Joseph Ratzinger Il Reno si getta nel Tevere · 2016-02-14 · 2 Editoriale L’ ultimo numero di...

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Anno XXII n. 1- Febbraio 2006 - Sped. a. p. - art. 2 - comma 20/c, Legge 662/96 - Filiale di Asti - Organo ufficiale del Centro Librario Sodalitium - Loc. Carbignano, 36. 10020 VERRUA SAVOIA (TO) Tel. +39.0161.839.335 - Fax +39.0161.839.334 - IN CASO DI MANCATO RECAPITO, RINVIARE ALLUFFICIO C.R.P. ASTI PER RESTITUZIONE AL MITTENTE CHE SI IMPEGNA A CORRISPONDERE LA RELATIVA TARIFFA A quarant’anni dal Concilio Vaticano II. Joseph Ratzinger ... Il Reno si getta nel Tevere N. 59 Tassa Riscossa - Taxe Perçue. ASTI CPO

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Anno XXII n. 1- Febbraio 2006 - Sped. a. p. - art. 2 - comma 20/c, Legge 662/96 - Filiale di Asti - Organo ufficiale del Centro Librario Sodalitium -Loc. Carbignano, 36. 10020 VERRUA SAVOIA (TO) Tel. +39.0161.839.335 - Fax +39.0161.839.334 - IN CASO DI MANCATO RECAPITO, RINVIARE

ALL’UFFICIO C.R.P. ASTI PER RESTITUZIONE AL MITTENTE CHE SI IMPEGNA A CORRISPONDERE LA RELATIVA TARIFFA

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Editoriale

L’ultimo numero di Sodalitium uscì acavallo tra gli ultimi giorni di KarolWojtyla (per l’edizione italiana) e i

primi di Joseph Ratzinger (per l’edizionefrancese).

Giovanni Paolo II si era presentato algiudizio di Dio il 2 aprile, ed il successivo 5aprile il nostro Istituto pubblicava un co-municato con il quale invitava tutti i fedelia pregare e a far penitenza, nella speranzasovrannaturale che il Conclave potesse da-re alla Chiesa un legittimo Pontefice. Ilgiorno dopo l’elezione di Joseph Ratzingeral Soglio pontificio, avvenuta il 19 aprile, ri-volgendosi agli elettori, Benedetto XVImanifestava chiaramente la sua intenzione,la sua “ferma volontà”, di continuare nelcompito di mettere in opera il Concilio Va-ticano II. Inevitabilmente, il giorno stesso ilnostro piccolo Istituto dichiarava pubblica-mente di non poter riconoscere, in Bene-detto XVI, l’Autorità divinamente assistitaper reggere e governare la Chiesa di Cristo.

Molti mesi sono ormai passati da queigiorni di primavera, mesi che hanno confer-mato appieno il discorso del 20 aprile. Solochi non vuol vedere, solo chi si vuole illude-

re (e sono molti nei ranghi dei fedeli allatradizione della Chiesa che hanno voluto il-ludersi in questi mesi, come altri lo fecerodopo l’elezione di Giovanni Paolo II), solochi vuole ingannare e illudere magari, puònon aver visto come Joseph Ratzinger abbiafatto in pochi giorni ciò che Giovanni PaoloII ha fatto in lunghi anni. Le rivoluzionarieinnovazioni del predecessore (o degli imme-diati predecessori) sono ormai una nuova“tradizione”. La visita alla Sinagoga, i cor-diali messaggi al rabbino Di Segni, la dottri-na sulla “sana laicità dello Stato”, la revocadella decisione di Giovanni Paolo II (!) dibeatificare Padre Dehon, accusato dagliebrei di antisemitismo, la pratica costante

“Sodalitium” Periodico - n° 1 , Anno XXII n. 1/ 2006

Editore Centro Librario Sodalitium

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Direttore Responsabile don Francesco RicossaAutorizz. Tribunale di Ivrea n. 116 del 24-2-84

Stampa: - Ages Torino. Questo numero della rivista

è stato chiuso in redazione il 20/01/2006

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In copertina: sullo sfondo una seduta del ConcilioVaticano II. Nelle foto piccole alcuni artefici delConcilio: Paolo VI e Lercaro, Rahner e Ratzingerpresenti come teologi (in giacca e cravatta...)

Editoriale pag. 2Charles de Foucauld e l’Islam pag. 5Il Vescovo nel Vaticano II e nel magistero della Chiesa. Dottrine a confronto pag. 18La morte, inizio della vita eterna pag. 50RECENSIONI:

Il cardinal Randi e le ultime Duchesse di Modena pag. 52Autorità e episcopato nella Chiesa pag. 53“Finora tutti hanno parlato di Mortara. Adesso, lasciate che sia Mortara pag. 54

Omelia di S.E. Mons. Stuyver per le ordinazioni sacerdotali pag. 57Vita dell’Istituto pag. 59

✍ Sommario

La Tiara scompare anche dallearmi pontificie, sostituita dalpallio arcivescovile. BenedettoXVI ha voluto innovare persinosui suoi immediati predecesso-ri... Rinnegare la Tiara vuol direrinnegare il papato come mae-stosamente si mostrò al mondocon San Gregorio VII...

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dell’ecumenismo e della collegialità, la sa-crilega comunione data in Piazza San Pietroal pastore protestante di Taizé RogerSchutz (ora defunto), sono fatti che non stu-piscono più nessuno. Come non ha stupitonessuno neppure lo scandaloso, perché ami-chevole incontro col vecchio sodale HansKüng, eretico formale confesso! Con HansKüng, infatti, il giovane Ratzinger condivisela stagione conciliare, quando finalmentefurono abbattuti – così auspicava un mae-stro di Ratzinger, l’ex gesuita Hans Hursvon Balthasar – i bastioni della Chiesa Cat-tolica, sotto i colpi di piccone di quei mo-derni, iconoclasti teologi.

In quei giorni, ormai lontani, seguiva davicino il Concilio – non come teologo, macome giornalista – un sacerdote missiona-rio, Ralph M. Wiltgen, che pubblicò nel1967 col dovuto imprimatur, negli StatiUniti, un suo personale resoconto dell’assi-se conciliare; nel 1973 le Editions du Cèdrene prepararono l’edizione francese.

Padre Wiltgen intitolò così il suo libro: IlReno si getta nel Tevere. Nella prefazione allaprima edizione, scritta nel 1966, Padre Wilt-gen spiega la sua scelta: “Cento anni primadella nascita di Cristo, Giovenale, in una dellesue Satire, scriveva che l’Oronte, il principalefiume della Siria, si era gettato nel Tevere.Con quelle parole voleva dire che la cultura si-riana, che disprezzava, era riuscita a penetrarela cultura della sua amata Roma. Quello che èaccaduto su di un piano culturale al tempo diGiovenale, è accaduto oggigiorno sul pianoteologico. Ma, questa volta, l’influenza è ve-nuta dai paesi bagnati dal Reno – Germania,

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Austria, Svizzera, Francia e Paesi Bassi – edal non distante Belgio. È perché i cardinali,vescovi e teologi di questi sei paesi sono riusci-ti ad esercitare sul Concilio Vaticano II un’in-fluenza predominante, che ho intitolato il miolibro ‘Il Reno si getta nel Tevere’”.

I sei paesi dell’Alleanza Europea aveva-no questo in comune: le tracce profondeche vi aveva lasciato il protestantesimo.L’influenza del protestantesimo, poi delgiansenismo, del protestantesimo liberale,del modernismo, infine del neo-moderni-smo della nouvelle théologie condannata daPio XII, era profonda. I cardinali Liénart(Francia), Suenens (Belgio), König (Au-stria) e soprattutto Frings (Germania), fu-rono i principali artefici della rivoluzioneconciliare. E tra i teologi, spiccano due no-mi: Joseph Ratzinger, esperto dell’arcive-scovo di Colonia, Frings, e Karl Rahner,esperto dell’arcivescovo di Vienna, König.

Rivedendo le immagini di BenedettoXVI navigare sul Reno a Colonia, prima dipenetrare nella locale Sinagoga, non ci sipoteva impedire di pensare che veramentee compiutamente, con la sua elezione, ilReno si è gettato nel Tevere!

Da Colonia a Roma. Ma Roma è ancoraRoma, ci si chiede, vedendo quella che untempo era l’incoronazione del Sommo Pon-tefice. In Piazza San Pietro nessuno cingedella Tiara la fronte di Joseph Ratzinger,che ha voluto innovare persino sui suoi im-mediati predecessori: la Tiara scompariràanche dalle armi pontificie, sostituita dalpallio arcivescovile. Non si tratta di un det-taglio araldico. Il “prefetto della congrega-zione per la dottrina della Fede” aveva giàespresso il suo pensiero, secondo il quale ilpapato doveva “ritornare” al primo millen-nio. Rinnegare la tiara vuol dire rinnegare ilpapato come maestosamente si mostrò almondo con San Gregorio VII, Innocenzo

40 anni dal Concilio Vaticano II: uscita dei padri conciliari dalla basilica Vaticana

Benedetto XVI nella sinagoga di Colonia durante il suo viaggio in Germania. A destra con il Sophar

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III, Bonifacio VIII… fino a Pio XII. Il papa-to che già Giovanni Paolo II voleva rifor-mare (Ut unum sint) non è più quello di pri-ma. Il Papa non sarà più monarca nellaChiesa, “il Papa non è un sovrano assoluto”,ha detto prendendo possesso della basilicadel Laterano (assoluto, no, monarca sì: vediarticolo p. 18, nota 51 a p. 46). “Questo Pa-pa che non parla mai di ‘pontificato’ masempre di ‘ministero petrino’, che ha abolitola tiara dallo stemma, che non manca mai disottolineare che egli è prima e innanzitutto il‘vescovo di Roma’, ha spiegato di non essereun monarca assoluto, ma un servitore. (…)Il mondo ortodosso e orientale [eretico e sci-smatico, n.d.r.] attendeva un ritorno all’im-magine del papato anzitutto come ministerodel vescovo di Roma, che in quanto tale con-ferma i fratelli, conserva e trasmette, insiemeall’intero collegio dei successori degli apo-stoli, la fede in Cristo unico salvatore e re-dentore del mondo” (A. Tornielli, Il Gior-nale, 8 maggio 2005, p. 13). La Collegialitàepiscopale sarà senza dubbio uno dei puntifondamentali dell’azione di Benedetto XVI,e anche per questo Sodalitium dedica unlungo articolo al concetto di episcopato nelVaticano II, e ai rapporti tra la collegialità eil primato.

Non sappiamo se Benedetto XVI accor-derà una maggiore libertà alla celebrazionedella Messa, come lo hanno fatto pensare i

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suoi scritti precedenti l’elezione, e il suo in-contro con Mons. Fellay alla fine di agosto.Sappiamo però per certo che egli, ognigiorno, celebra col rito riformato, e non ri-cusa di dare la comunione anche nella ma-no, e persino a dei non cattolici.

Sodalitium festeggia i vent’anni dell’Isti-tuto Mater Boni Consilli. L’anniversario èstato solennizzato a Verrua sabato 5 novem-bre con la solenne ordinazione di due novel-li sacerdoti: Deo gratias! Ma non mettiamo –tuttavia – la nostra speranza nel nostro Isti-tuto. La nostra speranza è, e resta, nellaChiesa, e nelle promesse fatte alla Chiesadal Suo fondatore, Gesù Cristo. A Lui ilcompito di salvare la Sua Chiesa. Siamo si-curi che non l’abbandonerà. Malgrado le no-te tristi di questo editoriale, la nostra Fede cisorregge e ci sorreggerà ancora. Non abbia-mo alcuna speranza umana in Ratzinger e inquanti sono in comunione con lui. Ma sap-piamo che Colui che ha trasformato il perse-cutore Saulo nel grande Apostolo San Paolopotrà, come e quando vorrà, far trionfare lafede laddove adesso è umiliata. Non sarà al-lora un trionfo del persecutore, ma una vit-toria miracolosa della Grazia di Dio. Portaeinferi non praevalebunt!

Copertina di Sodalitium n. 10 (aprile Maggio 1986)il primo dell’Istituto Mater Boni Consilii

Joseph Ratzinger dà lacomunione in PiazzaSan Pietro al pastoreprotestante di Taizé

Roger Schutz (ora defunto)

Ordinazioni sacerdotali: Accipe Spiritum Sanctum...

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Charles de Foucauld e l’Islamdon Ugolino Giugni

In questi ultimi mesi Charles de Foucauld èritornato all’onore delle cronache e delle

prime pagine dei giornali. Infatti il 13 novem-bre 2005 Benedetto XVI lo ha “beatificato”(1) (Cf. Osservatore Romano 14-15/11/2005).Come sempre succede, dopo il Concilio Vati-cano II (di cui ricorrono i quarant’anni dallachiusura proprio nel 2005) ogni “santo” o“beato” che si rispetti deve essere ecumenicoed ecumenista e precursore di detto “Conci-lio”. Seguendo questa regola non scritta, si ècercato di presentare in questa ottica ancheCharles de Foucauld come un fautoredell’ecumenismo (effettivamente egli fu unsacerdote cattolico che andò a vivere in terrad’Islam) e del “dialogo” con i musulmani (daiquali fu ucciso…). Su L’Eco di Bergamo silegge: “de Foucauld è un testimone radicaledel Vangelo, è un esempio di dialogo rispet-toso tra religioni e civiltà, è un modello per icristiani del XXI secolo (…) Una strategiache è stata fatta propria dal Concilio Vatica-no II e che ha fatto scuola nella Chiesa” (2).Un altro autore, suo recente biografo affer-ma: “Non è difficile immaginare quantoavrebbe gioito fratel Carlo se la Chiesa uffi-ciale del suo tempo avesse proclamato la so-stanziale uguaglianza di tutti gli uomini e ildovere della giustizia sociale, così comeavrebbe fatto, col Concilio Vaticano II. Luiavrebbe sottoscritto con entusiasmo questapagina di Gaudium et Spes (n. 29)” (3). Ma lecose stanno veramente così?

Scopo di questo articolo sarà quello discoprire qual era il pensiero di questo ere-mita del deserto riguardo ai rapporti tracattolicesimo e Islam. Questo studio saràparticolarmente interessante per noi oggiche viviamo in un’Europa sempre più mul-tietnica e che sembra diventata terra diconquista dell’islam a causa di una incon-trollata e sconsiderata politica d’immigra-zione operata dai nostri governi. Il pensierodi Charles de Foucauld sembra a volte pro-fetico e illuminante sui rapporti tra cristia-nesimo e islam nel mondo di oggi, e sulruolo che le nazioni Cattoliche avrebbero

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dovuto esercitare nei confronti di questipopoli islamici dell’Africa del nord.

Cronologia della Vita di Charles deFoucauld

Charles de Foucauld nasce il 15 settem-bre 1858 a Strasburgo, in Alsazia, da unafamiglia nobile, il cui motto è “Mai indie-tro”. Viene subito battezzato. Carlo ha unasorella, Maria, di tre anni più giovane.

• I genitori muoiono uno dopo l’altro nel1864. Carlo ne rimane ferito profondamente.

• I due orfani vengono affidati al nonnomaterno, il colonnello de Morlet, uomobuono ma debole.

• Dopo la guerra franco-prussiana del1870, la Francia perde l’Alsazia e la Lore-na. La famiglia lascia Strasburgo per anda-re a vivere a Nancy e opta per la naziona-lità francese.

• Compie gli studi secondari a Nancy epoi a Parigi, dai Gesuiti, dove ottiene il di-ploma di maturità. Inizia l’anno di prepara-zione per l’Accademia Militare di SaintCyr. Giudicato pigro e indisciplinato, vienerimandato a casa durante l’anno. Carlo col-loca la perdita della fede al termine deglistudi secondari, verso i 16 anni.

Carriera militare:• 1876: Entra all’Accademia di Saint Cyr.• 1878: Nel mese di febbraio muore il

nonno e Carlo eredita una grande fortunache dilapiderà presto. In ottobre entra nellascuola di Cavalleria di Saumur, da cuiuscirà nel 1879, classificandosi 87° su 87.

• A scuola conduce una vita goliardica,caratterizzata da molteplici gesti di indisci-plina e di eccentricità (si traveste da mendi-cante). Disegna e approfondisce la sua cul-tura leggendo molto.

• 1879: Di stanza a Pont-à-Mousson con-duce una bella vita e si lega ad una ragazzadi dubbia reputazione: Mimì.

• 1880: Il suo reggimento è inviato in Al-geria. Porta con sé Mimì, facendola passare

Cristianesimo e Islam Charles de Foucauld fu vera-mente un precursore del Vatica-no II ed un esempio di dialogotra le religioni? Quali sono i rap-porti tra Cristianesimo e islam?

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per sua moglie. Quando l’imbroglio vienescoperto, l’Esercito gli ordina di rimpatriar-la. Carlo si rifiuta e preferisce essere sospe-so temporaneamente dall’Esercito. Torna avivere in Francia a Evian.

• 1881: Viene a sapere che il suo reggi-mento è impegnato in un’azione pericolosain Tunisia. Abbandona Mimì, chiede di esse-re reintegrato e raggiunge i suoi commilitoni.

• Per 8 mesi mostra di essere un eccel-lente ufficiale, apprezzato tanto dai capi,quanto dai soldati.

Viaggi di esplorazione: 1882-1886.• 1882: Sedotto dall’Africa del nord, la-

scia l’Esercito e s’installa ad Algeri per pre-parare scientificamente un viaggio di esplo-razione in Marocco. Studia l’arabo el’ebraico.

• Giugno 1883 - Maggio 1884: Percorreclandestinamente le strade del Maroccotravestito da rabbino e guidato dal rabbinoMardocheo. Rischia la vita più volte.

• 1885: Riceve la medaglia d’oro dallaSocietà Francese di Geografia per il suoviaggio di esplorazione del Marocco.

• 1885-1886: Viaggio nelle oasi dell’Al-geria del sud e della Tunisia.

• 1886: Rientra in Francia dove ritrova lasua famiglia e in particolare la cugina Ma-ria di Bondy.

• Pubblica il libro “Ricognizione in Ma-rocco”.

• Vive in modo sobrio, come un asceta.Si interroga sulla vita interiore e sulla spiri-tualità. Entra nelle chiese - senza fede - econtinua a ripetere la preghiera: “Mio Dio,se esisti, fà che ti conosca”.

La conversione: 1887-1889.• Fine ottobre 1886: Entra nella chiesa di

Sant’Agostino a Parigi per chiedere a Pa-dre Huvelin (conosciuto tramite la cuginaMaria di Bondy) delle lezioni di religione.

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• Padre Huvelin gli chiede di confessarsi edi comunicarsi immediatamente e lui lo fa.

• 1887-1888 : Vive in famiglia, in provin-cia, presso la sorella Maria e comincia apensare alla vita religiosa.

• Dicembre 1888 - Gennaio 1889: Carlosi reca in Terra Santa. Nazareth lo segnaprofondamente.

• Rientrato in Francia lascia tutti i suoibeni alla sorella. Partecipa a diversi ritiriper cercare un ordine religioso dove poterentrare.

• Si sente chiamato a vivere “la vita nasco-sta dell’umile e povero operaio di Nazareth”.

La trappa gli sembra il luogo più adatto.La vita religiosa: 1890-1897.• 15 gennaio 1890: Parte per la trappa

“Notre Dame des Neiges” in Francia.• 6 mesi dopo parte per una trappa mol-

to più povera in Siria, ad Akbes.• Redige un primo progetto di congrega-

zione religiosa “a modo suo”. Scrive: “Iosospiro al ricordo di Nazareth...”.

• Chiede di essere dispensato dai voti.Nell’ottobre del 1896 viene mandato a Ro-ma per studiare.

• Gennaio 1897: L’abate generale deitrappisti lo lascia libero di seguire la sua vo-cazione.

Nazareth: 1898-1900.• Dal mese di marzo 1897 vive a Naza-

reth dove lavora come domestico delle Cla-risse e abita in una capanna nel loro giar-dino.

• “Ho ottenuto il permesso di recarmi dasolo a Nazareth, e di viverci, nascosto, conil mio lavoro quotidiano da operaio. Solitu-dine, preghiera, adorazione, meditazionedel Vangelo, umile lavoro”.

• Resta a Nazareth 3 anni. Pian piano leClarisse e il suo confessore, Padre Huvelin,lo convincono ad abbracciare il sacerdozio.

• Rientra in Francia, a Notre Dame desNeiges, per prepararsi al sacerdozio.

• 9 giugno 1901: Viene ordinato sacerdo-te, a Viviers (Ardèche, Francia).

Beni-Abbes e le visite ai Tuareg: 1901-1906.

• Settembre 1901: Fratel Carlo si trovaad Algeri. Va a vivere a Beni-Abbes dovecostruisce un eremo per fondare una frater-nità di monaci.

• 1902: Sensibilizza gli amici e le autoritàsul dramma della schiavitù.

• Riscatta alcuni schiavi.

Charles deFoucauld giovanesottotenente del 4°reggimento Ussari

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• 1905: Si reca molte volte in visita aiTuareg.

• Impara la loro lingua.• Prima di lui nessun prete si era mai re-

cato presso di loro.• Per loro scrive un catechismo e comin-

cia a tradurre il Vangelo.• 1906: Viene finalmente raggiunto da

un compagno, fra Michele, che si ammalamolto presto e deve ripartire.

Tamanraset - 3 viaggi in Francia: 1907-1916.

• Luglio 1907: Carlo inizia qui un gran-dissimo lavoro scientifico sulla lingua deiTuareg, sui loro canti e sulle loro poesie.Per questo lavoro si fa aiutare da una per-sona del posto.

• È il solo cristiano. Gli è proibito cele-brare l’Eucaristia, ma sceglie di restare...per gli uomini. Questa situazione dura seimesi, in seguito riceve il permesso di cele-brare da solo la Santa Messa, ma non di te-nere il Santissimo Sacramento.

• Gennaio 1908: Esausto, si ammala esfiora la morte. I Tuareg lo salvano condivi-dendo con lui il poco latte di capra che restain un periodo di grande siccità. Carlo si sen-te impotente, dipendente dai suoi vicini...

• 1909-1911-1913: Si reca 3 volte in Fran-cia per presentare il suo progetto del-l’“Unione dei fratelli e delle sorelle del Sa-cro Cuore”, un’associazione di laici perl’evangelizzazione dei popoli. “Cristianiferventi di ogni condizione, capaci di far co-noscere, attraverso il loro esempio, la reli-gione cristiana e di far ‘vedere’ il Vangelonella loro vita”. (Regolamento - Consigli) -1909-1913.

• 1914: In Francia scoppia la guerra. Car-lo resta a Tamanrasset su consiglio di unamico, il generale Laperrine.

L’ultimo anno: la morte.• 1915: Nel deserto la situazione non è

tranquilla: razziatori marocchini e minaccedei Senussi libici.

• Per proteggere le popolazioni, Carlocostruisce un fortino a Tamanrasset. Carlova a viverci da solo in attesa di accogliere lepersone dei dintorni in caso di pericolo.

• Continua a lavorare sulle poesie e suiproverbi dei Tuareg.

• 1° dicembre 1916: Un gruppo di Tua-reg, comandati da alcuni Senussi, lo cattu-rano e lo legano.

• Durante il saccheggio arrivano due

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meharisti (soldati alle dipendenze dei fran-cesi) in modo del tutto inatteso. C’è panico,parte un colpo e fratel Carlo viene ucciso.Il suo corpo viene sepolto nel fossato checirconda il fortino. (4).

PENSIERO DI DE FOUCAULD

• Desiderio della Conversione degli arabial cattolicesimo

“I berberi non sono né fanatici, né ci di-sprezzano. In avvenire sarà – io credo –l’affermazione dei berberi nella fede chepredisporrà e vi farà entrare gli arabi” (5).Fra Carlo nelle sue lettere non cessa di ac-cusarsi del lento progresso del suo aposto-lato: se fosse meno indegno, tutti i musul-mani, gli ebrei ed i cattivi cristiani sarebbe-ro già diventati o ridiventati fedeli. Dichia-ra che la sua propria conversione è la con-dizione della conversione degli altri. Nelsuo zelo non dimentica nessun’anima; si la-scia portare lontano dalle palme di Beni-Abbès, desidera la conversione di tuttal’Africa, del mondo intero. La sua congre-gazione di missionari non predicherebbedunque il vangelo direttamente, ma lo fa-rebbe conoscere, ammirare e amare tramitela vita di preghiera, di carità e la povertàche condurrebbero i monaci in mezzo aimusulmani. I Piccoli fratelli del Sacro Cuo-re sarebbero innanzi tutto degli adoratoriche portano il loro Maestro in mezzo alleanime infedeli.

La questione coloniale. Si possono conver-tire gli arabi al cattolicesimo?

Nel 1903 Charles de Foucauld a Beni-Abbés in pieno deserto algerino, dove egliaveva stabilito la sua dimora, riceve la visitadel padre Guérin, prefetto apostolico delSahara e di un altro sacerdote che lo accom-pagna. I due sacerdoti si intrattengono suuna questione di grande importanza: la que-stione coloniale. Cito quanto scrive RenéBazin, biografo di de Foucauld.

« (6) Nei saloni, nelle riunioni di uomini,se ci si intrattiene della migliore amministra-zione delle nostre colonie d’Africa si è certidi sentire esprimere questa opinione: “i mu-sulmani sono inconvertibili” o come si dice-va all’inizio del XIX sec. “sono inassimilabi-li, immiscibili” È diventata una massima.(…) Il mondo immenso che viene condanna-

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to e di cui si dispera è lontano dai nostri oc-chi. E perciò non ci rendiamo conto in modosufficientemente netto dell’ingiustizia di cuisiamo complici tacendo. Coloro il cui sforzoè quasi sempre orientato da interessi pura-mente terreni, non valutano il pericolo chelo sviluppo stesso del nostro potere colonia-le ci fa correre, se non siamo capaci di accat-tivarci le menti e i cuori. Oppure, nonostan-te tanti avvertimenti, immaginiamo che la ci-viltà meccanica ed economica possieda il po-tere di cambiare le anime nel profondo, e ditrasformare in amici fedeli dei popoli che laloro religione eccita a disprezzarci ed a ma-ledirci, e che imparano, sotto la tenda o nel-le case di terra, a ripetere il proverbio “baciala mano che non puoi tagliare”.

Ecco tuttavia cosa c’è di disumano e dicontrario alla carità in questa opinione così

diffusa! Diverse centinaia di milioni di uo-mini si troverebbero perciò nell’impossibi-lità di conoscere la verità e di elevarsi finoad una vera civiltà? Il musulmano rimar-rebbe per sempre un essere inferiore? Cisarebbero quaggiù, due specie di anime:quella dei pagani, dei buddisti, e degli ebreiche sono in grado di percepire la bellezzatrascendente della religione cristiana, con-vertendosi e fraternizzando con i popoli diCristo, e quella dei musulmani, che non so-no in grado di capire, o di mettere in motola volontà necessaria per dare inizio a unaconversione? Si tratta di una cosa accetta-bile? Si può fare agli uomini un’ingiuria co-sì grande?

Non viene fatta prima di tutto a Dio?Non significa forse negare il suo potere, lasua grazia, la sua parola formale, dal mo-mento che ha ordinato di predicare il vange-lo “a ogni nazione”? La ragione e pure la ri-velazione, che la supera e la completa, vieta-no di pronunziare contro qualsiasi razzaumana e contro i seguaci di una qualunquefalsa religione una sentenza così crudele.

Tutto ciò riguarda l’obiezione di princi-pio. Tornerò fra breve su quella che si pre-tende di trarre dall’esperienza. Ciò che èfuori discussione è che i successivi governidi Francia, nel secolo XIX e nel nostro,hanno agito come se fossero scontato, apriori, che i musulmani non potessero esse-re convertiti.

(…) Sono stati fatti molti sforzi per assi-milare gli indigeni. Il nostro impero africa-no è stato dotato di strade, ferrovie, di lineetranviarie, di uffici postali e telegrafici; c’èstata la diffusione di nuove colture di nuo-ve tecniche agricole; sono stati costruitiospedali e dispensari; sono state edificatescuole dove si insegna tutto, fatta eccezioneper la religione cristiana. Con la ragione, gliindigeni si trovano più vicini a noi cheall’inizio della conquista? Facendo uso, piùche volentieri, di molti beni offerti a lorodalla nostra civiltà hanno accettatoquest’ultima, e si potrebbe dire che si consi-derano alla stregua di sudditi fedeli dellaFrancia e per sempre? (…) Basta conoscerela storia degli ultimi trenta o quarant’anni(…) basta passeggiare per un ora in mezzoalle folle musulmane e saper leggere negliocchi. È vero che, durante la grande guerra,migliaia di arabi o di berberi, sudditi dellaFrancia, sono andati a combattere a fianco

Charles de Foucauld, nel 1902 eremita a Beni-Abbès

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delle nostre truppe metropolitane… (…)Ma sarebbe falso, e pericoloso, credere che,dopo il 1914, le popolazioni musulmanedell’Africa del Nord si siano assimilate oanche solo ravvicinate a noi e che ci sia, traesse e noi, comprensione, stima, amicizia evincoli duraturi.

La colpa di tutto ciò è dovuta agli uomi-ni, molto diversi fra di loro per origine e in-gegno, ma accomunati dall’illusione o dalpregiudizio, che hanno diretto gli affariafricani nel corso del XIX sec. e all’inizio diquello in corso. Non hanno capito che lanostra civiltà è essenzialmente cristiana.Alcuni di loro hanno potuto rifiutare a li-vello personale ogni religione, ma senzariuscire a far sì che tutta la nostra storianon sia quella di una nazione modellata dalcattolicesimo e che la nostra sensibilità, lenostre abitudini, i nostri costumi, la nostracarità possano fare a meno di proclamare lafede che si trova alla loro origine. E, anchese non riconoscono, nella situazione attua-le, questa verità, essa si presenta con tuttaevidenza ai musulmani, abitanti nelle no-stre colonie che danno indistintamente aifrancesi il nome di cristiani. In questo casohanno ragione i musulmani contro i politicidalle vedute limitate. Essi ritengono che, infondo, questa potenza antica, contro laquale la loro si è scontrata più di una voltanel passato, sia rimasta la stessa. Per loro,siamo e saremo i roumis (7). La neutralitàproclamata da parte dello stato, gli atti dipersecuzione, i discorsi e persino i favoriimprudentemente concessi all’islamismohanno confermato l’opinione corrente chela vocazione della Francia non è cambiata.E del resto, anche nel caso in cui i francesidovessero abiurare la fede cattolica (il cheappare assolutamente improbabile) (8), nonne avremmo alcun vantaggio presso i mu-sulmani dell’Africa e finiremmo per diven-tare, in modo ancora più deciso e irrimedia-bile, oggetto di disprezzo da parte di questipopoli religiosi.

(…) Altro errore consiste nel favorire enel diffondere l’islamismo. Gli esempi diquesto sbaglio, che viene commesso delibe-ratamente, sono così numerosi che diventasuperfluo riportarli. Di conseguenza, il muftìhanafita (9) di Algeri poteva dire con ragio-ne a uno dei suoi amici: “Il nostro culto èl’unico che sia riconosciuto dallo stato fran-cese”. Ora, la storia di quattordici secoli,

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unita all’esperienza quotidiana di tutti colo-ro che vivono in mezzo a popolazioni musul-mane, ci insegna che l’animosità contro ilcristiano è di fatto portata avanti attraversol’insegnamento della legge coranica. (10)

(…) Da tutto ciò possiamo dedurre cheogni atto del potere pubblico che tenda asviluppare l’insegnamento del Corano vie-ne compiuto contro di noi. Dobbiamo per-ciò evitare di prendere iniziative sulla li-bertà religiosa dei musulmani, lasciandoliliberi di professare il loro culto e di pratica-re i loro costumi e comportandoci in modoperfettamente giusto e buono verso di loro:se andiamo oltre, siamo deboli e anche unpo’ di più che deboli.

Quando queste verità di buon senso sa-ranno state riconosciute da coloro che diri-gono la politica musulmana della Francia,che cosa bisognerà fare? Né il nostro cuore,né il nostro interesse ci consigliano di re-stringere la nostra ambizione a una qualchealleanza economica, inferiore e precariacon i popoli che vivono nell’ambito dellaFrancia. Come afferma in maniera efficacel’olandese appena citato, “occorre che l’an-nessione materiale sia seguita da quella spi-rituale”. E questo è un augurio che si puòformulare anche senza essere cattolici. Apartire dal giorno in cui il musulmano saràin grado di comprendere la bellezza del cat-tolicesimo, avrà compreso la Francia e, nel-la misura in cui ammirerà la carità cristiana,non potrà fare a meno di amarci» (11).La converione dei musulmani è possibile?

«Tutto ciò significa che dobbiamo cer-care di convertire i musulmani, trasforman-doli in cristiani? Questo assunto non è pri-vo di ambiguità, perché non precisa affattoil modo lento, dolce e fraterno in cui, se

Charles de Foucauld nel 1903 a Beni-Abbés insieme alprefetto apostolico del Sahara Padre Guérin

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Dio vuole, una simile conversione puòprendere forma. È più giusto dire quantosegue: occorre che la Francia, con il suo ca-rico di una numerosa famiglia coloniale,prenda finalmente coscienza di tutta la suamissione materna e che i musulmani, comepure i pagani, sudditi di una grande nazioneche è cattolica per la sua storia, il suo ge-nio, la sua anima e le sue stesse prove, pos-sano conoscere il cattolicesimo e aderirvi selo desiderano.

Per lo meno, avranno modo di conoscer-lo e, in primo luogo, attraverso la sua carità,che farà da ambasciatrice. Occorre però la-sciarle via libera, senza intralciarla o coprir-la di sospetti, ma sostenendola in modo be-nevolo. Siamo come a casa nostra, in pre-senza di un popolo immenso, impastato dierrori, di collere che vanno avanti da secoli,come pure di rancori che, in parte, sono piùche giustificati. Il primo intervento da com-piere è “civilizzare i musulmani”, secondol’espressione cara a padre De Foucauld e alsuo amico generale Laperrine, che ha gui-dato così spesso, nel deserto, “spedizioni diciviltà”. In tutto ciò i funzionari e gli ufficia-li possono svolgere un ruolo magnifico. At-traverso di loro la giustizia della Francia, ecioè la giustizia cristiana, come pure labontà della Francia, e cioè la bontà cristia-na, saranno conosciute da questi uomini chenon hanno solo sete dell’acqua dei pozzi.Ma la carità, industriosa e forte, quella checonosce, da duemila anni, ogni dolore uma-no, deve essere ugualmente libera di conso-lare, curare, guarire e durare, così come du-rano il male e la sofferenza, con la possibi-lità di rinnovarsi. E deve poter fondare asilie scuole, dispensari e ospedali, orfanotrofiper ragazzi e ragazze, case di riposo per ivecchi rifiutati da tutti... Accoglierà la mise-ria senza chiedere il certificato di buonacondotta, senza esigere la copia della fedinapenale e senza preoccuparsi del credo reli-gioso dei suoi clienti. Predicherà il suo Dioin silenzio: basterà che lasci trasparirequell’irradiamento divino che non potrà fa-re a meno di essere percepito. Per tutto ciòci vorranno anni, forse molti anni. Ha tuttoil futuro davanti, allo stesso modo dellaFrancia: possiamo aspettare. Sicuramente,unendo i suoi sforzi a quelli di cui ho giàparlato, ci procurerà questo magnificotrionfo: i popoli musulmani, pur non accet-tando ancora la dottrina cristiana, riusciran-

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no per lo meno a conoscerla, a stimarla e,qua e là, a desiderare di farla propria. E se,più avanti, alcune anime musulmane, per-suase che non ci sia nulla nell’islam che siaparagonabile alla Francia caritatevole e reli-giosa, ci venissero a dire: “Se il discepolo ècosì, che cosa sarà mai il maestro? Insegna-teci la legge che vi fa il cuore così grande!”,quale vantaggio per lo Stato, quale france-sizzazione dell’Africa del Nord! Tutto ciò sirisolverebbe in un mondo rigenerato, in unaFrancia prolungata, nel riconoscimento delnostro potere, in un futuro assicurato e nel-la gloria più alta che una nazione civilizzatapossa desiderare e ottenere: crearne un’al-tra a propria immagine!

A questo punto, ci scontriamo con unaobiezione banale: di fatto, i musulmani nonsi convertono; praticamente, non ne esisto-no esempi. Si tratta di un errore meno gra-ve di quello di pretendere che non si possa-no convertire, ma è pur sempre un errore.

Tutta la vita di apostolato di padre DeFoucauld si è fondata sulla convinzione che,al contrario, sia possibile, attraverso la pre-ghiera, l’esempio, una predicazione che ten-ga conto della sedimentazione del loro erro-re e della debolezza di una povera volontàumana contrapposta ai secoli e a un popolointero, portare a poco a poco i musulmaninella pienezza della grazia di Cristo.• La perseveranza del musulmano conver-tito.

La difficoltà non consiste tanto nel per-suadere un musulmano della verità della re-ligione cristiana, quanto nell’assicurare laperseveranza del convertito. Gli arabi di-ventati cristiani non possono più vivere do-ve vivevano. Sono fuorilegge. Si intervienea tutto campo per far loro abbandonare lafede; la loro vita stessa è minacciata e il ti-more di vederli apostatare, e cioè di farsicarico di un crimine enorme, è la ragioneche spesso impedisce di accogliere la richie-sta dei catecumeni e di battezzarli. Il tempodedicato alla preparazione collettiva diun’accoglienza della fede non può esserebreve. Prima di perfezionare le conversioniindividuali, occorre cambiare la mentalitàpubblica. La residenza nei centri di popola-zione musulmana, la dedizione, la carità, lascuola e la conversazione che tocchi i verticiaccessibili alla ragione devono preparare lapredicazione della dottrina rivelata. Gli uo-mini che hanno amato più degli altri l’Afri-

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ca hanno costantemente raccomandato que-sto metodo, senza mai sostenere che il mu-sulmano non si potesse convertire » (12).• Il corano…

Padre De Foucauld lavorava intensa-mente alla traduzione del vangelo in linguatuareg per renderlo loro accessibile. «Que-sta traduzione dovrà soprattutto essere let-ta in loro presenza … Non è il caso di cer-care di insegnare ai tuareg l’arabo, che liravvicina al Corano mentre, al contrario,ne devono essere allontanati. Bisogna farloro imparare il tamahaq, lingua eccellentee molto facile, introducendovi a poco a po-co termini indispensabili per esprimereidee religiose, virtù cristiane, migliorando-ne il sistema di scrittura senza cambiarlo.Non appena comincerà a esserci qualcheconversione, ci sarà bisogno di un catechi-smo in tamahaq» (13).• Esempi di Musulmani portati al cattolice-simo

« Possiamo assistere, proprio vicino anoi, allo spettacolo di cristianità cabile, rag-gruppate intorno agli avamposti dei padribianchi… Si tratta sicuramente di inizi diesili cristianità, spesso remote, disseminatein undici punti di questo paese montagnoso,ciascuna composta da trenta, quaranta, cin-

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quanta famiglie, che sono però la prova vi-vente che è possibile riportare i musulmanial cattolicesimo. Ho visitato, in alta Cabila,uno di questi avamposti missionari, quellodi Beni-Mengallet. Ho assistito alla messasolenne, in mezzo a un assemblea di ottantafedeli. Gli uomini e i bambini che erano intutto una sessantina, occupavano la partealta della cappella, mentre le donne e lebambine si trovavano in quella bassa. Guar-davo quei poveri agricoltori berberi bianchiin viso, con i baffi, ben piantati, seri, attentie li trovavo abbastanza simili, fatta eccezio-ne per il modo di vestire, ai nostri contadinifrancesi. Dopo la messa ho parlato con loroperché sanno il francese. Negli occhi dellamaggior parte di loro ho letto quell’acco-glienza e quella fiducia consolidata da tem-po che non lasciano dubbi. Il lavoro aposto-lico è iniziato trent’anni fa. Qui come altro-ve, non è stato veramente assecondato dalleautorità che rappresentano la Francia in Al-geria, anzi è stato spesso ostacolato dallapolitica generale del nostro paese. Per causediverse, i governatori generali non hannocapito o hanno dato l’idea di non aver com-preso che la pace africana sarà la conse-guenza sicura e la ricompensa della conver-sione dell’Africa, mentre tutti gli altri mez-zi, la forza, la debolezza, la repressione,l’adulazione, l’abbondanza delle ricchezze edelle invenzioni non ravvicineranno a noiun popolo che ci considera pagani e che cichiama con questo nome. Occorre inveceche possa percepire la superiorità più gran-de ed essenziale: quella religiosa. Solo i cuo-ri conquistati dalla santità saranno un gior-no in grado di spiegare la dottrina» (14).

Nessuna preghiera comune con l’islam

Risale al 1908 circa un aneddoto, che fupoi raccontato in Francia travisando i fatti:si riteneva che Charles De Foucauld avessepregato alla maniera dei musulmani. Larealtà era diversa e Bazin prima di scrivereil suo libro nel 1921 volle accertarsene scri-vendo ai testimoni oculari. Ecco quanto egliscrive:

« In riviste o giornali si è potuto leggereche, essendo stata colpita da grave malattia“la madre di Moussa ag Amastane”, padreDe Foucauld fu chiamato al suo capezzale eche, per incoraggiarla nel momento del tra-passo, non avrebbe trovato niente di meglio

Un tuareg nel Sahara

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che recitare qualche sura del Corano: “Ar-rivò, svolse il suo compito di consolatore eaddormentò la vecchia signora in Allah constrofe appropriate del Corano”. Quando,mesi e mesi fa, i miei occhi passarono su que-ste righe, ebbi subito la sensazione che la ve-rità dovesse essere diversa. Mi sono dettoche un sacerdote cattolico avrebbe potuto, ineffetti, suggerire alla moribonda di recitarequalche sura che enunciasse una verità sicurae opportuna e che esortasse, ad esempio, alpentimento e alla fiducia in Dio. Sarebbe sta-ta la semplice traduzione, nel linguaggio chela donna avrebbe capito meglio, di un atto dicontrizione o di carità cristiana. Ma chel’avesse fatto di persona padre De Foucauldnon lo potevo credere, sapendo che paventa-va la diffusione dell’islamismo e che avrebbeperciò dovuto evitare di pronunziare una for-mula coranica, anche se accettabile. Deside-ravo sapere se avevo ragione e quindi scrissiall’amenokal dell’Hoggar. Gli chiesi di ricor-darsi le parole veramente pronunziate dalsuo amico padre De Foucauld. Capì meravi-gliosamente il senso della domanda che gliavevo posto: anche se non civilizzato, nonmancava certamente di intelligenza. Mi ri-spose, qualche mese dopo, con una lettera, dicui ecco la traduzione:

“Lode a Dio l’Unico! Non c’è altri al difuori di lui.

Tamanrasset, 5 chabàn 1338 (25 aprile1920).

All’onoratissimo, saggio fra i saggi fran-cesi, René Bazin, dell’Accademia.

A te mille e mille saluti, mille favori di-vini! Da parte del servitore della Francia,l’emiro Moussa, figlio di Amastane, ame-nokal dell’Hoggar.

