Kagathos 3 marzo 2011

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Numero di Marzo del giornalino d'istituto del Liceo Superiore Scipione Maffei.

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RI(n)FORMA Scopo di questa brevissima riflessione, a cui seguirà un articolo più esteso ed esauriente nel prossimo numero, è semplicemente quello di offrire uno spunto di riflessione a coloro i quali non si sono mai soffermati a riflettere su quanto sta accadendo in Italia. La scuola italiana deve essere riformata, su questo non c'è dubbio, ma non andando nella direzione che impone il Ministero, non togliendo ore, non tagliando cattedre, non eliminando i laboratori. Indubbiamente l'economia mondiale sta attraversando un periodo di profonda crisi e, checché ne dica il Premier, l'Italia non è messa meglio degli altri paesi, anzi, è più vicina al baratro. Eppure gli altri Stati non hanno tagliato sull'istruzione e sul progresso, si veda la Germania, piuttosto ne hanno invece aumentato i finanziamenti, dato che è dalla scuola che uscirà la classe dirigente del futuro. La classe politica italiana, a destra e a sinistra, appare come spaventata dal rinnovamento, dalla conoscenza, dalla consapevolezza di sé; potrebbe essere per la paura di perdere la poltrona a cui sono tanto legati i nostri parlamentari, condita da un'adeguata dose di sano egoismo. Quale che sia il motivo è evidente che in Italia la paura derivante dalla conoscenza è immensa e per questo si cerca di sopprimere i finanziamenti alla scuola pubblica e di indirizzare i ragazzi nelle scuole private (non interessate dai tagli e anzi con finanziamenti in aumento, 241 milioni aggiuntivi), si sta forse cercando di creare una sorta di scuola ghetto per coloro che non possono permettersi un'istruzione privata? Se fosse realmente questa la situazione sarebbe veramente preoccupante e nell'attesa che il nostro caro Ministro dell'Istruzione, che ci rassicura e auspica un grande miglioramento alla scuola, ci dica effettivamente come pensa di migliorare senza investire (perché è interessante chiederselo, si può migliorare diminuendo i finanziamenti?) noi cerchiamo, ci impegniamo per mantenere, non potendo senza denaro migliorare, almeno la scuola che abbiamo conosciuto e che con tutti i suoi difetti e le sue molte debolezze ci ha portati a diventare ciò che siamo ora, ci ha portati a protestare, a non abbassare la testa davanti alle ingiustizie, a ragionare autonomamente. Sicuramente queste poche righe non possono aver fatto chiarezza in una situazione non chiara nemmeno ai promotori della riforma, si cercherà quindi di offrire maggiori statistiche e un quadro più dettagliato nel prossimo numero, ammesso che ci sia ancora un governo che si fa portavoce di una riforma, riguardo questo argomento non possiamo far altro che attendere e sperare nella magistratura “comunista”. “Libertà è partecipazione” (Giorgio Gaber), per informazioni si visiti “www.edscuola.it”

Alessandro Vandelli

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È cambiato il modo di concepire la trasparenza dopo l’irruenta intromissione di Wikileaks fra gli scantinati del potere? Questa è la domanda che negli ultimi tempi sta facendo discutere

opinionisti diversi. Si può certamente sostenere che quella in atto sia una vera e propria rivoluzione digitale, la quale si trova solamente agli albori di una più grande trasformazione. L’input

dato da Julian Assange, è solo una spinta che dimostra la potenzialità ma, nello stesso tempo, la vulnerabilità del sistema. È certo dunque che tale input non può essere destinato

ad esaurirsi in sé. Inoltre non si può ritenere di essere in grado di interrompere la trasformazione in atto semplicemente arrestandone il promotore, utilizzando per di più

motivazioni del tutto estranee a Wikileaks. Si ricordi infatti che Julian Assage è stato arrestato con l’accusa di stupro e non per aver diffuso materiale protetto dal segreto di

stato.

Vi sono state fughe di notizie e rivelazioni di documenti la cui diffusione, diversamente dal passato, ha riguardato enormi quantità di materiale. Se infatti precedentemente si discuteva circa

rivelazioni che riguardavano l’ambito industriale locale o al più di questioni nazionali, ora si è passati a notizie che riguardano una scala mondiale. Quegli archivi che, con delirio di

onnipotenza, sono stati ritenuti da sempre inaccessibili, hanno clamorosamente fallito. Questo fallimento è stato principalmente dettato da una sola causa: il cambiamento del

supporto. Mentre un tempo carta, schede e dischi rendevano difficile l’accesso, ora il supporto informatico cambia le carte in tavola. Di conseguenza i dati sono tuttora più facili da

reperire, consultare e in tal modo diffondere.

Ma qual è la caratteristica innovativa di Wikileaks? Non è certo una novità la diffusione in rete di notizie, più o meno segrete. Ne è infatti testimonianza negli ultimi anni, la cospicua

moltiplicazione di siti che hanno come oggetto la diffusione di informazioni riservate. Ciò che di nuovo fornisce Wikileaks è la nascita di un punto di riferimento. Questo sito diventa infatti una

gigantesca banca dati a cui tutti possono accedere per far affluire nuovi documenti. Si conta infatti che siano già centomila le persone che hanno contribuito ad ampliarla.

Non si può quindi ignorare o far finta che non esista tale mondo. Negli ultimi tempi si è cercato di minimizzare il tutto e di far passare in secondo piano la rivoluzione che questa

trasformazione digitale comporta. La politica avrebbe ora come ora una possibilità rarissima: permettere una immediata trasformazione orientata alla trasparenza completa delle proprie

azioni. Invece ciò a cui si sta assistendo dalle pubblicazioni di Wikileaks a oggi, è esclusivamente un tentativo di rafforzare le misure di sicurezza e di protezione per evitare che un nuovo Assage di

turno possa entrare in possesso di nuovi documenti.

