Jacopo Robusti Tintorettogattobug.it › dispense › classe4 › tintoretto.pdf · 2020-03-11 ·...
Transcript of Jacopo Robusti Tintorettogattobug.it › dispense › classe4 › tintoretto.pdf · 2020-03-11 ·...
Jacopo Robusti noto soprattutto come il Tintoretto (Venezia, 29 aprile 1519 –
Venezia, 31 maggio 1594), è stato uno dei più grandi esponenti della scuola
veneziana e con tutta probabilità l'ultimo grande pittore del Rinascimento italiano.
Il soprannome «Tintoretto», da non confondersi con quello del figlio Domenico
Robusti, anch'esso soprannominato «Tintoretto», gli derivò dall’attività lavorativa
del padre che di mestiere faceva il tintore di stoffe.
Jacopo Robusti trascorrerà la gran parte della sua vita nella città natale, eccezion
fatta per un viaggio a Roma, una visita a Mantova e forse anche a Milano.
La sua data di nascita è incerta, perché l’atto di battesimo custodito presso gli
archivi di San Polo venne distrutto da un incendio che devastò l’edificio stesso.
Pertanto l'unico documento ufficiale dal quale ricavare notizie sulla vita del
Tintoretto è il necrologio custodito a San Marziale, nel quale si fa riferimento alla
morte di “Jacopo Robusti detto Tintoretto”, avvenuta il “31 maggio 1594”,
all’età “de anni settantacinque”.
Chiesa di San Marziale
Venezia
Dotato di una inclinazione naturale
per il disegno, evidente sin
dall’adolescenza, venne sostenuto
dal padre Battista Robusti, che
decise di assecondare il talento del
figlio facendolo assumere come
apprendista nella bottega del grande
pittore Tiziano Vecellio.
L’aneddoto che spesso viene
raccontato dagli storici ci offre alcuni
indizi circa il carattere del giovane
apprendista.
Si narra che dopo appena dieci
giorni di lavoro a bottega, il maestro
lo avrebbe espulso, probabilmente
per divergenze artistiche e
caratteriali insanabili. Tiziano Vecellio
Pieve di Cadore 1480/1485
Venezia 27 agosto 1576
L’indole ribelle del giovane Jacopo,
soprannominato dai compagni "grano di pepe"
e la poca pazienza di Tiziano ormai
cinquantaseienne, non consentirono di trovare
altre soluzioni se non l’allontanamento dalla
bottega.
A conclusione della vicenda, da questo momento in poi i due pittori non si
riavvicinarono mai più.
Tuttavia bisogna rendere merito al Tintoretto di essere sempre rimasto un sincero
ammiratore del Tiziano, al contrario del maestro e dei suoi seguaci, che fingevano
addirittura di non conoscerlo.
Dopo l’allontanamento dalla bottega di Tiziano Vecellio, Jacopo Robusti intraprese
da solo gli studi necessari alla formazione di artista.
I modelli di riferimento furono Michelangelo Buonarroti, per ciò che attiene la
scultura, tanto da diventare esperto nella modellazione della cera e dell’argilla e
Tiziano Vecellio, prezioso punto di riferimento per l’uso del colore.
La sua idea di arte e la sua ambizione personale erano riassunte nell'iscrizione
messa in evidenza nel suo studio "Il disegno di Michelangelo ed il colorito di
Tiziano".
Dal 1547 Tintoretto è impegnato
nell’esecuzione di tre opere importanti per la
chiesa della Madonna dell'Orto
«l’Adorazione del Vitello d'oro»
la «Presentazione della Vergine al Tempio»
il «Giudizio Universale»
Chiesa della Madonna dell’Orto
Venezia
Giudizio Universale olio su tela, 1450x590 cm
Chiesa della Madonna dell'Orto
Venezia
Presentazione al Tempio olio su tela cm. 480 x 429
Chiesa della Madonna dell'Orto
Venezia
Adorazione del vitello d'oro olio su tela, 1450x590 cm
Chiesa della Madonna dell'Orto
Venezia
Nel 1548 il pittore è ingaggiato per lavorare nella Scuola Grande di San Marco,
dove dipingerà
«Il ritrovamento del corpo di San Marco ad Alessandria»
«Il Corpo del Santo portato a Venezia»
«San Marco salva un Saraceno durante un naufragio»
«Miracolo dello schiavo»
soprattutto con quest’ultima opera Tintoretto si impone all’attenzione generale.