Mi è pervenuta la tua lettera in cui michiedi di darti dettagli sul grande amico dei

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tuareg-hoggar. Ebbene, sappi che il mara-butto Charles aveva grande stima di me.Dio lo renda beato e lo faccia abitare in pa-radiso, se questa è la sua volontà.

E adesso, ecco i dettagli che mi hai chie-sto: in primo luogo sulla sua vita. I tuareg-hoggar lo amavano profondamente quandoera vivo e adesso continuano ad amare lasua tomba come se lo fosse ancora. E per-ciò le donne, i bambini, i poveri e chiunquepassi nei pressi della sua tomba la saluta di-cendo: “Dio faccia salire il marabutto in pa-radiso, perché ci ha fatto del bene durantela sua vita!”. E così tutta la gente dell’Hog-gar onora la sua tomba come se fosse anco-ra vivo, proprio così.

Poi mi chiedi che cosa sia accadutoquando ha assistito alla malattia di mia ma-dre, e cioè di mia zia (Tihit), sorella di miopadre, nel corso della malattia di cui morì.Ecco: venne a trovarla in compagnia di unmedico che gli disse, in francese, di averel’impressione che stesse per morire. Allorail marabutto Charles gli disse in tamacheq“oksàd massinìn” (temi Dio), poi se neandò. Morì il giorno dopo. Quando por-tammo il suo corpo fino alla tomba, era connoi; mentre pregavamo per lei, se ne stavain piedi, con il colore [del viso] alterato acausa della sua morte. Non fece la preghie-ra per lei insieme con noi. Quando arrivò ilmomento di deporla nella tomba, restò inpiedi sul bordo, la seppellì con noi e ci dis-se: “Dio faccia crescere la vostra consola-zione rispetto a Tihit! Le conceda perciò ilparadiso, nella sua tomba!”.

Un giorno fra i giorni, un anno primadella sua morte, Tihit era andata a trovarlonella sua cella ed era arrivata mentre luistava pregando. Era rimasta immobile die-tro di lui, aspettando che terminasse la suapreghiera e poi gli aveva detto: “Anch’ioprego Dio, alla stessa ora in cui lo fai tu”.

Per quanto riguarda la fama del mara-butto, è sempre viva nell’Hoggar e le perso-ne a cui, come a noi, ha fatto del bene, ecioè tutta la gente dell’Hoggar, onorano lasua tomba come se fosse vivo.

Queste sono le informazioni che mi haichiesto, date in modo veritiero. Consegnoper te questa lettera al capitano Depom-mier, comandante in capo da noi.

“Dio ti benedica in vita! Possa vivere inbuona salute! Salve!”

(Timbro di) Moussa ag Amastane

L’emiro Moussa, amenokal dell’Hoggar

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La risposta è chiara: avevo avuto ragio-ne a scrivere. L’incidente sarà persino ser-vito, più di quanto potessi sperare, a man-tenere integra la memoria di padre DeFoucauld. Spinse infatti il thaleb di Moussa,Ba-Hammou, lo stesso che aveva lavoratoper dieci anni con padre De Foucauld, a fa-re dichiarazioni molto interessanti, che misono state trasmesse da un testimone assie-me alla lettera. Eccole:

“Sapevamo perfettamente che il mara-butto non ci poteva dire di pronunziare lachahada (la formula di preghiera musulma-na): non ci sono dubbi al riguardo. Tuttociò era incompatibile con le sue funzioni disacerdote cattolico: lo sapevamo tutti. Unfatto, che qui è noto a tutti, lo prova. PadreDe Foucauld accoglieva in continuazione ipoveri, gli anziani, gli ammalati, le donne, ibambini e molti tuareg che andavano a tro-varlo per chiedergli aiuto o consiglio. Giàquando si trovava con noi da poco, succe-deva che qualche suo visitatore, uscendodall’incontro con lui nelle ore della pre-ghiera musulmana, si fermasse a pregarenei pressi dell’eremo. Padre De Foucauld liinvitava gentilmente ad allontanarsidall’eremo, dicendo loro che dovevano ca-pire che non desiderava vederli pregare vi-cino a casa sua, così come a loro non sareb-be piaciuto vederlo pregare nei pressi diuna moschea... Diceva queste cose in modotalmente amabile e buono che, quasi subitodopo, nessuno di noi faceva finta di non sa-pere e non si sarebbe mai permesso di tra-sgredire i suoi desideri”.

Il testimone, particolarmente ben infor-mato, che mi riferiva i ricordi del thaleb, ag-giungeva questa riflessione personale: “Sesi vogliono veramente sfrondare di ogniquestione formale i rapporti di padre DeFoucauld con i tuareg, è assurdo e menzo-gnero sostenere che abbia mai fatto o dettoqualcosa che non mirasse all’evangelizza-zione, che, alla resa dei conti, veniva sem-pre da lui perseguita” » (15).

Il pericolo musulmano per l’Europa secon-do padre De Foucauld

Questa lettera di Charles De Foucauld èpiuttosto famosa; egli la scrisse a René Ba-zin, membro de l’Académie française e pre-sidente della “Corporation des publicisteschrétiens” divenuto in seguito suo primo

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biografo (e ampiamente citato in questo arti-colo). Fu pubblicata nel Bulletin du Bureaucatholique de presse, n° 5, ottobre 1917.René Bazin la cita in parte nel suo libro (16).

« II mio pensiero è che se, a poco a po-co e pian piano, i musulmani del nostro im-pero coloniale del Nord dell’Africa non siconvertissero, prenderà spazio un movi-mento nazionalista analogo a quello dellaTurchia. Nelle grandi città si formeràun’elite intellettuale, istruita alla francesema senza avere la mente e il cuore francesi,che avrà perduto ogni fede islamica, ma chene conserverà l’etichetta per poter, in que-sto modo, influire sulle masse; sull’altroversante, la massa dei nomadi e della gentedi campagna rimarrà ignorante, lontana danoi, fermamente maomettana, incitataall’odio e al disprezzo dei francesi dalla suareligione, dai suoi marabutti, dai contattiche mantiene con i francesi (rappresentantidell’autorità, coloni, commercianti), chetroppo spesso non sono idonei a farci ama-re da loro. Il sentimento nazionale o barba-rico si esalterà perciò nell’elite istruita;quando ne troverà l’occasione, come adesempio nel corso dei momenti difficili del-la Francia al suo interno o al di fuori, si ser-virà dell’islam come di una leva per solleva-re la massa ignorante, nel tentativo di crea-re un impero musulmano indipendente.

L’impero francese del Nord-Ovest afri-cano, che comprende l’Algeria, il Marocco,la Tunisia, l’Africa occidentale francese, hatrenta milioni di abitanti; grazie alla pace,fra cinquant’anni ne avrà il doppio. Si tro-verà allora in pieno progresso materiale,ricco, solcato da ferrovie, popolato da abi-tanti usi a maneggiare le nostre armi, conun’elite che ha ricevuto l’istruzione nellenostre scuole. Se non avremo saputo fare diquesti popoli dei francesi, ci cacceranno. Ilsolo modo in cui possono diventare francesiè che diventino cristiani.

Non si tratta di convertirli in un sologiorno con la forza bensì teneramente, di-scretamente con la persuasione, il buonesempio, la buona educazione, l’istruzione,tramite un contatto stretto ed affettuoso. Èun’opera riservata soprattutto ai laici fran-cesi che possono essere molto più numerosidei preti ed avere un contatto più intimo.

I musulmani possono diventare vera-mente francesi? Eccezionalmente si. In re-gola generale no. Molti dogmi fondamentali

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dei musulmani vi si oppongono; con alcunici può essere un punto d’incontro, con unodi essi, quello del medhi, [il loro messian.d.t.] non ci può essere. Ogni musulmano(non parlo dei liberi pensatori che hannoperduto la fede) crede che con l’avvicinarsidel giudizio universale arriverà il medhi,egli dichiarerà la guerra santa, e stabiliràl’Islam su tutta la terra, dopo aver stermina-to o soggiogato tutti i non musulmani. Conquesta fede il musulmano guarda l’Islam co-me la sua vera patria e i popoli non musul-mani come destinati a essere, presto o tardi,soggiogati da lui musulmano o dai suoi di-scendenti; se è sottomesso ad una nazionenon musulmana, si tratta di una prova pas-seggera; la sua fede l’assicura che ne usciràvincitore e trionferà a sua volta su coloroche ora lo dominano. La saggezza lo spingea sopportare con calma la prova; “l’uccellopreso al laccio che si dibatte perde le piumee si rompe le ali; se sta tranquillo, sarà sanoe pronto per il giorno della liberazione”, di-cono; possono amare tale nazione piuttostoche tal’altra, preferire essere sottomessi aifrancesi piuttosto che ai tedeschi, perchésanno che i primi sono più miti. Possono an-che affezionarsi a questo o quel francese,come ci si affeziona ad un amico straniero;possono anche battersi con grande coraggioper la Francia, per sentimento d’onore, ca-rattere guerriero, spirito di corpo, fedeltàalla parola data, come i soldati di venturadei secoli XVI e XVII, in regola generale,ma salvo eccezioni, fino a quando sarannomusulmani, non saranno francesi, aspette-ranno più o meno pazientemente il giornodel medhi con il quale sottometteranno laFrancia. Da ciò viene il fatto che i nostri al-gerini musulmani sono così poco interessatia chiedere la cittadinanza francese: perchéfar parte di un popolo straniero che si sache sarà infallibilmente vinto e soggiogatodal popolo a cui si appartiene? Questo cam-biamento di cittadinanza implica veramenteuna sorta di apostasia, una rinuncia alla fe-de nel medhi… ».

Sintesi del pensiero e del comportamentodi Padre De Foucauld

De Foucauld fu eremita nel Sahara emissionario in terra d’islam, in mezzo aituareg, e conobbe quindi molto bene la re-ligione musulmana e la mentalità di quei

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popoli; e poteva dare quindi consigli, concognizione di causa, sul comportamentoche il cattolico deve avere verso l’islam. Daquanto abbiamo letto del pensiero di Char-les De Foucauld mi sembra che si possanoritenere i seguenti punti fermi:

1- de Foucauld desiderava profonda-mente la conversione degli arabi al Cattoli-cesimo, e si era recato in quei luoghi perpreparare il terreno ai futuri missionari. Ilsuo apostolato era il più delle volte quellodella presenza che rendeva testimonianzaalla grandezza del cristianesimo, in quantoegli era il primo prete cattolico con il qualei tuareg entravano in contatto.

2- Riteneva che la conversione dei mu-sulmani fosse possibile. Vi erano degliesempi nella storia e nelle comunità cabileevangelizzate dagli spiritani. Il grosso pro-blema era assicurare la perseveranza deiconvertiti se vivevano in terra d’islam.

3- Grave era ed è la responsabilità diquei governanti delle nazioni europee chenon hanno incoraggiato e lavorato per laconversione dei musulmani nelle coloniefrancesi. Il progresso materiale culturale etecnologico che la Francia portava a queipopoli non sarebbe bastato a farne dei

Cartina del Sahara con i luoghi dove visse de Foucauld

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“francesi”, bisogna invece che il musulma-no percepisca la superiorità religiosa, che èquella essenziale, delle nazioni cattoliche:solo così potrà veramente essere “conqui-stato e assimilato”. Occorre che l’annessio-ne materiale sia seguita da quella spirituale.

4- Non bisogna incoraggiare lo studiodella lingua araba [i tuareg parlano un’altralingua] perché questo avvicina quei popolial Corano mentre al contrario da esso de-vono essere allontanati, poiché proprio nelCorano si trovano le ragioni della non assi-milazione e conversione dei musulmani.

5- L’ateismo di stato e l’indifferenzaverso tutte le religioni (praticato oggi ormaida quasi tutti gli stati europei che si procla-mano “laici”) non favorisce la conversionedei musulmani ma l’ostacola poiché essi di-sprezzano (giustamente) l’uomo non reli-gioso e si credono a lui superiori. La reli-giosità e la sua pratica cattolica animatadalla carità, invece, meritano il rispetto el’ammirazione da parte di questi popoli.

6- La fede musulmana nel loro “messia”(medhi) è un grave ostacolo alla conversio-ne e all’inserimento nel tessuto sociale del-le nostre Nazioni di costoro, poiché essicredono che un giorno, presto o tardi, cidomineranno comunque.

7- de Foucauld non pregava “insieme” ealla maniera dei musulmani ma mantenevale debite distanze da loro e non incoraggia-va minimamente il sincretismo religioso,ma lavorava sempre per l’evangelizzazionedei musulmani, ed essi comprendendo ciò,per questo lo rispettavano e lo amavano.

Conclusione ed esortazione

Il problema dei rapporti tra cristianesi-mo e Islam è sempre più attuale, e non ri-

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guarda soltanto le nazioni dell’Africa delnord come ai tempi di Charles de Foucauld,ma ha attraversato il Mediterraneo e si pre-senta prepotentemente in casa nostra inItalia, in Francia, in Germania e in tuttal’Europa (17). Le parole profetiche di deFoucauld nella lettera a René Bazin: “Senon avremo saputo fare di questi popoli deifrancesi, ci cacceranno” sembrano purtrop-po avverarsi sempre più sotto i nostri occhi.È vero inoltre che il problema della convi-venza con l’Islam nasce con la nascita stes-sa dell’Islam poiché quando Maometto eraancora vivo già le sue schiere di “fedeli”avevano iniziato la guerra santa per la con-quista di popoli e territori alla nuova reli-gione. In breve i maomettani s’impadroni-rono delle coste del Nord Africa, fagocitan-do delle fiorenti cristianità (proprio queiterritori dove era tornato padre de Fou-cauld come eremita), e del Medio Oriente,poi penetrarono in Spagna costringendol’Europa ad una guerra difensiva duratacirca mille anni. Poitiers nel 732, Lepantonel 1571, l’assedio di Vienna nel 1683, sonodate della storia che ci ricordano questo at-tacco alla fortezza europea (18).

Dobbiamo essere coscienti che l’attaccoall’Europa da parte dei discepoli di Mao-metto continua anche oggi, anche se con ar-mi diverse, non meno pericolose però, cosìcome continuano da parte dell’Islam le per-secuzioni contro i cristiani in varie parti delmondo; e tutto ciò avviene con l’incorag-giamento occulto di quelle potenze e diquei “poteri forti” che per curare i loro in-teressi economici e di dominio mondialealimentano il cosiddetto “scontro di ci-viltà”. A conferma di questo disegno diconquista da parte dell’Islam si possono ci-tare le parole del presidente dell’AlgeriaHouari Boumedienne a New York all’Onunel 1974: “Un giorno milioni di uomini ab-bandoneranno il Sud del mondo per fare ir-ruzione negli spazi relativamente accessibilidell’emisfero Nord alla ricerca della pro-pria sopravvivenza. E questi milioni di es-seri umani non verranno da amici. Non cisarà bisogno di combattere saranno i ventridelle nostre donne che ci daranno la vitto-ria”; parole da completare con quelle dellosceicco Omar Bakri, che vive in Inghilterra:“grazie alle vostre leggi democratiche vi in-vaderemo, grazie alle nostre leggi religiosevi domineremo” (19). È quantomeno inquie-

La tomba di Charles de Foucauld nel deserto del Sahara

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tante la completa cecità politica di coloroche detengono i posti di governo in Euro-pa, i quali favoriscono indiscriminatamentequesta immigrazione scellerata senza farenulla per arginarla; ma si sa che essi proba-bilmente obbediscono a ordini e disegnimassonici che vengono dall’alto. Tali dise-gni massonici mondialisti tendono alla rea-lizzazione della società multi-etnica e mul-ti-religiosa facendo dei popoli europei deglisradicati e degli apostati, e per fare ciò siservono dei popoli islamici come di un arie-te. Così si realizzerà il pericolo maometta-no di cui già Charles de Foucauld parlavacirca cent’anni fa, è sufficiente cambiare leparole “ci cacceranno” con quelle “ci inva-deranno”; questo potrebbe anche essere,nei disegni di Dio, un grave castigo riserva-to all’Europa per aver mancato alla suamissione di evangelizzazione dei popoli delnord Africa maomettano. Un discorso aparte meriterebbe la prossima e paventata“entrata in Europa” della Turchia, ma ciòci porterebbe fuori dai limiti e dal tema diquesto articolo.

Di fronte al pericolo dell’invasionemaomettana, in mancanza di concrete solu-zioni politiche, la soluzione è solo nella cro-ce di Gesù Cristo e nella preghiera per laconversione di costoro al cattolicesimo. Pernon diventare musulmana l’Europa deve ri-diventare sinceramente cristiana, riscoprirei propri valori, ricordare la sua storia, cre-dere in Gesù Cristo. Bisogna evitare asso-lutamente la “cultura del nulla”, il laicismoe l’indifferentismo di stato che osteggianoin tutti i modi la Chiesa e così facendo mi-nano le fondamenta della civiltà occidenta-le preparando la sua rovina. Un cattolicesi-mo veramente vissuto, la consapevolezzadella verità posseduta sono la difesa più va-lida che i popoli europei hanno di fronte aquesta aggressione dell’Islam.

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Dobbiamo ricorrere alla BeatissimaVergine Maria Immacolata, colei che hasconfitto tutte le eresie, perché ci aiuti e ciprotegga. Lo possiamo fare con queste pre-ghiere: «O Dio onnipotente ed eterno, nel-le cui mani sono il potere e i diritti di tuttele nazioni del mondo, noi ti supplichiamo;vieni in nostro aiuto e per intercessionedella Vergine Maria libera la nostra patriae l’Europa da questa nuova e subdola inva-sione di pagani, che minaccia la Cristianità.Te lo chiediamo per Gesù Cristo tuo Figlioe Nostro Signore. Amen» (20). E con la pre-ghiera a Notre-Dame d’Afrique per la con-versione dei musulmani: “O Cuore Santo eImmacolato di Maria, così pieno di miseri-cordia, guardate l’accecamento e la profon-da miseria dei musulmani. Voi che siete laMadre del Dio fatto uomo, ottenete loro laconoscenza della nostra santa Religione, lagrazia di abbracciarla e di praticarla fedel-mente, affinché tramite la Vostra potenteintercessione, siamo tutti riuniti nella stessafede, la stessa speranza, e lo stesso amoreper il vostro Divin Figliolo Nostro SignoreGesù Cristo, che è stato crocifisso e che èmorto per la salvezza di tutti gli uomini, eche resuscitato pieno di gloria, regnanell’unità del Padre e dello Spirito Santo,nei secoli dei secoli. Amen. O nostra Signo-ra d’Africa, pregate per noi e per i musul-mani”.

Bibliografia

RENÉ BAZIN, Charles de FoucauldEsploratore del Marocco, eremita nel Saha-ra, Paoline Milano 2005 – Ediz francese:Charles de Foucauld explorateur du MarocErmite au Sahara, Plon Parigi 1925.

ALESSANDRO PRONZATO, Il seme nel de-serto Charles de Foucauld, Gribaudi Mila-no, 2005.

Charles de Foucaulde l’eremo fortificato

di Tamanraset (adestra) da lui costrui-to e dove abitò finoalla morte nel 1916

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DENISE ET ROBERT BARRAT, Charles deFoucauld et la fraternité, éditions du SeuilBourges 1961.

Note

1) L’istituto Mater Boni Consilii e la sua rivista So-dalitium seguono la posizione teologica di Mons. Gué-rard des Lauriers, detta “Tesi di Cassiciacum” che ri-tiene che la sede apostolica sia formalmente vacantealmeno dal 7/12/1965, e quindi considera le canonizza-zioni e le beatificazioni avvenute da allora come nullepoiché promulgate da un soggetto che non ha l’Auto-rità nella Chiesa.

2) Articolo di Pier Giuseppe Accornero su l’Eco diBergamo del 13 novembre 2005.

3) ALESSANDRO PRONZATO, Il seme nel desertoCharles de Foucauld, Gribaudi Milano, 2005, Vol. IIpag. 105.

4) Questa cronologia è tratta dal sito:http://www.charlesdefoucauld.org/it.

5) RENÉ BAZIN, Charles de Foucauld explorateur duMaroc Ermite au Sahara, Plon Parigi 1925, pag. 109.

6) Questa lunga citazione, tratta dal libro di RenéBazin, anche se non è un testo scritto da Charles deFoucauld riporta abbastanza fedelmente il suo pensie-ro e quello dei cattolici che come lui avevano lavoratoin terra d’Africa alla conversione e civilizzazionedell’Algeria e del Marocco. L’unico appunto che gli sipuò fare è quello di una visione un po’ troppo idealiz-zata della Francia come faro di civiltà e potenza catto-lica quando, purtroppo, già in quegli anni essa, soprat-tutto dopo la Rivoluzione, aveva perso molto di que-sto suo ruolo ed era governata da uomini che facevanotutto per offuscare e impedire questa sua missione, co-me giustamente anche l’autore citato non omette difar notare.

7) Roumis è il nome con cui gli arabi chiamano ge-neralmente i cristiani.

8) Ciò che l’autore, che scriveva nel 1925, riteneva“assolutamente improbabile” è diventato purtroppotriste realtà ai giorni nostri dopo il Concilio VaticanoII e la crisi nella Chiesa e nella società che ne è segui-ta, e ciò non solo per la Francia ma per tutte le nazioni

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« Per dare l’addio al radiologo Mat-teo Croce, presidente piemontesedella comunità religiosa islamica ita-liana, e di sua figlia Layla, di 7 anni,morti in un incidente stradale, ierimattina la chiesa dell’ospedaleSant’Andrea di Vercelli si è aperta adun doppio rito, cristiano e musulma-no. Ha celebrato la funzione monsi-gnor Giuseppe Cavallone: “la chiesadeve essere vicina agli uomini ed aogni loro evento”, ha detto citandoSan Paolo e il Concilio Vaticano II.Poi ha preso la parola Abd Al WaidPallavicini, il milanese presidentedella Comunità religiosa islamica. Èseguita la “preghiera dei defunti”, acui la delegazione islamica ha invita-to tutti a partecipare.»

(La Stampa 20 /10/2005).Queste cerimonie intereligiose

possono avvenire soltanto dopo ilConcilio Vaticano II, prima erano as-solutamente vietate e condannate. Ri-cordiamo inoltre che il citato Pallavici-ni, è un noto guénoniano, apostatadal cattolicesimo, e fu ufficialmenteinvitato a partecipare alla prima riunio-ne ecumenica di Assisi nel 1986.

2005: Islam in Chiesa...

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Benedetto XVI saluta una delegazione diTuareg a San Pietro dopo la cerimoniadi beatificazione di Charles de Foucauld(La Stampa 14 /11/2005).

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europee un tempo cattoliche. Si intende che questaapostasia è avvenuta non a livello individuale ma perle nazioni e le loro istituzioni. Si veda a tale propositola disputa in seno all’Europa per il rifiuto delle “radicicristiane” dalla Nuova costituzione Europea; non a ca-so uno dei più agguerriti oppositori di tale progetto èstato il presidente francese Jaques Chirac.

9) Il muftì è il teorico e l’interprete del diritto ca-nonico musulmano, con funzioni che sono insieme re-ligiose, giudiziarie e civili. La scuola hanafita rappre-senta la posizione più avanzata nell’ambito giuridicomusulmano, in quanto perora il ricorso al ragionamen-to analogico.

10) Metto qui in nota un interessante passaggio,sempre riportato dal Bazin, di uno studioso olandeseche equipara i musulmani moderati ai nostri moderni-sti per dimostrare come la jahad, o guerra santa, sia in-sita nell’islamismo: “Una vera e propria autorità inquesto campo, l’olandese Snouck Hurgronje, dicevanel 1911 in una delle sue celebri conferenze all’Acca-demia degli amministratori delle Indie olandesi: « Se-condo la lettera e lo spirito della legge sacra [dei mu-sulmani], è nelle misure violente che bisogna cercare ilmezzo per eccellenza della propagazione della fede.Questa fede considera tutti i non credenti come nemi-ci di Allah. È vero che un piccolo gruppo di maomet-tani si mostra attualmente partigiano dell’adattamentodell’Islam alle concezioni moderne, ma rappresentanocosì poco la religione di cui sono gli adepti per nascita,quanto i modernisti quella della Chiesa cattolica. Alriguardo, non si trovano divergenze fra i saggi legistidelle varie scuole nelle epoche successive».

11) RENÉ BAZIN, op. cit. pagg. 128-130. Cfr anchela nuova edizione italiana: RENÉ BAZIN, Charles deFoucauld Esploratore del Marocco, eremita nel Sahara,Paoline Milano 2005, pag. 276-283.

12) RENÉ BAZIN, op. cit. pagg. 132-133. Ediz. Italia-na pagg. 285-286.

13) RENÉ BAZIN, op. cit. Ediz. Italiana pag. 320.14) RENÉ BAZIN, op. cit. pagg. 133-134. Ediz. Italia-

na pagg. 287-288.15) RENÉ BAZIN, op. cit. Ediz. Italiana pagg. 430-

434.16) RENÉ BAZIN, op. cit. pagg. 210-211. Ediz. Italia-

na pagg. 471-472.17) Sulle origini dell’Islam e sui suoi rapporti con il

cristianesimo si può leggere l’ottimo articolo di don Ni-toglia “Islam e giudaismo” in Sodalitium n° 40 pag. 3.

18) Qui la parola Europa è da prendere nel suo si-gnificato di “Cristianità” cioè comunità di popoli diver-si per origini e cultura ma che professano la stessa fedein Gesù Cristo e sono sottomessi agli stessi pastori.

19) Citato da la Padania del 1 dicembre 2004, pag. 9.20) Questa preghiera è stata composta recente-

mente da un parroco piemontese.

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Il Vescovo nel Vaticano II enel magistero della Chiesa.

Dottrine a confrontodon Francesco Ricossa

Un antefatto

La morte di Giovanni Paolo II ha attira-to l’attenzione dei cattolici, e anche dei

non cattolici, su quella situazione eccezio-nale che vive la Chiesa dopo la morte, perl’appunto, del Sommo Pontefice e fino allavalida elezione del suo successore: la Sedevacante. Mai, come in questo periodo, siera sentito così tanto parlare del Conclave,e delle sue regole. Naturalmente, anche noi– come e forse più degli altri, per ovvi moti-vi -, ci siamo interessati a una materia di co-sì grande attualità, e di così gravi conse-guenze per la vita della Chiesa. Leggevo,pertanto, con particolare attenzione l’edi-zione “sede vacante” dell’Osservatore Ro-mano, che ripubblicava il testo integraledella “costituzione apostolica Universi Do-minici gregis” di Giovanni Paolo II conte-nente le norme del Conclave che si sarebbesvolto di lì a pochi giorni. Giunto alla fine,un sobbalzo di stupore! Pubblico per interoil passaggio che suscitò il mio vivo interes-se, evidenziando in grassetto le parole chemi colpirono di più:

88. Dopo l’accettazione, l’eletto che abbiagià ricevuto l’ordinazione episcopale, è im-mediatamente Vescovo della Chiesa Romana,vero Papa e Capo del Collegio Episcopale; lostesso acquista di fatto la piena e suprema po-testà sulla Chiesa universale, e può esercitarla.

Se, invece, l’eletto è privo del carattere epi-scopale, sia subito ordinato Vescovo.

89. Eseguite frattanto le altre formalità, pre-viste dall’Ordo rituum conclavis, i Cardinalielettori, secondo i modi stabiliti, si accostanoper prestare atto di ossequio e di obbedienzaal neo eletto Sommo Pontefice. Successiva-mente si rendono grazie a Dio, e quindi il primodei Cardinali Diaconi annuncia al popolo in at-tesa l’avvenuta elezione e il nome del nuovoPontefice, il quale, subito dopo, imparte l’Apo-

Dottrina

Alcuni padri duranteuna seduta del

Concilio Vaticano II

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stolica Benedizione Urbi et Orbi dalla Loggiadella Basilica Vaticana.

Se l’eletto è privo del carattere episco-pale, soltanto dopo che sarà stato solenne-mente ordinato Vescovo gli viene prestatol’omaggio e viene dato l’annuncio.

Perché tanto stupore? Il lettore che nonlo ancora capito, abbia la bontà di leggerele parole pronunciate a suo tempo da PapaPio XII:

…se un laico venisse eletto Papa, egli nonpotrebbe accettare l’elezione se non alla con-dizione di essere atto a ricevere l’ordinazione edisposto a farsi ordinare; il potere d’insegnaree di governare, come il carisma dell’infallibilità,gli sarà accordato all’istante della sua accetta-zione, anche prima dell’ordinazione

(Discorso Six ans, ai partecipanti al secon-do Congresso mondiale dell’Apostolato dei lai-ci, 5 ottobre 1957)

Le parole di Pio XII erano naturalmenteconformi ai dettami della sua costituzioneapostolica Vacantis Apostolicae Sedis(8/12/1945) che prevede che l’eletto che ac-cetta è subito vero Papa (e non capo delCollegio) (n. 101), e riceve le tre adorazioni;se l’eletto non è sacerdote o vescovo, deveessere poi ordinato e consacrato (n. 107).

Ammetterà il lettore che il cambiamen-to di prospettiva è radicale: un laico elettoalla morte di Pio XII, ad esempio, sarebbestato riconosciuto da tutti come vero e le-gittimo Papa al momento della sua accetta-zione, ancor prima di essere ordinato sacer-dote e consacrato vescovo; lo stesso laico,eletto al Pontificato alla morte di GiovanniPaolo II, invece, non sarebbe stato ricono-sciuto come vero Papa (e Capo del collegioepiscopale, vedremo l’importanza di questaaggiunta) fino all’avvenuta consacrazioneepiscopale.

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Mi è venuta allora la curiosità di verifi-care se il cambiamento fosse dovuto a Gio-vanni Paolo II, oppure ai suoi predecesso-ri…

Ecco il testo della costituzione apostoli-ca di Paolo VI Romano Pontifici eligendodel 1 ottobre 1975, [AAS 67 (1975), 641]per quel che attiene al nostro tema:

88. Dopo l’accettazione, l’eletto che abbiagià ricevuto l’ordinazione episcopale, è im-mediatamente Vescovo della Chiesa Romana,vero Papa e Capo del Collegio Episcopale; lostesso acquista di fatto la piena e suprema po-testà sulla Chiesa universale, e può esercitarla.Se, invece, l’eletto è privo del carattere epi-scopale, sia subito ordinato Vescovo.

89. Eseguite frattanto le altre formalità, pre-viste dall’Ordo sacrorum rituum Conclavis, iCardinali elettori, secondo i modi stabiliti, siaccostano per prestare atto di ossequio e diobbedienza al neo eletto Sommo Pontefice.Successivamente si rendono grazie a Dio, equindi il primo dei Cardinali Diaconi annunciaal popolo in attesa il nuovo Pontefice, il quale,subito dopo, imparte l’Apostolica BenedizioneUrbi et Orbi.

Se l’eletto è privo del carattere episcopa-le, l’ossequio e l’obbedienza gli vengono pre-stati, e l’annuncio al popolo viene dato sol-tanto dopo la sua ordinazione episcopale.

Come si accorgerà facilmente il pazien-te lettore, riguardo a Paolo VI l’innovazio-ne di Giovanni Paolo II è minima: in ma-niera più coerente Giovanni Paolo II pre-scrive che l’ossequio e l’obbedienza dei car-dinali al neo-eletto si svolgano dopo la suaeventuale consacrazione episcopale, e nonprima, come prevedeva ancora Paolo VI,giacché l’eletto che non è stato consacratovescovo non è ancora, per Paolo VI comeper Giovanni Paolo II, il Sommo Pontefice!(Almeno due Papi, nella storia della Chie-sa, dovrebbero allora essere dichiarati ille-gittimi!) (1).

Giovanni XXIII non aveva promulgatouna costituzione apostolica al riguardo, cherimpiazzasse quella di Pio XII; aveva soloapportato alcune aggiunte e correzioni allacostituzione del predecessore con un motuproprio (Summi Pontificis electio) del 5 set-tembre 1962 [A.A.S., LIV (1962), pp. 632-640]; basta un semplice colpo d’occhio peraccorgersi che con Giovanni XXIII nullaera mutato rispetto a Pio XII…

Al Concilio fu proprio la dottrinadella collegialità episcopale asuscitare le più vive opposizioniin quei Padri che vi vedevanoun attentato al Primato papale ealla divina costituzione dellaChiesa

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Per quale motivo, dunque, un uomo cheancora nel 1962 sarebbe stato vero Papa (ilfamoso laico eletto dal Conclave) non losarebbe stato più, per Paolo VI, nel 1975?Cos’è accaduto nel frattempo?

Chi ci segue da tempo lo sa (2). Le costi-tuzioni apostoliche di Paolo VI e GiovanniPaolo II, come pure il can. 332 § 1 del nuo-vo codice di diritto canonico, (3) non fannoaltro che applicare anche al Papa, Vescovotra i Vescovi, la nuova dottrina del Vatica-no II sull’episcopato.

Vaticano II: riequilibrare il ConcilioVaticano I

Il Concilio Vaticano I, come tutti sanno,venne dichiarato sospeso a causa della sacri-lega invasione di Roma da parte delle truppeitaliane nel 1870 e, a propriamente parlare,non si è mai concluso. Quando GiovanniXXIII annunciò la sua decisione di indire unConcilio, tutti si chiesero se si sarebbe porta-to a compimento il Vaticano I, del quale re-stavano gli schemi e persino i documenti giàpronti per l’approvazione, ovvero se si inten-desse invece aprire un nuovo Concilio. Sap-piamo come andarono le cose. Non solo Gio-vanni XXIII indisse il Concilio Vaticano II(un nuovo Concilio, dunque, e non il portarea termine il Vaticano I), ma ben presto ilnuovo Concilio prese una direzione imprevi-sta, di rottura col passato. Il Vaticano II per-tanto non solo non completò i lavori del Va-ticano I, ma in un certo senso cercò di inver-tire la rotta presa da quel Concilio; laddovela prima assise vaticana aveva solennementedefinito l’infallibilità papale e ribadito un’ec-clesiologia fondata sulla monarchia papale, ilVaticano II si volle invece difensore di un’ec-clesiologia che diminuiva i diritti del SommoPontefice a favore dell’episcopato, mediantela nuova dottrina della collegialità episcopa-

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le. Scrisse Padre Rouquette s.j. nel 1961: “ciòche la Chiesa aspetta è una messa in valoredella funzione episcopale e, da ciò, una de-centralizzazione della Chiesa” (4). Si può di-re, dunque, che la dottrina sull’episcopatocostituisce senza dubbio uno dei punti fonda-mentali della dottrina e dell’ecclesiologiaconciliare, ed una delle chiavi di lettura dellostesso Concilio Vaticano II.

L’episcopato nel Vaticano II

Ma in cosa consiste, esattamente, la dot-trina conciliare sull’episcopato? A questadomanda tutti, sostenitori e avversari delVaticano II, risponderanno parlando di col-legialità… E, in effetti, fu proprio la dottrinadella collegialità episcopale a suscitare le piùvive opposizioni in quei Padri che vi vedeva-no un attentato al Primato papale e alla divi-na costituzione della Chiesa. Per questo, so-no passati sotto silenzio altri due aspetti del-la dottrina conciliare sull’episcopato che me-ritano invece un po’ di attenzione: quellasull’origine della giurisdizione episcopale, equella sulla sacramentalità dell’episcopato.Questi tre punti (origine della giurisdizioneepiscopale, sacramentalità dell’episcopato,collegialità episcopale), benché di per sé nonnecessariamente connessi, sono però intima-mente legati nell’idea che il Concilio si fadella Chiesa e dell’episcopato (cf. J. RATZIN-GER, Episcopato e primato, pagg. 150-160), equesto, forse, non è stato abbastanza notato,specie dagli avversari del Concilio.

L’intima unione di questi tre punti didottrina è invece chiaramente espresso dalVaticano II. In Christus Dominus (decretoconciliare sull’ufficio pastorale dei Vescovi)si legge:

“I Vescovi, partecipi della sollecitudine pertutte le Chiese, esercitano il loro episcopale of-ficio, ricevuto per mezzo della loro consacra-zione episcopale, in comunione e sotto l’auto-rità del Sommo Pontefice, in tutto ciò che ri-guarda il magistero ed il governo episcopale:uniti tutti in un Collegio, o corpo, rispetto atutta la Chiesa di Dio” (Christus Dominus, 3).

Questa definizione o descrizione del Ve-scovo include due dei tre punti da me segna-lati. L’officio episcopale è ricevuto – dice ilVaticano II – per mezzo della consacrazioneepiscopale (e non più, come insegnato dallaChiesa, per mezzo del Sommo Pontefice).Tramite la consacrazione, pertanto, riceve-

Paolo VI

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rebbe il potere di insegnare (“in tutto ciò cheriguarda il magistero”) e di governare (“ed ilgoverno episcopale”), che invece di per séspettano al potere di giurisdizione. Da que-sto fatto dipende che tutti i Vescovi consa-crati (e non solo quelli con giurisdizione) go-dono di una comune “sollecitudine per tuttele Chiese” (5), per cui il Vaticano II concludeche questi Vescovi costituiscono tutti uniti“un Collegio”. Il passo testé citato rinvia innota… al Vaticano II nella costituzione dog-matica Lumen Gentium (sulla Chiesa), al n.21 del cap. III.

Ora, il C. III, n. 21 è quello ove è inse-gnata la dottrina della sacramentalitàdell’episcopato:

“Insegna quindi il Santo Concilio checon la consacrazione episcopale viene confe-rita la pienezza del sacramento dell’Ordine,quella cioè che dalla consuetudine liturgicadella Chiesa e dalla voce dei santi Padri vie-ne chiamata sommo sacerdozio, somma delsacro ministero. La consacrazione episcopa-le conferisce pure, con l’ufficio di santificare,gli uffici di insegnare e governare, i qualiperò, per loro natura, non possono essereesercitati se non nella comunione gerarchicacol Capo e con le membra del Collegio. Dal-la Tradizione infatti, quale risulta special-mente dai riti liturgici e dall’uso della Chiesasia d’Oriente che d’Occidente, consta chiara-mente che dall’imposizione delle mani e dal-le parole della consacrazione la grazia dellospirito Santo è così conferita, e così è impres-so il sacro carattere, che i Vescovi in modoeminente e visibile, sostengono le parti dellostesso Cristo Maestro, Pastore e Pontefice, eagiscono in sua vece. È proprio dei Vescoviassumere, col sacramento dell’Ordine, nuovieletti nel corpo episcopale”.

In questo passo di Lumen gentium sinota il nesso che il Vaticano II stabilisce trala dottrina sulla sacramentalità dell’episco-pato, di cui parla esplicitamente, e quellasulla collegialità episcopale e l’origine delpotere di giurisdizione del Vescovo: la con-sacrazione episcopale oltre a conferire lagrazia e il carattere sacramentale (l’episco-pato è un sacramento) darebbe anche alconsacrato il potere di “insegnare e gover-nare” (questi poteri verrebbero quindi dal-la consacrazione, non dal Papa) i quali po-teri però non possono essere esercitati chenella comunione con tutto il collegio epi-scopale (collegialità).

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Il concetto è ribadito nel numero suc-cessivo a quello sulla sacramentalitàdell’episcopato, che è appunto consacratoalla collegialità episcopale. Il n. 22, infatti,che tratta de “Il collegio dei Vescovi e il suoCapo”, afferma tra l’altro:

“Uno è costituito membro del corpo epi-scopale in virtù della consacrazione sacra-mentale e mediante la comunione gerarchicacol capo del Collegio e con le membra”

Anche in questo passo, il nesso tra ladottrina sull’origine della giurisdizione epi-scopale (dalla consacrazione) e la collegia-lità è chiaramente espresso. Naturalmente,la dottrina conciliare è stata applicata alnuovo codice di diritto canonico, “promul-gato” da Giovanni Paolo II nel 1983.

L’episcopato nel nuovo codice di dirittocanonico

Il canone 375 § 2 del nuovo codice reci-ta: “Con la stessa consacrazione episcopale iVescovi ricevono, con l’ufficio di santificare,anche gli uffici di insegnare e governare, iquali tuttavia, per loro natura, non possonoessere esercitati se non nella comunione ge-rarchica col Capo e con le membra del Col-legio”. È evidente che il canone citato ri-prende ad litteram l’insegnamento di Lu-men gentium, mentre invano si cercherebbeuna simile affermazione nel codice del 1917.

Lo stesso canone 375 al § 1 dà la nuovadefinizione di Vescovo: “I Vescovi, che perdivina istituzione sono successori degli Apo-stoli, mediante lo Spirito Santo che è statoloro donato, sono costituiti Pastori dellaChiesa, perché siano anch’essi maestri didottrina, sacerdoti del sacro culto e ministridel governo”.

Si noti il cambiamento rispetto al cano-ne 329 § 1 del codice precedente: “I Vesco-vi sono successori degli Apostoli e per divi-na istituzione sono preposti a delle chieseparticolari che reggono con potere ordinariosotto l’autorità del Romano Pontefice”.

Del vecchio canone resta immutato soloil fatto che i Vescovi sono i successori degliApostoli. Nel codice preconciliare si sotto-linea la loro sottomissione al Romano Pon-tefice che li ha eletti e al quale devono il lo-ro stesso essere Vescovi (§ 2-3), mentre ilcodice postconciliare afferma che i Vescovidetengono i tre uffici (di santificare, inse-gnare, governare) direttamente dallo Spiri-

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to Santo, senza nessuna menzione del Papa,come è meglio specificato nel § 2.

Logicamente, quindi, nella prospettivadel nuovo codice si entra a far parte del“collegio episcopale” tramite la consacra-zione episcopale:

“Il Collegio dei Vescovi, il cui Capo è ilSommo Pontefice e i cui membri sono i Ve-scovi in forza della consacrazione sacramen-tale e della comunione gerarchica con il Ca-po e con i membri del Collegio, e nel qualepermane perennemente il corpo apostolico,insieme con il suo capo e mai senza il suo ca-po, è pure soggetto di suprema e piena pote-stà sulla Chiesa universale” (can. 336).

Questo canone afferma, al seguito diLumen gentium:

- che esisteva un corpo o collegio aposto-lico

- che ad esso succede il collegio episcopale- che nel collegio si entra a far parte in

virtù della consacrazione- e che questo collegio è soggetto di su-

prema e piena autorità nella ChiesaIl codice del 1917 ignorava invece total-

mente l’esistenza di un collegio episcopaleche succedeva al collegio apostolico, ed attri-buiva la suprema autorità nella Chiesa al Pa-pa (can. 218) e al Concilio Ecumenico (can.228 § 1) quando esso è convocato e approva-to dal Papa. Al di fuori del Concilio i Vesco-vi, sia pure con il Papa, non rappresentano lasuprema autorità nella Chiesa, mentre così ècon la dottrina sulla collegialità.