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Ha senso infatti attaccare l’operato di Assage? Bisogna a questo punto, far riferimento a quanto

sostiene l’articolo 19 della Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo dell'Onu sulla libertà di

espressione: “Ogni individuo ha il diritto […]di cercare, ricevere e diffondere informazioni […]attraverso ogni

mezzo e senza riguardo a frontiere.” Inoltre proprio in Italia, dove la diffusione di documenti segreti è

considerata un tabù, vige l’articolo 21 della Costituzione che sottolinea come tutti abbiano diritto

alla libera manifestazione del pensiero con qualsiasi "mezzo di diffusione". Se tale articolo venisse

rispettato, probabilmente il segreto di Stato non verrebbe considerato dai cittadini come un metodo

per proteggere l’antistato più che lo Stato vero è proprio, come sostiene Niki Vendola. In ogni caso, tali

principi dettati dai vari articoli, valgono anche per la tecnologia digitale e hanno come unico scopo la

salvaguardia della liberà personale, che è considerata tuttora, dalla corte Europea, come uno dei

fondamenti della democrazia.

Al di là della tutela del segreto, è stato giustamente osservato che la diffusioni di alcune notizie e informazioni potrebbe mettere seriamente a

rischio la vita di determinati soggetti. Si è rivelata a tal proposito una relazione straordinaria tra due

soggetti di comunicazione, separati da una generazione: la stampa e internet. Wikileaks ha

infatti fornito le notizie a cinque grandi giornali, i quali hanno poi delegato il compito ai loro

giornalisti di selezionare i documenti e di pubblicare solo quelle notizie che non mettevano

a rischio la vita delle persone o delle missioni militari in corso. Inoltre la funzione della stampa

di verificare l’attendibilità delle fonti, contribuisce a smorzare l’attacco spesso rivolto a internet,

secondo cui le notizie trovate in rete non sarebbero mai affidabili. È quindi importante riconoscere che le forze in campo stanno cambiando e che i mezzi offerti alla democrazia per difendersi sono sempre di più.

Chi prima si accorgerà della trasformazione in atto, prima saprà mediare tra trasparenza e riserbo, in modo da evitare di nascondersi dietro a segreti che mai come ora sono nascosti da “muri di carta”.

Andrea Menegalli

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Mi scusi Presidente

“Io non mi sento italiano, ma per fortuna o purtroppo lo sono”.

Solamente la vecchia frase di un grande artista qual era Giorgio Gaber oppure qualcosa di

più, un sentimento sempre più presente? Il governo crolla, crolla la maggioranza, crollano le

certezze, ma non è questo a fare scalpore, non è questo a far agitare freneticamente le

penne dei giornalisti, la verità, quella verità che sta sconvolgendo il paese, la politica, i

cittadini è che sta crollando LUI. LUI che da 16 anni incarna la destra, ma forse sarebbe

meglio dire, la politica italiana, LUI che è partito

come imprenditore, LUI che ha avuto contatti con

la mafia, LUI che si è formato sotto Bettino Craxi

e infine nel 1994 è diventato Presidente del

Consiglio per sfuggire alla ormai nota

“magistratura comunista”. LUI che al di là delle

opinioni che si possono avere a livello politico e

umano è un vero genio...naturalmente si sta

parlando di Silvio Berlusconi. La storia personale

di Silvio è nota a tutti, cantate su navi da

crociera (insieme al pianista Fedele Confalonieri),

fonda nel 1973 il gruppo Finivest, nel 1993 la

società di produzione multimediale Mediaset e nel 1994 scende in politica. E' impossibile non

ammirare la straordinaria capacità comunicativa di quest'uomo che sotto di sè è riuscito a

creare un impero economico e politico partendo pressoché da zero, è l'emblema dell'uomo

“fattosi da sè”.

Le sue vicende personali nel corso degli anni procedono tranquillamente, sposato, divorziato

e poi risposato, 5 figli dalle due mogli, una casa ai caraibi, una villa in Sicilia con anfiteatro

annesso e qualche centinaio di residenze sparse per il mondo, insomma tutto ciò che ogni

uomo onesto può tranquillamente ottenere; tutto questo fino al 28 Aprile 2009 quando, la

moglie Veronica Lario, scrive una mail all'Ansa annunciando di voler chiedere la separazione

dal marito causa la sua volontà di far eleggere al parlamento europeo alcune ragazze

dall'esperienza politica insignificante. Da allora si è scatenata la bufera su Silvio

Berlusconi. Viene accusato di aver avuto relazioni con una minorenne, Noemi Letizia, appena

si placa questo scandalo ne esplode un altro, la frequentazione con

numerose escort e l'organizzazione di festini, non propriamente innocenti, in una rete

comprendente Lele Mora ed Emilio Fede e infine le denunce di Wikileaks. Berlusconi

viene attaccato a livello mediatico, personale e politico da ogni parte anche da coloro

che un tempo venivano considerati suoi alleati e vede lentamente la

sua immagine, il suo astro, scivolare inesorabilmente verso il basso. E

poi la rottura. Il 5 Ottobre 2010, a seguito dei continui scandali e dell'indebolimento della

figura del premier, Gianfranco Fini, l'eterno alleato e co- fondatore del PDL, si allontana da

quest'ultimo e fonda un nuovo partito politica “Futuro e

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Libertà”, possibile che Fini, così vicino a Berlusconi da

