Kel12 Magazine - Marzo 2016

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    ED I TOR IA L E

    SIAMO TUTTI I NOSTRI VIAGGI.Un viaggio è soprattutto un incontro di culture. Cultura di chi parte, cultura di chi guida,

    cultura del luogo. Cultura che si scambia, e quella che si lascia. Ecco perché i nostri Tour Leadersono i più competenti e appassionati del luogo, delle persone, della storia, dell’arte e della natura.

    Il punto di vista più competente per arrivare dove gli altri non arrivano.

    VIAGGI AVVENTURAGuida alla libertà

    Un viaggio che ottimizza tempi,condivide l’accompagnatore,

    alberghi e spostamenti, ma che lasciaa ognuno la libertà di farli propri.

    MOUNTAIN KINGDOMEmozioni alla tua altezza

    Guide alpine e professionistidella montagna pronti

    con l’obiettivo di farvi arrivarein cima: a un’emozione.

    VIAGGI SU MISURAartiamo da tereiamo insieme il viaggio ideale:u misura, oltre ogni confine.n compagnia o da soli.n ogni caso con noi.

    VIAGGI CON L’ESPERTO - RENDEZ VOUSAppuntamenti con il mondo

    Un pranzo nel Parco Nazionale di Tikal,Petra di notte solo per te, salire su una barca

    birmana sull’Irrawaddy, essere presente alla festadell’Inti Raymi o al Kumbh Mela.

    È più di un viaggio. È vita.

    VIAGGI CON L’ESPERTOa differenza la fa l’esperienzaono antropologi, viaggiatori esperti,iornalisti di viaggio. Sono profondionoscitori del luogo, delle sue storiedella cultura che li pervade.ono i nostri Tour Leader.

    La differenza tra turista e viaggiatore è uno di quei temi che appas-sionano un po’ tutti. Di norma “turista” è un termine utilizzato conaccezione negativa, persino dispregiativa. Se sei turista allora sei pigro, timuovi in gruppo, vivi le culture locali solo attraverso il filtro delle guide,cerchi le comodità e non l’avventura. Se sei “viaggiatore”, invece, ti muovicon lo zaino in spalla, spesso da solo, rifuggi gli alberghi come fosseroluoghi di appestati e non ti muovi mai senza un dizionarietto e qualchepenna biro in tasca.Inutile dire che la verità sta nel mezzo e gli stereotipi possono essere molto

    fuorvianti, se non addirittura pericolosi. Tutti vorremmo avere il tempoe il denaro necessario per girare il mondo liberamente per mesi, se nonper anni. Ma questo lusso possono permetterselo in pochi e l’approccio alviaggio è ciò che fa la differenza. Ho sempre pensato che solo la curiositàdistingua un viaggiatore da un turista. Tutto il resto sono strumenti oelementi di contorno. L’approccio da viaggiatore solitario estremo non èmai garanzia di una migliore conoscenza della meta visitata, anzi. Spesso

    da viaggi solitari e scomodi torni con un gran mal di schiena e senza avercapito un accidente del Paese che ti ha accolto come un fuggiasco. Unabuona preparazione prima del viaggio e una guida che sappia farti ap-prezzare ogni angolo e sguardo sono una ricchezza che rende un viaggio

    davvero indimenticabile. Puoi dormire sotto un albero o mangiare lom-brichi a colazione, ma quello, spesso, è solo folclore anche per i locali, iquali preferiscono di gran lunga un buon piatto caldo e un letto comodo.

     A qualunque latitudine.Ciò che importa davvero è partire lasciandosi tutto alle spalle, con latesta libera di assorbire come una spugna le nuove esperienze che vivrai,le persone che incontrerai, i suoni che ascolterai e il cibo che gusterai. Ilresto conta poco. Questa è esattamente la filosofia che da oltre 30 anniKel 12 promuove in tutti i suoi viaggi. La Colombia, meta del prossimoRendez Vous, incarna esattamente questa idea. Impossibile affrontare unviaggio in questo Paese senza una guida adeguata, altrimenti non potraicapire perché una nazione da poco uscita dall’incubo dei rapimenti e delnarcotraffico, vive oggi una stagione dorata, è sicurissima e guida la clas-sifica dei Paesi più felici al mondo. Le contraddizioni rimangono, ma ilviaggio serve appunto per svelarle in tutto il loro realismo.

    direttore responsa bile Stefano Ampollini

    a rt director

    Carlotta Petracci  

    progetto gra fico

    Silvia Virgillo

    caporedattore

     Mari lena Ronc arà 

    reda zione  Anto nell a Ar mige ro, Angel aCalabrese, SamanthaColombo, Filippo Spreafico

    gra fica

     Anna Tortora

    colla bora tori

    Paolo Brovelli, Elena Dak,Giuliano Deidda, CarloGabasio, Anna Maspero,Nicola Pagano, MarcoPatrioli, Gianluca Ranzini, Mari o Rom uald i, Al fredoLuís Somoza 

    fotogra fi Simone Antonelli, ElenaBianco, Paolo Brovelli,Francesco Calloni, OmarFragomeni, Carlo Gabasio, Mart a Gh elma, Claud iaIoan, Nicola Pagano, MatteoPrezioso

    foto di copertina Matt eo Pre zio so

    publisher  Contemporanea srl, viaEmanuele Filiberto 7/a, 2014 9 Mi lano

    sta mpa  Agema S.p. A.viale Monza 7, Milanowww.agema.it

    È vietata la riproduzione,anche parziale, di testie foto. Auto rizz azio ne d elTribunale di Milano n. 239del 24 luglio 2015.

    O L T R E G L I

    S T E R E O T I P I

    di Stefano Ampollini 

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    S O M M A R I O

    M O N G O L I A

    I L T R A B O C C A R E D E LV U O T O D E L C I E L OE D E L L A T E R R APag. 62 Regno di steppe, di fiumi e forestedi larici, questa terra dagli orizzontisenza fine incanta per la sua bellezza.

    K A L Y M N O S

    D O V E I L M A R EI N C O N T R A I LT R E K K I N G EL ’ A R R A M P I C A T A

    Pag. 72 Un tempo conosciuta come l’isoladei pescatori di spugne, Kalymnos èl’ideale per una vacanza nella natura.

    B O T S W A N A

    L ’ A N I M A S E L V A G G I A

    D E L L ’ A F R I C A A U S T R A L EPag. 50 Nel cuore dell’Africa meridionale,il Botswana custodisce paesaggiincontaminati dalla savana al Kalahari. 

    R U B R I C H E

    V I A G G I A R E T R AL E R I G H EPag. 80 

    I N P A R T E N Z AC O N K E L Pag. 82 

    S C H E D E V I A G G I O

    P A P U A N U O V A G U I N E APag. 21

    R E P U B B L I C H E B A L T I C H EPag. 29 

    C O L O M B I APag. 47 

    B O T S W A N APag. 58 

    M O N G O L I APag. 69 

    K A L Y M N O SPag. 78 

    R E P U B B L I C H EB A L T I C H E

    L A F E B B R E F R E D D AD E L L ’ A R T N O U V E A UPag. 24 Nazioni giovanissime, le tre sorelle delBaltico hanno fatto della loro storiatravagliata una leva per ripartire.

    C O L O M B I A

    M O M P Ò S , D O V E V I V EM À R Q U E ZPag. 32 Il mondo descritto da Gabriel García

    Màrquez lascia le pagine dei libri pervenirci incontro proprio a Mompòs.

    O P I N I O N I

    N A S C E R E S E D E N T A R IE F A R S I N O M A D IPag. 6 L’uomo nomade non umanizza lanatura: la percorre e si fa egli stessopaesaggio quando la attraversa.

    C O N G L I O C C H IA L L ’ I N S ÙPag. 8 Il cielo stellato è uno sp ettacolo

    naturale sempre davanti ai nostriocchi. Perché non approfittarne?

    I N S E G N A R EL ’ A R R A M P I C A T APag. 10 Per arrampicare serve metodoe le guide alpine hanno sceltoquello della new school.

    P A P U A N U O V AG U I N E A

    F U O R I D A I S E N T I E R IB A T T U T I N E L L A T E R R AD E I P A P U APag. 14 Un mosaico linguistico e culturalesenza uguali, un crocevia biologicounico, in cui la natura regna sovrana.

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    E L E N A D A K Antropologa e guida Kel 12 

    Elena Dak (Dacome per l’anagrafe),nasce a Venezia nel 1970. Laureata inConservazione dei beni culturali conindirizzo antropologico, dal 1997 la-vora come guida per Kel 12. Ha scrittoLa Carovana del Sale (Corbaccio) e Sa-na’a e la notte (Alpine Studio).

    P O P O L I I N M O V I M E N T O • L’antropologia chiama “mobili”

    quei popoli che comunemente sono stati chiamati nomadi. Il termineaggiorna to è meno poetico ma effi cace nell’ant icipare la cifra fond antedi uno stile di vita. Tutti i nomadi sono infatti pastori in movimento allaricerca del pascolo per i loro animali. Da sempre questi popoli sono statipercepiti dagli uomini delle civiltà sedentarie come barbari, periferici,selvaggi, a basso grado di civiltà.In realtà le motivazioni delle società mobili non sono meno complesse diquelle sedentarie. I nomadi sono perfettamente in grado di costruire lapropria storia, di tracciare linee culturali permanenti pur nel fluido scor-rere del loro quotidiano fatto anche di attesa e acuto studio e percezionedell’ambiente. I nomadi sono consapevoli costruttori di un’organizzazio-ne sociale egualitaria, tanto più complicata in quanto sradicata dal ter-reno e in grado di replicare meglio dei sedentari alle durezze ambientali.

     Acuti lettori della natura, occupano nicchie ecologiche svantaggiate, spaziaridi il cui manto vegetale è rarefatto. In ambienti simili è f ondamentaleessere all’erta sempre per catturare ogni minimo evento che possa turbareun equilibrio dinamico, affascinante ma fragile.Quel che è certo è che l’uomo nomade a differenza del sedentario nonumanizza la natura: la percorre e lascia solo impronte inconsistenti. Si faegli stesso paesaggio nel momento in cui lo attraversa.Dei nomadi è propria la leggerezza, la stessa che il viaggiatore saggio fasua. Essere nomade vuol dire votarsi alla parsimonia, alla frugalità e nonapprodare ai beni dei sedentari. Come Eugenio Turri spiega in maniera

    mirabile, il nomade vive in funzione degli animali allevati e questi infunzione del territorio di pascolo; se questo viene a mancare o si esauriscecrolla l’intero sistema che si basa su una condizione transitoria, instabileed evanescente.Se il nomadismo è sempre stato un vivere sull’orlo del possibile, oggi è unsopravvivere sull’orlo dell’impossibile, stritolato dalle dinamiche possentidel mondo sedentario, frenato da terre sempre più coltivate, governi in-sofferenti, infrastrutture e strade che tranciano sentieri di passaggio.Essere nomade nell’anima anche per chi nomade non è, vuol dire avereuna mentalità pronta a tutte le avventure possibili, agli imprevisti, affron-tare la linea dell’orizzonte sapendo che migrare anche metaforicamentevuol dire vivere e star fermi vuol dire soccombere. Come nei mercati,nomadi e sedentari s’incontrano da sempre, così il viaggio diventa il luo-go ideale in cui l’uomo sedentario può sperimentarsi nomade d’animonell’approccio e nel passo lieve.