L’insegnamento e l’influenza di Tiziano Vecellio nei suoi lavori continua ad essere
evidente nelle scelte cromatiche, così come quella di Michelangelo Buonarroti per
la perfezione nell'anatomia dei corpi.
Scuola Grande di San Marco
Venezia
Ritrovamento del corpo di san Marco 1562-1566
olio su tela 396 × 400 cm
Milano Pinacoteca di Brera
La scena ci mostra San Marco, uno dei
quattro evangelisti che appare
miracolosamente ad alcuni Veneziani,
rivelando loro il luogo dove si trova il suo
corpo per porre fine allo scempio della
profanazione delle tombe.
Il corpo di San Marco sepolto ad
Alessandria d'Egitto fu trafugato e
portato a Venezia nell'829, città di cui è
diventato successivamente il patrono.
Infatti, sulla destra si notano tre uomini
che calano il suo cadavere da un
sarcofago posto a metà altezza.
San Marco, in qualità di santo evangelista e in questa circostanza esorcista, è
rappresentato con l'aureola e il vangelo sotto il braccio.
Ai suoi piedi si trova ora il suo corpo, sdraiato su un prezioso tappeto orientale,
mentre in posizione frontale, alla sinistra, è inginocchiato un uomo, identificato
come Tommaso Rangone, il committente, vestito con una toga patrizia.
Sulla destra c'è un indemoniato, portato lì per essere esorcizzato, che si aggrappa
a una giovane donna, sorpresa e infastidita e trattenuto con fatica da una persona.
«GIANNOTTI RANGONI, Tommaso. - Nacque a Ravenna nell'agosto 1493 da una
famiglia Giannotti o Zannotti, borghese e probabilmente agiata.
Nulla sappiamo dei suoi genitori e dei suoi primi maestri, che saranno stati
probabilmente quelli che reggevano allora la scuola superiore di lettere latine del
Comune di Ravenna, cioè Niccolò Ferretti e Giovanni Francesco Berti, due
umanisti minori dotati di eccellenti qualità pedagogiche.»
[…] In: http://www.treccani.it/enciclopedia/tommaso-giannotti-rangoni_(Dizionario-Biografico)/
Approfondimento
«La lunetta d'ingresso raffigura il medico
ravennate Tommaso Rangone, finanziatore
della ricostruzione della chiesa, circondato
dagli oggetti che ne ricordano gli interessi:
libri, un mappamondo, tavole astrologiche,
piante medicinali.
Si tratta del primo esempio a Venezia di
celebrazione di un committente laico sulla
facciata di una chiesa.»
In: http://www.arte.it/opera/statua-di-tommaso-rangone-983
Jacopo Sansovino
Statua di Tommaso Rangone
1554, Venezia, Chiesa di San Zulian
Simboli dei quattro evangelisti
Approfondimento
Matteo
L’uomo-
angelo alato
Giovanni
L’aquila
Luca
Il bue alato
Marco
Il leone alato
In: http://www.francobampi.it/franco/ditutto/cattolica/evangelisti.htm
Il gesto imperioso del
Santo acquista una
doppia funzione, quella
di liberare l'indemoniato
e quella di arrestare i
profanatori di tombe.
La composizione
pittorica colloca il punto
di fuga a sinistra,
genialmente sulla
mano del santo, il
personaggio principale,
che si trova decentrato
sulla sinistra anziché
posto al centro.
Si possono osservare
innumerevoli espedienti
pittorici che sottolineano
il dinamismo
impressionante di
quest'opera.
La struttura portante ad
esempio, sembra girare
come un globo che ruota
in senso antiorario.
Il colore scuro esalta gli
improvvisi bagliori e lampi di
luce, che fanno risaltare ora i
personaggi, ora i sarcofagi
sulla destra, anche se la fonte
di luce principale non è
collocata in modo chiaro e
univoco.
Nessun ordine apparente
regge la composizione così
come nessuna simmetria
riconoscibile offre lo spunto
per una chiave di lettura
razionale.
Solo l’ambiente architettonico
costruito con la prospettiva,
delinea invece con chiarezza
la spazialità pittorica.
Trafugamento del corpo di san Marco 1562-1566
olio su tela 398 × 315 cm
Venezia Gallerie dell'Accademia
Nel dipinto è evidente
l'importanza della prospettiva,
che segna una chiara ed
esplicita spazialità pittorica.
Il punto di fuga, facilmente
individuabile, è sottolineato
dalla disposizione delle
membrature architettoniche.
Alla precisa razionalità
prospettica fa da contrappeso
lo sbilanciamento del gruppo
collocato alla destra, vero
punto focale della vicenda
narrata, che si consuma in
una concitazione di gesti e
posture.
