e definitivamente abbrutiti dal trionfo dei dreyfusardi non sapevano più distinguere un Ebreo da un ariano”56, ed erano quindi stati una facile preda della propaganda comunista.
Nell’estate 1941 Rebatet compì un viaggio nelle principali città della zona non occupata, pubblicando un resoconto che lasciava intendere connivenze pesanti del governo di Vichy con l’“ Ebreo” . Marsiglia veniva descritta come la “cittadella del gollismo” , dove i traditori erano in libertà57. Anche la massoneria, in quanto segreta e cosmopolita, fu aspramente criticata e considerata “ lo stru-
51 Partout et ailleurs, Jsp, 14 marzo 1941, p. 2. Cfr. La révolution des dupes, senza firma, Jsp, 28 marzo 1941, p.l; L. Rebatet, La fin d ’un monde. Ce que j ’ai vu à Vichy, Jsp, 4 aprile 1941, p.l; Dorsay, Nous voulons de l ’action et non de la reaction, Jsp, cit., p. 2.52 L. Rebatet, Marseille la Juive, Jsp, 30 agosto 1941, p. 4.53 Cfr. Dorsay, La dissolution du parti communiste: cette mesure salutaire doit en précéder d ’autres. Où il faut porter le fer rouge, Jsp, 6 ottobre 1939, p. 2. Cfr. Jean M., Combattre le communisme et collaborer- devoir social, Jsp, 3 novembre 1939, p. 2.54 En Russie desovietiséé, senza firma, Jsp, 4 ottobre 1941, p. 10.55 Dorsay, Et voici que l ’horizon s ’éclaircit, Jsp, 14 luglio 1941, p. 2. Cfr. Pierre Mermet, Yves Danan, Les thèmes de propagande après le 22 juin 1941, “Revue d’histoire de la deuxième guerre mondiale”, 64 (1966), p. 48.56 P.A. Cousteau, Voilà ce que nous promettent Staline, Churchill et Roosevelt, Jsp, 7 marzo 1942, p. 1.57 L. Rebatet, Marseille la Juive, Jsp, 30 agosto 1941, p. 4.
La “guerre juive” 269
mento delle attività politiche della nazione ebraica” 58. Difatti gli ebrei non avrebbero cessato di ispirare alla massoneria la politica cosmopolita che si era manifestata con la fondazione deH’“ Humanité” , organo del partito comunista, da parte di banchieri ebrei, politica principalmente espressa dal- l’Alliance Israélite Universelle. Gli interessi e gli obiettivi della massoneria e della Juive- rie, espressione che indicava tanto l’insieme degli ebrei quanto la loro azione politica, venivano quindi a coincidere: “Ora, se è inesatto sostenere che la massoneria sia un affare specificamente ebraico, non vi è dubbio che gli interessi della Juiverie e della massoneria abbiano sempre coinciso [...] e che un massone sia a priori lo strumento deH’imperialismo ebraico”59.
L’antiamericanismo comparve nella propaganda ufficiale del regime di Vichy solo a partire dall’entrata in guerra degli Stati Uniti60; già in precedenza i collaborazionisti erano invece fortemente ostili all’America, considerata rifugio degli ebrei già vinti. Se Bra- sillach sottolineava che certamente “gli Ebrei d’America desideravano abbattere il nazionalsocialismo”61, Cousteau definiva gli Stati Uniti “ un impero interamente asservito al potere ebraico”62. Il presidente statunitense Roosevelt rappresentava poi il simbolo più evidente deWenjuivement. Cousteau esprimeva a grandi lettere il dubbio se Roosevelt fos
se in realtà un ebreo, ma sottolineava poi che “quello che è più grave è che M. Roosevelt pensa e agisce come se fosse ebreo al cento per cento” . Difatti, continuava il giornalista, gli ebrei non avevano interesse a governare personalmente le nazioni conquistate e assoggettate, poiché avrebbero finito per provocare reazioni contro lo stesso popolo di Israele: “ l’ideale è governare per interposta persona, avere in mano un uomo di paglia di docilità già sperimentata. M. Roosevelt è il loro uomo”63. A partire dall’occupazione della zona sud nel novembre 1942, “Je suis partout” iniziò a pubblicare una serie di articoli per mostrare ai lettori che dietro il generale De Gaulle, il cui consenso era in aumento, si celavano le manovre degli ebrei. “ Il miserabile, tradendo la patria nella sua disgrazia, insulta la Francia nella persona del Ma- réchal Pétain. Dopo tre anni, pretende di parlare a nome di un’altra Francia, ossia la ‘Francia libera’, mentre è agli ordini e al soldo degli Ebrei della City!” 64. Divennero numerosi gli articoli che illustravano la presenza massiccia degli ebrei nelle regioni dell’Africa del Nord, occupate dagli alleati. Una corrispondenza informava i lettori che a Tunisi “ l’Ebreo è padrone, possiede tutto, comanda tutto, impone brutalmente la sua legge, la sua volontà, il suo trionfo”65. Gli attentati contro le forze tedesche di occupazione che si intensificarono nel 1943 furono impu-
58 J.A., La déclaration des Droits de l'Homme, messie des juifs, Jsp, 7 agosto 1942, p. 6.59 P.A. Cousteau, Roosevelt ou Rosenfeld? Choses vues, Jsp, 29 novembre 1941, p. 12.60 Cfr. Dominique Rossignol, Histoire de la propagande en France de 1940 à 1944. L ’utopie Pétain, Paris, Puf, 1991, pp. 299-301. Sull’antiamericanismo si veda M.Winock, L'antiaméricanisme franpais, in Id., Nationalisme, antisémitisme et fascisme en France, cit., pp. 50-76.61 R. Brasillach, L'amitié du Tartuffe américain est une amitié sans remède, Jsp, 25 aprile 1941, p. 1. Cfr. A. Bonnard, Nous changeons d'époque, Jsp, 21 febbraio 1941, p. 1.62 P.A. Cousteau, L ‘Amérique Juive, Jsp, 15 novembre 1941, p. 1; Id., Promenade dans le ghetto de New York, Jsp, 22 novembre 1941, p. 9; Id., Sur le sentier de la guerre, Jsp, 6 dicembre 1941, p. 8; Id., Henry Ford réduit au silence, Jsp, 21 marzo 1942, p. 4.63 P.A. Cousteau, Roosevelt ou Rosenfeld? Choses vues, Jsp, 29 novembre 1941, p. 12.64 Dorsay, De Gaulle et Giraud aux ordres de la Juiverie et de Staline, Jsp, 2 luglio 1943, p. 2.65 Several, Les Juifs en Tunisie, Jsp, 11 dicembre 1942, p. 1. Cfr. Dorsay, Et nous voyons, en Afrique, les Juifs reprendre "leur" guerre, Jsp, 22 gennaio 1943, p. 2; in Je reviens d ’Alger, senza firma, Jsp, 29 gennaio 1943, p. 1 si faceva allusione a esecuzioni segrete di fascisti; Luc Simon, Sous la bannière étoilée. Le cauchemar d'Alger, Jsp, 24 dicembre 1943, p. 1.
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tati anch’essi al terrorismo juif, il cui scopo era quello di scatenare una guerra civile in Francia per restaurare la repubblica. “E sarebbe per ritornare al suo vomito, ossia a una nuova repubblica democratica, massona ed ebraica — si chiedeva Dorsay — che la Francia di domani si risolleverà? Sarebbe per questo regime di putrefazione e di morte che De Gaulle e Giraud arruolano giovani francesi?” 66. Dopo l’armistizio dell’Italia dell’8 settembre 1943, cominciarono le critiche anche verso il governo italiano, accusato di avere tradito l’Europa nazifascista. L’antisemitismo, come sempre, aveva la funzione di “ reagente” per saggiare la lealtà verso il Reich. “Se avessimo avuto la minima esitazione sul nostro dovere di nazionalisti francesi, ci sarebbe stato sufficiente sapere che gli Ebrei erano nel clan gollista per sapere che là era l’anti-Francia. Ora, i generali italiani erano filosemiti. Era un cattivo segno”67.
Le vicende belliche delFinvemo 1944 tolsero la speranza della vittoria del nazifascismo; dopo l’abbandono di Brasillach, il “nocciolo duro” del giornale si lanciò in disperati attacchi contro gli oppositori del Reich. Nell’editoriale del febbraio 1944 Cousteau scriveva: “Il maquis ha obiettivi estremamente precisi: combatte per resuscitare tutto ciò che provoca la crisi della Francia. Ciò che desidera — senza dirlo espressamente — è che la Francia riprenda, nel punto preciso in cui l’armistizio l’ha interrotto, il suo lento processo di putrefazione. La vittoria dei nostri nemici [...] sarebbe la vittoria dei germi della morte, la vittoria del cancro, la vittoria della cause prime della nostra decadenza. Essa consacrerebbe con il trionfo della repubblica, della demo
crazia e degli Ebrei, l’annientamento differito ma matematicamente sicuro della Francia” 68. Adesso la redazione poteva palesemente fare appello agli ideali del nazifascismo; sempre Cousteau, nell’editoriale di uno degli ultimi numeri si dichiarava in attesa di coloro che definiva ironicamente “liberatori” ; ancora una volta l’ebreo veniva definito “collante della mostruosa coalizione che si riversa contro l’Europa, è l’Ebreo che ha fomentato questa guerra” . Paradossalmente la Germania nazista stava combattendo anche in difesa della Francia.