    N A S C E R E S E D E N T A R IE F A R S I N O M A D IL ’ U O M O N O M A D E N O N U M A N I Z Z A

    L A N A T U R A , M A S I F A E G L I S T E S S O

    P A E S A G G I O

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    S t i a m o p a r l a n d o d i A S T R O N O M I A

    G

    G I A N L U C A R A N Z I N I Astrofisico

     Astrofisico specializzato in divulgazio-ne scientifica, Gianluca Ranzini giàresponsabile del Planetario di Milano,ha scritto diversi libri, due dei quali in-sieme a Margherita Hack. È presidentedell’Associazione dei Planetari Italiani(www.planetari.org) e lavora nella re-dazione del mensile Focus.

    C I E L I E P A E S I •  Ogni viaggio cela una propria motivazione: il de-siderio di conoscere nuove culture, di visitare meraviglie della natura, disdraiarsi su spiagge incontaminate. A volte questi desideri ci portano inluoghi remoti, deserti, montagne, isole sperdute nell’oceano. Quale chesia la molla che ci spinge in un certo luogo, può capitare che di notte,guardando in alto, si veda uno spettacolo che non ci è familiare: un cielocosì ricco di stelle da perdersi a contarle, e una Via Lattea che attraversa la

    volta celeste così chiara e delineata da capire perché per gli antichi fosse laspina dorsale del cielo, oppure, nel caso degli Egizi, il grande fiume cele-ste controparte del Nilo che conduceva al paradiso in cui regnava Osiride.In altre parole, possiamo sfruttare i viaggi per aggiungere qualcosa di piùalla nostra vacanza: la magia del cielo stellato. Non siamo più abituatia questo spettacolo naturale perché spesso viviamo in città il cui cielo èpesantemente inquinato dalle luci artificiali. Non a caso i grandi telescopimoderni sono collocati quasi tutti in una manciata di luoghi speciali, ide-ali per il clima secco e lontani da qualsiasi fonte di inquinamento lumino-so. Tra questi spicca il deserto di Atacama, in Cile, che ha una trasparenzadi cielo eccezionale e 340 notti serene all’anno. E poi le cime dei vulcanidelle Hawaii, le Canarie (dove è collocato anche il telescopio nazionaleitaliano), qualche angolo dell’Australia, del Sudafrica. Andando a latitu-dini molto meridionali, abbiamo poi la possibilità di vedere costellazioniche dall’Europa non si possono osservare, come la Croce del Sud, cheindica la direzione del polo sud celeste. E, ancora, le regioni più ricchedella Via Lattea nella costellazione del Sagittario, che si staglia verso ilcentro della nostra galassia.Ci sono anche viaggiatori “specializzati”, che si recano appositamente inluoghi da cui assistere a particolari fenomeni celesti. Per esempio le eclis-si. Ho avuto la fortuna di assistere a un’eclissi totale di Sole dal desertodella Mongolia, e lo spettacolo di per sé affascinante del fenomeno eraamplificato dalla suggestione dei colori dei monti Altai. Una sensazioneindimenticabile. E l’oscurità del cielo notturno, in quei luoghi, era cosìprofonda da permetterci di vedere quasi ogni notte diverse stelle cadentiche lasciavano lunghe scie attraverso la volta celeste.Il cielo stellato è uno spettacolo per il quale non si deve pagare alcunbiglietto e che è sempre davanti ai nostri occhi. Perché non approfittarne?

    C O N G L I O C C H I A L L’ I N S ÙI L C I E L O S T E L L A T O È U N O S P E T T A C O L O

    N A T U R A L E P E R I L Q U A L E N O N S I D E V E

    P A G A R E A L C U N B I G L I E T T O

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    S t i a m o p a r l a n d o d i   A R R A M P I C A T A

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    C A R L O G A B A S I OGuida Alpina 

    Guida Alpina dal 1992 e istruttore del-le guide alpine dal 1997, Carlo Gaba-sio dice di sé: “ho l’onore e l’onere diricoprire la carica di direttore ai corsidi formazione per guida alpina”. Gra-zie al lavoro di guida ha viaggiato e fo-tografato in tutti i continenti.

    I L M E T O D O E L ’ A R R A M P I C A T A • Da più di vent’anni inse-gno ad arrampicare e da più di trenta frequento le falesie dove si arrampi-ca per divertimento, ci si allena o si insegna ad arrampicare. In tutti questianni i materiali e le attrezzature si sono evoluti moltissimo, tanto nellagaranzia di sicurezza quanto nelle prestazioni e anche le performance deiclimber sono salite alle stelle, raggiungendo gradi inimmaginabili solo undecennio fa. Tutti si sono velocemente aggiornati grazie all’impiego deinuovi materiali, in molti hanno aumentato il proprio grado massimo, maquello che salta agli occhi è che solo pochi si sono migliorati nell’insegna-mento. Anni fa si poteva attribuire la colpa alla mancanza di strumentididattici, oggi non ci sono più scuse.

    La prima grande svolta sull’insegnamento è avvenuta con la pubblicazio-ne dei testi tecnici di arrampicata a cura delle guide alpine: era il 1998. Itesti, diventati supporti insostituibili ai corsi di formazione per le aspiran-ti guide alpine, sono anche obbligatori nei corsi di aggiornamento dellestesse guide.Il 1998 ha segnato, quindi, un grande passo avanti nell’insegnamento ditutte le tecniche delle varie discipline, uscirono infatti nello stesso perio-do anche i manuali relativi a sci, ghiaccio e sicurezza. Altro valore aggiun-to per l’insegnamento è stata l’applicazione di una metodologia didatti-ca, uno sforzo e una ricerca sempre realizzati dalle guide alpine insiemecon tecnici sportivi e docenti universitari. Noi guide alpine di Mountain

    Kingdom ci siamo dedicati molto a migliorare le nostre capacità didat-tiche in tutte le discipline, non a caso l’insegnamento nella nostra newschool avviene utilizzando le ultime strategie didattiche, ovvero un cali-brato utilizzo del metodo “induttivo” e del metodo “frontale”.  Ma in sintesi qual è l’elemento che differenzia questi due metodi?Con il metodo induttivo, l’allievo è portato a far sua la tecnica sulla basedi esperienze e sensazioni proprie. La guida lo porterà a sentire l’esigenzadi muoversi in un certo modo per risolvere il problema proposto, in que-sto modo l’allievo avrà una maggiore consapevolezza del proprio corpo edei movimenti e non si sarà limitato a imparare a memoria una sequenzadi movimenti come avviene con il metodo frontale, dove la guida spiegae dimostra l’esercizio e l’allievo tenta di ripeterlo fino a che lo esegue cor-rettamente. Negli anni abbiamo verificato che il giusto mix dei 2 metodi,correttamente rapportato alla durata del programma didattico, ha sempreportato a ottimi ri sultati anche con gli allievi più in diffi coltà.

      I N S E G N A R E  L ’ A RRA M PIC A TA

    L A N E W S C H O O L D E L L E G U I D E A L P I N E E

    L ’ A R R A M P I C A T A S U R O C C I A

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    S t a i v i a g g i a n d o i n

    E ° ’ N ° ’ P R O G R A M M A

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    P A P U A N U O V AG U I N E A

    Un mosaico linguistico e culturale senza eguali, un crocevia

    biologico unico: la Papua Nuova Guinea offre un’immersione

    totale nel passato in terre in cui la natura domina sovrana.

    La Papua Nuova Guinea è il volto dipinto di un uomo con i coloridella terra, le piume variopinte degli uccelli, il suono dei flauti cheriproduce lo spirito dei fiumi; è la danza che fa vibrare il suolo asuon di tamburi e canti, è una moltitudine di tribù che nonostantei contrasti, lotta per rimanere incorruttibile testimonianza dellapropria cultura.

    L ’ I S O L A

    D E L L ’ U C C E L L O D E L P A R A D I S O

    E ° ’ ’ ’S ° ’ ’ ’

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    S t a i v i a g g i a n d o i n P A P U A N U O V A G U I N E A

    Papua Nuova Guinea 

    Una leggenda narra che Dio diede origine allaPapua Nuova Guinea nell’ultimo giorno dellesue fatiche, lanciando nel Mar dei Coralli ciò che eraavanzato dalla creazione del mondo: rocce, vulcani,montagne alte quattromila metri, foreste sterminatee fiumi, paludi e vallate dando così vita a un ecosiste-ma variegato, completo di tutto ciò che si può trovaresulla Terra, concentrato però in un unico luogo impe-

    netrabile. Un paradiso rimasto intatto per secoli grazieal suo isolamento, un crocevia biologico dove si me-scolano specie di origine australiana e asiatica e dovel’evoluzione ha dato vita a forme di comportamentoe creature che non si trovano in nessun’altra parte delmondo. Una terra popolata da settanta specie di ret-tili, farfalle e orchidee rare e dove vivono trentasettedelle quarantatre forme di uccello del paradiso. Quil’uomo ha stretto un patto indissolubile con la natura,vestendone simbolicamente e materialmente le parti-colarità, incarnando gli spiriti e le forze misteriose chela animano, facendosi ornamento di conchiglie e sca-rabei, scegliendo addirittura di trasformare il propriocorpo per assomigliare agli animali totemici oggettodi venerazione. 