Come quelli della figura
caduta a terra, al centro, che
tenta con molta fatica di
governare l’animale.
La scelta di utilizzare colori
piatti e ombre solo accennate
suggeriscono l’idea di
un’atmosfera estraniante,
forse per attenuare un poco
una vicenda tutt’altro che
priva di intensità emotiva.
Le tonalità più scure sono
quelle dei soggetti vicini
mentre quelle chiare, che
rendono addirittura le figure
bianche o quasi trasparenti,
sono applicate al secondo
piano o sullo sfondo.
A sottolineare ulteriormente
l’intensità di quest’altalena di
sensazioni, vi provvede un
cielo minaccioso, costellato
da pesanti nubi rossastre, che
fanno presagire l’avvicinarsi
di un forte temporale.
Infine il dipinto ci regala un
autoritratto del pittore, l'uomo
barbuto presente a fianco del
cammello.
San Marco salva un Saraceno
durante un naufragio 1562-1566
olio su tela 398x337 cm
Gallerie dell'Accademia, Venezia
«Saraceno è un termine utilizzato a partire dal II secolo d.C. sino a tutto il Medioevo per indicare i popoli
provenienti dalla penisola araba o, per estensione, di religione musulmana.
Generico e vago, sin dalla nascita rimane un termine senza uno stretto significato etnico, geografico o
linguistico, né, addirittura, religioso (basti pensare alla Chanson de Roland, dove anche i baschi erano così
denominati), con diverse variazioni nel corso del tempo. Inizialmente non identificava gli arabi.
Sinonimi utilizzati sono stati:
Arabi: popolo nomade della penisola arabica che ha fondato l'Islam nel VII secolo. In seguito venne
allargato a tutte le popolazioni che professano l'islam o parlano la lingua araba.
Tra II e V secolo gli "arabi" vengono sostituiti nelle fonti greche e latine dai "saraceni", mentre nelle fonti
aramaiche dai tayya ya.
Mori: cioè genti della Mauretania, con particolare riferimento alle popolazioni berbere che costituirono la
maggioranza delle truppe che conquistarono la Spagna nel 711.
Andalusi: genti andaluse occuparono la Provenza, il delta del Nilo, Creta e diedero un consistente appoggio
alla conquista islamica della Sicilia.
Musulmani: parola menzionata per la prima volta in ambito francese nel 1551, in inglese nel 1615
Islamici, Ismaeliti, Agareni, Maomettani.
Turchi: etnia che ha conquistato l'egemonia nel mondo islamico a partire dall'XI secolo, sostituendosi
gradualmente di fatto nell'immaginario cristiano a "arabi" e "saraceni".
Numerose sono le etimologie e le paretimologie.
Attraverso il latino sarraceni si fa derivare dall'aramaico sarq[iy]īn che significa "abitanti del deserto" (da
sraq, "deserto").
Come descritto da Tolomeo Σαρακηνόι sarakēnói erano una popolazione araba o Saraka una città del
Sinai.
Così anche Stefano di Bisanzio.
Per altri il termine viene attraverso il greco Σαρακηνός sarakēnós dall'arabo sharqiyyùn, "orientali" (ma il
dubbio principale è "orientali" rispetto a chi o a cosa).»
[…] Op.Cit.
In: https://it.wikipedia.org/wiki/Saraceni
Approfondimento
Anche questa
composizione è ricca di
pathos.
La concitazione dei
personaggi è fortemente
caricata dalla presenza di
uno sfondo
impressionante.
In questa natura
particolarmente turbolenta
sembra quasi di assistere
ad una competizione fra
giganti, un mare
tempestoso, di un azzurro
brillante e spumeggiante,
animato da onde violente,
e un cielo scintillante ricco
di nuvole.
In primo piano si trova una
scialuppa, certamente
quella di salvataggio, della
nave che si vede in
secondo piano, colare a
picco.
La scialuppa è squassata
dalle onde e i naviganti
ancora a bordo, stanno per
essere scalzati fuori dalla
violenza delle acque.
San Marco avvolto in un
bagliore e vestito con uno
svolazzante abito rosso,
cala dal cielo per afferrare
un Saraceno, palesemente
privo di sensi, che aveva
invocato il suo soccorso
durante il naufragio.
Miracolo di san Marco 1548
olio su tela 415 × 541 cm
Venezia Gallerie dell'Accademia
Nel dipinto viene ripreso un episodio
narrato nella Legenda Aurea di
Jacopo da Varazze o Varagine di un
miracolo di San Marco.
