L UOMO - romena.it · La vita è un torrente leggero che gli muove le mani e gli sgorga dagli...

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Tariffa Associazioni Senza Fini di Lucro: Poste Italiane S.p.A. – in A. P. – D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n° 46) art. 1, comma 2, DCB/43/2004 – Arezzo – Anno VIII n° 3 / 2004 L ' UOMO

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L' UOMO

trimestrale -Anno VIII - Numero 3 - Settembre 2004

REDAZIONElocalità Romena, 1 - 52015 Pratovecchio (AR)tel./fax 0575/582060

DIRETTORE RESPONSABILE:Massimo Orlandi

GRAFICA:Simone Pieri - Alessandro Bartolini

FOTO:Massimo Schiavo

HANNO COLLABORATO A QUESTO NUMERO:Luigi Verdi, Gianni Marmorini, Luigi Ripamonti, Emanuele Pallotti, Stefania Ermini

Filiale E.P.I. 52100 ArezzoAut. N. 14 del 8/10/1996

Un sapore maschile6

“Ti chiamerò uomo”

Il fiore del deserto

Giovanni Vannucci - Custode della luce

Estate a Romena26

Armati di forza e diventa uomo 4

Diritto alla tenerezza 8

Ogni giorno imparo a essere padre 12

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Le nostre veglie

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Primapagina3

Graffiti

Novità

Ultimo giro di giostra

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Massimo Orlandi

Come farò a resistere ancora due mesi con questa pancia? Per mamma Letizia era solo una battuta, per il piccolo Leonardo un annuncio. È nato il giorno dopo, di impazienza. Ora ha tre mesi. La vita è un torrente leggero che gli muove le mani e gli sgorga dagli occhi,

è una promessa, e a vedere quel viso tondo e gioioso non si ha dubbio che sarà mantenuta. “Vuoi conoscere i suoi segreti?” Mi invita babbo Alessandro. Scopro così che appena la mano oscilla sotto il suo naso, lui sboccia in un sorriso. Che basta stringere appena il piedino per fargli capire che è ora di attaccarsi al seno di mamma, che un lieve dondolio nella mani di babbo è il pulsante che schiaccia la buona notte. Quando crescerà i suoi segreti non saranno molti di più. La differenza è che sarà più difficile trovare i pulsanti giusti.

Benvenuto uomo. Benvenuto in questo giornale che parla di te, quindi di me.Non è stato facile, scriverlo. Le riviste che parlano di uomini di solito gonfiano i muscoli, spesso accendono i motori, quasi sempre hanno donne come pendant.È un doping collettivo e tutti quanti, chi più chi meno, siamo contagiati. Per questo ci riesce così difficile risalire la corrente di noi stessi e dire qualcosa che davvero ci assomigli. La verità è che ci fa paura attraversare le mura spesse della nostra corteccia cerebrale, ci spiazza l’idea di lasciare che un dito invisibile ci tocchi in quei luoghi dove non è detto che sbocci un sor-riso. Temiamo la terra di nessuno dove la testa si ferma e comincia il regno dei sentimenti. Non è lì, secondo la nostra logica, che si stabilisce quanto vale un uomo.

Credo, forse mi sbaglio, che, al contrario delle donne, noi uomini non sappiamo abitare le emozio-ni. Vorremmo viverle come piace a noi, il che equivale a negarle; comunque non lasciamo che si esprimano, le facciamo scorrere nascoste e strozzate nel profondo canyon della nostra personalità. Così ci accorgiamo della loro esistenza solo quando dilagano, e ci travolgono. Eppure è lì, nella casa dei sentimenti, nell’oscurità apparente delle nostre inquietudini, che si può trovare la luce della nostra identità, e il pulsante che la accende.Quando lo scrittore Marco Lodoli ha provato a spiegare dove nasceva in lui la creatività, ha detto: “È come se avessi avuto una ferita, da piccolo, che non si è mai rimarginata. Scrivere, per me, è stato un tentativo di trovare una cura, un lenimento, un modo per cercare un contatto tra il mio ‘io’ e il mondo”. Mi piace pensare che la sorgente più profonda della virilità sia nella delicatezza di un sentimento, che la forza di Achille sia nel suo tallone: il limite non è solo fatto per essere superato, ma anche per essere accolto e trasformato in fonte di umanità. Questa consapevolezza non svilisce il mondo maschile, ma solo la sua immagine distorta: la vera dimostrazione di forza è, per ogni uomo, nella capacità di incontro con la sua fragilità.

Uno psicologo americano, Robert Johnson, ha scelto una leggenda medievale, quella del re pesca-tore, come metafora della condizione maschile: il re, dopo una banale ustione, è condannato a una perenne infelicità. La ferita è una ferita dell’anima e indica che il re ha avuto un contatto profondo con un’esperienza interiore profonda, ma non ha saputo gestirla. Lo potrà salvare solo l’intervento di un ‘folle innocente’, Parsifal. Il senso del mito, spiega Johnson, è che solo la parte più ingenua e fanciulla dell’uomo può aiutarlo a ‘guarire’ dalla sua ferita interiore, che solo il nostro ‘io’ bambino può consentire l’abbraccio del nostro inconscio e della nostra razionalità.

Guardo ancora Leonardo, che ora apre la bocca e sembra dirmi qualcosa, in una lingua di suoni che non conosco. Sto al gioco e rispondo. Ora il pulsante l'ha trovato lui. E io, obbediente, sorrido.

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Gesù nel vangelo quando incontra un uomo gli dice: “lascia i tuoi beni”. Alle donne invece dice sempre: “impara ad amare”. La donna ha me-no istinti di possesso, di dominio, ha un potente istinto di amore.La tendenza dell’uomo è quella di possedere, di essere avido, di dominare; è separato dalle cose, è presso le cose, ma non nelle cose. Trovo diffi coltà a leggere sul volto di un uomo i segni della sua giustizia o ingiustizia interio-re mentre la temperanza e l’intemperanza si ri-velano automaticamente: nella compostezza o scompostezza del viso, nel portamento, nel riso. L’intemperanza è un disordi-ne che deturpa, rovina la bel-lezza e corrompe il cuore.Spesso la mia caparbia sre-golatezza si accanisce a voler cercare nell’ambizione o nel piacere il suo supremo ac-quietamento o compimento. Sento che tutte le cupidigie morbose, tutte le forme di ostinazione e depravazione egoistica avrebbero bisogno in me di una virtù rara, ma sempre più utile: la temperanza.La temperanza, questa capacità di essere provati al fuoco per diventare più forti, questa purifi ca-zione, questa virtù dell’ordine e della misura.Il maschio tende a voler essere forte e impaziente.Ma ho capito cosa volesse dire essere uomo quando la vita mi ha fatto recuperare la fortezza e non la forza, la pazienza e non l'impazienza. La fortezza presuppone la vulnerabilità, il saper accettare una ferita, poiché una fortezza che non giunge sino alla profondità della disposizione a cadere è guasta nella radice e senza effi cacia reale: è forza e basta.Esser paziente signifi ca non lasciarsi togliere la serenità e la lucidità dell’anima dalle ferite che nascono.La fortezza implica la pazienza, non l’attivismo nel resistere, perché non è necessario assaltare il male, né cercare a tutti i costi fi ducia in se stessi o sviluppare l’ira, ma crescere nella resistenza e

nella pazienza.Giuseppe, il padre di Gesù, è l’esempio dell’uo-mo apparentemente debole che in realtà è forte: sa che dovrà semplicemente difendere, proteg-gere e custodire; si deve preoccupare solo di to-gliere dalla sua vita l’angoscia e di aprirsi alla vastità dello spazio pur senza capire il perché di un inizio e di una fi ne.In noi uomini c’è una catena che occorre spez-zare, quella dell’attaccamento al denaro, al possedere, al vincere. Bisogna tornare a rifl et-tere sul senso della nostra felicità e credere che l’istintività umana può e deve assumere una

nuova natura, che la ragione non deve restare un seme che non dà frutto.In noi regnano due dimensioni: ragione e istintività. Da una parte l'istintività porta a possedere per il solo gusto di possedere.Dall’altra la ragione lotta contro lo svilimento, cammina contro corrente e sa spezzare i legami

al momento opportuno. Più che uomini forti, occorrono uomini forti-fi cati che credono che la vita può diventare un luogo in cui offriamo invece di prendere, in cui sentiamo giusto accettare solo una parte mode-sta, in cui capiamo che il denaro è lavoro accu-mulato, è tempo, è vita umana, è sangue, fatica e dolore. Noi uomini, oltre alla fortezza e alla pazienza, dovremmo far crescere in noi la vigilanza. Vigi-lanza è guidare i sensi, far sì che il corpo torni ad obbedire allo spirito, senza sforzo; che l’anima, con le sue passioni, abitudini, vizi e virtù, vigi-li per conoscere le radici delle decisioni e delle scelte. Infi ne, far sì che la mente con le sue idee e architetture non ci imponga le sue costruzioni e ci inchiodi alle apparenze.Che noi uomini possiamo tornare alla bellezza, a quella bellezza che ci fa guardare quelli che amiamo come dei simboli viventi di quegli idea-li senza i quali la nostra vita è polvere e cenere.