    Il punto di partenza di tutti i viaggiatori che intendo-no esplorare la Papua Nuova Guinea è senza dubbioPort Moresby, la capitale che, affacciata sul Golfo diPapua, è una delle città più grandi e popolose del Pa-cifico. Il suo nome tradisce un passato coloniale mol-to recente, l’intero Paese, infatti, ha visto negli annisusseguirsi il controllo britannico, australiano, giap-ponese e tedesco e solo nel 1975 ha ottenuto l’indi-

    pendenza. Da qui partono gli aerei verso le localitàche si affacciano sul Mare di Bismark e le regioni delSepik, il fiume più lungo della Nuova Guinea, che neisuoi 1126 chilometri di estensione attraversa con lesue acque tortuose tutta questa terra dalla parte indo-nesiana, fino a sfociare nell’Oceano Pacifico.Qui le popolazioni del Medio Sepik, organizzate inclan di discendenza patrilineare, si sono adattateall’acqua conducendo una vita galleggiante a strettocontatto con il fiume che venerano come una divinitàassieme agli animali che lo popolano, primo tra tutti ilcoccodrillo. Proprio ad Ambunti, piccolo villaggio chesi affaccia sulla parte est del Sepik si tiene il Festivaldel coccodrillo, Puk puk in lingua locale. Tre giorni incui popolazioni di tutte le aree del fiume si riuniscono

    di Antonella Armigero fotografie di Francesco Calloni 

    F U O R I D A I S E N T I E R I

    B A T T U T I N E L L AT E R R A D E I P A P U A

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    e bandiera della Papua. Ma non è solo la natura sel-vaggia e rigogliosa delle foreste pluviali tropicali chericoprono 39 dei 46 milioni di ettari di terra di cui ècomposta l’isola, a lasciare senza fiato: la Papua NuovaGuinea è famosa anche per le sue spiagge bianchis-sime e per il mare cristallino, popolato da coralli epesci. Da Wewak situata sulla costa settentrionale èpossibile raggiungere con una barca a motore alcuneisole incontaminate dell’arcipelago tra cui Muschu eKairiru, occupate dai giapponesi durante la SecondaGuerra Mondiale, come testimoniano solo alcuni re-litti di aerei ancora visibili tra la vegetazione. Ma lavera attrazione qui è il mare, un autentico paradiso

    per sub e surfisti, che a Victoria Bay, un’insenaturanella parte occidentale dell’isola, si possono concedereil piacere di un bagno rilassante in una delle sorgentigeotermiche scaturite dalla roccia vulcanica. Quandosembra di aver assistito a tutto quello che la mente

    può immaginare, la Papua sorprende nuovamente conla diversità dei suoi scenari, infatti tornati sulla terraferma non resta che esplorare gli altipiani e la regionedelle Highlands, famosa per la vegetazione rigogliosa,le piantagioni di caffè e le meravigliose orchidee checrescono ad alta quota. Qui si trova Mount Hagensede dall’annuale Sing Sing , una grande festa ispirataalle vecchie danze di guerra, istituita nel 1961 dal go-verno australiano, per cercare di convogliare lo spiritobellico delle tribù in gare e feste pacifiche. A gareggiarefianco a fianco con costumi variopinti, copricapi altis-simi e pitture corporali, sono tribù segnate da un anti-co odio, per l’occasione riunite in un solo luogo a cele-

    brare i singolarissimi culti e le tradizioni profonde cuiappartengono. Ancora una volta il corpo rappresentauno strumento della sfera sacra e sociale, una materiada plasmare e trasformare per avvicinarsi sempre dipiù alla rappresentazione simbolica di questa terra.

    per celebrare con danze, canti, riti tribali e drammiquest’animale considerato dio creatore di tutte le cose.Ogni villaggio si esibisce in questo culto ancestrale:gli uomini indossano il proprio costume tradizionale,

    decorandosi il corpo con pitture dai colori accesi, piu-me, conchiglie, monili lignei scolpiti sapientemente amano e addirittura piccoli coccodrilli vivi. La vene-razione di quest’animale è così grande che nei villag-gi di Yentchen, Palembei e Kanganaman, gli uominicompiono un doloroso rito d’iniziazione che prevedela scarificazione del corpo praticando profondi taglisulla pelle, che una volta rimarginati simulano le sca-glie del coccodrillo. Un rituale compiuto all’internodelle Haus Tambaran, le Case degli Spiriti: costruzionidi legno di bambù e paglia dalla forma singolare, il cuiingresso stretto assomiglia alle fauci di questo rettile. Si tratta di enormi cattedrali scolpite, regno incontra-stato dei maschi delle tribù, dove nessuna donna puòaccedere. Al loro interno sono custoditi i flauti magici,

    le rappresentazioni degli antenati, le maschere antro-pomorfe utilizzate nei riti e nelle guarigioni, reliquiecui viene attribuito un valore magico e curativo moltopotente. L’iniziazione è un doloroso rito di passaggio

    dalle cure materne alla piena emancipazione, necessa-ria per entrare a far parte del clan e conoscere la cul-tura e i segreti del proprio popolo, grazie a essa gliuomini si trasformano in vere e proprie enciclopedieviventi, elemento da non sottovalutare in un mondototalmente privo di trasmissione scritta.Dalle squame del coccodrillo si passa alle piume colo-rate dell’uccello del paradiso, altro animale che popolaqueste terre. Lasciando Ambunti nel Sepik orientale eviaggiando verso il lago Wagu si raggiunge la giunglache domina l’Alto Sepik, dove nel villaggio di Korobosi trova uno dei siti di nidificazione di questo meravi-glioso uccello. Giallo, blu, verde brillante e scarlattosono i colori dello scenografico piumaggio dell’uccellodel paradiso, una specie diventata simbolo dell’isola

    S t a i v i a g g i a n d o i n P A P U A N U O V A G U I N E A

    I L C O R P OÈ U N O

    S T R U M E N T O

    D E L L A S F E R A

    S A C R A 

    E S O C I A L E

    E ° ’ ’ ’S ° ’ ’ ’

    Guerrieroin abiti

    tradizionalisulle rive del

    Sepik 

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    S t a i v i a g g i a n d o i n P A P U A N U O V A G U I N E A

    E ° ’ ’ ’S ° ’ ’ ’

    Nei villaggidella Papua

    Nuova Guineale giornate

    trascorrono traattività dediteall’agricoltura,

    alla caccia e allacura della prole 

    NicolaPagano

    tende ma, in un mondo che cambia e si modernizza

    velocemente, quest’idea, trasferita nella politica, si tra-sforma in nepotismo e corruzione.La chiusura linguis tica e la diffi coltà di comunicazionehanno dato origine, nei millenni, ad una situazionedi diffi denza reciproca, di ostilità endemica che è sfo-ciata nella strategia del pay back: “occhio per occhio,dente per dente”. Da questa crudele realtà è emersauna spirale di faide, di vendette senza fine e di guerraperpetua che, in casi estremi, si tramanda anche allegenerazioni venture. L’architettura dei villaggi è spessofortificata o trincerata per proteggersi dagli attacchinemici. La maestria nell’uso di archi e frecce oltre chedi lance e coltelli è diffusa in tutta l’isola e dimostral’esigenza di difendersi o di infierire.

    Le battaglie sono frontali, aperte, regolate da un codi-

    ce di comportamento cavalleresco a cui tutti si atten-gono. Al tramonto la battaglia viene sospesa per poiriprendere all’alba. La guerra è un modo di vivere, èfine a se stessa e rappresenta l’occupazione principaledi tutti gli uomini. Più sono i morti e i danni inflit-ti al nemico e più alto sarà il prezzo dell’indennizzoche si dovrà pagare per siglare la pace. A questo puntocominciano le contrattazioni che spesso conducono anuove guerre e battaglie.Gli australiani, che ancora oggi gestiscono la PapuaNuova Guinea (formalmente indipendente dal 1975)come fosse un protettorato, idearono una “grandefesta”, una gara di danze e costumi fra tutti i popolidell’isola nel tentativo di arginare la rivalità e la vio-

    B A B E L E , P A P U A

    N U O V A G U I N E A

    Testo e foto di Nicola Pagano

    Dopo lunghe ricerche furo-no ritrovati, per puro caso,soltanto gli occhiali e una giaccasgualcita. Il povero Micheal Ro-ckefeller, figlio ventitreenne dell’exgovernatore di New York NelsonRockefeller scomparve nel 1961 tra le umide forestee le paludi del fiume Betsj, in territorio Asmat, nelsud dell’isola di Papua Nuova Guinea. Il giovane ram-pollo rimase vittima della tradizionale rivalità tra duevillaggi Asmat e quindi, si dice, divorato! Si sa che quisi è sempre praticato il cannibalismo e i tagliatori di

    teste esistevano veramente. Ma i tempi sono cambiatie, anche se ancora avvolta dal mistero, questa isolapreistorica è stata catapultata nel XXI secolo.La Nuova Guinea, seconda isola più grande al mon-do dopo la Groenlandia, è il regno della complessità.L’estrema varietà di ambienti naturali si riflette nel-la frammentazione di popoli, di lingue, di costumie di usanze come in nessun altro Paese sul Pianeta.  È un caleidoscopio etnico, un mosaico linguistico eculturale. Poco più di 8 milioni di abitanti parlanopiù di 1000 linguaggi differenti. Ci sono lingue cheaccomunano centinaia di migliaia di abitanti, oppu-re gruppi più ristretti di poche migliaia di individui.Numerosi altri linguaggi sono parlati solo da qualchecentinaio di persone e, all’interno di queste enclavi

    linguistiche, esistono perfino dialetti conosciuti sola-mente dagli uomini o dalle donne.Il fondamento della società neoguineana viene bendefinito dall’idea di wantok (dall’inglese one talk , “unaparlata”). Si tratta di una sorta di unione tra coloroche parlano la stessa lingua, che appartengono allastessa famiglia, alla stessa gente. Ogni abitante dellaNuova Guinea nasce con diritti e doveri nei confrontidei suoi wantok e non esiste alcun livello sociale chenon sia condizionato da questo sistema di supporto eaiuto reciproco. Un sistema egalitario, indispensabileper il senso di identità e appartenenza che esso sottin-

     Antropologo e musicista tren-tino con la passione per ilmondo e i suoi popoli. NicolaPagano comincia a viaggia-re fin da piccolo e terminatal’università è in Australia perapprendere l’uso del didjeri-doo, lo strumento a fiato degliaborigeni. Collabora con lemaggiori riviste di viaggi, masoprattutto non smette mai diviaggiare e studiare culture e

    usanze lontane.

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    S C H E D A P A E S E

    S t a i v i a g g i a n d o i n P A P U A N U O V A G U I N E A

    E ° ’ ’ ’S ° ’ ’ ’

    Gli Huli si preparano

    al Sing Singadornando il

    capo con piumee parrucche

    lenza tra le tribù. Il primo si svolse nel 1961, a MountHagen, capoluogo delle Highlands. Da allora si ritro-vano qui ogni anno i rappresentanti di centinaia dipopoli provenienti da tutte le regioni dell’isola per sfi-darsi reciprocamente con cerimonie antiche e ritualiz-zate, con canti e danze, con la forza di gesti, maschere,suoni e costumi tradizionali.Il Sing Sing è un carnevale etnico, un incubo antropo-logico, una sfida estetica e creativa, un paradiso foto-grafico che permette di trovarsi faccia a faccia con untagliatore di teste Yatmul e sorridergli.   Tribù giuntequi dalla costa, dalle pianure alluvionali o dalle mon-tagne, formano un vortice di colori, canti, danze etamburi. Sfilano i Kamu, i Melpa, gli Huli, gli Yatmul,i Cobriman, gli Imangan, gli Asaro, gli Skeleton, latribù delle api, delle volpi volanti, del serpente, del

    casuario e molti altri giunti qui per essere i più belli,i più agili, i più sgargianti, i più forti: per dimostrareche il loro popolo è il migliore, il più legato ai mitidella creazione in cui affondano le radici degli abitantidella Nuova Guinea.Gli Huli sono i più famosi, oltre che per la loro fe-rocia, per la fantasia nell’arte del trucco, della deco-razione e del costume. Le loro grandi parrucche, da

    cui deriva l’appellativo Wigmen,sono realizzate con i capelli veriche i ragazzi fanno crescere duran-te il lungo periodo di iniziazione.Lontani dal villaggio e dalle donnei novizi apprendono dagli anzianile storie degli antenati e i tabù. In-

    carnano il loro totem, l’uccello delparadiso, si appropriano delle suevirtù. Il volto si trasfigura. Coloribrillanti e lucidi confondono i li-neamenti. Ocra gialla per il volto,barba sbiancata, nero sugli occhie sottili righe rosse sugli zigomi.Uomini del Paradiso.  Negli ulti-mi decenni la violenza e le faidesono fortemente diminuite, men-tre i pericoli corsi da Rockefeller, ilcannibalismo e il collezionismo diteschi sono storia passata. Si sonoaccesi i riflettori sulle stravaganzedella Nuova Guinea.

