J. L. Bourne Diario Di Un Sopravvissuto Agli Zombie

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Diario di un sopravvissuto agli zombie.

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Pocket Books

A Division of Simon & Schuster, Inc.

1230 Avenue of the Americas

New York, NY 10020

Questo libro è un’opera di fantasia. Nomi, personaggi, luoghi e accadimenti sono prodotti dell’immaginazione dell’autore o sonoutilizzati in maniera fittizia. Ogni somiglianza a eventi, luoghi o persone reali, vive o morte, è del tutto casuale.

Copyright 2004, 2012 by J. L. Bourne.

Tutti i diritti riservati, incluso quello di riprodurre questo libro o porzioni di esso in una forma qualsiasi. Per informazionirivolgersi a Pocket Books Subsidiary Rights Department, 1230 Avenue of the Americas, New York, NY 10020

Titolo originale: Day by Day: Armageddon

Prima edizione Pocket Books: Settembre 2009

POCKET e colophon sono marchi registrati della

Simon & Schuster, Inc.

Edizione italiana a cura di: Multiplayer.it Edizioni

Coordinamento: Alessandro Cardinali

Traduzione: Francesca Pongiglione

Revisione: Francesco Bianchini, Alessandra Di Dio

Impaginazione: Diego Vitali

Copertina: Marco Sciacqualani

Prima edizione ePub: Gennaio 2013

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ISBN formato ePub: 9788863552249

http://edizioni.multiplayer.it

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“Ci sono tanti tipi di storie di zombie. Ma solo alcune sono storie da brivido, che striscianofuori dalla tomba e ti trascinano all’inferno. Diario di un sopravvissuto agli zombie è senzaalcun dubbio il miglior libro di zombie che ho mai letto. Prendete L’alba dei morti viventi e 28giorni dopo e non arriverete neppure vicini a descrivere quanto questo libro è fantastico. È cosìrealistico, terrificante e così ben scritto che dopo averlo letto per settimane ho dormito noncon una, ma con due Glock cariche sotto al cuscino. J. L. Bourne è il nuovo re delle storie dizombie hardcore!”

- Brad Thor, n° 1 nella classifica degli scrittori di Bestseller del New York Times, autore deL’ultimo patriota e de Il primo comandamento.

“Diario di un sopravvissuto agli zombie è un viaggio emozionante nelle storie di zombie. Haprofondità, cuore, e personaggi irresistibili”.

- Jonathan Maberry, vincitore del premio Bram Stoker con Ghost Road Blues.

“Diario di un sopravvissuto agli zombie si attanaglia alla mente del lettore. Il diario di Bourneè un viaggio viscerale nella psiche di un sopravvissuto pieno di risorse”.

- Gregory Solis, autore di Rise and Walk.

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Indice

Introduzione

L’inizio

John

Le nozze di Figaro

Blue Light Special Corsia 13

È facile parlare col senno di poi

Notizie Bomba

L’inverno nucleare

Ground Zero

Torre

Il guerriero oscuro

Esodo del Bahama Mama

Resistenza

Gioco del silenzio

Le Idi di Marzo

La splendida Claudia

Atlantis

Hotel 23

Una foto vale di più di mille parole

“Toc, Toc”

AMIGOS

Verità e conseguenze

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Problemi in Paradiso

Lo stratagemma di John

P.S.

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Introduzione

di Z.A.Recht

Sono da anni un fan degli zombie. Posso affermare senza problemi di aver passato più di

metà della mia vita in una sorta di dipendenza da tutto ciò che avesse a che fare coi mortiviventi. Non era una cosa strana per me comprare libri o guardare film solo perchécontenevano nel titolo la parola “zombie”. Inutile dire che, seguendo questo metodo, sonoincappato in atroci delusioni (Night of the Zombies) e in alcune grandi soddisfazioni (RedneckZombies).

Per la maggior parte non si è trattato che di pure coincidenze. Uscivo in cerca di qualcosa einciampavo nel mio genere preferito. Non c’è niente che abbia il potere di distogliermi daquello che sto facendo come gli zombie. Detto questo, non farete fatica a capire perché, diversianni fa, sono sparito dalla faccia della terra per un giorno intero. Non ho risposto a nessunachiamata, né alle email. Sono quasi certo di essermi persino dimenticato di mangiare. So chenon mi sono dimenticato di fumare – quello non lo dimentico mai.

Ad ogni modo, il motivo di quella scomparsa improvvisa dal mio piccolo universo è stata lascoperta di questa incredibile cronaca online di un uomo che cerca di sopravvivere in unmondo invaso dai morti viventi. Si noti bene: non era la solita storia di fantascienza. Era ilracconto, giorno per giorno e agonia dopo agonia, di questo personaggio, dall’iniziodell’invasione degli zombie fino a uno dei finali più mozzafiato in cui mi sono mai imbattuto.Naturalmente sto parlando di Diario di un sopravvissuto agli zombie.