molti anni, non si fosse mai accorto delle abitudini

quantomeno bizzarre del premier? Possibile che non si

fosse mai accorto della sua amicizia ossessiva

con Vladimir Putin? Possibile che non si fosse mai

reso conto delle incongruenze insite nella

figura di Berlusconi? Possibile forse, ma strano,

parrebbe piuttosto che la terza carica dello Stato

stesse fiutando l'aria da qualche tempo e non

appena gli si è presentata l'occasione

l'abbia afferrata al volo. Qualcuno sale,

qualcun'altro scende, in politica è

sempre stato così, o almeno dovrebbe essere sempre così, ma cosa accade quando a

scendere è l'uomo più potente d'Italia, il punto di riferimento della destra italiana da oltre 15

anni? Ebbene accade esattamente quello che ogni italiano può leggere ogni giorno

sui giornali, si perde il punto di riferimento, i cosiddetti “colonnelli” non sanno più da che

parte stare, con chi schierarsi, si formano dei micro-partiti all'interno della maggioranza,

insomma tutto ritorna come prima dell'ascesa del berlusconismo. Purtroppo questa situazione

non giova certamente al paese già in crisi. La sensazione è che negli ultimi mesi il premier

sia sempre più stanco, più vecchio nonostante voglia dar sfoggio di forza e baldanza, ed

ecco allora tutti coloro, Fini per primo, che prima letteralmente “leccavano i piedi”

tradirlo, abbandonarlo, passare informazioni su di lui all'intelligence americana, vedi Gianni

Letta, criticarlo, fare di tutto per favorirne la caduta, sostenere addirittura una mozione di

sfiducia contro di lui. Si potrebbe obbiettare che effettivamente il governo è riuscito ad

ottenere la fiducia, si, è vero, ma il paese ha dovuto assistere all'ennesima oscenità da parte

della propria classe politica, i parlamentari si sono letteralmente venduti all'avversario, nessuna

ideologia, nessun pensiero, nessun pudore, nessun rispetto verso coloro i quali si sono

affidati a loro per essere rappresentati. Questa volta non si è nemmeno dovuta nascondere

la compravendita, è stato tutto pubblico come se il Parlamento fosse una grande statale e gli

onorevoli i suoi frequentatori.

E' profondamente avvilente tutto questo, è la prova che la politica italiana è costituita da

personaggi venduti, che seguono la corrente, non si può difendere la figura di Berlusconi

dato che ha a suo carico più di 20 procedimenti giudiziari e spesso non si è presentato in

aula adducendo a scuse talvolta imbarazzanti, ma è impossibile, osservando ciò che sta

accadendo, non provare un leggero moto di pietà nei confronti di quel piccolo uomo che ora,

nella sua vecchiaia, sta vedendo il suo potere costruito sul consenso, sul denaro, sulle bugie,

sgretolarsi rapidamente ai piedi di un paese distrutto e viene da chiedersi se non si stia

rendendo conto di tutto ciò che ha fatto; ma forse no, forse è serio quando afferma:”Io sono

assolutamente certo di essere l'uomo più democratico che sia mai giunto ad essere primo

ministro d'Italia.” E allora avanti così, avanti italiani, cantate tutti insieme, “meno male che

Silvio c'è”.

Alessandro Vandelli 7

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SIAMO GLI STRANIERI

Talvolta le faccende vengono prese troppo sul personale. Accade un fatto clamoroso, che suscita scalpore, e tutti ne vengono allettati, come se sospinti da un'esca invisibile che porta tutti nelle stesse acque. Ciò provoca un pensiero comune, un giudizio generalizzato e generalizzante, che lascia ben poco spazio alla diversità, ad un modo

ragionevole e proprio di pensare.

Siamo gli stranieri, gli extra-comunitari, parole divenute ormai sprezzanti e offensive nel gergo italiano. Siamo gli stereotipi del crimine, del reato, la parte infima della società italiana. Ebbene, siamo divenuti, come inevitabilmente prima o poi sarebbe dovuto accadere, una parte integrante del suolo sul quale viviamo e, nonostante continuiamo ad essere bersagli di critiche, di offese e di maleducazione, siamo qui. È pensiero comune catalogare uno straniero un gradino più un basso di un Italiano, accordargli meno spazi e possibilità, schifarsi di fronte ad un cognome straniero. È altrettanto normale appendere cartelli acclamando la propria intolleranza verso il diverso, appena appare al telegiornale una notizia di un crimine tristemente compiuto da uno straniero. Ciò che vedo intorno a me sono titoli di cronaca, di attualità, scritte sui muri, luoghi comuni che abusano della nazionalità di una persona, per sottolineare la sua diversità, non in senso buono, e per classificarla come appartenente ad un gruppo a parte. Non si arriva a capire che la razza umana è una e una sola e, che a priori della provenienza del singolo, siamo tutti buoni e cattivi allo stesso tempo, codardi e coraggiosi, umili e fieri. Perciò, anziché scrivere nella testata di un giornale "Marocchino travolge dieci ciclisti", io credo sia ben più ragionevole sbarrare la parola "Marocchino", che suona provocatoria e offensiva, e sostituirla piuttosto con "imbecille", almeno per marcare non la provenienza, ma la personalità.

Questo è ciò che siamo agli occhi della gente del posto. E invece ci sono fra di noi persone che lavorano fino allo stremo delle forze, che vivono per anni senza vedere i figli, da sole, che si limitano nel cibo per aiutare la famiglia all'estero. Non si è qui in vacanza; ce ne si rende conto quando si devono affrontare file di centinaia di persone, di ore e ore, per ricevere conferma, ma la maggior parte delle volte rinnego, della disponibilità di documenti.