Oggi, fra il baratro e noi (“noi” i Francesi, tutti i Francesi, non solamente “noi” i collaborazionisti), non c’è più che la presenza della Wehrmacht. Per quanto possa sembrare sconcertante, è un esercito straniero, un esercito nemico che ci ha portato nel giugno del ’40 non la liberazione, ma gli elementi, le possibilità di una liberazione reale, poiché ci dava l’occasione di rompere, d’un tratto, con centocinquanta anni di ideologia democratica e di estirpare dalla nazione il cancro ebraico69.
Evidentemente i giornalisti non sentivano più come propria una Francia libera dall’oppressore nazista per volontà delle potenze alleate e di quella parte di popolazione che credeva ancora validi i principi democratici. La redazione di “Je suis partout” si rifugiò in Germania per inseguire l’ultimo vano sogno a Sigmaringen70.
L’antisemitismo nelle rubriche culturali
Il giornale concedette largo spazio al ruolo nefasto che gli ebrei avrebbero svolto nel
66 Dorsay, La haine et la menace d ’Israël sur Paris et sur la France, Jsp, 10 settembre 1943, p. 2.67 Partout et ailleurs, Jsp, 17 settembre 1943, p. 2.
P.A. Cousteau, De l'abîme à l ’esperance, Jsp, 25 febbraio 1944, p. 1; Cfr. Dorsay, Et voici, Messieurs, la guerre juive avec toutes horreurs sanglantes. C'était prévu!, Jsp, 28 aprile 1944, p. 2.69 P.A. Cousteau, Heureusement la France n'est pas seule! Jsp, 9 giugno 1944, p. 1.70 Céline, Rebatet, Villette, Cousteau, Claude Jeantet si rifugiarono in Germania, prima a Baden Baden poi a Sigma- ringen, sede del governo fantoccio negli anni 1944-1945. Cfr. Henry Rousso, Pétain et la fin de la collaboration, Sigma- ringen 1944-1945, Bruxelles, Complexe, 1984.
La “guerre juive” 271
mondo della cultura, volendo così colpire 1’ insieme di valori di cui erano ritenuti portatori. Nessun settore culturale fu considerato esente, ancora una volta, dall’invasione ebraica e, insieme alla denunzia, fu anche avanzata la proposta di procedere ad un’epurazione totale.
È necessario arianizzare le nostre arti. È il compito principale, quello che deve precedere tutti gli altri, a causa degli Ebrei, il cui pullulare, simile a quello di insetti parassiti, ha messo in pericolo la bella pianta: Ebrei pittori o scultori propagano gli esempi più perniciosi, mercanti ebraici dalle speculazioni vergognose, critici che chiosano con inesauribile entusiasmo i costumi e le opere di questo vasto ghetto. Occorre impedire loro ogni manifestazione71.
I giornalisti delle rubriche culturali denunziarono anche l’invasione nel cinema, nella radio72 e nel teatro73. Nella sfera delle arti figurative, secondo Ralph Soupault la questione si poneva sotto due punti di vista: dal punto di vista puramente artistico, l’arte “degenerata” era “assolutamente indifendibile” ; sotto un altro profilo, il commercio delle opere d’arte era monopolizzato dagli ebrei, nonostante la legislazione antisemita74. Nel febbraio 1941 Drieu La Rochelle spiegava che “gli ebrei non hanno dato grandi contributi alla Francia quanto alle lettere e all’arte” ; nello stesso periodo era iniziata l’“infiltrazio- ne” degli ebrei nella letteratura; e “quanto
agli artisti, non parliamone. L’idea di un vero pittore ebreo è impossibile”75. Nella rubrica di critica cinematografica dello stesso numero Rebatet, sotto lo pseudonimo di François Vinneuil, recensiva ampiamente il film di propaganda antisemita Jud Süss di Veit Harlan, sostenendo che avesse un solo difetto: “quello di essere persino troppo sobrio” .
Süss non è solo un avventuriero malvagio, ma il simbolo vivente di Israele. E l’Ebreo avido, il corruttore astuto, che, una volta introdotto a casa di un cristiano, apre dietro di sé le porte a tutta le tribù. E il pirata che saccheggia le finanze altrui. E lo spietato tiranno che si mantiene al potere facendo regnare il terrore. E l’azzeccagarbugli scaltro, abile come nessuno in arguzie giuridiche. E l’Orientale libidinoso, il prosseneta nato, il corruttore che ha fatto strada favorendo intorno a sé tutti i vizi; è l’agitatore rivoluzionario, insomma il bellicista. E non smette di impegnarsi sotto tutti gli aspetti per la vittoria abominevole della sua razza76.
Nel marzo 1941 venne recensita la nuova opera di Céline, Les beaux draps, seguita da un’intervista allo scrittore che invitava a non farsi illusioni, per quanto gli ebrei in quel momento potessero apparire meno arroganti, e si lanciava in una serie di eccessi verbali contro di essi77. Launey, parlando di Heinrich Heine, lo definiva “né tedesco, né francese, era un Ebreo integrale”78. Nel marzo 1942 Laubreaux pubblicò un’autocelebrazione, segnalando una pièce antisemita scritta sotto
71 L. Rebatet, Beaux arts. Entre le ju if et le pompier, Jsp, 14 febbraio 1941, p. 7. Sull’epurazione del mondo della cultura si veda Rita Thalmann, La mise au pas. Idéologie et strategie sécurative dans la France occupée, Paris, Fayard, 1991, pp. 138-153.72 Derrière le décor. Les juifs et la radio, Jsp, 4 aprile 1941, p. 7.71 H. Poulain, En parlant de leurs livres. Lucien Rebatet dénonce la corruption juive, Jsp, 25 aprile 1941, p. 6. Cfr. P. Marsh, The theatre: compromise or collaboration?, in G.Hirschfeld, P.Marsh (a cura di), Collaboration in France, cit., pp. 146-150.74 Ralph Soupault, Un scandai permanent. L'offensive de la peinture juive, Jsp, 7 febbraio 1942, p. 6.75 P. Drieu La Rochelle, De Ludovic Halévy à André Maurois ou l'impuissance du Juif en littérature, Jsp, 21 febbraio 1941, p. 6.76 François Vinneuil, Sur l ’écran. Le roi d ’Israël, Jsp, 21 febbraio 1941, p. 7. Si veda anche il suo articolo sul cinema nazista Coup d ’oeil sur le cinéma allemand, Jsp, 4 aprile 1941, p. 7.77 H. Poulain, En parlant de leurs livres. Voyage au bout de la banlieue, f ie f de Louis Ferdinand Céline, Jsp, 7 marzo 1941, p. 6.78 R. Launey, L ’imposture de Heinrich Heine, Jsp, 4 aprile 1941, p. 6.
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uno pseudonimo, Michel Daxiat, Les pirates de Paris, sull’affare Stavisky. “La gigantesca truffa dell’ebreo Stavisky è un capitolo determinante della corruzione ebraica, a causa della quale la nostra sfortunata patria ha rischiato di morire e rimane ferita e palpitante. L’esporla sulla scena francese, in un campo privilegiato degli Ebrei, dove più che altrove probabilmente esercitavano il loro abominevole potere, ha segnato una rottura con questi tempi maledetti”79. L’offensiva contro gli ebrei era accompagnata anche dalla proposta di nuovi modelli a cui fare riferimento, sulla base di una rilettura complessiva della storia in chiave antiebraica che riproponeva come padri fondatori Toussenel e Drum ont80; Cousteau poi invitava a rileggere Céline, “a immergersi in quel torrente di violenze magnifiche”81, mentre contemporaneamente si combattevano gli intellettuali considerati en- juivés, come Mauriac, Gide82, che formavano l’“Accademia della dissidenza” : “Proust, Valéry, Claudel, Giraudoux, Cocteau si sono assegnai nella letteratura contemporanea un posto di una tale importanza che non si può non vedervi un segno dei tempi. Lo stesso segno dei tempi del nostro bizantinismo, dunque della nostra decadenza”83.
