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La “guerre juive” La propaganda antisemita di “Je suis partout” nella Francia occupata Valeria Galimi “Je suis partout” è stato il più rilevante tra i giornali del collaborazionismo francese, intor- no al quale si raccolsero noti pubblicisti dell’e- poca, critici e scrittori, da Drieu La Rochelle a Céline, da Robert Brasillach a Lucien Rebatet. Era un giornale scritto e finanziato da francesi, che volontariamente si allineò sulle posizioni dell’occupante, compiendo una scelta coerente con il percorso intrapreso negli anni trenta al tempo della sua apparizione. In “Je suis par- tout” l’antisemitismo fu un elemento costante: in un’ottica antisemita venne analizzata la gra- ve situazione in cui la Francia versava dopo la disfatta e nell’emarginazione degli ebrei venne ravvisata la soluzione più efficace e radicale per risolvere definitivamente la crisi in cui ver- sava il paese. L’impostazione propagandistica si adattò alla situazione della Francia sconfitta, donde l’ulteriore spinta a rigettare sugli ebrei la colpa della guerra che venne definita appunto juive. In tal modo i collaborazionisti parigini, che credevano in una Francia fascista inserita nel Nuovo ordine europeo voluto dai nazisti, spostarono la figura del nemico da quella vera e reale — il tedesco aggressore e vincitore — a quella dell’ebreo. Attribuirono cosi la totale responsabilità della debolezza francese alle isti- tuzioni repubblicane e democratiche, a loro di- re egemonizzate dagli ebrei, con l’intenzione di legittimare la presenza dell’occupante. Rivol- gendosi alla comunità dei francesi, i collabora- zionisti individuarono gli ebrei come elementi estranei e stranieri, facendo appello ad un anti- semitismo che affondava le radici in una tradi- zione xenofoba di lunga data e innestandovi gli elementi propriamente razzisti tipici della pro- paganda nazista. "Je suis partout’’ was the spearhead among the journals o fFrench collaborationism, counting such contributors as Drieu La Rochelle, Céline, Robert Brasillac, Lucien Rebatet and others essaysts and writers o f the period. It was a journal written and financed by French people, voluntarily aligned to the positions o f the occupying Germans, in full consonance with the attitude held since its appea- rence in the Thirties. Antisemitism was one of its constants: the miserable situation o f France after the collapse was read mainly in this light, the oust- ing o f the Jews being envisaged as the most radical and resolutive remedy against the crisis the country had been plunged into. The propagandistic cut was adapted to the condition o f the defeated: thence a further incentive to hold the Jews responsible for the war, which would be qualified simply as juive. So the Paris collabos, who believed in a fascist France included in the European order claimed by the Nazis, shifted the image of the enemy from the real and true aggressor victorious Germany onto a presumptive and phantasmic Hebrew menace. They could thus lay the whole responsabi- lity for the French débàcle on the republican and democratic institutions, regarded as having been under Hebrew hegemony, so as to legitimate Ger- man occupation somehow. In addressing the French community, the collaborationists denoun- ced the Jews as an alien element, by appealing to a deep rooted tradition o f antisemitism revisited through racist assumptions typical of Nazi propaganda. Italia contemporanea”, giugno 1997, n. 207

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La “ guerre juive”La propaganda antisemita di “Je suis partout” nella Francia occupata

Valeria Galimi

“Je suis partout” è stato il più rilevante tra i giornali del collaborazionismo francese, intor­no al quale si raccolsero noti pubblicisti dell’e­poca, critici e scrittori, da Drieu La Rochelle a Céline, da Robert Brasillach a Lucien Rebatet. Era un giornale scritto e finanziato da francesi, che volontariamente si allineò sulle posizioni dell’occupante, compiendo una scelta coerente con il percorso intrapreso negli anni trenta al tempo della sua apparizione. In “Je suis par­tout” l’antisemitismo fu un elemento costante: in un’ottica antisemita venne analizzata la gra­ve situazione in cui la Francia versava dopo la disfatta e nell’emarginazione degli ebrei venne ravvisata la soluzione più efficace e radicale per risolvere definitivamente la crisi in cui ver­sava il paese. L’impostazione propagandistica si adattò alla situazione della Francia sconfitta, donde l’ulteriore spinta a rigettare sugli ebrei la colpa della guerra che venne definita appunto juive. In tal modo i collaborazionisti parigini, che credevano in una Francia fascista inserita nel Nuovo ordine europeo voluto dai nazisti, spostarono la figura del nemico da quella vera e reale — il tedesco aggressore e vincitore — a quella dell’ebreo. Attribuirono cosi la totale responsabilità della debolezza francese alle isti­tuzioni repubblicane e democratiche, a loro di­re egemonizzate dagli ebrei, con l’intenzione di legittimare la presenza dell’occupante. Rivol­gendosi alla comunità dei francesi, i collabora­zionisti individuarono gli ebrei come elementi estranei e stranieri, facendo appello ad un anti­semitismo che affondava le radici in una tradi­zione xenofoba di lunga data e innestandovi gli elementi propriamente razzisti tipici della pro­paganda nazista.

"Je suis partout’’ was the spearhead among the journals o f French collaborationism, counting such contributors as Drieu La Rochelle, Céline, Robert Brasillac, Lucien Rebatet and others essaysts and writers o f the period. It was a journal written and financed by French people, voluntarily aligned to the positions o f the occupying Germans, in full consonance with the attitude held since its appea- rence in the Thirties. Antisemitism was one o f its constants: the miserable situation o f France after the collapse was read mainly in this light, the oust­ing o f the Jews being envisaged as the most radical and resolutive remedy against the crisis the country had been plunged into. The propagandistic cut was adapted to the condition o f the defeated: thence a further incentive to hold the Jews responsible for the war, which would be qualified simply as juive. So the Paris collabos, who believed in a fascist France included in the European order claimed by the Nazis, shifted the image o f the enemy from the real and true aggressor — victorious Germany — onto a presumptive and phantasmic Hebrew menace. They could thus lay the whole responsabi- lity for the French débàcle on the republican and democratic institutions, regarded as having been under Hebrew hegemony, so as to legitimate Ger­man occupation somehow. In addressing the French community, the collaborationists denoun­ced the Jews as an alien element, by appealing to a deep rooted tradition o f antisemitism revisited through racist assumptions typical o f Nazi propaganda.

Italia contemporanea”, giugno 1997, n. 207

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Occorre risolvere il problema ebraico, perché l’e­breo è lo straniero, è il nemico, ci ha spinto alla guerra ed è giusto che paghi.

Robert Brasillach, 2 giugno 1941

Storia di un quotidiano di destra

Pochi giorni dopo l’insediamento a Vichy del Maréchal Pétain a capo del nuovo Etat fran­çais nato dalla Francia sconfitta, vennero promulgate nella zona non occupata le prime misure che colpivano gli ebrei nei loro diritti nella vita politica, sociale ed economica del paese1. Nella capitale occupata, in cui già dal settembre 1940 entrarono in vigore le di­rettive naziste in materia, restarono molti in­tellettuali e uomini politici francesi. Se il go­verno di Vichy decise di attuare una collabo- razione d ’Etat, ufficiale, con le autorità occu­panti, vi fu chi volontariamente, per motiva­zioni culturali o politiche, di buon grado de­cise di lavorare per l’occupante, accogliendo in tutto e per tutto il messaggio politico del Terzo Reich2. I collaborazionisti, pur soste­nendo il governo di Vichy, si servirono del controllo della rete di istituzioni culturali ri­maste nella capitale per convincere l’opinio­ne pubblica dell’utilità e della necessità per

la ripresa della Francia di proseguire nella “via della collaborazione” con la Germania nazista e, di conseguenza, per invitare il go­verno ad intraprendere scelte più radicali per la costruzione di uno stato totalitario3. Tuttavia, soprattutto riguardo all’antisemiti­smo, i collaborazionisti mossero critiche as­sai feroci ai politici di Vichy. Non soddisfatti dei due statuti che escludevano gli ebrei da un largo numero di professioni, i nouveaux mes- sieurs, così designati perché in breve tempo giunsero ad assumere posti di responsabilità e a detenere le leve del potere, misero in atto una violenta campagna antisemita su tutti i mezzi di informazione, richiedendo a gran vo­ce una serie di misure repressive per gli ebrei, dalla chiusura in campi di concentramento, all’espulsione, alla morte, che rispecchiavano e anticipavano in un crescendo drammatico le effettive misure di discriminazione e di esclu­sione prese dal regime di Vichy. All’interno della campagna antisemita promossa dai giornali collaborazionisti nella Parigi occupa-

1 Cfr. Michael R. Marrus, Robert O. Paxton, Vichy et les juifs, Paris, Calmann-Lévy, 1981; Georges Wellers, André Kaspi, Serge Klarsfeld (a cura di), La France et la question juive 1940-1944 (Actes du colloque du Centre de Documen­tation Juive Contemporaine, Paris, 10-12 marzo 1979), Paris, Sylvie Messinger, 1981; S. Klarsfeld, Vichy-Auschwitz. Le rôle de Vichy dans la solution finale de la question juive en France, 2 vol., Paris, Fayard, 1983-1985; Roger Errera, Legi­slazione antisemita di Vichy, in La legislazione antiebraica in Italia e in Europa (Atti del convegno nel cinquantenario delle leggi razziali, Roma, 17-18 ottobre 1988), Roma, Camera dei Deputati, 1989, pp. 319-342.

La definizione di “collaborazione di Stato” è di Stanley Hoffmann, autore di un illuminante contributo su questi temi, La collaboration, in Id., Essais sur la France, Paris, Editions du Seuil, 1974, pp. 41-66. Egli mette in guardia dal con­trapporre il governo di Vichy al fenomeno del collaborazionismo, che difficilmente si sarebbe sviluppato se non ci fosse stata la collaborazione d'Etat. Per un quadro europeo si veda Enzo Collotti, Il collaborazionismo con le potenze dell'Asse nell’Europa occupata. Temi e problemi della storiografia, in Luigi Cajani, Brunello Mantelli (a cura di), Una certa Eu­ropa: il collaborazionismo con le potenze dell’Asse 1939-1945, Brescia, Annali della Fondazione Micheletti, 1994, pp. 11-43.3 Si rinvia alle principali opere sull’argomento: Michèle Cotta, La collaboration 1940-1944, Paris, A. Colin, 1964; S. Hoffmann, La collaboration, in Essais sur la France cit.; Pascal Ory, Les collaborateurs 1940-1945, Paris, Editions du Seuil, 1977; Id., La France allemande: paroles du collaborationnisme français 1933-1945, Paris, Juillard-Gallimard, 1977; Gerhard Hirschfeld, Patrick Marsh (a cura di), Collaboration in France. Politics and Culture during the nazi Oc­cupation 1940-1944, Oxford, Berg, 1989; Philippe Burrin, La France à l ’heure allemande 1940-1944, Paris, .Editions du Seuil, 1995.

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ta risulta paradigmatico il caso di “Je suis partout” , rivista politico-culturale fondata negli anni trenta che per quattro anni offrì un’importante cassa di risonanza agli attac­chi antiebraici. Ad essa collaborarono noti intellettuali dell’epoca, Robert Brasillach, Pierre Drieu La Rochelle, Lucien Rebatet, Abel Bonnard4. In nome degli ideali fascisti il giornale — che presentava pagine scelte di letteratura, accompagnate da furenti diti­rambi politici — promosse una costante e violenta requisitoria contro gli ebrei, accusati di essere responsabili di avere provocato la guerra, sempre definita juive, ebraica, e di es­sere causa principale della crisi politica, so­ciale, economica, ma soprattutto di identità in cui la Francia si trovava. “Je suis partout”, al contrario di altri giornali ferocemente anti­semiti come “Au pilori” (alla gogna), già dal titolo assai eloquente, finanziato dai tede­schi, consente di porre in evidenza la conti­nuità di posizione e di atteggiamento di un giornale diretto e amministrato totalmente da francesi, mostrando così che la propagan­da antiebraica nella Francia occupata, pur fortemente influenzata dall’antisemitismo te­desco, si iscrisse in modo autonomo nel filone

della tradizione dell’antisemitismo francese5.“Je suis partout” fu lanciato dall’editore

Fayard, già possessore di “Candide” , nel no­vembre 1930, con il sottotitolo “il grande set­timanale della vita mondiale” . Dapprima presentato come un giornale di informazione internazionale e, inizialmente, senza orienta­mento politico definito6, divenne presto uno dei fogli più violenti dell’estrema destra, e da luogo di raccolta delle nuove generazioni vicine all’Action Française si trasformò, ac­centuando sempre più i suoi tratti nazionali­stici, in un sostegno per il fascismo nella sua versione francese. Fu una di quelle riviste po­litico-letterarie, sorte dopo la prima guerra mondiale, che conservando il formato dei grandi quotidiani permisero lo sviluppo di pagine artistiche e letterarie di grande quali­tà. Dalle centomila copie iniziali si attestò in­torno alle trecentomila copie nel periodo del­l’occupazione7. Dopo la campagna di stampa contro il Fronte Popolare e soprattutto con­tro la figura di Blum, l’editore Fayard decise nel maggio 1936 di interrompere la pubblica­zione del giornale; la redazione si strinse allo­ra intorno al direttore Pierre Gaxotte8 e scel­se di proseguire nell’impresa, da quel mo-

4 Quest’ultimo fu membro dell’Académie Française e dal 1942 ministro deü’Education nationale. In questa veste, fu pro­motore della creazione della cattedra di Storia del giudaismo presso la Sorbona. Nell’agosto 1944 seguì il governo in Ger­mania. Radiato dall’Académie nel secondo dopoguerra, andò in esilio in Spagna e nel 1960 ritornò in Francia. Cfr. Jac­ques Mièvre, L ’évolution politique d'Abel Bonnard (jusqu'au printemps 1942), “Revue d’histoire de la deuxième guerre mondiale”, 108 (ottobre 1977), pp. 1-26 e Jean-Michel Barreau, Abel Bonnard, ministre de l ’éducation nationale sous Vichy ou l ’éducation impossible, “Revue d’histoire moderne et contemporaine”, luglio-settembre 1996, n. 3, pp. 464-478.5 Hannah Arendt, Le origini del totalitarismo. Parte prima: l ’antisemitismo, Milano, Bompiani, 1978; Jacob Katz, From préjudice to destruction. Antisemitism 1700-1933, Cambridge Mass., Harvard University Press, 1980; Léon Poliakov, Storia dell’antisemitismo, Firenze, La Nuova Italia, 1976-1990, vol. III-IV; Norman L. Kleeblatt (a cura di), L'affare Dreyfus. La storia, l ’opinione, l'immagine, Torino, Bollati Boringhieri, 1990; Pierre Bimbaum, Un mythe politique: la République juive. De Léon Blum à Pierre Mendès-France, Paris, Fayard, 1988; Michel Winock, Nationalisme, antisémiti­sme et fascisme en France, Paris, Editions du Seuil, 1990.6 Ad esso collaborarono critici e letterati non ascrivibili all’estrema destra, come Benjamin Crémieux, nato nel 1880 a Narbonne e morto deportato a Buchenwald nel 1944. Insigne italianista, segretario generale dell’Istituto francese di Fi­renze, tra l’altro scopritore di Italo Svevo e traduttore di Luigi Pirandello, Crémieux cessò la sua collaborazione a “Je suis partout” nel 1936, anche per il vistoso aumento degli attacchi antisemiti.7 Cfr. Claude Bellanger, Henri Michel, Histoire de la presse française de 1940 à 1958, Paris, Puf, 1975, vol. IV, p. 51.8 Pierre Gaxotte (1895-1982), normalien, agrégé di storia, professore, intraprese anche la carriera di giornalista. Vicino all’Action Française, fu animatore ed editorialista di “Je suis partout” dalla sua fondazione. Se ne allontanò nel 1940, in seguito a forti divergenze con gli altri membri della redazione. Eletto all’Académie Française nel 1953, fu sovrintendente al castello di Chantilly e collaboré ai più importanti giornali del dopoguerra.