È una lotta fra costumi, convinzioni, abitudini, tradizioni. Se dunque è vero che l'intolleranza parte

dall'Italiano, è altrettanto vero che l'indifferenza arriva dallo straniero. È naturale che si deve essere predisposti all'accettazione di nuovi modi di vivere se si compie la scelta di trasferirsi, che si tratti di un altro Paese o di un'altra regione. Chiudersi in cerchie non affatto disponibili al dialogo è uno dei modi peggiori di atteggiarsi con il prossimo.

È una realtà delicata e difficile da affrontare imparzialmente. Ciò di cui sono sicura però è che l'integrazione arriva dalla collaborazione dall'una e dall'altra parte, da un compromesso che sia in grado di attenuare una situazione giammai irreversibile.

Anastasia Mocritcaia

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Finalmente liberi

Il Sudan è uno stato unito. Ancora per le prossime 24 ore. Infatti l’8 gennaio 2011 finalmente inizierà il referendum popolare che decreterà se, dopo anni di acerrimi conflitti e genocidi, il Sud ed il Nord del Sudan potranno trovare la pace grazie alla scissione. Da più di 40 anni il Nord prevalentemente musulmano ed il Sud cristiano ed animista sono divisi da una guerra civile senza pari, che ha lasciato il Sud del paese povero ed in condizioni devastate, con il 15% della popolazione che sa leggere e scrivere e circa 60 km di strada asfaltata in un territorio grande come tre volte l’Italia.

Dopo anni di terrore, sembra essere arrivata l’ora della pace. Restano ancora molti interrogativi su cosa farà il Sud del Sudan per crescere economicamente e non solo, ma il risultato del voto sembra assolutamente scontato. I Sud Sudanesi danzano nella loro futura capitale Juba, indossando magliette con stampate due mani che spezzano delle catene: le catene della schiavitù dalla quale finalmente per la prima volta si libereranno.

Oltre alla schiacciante ed incredibile supremazia del Nord arabo, che fa sembrare di un'altra epoca il Sud animista, la cosa che colpisce di più è che ci siano ancora persone e politici che cercano apertamente di rimandare il referendum che potrebbe liberare dalla miseria il Sud, e rendere i ribelli Sud Sudanesi per la prima volta “cittadini di prima classe” come li ha definiti il loro leader Kiir. Omar el-Bashir, “il premier” del Nord, cambia la sua posizione per quanto riguarda questa secessione. Dall’idea che fosse “un infausto cambiamento per l’Africa” assicura che accetterà il risultato del referendum, qualunque esso sia, lasciando comunque più di un’ombra sulle sue azioni future.

In un paese in cui una bambina ha più probabilità di morire dando alla luce un figlio che di portare a termine le scuole elementari, c’è chi ha il coraggio di anteporre alla vita di centinaia di migliaia di persone il proprio interesse . Il problema sudanese (e non solo) non mi sembra dovuto tanto alle differenze culturali e religiose, quanto agli interessi economici di chi governa ed ha governato questo paese; questa impressione è resa più forte dal fatto che il Sud, dopo la secessione, arriverà a contenere al suo interno più di sessanta diverse etnie. Speriamo che il Sudan, da sempre oggetto di cronache tristi e disumane, smetta di essere il paese fantasma che è stato per tutto questo tempo e che, con l’aiuto delle potenze mondiali riesca finalmente a trovare la pace da troppo tempo agognata.

Alice Faggion

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Imposizione di pace

Come tutti sappiamo il 31 dicembre 2010 il militare italiano Matteo Miotto, 24 anni, è stato ucciso dal colpo di un cecchino mentre si trovava in una torretta di guardia all’interno della base militare nel distretto del Gulistan, nell’ovest dell’Afghanistan. È il trentacinquesimo italiano caduto da quando, nel 2004, il nostro Paese si è impegnato nella missione di pace in Afghanistan. Nel 2010 il numero delle vittime ha raggiunto l’apice: sono tredici gli italiani che hanno perso la vita nello Stato afghano, troppi per un esercito in missione di pace. Lo stesso generale Marco Bertolini, capo di stato maggiore della missione Isaf della Nato, nel 2009 dichiarò che la loro è una missione di “peace enforcing”, cioè di

imposizione della pace. Quanto realmente può essere pacifica una missione basata sull’imposizione? Ogni anno che passa il numero della vittime militari e civili cresce, e non sembrano esserci possibili segni di una conclusione che vede fronteggiarsi l’Isaf e le forze afghane da una parte, e dall’altra i talebani e il movimento terroristico di Al-Qaida. Aumentano sempre di più le perplessità riguardo la validità della

missione: il conflitto, successivo alla caduta delle Torri Gemelle, dura ormai da dieci anni ed il Paese è tutt’altro che pacificato. Il potere presidenziale è limitato alla zone attorno a Kabul e il resto dello Stato è in realtà un insieme di tribù guidate da varie bande armate. Certamente non è possibile pensare ad un immediato ritiro dell’Italia, è infatti importante prendere una decisione assieme agli alleati, concordandola in particolare con gli americani, che rappresentano la forza militare principale dell’alleanza. Gli obiettivi degli Stati aderenti alla missione sono sicuramente apprezzabili: realizzazione di scuole per migliorare l’istruzione, costruzione di ospedali e di strade, ripristino delle infrastrutture, ma le difficoltà non sono poche. Oltre al numero delle vittime sta crescendo il costo economico della missione, il che non aiuta di certo in questo momento di crisi economica mondiale. Mano a mano che il tempo trascorre, è sempre più difficile riuscire a trovare una soluzione ad un conflitto che sembra non finire mai e dove le componenti afghane hanno spesso un ruolo ambiguo e contraddittorio.