    C I B O

    Coccodrillo per cena

    Il coccodrillo per i papuani non è solo un animaletotemico ma anche un’importante fonte disostentamento. Ricca in proteine, la carne di questorettile è uno degli ingredienti base di molte ricette locali.Inoltre le uova e la pelle vengono commercializzate inloco e all’estero; questo rappresenta una grave minaccia

     per la sopravvivenza della specie.

    Bilas o “ornamento corporeo”

    Bilas è una parola pidgin ampiamente usata inPapua Nuova Guinea per indicare la decorazione ol’ornamento del corpo e anche per descrivere il modo incui si decora la casa o lo stile di abbigliamento.Per realizzare questo ornamento impiegato specialmentenelle cerimonie tribali, vengono utilizzati elementinaturali come perle, semi, piume, gonnellini di palmae monili di legno e naturali sono anche i pigmenti pertingere il corpo.

    • Gridate il nostro nome dalle montagne ai mari. Papua Nuova Guinea.Lasciateci innalzare le voci e proclamare. Papua Nuova Guinea.

    (Inno nazionale dell’indipendenza papuana) •

    C O S T U M I

    P A P U A N U O V A

    G U I N E A

    LINGUA UFFICIALE

    Inglese, tok pisin, hiri

    motu, unserdeutsch

    SUPERFICIE

    462840 km²

    INDIPENDENZA1975 dall’Australia

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    P R O G R A M M A K E L

    S t a i v i a g g i a n d o i n P A P U A N U O V A G U I N E A

    R E P U B B L I C H EB A L T I C H E

    Nazioni giovanissime e tutte proiettate verso il futuro: le tresorelle del Baltico hanno fatto della loro storia travagliata una

    leva per ripartire ancora più forti.

    Nonostante siano unite da una genesi simile, Lituania, Lettoniaed Estonia non potrebbero essere più diverse: le tre Repubblicheaffacciate sul Baltico riescono a mantenere passato e futuro in per-fetto equilibrio, tra città dall’architettura unica al mondo e f orestecentenarie che ricoprono più della metà del territorio.

    A R C H I T E T T U R A E N A T U R A

    I N V I A G G I O T R A

    E ° ’ ”N ° ’ ”

    I N V I A G G I O C O N K E L 1 2

    K E L T I P O R T A A N C H E A

    D A N O N P E R D E R E 

    Nelle acque trasparenti del mare

    di Bismarck

     Musha è un’isola della baia di Wewak famosa per le sue spiagge bianchissime bagnate daacque turchesi. Nel piccolo villaggio chevi sorge è possibile godere appieno dellanatura e ammirare la barriera corallina facendo snorkeling. Da Musha si raggiunge facilmente Victoria Bay, sull’isola di Kairiru,un’insenatura dove sorgenti di acqua caldasgorgano dalle rocce.

    Birdwatching nella foresta

    Fare birdwatching nella foresta lussureggiantedei monti Hunstein, zona di nidificazione del famoso uccello del paradiso, è un’esperienzaunica. I momenti migliori per andare allascoperta di questi esemplari, sono la mattina presto e il tardo pomeriggio, quando con un po’ di fortuna si può anche assistere al ritualedi corteggiamento.

    Papua Nuova Guinea -

    Dove la realtà supera la fantasia

    Viaggi con l’esperto

    DURATA 22 giorni

    PARTENZE 2 agosto 2016

    Il fiume Sepik, culla di culture diversetra loro, lo spettacolare sing sing di Mount Hagen e ancora il Festival delCoccodrillo, l’esplorazione delle foreste

    alla ricerca di specie rare come l’uccellodel paradiso e la scoperta di i soleincontaminate. Quello che vi proponiamoè un viaggio nella Papua Nuova Guinea più autentica, in grado di restituire tuttele sfaccettature di questo angolo dellaTerra ancora poco noto.

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    L A F E B B R E F R E D D A

    D E L L ’ A R T N O U V E A U

    Ogni storia d’amore è una sto-ria di fantasmi, scriveva Da-vid Foster Wallace nel Re pallido.

     A Riga, nel quartiere chiamato ArtNouveau, assecondando il tuffoorizzontale del primissimo Nove-cento, sono fiorite grandi storie d’a-more messe alla prova dalla storia, intrise di fantasmitali e quali alle creature ibride e zoomorfe che le faccia-te di questi palazzi rappresentano. Tra Mikail Bulgakove la futura terza moglie, Elena Sergeevna, qui iniziòuna storia d’amore folgorante: a sua volta già sposata,Elena sarebbe poi diventata il prototipo di Margarita,

    personaggio principale del romanzo più celebre delloscrittore russo, il Maestro e Margherita. E nei palazzidel liberty, zeppi di richiami esotici e ornamenti orro-rifici, adagiati alle spalle di un parco verdissimo dove lacoppia era solita passeggiare nelle interminabili serateestive, i fantasmi hanno a lungo abitato.Perché la cifra caratteristica dell’Art Nouveau di Riga,studiata e riconosciuta in tutto il mondo, sta nell’abi-tare la storia: ci porta avanti e indietro nel tempo attra-verso i cambiamenti che hanno visto l’Europa mutare.  Si dice che tutta l’arte sia un alternarsi tra classico eromantico, impulsività barocca e razionalità positivista- e lo Jugendstil, termine più appropriato per definire

    di Marco Patrioli 

    Ha cominciato con il giornali-smo sportivo e con i report diviaggi, prima di innamorarsidei grandi spazi tra Russia edEuropa. Dal 2006 Marco Pa-trioli vive a Riga, in Lettonia,e come tour leader è spesso in

     Asia centrale e Iran. Dal 2013accompagna viaggi per Kel 12.Di recente ha iniziato a scrive-re per la Lonely Planet (per laguida Veneto di prossima pub-blicazione).

    questo stile, ha scelto il secondo, ma intingendolo nelpresentimento dell’orrore. Non è un caso che il richia-mo più ricorrente nelle facciate di questi palazzi sianodei mascheroni fissati in un urlo pieno di terrore, chesembra anticipare i più nefasti fantasmi del ventesimosecolo: i totalitarismi nella veste di comunismo e na-zismo, prossimi entrambi a trovare sponda in questacittà. Ma c’è una impulsività sposata al desiderio cheappartiene allo Jugendstil e che è racchiusa in un’altraparola tedesca, sehnsucht : l’angoscia bruciante di chipuò morire di romanticismo. Mikhail Ejzenstejn, chefu l’esponente di punta a Riga di quella formidabilegenerazione di architetti e padre del più conosciuto

    Sergei - regista di un capolavoro come La corazzataPotemkin, la cui fama in Italia è anche debitrice di Fan-tozzi che in un film lo definì “boiata pazzesca” - ha in-carnato alla perfezione il sehnsucht . Anche nel delicatoe a volte aspro rapporto con il figlio: una storia contra-stata e piena di ombre, come lo stile architettonico cheha reso celebre il padre. I lumi della ragione borghesedi Mikhail, fondata sull’etica del lavoro e foriera diordine e di rispettabilità, erano aperti all’arte e all’ir-razionale, ma anche segretamente minacciati da essa.Mentre celebravano il benessere della civiltà ne mette-vano in discussione l’esito con la forza distruttiva deldesiderio. Allo stesso modo, nonostante l’inappuntabi-le educazione ricevuta, gli estri giovanili del talentuosoSergei mal si accordavano con il rigore del padre, e loportarono ad allontanarsene: la loro corrispondenzaepistolare è struggente, e manifesta il fantasma di unrapporto irrisolto che non troverà requie. Ogni storiad’amore genitoriale è una storia di fantasmi.

    L’Art Nouveau di Riga è impietosa, ti sbatte in facciai drammi privati tradendoli con la sua pretesa d’asso-luto. Prendi l’Urlo di Munch, immergilo nel cilindrogassoso degli Imperi al crepuscolo, aggiungi zolfo, li-bido e Freud, tiralo fuori una ventina di anni dopo, equesta secrezione smisurata e calma diventerà il sierodello Jugendstil. Così come i predatori modificano l’e-cosistema originando un fenomeno a catena chiamatocascata trofica, ogni singolo palazzo Art Nouveau haprocurato e tutt’oggi continua a procurare una sortadi febbre fredda in cui Riga si rispecchia, e da cui nonsolo è definita ma trasformata. I banchetti dei fiorai inquegli anni cominciarono a essere aperti tutta la notte,e così è ancora oggi, anche in inverno con venti gradisottozero, quasi a cercare un conforto, una parente-si di dolcezza e passione, per notti scure di incubi efantasmi. Ma oltre all’ardente monumentalità, che piùstupisce dello Jugendstil è l’esiguo lasso di tempo di

    costruzione: poco più di dieci anni per circa cinque-cento edifici, disseminati alle spalle del centro storico edell’imponente fiume, la Daugava. In particolare è suuna singola via che sfilano i più riusciti esempi: Alber-ta iela, la regina dell’Art Nouveau, una vera e propriagalleria a cielo aperto. Merita una breve visita anche ilMuseo dell’Art Nouveau, che presenta una ricostruzio-ne di appartamento signorile dell’epoca e dei superbidipinti ornamentali sulla scala a chiocciola. Filologicaprecisione, arredi liberty molto mitteleuropa ma tuttocosì garbato da apparire esangue, l’unica stanza che an-che all’epoca sembrava quella giusta per una chiassosabaldoria durante i ricevimenti, era probabilmente lacucina con annesso vano della governante. I fantasmi,anche ora, è lì che se la spassano.