Cambia pure, logicamente, il criterioper discernere coloro che partecipano di di-ritto e in ogni caso al concilio ecumenico. Ilcriterio che reggeva il vecchio codice (alcan. 223) era quello della giurisdizione: par-tecipavano al Concilio (§ 1) i Cardinali (an-che non Vescovi) e gli Ordinari: i Vescoviresidenziali anche non consacrati, gli Abatie Prelati nullius, gli altri Abati e superiorimaggiori: moltissimi membri di diritto alConcilio non avevano pertanto ricevuto laconsacrazione episcopale. Anche i Vescovititolari (Vescovi cioè che hanno ricevuto laconsacrazione episcopale, ma non godonodi giurisdizione nella Chiesa) potevano par-tecipare, ma non in ogni caso: era previstoche la Bolla di convocazione del Conciliopotesse prevedere altrimenti, escludendolidal Concilio (§ 2).

Tutto il contrario al nuovo can. 339: chi èchiamato al Concilio sempre o comunque

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sono “tutti e solo i Vescovi che sono membridel Collegio dei Vescovi” (nel quale si entraa far parte, ricordiamolo, con la consacrazio-ne episcopale: can. 336), mentre altri nonmeglio specificati, “che non sono insignitidella dignità episcopale” possono partecipar-vi solo se chiamati “dall’autorità supremadella Chiesa”. Come ognun può vedere, laprospettiva è ribaltata: secondo il codicepio-benedettino è membro di diritto delConcilio (che esercita, ricordiamolo, la su-prema potestà nella Chiesa) chi gode del po-tere di giurisdizione ordinaria; chi ha la con-sacrazione episcopale ma non la giurisdizio-ne può eventualmente essere convocato dalPapa; col codice wojtyliano, invece, è mem-bro di diritto del Concilio chi ha ricevuto laconsacrazione episcopale (ed è in comunio-ne col Capo e i membri del Collegio), men-tre gli altri, un tempo membri di diritto, nonlo sono più e, al massimo, possono essereconvocati dal Papa, se egli lo desidera.

La nuova dottrina sull’episcopato el’ecumenismo

Quanto detto finora potrà sembraredella pura teologia per gli “addetti ai lavo-ri”, non suscettibile di coinvolgere la mag-gior parte dei lettori. Mi sembra opportunoperciò, prima di esaminare i tre punti didottrina del Vaticano II, evidenziare il le-game esistente tra questo nuovo concettodell’episcopato e la dottrina e la prassidell’ecumenismo.

Il cosiddetto “ecumenismo”, o “pancri-stianesimo”, nasce in ambiente protestanteed era promosso principalmente dal Consi-glio ecumenico delle Chiese (che riunisce le“chiese” protestanti e quelle “ortodosse”). Ilmotivo è chiaro: togliendo alla Chiesa ilprincipio di unità, che risiede nel Papato, gliscismatici orientali ed i protestanti occiden-tali si sono trovati nella più spaventosa disu-nione. Poiché essi non vogliono però tornareall’unità della Chiesa riconoscendo il princi-pio dell’unita nel Papato, hanno dovuto so-stituire alla roccia di Pietro – fondamentouna cum Christo dell’unità della Chiesa – lesabbie mobili dell’ecumenismo, fondamentodi un’unità fittizia e anticristica della “Chie-sa”: satana è la scimmia di Dio…

Pio IX (Lettera del S. Uffizio del 1864,DS 2885-2888) e Pio XI (enciclica Morta-lium animos) hanno naturalmente condan-

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nato l’eresia ecumenista. Tutti sanno inveceche il Vaticano II ha voluto promuovere ilmovimento ecumenico, al punto che siaGiovanni Paolo II sia Benedetto XVI han-no dichiarato che l’impegno ecumenico del-la “Chiesa cattolica” è “irreversibile”!

Addirittura, il nuovo codice di dirittocanonico stabilisce che “spetta in primo luo-go a tutto il Collegio dei Vescovi e alla SedeApostolica sostenere e dirigere presso i cat-tolici il movimento ecumenico, il cui fine è ilristabilimento dell’unità tra tutti i cristiani,che la Chiesa è tenuta a promuovere per vo-lontà di Cristo” (can. 755).

Anche in questo caso, il codice non faaltro che riprendere il Vaticano II. Lo scopodel Concilio, infatti, a detta dei suoi stessipromotori, era la realizzazione dell’ecume-nismo e quasi tutti i documenti conciliari so-no stati redatti alla luce della dottrina ecu-menica. La nuova dottrina sull’episcopato,naturalmente, non fa eccezione.

Essa, innanzitutto, diminuisce la dignitàed il ruolo del Papato, sia per quanto ri-guardo il punto di dottrina sull’origine dellagiurisdizione episcopale (che non derivereb-be dal Papa, ma dalla consacrazione), sia ri-guardo al potere supremo nella Chiesa, cheappartiene anche, in maniera stabile, a tuttoil collegio episcopale. In questo modo senon si elimina almeno si diminuisce “l’osta-colo principale all’ecumenismo” che è ladottrina cattolica sul Primato papale, ve-nendo incontro alle esigenze dei protestantie soprattutto degli scismatici orientali, per iquali la Chiesa non è una monarchia con acapo il Sommo Pontefice, ma è governatadai Vescovi (6). La nuova dottrina sull’origi-ne della giurisdizione episcopale apre poi laporta ad altre proposizioni ecumeniste delVaticano II, come quelle riguardanti i Ve-scovi scismatici orientali e le loro “chiese”.Combinata con la dottrina conciliare della“comunione imperfetta” (altra innovazionedi Lumen gentium) la dottrina collegiale delConcilio apre le porte al riconoscimentodell’apostolicità (anche formale) delle“chiese” separate, al fatto che esse siano“chiese sorelle” con la Chiesa cattolica, chei vescovi scismatici svolgano validamente eperfino lecitamente le funzioni di magisteroe di governo su di una porzione della Chiesadi Cristo, e che manchi solo loro la “piena”comunione giuridica con la Sede di Pietro.Tutto questo perché la nuova dottrina ten-

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de a confondere ordine e giurisdizione, percui chi possiede validamente il sacramentodell’ordine (è il caso degli orientali scimati-ci) ha anche, per il fatto stesso, gli uffici digoverno e di magistero.

Dopo queste considerazioni di ordinegenerale, passiamo ad un breve esame deitre punti dottrinali sollevati dal Concilio aproposito dell’episcopato e della consacra-zione episcopale…

La sacramentalità dell’episcopato, una que-stione ancora aperta

Ho già citato il passo della costituzionedogmatica Lumen gentium (n. 21) che af-ferma la cosidetta “sacramentalità dell’epi-scopato”. Di cosa si tratta esattamente?

Il Dictionnaire de théologie catholique(voce Ordre, col. 1383) presenta così laquestione dibattuta dai teologi:

“È una verità di fede che l’episcopatonella Chiesa è di diritto divino [istituito cioèda Cristo stesso, non dalla Chiesa, n.d.a.] (cfConcilio di Trento, sessione XXIII, can. 6).È pure di fede che l’episcopato è superiore alpresbiterato [il semplice sacerdozio, n.d.a.]sia quanto al potere d’ordine sia quanto alpotere di giurisdizione. Non ci dovrebbe per-tanto essere controversia sul punto precisoche l’episcopato, considerato come pienezzadel sacerdozio, è e rimane un sacramento.La questione controversa è quella di saperese l’episcopato è un sacramento adeguata-mente distinto dal semplice sacerdozio, inmodo tale da imprimere nell’anima un nuo-vo carattere” oppure se conferisca solo unampliamento del carattere impresso nellacollazione dell’ordine sacerdotale.

Il Vaticano II prende chiaramente posi-zione per la risposta affermativa: “DallaTradizione infatti, quale risulta specialmentedai riti liturgici e dall’uso della Chiesa siad’Oriente che d’Occidente (7), consta chiara-mente che dall’imposizione delle mani e dalleparole della consacrazione la grazia delloSpirito Santo è così conferita, e così è im-presso il sacro carattere, che i Vescovi, inmodo eminente e visibile, sostengono le partidello stesso Cristo Maestro, Pastore e Ponte-fice, e agiscono in sua vece” (LG, 21) (8).

Certo, la dottrina della sacramentalitàdell’episcopato non è una novità del Vati-cano II. Essa fu già sostenuta sul finire delmedioevo dal domenicano antitomista Du-

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rand de Saint Pourçain (in IV Sent., dist.XXIV, q. VI, n. 4; D.T.C. col. 1312) e dalnominalista Gabriel Biel. La posizione diSan Roberto Bellarmino è ancora esitante(DTC, col. 1366), mentre Sant’Alfonsoprende decisamente posizione per la sacra-mentalità (Teologia morale, libro VI, n.738). Alla vigilia del Concilio, però, la scuo-la tomista è rimasta nel suo insieme fedeleal maestro San Tommaso, nel negare chel’episcopato sia un ordine adeguatamentedistinto dal sacerdozio e che imprime per-tanto un nuovo carattere: citiamo tra gli an-tichi Capreolo, D. Soto, Gonet e Billuart, etra i contemporanei il cardinal Billot (tesiXXI), Padre Hugon o.p., Padre Garrigou-Lagrange o.p., Padre Benedetto EnricoMerkelbach o.p.

La posizione di San Tommaso è inequi-vocabile, in tutto simile a quella di tutti glialtri grandi scolastici (Alessandro di Hales,Sant’Alberto, San Bonaventura…). Ripor-to quanto scrive il Dottor Comune nel sup-plemento della Somma Teologica (q. 40, a.5, tratto da 4 Sent. D. 24, q. 3, a. 2, qc. 2):“Al termine ordine si possono dare due si-gnificati. Primo, quello di sacramento: e intal senso ogni ordine, come abbiamo spie-gato prima (q. 37, aa. 2 e 4), è ordinatoall’Eucarestia. E poiché in questo il vesco-vo non ha un potere superiore a quello sa-cerdotale, l’episcopato non è un ordine.Secondo, può indicare un ufficio relativo acerte funzioni sacre. E in tal senso il vesco-vo, avendo sul corpo mistico un potere rela-tivo ad atti gerarchici superiore a quello delsacerdote, l’episcopato è un ordine…”. Alladifficoltà secondo la quale “i vescovi posso-no conferire dei sacramenti che non posso-no conferire i sacerdoti, come la cresima el’ordine sacro” San Tommaso risponde (ad2): “L’ordine, in quanto sacramento che im-prime il carattere, è ordinato direttamenteall’Eucaristia, in cui è contenuto Cristo me-desimo: poiché il carattere ci rende conformia Cristo. Perciò, sebbene al vescovo nell’or-dinazione venga conferito un potere spiri-tuale rispetto ad altri sacramenti, tuttavia ta-le potere non ha valore di carattere. Eccoperché l’episcopato non è un ordine, consi-derando l’ordine come sacramento” (9).

La teologia scolastica e tomista del sa-cramento dell’ordine vede questo sacra-mento tutto orientato all’Eucaristia. La di-stinzione degli ordini sacri (che per san

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Tommaso e il Concilio di Trento sono set-te, senza menzione dell’episcopato) si de-duce dalla loro relazione all’Eucaristia,Corpo di Cristo. Il potere supremo di que-sto sacramento è esercitato nella consacra-zione del Corpo e del Sangue di Cristo, po-tere comune al semplice sacerdote e al ve-scovo. Il vescovo ordina altri sacerdoti, equindi presuppone necessariamente il sa-cerdozio, di cui è pienezza ed estensione (èil sacerdozio allo stato adulto, secondol’espressione di Padre Guérard des Lau-riers), mentre il sacerdozio non è partecipa-zione all’episcopato; nessuno può esserevescovo se non è ordinato almeno simulta-neamente sacerdote, mentre si può esseresacerdoti anche se, “per saltum”, non si èstati ordinati diaconi.

Non per questo l’episcopato consiste es-senzialmente o esclusivamente nel poteredi giurisdizione, come alcuni hanno pensato(10); l’essenza dell’episcopato consiste nellapienezza del sacerdozio (e quindi nel pote-re d’ordine): ne ho già abbondantementeparlato in un altro contesto (11).

Al momento del Vaticano II il dibattitosulla sacramentalità dell’episcopato non fumolto sentito tra le fila degli oppositori alConcilio. È noto, ad esempio, che Mons.Lefebvre fu sempre un fervido sostenitoredella sacramentalità dell’episcopato. Lostesso si deve dire del teologo di MonsignorLefebvre al Concilio, l’abbé Victor AlainBerto (1900-1968), il quale compose unoschema conciliare per il Coetus internatio-nalis Patrum nel quale questa tesi era defi-nita in maniera ancora più esplicita diquanto lo farà in realtà Lumen Gentium(12). Anche l’abbé de Nantes, il più criticoverso il Vaticano II tra gli autori “tradizio-nalisti”, è favorevole alla sacramentalità(13). D’altro canto, lo schema preparatoriopreparato dalla Commissione Teologicapresieduta dal Cardinal Ottaviani nel 1961prevedeva che il Concilio insegnasse la sa-cramentalità dell’episcopato (14) (bisognadire che il cap. III di questo schema, sullasacramentalità dell’episcopato, fu material-mente opera di Padre Lécuyer CSSP, unodegli artefici del nuovo rito della consacra-zione episcopale).

L’opinione di Mons. Lefebvre edell’abbé Berto non è però comune a tutti iteologi della “scuola romana” rimasti “fedelialla Tradizione”. Padre Guérard des Lau-

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riers o.p., ad esempio, si oppose strenua-mente alla dottrina conciliare su questo pun-to (15); il canonico Berthod, come abbiamovisto, aveva un’opinione ancora più radicale.

La sacramentalità dell’episcopato è unatesi liberamente discussa nella Chiesa; laCostituzione Apostolica Sacramentum Or-dinis di Pio XII sulla materia e forma del sa-cramento dell’Ordine (30 XI 1947, DS 3857-3861), pur non pronunciandosi apertamentesulla questione, ha dato forza alla tesi favo-revole alla sacramentalità. Si può insommasostenere che la consacrazione episcopaleimprime un nuovo carattere al consacratosenza uscire dai canoni della teologia catto-lica più tradizionale, esattamente come nel1947 Pio XII restò in questo alveo quandoprecisò che la materia e la forma dell’Ordi-ne consistevano nell’imposizione delle manie nelle parole del prefazio e non (più) nella“tradizione” degli strumenti.

Commentando le decisioni di Pio XII(16) e poi del Vaticano II, tuttavia, J. Rat-zinger scopre in questi interventi delle con-seguenze che Papa Pacelli certo non avreb-be immaginato. Secondo il teologo tedesco,Sacramentum Ordinis e soprattutto LumenGentium avrebbero operato una “revisionedel Medioevo” (p. 147) dove per “Medioe-vo” s’intende sia la Chiesa quale concreta-mente si manifestò dai tempi di S. GregorioVII (17), e anche prima, fino alla vigilia delConcilio, sia, soprattutto, la teologia scola-stica e in particolare quella di San Tomma-so, per operare un ritorno alla più autentica“Chiesa antica” (p. 151). Tutta la tradizioneOccidentale è messa in discussione, a parti-re da San Gerolamo (p. 151). Il “Medioe-vo” avrebbe poi accentuato questa tenden-za con la distinzione tra il “Corpo di Cristovero” e il “Corpo di Cristo mistico”, e quin-di tra potere sacramentale di Ordine (sul

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Corpo di Cristo, col potere di consacrare ilCorpo e Sangue di Cristo) e potere di giuri-sdizione (sul Corpo Mistico) di caratteregiuridico (18). La prima distinzione è, lo ab-biamo visto, il fondamento della dottrina diSan Tommaso sul sacramento dell’Ordine.La seconda è niente meno che la dottrinadella Chiesa (cf can. 108 § 3 del codice del1917: Per divina istituzione, la sacra gerar-chia è composta, in ragione dell’ordine, divescovi, sacerdoti e ministri; in ragione dellagiurisdizione del pontificato supremo edell’episcopato subordinato. Non a caso,questo canone non ha un canone corrispon-dente nel nuovo codice). Questo concetto,secondo Ratzinger, portava ad alcune con-seguenze da lui deplorate: “il punto di vistadecisivo è dappertutto potestas, potere, po-tenza. Il sacerdozio ora è collegato imme-diatamente solo a potere di consacrazione edefinito da esso (…). Il ministero pastoralene è separato e ristretto al potere di giurisdi-zione sul corpo mistico; in primo luogo peròne risulta anche una individualizzazione delministero sacerdotale (…)” (p. 151). NelMedioevo, per Ratzinger, la Chiesa Occi-dentale subisce l’influenza del mondo feu-dale germanico: “La Chiesa diventa per cosìdire la Chiesa particolare, propria dell’impe-rium germanico (…) La Chiesa è ora un ap-parato giuridico, un tessuto di leggi, di ordi-namenti, di diritti da rivendicare, che in li-nea di principio sono caratteristici di qual-siasi società (…) l’Eucaristia stessa è spezza-ta in riti distinti (…). A questo isolamentodel sacramento è legata una certa tendenzaal naturalismo: il carattere pneumatico delmemoriale che istituisce la presenza si oscu-ra, il collegamento dell’intero evento sacra-mentale all’unità dell’unico Signore crocifis-so e risorto è occultata dall’emergere dellemolteplici singole azioni sacrificali (…)”dettate dall’interesse all’onorario per lamessa privata celebrata: “io credo che biso-gnerebbe avere l’onestà di riconoscere e ve-dere la tentazione di Mammona nella storiadella Chiesa e di vedere come realmente siauna potenza che ha agito in maniera defor-mante sulla Chiesa e sulla teologia e che leha corrotte fino al loro centro più intimo: laseparazione tra il ministero come diritto e ilministero come rito è stata mantenuta da ri-vendicazioni di prestigio e da preoccupazio-ni di sicurezza finanziaria; l’isolamento del-la Messa, il suo allontanamento dall’unità

Lo stemma di Benedetto XVI.

Joseph Ratzinger hatolto la Tiara (segnodella potestà papale)sostituendola con la

Mitria vescovile

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del memoriale e quindi la sua privatizzazio-ne sono stati prodotti dall’amalgama fraMessa e onorario” (pp. 166-167). Come ve-de il lettore, seguendo i toni dal sapore va-gamente luterani di Ratzinger abbiamo di-vagato un po’, ma non del tutto: la causa dimali così disparati, per Ratzinger, è da ri-cercarsi in una separazione tra sacerdozio egoverno pastorale che per lui ha fatto sì chei teologi medioevali non concepissero nep-pur più l’episcopato come sacramento. La“svolta” dei tempi moderni supera così lateologia “medioevale” (scolastica, tomista)che aveva trionfato nei Concilii di Firenze(pp. 148-150) e di Trento.

Vediamo così come il dibattito, di per sélegittimo, sulla sacramentalità dell’episco-pato, divenne durante il Concilio un primopasso per rimettere in causa la distinzionetra ordine e giurisdizione. La negazione diquesta distinzione è poi utilizzata per modi-ficare la dottrina della Chiesa sull’originedella giurisdizione episcopale: altra innova-zione del Vaticano II…

La giurisdizione episcopale viene immedia-tamente dal Papa e non dalla consacrazio-ne episcopale: dottrina certa, contraddettadal Vaticano II

Abbiamo visto come il Vaticano II (LG21) ed il nuovo codice di diritto canonico(can. 375 § 2) affermano che il potere di in-segnare e quello di governare vengano alVescovo tramite la consacrazione episcopa-le (e quindi direttamente da Dio). Dimo-strerò come il magistero della Chiesa inse-gni invece che la giurisdizione del Vescovonon viene immediatamente da Dio (me-diante la consacrazione episcopale): essaviene da Dio mediante un atto del Papa chedà al Vescovo – con la missione canonica –la giurisdizione, e il potere di governare einsegnare. Mi sia permesso di ripetere gros-so modo quanto già scrissi a questo propo-sito nel mio opuscolo Le consacrazioni epi-scopali nella situazione attuale della Chiesa(suppl. al n. 46 di Sodalitium). Come ebbigià modo di ricordare, la discussione risaleal Concilio di Trento:

«“Fu durante la 23a sessione del conciliodi Trento che i Vescovi spagnoli chieseroche venisse definita la dottrina secondo laquale i vescovi sono istituiti da Gesù Cristopoiché la loro giurisdizione viene immedia-

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tamente da Dio: intendevano così mettere inrisalto la dignità dell’episcopato, negata daiprotestanti (19). Padre Laynez, generale deigesuiti e strenuo oppositore di questa tesi, cinarra lo svolgersi di questa discussione du-rante il concilio tridentino (20). La richiestadegli spagnoli (e di parte dei francesi, arri-vati in seguito al concilio) fu rigettata, e nonsolo: il canone 8 insinuava la dottrina oppo-sta, insegnando che i Vescovi auctoritateRomani Pontificis assumuntur “sono istituitidall’autorità del Romano Pontefice” (D.968)» (cit., p. 7) Naturalmente il ben pocoortodosso fra Paolo Sarpi, nella sua “Storiadel Concilio di Trento” parteggia per i Ve-scovi francesi e spagnoli che, a suo dire, vo-levano combattere così gli “abusi della Cor-te Romana” (21). «La questione restò tutta-via liberamente discussa, finché ‘la giurisdi-zione di diritto divino dei Vescovi’ non di-venne il cavallo di battaglia dei Gallicani(22), e non solo di essi. Sotto la protezionedell’Imperatore Giuseppe II, i tre elettori ec-clesiastici dell’Impero, gli arcivescovi di Ma-gonza, Colonia e Treviri, e l’arcivescovo diSalisburgo, organizzarono un conciliabolocontro le prerogative della Santa Sede inquel di Ems (Germania), il 25 agosto 1786(23). I quattro Vescovi ‘si appoggiavano sulladivina giurisdizione che Gesù Cristo stessoaveva loro conferito nel momento della loroconsacrazione’ (24). Nel 1802, l’arcivescovodi Narbonne e altri 13 Vescovi francesi rifiu-tarono il concordato e la loro destituzione,provocando così lo scisma della Petite Egli-se, proprio fondandosi sulla tesi gallicanadella giurisdizione episcopale derivante dal-la consacrazione (e non dal Papa) (25). Du-rante il concilio Vaticano I, Mons. Maret egli altri Vescovi liberali e gallicani ripreseroquesto argomento in favore della loro posi-zione. La tesi sostenuta dal Vaticano II (…)ha quindi degli antenati più che sospetti: èstata essa - e non la tesi opposta - a favorire,almeno in due casi, lo scisma contro Roma.Tuttavia, benché “difesa e sostenuta da po-chi teologi nel passato”, e di poco peso (Va-squez, Vitoria, Collet, Alfonso di Castro),questa tesi (…) è per lo meno sostenibilesenza andare contro il magistero ordinariodella Chiesa?» (Ricossa, Le Consacrazio-ni… pp. 7-8). La risposta è negativa.

«Alcuni - scrive l’Enciclopedia Cattolica- ritengono che, essendo l’episcopato di di-ritto divino (cf can. 108 § 3), il potere dei

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Vescovi venga loro dalla stessa ordinazioneepiscopale [è questa la tesi del Vaticano II,n.d.a.]. Più comune, e ora espressa chiara-mente nel magistero ordinario della Chiesa,è la dottrina che il Romano Pontefice è lafonte di ogni potere di giurisdizione nellaChiesa; il Batiffol (Cathedra Petri, pp. 95-103) ha dimostrato che l’idea risale moltoaddietro nella tradizione” (26). A loro volta,Padre Zapelena e Padre Montrouzier citanoin favore di questa dottrina (la giuridizionedei Vescovi non viene direttamente da Diocon la consacrazione episcopale, ma media-tamente, tramite il Papa) l’autorità dei Padri(tra i quali due Pontefici Romani: S. Inno-cenzo I e San Leone Magno), degli scolasti-ci (S. Bonaventura, S. Tommaso d’Aquino(II-II, q. 39, a. 3; C.G. IV, 76; 2 Sent., d. 44,q. 2, a. 3; 2 Sent., d. 24, q. 2, a. 1), S. AlbertoMagno, Alessandro di Hales, Scoto, Duran-do...) e di molti altri autori, anche francesi eorientali. Ma che serve attardarci con i teo-logi e i canonisti (27), se Roma ha parlato?Senza citare i Pontefici più antichi, passo di-rettamente all’epoca moderna.

Pio VI nel Breve Deessemus del 16 set-tembre 1778, ricordava al Vescovo ribelle diMottola, Stefano Cortez (alias Ortiz), che ladignità episcopale “quanto all’ordine, vieneimmediatamente da Dio, ma quanto allagiurisdizione viene dalla Sede Apostolica...”(28). La stessa dottrina, Papa Braschi la inse-gna rispondendo al conciliabolo di Ems,nella ‘responsio super Nunciaturis’ del 14novembre 1790 e nella Costituzione Caritasdel 13 aprile 1791 (29). Contro Eybel, un ca-nonista [nonché massone: cf nota 51] segua-ce delle idee scismatiche di Febronio, il qua-le sosteneva che “era una menzogna rappre-sentare il Papa come se conferisse ai Vesco-

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vi la sua autorità nello stesso modo che luila riceve da Dio, e cioè immediatamente”,Pio VI ribadisce la verità di questa dottrina:“Da lui (il Romano Pontefice) gli stessi Ve-scovi ricevono la loro autorità, come egli ri-cevette da Dio il suo supremo potere” (Bre-ve Super soliditate Petræ del 28 nov. 1786;Denz. 1500; I.P. 24). L’Enciclopedia Catto-lica, al luogo citato, allega a sostegno dellanostra posizione lo stesso Vaticano I: “Di là[da Roma] vengono a tutti i diritti della ve-neranda comunione (S. Ambrogio)” e ilcard. Ottaviani cita Benedetto XIV (De Syn.diœc., I, c. 4, n. II), seppur come dottore pri-vato (30), e Leone XIII (enc. Satis cognitum,29 giugno 1896) (31). Ma è tempo di passarealla dottrina ancora più esplicita e dettaglia-ta di Pio XII.

Sono ben tre i documenti di Papa Pacellia questo proposito: l’importantissima encicli-ca Mystici corporis del 29 giugno 1943, l’enci-clica Ad Sinarum gentem del 7 ottobre 1954 el’enciclica Ad Apostolorum principis del 29giugno 1958 (32). (…) Poiché in Ad apostolo-rum principis Pio XII riprende anche le duealtre encicliche, mi contenterò di un’unica ci-tazione di questo documento pontificio. «Lagiurisdizione - ribadisce Pio XII - viene ai Ve-scovi unicamente attraverso il Romano Pon-tefice, come già avemmo occasione di ricor-dare nella lettera enciclica Mystici corporis: “IVescovi... in quanto riguarda la loro diocesi,sono veri pastori che guidano e reggono innome di Cristo il gregge assegnato a ciascuno.Mentre fanno ciò, non sono del tutto indipen-denti, perché sono sottoposti alla debita auto-rità del Romano Pontefice, pur fruendodell’ordinaria potestà di giurisdizione che ècomunicata loro direttamente dallo stessoSommo Pontefice” [AAS 35 (1943), pp. 211-212]. Dottrina che avemmo occasione di ri-chiamare ancora nella lettera Ad Sinarumgentem a voi successivamente diretta: “La po-testà di giurisdizione, che al Sommo Ponteficeviene conferita direttamente per diritto divino,proviene ai Vescovi dal medesimo diritto, masolamente mediante il successore di San Pie-tro...” [AAS 47 (1955), p. 9]» (33). Per ben trevolte, dunque, Pio XII insegna che la giurisdi-zione del Vescovo viene da Dio mediante ilPapa e quindi non mediante la consacrazioneepiscopale, come afferma (…) il Vaticano II.Pio XII distingue chiaramente il potere di or-dine e il potere di giurisdizione nel Vescovo, ele diverse origini di questi poteri; rileggiamo

Alcuni Padri del Cœtus a Roma durante il Concilio trai quali si possono riconoscere Mons Lefebvre

e Mons. De Castro Mayer

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nel suo contesto il già citato passaggio di AdSinarum gentem: “In forza di questa divinavolontà i fedeli si dividono in due classi: cleroe laicato; in forza della medesima volontà ècostituita la duplice sacra potestà, cioè di ordi-ne e di giurisdizione. Inoltre - ciò che pari-menti è stato divinamente stabilito - alla pote-stà di ordine (per cui la gerarchia ecclesiasticaè composta di Vescovi, sacerdoti e ministri) siaccede ricevendo il sacramento dell’ordine sa-cro; la potestà di giurisdizione, poi, che alSommo Pontefice viene conferito direttamen-te per diritto divino, proviene ai Vescovi dalmedesimo diritto, ma soltanto mediante ilSuccessore di San Pietro...”. Pio XII smenti-sce quindi categoricamente la tesi (…) del Va-ticano II (…) e la smentisce dichiarando checiò è così perché “divinamente stabilito”! (34).Non stupisce allora che le commissioni prepa-ratorie al Concilio Vaticano II avessero previ-sto, nei loro schemi, di proporre questa dottri-na anche nel solenne magistero conciliare: co-sì la commissione sui Vescovi e quella per leChiese orientali (35). Sappiamo che il Concilionon solo non ribadì questa dottrina ma addi-rittura la contraddisse» (Ricossa, Le Consa-crazioni… pp. 8-10). Possiamo concludere:qual è il valore della sentenza finora difesa?Il Cardinal Ottaviani, prima del Concilio, ladichiarava “assolutamente certa” (36), inquanto insegnata categoricamente e ripetu-tamente dal magistero ordinario: Roma locu-ta, causa finita. Se ne deve dedurre che la tesiopposta, difesa invece dal Vaticano II, è as-solutamente falsa…

Una tesi falsa che si appoggia sulla negazio-ne della distinzione tra potere d’ordine epotere di giurisdizione

Tesi assolutamente falsa, abbiamo vi-sto… Ma essa si comprende alla luce dellanegazione della distinzione reale tra l’ordinee la giurisdizione (37), negazione difesa dalteologo Ratzinger già citato: se ordine e giu-risdizione sono in fondo la stessa cosa, comestupirsi che la giurisdizione sia ricevuta me-diante l’ordine, nel ricevere la consacrazioneepiscopale? Anzi: il Cardinal Ottaviani, benconscio di tutte le implicazioni della nega-zione di questa distinzione, scriveva: “la di-stinzione e la separabilità di entrambe le po-testà fu impugnata da alcuni autori, sia tra icattolici, sia tra gli eterodossi. Questi ultimiasserivano perciò che con la consacrazione

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episcopale è conferita simultaneamente lapienezza del sacerdozio e la giurisdizione atal punto che, tolta di mezzo ogni distinzionetre le due potestà, il Romano Pontefice dive-niva eguale nel potere agli altri Vescovi” (38).Noti il lettore come non sfugga al card. Ot-taviani l’ultima, estrema e pur logica conse-guenza della negazione di questa distinzio-ne: una collegialità assolutamente eterodos-sa che nega il primato del Papa! Il card. Ot-taviani dimostra invece chiaramente comequesti due poteri sono distinti e indipenden-ti. Distinti: dalla diversa origine (il potered’ordine è conferito dall’ordinazione, quellodi giurisdizione dalla missione canonica);dalle diverse proprietà (il potere d’ordinenon può essere cancellato, non è delegabile,è eguale in tutti coloro che lo possiedono,può essere esercitato validamente nonostan-te qualunque proibizione; mentre il poteredi giurisdizione può essere perso, è delegabi-le, è diverso in chi lo possiede, non può esse-re esercitato validamente contro le leggi del-la Chiesa); dalle diverse finalità prossime (ilpotere d’ordine tende alla santificazione deisingoli mediante i sacramenti; il potere digiurisdizione tende al governo della comu-nità). Detti poteri sono non solo distinti, co-me abbiamo visto, ma anche indipendenti,in quanto di fatto separabili. Il CardinaleOttaviani dimostra facilmente come essipossano sussistere separatamente (in sogget-ti che hanno l’ordine e non la giurisdizione,e viceversa) e che anche in coloro che hannoentrambi (ordine e giurisdizione) è possibileperderne uno (la giurisdizione, come nel ca-so del Papa o del Vescovo che rinunciano al-la loro Sede) senza perdere l’altro. A propo-sito della separabilità dei due poteri, mi siapermesso di nuovo di citarmi:

«… Ordine e giurisdizione, che nel Ve-scovo devono normalmente essere uniti, so-no, a volte, constatabilmente e lecitamenteseparati. Vediamo alcuni casi.

A) Vescovi con la giurisdizione, ma sen-za il potere di ordine. Questo caso è talmen-te corrente, che non ci sarebbe nemmeno bi-sogno di parlarne! Ogni Vescovo ha giuri-sdizione sulla sua diocesi dal momento incui ha ricevuto dalla Santa Sede l’istituzioneo provvisione canonica (can. 332 § 1). “Lapresa di possesso con il quale [il Vescovo]incomincia l’esercizio della giurisdizionedella diocesi, non comporta alcun rito litur-gico” e può essere fatta “anche prima della

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sua consacrazione” (39). Il Vescovo, quindi,è membro della Chiesa docente e governa lasua diocesi ancor prima di essere consacratoVescovo; ma è tenuto a ricevere la consacra-zione, se non vi è legittimamente impedito,entro i tre mesi dalla sua nomina (can. 333)(40). Questa verità si applica anche nel casodi quel Vescovo speciale che è il Papa, Ve-scovo di Roma. L’abbé Belmont, nel suobellissimo opuscolo sulla tesi di Cassicia-cum, L’esercizio quotidiano della fede, citaPio XII: “Se un laico venisse eletto Papa,egli non potrebbe accettare l’elezione se nonalla condizione di essere atto a ricevere l’or-dinazione e disposto a farsi ordinare”; ed ilPapa aggiunge: “Il potere di insegnare e digovernare, come il carisma dell’infallibilità,gli sarà accordato all’istante della sua accet-tazione, anche prima dell’ordinazione” (41).Non si può meglio sottolineare la distinzio-ne reale dei poteri (di ordine e di giurisdi-zione) e delle loro origini prossime [ed in-fatti abbiamo visto che il Vaticano II ha in-novato anche sull’elezione papale! n.d.a.](42), come pure il fatto che nella Chiesa inordine essi debbano trovarsi riuniti nellastessa persona: il laico eletto Papa è del tuttosprovvisto del potere di ordine, eppure godedi già della giurisdizione su tutta la Chiesa(ecco la distinzione dei poteri; la giurisdizio-ne non viene dalla consacrazione) a condi-zione di avere l’intenzione di farsi ordinare(la gerarchia è una, benché divisa in potered’ordine e di giurisdizione; il Vescovo resi-denziale deve averli entrambi) (43).

B) Vescovi con il potere di ordine, masenza il potere di giurisdizione. (…) PadreMontrouzier si pone la difficoltà e la risolvecosì: “Fino ad ora i campioni del diritto di-vino [dei Vescovi] hanno insegnato che laconsacrazione episcopale è la fonte dellagiurisdizione dei Vescovi. Nel momentostesso che la grazia del sacramento cade sudi lui, il nuovo Vescovo riceve da Gesù Cri-sto la giurisdizione necessaria per comanda-re ai fedeli. Ecco quel che dicono. Per sfor-tuna, i fatti non collimano con la loro teoria.Ogni giorno vediamo nella Chiesa dei sem-plici sacerdoti esercitare la giurisdizione epi-scopale; e reciprocamente, vi sono dei Ve-scovi validissimamente consacrati che sonosprovvisti di ogni giurisdizione. Il Vicariocapitolare possiede la piena giurisdizionedel Vescovo; il Vescovo titolare o in partibusnon ha poteri maggiori di quelli di un sem-

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plice prete (44). Segno evidente che tra laconsacrazione episcopale e la collazionedella giurisdizione non c’è una connessionenecessaria. Anzi, è ammesso universalmenteda tutti che il Vescovo eletto può legittima-mente esercitare la sua giurisdizione appenapreconizzato dal Papa, dal momento in cuiha ricevuto le sue Bolle, fosse anche un sem-plice tonsurato. Non è una prova perentoriache la giurisdizione si conferisce indipen-dentemente dall’ordinazione (...)?”(45)» (RI-COSSA, op. cit., pp. 14-15).

Tornando al Cardinal Ottaviani, mi pre-me sottolineare come il grande porporatonon ignorasse le obiezioni mosse dai mo-derni teologi, obiezioni da lui facilmenteconfutate: “Quanti affermano che nella di-sciplina della Chiesa antica la sola ordina-zione era sufficiente per ottenere entrambi ipoteri, e che solo in tempi più recenti è statointrodotto un duplice e distinto modo [ovve-ro l’ordinazione, per il potere d’ordine, e lamissione o istituzione canonica per la giuri-sdizione, n.d.a.] sono caduti in errore perchéhanno pensato che ciò che si compiva nellostesso tempo avveniva per mezzo di un soloe medesimo atto. In realtà, vi furono sempredue atti distinti, in quanto, come nota Soglia,venivano ordinati coloro che erano stati elet-ti a governare una Chiesa” (p. 182; un’obie-zione simile è risolta a p. 183). I fatti storicidevono essere interpretati alla luce dei datidi fede, e non viceversa, ricorda a questoproposito l’abbé Dulac (46).

Possiamo quindi concludere questo capi-tolo del nostro studio con una affermazionecerta: il Vescovo riceve la sua autorità giuri-sdizionale mediante il Papa, e non mediantela consacrazione episcopale. Ora, questopunto rovina totalmente la dottrina sullaCollegialità com’è insegnata dal Vaticano II(come capisce e spiega anche J. Ratzinger, cf(cf. Episcopato e primato, pag. 152)

Dal governo di una chiesa particolare aquello della chiesa universale

In questo capitolo, mi preme approfon-dire il nesso tra la “vecchia” tesi sull’origi-ne della giurisdizione episcopale, che ab-biamo appena esaminato (e dimostrato incontrasto con il magistero ordinario dellaChiesa), e la dottrina sulla collegialità epi-scopale insegnata dal Vaticano II. Si tratta,è chiaro, di due dottrine distinte, ma che

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hanno però un intimo collegamento, chenon consiste solo nel fatto che Lumen gen-tium le ha fatte proprie entrambe.

Abbiamo visto come per la minoranza alConcilio di Trento, seguita poi da gallicani,febroniani, e scismatici vari, il Vescovo rice-verebbe il suo potere di governare e inse-gnare (giurisdizione) con lo stesso potered’ordine, con la consacrazione episcopale, equindi per diritto divino immediato, primaancora di un intervento qualunque del Papa(necessario magari per l’esercizio di un pote-re che comunque non viene da lui). Tra ipartigiani di questa teoria, non pochi consi-deravano pertanto i Vescovi titolari, privi didiocesi e quindi di giurisdizione, come unaanomalia da sopprimere, in quanto il Vesco-vo consacrato ha, per il fatto stesso, il poteredi governare. Alberigo spiega invece come,secondo lui, proprio l’esistenza nella Chiesadi Vescovi titolari possa permettere di pas-sare da una dottrina all’altra. La “vecchia”teoria sull’origine immediatamente divinadella giurisdizione episcopale riguardava in-fatti l’autorità del Vescovo su di una Chiesaparticolare, la sua diocesi. Ma se la consacra-zione dà necessariamente giurisdizione, do-ve verrà esercitata, ad esempio, la giurisdi-zione del Vescovo titolare, che non ha dio-cesi? Per Alberigo anche il Vescovo titolare(ed è logico nel sistema: anche lui è consa-crato) ha per il fatto stesso una giurisdizio-ne, e se essa non si applica ad una chiesaparticolare (diocesi) allora deve applicarsialla Chiesa universale (la cosiddetta “solleci-tudine per la Chiesa universale”). Natural-mente, questo non riguarda solo il Vescovotitolare, ma tutti i Vescovi consacrati, con osenza diocesi: essi avrebbero tutti giurisdi-zione sulla Chiesa universale. E poiché sitratta di un potere comune a tutti, esso deveessere esercitato da tutti collegialmente…Ed eccoci giunti alla famosa collegialità. Maquesto potere sulla Chiesa universale non èforse il proprio del Primato papale? Il Papanon è superiore ai Vescovi proprio perchéegli ha giurisdizione su tutta la Chiesa, ed ilVescovo solo su una sua parte?

Collegialità e Primato: Collegialità oPrimato?

Che la dottrina sulla Collegialità episco-pale insegnata dal Vaticano II nella costitu-zione dogmatica Lumen Gentium possa es-

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sere intesa in opposizione al primato di giu-risdizione del Papa su tutta la Chiesa nonc’è bisogno di dimostralo, giacché, come ve-dremo, si rese necessario inserire una “notaexplicativa praevia” proprio per cercare dievitare questa interpretazione. Di questa“nota esplicativa” sembra dimenticarsi lostorico di scuola dossettiana Alberto Mello-ni quando dichiara ex cathedra: “Se oggiqualcuno crede che il collegio dei vescovinon abbia la potestà di governare col Papa(non solo consigliare il Papa) la Chiesauniversale, non è nel solco dottrinale dellaChiesa cattolica” (47). In effetti, la Collegia-lità episcopale comporta l’affermazione se-condo la quale il Collegio dei Vescovi è sog-getto stabile di suprema e piena potestà sul-la Chiesa universale. Ora, noi pensiamo chel’unico soggetto stabile di piena e supremapotestà sulla Chiesa universale sia il Papa, invirtù del suo Primato. A Pietro solo, infatti,separatamente al collegio apostolico, è statodetto “tu sei Pietro, e su questa pietra edifi-cherò la mia Chiesa”; a Pietro solo, ad esclu-sione degli altri apostoli, è stato detto “con-ferma i tuoi fratelli”; a Pietro solo, ad esclu-sione degli altri, è stato detto “pasci i mieiagnelli, pasci le mie pecorelle”, né mai vedia-mo gli Apostoli agire collegialmente nellaChiesa, specie dopo la loro dispersione (48).Pochi anni prima del Concilio, nell’enciclicaMystici Corporis, Pio XII scriveva: “Il DivinRedentore governa il suo Corpo Mistico, an-che in modo visibile e ordinario, mediante ilsuo vicario in terra”: mediante il suo Vica-rio, non mediante il collegio episcopale.Nella sua enciclica sull’unità della ChiesaSatis cognitum, che meriterebbe d’essere ci-tata per intero, Leone XIII scrisse tra l’altro:“Deve dunque Gesù Cristo aver preposto al-la Chiesa un sommo reggitore a cui tutta lamoltitudine dei cristiani sia sottomessa e ob-bedisca. (…) Quale sia poi questo potere, acui debbono tutti i cristiani debbono obbedi-re, non si può altrimenti determinare che do-po aver esaminata e conosciuta la volontà diCristo. (…) prima di privare la Chiesa dellasua corporale presenza gli fu necessario de-stinare qualcuno che in suo luogo ne avessecura. Quindi disse a Pietro prima dell’ascen-sione: pasci le mie pecore. Gesù Cristo quin-di diede alla Chiesa per sommo reggitorePietro (…). E infatti fece quell’insigne pro-messa a Pietro, e a nessun altro: Tu sei Pie-tro e su questa pietra io edificherò la mia

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Chiesa (Mt 16, 18). (…)”. Passando a tratta-re dei rapporti tra il Papa e i Vescovi, LeoneXIII aggiunge: “Come è necessario che l’au-torità di Pietro si perpetui nel Vescovo di Ro-ma, così i vescovi, come successori degliApostoli, ne ereditano l’ordinaria potestà, equindi l’ordine episcopale necessariamentetocca l’intima costituzione della Chiesa. (…)Pertanto è bene avvertire che niente fu confe-rito agli apostoli separatamente da Pietro,ma molte cose a Pietro separatamente dagliApostoli. (…) ‘Se la condiscendenza divinavolle che alcuna cosa fosse a lui comune conaltri principi (apostoli) non concedette senon per lui [quindi l’autorità del Vescovoviene da Pietro, non direttamente da Dio,n.d.a.] quello che non negò agli altri. …Avendo da solo ricevuto molte cose, nullapassò al alcuno senza la suapartecipazione’ (San Leone magno). (…) Ècosa contraria alla verità e apertamente ripu-gna alla costituzione divina il dire che i sin-goli Vescovi sono soggetti alla giurisdizionedei Papi, e non già tutto il corpo episcopale;perché tutta la ragion d’essere del fondamen-to sta nel dare a tutto l’edificio, piuttosto chea singole sue parti, unità e saldezza. Chel’ovile avrà forse da reggere e guidare il pa-store? Forse i successori degli apostoli, unitiin corpo, saranno il fondamento su cui il suc-cessore di Pietro si appoggi per avere fer-mezza? Chi possiede le chiavi del regno deiCieli, non ha soltanto potere e autorità soprale singole regioni, ma su tutte insieme; e comeciascun Vescovo nella sua diocesi presiedecon vera potestà non solo ai singoli individui,ma a tutta la comunità, così pure i Papi, il cuipotere abbraccia tutta la cristianità, hannosoggette e obbedienti alla loro autorità tutte leparti di questa, anche insieme raccolte. CristoSignore, come già si disse ripetutamente, con-cesse a Pietro e ai suoi successori che fosserosuoi vicari, che esercitassero perpetuamente

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nella Chiesa quel potere che Egli aveva eser-citato nella sua vita mortale. Si dirà forse cheil collegio apostolico sia stato superiore alsuo maestro?”. Il Papa quindi sta al collegioepiscopale come Cristo al collegio apostoli-co: è evidente che il Primato papale escludeche il collegio episcopale sia un soggetto sta-bile del pieno potere sulla Chiesa. Si obiet-terà però che anche nel codice di diritto ca-nonico del 1917, il Concilio ecumenico haquesto potere supremo sulla Chiesa univer-sale: “Concilium Oecumenicum supremapollet in universam Ecclesiam potestatem”(can. 228 § 1). Ed infatti Leone XIII prose-gue dimostrando come il Concilio dipendain tutto dal Papa (49). Già fa notare l’abbéDulac che il codice dice che il Concilio “pol-let” “è dotato” della suprema potestà, men-tre il Papa “habet” “ha” il primato di giuri-sdizione su tutta la Chiesa (can. 218 § 1).Poiché non saprei dir meglio, lascio la paro-la al Dulac (50), che riassume i canoni 222-229 del codice del 1917:

“1° Non ci può essere concilio ecumeni-co senza la convocazione del Romano Pon-tefice [can. 222 § 1].