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mento finanziata dall’industriale di Lione André Nicolas, dal tipografo André Lang e da un ricco possidente di origine argentina, Charles Lesca9. Seguendo Charles Maurras nella simpatia verso il fascismo italiano, nel­l’antisemitismo e nell’ostilità contro la demo­crazia, spinti anche dalla vocazione interna­zionale del settimanale, i giornalisti di “Je suis partout” dedicarono grande spazio all’I­talia fascista, al movimento rumeno della Guardia di ferro e soprattutto al rexismo di Léon Degrelle10. Durante la guerra di Etio­pia, il giornale prese posizione contro le san­zioni nei confronti dell’Italia fascista e du­rante la guerra di Spagna appoggiò aperta­mente il franchismo, dedicando contempora­neamente sempre più attenzione al nazional­socialismo. Dopo la vittoria del Fronte Po­polare, molti collaboratori aderirono al Parti Populaire Français di Jacques Doriot e il giornale divenne l’organo più importante del fascismo francese. Nel maggio 1940 il giornalista Alain Laubreaux e l’amministra­tore nonché collaboratore di “Je suis par­tout” Lesca furono arrestati perché accusati di fare propaganda contro la Francia; la pub­blicazione del giornale fu pertanto sospesa. Dopo la sconfitta, il giornale riapparve nel febbraio 1941 e mantenne sostanzialmente costante la propria linea politica. Il pubblico era composto da fedeli lettori, perlopiù gio­vani e studenti; nella nuova serie vi furono nuove firme e la collaborazione di letterati prestigiosi (Jean Anouilh, Marcel Aymé,

Drieu La Rochelle, Jean de La Varende). Progressivamente, il giornale sostituì Hitler a Mussolini quale punto di riferimento ideo­logico e consumò una rottura definitiva con l’Action Française, poco propensa alla pro­spettiva del Nuovo ordine europeo11. Duran­te l’estate del 1943 una crisi si aprì all’interno della redazione, poiché Brasillach, dopo la caduta del fascismo italiano, aveva cessato di credere nella vittoria della Germania nazi­sta ed insieme ad altri abbandonò il giornale. Il “nocciolo duro” di “Je suis partout” potè così allinearsi totalmente sulle posizioni del nazifascismo: molti dei suoi giornalisti, già aderenti al Parti Populaire Français, passaro­no alla Milice, e alcuni si arruolarono nelle Waffen SS.

La redazione

I giornalisti di “ Je suis partout” poterono vantarsi, tra i collaborazionisti, di non essere dei “convertiti” , — e a ragione — anche nel­l’antisemitismo12. Per quanto fosse Rebatet lo specialista delPantisemitismo, tutti i redat­tori di articoli politici contribuirono alla pro­paganda contro gli ebrei. Caporedattore e autore degli editoriali nel periodo dell’occu­pazione fu Brasillach. Di origine catalana (1909-1945), allievo dell’Ecole Normale Su­périeure, aveva iniziato negli anni trenta la carriera di critico, drammaturgo e scrittore di romanzi. Seguace di Maurras, fu presto so-

9 Cfr. C. Bellanger, Jacques Godechot, Histoire de la presse française de 1871 à 1940, Paris, Puf, 1975, vol. Ili, pp. 589- 590. Sul primo periodo di “Je suis partout” si veda Pierre Marie Dioudonnat, Je suis partout 1930-1944. Les maurras- siens devant la tentation fasciste, Paris, La Table Ronde, 1973, pp. 11-60. Tale analisi, benevola con le posizioni politiche del giornale, si concentra soprattutto sul tema dell’estrema destra francese nel suo rapporto con il nazionalismo e il fa­scismo, esaminandone l’evoluzione tra il 1930 e il 1944. Essa si sofferma ampiamente sugli anni trenta, riservando al periodo 1940-1944 solo un breve capitolo conclusivo. Le notizie biografiche sui collaboratori di “Je suis partout” sono tratte dal testo, dello stesso autore, Le 700 rédacteurs de Je suis partout 1930-1944, Paris, Sedopols, 1993.10 II giornalista Pierre Daye, collaboratore del giornale dal 1932, divenne presidente del gruppo rexista della Camera dei rappresentanti in Belgio.11 Sul movimento di Maurras si veda Eugen Weber, L'Action Française, Paris, Fayard, 1987 [la ed. 1962].12 “Non siamo dei convertiti!” fu lo slogan della conferenza del giornale del maggio 1942. Cfr. Cinq milles Parisiens acclament à Magie-City les orateurs et les idées de Je suis partout, “Je suis partout” , 9 maggio 1942, p. 3.

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stenitore del nazionalismo, ma durante i suoi viaggi in Italia, Germania e Spagna si avvici­nò all’ideologia fascista e divenne ammirato­re di quella nazista13. Dal 1936 fu collabora­tore stabile nella redazione del giornale, di cui divenne l’anno seguente caporedattore. Arruolato nel 1939, fu fatto prigioniero nei giorni della disfatta e liberato nel 1941 grazie all’intervento delle autorità tedesche. Nel 1943 si recò sul fronte dell’Est per sostenere la crociata contro il bolscevismo e nell’estate del medesimo anno ruppe con la redazione di “Je suis partout” , divenendo redattore della rivista “La Révolution Nationale”, il giorna­le del Mouvement Social Révolutionnaire. Nel 1944, decidendo di non seguire i colleghi di “Je suis partout” nella fuga in Germania, si consegnò alla giustizia e fu condannato a morte e fucilato il 6 febbraio 1945, nonostan­te una campagna a favore della grazia soste­nuta tra gli altri da François Mauriac, Albert Camus, Jean Cocteau14.

Un altro collaboratore di rilievo nel perio­do giugno 1937-luglio 1943 fu Drieu La Ro­chelle, autore di numerosi articoli letterari e politici; nel periodo dell’occupazione, dive­nuto direttore della “Nouvelle Revue Fran­çaise” , pubblicò su “Je suis partout” solo ar­ticoli di critica letteraria in cui espresse il suo

accanimento contro la presenza, nella cultura francese, degli ebrei, rappresentanti della modernità che egli detestava15. Rebatet (1903-1972) fu critico musicale e cinemato­grafico, collaboratore dell’ Action Française dal 1940 e membro dal 1933 della redazione di “Je suis partout” , dove firmò le rubriche di critica cinematografica con lo pseudonimo di François Vinneuil. “Specialista” dell’anti­semitismo, diresse la redazione dei due nume­ri speciali Les juifs (15 marzo 1938) e Les juifs et la France (17 febbraio 1939). Nell’estate del 1940, chiamato dal governo àzìV Etat Français, ebbe un ruolo a Radio Vichy. Fu anche autore del libro di maggior successo commerciale negli anni dell’occupazione, Les Décombres (Le macerie)16. Nell’agosto 1944 fuggì in Germania, prima a Baden Ba- den e poi a Sigmaringen; arrestato in Austria nel 1945, fu condannato a morte nel novem­bre 1946, ma in seguito graziato. Nel secondo dopoguerra collaborò a molte riviste di estre­ma destra. Altro responsabile di una rubrica culturale venata da forte antisemitismo fu Alain Laubreaux17, già critico letterario del giornale radicale la “Dépêche de Toulouse” e di molti altri finanziati da ebrei; condanna­to per plagio dopo l’uscita del suo primo ro­manzo e sempre più emarginato dagli am-

13 Cfr. la descrizione del suo viaggio in Germania in Robert Brasillach, Notre avant-guerre, Paris, Plon, 1941, pp. 229- 231 e del suo incontro con Hitler, raffigurato in un’aura quasi divina, in ld., Notre avant-guerre, cit., p. 238.14 Si veda Pierre Assouline, L ’épuration des intellectuels, Bruxelles, Complexe, 1985, pp. 47-62 e la biografia letteraria di Anne Brassié, Robert Brasillach ou encore un instant de bonheur, Paris, Laffont, 1987, pp. 309-370.15 Pierre Drieu La Rochelle, Gilles, Gallimard, 1939, p. 99; Id., Journal 1939-1945, Paris, Gallimard, 1992 [trad. it. Dia­rio 1939-1945, Bologna, Il Mulino, 1995]; Lionel Richard, Drieu La Rochelle et la Nouvelle Revue Française des années noires, “Revue d’histoire de la deuxième guerre mondiale”, 97 (ottobre 1974), pp. 67-84; Robert Soucy, Le fascisme de Drieu La Rochelle, “Revue d’histoire de la deuxième guerre mondiale”, 66 (aprile 1967), pp. 61-84.16 Cfr. Robert Belot, Les lecteurs des Décombres de Lucien Rebatet: un témoignage inédit du sentiment fasciste sous l ’oc­cupation, “Guerres mondiales et conflits contemporains” , 163 (luglio 1991), pp. 3-32, in cui l’autore analizza 118 lettere scritte a Rebatet dai suoi lettori. Risulta che essi erano perlopiù residenti nei quartieri residenziali delle grandi città, molti di loro ex-combattenti ed ex-prigionieri in Germania e socialmente appartenenti ai ceti agiati. Si veda anche la biografia di R. Belot Lucien Rebatet. Un itinéraire fasciste, Paris, Editions du Seuil, 1994.17 Alain Laubreaux (1899-1968), nato in Nuova Caledonia, si stabili a Parigi nel 1921, avviando una collaborazione con molte riviste e giornali del periodo. Fu critico teatrale di “Je suis partout” dal 21 ottobre 1936; dopo l’arresto con Lesca durante la disfatta acquistò maggiore importanza all’interno del giornale, quando esso riapparve nel febbraio 1941. Ol­tre a tenere una rubrica settimanale di critica teatrale, pubblicò articoli politici, romanzi, memorie. Fu una delle perso­nalità più contestate del mondo collaborazionista. Fuggito in Germania alla liberazione, andò in Spagna, dove rimase. Fu condannato a morte in contumacia nel maggio 1947.

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bienti del giornalismo, approfittò della rubri­ca di critica teatrale di “Je suis partout” per vendicarsi dei propri fallimenti e insuccessi. Nel 1942 recensì con favore Les pirates de Pa­ris, una pièce teatrale scritta da lui medesimo sotto lo pseudonimo di Marcel Daxiat, che non ottenne alcun consenso18. Fu anche l’au­tore dei piccoli échos nella pagina di cronaca, brevi notizie su fatti e persone assai vicine al­la denuncia e alla delazione. Pierre Villette, sotto lo pseudonimo di Dorsay, nella sua ru­brica settimanale di commento politico e Pierre Antoine Cousteau nei suoi numerosi articoli di politica estera non si sottrassero al­l’uso di violenti attacchi antisemiti19. Infine anche Còline, che non scrisse articoli per il giornale, — il 4 marzo 1938 “Je suis partout” pubblicò alcuni brani di Bagatelles pour un massacre —, inviò cinque lettere aperte, in­ventando un nuovo stile di intervento politi­co, spesso messo in risalto in prima pagina, in cui invitava ad aderire fino in fondo all’impe­gno collaborazionista20.

I temi della propaganda

L’analisi della campagna antisemita svolta dal giornale durante l’occupazione mostra che i numerosi articoli, redatti dall’intera re­

dazione, nonostante la varietà delle esempli­ficazioni presentano un numero di argomen­tazioni abbastanza limitato, attinto ai miti tradizionali dell’odio antiebraico21. Pur con formulazioni diverse, trovarono nuovo vigo­re i temi tradizionali della cospirazione ebrai­ca, dell’ebreo errante e straniero, della corru­zione fisica e morale del popolo ebraico; ma senza dubbio fu il tema della guerre juive a ri­sultare centrale nella propaganda di “Je suis partout” . Nel procedere alla ricerca di colpe­voli cui imputare la disfatta della Francia, nell’ambiente del collaborazionismo non vennero presi in esame i motivi comunemente addotti, come la scarsità di mezzi e di uomini rispetto al nemico tedesco, né le responsabili­tà degli alti gradi dell’esercito per non avere preparato una guerra non voluta à tout prix22, né infine venne accettata la spiegazio­ne più globale avanzata da Pétain, cioè la cri­si morale della Francia. L’intera “colpa” del­l’esito della guerra fu attribuita alle istituzio­ni repubblicane e al governo del Fronte Po­polare; dal momento che fin dagli anni trenta “Je suis partout” aveva denunziato la Répu- blique juive, ossia la dominazione degli ebrei sulla politica francese, il giornale giunse a ri­gettare la responsabilità del conflitto sugli ebrei i quali, a suo dire, avevano fortemente voluto la guerra per vendicarsi delle persecu-

18 La pièce, che rappresentava l’Affare Stavisky sul modello del melodramma, pare fosse mediocre. Cfr. Serge Added, V euphorie théâtrale dans Paris occupé, in Jean-Pierre Rioux (a cura di), La vie culturelle sous Vichy, Bruxelles, Comple­xe, 1990, p. 318. Si può trovare un feroce ritratto del giornalista nel film Le dernier métro, regia di François Truffaut (1980) sugli ambienti del teatro negli anni dell’occupazione, ben documentato sui fatti dell’epoca.19 Pierre Villette (1883-1966) collaborò a “Je suis partout” dal febbraio 1931 all’agosto 1944. Amministratore della so­cietà del giornale, scrisse anche per il giornale di estrema destra “Le cri du peuple”; nell’agosto 1944 si rifugiò in Ger­mania e poi in America Latina. Pierre Antoine Cousteau (1906-1958) dal 1932 fu uno dei principali redattori del gior­nale; nel 1942 pubblicò il pamphlet antisemita L'Amérique juive; aderì alla Milizia e si rifugiò in Germania e poi in Austria. Condannato a morte, fu poi graziato. Collaborò nel dopoguerra alla stampa di estrema destra.20 Cfr. Pierre Birnbaum, Céline, un autre Drumont in Id., "La France aux Franpais". Histoire des haines nationalistes, Paris, Editions du Seuil, 1993, pp. 199-218.21 Sulla continuità e l’evoluzione dei miti tradizionali dell’antisemitismo si vedano Norman Cohn, Licenza per un geno­cidio."! protocolli degli Anziani di Sion": storia di un falso, Torino, Einaudi, 1969; Furio Jesi, L ’accusa del sangue. M i­tologie dell’antisemitismo, postfazione di David Bidussa, Brescia, Morcelliana, 1993; Bernard Lewis, Semiti e antisemiti. Indagine su un conflitto e su un pregiudizio, Bologna, Il Mulino, 1990; Pierre A.Taguieff (a cura di), Les protocoles de sages de Sion. Faux et usage d'un faux, 2 vol., Paris, Berg Internationales, 1992; M.Winock, Nationalisme, antisémitisme et fascisme en France, cit.22 Cfr. l’analisi di Marc Bloch, L ’Etrange Défaite. Témoignage écrit en 1940, Paris, Gallimard, 1990 [la ed. 1946].

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zioni scatenate da Hitler contro i loro corre­ligionari. In tal modo i collaborazionisti pa­rigini, che credevano in una Francia fascista inserita nel Nuovo ordine europeo voluto dai nazisti, spostarono la figura del nemico da quella vera e reale del tedesco aggressore e vincitore a quella dell’ebreo. Il 7 febbraio 1941, con il numero 498 bis23, “Je suis par- tout” riapparve con un nuovo sottotitolo: “il grande settimanale politico e letterario” , che evidenziava un maggiore interesse per la Francia — era scomparso l’aggettivo “mon­diale” presente nel sottotitolo originario — e l’intenzione di rivestire un ruolo di primo piano nel mondo culturale e politico della Parigi occupata. Il titolo a tutta pagina era così formulato: “ L’azione di forza dell’E­breo Mandel” . Il primo titolo del giornale dopo il giugno 1940 non commentava quindi la sconfitta, l’occupazione o la presenza dei tedeschi a Parigi, ma riguardava il potere del ju if Georges Mandel. Colui che nella pri­mavera del 1940 veniva definito, seppure in tono critico, un “ uomo intelligente e com­plesso” , di cui non si potevano negare le “ca­pacità di lavoro, il senso dell’autorità”24, da quel momento incarnò l’Ebreo per eccellen­za, che, infiltrandosi nel mondo della politi­ca francese e giungendo a ricoprirvi un ruolo preminente, si era posto come primo obietti­vo quello di vendicarsi dei giornalisti di “Je suis partout” , che avevano sempre denuncia­to con veemenza e lucidità la decadenza della Francia enjuivée25. Il nemico quindi non era l’occupante tedesco, cui peraltro non fu ri­servato molto spazio aH’interno delle colon­ne del giornale, ma, seguendo l’evoluzione degli avvenimenti bellici, gli angloamericani,

i dissidenti francesi e i Résistants, e perfino gli stessi uomini di Vichy, che pur perseguen­do obiettivi affini a quelli dei collaborazioni­sti non erano arrivati a portare a termine la Révolution nationale\ tutti costoro erano ma­novrati dagli ebrei, che attraverso complotti aspiravano ad impossessarsi del potere. Nel­l’editoriale, intitolato “Motivi per rivivere e sperare” , Rebatet scriveva:

La sconfitta si abbatte su di noi. Per un sadismo razziale di cui abbiamo innumerevoli esempi nella storia, gli Ebrei, padroni del potere, hanno appro­fittato dei mali del paese, del terribile sgomento delle menti e delle cose per attuare una delle loro più dure vendette.