Nelle rubriche letterarie si incontravano molti stereotipi di donne ebree attive nel
campo delle arti o raffigurate in esse84. La donna ebrea era portatrice di una sessualità conturbante e malsana; il carattere esotico della donna ebrea, a cui venivano spesso contrapposte le figure mitizzate di Giovanna d’Arco o di M arianna, allegorie femminili pure ed innocenti, se in precedenza era visto come motivo di fascino, ora rappresentava il segno del suo essere straniera. Vi erano sovente accostamenti tra le donne ebree e le maghe o le fattucchiere, di cui si descriveva il potere malefico. Venne descritta come modello di ebrea, anzi di Juif al maschile, l’attrice Rachel, celebre nella scena parigina nei primi decenni dell’Ottocento. Rachel veniva descritta come una donna avida, senza scrupoli, vanitosa e frivola, “caratteristiche razziali” della donna ebrea, che si ritrovano in ogni spirito, “ formato in questo atavismo selvaggio” 85. Secondo Cousteau la celebre opera di Racine, Esther, avrebbe potuto illustrare, “opportunamente commentata, nei licei e nei collegi, il pericolo ebraico” e rappresentare la vera natura della donna ebrea, corrotta e prostituta per il bene del suo popolo, colpevole di tradimenti e incesti. “Chi è Esther? Una ragazzaccia ebrea che va a letto con un monarca per assicurare la salvezza dei suoi fratelli di razza e far concedere ad Israele tutti i posti di potere” . Anche la don-
79 A. Laubreaux, Le ju if Stavisky, Jsp, 14 marzo 1942, p. 7.80 Cfr. Fleuriot de Langle, Un précurseur: Toussenel, Jsp, 18 agosto 1941, p. 8; C. Maubourguet, Les traditions antisémites de la France, Jsp, 30 ottobre 1942, p. 6; L. Rebatet, Drumont parmi nous, Jsp, 28 aprile 1944, p. 1. Sull’uso antiebraico del mito di Giovanna d’Arco si veda M.Winock, Jeanne d’Arc et les Juifs, in Id., Nationalisme, antisémitisme et fascisme en France, cit., pp. 145-156.81 P. A. Cousteau, Mais rélisez donc Céline, Jsp, 4 aprile 1942, p. 6.82 P. Drieu La Rochelle, in Gide à bâtons rompus, Jsp, 19 maggio 1941, p. 8, non mancò di citare un brano del diario di Gide in cui, pur non negando il valore degli autori ebrei, riconosceva che tale letteratura non era tuttavia da considerarsi francese a tutti gli effetti.83 P. A.Cousteau, Pour une acceptation totalitaire de Céline, Jsp, 16 giugno 1944, p. 4. Sulla decadenza come mito culturale e filosofico del secolo scorso si veda l’introduzione di Victor Nguyen, Aux origines de l'Action Française. Intelligence et politique à l'aube du XXème siècle, Paris, Fayard, 1991, pp. 33-107. Sul mito dell’eterna decadenza si veda anche l’interessante articolo di M.Winock, L ’éternelle décadence, pubblicato in Id., Nationalisme, antisémitisme et fascisme en France, cit., pp. 103-111.84 Sulla presenza di stereotipi antisemiti in letteratura si può vedere Charlotte Wardi, Le ju if dans le roman français, 1933-1948, Paris, Nizet, 1973.85 Paul Vinson, Le ju if Rachel, Jsp, 14 agosto 1942, p. 7.
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na ebrea risultava colpevole di non volersi adattare al modo di vita dominante, di non provare gratitudine per essere stata accolta da una società civile; essa rimaneva dunque straniera e pericolosa86 87. A partire dalla svolta dell’estate 1942, che segnò il passaggio dalla persecuzione dei diritti a quella delle vite, gli articoli sugli ebrei nelle rubriche culturali diminuirono fino a scomparire. Ancora nel dicembre 1942 per volontà di Darquier de Pellepoix e con l’accordo del nuovo ministro Abel Bonnard, venne inaugurata presso l’università della Sorbona la cattedra di Storia del giudaismo. Il giornalista di “Je suis par- tout” auspicava che questo corso diventasse materia obbligatoria di esame per il corso di laurea in sociologia o storia moderna e
87contemporanea .
L’iconografìa nella propaganda antisemita
Nel 1940 il disegno di stampa era considerato a tutti gli effetti come un mestiere interno alla professione giornalistica. Di conseguenza vi fu chi, tra i disegnatori, scelse di seguire il governo a Vichy e di collaborare ai giornali della zona non occupata, e chi invece decise, compiendo una scelta politica, di rimanere a Parigi. Caricature e disegni con contenuto politico non abbondarono nei giornali della zona a sud della linea di de
marcazione, la cosiddetta zona libera, anche perché, a causa delle difficoltà finanziarie e della penuria di carta, furono sacrificati gli elementi iconografici. Tuttavia, l’abbondanza di disegni umoristici lascia presumere che vi fosse stata anche la scelta ideologica di eliminare il disegno politico, che per sua natura era critico ed attaccava gli avversari, e perciò si adattava male alla politica di conciliazione nazionale del regime di Vichy, il quale preferiva una propaganda per “distrazione” che si avvaleva delle immagini soprattutto nei manifesti e nelle raccolte ispirate alla tradizione popolare88. Al contrario il disegno, presente in larghissima parte nelle pubblicazioni della zona nord, divenne un elemento fondamentale del linguaggio collaborazionista. Dato il ruolo preminente dell’immagine nella propaganda nazista, le autorità tedesche sottoposero a regime di censura i disegni politici pubblicati nei giornali francesi, dal momento che in tutti gli ambienti, sia di sinistra che di destra, non erano mancati, durante la dróle de guerre, attacchi contro il nemico aggressore; furono immediatamente requisiti i documenti iconografici che potevano risultare in qualche modo offensivi per il Reich89.
Mosso più dalla passione politica che dall’avidità di denaro, si distinse tra i collaborazionisti Ralph Soupault, sia per il notevole talento, sia per la vasta produzione; fu il dise-
86 P. A. Cousteau, Un livre à ne pas mettre entre les mains des enfants. L'"Esther" de Racine, Jsp, 18 settembre 1942, p. 6. Cfr. Paul Vilson, Pierre Louys et les juifs, Jsp, 19 marzo 1943, p. 6.87 Henri Landon, Drumont à la Sorbonne, Jsp, 18 dicembre 1942, p. 1. Il corso fu un sostanziale fallimento per la mancanza di frequentatori. Cfr. Claude Singer, L'échec du cours antisémite d ’Henri Labroue à la Sorbonne, “Vingtième Siècle”, 39 (luglio-settembre 1993), pp. 3-9.88 Sulla propaganda del regime di Vichy si possono vedere: Philippe Amaury, De l ’information et de la propagande d'E- tat, les deux premières expériences d'un Ministère de l ’Information en France, Paris, Librairie générale de Droit et de Jurisprudence, 1969; Gérard Miller, Les pousse-au-jouir du Maréchal Pétain, Paris, Editions du Seuil, 1975; Christian Faure, Le projet culturel de Vichy. Folklore et Révolution Nationale 1940-1944, Lyon, Pul\Cnrs, 1989; Laurent Gervereau, Denis Peschanski (a cura di), La propagande sous Vichy, Paris, Bdic, 1990; D. Rossignol, Histoire de la propagande en France, cit.89 Cfr. Christian Delporte, Le dessin de presse, in L.Gervereau, D.Peschanski (a cura di), La propagande sous Vichy, cit., pp. 172-179; Id., Les crayons de la propagande. Dessinateurs et dessin politique sous l ’occupation, Paris, Ed. du Cnrs, 1993; Id., Journalisme, propagande et collaboration 1940-1944: le cas des dessinateurs de presse, “Guerres mondiales et conflits contemporains”, 169 (gennaio 1993), pp. 117-135.
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gnatore più pagato, tanto che raggiunse uno stipendio pari a quello di un giornalista con funzione di inviato speciale. Collaborò nel periodo dell’occupazione, oltre che a “Je suis partout” , anche a “ La Gerbe” , “Jeunesse” , “Le Petit Parisien” , “ L’Appel” . Iniziò una collaborazione privilegiata con “Je suis partout” dal momento della sua riapparizione, nel febbraio 1941, pubblicando per centoses- santasette numeri una vignetta a più colonne in prima pagina, su temi d’attualità.
L’iconografia antisemita ebbe un’importanza rilevante aH’interno di “Je suis partout” . La caricatura dell’ebreo fu messa in prima pagina durante i quattro anni dell’occupazione; attraverso l’immagine stereotipata dell’ebreo si voleva trasmettere al lettore l’idea di un essere abietto fisicamente, causa di tutte le miserie della Francia. Se la redazione di “Je suis partout” aveva sempre sostenuto con insistenza l’originalità dell’antisemitismo propagandato dal giornale, sottolineando con forza i legami con la tradizione antisemita francese, un confronto con il più diffuso giornale antisemita nazista “ Der Stürmer” permette di evincere l’influenza esercitata, malgrado le differenze, dall’antisemitismo te
desco nel campo iconografico 90. Nell’ambito dei messaggi antisemiti attraverso le immagini emergono, da una parte, le maggiori divergenze tra la propaganda di Vichy e quella dei collaborazionisti91, dall’altra invece l’importazione di alcuni temi grafici dell’antisemiti- smo dalla propaganda nazista. Se infatti la propaganda scritta ebbe come riferimento la tradizionale giudeofobia francese a carattere xenofobo, di cui venivano ripresi slogan e formule, nelle caricature vi erano piuttosto messaggi antisemiti ancora più semplificati, caratterizzati da forti accenti razzisti. E nota l’importanza del ruolo dell’immagine nell’apparato propagandistico tedesco. Manifesti, cartoline, poster, film — si pensi al celebre Jud Süss di Veit Harlan e a Die Rothschild di Erich Waschnek — svilupparono una virulenta propaganda razzista attraverso le immagini. Le autorità tedesche, inoltre, finanziarono in zona occupata ingenti campagne di manifesti antisemiti, spesso copie di quelli editi in Germania. È pertanto utile svolgere un breve raffronto con il giornale “Der Stürmer” , di cui “Je suis partout” aveva pubblicato alcune vignette nei numeri del 1938 e 1939 dedicati agli ebrei92.