2° È lui che presiede il Concilio [can.222 § 2].

3° I decreti del Concilio hanno forza ob-bligatoria definitiva solo se sono confermatida lui e promulgati su suo ordine [can. 227].

4° In questo senso, il Concilio è dotato(pollet) del potere supremo sulla Chiesa uni-versale [can. 228 § 1].

Per essere rettamente comprese questequattro proposizioni devono essere riferite alPrimato del Successore di Pietro, il quale nonè solo una preminenza d’onore, quella di unprimus inter pares, ma di giurisdizione. Percui: la convocazione non è solamente un invi-to a riunirsi, ma un atto di autorità che crea unobbligo e fonda la situazione giuridica chemette il Corpo episcopale nella condizione au-tentica di assemblea conciliare ecumenica. Lapresidenza dà al Papa la prima dignità nellesedute e il suffragio principale ma anche, inol-tre, il potere di fissare il metodo di lavoro, l’or-dine del giorno, e trasferire, sospendere, scio-gliere il Concilio [can. 222 § 2]. Poiché l’attodi presiedere non comporta l’esercizio definiti-vo e ultimo del potere sovrano, il Papa puòpresiedere personalmente, o mediante dei le-gati da lui designati. Ben diverso è il caso dellaconferma dei decreti conciliari. In questo casosi tratta di un atto che mette in opera il potere

Don Dulac (a sinistra) tra i padri del Cœtus

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supremo, il quale non può essere delegato: laconferma, che da alle decisioni del Conciliol’irreformabilità e un valore per la Chiesa uni-versale, non può essere che un atto personaledel Papa. E ciò ci conduce a ben precisare ilsenso del can. 228 § 1 del Codice di diritto Ca-nonico: ‘Concilium Oecumenicum supremapollet in universam Ecclesiam potestatem’, ilche significa esattamente: il Concilio Ecumeni-co è dotato del potere supremo sulla Chiesauniversale. Il can. 218 § 1, che enuncia il pote-re del Papa, dichiara d’altra parte: ‘RomanusPontifex … habet… supremam… potestatem’,vale a dire: ‘Il Romano Pontefice ha il poteresupremo…’. In simile materia, i termini stessidevono essere religiosamente scelti, conservatie applicati”. Ci sono allora due poteri supre-mi nella Chiesa, anche secondo l’ecclesiolo-gia pre-conciliare, quello del Papa e quellodel Concilio? Questa tesi trova ostacolo nelfatto che per divina costituzione la Chiesa èun regime monarchico (anche se J. Ratzingernon si perita di negarlo) (51): “A questa dottri-na così chiara delle Sacre Scritture, com’è statasempre intesa dalla Chiesa cattolica, si oppon-gono apertamente le false opinioni di coloroche, pervertendo la forma di governo istitui-ta da Cristo Signore nella sua Chiesa, nega-no che il solo Pietro abbia ricevuto un vero eproprio primato da Cristo a preferenza deglialtri apostoli, sia presi singolarmente che tut-ti assieme…” (Pastor æternus, cap. I, DS3054). Per Dulac, quindi, “distinguere duesoggetti depositari del potere supremo sarebbecontrario al dogma del Primato del PonteficeRomano. Bisogna infatti distinguere in un po-tere sovrano, quale che sia, l’essenza e l’eserci-zio. Nella sua essenza la sovranità è incomu-nicabile e indivisibile, quale che sia il regimein cui si realizza fosse anche democratico oaristocratico. Solo l’esercizio per potere supre-mo può essere condiviso o partecipato (…).Queste nozioni che dipendono da un’analisidella metafisica del diritto pubblico hanno,per il potere ecclesiastico, la loro applicazionepositiva e una conferma sovrannaturale nellaRivelazione: edificando la sua Chiesa su Si-mon Pietro, dando prima a lui solo le chiavidel Regno dei Cieli, istituendolo Pastore unicodel Gregge, dandogli la grazia propria di con-fermare i fratelli, Gesù Cristo ha voluto chenella sua Chiesa il potere supremo fosse unpotere monarchico. Se in seguito dà ai DodiciApostoli riuniti e, dopo di essi, ai Vescovi –che sono in un certo senso (solo in un certo

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senso) i loro successori – una parte dei poteri,dei carismi e della missione già dati a Pietroda solo, questa nuova istituzione non modificala prima: se uno solo ha ricevuto un potere‘pieno’, quello degli altri non può essere che‘non pieno’ (…)” (p. 11). Dulac (p. 12) citapoi il Padre gesuita Domenico Palmieri, teo-logo al celebre Collegio Romano: “I Vescovi,sia presi uno a uno separatamente, sia consi-derati tutti assieme, non hanno di per se e im-mediatamente da Dio il potere di legiferareper la Chiesa universale, ma possono averlosolo dal Pontefice Romano che li convoca disua propria autorità. Per istituzione di Cristonon vi è un doppio supremo potere nellaChiesa, ossia non vi è un doppio soggetto del-la suprema potestà…; infatti la suprema pote-stà altra non è che quella del Primato, e unicoè il suo soggetto, ovvero il Romano Pontefi-ce… Cristo ha concesso la giurisdizione uni-versale in maniera immediata solo al capo, eper mezzo del capo la comunica al corpo cheagisce simultaneamente in concorso col caponell’esercizio della giurisdizione universale”(De Romano Pontefice, tesi XXVIII, Roma1877). Per l’abbé Dulac questa dottrina è solouna “inferenza immediata del dogma del Pri-mato” ed “è indipendente dalla questione, li-bera e ancora dibattuta (52), concernente l’ori-gine della giurisdizione strettamente diocesanadi ogni Vescovo. Essa tratta solo, in effetti,della giurisdizione sovra-diocesana e, più spe-cialmente, della giurisdizione ecumenica [cioèsulla Chiesa universale]” (p. 12). Che il Con-cilio non sia depositario stabile del potere su-premo è poi dimostrato dal fatto che esso èassolutamente occasionale nella Chiesa: si so-no dovuti attendere tre secoli per veder cele-brato il primo Concilio ecumenico, e ne sonopassati altri tre tra quello di Trento ed il Vati-cano I; “l’idea di istituzioni permanenti chegovernino collegialmente la Chiesa universale(…) è sconosciuta nei duemila anni della suastoria. (…) i Concili ecumenici non sono ne-cessari alla vita ordinaria della Chiesa (53). Ilprogetto di una periodicità regolare e obbliga-toria nella loro celebrazione non è mai stataadottata validamente” (Dulac, l.c., p. 21). Fuquesta la pretesa dei conciliaristi (i sostenitoridella superiorità del Concilio sul Papa) a Co-stanza, il che provocò pochi anni più tardi lariapertura del grande scisma a Basilea. Sareb-be questa la pretesa dei neo-conciliaristi deinostri tempi che vorrebbero trasformare il Si-nodo dei Vescovi (istituzione post-conciliare

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per attuare la collegialità) (54) da consultivo adeliberativo, facendo la Chiesa un regimeparlamentare.

Quanto esponeva l’abbé Dulac duranteil Concilio, altro non è che l’eco dell’inse-gnamento della Chiesa. Ritorniamo a LeoneXIII, nel suo comparare il Primato papale el’autorità dell’insieme dei Vescovi: “la Chie-sa non cessò mai in alcun tempo di ricono-scere e di attestare questo potere [del Papa]di cui parliamo sopra il corpo episcopale, po-tere sì chiaramente indicato dalla SacraScrittura. (…) Il potere del Vescovo di Romaè supremo, universale, indipendente, mentrequello dei Vescovi è ristretto entro certi confi-ni, e non è del tutto indipendente”. Il Conci-lio Vaticano I, solennemente e dogmatica-mente, definì questo Primato papale sopratutti i Vescovi anche nel loro insieme, conqueste parole: “se qualcuno dirà che il Ro-mano Pontefice ha solo un compito di vigi-lanza o di direzione, e non, invece, un pienoe supremo potere di giurisdizione su tutta laChiesa, non solo in materia di fede e di co-stumi, ma anche in ciò che riguarda la disci-plina e il governo della Chiesa universale; oche egli ha solo la parte più importante, e nonla completa pienezza di questo potere; o cheesso non è ordinario e immediato su tutte eciascuna delle chiese, come su tutti e ciascu-no dei singoli pastori e fedeli: sia anatema”(Pastor aeternus, can. 3, DS 3064). Il Prima-to è personale, non collegiale! E la supremaautorità di cui è dotato il collegio radunatoin Concilio dipende e deriva pertanto – co-me ancora ricordava nel 1964 il futuro cardi-nal Ciappi durante la ‘battaglia’ sulla colle-gialità – dalla piena potestà del Papa! (55)

La Nota esplicativa prævia: la Collegialità èpotata, ma non è sradicata

Abbiamo visto finora, alla luce del Pri-mato di San Pietro e dei suoi successori, co-me non si possa affermare, come fa un Mel-loni ad esempio, che il collegio dei Vescovigoverna col Papa la Chiesa universale.

A quanto da me finora scritto, si potreb-be obbiettare che il Vaticano II non si sognaneppure di dichiarare che il collegio dei Ve-scovi governa la Chiesa col Papa a parità.Lumen gentium, infatti, dichiara che “il Col-legio o corpo episcopale non ha però auto-rità se non lo si concepisce insieme con ilPontefice Romano, successore di Pietro,

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quale suo capo, ed integra restando la suapotestà di Primato su tutti, sia Pastori che fe-deli” (n. 22). Nonostante queste parole ras-sicuranti, il testo di Lumen gentium restavacosì ambiguo, ed era anzi da molti aperta-mente interpretato in un senso che compro-metteva il Primato (56), che moltissimi Padriconciliari insorsero, e pretesero una corre-zione del testo in questione, “per non porrein pericolo la pienezza della Potestà del Ro-mano Pontefice”: così si esprime la “notaesplicativa previa” che fu il frutto e il risul-tato di questo drammatico intervento. Eprima di ricordare la storia dei fatti, mi pre-me sottolineare come è veramente inauditoche un testo “conciliare”, e dei più impor-tanti (una costituzione dogmatica) abbiaavuto bisogno di una nota esplicativa che neevitasse interpretazioni contrarie a un dog-ma di Fede quale quello del Primato!

Tra i tanti che hanno scritto della cosid-detta (dai progressisti) “settimana nera” delnovembre 1964, alla quale appartiene anchel’episodio della “Nota”, Padre Wiltgen (57) cidà il punto di vista della “minoranza” conci-liare che si opponeva al capitolo III di Lu-men gentium, mentre Joseph Komonchak eLuis Antonio G. Tagle, nella storia del Con-cilio Vaticano II curata da Alberigo (58) cidanno invece il punto di vista della cosiddet-ta “maggioranza” favorevole alla collegia-lità. Non mancano poi le pubblicazioni in-centrate sui singoli Padri o periti conciliari,come su Congar, Siri, Ruffini ecc. (59), o icommenti dei teologi (per Ratzinger vediEpiscopato e primato, pag. 172-186).

Il 30 ottobre 1963 i Padri del Concilioprocedettero a una prima votazione sullacollegialità episcopale, che vide la vittoriadei progressisti (60): è in questa occasioneche il Padre Yves Congar, già soggetto amisure disciplinari sotto Pio XII e divenutoperito conciliare con Giovanni XXIII, di-chiarò: “La Chiesa ha fatto, pacificamente,la sua Rivoluzione d’Ottobre” (61). Controquesta Rivoluzione d’Ottobre, i prelati fe-deli alla dottrina tradizionale della Chiesa,comunemente insegnata fino al Concilio,non rimasero con le mani in mano. Da apri-le a luglio del 1964, si susseguono gli studi egli interventi di eminenti teologi (Staffa,Lattanzi, Ciappi, Lio, Dulac, Berto…) con-tro la collegialità ed in favore del primatopapale (62); negli ambienti progressisti si te-me allora che Paolo VI, il quale ha già pro-

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posto alcune correzioni al testo, si lasci im-paurire da accuse di eterodossia (63). A que-sto punto, giunge sul tavolo di Paolo VI, ilgiorno prima dell’inizio del terzo periododel Concilio, (e quindi il 13 settembre), undocumento promosso dal cardinal Larrao-na. Il dattiloscritto di 11 pagine si intitola“Nota personalmente riservata al Santo Pa-dre sullo Schema constitutionis de Ecclesia(11-12 settembre 1964)”. Il documento, unvero atto d’accusa contro quella che è defi-nita “una dottrina nuova”, ed è sottoscrittoda 25 cardinali, un Patriarca e 13 superioridi Congregazioni religiose, primo firmata-rio il cardinal Ruffini (64). La critica allanuova dottrina della collegialità era radica-le. A malincuore, mi limito a citare solo ipassi più significativi. “…Lo schema - scri-ve la Nota - cambia il volto della Chiesa; ineffetti:

1° La Chiesa diventa da monarchia, epi-scopaliana e collegiale, e questo per dirittodivino e in virtù della consacrazione episco-pale;

2° il Primato resta intaccato e svuotato:poiché, non fondandosi esso su un Sacra-

mento (come invece è per la potestà di unVescovo), si è logicamente portati a riteneretutti i Vescovi uguali, in forza del Sacramen-to comune, e si è condotti anche a credere edire che il Vescovo di Roma è soltanto unprimus inter pares;

perché esso, Primato, è quasi unicamenteconsiderato in funzione estrinseca della solagerarchia, servendo soltanto per mantenerlaunita e indivisa;

perché in parecchi passi dello Schema (…)il Pontefice non è presentato come la pietrasulla quale poggia tutta la Chiesa di Cristo(Gerarchia e popolo); non è descritto comeil Vicario di Cristo che deve confermare epascere i fratelli; non è presentato come co-lui che ha, solo, il potere delle chiavi… mariveste purtroppo la figura poco simpaticadel gendarme che frena il diritto divino deiVescovi, successori degli apostoli. (…)

3° La disciplina, e con essa la dottrinaconciliare e pontificia, sono intaccate dallaconfusione tra Potere d’ordine e Potere digiurisdizione (…)

4° La Gerarchia di giurisdizione, inquanto distinta dalla Gerarchia d’ordine –che il testo afferma più e più volte essere didiritto divino – è scossa e distrutta. In effetti,se si ammette che la consacrazione episcopa-

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le, essendo sacramento d’ordine, porta con senon solo i poteri d’ordine (…) ma anche didiritto divino e formalmente tutti i poteri digiurisdizione, di magistero e di governo, nonsolo nella chiesa propria ma anche nellaChiesa universale, è evidente che la distinzio-ne tra potere d’ordine e potere di giurisdizio-ne, tra gerarchia d’ordine e di giurisdizione,diventa artificiale (…). E tutto ciò mentre – losi noti bene – tutte le fonti, le dichiarazionidottrinali solenni del Concilio di Trento oposteriori, la disciplina fondamentale, procla-mano che queste distinzioni sono di dirittodivino. La distinzione tra Potere e Gerarchiad’ordine o di giurisdizione è oggettivamentescossa anche se si cerca di stabilire dei ‘ba-stioni’ (molto ingenui tuttavia) per salvareapparentemente il Primato, o almeno quelche viene chiamato Primato, vale a dire ilPrimato convenzionale di cui parla una partedella dottrina moderna ripetendo quasi ad lit-teram dei testi deplorevoli già condannati.Perché diciamo ‘per salvare apparentementeil Primato’? Perché, anche ammettendo labuona fede più sincera e le intenzioni miglio-ri di difendere il Primato autentico da partedi coloro che hanno proposto o accettatoquesti ‘bastioni’ o imitazioni, altri al contra-rio, che danno al Primato un senso diversoconsiderandolo puramente come vincoloesteriore di unità, la conseguenza logica sarà:se il diritto divino dell’episcopato derivantedal sacramento dell’ordine conferisce il pote-re attuale e formale di giurisdizione, questosegue necessariamente le norme del sacra-mento dell’ordine episcopale da cui deriva edè dunque sempre valido nel suo esercizio. IlPrimato, al contrario, che non viene da unsacramento, potrà al massimo rendere illecitol’uso della giurisdizione (65). E non sarà la so-la né l’unica conseguenza. Basti pensare alleripercussioni sulla così desiderata unione coifratelli separati orientali: questa sarà logica-mente concepita secondo le loro idee, e quin-di senza la piena accettazione delle conse-guenze del Primato. (…)

8° Prima di proporre una soluzione pra-tica, come frutto delle considerazioni prece-denti, ci permettiamo di aggiungere una ri-flessione di ordine teologico e storico digran rilievo: se la dottrina proposta nelloschema fosse vera, la Chiesa avrebbe vissutoper dei secoli in opposizione col diritto divi-no; da ciò si dedurrebbe che durante dei se-coli i suoi organi supremi ‘infallibili’ non sa-

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rebbero stati tali, poiché avrebbero insegna-to e agito in opposizione al diritto divino.Gli ortodossi e in parte i protestanti avreb-bero pertanto avuto ragione nei loro attacchial Primato”. I firmatari chiedevano a PaoloVI di intervenire personalmente e rinviaresine die la votazione dello schema messocosì duramente in discussione. Altri prelatiintervennero contro la nuova dottrina dellacollegialità (i cardinali Micara, Browne, Si-ri…) e Mons. Staffa chiese invano, il 15 set-tembre, a nome di 70 Padri conciliari, comerichiesto dal regolamento, la riapertura deldibattito per mettere in discussione i puntivotati il 30 ottobre. All’approssimarsi dellenuove votazioni (che ebbero luogo dal 21 al30 settembre) l’arcivescovo di Spalato Fra-nic presentò una relazione contro lo sche-ma, mentre il cardinal Larraona scrissenuovamente a Paolo VI, ribadendo quantodetto precedentemente:

“L’approvazione da parte del SommoPontefice di un simile schema – anche se vifosse la maggioranza voluta – ci sembrerebbeimpossibile. La dottrina in esso contenuta –pur con tutte le riserve che si è cercato di por-vi – non può fare altro che sconcertareprofondamente e causare delle tremende crisiin seno alla parte più solida e più fida sia deiteologi che del popolo, specie nei paesi di tra-dizione cattolica; non ci si può nasconderecome già si affacci alla mente di molti il tre-mendo dubbio: se la Chiesa giungesse ad am-mettere la dottrina proposta, essa rinneghe-rebbe il suo passato e la dottrina finora tenu-ta, si autoaccuserebbe di aver fallito e di averagito per secoli contro il diritto divino” (66).

È tutto il dramma del Concilio!Le votazioni di settembre avevano dato

42 non placet e ben 572 placet iuxtamodum: lo schema era “passato” ma anco-ra si dovevano esaminare gli emendamenti

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(i “modi”) così numerosi. Gli interventi sirinnovarono: il 22 ottobre una lettera diMons. Dante (anche lui futuro cardinale), il25 di padre Ciappi (idem), il 28 una nuovalettera del Cardinal Larraona in risposta al-la replica, molto dura, che Paolo VI avevainviato il 18 ottobre, il 5 novembre una mis-siva del card. Ruffini (67); il 7 novembre so-no 107 i Padri che chiedono un intervento,sotto la guida di Mons. Staffa e di Mons.Carli (68). Fu così che Paolo VI, che a tutti icosti voleva evitare il rifiuto della collegia-lità da parte di una porzione dell’episcopa-to, rifiuto che avrebbe potuto condurre ilConcilio al fallimento (69), si decise a inter-venire personalmente, dando a Mons. Phili-ps, uno dei principali autori dello schemasulla collegialità, il compito di stilare unanota interpretativa agli emendamenti pro-posti al testo, e pertanto interpretativa deltesto stesso di Lumen gentium: sarà la notaesplicativa previa, annessa agli atti concilia-ri, e comunicata al Concilio sbalordito il 16novembre.

Quali furono gli effetti della Nota? In-nanzitutto essa ridusse ai minimi terminil’opposizione alla collegialità; i cardinali Sirie Ruffini vi scorsero un intervento provvi-denziale in extremis dello Spirito Santo epersino secondo il biografo di Mons. Lefeb-vre, Mons. Tissier de Mallerais, la Nota ren-deva accettabile Lumen gentium (70).Quest’interpretazione sembra confermata –a contrario – dall’indignazione dei progressi-sti: de Lubac, Dossetti, Ratzinger invitano avotare contro Lumen gentium perché rifiuta-no la dottrina della Nota prævia e l’interven-to non collegiale di Paolo VI (la Nota è im-posta dall’alto, dall’Autorità superiore, co-me invocato dal cardinal Larraona, senza al-cuna discussione o votazione in aula) (cf Al-berigo, vol. 4, 468-469), mentre Padre Con-gar si rende conto che si tratta di una mini-ma concessione per strappare ai “romani”l’accettazione della collegialità; è questa an-che l’interpretazione della scuola di Alberi-go: la dottrina sulla collegialità è salva, non èstata sostanzialmente mutata dalla Nota.

Ed in effetti, è così. Non che la Nota –che è composta di quattro punti e un “notabene” - non proceda a una bella “potatura”della collegialità… Essa riprende, tra l’al-tro, alcuni argomenti degli avversari dellacollegialità: “‘Collegio’ non si intende insenso ‘strettamente giuridico’, cioè di un

Il teologo (pro-gressista)

Yves Congar

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gruppo di eguali, i quali abbiano demanda-to la loro autorità al loro preside…”. Perquesto accanto a ‘collegio’ si usano anche itermini di ‘Ordine’ o ‘Corpo’ episcopale,che non implicano eguaglianza.

Il collegio dei vescovi non è successoredel collegio degli apostoli nei loro poteristraordinari. Nella relazione Pietro-Apo-stoli e Papa-Vescovi non c’è uguaglianzama solo proporzionalità.

Il vescovo consacrato non ha il potere digiurisdizione “libero all’esercizio”. Per po-tere esercitare “tale libera potestà, deve ac-cedere la canonica o giuridica determinazio-ne”, ovvero l’intervento del Papa per daredei sudditi al vescovo, e questo “per naturarei”, cioè essenzialmente, e non solo peruno sviluppo storico.

Il Papa mantiene “integro l’ufficio di Vi-cario di Cristo e pastore della Chiesa univer-sale”.

“Siccome il Romano Pontefice è il ‘Ca-po’ del Collegio può da solo fare alcuni attiche non competono in nessun modo ai Ve-scovi (…) Al giudizio del Sommo Pontefice,cui è affidata la cura di tutto il gregge di Cri-sto spetta, secondo le necessità della Chiesa,che variano nel corso dei secoli, determinareil modo nel quale questa cura deve essere at-tuata, sia in modo personale, sia in modocollegiale. Il Sommo Pontefice nell’ordina-re, promuovere, approvare l’esercizio colle-giale, procede secondo la propria discrezio-ne, avendo di mira il bene della Chiesa”.

Mentre il Papa “può esercitare la sua po-testà in ogni tempo a suo piacimento”, il col-legio dei vescovi invece non agisce perma-nentemente in modo strettamente collegiale,ma solo ad intervalli (LG dà due modi diesercizio: il Concilio ecumenico, e l’azionedell’episcopato disperso – “magistero ordina-rio universale” (71) – quando il Papa chiama ivescovi a un’azione collegiale, o la approva).

Infine, nel N.B., si ricorda che senza la“comunione gerarchica” i poteri ricevutinella consacrazione non possono essereesercitati (si parla degli orientali dissidenti).

La Nota esplicativa previa ha dunquesalvato l’ortodossia dottrinale? Notiamo in-nanzi tutto che non mancano gli autori (lostesso card. Parente!) per i quali la Nota,non essendo stata votata dai Padri, non èun atto conciliare e non può influire sul te-sto di LG che, al contrario, è stato votato.Anche dando alla Nota tutto il suo valore,

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resta il fatto che l’essenza della collegialitàè mantenuta.

La Nota previa riafferma difatti:- Che esiste sempre (N.E.P. 4), per dirit-

to divino, un Collegio episcopale in quanto“gruppo stabile” (N.E.P. 1).

- Che “uno diventa membro del Collegioin virtù della consacrazione episcopale”(N.E.P. 2).

- Che “nella consacrazione è data una‘ontologica’ [cioè dal punto di vista dell’es-sere, anche se non ancora dell’agire, n.d.a.]partecipazione dei ‘sacri’ uffici [munerum],come indubbiamente consta dalla Tradizio-ne, anche liturgica” (N.E.P. 2). Questi ufficisono quelli di santificare, insegnare e go-vernare con autorità.

- Che questo Collegio stabile (punto 1)è anche esso soggetto di suprema e pienapotestà sulla Chiesa universale” (N.E.P. 3)

- Che pertanto sembrano esservi due sog-getti, benché inadeguatamente distinti, dellasomma e piena potestà nella Chiesa (“il Ro-mano Pontefice separatamente e il RomanoPontefice insieme con i Vescovi”) (N.E.P. 3)

- Che gli “Orientali separati” che hannoricevuto dalla loro valida consacrazione epi-scopale “l’ufficio sacramentale ontologico”(non solo il potere d’ordine, quindi, ma an-che quello di insegnare e governare, seppu-re non in modo “canonico-giuridico” perchémanca loro la missione canonica da partedel Papa) non possono esercitarlo. Tuttaviasi lascia aperta la discussione per sapere sequesto esercizio che avviene di fatto è vali-do e perfino lecito! (“La Commissione hapensato bene di non dover entrare in que-stioni di liceità e validità, le quali sono lascia-te alle discussioni dei teologi, specialmenteper ciò che riguarda la potestà che di fatto èesercitata presso gli orientali separati e dellacui spiegazione vi sono varie sentenze”N.E.P., Nota bene). Joseph Ratzinger, cheera preoccupato soprattutto da questa clau-sola finale, ha poi sostenuto che il N.B. sideve interpretare alla luce dei decreti sulleChiese orientali cattoliche e sull’ecumeni-smo, che avrebbero deciso la questione la-sciata in sospeso dalla N.E.P. (72).

Tutti i punti sopra elencati erano scono-sciuti all’insegnamento della Chiesa fino alConcilio, e anzi si oppongono in vario mo-do all’insegnamento e al diritto precedente.Vediamo i punti in questione, seguendol’ordine che ho dato precedentemente:

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1 e 4) Prima del Vaticano II si è sempreinsegnato che l’insieme dei Vescovi è dota-to di “suprema potestà sulla Chiesa univer-sale” (can. 228 § 1) solo se essi sono riunitiin Concilio ecumenico, e quindi non in mo-do stabile, sempre esistente, di diritto divi-no, ma in modo occasionale, per convoca-zione papale. Se esiste quindi stabilmenteun corpo o collegio episcopale, esso non èdotato di suprema potestà, ed i Vescovi agi-scono ordinariamente non in modo colle-giale, ma personale, nell’esercizio del loroepiscopato monarchico sulla loro diocesi.

5) Era opinione più comune che il sog-getto della piena potestà è solo il Papa invirtù del Primato e della costituzione mo-narchica della Chiesa, e che il Concilio par-tecipava solo della potestà del Papa (difatti,il Concilio non ha alcun valore, se non èconvocato e confermato dal Papa).

2) Nel corpo episcopale non si entra afar parte con la consacrazione episcopalema mediante la giurisdizione (il vescovoconsacrato è vescovo solo quanto al potered’ordine).

3) E difatti nella consacrazione episco-pale non è data una “partecipazione ontolo-gica dei sacri uffici” ma solo la pienezza delpotere d’ordine. È questo l’insegnamentodel magistero, lo abbiamo visto (Pio VI,Leone XIII, Pio XII) che condanna la tesiopposta ormai non più sostenibile. In que-sto, mi sento di sottoscrivere all’osservazio-ne fatta dal Card. Ruffini a Paolo VI nellasua lettera del 5 novembre 1964: “Colgol’occasione per manifestare il mio più vivorincrescimento nel rilevare che non si consi-dera quasi affatto il Magistero Ordinariodella Chiesa e non si tiene abbastanza contodelle Encicliche Papali e delle CostituzioniApostoliche. Per es. si dà ormai per scontatoche i Vescovi ricevano la giurisdizione conla consacrazione; invece nel costante inse-gnamento della Chiesa e nei documentiPontifici si afferma che il potere episcopaledi governo, pur essendo radicato nella con-sacrazione, viene conferito dal Sommo Pon-tefice. Ora, se passasse la nuova dottrina [edè passata n.d.a.] verrebbe senza dubbio gra-vemente lesa l’autorità degli insegnamentiimpartiti dal Supremo Pastore della Chiesa,anche in atti solenni” (73). La Nota previa sirende conto della difficoltà poiché scrive: “idocumenti recenti dei Romani Pontefici cir-ca la giurisdizione dei Vescovi si devono in-

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terpretare di questa necessaria determinazio-ne della potestà” (N.E.P., 2 in fine). Ma inrealtà i documenti dei Romani Ponteficinon sono interpretabili in questo senso: ledue tesi erano ben conosciute e discusse trai teologi, ed i Papi hanno chiaramente pre-so posizione per una tesi contro l’altra, ov-vero contro quella difesa dal Concilio. Èvero che nella consacrazione è data acci-dentalmente una “giurisdizione” attitudina-le o radicale (74); ma detta “giurisdizione” èsolamente un’attitudine o una quasi-esigen-za (quasi, perché non è necessariamentesoddisfatta) a ricevere la giurisdizione coipoteri di insegnare e governare: il VaticanoII invece afferma che questi poteri esistonodi già, indipendentemente dal Papa, in virtùdella sola consacrazione, (anche se spetta alPapa dare una diocesi o dei sudditi in parti-colare, cosa che nessuno contestava) e dàloro, se non ci sono impedimenti canonici,di appartenere al collegio episcopale, sog-getto del sommo potere nella Chiesa! Ladifferenza tra la tesi tradizionale (la consa-crazione dà solo una “giurisdizione” radica-le o attitudinale, ovvero il fatto che normal-mente ma non necessariamente il vescovoconsacrato avrà una diocesi), e quella dellanota previa (la consacrazione dà un potereontologico ai sacri uffici) sembra una que-stione di lana caprina, un bizantinismo inu-tile, ed invece da questa differenza traun’attitudine ad una realtà che non si pos-siede e il possesso di questa realtà c’è tuttala differenza che esiste tra la potenza e l’at-to (seppur atto primo, quanto all’essere, enon ancora atto secondo, quanto all’agire).E difatti la differenza si vede chiaramentenelle conseguenze di queste due diversedottrine: in un caso il Vescovo consacrato èprivo di qualunque potere che non sia quel-lo di ordinare e cresimare, nell’altra conce-zione il Vescovo consacrato è membro didiritto divino del collegio episcopale sog-getto abituale del supremo potere sullaChiesa universale: una bella differenza, nonc’è che dire!

E come ultima conseguenza di questoattribuire al Vescovo consacrato il poteredi governare e insegnare, se ne deduce ilfatto che anche i Vescovi scismaticid’Oriente potrebbero porre degli atti di go-verno e di insegnamento validi e persino le-citi: il Concilio questo non lo esclude… Percui le chiese separate d’Oriente sarebbero

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vere chiese e perfino chiese sorelle, ove vie-ne esercitata l’apostolicità, e alle qualimanca non la comunione ma solo la “pienacomunione” col Romano Pontefice.

I Vescovi “conservatori” sono così riu-sciti a correggere in senso ortodosso moltiaspetti della dottrina della collegialità, manon sono riusciti ad estirparne fino in fon-do l’errore. Anzi, la nota esplicativa previaè servita ad ottenere l’assenso quasi unani-me dei Padri, dopo di che si sarebbe potutorimettere la Nota comodamente in un cas-setto, giacché essa non appartiene alla co-stituzione dogmatica Lumen gentium vota-ta in Concilio. In questo (ripeto: in questo)il consiglio dato a suo tempo dall’abbé deNantes (75) a proposito dello schema sullalibertà religiosa sarebbe stato da seguireanche in questo caso: invece di proporreemendamenti che correggevano ma nonestirpavano l’errore, rendendolo più sottilee insidioso, i Vescovi cattolici avrebberodovuto rigettare gli schemi anche solo co-me base di discussione, chiedere la condan-na degli errori ed eventualmente abbando-nare il Concilio: era l’unica cosa veramentetemuta dai novatori, ed era l’unico compor-tamento pienamente conforme alle esigen-ze della professione della Fede.

“I portatori di una storia sbagliata” (G.Card. Siri)

Non si potrebbe capire appieno il dibat-tito sulla collegialità in Concilio (e dopo)facendo astrazione dalla storia della Chiesae, purtroppo, da quella delle eresie. All’ini-zio del Vaticano II (10 ottobre 1962), il car-dinal Siri scriveva nel suo diario: “In questoConcilio (…) la croce – se così si può dire –verrà come di solito dalle aree francesi-tede-sche e rispettivo sottobosco, perché nonhanno mai eliminato del tutto la pressioneprotestantica e la Prammatica Sanzione.Bravissima gente, ma non sanno di essere iportatori di una storia sbagliata” (76). Que-sta storia sbagliata è quella di un errore, diuna tendenza costante, che possiamo chia-mare episcopalismo. Con Dulac, possiamodefinire così questa tendenza: “chiamiamoteoria episcopaliana quella che esagera, a di-versi livelli, il potere dei Vescovi a scapitodella monarchia pontificia” (77). “A diversilivelli”… In alcuni casi, estremi, essa ha ori-ginato “chiese” separate, come per lo sci-

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sma d’Oriente (1054) che dà vita a “chiese”autocefale e sinodali, o come per lo scismaanglicano (la cui “chiesa”, negli Stati Uniti,si chiama appunto “episcopaliana”), o la“Chiesa costituzionale” ai tempi della Ri-voluzione Francese. In tutti questi casil’unità, che non è più assicurata dal Primatodi Pietro, è stata rimpiazzata dal poteretemporale, dell’Imperatore, del Re o delloStato repubblicano. Anche quando non èmesso a capo della Chiesa, il potere tempo-rale è sempre difeso dalle teorie episcopa-liane contro “la Curia Romana” e le sue“pretese”: così nel gallicanesimo, nel giu-seppinismo, nel regalismo… mentre èosteggiato ciò che rappresenta il potere pa-pale: a volte si tratta dei religiosi esenti, avolte dei Nunzi apostolici, a volte è la CuriaRomana, specialmente il Sant’Offizio a nonessere gradita agli zelanti difensori del po-tere episcopale “usurpato” da Roma. InOccidente, l’origine di questa tendenzaaffonda nel medioevo: col ghibellinismo diMarsilio da Padova, Occam, Jean de Jan-dun; coi legisti di Filippo il Bello; coi dotto-ri della Sorbona alla fine XIV sec. (Corra-do di Gelnhausen ed Enrico di Langen-stein). Il Grande Scisma d’Occidente fini-sce col canonizzare il Conciliarismo a Co-stanza (il Concilio dei Vescovi, rappresen-tante la Chiesa universale, sarebbe superio-re al Papa). La Prammatica Sanzione diBourges (alla quale allude il cardinal Siri),voluta da Re Carlo VII (1438) e ratificatadal Concilio ormai scismatico di Basileal’anno dopo, conferma il conciliarismo e ilGallicanesimo, ancora riaffermato sottoLuigi XIV nelle famose quattro proposizio-ni del Clero gallicano del 1682 (DS 2281ss). Belgio, Olanda, Germania, sono in-fluenzati dal Protestantesimo e da quel mi-sto tra protestantesimo e cattolicesimo chefurono le eresie di Baio e Giansenio, comepure dal giusnaturalismo protestante diGrozio e Pufendorf. Nascono così gli errori

I cardinali Ruffini

(a sinistra) e Larraona

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episcopaliani del giansenista regalista Ze-gher Bernhard van Espen (1646-1728) e diGiovanni Nicola von Hontheim (1701-1790), meglio noto con lo pseudonimo diGiustino Febronio, Vescovo Ausiliario diTreviri, ispiratore della politica ecclesiasti-ca di Giuseppe II e Leopoldo II, nonchédel conciliabolo del Vescovo di Prato e Pi-stoia Scipione de’ Ricci, vescovo gianseni-sta, febroniano, illuminista, futuro giacobi-no, condannato dalla Bolla Auctorem fideidi Pio VI. Basta rileggere gli scritti di questiemeriti autori e di tanti loro epigoni perrendersi conto di come il Vaticano II sia lo-ro debitore (non solo nell’ecclesiologia, maanche nella liturgia: si rileggano Quesnel eScipione de Ricci, ad esempio!). QuandoAlberigo, durante il dibattito conciliare sul-la collegialità, volle trovare degli antenatialle sue teorie episcopaliane, dovette accu-ratamente evitare un ritratto di famiglia fintroppo compromettente, almeno dopo ilConcilio Vaticano I. Scovò dunque dueteologi settecenteschi che qualificò col beltitolo di “romani”, difensori cioè del Prima-to: Martin Gerbert von Hornau (1720-1793) abate di Saint Blasien, e l’ex gesuitaGiovanni Vincenzo Bolgeni (1733-1811). Ilprimo, amico di Febronio benché più mo-derato di lui, difende, ovviamente, la tesisecondo la quale la giurisdizione del Vesco-vo viene dalla consacrazione, nega la mo-narchia papale, invoca un ritorno al primomillennio della Chiesa, insegna infine che –essendoci conflitto tra Papa e Concilio – sidovrebbe preferire il Concilio (come a ma-lincuore – perché qui casca l’asino – riferi-sce lo stesso Alberigo a p. 249). Lo riesu-merà il teologo ecumenista Mölher (p.252). Bolgeni, come Martin Gerbert, sostie-ne che la consacrazione dà al Vescovo nonsolo la giurisdizione diocesana, ma ancheuna giurisdizione universale per governarela Chiesa col Papa e sotto di lui (è già lacollegialità). Eppure Bolgeni era “roma-no”, romanissimo (era difatti anti-gianseni-sta)… peccato che Alberigo non dica come,giunti a Roma i Giacobini, il suo teologoromano ebbe la debolezza di scrivere in di-fesa del giuramento civico di odio alla mo-narchia imposto dalla Repubblica Romana(e il monarca in questione, che era il Papa,non ne fu affatto contento!). Una sua operapostuma (Dei limiti delle due potestà, eccle-siastica e civile) fu messa all’Indice nel

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1850. La poca autorità di tali antenati ren-deva la loro tesi sulla collegialità ben diffi-cile da sostenere, al punto che gli autorevo-li canonisti Wernz e Vidal – al seguito diBouix e Palmieri – confutavano l’opinionedi Bolgeni come dottrina nuova, dottrinagià riprovata quanto all’origine della giuri-sdizione episcopale, ed infine dottrina chenon si può conciliare con la pienezza dellapotestà del Romano Pontefice (cf la criticadi Alberigo, pp. 445-454).

Certo, non sarebbe corretto attribuire aLumen gentium gli errori di tanti autori finqui citati: in mezzo ci fu il Vaticano I con ladefinizione del Primato e la condanna, pun-tigliosa, del gallicanesimo, condanna che hareso impossibile il ripetere, tali e quali, er-rori ormai proscritti. Ma, secondo la testi-monianza di Congar e Chenu, il Vaticano IIvolle riequilibrare il Vaticano I: da qui il re-cupero di tutti quegli argomenti episcopa-liani di cui ho già parlato. E dopo la colle-gialità, s’intravede, ulteriormente, la “rifor-ma del Primato”.