Spiegava poi in seguito i motivi della puni­zione, dovuta all’ iniziativa di Mandel, nei confronti del giornale. “ Unico in tutta la stampa francese, ‘Je suis partout’ aveva osa­to riprendere a fondo, razzialmente, politi­camente, spiritualmente, lo studio della que­stione ebraica, denunciando nell’Ebreo il peggiore nemico della nazione, il più temibi­le agente di putrefazione sociale e di cata­strofi belliche. [...] ‘Je suis partout’ diceva inoltre, malgrado le infernali menzogne dei giudeo-democratici, che la Germania era un grande popolo rigenerato, che esibiva lo spettacolo di una sorprendente potenza, unito dietro un grande capo”26. Dal mo­mento che “fra gli Ebrei e la nuova Germa­nia vi era una lotta mortale” e che questi avevano coinvolto anche la Francia in una guerra disastrosa, Dorsay invocava vendet­ta: “Occorre al più presto fare giustizia. An­che epurare e risanare. E necessario che la Juiverie sia distrutta” , chiamando in causa

23 Fu ripresa la numerazione, senza tenere conto dell’ultimo numero del giugno 1940, uscito per volontà di Thierry Maulnier e Pierre Varillon, che l’avevano pubblicato senza alcun cenno all’arresto di Lesca e Laubreaux.24 Manchette censurée, “Je suis partout” [d’ora in poi Jsp], 26 maggio 1940, p. 1.25 Charles Lesca scrisse un libro, Quand Israel se venge..., pubblicato a puntate sul giornale dal 7 febbraio al 14 marzo 1941, sull’arresto suo e di Laubreaux del giugno 1940 con l’imputazione di fare propaganda per la Germania nazista. Il rapporto di polizia relativo all’arresto è riportato in Comment les valets de Mandel fabriquaienl une inculpation, Jsp, 7 febbraio 1941, pp. 4-5.26 Lucien Rebatet, Raisons de vivre et d ’espérer, Jsp, 7 febbraio 1941, pp. 1 e 2.

264 Valeria Gaiimi

gli uomini politici della Terza Repubblica, che furono poi processati a Riom27. Il mito tradizionale delFomicidio rituale ritrovava quindi nuova forza: gli ebrei, avidi di san­gue cristiano, erano colpevoli del fatto che i soldati francesi fossero stati costretti a ver­sare sangue in battaglia. “Quando Israele si vendica... si vendica bene” , sosteneva Dor- say nella sua rubrica settimanale. “Voglia­mo dire che si vendica con crudeltà e fero­cia. Giunge fino alla tortura e all’assassi­nio”28.

Altro tema tradizionale che si sviluppò e si adattò ai tempi di guerra fu quello dell’e­breo errante che fuggiva dalla Francia, ve­nendo meno alle responsabilità verso il pae­se e effettuando scelte contrarie a quelle dei buoni patrioti, quale si era invece mostrato Philippe Pétain che aveva rifiutato, facendo dono di sé alla Francia, di lasciare il suolo francese e di trasferire la sede del governo in Africa del Nord, per continuare di li i combattimenti. Gli attacchi della redazione del giornale si rivolsero inizialmente a colo­ro che dopo la disfatta, nell’estate 1940, avevano lasciato il paese, come i parlamen­tari che si erano imbarcati alla volta di Ca­sablanca sulla nave Massilia29, tra cui Jean Zay, Pierre Mendès-France o Georges Man- del, considerati dalla campagna di stampa che seguì la loro partenza come traditori, o a coloro che avevano trovato rifugio negli Stati Uniti all’avvicinarsi dei tedeschi nella capitale francese, come il drammaturgo

Henri Bernstein. In quest’ultimo caso, acre­dini professionali si mescolavano alla nuova formulazione dello stereotipo del disertore: Bernstein era definito infatti “ebreo due volte disertore, questo vigliacco e perfido nemico del nostro paese”30.

Un ulteriore motivo polemico fu quello dell’invasione tentacolare degli ebrei nella società francese. A partire dai primi numeri della nuova serie, tra i collaboratori di “Je suis partout” il dottor Paul Guérin si occu­pò di una singolare rubrica di medicina, “ Guéris-toi” , che illustrava e interpretava lo stato deplorevole dell’ambiente medico muovendo dalla presenza, o meglio dall’in­vasione degli ebrei31; ne risultò una serie di articoli contro il “ giudaismo medico, contro il parlamentarismo medico, per la Corporazione medica” 32. Nel quadro delle sue considerazioni, Guérin spiegava pure che l’esclusione degli ebrei, sancita dallo Statuto nell’ottobre 1940, dall’insegnamen­to, dal cinema, dal giornalismo o dall’eserci­to avrebbe dovuto essere estesa anche alle professioni liberali; inoltre le deroghe con­cesse agli ebrei insigniti di onorificenze per meriti di guerra non avevano alcun fonda­mento. “Pertanto né decorazioni né ferite, né questi meriti incontrastati, potrebbero fare di un negro un bianco, di un cinese un europeo, di un Ebreo un borgognone. [...] Concludiamo semplicemente che occor­rerà arrivare al numerus clausus”33. U n’al­tra professione che secondo i giornalisti

11 Dorsay, Epilogue de la guerre juive. Le sang innocent crie justice, Jsp, 7 febbraio 1941, p. 3.' 8 Dorsay, La république franc-maponne continue, Jsp, 21 febbraio 1941, p. 2.' 9 Cfr. P. Birnbaum, Un mythe politique, cit., pp. 160-162 e Christiane Rimbaud, L'affaire du “Massilia", été 1940, Pa­ris, Editions du Seuil, 1984.30 Partout et ailleurs, Jsp, 14 febbraio 1941, p. 2. Bernstein querelò Laubreaux per diffamazione e vinse la causa contro il giornale. Cfr. Henri Poulain, Bernstein fond sur Je suis partout à coups...de Masse, Jsp, 28 febbraio 1941, p. 3. Cfr. anche, sulla perdita di nazionalità francese del drammaturgo in seguito alla sua emigrazione negli Usa per decisione di Pétain, Un héros, un déserteur, Jsp, 12 maggio 1941, p. 2. Sull’evasione di Pierre Mendès France, cfr. Les juifs errants, Jsp, 30 giugno 1941, p. 1.31 Paul Guérin, A votre santé. Les médicins français sont-ils défendus?, Jsp, 28 febbraio 1941, p. 5.3~ P. Guérin, Profession de foi, Jsp, 28 luglio 1941, p. 5. Guérin cessò la sua collaborazione al giornale dopo l’attentato subito nell’autunno 1943, in cui rimase ferito.33 P. Guérin, Profession de foi, cit.

La “guerre juive” 265

doveva essere depurata dalla presenza ebraica era quella forense. Il giornale riferi­va che un’associazione di giovani avvocati, il Jeune barreau, aveva votato una mozione che richiedeva l’esclusione dell’elemento ebraico, diventato sempre più numeroso durante la stagione del Fronte Popolare. Per quanto fosse difficile stabilire con cer­tezza una statistica, poiché molti ebrei si dissimulavano sotto nomi francesi, l’autore asseriva che “ su 2.000 avvocati iscritti, al­meno 350 sono Ebrei. Per coloro che fanno pratica, la proporzione è ancora più forte: almeno 175 su 800, di cui un grande nume­ro di donne. In totale più di 500 su 2.800” 34. Contro l’invasione degli ebrei nell’economia francese, i giornalisti di “Je suis partout” ne richiedevano a gran voce l’espulsione attraverso l’applicazione di una legislazione più rigida e severa. Neppu­re la normativa in vigore, troppo moderata a loro avviso, emanata da Vichy, era seria­mente applicata. Gli ebrei furono poi accu­sati di essere i responsabili del mercato ne­ro; in tal modo fu creato un nemico visibile verso cui dirigere il malcontento della po­polazione, cosi da dissimulare la reale ope­ra di spoliazione messa in atto dall’occu­pante nazista35.

L’intera colpa dell’esito della guerra fu at­tribuita alle istituzioni repubblicane e al go­verno del Fronte Popolare. “ La Terza Re­pubblica, di origine e di carattere essenzial-

mente massonico, è crollata. La sua effigie scomparirà dai nostri francobolli, dalle nostre monete. Il suo busto scomparirà — osiamo crederlo — dagli edifici pubblici. [...] La re­pubblica radicale e socialista, strumento poli­tico delle Logge inglesi, ha condotto la Fran­cia dove nessun regime l’aveva guidata. Deve pagare. Pagherà. Sparirà dai nostri spiriti e dalle nostre consuetudini”36. In tal modo la direttiva della propaganda nazista tesa a pre­sentare il conflitto bellico come guerra “pre­ventiva” fu portata avanti con ardore e con abbondanti esemplificazioni dalla redazione del giornale. Scriveva Dorsay: “L’astuzia del­la propaganda massonica ed ebraica — vi so­no interessi collegati in tutti i continenti —, è di alimentare confusione sulle origini della guerra. Questa guerra non deve sembrare una guerre juive voluta dagli anglosassoni di Londra e di Parigi per punire Hitler di aver cacciato gli Ebrei e attaccato i regimi demo­plutocratici”37. Già all’indomani della scon­fitta il governo di Vichy aveva indicato nella debolezza morale della classe politica francese la principale causa del crollo della Francia38; il giornale dalla sua riapparizione chiedeva a gran voce che gli uomini politici della Terza Repubblica fossero condannati alla pena ca­pitale39. Nel febbraio 1942 il governo offrì al­l’opinione pubblica come capro espiatorio per la sconfitta la classe politica del Fronte Popo­lare, istruendo un processo a Riom, vicino a Clermont-Ferrand. Si scatenò una violenta

14 Le Palais de Sion, senza firma, Jsp, 11 aprile 1941, p. 2.35 Cfr. P. Birnbaum, Un mythe politique, cit., p. 267. Sul ruolo dei nazisti nel mercato nero si veda M.R. Marrus, R.O. Paxton, Vichy et les juifs, cit., p. 259 e anche Jacques Delarue, Trafics et crimes sous l ’occupation, Paris, Fayard, 1988, pp. 32-35.36 Dorsay, Nous voulons de l ’action non de l ’inaction, Jsp, 4 aprile 1941, p. 2.37 Dorsay, Une nouvelle mystification maçonnique, Jsp, 7 marzo 1941, p. 2.3S Philippe Pétain, Discours aux Français. 17 juin 1940-20 août 1944, a cura di Jean-Claude Barbas, Paris, Michel, 1989, passim.39 Di Jean Zay vennero rivelati alcuni appunti, con lo scopo di voler dimostrare il suo zelo nel fomentare la guerra, De Munich à la guerre (Notes au jour le jour), Jsp, 28 febbraio-18 aprile 1941, ripubblicati in seguito come Carnets secrets de Jean Zay (De Munich à la guerre), a cura di Philippe Henriot, Paris, Les Editions De France, 1942. Cfr. l’accusa di debolezza della corte di Riom in Dorsay, Inquiétude à Paris, carence à Vichy, Jsp, 28 febbraio 1921, p. 2; L. Rebatet, Reynaud, Gamelin, Mandel, Jsp, 23 giugno 1941, p. 4.

266 Valeria Gaiimi

campagna di stampa soprattutto nei confron­ti dei Juifs d’Etat40, le personalità ebree della Terza Repubblica, che pur di orientamento politico assai diverso avevano in comune l’o­rigine ebraica, come Mandel o Mendès- Fran- ce, o presunte tali, come Jean Zay, ministro della Pubblica istruzione. Tuttavia fu Léon Blum ad essere additato come massimo re­sponsabile: “La corte suprema può perfetta­mente pronunciare una condanna alla pena capitale contro gli accusati Blum, Daladier, Gamelin, Guy la Chambre e Pierre Cot impu­tati di aver tradito i doveri del loro ufficio e anche contro Mandel, colpevole di attacco al­lo Stato”41 42. Dorsay nel suo articolo del feb­braio 1942, commentando lo svolgimento del processo di Riom, esordiva: “ M. Léon Blum ha mantenuto, nel processo di Riom, la sua posizione di ebreo. Non poteva sottrar­si a questa fatalità. E apparso, come sempre,

,,42stranieroGià dal primo numero il tema della razza

ebraica “inassimilabile” al popolo francese fu arricchito di nuova forza, a causa della le­gislazione ufficiale di impronta razzista; Dor­say sosteneva che “un Ebreo non può miglio­rare perché non può cessare di essere un Ebreo”43; nel maggio 1941 Rebatet illustrava una serie di misure di “salute pubblica” :

Esprimo la nostra opinione dicendo che siamo razzisti. [...] L’esperienza ci insegna che esiste una sorta di uomini, chiamati Ebrei, che si rivela­no inassimilabili alle nostre antiche stirpi di uomi­

ni occidentali, e che in quasi tutte le unioni l’eredi­tà ebraica ha prevalso in modo pericoloso.

Egli affermava poi che gli ebrei residenti in Francia da molte generazioni erano origi­nari anch’essi del ghetto; contro tutti gli ebrei, quindi, era necessario stabilire misu­re che prevenissero qualsiasi contaminazio­ne, praticando una politica razzista. “ Con­tro questi uomini segnati da una sozzura secolare, che non può essere cancellata né dalle conversioni né dalle diluizioni, dob­biamo difendere la nostra razza di Occiden­tali — Dobbiamo promulgare contro gli Ebrei le leggi in difesa del sangue” , impe­dendo i matrimoni fra ebrei e cristiani44. Anche secondo l’opinione “ scientifica” di Guérin era necessario difendere il popolo francese dai globuli inassimilabili: “ Il glo­bulo ebraico non si mescola, sopravvive e trionfa in tutti gli incroci”45. Se numerose erano le descrizioni di ebrei secondo gli ste­reotipi fisici dell’antisemitismo popolare, tale tema trovava uno spazio ancora mag­giore nell’iconografia. Infine, la corruzione fisica, la sozzura insita nell’animo ebraico erano attribuite anche ai bambini, come il giornalista sottolineava nella descrizione di piccoli scouts: “ Si vedono sfilare tristi greggi sotto l’uniforme insozzata del cande­liere a sette braccia. Con le ginocchia spor­che, le gambe storte, la schiena curva sotto un sacco che sembra essere la bisaccia del­l’eterno viaggiatore, vanno per i nostri sen-

40 La definizione è di P. Birnbaum, Les fous de la République: histoire politique des Juifs d ’Etat. De Gambetta à Vichy, Paris, Fayard, 1992.41 In realtà Blum approfittò della propria difesa per svolgere le sue riflessioni sulle responsabilità della guerra, soste­nendo le istituzioni repubblicane e accusando gli avversari del Fronte Popolare di aver voluto affondare la Francia. Il processo divenne scomodo e lo stesso Hitler dette disposizioni per la sua sospensione. Si veda R. Brasillach, “Mon procès est celui de la République" a dit justement Léon Blum, Jsp, 14 febbraio 1942, p. 1. Cfr. Giorgio Caredda, Il Fronte Popolare in Francia 1934-1938, Torino, Einaudi, 1977, pp. 291-294 e Henri Michel, Le procès de Riom, Paris, Albin, 1979.42 Dorsay, Blum, procureur de la III République contre la France, Jsp, 28 febbraio 1942, p. 2. Cfr. Id., Qui en France depuis 1933 voulait et cherchait la guerre?, Jsp, 7 marzo 1942, p. 2.43 Dorsay, Epilogue de la guerre juive. Le sang innocent crie justice, Jsp, 7 febbraio 1941, p. 3.44 L. Rebatet, L'intelligence française doit prendre position sur le problème de la race, Jsp, 19 maggio 1941, p. 8.45 P. Guérin, A votre santé. Au pied du mur, Jsp, 30 giugno 1941, p. 6.

La “guerre juive” 267

tieri; suoni rochi escono dalle loro gole de­formate”46.