Chiara Cracco

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La matematica e il fiocco di neve Ora vi racconto una storia: un pastore, per aumentare la produzione di lana, chiama un matematico; passa una settimana e questo va dal pastore dicendogli di aver trovato una soluzione: “consideri una pecora sferica in moto rettilineo uniforme su un prato piano…”. Forse il nostro pastore si è pentito di aver chiesto consiglio… Ma la geometria e la realtà sono proprio così distanti? Voglio dimostrare il contrario. Se vi dicessi che i cavoli, le felci, le nuvole e i fiocchi di neve sono particolari figure geometriche, sareste disposti a credermi? Prendete un foglio di carta e disegnate un triangolo equilatero. Dividete ogni lato in tre parti uguali e sulla parte centrale costruite un triangolo equilatero (f-f-fatto?). Ripetete l’azione varie volte. Ecco il risultato. Questa figura si chiama frattale. Vediamone ora due caratteristiche. La prima è “l’autosomiglianza” (non ho trovato un vocabolo più simpatico), ovvero la proprietà di presentare copie di sé a vari livelli. La seconda è “la struttura fine”, cioè avere a vari livelli di ingrandimento sempre la stessa quantità di particolari. Anche i frattali hanno una propria dimensione geometrica. Per esempio, un quadrato ha due dimensioni, una linea una e un cubo tre. Per capire la dimensione frattale bisogna definire matematicamente il concetto di dimensione. Prendiamo una linea di lunghezza unitaria e un righello di uguale lunghezza. Con un solo righello possiamo coprire interamente la linea. Se prendiamo un righello di lunghezza 1\2 dobbiamo usarne 2 (21) per coprire la nostra linea, se il righello è lungo 1\4 ne servono quattro e così via. Proviamo con il quadrato. Dato un quadrato di lato unitario e un quadratino di lato 1\2 (salto il caso in cui hanno lo stesso lato) per coprire il quadrato necessitiamo di 4 (22) quadratini. Ripentendo le stesse operazioni con un cubo, servono 8 (23) cubetti per riempire un cubo di lato doppio. Osservando i numeri capiamo che la dimensione di una figura è l’esponente che diamo al due quando dimezziamo la lunghezza del lato dello strumento di misura.

Proviamo ora a coprire un frattale (esempio la linea qui a lato) con un quadrato di lato unitario (uso quadrati perché è più comodo), con un solo quadrato copriamo la figura. Se usiamo quadrati più piccoli aumentano, ma non come con le figure a 2D (sono riportati nella figura le varie divisioni in quadrati). Se proviamo a calcolare la dimensione frattale otteniamo 1,25, ovvero la nostra figura ha una certa tendenza a coprire una superficie, ma è comunque una linea. Usando il concetto di dimensione frattale possiamo dire se alcuni oggetti reali sono simili a frattali. Le coste della Gran Bretagna hanno dimensione frattale compreso fra 1,10 e 1,25, valore molto simile al nostro frattale (che si

chiama isola di Von Knok). Le nuvole hanno dimensione frattale appena superiore a tre. La matematica dei frattali viene utilizzata in molti settori, anche inaspettati: si utilizza per creare paesaggi virtuali per film e videogiochi, per aiutare robot che si muovono su terreni accidentati, per analisi mediche e per molto altro. Per saperne di più vi consiglio di consultare i seguenti siti: www.dti.unimi.it/citrini/GC/frattali.pdf oppure http://utenti.quipo.it/base5/geopiana/curvavonkoch.htm.

Alessandro Niccolai

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IIl Paese dei Balocchi Come realmente il mondo ci vede

Il caso Battisti ci mette senza sconti da-vanti alla nostra immagine nello spec-chio del mondo. Cesare Battisti, ex terrorista appartenen-te ai PAC, è stato condannato all’ergastolo per quattro omicidi durante gli anni di piombo. Arrestato nel 1979, due anni dopo riesce ad evadere dal carcere di Frosinone e si rifugia inizial-mente in Francia. Trasferitosi nuova-mente, questa volta in Brasile, poco do-po ritorna in Francia, dove vive, grazie alla dottrina Mitterrand, con la comunità di latitanti italiani. Nuovamente arrestato in Francia, risulta non estradabile. Dopo una seconda richiesta di estradizione, Battisti si rifugia in Brasile, dove nel 2009 gli viene concesso lo stato di rifugiato politico, che viene poi messo in discussio-ne dal Supremo Tribunal Federal, che però decide di lasciare l’ultima parola alla Presidenza del-la Repubblica Brasiliana. Il 31 dicembre 2010 Luiz Inàcio Lula annuncia che la richiesta di estradizione di Cesare Battisti in Italia è stata respinta. Ebbene, in men che non si dica ci ritroviamo “schiaffeggiati”, noi e la nostra giustizia, da un Pa-ese come il Brasile, che ci ritiene degli alleati minori dai quali non subirà conseguenze, e “indot-trinati” da uno come la Francia, che non ha dimenticato di impartirci la lezione sulle presunte della nostra giustizia e non solo. Questo non deve soltanto farci sentire offesi, ma anche farci aprire gli occhi su una realtà evi-dente: dalla grande maggioranza delle potenze straniere, l’Italia, di fatto, ignorata. E’ ignorata la sua giustizia, è ignorato il funzionamento dei suoi organi costituzionali, l’importanza della sua vita pubblica e del dialogo e scambio intellettuale; ma soprattutto, pur-troppo ne è ignorata la storia. Per gli stranieri, anche i più colti, l’Italia è il Bel Paese, spaghetti, pizza e mandolino. Il Paese dei Balocchi. Con tanto di trasformazione in asinelli alla fine del divertimento: perché finite le man-giate e le bevute, l’Italia per il resto è approssimazione, inefficienza, menefreghismo. Allora forse, giacché siamo un Paese con una storia ed una dignità da 150 anni, è il caso di darsi una scossa: bisogna investire in cose serie, importanti: preoccuparsi di tradurre e divulga-re di più all’estero opere italiane, finanziare i dipartimenti italiani nelle Università estere, lasciare spazio ed occasioni agli italiani che si occupano di cose italiane all’estero, invece di beccarsi e litigare come i capponi a testa in giù che il buon Renzo portava all’Azzeccagarbugli. Certo, se i magistrati si mantenessero maggiormente estranei alle competizioni politiche si ren-derebbero senza dubbio più credibili guadagnandosi così una stima ed un rispetto più elevati da parte della popolazione italiana e, di conseguenza, anche un maggior peso nelle decisioni internazionali.