    Dettaglio di un palazzo progettato dall’architettorusso Mikhail Ejzenstejn

     Marco Patrioli 

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    G L I E C H I L O N T A N I

    C H E R A C C O N T A N O

    I L B A LT I C O

    Ci sono alcuni Paesi che si rivelano al mondo così,senza annunciarsi. Nascono, quasi letteralmenteurlando e piangendo come bambini appena usciti dalgrembo materno, entrando di prepotenza nella geo-politica internazionale e nella storia delle nazioni. Peroltre 200 anni Estonia, Lettonia e Lituania hanno vis-suto sotto l’egida ingombrante della Grande MadreRussia (e in parte anche della Svezia): tre Governa-torati del Baltico, annessi all’URSS dopo la SecondaGuerra Mondiale, destinati a diventare nel corso deglianni oggetto di un drammatico processo di russifi-cazione. Saranno gli anni della Rivoluzione Cantata,anni in cui le proteste prendono la forma di 300 mila

    persone riunite a Tallinn per cantare gli inni vietatidall’occupazione sovietica, a dare il via a un inevita-bile moto centrifugo. Nell’estate del 1991, una dopol’altra, Estonia, Lettonia e Lituania conquistano final-mente l’indipendenza di fronte agli occhi del mondo.Oggi questi tre Paesi continuano a condividere unpassato comune e una genesi simile, ma l’omogeneitàdi cui sembrano ammantati si rivela presto pura appa-renza. Basta attraversare l’antica Via dell’Ambra, chedal Mare del Nord portava l’oro giallo fin sulle ricchecoste del Mediterraneo, per rendersi conto di quantoogni nazione custodisca un’identità speciale. Vilniussi rivela da subito non solo il cuore della Lituania,ma l’ombelico della stessa Europa. I segni del legamestrettissimo con la vicina Polonia e quelli di un’iden-

    di Filippo Spreafico

    Repubbliche Baltiche 

    tità storica profondamente prussiana sono evidenti inogni angolo dello Stato, a cominciare dalla lingua li-tuana, idioma indoeuropeo che presenta molti puntidi contatto con il prussiano antico e il tedesco. Passeg-giare per la Prospektas Gediminas, dove hanno sede lepiù importanti istituzioni nazionali, è come attraver-sare 200 anni di storia, in un’incredibile prospettivache collega il fiume Neris alla Cattedrale della città.Ci troviamo nel centro storico più esteso d’Europa,dichiarato nel 1994 Patrimonio mondiale dell’Une-sco per i suoi edifici elegantissimi e la sua architetturabarocca e tardo gotica: una struttura medioevale chesi sviluppa in lunghezza, dove si susseguono castelli

    e vicoli nascosti, caffè letterari e centri commerciali,torri e piazze, chiese e fortezze. È proprio a Vilniusche sembra possibile scorgere quello spirito cattolicotipicamente continentale: se in Lettonia ed Estoniaresiste l’anima più sobria, se non austera, del luterane-simo, la Lituania è al contrario affetta da un’esuberan-te drammaticità di stile, incarnata perfettamente dalquartiere di Uzupis, casa di artisti, musicisti, fotografie intellettuali, luogo bizzarro e fuori dagli schemi, sin-tesi perfetta delle mille anime del Paese.  Risalendo laVia dell’Ambra cambia il paesaggio e con lui mutanosensibilmente la cultura, le tradizioni e i sentimentidi un territorio che rivela una profonda complessità.Rispetto all’Estonia, da sempre nella sfera d’influen-za della Finlandia, la Lettonia è la Repubblica Baltica

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    S C H E D A P A E S E

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    che più di tutte ha faticato ad affrancarsi dal dominiosovietico. La conseguenza è un fortissimo dualismo et-nolinguistico tra la popolazione lettone e quella mino-ritaria russofona: da qui è facile comprendere quantoil fattore identitario sia oggi uno dei temi più caldi neldibattito politico e sociale locale. Con una popolazio-ne di 750 mila abitanti, Riga non è solo la città piùgrande del Baltico, ma è un crocevia fondamentale ditutta l’area, tanto culturalmente quanto commercial-mente: il continuo susseguirsi di popolazioni nordichenel corso della storia ha lasciato segni ancora oggi tan-gibili nell’architettura, nella cucina, nella lingua. Oltrealla Vecrīga, il quartiere più antico della città sulla rivadestra della Daugava, è il Centro Silenzioso a ospitare

    la più stupefacente sequenza di palazzi Art Nouveaud’Europa: i piccoli caffè sulla strada, le piazze eleganticon la tipica architettura scandinava, le cattedrali e lagrande concentrazione di musei rendono la capitaleun gioiello in cui perdersi nelle lunghe giornate prima-verili ed estive. Allontanandoci da Riga si attraversanole immense foreste di betulle e abeti che ricoprono ol-tre la metà dello stato: è qui che si svela l’anima più au-tentica del Paese, con le sue piccole cittadine, le case inlegno colorate, i corsi d’acqua, le cascate e i castelli dafiaba. Affacciandosi sul Mar Baltico dalle coste lettoni,la grande isola di Saaremaa diventa un ponte ideale perla vicina Estonia. Fin da subito la Repubblica Balticapiù a nord sul mappamondo si mostra in tutta la suapeculiarità: l’occupazione svedese, tedesca e russa e la

    vicinanza culturale con la Finlandia hanno plasmatouna cultura di confine ibrida, profondamente segnatadalla presenza del mare, ghiacciato per numerosi mesil’anno, e da una conformazione arcipelagica unica,con quasi 1500 isole disseminate di fronte alle propriecoste. Ma è Tallinn, la Perla del Baltico, a segnare la ce-sura più netta con il passato russo e soprattutto con unimmaginario spesso falsato da parte dell’Occidente. Lacittà è un trionfo architettonico di raro eclettismo, unatela su cui le culture nordeuropee hanno disegnato lapropria idea di stile. Gli edifici gotici di stampo ger-manico convivono accanto a palazzi dall’ispirazionepiù smaccatamente rinascimentale e barocca, tipicasvedese. E poi ancora il Rococò, il Neoclassicismo,

    l’Art Nouveau e le cattedrali neo-bizantine racchiusein un centro storico tutelato dall’Unesco. Le mura diTallinn sembrano proteggere una capitale millenariadall’avanzare incessante e inevitabile della modernità:oggi l’Estonia è il primo vero paese digitale al mon-do, dove il collegamento a Internet è un diritto san-cito dalla Costituzione. Qui nascono ogni anno nuo-vi colossi dell’economia digitale (un nome per tutti:Skype), scuole e uffi ci pubblici sono cablati al 100% eperfino le elezioni amministrative si svolgono con unclick. Viaggiando attraverso le Repubbliche Baltiche èfacile comprendere come un territorio possa racconta-re mille storie diverse mantenendo un’identità forte eoriginale: e c’è da scommettere che tre Paesi così giova-ni hanno ancora molto da rivelare al resto del mondo.

    I tetti coloratie spioventi diToompea, lacittà vecchiaarroccata suuna collina nelcentro di Tallinn

    C I B O

    Cucina “fusion”

    La cucina baltica è più contaminata che mai. InLituania l’influsso della tradizione polacca e tedesca sirivela con le numerose ricette di patate e salsicce, mentrein Lettonia l’uso diffuso della panna acida richiamala vicina Russia. In Estonia dominano aringhe salate e pane nero, in piena tradizione scandinava.

    Un mare giovane

    Nato circa 10 mila anni fa in seguito al ritiro dei ghiacci dell’ultima glaciazione, il Mar Baltico èconsiderato un mare giovane. Specie d’acqua marina,come merluzzo e aringa, convivono con specie d’acquadolce, come luccio e persico, che nel tempo si sonoadattati alla sua peculiare salinità.

    • E se il mare freddo faceva paura agli altri, a me dava gioia, perché ero come un figlio suo, e mi fidavo delle sue onde, lontane e vicine.

    (Lord George Byron) •

    E C O S I S T E M A

    R E P U B B L I C H E

    B A L T I C H E

    SUPERFICIE COMPLESSIVA

    175000 km2

    DENSITÁ

    35 abitanti/km2

    INDIPENDENZA

    1991, dalla Russia

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    P R O G R A M M A K E L

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    C O L O M B I A

    Tra mura coloniali  e chiese, cattedrali di sale e piantagioni

    di caffè , spiagge bordate da giungla e villaggi bianchi: una“mezcla” assai ricca ha creato l’ originalissima Colombia non a

    caso chiamata “l’America in un solo Paese”.

    Il mondo descritto da Gabriel García Màrquez in “Cent’anni di so-litudine” lascia le pagine dei suoi libri per venirci incontro proprioa Mompòs, il fulcro del nostro viaggio: qui si materializzano le casee le atmosfere immaginate di Macondo ed entriamo nel realismomagico della Colombia. Di più una sera ceniamo sul terrazzo delvecchio mercato sul Rio Magdalena e nell’adiacente piazzetta, tradanze, musiche e vino di tamarindo. Per poi riprendere, ma solodopo, il nostro percorso.

    L ’ A M E R I C A

    I N U N S O L O P A E S E

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    I N V I A G G I O C O N K E L 1 2

    K E L T I P O R T A A N C H E A

    D A N O N P E R D E R E 

    Helsinki: tra folklore e tesori

    architettonici

    Helsinki non è solo la capitale dellaFinlandia, ma è uno scrigno di tradizioni, folklore e tesori architettonici: tra ilandmark più interessanti, da non perdere la visita alla Chiesa nella Roccia,chiesa luterana completamente scavataall’interno di una collina nel centro cittàe in grado di accogliere fino a 1000 fedelicontemporaneamente.

    Kuldīga e le Grotte di Sabbia

    Conosciuta fin dal XIII secolo, Kuldīga èil cuore culturale e storico di Courland, laregione più occidentale della Lettonia.Il suo aspetto medievale ha un fascino unico,ma anche i dintorni meritano una visita:non lontano si trovano le celebri Grotte diSabbia, labirinto sotterraneo lungo più di 2 km.

    Luci del nord: il grande Baltico

    Viaggi con l’esperto

    DURATA 8 giorni

    PARTENZE 30 maggio, 17 giugno, 3 luglio,10 luglio, 17 luglio, 30 luglio, 6 agosto,13 agosto, 20 agosto

    Con il viaggio nelle Repubbliche Baltiche partiamo dalla Lituania e arriviamoa Helsinki, attraversando nel mezzoVilnius, Riga e Tallinn, le capitali europee

    dell’Art Nouveau, percorrendo quellache era chiamata “La Via dell’Ambra”.Un percorso nella storia di queste tre giovani nazioni, ma anche nella natura,dagli oscuri boschi nordici che ricopronoil paesaggio alla sabbia finissima dellaspiaggia di Jurmala a Riga.