Gli ebrei dietro l’anti-Francia

Con il susseguirsi degli avvenimenti bellici, si moltiplicarono le accuse nei confronti dei nemici della Francia; gli articoli politici furono l’esemplificazione infinita del tema della cospirazione mondiale ebraica; quanto all’attacco contro gli ariani, mutavano gli “esecutori” , rappresentati da coloro che in un dato periodo avevano riscosso maggiore successo militare, ma dietro ognuno di essi, fosse Stalin o Roosevelt o De Gaulle, si ce­lavano sempre gli ebrei. La riflessione poli­tica si svuotava di contenuti, per appiattirsi in un lungo e costante attacco contro gli av­versari del Reich. “Dietro Churchill a Lon­dra, anche dietro Roosevelt, vi sono innan­zitutto gli Ebrei. Ne abbiamo innumerevoli prove: dal 3 settembre 1939, questa assurda guerra è ebraica”47 48. Gli ebrei ordivano un complotto, attraverso alleanze strategiche con il bolscevismo sanguinario, con le po­tenze democratiche degli angloamericani e con i principali traditori, i francesi agli ordi­ni di De Gaulle, che si erano messi al servi­zio degli stranieri e miravano a distruggere il Nuovo ordine europeo, foriero di pace e di progresso, con l’intenzione in realtà di sottomettere la Francia e l’Europa alla schiavitù di un dominio ebraico. Nel corso dell’inverno del 1941 furono numerosi gli articoli soprattutto contro la Gran Breta­gna, con l’obiettivo di sottolineare il suo isolamento; in seguito, oltre ad essere sede

della finanza ebraica mondiale, essa aveva anche accolto i traditori francesi, De Gaulle

• • • '48e i suoi sostenitori .Inizialmente il regime di Vichy era appro­

vato da “Je suis partout” in quanto esecuto­re della politica che il giornale aveva propa­gandato negli anni trenta; la figura di Pétain era onorata e raccoglieva spesso manifesta­zioni di stima. Brasillach notava che il regi­me aveva fin dall’inizio adottato le misure politiche proposte per risolvere il malessere della nazione: “statuto degli Ebrei, soppres­sione del parlamentarismo e della massone­ria, statuto della gioventù, collaborazione fra le classi, adattamento alla Francia di ciò che può essere utile nelle esperienze stra­niere che noi abbiamo descritto con precisio­ne, che siano tedesche, spagnole o italia­ne”49. Tuttavia, già dopo appena pochi mesi dalla creazione àzWEtat Français, la redazio­ne di “Je suis partout” muoveva rimproveri al governo di Vichy perché non aveva avuto il coraggio di attuare fino in fondo la “rivo­luzione nazionale” . Dapprima la colpa era imputata al mancato ricambio del personale che rimaneva quello del Fronte Popolare, contaminato ancora dalla Juiverie50, ma ben presto per i collaborazionisti apparve chiaro che il governo di Vichy non voleva adottare misure radicali per l’applicazione rigorosa della legislazione ebraica. Le allu­sioni a una complicità con gli ebrei apparve­ro sin dall’inizio del nuovo corso di “Je suis partout” , nei primi mesi del 1941, anche se celati dietro le brevi notizie degli échos. Era riportata la notizia che l’ebreo rumeno Moi- se Goldyn, ex direttore del teatro di varietà Abc, non aveva preso il treno per Lisbona,

46 Claude Maubourguet, Jeunesse d ’Israël, Jsp, 24 gennaio 1942, p. 8.47 Partout et ailleurs, Jsp, 18 aprile 1941, p. 2.48 François Dauture, L ’Angleterre chassée des Balkans, Jsp, 7 marzo 1941, p. 4. Cfr. Dorsay, L ’Angleterre laisse tomber le masque, Jsp, 14 marzo 1941, p. 2; Dorsay, Du ridicule à la sottise, Jsp, 11 aprile 1941, p. 2. Si veda Max Pevsner, Les thèmes de propagande avant le 22 juin 1941, “Revue d’histoire de la deuxième guerre mondiale” , 64 (ottobre 1966), pp. 29-38.49 R. Brasillach, Le cri ardent d ’un prisonnier, Jsp, 21 marzo 1941, p. 1.70 Dorsay, La Révolution Nationale n ’est encore qu’ une chimère, Jsp, 18 aprile 1941, p. 2.

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ma si era stabilito, grazie alle sue vecchie amicizie politiche, a Vichy51.

Se nel primo periodo fu la Gran Bretagna ad attirare l’avversione del giornale, a partire dall’attacco all’Unione Sovietica, il 22 giu­gno 1941, furono svelate le collusioni tra le potenze nemiche, che avrebbero portato alla vittoria del bolscevismo in Europa e con esso alla fine della libertà e della civiltà. “La guer­ra in Russia ha fatto luce sulla collusione, che risale molto indietro nel tempo e che non ha mai avuto fine, fra Israele e i comunisti” 52. Anche le cellule dei comunisti della zona libe­ra erano senz’altro sostenute dal denaro di ebrei e lavoravano in accordo con i gollisti. Già allo scoppio della guerra, “Je suis par­tout” scatenò una campagna anticomunista, considerando lo scioglimento del partito co­munista francese, avvenuto nel settembre 1939, una “misura salutare” , che doveva aprire il cammino all’estirpazione del comu­niSmo53. L’attacco all’Unione Sovietica da parte del Reich venne presentato come una mossa preventiva per evitare la conquista bolscevica dell’Europa, che avrebbe causato “un flutto selvaggio che si riversa fino a Li­sbona — e forse raggiunge perfino Lon­dra” 54. Il bolscevismo era presentato come il mostro barbaro e distruttore, contro cui venne invocata una vera e propria “crociata” in difesa della civiltà; questo appello serviva in realtà a propagandare l’azione della Lé­gion des volontaires français e a legittimare la partecipazione militare della Lrancia alla

guerra contro l’Unione Sovietica55. La collu­sione paradossale tra il Capitale, rappresenta­to dalle potenze angloamericane, e il comuni­smo era in realtà possibile per la presenza del- l’“Ebreo” , che muoveva le fila del complotto internazionale contro il Nuovo ordine euro­peo. Il bolscevismo juif, che si serviva quindi delle potenze angloamericane per instaurare il proprio dominio, divenne il nemico princi­pale fino al termine della guerra. Cousteau definiva il bolscevismo, riprendendo le parole del “geniale” Céline, “la più esorbitante im­presa di frottole immonde mai preparata da­gli youtres [termine dispregiativo per ebrei] nel corso dei secoli” . La rivoluzione russa aveva difatti organizzato il più gigantesco po­grom di ariani di tutti i tempi, tanto che era sufficiente essere coscienti del pericolo ebrai­co per divenire automaticamente antimarxi­sti. “Ma i Lrancesi corrotti da centocinquan- t ’anni di principi immortali e definitivamente abbrutiti dal trionfo dei dreyfusardi non sa­pevano più distinguere un Ebreo da un aria­no”56, ed erano quindi stati una facile preda della propaganda comunista.

Nell’estate 1941 Rebatet compì un viaggio nelle principali città della zona non occupata, pubblicando un resoconto che lasciava inten­dere connivenze pesanti del governo di Vichy con l’“ Ebreo” . Marsiglia veniva descritta come la “cittadella del gollismo” , dove i tra­ditori erano in libertà57. Anche la massone­ria, in quanto segreta e cosmopolita, fu aspramente criticata e considerata “ lo stru-

51 Partout et ailleurs, Jsp, 14 marzo 1941, p. 2. Cfr. La révolution des dupes, senza firma, Jsp, 28 marzo 1941, p.l; L. Rebatet, La fin d ’un monde. Ce que j ’ai vu à Vichy, Jsp, 4 aprile 1941, p.l; Dorsay, Nous voulons de l ’action et non de la reaction, Jsp, cit., p. 2.52 L. Rebatet, Marseille la Juive, Jsp, 30 agosto 1941, p. 4.53 Cfr. Dorsay, La dissolution du parti communiste: cette mesure salutaire doit en précéder d ’autres. Où il faut porter le fer rouge, Jsp, 6 ottobre 1939, p. 2. Cfr. Jean M., Combattre le communisme et collaborer- devoir social, Jsp, 3 novembre 1939, p. 2.54 En Russie desovietiséé, senza firma, Jsp, 4 ottobre 1941, p. 10.55 Dorsay, Et voici que l ’horizon s ’éclaircit, Jsp, 14 luglio 1941, p. 2. Cfr. Pierre Mermet, Yves Danan, Les thèmes de propagande après le 22 juin 1941, “Revue d’histoire de la deuxième guerre mondiale”, 64 (1966), p. 48.56 P.A. Cousteau, Voilà ce que nous promettent Staline, Churchill et Roosevelt, Jsp, 7 marzo 1942, p. 1.57 L. Rebatet, Marseille la Juive, Jsp, 30 agosto 1941, p. 4.

La “guerre juive” 269

mento delle attività politiche della nazione ebraica” 58. Difatti gli ebrei non avrebbero cessato di ispirare alla massoneria la politica cosmopolita che si era manifestata con la fondazione deH’“ Humanité” , organo del partito comunista, da parte di banchieri ebrei, politica principalmente espressa dal- l’Alliance Israélite Universelle. Gli interessi e gli obiettivi della massoneria e della Juive- rie, espressione che indicava tanto l’insieme degli ebrei quanto la loro azione politica, ve­nivano quindi a coincidere: “Ora, se è inesat­to sostenere che la massoneria sia un affare specificamente ebraico, non vi è dubbio che gli interessi della Juiverie e della massoneria abbiano sempre coinciso [...] e che un masso­ne sia a priori lo strumento deH’imperialismo ebraico”59.

L’antiamericanismo comparve nella pro­paganda ufficiale del regime di Vichy solo a partire dall’entrata in guerra degli Stati Uni­ti60; già in precedenza i collaborazionisti era­no invece fortemente ostili all’America, con­siderata rifugio degli ebrei già vinti. Se Bra- sillach sottolineava che certamente “gli Ebrei d’America desideravano abbattere il nazio­nalsocialismo”61, Cousteau definiva gli Stati Uniti “ un impero interamente asservito al potere ebraico”62. Il presidente statunitense Roosevelt rappresentava poi il simbolo più evidente deWenjuivement. Cousteau esprime­va a grandi lettere il dubbio se Roosevelt fos­

se in realtà un ebreo, ma sottolineava poi che “quello che è più grave è che M. Roosevelt pensa e agisce come se fosse ebreo al cento per cento” . Difatti, continuava il giornalista, gli ebrei non avevano interesse a governare personalmente le nazioni conquistate e as­soggettate, poiché avrebbero finito per pro­vocare reazioni contro lo stesso popolo di Israele: “ l’ideale è governare per interposta persona, avere in mano un uomo di paglia di docilità già sperimentata. M. Roosevelt è il loro uomo”63. A partire dall’occupazione della zona sud nel novembre 1942, “Je suis partout” iniziò a pubblicare una serie di arti­coli per mostrare ai lettori che dietro il gene­rale De Gaulle, il cui consenso era in aumen­to, si celavano le manovre degli ebrei. “ Il mi­serabile, tradendo la patria nella sua disgra­zia, insulta la Francia nella persona del Ma- réchal Pétain. Dopo tre anni, pretende di par­lare a nome di un’altra Francia, ossia la ‘Francia libera’, mentre è agli ordini e al sol­do degli Ebrei della City!” 64. Divennero nu­merosi gli articoli che illustravano la presen­za massiccia degli ebrei nelle regioni dell’A­frica del Nord, occupate dagli alleati. Una corrispondenza informava i lettori che a Tu­nisi “ l’Ebreo è padrone, possiede tutto, co­manda tutto, impone brutalmente la sua leg­ge, la sua volontà, il suo trionfo”65. Gli atten­tati contro le forze tedesche di occupazione che si intensificarono nel 1943 furono impu-

58 J.A., La déclaration des Droits de l'Homme, messie des juifs, Jsp, 7 agosto 1942, p. 6.59 P.A. Cousteau, Roosevelt ou Rosenfeld? Choses vues, Jsp, 29 novembre 1941, p. 12.60 Cfr. Dominique Rossignol, Histoire de la propagande en France de 1940 à 1944. L ’utopie Pétain, Paris, Puf, 1991, pp. 299-301. Sull’antiamericanismo si veda M.Winock, L'antiaméricanisme franpais, in Id., Nationalisme, antisémitisme et fascisme en France, cit., pp. 50-76.61 R. Brasillach, L'amitié du Tartuffe américain est une amitié sans remède, Jsp, 25 aprile 1941, p. 1. Cfr. A. Bonnard, Nous changeons d'époque, Jsp, 21 febbraio 1941, p. 1.62 P.A. Cousteau, L ‘Amérique Juive, Jsp, 15 novembre 1941, p. 1; Id., Promenade dans le ghetto de New York, Jsp, 22 novembre 1941, p. 9; Id., Sur le sentier de la guerre, Jsp, 6 dicembre 1941, p. 8; Id., Henry Ford réduit au silence, Jsp, 21 marzo 1942, p. 4.63 P.A. Cousteau, Roosevelt ou Rosenfeld? Choses vues, Jsp, 29 novembre 1941, p. 12.64 Dorsay, De Gaulle et Giraud aux ordres de la Juiverie et de Staline, Jsp, 2 luglio 1943, p. 2.65 Several, Les Juifs en Tunisie, Jsp, 11 dicembre 1942, p. 1. Cfr. Dorsay, Et nous voyons, en Afrique, les Juifs reprendre "leur" guerre, Jsp, 22 gennaio 1943, p. 2; in Je reviens d ’Alger, senza firma, Jsp, 29 gennaio 1943, p. 1 si faceva allusione a esecuzioni segrete di fascisti; Luc Simon, Sous la bannière étoilée. Le cauchemar d'Alger, Jsp, 24 dicembre 1943, p. 1.

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tati anch’essi al terrorismo juif, il cui scopo era quello di scatenare una guerra civile in Francia per restaurare la repubblica. “E sa­rebbe per ritornare al suo vomito, ossia a una nuova repubblica democratica, massona ed ebraica — si chiedeva Dorsay — che la Francia di domani si risolleverà? Sarebbe per questo regime di putrefazione e di morte che De Gaulle e Giraud arruolano giovani francesi?” 66. Dopo l’armistizio dell’Italia dell’8 settembre 1943, cominciarono le criti­che anche verso il governo italiano, accusato di avere tradito l’Europa nazifascista. L’anti­semitismo, come sempre, aveva la funzione di “ reagente” per saggiare la lealtà verso il Reich. “Se avessimo avuto la minima esita­zione sul nostro dovere di nazionalisti france­si, ci sarebbe stato sufficiente sapere che gli Ebrei erano nel clan gollista per sapere che là era l’anti-Francia. Ora, i generali italiani erano filosemiti. Era un cattivo segno”67.

Le vicende belliche delFinvemo 1944 tolse­ro la speranza della vittoria del nazifascismo; dopo l’abbandono di Brasillach, il “nocciolo duro” del giornale si lanciò in disperati attac­chi contro gli oppositori del Reich. Nell’edi­toriale del febbraio 1944 Cousteau scriveva: “Il maquis ha obiettivi estremamente precisi: combatte per resuscitare tutto ciò che provo­ca la crisi della Francia. Ciò che desidera — senza dirlo espressamente — è che la Francia riprenda, nel punto preciso in cui l’armistizio l’ha interrotto, il suo lento processo di putre­fazione. La vittoria dei nostri nemici [...] sa­rebbe la vittoria dei germi della morte, la vit­toria del cancro, la vittoria della cause prime della nostra decadenza. Essa consacrerebbe con il trionfo della repubblica, della demo­

crazia e degli Ebrei, l’annientamento differito ma matematicamente sicuro della Fran­cia” 68. Adesso la redazione poteva palese­mente fare appello agli ideali del nazifasci­smo; sempre Cousteau, nell’editoriale di uno degli ultimi numeri si dichiarava in atte­sa di coloro che definiva ironicamente “libe­ratori” ; ancora una volta l’ebreo veniva defi­nito “collante della mostruosa coalizione che si riversa contro l’Europa, è l’Ebreo che ha fomentato questa guerra” . Paradossalmente la Germania nazista stava combattendo an­che in difesa della Francia.