“Dio non si preoccupa e non ha bisogno

di digiuni, preghiere e penitenze, ma solo che gli si offra

un cuore in pace” Meister Eckhart

Che tutto il fango in te,ceda fi nalmente al fuoco che è in te, fi nché il fuoco sia luce!

E. Lee Masters

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È veramente diffi cile scrivere qualcosa sul-l’uomo senza usarlo come un pretesto per dire qualcosa di bello sulla donna. Non vorrei farlo, come non vorrei neanche tentare di scrivere un mini trattato psicologico sul maschile: non ne sarei in grado. Scrivere sulla donna è stato più facile, sembrava di essere sostenuti da una sensazione di completezza che mi manca nel-l’affrontare l’uomo. Eppure io sono un uomo e sono pure un single, in qualche modo abituato a pensarmi da solo. Chissà che non sia proprio questo il motivo di tanta diffi coltà? Se mi fosse dato in questo preciso momento la possibilità di ripartire nell’avventura della vita e mi venisse chiesto di scegliere liberamente il mio sesso, credo che senza assilli sceglierei di nuovo il maschile. Non saprei dare partico-lari spiegazioni a questa che in fondo è solo una sensazione. Così come ho l’impressione che ci siano più donne contente di essere donna che uomini di essere uomini. Eppure tutto intorno a noi sembra declinato al maschile. Fondamen-talmente penso che una parte delle diffi coltà a scrivere su questo argomento sia dovuta proprio a questo esasperato maschilismo di cui siamo circondati. Risceglierei di essere maschio perché prima di tutto mi piace la vita che faccio. Certo, se potessi con la testa di ora tornare indietro nella mia vita, sono moltissime le cose che cambierei, ma ci sono alcune costanti che in mezzo a tanti cambiamenti mi hanno sempre accompagnato: mi piace molto rendere felici, rasserenare. Non so se è maschile o femminile, ma in qualche modo lo sento come espressio-ne della capacità di fecondare. Al di là della sua espressione fi sica, fecondare è anche far sognare, è ‘mettere in condizioni di…’, è mo-tivare la fi ducia in se stessi, negli altri e nella

vita. Questo mi piacerebbe essere, questo mi esalta quando sento che accade. Ed è un pia-cere ancora più grande rendersi conto che c’è qualcosa, come una magia, che non è mia, ma che passa anche attraverso di me e fa sorridere alla vita. Mi sento in quei momenti “una cosa piccola che fa parte di una cosa grande” e mi sento in paradiso. So che non posso pretendere di provare ogni giorno queste sensazioni, ma quando succede nulla più chiedo alla vita. Forse proprio questo è alla radice del mio essere diventato prete: una dimensione che io vivo soprattutto come rapporto umano. Certo non posso nascondere che tante volte la soli-

tudine è per me davvero pesante. Ma la domanda giusta è: “Ne vale la pe-na?”. Non l’ho sempre pensata come oggi, ma credo proprio di sì. Un altro accenno volevo farlo sull’amicizia. È tipi-co del mondo femminile avere una persona, un

amico o un’amica del cuore; più facilmente noi uomini abbiamo non uno, ma tanti ‘amici speciali’. Ed è proprio a loro che vorrei dedi-care queste rifl essioni. Spero che un giorno leggano queste righe perché non so se riuscirei a dirgliele a voce, un po’ per l’emozione e un po’ per la paura di sembrare troppo accondi-scendente. A mio babbo e ai miei fratelli (credo che la generosità sia un fattore ereditario); ad alcuni preti: don Ettore e il mio rettore del seminario di Arezzo (per la loro pazienza e per molte altre cose); agli amici Pigi e Gigi (per come sento che mi vogliono bene); ad Amedeo Maffei e al Gruppo G.L. (molto di quello che abbiamo vissuto insieme per un po’ di anni resterà vivo per sempre); allo ‘zio Bruno’ (in questi giorni è venuto a trovarmi e mi ha reso felice).Sono molto fortunato perché ho tanti amici. Anche questo ha un sapore maschile.

Si possiede veramentesolo quella cosa

che si è capaci di dare.Altrimenti

non si è possessori,ma posseduti

Abbè Pierre

Foto: M. Schiavo

Dobbiamo sentire

con la ragione,

penetrare con l'intuizione,

e quindi ascoltare,

con tutto il nostro essere

Giovanni Vannucci

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“Per andare in paradiso bisogna diventare don-ne”. L’ho sentito dire una volta da un amico e, soprattutto, un maestro.Le donne erano tra le ultime della società descritta nei Vangeli, e le donne, sempre nei Vangeli, sono però sempre quelle che riman-gono. Fino alla croce.Le donne, quindi, sintomo della “ultimità” sociale, sono da una parte il simbolico ogget-to primario dell’amore “scandaloso” del Dio nuovo dei Vangeli e, dall’altra, in quanto pri-me a ricevere l’annuncio della resurrezione, sono in qualche misura elette, non a caso con i bambini, a paradigma, a modello, cui ispirarsi per risultare aperti alla rivelazione.Quale rivelazione? Quel-la della debolezza che stravince sulla forza. Il Verbo si è incarnato al maschile, eppure ha svelato il suo mistero e la sua novità sorprendente, dal Sinedrio alla Croce, attraverso la remissione più assoluta. Carattere tanto lontano dal “maschile” quanto la rivelazione che il Figlio dà del Padre lo è dal dio di ogni religione prima di Cristo. Dal dio Zeus, del fulmine, della potenza, al Dio che si rivela per ciò che è nella mitezza, nella debolezza, nella mancanza di reazione. Ma è questo, per i credenti, il Risorto.Rivelazione liberante, ma tanto più diffi cile da accettare quanto più si rimane ancorati (parlo per chi si ritrova nelle cellule un cro-mosoma Y) a ciò che la cultura e la storia ci hanno trasmesso come caratterizzazione del maschile.In buona sostanza il problema è: come diven-

tare “donna” rimanendo interamente, e anche orgogliosamente, uomo?Sarà scontato, ma forse un modo è quello di avocarsi il diritto a giudicare 'forte' la tenerez-za. Che non è il banale diritto a 'frignare' di cui si legge spesso nelle rubriche dei settimanali.Dare una legittimità alla tenerezza, alla deli-catezza, non signifi ca necessariamente cedere alla parte femminile che si dice ci sia in ogni uomo, ma sentirsi piuttosto autorizzati a di-chiarare che anche chi ha un assetto genetico maschile può e deve scoprire la delicatezza e la

tenerezza che albergano dentro di lui, sebbene si esprimano in forme, ma non in sostanze, diverse da quelle femminili.Francesco De Grego-ri cantava: “Nino non aver paura di tirare un calcio di rigore, non è mica da questi partico-lari che si giudica un giocatore. Un giocatore

si vede dal coraggio, dall’altruismo, dalla fantasia”.Per il coraggio è facile. Più maschile di così! Ma altruismo e fantasia… appartengono alle donne, o, al più, ai Santi e agli eroi, non agli “uomini veri”, che per essere riconosciuti tali devono essere egoisti e pratici, si sa.Non sono certo un Santo, e la mia armatura da eroe non è fi ammante: macchia e paura vi abitano in abbondanza. Quindi, al limite, sono costretto a rinunciare proprio all’unica virtù “autorizzata”. Ma perché non invocare il diritto a un altruismo e a una fantasia virili fi no in fondo? Che esistono, e che, sono con-vinto, ciascun “vero uomo”, senza se e senza ma, conosce.

Non è una qualità ‘tipicamente’ maschile. Eppure è mostrando la parte più fragile e delicata di sé

che l’uomo può esprimere, fi no in fondo, se stesso.

“Nino non aver paura di tirare un calcio di rigore, non è mica da questi particolari che si giudica un giocatore. Un giocatore si vede dal coraggio, dall’altruismo, dalla fantasia”.

F. De Gregori

Le tue mura sono rosse di fuoco nella sera.

Come bracearde silenziosa la memoria dei padri.