90 Gli studi sull’antisemitismo tedesco sono oggi molto numerosi. Per un primo approccio si rimanda alla sintesi di Pierre Sorlin, L'antisemitismo tedesco, Milano, Mursia, 1970. Sulla propaganda specificamente antisemita si veda Zbynek A. Zeman, Nazi Propaganda, London-New York, Oxford University Press, 1973, in particolare alle pp. 85-91.91 Per un regime che utilizzava in modo massiccio la propaganda iconografica stupisce il numero limitato di manifesti antisemiti. Il governo di Vichy difatti non produsse fino alla fine del 1942 una propaganda apertamente antisemita attraverso l’immagine, come emerge chiaramente anche dal catalogo della mostra tenuta a Parigi sulla propaganda di Stato curato da L. Gervereau e D. Peschanski (La propagande sous Vichy, cit.) Il governo tuttavia creò dal 1941 presso il Commissariat General aux Questions juives un “servizio di informazione e di propaganda sulle questioni ebraiche” . Collegato ad esso fu l’Institut d’Etude des Questions Juives, promotore di campagne di manifesti contro gli ebrei, della pubblicazione di opuscoli e deH’allestimento dell’esposizione “Le juif et la France” inaugurata nel settembre 1941. Cfr. Joseph Billig, Le Commissariat Général aux Questions Juives, 3 voi., Paris, Cdjc., 1955, e P. Birnbaum, George Montan- don: l ’anthropologie vichyste au Service du nazisme, in Id., "La France aux Franpais", cit., pp. 187-198.92 II giornale “Der Stiirmer” fu fondato nel 1923 da Julius Streicher, Gauleiter di Norimberga, antisemita fanatico, con l’intenzione di pubblicare un foglio di lotta nazionalsocialista, il cui sottotitolo era “settimanale in lotta per la verità”. La verità di Streicher era in realtà raggiunta attraverso la descrizione dell’“Ebreo” e lo svelamento dei suoi crimini. Pur non essendo un organo della Nsdap, bensì proprietà privata del suo direttore Streicher, fu favorito da Hitler ed ebbe la funzione, dal 1923 al 1945, di diffondere l’odio contro gli ebrei, all’interno della propaganda ufficiale del regime nazionalsocialista. La tiratura salì nel 1935 intorno alle 800.000 copie, e non scese mai, ad eccezione degli ultimi mesi, al di sotto delle 500.000. I numeri speciali avevano una tiratura più alta, sul milione di copie. Il giornale non è stato ancora oggetto di un’analisi approfondita; si può fare riferimento a pochi studi, da cui sono state tratte le informazioni qui riportate. Il primo, di Fred Hahn-Wagenleher Guenther, Lieber Stiirmer! Leserbriefe und das NS-Kampftblatt 1924
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Dall’estate 1940 il giornale fu presente anche nelle edicole della capitale francese per i soldati tedeschi. La propaganda politica dei due giornali era specularmente rovesciata: mentre nel giornale tedesco il protagonista dei disegni era sempre l’ebreo raffigurato con elementi simbolici (ad esempio la bandiera della Gran Bretagna), nelle vignette di “ Je suis partout” vi erano soprattutto gli alleati con simboli ebraici, e quindi considerati enjuivés. Tale differenza è comprensibile se si prende in esame la natura dei due giornali: di tipo popolare e con un pubblico assai vasto “Der Stürmer” , di natura politico-culturale e rivolto ad un pubblico più ristretto il giornale francese. Nel giornale di Streicher erano adoperati materiali costosi come il colore rosso, di cui talvolta venivano dipinte le caricature di Fips93 e un abbondante materiale fotografico, non presenti nel giornale francese probabilmente anche per ragioni economiche; vi erano toni volgari e forti riferimenti alla violenza o alla perversione sessuale, del tutto assenti in “Je suis partout” . “Der Stürmer” inoltre era interamente dedicato alla questione ebraica; in ogni numero si poteva leggere il motto: “Juden sind unser Unglück!” (Gli ebrei sono la nostra rovina!). Tuttavia dal confronto emerge che l’impostazione della prima pagina di “Je suis partout” era assai simile a quella del giornale tedesco. Dal 1941 “Je suis partout” mise in prima pagina una vignetta di gran formato, dedicata agli ultimi avvenimenti politici. Anche in “Je suis partout” , inoltre, l’antisemitismo non si limita
va alle vignette, poiché non mancarono tra gli articoli forme di propaganda “nascosta” . Durante l’occupazione, per il primo periodo vi fu una rubrica che elencava i fatti più rilevanti della settimana; essa recava disegnati simboli ebraici, per sottolineare le eventuali connessioni tra il potere ebraico e quegli avvenimenti. Ancora, accanto al titolo della rubrica di economia vi erano l’immagine dell’ebreo capitalista e quella del vitello d’oro. Se quindi a prima vista le divergenze tra i due giornali potrebbero far concludere per una loro relativa estraneità, nondimeno vi sono stati senza dubbio influenze e motivi della propaganda iconografica nazista accolti da “Je suis partout” .
In “Je suis partout” le caricature, che per natura cercano di mettere in evidenza i difetti degli avversari piuttosto che proporre un’alternativa politica, insistevano soprattutto sui temi dell’anti-Francia. Il disegnatore adoperava inoltre i procedimenti specifici della propaganda politica, utilizzando figure fisiche e raffigurando invece assai di rado concetti astratti, per far sì che il lettore potesse individuare di primo acchito i temi in questione da tratti raffigurati in maniera semplice e comprensibile, associando alla persona fisica un’idea politica negativa. L’anti-Francia era soprattutto incarnata dall’“Ebreo” ; egli era sempre presente, spesso in secondo piano, come elemento che doveva comunicare repulsione e di fatto psicologicamente suggerire il motivo del conflitto, e che contaminava con le sue qualità negative gli uomini ostili aWEtat Franfais, sia
bis 1945, Stuttgart, Seewald, 1978, è soprattutto focalizzato sull’esame delle missive dei lettori inviate al giornale, il secondo di Manfred Ruht, Der Stürmer und sein Herausgeber (Versuch einer publizistichen Analyse), è una tesi di laurea discussa presso la Hochschule für Wirtschafts- und Sozialwissenschaften di Norimberga nel 1959-1960. Infine si rimanda al catalogo dell’esposizione del materiale di archivio a cura di H. Froschauer, R. Geyer, Quellen des Hasses. Aus dem Archiv des “Stürmer” 1933-1945. Eine Ausstellung des Stadtarchivs, Nürberg, 1988.93 Diminuitivo per Philipp Rupprecht, nato a Norimberga nel 1900, caricaturista per “Der Stürmer” e altri giornali. Dal 1929 aderì alla Nsdap, per conto della quale divenne responsabile della sezione dei Wahlplakate (manifesti elettorali). Dopo la guerra fu accusato di avere contribuito, con i suoi disegni, alla propaganda del nazionalsocialismo e per questo condannato a sei anni di lavori forzati. Cfr. Gerhard Paul, Aufstand der Bilder. Die NS-Propaganda vor 1933, Bonn, J.H.W. Dietz Nachf, 1990, pp. 157-158.
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gli ex alleati, come i rappresentanti della Gran Bretagna e dell’America, sia i politici legati alle idee democratiche e ai principi re- pubblicani. La Gran Bretagna era raffigurata da Churchill, gli Stati Uniti da Roosevelt, e l’Unione Sovietica da Stalin che, del tutto trascurato fino al 1942, fu il più rappresentato fino al termine della guerra. Era attraverso il ritratto fisico che si svolgeva la descrizione morale dell’ebreo: egli pronunciava parole cariche di odio, il suo sguardo era ipocrita ed astuto, veniva spesso raffigurato di spalle, sleale e corruttore. Seppure non mancassero allusioni all’ebraismo religioso, con i candelabri a sette braccia, gli ebrei erano percepiti come una razza, raffigurati spesso come una tribù dannosa, che doveva essere discriminata. Vi erano poi alcune vignette che trattavano della situazione reale degli ebrei; in esse vi erano commenti divertiti al fatto che questi, nonostante la discriminazione subita a causa di una legislazione ufficiale, continuassero a godere di privilegi attraverso mezzi illeciti, come il mercato nero e il furto. Vi era anche una striscia dedicata in forma assai edulcorata aH’internamento nei campi; finalmente, secondo il disegnatore, gli ebrei, che non avevano ritegno a dichiararsi francesi, erano costretti a condividere almeno i doveri elementari, lavorare e lavarsi. Gli alleati furono il soggetto più frequente nelle caricature di Soupault; se fino al 1942 prevaleva un atteggiamento di derisione verso la presunta convinzione di vittoria della coalizione antinazista, dal 1942, con lo sbarco nell’Africa del Nord, vi fu un maggiore accanimento nel trasmettere il tema politico più importante che stava alla base del collaborazionismo, ossia l’ineluttabilità della vittoria nazista.