Oggi, fra il baratro e noi (“noi” i Francesi, tutti i Francesi, non solamente “noi” i collaborazioni­sti), non c’è più che la presenza della Wehrmacht. Per quanto possa sembrare sconcertante, è un esercito straniero, un esercito nemico che ci ha portato nel giugno del ’40 non la liberazione, ma gli elementi, le possibilità di una liberazione reale, poiché ci dava l’occasione di rompere, d’un tratto, con centocinquanta anni di ideologia democratica e di estirpare dalla nazione il cancro ebraico69.

Evidentemente i giornalisti non sentivano più come propria una Francia libera dall’oppres­sore nazista per volontà delle potenze alleate e di quella parte di popolazione che credeva ancora validi i principi democratici. La reda­zione di “Je suis partout” si rifugiò in Ger­mania per inseguire l’ultimo vano sogno a Sigmaringen70.

L’antisemitismo nelle rubriche culturali

Il giornale concedette largo spazio al ruolo nefasto che gli ebrei avrebbero svolto nel

66 Dorsay, La haine et la menace d ’Israël sur Paris et sur la France, Jsp, 10 settembre 1943, p. 2.67 Partout et ailleurs, Jsp, 17 settembre 1943, p. 2.

P.A. Cousteau, De l'abîme à l ’esperance, Jsp, 25 febbraio 1944, p. 1; Cfr. Dorsay, Et voici, Messieurs, la guerre juive avec toutes horreurs sanglantes. C'était prévu!, Jsp, 28 aprile 1944, p. 2.69 P.A. Cousteau, Heureusement la France n'est pas seule! Jsp, 9 giugno 1944, p. 1.70 Céline, Rebatet, Villette, Cousteau, Claude Jeantet si rifugiarono in Germania, prima a Baden Baden poi a Sigma- ringen, sede del governo fantoccio negli anni 1944-1945. Cfr. Henry Rousso, Pétain et la fin de la collaboration, Sigma- ringen 1944-1945, Bruxelles, Complexe, 1984.

La “guerre juive” 271

mondo della cultura, volendo così colpire 1’ insieme di valori di cui erano ritenuti porta­tori. Nessun settore culturale fu considerato esente, ancora una volta, dall’invasione ebraica e, insieme alla denunzia, fu anche avanzata la proposta di procedere ad un’epu­razione totale.

È necessario arianizzare le nostre arti. È il compito principale, quello che deve precedere tutti gli altri, a causa degli Ebrei, il cui pullulare, simile a quello di insetti parassiti, ha messo in pericolo la bella pianta: Ebrei pittori o scultori propagano gli esempi più perniciosi, mercanti ebraici dalle spe­culazioni vergognose, critici che chiosano con ine­sauribile entusiasmo i costumi e le opere di questo vasto ghetto. Occorre impedire loro ogni manife­stazione71.

I giornalisti delle rubriche culturali denunzia­rono anche l’invasione nel cinema, nella ra­dio72 e nel teatro73. Nella sfera delle arti figu­rative, secondo Ralph Soupault la questione si poneva sotto due punti di vista: dal punto di vista puramente artistico, l’arte “degenera­ta” era “assolutamente indifendibile” ; sotto un altro profilo, il commercio delle opere d’arte era monopolizzato dagli ebrei, nono­stante la legislazione antisemita74. Nel feb­braio 1941 Drieu La Rochelle spiegava che “gli ebrei non hanno dato grandi contributi alla Francia quanto alle lettere e all’arte” ; nello stesso periodo era iniziata l’“infiltrazio- ne” degli ebrei nella letteratura; e “quanto

agli artisti, non parliamone. L’idea di un vero pittore ebreo è impossibile”75. Nella rubrica di critica cinematografica dello stesso nume­ro Rebatet, sotto lo pseudonimo di François Vinneuil, recensiva ampiamente il film di propaganda antisemita Jud Süss di Veit Har­lan, sostenendo che avesse un solo difetto: “quello di essere persino troppo sobrio” .

Süss non è solo un avventuriero malvagio, ma il simbolo vivente di Israele. E l’Ebreo avido, il corruttore astuto, che, una volta introdotto a ca­sa di un cristiano, apre dietro di sé le porte a tut­ta le tribù. E il pirata che saccheggia le finanze altrui. E lo spietato tiranno che si mantiene al potere facendo regnare il terrore. E l’azzeccagar­bugli scaltro, abile come nessuno in arguzie giu­ridiche. E l’Orientale libidinoso, il prosseneta na­to, il corruttore che ha fatto strada favorendo in­torno a sé tutti i vizi; è l’agitatore rivoluzionario, insomma il bellicista. E non smette di impegnarsi sotto tutti gli aspetti per la vittoria abominevole della sua razza76.

Nel marzo 1941 venne recensita la nuova opera di Céline, Les beaux draps, seguita da un’intervista allo scrittore che invitava a non farsi illusioni, per quanto gli ebrei in quel momento potessero apparire meno arrogan­ti, e si lanciava in una serie di eccessi verbali contro di essi77. Launey, parlando di Hein­rich Heine, lo definiva “né tedesco, né france­se, era un Ebreo integrale”78. Nel marzo 1942 Laubreaux pubblicò un’autocelebrazione, se­gnalando una pièce antisemita scritta sotto

71 L. Rebatet, Beaux arts. Entre le ju if et le pompier, Jsp, 14 febbraio 1941, p. 7. Sull’epurazione del mondo della cultura si veda Rita Thalmann, La mise au pas. Idéologie et strategie sécurative dans la France occupée, Paris, Fayard, 1991, pp. 138-153.72 Derrière le décor. Les juifs et la radio, Jsp, 4 aprile 1941, p. 7.71 H. Poulain, En parlant de leurs livres. Lucien Rebatet dénonce la corruption juive, Jsp, 25 aprile 1941, p. 6. Cfr. P. Marsh, The theatre: compromise or collaboration?, in G.Hirschfeld, P.Marsh (a cura di), Collaboration in France, cit., pp. 146-150.74 Ralph Soupault, Un scandai permanent. L'offensive de la peinture juive, Jsp, 7 febbraio 1942, p. 6.75 P. Drieu La Rochelle, De Ludovic Halévy à André Maurois ou l'impuissance du Juif en littérature, Jsp, 21 febbraio 1941, p. 6.76 François Vinneuil, Sur l ’écran. Le roi d ’Israël, Jsp, 21 febbraio 1941, p. 7. Si veda anche il suo articolo sul cinema nazista Coup d ’oeil sur le cinéma allemand, Jsp, 4 aprile 1941, p. 7.77 H. Poulain, En parlant de leurs livres. Voyage au bout de la banlieue, f ie f de Louis Ferdinand Céline, Jsp, 7 marzo 1941, p. 6.78 R. Launey, L ’imposture de Heinrich Heine, Jsp, 4 aprile 1941, p. 6.

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uno pseudonimo, Michel Daxiat, Les pirates de Paris, sull’affare Stavisky. “La gigantesca truffa dell’ebreo Stavisky è un capitolo deter­minante della corruzione ebraica, a causa della quale la nostra sfortunata patria ha ri­schiato di morire e rimane ferita e palpitante. L’esporla sulla scena francese, in un campo privilegiato degli Ebrei, dove più che altrove probabilmente esercitavano il loro abomine­vole potere, ha segnato una rottura con que­sti tempi maledetti”79. L’offensiva contro gli ebrei era accompagnata anche dalla proposta di nuovi modelli a cui fare riferimento, sulla base di una rilettura complessiva della storia in chiave antiebraica che riproponeva come padri fondatori Toussenel e Drum ont80; Cousteau poi invitava a rileggere Céline, “a immergersi in quel torrente di violenze ma­gnifiche”81, mentre contemporaneamente si combattevano gli intellettuali considerati en- juivés, come Mauriac, Gide82, che formavano l’“Accademia della dissidenza” : “Proust, Va­léry, Claudel, Giraudoux, Cocteau si sono assegnai nella letteratura contemporanea un posto di una tale importanza che non si può non vedervi un segno dei tempi. Lo stes­so segno dei tempi del nostro bizantinismo, dunque della nostra decadenza”83.

Nelle rubriche letterarie si incontravano molti stereotipi di donne ebree attive nel

campo delle arti o raffigurate in esse84. La donna ebrea era portatrice di una sessualità conturbante e malsana; il carattere esotico della donna ebrea, a cui venivano spesso con­trapposte le figure mitizzate di Giovanna d’Arco o di M arianna, allegorie femminili pure ed innocenti, se in precedenza era visto come motivo di fascino, ora rappresentava il segno del suo essere straniera. Vi erano so­vente accostamenti tra le donne ebree e le maghe o le fattucchiere, di cui si descriveva il potere malefico. Venne descritta come mo­dello di ebrea, anzi di Juif al maschile, l’attri­ce Rachel, celebre nella scena parigina nei primi decenni dell’Ottocento. Rachel veniva descritta come una donna avida, senza scru­poli, vanitosa e frivola, “caratteristiche raz­ziali” della donna ebrea, che si ritrovano in ogni spirito, “ formato in questo atavismo selvaggio” 85. Secondo Cousteau la celebre opera di Racine, Esther, avrebbe potuto illu­strare, “opportunamente commentata, nei li­cei e nei collegi, il pericolo ebraico” e rappre­sentare la vera natura della donna ebrea, cor­rotta e prostituta per il bene del suo popolo, colpevole di tradimenti e incesti. “Chi è Es­ther? Una ragazzaccia ebrea che va a letto con un monarca per assicurare la salvezza dei suoi fratelli di razza e far concedere ad Israele tutti i posti di potere” . Anche la don-

79 A. Laubreaux, Le ju if Stavisky, Jsp, 14 marzo 1942, p. 7.80 Cfr. Fleuriot de Langle, Un précurseur: Toussenel, Jsp, 18 agosto 1941, p. 8; C. Maubourguet, Les traditions antisé­mites de la France, Jsp, 30 ottobre 1942, p. 6; L. Rebatet, Drumont parmi nous, Jsp, 28 aprile 1944, p. 1. Sull’uso anti­ebraico del mito di Giovanna d’Arco si veda M.Winock, Jeanne d’Arc et les Juifs, in Id., Nationalisme, antisémitisme et fascisme en France, cit., pp. 145-156.81 P. A. Cousteau, Mais rélisez donc Céline, Jsp, 4 aprile 1942, p. 6.82 P. Drieu La Rochelle, in Gide à bâtons rompus, Jsp, 19 maggio 1941, p. 8, non mancò di citare un brano del diario di Gide in cui, pur non negando il valore degli autori ebrei, riconosceva che tale letteratura non era tuttavia da considerarsi francese a tutti gli effetti.83 P. A.Cousteau, Pour une acceptation totalitaire de Céline, Jsp, 16 giugno 1944, p. 4. Sulla decadenza come mito cul­turale e filosofico del secolo scorso si veda l’introduzione di Victor Nguyen, Aux origines de l'Action Française. Intel­ligence et politique à l'aube du XXème siècle, Paris, Fayard, 1991, pp. 33-107. Sul mito dell’eterna decadenza si veda an­che l’interessante articolo di M.Winock, L ’éternelle décadence, pubblicato in Id., Nationalisme, antisémitisme et fascisme en France, cit., pp. 103-111.84 Sulla presenza di stereotipi antisemiti in letteratura si può vedere Charlotte Wardi, Le ju if dans le roman français, 1933-1948, Paris, Nizet, 1973.85 Paul Vinson, Le ju if Rachel, Jsp, 14 agosto 1942, p. 7.

La “guerre juive” 273

na ebrea risultava colpevole di non volersi adattare al modo di vita dominante, di non provare gratitudine per essere stata accolta da una società civile; essa rimaneva dunque straniera e pericolosa86 87. A partire dalla svol­ta dell’estate 1942, che segnò il passaggio dal­la persecuzione dei diritti a quella delle vite, gli articoli sugli ebrei nelle rubriche culturali diminuirono fino a scomparire. Ancora nel dicembre 1942 per volontà di Darquier de Pellepoix e con l’accordo del nuovo ministro Abel Bonnard, venne inaugurata presso l’u­niversità della Sorbona la cattedra di Storia del giudaismo. Il giornalista di “Je suis par- tout” auspicava che questo corso diventasse materia obbligatoria di esame per il corso di laurea in sociologia o storia moderna e

87contemporanea .

L’iconografìa nella propaganda antisemita

Nel 1940 il disegno di stampa era considera­to a tutti gli effetti come un mestiere interno alla professione giornalistica. Di conseguen­za vi fu chi, tra i disegnatori, scelse di segui­re il governo a Vichy e di collaborare ai gior­nali della zona non occupata, e chi invece decise, compiendo una scelta politica, di ri­manere a Parigi. Caricature e disegni con contenuto politico non abbondarono nei giornali della zona a sud della linea di de­

marcazione, la cosiddetta zona libera, anche perché, a causa delle difficoltà finanziarie e della penuria di carta, furono sacrificati gli elementi iconografici. Tuttavia, l’abbondan­za di disegni umoristici lascia presumere che vi fosse stata anche la scelta ideologica di eliminare il disegno politico, che per sua na­tura era critico ed attaccava gli avversari, e perciò si adattava male alla politica di con­ciliazione nazionale del regime di Vichy, il quale preferiva una propaganda per “distra­zione” che si avvaleva delle immagini so­prattutto nei manifesti e nelle raccolte ispi­rate alla tradizione popolare88. Al contrario il disegno, presente in larghissima parte nel­le pubblicazioni della zona nord, divenne un elemento fondamentale del linguaggio colla­borazionista. Dato il ruolo preminente del­l’immagine nella propaganda nazista, le autorità tedesche sottoposero a regime di censura i disegni politici pubblicati nei gior­nali francesi, dal momento che in tutti gli ambienti, sia di sinistra che di destra, non erano mancati, durante la dróle de guerre, attacchi contro il nemico aggressore; furono immediatamente requisiti i documenti ico­nografici che potevano risultare in qualche modo offensivi per il Reich89.

Mosso più dalla passione politica che dal­l’avidità di denaro, si distinse tra i collabora­zionisti Ralph Soupault, sia per il notevole talento, sia per la vasta produzione; fu il dise-

86 P. A. Cousteau, Un livre à ne pas mettre entre les mains des enfants. L'"Esther" de Racine, Jsp, 18 settembre 1942, p. 6. Cfr. Paul Vilson, Pierre Louys et les juifs, Jsp, 19 marzo 1943, p. 6.87 Henri Landon, Drumont à la Sorbonne, Jsp, 18 dicembre 1942, p. 1. Il corso fu un sostanziale fallimento per la man­canza di frequentatori. Cfr. Claude Singer, L'échec du cours antisémite d ’Henri Labroue à la Sorbonne, “Vingtième Siè­cle”, 39 (luglio-settembre 1993), pp. 3-9.88 Sulla propaganda del regime di Vichy si possono vedere: Philippe Amaury, De l ’information et de la propagande d'E- tat, les deux premières expériences d'un Ministère de l ’Information en France, Paris, Librairie générale de Droit et de Ju­risprudence, 1969; Gérard Miller, Les pousse-au-jouir du Maréchal Pétain, Paris, Editions du Seuil, 1975; Christian Fau­re, Le projet culturel de Vichy. Folklore et Révolution Nationale 1940-1944, Lyon, Pul\Cnrs, 1989; Laurent Gervereau, Denis Peschanski (a cura di), La propagande sous Vichy, Paris, Bdic, 1990; D. Rossignol, Histoire de la propagande en France, cit.89 Cfr. Christian Delporte, Le dessin de presse, in L.Gervereau, D.Peschanski (a cura di), La propagande sous Vichy, cit., pp. 172-179; Id., Les crayons de la propagande. Dessinateurs et dessin politique sous l ’occupation, Paris, Ed. du Cnrs, 1993; Id., Journalisme, propagande et collaboration 1940-1944: le cas des dessinateurs de presse, “Guerres mondiales et conflits contemporains”, 169 (gennaio 1993), pp. 117-135.

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gnatore più pagato, tanto che raggiunse uno stipendio pari a quello di un giornalista con funzione di inviato speciale. Collaborò nel periodo dell’occupazione, oltre che a “Je suis partout” , anche a “ La Gerbe” , “Jeunesse” , “Le Petit Parisien” , “ L’Appel” . Iniziò una collaborazione privilegiata con “Je suis par­tout” dal momento della sua riapparizione, nel febbraio 1941, pubblicando per centoses- santasette numeri una vignetta a più colonne in prima pagina, su temi d’attualità.