A. Casati

Foto: M.Schiavo

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Qual è il ruolo che nella Bibbia viene assegnato all’uomo?Per capirlo occorre entrare nel significato dei nomi con cui la Bibbia indica il maschile: zakar, adam e ghever. In ognuno di questi nomi c’è un progetto che l’umanità è chiamata a realizzare.Cominciamo con zakar.È il primo termine che appare nella Bibbia a designare il maschile. La parola zakar ha la stessa radice del verbo ‘ricordare’. Al maschile è dunque assegnato il compito di essere me-moria di ciò che siamo e di dove stiamo andando. Una memoria non fine e a se stessa: l’uomo deve guidare l’umanità nel suo viaggio terreno rendendola consapevole della sua matrice sovra-naturale.L’uomo zakar è quindi il testimone che la nostra vita non è chiusa in se stessa, ma aperta alla luce divina; non a caso l’opposto di 'ricordare', 'dimenticare', ha una stret-ta relazione con il termine che in ebraico indica l’oscurità: l’uomo che non ricorda il suo senso divino resta al buio, vive di illusioni, si perde.

E la donna?Se l’uomo è testimone del viaggio verso l’infinito,

verso Dio, la donna vive il divino nel quotidiano, negli alti e bassi di cui è costellata ogni giornata. L’uomo ricorda che esiste un unico giorno eterno, la donna lo sperimenta in ogni istante. Quale invece il senso di ‘adàm’, la parola che

indica il primo uomo?Adàm è composto di due parti, aleph che indica l’unità divina e dam che è il sangue e che rappre-senta quindi le passioni umane: adàm è quindi colui che mantiene una unità divina nelle pas-sioni umane. Il sangue rappresenta tutte le pul-sioni umane, quelle che aiutano l’uomo a soprav-vivere, ma anche quelle che stimolano in lui un istinto di dominio, di sopraffazione. Se queste passioni non vengono armonizzate e vivificate dall’aleph, cioè dal soffio divino, l’uomo rischia di

perdersi in una istintualità animale.

Questo rischio non è presente anche nella donna?Il rischio di perdersi nel gorgo delle passioni è più forte nell’uomo; nella tradizione ebraica la donna è spiritualmente più vicina a Dio perché è meno esposta alle attrazioni che il sangue causa nell’essere umano. Non a caso, nella pratica quo-

“L'uomo zakar,

a cui la bibbia

assegna il compito

della memoria,

è il testimone

che la nostra vita

non è chiusa

in se stessa

ma aperta

alla luce divina”.

Non è solo un nome. Per la Cabalà ogni parola con cui Dio chiama l’uomo è

l’orizzonte del suo cammino, è l’attuazione piena delle sue qualità.

Nadav Crivelli, maestro di ebraismo, autore di un saggio proprio su questo

tema (‘Maschio e femmina li fece’, Elysium editore), ci conduce al cuore delle

parole che il libro sacro sceglie per indicare la parte maschile dell’umanità.

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tidiana, l’ebreo maschio deve seguire molte più prescrizioni della donna: perché è più facile che le passioni del sangue gli facciano dimenticare il suo senso divino. La donna non ha la stessa tendenza a distrarsi, è più fedele.

Ma non è Eva a disobbedire per prima a Dio?La storia di Adamo e Eva contiene molte trappole in cui è facile cadere. Faccio solo un esempio: quando Dio dice a Adamo di non cibarsi del-l’albero del bene e del male, Eva non è ancora stata creata: a rigore a lei non era stato proibito alcunché. E, comunque, dal punto di vista ebrai-co la donna ha fatto molto di più dell’uomo per rettificare quell’errore: è stata più capace di sottomettersi a una condizione di umiltà. Sono la sua umiltà e la sua fedeltà, per esempio, che permettono al popolo ebraico di liberarsi dal giogo della schiavitù.

Siamo al terzo termine che indica il ‘maschio’: ghever.Questo termine denota i connotati più tipici della virilità: la forza, il coraggio, l’eroismo. Ma atten-zione: queste virtù non sono esclusiva dell’uomo. La parola ghever, unica tra quelle ho citato, si declina anche al femminile: esiste l’uomo ghever virile, forte coraggioso, e la donna gheverà che ha le stesse doti. Anzi, dico di più: nella lingua ebraica oggi in uso, il termine al femminile è più usato di quello al maschile.

Questo ruolo della donna non sembra però un po’ disatteso sia nella società, sia nelle stesse organizzazioni religiose? È vero, il ruolo del maschio è esagerato, e questo fa sì che la nostra società sia troppo muscolosa e per questo disarmonica.

E perché questo accade?Perché si ha paura del femminile.

Ma non sono gli stessi testi sacri a sostenere una visione un po’ troppo maschile?Questo accade spesso quando si esaminano i testi sacri alla lettera. Ma la Cabalà insegna che

sotto il livello letterale ce n’è un altro, ben più profondo.

Qual è allora il progetto che la Bibbia ha per l’uomo?Un progetto che lo vede meno coinvolto a guar-dare alle cose esterne, e più orientato verso la profondità della sua coscienza. Un uomo meno proteso verso gli affari, la conduzione della socie-tà, e più attento a una dimensione contemplativa, a ricordare (zakar) che Dio ci ha creati, che ha un progetto per noi. Secondo la Cabalà l’uomo di una società in pace è più distaccato, più attento alla propria dimensione interiore. In una parola, più saggio.

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Sono diventato babbo: che salto!Eppure è lo scopo elementare nella natura di ogni essere vivente: generare altra vita. Un grande dono comunque, affatto scontato e per me un giro di boa. Uno stimolo a liberarmi dalle dipen-denze della vita dei nostri giorni, che mi risveglia alle sue bellezze, alle priorità vere. La sua meraviglia mi dice che ogni giorno, ogni momento è unico ed irripetibile e mi spinge a sceglierlo. Da domani sarò per mio figlio il modello di riferi-mento della maschilità e dell’uomo. Mio babbo per me lo è stato; io ho vissuto questo rapporto con spirito di emulazione prima, di con-trapposizione e rivalità poi; è intorno a quella figura che, come uomo, mi sono formato.I suoi apprezzamenti, le critiche, il senso del do-vere ed i piaceri, i giudizi, il controllo e lo sfogo dell’emotività, il rapporto con la femminilità: in quella sorgente di affetto trova radice e causa l’uomo che sono. Un altro grande dono questa presenza, neanche questo scontato.Ora che tocca a me vorrei fare altrettanto, anzi di meglio, e non sembra difficile: aumentare le dosi, evitare gli errori, modificare alcuni atteggiamenti ed il gioco pare fatto.Ma non deve essere proprio così; il difficile equili-brio di presenza ed assenza, stimolo e moderazione, autorità ed amicizia, mi appare come un’ardua mis-sione. Perché occorre attenzione con la maschilità dell’uomo.Io sono stato educato ad uno spiccato senso del do-vere, sollecitato ad emergere e distinguermi: nella scuola prima, nel lavoro poi. Sono stato incitato a dimostrare le mie capacità operative come elemen-to determinante nella misura del mio valore. Ed intorno a questa misura, rapportata a quella degli altri e di mio padre, si sono sviluppati arrivismo e competitività e si è alimentato l’orgoglio. Finiti gli studi, ho affiancato mio babbo nel lavoro ed iniziato a competere con lui e, solo dopo, quando era tardi,

Un figlio che nasce.Un interrogativo che sorge: saprò accompagnarlo?

Un giovane babbo guarda al suo piccolo e si confronta con se stesso, ripercorrendo la strada che lo ha portato sino da lui…

ho visto che non gradiva mentre lo inghiottivo. Per anni il mio maschile ha imperversato ed ha riempito ogni spazio. Il sistema feudale del terzo millennio nutre le fila dei suoi eserciti con questo canale, in un sistema caratterizzato da arrivismo e competitività, dal predominio di una maschilità che si autocompiace ed esalta.Eppure questa parte maschile non basta, anzi sbi-lancia un uomo, non lo completa. Così è solo quando ho incontrato la mia femminilità, quando l’ho abbracciata dandole spazio ed ascolto, che mi sono sentito uomo. È successo tardi, in età matura.Alla femminilità mi ha riavvicinato la spiritualità: non quella ‘usa e getta’, sfiorata in anni dedicati alla ricerca, ma quella maturata con la sosta. Mi sono affidato alla percezione invece che alla ragione, mi sono aperto, attraverso la meditazione e la preghiera, alla dimensione dell’ascolto… Chiave di svolta è stato il passaggio dall’attenzione su di me e sulle mie prestazioni a quella su ciò che mi ruota intorno, il passaggio dalla parola all’ascol-to, l’ascolto di quel volto: un’icona di bocca piccola ed orecchie tese.E ciò che ho vissuto nell’incontro con questa spiri-tualità ha avuto una sua eco nel rapporto col mondo femminile. La donna al mio fianco mi sussurrava di un’altra possibilità, in cui tutto non si riduceva ad un nutrito elenco di conquiste per allontanare le mie insicurezze e supportare la mia autostima.Ma io non capivo, non ascoltavo. Quando ho comin-ciato a prestarle ascolto, mi ha portato, per mano, su una nuvola. Mi ha ricondotto alla vera natura della coppia, abbiamo elevato la nostra unione sopra tutto e sopra tutti, in alto dove c’è silenzio, dove l’appartenenza reciproca non è in discussione. Ora c’è tanta pace su questa nuvola ed è un prezioso rifugio, accessibile a prescindere dallo spazio e dal tempo. Valerio è incredibile e, insieme ad Anna, è un po’ Dio.