Si racconta del santo che interviene
dall’alto rendendo invulnerabile uno
schiavo, denudato, disteso a terra e in
procinto di essere martirizzato dal suo
padrone.
Il crudele martirio consiste
nell'accecamento e nella
frantumazione degli arti, una
punizione feroce per aver venerato le
reliquie del santo.
Gli strumenti del martirio, le punte acuminate che avrebbero dovuto accecarlo e i
martelli che avrebbero dovuto spezzargli le gambe, si rompono, diventando
inservibili.
L'attenzione è condensata sulla figura del santo, rappresentato in volo a testa in
giù, proteso verso il corpo dello schiavo, con un audace scorcio prospettico.
In un’ambientazione orientaleggiante
le emozioni dei presenti che si
manifestano con intensità alla vista del
prodigio, sono ulteriormente sottolineate
dalla contrapposizione tra il moto di
stupore del padrone assiso sulla destra
e il carnefice che brandisce gli strumenti
del martirio ormai in frantumi.
La luce proviene da almeno tre punti: frontale, dall'aureola del santo e dal fondo.
I colori vividi e i contrasti chiaroscurali accentuano il vigore plastico delle figure con
pennellate che passano da tocchi densi a tocchi rapidi e vaghi.
Infine, anche qui il pittore si sarebbe autoritratto nell'uomo in piedi, vestito in abiti
scuri accanto al turco col turbante rosso, nella parte centrale/sinistra.
Come avvenne per il «Trafugamento del corpo di san Marco» l'opera deteriorata
dal trascorrere del tempo, fu restaurata nel 1815-16 da Giuseppe Baldassini e
Antonio Florian sulla base delle direttive di Pietro Edwards.
L'intervento purtroppo si rivelò anziché un restauro una manomissione.
Infatti le opere furono ridotte nelle dimensioni e vennero modificati alcuni elementi
iconografici.
Per approfondire la voce Pietro Edwards
Cfr.: https://it.wikipedia.org/wiki/Pietro_Edwards
Nel maggio 1564 i consiglieri della Scuola Grande di San Rocco decidono di far
decorare il soffitto dell’Albergo, la sala riunioni della «giunta», nella nuova sede
realizzata dietro l’abside della Chiesa di Santa Maria Gloriosa dei Frari.
Tintoretto partecipa al concorso presentando un bozzetto per una tela raffigurante
«La gloria di San Rocco», iniziando così una collaborazione, destinata a durare
un ventennio, che si concluderà soltanto nel 1587.
Scuola Grande di San Rocco
Venezia
Basilica di Santa Maria Gloriosa dei Frari
comunemente detta «i Frari»
In particolare, le scene con «Cristo davanti a Pilato», la «Salita al Calvario» e la
«Crocifissione» rivelano uno stile ormai maturo e una linea figurativa che risente
di una spiccata teatralità nella composizione narrativa e di una notevole
sensibilità per i valori spaziali e dinamici.
Cristo davanti a Pilato
1566-1567 Olio su tela cm. 515 x 380
Scuola di San Rocco
Venezia
Crocifissione 1565
olio su tela 536 × 1224 cm
Scuola Grande di San Rocco
Venezia
La salita al Calvario 1566-1567
Olio su tela cm. 515 x 390
Scuola di San Rocco
Venezia
Fra il 1575 e il 1581
Tintoretto realizza, nella
Sala Grande al primo
piano le tele del soffitto
con temi biblici,
successivamente quelle
delle pareti con temi
evangelici, dove spicca
per originalità
luministica e cromatica,
la «Adorazione dei
pastori».
Adorazione dei pastori 1579-1581
olio su tela cm. 542 x 455
Scuola Grande di San Rocco
Venezia
Tintoretto ci accompagna in punta di
piedi nell’atmosfera raccolta di un’umile
casa colonica a due piani, in palese
stato di abbandono.
Dalle aperture nel tetto parzialmente
crollato, lo sguardo può spaziare verso
un cielo rosseggiante.
La spazialità pittorica audace e
prospetticamente perfetta, fortemente
scenografica anticipa qui la pittura del
secolo successivo.
La luce rossastra è popolata dai volti
angelici dei cherubini, che trovano forma
fisica nel fumo e nel vapore.
dettaglio
L’iconografia tradizionale della
«Sacra famiglia» è
abbandonata, i protagonisti qui
sono gli umili, i pastori che
hanno portato povere offerte, il
poco che possiedono.