L’iconografia antisemita ebbe un’impor­tanza rilevante aH’interno di “Je suis par­tout” . La caricatura dell’ebreo fu messa in prima pagina durante i quattro anni dell’oc­cupazione; attraverso l’immagine stereotipa­ta dell’ebreo si voleva trasmettere al lettore l’idea di un essere abietto fisicamente, causa di tutte le miserie della Francia. Se la redazio­ne di “Je suis partout” aveva sempre sostenu­to con insistenza l’originalità dell’antisemiti­smo propagandato dal giornale, sottolinean­do con forza i legami con la tradizione antise­mita francese, un confronto con il più diffuso giornale antisemita nazista “ Der Stürmer” permette di evincere l’influenza esercitata, malgrado le differenze, dall’antisemitismo te­

desco nel campo iconografico 90. Nell’ambito dei messaggi antisemiti attraverso le immagi­ni emergono, da una parte, le maggiori diver­genze tra la propaganda di Vichy e quella dei collaborazionisti91, dall’altra invece l’impor­tazione di alcuni temi grafici dell’antisemiti- smo dalla propaganda nazista. Se infatti la propaganda scritta ebbe come riferimento la tradizionale giudeofobia francese a carat­tere xenofobo, di cui venivano ripresi slogan e formule, nelle caricature vi erano piuttosto messaggi antisemiti ancora più semplificati, caratterizzati da forti accenti razzisti. E nota l’importanza del ruolo dell’immagine nell’ap­parato propagandistico tedesco. Manifesti, cartoline, poster, film — si pensi al celebre Jud Süss di Veit Harlan e a Die Rothschild di Erich Waschnek — svilupparono una viru­lenta propaganda razzista attraverso le im­magini. Le autorità tedesche, inoltre, finan­ziarono in zona occupata ingenti campagne di manifesti antisemiti, spesso copie di quelli editi in Germania. È pertanto utile svolgere un breve raffronto con il giornale “Der Stür­mer” , di cui “Je suis partout” aveva pubbli­cato alcune vignette nei numeri del 1938 e 1939 dedicati agli ebrei92.

90 Gli studi sull’antisemitismo tedesco sono oggi molto numerosi. Per un primo approccio si rimanda alla sintesi di Pier­re Sorlin, L'antisemitismo tedesco, Milano, Mursia, 1970. Sulla propaganda specificamente antisemita si veda Zbynek A. Zeman, Nazi Propaganda, London-New York, Oxford University Press, 1973, in particolare alle pp. 85-91.91 Per un regime che utilizzava in modo massiccio la propaganda iconografica stupisce il numero limitato di manifesti antisemiti. Il governo di Vichy difatti non produsse fino alla fine del 1942 una propaganda apertamente antisemita at­traverso l’immagine, come emerge chiaramente anche dal catalogo della mostra tenuta a Parigi sulla propaganda di Sta­to curato da L. Gervereau e D. Peschanski (La propagande sous Vichy, cit.) Il governo tuttavia creò dal 1941 presso il Commissariat General aux Questions juives un “servizio di informazione e di propaganda sulle questioni ebraiche” . Collegato ad esso fu l’Institut d’Etude des Questions Juives, promotore di campagne di manifesti contro gli ebrei, della pubblicazione di opuscoli e deH’allestimento dell’esposizione “Le juif et la France” inaugurata nel settembre 1941. Cfr. Joseph Billig, Le Commissariat Général aux Questions Juives, 3 voi., Paris, Cdjc., 1955, e P. Birnbaum, George Montan- don: l ’anthropologie vichyste au Service du nazisme, in Id., "La France aux Franpais", cit., pp. 187-198.92 II giornale “Der Stiirmer” fu fondato nel 1923 da Julius Streicher, Gauleiter di Norimberga, antisemita fanatico, con l’intenzione di pubblicare un foglio di lotta nazionalsocialista, il cui sottotitolo era “settimanale in lotta per la verità”. La verità di Streicher era in realtà raggiunta attraverso la descrizione dell’“Ebreo” e lo svelamento dei suoi crimini. Pur non essendo un organo della Nsdap, bensì proprietà privata del suo direttore Streicher, fu favorito da Hitler ed ebbe la funzione, dal 1923 al 1945, di diffondere l’odio contro gli ebrei, all’interno della propaganda ufficiale del regime nazio­nalsocialista. La tiratura salì nel 1935 intorno alle 800.000 copie, e non scese mai, ad eccezione degli ultimi mesi, al di sotto delle 500.000. I numeri speciali avevano una tiratura più alta, sul milione di copie. Il giornale non è stato ancora oggetto di un’analisi approfondita; si può fare riferimento a pochi studi, da cui sono state tratte le informazioni qui riportate. Il primo, di Fred Hahn-Wagenleher Guenther, Lieber Stiirmer! Leserbriefe und das NS-Kampftblatt 1924

La “guerre juive” 275

Dall’estate 1940 il giornale fu presente an­che nelle edicole della capitale francese per i soldati tedeschi. La propaganda politica dei due giornali era specularmente rovesciata: mentre nel giornale tedesco il protagonista dei disegni era sempre l’ebreo raffigurato con elementi simbolici (ad esempio la ban­diera della Gran Bretagna), nelle vignette di “ Je suis partout” vi erano soprattutto gli alleati con simboli ebraici, e quindi con­siderati enjuivés. Tale differenza è compren­sibile se si prende in esame la natura dei due giornali: di tipo popolare e con un pubblico assai vasto “Der Stürmer” , di natura politi­co-culturale e rivolto ad un pubblico più ri­stretto il giornale francese. Nel giornale di Streicher erano adoperati materiali costosi come il colore rosso, di cui talvolta venivano dipinte le caricature di Fips93 e un abbon­dante materiale fotografico, non presenti nel giornale francese probabilmente anche per ragioni economiche; vi erano toni volga­ri e forti riferimenti alla violenza o alla per­versione sessuale, del tutto assenti in “Je suis partout” . “Der Stürmer” inoltre era in­teramente dedicato alla questione ebraica; in ogni numero si poteva leggere il motto: “Juden sind unser Unglück!” (Gli ebrei sono la nostra rovina!). Tuttavia dal confronto emerge che l’impostazione della prima pagi­na di “Je suis partout” era assai simile a quella del giornale tedesco. Dal 1941 “Je suis partout” mise in prima pagina una vi­gnetta di gran formato, dedicata agli ultimi avvenimenti politici. Anche in “Je suis par­tout” , inoltre, l’antisemitismo non si limita­

va alle vignette, poiché non mancarono tra gli articoli forme di propaganda “nascosta” . Durante l’occupazione, per il primo periodo vi fu una rubrica che elencava i fatti più ri­levanti della settimana; essa recava disegnati simboli ebraici, per sottolineare le eventuali connessioni tra il potere ebraico e quegli av­venimenti. Ancora, accanto al titolo della rubrica di economia vi erano l’immagine dell’ebreo capitalista e quella del vitello d’o­ro. Se quindi a prima vista le divergenze tra i due giornali potrebbero far concludere per una loro relativa estraneità, nondimeno vi sono stati senza dubbio influenze e motivi della propaganda iconografica nazista ac­colti da “Je suis partout” .

In “Je suis partout” le caricature, che per natura cercano di mettere in evidenza i difet­ti degli avversari piuttosto che proporre un’alternativa politica, insistevano soprat­tutto sui temi dell’anti-Francia. Il disegnato­re adoperava inoltre i procedimenti specifici della propaganda politica, utilizzando figure fisiche e raffigurando invece assai di rado concetti astratti, per far sì che il lettore po­tesse individuare di primo acchito i temi in questione da tratti raffigurati in maniera semplice e comprensibile, associando alla persona fisica un’idea politica negativa. L’anti-Francia era soprattutto incarnata dall’“Ebreo” ; egli era sempre presente, spes­so in secondo piano, come elemento che do­veva comunicare repulsione e di fatto psico­logicamente suggerire il motivo del conflit­to, e che contaminava con le sue qualità ne­gative gli uomini ostili aWEtat Franfais, sia

bis 1945, Stuttgart, Seewald, 1978, è soprattutto focalizzato sull’esame delle missive dei lettori inviate al giornale, il se­condo di Manfred Ruht, Der Stürmer und sein Herausgeber (Versuch einer publizistichen Analyse), è una tesi di laurea discussa presso la Hochschule für Wirtschafts- und Sozialwissenschaften di Norimberga nel 1959-1960. Infine si riman­da al catalogo dell’esposizione del materiale di archivio a cura di H. Froschauer, R. Geyer, Quellen des Hasses. Aus dem Archiv des “Stürmer” 1933-1945. Eine Ausstellung des Stadtarchivs, Nürberg, 1988.93 Diminuitivo per Philipp Rupprecht, nato a Norimberga nel 1900, caricaturista per “Der Stürmer” e altri giornali. Dal 1929 aderì alla Nsdap, per conto della quale divenne responsabile della sezione dei Wahlplakate (manifesti eletto­rali). Dopo la guerra fu accusato di avere contribuito, con i suoi disegni, alla propaganda del nazionalsocialismo e per questo condannato a sei anni di lavori forzati. Cfr. Gerhard Paul, Aufstand der Bilder. Die NS-Propaganda vor 1933, Bonn, J.H.W. Dietz Nachf, 1990, pp. 157-158.

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gli ex alleati, come i rappresentanti della Gran Bretagna e dell’America, sia i politici legati alle idee democratiche e ai principi re- pubblicani. La Gran Bretagna era raffigura­ta da Churchill, gli Stati Uniti da Roosevelt, e l’Unione Sovietica da Stalin che, del tutto trascurato fino al 1942, fu il più rappresen­tato fino al termine della guerra. Era attra­verso il ritratto fisico che si svolgeva la de­scrizione morale dell’ebreo: egli pronuncia­va parole cariche di odio, il suo sguardo era ipocrita ed astuto, veniva spesso raffigu­rato di spalle, sleale e corruttore. Seppure non mancassero allusioni all’ebraismo reli­gioso, con i candelabri a sette braccia, gli ebrei erano percepiti come una razza, raffi­gurati spesso come una tribù dannosa, che doveva essere discriminata. Vi erano poi al­cune vignette che trattavano della situazione reale degli ebrei; in esse vi erano commenti divertiti al fatto che questi, nonostante la di­scriminazione subita a causa di una legisla­zione ufficiale, continuassero a godere di privilegi attraverso mezzi illeciti, come il mercato nero e il furto. Vi era anche una striscia dedicata in forma assai edulcorata aH’internamento nei campi; finalmente, se­condo il disegnatore, gli ebrei, che non ave­vano ritegno a dichiararsi francesi, erano costretti a condividere almeno i doveri ele­mentari, lavorare e lavarsi. Gli alleati furo­no il soggetto più frequente nelle caricature di Soupault; se fino al 1942 prevaleva un at­teggiamento di derisione verso la presunta convinzione di vittoria della coalizione anti­nazista, dal 1942, con lo sbarco nell’Africa del Nord, vi fu un maggiore accanimento nel trasmettere il tema politico più impor­tante che stava alla base del collaborazio­nismo, ossia l’ineluttabilità della vittoria na­zista.

Come nella propaganda scritta, inizial­mente fu la Gran Bretagna a rappresentare il nemico principale, in quanto unico ostaco­lo all’arresto dei combattimenti, mentre gli Stati Uniti cominciarono ad essere colpiti

come bersaglio politico già prima della loro entrata in guerra; così l’asse Roosevelt- Churchill, come veniva stigmatizzata nelle caricature, fu una costante per tutto il perio­do dell’occupazione. L’Unione Sovietica, che iniziò a comparire nelle vignette di Sou­pault dal giugno 1941, divenne a partire da allora il principale bersaglio. Per quanto ri­guarda gli occupanti tedeschi, è necessario invece segnalare la loro totale assenza dalle immagini di propaganda. Tuttavia, se muta­va l’importanza attribuita ai singoli capi del­la coalizione antinazista, immutabile perma­neva il ruolo centrale dell’ebreo, attraverso il quale si voleva comunicare il messaggio che era in corso una guerra juive. Il disegna­tore, anche per una sostanziale mancanza di argomentazioni contro gli alleati, moltipli­cava i segni di riferimento all’ebreo. Chur­chill o Roosevelt erano comunemente rive­stiti di simboli legati alla religione o alla cul­tura ebraica, come la stella di David e i can­delabri a sette braccia. L’ebreo era di solito raffigurato, in forma stereotipata e fissa, in secondo piano, sotto le sembianze del mani­polatore. Le immagini dell’ebreo variavano secondo il messaggio: vi era la figura del ca­pitalista ebreo, obeso, dall’espressione pe­sante, vestito in maniera lussuosa, mentre fumava il sigaro e stringeva a sé i risultati di un bottino ottenuto con mezzi illegali. Inizialmente l’ebreo faceva pressione, attra­verso il potere finanziario dei suoi correli­gionari della City, su Churchill, affinché proseguisse nella guerra; anche la corte di Inghilterra era rappresentata con simboli ebraici. Ancora più stretti erano, secondo i disegni di Soupault, i legami tra gli ebrei e Roosevelt, che diventava un burattino ed era dipinto sotto sembianze femminili, per indicare la subalternità del presidente ameri­cano; Roosevelt veniva anche attaccato per la sua appartenenza alla massoneria, che era collegata al mito della cospirazione ebraica. Dalla fine del 1942, e soprattutto a partire dalla battaglia di Stalingrado,

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Churchill e Roosevelt vennero rappresentati come succubi del comuniSmo; da quel mo­mento fu Stalin ad emergere come il nemico principale; anche i dissidenti francesi, com­preso De Gaulle che cominciò a comparire nelle vignette, venivano presentati come fan­tocci al servizio della furia distruttrice di Stalin. Dal momento che erano presi in con­siderazione essenzialmente i nemici, il tema della rivoluzione nazionale fu all’inizio tra­scurato; comparve invece quando comincia­rono a prendere forma i sospetti e le lagnan­ze per l’attuazione del programma de liz ia i Français. Del tutto assente la figura del ma­resciallo e degli altri politici di Vichy: per la Francia si preferiva usare un simbolo, una giovane donna dalla bellezza pura e virgina­le, con un vestito dai colori nazionali, dai lunghi capelli biondi ma senza il berretto fri­gio, emblema della repubblica. Essa veniva sempre più spesso dipinta addormentata, mentre dietro di lei le forze negative del pae­se mantenevano il potere, oppure ammalata, mentre tentava una cura con l’acqua di Vi­chy. Poiché si trattava di un simbolo scono­sciuto ai lettori, vi era spesso la scritta Fran­ce sul suo vestito. Contrapposta alla figura bella e virginale dell 'Etat Français, era l’im­magine della République Juive, rappresenta­ta con il berretto frigio e il simbolo della stella di David, come una vecchia megera ri­pugnante, dai tratti volgari e con il naso adunco. Quanto agli uomini della Terza Re­pubblica più che Blum era Mandel, uomo di destra, che incarnava il bellicismo juif. Fu con grande giubilo che Soupault accolse la notizia del suo assassinio; egli dedicò alla sua morte, tanto auspicata, una delle ultime vignette.

Di fronte alla persecuzione

Nella propaganda ben orchestrata di “ Je suis partout” , che adoperava l’antisemiti­smo come chiave di lettura, semplificatrice

e riduttiva, della situazione politica france­se, vi fu un’abbondanza di proposte per ri­solvere la “questione ebraica” . In questo si deve rilevare la rottura più forte con la tra­dizione francese, che si era servita di mes­saggi giudeofobi per distogliere l’attenzione dalla necessità di una reale analisi economi­ca e politica della società, ma non aveva mai avanzato in modo articolato soluzioni e provvedimenti concreti contro gli ebrei. La novità fu rappresentata dal fatto che i gior­nalisti si trovarono, per la prima volta nella storia della Francia, di fronte ad una discri­minazione ufficiale decisa dal governo fran­cese; essi, durante i quattro anni di occupa­zione, continuarono a chiedere maggiore ri­gore e radicalità nell’applicazione della legi­slazione. Il caso di “Je suis partout” è inte­ressante anche perché la redazione trattava dello sterminio in massa del popolo ebraico disponendo di notizie di prima mano, otte­nute grazie a contatti personali con le auto­rità tedesche e a viaggi dei giornalisti nei paesi dell’Est. Gli attacchi non furono limi­tati solo agli ebrei ma, in omaggio alla vec­chia identificazione tra democrazia e giudai­smo, erano indirizzati anche a coloro che so­stenevano idee democratiche, che prendeva­no la difesa degli ebrei o che combattevano in nome di una Francia libera dall’occupan­te tedesco; tutti costoro erano considerati enjuivés, giudaizzati, e pertanto ancora più colpevoli, perché rei di avere contaminato la propria natura di ariani con una mentali­tà ebraica. A partire dall’estate 1941, il gior­nale passò ad attaccare duramente le prime voci levatesi nell’ambiente ecclesiastico e, nei mesi successivi, da parte dell’opinione pubblica in difesa degli ebrei. Sotto l’in­fluenza dell’applicazione del disegno nazista di sterminio del popolo ebraico, i giornalisti di “Je suis partout” non si limitarono a chie­dere la discriminazione ufficiale, ma pro­spettarono a più riprese l’espulsione totale degli ebrei dall’Europa. Ma con il passare del tempo, mentre l’esito della guerra si rive­

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lava sfavorevole al Reich e si compiva il pro­getto dello sterminio in massa degli ebrei, la redazione non esitò a richiederne la morte.