Come nella propaganda scritta, inizialmente fu la Gran Bretagna a rappresentare il nemico principale, in quanto unico ostacolo all’arresto dei combattimenti, mentre gli Stati Uniti cominciarono ad essere colpiti
come bersaglio politico già prima della loro entrata in guerra; così l’asse Roosevelt- Churchill, come veniva stigmatizzata nelle caricature, fu una costante per tutto il periodo dell’occupazione. L’Unione Sovietica, che iniziò a comparire nelle vignette di Soupault dal giugno 1941, divenne a partire da allora il principale bersaglio. Per quanto riguarda gli occupanti tedeschi, è necessario invece segnalare la loro totale assenza dalle immagini di propaganda. Tuttavia, se mutava l’importanza attribuita ai singoli capi della coalizione antinazista, immutabile permaneva il ruolo centrale dell’ebreo, attraverso il quale si voleva comunicare il messaggio che era in corso una guerra juive. Il disegnatore, anche per una sostanziale mancanza di argomentazioni contro gli alleati, moltiplicava i segni di riferimento all’ebreo. Churchill o Roosevelt erano comunemente rivestiti di simboli legati alla religione o alla cultura ebraica, come la stella di David e i candelabri a sette braccia. L’ebreo era di solito raffigurato, in forma stereotipata e fissa, in secondo piano, sotto le sembianze del manipolatore. Le immagini dell’ebreo variavano secondo il messaggio: vi era la figura del capitalista ebreo, obeso, dall’espressione pesante, vestito in maniera lussuosa, mentre fumava il sigaro e stringeva a sé i risultati di un bottino ottenuto con mezzi illegali. Inizialmente l’ebreo faceva pressione, attraverso il potere finanziario dei suoi correligionari della City, su Churchill, affinché proseguisse nella guerra; anche la corte di Inghilterra era rappresentata con simboli ebraici. Ancora più stretti erano, secondo i disegni di Soupault, i legami tra gli ebrei e Roosevelt, che diventava un burattino ed era dipinto sotto sembianze femminili, per indicare la subalternità del presidente americano; Roosevelt veniva anche attaccato per la sua appartenenza alla massoneria, che era collegata al mito della cospirazione ebraica. Dalla fine del 1942, e soprattutto a partire dalla battaglia di Stalingrado,
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Churchill e Roosevelt vennero rappresentati come succubi del comuniSmo; da quel momento fu Stalin ad emergere come il nemico principale; anche i dissidenti francesi, compreso De Gaulle che cominciò a comparire nelle vignette, venivano presentati come fantocci al servizio della furia distruttrice di Stalin. Dal momento che erano presi in considerazione essenzialmente i nemici, il tema della rivoluzione nazionale fu all’inizio trascurato; comparve invece quando cominciarono a prendere forma i sospetti e le lagnanze per l’attuazione del programma de liz ia i Français. Del tutto assente la figura del maresciallo e degli altri politici di Vichy: per la Francia si preferiva usare un simbolo, una giovane donna dalla bellezza pura e virginale, con un vestito dai colori nazionali, dai lunghi capelli biondi ma senza il berretto frigio, emblema della repubblica. Essa veniva sempre più spesso dipinta addormentata, mentre dietro di lei le forze negative del paese mantenevano il potere, oppure ammalata, mentre tentava una cura con l’acqua di Vichy. Poiché si trattava di un simbolo sconosciuto ai lettori, vi era spesso la scritta France sul suo vestito. Contrapposta alla figura bella e virginale dell 'Etat Français, era l’immagine della République Juive, rappresentata con il berretto frigio e il simbolo della stella di David, come una vecchia megera ripugnante, dai tratti volgari e con il naso adunco. Quanto agli uomini della Terza Repubblica più che Blum era Mandel, uomo di destra, che incarnava il bellicismo juif. Fu con grande giubilo che Soupault accolse la notizia del suo assassinio; egli dedicò alla sua morte, tanto auspicata, una delle ultime vignette.
Di fronte alla persecuzione
Nella propaganda ben orchestrata di “ Je suis partout” , che adoperava l’antisemitismo come chiave di lettura, semplificatrice
e riduttiva, della situazione politica francese, vi fu un’abbondanza di proposte per risolvere la “questione ebraica” . In questo si deve rilevare la rottura più forte con la tradizione francese, che si era servita di messaggi giudeofobi per distogliere l’attenzione dalla necessità di una reale analisi economica e politica della società, ma non aveva mai avanzato in modo articolato soluzioni e provvedimenti concreti contro gli ebrei. La novità fu rappresentata dal fatto che i giornalisti si trovarono, per la prima volta nella storia della Francia, di fronte ad una discriminazione ufficiale decisa dal governo francese; essi, durante i quattro anni di occupazione, continuarono a chiedere maggiore rigore e radicalità nell’applicazione della legislazione. Il caso di “Je suis partout” è interessante anche perché la redazione trattava dello sterminio in massa del popolo ebraico disponendo di notizie di prima mano, ottenute grazie a contatti personali con le autorità tedesche e a viaggi dei giornalisti nei paesi dell’Est. Gli attacchi non furono limitati solo agli ebrei ma, in omaggio alla vecchia identificazione tra democrazia e giudaismo, erano indirizzati anche a coloro che sostenevano idee democratiche, che prendevano la difesa degli ebrei o che combattevano in nome di una Francia libera dall’occupante tedesco; tutti costoro erano considerati enjuivés, giudaizzati, e pertanto ancora più colpevoli, perché rei di avere contaminato la propria natura di ariani con una mentalità ebraica. A partire dall’estate 1941, il giornale passò ad attaccare duramente le prime voci levatesi nell’ambiente ecclesiastico e, nei mesi successivi, da parte dell’opinione pubblica in difesa degli ebrei. Sotto l’influenza dell’applicazione del disegno nazista di sterminio del popolo ebraico, i giornalisti di “Je suis partout” non si limitarono a chiedere la discriminazione ufficiale, ma prospettarono a più riprese l’espulsione totale degli ebrei dall’Europa. Ma con il passare del tempo, mentre l’esito della guerra si rive
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lava sfavorevole al Reich e si compiva il progetto dello sterminio in massa degli ebrei, la redazione non esitò a richiederne la morte.
Nel secondo numero Dorsay si riferiva, in modo molto vago, alle misure prese in Francia e in Europa contro gli ebrei94. “Ma quando Israele, per caso, è costretto ad espiare, aspetta senza angoscia l’ora dell’espiazione. Dapprima perché sa che questa espiazione non giungerà. Poi perché sa che l’attesa sarà corta. Sa infatti che, fuori, la massoneria e la Juiverie non l’abbandonano”95. L’emigrazione, che era ancora possibile nella primavera del 1941, fu vista come una fuga: “La tribù sparì come per incanto il giorno in cui avvenne l’avanzata tedesca su Parigi. Emigrò rapidamente nel sud della Francia, passò in Portogallo, e di lì si imbarcò per l’Inghilterra. Adesso parla a Radio Londra e continua a rivolgersi all’Europa centrale”96. Il primo articolo che trattava palesemente della persecuzione degli ebrei, firmato da Dorsay nel maggio 1941, commentava la retata di 3.700 ebrei, avvenuta nello stesso mese e sosteneva che, se la notizia dell’internamento in “campi di lavoro” di una parte degli ebrei che “infettavano” la capitale aveva riscosso da parte dell’opinione pubblica molti pareri sfavorevoli e molte condanne, ciò era da attribuirsi all’ignoranza della “gravità del problema ebraico” :
Come può un francese, una francese, avere pietà della sorte di questi stranieri che non hanno fatto la guerra? [...] Che cosa dovete pensare allora sulla sorte di più di un milione di Francesi oggi prigionieri in Germania? [...]Dimenticate che questi stranieri, ammessi a casa nostra, non sono rimasti neutrali [...] hanno invaso tutto: il commercio, l’industria, la finanza, il teatro, il cinema, la stampa, la politica97.
Gli échos di Laubreaux cominciarono a riportare notizie sulFinternamento di “medici, giornalisti, sarti, pellicciai e uomini d’affari” che avrebbero dovuto dissodare terre incolte e costruire strade:
I 5.000 Ebrei stranieri arrestati il 14 maggio sono stati divisi in un certo numero di campi di concentramento. A Pithiviers, in un vecchio campo di prigionieri francesi — giusto ritorno delle cose — sono quasi 1.700. [...] Rifiuto di tutti i ghetti d’Europa, questa massa maleodorante geme e piange tutto il giorno sulle sventure di Israele98.