Arianna Biagi

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Recensioni L’ angolo del libro

DENTRO AD UNA CANTINA PER DIVENTARE GRANDI “Piano piano ho capito come comportarmi a scuola. Mi dovevo tenere in disparte, ma non troppo, sennò mi notavano. Mi confondevo come una sardina in un banco di sardine. Mi mimetizzavo come un insetto stecco tra i rami secchi. […] Quando sono arrivato davanti al liceo per poco non sono svenuto. Quello era l’inferno in terra. C’erano centinaia di ragazzi.” Si parla di adolescenza. Quella traversata necessaria dall’infanzia all’età adulta che ognuno è costretto a fare. Ma c’è chi l’affronta in modo diverso. Chi, per sfuggire alle paure e alla realtà, si rinchiude dentro una cantina con scatolette di Simmenthal, lattine di Coca Cola e crema autoabbronzante per fingere una tintarella post- sciistica. Questo è Lorenzo Cuni, quattordicenne schivo e un po’ nevrotico che con una semplice bugia fa credere di essere stato invitato ad una settimana bianca con i compagni di classe, per poi relegarsi in

un sogno di tranquillità e solitudine tra le mura umide di una cantina. Ma a disturbare la sua serafica pace piomba una sorella praticamente sconosciuta, e senza neanche accorgersene, Lorenzo dovrà fare i conti con

una realtà e dei problemi che vanno ben al di là di una semplice gita sulla neve. E così scoprirà cosa vuol dire diventare grandi, quanto è amaro il sapore dell’odio e quanto è facile cadere nella rete degli sbagli senza ritorno, ma anche quanto può essere delicato il fiore di un’amicizia e di una fratellanza tra due vite che si sono intrecciate e che non si lasceranno

più andare, non prima di essersi fatte una promessa. “Quando mi sono svegliato mia sorella era andata via. Mi aveva lasciato un biglietto.” Un biglietto che Lorenzo porterà nel portafoglio per dieci anni, e che rileggerà solo quando sarà evidente che la promessa è stata infranta. (Niccolò Ammaniti, Io e te)

Arianna Biagi

NEL PAESE DI FELICIOLANDIA I feliciolandesi sono felici. Hanno le caramelle, i preservativi all'arrosto di vitello e un sindaco sorridente che si occupa di loro e non fa mancare niente a nessuno. A Feliciolandia non c'è informazione, non possono entrare gli stranieri, e tutti sono felici così. Solo Palma non è convinta di questa felicità, falsa, superficiale. In una costruzione orwelliana il libro segue la storia di Palma e di Muschio, uno straniero che arriva a Feliciolandia alla ricerca della tanto famosa felicità, che, purtroppo per lui, scoprirà essere tutta una montatura e per questo dovrà pagarne le conseguenze, insieme all'innamorata. Tra smancerie, spiritosaggini, vicende frenetiche,

riflessioni, ironia e poesia, l'autore dà l'impressione di seguire più la penna che un disegno prestabilito. E anche se è deludente l'abbandono della linea

orwelliana, il libro si salva con l'originalità e la sincerità di chi scrive. Ma il vero punto forte del libro è sapere che a scrivere è un maffeiano, Enrico Zucchi, nel suo ultimo anno di liceo, qualche anno fa. Leggendo si ha l'impressione di immedesimarsi nello scrittore e quasi di conoscerlo, di essere più vicini al libro. Potrebbe essere interessante sentirlo parlare della sua esperienza di scrittore e del

suo libro qui al Maffei, alle assemblee riunite, chissà...

Eugenio Della Pia

LA CASA DEGLI SPIRITI "La casa degli spiriti"è il primo romanzo della peruviana Isabel Allende, scritto nel 1982 ma uscito in Italia l'anno seguente. Racconta la storia di una famiglia cilena, un filo che si dipana attraverso il tempo in una vicenda costellata di personaggi

perfettamente delineati, e di avvenimenti sapientemente concatenati l'uno all'altro. Quattro generazioni raccontate da una penna che mette in primo piano le donne di questa dinastia, che con il loro carattere e la loro forza riescono a non soccombere alle differenze imposte dai