Nel secondo numero Dorsay si riferiva, in modo molto vago, alle misure prese in Francia e in Europa contro gli ebrei94. “Ma quando Israele, per caso, è costretto ad espiare, aspet­ta senza angoscia l’ora dell’espiazione. Dap­prima perché sa che questa espiazione non giungerà. Poi perché sa che l’attesa sarà corta. Sa infatti che, fuori, la massoneria e la Juiverie non l’abbandonano”95. L’emigrazione, che era ancora possibile nella primavera del 1941, fu vista come una fuga: “La tribù sparì come per incanto il giorno in cui avvenne l’a­vanzata tedesca su Parigi. Emigrò rapidamen­te nel sud della Francia, passò in Portogallo, e di lì si imbarcò per l’Inghilterra. Adesso parla a Radio Londra e continua a rivolgersi all’Eu­ropa centrale”96. Il primo articolo che tratta­va palesemente della persecuzione degli ebrei, firmato da Dorsay nel maggio 1941, commen­tava la retata di 3.700 ebrei, avvenuta nello stesso mese e sosteneva che, se la notizia del­l’internamento in “campi di lavoro” di una parte degli ebrei che “infettavano” la capitale aveva riscosso da parte dell’opinione pubblica molti pareri sfavorevoli e molte condanne, ciò era da attribuirsi all’ignoranza della “gravità del problema ebraico” :

Come può un francese, una francese, avere pietà della sorte di questi stranieri che non hanno fatto la guerra? [...] Che cosa dovete pensare allora sulla sorte di più di un milione di Francesi oggi prigio­nieri in Germania? [...]Dimenticate che questi stranieri, ammessi a casa nostra, non sono rimasti neutrali [...] hanno invaso tutto: il commercio, l’industria, la finanza, il tea­tro, il cinema, la stampa, la politica97.

Gli échos di Laubreaux cominciarono a ri­portare notizie sulFinternamento di “medici, giornalisti, sarti, pellicciai e uomini d’affari” che avrebbero dovuto dissodare terre incolte e costruire strade:

I 5.000 Ebrei stranieri arrestati il 14 maggio sono stati divisi in un certo numero di campi di concen­tramento. A Pithiviers, in un vecchio campo di pri­gionieri francesi — giusto ritorno delle cose — so­no quasi 1.700. [...] Rifiuto di tutti i ghetti d’Euro­pa, questa massa maleodorante geme e piange tut­to il giorno sulle sventure di Israele98.

Brasillach nell’editoriale del giugno 1941, quando entrò in vigore il secondo Statuto an­tisemita che produsse una espulsione impo­nente di ebrei dalla funzione pubblica, da mol­tissime professioni liberali, dal commercio e dall’artigianato, sosteneva che, pur non essen­do “barbari o massacratori” , i giornalisti di

94 Sulla persecuzione degli ebrei in Francia si vedano J. Billig, Le Commissariat General aux Questions Juives, cit.; Asher Cohen, Pérsecutions et sauvetages: juifs et Français sous l'occupation et sous Vichy, Paris, Les Editions du Cerf, 1993; Stéphane Courtois-Adam Rayski (a cura di), Qui savait quoi? L ’extermination des juifs 1941-1945, Paris, La Découverte, 1987; Anne Grynberg, Les camps de la honte, les internés juifs des camps français, 1939-1944, Paris, La Découverte, 1991; André Kaspi, Les juifs pendant l ’occupation, Paris, Editions du Seuil, 1992; S. Klarsfeld, Le mémorial de la déportation des juifs en France, 2 vol., Paris, Klarsfeld, 1978; S.Klarsfeld, Vichy-Auschwitz, cit.; G. Wellers, A. Kaspi, S. Klarsfeld (a cura di), La France et la question juive, cit.; M.R. Marrus, R.O. Paxton, Vichy et les juifs, cit.; R.O. Paxton, La spéci­ficité de la persécution des juifs en France, “Annales Esc”, a. 48, maggio-giugno 1993, pp. 605-619; Renée Poznanski, Etre ju if pendant la seconde guerre mondiale, Paris, Hachette, 1994.95 Dorsay, La république franc-maçonne continue, Jsp, 21 febbraio 1941, p. 2.96 Derrière le décor, Jsp, 4 aprile 1941, p. 7.97 Dorsay, Israël se lamente, mais c ’est la France qui souffre Jsp, 19 maggio 1941, p. 2. Venne pubblicata anche una lettera di un prigioniero in Germania che affermava che gli ebrei dovevano pagare per i morti, i feriti e i prigionieri francesi. Cfr. Nos prisionniers. Les spectacles des camps. Lettre de captivité, Jsp, 16 giugno 1941, p. 3.98 Partout et ailleurs. Shylock cantonnier, Jsp, 26 maggio 1941, p. 1. Si vedano anche gli échos del numero successivo Partout et ailleurs. Les lamentations du camp de Pithiviers, Jsp, 2 giugno 1941, p. 2. Nell’agosto il giornale dette la no­tizia della retata che portò all’arresto di oltre 4.000 ebrei, fra cui 200 avvocati di nazionalità francese, Cfr. Jsp, 30 agosto 1941, p. 4.

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“Je suis partout” continuavano a ritenere che la questione ebraica non fosse stata ancora ri­solta. Innanzitutto egli sottolineava che il di­scrimine tra ebrei francesi ed ebrei stranieri non solo non aveva ragione di essere, ma era di impedimento affinché lo statuto di Vichy venisse pienamente applicato

per sentimentalismo, perché si fanno errori, per­ché ci si fissa sulle “eccezioni” ; il giorno in cui de­cidessimo di considerare cittadini francesi gli Ebrei calvi, o gli Ebrei dentisti, o gli Ebrei più alti di m. 1,80, il giorno dopo stesso, per un miracolo incomprensibile, ecco che tutti gli Ebrei divente­rebbero improvvisamente calvi, dentisti e giganti. Si deve risolvere il problema ebraico, perché l’E­breo è lo straniero, è il nemico, ci ha spinti alla guerra ed è giusto che paghi".

Nell’autunno 1941 Rebatet dedicava un’in­tera pagina al resoconto di un viaggio in zo­na libera; vi aveva trovato ebrei difesi e so­stenuti da coloro che egli definiva “cristiani­liberali” , religiosi che pubblicamente aveva­no biasimato l’antisemitismo99 100. A partire dall’ottobre 1941 vi furono una serie di in­terventi relativi all’antisemitismo cattolico firmati da colui che si definiva un “religioso francese” , J.L., e atti da una parte ad ese­crare la timidezza con cui la Chiesa stava af­frontando la questione ebraica, scivolando sempre più verso posizioni democratiche, in una “ via democratica controllata dagli ebrei — maîtres d ’opinion — e mistificata dalla falsa mistica ebraica” 101, e dall’altra

ad illustrare la lunga tradizione cattolica dell’antisemitismo102.

Il giornale continuava poi criticando aspramente la mitezza con cui venivano ap­plicate le norme legislative riguardo all’inter­namento degli ebrei nei campi, che venivano descritti come luoghi ben attrezzati di viveri grazie al mercato nero e in cui gli ebrei erano padroni. “Nel campo di prigionieri: il dottor Cabanis è stato nominato ispettore medico del campo di concentramento di Beaune-la Rolande. Il meno che si possa dire è che svol­ge questo compito con la massima benevo­lenza. Invia ogni giorno in infermeria decine di Ebrei ‘esentati dal lavoro’. Manda in ospe­dale ogni settimana da 50 a 60 prigionieri ‘inabili’. Per accogliere questi Ebrei e questi meteci, ha fatto trasferire i vecchi dell’ospizio che sono stati stipati in due dormitori, men­tre i ‘prigionieri’ si riposano nelle loro camere e nei loro letti.[...] Chiediamo alle autorità competenti un’inchiesta serena” 103 104. In un lungo resoconto di una visita al campo di Pi- thiviers, Henri Poulain informava i lettori che gli ebrei erano ben vestiti, avevano la li­bertà di uscire e godevano di una situazione materiale migliore rispetto ai francesi, che dovevano fronteggiare ristrettezze economi­che; “gli ebrei si alzano e vanno a letto secon­do l’orario stabilito a loro piacimento, non sono obbligati a nessun lavoro [...]. I più fred­dolosi preferiscono stare dietro il filo spinato poiché le baracche sono riscaldate tutto l’in-

99 R. Brasillach, Nous, nous continuons, Jsp, 2 giugno 1941, p. 1.100 L. Rebatet, Piliers de synagogue, Jsp, 4 ottobre 1941, p. 10. Si faceva riferimento anche alla lettera del pastore Bò- gner al gran rabbino di Francia. Sull’atteggiamento della Chiesa si veda la terza parte Les églises, in La France et la question juive, cit., pp. 145-229 e Jacques Duquesne, Les catholiques français sous l ’Occupation, Paris, Grasset, 1986, pp. 241-269.101 J.L., La mystification des catholiques français, Jsp, 14 febbraio 1942, p. 8; J.L., La mystification catholique. Le clé­ricalisme démocratique, Jsp, 30 ottobre 1942, p. 4; J.L., Le catholicisme devant les Juifs, Jsp, 7 febbraio 1942, p. 4; J.L., La mystification des catholiques français. L'église et le racisme juif, Jsp, 21 febbraio 1942, p. 9; J.L., La mystification des catholiques. De l ’ombre à la lumière, Jsp, 14 agosto 1942, p. 8; J.L., L ’archevêque de Lyon contre les Juifs, Jsp, 20 no­vembre 1942, p. 4; J.L., Catholiques français face aux Juifs!, Jsp, 18 settembre 1942, p. 1.102 Georges Olliver, Le Saint-Siège et les juifs, Jsp, 29 novembre 1941, p. 4.103 Partout et ailleurs, Jsp, 11 ottobre 1941, p. 4.104 Cfr. H. Poulain, Du sécateur aux barbelés. Pithiviers-les Juifs, Jsp, 4 aprile 1942, pp. 1 e 4.

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Per quanto non sia possibile stabilire con certezza ciò che sapessero i collaborazionisti sullo sterminio in atto ad Est105, “Je suis par- tout” , seguendo le direttive naziste, non uti­lizzò mai la parola extermination e intraprese già dall’ottobre 1941 una contropropaganda, tentando di imputare ai sovietici le stragi di intere comunità ebraiche compiute dai nazi­sti. “ Davanti a questi fatti possiamo com­prendere il pericolo che rappresentava per noi il bolscevismo. [...] Infatti possiamo cita­re, in alcune città, atti il cui carattere non è evidentemente il patriottismo. I tedeschi, do­vunque entrino, chiedono dove siano gli ebrei, e formano un ghetto per semplice mi­sura di polizia. — Dove sono? — Noi [i sol­dati sovietici] li abbiamo uccisi questa notte, appena saputo del vostro arrivo” 106.

Nel novembre 1941, nei trafiletti che ripor­tavano le notizie da tutto il mondo, veniva ri­ferito l’inasprimento della politica antisemita nel Reich. ”Je suis partout” considerava as­sai utile estendere anche in Francia l’obbligo per gli ebrei di portare un segno distintivo, che avrebbe reso più facile la loro identifica­zione. “Ognuno sa che nel Medioevo la Chie­sa cattolica imponeva già agli Ebrei un segno distintivo. Ci si è accorti che a Berlino il nu­mero degli youpins [termine dispregiativo per ebrei] restava considerevole e una pioggia di stelle gialle si abbatté sul mètro, nelle stra­de e nei negozi” 107. Rebatet riferì lungamen­te, il mese successivo, della gioia provata quando, durante un viaggio a Vienna, aveva visto per prima volta la stella gialla:

Ho avuto a Vienna una gioia che da sola valeva il viaggio. Ho visto per la prima volta degli Ebrei, i

50.000 Ebrei che restano, con la stella gialla cucita al petto. Che sollievo! Che vendetta! [...] Il cana­gliume è segnato prima che la sua sorte, per l’Eu­ropa intera, sia stabilita, che sia definitivamente evacuato da noi. Ecco, penso agli youtres dell’altra zona francese, che si pavoneggiano con l’insegna della Légion. Penso ai loro tenaci intrighi, alla loro volontà di spezzare l’accordo franco-tedesco, di impedire la ripresa della Francia, cose che fino ad adesso sono riuscite fin troppo bene108!

Nel gennaio 1942 Brasillach scriveva nell’edi­toriale che la congiura antifascista era al ser­vizio dell’Ebreo109; “Vi sono dei parigini tal­mente ingenui da negare che, nell’ombra, gli Ebrei tentino di provocare attentati di cui al­la fine saranno i francesi a sopportare le con­seguenze” 110. La notizia della nomina del fa­natico antisemita Darquier de Pellepoix alla direzione del Commissariat Général aux Questions Juives, nel maggio 1942, fu accolta con gioia dalla redazione111. Sempre nel maggio, qualche settimana prima dell’inizio delle deportazioni verso i campi di sterminio, Cousteau illustrava in modo articolato una soluzione provvisoria del problema ebraico, in vista della risoluzione definitiva di tale questione possibile e realizzabile solo dopo la guerra. Dal momento che gli ebrei doveva­no essere considerati come nemici, Cousteau proponeva apertamente e a grandi lettere che “fino al ritorno dell’ultimo dei nostri prigio­nieri, un ebreo non può avere, sotto alcun pretesto, una situazione morale e materiale superiore a quella di un prigioniero di guerra francese” , situazione che prevedeva la chiu­sura in campi di concentramento e lo sfrutta­mento come manodopera.

105 Cfr. Philippe Burrin, Que savaient les collaborationnistes? in S. Courtois, A. Rayski, Qui savait quoi? L'extermination des Juifs 1941-1945, cit., pp. 67-78.106 En Russie désovietisée, senza firma, Jsp, 4 ottobre 1941, p. 10.107 Le monde en zig-zag, Jsp, 22 novembre 1941, p. 4.108 L. Rebatet, A travers Vienne en guerre, Jsp, 20 dicembre 1941, p. 3.109 R. Brasillach, La conjuration antifasciste au service du Juif.\ Jsp, 7 febbraio 1942, p. 1.110 Partout et ailleurs, Jsp, 21 febbraio 1942, p. 2.111 Pour l'étoile jaune, Jsp, 16 maggio 1942, p. 2. Si veda l’imponente opera di J. Billig, Le Commissariat Général aux Questions Juives, cit. e Jean Laloum, La France antisémite de Darquier de Pellepoix, Paris, Syros, 1979.

La “guerre juive” 281

Dunque, tutti gli Ebrei adulti, senza eccezioni, senza favoritismi, senza protezione alcuna, dietro il filo spinato e sorvegliati dai soldati. Non si trat­ta, lo ripeto, di essere crudeli o di vendicarsi in mo­do crudele. Si tratta di una misura di giustizia e di legittima difesa. Si tratta di utilizzare una mano­dopera certamente mediocre, ma abbondante e a buon mercato, per eseguire grandi lavori di cui il nostro paese ha bisogno, come spalare la neve d’inverno, o aiutare i contadini d’estate.