Il Primato papale, principale ostacoloall’ecumenismo, ed il suo superamento: daFebronio a “Ut unum sint”

Nel 1763, a Francoforte, venne pubblica-to un libro che avrebbe suscitato infinite po-lemiche: esso si intitolava: Iustini Febroniiiurisconsulti de statu Ecclesiæ deque legitimapotestate Romani Pontificis liber singularisad reuniendos dissidentes in religione consti-tutus. Giustino Febronio, lo abbiamo visto,era lo pseudonimo del Vescovo tedesco vonHontheim (per lo pseudonimo si ispirò alnome e al soprannome della zia suora!); l’ar-gomento era la costituzione della Chiesa e ilpotere papale, e il fine era… la riunione deicristiani! (78) “Scopo del libro, proclamatonel titolo, è di promuovere il ritorno dei cri-stiani separati all’unità della Chiesa”. Perraggiungere lo scopo, Febronio “manifestal’intento di trasformare la costituzione dellaChiesa, svuotando l’autorità di capo del Ro-mano Pontefice. Già la prefazione ne rivela ilcarattere. È infatti, un appello allo stesso pa-pa, e poi ai principi, ai vescovi, ai teologi ecanonisti, perché siano posti limiti al poterepapale nella Chiesa, alterata dal ‘sistema del-la monarchia ecclesiastica’. (…) L’istituzionedel primato non è negata, però è interpretatain modo da dimostrare che non a San Pietro,

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ma a tutti gli Apostoli, e quindi alla Chiesa,Cristo avrebbe dato il primato. Il papa, per-tanto, ha nella Chiesa una vera autorità, nonun semplice primato d’onore, ma neppure unprimato di giurisdizione (l’espressione è for-temente combattuta da Hontheim): è il ‘cen-tro dell’unità della Chiesa’, fa osservare la le-gislazione ecclesiastica (‘vindice dei canoni’)ed esercita limitati poteri di giudice e maestrodella Chiesa. Tali sarebbero gli ‘essenziali di-ritti del primato’ e tale sarebbe stata, secondoHontheim, la costituzione della Chiesa finoal secolo IX…” quando “vennero dati al pa-pa nuovi diritti in usurpazione dei diritti deivescovi” (79). Passano i secoli, ed eccoci alVaticano II, col quale il movimento ecume-nico, condannato dall’enciclica Mortaliumanimos di Pio XI, è considerato invece “irre-versibile”. Ad esso, lo ricordò Paolo VI nel1967 (80), fa ostacolo il Primato del Papa.Giovanni Paolo II – in un certo qual modocome Febronio nel 1763 – propone ai noncattolici una revisione dell’esercizio del pri-mato papale (Ut unum sint, ‘enciclica’ del 25maggio 1995). Prende le mosse, innanzi tut-to, dalla collegialità: “Tutto questo si deveperò compiere sempre nella comunione.Quando la Chiesa cattolica afferma che lafunzione del Vescovo di Roma risponde allavolontà di Cristo, essa non separa questa fun-zione dalla missione affidata all’insieme deiVescovi (…). Il Vescovo di Roma appartieneal loro ‘collegio’ ed essi sono i suoi fratelli nelministero” (n. 95). Giovanni Paolo II dichia-ra allora – in chiave ecumenica – la sua di-sponibilità a trovare un nuovo modo di eser-citare il primato: “Sono convinto di avere aquesto riguardo una responsabilità particola-re, soprattutto nel constatare l’aspirazioneecumenica della maggior parte delle Comu-nità cristiane e ascoltando la domanda che miè rivolta di trovare una forma di esercizio delprimato che, pur non rinunciando in nessunmodo all’essenziale della sua missione, siapra ad una situazione nuova” (ivi). Il mo-dello è quello del primo millennio (ibidem).Ma non basta: sono gli stessi eretici e scisma-tici che dovranno aiutare “il vescovo di Ro-ma” a trovare questa forma nuova di prima-to: “Compito immane, che non possiamo ri-fiutare e che non posso portare a termine dasolo. La comunione reale, sebbene imperfet-ta, che esiste tra tutti noi, non potrebbe indur-re i responsabili ecclesiali e i loro teologi adinstaurare con me e su questo argomento un

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dialogo fraterno, paziente, nel quale potrem-mo ascoltarci al di là di sterili polemiche,avendo a mente soltanto la volontà di Cristoper la sua Chiesa, lasciandoci trafiggere dalsuo grido “siano anch’essi una cosa sola, per-ché il mondo creda che tu mi hai mandato”(Gv 17,21)?” (n. 96). Le ‘encicliche’ Orienta-le lumen e Ut unum sint hanno già dato i pri-mi frutti. Su Sodalitium (n. 45/1997, editoria-le) riprendevo la notizia che 30 Giorni davacon entusiasmo (n. 2/1997): 25 vescovi mel-chiti cattolici chiedevano a Costantinopoli dirientrare nella sua comunione (senza sepa-rarsi da Roma) con l’accordo del PatriarcaMaximos V e di Giovanni Paolo II: “Abbia-mo solo preso sul serio alcuni passaggi dellelettere papali Orientale lumen e Ut unumsint” dichiarò il Patriarca aggiungendo:“Non si può pensare di proporre agli orto-dossi come pre-condizione all’unità la discus-sione su tutto ciò che i Concili della Chiesad’Occidente hanno definito nel secondo mil-lennio, inclusa l’infallibilità del Papa”.

Chi non vuol riconoscere nella Ut unumsint di Giovanni Paolo II un’eco lontana diFebronio, potrà vederci una realizzazionedelle aspirazioni del primo Küng, il qualedopo aver difeso la collegialità (“Cristo nonha affidato la sua Chiesa a Pietro da solo,ma a tutto il collegio episcopale”) evocavaanch’egli, nel 1963, mentre era esperto alVaticano II, una rinuncia a un certo eserci-zio del Primato: “Una cosa è certa: per sop-primere la divisione delle chiese, sarannochiesti dei sacrifici a tutti gli interessati (poi-ché tutti sono colpevoli), incluso al ministe-ro di Pietro” (81).

Quale sarà l’attitudine di Joseph Rat-zinger, ora che ha preso il nome di Bene-detto XVI? Colui che fu uno dei massimipropugnatori al Concilio della collegialità,in quanto esperto del card. Frings, colui chenel 1966 scrisse con Karl Rahner (espertodel card. König) “Episcopato e primato”(Morcelliana, 1966), saprà attuare almenouna revisione della collegialità, oppuremetterà in pratica la revisione del Primato?Il primo discorso dopo l’elezione, l’abban-dono – anche nelle insegne papali – dellaTiara, simbolo della monarchia papale, so-stituita da mitria e pallio episcopali, la ri-presa del dialogo ecumenico con l’Orientecon piena soddisfazione di Mosca, il piùvolte ribadito auspicio di un ritorno al “pri-mo millennio”, fanno pensare che non si

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siano ingannati Hans Küng e LeonardoBoff nel sottolineare lo spirito “collegiali-sta” di Benedetto XVI. Ben lungi quindidall’idea di un Ratzinger che corregge ilConcilio, propagandato da alcuni conserva-tori e “tradizionalisti”…

L’ermeneutica del Vaticano II. Interpreta-re, correggere, condannare il “Concilio”

Il discorso di Benedetto XVI alla Curiaromana e ad altri prelati in occasione degliauguri natalizi (22 dicembre 2005, Osserva-tore Romano, 23/12/05, pp. 1 e 4-6) mette inevidenza un tema già caro al cardinale Rat-zinger, quello della ricezione del VaticanoII e di una sua retta ermeneutica (interpre-tazione). Per commemorare i quarant’annidel Vaticano II, Benedetto XVI ha presospunto dalle parole con le quali San Basiliodescriveva la situazione della Chiesa dopoil primo Concilio di Nicea (e la crisi aria-na): “Il grido rauco di coloro che per la di-scordia si ergono l’uno contro l’altro, lechiacchiere incomprensibili, il rumore con-fuso dei clamori ininterrotti ha riempito or-mai quasi tutta la Chiesa falsando per ecces-so o per difetto la dottrina della fede…”.Nessuna novità: i guai del post-concilio era-no già stati denunciati nell’“Inchiesta sullafede” (Messori) e persino da Paolo VI (ri-masero celebri le espressioni “fumo di Sata-na nel tempio di Dio” e “autodemolizionedella Chiesa”). Ma come Paolo VI, e séstesso da cardinale, Benedetto XVI non in-colpa di questa crisi innegabile il Concilio ei suoi testi, ma i sostenitori della ermeneuti-ca dello “spirito del Concilio” opposto aitesti del Concilio: “Da una parte esisteun’ermeneutica della discontinuità e dellarottura; essa non di rado si è potuta avvaleredella simpatia dei mass-media e anche diuna parte della teologia moderna. (…) L’er-

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meneutica della discontinuità rischia di fini-re in una rottura tra Chiesa preconciliare eChiesa postconciliare. Essa asserisce che itesti del Concilio come tali non sarebberoancora la vera espressione dello spirito delConcilio. Sarebbero il risultato di compro-messi [cosa, questa, indubitabile, come ab-biamo visto con la genesi della ‘Nota espli-cativa previa’, ad esempio, n.d.a.] nei quali,per raggiungere l’unanimità, si è dovuto an-cora trascinarsi dietro e riconfermare moltecose vecchie ormai inutili. (…) In una paro-la: occorrerebbe seguire non i testi del Con-cilio, ma il suo spirito”. Benedetto XVIcondanna radicalmente questa tesi (che pu-re fu anche un po’ la sua durante il Vatica-no II), in quanto è teologicamente inconce-pibile cambiare “la costituzione essenzialedella Chiesa” che “viene dal Signore”. Por-terebbe invece dei frutti eccellenti “l’erme-neutica della riforma, del rinnovamento nel-la continuità” dell’unica Chiesa, ermeneuti-ca che fu di Giovanni XXIII e Paolo VI. Ladottrina resta la stessa, ma è rinnovata acausa di un nuovo rapporto vitale col mon-do di oggi, con “l’età moderna”. La “secon-da fase”, la “fase radicale della rivoluzionefrancese” e lo scientismo positivista che nonlasciava spazio a Dio hanno suscitatonell’Ottocento (Pio IX) “da parte dellaChiesa aspre e radicali condanne di tale spi-rito dell’età moderna” [in realtà la Chiesacondannò non solo “lo spirito dell’età mo-derna”, ma degli errori ben precisi, incom-patibili con la dottrina cattolica]. Lo scon-tro, insomma, era da entrambe le parti[Chiesa e mondo moderno]. Ma ecco checambiano, da entrambe le parti, le circo-stanze, specie nell’ultimo dopoguerra. I“laici” riscoprono il modello americano(“la rivoluzione americana aveva offerto unmodello di Stato moderno diverso da quelloteorizzato dalle tendenze radicali emersenella seconda fase della rivoluzione france-se”) e (allusione a Popper) i limiti dellescienze naturali. I cattolici (leggi: i democri-stiani e i cattolici liberali) realizzano uno“Stato moderno laico” che “non è neutro ri-guardo ai valori, ma vive attingendo allegrandi fonti etiche aperte dal cristianesimo”.Fin qui non si direbbe di leggere un discor-so pontificio (infatti!!!) ma piuttosto unaconferenza del presidente del senato Mar-cello Pera nella seconda fase del suo pen-siero (fase “teo-con”). Il Vaticano II, quin-

Il cardinal Staffa

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di, preso atto di questi cambiamenti (la ri-costruzione storica è un po’ anacronistica:gli anni ‘60 non sono gli anni ’80, pazien-za…) avrebbe innovato nella continuità. In-novato, perché, lo ammette Ratzinger, “po-teva emergere una qualche forma di discon-tinuità e che, in un certo senso, si era mani-festata di fatto una discontinuità…”; manella continuità, poiché malgrado questa“discontinuità”, c’è una continuità “neiprincipi” “che facilmente sfugge alla primapercezione”. Qui Ratzinger, come suo co-stume (lo abbiamo visto nella riabilitazionedi Rosmini ecc.) pratica una tripla opera-zione per salvare la continuità tra dottrinacattolica (preconciliare) e Vaticano II. Pri-mo: distinguere tra ciò che era essenzialenella dottrina precedente, e ciò che era“contingente e mutevole”. Secondo: stori-cizzare: le condanne della Chiesa nel passa-to erano dovute a una situazione che nonesiste più, sono ormai senza oggetto. Terzo:il “ressourcement” congariano: così facendola Chiesa non tradisce, anzi, ritorna allefonti, all’essenziale (82), ai principi più anti-chi e tradizionali. Benedetto XVI applicaquesto “gioco di prestigio” alla dichiarazio-ne sulla libertà religiosa Dignitatis humanæ(83) e a quella sui rapporti col giudaismoNostra ætate, ma vale per tutte le innova-zioni conciliari: abbiamo visto come per ladottrina sull’episcopato le innovazioni con-tro il magistero fanno appello alla “tradi-zione” “specialmente liturgica” dei primisecoli (interpretata dagli esperti odierni,ovviamente), oscurata nel corso dei secoli

dalla scolastica, dal feudalesimo, dalla con-troriforma ecc. ecc.

L’ermeneutica della continuità ratzinge-riana si rivela pertanto un’ermeneutica del-la discontinuità camuffata, e pertanto inac-cettabile, proprio per il principio da lui di-feso a ragione, e cioè che la fede, la dottri-na, la Chiesa, vengono dal Signore e sonopertanto immutabili.

Il discorso di Benedetto XVI dimostracomunque, se mai ce ne fosse stato bisogno,come a quarant’anni dalla chiusura del Vati-cano II sussista nella Chiesa una crisi e unadifficoltà interpretativa che ha avuto originenel Concilio. Giovanni Paolo II propose laformula del Concilio “alla luce della Tradi-zione”. Ma è proprio alla luce della Tradi-zione che il Concilio si dimostra in rotturacon la dottrina della Chiesa. Per quel che ri-guarda il capitolo III di Lumen gentium og-getto di questo articolo ci fu già un tentativodi leggere il Concilio (il cap. III ancora davotare) alla luce della Tradizione: la notaesplicativa previa. Mi sembra che, oggettiva-mente, questo tentativo fu insufficiente.Non mancarono invece gli autori i quali, do-po il Concilio, interpretarono la nota espli-cativa previa in senso… tradizionale, pre-tendendo che essa correggeva essenzialmen-te Lumen gentium e condannava la collegia-lità votata in aula, invece, il 30 ottobre. Hosotto gli occhi gli scritti dell’abbé Berto, diPadre Gagnebet o.p. (esperto concilare), diMons. Spadafora (già docente alla Latera-nense) (84); altri non mancano certamente.In questi studi, gli esimi autori affermanoche la Nota afferma la dottrina tradizionale,e ciò particolarmente nei due punti nei qualiinvece – a mio parere – non lo fa. Essa riaf-fermerebbe che il soggetto del potere supre-mo nella Chiesa è solo il Papa, e che questilo comunica, quando vuole, all’insieme deiVescovi, e che la giurisdizione nel Vescovoconsacrato è solo attitudinale e radicale, maiattuale. Questa è la dottrina tradizionale,ma non è quella di LG, neppure nella Notaprevia. Ma se così fosse, se la Nota previadicesse questo, ed in questo senso si dovesseinterpretare Lumen gentium, allora vera-mente LG sarebbe interpretabile e interpre-tata in continuità con la dottrina della Chie-sa. Se veramente gli occupanti la Sede diPietro volessero procedere ad un’autentica“ermeneutica di continuità”, a un’interpre-tazione del Concilio in continuità con la

Il cardinale Ruffini, Arcivescovo di Palermo

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Tradizione, avrebbero in questi studi unesempio da seguire e imitare. Certo, questavia richiederà alla fine una chiarificazione aproposito dei testi stessi del Concilio originedelle difficoltà “ermeneutiche”. Mi sembrache – in un passaggio ulteriore – la via daimitare sarebbe quella tracciata della Aucto-rem fidei con la quale Pio VI condannò ilConcilio di Pistoia; in questa CostituzioneApostolica il Papa presentava i passi conci-liari erronei dando poi una diversa censuraa seconda dei vari significati dei quali questipassi erano suscettibili. Anche il Vaticano IIpotrebbe passare così – almeno in alcunesue affermazioni – al vaglio del magisteroper stabilire in che senso e fino a che puntodeterminate proposizioni sono suscettibili diun’interpretazione, di una correzione e an-che – bisogna dirlo – di una condanna. Se in-vece “l’ermeneutica della continuità” sarà difatto, com’è adesso, uno strumento per in-terpretare la Tradizione alla luce del Conci-lio e non viceversa, ovvero per scartare dalladottrina della Chiesa (come “contingente”)quello che è stato contraddetto dal Concilio,allora la fede ci costringe a dire, oggi comeieri, il nostro non possumus.

Note

1) Non furono mai consacrati Vescovi: Stefano II(752) ed Adriano V (1276); quest’ultimo – semplicediacono – non fu nemmeno mai ordinato sacerdote. Seper Stefano si discute della legittimità, non così perAdriano.

2) Si veda, in particolar modo, l’eccellente articolodi DON CURZIO NITOGLIA: Il “magistero” del ConcilioVaticano II. Secondo errore sulla natura della Chiesa:la Collegialità, in Sodalitium, n. 23 (1990), pp. 12-17,ove in poche pagine è trattato il tema della collegialitàcon rigore, chiarezza e competenza.

3) “Il Sommo Pontefice ottiene la potestà piena esuprema sulla Chiesa con l’elezione legittima, da lui ac-cettata, insieme con la consacrazione episcopale. Diconseguenza l’eletto al Sommo Pontificato che sia giàinsignito del carattere episcopale ottiene tale potestà dalmomento dell’accettazione. Che se l’eletto fosse privodel carattere episcopale, sia immediatamente ordinatoVescovo”.

4) Citato in R. DULAC, D’une direction collégiale del’Eglise? In La Pensée catholique, n. 73, 1961, p. 21. Sultema vedi K. RAHNER e J. RATZINGER Episcopato e pri-mato, Morcelliana Brescia 1966. Dei quattro contributial volume, tre sono stati scritti prima del Concilio espri-mendo il voto di completare (e sotto sotto modificare)il Vaticano I. L’orientamento dei due teologi tedeschi“si è pienamente confermato in Concilio (…). Le lororisposte coincidono in tutto l’essenziale con quella delConcilio” (premessa all’edizione italiana, pag. 9). Sulrapporto tra Vaticano I e Vaticano II, mentre P. Con-gar (vedi nota 17) parla della necessità di riequilibrare il

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Vaticano I, Ratzinger preferisce parlare di completa-mento. Egli stesso però non ignora che il Vaticano I, in-terrotto nel 1870 si apprestava a condannare la seguen-te proposizione: “Se qualcuno dicesse che la Chiesa nonè una società perfetta, ma un collegio... sia anatema”(pag. 146, nota 2). È evidente che il Vaticano II più checompletare ha alterato il Vaticano I.

5) R. DULAC, (Le pouvoir pontifical, les Conciles etles assemblées épiscopales non conciliaires in La Pen-sée catholique, n. 87, 1963, p. 39, nota II) rileva comesia tradizionale nel magistero (fino a Giovanni XXIIIincluso) l’antitesi tra la “pienezza del potere” chespetta al Pontefice Romano e la partecipazione allasollecitudine per la Chiesa universale attribuita agli al-tri Vescovi, ciascuno per la sua porzione di gregge (cfProfessione di fede di Michele Paleologo, Concilio diFirenze).

6) Lettera di San Pio X Ex quo, nono sugli erroridegli Orientali: “con falsità non minore si insinua lapersuasione che la Chiesa Cattolica non è stata nei pri-mi secoli un governo di uno solo, cioè una monarchia,o che il primato della Chiesa romana non si fonda sunessun valido argomento” (DS 3555).

7) Si noti come sia per la “sacramentalità dell’epi-scopato”, sia per l’origine della giurisdizione episcopa-le, il Vaticano II non possa invocare a sostegno dellapropria posizione la sentenza comune del magistero odei teologi. Esso si rifà quindi solo alla tradizione li-turgica (poi demolita quanto al rito latino dalle rifor-me postconciliari, d’altra parte) la quale per sua natu-ra non concerne direttamente l’insegnamento ed è fa-cilmente suscettibile di varie interpretazioni. Così, ilruolo di governo e di insegnamento che la liturgia at-tribuisce in qualche modo al Vescovo può benissimointendersi di quella direzione delle anime proprio alsacerdozio, nell’ambito del potere santificare. Ancheintesi come espressione dell’esercizio della giurisdizio-ne, i riti liturgici possono spiegarsi col fatto che nor-malmente (ma non necessariamente) il Vescovo con-sacrato ha un gregge da governare.

8) Tutti sanno che questa è la dottrina del VaticanoII… o meglio, quasi tutti! Recentemente un Comitatointernazionale di Ricerca scientifica sull’origine e la va-lidità di Pontificalis Romani (della cui scientificità sidubita immediatamente giacché, traducendo in ben seilingue, compreso il russo, il nome del Comitato, sonocompiuti errori grossolani: in italiano ci sono ben seierrori su 13 parole!) ha pubblicato un libro intitolatoRore Sanctifica (Éditions Saint-Remy, 2005) sull’ “in-validità della consacrazione episcopale di PontificalisRomani promulgato da Giovanni Baptista (sic!) Mon-tini – Paolo VI- il 18 luglio 1968”. Alle pagg. 15-16 deltomo I (prima edizione francese) dell’opera, che sivuole sedevacantista e intransigente avversaria delVaticano II – sta scritto a caratteri cubitali, per bendue volte: “La consacrazione episcopale è un sacra-mento (de fide)”, per cui, aggiunge il Comitato scienti-fico, “la Consacrazione episcopale effettuata valida-mente imprime un carattere sacramentale indelebile eproprio a questo Summum Sacerdotis…”(sic!). Il “Co-mitato scientifico” ignora certamente di difendere, epersino dare un valore di fede, ad un punto dottrinaleimportante del Vaticano II! Questo ed altri incredibilisvarioni tolgono ogni credibilità alla serietà dell’auto-proclamato “Comitato scientifico”, e ci dispiace, per-ché in Rore sanctifica si trovano poi documenti inte-ressanti certamente utili per approfondire un tema di

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vitale importanza per la Chiesa, quello cioè dell’invali-dità del nuovo rito di consacrazione episcopale.

9) Dopo il Concilio, alcuni tomisti, in questo casopiù fedeli alla persona che al pensiero del Maestro,hanno cercato di dimostrare che san Tommaso, inrealtà, difendeva di già la dottrina conciliare sull’epi-scopato. Rispondendo a padre Ramirez (e al suo Deepiscopato ut sacramento deque Episcoporum collegio,Salamanca, 1966), Padre Centi, che pure abbraccia ladottrina conciliare, ammette chiaramente che tutt’al-tra è la posizione dell’Aquinate (Somma Teologica,ed. Salani, poi Ed. Studio Domenicano, vol. 30, intro-duzione, nn; 7-10, e note all’articolo 5 della q. 40).

10) Così ad esempio il canonico René Berthod CR(1916-1996), dottore in teologia proprio con una tesisull’episcopato (1946) ora ripubblicata in Le sel de laterre, n. 29, pp. 48-61. Il canonico Berthod, che fu di-scepolo di P. Ramirez a Friburgo diresse il seminariodi Ecône fino al 1977.

11) F. RICOSSA, Le consacrazioni episcopali nellasituazione attuale della Chiesa, Centro Librario Sodali-tium, Verrua Savoia, specialmente alle pp. 35-43. Inqueste pagine approfondisco la risposta che si devedare alla tesi conciliare sull’origine della giurisdizioneepiscopale. L’essenza dell’episcopato (la sua parte co-stitutiva) consiste nella pienezza del sacerdozio. Acci-dente proprio (che deriva dall’essenza) è l’attitudineprossima o quasi-esigenza alla giurisdizione attuale (èquesta la parte completiva o perfettiva dell’episcopa-to). La giurisdizione attuale, che il Concilio attribuisceall’essenza e fa derivare dalla consacrazione, è inveceun accidente contingente che viene dalla missione ca-nonica da parte del Papa. Su questo punto la Notaprevia alla costituzione dogmatica Lumen gentium siallontana dalla dottrina tradizionale.

12) Testo latino e traduzione francese in Pour lasainte Èglise romaine. Textes et documents de V.A.Berto prêtre, Éditions du Cèdre/Dominique MartinMorin, 1976, pp. 307-309; 317-319.

13) FRERE FRANÇOIS DE MARIE DES ANGES, Pourl’Eglise. Quarante ans de Contre-Réforme Catholique,tome II, Dans l’oeil du ciclone (1963-1969), CRC,Saint-Parres-lès-Vaudes, 1993, pp. 24-28.

14) Testo e commento in Le sel de la terre, n. 29,pp. 37-38, che traduce dagli Acta et Documenta Conci-lio Œcumenico Vaticano II apparando (Tipografia po-liglotta vaticana).

15) Cf Consacrer des Évêques?, supplemento al n. 3(gennaio-febbraio 1986) di Sous la bannière, nota 10.Pubblicato recentemente dal C.L.S. nel “Il problemadell’autorità e dell’episcopato nella Chiesa” con testi diMons. Guérard des Lauriers, Verrua Savoia 2005.

16) J. Ratzinger, Elementi di teologia fondamentale.Saggi sulla fede e sul ministero, Morcelliana, Brescia,1986, pp. 147-150.

17) “A partire dalla riforma detta gregoriana, cheha segnato una svolta decisiva nell’ecclesiologia cattoli-ca ormai ridotta alla sua parte latina, la Chiesa sembra-va come una sorta di deduzione o espansione della suatesta romana. (…) Ora, uno degli scopi del Vaticano IIera di completare e, pertanto, equilibrare il Vaticano I,formulando una teologia dell’episcopato, sia come cor-po o collegio, sia come elemento formale delle Chieseparticolari” (Y. Congar, Le Concile de Vatican II. SonEglise, Peuple de Dieu et Corps du Christ”, Beauche-sne, Paris, 1984, pp. 14-15). Quindi, per il “card.” Con-gar, Vaticano I era “squilibrato”…

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18) La critica alla distinzione tra potere d’ordine epotere di giurisdizione inizia negli anni ’30: cf G. AL-BERIGO, Lo sviluppo della dottrina sui poteri nellaChiesa universale, Herder, 1964, pp. 69-74. Alberigo,che scrive in periodo conciliare, parteggia per la nega-zione della distinzione (dottrina, questa, da lui definita“tradizionale”), distinzione che sarebbe stata inventa-ta dai canonisti (decretalisti) medioevali e poi ripresadai teologi scolastici.

19) Anche se per Alberigo (Lo sviluppo…op. cit.,p. 23, nota 30) che dà loro ragione, erano mossi piutto-sto da un “episcopalismo anticentralista”. Ratzinger indipendenza esplicita da Alberigo, cita solo dei prelatogallo-ispani per esporre il pensiero dei padri del Con-cilio di Trento (Episcopato e primato, pagg. 175-176).

20) R.P. JAIME LAYNEZ S.J., Disputationes triden-tinæ, t. 1, De origine jurisdictionis episcoporum. Il di-scorso di Diego Jaime Lainez sulle origini della giuri-sdizione episcopale è riportato anche dal CARD. PIE-TRO SFORZA PALLAVICINO in Storia del Concilio diTrento (1656, libro XVIII, c. 15), scritto in risposta allaStoria del Concilio Tridentino (Londra, 1619) di PIE-TRO SOAVE POLANO, Anagramma del religioso servitascomunicato Paolo Sarpi veneto. Inutile dire che Sarpiparteggiava per la tesi dell’origine divina immediatadell’episcopato (libro VII, c. III, vol. III).

21) R. Dulac, in La Pensée catholique, n. 73, 1961,pp. 41-42.

22) Cf R.P. H. MONTROUZIER S.J., Origine de la juri-diction épiscopale, in Revue des sciences écclesiastiques,Amiens-Paris, 24 (1871), pp. 539-561; 15 (1872) pp. 5-20; 3° articolo: pp. 165-186; 4° articolo: pp. 265-288; 5°articolo: pp. 393-413. Vedi il primo articolo, p. 542.

23) Cf GAETANO MORONI, Dizionario di erudizio-ne storico-ecclesistica, Venezia, 1843, vol. 21, coll. 269-275, voce Ems. I prelati tedeschi erano influenzati dal-la dottrina del Febronio: ne riparleremo.

24) MONTROUZIER, op. cit., 1° articolo, pag. 543.25) Ibidem, pp. 543-544.26) Enciclopedia Cattolica, Città del Vaticano,

1953, vol. X, col. 18, voce Primato di san Pietro e delRomano Pontefice, a cura di MONS. ANTONIO PIO-LANTI.

27) Difendono la nostra tesi, tra gli altri, oltre alleautorità già citate: S. ANTONINO DI FIRENZE, De Sum-mo Pontifice, c. 3; S. ROBERTO BELLARMINO, De Ro-mano Pontifice, IV, c. 24 ss.; SUAREZ, De legibus, l. IV,c. 4, n. 5 s, e Defensio fidei, IV, 9-26; R.C. Billuart o.p..(“la loro autorità [quella dei vescovi] viene immediata-mente da Dio quanto all’Ordine, ma solamente in ma-niera mediata quanto alla Giurisdizione”, SummaSummæ, vol. 3, pp. 366-367); LUDOVICUS CARD. BIL-LOT, De Ecclesia Christi, Roma, 1927, tesi 26, p. 563;FELIX CAPPELLO S.J., Summa iuris publici ecclesiastici,Roma, 1954, n. 140, pp. 117-118; ALAPHRIDUS CARD.

Padre Timoteo Zapelenas.j. insegnava alla Pontifi-cia Universita Gregoriana

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OTTAVIANI, Institutiones iuris publici ecclesiastici, Cittàdel Vaticano, 1958, I, n.219, p. 368; R. NAZ, Traité dedroit canonique, Paris, 1946, I, 621, p. 429 (“opinionplus commune”); TIMOTHEUS ZAPELENA s.j., De Eccle-sia Christi, Roma, 1954, II, Tesi XV, specialmente laparte II, pp. 105-115; VALENTINUS ZUBIZARRETA o.c.d.,Theologia dogmatico-scholastica, Vitoria, 1948, I, 530(“probabilior ac nostro judicio tenenda” e cita Cava-gnis per cui la tesi è communem et hodie certam). Hotrovato particolarmente chiara l’esposizione che ne fail cardinal Camillo Mazzella in De Religione et Eccle-sia, V ed., Roma, 1896, nn. 1001-1013, pp. 782-794.

28) Insegnamenti Pontifici, La Chiesa, I, 63.29) ZAPELENA, De Ecclesia Christi, op. cit., p. 112.30) ALAPHRIDUS. CARD. OTTAVIANI, Institutiones

iuris publici ecclesiastici, Città del Vaticano, 1958, I, n.219, p. 368. Per Benedetto XIV la nostra tesi è “rationiet auctoritati conformior”. “Rationi”, perché la Chiesaè un regime monarchico. “Auctoritati”, perché essa sifonda sulle parole di Innocenzo I, di S. Leone Magno,di S. Tommaso, di S. Bonaventura, di S. Roberto Bel-larmino, di Vargas, Suarez e Fagnano, tutti citati daBenedetto XIV (l.c.).

31) “Niente fu conferito agli Apostoli indipendente-mente da Pietro, ma molte cose sono state conferite aPietro isolatamente e indipendentemente dagli Aposto-li. (…) Al contrario, tutto quello che gli Apostoli hannoricevuto, quanto agli uffici e all’autorità, l’hanno ricevu-to assieme a Pietro. ‘Se la divina bontà ha voluto che glialtri Principi della Chiesa avessero qualche cosa in co-mune con Pietro, ciò che non ha rifiutato agli altri nonlo ha mai dato altrimenti che per mezzo di lui: num-quam nisi per ipsum dedit, quidquid aliis non negavit’(San Leone Magno, sermo IV, cap. 2) ‘Avendo da soloricevuto molte cose, nulla passò ad alcuno senza la suapartecipazione’ (ibidem)” (Leone XIII).

32) Sul valore delle encicliche, Pio XII ha scritto:“Né si deve ritenere che gli insegnamenti delle encicli-che non richiedano, per sé, il nostro assenso, col prete-sto che i pontefici non vi esercitano il potere del loromagistero supremo. Infatti, questi insegnamenti sonodel magistero ordinario, di cui valgono pure le parole:Chi ascolta voi ascolta me (Lc 10, 16); e per lo più,quanto viene proposto e inculcato nelle encicliche, è giàper altre ragioni patrimonio della dottrina cattolica. Sepoi i Sommi Pontefici nei loro atti emanano di proposi-to una sentenza in materia finora controversa, è eviden-te per tutti che tale questione, secondo l’intenzione e lavolontà degli stessi Pontefici, non può più costituire og-getto di libera discussione fra i teologi” (Enciclica Hu-mani generis, del 12 agosto 1950, EE 720). È esatta-mente il caso della questione dell’origine della giuri-sdizione episcopale, che non è più oggetto di libera di-scussione tra i teologi dopo l’intervento, ripetuto e co-stante, del magistero ordinario.

33) Insegnamenti Pontifici, La Chiesa, n. 1574.34) All’autorità di Pio XII potremmo aggiungere -

almeno come argomento ad hominem - quella di Gio-vanni XXIII che si esprime similmente [cf AAS 54(1962) pp. 167 s]. Vedere anche Pio XII, discorso “Gra-ditissima in mezzo” del 17 febbraio 1942, in I.P. 991.

35) Cf Sodalitium, n. 45, pp. 22-23.36) Sul valore di questa tesi, prima di Pio XII, già

scriveva il canonista Wernz, citato da Zapelena (op. cit.,p. 106): “Questa tesi può essere ormai detta certa e in-dubbia, mentre la tesi contraria, difesa sempre e ancheai nostri tempi da pochi teologi e canonisti (se si eccet-

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tuano i Gallicani) con debili argomenti conserva a mala-pena una certa solida probabilità. Per cui c’è da stupirsinel vedere alcuni scrittori recenti patrocinare questaopinione improbabile, ormai desueta, e la cui causa è di-sperata”. In seguito, dopo gli interventi di Pio XII, il car-dinal Ottaviani ha scritto “Attualmente... deve essereconsiderata, a causa delle parole di Pio XII, come asso-lutamente certa:… sententia hucusque considerata pro-babilior, immo communis, nunc autem ut omnino certahabenda ex verbis Summi Pontificis Pii XII, secundumquam potestas in Episcopis a Romano Pontifice imme-diate promanat” (A. CARD. OTTAVIANI, op. cit., p. 368).

37) Questa distinzione è invece chiaramente espo-sta dai cardinali Piolanti e Parente: «Per divina istitu-zione la sacra gerarchia è composta, in ragione dell’or-dine, di Vescovi, presbiteri e ministri; in ragione dellagiurisdizione, del supremo pontificato e dell’episcopatosubordinato” (can. 108 § 3). “La potestà ecclesiastica”quindi, scrivono Mons. Parente e Mons. Piolanti,“si di-vide in potestà di ordine e di giurisdizione”. In entram-be, figurano, a titoli diversi, i Vescovi, che uniscono cosìin sé stessi le due potestà. Tuttavia, “le due gerarchiesono realmente distinte, sebbene strette da mutua rela-zione”. Scrivevo nel 1992: “Ciò che è realmente unito(in mutua relazione) ma realmente distinto può, in casinon normali, essere eccezionalmente separato”; è quan-to accade, a volte, anche nell’episcopato. “I Vescovi at-traverso la consacrazione (...) sono elevati all’apice delsacerdozio cristiano (...) in virtù del quale sono insignitidella somma potestà di ordine, che implica il potere dicresimare e di ordinare (cf Conc. Trid., sess. 23, can. 6-7, DB 966-967). Il potere di giurisdizione, invece, checomprende la duplice facoltà di insegnare e di governa-re, viene loro trasmessso con la missio canonica, che èun atto giuridico che direttamente o indirettamente pro-mana dal Papa...” (PIETRO PARENTE-ANTONIO PIOLAN-TI, Dizionario di Teologia dommatica per i laici, ed.Studium, Roma, 1943, voce: Vescovi)» (F. RICOSSA, Leconsacrazioni episcopali… op.cit. p. 11). È noto comeMons. Parente (poi cardinale), da deciso avversariodella collegialità ne divenne ardente difensore in Con-cilio, obbedendo ad una esplicita richiesta di Paolo VI.

38) A. OTTAVIANI, op. cit., nn. 114-116, pp. 181-185.39) Enciclopedia Cattolica, op. cit., vol. XII, col.

1318, voce: Vescovo, a cura di MONS. PIO PASCHINI. Il“nuovo codice”, conformemente alla nuova dottrinasull’origine della giuridizione, prevede invece che ilVescovo prenda possesso del suo ufficio solo dopoaver ricevuto la consacrazione episcopale (cf can. 379).Come abbiamo visto il Sommo Pontefice, Vescovo diRoma, non fa eccezione (per il nuovo codice).

40) Questo perché normalmente nel Vescovo de-vono riunirsi i due poteri, di ordine e di giurisdizione.

41) PIO XII, discorso Six jours, ai partecipanti al se-condo Congresso mondiale dell’Apostolato dei laici, 5ottobre 1957, in: Insegnamenti Pontifici, la Chiesa, II,1491 (Paoline, Roma, 1961). Il cardinal Ottaviani (op.cit., p. 183) si appoggia anch’egli su questa dottrina perdimostrare la distinzione e separabilità dei poteri diordine e giurisdizione nel Vescovo.

42) Difatti, scrivendo contro le nuove teorie sullacollegialità episcopale che cominciavano a essere dif-fuse durante il Concilio, l’abbé Raymond Dulac argo-mentava contro la suddetta collegialità anche a partiredal fatto che “molte volte nella storia un semplice sa-cerdote, e persino un diacono, siano stati eletti Papi.Certo, dovevano ricevere in seguito la consacrazione

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episcopale, ma essi, dal solo fatto dell’elezione alla Se-de di Roma, acquisivano il potere supremo di governa-re la Chiesa universale. È ciò che conferma il can. 219del Codice di Diritto Canonico: ‘Romanus Pontifex le-gitime electus, statim ab acceptata electione, obtinet juredivino, plenam supremæ jurisdictionis potestatem” (cf i§§ 88 e 90 della Costituzione di San Pio X ‘Vacante se-de Apostolica’). (…) Prova che (…) non è formalmente(per se primo et formaliter) in quanto ‘capo del Corpoepiscopale’, che i Papi sono investiti del supremo poterenella Chiesa, ma in quanto Successori di Pietro” (LaPensée catholique, n. 87, 1963, p. 39, nota I). L’argo-mento è così cogente che, come abbiamo visto, la nuo-va ecclesiologia conciliare ha dovuto mutare le normealle quali si rifaceva l’abbé Dulac.

43) Segnalo tuttavia una differenza tra il caso delPapa e quello degli altri Vescovi: il Papa riceve il pote-re di giurisdizione direttamente da Dio, gli altri Vesco-vi invece indirettamente, mediante il Papa. Sia il Papache gli altri Vescovi, però, non ricevono la loro giuri-sdizione dalla consacrazione episcopale.

44) Il medesimo argomento è utilizzato da ZAPELE-NA, op. cit., p. 108. Qualcuno potrà obbiettare che laconsacrazione episcopale, conferendo sul Corpo misti-co il potere di governo di Cristo (in maniera subordi-nata al potere del Papa), crea una esigenza di giurisdi-zione (tutti i vescovi sono almeno in partibus). Mon-trouzier risponde a questa obiezione (IV articolo, 2aobiezione, pag. 270): “Benché non esista una connes-sione essenziale tra la consacrazione episcopale e lagiurisdizione del Vescovo [contro la tesi del VaticanoII n.d.a.], poiché di fatto le due cose si trovano spessol’una senza l’altra, tuttavia è vero che il carattere delVescovo chiede la giurisdizione. Ordinariamente, ilcarattere episcopale non deve trovarsi in colui che nonha un popolo da governare; e reciprocamente, è solonei casi straordinari che la giurisdizione deve conferir-si a dei soggetti privi del carattere episcopale. Bisognainterpretare in questo senso quella esigenza di giuri-sdizione che i teologi attribuiscono comunemente allaconsacrazione episcopale. Judex ecclesiasticus dicituresse talis ex ordine, quia ex ordine aptus est ad haben-dam jurisdictionem, et nihil deest ei nisi commissio...Così parla il B. Alberto Magno, il maestro di SanTommaso (IV Sent., d. 18, a. 2)”. La consacrazionecrea una “esigenza di giurisdizione” nel senso che ènormale che essa sia completata dalla collazione dellagiurisdizione, non nel senso che necessariamente deveessere sempre così, non ammettendo eccezione alla re-gola. Sant’Alberto Magno, abbiamo visto, dice che laconsacrazione rende “atto” il consacrato alla giurisdi-zione. Vedi anche ZUBIZARRETA, l.c., e ZAPELENA, op.cit., pp. 95-96, 114-115 (7a e 8a obiezione: “Episcopusper consecrationem constituitur pastor actu, Nego; apti-tudine et destinatione, Concedo”).

45) MONTROUZIER, op. cit., III articolo, p. 178.46) R. Dulac, Note pour une histoire théologique du

pouvoir pontifical in La Pensée catholique, n. 91, 1964,pp. 29-39. Dulac cita la nota dei padri Lécuyer e Da-nielou pubblicata dal Segretariato generale dell’Epi-scopato francese del 25 gennaio 1963, e un articolo delgesuita P. Bertrams, pubblicato sulla Civiltà Cattolicadel 7 marzo 1964. Bertrams scriveva: “La sentenza se-condo la quale il potere di giurisdizione è conferito so-lo attraverso il Romano Pontefice non spiega la conce-zione e la prassi della Chiesa dagli inizi fino all’altomedioevo. In tutto questo lungo arco di tempo non si

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pensò neppure a un conferimento di quel potere me-diante un atto positivo che fosse disgiunto dalla consa-crazione episcopale. Non si può pertanto affermare chese ne ammettesse implicitamente il conferimento (intesoquale atto distinto) mediante il potere primaziale”. “Pa-dre Bertrams – risponde Dulac – professore all’Univer-sità Gregoriana, è stato confutato sul terreno giuridico-storico da Mons. Staffa, che gli ha opposto un centinaiodi testi perentori che distinguono, già dal quinto secolo,la ‘consacrazione’ episcopale e l’autorità di giurisdizio-ne (Divinitas, aprile 1964, pp. 59-61); e, sul terreno teo-logico, da Mons. Lattanzi (ivi, p. 92). Nella presenteNota mi porrò da un altro punto di vista: quello dei‘luoghi teologici’, e della loro subordinazione”: la tesiche sviluppa e difende da par suo Dulac è la seguente:“è un assioma assoluto, legato alla radice stessa dellavirtù teologica della Fede, che, quando una proposizio-ne è stata definita come un dogma dalla Chiesa [ed è ilcaso del Primato del Papa, n.d.a.], tutti i fatti, di qual-siasi ordine, devono essere esaminati e, in fin dei conti,interpretati alla luce sovrannaturale di questo dogma(San Tommaso, I, q. 1, a. 5, corpus e ad 2). L’assiomaha un valore ancora più forte quando si tratta di fattistorici, i quali sono contingenti, passati e parziali…”(pp. 29-30, e note 3 e 4).

47) Il Foglio, 2/12/2005, p. III dell’inserto sui qua-rant’anni del Concilio. Alberto Melloni parla dalla cat-tedra di Storia Contemporanea presso l’Università diModena e Reggio. Membro della Fondazione per lescienze religiose Giovanni XXIII di Bologna, ha curatola Storia del Concilio Vaticano II in cinque volumi di-retta da Giuseppe Alberigo per le edizioni del Mulino.

48) Questo aspetto è molto importante, poiché lacollegialità pretende essere di diritto divino, e quindi ri-velata, e non solo di diritto ecclesiastico. Sull’aspettoesegetico, si vedano gli articoli citati in questo studio diC. Nitoglia, F. Spadafora, U. Lattanzi, E. Ruffini, ecc.