Ma l'uomo moderno

con la notte più non ha

rapporto di religioso mistero.

E non regge al disagio

dell'io che si guarda.

Franco Berton

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Una, due, tre curve. Poi a diritto, lungo una strada accolta da lecci e querce. Un’altra curva piega a sinistra il cammino e all’istante un cartello recita “Centro Lorenzo Mori di iniziative culturali fra i giovani”. È il podere di Gugliano, presso Trequanda, non lontano da Siena.L’auto scende sulla strada aperta da balle di fieno, raccolte come carezze dalla campagna senese. Davanti al casolare un gruppo di bambini attende. Alcuni avanzano dondolando a piccoli passi, altri stanno in disparte all’ombra di un furgone, di lì a poco in partenza per portarli al gioco e ai sollazzi in un parco di Sinalunga.“Piacere, Stefania” - si avvicina una delle ‘donne’ del Centro - “Fabrizio scende subito!”. L’attesa è consumata sotto il portico del casolare aggrappato a ondulate colline d’argilla, a qualche rara quercia e ad un cipresso solitario. Pochi minuti e si affaccia un uomo vissuto, di quasi ottanta anni, vestito di luce azzurra, una vista distesa, meditata, calda. Il tempo di scambiare due parole sul suo libro Nessun bambino nasce cattivo, raccontargli il motivo dell’incontro e di sorpresa parte con un piglio: “Io sono carico di sensi di colpa e abito isolato in questo casolare dopo aver vissuto per il mondo dove ho trovato cose che non avrei creduto. Ero rivestito di presunzioni e corazza di acciaio lucente”. Ecco Fabrizio Mori, paletnologo che ha diretto per 50 anni le missioni di ricerca preistorica nel Sahara. Il suo pensiero va là. Il suo pensiero è per i popoli da lui vissuti nel Sahara: “Quando sono arrivato

La sabbia del Sahara ha sgreto-lato le sue certezze di uomo del-l’occidente. La perdita di un figlio ha tra-sformato la sua vita, aprendola a altri figli, figli di tutti i cieli del mondo. Storia semplice eppure appassio-nante di un uomo che ha trovato, nella nudità del deserto e nelle viscere del dolore, la terra dove far sbocciare la sua capacità di amare.

nel deserto la corazza si è sgretolata e sono rimasto nudo. Quella gente mite, così riccamente povera di cuore…”Vivendo con quelle persone, accolto dalla loro pace e umiltà, Fabrizio è stato mosso dalla volontà di non rimanere indifferente di fronte alla guerra, alla violenza, all’ingiustizia, e si è chiesto come riportare tutta questa mitezza nel cuore degli uomini. Fabrizio appassiona con le sue parole e riprende: “…è l’es-sermi mescolato con loro, essere stato accolto come un figlio, avere abbracciato la loro cultura che mi ha salvato. Le certezze che avevo erano tutte qui, nelle mie mani: essere colto, sapiente e saggio. Le certezze che avevo sono svanite lì, come sabbia, lasciando le mie mani nude, completamente. Quando cadono le certezze, ti rimane un mondo di confusione e tutto quello che sei abituato a leggere delle tua vita svanisce, passa in un setaccio severissimo. E così, nei momenti di crisi e traumi, i condizionamenti cadono.”La parola di Fabrizio ha un sussulto. Tutto è fermo. Fabrizio si porta il pollice e l’indice della mano si-nistra sul suo naso, all’altezza dell’attaccatura degli occhi. Compie un movimento verso l’alto, spostando gli occhiali. Socchiude lentamente gli occhi. Fa una pausa. Riapre gli occhi. Mi fissa. Un sospiro… “Per-ché dovrei raccontarti di me, della mia vita?”È silenzio. Fabrizio si sgancia dalla vita consumata con i popoli del Sahara. Si sposta ad un giorno della sua esistenza che ha mutato l’accezione della sua stessa vita, le mire e gli antichi sogni. Tutto si muove a quel gior-

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no, quasi a segnare un confine certo, che spacca. L’avvicendamento di parole assume un altro tono, un’altra luce, e si proietta alla comprensione della creazione di quel luogo dove oggi siamo, traboc-cante di bambini trovati al nostro arrivo al casolare, accolti, amati, carezzati. “Ho scoperto questo casolare in una giornata con mio figlio Lorenzo. Morì a soli undici anni”. Un altro profondo sospiro: “E qui mi fermo. Da qui tutto è cambiato. Ecco la crisi e le emozioni che sfuggono e la necessità di dare corpo alle emozioni, fare, lavorare per realizzare. Questo Centro che accoglie bambini è l’eredità della perdita di mio figlio. Da una giovane morte è nata una giovane vita. I miei bambini sono rumeni, indiani, albanesi, italiani che giocano insieme in armonia”.I bambini non ci sono adesso. Ma tutto parla di loro: il fieno, le macchie verdi e quelle gialle, la terra, la polvere urlano la loro vita. I bambini arrivano al Centro Lorenzo Mori con le loro valigie cariche di dolore, di affetti smarriti, di paure, bisognosi di amore. Chiedo a Fabrizio quanti bambini accoglie il casolare.“Adesso ci sono dodici bambini”, sorride, “ma, quando ho investito il denaro per dar vita a questo Centro, la gente mi derideva, mi sbeffeggiava accusandomi di fare tutto questo senza avere niente in cambio. Se avessi avuto qualcosa in cambio, avrebbe perso il senso. Il senso di dar corpo alle emozioni”. Prendersi cura dei propri figli. Per Fabrizio questi bambini con i quali vive nel Centro sono suoi figli insieme a tutti gli altri bambini che non può nutrire direttamente. Anche loro rappresen-tano la vita, la terra e l’aria. Scuote la testa mentre sovrappone tra loro parole come il contrabbando degli organi, la violenza, l’abbandono dei bambini. Continua a scuotere la testa “No, non lo capisco. Dopo la procreazione c’è una pulsione ancora più forte che devi continuare ed è quella di allevare i figli. Questa è la massima espressione di altruismo. Nessun bambino nasce cattivo!” – tuona – “Nel Centro ho cercato di riportare e rispettare la lezione impartitami dalle popolazioni del Sahara: la leggerezza e la sempli-cità. Mettersi di fronte ad un bambino, al suo stesso livello spogliandosi di complicatezza, srotolando quel gomitolo multicolore che noi siamo.” Ma dar

corpo alle emozioni, srotolarsi, alleggerirsi della corazza di complicatezza dell’uomo, dar forma alla mitezza, alla quiete dell’uomo, non vuol dire solo riconoscere che nessun bambino nasce cattivo. Quel bambino diverrà uomo. E nessun uomo è di per sé, dunque, malvagio. Fabrizio riprende: “il patrimonio biologico del-l’uomo si mescola con l’atteggiamento, la musica, i rumori. Quello che conta è l’atteggiamento, cosa si fa, come lo si fa, se facciamo qualcosa per gli altri. È il condizionamento delle abitudini che non permette all’uomo di tirar fuori la propria mitezza”. Sulla spinta delle stesse motivazioni Fabrizio si fa nel contempo promotore di un’Associazione per l’eliminazione totale e spontanea delle armi e della violenza in ogni sua forma “NOUTOPIA” (www.noutopia.org). Oggi la civiltà dello scontro coltiva

l’educazione dei bambini, e la pace, così come sostiene Fabrizio, è “considerata soltanto l’intervallo fra due guerre”. L’abolizione tota-le e spontanea delle armi e della violenza è la ragione di essere dell’ associazione. “Spontanea perché non può essere imposta né da proibizionismi né da leggi ma deve provenire da una presa di coscienza dei potenti. Il potente deve essere talmente forte da far cadere le armi a terra, deve offrire le sue capacità agli altri. La sua forza sociale deve essere quella di vedere gli errori e di leggerli. Questo è il capo”. Fabrizio urla la sua indignazione contro le Guerre

note e contro quelle ignorate da tutti, quelle con milioni di morti, per lo più bambini: quegli stessi bambini che vengono accolti nel Centro Lorenzo Mori, dove ricevono amore e dove prendono co-scienza di essere non solo simbolo della vita, ma vita stessa. “Ritroviamo una pausa di riflessione: se il compito dell’uomo è quello di creare tecnologia, alimentare la comunicazione, correre… credo che ci sia un equivoco!”. D’un tratto si arresta e ride. Si sentono grida e passi leggeri che si avvicinano. Sono tornati i bambini.Un saluto. Fabrizio stringe la mano forte. Tanto for-te che senti un fluire di vita, di sofferenza, di presa di coscienza, di amore, di dolore, di indignazione verso la violenza. Tanto forte che senti come il bat-tere del tempo e gli incontri, le vicende cambiano il senso, la direzione, il percorso.