Lievemente scorciate dal
basso, sul soppalco di legno,
le figure di Maria, Giuseppe e
del bambino, ricevono
l’omaggio di due donne che
porgono doni passati loro dal
basso dai compagni.
La Madonna rivolta verso le
due donne solleva con un
gesto materno un lembo della
stoffa che protegge il bambino
per mostrarlo, mentre San
Giuseppe osserva pensoso.
[…]
«Il Vasari definiva Tintoretto “stravagante, capriccioso, presto e risoluto e il più
terribile cervello che abbia mai avuto la pittura”, considerava le sue opere
“fatte da lui diversamente e fuori dall’uso degli altri pittori”, certamente un
omaggio alla capacità inventiva dell’artista, originale nell’interpretazione e
coraggioso nella decisione di praticare strade non percorse da altri.
“Il più arrischiato pittore del mondo” lo definiva Ridolfi nel 1648, raccontando
che nel suo studio l’artista raccoglieva gessi e modellini che poi copiava, studiando
gli effetti della luce aiutandosi con una lanterna, allestendo anche piccole
scenografie, prospettive teatrali in miniatura, animate poi da piccole figure
modellate in cera, a volte vestite di stracci, per studiare l’effetto delle pieghe, e
illuminando il tutto con delle candele, per verificare gli effetti della luce.»
[…]
Op. Cit. In:
https://rebstein.wordpress.com/2011/01/01/adorazione-dei-pastori/
Approfondimento
Come in altre opere la
gestualità dei personaggi è
marcatamente studiata,
teatrale, utile per veicolare
un messaggio affidato ad
una religiosità di sapore
popolare, lontana da
implicazioni teologiche.
E’ il linguaggio dei semplici,
la coralità dei poveri.
E’ la fede senza
compromessi degli ultimi,
calpestati dalla storia, che
continuano ad affidare alle
preghiere la speranza di
una vita migliore almeno
nell’aldilà.
Qualche annotazione sugli animali presenti.
Il bue e l’asinello, secondo la patristica, rappresentano rispettivamente gli ebrei e i
pagani.
Il gallo, dal XIII secolo è diventato il simbolo della predicazione, del nuovo giorno,
il Regno di Dio, annunciato dal suo canto .
Il pavone grazie alle sue caratteristiche fisiche, simboleggia la primavera, la
nascita, una nuova crescita, la longevità e l'amore.
Nella simbologia alchimista musulmana ad esempio, quando il pavone fa la ruota
esprime la grandezza dell'universo.
Patristica
Propriamente, lo studio della dottrina di quei pensatori che la Chiesa considera
Padri della Chiesa (➔ padre), ma anche, in senso lato, di tutti gli scrittori cristiani
vissuti nello stesso periodo, cioè tra il 2° e il 7° sec. (o 8°).
La distinzione nella storia della teologia tra p. e scolastica nacque nell’età della
Riforma; la p. fu per molto tempo distinta dalla patrologia, che si limitava a nozioni
di storia letteraria; ma l’intima connessione tra lo studio dottrinale e lo studio
filologico-letterario ha portato al congiungimento delle due nozioni.
Oggi per patrologia si intendono le grandi raccolte delle opere dei Padri (in
particolare la P. latina e la P. greca, edite da J.-P. Migne) e dei manuali di patristica.
Op.Cit. in: http://www.treccani.it/enciclopedia/patristica/
Approfondimento
Fra il 1583 e il 1587 viene completato il grande ciclo di San Rocco, con la
realizzazione delle tele della Sala Inferiore, che annoverano diverse scene della
Vita della Vergine e dell’Infanzia di Cristo, "Santa Maria Maddalena leggente"
e "Santa Maria Egizìaca in meditazione".
Visitazione 1588 ca.
olio su tela
Scuola Grande
di San Rocco
Venezia
La Circoncisione 1587
oil on canvas
440 X 482 cm
Scuola Grande
di San Rocco
Venezia
Santa Maria Egizìaca in
meditazione 1582-1587
olio su tela
Scuola Grande
di San Rocco
Venezia
Santa Maria Maddalena
leggente 1582-1587
olio su tela
Scuola Grande
di San Rocco
Venezia
Ascensione 1576-1581
olio su tela 538 × 325 cm
Venezia Scuola Grande di San Rocco
Visitazione 1588 ca.
olio su tela
Venezia Scuola Grande di San Rocco
Crocifissione 1565
olio su tela 536 × 1224 cm
Venezia Scuola Grande di San Rocco