Brasillach nell’editoriale del giugno 1941, quando entrò in vigore il secondo Statuto antisemita che produsse una espulsione imponente di ebrei dalla funzione pubblica, da moltissime professioni liberali, dal commercio e dall’artigianato, sosteneva che, pur non essendo “barbari o massacratori” , i giornalisti di
94 Sulla persecuzione degli ebrei in Francia si vedano J. Billig, Le Commissariat General aux Questions Juives, cit.; Asher Cohen, Pérsecutions et sauvetages: juifs et Français sous l'occupation et sous Vichy, Paris, Les Editions du Cerf, 1993; Stéphane Courtois-Adam Rayski (a cura di), Qui savait quoi? L ’extermination des juifs 1941-1945, Paris, La Découverte, 1987; Anne Grynberg, Les camps de la honte, les internés juifs des camps français, 1939-1944, Paris, La Découverte, 1991; André Kaspi, Les juifs pendant l ’occupation, Paris, Editions du Seuil, 1992; S. Klarsfeld, Le mémorial de la déportation des juifs en France, 2 vol., Paris, Klarsfeld, 1978; S.Klarsfeld, Vichy-Auschwitz, cit.; G. Wellers, A. Kaspi, S. Klarsfeld (a cura di), La France et la question juive, cit.; M.R. Marrus, R.O. Paxton, Vichy et les juifs, cit.; R.O. Paxton, La spécificité de la persécution des juifs en France, “Annales Esc”, a. 48, maggio-giugno 1993, pp. 605-619; Renée Poznanski, Etre ju if pendant la seconde guerre mondiale, Paris, Hachette, 1994.95 Dorsay, La république franc-maçonne continue, Jsp, 21 febbraio 1941, p. 2.96 Derrière le décor, Jsp, 4 aprile 1941, p. 7.97 Dorsay, Israël se lamente, mais c ’est la France qui souffre Jsp, 19 maggio 1941, p. 2. Venne pubblicata anche una lettera di un prigioniero in Germania che affermava che gli ebrei dovevano pagare per i morti, i feriti e i prigionieri francesi. Cfr. Nos prisionniers. Les spectacles des camps. Lettre de captivité, Jsp, 16 giugno 1941, p. 3.98 Partout et ailleurs. Shylock cantonnier, Jsp, 26 maggio 1941, p. 1. Si vedano anche gli échos del numero successivo Partout et ailleurs. Les lamentations du camp de Pithiviers, Jsp, 2 giugno 1941, p. 2. Nell’agosto il giornale dette la notizia della retata che portò all’arresto di oltre 4.000 ebrei, fra cui 200 avvocati di nazionalità francese, Cfr. Jsp, 30 agosto 1941, p. 4.
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“Je suis partout” continuavano a ritenere che la questione ebraica non fosse stata ancora risolta. Innanzitutto egli sottolineava che il discrimine tra ebrei francesi ed ebrei stranieri non solo non aveva ragione di essere, ma era di impedimento affinché lo statuto di Vichy venisse pienamente applicato
per sentimentalismo, perché si fanno errori, perché ci si fissa sulle “eccezioni” ; il giorno in cui decidessimo di considerare cittadini francesi gli Ebrei calvi, o gli Ebrei dentisti, o gli Ebrei più alti di m. 1,80, il giorno dopo stesso, per un miracolo incomprensibile, ecco che tutti gli Ebrei diventerebbero improvvisamente calvi, dentisti e giganti. Si deve risolvere il problema ebraico, perché l’Ebreo è lo straniero, è il nemico, ci ha spinti alla guerra ed è giusto che paghi".
Nell’autunno 1941 Rebatet dedicava un’intera pagina al resoconto di un viaggio in zona libera; vi aveva trovato ebrei difesi e sostenuti da coloro che egli definiva “cristianiliberali” , religiosi che pubblicamente avevano biasimato l’antisemitismo99 100. A partire dall’ottobre 1941 vi furono una serie di interventi relativi all’antisemitismo cattolico firmati da colui che si definiva un “religioso francese” , J.L., e atti da una parte ad esecrare la timidezza con cui la Chiesa stava affrontando la questione ebraica, scivolando sempre più verso posizioni democratiche, in una “ via democratica controllata dagli ebrei — maîtres d ’opinion — e mistificata dalla falsa mistica ebraica” 101, e dall’altra
ad illustrare la lunga tradizione cattolica dell’antisemitismo102.
Il giornale continuava poi criticando aspramente la mitezza con cui venivano applicate le norme legislative riguardo all’internamento degli ebrei nei campi, che venivano descritti come luoghi ben attrezzati di viveri grazie al mercato nero e in cui gli ebrei erano padroni. “Nel campo di prigionieri: il dottor Cabanis è stato nominato ispettore medico del campo di concentramento di Beaune-la Rolande. Il meno che si possa dire è che svolge questo compito con la massima benevolenza. Invia ogni giorno in infermeria decine di Ebrei ‘esentati dal lavoro’. Manda in ospedale ogni settimana da 50 a 60 prigionieri ‘inabili’. Per accogliere questi Ebrei e questi meteci, ha fatto trasferire i vecchi dell’ospizio che sono stati stipati in due dormitori, mentre i ‘prigionieri’ si riposano nelle loro camere e nei loro letti.[...] Chiediamo alle autorità competenti un’inchiesta serena” 103 104. In un lungo resoconto di una visita al campo di Pi- thiviers, Henri Poulain informava i lettori che gli ebrei erano ben vestiti, avevano la libertà di uscire e godevano di una situazione materiale migliore rispetto ai francesi, che dovevano fronteggiare ristrettezze economiche; “gli ebrei si alzano e vanno a letto secondo l’orario stabilito a loro piacimento, non sono obbligati a nessun lavoro [...]. I più freddolosi preferiscono stare dietro il filo spinato poiché le baracche sono riscaldate tutto l’in-
99 R. Brasillach, Nous, nous continuons, Jsp, 2 giugno 1941, p. 1.100 L. Rebatet, Piliers de synagogue, Jsp, 4 ottobre 1941, p. 10. Si faceva riferimento anche alla lettera del pastore Bò- gner al gran rabbino di Francia. Sull’atteggiamento della Chiesa si veda la terza parte Les églises, in La France et la question juive, cit., pp. 145-229 e Jacques Duquesne, Les catholiques français sous l ’Occupation, Paris, Grasset, 1986, pp. 241-269.101 J.L., La mystification des catholiques français, Jsp, 14 febbraio 1942, p. 8; J.L., La mystification catholique. Le cléricalisme démocratique, Jsp, 30 ottobre 1942, p. 4; J.L., Le catholicisme devant les Juifs, Jsp, 7 febbraio 1942, p. 4; J.L., La mystification des catholiques français. L'église et le racisme juif, Jsp, 21 febbraio 1942, p. 9; J.L., La mystification des catholiques. De l ’ombre à la lumière, Jsp, 14 agosto 1942, p. 8; J.L., L ’archevêque de Lyon contre les Juifs, Jsp, 20 novembre 1942, p. 4; J.L., Catholiques français face aux Juifs!, Jsp, 18 settembre 1942, p. 1.102 Georges Olliver, Le Saint-Siège et les juifs, Jsp, 29 novembre 1941, p. 4.103 Partout et ailleurs, Jsp, 11 ottobre 1941, p. 4.104 Cfr. H. Poulain, Du sécateur aux barbelés. Pithiviers-les Juifs, Jsp, 4 aprile 1942, pp. 1 e 4.
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Per quanto non sia possibile stabilire con certezza ciò che sapessero i collaborazionisti sullo sterminio in atto ad Est105, “Je suis par- tout” , seguendo le direttive naziste, non utilizzò mai la parola extermination e intraprese già dall’ottobre 1941 una contropropaganda, tentando di imputare ai sovietici le stragi di intere comunità ebraiche compiute dai nazisti. “ Davanti a questi fatti possiamo comprendere il pericolo che rappresentava per noi il bolscevismo. [...] Infatti possiamo citare, in alcune città, atti il cui carattere non è evidentemente il patriottismo. I tedeschi, dovunque entrino, chiedono dove siano gli ebrei, e formano un ghetto per semplice misura di polizia. — Dove sono? — Noi [i soldati sovietici] li abbiamo uccisi questa notte, appena saputo del vostro arrivo” 106.
Nel novembre 1941, nei trafiletti che riportavano le notizie da tutto il mondo, veniva riferito l’inasprimento della politica antisemita nel Reich. ”Je suis partout” considerava assai utile estendere anche in Francia l’obbligo per gli ebrei di portare un segno distintivo, che avrebbe reso più facile la loro identificazione. “Ognuno sa che nel Medioevo la Chiesa cattolica imponeva già agli Ebrei un segno distintivo. Ci si è accorti che a Berlino il numero degli youpins [termine dispregiativo per ebrei] restava considerevole e una pioggia di stelle gialle si abbatté sul mètro, nelle strade e nei negozi” 107. Rebatet riferì lungamente, il mese successivo, della gioia provata quando, durante un viaggio a Vienna, aveva visto per prima volta la stella gialla:
Ho avuto a Vienna una gioia che da sola valeva il viaggio. Ho visto per la prima volta degli Ebrei, i
50.000 Ebrei che restano, con la stella gialla cucita al petto. Che sollievo! Che vendetta! [...] Il canagliume è segnato prima che la sua sorte, per l’Europa intera, sia stabilita, che sia definitivamente evacuato da noi. Ecco, penso agli youtres dell’altra zona francese, che si pavoneggiano con l’insegna della Légion. Penso ai loro tenaci intrighi, alla loro volontà di spezzare l’accordo franco-tedesco, di impedire la ripresa della Francia, cose che fino ad adesso sono riuscite fin troppo bene108!