49) Enchiridion delle Encicliche, Ed. Dehoniane,Bologna, vol. 3, n. 1278. Il Papa cita numerosi Concili,e i casi storici di Concili non approvati in tutto o inparte dal Papa, e rimasti perciò lettera morta.

50) La Pensée Catholique, n. 87, 1963, pp. 3-53.51) La Chiesa è un regime monarchico (Pio IX, Ad

Apostolicæ sedis I.P. 214, condanna il canonista Gio-vanni Nepomuceno Nuytz per il quale “la dottrina dicoloro che paragonano il Pontefice Romano a un mo-narca il cui potere si estende alla Chiesa universale è unadottrina nata nel medioevo e di cui ne rimangono anco-ra gli effetti”; Pio IX loda l’opera la ‘Monarchie pontifi-cale’ di Dom Guéranger, colla lettera Dolendum, I.P.332 ss; San Pio X condanna gli orientali che negano lamonarchia papale, Ex quo, nono, DS 3555) e non re-pubblicano (Pio VI condanna Eybel, I.P. 26, GregorioXVI condanna i novatori tedeschi, per i quali tuttol’episcopato ha il potere sovrano e la Chiesa è una re-pubblica, I.P. 166). Non si tratta però solo di un’affer-mazione del magistero ordinario: affermare la costitu-zione monarchica della Chiesa è la stessa cosa che af-fermare il Primato di Pietro, che è una verità di fede(Conc. di Firenze; Conc. Vaticano I); e incalcolabili so-no i documenti pontifici che affermano chiaramenteche la Chiesa è governata da uno solo (ad es.: DS 872Unam sanctam; IP 467 Immortale Dei, IP 580 Satis co-gnitum; IP 861 Mortalium animos, e soprattutto il Vati-cano I, DS 3054, già citatato) il che equivale a dire chela Chiesa è una monarchia. E difatti tutti i trattati tradi-zionali de Ecclesia, insegnano unanimi la costituzione

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monarchica della Chiesa. Non mancano gli autori cheaffermano che la Chiesa è una monarchia assoluta (cosìad esempio Mons. Zubizarreta, arcivescovo di Santiagodi Cuba, in Teologia dogmatico-scholastica ad mentemS. Thomæ Aquinatis, vol. I, nn. 323-326). Per la teolo-gia tedesca l’idea della Chiesa come monarchia assolu-ta è al contempo incupbo e spauracchio: incubo inquanto idea rifiutata ossessivamente, spauracchio perpoter insinuare che la Chiesa non è monarchica in al-cun senso (RAHNER RATZINGER, Episcopato e primato,pagg. 20-45, 75). Per il cardinal Billot (de Ecclesia Cri-sti, t. I, questione XIII: de Monarchia Ecclesiæ in B. Pe-tro instituta, articolata nelle tesi XXV, XXVI e XXII)ripreso sostanzialmente dal cardinal Ottaviani (A. card.OTTAVIANI, Institutiones… op. cit., vol. I, nn. 208-212) ilregime ecclesiastico non è monarchia assoluta, ma èpur sempre una monarchia pura, senza alcun limite.Cercherò qui di riassumere la posizione del Billot, chepure è quella che più dà spazio al collegio episcopale (ilche non sfuggì a Paolo VI). La Chiesa è un regime mo-narchico, poiché il potere supremo è stato da Cristoconcesso a uno solo, Pietro, e ai suoi successori. Si trat-ta di una monarchia pura, e non mista o temperata,poiché Pietro ha “la pienezza del supremo potere, legi-slativo, giudiziario e legislativo, indipendentemente dalconcorso di qualunque altro potere, ad esempio quellodi un collegio o di un senato”. Tuttavia, non si tratta diuna monarchia assoluta, poiché di diritto divino Cristoha istituito in genere l’episcopato, il quale, pur subordi-nato al Papa, non può essere dal Papa soppresso, comeinvece un monarca assoluto potrebbe sopprimereun’istituzione puramente umana; i vescovi hanno unpotere proprio e ordinario, non delegato (§1). L’episco-pato – prosegue Billot - riceve dal Papa il suo potere digiurisdizione (tesi XXVI: “ogni giurisdizione episcopaleche ebbero essi (apostoli) o i vescovi da loro istituiti…discende dalla pienezza del potere pastorale di Pietro.La giurisdizione… in essi (apostoli) non fu che a titolodi puri vicari di Pietro, al quale solo la costituzione mo-narchica della Chiesa affidò in proprio l’autorità supre-ma e universale di pascere il gregge). Tuttavia il cardinalBillot non ignora l’autorità del collegio apostolico e poidel corpo episcopale, come scrive infatti nella tesi XX-VII: “tuttavia, per raccomandare quell’unità della qualeparlò nell’ultima cena pregando per gli apostoli (….)Cristo dispose con una istituzione stabile e perpetua cheil collegio apostolico, in quanto unito al suo principePietro, fosse consorte della suprema autorità. Per cui lamonarchia della Chiesa è una monarchia sui generis, laquale, pur mantenendo la piena ragione del diritto mo-narchico in ogni cosa senza nessuna diminuzione” haunito a sé il corpo episcopale il quale, con il suo Capo,può esercitare la suprema potestà. Ma come si differen-zia, allora, la posizione del card. Billot, dalla collegialitàdel Vaticano II? Nel fatto che, per Billot, il corpo epi-scopale ha l’esercizio del supremo potere (in Concilio,e anche nel magistero ordinario universale, D 1536),ma il Papa è la “ratio et fons”, “la ragione e la fonte del-la suprema autorità di tutto il collegio”. Egli chiama a séle membra subordinate del corpo ecclesiastico, e le fapartecipare alla pienezza della sua suprema potestà,mentre per il Concilio è la consacrazione che introduceil Vescovo nel collegio, mentre non deriva la sua auto-rità dal Papa, ma direttamente da Dio. Per il teologo J.Ratzinger, nemico di una visione “giuridica” dellaChiesa, quella della costituzione monarchica dellaChiesa è una questione senza senso: “i tentativi troppo

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in voga di fondare il primato del Papa su una filosofiapolitica fondata su Platone e Aristotele, secondo la qualela monarchia è la migliore forma di governo, sono desti-nati al fallimento tanto quanto il tentativo di descriverela Chiesa con le categorie della monarchia che le sonoimproprie” (Concilium, n. 1, 1965, pp. 33-55). Da cardi-nale Ratzinger non cambiò posizione rispetto ai tempidella sua collaborazione a Concilium: “L’argomento delpapato non è un tema popolare negli anni del ConcilioVaticano II. Era un tema ovvio fino a quando vi corri-spondeva sul versante politico la monarchia. Ma nonappena l’idea monarchica si è praticamente spenta, ed èstata sostituita dall’idea democratica, è venuta a mancarealla dottrina del primato pontificio il campo di riferi-mento e di sfondo per il nostro pensiero. Non è certa-mente un caso che il Vaticano I si sia polarizzato sullaquestione del primato del Papa ed invece il Vaticano IIsul concetto di collegialità” (J. RATZINGER, Chiesa, ecu-menismo e politica, Paoline, 1986, p. 33; ho tratto en-trambe le citazioni dall’articolo di don Nitoglia). CheRatzinger e il Vaticano II, all’ascolto del mondo edell’età moderna, abbiano pensato che fosse ora diadattare la Chiesa alla mentalità democratica, non stu-pisce. È falso invece che i teologi tradizionali si ispiras-sero al modello delle monarchie secolari (il card. Billotchiama la Chiesa monarchia sui generis, del tutto spe-ciale, unica nel suo genere): il punto di riferimento è ilprimato di Pietro, dato a uno solo, e non certo Costan-tino o Luigi XIV. Le tendenze collegiali o democrati-che, episcopaliane o presbiteriane, sono sempre esistitenella storia della Chiesa, anche in tempo di monarchieassolute e spesso proprio tra i loro adulatori, ma tra glieretici e gli scismatici, non tra i cattolici! Ancora unavolta, Ratzinger storicizza la dottrina della Chiesa, perpoterla abbandonare senza rimpianti come una “sovra-struttura” storica e contingente, che avrebbe provviso-riamente (magari per un millennio!) offuscato la purez-za primitiva della fede cristiana nel suo contenuto es-senziale.

52) L’abbé Dulac difende come noi la tesi “papale”sull’origine della giurisdizione diocesana del Vescovo:essa non deriva dalla consacrazione, ma immediata-mente dal Papa (e quindi solo mediatamente da Dio).Per il Dulac questa tesi è almeno “teologicamente cer-ta” (l.c., nota 22, vedi anche La Pensée catholique, n.73, pp. 26-27). Dissento però da Dulac quanto al fattoche si tratti di questione ancora liberamente dibattuta:abbiamo visto che il magistero ordinario si è pronun-ciato più volte categoricamente (Pio VI, Leone XIII,Pio XII soprattutto); si tratta, pertanto, como già hofatto notare, di un punto di dottrina che non si può piùmettere in dubbio.

53) “Benché nessuno possa negare la convenienza el’utilità dei concilii, tuttavia non si hanno sufficientiprove per arguirne la loro origine divina. Cristo suffi-cientemente provvide a mantenere la genuinità della suadottrina con l’istituzione del primato (Wernz-Vidal, II,p. 524)” Enciclopedia Cattolica, voce Concilio, IV,167. Sulla questione, può essere utile consultare Maz-zella (op. cit., nn. 1034-1038) che difende al propositouna posizione molto equilibrata.

54) Sul Sinodo dei Vescovi si vedano i canoni 342-348 del nuovo codice. Il canone 343 ricorda che il Si-nodo non ha, di per sé, potere deliberativo. È chiaroperò che i “papi” dopo il Vaticano II, volendo agirecollegialmente, tenderanno e tendono di fatto auniformarsi agli orientamenti del Sinodo

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55) “Teologicamente sembra che si possa giungeread affermare – scriveva il perito concilare Padre Ciap-pi o.p. – che il collegio episcopale è soggetto capace diesercitare la suprema e piena potestà sulla Chiesa uni-versale, in quanto il Romano Pontefice, in cui solo ri-siede tutta la pienezza (Conc. Vaticano I, Denz. 1831),partecipa all’episcopato la sua piena e suprema potestà,senza tuttavia perdere o comunicare il primato e la tota-le pienezza, che è sua prerogativa personale”. Com-mento dell’opera diretta da Alberigo (Storia del Con-cilio Vaticano II, cit., p. 461): “È la linea massimalistadi cancellazione della collegialità attraverso la sua deri-vazione dalla presenza del papa tra i vescovi, che laNota explicativa prævia non accetterà”.

56) “Esistono nella Chiesa due poteri supremi: il ve-scovo di Roma, il Papa; e il corpo dei vescovi, appena ilpapa è con loro… Il primato del vescovo di Roma èquindi equilibrato dalla collegialità del corpo episcopa-le… Fin dalla prima sessione del Concilio, i vescovihanno lavorato riuniti in gruppi, in conferenze episco-pali. Queste conferenze esisteranno ufficialmente. Riu-niranno vescovi della stessa lingua o della stessa regio-ne. Così il Concilio continuerà. Si tratta di una riformadi struttura, di una decentralizzazione. Le leggi elabora-te localmente saranno ratificate dalla testa” (P. Chenuo.p. in La vie catholique illustrée, n. 2, ott. 1963, p. 26):il Papa diventa il notaio del Parlamento episcopale.“Ci si è augurati molto che il Vaticano II completasse edequilibrasse il Vaticano I quanto alla costituzione dellaChiesa. Essa è monarchica, coi vescovi che partecipanosolo al potere del Papa? Essa è collegiale, mentre il Pa-pa è il caput collegii che agisce sempre come tale? Si, es-sa è ciò [collegiale]” (P. CONGAR o.p., 11 luglio 1963).Citati da Dulac, La Pensée catholique n. 87, p. 34. Rah-ner difendendo la tesi di Congar piuttosto che quella diChenu: sostiene che nella chiesa non può esservi cheun solo soggetto della suprema autorità. Esso però nonè il Papa ma è il collegio episcopale. Ne segue che pernatura sua il Papa agisce sempre e solo collegialmentee mai veramente in maniera indipendente dal collegio(RATZINGER, Episcopato e primato, pagg. 100-108).

57) R.M. WILTGEN, Le Rhin se jette dans le Tibre.Le Concile inconnu, Editions du Cèdre, Paris, 1976,pp. 224-239.

58) Storia del Concilio Vaticano II, diretta da GIU-SEPPE ALBERIGO, volume 4, Peeters/il Mulino, 1999;capitolo I: L’ecclesiologia di comunione, pp. 19-118;capitolo VI: La tempesta di novembre: la “settimananera”, pp. 417-482.

59) Per il punto di vita del Cardinale Ernesto Ruf-fini, uno dei difensori della dottrina cattolica al Conci-lio, cf Angelo Romano, Ernesto Ruffini, Cardinale Ar-civesco di Palermo (1946-1967), S. Sciascia editore,Caltanisetta-Roma, 2002, pp. 546-569.

60) G. ALBERIGO (a cura), Storia…, op. cit., vol. 3,pp. 118-121.

61) Informations catholiques internationales, 15 no-vembre 1963, p. 4, citato da DULAC, in Pensée catholi-que, n. 91/1964, p. 28, nota 1.

62) D. STAFFA (futuro cardinale), De collegiali Epi-scopatus ratione in Divinitas, 1, aprile 1964, pp. 3-61; U.LATTANZI, Quid de Episcoporum “collegialitate’ ex No-vo Testamento sentiendum sit, ibidem, pp. 62-69, pubbli-cato in forma abbreviata in francese su La Pensée catho-lique, n. 91 (1964), pp. 17-27; D. STAFFA, Osservazionisugli schemi De Ecclesia e De pastorali episcoporum mu-nere in Ecclesia (inediti datati 30 maggio e 25 luglio

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1964); B. BILOGERIC, Pensieri sulla collegialità episcopa-le, in Osservatore Romano del 7 giugno 1964; Conferen-za episcopale italiana, Dei agricoltura, Dei edificatio, n.17, giugno 1964, con interventi anti-collegiali di Ruffini,Carli e Lio, e susseguente intervento di P. Ciappi, mae-stro del Sacro Palazzo (Alberigo, vol. 4, pp. 88-89).

63) Cf ALBERIGO, Storia…, p. 86, nota 216.64) Riporto i loro nomi, ad perpetuam rei memo-

riam. I Cardinali erano Ruffini, Copello, Antoniutti,Giobbe, Heard, Larraona, Tappouni, Santos, Garibi,Quiroga, Concha, Pizzardo, Forni, Ferretto, Aloisi Ma-rella, Traglia, Bracci, Bacci, Di Iorio, da Costa Nuñes,Camara, Albareda, Marella, McIntyre, e Morano. IlPatriarca era Ignazio Pietro XVI Batanian. I superiorireligiosi: Anastasio del SS.mo Rosario (carmelitani),Fernandez (domenicani), Sépinski (francescani), M.Lefebvre (spiritani), Boccella (terziari francescani re-golari), Montà (serviti), Schweiger (claretiani), Rubio(agostiniani), Prou (benedettini di Solesmes), Déchâte-lets (oblati di Maria immacolata), Ziggiotti (salesiani),Gaudreau (redentoristi). Due note del P. Janssens del12 settembre esprimevano l’accordo del generale dellaCompagnia di Gesù. Altri cinque cardinali, di altissimaposizione in Curia (tra i quali probabilmente Ottavia-ni) avevano dato il loro appoggio, pur evitando, per“questa loro posizione”, di sottoscrivere la lettera. Iltesto si trova in G. Caprile, Contributo alla storia della‘nota explicativa prævia, in Istituto Paolo VI, Paolo VIe i problemi ecclesiologici al Concilio (pp. 595-604 e ss)Brescia, 1989, ma anche, in francese, in M. LEFEBVRE,J’accuse le Concile, Ed. St Gabriel, Martigny, 1976, pp.55-66 (con errore di data), dove però non sono pubbli-cati gli allegati alla lettera a Paolo VI.

65) L’argomento si ritrova già sotto la penna delcard. Mazzella (cit., n. 1010.2) il quale ne scorge tuttele conseguenze per rapporto ai Vescovi scismatici: “sequella potestà attuale fosse ed esistesse nel vescovo invirtù della consacrazione, ne seguirebbe che non po-trebbe essere impedita, diminuita o sospesa da alcunaautorità umana, in modo tale da essere esercitata in mo-do non solo illecito ma anche invalido; infatti ciò chesussiste di diritto divino non può essere frustrato da al-cuna potestà umana, com’è evidente per tutte quelle co-se che, nell’episcopato, dipendono dal potere d’ordine.E non si può obbiettare che gli atti di giurisdizione diun vescovo scismatico, sospeso ecc. sarebbero invalidi,non perché gli mancherebbe il potere attuale di giuri-sdizione, ma perché questo potere è legato e deve essersciolto da chi ha autorità. Infatti, nel vescovo scismati-co, sospeso ecc. anche il potere d’ordine è legato: e tut-tavia quel vescovo confeziona e amministra validamen-te i sacramenti, il che fa parte del potere d’ordine: sequindi vi fosse in lui in virtù della consacrazione un po-tere attuale di giurisdizione, come per il potere d’ordi-ne, i suoi atti sarebbero validi benché illeciti”. Ma èproprio questo, tra l’altro, che auspicavano i collegiali-sti nel loro ecumenismo: trovare il modo di dichiararevalidi gli atti di giurisdizione dei vescovi non cattolici,come gli scismatici orientali.

66) ALBERIGO, Storia…, op. cit., vol. 4, p. 95.67) A. ROMANO, op. cit., pp. 565-566.68) L’Esposto inviato al Santo Padre del 7 novembre

è citato in CAPRILE, op. cit., pp. 653-660. Tra gli altri sot-toscrissero i Padri del Cœtus (Staffa e Carli, appunto, epoi Lefebvre, Proença Sigaud) e dei prelati ‘romani’ co-me Roberto Ronca e il futuro cardinal Palazzini (cf A.ROMANO, cit., p. 567). Wiltgen (pp. 227-228) definisce il

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tutto “operazione Staffa”. L’esposto criticava non solo ilcontenuto dottrinale dello Schema sulla collegialità, maanche le numerose violazioni giuridiche del regolamentoconciliare attuate dai moderatori del Concilio.

69) Si veda la dura risposta di Paolo VI alla Nota diLarraona e Ruffini inviata al card. Larraona il 18 otto-bre. Se con Larraona fu usato il “bastone”, con il card.Ruffini si toccò il patetico: “’quasi in lacrime’ confidaa Ruffini che quella lettera [dei cardinali e superiori re-ligiosi] gli aveva provocato ‘tanto dispiacere da farGlidesiderare addirittura la morte’…” (A. ROMANO, p.560, nota 137).

70) “L’azione del Cœtus aveva salvato il primatodel romano pontefice da un pericolo mortale. La Notafissava l’interpretazione del testo conciliare – adottandola tesi liberale moderata – in un senso ristretto, cheMons. Lefebvre ammise. Essa farà parte integrante del-la costituzione Lumen gentium, pur manifestando l’in-trinseca debolezza di un testo che, senza di essa, è equi-voco” (B. Tissier de Mallerais, Marcel Lefebvre. Unevie, Clovis, Etampes, 2002, p. 319). E vero che Mons.Lefebvre sottoscrisse Lumen gentium. È vero altresìche criticò senza mezzi termini la collegialità episcopa-le in tutti i suoi scritti, già a partire dalla sua rispostaall’inchiesta del cardinal Ottaviani del 20 dicembre1966 (J’accuse le Concile, cit., p. 109) ove critica, tral’altro, la nuova dottrina sulla “trasmissione della giu-risdizione dei vescovi”.

71) È interessante notare come tutte le volte cheGiovanni Paolo II ha dichiarato una dottrina “defini-ta” e quindi non riformabile, lo ha fatto invocandonon la sua propria autorità, ma quella del magisteroordinario universale dei vescovi dispersi nel mondo (ilche di per se è perfettamente lecito, ma esprime il suodesiderio di agire come capo del collegio). Anche co-me legislatore, Giovanni Paolo II ha voluto agire col-legialmente (cf Cost. Sacræ disciplina leges di promul-gazione del nuovo codice di diritto canonico).

72) I documenti del Concilio Vaticano II, introdu-zioni di Karl Rahner ed Herbert Vorgrimler, VII ed.,Paoline, 1968, p. 138.

73) A. ROMANO, cit., p. 566.74) cf F. RICOSSA, Le consacrazioni episcopali nella

situazione attuale della Chiesa, supplemento al n. 46 diSodalitium, CLS, Verrua, specialmente alle pagine 30nota 48 e 35-43.

75) FRERE FRANÇOIS, op. cit., pp. 149, 160-162.76) B. LAY, Il Papa non eletto, cit., p. 356.77) La Pensée catholique, n. 87 (1963), p. 4 nota 4.78) Non stupisca questa precoce sensibilità ecumeni-

ca… Proprio in Germania, nel secolo precedente, nac-que la setta dei Rosacroce, che già aveva – in ambitoprotestante, occultista e cabalista – finalità ecumeniche.Ecumenista avant la lettre fu la Massoneria, che prorionel Settecento si diffonde anche nell’Impero, e anche trai grandi principi ecclesiastici, come ci dimostra l’espe-rienza di Mozart a Salisburgo. Febronio scrive in un Im-pero dove regna con Maria Teresa il consorte massoneFrancesco di Lorena. Alla corte di Vienna illuminismo,massoneria, giansenismo anticuriale sono di casa con gliiniziati Sonnenfels, van Swieten, giansenista olandese, ifebroniani Riegger ed Eybel, e il Barone Martini, pre-cettore dei futuri sovrani Giuseppe e Pietro Leopoldo.Giuseppe II, (da cui il termine giuseppinismo) applicò ledottrine di Febronio, tra l’altro chiudendo le case reli-giose e aprendo, invece, i templi degli eretici, ai qualiconcesse la libertà di culto nel 1781. Pietro Leopoldo,

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come granduca di Toscana, architettò il conciliabologiansenista e febroniano di Pistoia. “A Vienna – diventa-ta nella seconda metà del secolo XVIII la capitale dell’an-ticurialismo – massonismo e illuminismo, giansenismo ecattolicesimo liberale sembrano talvolta confondersi nellastessa persona per combattere la stessa battaglia contro glistessi avversari” (Carlo Francovich, Storia della masso-neria in Italia. Dalle origini all Rivoluzione francese, LaNuova Italia, Firenze, 1974/1989, p. 241; cf anche Jeande Viguerie, Histoire et dictionnaire du temps des Lumiè-res (1715-1789), Laffont, Paris, 1995, pp. 587-589).

79) MICHELE MACCARRONE, in Enciclopedia catto-lica, voce Hontheim, vol. VI, coll. 1474-1475.

80) Lo ricorda il Pastore valdese Ricca cf Trentagiorni, n. 2 (1993) e Sodalitium, n. 33 (1993), p. 5.

81) HANS KÜNG, Le Concile épreuve de l’Eglise,Seuil, 1963, pp. 210 e 63, cit. da F. Spadafora, La tradi-zione contro il Concilio, Edi.Pol. -Volpe editore, Ro-ma, 1989, p. 261.

82) In Ratzinger protestante? Al 99%! Riferivo l’in-vito di Ratzinger a una “permanente essenzializzazio-ne della propria fede”. Ardusso (La teologia contem-poranea, Marietti, 1980, p. 457), spiega: “la ricerca delwesen, dell’essenza del cristianesimo, è una ricerca tipi-ca della teologia tedesca da un secolo a questa parte.Basti pensare alle opere di L. Feuberbach (1841), di A.Harnack (1900), di K. Adam (1924), di R. Guardini(1939), di M. Schmans (1947) e alla recente proposta diK. Rahner circa una formulazione sintetica del messag-gio cristiano. Analogicamente ai tentativi sopra riporta-ti, la ricerca di Ratzinger sull’essenza del cristianesimoporta chiaramente l’impronta del tempo nel quale è na-ta, quel tempo che è ormai da più parti designato come‘l’età postmoderna della fede’, caratterizzata non tantodalla negazione di questa o di quell’altra verità di fede,quanto piuttosto dal fatto che la fede nel suo complessosembra aver perduto il suo mordente…”. Pio XI con-dannò, proprio in Mortalium animos, la distinzione traverità di fede “fondamentali e non fondamentali” (pp.8-9, Sodalitium, n. 33).

83) Sulla libertà religiosa Ratzinger scrive che “ilConcilio Vaticano II, riconoscendo e facendo suo unprincipio essenziale dello Stato moderno, ha ripresonuovamente il patrimonio più profondo della Chiesa”come se la Chiesa avesse perso il suo patrimonio dottri-nale il quale si sarebbe conservato invece nelle Loggemassoniche e nei parlamenti laicisti! E difatti, quandodeve spiegare questo “patrimonio profondo” dellaChiesa, egli fa appello ai martiri cristiani che, disobbe-dendo allo Stato, avrebbero proclamato il rifiuto “dellareligione di Stato” e il primato della “libertà di coscien-za”. Peccato che quei martiri patissero per la vera fede,non per qualunque fede! E che la Chiesa, appena hapotuto, si è dichiarata “religione di Stato” vietando iculti non cattolici… ha tradito allora, così facendo, ilsuo “patrimonio più profondo”? E ciò dai tempi diTeodosio fino al Vaticano II (escluso)? E se col Vatica-no II “ha ripreso” il suo “patrimonio più profondo”,questo vuol dire che lo aveva perso! L’ermeneutica del-la continuità di Ratzinger fa acqua da tutte le parti…

84) M.R. GAGNEBET O.P., La collégialité de l’épi-scopat d’après la Constitution dogmatique ‘Lumen gen-tium’ in La France catholique del 25 dicembre 1964, ri-preso da Itinéraires, n. 92, aprile 1965; V.A. BERTO, Leterme et la notion de collégialité, in Itinéraires, n. 115,luglio 1976; F. SPADAFORA, La Tradizione contro ilConcilio, op. cit., pp. 145-190.

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La morte, inizio della vita eterna

don Curzio Nitoglia

Novembre, il mese dei Morti. Ogni vi-vente muore e si trasforma in un altro

vivente. Bisogna morire per rinascere a mi-glior vita.

La nostra esistenza terrena è un viaggioverso l’eternità, nel quale bisogna passareattraverso la morte per trovare la vita eter-na. La nostra vita è, quindi, una processioneverso il cimitero, ma in vista della vera vita.Cimitero significa, infatti, ‘dormitorio’ enon… mortorio. Il mondo attuale non vuolsentire parlare di morte, di sofferenza. Inve-ce la vita è fatta di sofferenza e di morte (ilfine e lo scopo della vita). Quindi, non sipuò eliminare la sofferenza e la morte, ma èpossibile conoscerle, meditarle e viverle invista di un loro superamento, in Dio.

Le nostre prove e sofferenze (compresal’ultima e suprema: la morte) sono parago-nabili alle ferite che un guerriero valorosoha riportato in battaglia, le quali – se cica-trizzate dallo Spirito Santo – diventano fon-te di saggezza e di vita.

L’importante è entrare nel profondodella nostra anima, con la meditazione el’esame di coscienza, per capire il valoredella sofferenza e trovare in essa la forza ela luce per compiere il nostro viaggio suquesta terra verso la Patria (il Cielo). Du-rante questo viaggio i nostri nemici (il dia-volo, il mondo e le concupiscenze) cercanodi ostacolarci, di fermarci, togliendoci lasperanza di giungere al termine (la morte ela risurrezione alla vita eterna). Essi usanola tattica dell’accusa, del ricatto per nonfarci avanzare, mutar vita. Il diavolo (il ne-mico, l’accusatore, il calunniatore o ricatta-tore) e i suoi suppositi (i mondani) si servo-no delle tre concupiscenze, per inchiodarciad esse, di modo che non possiamo piùavanzare verso Dio. Il diavolo che ha pec-cato e soprattutto ha voluto continuare apeccare, con ostinazione, senza voler ripa-rare, cambiare, tornare a Dio, vorrebbe far-ci credere che noi siamo nel suo stato (fis-sati per sempre nel male ‘sine ulla spe’) e

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lui si erge – come i farisei e gli scribi – agiudice supremo, mentre è il giudicato. Ge-sù invece è esattamente il contrario del dia-volo. Egli è l’avvocato, il difensore, Coluiche incoraggia a cambiar vita; se vi è il do-lore, il pentimento e la buona volontà -prendendo i mezzi – di convertirsi, è coluiche perdona: il Salvatore. Quindi, noi nondobbiamo seguire i consigli del diavolo checi rinfaccia e ci ricatta per arrestare il no-stro viaggio verso Dio; ma occorre ascolta-re Gesù che ci invita a penitenza, al cam-biamento e alla risurrezione. Non importada dove veniamo (siamo tutti nati col pec-cato originale), ma quanto desideriamocambiare. Dio ci aiuterà a convertirci –giorno dopo giorno – a lasciare il male e afare il bene, per giungere, puri e pronti, algiorno della nostra morte, davanti a Dio,che abbiamo cercato durante tutto il viag-gio della vita. Se restiamo uniti a Dio, ingrazia di Dio, avendo abbandonato il male,nulla potrà nuocerci e impedirci di vederefaccia a faccia, dopo la nostra morte, il no-stro Creatore e Redentore. Anzi, in talicondizioni, lo stesso nemico e i suoi suppo-siti, i ‘nemici’ o mondani, non solo non cinuocciono, ma ci aiutano ad ottenere laprotezione e la benedizione divina, la qualeda ogni malizia sa trarre un bene superiore.

Il diavolo (e i suoi suppositi) non puòpiù unirsi a Dio poiché è stato, e vuol conti-nuare ad essere, vittima di un delirio di on-nipotenza (‘Non serviam’, ‘Eritis sicut dii’)che non gli permette di scorgere il suo ma-le, la sua volontà perversa di perseverare inesso. Il nemico investe tutto su di sé, vor-rebbe possederci e renderci schiavi comelui. L’uomo, purtroppo, può reagire male difronte al serpente accusatore, da succube,schiacciato, prono. Come colui che cerca ilquieto vivere. Tace per paura di soffrire,non lotta, non prende posizione (con Cristoe contro satana), segue un idolo (una crea-tura al posto del Creatore) che può essereun uomo malvagio, sotto apparenza di ‘an-gelo di luce’, ne vuol dipendere, ne divieneschiavo, investe tutto sull’altro (e non suDio), illudendosi di trovare così una sicu-rezza apparente, che nasconde inveceun’inquietudine e un timore reale. La rettarisposta a satana (e agli uomini malvagi cheagiscono satanicamente) è di abbandonarsicon fiducia nelle mani di Gesù, dopo esser-ci pentiti del male fatto, aver preso la ferma

Vita Spirituale

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decisione e i mezzi concreti di non commet-terlo più, essendo sicuri dell’amore miseri-cordioso infinito di Dio per ogni peccatoreche si pente. Pentirsi è ‘conditio sine quanon’ per entrare in comunione con Dio, interra con la grazia santificante, e perfetta-mente, solo in Cielo, con la visione beatifi-ca. Chi non vuol pentirsi, cambiare, ripara-re è simile al fariseo al quale Gesù ha dettoche ‘i pubblicani e le meretrici pentiti loprecederanno nel Regno di Dio’, poiché ilfariseo sa tutto ma non vuole cambiare sestesso. Dio, quindi, non potrà mai perdo-narlo, data la sua impenitenza ostinata. ‘Fi-glioli miei, non peccate; ma se qualcuno hapeccato, abbiamo un avvocato presso il Pa-dre: Gesù Cristo’ (s. Giovanni). Cosi comeabbiamo un ‘accusatore’: il diavolo e i ‘ma-ligni’. Colui che non ha voluto riparare ecorreggersi. Ora vorrebbe impedire anche anoi la conversione, con l’accusa e il ricatto.‘Cui resistite fortes in fide’ (s. Pietro).

Perciò, lungi dal negare la sofferenza, lamorte, la miseria umana (che ci è connatu-rale), occorre esaminarla, attraversarla, ab-bandonarla e uscirne vincitori e trasformatidalla Misericordia onnipotente e ausiliatri-ce di Dio. La vita è un viaggio ‘eroico’, av-venturoso (come quello di Dante o diTolkien) dove ci si trasforma, ove ognuno èsuscettibile di Redenzione tranne colui chenon vuole essere redento, non vuole cor-reggersi, ma vorrebbe incriminare gli altriche si sforzano di uscire dalla ‘selva selvag-gia, aspra e forte’, delle miserie e sofferen-ze umane, tramite la buona volontà sorret-ta dalla grazia divina. Il ‘Maligno’ e i ‘mali-gni’ vorrebbero convincerci di essere male-detti, senza speranza, macchiati, intrinseca-mente e definitivamente ‘cattivi’. Ma non ècosì. Lui è definitivamente maligno, pro-prio perché non vuole cambiare, restituire

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a Dio e al prossimo quel che appartiene lo-ro. Dobbiamo perciò esaminare in profon-dità la nostra coscienza. Non nascondere illati oscuri che albergano in ciascuno di noi:il ‘vecchio uomo’ da convertire e non da ce-lare, negare, nascondere o far finta di di-struggere. In ogni uomo ci sono l’orgoglio,l’attaccamento ai beni terreni e la sensua-lità. Non dobbiamo accettarli, farli passareall’atto. Neppure negare, reprimere, volerdistruggere. Ma dopo averne preso coscien-za, occorre convertirci: lasciare le creatureo usarle solo come mezzo, unirci al Creato-re, come fine ultimo. Confessiamo le nostreinfermità, ma non blocchiamoci su di esse,oltrepassandole, andando verso Dio.

Il diavolo, ‘invidioso e omicida’, vorreb-be annientarci, ridurci schiavi delle passioni– per sempre – come lui. Usa la calunnia, lamaldicenza, il pettegolezzo, rinfaccia, ricat-ta. Egli è ‘invidioso’ e non sopporta chepossiamo liberarci dal male, perciò arrivasino ad odiarci e a volerci dannati, fissatiper sempre nel male; oppure cerca di con-vincerci – con la tentazione - che lo siamo.In realtà non è così. Dobbiamo risponder-gli: ‘vade retro satana. Sunt mala quæ libas,ipse venena bibas’! Quanto a noi, cerchia-mo, con l’aiuto di Dio, di trasformare in be-ne il male potenziale che si trova in noi. Diconvertirci dal male al bene e non temiamoil diavolo e le calunnie che continuerà a vo-mitare dalla sua bocca infernale. Preghiera,meditazione, lavoro sono i mezzi di trasfor-mazione. ‘Quando sono debole e riconoscola mia infermità, è proprio allora che sonoforte, poiché Dio mi aiuta’ (S. Paolo). Ciòche Dio vuole da noi è il riconoscimentodella nostra miseria, per usarci Misericor-dia. Infatti, ‘senza miseria non ci potrebbeessere Misericordia’ (Garrigou-Lagrange),a condizione – però – che riconosciamo lenostre infermità e vogliamo esserne liberatida Dio, con la nostra cooperazione. ‘Aven-do visto Dio il nulla della sua schiava (Bea-ta V. Maria), ha fatto di lei grande cose’(Magnificat). ‘Bisogna morire a se stessiper rinascere a nuova vita’ (Vangelo). ‘Sediciamo di essere senza peccato, ingannia-mo noi stessi. Se invece lo riconosciamo elo confessiamo, Dio ci purificherà da ognicolpa’ (S. Giovanni). Quindi, la morte è ilfine e lo scopo di una vera vita. Chi nega lamorte, non vive nella realtà. Essa non è lafine della vita, ma l’inizio.

La morte del giusto

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Il cardinal Randi e le ultimeDuchesse di Modena

Ilibri che intendo segnalare parlano di per-sonaggi dell’epoca risorgimentale conside-

rati secondari e, per questo motivo, quasisconosciuti al grande pubblico. L’approfon-dimento di queste figure può permettere diavere una visione più completa del Risorgi-mento e, di conseguenza, una sua riletturagenerale. Anche perché attraverso le cosid-dette figure minori si viene a conoscenza dinumerosi fatti e aneddoti che possono forni-re dei preziosi sussidi per una comprensionepiù ampia – e obiettiva – della Storia.

L’interesse è più grande se si considerache il primo dei due autori che segnalo nonappartiene alla cosiddetta scuola controri-voluzionaria: anzi, da alcuni giudizi perso-nali, fa chiaramente trasparire un pensierolaico e quindi non certo papalino. Si trattadella compianta professoressa Angela Veg-gi Donati († 1998) di Bagnocavallo che, do-po un poderoso lavoro d’archivio, alcunianni fa ha dato alle stampe un libro su unsuo illustre concittadino, il cardinale Loren-zo Ilarione Randi (1818 - 1887).

La figura di Randi è legata alla fine delpotere temporale di Pio IX: il cardinal An-tonelli lo teneva in grande considerazione enel 1866 lo nominò Governatore di Roma eDirettore Generale di Polizia in un fran-gente storico particolarmente difficile. LoStato della Chiesa (che qualche anno primaaveva subito l’occupazione delle Legazioni,delle Marche e dell’Umbria e la successivaannessione al Regno d’Italia), doveva di-fendersi dalle ripetute incursioni garibaldi-ne nel Lazio. Lo scontro provocò la campa-gna militare dell’Agro Romano, che cul-minò con la splendida vittoria papalina diMentana (3 novembre 1867). In quell’occa-sione il Randi, appassionato d’armi, feceraccogliere quelle lasciate dai garibaldinisul campo di battaglia, e compose un trofeocomposto da fucili, baionette, tricolori e ca-micie rosse, con la scritta “non praevale-bunt”, che fu esposto a Roma.

Approfittando dello stato di guerra, lecellule del partito d’azione presenti a Roma

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tramavano per coinvolgere la popolazionein un’insurrezione generale. Fu proprio lacapacità del Randi a neutralizzare il dise-gno eversivo (che in ogni caso non era statoaccolto dai Romani) e a far mantenere lacalma in città malgrado l’atto terroristicoalla caserma Serristori, che costò la vita a25 giovani zuavi della banda musicale e adue passanti, tra cui una bambina. L’impic-cagione dei due terroristi, che morirono colconforto dei sacramenti, sinceramente pen-titi per il crimine commesso, costò a Pio IXla fama di papa forcaiolo: la verità è chel’indignazione dei familiari delle vittime edel popolo romano resero inattuabile il de-siderio di papa Mastai Ferretti di concederela grazia ai condannati.

Nel settembre del 1870 Randi rimase fe-dele al suo incarico sino all’ultima ora delpotere temporale petrino e fu lui a metterein salvo le carte più riservate del suo dica-stero, che si trovavano nel palazzo di Mon-tecitorio, sede del suo incarico, trasferen-dole in Vaticano prima che cadessero dellemani dei nuovi padroni di Roma. Nel 1875Pio IX lo nominò cardinale e in quantomembro del collegio cardinalizio partecipòal conclave che vide l’elezione di Papa Leo-ne XIII. Morì nel 1887 e riposa nella chie-setta della Villa delle Interrate a Bagnoca-vallo, accanto ai resti mortali dei familiari,in quella terra romagnola che per un mil-lennio appartenne agli Stati della Chiesa.

Spostiamoci ora a Modena, dove unagiovane ricercatrice, Elena Bianchini Bra-glia, ha curato le biografie delle ultime duesovrane dell’antico Ducato estense: MariaBeatrice, sposa di Francesco IV, e Adel-gonda, sposa di Francesco V.

La Corte di Modena si distinse, tra gliStati pre-unitari della Penisola, per l’oppo-sizione alle idee illuministe e massonichediffuse dalla rivoluzione e certamente nonfermate dal congresso di Vienna. Infatti,nel ducato estense Francesco IV seppeascoltare gli autorevoli e saggi consigli diun clero particolarmente fermo nella difesadei principi. Tra questi personaggi spicca lafigura di Mons. Luigi Reggianini, ecclesia-stico che non si limitava a ricercare un sem-plice (e sterile) ritorno all’Ancien regime(periodo in cui gli errori del regalismo e ce-saropapismo erano penetrati in molte corti,accolti e diffusi da un’aristocrazia semprepiù decadente), ma auspicava un ritorno al-

Recensioni

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lo spirito che animava la civitas medievale ela Controriforma tridentina. In quel perio-do a Modena si trovava anche il Principe diCanosa, al quale si deve l’intuizione di ca-nalizzare in un corpo di milizia popolare, iVolontari Estensi, la profonda avversioneche le popolazioni rurali nutrivano per leidee rivoluzionarie. Anche nell’esercito du-cale il sentimento legittimista era molto ra-dicato, come dimostrò la decisione dellaBrigata Estense di seguire il Duca France-sco V in esilio e il rifiuto di aderire all’eser-cito del nuovo stato unitario. A Modenainoltre si stampava La Voce della Verità,una gazzetta antiliberale che vantava moltiavversari, tra cui il governo inglese, che sidistinse nel sollecitarne la soppressione.

Elena Bianchini Braglia, nei due volumida lei scritti, coglie il naturale inserimento,nel contesto del cattolicesimo militantepresente a Modena in quegli anni, di dueprincipesse nate e cresciute nell’amore perla Religione. Maria Beatrice era la figlia delRe di Sardegna Vittorio Ermanuele I e ni-pote del Re Carlo Felice, chiamato dai libe-rali Carlo Feroce. I due fratelli, che si suc-cedettero al trono sabaudo, erano ostili allasuccessione in favore del Principi di Cari-gnano, un ramo cadetto sedotto dall’ideolo-gia della rivoluzione. Sembra che un vetodel Metternich abbia impedito l’abrogazio-ne della legge salica richiesta dalla Corte diTorino, che avrebbe permesso a MariaBeatrice di ereditare il trono dallo zio Car-lo Felice, che non aveva eredi diretti. Inquesto caso Francesco IV sarebbe diventa-to Re di Sardegna e probabilmente la storiaitaliana avrebbe conosciuto degli esiti mi-gliori, rispetto alla convergenza d’interessiche maturarò tra i Savoia-Carignano e laMassoneria.

Adelgonda era invece una principessabavarese, della famiglia degli Wittelsbach,anch’essa profondamente cattolica. Fusempre vicina al marito Francesco V, l’ulti-mo Duca di Modena, nella buona e cattivasorte: per i due sovrani fu rara la prima, eabbondante la seconda. L’Autrice ha potu-to arricchire la sua documentazione consul-tando gli archivi privati della contessa Leo-nisa Bayard De Volo, che ha curato la pre-fazione. La contessa, deceduta poco dopola stampa del libro, era la discendente delconte Teodoro De Volo, ministro di Fran-cesco V. Chi scrive ha avuto il piacere di

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conoscere questa bella figura, nobile di ca-sato e d’animo, sostenitrice del rito triden-tino della Messa.