E concludeva: “Dopo la firma della pace, ma solamente dopo il ritorno dell’ultimo dei no­stri prigionieri, si potrebbe prevedere una li­berazione progressiva dei nostri nemici e il loro trasferimento in massa verso altre terre. Ma per il momento, qualsiasi altro statuto di­verso da quello di prigionieri è offensivo” 112. Un primo compito che si propose Darquier de Pellepoix fu quello di rafforzare la propa­ganda antisemita, poiché secondo Brasillach la popolazione “era mal informata. Che le questioni riguardanti la razza siano dibattute in pubblico, che l’opinione sia illuminata, è un obbligo di primo piano. Ma per questo occorre che lo Stato abbia il coraggio, la vo­lontà, l’intelligenza”; la propaganda doveva essere indirizzata soprattutto ai giovani af­finché non trovassero le misure persecutorie “inutili o degne di biasimo (mentre in realtà sono timide)” 113.

La richiesta dell’obbligo della stella gialla fu esaudita e in zona occupata gli ebrei furono costretti all’onta del segno distintivo. La stella era necessaria, secondo Rebatet, perché gli ebrei camuffavano la propria razza, trasfor­mando anche il nome, pur agendo sotterranea- mente per una sola nazionalità, quella ebraica.

Non so quale uomo politico abbia detto: “ Se gli Ebrei fossero neri o blu, non ci sarebbe più que­

stione ebraica. Tutti saprebbero riconoscerli, evi­tarli” . La stella gialla correggerà questa bizzarria che vuole che una specie umana radicalmente op­posta ai popoli di sangue bianco [sic!], inassimila­bile da sempre a questo sangue, non sia discernibi­le al primo sguardo.

Rebatet aveva un solo rimpianto: “che la stel­la gialla non sia imposta da una legge france­se. Siamo nazionalisti convinti che la Germa­nia e la Francia hanno nell’Ebreo un nemico comune e che, contro di lui, la Francia debba condurre una lotta a fianco della Germania”. In conclusione, egli ribatteva alle lamentele di molti cattolici contro l’obbligo del segno di­stintivo: “La stella gialla rinnova, con la tradi­zione più strettamente cristiana, quella della rotella che durante tutte le epoche di vera e so­lida fede segnava gli Ebrei del ghetto” 114 *. Dorsay notava poi “il fatto che molti Ebrei non ‘portino’ la loro razza sul loro aspetto. Sono i più pericolosi, coloro che riescono ad alimentare meglio l’equivoco. E per questi so­prattutto che la stella gialla è indispensabi­le” 113. Dorsay si scagliava contro coloro che prendevano le difese degli ebrei: “Non chie­diamo la morte per gli Ebrei, ma che, essendo individuati come tali, siano trattati da parassi­ti pericolosi. Semplice misura di igiene” 116. Cousteau poi consigliava un gioco, il tennis- juif. “Il tennis-juif si gioca in due. I giocatori possono essere dello stesso sesso o opposto. L’età è indifferente. Nessun obbligo nell’abbi- gliamento. [...] Il gioco consiste nello scorgere un Ebreo prima del proprio avversario e nel chiamarlo ad alta voce. Il vincitore è colui che ha visto, per primo, il maggior numero di Ebrei [...]. Ci si deve esercitare a rintracciare l’Ebreo a distanza, a scoprirlo dal suo porta­mento, da come cammina”117.

112 P. A. Cousteau, Pour une solution provisoire du problème juif, Jsp, 23 maggio 1942, p. 1.113 R. Brasillach, Malheur aux tièdes, Jsp, 30 maggio 1942, p. 1.114 L. Rebatet, L'étoile jaune, Jsp, 6 giugno 1942, p. 8.1,3 Partout et ailleurs, Jsp, 13 giugno 1942, p. 2. Cfr. Anche R. Brasillach, Le problème de la locomotive, Jsp, cit., p. 1.116 Dorsay, Une explosion de l'ignorance et de la sottise, Jsp, 13 giugno 1942, p. 2.117 P. A.Cousteau, Savez-vous jouer au tennis juif?, Jsp, 10 luglio 1942, p. 1.

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Nell’estate del 1942, con il consenso e l’au­silio materiale del governo di Vichy, iniziò la deportazione degli ebrei stranieri dai campi di concentramento francesi in direzione di Auschwitz. Cousteau diceva: “Non appena corre voce di una partenza di Ebrei verso le grandi piane dell’Est, allora l’afflizione dei babbei antifascisti non conosce più limiti” ; ancora una volta ribadiva che la guerra era stata causata dagli ebrei e che dovevano pa­gare per questo; e così fu trovato nell’affare Grynspan il vero casus belli. “ Il primo colpo di questa guerra non è stato sparato da un soldato, nel settembre 1939, ai confini del ter­ritorio di Danzica, ma dall’Ebreo Grynspan, l’8 novembre 1938, a Parigi, nell’ufficio del consigliere von R ath” ; infine concludeva che tutti gli ebrei meritavano di subire pene e vessazioni: “ Questo ragazzo che porta la stella, non ha voluto la guerra. Ma potrebbe essere il Jean Zay o il Bela Kun di domani. Questa vecchia Ebrea ha l’aria inoffensiva. Ma il suo grembo ha forse portato un Na- than o un Mandel” 118. Dorsay continuava nella sua rubrica ad attaccare l’opinione pub­blica che aveva manifestato aperto dissenso alla deportazione degli ebrei. “Chi li proteg­ge, è un traditore. [...] E queste buone donne, ignoranti come delle capre, piangono su ‘que­sti poveri ebrei che sono portati via da casa’” . Il giornalista metteva anche in guardia dal permettere il battesimo, in realtà un alibi. “ Per noi, convertiti o no, gli ebrei sono da mettere in uno stesso sacco. Vogliamo dire nello stesso campo di concentramento aspet­tando l’espulsione in Palestina o altrove” 119. Secondo la logica di “Je suis partout” , l’ac­cettazione della deportazione di 4.000 ebrei

apatridi da parte del governo di Vichy nell’e­state 1942 come misura di sicurezza era insuf­ficiente. “ Ma queste misure sono ancora molto timide. Darquier de Pellepoix richiede con insistenza che l’obbligo della stella gialla sia imposto agli Ebrei nono [della zona non occupata]. [...] Un milione di stelle gialle no­no, sarebbe certamente molto bello. Aspet­tando l’eliminazione completa degli indeside­rabili” 120. A partire dal novembre 1942, con l’occupazione da parte delle truppe tedesche della zona sud, la persecuzione non conobbe più alcun ostacolo; da quel momento la solu­zione proposta era quella di rinchiudere tutti agli ebrei in campi di concentramento, e de­portarli verso est. Brasillach, facendo riferi­mento alle proteste dell’arcivescovo di Tolo­sa contro le misure prese riguardo agli ebrei stranieri, giunse ad affermare: “Occorre se­pararsi dagli Ebrei in blocco e non tenere i piccoli” ; ossia invitava a deportare anche i bambini; le violenze e le brutalità commesse durante le retate furono da lui attribuite al- l’“azione di poliziotti provocatori che voglio­no impietosire quei poveri idioti di aria­ni” 121. Nello stesso numero Dorsay mostrava di essere a conoscenza della vera destinazione dei deportati dalla Francia: “ Gli ebrei stra­nieri sono ricondotti nel loro ghetto o lavora­no, finalmente, in Germania, Polonia, Ucrai­na” 122. Nel dicembre venivano salutate con favore dalla redazione del giornale alcune misure entrate in vigore, come l’iscrizione del nome Juif sulla carta d’identità e le pene previste per gli “ ariani” che aiutavano gli ebrei123; venivano sostenute tutte le proposte e iniziative promosse da Darquier de Pelle­poix volte aH’inasprimento della legislazione

118 P.A. Cousteau, Pitié pour les aryens, Jsp, 24 luglio 1942, p. 1.119 Dorsay, Quand Israël se lamente... et préparé sa vengeance, Jsp, 31 luglio 1942, p. 2.120 Cette obscure clarté, in Partout et ailleurs, Jsp, 21 agosto 1942, p. 2.121 R. Brasillach, Les sept internationales contre la Patrie, Jsp, 25 settembre 1942, p. 1.122 Dorsay, La barque de Saint Pierre serait-elle encore menée à gaffe, Jsp, cit., p. 2. Si veda ancora P. A. Cousteau, J'ai vu les dossiers des victimes, Jsp, 30 luglio 1943, p. 4 sulla condizione degli ebrei di Riga.123 Partout et ailleurs, Jsp, 11 dicembre 1942, p. 2.

La “guerre juive” 283

antisemita, come l’estensione della stella gial­la anche nella ex zona non occupata e il divie­to dei matrimoni misti124 125. Durante l’inverno del 1943, quando la vittoria del Reich appari­va sempre più improbabile, la violenza con­tro gli ebrei divenne sempre più incalzante. Vi erano spesso notizie sulla vita del campo di Drancy, da cui dall’estate 1942 partivano regolarmente convogli verso Auschwitz. Gli ebrei erano accusati di avervi organizzato un mercato nero fiorente. “Il più ripugnante è il mercato nero dei...wc!!! Bisogna ammet­tere che solo gli Ebrei potrebbero immagina­re un traffico simile: ogni mattina, all’apertu­ra delle baracche, tipi agili e decisi si precipi­tano verso i gabinetti, li occupano e li libera­no solo dietro compenso” 123. Secondo il giornale gli ebrei non erano stati affatto toc­cati dalla persecuzione messa in atto in tutta Europa; anzi minacciavano vendette: “ Da qualche giorno, gli Ebrei alzano di nuovo la testa, sogghignano, quasi minacciosi. E dire che domani questi uomini vili e paurosi che hanno la faccia per terra, fra le ossa dei loro padri, tremanti di sgomento a ogni esplosio­ne lontana, saranno di nuovo i padroni. Non ci saranno, secondo loro, plotoni di ese­cuzione sufficienti per noi e i nostri amici” 126. Còline intervenne nel luglio 1943: “ Karl Marx, che deve essere riletto, Ebreo molto più preciso e istruttivo di Montaigne, scrive: ‘Gli Ebrei si emancipano nella misura in cui i cristiani diventano ebrei’. In Francia, i cri­stiani sono perfettamente ebrei” 127.

Nel novembre 1943, attraverso le parole di un presunto lettore, Cousteau proponeva un piano costruito con crudeltà minuziosa per

contrastare i bombardamenti degli alleati o gli attentati della Resistenza contro l’occu­pante e i collaborazionisti:

Un lettore, anche egli disgustato come noi per l’ine­sistenza di una risposta rivoluzionaria, chiede per­ché, dopo l’assassinio di ogni fascista francese, non fuciliamo a caso venti massoni, venti comunisti e cento ebrei. Lo stesso corrispondente propone la costruzione di un immenso campo di concentra­mento circondato da armi automatiche che aprireb­bero il fuoco ogni volta che l’aviazione angloameri­cana intraprendesse il bombardamento di una città francese. Il tiro di queste armi automatiche — pre­cisa — dovrebbe essere prolungato per un tempo doppio di quello del bombardamento aereo128.

A partire dall’inverno 1943-1944 il giornale mutò fisionomia: dopo la riduzione di circa metà delle pagine e l’abbandono di Brasillach e degli altri giornalisti che lo seguirono, la re­dazione preferì agli articoli di riflessione po­litica vere e proprie invettive contro gli anti­fascisti. Le notizie relative agli ebrei furono segnalate perlopiù nella rubrica Partout et ailleurs: “ I grandi profittatori del campo di Gurs sono gli Ebrei che, a partire dal 1940, ebbero l’astuzia di proclamarsi, di propria iniziativa, capibaracca. In seguito non resta­va che sfruttare la situazione. I pacchi erano distribuiti solo dopo che i loro destinatari avevano pagato una percentuale. I vaglia era­no ugualmente sottoposti all’imposta dai ca­pibaracca”; nello stesso numero si dava noti­zia di “ liberazioni in massa” che avevano svuotato il campo di Drancy, in realtà rima­sto deserto in seguito alle deportazioni in Eu­ropa dell’Est129.

124 Partout et ailleurs, Jsp, 5 febbraio 1943, p. 1; Partout et ailleurs, 30 aprile 1943, p. 2.125 Partout et ailleurs, Jsp, 21 maggio 1943, p. 2.126 Henri Charbonneau, De Tunis au Cap Bon avec les combattants français, Jsp, 28 maggio 1943, p. 1. Dalla metà del 1943 si trovano testimonianze della sfiducia per la vittoria tedesca. Cfr. a titolo di esempio Quelle que soit l'issue de cette guerre, senza firma, Jsp, 2 luglio 1943, p. 1 e Fascisme, sensa firma, Jsp, 6 agosto 1943, p. 1.127 Louis-Ferdinand Celine, Celine nous écrit, Jsp, 9 luglio 1943, p. 1.128 P. A. Cousteau, Les hommes à abattre, Jsp, 12 novembre 1943, p. 1. Si veda sullo stesso tema Id., Ce serait pourtant si facile, Jsp, 7 aprile 1944, p. 1.129 Partout et ailleurs, La marche à l ’étoile, Jsp, 7 gennaio 1944, p. 2.

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Nell’aprile 1944 Rebatet faceva il punto sul­la questione ebraica; a partire da questo mo­mento il giornale parlava apertamente della persecuzione e dello sterminio del Reich con­tro il popolo ebraico. “La Germania ha preso misure di guerra, rudi come tutte le misure di guerra, contro una nazione con la quale si è impegnata in una lotta mortale”; per applicare tali misure anche in Francia, ossia la deporta­zione di migliaia di ebrei stranieri e di naziona­lità francese il Reich aveva atteso due anni e secondo Rebatet gli si poteva rimproverare unicamente “di aver temporeggiato molto pri­ma di agire, di aver per troppo tempo tollerato il giudaismo vichyssois” . Se il giornale aveva proposto nel corso dei quattro anni di occupa­zione soluzioni “estremamente moderate” del­la questione ebraica, da quel momento le misu­re sarebbero state molto più severe. “La nazio­ne ebraica è la sola che sia punibile di un casti­go collettivo. In ogni Ebreo, vi è in potenza la dannosità della sua razza” 130. Nei numeri dei mesi seguenti le notizie riferivano la percepibi­le assenza degù ebrei: “Esiste sempre un com­

missario generale degli affari ebraici, ma non ci sono più Ebrei” 131. L’Europa, esaminando il bilancio della guerra, avrebbe potuto osser­vare il “ suo territorio mutilato, ma purgato del suo canagliume ” 132.

La propaganda promossa dal giornale aveva cosi accompagnato tutte le fasi della persecuzione degli ebrei in Francia, da un la­to dissimulando la vera natura di tali misure vessatorie, come la condizione nei campi di concentramento francesi, e dall’altro richie­dendo l’espulsione degli ebrei, francesi e stra­nieri, dal paese, cioè in pratica la deportazio­ne nei campi di sterminio. Dove invece non raggiunse il suo scopo fu nel convincere l’opi­nione pubblica della giustezza di tale persecu­zione133. I giornalisti di “Je suis partout” , perseguendo la loro politica di collaborazio­ne con l’occupante nazista, contribuirono a sostenere una politica tutta francese che si concluse con la deportazione dalla Francia di 76.000 mila uomini, donne e bambini ebrei134

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130 L. Rebatet, Le fa it juif, Jsp, 14 aprile 1944, pp. 1 e 3.131 Partout et ailleurs, Israel et nous, Jsp, 12 maggio 1944, p. 1.132 Partout et ailleurs, Jsp, 23 giugno 1944, p. 1.133 Pierre Laborie, 1942 et le sort des Juifs. Quel tournant dans l ’opinion, “Annales Esc” , a. 48, maggio-giugno 1993, pp. 655-666.134 Secondo le stime di Klarsfeld furono deportati dalla Francia 75.721 ebrei. Tra questi 6.012 avevano meno di 12 anni, 13.104 avevano dai 13 ai 29 anni, 8.687 più di 60 anni. Si stima che fossero compresi almeno 24.000 ebrei di nazionalità francese. Di questi solo 2.500 ritornarono. Cfr. S. Klarsfeld, Le memorial de ta déportation des juifs en France, cit.

Valeria Galimi (1971) si è laureata nel 1995 in Storia contemporanea presso l’Università di Firenze, con una tesi sulla propaganda antisemita nella Francia occupata. Attualmente borsista della Fondazione Luigi Einaudi, sta svolgendo ricerche sull’antisemitismo in Francia nel periodo fra le due guerre; sta inoltre lavorando sui campi d’internamento per ebrei durante il fascismo in Toscana.