Foto: E. Pieri

È curioso a vedere chequasi tutti gli uomini che valgono molto hanno le maniere semplici e che quasi sempre le maniere semplici sono prese per indizio di poco valore.

Giacomo Leopardi

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L'ultimo giro di giostra

“Ho compiuto 90 anni il 18 ottobre. La morte dovrebbe essere vicina. A dire il vero l’ho sentita vicina tutta la vita. Non ho mai neppure lontana-mente pensato di vivere così a lungo”. Quando Norberto Bobbio scrive l’autunno chiama l’inverno. Quando suo fi glio legge queste parole, l’inverno è arrivato. Ma nella camera ardente, dove il dolore dell’assenza si fa secco, quel foglio vergato a mano riscalda, attenua, porta pace. “Mi

sento molto stanco, nonostante le affettuose cure di cui sono circondato, di mia moglie e dei miei fi gli. Mi accade spesso nella conversazione e nelle lettere di usare l’espressione «stanchezza mortale. L’unico rimedio alla stanchezza «mor-tale» è il riposo della morte. Requiem aeternam dona eis domine. Nell’ultimo bellissimo coro della Passione secondo San Giovanni di Bach, il coro, subito dopo la morte di Cristo canta: «Ruht wohl» (riposa in pace)”.

Scrive il fi losofo. Scrive mentre cadono le foglie. Presto la sua. “Vorrei funerali civili. Credo di non essermi mai allontanato dalla religione dei padri, ma dalla chiesa sì. Me ne sono allontanato ormai da troppo tempo per tornarvi di soppiatto all’ultima ora. Non mi considero né ateo né agnostico. Come uomo di ragione e non di fede, so di essere immerso nel mistero che la ragione non riesce a penetrare sino in fondo, e le varie religioni interpretano in vari modi”.

Il manoscritto è alle ultime righe. Ti aspetti un ultimo segno, un saluto: Bobbio racconta

Tiziano Terzani girava il mondo in libertà, per raccontarlo.

Luigi Pintor lo guardava con il suo occhio acuto, per capirlo.

Norberto Bobbio lo attraversava con il suo pensiero, per intuirlo.

Se ne sono andati insieme, nel breve volgere di un anno. Ma questo articolo

non nasce per ricordare come sono vissuti, quanto per cogliere la bellezza

del loro congedo. Terzani e Pintor, giornalisti e scrittori, hanno preparato la

loro morte con un libro; Bobbio, maestro di pensiero, con poche righe. Non

avevano la certezza della fede, né dell’ateismo. Hanno cercato, con saggezza

e umiltà. I loro ultimi passi ci consegnano un’eredità preziosa.

“Sulla mia lapide

voglio il nome

dei miei genitori”

Norberto Bobbio

Massimo Orlandi

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il primo giorno in cui non ci sarà. “Funerali semplici, privati, non pubblici. Alla morte si addice il raccoglimento, la commozione inti-ma di coloro che sono più vicini, il silenzio. Breve cerimonia in casa, o, se sarà il caso, in ospedale. Nessun discorso. Non c’è nulla di più retorico e fastidioso che i discorsi funebri.E poi il trasporto a Rivalta per essere sepolto nella tomba di famiglia. Sulla lapide soltanto nome e cognome, data di nascita e di morte, seguiti da questa unica dicitura «Figlio di Luigi e di Rosa Caviglia». Mi piace pensare che sulla mia lapide il mio nome compaia insieme a quel-lo dei miei genitori. Mio padre, alessandrino, è stato il capostipite dei Bobbio di Torino; la tomba è stata fatta costruire da lui nel paese, che ha molto amato, di sua moglie. Il mio nome, unito a quello dei miei genitori, oltretutto, dà il senso della continuità delle generazioni.La famiglia dia la notizia della morte a fu-nerali avvenuti con un necrologio composto con le parole semplici con cui sono in ge-nere scritti i necrologi della gente comune:E’ mancato all’affetto dei suoi cari Norberto Bobbio. Professore emerito della Università di Torino. Senatore a vita”. Ruth wohl, maestro Bobbio. Riposa in pace.

“La morte mi condurrà

dov'ero.Cioè

da nessuna parte”

Luigi Pintor

“Il medico curante mi ha detto che ho pochi mesi di vita. Ha detto proprio così, senza giri di parole, eravamo compagni di banco al ginnasio e siamo rimasti in confi denza. Non è un luminare ma ha

molta esperienza che vale più della scienza. Non dubito del suo giudizio e l’ho ringraziato per la sincerità”. È l’inizio dell’ultimo libro di Luigi Pintor, ‘I luoghi del delitto’. Un faccia a faccia con la morte che incalza, con la vita che cerca il suo senso. A vent’anni ha perso l’adorato fratello Giaime, esploso in una mina. Nella maturità ha visto morire prima la moglie, poi i due fi gli. E ora racconta di sé, senza sapere ancora che il verdetto del protagonista del romanzo presto sarà il suo. “Nascere è diffi cile, come mostrano gli strilli che accompagnano l’evento. Anche crescere è diffi ci-le, come si impara dall’esperienza. Invecchiare è diffi cile anche per un fi losofo stoico. Morire è diffi cile anche per un credente”.

Il protagonista è un archivista di nome Martin. Dettagli. Mente e cuore sono quelli dell’autore. Così il suo procedere scarno, così la sua capacità unica di cogliere la saggezza del quotidiano. “Il piccolo cane non mi osserva più mentre scrivo perché l’ho rimesso in libertà. L’ho portato sul sentiero di campagna dove l’avevo trovato e preso in adozione, gli ho tolto il guinzaglio ed è partito di gran corsa scomparendo in lontananza; non è tatuato e nessuno potrà identifi carlo. Ho aspettato un po’ nel caso tornasse indietro per nostalgia. Poi me ne sono andato, convinto di avere agito secondo il vero il giusto il buono. Ma è così? Anche quando il piccolo cane mi apparve derelitto su quel sentiero e me ne presi cura ero convinto di agire rettamente. Sbagliai allora, credendo di sottrarlo alla cattiva sorte e offrendogli un rifugio, ovvero ho sbagliato adesso credendo di rispettare la sua natura e di restituir-lo alla libertà? Bisogna astenersi o intromettessi, assentarsi o incombere, non solo con un cane, ma in generale? Non scioglierò questo dilemma. Poiché si tratta di comportamenti divergenti uno dei due è certamente indebito. O forse entrambi contengono il solito errore, quello di impicciarsi di tutto senza capire nulla”.

La vita non si lascia capire. La morte non la si può lenire. Il libro nasce e fi nisce tra dilemmi che non trovano soluzione, tra misteri che, con la mente, non si potrà svelare. “Guardo il cielo notturno come Virgilio poeta nelle ultime ore di vita ma a differenza del maestro antico non conosco le costellazioni, non distinguo il sagittario dallo

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“Mi parve che tutta la mia vita fosse stata una giostra, fi n dall’inizio mi era toccato il cavallo bianco e su quello avevo girato e dondolato a piacimento senza che mai, mai qualcuno che fosse venuto a chiedermi se avevo il biglietto. Bene, ora passava il controllore, pagavo il dovuto e, se mi andava bene, riuscivo a fare un altro giro di giostra”. È il 1997, il controllore è una malattia senza cure. Consentirà a Terzani diversi giri di giostra, fi no al luglio scorso, quando esigerà, in-tero, il prezzo del biglietto. Un libro, uscito pochi mesi prima della partenza, testimonia questi anni di viaggi in varie parti del mondo.

“Alla fi ne – scrive presentando ‘Un altro giro di giostra’ – il viaggio esterno alla ricerca di una cura si trasforma in un viaggio interiore, il viaggio di ritorno alle radici divine dell’uomo. Il viaggio diventa allegorico – dal basso verso l’alto, dalla pianura alla montagna – fi nchè l’incontro casuale – casuale? Certo no perché niente, mai succede per caso nelle nostre vite – con un vecchio dell’Himalaya mi fa sentire che

sono arrivato. Nel mio rifugio senza elettricità e senza telefono, solo con la grande Maestra natura, risento il valore sacro del silenzio, e mi convinco che la cura di tutte le cure, la vera medicina per tutti i mali consiste nel cambiare vita, cambiare noi stessi e con questa rivoluzione interiore dare il proprio contributo alla speranza in un mondo migliore. Dal vecchio imparo a pas-sare ore dinanzi a una candela nel tentativo di sentire l’armonia degli opposti, quell’Uno in cui tutto si integra. La conclusione? Niente è inutile, tutto serve, la mente gioca un enorme ruolo nelle nostre vite e i miracoli esistono, ma ognuno deve essere l’artefi ce del proprio”.