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ceti sociali, alla rigida autorità paterna, agli incubi e alla morte, dedicandosi totalmente a quello che amano e che le appassiona. Il romanzo infatti affronta tematiche diverse, che toccano i cittadini di cinquant'anni fa come quelli di oggi, calando le vicende narrate (nel perfetto stile del roman-a-clef) nel teatro suggestivo del Cile all'inizio del 1900 fino agli orrori del colpo di stato. Non si può passare sotto silenzio l'importante peso politico che reca al suo interno questo libro: esso attacca duramente e senza mezzi termini il golpe, descrivendone le sofferenze e le ingiustizie tramite descrizioni sempre azzeccate. La

caratteristica principale del romanzo è comunque la perfetta ed armoniosa miscela fra razionalità ed esoterismo, luce ed ombra, persone e spiriti, sogni ed incubi. Mai scontato, mai pesante, un libro che consiglio a chiunque abbia voglia di immergersi totalmente in una trama intrigante ed agrodolce che avvolge e non ti lascia nemmeno dopo la fine della lettura. (Isabel Allende, La casa degli spiriti)

Alice Faggion

Music time NURSERY CRYME E' il 1971 quando i Genesis pubblicano il terzo LP. Ma chi sono i Genesis? All'epoca ancora sconosciuti, suonano un rock “diverso”, o almeno, diverso dall'esempio dei grandi maestri del periodo, ricco di intrusioni e contaminazioni dai più svariati generi, dalla classica al jazz, che lascia libertà totale alla musica di creare e assumere le forme più disparate: questo è il progressive rock. E con Nursery Cryme i Genesis finalmente raggiungono la maturità per definire il loro tocco personale, dando vita ad un suono morbido, barocco e dall'ampio respiro, a tratti rasente il sinfonico e dalle atmosfere fiabesche, capace di partorire storie frutto di una fantasia allucinata, passando da “graziose decapitazioni” tra bambini attraverso apocalittici squarci di guerra tra uomini e piante per concludere con la storia d'amore tra il semidio Ermafrodito e la ninfa Salmace. In apertura “The Musical Box” catapulta immediatamente in una dimensione di favola: i dolci accordi di una chitarra che suona come un'arpa prima, e un sussurrante Peter Gabriel poi, riportano

alla memoria quelle “nursery rhymes”(filastrocche per bambini) citate nel titolo dell'album, ma è solo questione di tempo, ed ecco che uno stacco improvviso lancia un riuscito assolo, andando a creare continui incroci tra parte vocale e strumentale che terminano nell'imperioso crescendo finale, di sapore classico.

Terminano così i 10 minuti e mezzo, senza il minimo ritornello, della canzone più riuscita del disco. Ed è proprio nelle canzoni più

lunghe e articolate che si può ammirare appieno la capacità di questi ragazzi di catturare l'ascoltatore nel loro mondo: così a spiccare tra tutte è “The Return Of The Giant Hogweed”, ovvero l'hard rock secondo i Genesis, con un lungo intermezzo strumentale

affidato a chitarra e tastiera, e “The Fountain Of Salmacis”, dai toni delicati e onirici, che in conclusione di disco, ancora una volta rubando alla musica classica, termina come il risveglio da un lungo sogno. Un sogno, quello di “Nursery Cryme”, che può stupire come stordire, incantare o annoiare, ma che almeno una volta vale la pena di essere vissuto. (Genesis, Nursery Cryme)

Andrea Pontalto

LA LUCE Un’idea. Non geniale forse, non originale (ma ogni cosa, si sa, non può che nascere intrisa di ciò che le sta dietro ed intorno), non rivoluzionaria. Ma un’idea, una bella idea, interessante. L’idea che l’amore, la bellezza e tutto ciò che di grande esiste possa essere

descritto attraverso la futile e volgare realtà che ci circonda. L’idea di una struggente attesa nel rifare l’asfalto per quando tornerai. Di guance arrugginite dalle lacrime, di vene pettinate. Ogni sensazione è una metafora grigia, un termosifone, una ciminiera, un giubbotto antiproiettile, un tuono.

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Un’idea. Suggestiva, controcorrente, piacevole. Utile per, come molti potrebbero dire, allontanare tutto quello stupido sentimentalismo delle solite canzonette, per guardare questo mondo senza filtri, cogliendone la deturpata e stanca anima oppressa dall’uomo e dalle sue convenzioni. Un’idea che Vasco Brondi decide di trasmettere con le sue canzoni. E così debutta nel 2007 con un demo autoprodotto, nel 2008 vince La Targa Tenco con l’album Canzoni da spiaggia deturpata, nel 2010 esce Per ora noi la chiameremo felicità. Quasi una trentina di brani in tutto, con quest’idea. Quest’unica, sola, ritrita idea. Ti hanno fatto ascoltare Per combattere l’acne, interessante dici tu. Cara catastrofe, beh che originale, veramente. Piromani, Stagnola, Fare i camerieri (non sai chi è Vian? Cioè, tu.. Tu cosa.. ?). L’amore ai tempi dei licenziamenti dei metalmeccanici, Una guerra fredda, Le petroliere. Certamente una cosa è da riconoscere: di cantautori l’Italia non abbonda, anzi sembra rigettar e

tutto ciò che non è commerciale, orecchiabile e, se mi è concesso, futile. Almeno il buon (buono? Certamente non con i suoi fan) Brondi, come altri del resto, riesce a ricavare uno spazio proprio nell’insidioso panorama musicale dove esprimere le proprie idee e questo è certamente da lodare. Definirlo poi, come si sente dire sempre più

frequentemente, uno dei più grandi cantautori della storia italiana, affiancandolo ad artisti come De Andrè, Guccini, De Gregori e de gustibus, questo si chiama fare il passo più lungo della gamba. Perché il genio è capace di inventare e reinventare in mille modi le sue

inspirazioni; un conto infatti è che un artista mantenga uno stile o un’impronta costante in ogni canzone, un conto è che a essere costante sia l’intuizione alla base, l’idea appunto, brano dopo brano. I migliori auguri alle luci, dunque, nella speranza di un’idea, un’altra possibilmente.