Nel gennaio 1942 Brasillach scriveva nell’editoriale che la congiura antifascista era al servizio dell’Ebreo109; “Vi sono dei parigini talmente ingenui da negare che, nell’ombra, gli Ebrei tentino di provocare attentati di cui alla fine saranno i francesi a sopportare le conseguenze” 110. La notizia della nomina del fanatico antisemita Darquier de Pellepoix alla direzione del Commissariat Général aux Questions Juives, nel maggio 1942, fu accolta con gioia dalla redazione111. Sempre nel maggio, qualche settimana prima dell’inizio delle deportazioni verso i campi di sterminio, Cousteau illustrava in modo articolato una soluzione provvisoria del problema ebraico, in vista della risoluzione definitiva di tale questione possibile e realizzabile solo dopo la guerra. Dal momento che gli ebrei dovevano essere considerati come nemici, Cousteau proponeva apertamente e a grandi lettere che “fino al ritorno dell’ultimo dei nostri prigionieri, un ebreo non può avere, sotto alcun pretesto, una situazione morale e materiale superiore a quella di un prigioniero di guerra francese” , situazione che prevedeva la chiusura in campi di concentramento e lo sfruttamento come manodopera.
105 Cfr. Philippe Burrin, Que savaient les collaborationnistes? in S. Courtois, A. Rayski, Qui savait quoi? L'extermination des Juifs 1941-1945, cit., pp. 67-78.106 En Russie désovietisée, senza firma, Jsp, 4 ottobre 1941, p. 10.107 Le monde en zig-zag, Jsp, 22 novembre 1941, p. 4.108 L. Rebatet, A travers Vienne en guerre, Jsp, 20 dicembre 1941, p. 3.109 R. Brasillach, La conjuration antifasciste au service du Juif.\ Jsp, 7 febbraio 1942, p. 1.110 Partout et ailleurs, Jsp, 21 febbraio 1942, p. 2.111 Pour l'étoile jaune, Jsp, 16 maggio 1942, p. 2. Si veda l’imponente opera di J. Billig, Le Commissariat Général aux Questions Juives, cit. e Jean Laloum, La France antisémite de Darquier de Pellepoix, Paris, Syros, 1979.
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Dunque, tutti gli Ebrei adulti, senza eccezioni, senza favoritismi, senza protezione alcuna, dietro il filo spinato e sorvegliati dai soldati. Non si tratta, lo ripeto, di essere crudeli o di vendicarsi in modo crudele. Si tratta di una misura di giustizia e di legittima difesa. Si tratta di utilizzare una manodopera certamente mediocre, ma abbondante e a buon mercato, per eseguire grandi lavori di cui il nostro paese ha bisogno, come spalare la neve d’inverno, o aiutare i contadini d’estate.
E concludeva: “Dopo la firma della pace, ma solamente dopo il ritorno dell’ultimo dei nostri prigionieri, si potrebbe prevedere una liberazione progressiva dei nostri nemici e il loro trasferimento in massa verso altre terre. Ma per il momento, qualsiasi altro statuto diverso da quello di prigionieri è offensivo” 112. Un primo compito che si propose Darquier de Pellepoix fu quello di rafforzare la propaganda antisemita, poiché secondo Brasillach la popolazione “era mal informata. Che le questioni riguardanti la razza siano dibattute in pubblico, che l’opinione sia illuminata, è un obbligo di primo piano. Ma per questo occorre che lo Stato abbia il coraggio, la volontà, l’intelligenza”; la propaganda doveva essere indirizzata soprattutto ai giovani affinché non trovassero le misure persecutorie “inutili o degne di biasimo (mentre in realtà sono timide)” 113.
La richiesta dell’obbligo della stella gialla fu esaudita e in zona occupata gli ebrei furono costretti all’onta del segno distintivo. La stella era necessaria, secondo Rebatet, perché gli ebrei camuffavano la propria razza, trasformando anche il nome, pur agendo sotterranea- mente per una sola nazionalità, quella ebraica.
Non so quale uomo politico abbia detto: “ Se gli Ebrei fossero neri o blu, non ci sarebbe più que
stione ebraica. Tutti saprebbero riconoscerli, evitarli” . La stella gialla correggerà questa bizzarria che vuole che una specie umana radicalmente opposta ai popoli di sangue bianco [sic!], inassimilabile da sempre a questo sangue, non sia discernibile al primo sguardo.
Rebatet aveva un solo rimpianto: “che la stella gialla non sia imposta da una legge francese. Siamo nazionalisti convinti che la Germania e la Francia hanno nell’Ebreo un nemico comune e che, contro di lui, la Francia debba condurre una lotta a fianco della Germania”. In conclusione, egli ribatteva alle lamentele di molti cattolici contro l’obbligo del segno distintivo: “La stella gialla rinnova, con la tradizione più strettamente cristiana, quella della rotella che durante tutte le epoche di vera e solida fede segnava gli Ebrei del ghetto” 114 *. Dorsay notava poi “il fatto che molti Ebrei non ‘portino’ la loro razza sul loro aspetto. Sono i più pericolosi, coloro che riescono ad alimentare meglio l’equivoco. E per questi soprattutto che la stella gialla è indispensabile” 113. Dorsay si scagliava contro coloro che prendevano le difese degli ebrei: “Non chiediamo la morte per gli Ebrei, ma che, essendo individuati come tali, siano trattati da parassiti pericolosi. Semplice misura di igiene” 116. Cousteau poi consigliava un gioco, il tennis- juif. “Il tennis-juif si gioca in due. I giocatori possono essere dello stesso sesso o opposto. L’età è indifferente. Nessun obbligo nell’abbi- gliamento. [...] Il gioco consiste nello scorgere un Ebreo prima del proprio avversario e nel chiamarlo ad alta voce. Il vincitore è colui che ha visto, per primo, il maggior numero di Ebrei [...]. Ci si deve esercitare a rintracciare l’Ebreo a distanza, a scoprirlo dal suo portamento, da come cammina”117.
112 P. A. Cousteau, Pour une solution provisoire du problème juif, Jsp, 23 maggio 1942, p. 1.113 R. Brasillach, Malheur aux tièdes, Jsp, 30 maggio 1942, p. 1.114 L. Rebatet, L'étoile jaune, Jsp, 6 giugno 1942, p. 8.1,3 Partout et ailleurs, Jsp, 13 giugno 1942, p. 2. Cfr. Anche R. Brasillach, Le problème de la locomotive, Jsp, cit., p. 1.116 Dorsay, Une explosion de l'ignorance et de la sottise, Jsp, 13 giugno 1942, p. 2.117 P. A.Cousteau, Savez-vous jouer au tennis juif?, Jsp, 10 luglio 1942, p. 1.
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Nell’estate del 1942, con il consenso e l’ausilio materiale del governo di Vichy, iniziò la deportazione degli ebrei stranieri dai campi di concentramento francesi in direzione di Auschwitz. Cousteau diceva: “Non appena corre voce di una partenza di Ebrei verso le grandi piane dell’Est, allora l’afflizione dei babbei antifascisti non conosce più limiti” ; ancora una volta ribadiva che la guerra era stata causata dagli ebrei e che dovevano pagare per questo; e così fu trovato nell’affare Grynspan il vero casus belli. “ Il primo colpo di questa guerra non è stato sparato da un soldato, nel settembre 1939, ai confini del territorio di Danzica, ma dall’Ebreo Grynspan, l’8 novembre 1938, a Parigi, nell’ufficio del consigliere von R ath” ; infine concludeva che tutti gli ebrei meritavano di subire pene e vessazioni: “ Questo ragazzo che porta la stella, non ha voluto la guerra. Ma potrebbe essere il Jean Zay o il Bela Kun di domani. Questa vecchia Ebrea ha l’aria inoffensiva. Ma il suo grembo ha forse portato un Na- than o un Mandel” 118. Dorsay continuava nella sua rubrica ad attaccare l’opinione pubblica che aveva manifestato aperto dissenso alla deportazione degli ebrei. “Chi li protegge, è un traditore. [...] E queste buone donne, ignoranti come delle capre, piangono su ‘questi poveri ebrei che sono portati via da casa’” . Il giornalista metteva anche in guardia dal permettere il battesimo, in realtà un alibi. “ Per noi, convertiti o no, gli ebrei sono da mettere in uno stesso sacco. Vogliamo dire nello stesso campo di concentramento aspettando l’espulsione in Palestina o altrove” 119. Secondo la logica di “Je suis partout” , l’accettazione della deportazione di 4.000 ebrei
apatridi da parte del governo di Vichy nell’estate 1942 come misura di sicurezza era insufficiente. “ Ma queste misure sono ancora molto timide. Darquier de Pellepoix richiede con insistenza che l’obbligo della stella gialla sia imposto agli Ebrei nono [della zona non occupata]. [...] Un milione di stelle gialle nono, sarebbe certamente molto bello. Aspettando l’eliminazione completa degli indesiderabili” 120. A partire dal novembre 1942, con l’occupazione da parte delle truppe tedesche della zona sud, la persecuzione non conobbe più alcun ostacolo; da quel momento la soluzione proposta era quella di rinchiudere tutti agli ebrei in campi di concentramento, e deportarli verso est. Brasillach, facendo riferimento alle proteste dell’arcivescovo di Tolosa contro le misure prese riguardo agli ebrei stranieri, giunse ad affermare: “Occorre separarsi dagli Ebrei in blocco e non tenere i piccoli” ; ossia invitava a deportare anche i bambini; le violenze e le brutalità commesse durante le retate furono da lui attribuite al- l’“azione di poliziotti provocatori che vogliono impietosire quei poveri idioti di ariani” 121. Nello stesso numero Dorsay mostrava di essere a conoscenza della vera destinazione dei deportati dalla Francia: “ Gli ebrei stranieri sono ricondotti nel loro ghetto o lavorano, finalmente, in Germania, Polonia, Ucraina” 122. Nel dicembre venivano salutate con favore dalla redazione del giornale alcune misure entrate in vigore, come l’iscrizione del nome Juif sulla carta d’identità e le pene previste per gli “ ariani” che aiutavano gli ebrei123; venivano sostenute tutte le proposte e iniziative promosse da Darquier de Pellepoix volte aH’inasprimento della legislazione
118 P.A. Cousteau, Pitié pour les aryens, Jsp, 24 luglio 1942, p. 1.119 Dorsay, Quand Israël se lamente... et préparé sa vengeance, Jsp, 31 luglio 1942, p. 2.120 Cette obscure clarté, in Partout et ailleurs, Jsp, 21 agosto 1942, p. 2.121 R. Brasillach, Les sept internationales contre la Patrie, Jsp, 25 settembre 1942, p. 1.122 Dorsay, La barque de Saint Pierre serait-elle encore menée à gaffe, Jsp, cit., p. 2. Si veda ancora P. A. Cousteau, J'ai vu les dossiers des victimes, Jsp, 30 luglio 1943, p. 4 sulla condizione degli ebrei di Riga.123 Partout et ailleurs, Jsp, 11 dicembre 1942, p. 2.