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    S t a i v i a g g i a n d o i n C O L O M B I A

    C’è un motivo se Francesco Rosi nel 1985 va sino aMompòs per girare tra le sue viuzze “Cronaca diuna morte annunciata”. Qui, per una notte, tre gruppicon itinerari diversi incontrano il luogo che megliorappresenta il realismo magico  della Colombia e delsuo figlio più noto. Finalmente, il mondo descrittoda Màrquez anche in “Cent’anni di solitudine” lasciale pagine dei suoi libri per venirci incontro proprio aMompòs. Le case e le atmosfere immaginate a Ma-

    condo vi si materializzano, tanto da convincere Rosi arealizzarvi il film. L’opera letteraria e cinematograficadi “Cronaca di una morte annunciata” si aprono conriferimento al Rio Magdalena che cinge Mompòs.Nel libro: “Il giorno che l’avrebbero ucciso, SantiagoNasar si alzò alle 5.30 per aspettare il bastimento concui arrivava il vescovo”.Nel film: il dottor Bedoya, Gian Maria Volontè, scen-de dal battello che lo riporta in uno sperduto villaggiocolombiano. A renderlo ancor più attraente ci pen-sano Bolìvar e lo stesso Màrquez. Il primo svela che“se a Caracas devo la vita, a Mompòs devo la gloria”.Il secondo scrive che “Mompòs non esiste, a volte lasogniamo ma non esiste”.Noi vi stiamo due notti sperando, svegliandoci, che sia

    di Mario Romualdi 

    M O M P Ò S ,

    D O V E V I V E

    M À R Q U E Z

    Colombia 

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    N ° ’ ’ ’ O ° ’ ’ ’

    ancora lì. Tre gruppi, visitano autonomamente varieregioni incluse Cartagena, Bogotà, Villa de Leyva, la periferia colonial, las tres fronteras de Amazonas, la zonacafetera. Poi, come avvenuto a Tikal, Petra, Angkor,Bhaktapur, in rapporto con l’UNESCO, ci concedia-mo Mompòs, Patrimonio dell’Umanità.Ci appropriamo, una sera, della scenografia ideale delfilm e della nostra serata, incontrando davvero, nonsolo con gli obiettivi, i suoi abitanti. Prima, casual-mente per strada. Poi, a cena sul terrazzo del vecchiomercato sul Rio Magdalena e nell’adiacente piazzettaper danze, musiche e vino di tamarindo anche con al-tri momposinos . 

    Maria la sarta, Nubia la sindaca, Tarcisio il camposan-taro, Goio il farmacista, Ada che fa il dolce al limo-ne, Cristobal il macellaio, Nanci la spazzina, Jasminla parrucchiera, Pedro il calzolaio, Mari la ristoratri-ce, Josè il parroco, El Turco il cambista, Abundio checura eventi, Oscar che produce cheso de capa , Sol lapasticciera, Osvaldo l’argentiere, Segundo che fa sediea dondolo, saranno con noi a cena e poi con altri pai-sanos  nel dopocena in piazza.Se fosse in Oriente, la chiameremmo Città dell’Armo-nia. È un’isola, con anima artistica e mercantile e segni

    evidenti del passato. Ne apprezzeremo pure gli aspettiminori. Le tradizionali sedie a dondolo, il formaggiode capa con sorpresa, le mariposa de plata e le inferria-te alle finestre che non servono a proteggere perché imomposinos  son de puerta abierta .Richiama Antigua e Pingyao. Non tanto per le stradeacciottolate di Antigua e i tetti grigi di Pingyao maperché, al pari degli altri due posti, regala il privilegiodi atmosfere rare.Conoscere ogni vicolo e panchina, sbirciare in un cor-tile, affacciarsi sul fiume, gustare la solitudine di notte,andare in barca o bici, osservare un lampione, entrarenel cimitero senza fotografare, pretendere tempo libe-

    ro sufficiente per contare ogni tono giallo ocra e bian-co. Mompòs introduce un rapporto con l’ambientestrano.Il realismo magico o fantastico di Márquez, Gabo, benrappresenta aspetti della Colombia e di Mompòs inparticolare. Per godercela pienamente dovremo arren-derci ai particolari e allo scenario che incontreremo,interpretandoli secondo la nostra soggettività. C’è data possibilità di assorbire immagini, specie diaspetti minuti, che abbisognano solo di un non di-stratto rapporto con ciò che vedremo, sentiremo,

    Il fascino colonialesi dispiega nellearchitetture benconservate di chiese,palazzi e residenze,un misto di stilispagnoli e autoctoni

    S E M O M P Ò S F O S S E

    I N O R I E N T E , S I C H I A M E R E B B E

    L A C I T T À D E L L ’ A R M O N I A

    Laureato in sociologia, impe-gnato nel sindacato, nel gior-nalismo e nell’editoria, MarioRomualdi è imprenditore eprogrammatore di viaggi. Ne-gli anni ha smussato angolo-sità, ma non gli è mai venutameno l’attenzione per “l’altro”e “il sociale”. E non ha d imen-ticato di aver dovuto attraver-sare lo stretto di Messina.

    Proprio a Mompòs, il 6agosto 1810,

    venne firmatol’atto di

    indipendenzadella Colombia

    dalla Spagna 

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    Q U E S T A M U N I C I P A L I T À C O S Ì

    M A G I C A   E A S S O R T A   È S T A T A U N

    T E M P O U N A D E L L E P I Ù P R O S P E R E

    C I T T À   D E L L A C O L O M B I A

    annuseremo. Così, potremo cogliere seduzioni di unluogo che richiama scene “immobili nel tempo im-merse in una quasi onirica sospensione”, descritte pri-ma da De Chirico con la pittura metafisica e poi da

    Màrquez stesso. I due maestri si danno idealmente lamano, inaugurando generi che rispecchiano situazionireali in cui introducono immobilità e silenzi ricchi diatmosfere fascinose, fatate, surreali.Un meccanismo proprio anche del Surrealismo, per-ché amplifica le libertà del pensiero dalla ragione, perfarlo vagare secondo libere ed emotive associazionid’immagini. È il realismo magico, metafisico, surrea-le   che si può apprezzare per le vie di Mompòs. Qui,non tanto per il gran caldo, vengono in mente persinogli orologi liquefatti  del surrealismo di Dalì, gli uniciadatti a misurare un tempo che non pare scorrere. AMompòs la persistenza della memoria ne “Gli orologimolli”, si presta a mostrare il tempo che è fermo, im-mobile in uno scenario inconsueto. E quegli orologi,

    deformati dalla “Persistenza della memoria”, anchecosì è noto il suo quadro, rappresentano l’aspetto psi-cologico del tempo che qui risentirà della percezioneche ne avremo camminandola, soli di notte.

    Di lei resteranno particolari, semplici cose. Suoni. Ilrintocco involontario di un campanile e il tuono di uncannone che non spara più da secoli, il miagolio delgatto dietro un’inferriata che serve solo ad ornare e loscoppiettare di un motorino ovattato dal bianco dellecase e dal calor , lo sciacquettio del Rio e lo scampanel-lio d’una bici, il parlottare davanti casa e il vocio nelmercato, il fruscio della brezza tra i rami sul fiume eil ticchettio dell’argentiere, il cigolio dell’immancabilesedia a dondolo, il rumore dei propri passi e i distrattidoverosi latrati di cani, le imprecazioni sommesse deigiocatori di carte sulla riva e le chiacchiere tra i barca-ioli attraccati con carichi di ananas, il richiamo dellasignora per sederti con lei sull’uscio, il saluto di chiincontri e ti chiede come stai...

    È stato proprio a Mompòsche Simon Bolivar , il liberatoredi gran parte del Sud Americareclutò quell’esercito di circa400 uomini, che poi risultò vittorioso a Caracas

    Questo e altro sentiremo senza bisogno di udire conle orecchie. Lì gli anni non durano 365 giorni e le orenon sono di 60 minuti. È “fatiscente e meravigliosa”.Non c’è nulla di particolare da vedere, da fare. Ma,questo è il suo bello. Rosi vi ha portato Ornella Muti,Gian Maria Volontè, Irene Papas, Lucia Bosè, perchéla sceneggiatura di Tonino Guerra solo lì trovava am-biente adatto, come suggerito da Gabo. Poi, ripren-dendo il nostro autonomo percorso, i gruppi andran-no a Cartagena. Alcuni via terra, altri vi giungeranno

    con un giorno di barca, proprio come hanno semprefatto fatto i momposinos, i protagonisti di “Cronacadi una morte annunciata” e lo stesso Màrquez.

    Vedremo ancora mura coloniali e chiese, cattedra-li di sale e piantagioni di caffè, piazze e architettureprecolombiane, bastioni e delfini rosa, statue antichelasciate nei siti e spiagge bordate da giungla, villaggibianchi visitabili solo a piedi e chivas, balconi fioriti esalsa, uomini con gonne azzurre e ricami rosa, fiumie edifici luminosi, rumori di zoccoli e vie acciottola-te, paisanos, jeep Willis, palme di cera, architecturasofisticada, forme d’oro e formiche culone, hotel dicharme, lentezze, atmosfere letterarie e altre suggestio-

    ni del realismo magico metafisico e surreale.Una mezcla assai ricca ha creato l’originalissima Co-lombia che, a ragione, chiamiamo “l’America in unsolo Paese”.

     A Cartagena, troveremo la porta dell’orologio. Intro-duce in una città che conserva la stessa ora del gior-no ma non certo la medesima data. Traboccante dicoloniale, può apparire persino leziosa, tanto è bella.Tutto è a posto, ogni balcone è fiorito, ogni portoneha un batocchio elaborato e i conducenti dei calessihanno il papillon. È una meravigliosa creatura, forseeccessivamente truccata, che va a letto tardi. Mompòs,invece, si addormenta presto ed è come una donna as-sai avvenente anche di primo mattino, senza bisognodi belletti.

    Qui il ritmodella vita scorrelento e pacifico,non ci sono taxie le automobilisono pochissime 

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     Alfredo LuísSomoza 

     Antropologo italo-argentinoesperto di politica interna-zionale, Alfredo Luís Somo-za collabora con varie testategiornalistiche. È direttore dellarivista online dialoghi.info epresidente dell’Istituto Coo-perazione Economica Interna-zionale. Ha scritto libri su temistorici, internazionali, turisticie insegna in master e corsiuniversitari. È stato fondatoree Presidente dell’AssociazioneItaliana Turismo responsabile.