Nei libri della Bianchini non sono condi-visibili alcuni giudizi troppo generosi neiconfronti di personaggi ambigui come Jo-seph de Maistre. Bisogna invece felicitarsicon l’Autrice per il paziente lavoro d’archi-vio, con l’auspicio che altri possano impe-gnarsi nello stesso modo e permettere cosìdi riscoprire i numerosi protagonisti dellastoria cattolica dei nostri popoli, censurata ofalsata da coloro che fanno della storiografiauno strumento di indottrinamento ideologi-co. La corretta interpretazione dei fatti stori-ci potrà così valutare, ad esempio, se l’esal-tazione del Risorgimento fatta ripetutamen-te negli ultimi anni da Carlo Azeglio Ciampi(il quale, seppur particolarmente devoto aiprincipi laici e repubblicani, non ha disde-gnato di soggiornare nella reggia papalinache la Monarchia sabauda aveva tolto ai le-gittimi proprietari) sia attendibile o sia inve-ce una pia esagerazione, seppur compassata.

don Ugo Carandino

ANGELA VEGGI DONATI, Un romagnolo nel governo del Papa Re.La figura e l’opera del cardinal Randi,Società Editrice il Ponte Vecchio, Cesena 2001.

ELENA BIANCHINI BRAGLIA, Adelgonda di Baviera, l’ultima Duchessadi Modena, Reggio, Massa e Carrara,Ed. Terra e Identità, Modena 2003 (viaPrampolini 69, 41100 Modena, Tel. 059212334).Maria Beatrice Vittoria. Rivoluzione eRisorgimento tra Estensi e Savoia, Ed. Terra e Identità, Modena 2004.

Autorità e episcopato nella Chiesa

Nel dicembre del 2005 ricorrevano ivent’anni dell’Istituto Mater Boni

Consilii. Da quella data la rivista Sodali-tium ne è sempre stata l’organo ufficiale(prima era la rivista ufficiale del distrettoitaliano della FSSPX). Per festeggiare que-sto lieto anniversario il Centro Librario So-dalitium, nato come una costola dalla stessa

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“Finora tutti hanno parlato diMortara. Adesso, lasciate chesia Mortara stesso a parlare”

Vittorio Messori ha pubblicato l’ autobio-grafia di Pio Edgardo Mortara, rinvenu-

ta negli archivi dei Canonici Regolari delSS.mo Salvatore Lateranense in Roma.

In essa lo stesso Mortara ricostruiscecome andarono veramente le cose. VittorioMessori, nella sua lunga e profonda intro-duzione, scrive che vi è stato un EdgardoMortara vero, o “della storia”, ed uno fitti-zio, o “del mito”.

Messori cita infatti molti storici che han-no fatto una ricostruzione totalmente irrealedel “caso Mortara”. Nel 1888, Padre Pio Ed-gardo Mortara scrisse in spagnolo una “au-tobiografia” che adesso, a cura di VittorioMessori, è stata presentata in italiano daMondadori, per la prima volta. Nulla di me-glio che lasciare la parola, nel “processoMortara”, al Mortara stesso. Penso che dopola pubblicazione di quest’opera il “caso Mor-tara” possa dirsi concluso; infatti l’autoritàdell’Autore, la sua esperienza diretta, la suascienza teologico-storica e giuridica, espon-gono i fatti come andarono realmente, con-futano le obiezioni mosse dagli “storici” con-tro Pio IX e la Chiesa Romana, con un’asso-luta precisione e chiarezza che non ammet-tono repliche e non lasciano più dubbi.

Il memoriale

Da questo “memoriale” mi pare cheemergano alcuni elementi “nuovi” che non

rivista, ha pensato di riproporre in questolibro alcuni articoli, pubblicati in passato,che erano divenuti ormai irreperibili a cau-sa dell’esaurimento dei rispettivi numeri ar-retrati di Sodalitium (nn° 13 e 16).

Questi testi costituiscono come una“pietra miliare” nella storia dell’Istituto edella sua posizione teologica (la Tesi diCassiciacum) di fronte all’attuale crisi nellaChiesa, ed a essi bisogna sempre riferirsiper capire l’evoluzione e lo sviluppo delpensiero successivo.

Fondamentali sono i due testi di MonsGuérard des Lauriers: “l’intervista” (pubbli-cata nel “famoso” n° 13 di Sodalitium delmaggio 1987) con la quale Sodalitium ab-bracciava ufficialmente la Tesi di Padre Gué-rard; e “Consacrare dei Vescovi” (pubblicatosu Sodalitium n° 16 del marzo-aprile 1988)con il quale l’Istituto riteneva opportuno per-petuare la “Missio” secondo il pensiero diPadre Guérard scegliendo “l’opzione episco-pale”. Questi due testi dell’illustre teologodomenicano sono corredati da due articoli in-troduttivi di don Ricossa (attuale direttore diSodalitium) che spiegano la situazione crea-tasi nella chiesa dopo il Concilio Vaticano IIe i mezzi per conservare la fede, vivificata daiSacramenti.

Sarà molto interessante notare comeMons Guérard nei suoi scritti avesse già ri-sposto e dato una soluzione a tutte le que-stioni che ancora oggi, a vent’anni di di-stanza, inquietano i cattolici fedeli e divido-no i “tradizionalisti” (notiamo en passantcome nell’intervista egli affermava già l’in-validità del nuovo rito di consacrazione epi-scopale, di cui qualche tradizionalista di og-gi crede di essere lo scopritore...).

Mons Guérard des Lauriers è stato unvero “Maestro” nelle questioni teologichelegate alla difesa della fede dopo il Concilio

Vaticano II, edè sempre unpiacere leggeree rileggere isuoi scritti.Nella sua vitaegli portò laconseguenzadelle sue scelterigorose conFede profon-da, pagandonelo scotto anche

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con un quasi totale isolamento verso la finedella sua vita, ma ha insegnato a tutti noi,con il suo esempio, le esigenze della “VE-RITÀ”. Questo opuscolo vuole essere quin-di un omaggio di riconoscenza vivissima diSodalitium a Mons Guérard des Lauriers.“Veritas liberavit vos” (Giov. VIII, 32).

don Ugolino Giugni

MONS. GUÉRARD DES LAURIERSIl problema dell’Autorità e dell’episco-pato nella ChiesaCollana Cassiciacum Volume II - Centro Librario Sodalitium, 100 pagg.Verrua Savoia 2005, € 8,40

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prestare attenzione a ciò che ci dicono» (p.156). Egli ricorda «ai cattolici timidi e co-dardi, che… non osano testimoniare este-riormente la loro fede (…) che la codardia èuna cosa molto brutta in ogni ordine (…),ma che in materia religiosa è prossima alladiserzione e all’apostasia» (p. 161-2).

Mortara si rivolge specialmente «ai cat-tolici a metà [i cattolici liberali, n.d.a.], pu-sillanimi e deboli, amanti dei compromessi edelle conciliazioni. Essi cercano transazionie capitolazioni, là dove non sono assoluta-

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«Ai cattolici orgogliosi, che osanomettere in discussione gli atti dell’auto-rità spirituale, pronti a disapprovarli econdannarli, dirò che di cattolico nonhanno che il nome e le apparenze…

Ai cattolici timidi e codardi, che ri-spettano i diritti della Chiesa ma nonosano testimoniare esteriormente la lo-ro fede, dirò che la codardia è una cosamolto brutta in ogni ordine della realtà,ma che in materia religiosa è prossimaalla diserzione e all’apostasia…

Mi rivolgo in particolare ai cattolici ametà, pusillanimi e deboli, amanti deicompromessi e delle conciliazioni. Essicercano transazioni e capitolazioni, làdove non sono assolutamente ammis-sibili. Sognano non so quali ideali di av-vicinamento della Chiesa a quello chechiamano nel loro gergo “lo spirito mo-derno, le idee del giorno”. Pretendonoche la Chiesa si adegui al loro alto edelevato criterio ed adotti tali idee, o al-meno le lasci entrare, sistemare e radi-care nel suo seno. Sono gli amatori dei“giochi di equilibrismo”, come dicevaPio IX, i cattolici a metà…

Per questi “cattolici liberali” provia-mo molta compassione, ma il loro stu-pore non ci sorprende, le loro lacrimenon ci commuovono. Con san Paolo di-remo: “non possiamo fare nulla controla verità, ma faremo tutto per essa”…

A tali cattolici pusillanimi e deboli,che cercano transazioni, capitolazioni econciliazioni tra i diritti di Dio e le esi-genze del mondo che odia Gesù Cristoed è nemico della Sua croce, ripeterò leterribili parole dell’Apostolo delle genti:“Che cosa c’entra Cristo con Belial,con Satana, con l’inferno?”».

erano stati ancora messi pienamente in luceneppure dai grandi difensori (come L.Veuillot) del Mortara.

Mi sembra che possano essere riassunticosì:

1) allo scoppiar del “caso Mortara”, ilmondo si risvegliò riconoscendo che avevadimenticato la dottrina cristiana sul Batte-simo (p. 89). Alle pagg. 149-151, Messori dàuna spiegazione teologico-giuridica del per-ché Pio IX non potesse rendere un’animabattezzata al giudaismo.

2) Tra “il Talmud e il Vangelo (…) pas-sava un abisso, un’antipatia tradizionale, unacerrimo antagonismo. Era come una mura-glia cinese, una barriera insuperabile che se-parava gli uni [gli ebrei] dagli altri [i cristia-ni], ostacolando ogni compromesso, ognitransizione, ogni mescolanza e confusione.[Contro la teologia ecumenica dell’“AnticaAlleanza mai revocata”, n.d.a.]” (p. 97). In-fatti, come scrive Messori, “la religione ‘mo-saica’ [o meglio talmudica, n.d.a.] è comple-tamente antitetica a quella cattolica” (p. 100)e ciò “impediva [e impedisce!] ogni incrocioibrido” (p. 98). Il piccolo Mortara pregava, eha continuato a pregare fino alla fine (1940)per la conversione degli Ebrei al Cristianesi-mo, chiedendo a Dio che “li liberasse dalle‘tenebre e ombre della morte’, togliendo il ve-lo che occultava la verità nel loro cuore” (p.104; cfr il mistero della “Sinagoga benda-ta”). Mortara divenuto cattolico si sentiva“in possesso della Verità” (p. 105), non eraun “fratello minore in ricerca”, possedendogià “l’unico vero Dio e il suo Inviato, GesùCristo” (p. 105) e la “religione autentica” (p.106), ossia quella cattolica, apostolica e ro-mana, e non quella talmudica.

3) Mortara conia un termine molto at-tuale ancor oggi, quello di “clerofobia” (p.130) che attanagliava i liberali ottocente-schi come i liberi pensatori di oggi che in-vocano una “crociata laicista e libertaria”contro Pio XII, come i loro avi la mosserocontro Pio IX ai tempi di Mortara.

4) Se fosse tornato al giudaismo post-bi-blico Mortara era convinto di andare incon-tro all’«apostasia e all’eterna rovina» (p.131). Infatti la «religione israelita [è] con-traddittoria, superata dalla storia» (p. 151).

5) Don Pio Edgardo ci ricorda che biso-gna odiare «i nemici spirituali, coloro che ciostacolano sulla strada del bene e della ve-rità. Dobbiamo fuggire da quest’ultimi, non

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mente ammissibili. Sognano (…) ideali diavvicinamento della Chiesa (…) allo “spiri-to moderno”… Amatori dei giochi di equili-brismo (…) cattolici a metà» (p. 162). Comeinfatti conciliare la Fede nella SS. Trinità,nella Divinità di Cristo, con il giudaismotalmudico che la reputa idolatria e degna(ancor oggi) di morte? O il cattolicesimocon «la massoneria… eterno e irrinunciabilenemico di Gesù Cristo», con «il massoneche deve odiare la Chiesa e Gesù Cristo sevuol essere un buon fratello»? (pp. 164-5).

Queste pagine scritte da un ebreo con-vertito, fine conoscitore del giudaismo tal-mudico e della teologia cattolica, debbonofarci riflettere sulle tristissime transazionigiudaizzanti di certa “teologia a metà” cheimperversa da circa quarant’anni in am-biente cattolico. Mortara ci pone di fronteall’aut aut: o cattolici credenti nella Trinitàe nell’Incarnazione del Verbo, o talmudistiapostati che hanno rinnegato Cristo, la Tri-nità e la Chiesa. Tertium non datur!

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L’ Introduzione di Vittorio Messori

L’introduzione di Vittorio Messori, chesi era già occupato del “caso”, è molto in-telligente e coraggiosa; i punti nuovi e sa-lienti possono essere presentati così:

a) Il «caso Mortara» determinò la fon-dazione dell’Alleanza Israelitica Universa-le, che tanto peso ha avuto nella nascita delsionismo e dello Stato di Israele (p. 21).

b) Il tentativo di rapire il giovane Mor-tara a Roma, dopo il 20 settembre 1870, èsimile agli «“omicidi mirati” dell’attualeesercito israeliano per eliminare chi sia sgra-dito; o come la cattura, nel 1961, di AdolfEichman in Argentina all’insaputa delle au-torità di quel Paese» (p. 21).

c) Per «essere libera la Chiesa… deve es-sere padrona in casa sua, non deve essereospite di un Grande della terra… Pio IX havisto giusto rifiutando trappole come la Leg-ge delle Guarentigie (…) apparentementegenerosa, ma dove in realtà il solo padroneero lo Stato che, benevolmente e sovrana-mente, finché ne avesse interesse, concedevaospitalità» (p. 42). Quanto è attuale (per laChiesa e per i sacerdoti) tale constatazione!

d) L’esercito della leva generale e lascuola dell’obbligo sono – come osservaacutamente Vittorio Messori (pp. 53-55) –una vera e propria rapina di anime cristianesottomesse allo Stato Leviatano; mentrePio IX fu obbligato a dare un’educazione

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«Napoleone III proteggeva apparen-temente il papa con le truppe che man-teneva a Roma. In realtà, in manierasubdola e nascosta, aiutava il re subal-pino a concludere l’unità d’Italia, fonda-ta sulle rovine degli altri troni… Napo-leone III è stato il Pilato del secolo XIX,che ha consegnato il Cristo di Dio alcarnefice, lavandosene le mani… Uomodalle dieci coscienze, secondol’espressione del grande don GiacomoMargotti (…), l’Imperatore voleva darela soluzione definitiva della questionedel bambino Mortara».

«Tutti voi che avete condannato ocondannate Pio IX, soffermatevi su ciòche hanno fatto e fanno oggi in nomedel progresso e della libertà i governirazionalisti e i loro corifei… Si centraliz-za e si monopolizza l’insegnamento, uninsegnamento antireligioso ed eminen-temente massonico, in cattedre pesti-lenziali di uomini senza fede, senzaprincipi e senza morale. Si obbligano igenitori a consegnare le care animeamate dei loro figli a questi demoni in-carnati. Altrimenti, tali figli rimarrannosenza carriera, senza diritti civili, a voltesenza tetto né letto.».

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cattolica ad un’anima resa cristiana dal Bat-tesimo sino a che – divenuta maggiorenne –avesse potuto scegliere da sé in quale reli-gione dovesse vivere.

e) Gli USA «dove l’ipocrisia (…) èun’impronta da cui quel grande Paese èmarchiato sin dall’inizio e della quale sem-bra non riuscire a liberarsi» (p. 57) prote-starono per il “rapimento” di Mortara –pressati dagli Ebrei e dalla massoneria –raggiungendo la sfacciataggine, dal mo-mento che in quel tempo vigeva ancora nel-la “Patria della libertà” lo statuto dellaschiavitù».

Tale annotazione è importante, attualee “teologicamente scorretta”, poiché oggi icosiddetti “cristianisti” di destra o teo-con-servatori (Pera, Adornato, Ferrara…) ve-dono nell’America, nell’occidente cristia-no-liberale e nello Stato d’Israele il baluar-do e l’ideale di vita. Infatti Messori è statopuntualmente attaccato da Antonio Soccisu “Il Giornale” del 14-6-2005 per aver ri-spolverato il «caso Mortara (…) di cui nes-suno sentiva bisogno se non i seminatori didiscordia che cercano lo scontro tra cattolicied ebrei». Penso che la “nuova cristianità”di Maritain, rivista e corretta da M. No-vack, ossia l’occidente (USA, EU, Israele)laicizzato, sarà il cavallo di battaglia delnuovo ordine mondiale e della nuova teolo-gia secolarizzata, i quali in nome del “con-servatorismo-liberale” perseguiteranno so-prattutto coloro che (come Pio IX e Morta-ra) vorranno restare cattolici integrali enon “a metà”.

Prego e spero che Benedetto XVI sap-pia e possa opporsi a tale movimento e nonne diventi l’avanguardia dottrinal-religiosa.

don Curzio Nitoglia

VITTORIO MESSORI«Io bambino ebreo rapito da Pio IX» IlMemoriale inedito del protagonista del“caso Mortara”Mondadori Milano 2005 € 17,00

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Omelia di S.E. Mons. Stuyverper le ordinazioni sacerdotali

(5 novembre 2005)

Magnificat anima mea Dominum

Con queste parole mi rivolgo a voi, caris-simi amici, per esprimere la mia grande

gioia in occasione di questa ordinazione sa-cerdotale di due diaconi. E quest’avveni-mento lieto e incoraggiante non avrebbeavuto luogo, se non si fosse potuto festeg-giare quest’anno il ventesimo anniversariodell’Istituto Mater Boni Consilii.

In effetti, fin dalla sua fondazione, l’Isti-tuto ha come finalità primaria quella di of-frire quotidianamente sugli altari l’oblatiomunda, vale a dire il Santo Sacrificio dellaMessa vergine di ogni riferimento a Bene-detto XVI (e ieri a Giovanni Paolo II) affin-ché non venga macchiato o profanato. Lafondazione del seminario San Pietro Marti-re per i candidati al sacerdozio fu, mi sem-bra, una logica conseguenza di questa pri-maria finalità. Dobbiamo essere riconoscen-ti ai fondatori dell’Istituto (senza dimentica-re Mons. Guérard des Lauriers) per averavuto la fede, il coraggio e la perseveranzaper continuare l’opera del seminario. Oggi,grazie a Dio, ne vediamo i frutti: l’ordina-zione di due sacerdoti. Certo, è ben poco inparagone al numero di candidati dei giornid’ordinazione nelle diocesi di una volta. MaDio non bada al numero. Egli considerapiuttosto l’intensità della nostra Fede, dellanostra Speranza e della nostra Carità.

“Sacerdos alter Christus”

Mediante l’imposizione delle mani e laforma di consacrazione del prefazio, si rea-lizzano nuovamente le parole dell’angeloalla Vergine Maria: “Lo Spirito Santo verràsu di te, e la potenza dell’Altissimo ti copriràcon la sua ombra”. Tra poco, lo SpiritoSanto rivestirà i due eletti ed opereràun’eterna somiglianza tra essi e Cristo.Quando si rialzeranno, saranno uomini tra-sformati: “Tu sei sacerdote in eterno, secon-do l’ordine di Melchisedec”.

Questa somiglianza con Cristo è l’effetto,nell’anima del sacerdote, del carattere sacer-dotale. Questo carattere imprime nell’animaun sigillo indelebile di Gesù, Sommo Sacer-dote. Resterà in lui per l’eternità.

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Questo carattere consacra il sacerdote aCristo in qualità di ministro. Gli dà un po-tere sovrannaturale. Cristo lo riveste delsuo potere. Gesù opera efficacemente permezzo del ministero del sacerdote. Senzadubbio, avete notato che durante la SantaMessa il sacerdote non dice: “Questo è ilCorpo… è il Sangue di Cristo”, ma dicepiuttosto “questo è il mio Corpo… questo èil mio Sangue”. Come può osare tanto? Acausa della sua identificazione con Cristo,Eterno Sacerdote.

“Ego te absolvo”, dice in confessionale:“io ti assolvo”. Non fa appello a Dio. Ordi-na: “Ego, Io ti assolvo”. La Chiesa, che fàpronunciare questa sacra formula al sacer-dote, sa che egli è una cosa sola con “Cristoche opera con lui e per mezzo di lui”.

Il sacerdote è il mediatore tra il cielo ela terra, poiché “ogni sommo sacerdote,proveniente dagli uomini, è costituito a van-taggio degli uomini per i loro rapporti conDio” (Hebr. V,1). Suo compito è dare lecose sacre. Al Padre, offre Gesù immolatosacramentalmente; quanto agli uomini, lirende partecipi dei frutti della redenzione,dà loro, cioè, le grazie e il perdono divino.Certo, è Gesù stesso che santifica le animedegli eletti, ma lo fa mediante i suoi sacer-doti. Dalla culla fino al letto di morte, vi so-no dei sacerdoti che impersonano Cristo. Ilsacerdote è là, come dispensatore autenticodei tesori e delle misericordie di Dio.

“Sacerdos alter Christus; il sacerdote èun altro Cristo”, dice l’adagio. Egli è il ri-flesso, tra gli uomini, del sacerdozio del Fi-glio. Sulla terra, nulla è superiore all’eccel-lenza del sacerdozio. Abbiamo, quindi,un’altissima idea della dignità sacerdotale!

In un giorno d’ordinazione, San France-sco di Sales s’accorse che alla porta dellachiesa un sacerdote novellamente ordinatosi era fermato come se disputasse con unapresenza invisibile per sapere chi sarebbepassato per primo. Il giovane sacerdoteconfessò che aveva il privilegio di vedere ilsuo angelo custode. “Adesso – diceva – nonvuol più passare prima di me”.

“Innova in visceribus eorum spiritumsanctitatis”

Cari ordinandi, da questa dignità derivaper voi un grave obbligo di tendere alla per-

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fezione. Dovete convincervi della reale san-tità alla quale siete chiamati. Il Santo PapaPio X dice nella sua esortazione al clero cat-tolico che tra un sacerdote e un onest’uomoqualunque ci deve essere tanta differenzaquanta ce n’è tra il cielo e la terra; per que-sta ragione il sacerdote deve badare a che lasua virtù sia esente da ogni rimprovero, nonsolo in materia grave, ma anche in materialeggera. Il vostro dovere di tendere alla per-fezione è un’esigenza del vostro potere sulCorpo e il Sangue del Figlio di Dio. Saretegli intimi di Gesù, i ministri del suo sacrifi-cio. Pensateci spesso. Avrete la funzione didispensatori della grazia. A questo titolo,non dovete forse essere voi stessi i primi aessere santificati dalla grazia? Infine, i fedelisi aspettano da voi una lezione e un esem-pio. Se il sacerdote predica agli altri la leggedi Cristo, come può smentire con la sua vitala verità che insegna? Non dimenticatelomai: non smettete d’esser preti scendendodall’altare! Lo sarete sempre e ovunque.Come Gesù, vivete con la mente rivolta agliinteressi di Dio.

Non scoraggiatevi. Il peso di così tantagloria, di così tante grazie, di una così graveresponsabilità non vi soverchierà, perché ilcarattere sacerdotale è anche un bracieredal quale emanano grazia sovrabbondante,forza e luce. “Dio è potente al punto di au-mentare in te la sua grazia”.

Gesù è sacerdote in ragione della suaunione ipostatica. Il suo concepimento nelseno verginale di Maria fu la sua ordinazio-ne. Il sacerdozio cattolico è fondato sotto ilCuore Immacolato della Vergine Maria.Allora, è naturale che il sacerdote si consa-cri al Cuore Immacolato di Maria. La Ma-donna è la “domus aurea”, la “casa d’oro”del sacerdote: essa è la madre del sacerdo-te. “Nei pericoli, nelle angosce, nei dubbi,pensa a Maria, invoca Maria…”.

Concludo con un augurio tratto dalleparole del Pontificale: “che il buon odoredelle vostre virtù rallegri la Chiesa di GesùCristo; che la vostra predicazione ed il vostroesempio edifichino la casa di Dio, vale a direi suoi figli, cosicché Dio non ci punisca peravere conferito o ricevuto il peso di un talministero, ma piuttosto ci ricompensi”.

Madre del buon Consiglio, consigliaci eproteggici.

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Cari lettori, lo scorso numero di Sodali-tium vi aveva accompagnato nella vita

dell’Istituto fino al marzo 2005; questa cro-naca vi porterà fino al termine dell’anno chesi è concluso: da allora, la nostra piccola fa-miglia che conta ormai 24 membri, ha festeg-giato i vent’anni della sua fondazione condue ordinazioni sacerdotali.

I vent’anni dell’Istituto, e le ordinazionisacerdotali. Il 18 dicembre 1985, a Torino, ve-deva la luce l’Istituto “Mater Boni Consilii”,fondato da quattro sacerdoti del distretto ita-liano della Fraternità San Pio X, proprio conl’abbandono della congregazione di Mons.Lefebvre. Il miglior modo di celebrare questivent’anni di ministero sacerdotale per la glo-ria di Dio, la fedeltà alla Chiesa e la salvezzadelle anime, è stato quello di assicurare aDio, alla Chiesa e alle anime due nuovi sacer-doti, don Jocelyn Le Gal, dell’Istituto MaterBoni Consilii, e Padre Joseph Marie Mercier,monaco benedettino a Faverney, in FrancaContea. Il 3 novembre, giorno anniversariodella sua ordinazione sacerdotale, Mons.Stuyver arrivava all’aeroporto di Milano ac-compagnato dall’abbé Christ van Overbeckee accolto da don Giugni. La sera giungevanoa Verrua, assieme a numerosi confratelli, fe-deli e amici da ogni dove. Sabato 5 novem-bre, le ordinazioni sacerdotali a Verrua, inuna chiesa stracolma (potete leggere l’omeliadel vescovo a pagina 57). Più di duecentopersone si sono trattenute a pranzo, dopo lacerimonia, per festeggiare il ventennale e idue novelli sacerdoti. Tra i sacerdoti presentialla cerimonia, ricordiamo quella di tutti i sa-cerdoti dell’Istituto, sia quelli di Verrua (donCazalas, don Giugni, don Murro e don Ricos-

sa) sia quelli delle altre case (don Nitoglia daRoma e don Carandino da Rimini), di donCasas Silva (prete assistente di Padre Mer-cier), di don Philippe Guépin (prete assisten-te di don Le Gal), e di due sacerdoti italiani,uno religioso e uno diocesano e ricordiamo lapresenza delle religiose dell’Istituto e di Cri-sto Re (Serre-Nerpol). Il giorno dopo don LeGal celebrava la sua prima messa solennenell’oratorio del Sacro Cuore, a Torino, men-tre Padre Mercier ha celebrato la sua primamessa solenne a Faverney, in presenza delsuo superiore, Padre Verrier, il 20 novembre;in entrambi i casi ha predicato don Ricossa.Anche le prime messe solenni sono state, ov-viamente, commoventi e bellissime, giornateindimenticabili per i tantissimi fedeli che han-no voluto assistervi, venendo a volte ancheda molto lontano. Don Le Gal ha poi cele-brato anche in varie località (Rimini, Chieti,Milano, Serre-Nerpol, Nantes) delle “prime”Messe che hanno incoraggiato i fedeli locali.Il nuovo sacerdote dell’Istituto è nato a Nan-tes nel 1975, dopo gli studi alla scuola St Mi-chel di Chateauroux (della Fraternità San PioX) si è laureato a Parigi, nel 1998 in ingegne-ria. L’anno seguente è entrato in seminario aVerrua. Padre Mercier (Vincent è il suo no-me di battesimo) è nato nel 1979 a Dôle (Ju-ra). Ha studiato presso la scuola della Frater-nità San Pio X a Bitche dal 1994 al 1997, an-no in cui ha seguito la vocazione benedettinaa Faverney, nella fondazione di Padre Ver-rier. Dopo aver iniziato gli studi ecclesiatici alSeminario San Pio X di Ecône, ha raggiuntoil nostro seminario nel 2002. Padre Mercier èuno dei sette sacerdoti che, pur non apparte-nendo all’Istituto, hanno svolto almeno unaparte dei loro studi a Verrua.

Seminario San Pietro Martire. Il 24 giugno,con l’ultima giornata degli esami di fine anno,si è chiuso l’anno accademico 2004-2005. Do-

Vita dell’Istituto

Ordinazioni sacerdotali del 5 novembre 2005: due momenti della cerimonia

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po le vacanze (e l’apostolato estivo), il rientroa Verrua previsto per l’Addolorata, e poi l’ini-zio delle lezioni il 20 settembre. Dal 26 al 30settembre, Mons. Stuyver ha dato gli Esercizispirituali (di Sant’Ignazio) ai sacerdoti e ai se-minaristi dell’Istituto, oltre che a due sacerdotiesterni (don Casas Silva, argentino, e don Ja-mes Baird, statunitense che risiede in Germa-nia) e ad altri membri dell’Istituto. Dopo le or-dinazioni, sono continuate le lezioni, anche peri nuovi sacerdoti. Un candidato è già stato ac-cettato per il prossimo anno scolastico, e spe-riamo naturalmente che altri lo seguano.

Suore di Cristo Re a Moncestino (Ales-sandria). Dopo Pasqua la piccola comunitàha fatto un breve ritorno alla Casa Madre diSerre-Nerpol, dove, davanti a don Murro,domenica 3 aprile, la Superiora di Moncesti-no, Madre Marie-Thérèse, e Suor Marie-Ga-brielle, hanno fatto pronunciato i voti perpe-tui, mentre una postulante ha ricevuto l’abi-to religioso iniziando così il suo noviziato.Durante la… sede vacante, però, la casa diMoncestino non è rimasta incustodita: vigila-va la nostra Suor Elisabetta di Gesù, che ciha anche aiutato a Verrua durante tutte levacanze pasquali. Il 30 ottobre ci sono stati i25 anni della fondazione della “Maison StJoseph” con i primi voti di una suora.

Le Suore dell’Istituto Mater Boni Consi-lii. Se a Pasqua, Suor Elisabetta di Gesù haincominciato a impratichirsi con la cucina, apartire dal 27 giugno ha lasciato la Casa SanGiuseppe di Moncestino per continuare ilnoviziato a Verrua, dove un’ala della casa èstata separata e destinata a clausura, inclu-dendo la cappella di San Pietro Martire. Acausa degli impegni familiari della signoraGillio, che da tanti anni assicura presso dinoi la segreteria e la cucina, si è reso neces-sario un avvicendamento in queste funzionicon Suor Elisabetta. Intanto, non mancanole ragazze che si interessano alla nuova fon-dazione, per cui un giorno speriamo di doveracquistare una nuova casa per le religiose…

La Casa di Verrua… è ormai la “casa ma-dre” per tutti coloro che sono partiti per unanuova fondazione dell’Istituto: ricordiamoMons. Stuyver, in Belgio, don Carandino aRimini e, dall’ottobre 2004, don Nitoglia aRoma. Al posto di don Curzio, come sapete,è venuto don Casas Silva, che ha dato un no-tevole impulso ai centri di Torino e di Verrua,dove è stato organizzato anche un pranzo su-damericano con la comunità argentina e lati-

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no-americana dei dintorni. È tornato in Ar-gentina il 6 novembre, dopo le ordinazioni,sapendo che avevamo qualcuno che lo potevasostituire, ma ha promesso che a partire damarzo passerà di nuovo qualche mese fra dinoi. A giugno, sono terminati, finalmente, ilavori per la biblioteca. Fatta la biblioteca,spetta al bibliotecario il lavoro più duro, com-plicato dal fatto che, a fine anno, abbiamo ri-cevuto in donazione dallo storico GianniVannoni, di Firenze, l’imponente archivio sul-la massoneria del defunto padre gesuita Flori-do Giantulli, eminente figura di sacerdote ri-masto sempre fedele alla tradizione dellaChiesa, e autore, nel 1973, dell’opera “L’es-senza della massoneria italiana: il natu-ralismo” (Pucci Cipriani editore, Firenze).

L’Istituto “virtuale”. La sezione in spa-gnolo ed in inglese del sito dell’Istituto erauna promessa; adesso è una realtà; un grazievivissimo a quanti si sono occupati del sito edelle traduzioni. Ricordiamo che gli unici sitiinternet dell’Istituto sono i seguenti:www.sodalitium.it e www.casasanpiox.it.Certamente, non mancano numerosi altri sitigestiti da laici che si professano e sono amicidel nostro Istituto, ma è chiaro a tutti che so-lo i siti ufficiali di cui sopra rappresentano leposizioni ed il pensiero del nostro Istituto.

Attività estive. Il Campo San Luigi diGonzaga, a Raveau dall’11 al 25 luglio, hafesteggiato quest’anno i suoi 15 anni di esi-stenza riunendo 23 ragazzini, sotto la dire-zione di don Le Gal e don Giugni. I bambinihanno visitato il castello medioevale d’Ainayle Vieil (dove con loro grande gioia hannopotuto indossare armature e spade di plasti-ca per rendere più realistica la visita…) e ilparco con gli animali di Boutissaint (sempremolto apprezzato per i suoi cervi, cinghiali ebisonti…). Durante la colonia c’ è stata lacomunione solenne dei due fratelli Bernarde Joseph Langlet che partecipavano al cam-po. Quest’anno il campo delle ragazze orga-nizzato dalle Suore di Cristo Re, con l’assi-stenza spirituale di don Murro, si è svolto aChantelouve, meta conosciuta da chi ha giàfatto il campo altre volte. La bellezza del po-sto, la vasta scelta di passeggiate, la como-dità del luogo del campeggio non disilludonomai ragazze e sorveglianti. Con i laghi, lemarmotte, i giochi, le camminate, tutti eranocontenti, nessuno voleva più ripartire; ancheil cane del pastore, passando per il nostro ac-campamento, voleva restare con noi e non

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ritornare a sorvegliare il gregge. Ma le gioiedi questa terra non sono eterne, e così siamodovuti ripartire. Per chi vuol ritrovare queibei momenti, l’appuntamento è fissatoall’anno venturo.

Belgio. Mons Stuyver ha amministrato 4battesimi (di cui parliamo nell’apposita ru-brica) e ha predicato un ritiro di tre giornidurante il mese di agosto. Ha anche ammini-strato il sacramento della cresima privata-mente. Per il resto, proseguono sul posto lelezioni di aiuto scolastico a svariati ragazzi,che impegnano moltissimo Mons. Stuyver e isuoi collaboratori. Oltre all’Olanda e al norddella Francia, dobbiamo segnalare questavolta la visita di Mons. Stuyver in Germania,a Karlsruhe, dal 15 al 17 giugno, su invito didon James Baird, che svolge il suo ministeronella St Andreas Kapelle della città tedesca.Il 16 giugno ha amministrato le Sante Cresi-me. Don Baird è stato ordinato da Mons.Stork e, come avete già letto, si è recato a

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Verrua per gli esercizi. Mons. Stuyver rin-grazia tutti: don Baird, la sua “perpetua”, ifedeli di Karlsruhe per l’accoglienza che gli èstata fatta, e la gentilezza di tutti nei suoiconfronti. Da parte nostra ci rallegriamo diquesti nuovi contatti col cattolicesimo tede-sco, favorito dal fatto che Mons. Stuyver par-la questa lingua e che don Baird è veramente(lo abbiamo constatato a Verrua) un sacer-dote… poliglotta!

Francia. Nell’ultimo anno si è tornato aparlare e discutere (anche grazie ad un fo-rum) della questione della vacanza della Se-de Apostolica; particolarmente interessante ilfatto che il dibattito si è aperto anche al difuori degli ambienti cosiddetti “sedevacanti-sti”. Così, la conferenza-dibattito che il 17maggio il Centre Saint Paul di Parigi ha dedi-cato alla questione disputata ha attirato ungran numero di partecipanti, tra i quali nu-merosi sacerdoti e personalità del mondo“tradizionalista”. Don Ricossa, che era tra gli

PELLEGRINAGGIO A PIEDI OSIMO – LORETOSabato 13 maggio e Domenica 14 maggio 2005

III° edizione(In caso di elezioni sarà spostato al fine settimana seguente)

Sabato 13 maggio 2006Ore 14,00 appuntamento a Osimo, nel parcheggio del piazzale “del San Carlo” (in viaMontefanese, davanti alla chiesa San Carlo; dal centro storico: direzione Macerata). Si raccomanda la massima puntualità;Ore 15,00 partenza a piedi del pellegrinaggio; - venerazione del corpo di San Giuseppe da Copertino nella basilica di Osimo;- sosta al santuario della B. V. Addolorata di Campocavallo;- arrivo a Castelfidardo, cena e pernottamento.Domenica 14 maggio 2006Ore 07,45 Santa Messa.Ore 09,00 colazione.Ore 09,45 partenza;- sosta sul luogo della battaglia dell’Esercito Pontificio a Castelfidardo;- arrivo a Loreto e pranzo al sacco.Ore 14,30 preghiera nella Santa Casa di Loreto.Ore 15,30 fine del pellegrinaggio.

Le iscrizioni si devono effettuare unicamente presso la:

Casa San Pio XVia Sarzana n. 86

47828 San Martino dei Mulini (RN)Tel: 0541.75.89.61 Fax: 0541.75.72.31

Email: [email protected]

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ascoltatori, ha voluto concludere sottolinean-do due punti che sembravano comuni ai di-versi schieramenti: il fatto che la Chiesa nonpuò venir meno, ed il fatto che le riformeconciliari non possono venire dalla Chiesa.Queste verità condivise (si spera) possono es-sere un punto di partenza per tutti i cattolicisinceri, per dare un giudizio sulla situazioneattuale dell’autorità nella Chiesa. A nostroparere, l’analisi più corretta si trova semprenella “tesi di Cassiciacum”. Un lettore argen-tino ci ha segnalato una curiosità di teologiapositiva al riguardo: prima ancora del card.Gaetano, la distinzione materialiter/formali-ter nel papato si trova negli scritti di Agosti-no Trionfo, teologo agostiniano morto nel1328; la sua “Summa de protestate ecclesiasti-ca” “costituisce un vero monumento di eccle-siologia” (Enciclopedia cattolica). Sodalitiumsi ripromette di tornare sulla questione. Il 15agosto: a Serre Nerpol don Cazalas ha svoltola consueta processione per festeggiare l’As-sunta, patrona della Francia. Il 30 ottobre, fe-sta di Cristo Re, è stato festeggiato a SerreNerpol l’anniversario dei 25 anni della fonda-zione della Maison St Joseph. Amici e bene-fattori nonché molte ex-allieve si sono ritro-vati in questa giornata di gioia in cui si sonoricordati i momenti salienti dell’acquisto, del-le ristrutturazioni e delle costruzioni degliedifici e della chiesa che attualmente sonoutilizzati dal convento e dalla scuola. La gior-nata è stata allietata dalla professione religio-sa di una novizia durante la Messa cantata dadon Murro. Proseguono i Catechismi a Vi-nay, Annecy e Cannes con puntate in Svizze-ra, le conferenze al Cercle Saint Barnard deisacerdoti dell’Istituto o di oratori invitati ap-positamente (come il dott. Cazalas). I sacer-doti dell’Istituto non esitano a seguire i lorofedeli anche lontani. Essi visitano e portano iSacramenti a persone malate e anziane, chenon avrebbero altrimenti la possibilità di ri-ceverli. L’ordinazione di don Le Gal permet-terà di intensificare la nostra presenza inFrancia; in particolare ci stiamo organizzan-do per la celebrazione della Messa a Parigi.Altrove sono richiesti invece dei notevoli sa-crifici economici: a Lione, in particolare, e adAnnecy, dove dovremo lasciare la cappellanella quale ci troviamo da tanti anni, e dovre-mo pertanto trovare un nuovo luogo di culto.

Italia. Segnaliamo due viaggi di Don Ni-toglia che si è recato in Irlanda e in Spagnaper visitare famiglie amiche. A Roma, caput

mundi (et Ecclesiae!) don Curzio si rallegradi vedere nuovi fedeli all’oratorio San Gre-gorio VII, e dei giovani interessati anche neidintorni, come a Tivoli. Per tutti coloro chelo desiderano, don Nitoglia ha organizzato,con l’associazione culturale Roma Fidelis, deicorsi di vita spirituale ogni terzo sabato delmese. Il 17 luglio don Nitoglia è stato ascolta-to dalla Commissione parlamentare affari so-ciali in merito al progetto di legge (al quale ciopponiamo) in materia di donazione del cor-po post mortem (celebrale). In Lombardia. Il26 giugno don Ugolino ha celebrato la S.Messa presso la “Cassina Anna” nel quadrodella Milàn fest. In autunno si è recato a cele-brare la Santa Messa anche in provincia diVarese non lontano dalla città, rispettiva-mente domenica 30 ottobre e l’8 dicembre.Visto il fervore dei fedeli varesini vi è l’inten-zione di continuare l’apostolato in quella zo-na; invitiamo tutti coloro che sono interessatia prendere contatto con l’Istituto. Domenica27 novembre don Jocelyn Le Gal ha celebra-to una “prima messa bassa” a Milano pressol’oratorio. Il 7 dicembre, festa di S. Ambro-gio presso l’omonimo oratorio a Milano èstata celebrata la S. Messa in rito ambrosia-no. Il 17 dicembre è stato predicato un breveritiro di preparazione al S. Natale. Durantel’avvento ambrosiano, com’è tradizione, sonostate benedette le case dei fedeli. In Veneto.A Rubano presso Padova, c’è stato l’avvicen-damento tra i due don Ugo, il 23 ottobre: donCarandino si occupa ormai del gruppo di fe-deli veneti (la quarta domenica del mese),più vicini geograficamente a Rimini (chi desi-dera avere informazioni o ricevere la visitadel sacerdote può prendere contatto con lacasa S. Pio X di Rimini) permettendo così adon Giugni di incrementare le Messe inTrentino che passano così a due celebrazionimensili (la 1°, la 3° e la 5° del mese). Il grup-po trentino continua a seguire le lezioni didottrina il lunedì dopo la terza domenica delmese. Il 21 novembre al cimitero di Trento,organizzato dall’associazione cattolica SacraFamiglia, si è svolto un rosario di riparazioneper l’incremento degli aborti in quella pro-vincia al quale ha partecipato anche donUgolino Giugni; dell’evento hanno parlato iltelegiornale regionale di TCA del 21/11 e iquotidiani l’Adige del 22/11/05 (articolo: “Unrosario contro gli aborti”) e Trentino del21/11/05 e del 22/11/05 (“Il rosario antiabori-sta di don Ugolino”). All’articolo del Trenti-

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no che gli attribuiva una frase mai dettanell’intervista, don Giugni ha replicato conuna lettera al quotidiano, che ha permesso diprecisare la dottrina della Chiesa sul Limbodei bambini, pubblicata in data 25/11/05. Tut-ti conoscono la parrocchia di Spinga, in dio-cesi di Bressanone, famosa perché i suoi par-roci, prima don Pedevilla e poi don Zie-glauer, erano rimasti incrollabilmente fedelialla Messa della loro ordinazione (celebran-do, tra l’altro, “non una cum”). Purtroppodon Zieglauer ha dovuto lasciare la chiesaparrocchiale, dove immediatamente l’altare èstato sostituito col tavolo luterano.