Questo è l’epilogo del libro. Ma la vita di Terzani fa ancora qualche passo. Lo fa nella sua terra, la Toscana, nella sua casa, nella campagna pistoie-se. Lo fa con le poche energie rimaste, con le ultime, bellissime parole, sussurrate ai familiari tre giorni prima di andarsene: “Prima anch’io vedevo il mondo diviso, vedevo me separato da tutto quello che vedevo. Vedevo me che guardavo me. Poi è successo qualcosa: vedevo tutto unito!!! Non vedo più la separazione, prima vedevo il mondo a fette, vedevo me che vedevo me. Poi ho visto me parte di tutto, e questo è bellissimo, un altro me. È il risultato del tempo sull’Himalaya, quando ho cominciato a buttare via tutti i miei desideri. E quando non ci sono brame, quando non vuoi più che essere te stesso, allora è tutt’uno, tutt’uno! È una cosa bella: quando è così non ci sono più divisioni. Quando guardi i fi ori, l’erba, non sono fi ori, non sono erba, ma sono parte di questa gloriosa bellezza che è la vita! Allora non c’è da chiedersi se è minerale, se è…vege-tale…è tutt’uno. E guardi la bellezza della terra, la capisci, vedi l’unità. C’è una bellezza che devi capire e poi vivi senza più attaccamento. Scopri la bellezza del minerale, e vedi la grande bellezza della terra, come abbracciare prima il minerale, l’animale, l’umanità. Non c’è più differenza, ami l’umanità, abbracci l’umanità perché non c’è differenza”.

scorpione, mi vergogno dell’ignoranza accumu-lata nel corso degli anni. Vedo solo innumerevoli stelle più luminose del solito. Penso con sollievo che la morte mi ricondurrà dov’ero, cioè da nes-suna parte. Ma questo cielo notturno mi seduce e mi fa credere per un momento in un aldilà dove si possono capire le cose incomprensibili dell’aldiqua”.

“La vera curaper tutti

i maliconsiste nel

cambiare noi stessi”

Tiziano Terzani

* Raffaele Luise - Dubbio e mistero - a colloquio con Norberto Bobbio - Cittadella Editrice * Luigi Pintor - I luoghi del delitto - Bollati Boringhieri* Tiziano Terzani - Un altro giro di giostra - Longanesi

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• In alcune librerie: distribuite da Città Nuova e Messaggero di Padova.

• Oppure le puoi richiedere a Romena con le seguenti modalità:

- Tel. o fax 0575 582060 - per e-mail: [email protected]• La spedizione avverrà tramite pacco postale. • Il pagamento: C/C Postale n° 38366340

intestato a: Fraternità di Romena - OnlusVia Romena n. 1 - 52015 Pratovecchio (AR)specificando nella causale: contributo libri

Le pubblicazioni della Fraternità di Romena

Giovanni Vannucci

Massimo Orlandi

custode della luce

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Un libro su Giovanni Vannucci, che ha percorso gli anni della sua esistenza cercando continuamente di aprire domande e di ribaltarle, come fa la vanga nella zolla, per rendere la sua terra, e la nostra, più fertile.Massimo Orlandi ci guida attraverso il suo cammino di libertà. Il pensiero di padre Giovanni ha ispirato fin dall’inizio la nostra Fraternità.

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Mi aspettavo molto dal libro di Massimo Or-landi su Giovanni Vannucci e ancora di più ho ricevuto. In modo delicato le parole di Massimo ci pren-dono per mano e ci conducono come ad ascoltare dal vivo Giovanni Vannucci. Conquistati dalla lettura, sembra di partecipare ad una delle liturgie che venivano fatte nella chiesetta del piccolo Eremo delle Stinche; sembra di vedere Padre Giovanni in cucina a preparare il minestrone o di passeggiare con i suoi cani per le colline del Chianti. Molte parole del Servo di Maria sembra-no una risposta a domande che aspettavano una risposta da tanto tempo, ma le sue risposte non sono mai defi nizioni, ma aperture verso orizzonti senza confi ni. Quasi come se rispondesse ad una domanda più che con una risposta con un cammi-no da compiere e una meta da raggiungere. Che magnifi ca fi gura questo monaco che amava il silenzio, ma le cui poche parole dirigevano lo sguardo nel mistero. Diffi cile non leggerlo, ma impossibile leggerlo senza amare di più ogni persona e avere maggiore rispetto per ogni tradizione. Ma più di ogni altra cosa, guardate Massimo: scrivere questo libro, ricercare le parole di Giovanni Vannucci, intervistare i suoi familiari e i suoi amici gli ha fatto davvero bene. Ha trovato una fontana che più che dissetare fa “diventare sorgenti di acqua che zampilla”, ha bevuto lui e fa bere gli altri. Grazie, Massimo, per questo magnifi co libro su un vero profeta dei nostri tempi.

Gianni Marmorini

Incontrare Padre Giovanni per

me è stato come un soffi are la pol-

vere dallo scaffale dei pensieri,

dei libri, degli incontri della mia

vita, è come se avesse contribuito

a togliere un velo al mistero del

mondo.

La sua attenzione creava e difen-

deva la comunione, la sua innno-

cenza era desiderio d'amore che

rifi uta l'imbroglio, l'intelligenza

era quella di chi sa capire e cam-

biare e la sua fantasia percepiva

l'odore del fi nire e del cominciare.

Luigi Verdi

Giovanni VannucciCustode della luce

L'ultimo libro della fraternità

Foto: PP. Zani

Prima di immergerti

in ideali sublimi

guarda le tue mani:

se ci sono i calli

comincia a muoverti,

non prima.Giovanni Vannucci

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Vorrei essere per gli altri una finestraaperta sulla speranza,

e desiderare che ciò avvenga senzache lo sappiano: né loro, né io.

Entra, i aspettavamot

LE NOSTRE VEGLIE

L'AQUILA 14 Settembre - ore 21Chiesa della Beata Antonia - Via Sassa

TOLENTINO 15 Settembre - ore 21Chiesa S. Maria della tempesta

MILANO 28 Settembre - ore 21Parrocchia di Brugora - Besana Brianza

GENOVA 29 Settembre - ore 21Chiesa Nostra Signora Assunta - Rivarolo

ROVERETO 19 Ottobre - ore 21Parr. di S. Caterina - Frati cappuccini

PADOVA 20 Ottobre - ore 21Parr. S.S Trinità - Via Bernardi

NAPOLI 9 Novembre - ore 21Ist. M. Ausiliatrice - v. Alvino 9 -Vomero

ROSSANOCALABRO

10 Novembre - ore 21Comunità S. Maria delle Grazie

VALDARNO 24 Novembre - ore 21Pieve di Cascia - Reggello

FIRENZE 15 Dicembre - ore 21Parr. Salesiani - via Gioberti

Le pietre della pieve sono affezionate alle loro radici, ma l’anima di Romena è itine-rante. Anche quest’anno saremo felici di trasportarla in giro per l’Italia, per venirvi a trovare ovunque voi siate. La veglia sarà un’occasione di incontro, di preghiera, di unione silenziosa tra tutti noi. Ci muoveremo a settembre, ci fermeremo solo a Pasqua, dopo un viaggio lungo quan-to l’Italia, da Rovereto a Rossano Calabro, da Milano a Roma, da Padova a Napoli. Con noi viaggeranno le musiche, i pensieri, lo stile di Romena e un tema, ‘fare casa’, su cui, in ogni città, rifletteremo insieme. “Dio – ha scritto Antonietta Potente – ha

un sogno ed è fare casa. Lui viene a fare casa, cioè per incontrare. E l’in-contro non è incontro, non è finalizzato a possedere qualcosa. Il sogno della casa è l’unico sogno religioso. Il sogno di Dio passa attraverso la trasforma-zione profonda della vita delle persone che vivono nella storia come se stessero davvero in casa loro”. Accompagnati dal vento leggero del silenzio e della musica, pregheremo insieme perché le nostre finestre siano aperte, i nostri spazi armonici, la nostra bellezza un frutto da condividere. Vi aspettiamo!

Maschio,

il desiderio e la sfi da

gli si addicono l'estrema felicità,

l'estrema pena gli si addicono,

l'orgoglio è per lui.