    L A   R I NA S C I TA

    CO LOMB I ANA

     fotogra  fie di M atteo Pr ezioso

    di Alfred o Luís Somoz a

    La Colombia non gode di buo-na stampa, è vero. E questoperché, in tutta la seconda metàdel ’900, il Paese è stato scenariodi un conflitto armato tra guerri-glie e governo, e negli anni ’80 èdiventato la sede dei primi grandicartelli globali della droga. Ma andando con ordine, esenza voler trascurare queste due circostanze dramma-tiche, possiamo ricominciare daccapo dicendo che laColombia è sicuramente uno degli Stati americani piùspettacolari dal punto di vista geografico, più ricchi eaffascinanti per cultura e, paradossalmente, più sicuri. La Colombia nacque alla sua vita indipendente grazieal Libertador Simón Bolívar, che combatté con succes-so gli spagnoli agli inizi del ’800 fino a determinarne

    la ritirata. Avrebbe dovuto essere parte di un unicoPaese insieme al Venezuela, ma in America Latina lastoria ha sempre diviso più che unificare. Anzi, un se-colo dopo l’indipendenza, la Colombia fu mutilata diuna sua provincia geograficamente situata in Centro

     America: Panamá, reso “Paese indipendente” dagliStati Uniti per meglio gestire il progettato canale cheavrebbe unito i due oceani. Al di là delle vicissitudi-ni territoriali, il fascino della Colombia resta quellodi essere insieme un Paese andino e amazzonico, delPacifico e anche caraibico. Un mix unico, come uni-ca per biodiversità è la Sierra Nevada di Santa Martae per storia lo è Cartagena, Patrimonio dell’UmanitàUNESCO. Proprio per via di questa eterogeneità geografica, laColombia è cresciuta per microcosmi culturali cheoggi, ai tempi della globalizzazione, si mescolano dan-do vita a una vera e propria nazione arcobaleno. Il suocuore economico si trova sugli altopiani centrali, dovesorgono le metropoli: Bogotá, Medellín, Cali. Città

    che hanno prestato il nome ai famigerati cartelli delladroga degli anni ’80. Ma anche i luoghi dai quali èpartita la rinascita della Colombia negli anni 2000,e che oggi sono esempi mondiali di sostenibilità e digestione intelligente della mobilità urbana. Fuori dal-le città, il mondo andino colombiano è soprattuttoquello dei contadini che coltivano uno dei miglioricaffè al mondo. Un contesto rurale che ricorda moltoil passato coloniale, con una cultura che si è formata apartire da elementi indigeni e spagnoli. Qui sono natii ritmi del vallenato e del bambuco, che mettono in ri-salto la versatilità della fisarmonica arrivata dall’Euro-pa. Questo mondo di piccoli villaggi che va sfumandoinsieme alle Ande per buttarsi nei Caraibi ci è statoraccontato dal colombiano Gabriel García Márquez,

    premio Nobel per la letteratura che nei suoi romanziha ricreato il magico mondo di Macondo a partire daisuoi ricordi d’infanzia. Scesi in mare si entra in unaltro contesto culturale, fortemente influenzato dallacultura afroamericana. Qui i discendenti degli schiaviportati dall’Africa per lavorare nelle piantagioni sonola maggioranza e hanno plasmato la cultura locale. Èla terra della cumbia , uno dei ritmi latinoamericaniche ha avuto più successo internazionale. E poi Carta-

    gena, un nome che racchiude una leggenda. La cassa-forte degli spagnoli che attirava a sé i peggiori pirati.Morgan, Drake, Hawkins provarono con diversa for-tuna a scalfire le barriere difensive più imponenti maicostruite dagli spagnoli in America.

     Ancora un’altra Colombia è quella dell’Amazzonia, re-gno della biodiversità e dei gruppi indigeni che vivonosecondo regole millenarie, ma anche terreno della fasefinale dello scontro tra Stato e guerriglia. Un conflit-to violento che ha però i giorni contati. Grazie allamediazione di Papa Francesco, di Cuba e degli StatiUniti, dopo 4 anni si sono praticamente conclusi i ne-goziati per la firma della pace tra lo Stato e il gruppodi guerriglia delle FARC: ora si è in attesa dell’immi-nente inizio delle operazioni di disarmo, che saranno

    supervisionate dall’ONU. L’accordo interviene positi-vamente anche su uno dei motivi storici del conflittostesso, la distribuzione della terra ai contadini poveri.La Colombia che chiude questa pagina triste della suastoria e che ha saputo recuperare e bonificare quelleche erano le roccafor ti del narcotraffi co è diventata nelfrattempo un Paese moderno, vitale, con un’economiadiversificata e una cultura ricca e variegata.Prendere parte come turisti alla rinascita di un popolocosì a lungo in diffi coltà aggiunge interess e a una metache già di per sé merita la visita. Perché la Colombia èun Paese eccessivo, come le donne e gli uomini dellesculture di Fernando Botero, un Paese magico, comenei racconti di García Márquez, un Paese multietnicoe multiculturale, come il Carnevale di Barranquilla.

    Il fascino dellaColombia restaquello di essere

    insieme unPaese andino e

    amazzonico, delPacifico e anche

    caraibico

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    L A T E R R A

    C O N T R A S T I

    D E I G R A N D I fotografie di Matteo Prezioso

    di Marilena Roncarà

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    G rande circa sei volte l’Italia, la Colombia è un

    Paese immenso da oltre mezzo secolo scenariodi un conflitto politico e sociale, che solo ora, con lafirma degli accordi tra Stato e guerriglia delle Farc inprogramma per fine marzo, sembra intravedere unospiraglio di pace. Ed ecco che gli scatti di Matteo Pre-zioso, fotografo italiano da sei anni residente a Bogo-tà, ci introducono nella realtà a volte livida, altre voltelieve di questo Paese. Il suo è uno sguardo documen-taristico che tende a identificare i contrasti amplian-doli: dalle immagini di una suggestiva e tradizionaleCartagena a quelli di una Bogotá ultra moderna, sen-za tralasciare gli spazi suburbani. Quello che emerge èun territorio multietnico e multiculturale, sintomo diuna realtà vitale, a tratti magica, come ci ha insegnatoil suo grande scrittore Gabriel García Márquez.

    C A R T A G E N A   È S T A T A I L P R I N C I P A L E

    P O R T O   D E L C O N T I N E N T E   D U R A N T E

    I L P E R I O D O C O L O N I A L E S P A G N O L O

    In questa pagina:dettaglio dellamuraglia dellacittà fortificatadi Cartagena.Nella pagina

    a fianco: inalto carrozzatradizionale

    a Cartagena.Sotto: scorcio

    dell’entrata deLa Candelaria,

    il barriocoloniane diBogotà 

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    P A N A D E R I A

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    P A N E T T E R I E 

    S T O R I C H E

    D I B O G O T Á

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    S C H E D A P A E S E

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    C O L O M B I A

    F E L I X

    I N T E R V I S T A A M A T T E O P R E Z I O S O

    di Marilena Roncarà

    Un recente sondaggio pubblica-to a gennaio 2016 dalla WINGallup International Association,ha decretato la Colombia il Paesepiù felice del mondo. Il sondaggioconsisteva in oltre 66mila intervi-ste effettuate tra settembre e ottobre 2015 a personeprovenienti da 68 Paesi diversi e la Colombia ha gua-dagnato un punteggio felicità pari all’85 per cento,una cifra che supera di gran lunga la media mondialee raddoppia addirittura quella degli Stati Uniti. Co-mincia con un commento a questo dato, la nostra in-tervista a Matteo Prezioso, il fotografo italiano da sei

    anni residente a Bogotà, che ha firmato il reportagedelle pagine precedenti.Colombia e felicità: si tratta davvero di un binomioindissolubile?Di questo sondaggio se n’è parlato molto in Colombiae mi ha dato modo di riflettere. A volte penso che iproblemi di questo Paese siano così grandi che l’unicomodo per andare avanti sia riderci sopra. Ma di sicuroqui la gente, che senza alcuna forma di retorica defi-nirei meravigliosa, ha imparato a v ivere nel presente,senza preoccuparsi troppo del futuro e dimenticandosiun po’ del passato. E questa è una grande forma difelicità.Che cosa volevi raccontare della Colombia con ituoi scatti?

    Il mio obiettivo è mostrare la realtà, qualunque essasia, per me più che di reportage fotografici si tratta dilavori in corso senza sosta. Sono affascinato dalla de-cadenza, mi piace fotografare aree dal passato illustre estupirmi per il contrasto con la bellezza che si incontraanche nei luoghi più degradati. In generale cerco sem-pre di dare alle mie foto una matrice narrativa, nonsolo visiva.Hai usato qualche tecnica specifica?Sì, soprattutto quando devo fotografare rimanendonascosto. In questi casi utilizzo la cosiddetta ‘waist-le-vel technique ’, una tecnica dove si scatta senza guarda-re nel visore della macchina e che richiede un grande

    controllo e una conoscenza totale del proprio equi-paggiamento.Scorrendo le tue foto si evidenzia un forte contra-sto tra modernità e arretratezza.In Colombia ciò che da noi è vissuto come contrasto èla norma, ad esempio può capitare di incontrare sullegrande arterie di comunicazione cavalli e veicoli fuori-strada di ultima generazione che si muovono in tuttatranquillità uno dietro l’altro. Con le mie fotografievoglio continuare a documentare un mondo che cam-bia rapidamente, portando una testimonianza dellarealtà, anche quando è scomoda. Del resto la Colom-bia è un Paese di cui si continua a sapere molto poco,anche adesso che è un periodo d’oro per visitarla: c’èmaggiore sicurezza, buone strutture e tanta autenticità.

     MatteoPrezioso

    L U X U R Y

    La terra degli smeraldi

    La Colombia è il primo produttore mondiale dismeraldi, tutti provenienti dai giacimenti lungo laCordigliera orientale di Bogotà, a ridosso delle Ande.Gli smeraldi colombiani sono ritenuti i migliori per la particolare intensità del loro verde e per una purezzaeccezionale. Nella capitale esiste anche un museo

    dedicato.

    Biodiversità

    La foresta colombiana è considerata una delle areeal mondo più ricche per biodiversità. Dalle ranealle farfalle, dai rettili ai coralli fino alle orchidee ealle piante vascolari: si calcola che oggi una specie florofaunistica su dieci abbia dimora proprio in questaregione. Purtroppo molte di queste specie rimangonocriticamente minacciate.

    • Le cose hanno vita propria, si tratta solo di risvegliargli l’anima.(Gabriel García Márquez) •

    E C O S I S T E M A

    C O L O M B I A

    FESTA NAZIONALE

    20 luglio

    ESPORTAZIONI

    caffè, carbone,

    petrolio, fiori

    SOSTENIBILITÀ

    Bogotà è la città con più

    piste ciclabili al mondo,circa 300km di ciclorutas

    Fotografo freelance nato aFerrara e cresciuto a Perugia,Matteo Prezioso attualmenterisiede a Bogotà e lavora so-prattutto nell’ambito della ri-trattistica e del reportage. For-matosi a Los Angeles dove si èspecializzato sul bianco e neroanalogico, negli ultimi due de-cenni ha lavorato tra Europa(Inghilterra, Belgio, Grecia e

    Italia) e continente Americano(USA, Colombia ed Ecuador).

    N ° ’ ’ ’ O ° ’ ’ ’

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    P R O G R A M M A K E L

    S t a i v i a g g i a n d o i n C O L O M B I A

    Nel cuore dell’Africa meridionale, il Botswana custodisce

     paesaggi unici  , dalla savana aldeserto del Kalahari  ,dove la fauna selvatica regna libera.

    Un viaggio in Botswana consente di immergersi con i cinque sensinell’Africa più incontaminata: un territorio dalla bellezza primor-diale, dove le sabbie del deserto e la savana si fondono in un pae-saggio unico. Qui maestosi pachidermi, abili predatori e leggiadrivolatili dominano incontrastati un Paese dal fascino selvaggio.

    T E R R A D I A N I M A L I

    E N A T U R A

    E ° ’ ”S ° ’ ”

    B O T S W A N A

    I N V I A G G I O C O N K E L 1 2

    K E L T I P O R T A A N C H E I N

    D A N O N P E R D E R E 

    Il fiume arcobaleno

    Nascosto nella foresta del Parco NazionaleSerrania de la Macarena, Caño Cristalesè uno spettacolo biologico unico, tanto daessere definito “il fiume dei cinque colori” o“arcobaleno liquido”. Frutto della confluenzadi tre sistemi geografici: le Ande, l’Amazzoniae la regione dell’Orinoco il corso d’acqua, chescorre per 100 chilometri prima di gettarsinelle acque del fiume Guayabero, stupisce perla varietà dei suoi colori.