In Emilia la Messa è detta a Maranello(Modena) e Ferrara. Anche quest’anno l’8dicembre, la festa dell’Immacolata è stata so-lennizzata coi canti polifonici della Corale diPorotto, che ha eseguito la Messa del Perosi.Potete seguire in dettaglio le nostre attivitàin Romagna sul sito: www.casasanpio.it e suOpportune, importune, lettera d’informazio-ni della Casa San Pio X. Segnaliamo qui al-cune cerimonie particolari. Domenica 22maggio don Ugo ha celebrato la Messa percaduti della R.S.I. nella chiesa-sacrario diPaterno (Mercato Saraceno, Forlì) di pro-prietà dell’Associazione Nazionale FamiglieCaduti e Dispersi della Rsi (con articolo suL’ultima Crociata, Anno LIV, n. 7, Settem-bre 2005). Domenica 31 luglio c’è stata la S.Messa in una chiesa parrocchiale del comunedi Apecchio (PU) cantata dalla corale dellaparrocchia, partecipazione del Priore e deiconfratelli Confraternita del SS. Sacramentoe del Rosario. L’8 dicembre prima Messa didon Jocelyn all’oratorio di Rimini (articolosu La Voce di Romagna del 7 dicembre2005). Abruzzo. All’oratorio di Chieti Scalo,

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sabato 15 ottobre si è svolto un ritiro di per-severanza per i fedeli abruzzesi che hannopartecipato agli esercizi spirituali negli ultimianni. Ogni mese inoltre i fedeli si riunisconointorno a don Ugo per il catechismo degliadulti. L’8 dicembre c’è stata una “primamessa bassa” e benedizione del novello sa-cerdote don Jocelyn; tanti erano i fedeli pre-senti dall’Abruzzo e da Potenza.

In Puglia e Basilicata le visite di don Ca-randino sono sempre più frequenti sia a Mo-dugno che a Potenza. In settembre don Giu-seppe Murro, che si trovava presso la sua fa-miglia, ha potuto celebrare due Messe dome-nicali a Potenza. Piemonte. Torino è la cittàdove più intensa è l’attività del nostro Istitu-to. A Torino, presso dell’oratorio del SacroCuore, sono organizzate varie attività oltrealle Sante Messe: corsi di catechismo, un cor-so di filosofia per adulti, la benedizione euca-ristica del primo sabato del mese, le funzionicaratteristiche di certi periodi dell’anno (co-me la Novena di Natale, l’ora santa predicatae il Te Deum di fine anno), delle gite per leragazze dell’oratorio ecc. Come ogni anno, il29 aprile a Torino, presso il cimitero monu-mentale, don Casas Silva e don Giugni hannobenedetto le tombe dei caduti della Rsi.

Conferenze. Numerose, come sempre, leconferenze tenute o organizzate dai nostrisacerdoti.

Conferenze e attività organizzate dalCentro Studi Giuseppe Federici (Rimini).Sul nuovo sito internet del Centro Studi Fe-derici (www.centrostudifederici.org) è possi-bile leggere tutti i Comunicati diffusi negliultimi anni. Inviate la vostra “e-mail” per ri-cevere i comunicati a: [email protected]. Il 22 aprile si è svolto a Rimini ilconvegno con la presentazione del libro Au-todafè dell’Occidente (Ed. Segno) di PietroFerrari, con interventi dell’Autore e di donCarandino (“La Cristianità agonizzante,l’Occidente apostata e l’espansionismo isla-mico”). Il 25 giugno c’è stata la cena papali-na, in onore di Pio IX, per soci e amicidell’associazione che si sono riuniti in unagriturismo sulle colline riminesi. Il 18 set-tembre a Venezia il Federici ha tenuto un ga-zebo con la buona stampa alla “18° Festa deiPopoli Padani”. Per il 20 settembre è statodiramato un comunicato stampa pubblicatoda La Voce di Rimini il 18 e il 20 settembre,ed è stata celebrata da don Ugo una Messaper i caduti papalini ed è stato presentato

Ordinazioni sacerdotali del 5 novembre 2005: la prostrazione

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l’omaggio floreale nella chiesa del cimiterodi Rimini insieme a una delegazione rimine-se della nuova Dc. Il 22 ottobre a Rimini si èsvolto il convegno a difesa della vita: “L’esi-to referendario del giugno 2005: traguardo opunto di partenza?”, con l’avv. Massimo Mi-caletti e il dott. Alessandro Pertosa. Il 26 no-vembre in collaborazione con il Comune diRimini, Quartiere n. 1, c’è stata la conferen-za sul tema: “Il 90 anniversario del Genoci-dio degli Armeni (1915 – 2005): il ricordo deidimenticati”, con proiezione di un documen-tario sul genocidio. Relatore: dott. PietroKuciukyan. Il 16 dicembre, tra le iniziative diEquamente, al Palazzo del Podestà, confe-renza dal titolo: “I Cristiani in Terra Santa:un dramma dimenticato”, relatore è statodon Carandino. Sempre nel corso di Equa-mente (3 - 31 dicembre), c’è stato un ban-chetto del CSGF con prodotti dell’artigiana-to cattolico di Terra Santa. Sezione Zanarinidi Bologna. Il 2 Dicembre 2005 a Bologna alPalazzo dell’Assemblea Legislativa della Re-gione Emilia Romagna Don Ricossa ha pre-sentato il suo libro su Cristina Campo, in-troddotto dal consigliere Mauro Manfredini.

Conferenze e attività organizzate dalCentro Studi Davide Albertario. Il C.S. Gia-como Margotti di Torino (che è diventatocentro studi autonomo nel 2005) ed il C.S.Davide Albertario di Milano hanno organiz-zato due conferenze di don Ricossa sul tema:Roma 1969: la Nuova Messa di Paolo VI e ilruolo di Cristina Campo tra riforma liturgicaed esoterismo”; la prima si è tenuta a Torinoil 6 maggio, la seconda a Milano, il 13 mag-gio. Durante le conferenze è stato presentatoil libro di don Ricossa edito dal C.L.S. Cristi-na Campo o l’ambiguità della Tradizione conla Risposta alla Lettera a un religioso di Si-mone Weil di padre Guérard des Lauriers. Il19 giugno il CSDA ha allestito un gazebo dibuona stampa a Pontida in occasione della

festa della Lega Nord. Il 13 ottobre a Milanosi è tenuta un convegno dal titolo: “La Spa-gna di ieri e di oggi: dalla Guerra Civile al go-verno Zapatero. Massoni, comunisti e anar-chici contro la Chiesa (1936, 2005)”. Relatorisono stati il prof. Massimo Zannoni del circo-lo culturale “Filippo Corridoni” di Parma e ilnostro confratello don Sergio Casas Silva sa-cerdote e giornalista, presidente della “Fon-dazione San Cayetano” di Rosario in Argen-tina [CD audio codice 0015]. Il 26 novembreha avuto luogo il Convegno di studi alberta-riani, giunto quest’anno alla sua quarta edi-zione. Esso si è tenuto presso la BibliotecaSormani, nella prestigiosa sala del Grechetto,con il patrocinio della “Regione LombardiaCulture, Identità e Autonomie della Lombar-dia” e del “Comune di Milano”. Il tema trat-tato è stato: “A quarant’anni dalla chiusuradel Concilio Vaticano II. Rottura o conti-nuità?”. I relatori sono stati tre sacerdotidell’Istituto Mater Boni Consilii: don Ugoli-no Giugni che ha introdotto il tema dellagiornata; don Giuseppe Murro, che ha tratta-to il tema: “La definizione della Chiesa se-condo la dottrina tradizionale e quella conte-nuta in Lumen Gentium”; infine Don France-sco Ricossa, direttore della rivista Sodalitiumil cui intervento ha riguardato: “La religionerivelata e l’ecumenismo: il problema di NostraAetate”. [Doppio CD audio codice 0016].

Conferenze alle quali hanno partecipatosacerdoti dell’Istituto. Seguiamo i diversiconferenzieri… Innanzi tutto don Curzio Ni-toglia, che nel contesto del ciclo di conferen-ze Eclissi del Sacro, tramonto dell’Occidente?organizzato dall’Associazione di cultura etradizione cattolica “Roma fidelis” (sezionedel Coordinamento Cattolico) ha parlato sultema Dalla rivoluzione culturale e politica aquella religiosa: dalla Scuola di Francoforte al

Prima Messa di Don Le Gal a Torino il 6 novembre 2005

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Concilio Vaticano II. La conferenza, seguitada dibattito, si è svolta a Roma il 2 aprile.Don Ricossa è stato invitato dall’associazioneculturale Plus ultra a tenere a Varese, a VillaRecalcati, una conferenza sul tema Unioneeuropea: radici cristiane o anticristiane? Laconferenza, che si è svolta il 21 maggio, è sta-ta preceduta e seguita da articoli di giornale(La Prealpina del 18 e 22 maggio) e da unaintervista a delle televisioni private (IL C.S.Albertario ha pubblicato il CD con la regi-strazione della conferenza: cod. 0013). Lu-nedì 23 maggio don Giugni ha tenuto unaconferenza sul Concilio Vaticano II a BustoArsizio presso la Comunità Giovanile. Segna-liamo ora le conferenze fatte da don Carandi-no. A Chieti il 14 maggio nella Sala del Con-siglio della Provincia la Casa Editrice Tabulafati ha organizzato il convegno: “Fecondazio-ne artificiale e referendum”. Presentazionedell’editore Marco Solfanelli, relatori dott.Alessandro Pertosa, avv. Massimo Micaletti edon Ugo. A Faenza (RA) il 10 giugno 2005don Ugo Carandino ha parlato al convegnoorganizzato dell’Associazione “Evita Peron”dal titolo: “L’embrione: essere umano o co-sa?”. A Sirmione (BS) l’11 giugno 2005 c’èstata la Scuola Politica Federale dei GiovaniPadani, con una relazione di don Ugosull’origine della religione musulmana (com-mento al libro di padre Thèry). A Modugnoci sono state alcune conferenze di don Ugonella sede del Centro Tradizione e Comunità:il 10 maggio “L’esodo dei Cristiani dalla Ter-ra Santa: un dramma dimenticato”; il 15 no-vembre: “Instaurare omnia in Christo: risco-prire l’Avvento e il Natale per ritrovare No-stro Signore”. La stessa conferenza ha avutoluogo a Potenza per l’associazione Il Sentieroil 16 novembre, negli altri mesi abitualmentesi svolgono corsi di formazione dottrinale. Il1 Dicembre a Modena, l’Associazione Terrae Identità ha presentato il libro O Regina, osanta. L’unica italiana sul trono d’Inghilterra:

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Maria Beatrice d’Este spodestata per la fede.Relatori: l’Autrice Elena Bianchini Braglia, ilprof. Gino Badini, direttore dell’Archivio diStato di Reggio Emilia, don Carandino, Mo-deratrice: Simonetta Aggazzotti, Il 15 novem-bre a Firenze, invitati dall’associazione Eu-meswill, e con il patrocinio del comune di Fi-renze, don Ricossa e don Giugni hanno par-lato rispettivamente su “Viaggio negli esercizispirituali di S. Ignazio” e “Viaggio nei simbolidella liturgia romana”.

L’Istituto e la stampa. Numerosi articolisulle nostre attività sono già stati segnalatiprecedentemente. In occasione della mortedi Giovanni Paolo II e dell’elezione di Bene-detto XVI, non sono mancati articoli sullaposizione dei cosiddetti “tradizionalisti”, equindi anche dell’Istituto. Ne ha parlato pri-ma del Conclave il quotidiano Il Foglio nellarubrica Pro eligendo Papa, e Marco Ferraz-zoli su Libero (14 aprile); dopo il Concalve,Andrea Colombo su Libero (21 aprile, p.14), Silvano Cardellini su Il Resto del carlino(30 aprile, p. XXXII), e Sandro Mangiaterrasu il Venerdì di Repubblica, (n. 893, 29 apri-le, pp. 42-45) e Ignazio Ingrao su Panorama(29/9/05, p. 81). Diario (anno X, n. 25,24/6/2005, p. 14) ci confonde con la Frater-nità San Pio X in un articolo sulla Lega cheriecheggia le famose inchieste sulle “tramenere” tanto in voga nella sinistra anni ’70.Stessi temi e stesso stile, se non peggio, suInformazione antifascista (n. 5, nov. 2005).Le Combat catholique, un foglio sedevacan-tista di Rennes (n. 51, marzo-aprile 2005) ri-prende gli articoli e le dichiarazioni dell’Isti-tuto evitando però di nominarlo. Il 30 aprile2005 il Resto del Carlino ha ripreso un servi-zio pubblicato il giorno prima da Il Venerdìdi Repubblica dal titolo “Alla destra di Bene-detto XVI”, con un’intervista a don Moncale-ro della FSSPX e don Carandino dell’IMBC.Segnaliamo anche un’articolo di PierangeloButtafuoco su Rimini su Panorama, in cuiparla anche dell’oratorio San Gregorio Ma-gno, e un altro in risposta, della rivista rimi-nese Chiamamicittà, (15-28 giugno 2005,“Vade retro, Rimini!”) in cui si ironizza sulletalari e le Messe di San Pio V. Un articolo didon Giugni (“Le ‘radici cristiane’ e lo spettrodi Machiavelli”) è stato pubblicato su L’In-sorgente (n. 2, maggio-giugno 2005, p. 2). Sulsettimanale il Federalismo (19 dicembre2005) è apparsa un’intervista di Gianluca Sa-voini a don Carandino sul Natale (“Chi apre

Esercizi Spirituali a Verrua nel 2005

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le porte per far guerra al Natale”). Sul sitowww.forzanuovacesena.interfree.it è statapubblicata un’intervista a don Carandinosull’attuale situazione della Chiesa a curadella sezione di Cesena.

Sodalitium e la stampa. Varie riviste, spe-cie in Francia, parlano di Sodalitium odell’Istituto. Tra le riviste amiche, Simple let-tre, Integrismo (P. Romero) et la lettera agliamici e benefattori di Faverney. Segnaliamopoi Aletheia, Le sel de la terre, La voie, laTour de David, Lectures Françaises, ecc.

Il Centro Librario. Sono stati segnalatitre titoli del nostro catalogo. Innanzi tutto, lariedizione del libro del Prof. Sermonti, Leforme della vita (Emmeciquadro, n. 3/aprile2005, p. 120) segnalato su Il federalismo daAndrea Rognoni. Il libro di don Ricossa suCristina Campo è stato recensito favorevol-mente sul sito di Una Voce Venetia e su Ilfederalismo a firma di Andrea Rognoni:“Come ti difendo la liturgia dei Padri” (29agosto 2005); ne parla Antonio Socci su IlGiornale del 18 settembre, mentre ne fa unastroncatura Camillo Langone su Il Foglio del12 luglio. “Ottima iniziativa quella del CentroLibrario Sodalitium, consistente nella ripro-duzione de ‘I tesori spirituali – Sacramenti eSacramentali’”; così scrive la rivista torineseInter multiplices Una Vox (n. 1, maggio 2005,pp. 46-47) in una bella recensione.

L’Istituto e la radio. Il 19 aprile, don Giu-gni ha tenuto un’intervista su TelePadaniacon Max Ferrari sul conclave in corso e leaspettative della Chiesa. Don Ricossa è statointervistato su Cristina Campo, e ha presenta-to il suo ultimo libro su Radio Padania Liberauna prima volta nel programma “Alle radicidella Fede” il 9 maggio e poi il 9 luglio daAndrea Rognoni. Il 7 novembre don Giugniha parlato dei cappellani militari durante laritirata di Russia, su RPL durante una tra-

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smissione degli alpini padani. La mattina del26 novembre, prima del convegno, don Giu-gni è stato intervistato da Andrea Rognoni suRPL sul quarantennale del Concilio VaticanoII. Il 12 dicembre il programma di don Caran-dino “Alle radici della Fede” su RPL ha rag-giunto la puntata n. 100. Don Carandino èstato inoltre intervistato su RPL: il 21 novem-bre 2005 e 25 novembre 2005 nei programmidei Giovani Padani sul Concilio, il 17 dicem-bre 2005 nel programma di Silvia Sanzini suiCristiani in Terra Santa

Aumenta sempre il numero e l’interessedegli iscritti all’Apostolato della Preghieracurato da don Cazalas.

Esercizi spirituali. Cinque i turni di Eserci-zi dati alla Maison St Joseph per i semplici fe-deli: dal 4 al 9 aprile (don Murro e don Caza-las, 7 partecipanti); dal 27 giugno al 2 luglio,con don Murro e don Ricossa (17 partecipan-ti); dal 16 al 24 agosto, gli esercizi di 8 giorniper gli uomini, predicati da don Giugni e donCazalas (12 partecipanti); A ottobre don Ca-zalas ha aiutato a dare gli esercizi alle allievedella scuola Serre Nerpol; a dicembre dal 26al 31 dicembre, da don Murro e don Cazalas(12 esercitanti). Due i turni dati a Raveau: dal1° al 6 agosto, (9 donne predicati da don Giu-gni e don Murro); dall’8 al 13 agosto (10 uo-mini, predicati da don Murro e don Cazalas).Dal 22 al 24 aprile, a Verrua Savoia, don Ri-cossa e don Giugni hanno predicato un cortoritiro ad alcuni membri del Rockers-Klan.Sempre a Verrua, i due tradizionali turni esti-vi, dati da don Ricossa e don Carandino: dal22 al 27 agosto (14 donne) e dal 30 agosto al 3settembre (20 uomini). A questi turni, vannoaggiunti gli esercizi che ogni anno sono datialle religiose (dal 7 al 15 settembre, li ha datidon Ricossa alla Maison St Joseph) e al clero(come detto, dal 28 al 30 settembre). Da apri-le a dicembre abbiamo quindi dato 11 turni diesercizi a ben 142 esercitanti: il programma?Fare ancora meglio!

Pellegrinaggio Osimo-Loreto 28-29 mag-gio 2005. I 20 anni del nostro Istituto, consa-crato alla Madonna, sono stati preparati nelmigliore dei modi dal pellegrinaggio che si èconcluso alla Santa Casa a Loreto, luogo ma-riano per eccellenza. Sabato 28 maggio: l’ap-puntamento è a Osimo, in provincia di Anco-na, dove arrivano fedeli e amici provenientida molte regioni (Piemonte, Lombardia, Ve-neto, Trentino, Emilia e Romagna, Marche,Abruzzo, Toscana, Lazio, Puglia…). Gli zaini

Pellegrinaggio aLoreto: pellegrini

in marcia

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sono sistemati negli appositi furgoni, i cappel-lini offerti dalla Ditta Ferlandia proteggonodal sole cocente, gli stendardi vengono sroto-lati, i libretti con i canti e le preghiere sono di-stribuiti: tutto è pronto, si parte! Tra i vessillispicca la bandiera tradizionale dell’Irlanda(verde con un’arpa color oro), portata da unafamiglia di fedeli italiani che è giunta apposi-tamente dall’Isola. Si nota anche un piccologruppo di signore francesi, che hanno affron-tato coraggiosamente il lungo viaggio. Si è an-che notata l’assenza di don Ricossa, immobi-lizzato a letto dall’influenza: un brutto colpogobbo. I pellegrini sono ottanta, una quindici-na in più rispetto all’edizione precedente,molti i giovani. Prima tappa, nella basilica diSan Giuseppe da Copertino, dove don Giugnisprona i partecipanti al fervore. Dopo avervenerato il corpo del Santo, inizia la marcia di21 chilometri, attraverso le strade della cam-pagna marchigiana e le vie di alcune cittadine.Seconda sosta al santuario di Campocavallo:qui è don Carandino a incoraggiare i presentialla generosità. Nel tardo pomeriggio i romeiarrivano a Castelfidardo, dove si sistemanoper il pernottamento. La cena suscita lo stessoentusiasmo dell’anno scorso. Per i fedeli è ilmomento di parlare con calma, rafforzarevecchie amicizie o conoscere meglio le fami-glie di altre regioni; intanto alcuni ragazzi vo-lonterosi distribuiscono le magliette (sempredella Ditta Ferlandia: grazie Benizzi!) con lostemma pontificio e la divertente dicitura: Pa-pa-Re Boys. Al mattino di domenica 29 mag-gio, don Carandino celebra la Messa per i fe-deli e don Giugni ascolta le confessioni. Il rac-coglimento dei fedeli suscita l’ammirazionedei gestori della struttura alberghiera. Dopola copiosa colazione si riprende la marcia. Larecita delle corone del Rosario e il canto dellelodi mariane, nonché gli stendardi, attiranol’attenzione rispettosa di molte persone che sisegnano al passaggio dei pellegrini. La primasosta è al sacrario in località Crocette, che ri-

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corda la battaglia di Castelfidardo del 1860.Don Giugni fa il parallelo tra l’eroismo deisoldati di Pio IX e i cattolici di oggi che devo-no combattere contro gli errori moderni; do-po il fervorino viene intonato l’Inno Pontifi-cio. Ormai il colle di Loreto, con l’imponentebasilica, mostra ai pellegrini tutta la sua bel-lezza, ma la strada è ancora lunga: il solleonerende l’ultimo tratto di marcia, prima dellasosta per il pranzo, particolarmente merito-rio… Alle porte di Loreto viene consumatoun pranzo al sacco, quindi i pellegrini si di-spongono per la processione finale che, dopoaver costeggiato le mura esterne, permette aipellegrini di entrare nel piazzale principale edi ammirare così la monumentale facciatadella basilica che da secoli accoglie i devotidella Santa Vergine. La commozione è gene-rale e sul volto d’alcuni fedeli scendono dellelacrime di gioia. I pellegrini si recano in grup-po nella Santa Casa dove don Giugni recital’ultima preghiera. Quindi i partecipanti pre-gano privatamente nei vari angoli della basili-ca, per poi ritrovarsi ai bagagli, dove un auto-bus li trasporta al parcheggio di Osimo per ri-prendere i veicoli lasciati il giorno prima. Quivengono scambiati gli ultimi saluti e una rac-comandazione generale: ritrovarsi tutti per la3ª edizione del pellegrinaggio prevista, elezio-ni permettendo, il 13/14 maggio 2006. Un rin-graziamento particolare va agli organizzatoriromagnoli e ai diligenti giovanotti del serviziod’ordine, che hanno vegliato sui pellegrini du-rante tutta la marcia.

Altri Pellegrinaggi. Il 16 agosto don Ca-randino si è recato con i fedeli abruzzesiall’Eremo di Santo Spirito, sulla Maiella, inprovincia di Pescara. I fedeli trentini si sonorecati al Santuario di Pietralalba, il 28 marzo(lunedì dell’Angelo) con don Giugni; e il 13agosto alla parrocchia di Spinga (BZ) assiemea don Carandino. Il 19 agosto don Carandinosi è recato con alcuni fedeli emiliani e roma-gnoli al santuario mariano di Boccadirio(BO). Il 24 settembre c’è stato il pellegrinag-gio abruzzese di 10 km. a piedi dall’abbazia diSanta Maria Arabona e al santuario del VoltoSanto a Manoppello (Pescara). Continuano ipellegrinaggi mariani per i mesi di maggio eottobre al Santuario di San Luca, a Bologna,al quale partecipano ormai da anni gli amiciemiliani e romagnoli: sotto i portici che salgo-no al colle si snodano, come ognuno sa, lequindici cappelle dei misteri del Rosario chevengono detti interamente dai pellegrini. Il 7

4° Convegno di Studi Albertariani sul Concilio Vatica-no II, presso la biblioteca Sormani a Milano

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maggio si è tenuto l’annuale pellegrinaggio aNotre Dame de l’Osier (Isère). Quest’annol’intenzione di preghiera scelta è stata il mu-tuo rapporto tra Chiesa e Stato nell’anniver-sario delle leggi di separazione di cento annifa in Francia. Il giorno precedente il professorJean de Viguerie ha tenuto una conferenzapresso la Maison St Joseph nella quale illu-strava il processo che ha portato a queste leg-gi fin dalla Rivoluzione francese (ne ha parla-to anche la rivista Lectures Françaises n. 577,maggio 2005, pp. 36-37). Molti sono stati i fe-deli che hanno partecipato con fervore al pel-legrinaggio per deporre le loro preci ai piedidella Madonna. Il 15 maggio (domenica diPentecoste), i fedeli di Cannes hanno fatto illoro pellegrinaggio annuale, con don Cazalasdal Santuario di S. Maria delle Grazie a quel-lo di S. Giuseppe di Cotignac (Var). DonThomas ha cantato la S. Messa, e dopo pran-zo i pellegrini (che apprezzano sempre piùquesta occasione per ritrovarsi) si sono recatia piedi cantando e pregando da un santuarioall’altro, arrivando nello stesso luogo dove nel1660 S. Giuseppe apparve a un contadino. Sa-bato 8 ottobre, i fedeli lombardi si sono ritro-vati ai piedi del Sacro Monte di Varese per ilpellegrinaggio regionale. Guidati da don Giu-gni e don Casas Silva una trentina di fedeliprovenienti dalle provincie di Milano, Varese,Bergamo, Lecco e Como hanno percorso, re-citando le tre corone, la via delle Cappelleche illustrano i 15 misteri del S. Rosario perarrivare in cima al Sacro Monte dove si trovail bellissimo Santuario dedicato alla Madon-na, che domina la città e tutta la pianura pa-dana. È stata una giornata colma di grazie; lasera i partecipanti si sono poi ritrovati al risto-rante per una cena conviviale.

Anniversari. Il 17 aprile don Murro, a To-rino, ha celebrato la Messa per i 50 anni dimatrimonio di Antonio e Francesca Portalu-ri. Vengono sempre solennizzate le feste del-la Madonna del Buon Consiglio il 26 aprile equella di S. Pietro Martire, col bacio della re-liquia ed il capitolo generale dell’Istituto.

Battesimi. Nello scorso numero abbiamoomesso, per dimenticanza, il battesimo delledue gemelle Adriana e Fernanda Cardellini,che don Ricossa ha amministrato a Levone(Torino) il 15 gennaio nella casa del padre,prof. Claudio Cardellini. Sabato 11 giugno,in una chiesa del Trentino, don Ugo ha am-ministrato il sacramento del Battesimo alpiccolo Gregorio, figlio di di Paolo Motta e

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Silvia Ferretto. Il 13 giugno don Murro habattezzato ad Annecy Louise Pouvert, figliadei coniugi Grégory Pouvert e AlexandraLapierre. E il 27 agosto, sempre don Murroha battezzato, ad Annecy, Enzo Sugnault, fi-glio di Gérald e Gaëlle. Il 4 settembre, unbattesimo anche a Verrua, quello di ThomasBonino, amministrato da don Sergio CasasSilva. Lo stesso giorno, la piccola Laura Ro-sa, figlia di Gianpaolo e Elona De Luca, erabattezzata nella cappella del Colombaio (Lo-ro Ciuffenna). L’8 ottobre, a Grottaferrata,don Curzio Nitoglia ha amministrato il SantoBattesimo a Marco Prieto e Giulio Gioacchi-ni. Il 10 dicembre, a Serre Nerpol, Benoît Jo-seph Luis, figlio di Michel e Françoise Luis èstato battezzato da don Murro. In Belgionella sua chiesa a Dendermonde, Mons Stuy-ver ha battezzato il 30 giugno, Christoff VanOverbeke, figlio di Jan et Eliane Van Over-beke; il 5 luglio, Marie Lehouck, figlia diSven e di Séverine Lehouck; il 21 agosto, Jo-nas De Wilde, figlio di Didier e di De Wild,e il 16 ottobre, Jozef Daelemans figlio diAlfons e di Lena Daelemans.

Prime Comunioni. “Lasciate che i piccolivengano a me”. A Cannes il 29 maggio c’èstata grande festa: don Cazalas ha dato la pri-ma comunione a Florian Darius, Joseph Ré-cular, Nicolas Grandfils, Thomas Van Gorpet Amelie Toulet; Guillaume Charmoille etPauline Toulet hanno fatto la comunione so-lenne. Il 19 giugno don Murro ha dato la pri-ma comunione a Ludovica Portaluri a Tori-no. Domenica 11 dicembre, Hugues Chioca-nini, a Serre Nerpol ha ricevuto Gesù Sacra-mentato per la prima volta da don Cazalas. Il29 Maggio (festa del Corpus Domini) a Ser-re-Nerpol ci sono state le comunioni solennie la processione del SS. Sacramento.

Pellegrinaggio a Loreto: il gruppo davanti alla Basilica

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Cresime. Come abbiamo detto, Mons.Stuyver ha amministrato le S. Cresime inBelgio e in Germania. In occasione delle or-dinazioni di novembre, le Cresime sono stateamministrate anche a Verrua.

Matrimoni. Il 30 aprile, alla Maison SaintJoseph, don Giuseppe Murro ha benedetto ilmatrimonio di David Perotto e Isabelle Fau-re. Due matrimoni a settembre, dei quali ri-cordiamo, il 18, a Sabbioncello San Pietro(Ferrara), quello tra Eric Cirelli e MariaChiara Moschetta. Un altro matrimonio, infi-ne, è stato celebrato a Verrua il 19 novembre.

Defunti. Lo scrittore francese JacquesPloncard d’Assac è morto il 20 febbraio 2005a La Garde (Toulon), all’età di quasi 95 anni,come apprendiamo dalla rivista LectureFrançaises (n. 575, marzo 2005, pp. 17-19).Noi lo ricordiamo per essere stato uno dei pri-mi autori ad aver parlato con ammirazionedel Sodalitium pianum fondato da Mons. Be-nigni, nel suo libro L’Eglise occupée (Chiré,1975/1983). Ploncard, in effetti, come il piùanziano Mons. Benigni, collaborò alla celebreRevue Internationales des Sociétés Secretes diMons. Jouin, e merita, pertanto, un postod’onore nella storia della lotta alla Massone-ria. Nel mese di giugno, una lettera della si-gnora Catta ci annuncia la morte di suo mari-to, R.S. Catta, noto, come poeta e scrittore,col nome di Isal. Catta è deceduto l’11 marzo2005 in Canadà, dove viveva; in aprile avreb-be compiuto 91 anni. Francese di origine cor-sa, era parente del canonico Catta, che svolseun ruolo importante ai primordi della “Tradi-zione”. Ogni volta che riceveva Sodalitium ciinviava una offerta e un suo commento a cia-scuno degli articoli. “È sempre rassicurantericevere Sodalitium – ci scriveva nell’ultimasua lettera del 10 dicembre – come il raggio diun faro conosciuto, e vicino nella tempesta”, epoi ci raccontava di una grave malattia che loaveva portato alle soglie della morte, tra giu-gno e agosto del 2004. Lo abbiamo ricordatocon una Santa Messa di suffragio. Ricordiamoanche la figura di Padre Julien Gaillard, natonel 1914 e deceduto il 8 aprile 2005. Missiona-rio in Africa, tornò in Francia mentre imper-versava la rivoluzione conciliare: tutti i sacer-doti dovevano fare un corso di aggiornamen-to a spese della diocesi. Padre Gaillard chiesedi fare il corso presso… Padre Barbara, che loaggiornò, naturalmente, ma in senso oppostoa quello desiderato dai modernisti. Ben pre-sto divenne una bandiera della tradizione in

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Bretagna, dove la sua Cappella a Rennes, concentinaia di fedeli, era - dopo Parigi - la piùnumerosa di Francia. Anche noi abbiamoavuto la fortuna di conoscerlo, e di essere incomunione di fede con lui. Un bel ricordo diPadre Gaillard, a firma di Jean Yves Busnel,è stato pubblicato su Le Combat catholique diRennes (n. 51, marzo-aprile 2005, pp. 2-4).Un altro sacerdote rimasto fedele ci ha lascia-to in questo periodo: si tratta dell’abbé Péze-rat, nostro abbonato, che non nascondeva ilfatto di condividere la “Tesi di Cassiciacum”di Mons. Guérard des Lauriers. Un’altra figu-ra che ha lasciato un a traccia profonda nellastoria della resistenza al Vaticano II è quelladella dottoressa Elisabeth Gerstner, nataKleinpass. Nata a Wesel, in Germania, nel1924, laureata in filosofia, lavorò in Vaticanoal Comitato permanente dei Congressi inter-nazionali per l’Apostolato dei Laici. Questole permise di conoscere molti prelati e ancheporporati romani, il che fu di grande utilitàquando si trattò di opporsi alla riforma litur-gica. Partecipò in primo piano a tutte le piùimportanti iniziative di quel periodo: la fon-dazione di Una Voce, l’impresa del BreveEsame Critico del Novus Ordo Missæ, i “Pel-legrinaggi Romani” (1970, 1971, 1973) delPERC (Pro Ecclesia Romana Catholica). InGermania, fondò la rivista Kyrie Eleison, edifese a lungo la posizione sulla “sede vacan-te”. Elisabeth Gerstner, che ci rese visita colmarito a Verrua, leggeva e stimava la nostrarivista, anche se le nostre posizioni erano di-ventate inconciliabili. È morta il 3 novembre2005 in Inghilterra, dove si era trasferita.

Il 15 aprile è deceduta improvvisamentead Annecy Madame Monique Larfaillou. DaParigi era venuta ad abitare nella regione diAnnecy per essere fedele alla Messa “nonuna cum”, l’oblatio munda. Chi fece anni fa ilcampo estivo o gli Esercizi Spirituali a Ra-veau aveva potuto apprezzare non solo la sua

Bambini delle prime comunioni e delle comunionisolenni a Cannes con don Cazalas

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cucina ma anche il suo buon umore. Infatti fugrazie anche al suo aiuto che queste due atti-vità poterono svolgersi i primi anni a Raveau.Era conosciuta anche dai fedeli di Torino findai tempi di Nichelino, ove si recava sia ad as-sistere alle cerimonie che a dare una mano.Instancabile, non rifiutava mai il suo aiuto asvariati lavori per l’Istituto, dalla sacrestia alsegretariato, dalla cucina al cucito. Fu genero-sa non solo nel fare ma anche nel dare, secon-do la possibilità dei suoi mezzi. Da alcuni annisoffriva di una malattia che l’aveva obbligataa cessare ogni attività. I funerali si sono svoltinella nostra cappella di Annecy il 17 aprile edè stata sepolta al cimitero di Cran Gevrier. Il20 aprile, a Montevarchi, è mancata la signoraPiera Guidi ved Rennella, alla quale donFrancesco aveva dato gli ultimi sacramenti;don Francesco la conosceva bene, poiché erala madre di suo zio. Inattesa, è giunta il 2 giu-gno la notizia della morte, in un incidente,dell’avv. Carlo Ludovico Coppi. Da temponon ci frequentavamo più, ma non dimenti-chiamo che fu uno dei primi esercitantidell’Istituto, e passò con noi un breve periodoper vagliare la sua vocazione. Siamo molto vi-cini, in questa terribile circostanza, alle fami-glie Coppi, Nicoletti e Senni. Alla fine del me-se di giugno è deceduto anche il signor JeanGodin di Cannes, che i nostri fedeli hanno vi-sto tante volte presso la cappella di N.D. desVictoires. Un altro fedele dei vecchi tempi,che non vedevamo più ultimamente, era ilprof. Antonio Zocco, di Milano; ci ha lasciatoanch’egli quest’anno. A luglio, inattesa, la fi-ne terrena di Mario Spataro, giornalista, scrit-tore, conferenziere apprezzato, che ha piùvolte tenuto delle conferenze per o con i sa-cerdoti dell’Istituto. Il 20 agosto 2005 si èspento a San Benedetto (AP) il Signor LeoCapacchietti, classe 1921. Il Signor Leo fre-quentava il nostro gruppo di preghiera diGrottammare e aveva ricevuto da don Ugol’Estrema Unzione all’inizio della malattiache lo ha portato alla morte. La Messa di tri-gesima è stata celebrata da don Carandino aGrottammare, presente la vedova, SignoraCapacchietti, che ha assistito amorevolmenteil coniuge durante tutta la malattia. Il 2 set-tembre 2005, dopo 11 mesi di coma, si è spen-ta all’Ospedale di Teramo la signora Fernan-da d’Ottavio ved. Graziani, di 83 anni. La si-gnora ha sempre partecipato con convinzionee devozione alle S. Messe che don Carandinoha celebrato negli anni scorsi a Teramo. Por-

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giamo ai figli Adolfo e Domenico e alle lororispettive famiglie le nostre più sincere condo-glianze. Il 9 novembre è deceduta all’Ospeda-le di Parma la professoressa Giovanna DelGrosso di Altavilla Irpina, madre del Sig. Se-verino; due giorni prima don Murro aveva po-tuto confessarla e amministrarle l’EstremaUnzione. Don Nitoglia ne ha celebrato adAvellino la messa di trigesima. Avrebbe do-vuto essere con noi il 5 novembre, per le ordi-nazioni, ma le sue condizioni di salute nonhanno permesso a Marcel Van Gorp di torna-re a Verrua, dov’era già stato ospite gradito,come noi eravamo stati suoi ospiti in occasio-ne delle ordinazioni al diaconato. Infatti, inseguito a una operazione chirurgica, alla qua-le si era preparato ricevendo i Santi Sacra-menti, è deceduto il 24 novembre in Belgio.M. Van Gorp era da anni amico e benefattoredi Padre Vinson; una sua figlia è religiosapresso le Suore di Cristo Re (Serre-Nerpol).Più recentemente, divenne ottimo amico an-che dell’Istituto, al punto che ha voluto pren-dere residenza a Dendermonde, per poter as-sistere ogni giorno alla Santa Messa presso lacappella della Madonna del Buon Consigliodi Mons. Stuyver. In questa stessa cappella sisono svolti il 30 novembre i suoi funerali, conla presenza di don Medina, di don Schoon-broodt che ha celebrato e di Mons. Stuyverche ha tenuto l’Omelia. Alla sposa e ai figli, lecondoglianze di tutto l’Istituto. Il 12 dicembredon Murro ha celebrato a Grenoble i funeralidella signora Simonne Reffienna, decedutaall’età di 91 anni, a cui don Cazalas aveva am-ministrato i Sacramenti. Preghiamo anche perJulien Vinson, fratello di Padre Georges Vin-son, recentemente scomparso.

ESERCIZI SPIRITUALI DI S. IGNAZIOA VERRUA SAVOIA

Per le donne: dal lunedì 21 agosto (ore 12) al sabato 26 agosto 2006Per gli uomini: dal lunedì 28 agosto (ore 12) al sabato 2 settembre 2006

COLONIA DELLA CROCIATA EUCARISTICA(bambini dagli 8 ai 13 anni)

a Raveau in Francia dal 10 al 24 luglio 2006

Per ogni informazione, mettersi in contattocon l’Istituto: tel.: 0161 839.335

www.sodalitium.it - [email protected]

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“Sodalitium” PeriodicoLoc. Carbignano, 36. 10020 VERRUA SAVOIA (TO) Tel. 0161.839.335 - Fax 0161.839.334

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RESIDENZE DELL’ISTITUTOITALIA - Verrua Savoia (TO): CASA MADRE -

Istituto Mater Boni Consilii, Chiesa SS. Pietro ePaolo, Loc. Carbignano, 36. Nei giorni feriali S.Messa alle ore 7,30; tutte le domeniche S. Messaalle ore 18. Benedizione eucaristica tutti i ve-nerdì alle ore 21. Tel.: 0161.839335, Fax:0161.839334; e-mail: [email protected]

San Martino dei Mulini (RN): CASA S. PIO X -Don Ugo Carandino, Oratorio Maria Ausilia-trice, via Sarzana 86, CAP 47828. Nei giorni fe-riali S. Messa saltuariamente alle ore 7. Tel.:0541.758.961; Fax: 0541.757.231; e-mail:[email protected]

Roma: Don Curzio Nitoglia, via Montevideo 20,int. 3, CAP 00198 - Tel 06.841.7589

BELGIO - Dendermonde: Mons. Geert Stuyver,Kapel O.L.V. van Goede Raad, Koning Albert-straat 146, 9200 Sint-Gillis, Dendermonde. S.Messa tutte le domeniche alle ore 9,30. Tel. eFax: (+32) (0) 52/380778.

FRANCIA - Raveau: Castello di Mouchy, 58400Raveau. Per informazioni: Tel.: (+33)03.86.70.11.14; e-mail: [email protected]

ALTRE SS. MESSE - ITALIAChieti Scalo: Oratorio del Preziosissimo Sangue,

via Colonnetta 148. La 2ª domenica del mesealle ore 18,30 e la 3ª domenica del mese alleore 10,30. Per informazioni: Tel. 0541.758961.

Ferrara: Chiesa S. Luigi, via Pacchenia 47, Alba-rea. Tutte le domeniche alle ore 17,30, salvo la2ª domenica del mese alle ore 11,30. Per infor-mazioni: Tel. 0161.839335.

Loro Ciuffenna (AR): Fattoria del Colombaio,str. dei 7 ponti. La 1ª domenica del mese alleore 17,30. Per informazioni: Tel. 0161.839335.

Maranello (MO): Villa Senni, strada per Foglia-no. Tutte le domeniche alle ore 11, salvo la 2ªdomenica del mese alle ore 9. Per informazio-ni: Tel. 0161.839335.

Milano: Oratorio S. Ambrogio, via Vivarini 3.Tutte le domeniche e festivi alle ore 11. Perinformazioni: Tel. 0161.839335.

Modugno (BA): per informazioni: Tel.0541.758961.

Padova (provincia): la 1ª domenica del mese alleore 18. Per informazioni: Tel. 0161.839335.

Potenza: per informazioni: Tel. 0541.758961.Roma: Oratorio S. Gregorio VII, via Pietro della

Valle 13/B. Tutte le domeniche e festivi alle ore11. Per informazioni: Tel. 06.8417589.

Rimini: Oratorio San Gregorio Magno, via Molini8. Tutte le domeniche e festivi alle ore 11, sal-vo la 3ª domenica del mese alle ore 18,30. Perinformazioni: Tel. 0541.758961.

Rovereto (TN): la 1ª, 3ª e 5ª domenica del mesealle ore 18. Per informazioni: Tel. 0161.839335.

Torino: Oratorio del S. Cuore, via Thesauro 3/D.Tutte le domeniche e festivi S. Messa cantataalle ore 9; S. Messa letta alle ore 11,15; il 1° ve-nerdì del mese alle ore 18,15. Per informazioni:Tel. 0161.839335.

Valmadrera (LC): Via Concordia, 21. La 2ª e la 4ªdomenica del mese. Per informazioni: Tel.0341.58.04.86.

Varese (provincia): Per informazioni: Tel.0161.839335.

FRANCIA

Annecy: 11, avenue de la Mavéria. S. Messa la 2ª ela 4ª domenica del mese alle ore 10. Tel.: (+33)04.50.09.04.67.

Cannes: Chapelle N.D. des Victoires, 4, rue Fellegara.S. Messa la 2ª e 4ª domenica del mese alle ore 18.

Lione: (2ème) 17, cours Suchet. S. Messa la 2ª e la 4ªdomenica del mese alle ore 17. Tel.: (+33)04.77.33.11.24.

Lilla: S. Messa la 1ª e la 2ª domenica del mese alleore 17. Per informazioni: Mons. Geert Stuyver inBelgio.

Parigi: per informazioni: Tel. 0161.839335.

Confessioni 30 minuti prima dell’inizio delle S. Messe.Dei cambiamenti occasionali negli orari delle Messe,specie nel perido estivo, possono intervenire; se fre-quentate saltuariamente i nostri oratori vi consigliamodi telefonare.

PER LE VOSTRE OFFERTE:

• Sul Conto della Banca Popolare di Novara di Crescentino VC, coordinate bancarie: U-05608-44440-3850 intestato a Centro Culturale & Librario Sodalitium.

• Sul Conto Corrente Postale numero 363 903 34 intestato a Centro Culturale & librario -Sodalitium Periodico.

SS. MESSE