La conoscenza gli si addice,

lui l'ama sempre, sottopone ogni cosa

alla prova di se stesso

W. Whitman

E S TAT Ea Romena

Nel parcheggio della Pieve c’è un pullman. Vengono da Treviso, hanno saputo di noi tramite amici di Padova. Le due suore di

Bergamo sono venute perché hanno letto di noi su Jesus, gli scout di Salerno per un passaparola con un altro gruppo. Oggi, poi, ci sono due amici di Livorno, una famiglia di Padova, in serata arriverà ancora un gruppo di giovani dall’Umbria…Cronaca di un giorno d’estate, a Romena. Il piccolo cancello di ferro battuto della Fraternità sa

stare solo aperto: ed è bello vedere quante persone ogni giorno lo oltrepassino per dedicare all’incon-tro con noi un giorno della loro vacanza.A Romena si ferma chi è in cammino lungo luoghi dello spirito, come Camaldoli o La Verna, chi ha saputo di noi, viandanti che arrivano da ogni dove, parte di quella rete invisibile di persone, gruppi, associazioni, comunità che, con percorsi diversi, vogliono condividere con noi un cammi-no di ricerca. La pieve e la fraternità sono felici di sentirsi un piccolo ma prezioso snodo di questa immensa rete.

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E S TAT Ea Romena

Nel parcheggio della Pieve c’è un pullman. Vengono da Treviso, hanno saputo di noi tramite amici di Padova. Le due suore di N

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Paolo De Benedetti è docente di Giudaismo e di Antico Testamento presso alcune Facoltà Teologiche italiane ed è autore di numerose e interessanti pubblicazioni… ma soprattutto è una persona meravigliosa: i suoi occhi brillano di luce come quelli dei bambini e il suo sorriso sa essere insieme spensierato e profondo. Ascolta chiunque abbia un fi lo di voce e ama ricevere domande e non ha paura di non possedere tutte le risposte. Cerca brandelli di verità a destra e a sinistra come solo i saggi sanno fare. Ascoltandolo e guardandolo ho sentito che la Bibbia non è fatta di macchie d’inchiostro su fogli di carta, ma è “una Voce che ti dà del Tu”. L’ho visto mettersi in fi la per salire su un autobus a Milano, ma l’ho sentito parlare con Dio con la stessa forza di Giacobbe quando lottò contro Dio, presso il pozzo. Gli anni e la malattia hanno scalfi to il suo corpo, ma non possono avvicinarsi al suo cuore appassionato e appassionante. Mi ha ricordato che moscerini, ragni, gatti, cani e tutti gli altri animali erano in questo mondo prima di noi (e forse saranno nell’altro prima di noi), che loro sanno ancora affi darsi a noi mentre noi siamo ancora capaci di abbandonarli. Ho visto un velo di tristezza per la breve vita di una piantina di ricino che doveva ricordare al profeta Giona la bontà di Dio e da nessuno, mai, avevo sentito parole di attenzione e di affetto per quel povero ariete impigliato con le corna in un cespuglio sacrifi cato al posto di Isacco. E gli alberi, i sassi? Tutto dovrà avere esistenza nel ‘mondo a venire’ perché in niente la morte potrà vincere sulla vita. Ritengo un grande privilegio il corso che Paolo De Benedetti terrà a Romena dal 22 al 24 Ottobre sul "Cantico dei Cantici".

22-23-24 OttobreCorso su

IL CANTICO DEI CANTICIcon Paolo De Benedetti

NOVITÀ

Gianni Marmorini

Per Iscrizioni: Romena 0575 - 582060 entro il 30 Settembre

Domenica 24 Ottobre - ore 15 (al termine del corso) Paolo De Benedetti

terrà una conferenza sul libro del Qoèlet nella Pieve di Romena

- aperta a tutti -

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PROSSIMO NU ME RO : il giornale in uscita a DICEMBRE ap pro fon di rà il tema: “FARE CASA”. In via te ci let te re, idee, ar ti co li (ter mi ne ul ti mo: 15 Novembre 2004), pre fe ri bil men te alla no stra e-mail: [email protected] UN CONTRIBUTO : se volete darci una mano a realizzare il gior na li no e a so ste ne re le spese potete inol tra re il vostro con tri bu to sul c.c.p al le ga to.CASSA COMUNE : è composta dai vo stri c.c.p. più offerte li be re. La cassa sarà uti liz za ta per conti-nuare a realizzare il giornale e am pliar ne la dif fu sio ne (in carceri, istituti, associazioni, gruppi, ecc.)PASSAPAROLA : se sai di qualcuno a cui non è ar ri va to il giornale o ha cam bia to indirizzo, o se desideri farlo avere a qualche al tra per so na, in for ma ci.SEGRETERIA : l’orario per le iscrizioni ai corsi è pre fe ri bil men te dal mercoledì al venerdì dalle 18 alle 20, sabato e domenica quan do vuoi.

NOVITÀ

“Quello che la piccola Momo sapeva fare come nessun altro era ascoltare. Non è niente di straordinario, dirà qualche lettore. Chiunque sa ascoltare. Ebbene, è un errore…” Così scrive Michael Ende nelle prime pagine di Momo, uno dei suoi romanzi più famosi. Anche a noi di Romena piacerebbe condividere, almeno un po’, il dono di Momo. Anche perché tante persone, specie la domenica, vengono a Romena proprio cercando questo: una persona, un amico che sappia ascoltare, e a cui poter affi dare un disagio, un dolore, un momento comunque delicato. Sino a oggi abbiamo cercato di rispondere con spontaneità a questo desiderio. Ma ci rendiamo conto che è necessario impegnarci di più. Da settembre, ogni domenica, oltre a Gigi, anche altri amici saranno presenti se vi andrà di raccontarci quello che vi sta accadendo: si alterneranno don Gianni Marmorini, Wolfgang Fasser, Pierluigi ‘Pigi’ Ricci e Maria Teresa Abignente. Saranno con noi tutto il pomeriggio di ogni domenica. Sperando di essere bravi come Momo. O almeno di assomigliarle un po’.

Nel deserto sulle orme di Charles De Foucauldviaggio nel Sahara algerino dal 22 ottobre al 1 novembre 2004

Per informazioni: Romena 0575 582060 - e-mail: [email protected]

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n uomo non è vecchio fi nché è alla ricerca di qualcosa (Jean Rostand)

L’uomo nel suo cammino sulla terra è fonda-mentalmente alla ricerca di una “Cosa” sola: la conoscenza e l’esperienza diretta di Dio.Nel suo cammino sente forte questa grande sete interiore ma non sa come realizzare questa unione che porterebbe in lui appagamento, gioia, amore, luce, e pace infi niti (attributi di Dio). Tutto questo sentire è vivo nel suo cuore, nella parte più pro-fonda del suo essere; è non riconosciuto perché a volte inconsapevole; è la presenza della scintilla divina accesa in ogni persona.Attualmente, non avendo nella maggior parte dei casi compreso tutto ciò, l’uomo ricerca questo piacere nella materialità sotto tutti i suoi aspetti (potere professionale e personale, attaccamento ai beni materiali, ai sensi) ma è chiaro che tutto questo è aleatorio ed il risultato sterile di questa ricerca lo porta a chiudersi ancora di più nel suo piccolo mondo, nella sofferenza, nell’isolamento, nella frustrazione, nel non rispetto di se stesso e quindi dell’altro. L’uomo però è dotato di grandi doni interiori: primo tra tutti la presenza di Dio se lo desidera, la tenacia, la creatività, l’intuizione ed un grande dono 'este-riore' che può aiutarlo a mettere in atto queste sue qualità: la donna.L’uomo in molti casi non vuole comprendere il legame che unisce la donna a Dio in maniera così unica, attraverso la maternità e l’amore che è l’essenza stessa del Divino. Non comprende che anche lei cammina con lo stesso fi ne ed ha necessità di completarsi nello stesso identico modo mettendo in pratica nel quotidiano, attraverso di lui, ciò che lei ha ricevuto in dono dal Padre.C’è una complementarietà importantissima e straordinaria tra i due e se l’uomo ha il dono di riconoscere questo valore riuscirà nel suo darsi creativo in tutti i campi della vita (personale, fa-miliare, professionale, ecc.) facendo riferimento alla guida ed al sentimento della donna.

Francesca Federica

ono andata al primo corso ed ho visto questi uomini:

Un timidone con gli occhiali che rotolava da un muretto dalla foga per prendere la “bandiera” (e si infortunava),un giovane tipo ultrà che diceva di aver letto il Corano (cioè la prima pagina… cioè una mezza pagina… ma comunque),il suo amico con l’aria un po’ addormen-tata che sapeva a memoria le canzoni di Vasco, un gran dicitore di barzellette che si interrogava sui tesori che abbiamo vicino e che cerchiamo lontano…, un orso che faceva il cocomero la sera del gioco/recita e si commuoveva durante la messa, un corsista attento che mi sussurrava parole commosse durante

l’abbraccio.Uomini, fratelli… mi avete sorpresa.Quanta luna c’è in vo i , quanta femminilità…E la morbidezza, la tenerezza di don Gianni sopra tutti, in mezzo a tutti, ad annullare le distanze e a far sì che luna e sole si mescolassero, si abbracciassero come i rami dei pioppi ricomposti, riconoscendo la

loro radice unica.“…siamo a Romena, però… fuori da qui gli uomini sono diversi!” azzarda una di voi.Penso di no, gli uomini là fuori aspettano solo di poter mostrare questa loro luna.E se li guardiamo, intenerite, fi duciose e pazienti lo faranno. Lo so: accadrà.