(Le luci della centrale elettrica)

Le cinéma

Olga Verlato

HI MOM! Un palazzo di fronte al mio, due metri di cielo che ci separano. Una telecamera da quattro soldi, l’inconsapevolezza dei vicini che non sospettano di essere ripresi. Improvviso un lavoro, perché non so che strada la mia vita possa prendere, perché mi annoio e perché, beh sì, ho bisogno di soldi. Mi ritrovo ad imitare un giovane Robert de Niro in Hi Mom! Che si muove dietro e davanti la telecamera con la sua sigaretta nel suo squallido appartamento mentre ci rappresenta la ricerca vera e propria della vita. Contaminato da una realtà impegnata in sogni grandiosi, progetti modesti, normalità e sconvolgimento, come lui mi lascerei trascinare da tutto ciò che mi incuriosisce appena. Per non riuscire comunque a trovare me stesso, ma per diventare un

attore mutevole della mia vita, entrare in quella degli altri, essere mille modalità di non-me, ovvero ciò che vuole l’occasione. In una New York “di mezzo”, teatro di giovani anticonformisti e donne innamorate del romanticismo, la telecamera di Brian de Palma segue il nostro protagonista come fosse un eroe quotidiano, anche lui “di mezzo” come la sua città, né buono né cattivo, limitandosi a osservarlo come lui osserva i suoi vicini, tentando di coglierne il tentativo di riempire il suo nulla. Con un atteggiamento di attenzione verso la curiosità che rimane comunque distaccata, de Palma sembra voler lasciare non tanto libero giudizio allo spettatore quanto piuttosto possibilità di identificazione. (Brian de Palma, Hi Mom) Laila

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ORIZZONTALI: 1. gabbia di matti a Cinecittà. 6. unità geocronologia, miliardi di anni. 7. pianta grassa. 10. scrisse le “Prose della volgar lingua”. 11. nuovo film di Antonio Albanese. 14. Stefani Joanne Angelina Germanotta. 18. 19. si chiama ciuffo! 23. prosecco, acqua e aperol. 24. vivono a Wisteria Lane. 26. quello che alla fine si è tenuto Angelica. 27. col crudo da Baccabundus. 29. arriva a scuola in moto ed ha la cattiva abitudine di parlare agli alunni col casco addosso. 32. lo festeggiano la Lepre Marzolina e il Cappellaio Matto. 34. macchina fotografica dove puoi solo guardare nell’obbiettivo. 36. il suo MP3 può anche comporre nuove

VERTICALI: 2. Uhuhuhuhuhuhuh. 3. lesbia. 4. ha dedicato un’intera canzone ad un ombrello. 5. california here we come.. 8. caffettiera. 9. armatura. 10. sta ancora leggendo Voltaire, c’ha messo 50 anni. 12. la “nipote di Mubarak”. 13. serie tv nata dal genio di Matt Groening, “1000 anni dopo”. 15. lingua morta e senza articoli. 16. tranne te tranne te tranne te.. 17. Scipione Maffei. 20. esclusione dalla società tramite un coccio (vendette dei greci). 21. l’arma di Rapunzel. 22. Tanto Mario riapre prima o poi. 24. ha sfogato la sua rabbia repressa in un’opera che ha richiesto 15 anni di lavoro. 25. no love lost, no love found. 28. lo si fa sugli specchi. 30. il Cappellaio Matto la ballerà nel giorno Gioigloriso. 31. un mucchio per Ariosto. 33. ha come amico Woodstock. 35. praticano il suicidio di massa. 37. il più grande cestista di tutti i tempi. 38 è A B l C è

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Direttore: Ejona Trashaj

Vicedirettore: Giulia Chesini REDAZIONE:

Donise Serenelli

Alice Faggion Olga Verlato Andrea Menegalli

Anastasia Mocri Alessandro Vandelli

Giovanni Belli Arianna Biagi Ludovica Perina Garzone: Lucio Fontanive Musa ispiratrice: Andrea Manfredi Vicario via Venier: Alessandro Zamboni

Vicario via Selinunte: Daniel Molinaro Ringraziamenti: il Preside, il vicepreside, il professor Maccadanza, Il personale ATA, Anna Filippini, Yalda Mehrabi, Beatrica Rossi, Chiara Cracco, Sofia Poletti, Camilla Zonzini, Federico Saletti, la classe II F, Anna DEGLI AGLIIINI.

IPSE DIXIT Fattore: “Quindi la scuola è un luogo dove un sadico, che sarei io, incontra dai 25 ai 30 masochisti; cioè voi.”

Mondello: “Anche oggi si usa prendere in braccio la sposa prima di entrare in casa, beh dipende sempre dalla stazza della sposa.” Ferrari: “La modalogia…” Studente: “Come scusi?” Ferrari: “La monalogia, parlo male perché mi sono morsicato la lingua!” Borgo (dopo aver scritto una formula d’algebra alla lavagna): “Da qui cosa capiamo?” Studente: “Che prenderò 2 anche il prossimo compito!!!” Fattore: “Astolfo venuto in possesso dell’ippogrifo, ascende nell’inferno e poi sale nel paradiso terrestre.” Studente: “Ma scusi, Dante ci mette 3 canti e lui li liquida così?!” Ferrari (dopo che uno studente gli ha letto il POF per fargli notare un suo errore): “Vedo che scegliete dei modi molto eleganti per farvi bocciare) Borgo: “Ma perché parlate? Dai dopo ditemi che non avete capito che sono già pronta a tirarvi un libro!”

BAR

VIA MASSALONGO