    Valle del Cocora

    Nei pressi di Salento, nella regione centrale diQuindio, si trova la Valle del Cocora, un veroe proprio santuario naturale per la palma dacera, tipica delle zone montuose colombiane.Questi alberi, che possono raggiungerel’altezza record di 60 metri, sono oggi protettiin quanto a rischio estinzione.

    La periferia colonial di Gabo

    Rendez vous. Appuntamenti con il mondo

    Agua de panela

    Rendez vous. Appuntamenti con il mondo

    Il paese del realismo magico

    Viaggi con l’esperto

    Naturaleza colonial

    Rendez vous. Appuntamenti con il mondo

    Patrimoni dell’umanità

    Viaggi con l’esperto

    El Dorado

    Viaggi avventura 

    DURATA 15 giorni

    PARTENZE 30 novembre

    DURATA 11 giorni

    PARTENZE 3 dicembre

    DURATA 18 giorni

    PARTENZE 4 agosto

    DURATA 13 giorni

    PARTENZE 30 novembre

    DURATA 12 giorni

    PARTENZE 25 giugno

    DURATA 10 giorni

    PARTENZE 14 agosto

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    S t a i v i a g g i a n d o i n B O T S W A N A

    L’A N I M A S E L VA G G I A

    D E L L ’ A F R I C A A U S T R A L E

    Tagliato dal Tropico del Capricorno, c’è un luogonell’Africa australe dove il cuore del continentepulsa all’unisono con le forze più ancestrali: il Bot-swana, grembo di una terra primordiale che accogliechiunque lo desideri in paesaggi leggendari, dove gli

    unici confini sono quelli dell’occhio umano.In questi territori, gli splendori della natura sono ab-baglianti e il mito dell’Africa si fa vivo dinanzi agliocchi dei viaggiatori, accendendo ogni senso tra suo-ni, profumi inebrianti e innumerevoli echi, mentre ilcalore del vento accarezza il deserto.La storia del Botswana è antica e risale ai primi stan-ziamenti di boscimani e ottentotti, le due etnie an-cora presenti sul territorio, passando per l’arrivo deiguerrieri bantù, fino a quando il Paese viene dichiara-to protettorato britannico, nel 1885. Ai giorni nostri,l’inglese è ancora la lingua ufficiale, sebbene quella piùparlata sia il setswana e l’indipendenza sia stata dichia-rata esattamente mezzo secolo fa. Il gruppo etnico più

    di Samantha Colombo fotografie di Simone Antonelli 

    cospicuo resta proprio quello degli Tswana: non a casonella loro lingua, di origine bantù, il prefisso “bo” staa indicare il luogo e diventa così facile comprenderecome Botswana significhi “paese degli Tswana”.Il territorio è vasto e mutevole ed è il villaggio di

    Maun a rappresentare un ponte tra questo Paese e ilresto del mondo. Il suo scalo aeroportuale consenteil collegamento con diversi aeroporti internazionali,come quello di Johannesburg, un vero e proprio varcoverso questi territori immensi disposti su quasi 582mila chilometri di superficie incontaminata.È il delta dell’Okavango a imporsi come prima sel-vaggia meraviglia, regno di un ecosistema unico almondo e capace di regalarci panorami incomparabili:il fiume si adagia nel mezzo delle distese sabbiose delKalahari, creando una sorgente di vita che fende il de-serto per oltre mille chilometri.Proprio in quest’area, nei pressi del fiume che sgor-ga dall’altopiano del Benguela in Angola, nasce una

    Botswana 

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    delle flore più lussureggianti di tutto il continente, ilcorso principale infatti si ramifica infinitamente e, tralagune e rivoli, le acque accolgono ogni sorta di specievegetali: dall’acacia all’albero farfalla che abbondanosulle isole del delta, dal papiro al bambù dei canali,fino al loto e alle ninfee delle acque aperte. Sempre inquesta zona si possono scorgere i voli delle cicogne ei profili dei pellicani, ma si intravedono anche cocco-drilli, ippopotami ed elefanti, spesso scrutati, questiultimi, dai predatori più abili e feroci.Ma basta scostare lo sguardo per essere subito rapitida altri panorami egualmente immensi, come quelli

    custoditi dalla riserva di Moremi. L’oasi è aperta uffi-cialmente dal 1965, anche se l’idea di un’area protet-ta risale ad alcuni anni prima e, nel corso del tempo,ha guadagnato terreno a più riprese: prima negli anniSettanta per includere Chief’s Island, in seguito neiprimi anni Novanta, fino a oggi quando, con i suoi

    quasi cinquemila chilometri quadrati di terra protetta,rappresenta un caleidoscopio di paesaggi da lasciaresenza fiato. Dai profili delle acacie ai bacini lacustrida attraversare in piroga, su queste terre procedonomaestosi pachidermi e sfrecciano antilopi e zebre, sipalesano leopardi e ghepardi, licaoni e, molto spesso,branchi di leoni.Da un paio d’anni, gli animali che vivono in Botswa-na sono protetti dal divieto di caccia: per questo ilsafari rappresenta un modo inedito di scoprire il ter-ritorio. L’osservazione rispettosa della fauna (e dellaflora) consente un nuovo turismo, dove la possibilità

    di scatti di fotografia etica permette la divulgazionedi veri e propri frammenti di wildlife con protagoni-sti gli esseri viventi parte integrante di questo habitatnaturale. Esiste poi un altro parco, il Chobe: il primo parconazionale del Paese, ufficializzato nel 1967, terra di

    bufali, facoceri e giraffe che svettano tra le pianureverdeggianti di Serondela e le aridità di Linvanti. Mail fascino del parco non si esaurisce qui. C’è ancheun piccolo mistero racchiuso in questa terra, quellodell’omonimo canale che attraversa la zona di Savuti eche, più volte nel corso della storia recente, ha smessoe ripreso a sgorgare acqua. La sua secca più lunga èdurata oltre tre decenni!Risalendo le rive del fiume Chobe, è possibile am-mirare uno dei paesaggi che più caratterizza l’Africaaustrale: il bush, tra arbusti e sterpaglie. In questasavana, sono disegnate da secoli le vie degli elefantidel Chobe che percorrono centinaia di chilometriper spostarsi nel periodo che va dalla stagione secca aquella delle piogge.

    Lasciate alle spalle foreste e praterie, basta superare dipoco i confini del Botswana per arrivare in un luogomitico, alla volta del quale si sono messi in marciaeserciti di esploratori e la cui leggenda è ancora fortetanto nella letteratura di viaggio quanto nell’imma-ginazione collettiva: le cascate Vittoria.  Dopo averattraversato la frontiera con lo Zimbawe, si arriva làdove lo Zambesi salta nel vuoto per 95 metri e nubitempestose di vapore acqueo scintillano nel cielo trapioggia e arcobaleni: qui ci si trova, come fu per DavidLivingstone nel 1853, al cospetto del Musi-o-Tuna, ilfumo che tuona, come lo chiamano gli autoctoni.Tutto questo è il Botswana, un’immagine vivida diuna natura primordiale e incontaminata, da scoprirepasso dopo passo.

    I profili delleacacie sistagliano neldeserto sabbiosodel Kalahari 

    N E L D E S E R T O D E L K A L A H A R I

    S I I N C O N T R A N O A N C H E A L B E R I

    E   A R B U S T I

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    S T I L ES t a i v i a g g i a n d o i n B O T S W A N A

    E ° ’ ’ ’S ° ’ ’ ’

    La moda finisce sottol’incantesimo africano: colorie volumi che richiamanola terra arsa e la naturaselvaggia del ContinenteNero accendono lo stiledella donna contemporanea,

    chiamata a destreggiarsi inun vero safari urbano. Il lookcoloniale evoca il romanticismonaif di paesaggi di sabbiadominati da dune senza fine,rimanendo però semprenaturalmente chic: uno stileminimalista e understatedfatto di contaminazioni,sovrapposizioni e comfort, cheprende ispirazione dalla naturaper interpretare al meglio ilpresente. 

    L A D Y A V V E N T U R A

    di Giuliano Deidda

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       B   l  o  u  s  o  n ,

      g  o  n  n  a  e

       b  o  o  t  s

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    Paolo Brovelli 

    Nel panorama delle lingue del

    mondo, solo qui, nel conosud dell’Africa, sono rimaste, fossi-li del pleistocene, le lingue ‘a clic’.Molti linguisti sostengono che sia-no le più antiche, perché sfruttanotutte le possibilità del cavo orale.Coi popoli khoisan, che alcuniconsiderano portatori del più antico patrimonio gene-tico dell’uomo moderno, pare fossero diffuse in tuttal’Africa centro-meridionale, dal Corno al Capo. Rele-gate poi, con l’espansione degli allevatori bantu venutidal Nord e dall’Ovest, nel cono sud del continente, lìsi trovano ancora, soprattutto tra Namibia, Sudafricae Botswana. Qualche clic, a dire il vero, l’hanno adot-tato, per contaminazione, anche certe lingue bantudella zona, come lo xhosa del Sudafrica, o il damara,in Namibia. Ma sono soprattutto i khoi, quelli cheuna volta chiamavamo ottentotti, e i san, ossia i bosci-mani, a detenere il primato.Palatale (ǂ), laterale (ǁ), dentale (ǀ), postalveolare (ǃ),bilabiale (ʘ), ogni clic ha un suo simbolo fonetico,aggiunto all’alfabeto di base latina.  A sentirli sem-brerebbe un ciaccolare d’uccellini, cincischiando con

    schiocchi, risucchi, ticchettii e bacetti, come quandosi chiamano i gatti, o quando i bambini imitano il ru-more del cavallo al trotto. Come i suoni della natura.Ciac, cloc, clic, smack . Come il calpestio delle fogliesecche del bush, la boscaglia, o di piedi che sguazzanonel fango. Mi seduce pensare che quei suoni s’ascol-tassero già nelle foreste pluviali centrafricane, pocodopo che Prometeo avesse regalato il fuoco all’uomo.Magari già davano l’allarme per le eruzioni dei vul-cani che hanno spaccato la Rift Valley. Magari ancheLucy ha cominciato a parlare così. A clic son dunquele lingue dei boscimani, i bushmen, gli ‘uomini dellaboscaglia’, quegli ometti minuti e dalle gambine ma-gre e svelte che per ventimila anni (!) hanno cacciatocudù e orici con frecce avvelenate e raccolto bacche e

    di Paolo Brovelli 

    C L I C C A Q U I .

    T R O VA I B O S C I M A N IBotswana 

    S t a i v i a g g i a n d o i n B O T S W A N A

    E ° ’ ’ ’S ° ’ ’ ’

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    S C H E D A P A E S E

    C U R I O S I T À

    Riserve naturali

    In Botswana, il 17% del territorio è destinato al