Vi voglio bene

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creato, e l’uomo a sua immagine e somiglianza. Quan-do smettiamo di dire “io” ritorniamo a fare parte del creato, o meglio ne riacquisiamo la consapevolezza.Solo se non metto divisione tra me e una montagna posso spostarla, perché divento montagna.Solo se divento pioggia, lupo, abete, o per lo meno smetto di sentirmi diviso da loro, posso vivere nel paradiso.Se divido entro nell’inferno. Ecco la vera sofferenza.Anche quando preghiamo ci rivolgiamo a Dio, quindi ci pensiamo divisi da Lui. Perché?Un primo passo importante è smettere di classifi care: crea divisioni e quindi crea limiti.Non si tratta di fare cose nuove, le cose nuove non c’erano quindi non provengono dall’eternità. Noi sì.Non si tratta di “cambiare” il modo di pensare, ma smettere in un certo senso di far pensare “l’io”. An-nullando “l’io” non esiste più il “mio” dolore, esiste il dolore; non esiste più la “mia” gioia, esiste la gioia; non esistono più persone buone, esiste la bontà; non esistono più persone illuminate, esiste la luce.

gni essere umano, uomo o donna, ha un vuoto interiore da riempire, un bisogno, una debo-lezza che lo fa essere attento, fragile, aperto al

fuori, e nello stesso tempo concentrato su di sé. Ma c’è una differenza grande fra i due: la donna per natura è più predisposta a non chiudersi; accoglie l’uomo nella procreazione, crea uno spazio in sé nella maternità. Ecco perché la donna è casa. L’uomo è un conquistatore, si butta all’esterno e cerca di riempire il vuoto proiettando se stesso nel mondo. Niente di nuovo e niente di male, sono due mezze cose che si completano.Ma la differenza profonda è che la donna, per natura, trova realizzazione nel fare spazio, nel condividere, e questo la rende più partecipe e unita con l’esterno. Lo spingersi “fuori” dell’uomo, invece, lo rende più forte e quindi più solo, diviso dagli altri.Separare è una cosa improduttiva, e l’uomo, il ma-schile, lo fa istintivamente, per proteggersi, e per aggredire.Dividiamo tutto, l’interno dall’esterno, il giusto dall’errore, l’oggi dal domani, sostanzialmente giu-dichiamo.Se andiamo fi no in fondo in questa sciocca strada del “dividere” vedremo bene in faccia dove nasce la vera sofferenza. È sotto i nostri occhi la divisione delle idee, delle culture, delle razze. Dividiamo l’uomo dall’uomo con una facilità in apparenza naturale, ma in realtà contro natura. Se andiamo avanti vedremo la divisione non solo fuori di noi, ma anche dentro di noi. L’uomo si pensa “io” e diventa solo, separato dagli altri, da tutto il creato. Questo è l’inferno.Gesù ha detto: “potreste dire a quella montagna spo-stati, e quella montagna si sposterebbe”.Perché Gesù avrebbe messo nel cuore dell’uomo la sensazione di essere ancora di più impotente?E come faceva San Francesco a parlare con gli animali, con le piante, con le rocce?

Cancellando “l’io” (chi mi ama rinneghi se stesso).

Dio ha creato tutto il

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Cristiano

Ad un uomo

Lungo il fi ume degli eventiincontrai un uomo.Mi avvicinai come se lo aspettassi.Il suo sguardo era cristallino,il suo sorriso gentile.Il suo corpo emanava onde luminose.Il suo cuore custodiva saggezze di piaghe vissute.La sua voce calda mi parlò degli uomini.Mi svelò ciò che non appare.Scavammo dietro la paura e la debolezza,dietro lo smarrimento e la stanchezza.Trovammo alberi con radici di terra e rami di cielo.Trovammo l’unicità che si fa’ destino, scopo.Trovammo germogli di coraggio e petali di sapienza.Trovammo il seme che può diventare stella..E compresi che siamo più di un’immagine prigio-niera,più del dolore che attanaglia e ci ruba il fi ato.Non c’è limite dove abita l’infi nito,se solo sapessimo svegliare il sonno e destare l’oblio.Ed ora so, che io e lui, danzeremo e canteremo ancoralungo la strada maestra.

Laura

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Per darci una mano

La nostra associazione è giuridicamente rico-nosciuta come ONLUS (Organizzazione Non Lucrativa d’Utilità Sociale), per questo chi vuole dare un contributo può benefi ciare delle age-volazioni fi scali previste contenute nel decreto legislativo 460 /1997.Il versamento può essere effettuato tramite:- C/C Postale n. conto 38366340 intestato a: Fraternità di Romena Via Romena 1 52015 Pratovecchio - Arezzo - Bonifi co bancario su C/C n. 3260 c/o Banca Popolare dell’Etruria e del Lazio (BPEL) Filiale di Pratovecchio codice ABI 5390 CAB 71590 intestato a Fraternità di Romena Via Romena 1 52015 Pratovecchio - Arezzospecifi cando nella causale “Offerta Progetto Romena”

FRATERNITA’ DI ROMENA - ONLUS -

n profondo sospiro, e mi fermo dopo questa giornata.Stavo passeggiando frettolosamente fra i ru-

mori di questa frenesia, e li guardavo tutti, loro che si amavano, e si coccolavano..Così ti ho pensato, caro compagno della vita che ancora non ho incontrato e conosciuto..Mi sono sorpresa a sentire uno strano e sconosciuto benessere nel pensarti..Prima no, mi mancava il respiro, mi invadevano sentimenti di invidia al punto di gridare dentro di me: “Basta non amatevi più, mi fate sentire esclusa, non meritevole di partecipare al banchetto!!!”Oggi invece, mi vengono i brividi, mi sale la curiosità e il desiderio..Ho voglia di conoscerti..Tu comunque ci sei sempre stato: nelle mille delusioni, nei fallimenti..Mi stavi implorando di non fermarmi, di non cedere a qualcosa di effi mero.. Tu come me sogni l’eterno, e cerchi quella luce, che non appartiene a noi se non attraverso chi ci ha creato..Li guardo tutti… quelli per cui ho pianto, disperato, digiunato, mandato all’aria la mia quotidianitàTi ho cercato disperatamente nella loro presenza, ma ti stavo fuggendo.. Fuggivo l’Uomo..Sì perché non mi interessa sapere che aspetto avrai, o quali saranno i tuoi ideali, io so che tu sarai un Uomo, e che come me sarai in cammino per raggiungere la meta, e per realizzarti attraverso piccoli passi..Ora che sono una Donna, sono pronta ad accoglierti, ad amare te e tutto il mondo che ci circonda..Vivremo un focolare sempre acceso, e una casa dalla porta aperta.. Ci impegneremo per rendere questo piccolo angolo di terra un vero esempio di amicizia e di fraternità..E grideremo a tutti i nostri amici: venite, vi aspet-tavamo, qui c’è un fuoco caldo, e tanta voglia di amarsi…venite…

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Anna Maria

Gruppo di Rovereto

ettere, mail, pensieri sull'uomo. Avremmo volu-to pubblicarli tutti, ma non ci è possibile. Grazie a Serena che ci ha raccontato la sua storia, e

nonostante esperienze diffi cili crede “che l‘uomo abbia un cuore grande che sa donare tenerezza e amore”; a Silvia, che augura a ogni uomo di “scrollarsi di dosso ogni timore, e di diventare forte, libero e felice”.Grazie a Manu, che ci ha inviato una preghiera per l’uomo visto nella dimensione della coppia: “Prego dunque per l’uomo, prego per noi e tutte le coppie, perché riusciamo a trovare sempre l’equilibrio, la voglia di stupirsi, di crescere insieme, per amare e lasciarsi amare”.E, infi ne, grazie a Marco, che semplicemente ci ha mandato un saluto: “Ciao Romena, oggi dal posto di lavoro ti penso, penso ai volti e alle persone che ho conosciuto”. E aggiunge: “Mi sembra di aver toccato la vita con le mani”.

LL

Non mi cullare in sogni languidi,

scrollami dal servilismo

per la polvere,

dalle catene che imprigionano

la nostra mente e

alza la nostra testa

nel cielo senza limiti,

nella luce generosa,

nell'aria della libertàTagore