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antisemita, come l’estensione della stella gialla anche nella ex zona non occupata e il divieto dei matrimoni misti124 125. Durante l’inverno del 1943, quando la vittoria del Reich appariva sempre più improbabile, la violenza contro gli ebrei divenne sempre più incalzante. Vi erano spesso notizie sulla vita del campo di Drancy, da cui dall’estate 1942 partivano regolarmente convogli verso Auschwitz. Gli ebrei erano accusati di avervi organizzato un mercato nero fiorente. “Il più ripugnante è il mercato nero dei...wc!!! Bisogna ammettere che solo gli Ebrei potrebbero immaginare un traffico simile: ogni mattina, all’apertura delle baracche, tipi agili e decisi si precipitano verso i gabinetti, li occupano e li liberano solo dietro compenso” 123. Secondo il giornale gli ebrei non erano stati affatto toccati dalla persecuzione messa in atto in tutta Europa; anzi minacciavano vendette: “ Da qualche giorno, gli Ebrei alzano di nuovo la testa, sogghignano, quasi minacciosi. E dire che domani questi uomini vili e paurosi che hanno la faccia per terra, fra le ossa dei loro padri, tremanti di sgomento a ogni esplosione lontana, saranno di nuovo i padroni. Non ci saranno, secondo loro, plotoni di esecuzione sufficienti per noi e i nostri amici” 126. Còline intervenne nel luglio 1943: “ Karl Marx, che deve essere riletto, Ebreo molto più preciso e istruttivo di Montaigne, scrive: ‘Gli Ebrei si emancipano nella misura in cui i cristiani diventano ebrei’. In Francia, i cristiani sono perfettamente ebrei” 127.
Nel novembre 1943, attraverso le parole di un presunto lettore, Cousteau proponeva un piano costruito con crudeltà minuziosa per
contrastare i bombardamenti degli alleati o gli attentati della Resistenza contro l’occupante e i collaborazionisti:
Un lettore, anche egli disgustato come noi per l’inesistenza di una risposta rivoluzionaria, chiede perché, dopo l’assassinio di ogni fascista francese, non fuciliamo a caso venti massoni, venti comunisti e cento ebrei. Lo stesso corrispondente propone la costruzione di un immenso campo di concentramento circondato da armi automatiche che aprirebbero il fuoco ogni volta che l’aviazione angloamericana intraprendesse il bombardamento di una città francese. Il tiro di queste armi automatiche — precisa — dovrebbe essere prolungato per un tempo doppio di quello del bombardamento aereo128.
A partire dall’inverno 1943-1944 il giornale mutò fisionomia: dopo la riduzione di circa metà delle pagine e l’abbandono di Brasillach e degli altri giornalisti che lo seguirono, la redazione preferì agli articoli di riflessione politica vere e proprie invettive contro gli antifascisti. Le notizie relative agli ebrei furono segnalate perlopiù nella rubrica Partout et ailleurs: “ I grandi profittatori del campo di Gurs sono gli Ebrei che, a partire dal 1940, ebbero l’astuzia di proclamarsi, di propria iniziativa, capibaracca. In seguito non restava che sfruttare la situazione. I pacchi erano distribuiti solo dopo che i loro destinatari avevano pagato una percentuale. I vaglia erano ugualmente sottoposti all’imposta dai capibaracca”; nello stesso numero si dava notizia di “ liberazioni in massa” che avevano svuotato il campo di Drancy, in realtà rimasto deserto in seguito alle deportazioni in Europa dell’Est129.
124 Partout et ailleurs, Jsp, 5 febbraio 1943, p. 1; Partout et ailleurs, 30 aprile 1943, p. 2.125 Partout et ailleurs, Jsp, 21 maggio 1943, p. 2.126 Henri Charbonneau, De Tunis au Cap Bon avec les combattants français, Jsp, 28 maggio 1943, p. 1. Dalla metà del 1943 si trovano testimonianze della sfiducia per la vittoria tedesca. Cfr. a titolo di esempio Quelle que soit l'issue de cette guerre, senza firma, Jsp, 2 luglio 1943, p. 1 e Fascisme, sensa firma, Jsp, 6 agosto 1943, p. 1.127 Louis-Ferdinand Celine, Celine nous écrit, Jsp, 9 luglio 1943, p. 1.128 P. A. Cousteau, Les hommes à abattre, Jsp, 12 novembre 1943, p. 1. Si veda sullo stesso tema Id., Ce serait pourtant si facile, Jsp, 7 aprile 1944, p. 1.129 Partout et ailleurs, La marche à l ’étoile, Jsp, 7 gennaio 1944, p. 2.
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Nell’aprile 1944 Rebatet faceva il punto sulla questione ebraica; a partire da questo momento il giornale parlava apertamente della persecuzione e dello sterminio del Reich contro il popolo ebraico. “La Germania ha preso misure di guerra, rudi come tutte le misure di guerra, contro una nazione con la quale si è impegnata in una lotta mortale”; per applicare tali misure anche in Francia, ossia la deportazione di migliaia di ebrei stranieri e di nazionalità francese il Reich aveva atteso due anni e secondo Rebatet gli si poteva rimproverare unicamente “di aver temporeggiato molto prima di agire, di aver per troppo tempo tollerato il giudaismo vichyssois” . Se il giornale aveva proposto nel corso dei quattro anni di occupazione soluzioni “estremamente moderate” della questione ebraica, da quel momento le misure sarebbero state molto più severe. “La nazione ebraica è la sola che sia punibile di un castigo collettivo. In ogni Ebreo, vi è in potenza la dannosità della sua razza” 130. Nei numeri dei mesi seguenti le notizie riferivano la percepibile assenza degù ebrei: “Esiste sempre un com
missario generale degli affari ebraici, ma non ci sono più Ebrei” 131. L’Europa, esaminando il bilancio della guerra, avrebbe potuto osservare il “ suo territorio mutilato, ma purgato del suo canagliume ” 132.
La propaganda promossa dal giornale aveva cosi accompagnato tutte le fasi della persecuzione degli ebrei in Francia, da un lato dissimulando la vera natura di tali misure vessatorie, come la condizione nei campi di concentramento francesi, e dall’altro richiedendo l’espulsione degli ebrei, francesi e stranieri, dal paese, cioè in pratica la deportazione nei campi di sterminio. Dove invece non raggiunse il suo scopo fu nel convincere l’opinione pubblica della giustezza di tale persecuzione133. I giornalisti di “Je suis partout” , perseguendo la loro politica di collaborazione con l’occupante nazista, contribuirono a sostenere una politica tutta francese che si concluse con la deportazione dalla Francia di 76.000 mila uomini, donne e bambini ebrei134
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130 L. Rebatet, Le fa it juif, Jsp, 14 aprile 1944, pp. 1 e 3.131 Partout et ailleurs, Israel et nous, Jsp, 12 maggio 1944, p. 1.132 Partout et ailleurs, Jsp, 23 giugno 1944, p. 1.133 Pierre Laborie, 1942 et le sort des Juifs. Quel tournant dans l ’opinion, “Annales Esc” , a. 48, maggio-giugno 1993, pp. 655-666.134 Secondo le stime di Klarsfeld furono deportati dalla Francia 75.721 ebrei. Tra questi 6.012 avevano meno di 12 anni, 13.104 avevano dai 13 ai 29 anni, 8.687 più di 60 anni. Si stima che fossero compresi almeno 24.000 ebrei di nazionalità francese. Di questi solo 2.500 ritornarono. Cfr. S. Klarsfeld, Le memorial de ta déportation des juifs en France, cit.
Valeria Galimi (1971) si è laureata nel 1995 in Storia contemporanea presso l’Università di Firenze, con una tesi sulla propaganda antisemita nella Francia occupata. Attualmente borsista della Fondazione Luigi Einaudi, sta svolgendo ricerche sull’antisemitismo in Francia nel periodo fra le due guerre; sta inoltre lavorando sui campi d’internamento per ebrei durante il fascismo in Toscana.