Non ricordo in che modo mi sono imbattuto nel link che mi ha portato alla cronacadell’apocalisse di J. L. Bourne, ma ricordo chiaramente di aver passato le 7-8 ore successive aleggere tutti i suoi post, dai primissimi all’ultimo. Di solito non sono un lettore così lento, maero così assorbito dalla storia che ogni tanto mi fermavo e leggevo il forum per vedere cosaaveva scritto la gente sul pezzo che stavo leggendo. Ho preso questo racconto e l’ho strizzatocome si fa con un asciugamano bagnato per non perdermi neanche la più piccola goccia dellanarrazione dei fatti. E quando sono arrivato alla fine, ormai era troppo tardi – ne ero statocompletamente catturato. Sono certo che ci sono dei tossicomani che raccontano storie similisul modo in cui hanno iniziato a drogarsi. Io ho scoperto il mondo segreto dei racconti dizombie su internet grazie a Diario di un sopravvissuto agli zombie.

Il mio primo passo è stato registrarmi al forum di Bourne e iniziare a chattare con altrifanatici degli zombie.

Devo anche dire che fino a quel momento la mia passione per i morti viventi era qualcosa

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che i miei amici sopportavano a fatica: improvvisamente, invece, mi trovavo in un mondo dipersone che la incoraggiavano. Parlavano di cose che mi erano sempre piaciute ma di cui nonavevo mai potuto discutere con nessuno: quale tipo di equipaggiamento sarebbe stato piùadatto in caso di un’invasione di zombie, piani di sopravvivenza a lungo termine, e sempre,sempre, sempre tenersi pronti a qualsiasi imprevisto. Saggi consigli per chiunque, che si tratti omeno di un fan di zombie.

Ho iniziato a vagare da un forum all’altro, e ho persino osato infilarmi in un paio di cosepolitiche, che è un po’ come infilare la mano in un mucchio di carboni ardenti – sai chebrucerà e sai che è una cosa molto stupida, eppure non ti rendi neanche conto del perché l’haifatto. Ma la mia strada era tracciata, ero come una monetina lanciata in un imbuto, che primao poi va giù. Dovevo solo avere un po’ di pazienza, e presto o tardi sarei arrivato dove dovevo.Ovvero, il forum. Qui c’erano dozzine di altre storie sulla vita nel mondo dei morti viventi.Ho scavato e ci sono finito dentro. La cosa bella delle storie di zombie è che, a differenza delcibo, più ne consumi e più diventi insaziabile. Molto presto ho deciso che non potevolimitarmi a leggere i lavori degli altri. Dovevo iniziare anch’io la mia piccola saga. E così hoiniziato a scrivere quello che doveva essere un racconto dal titolo Pandemia, su un viruschiamato Morningstar Strain che aveva raso al suolo l’umanità, trasformandola.Naturalmente, in zombie.

Ho ricevuto alcuni commenti positivi, e così ho continuato a scrivere. Nel giro di pocotempo ne ho perso il controllo: ha raggiunto la lunghezza di un racconto ma ho proseguito.L’ho messo su un suo sito apposito, e mi sono assicurato di mantenere un link sulla pagina cheriportasse a Diario di un sopravvissuto agli zombie, e ho continuato a scrivere. Qualche annodopo Pandemia è diventata Plague of the Dead, un romanzo molto corposo con due sequel inpreparazione. E se ripenso all’inizio di tutto, non posso che pensare a quando mi sonoimbattuto in Diario di un sopravvissuto agli zombie e ho scoperto questo genere.

Questa storia ha tutto il necessario per far innamorare i fan del genere: la stoica battagliaper la sopravvivenza, morti viventi che brancolano con passo incerto, il pericolo costante,un’eccitante componente macabra e raccapricciante e, naturalmente, l’equipaggiamento.

Sia che voi siate dei veri amanti del genere o solo degli avventori casuali, questo è uno diquei libri che cattura la vostra attenzione e che vi incolla alle pagine solo per scoprire cosaaccadrà dopo – e questo è ciò che contraddistingue un libro degno di essere letto. Ci sono libriche ti invogliano a leggere con la promessa di rivelarti qualche terribile segreto, o che ti fannovoltare pagina solo perché quello che accade ti fa star male, e non vedi l’ora di finire. Nonsempre questi libri ti raccontano una storia da sballo, e spesso, quando li finisci, ti lascianocon un senso di vuoto, di apatia, di disillusione. Diario di un sopravvissuto agli zombieracconta una storia, e la racconta bene. Quando finirete, sentirete il sangue che vi pulsa nellevene. Avrete appena finito una grande storia. Vi sentirete vivi, e questo è molto più di quelloche potrà dire la maggior parte dei protagonisti del racconto.

Che altro posso dire se non di godervelo? Non mi viene in mente nient’altro. Godetevelo,cari lettori. Godetevelo.

Mahalo

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Z. A. RechtAutore de

The Plague of the Dead

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Questo libro è dedicato ai miei fratelli e sorelle dell’Esercito americano chehanno combattuto e continuano a combattere la guerra globale del terrore in

Iraq, Afghanistan, nelle Filippine e in tutti gli altri angoli oscuri e remotidella terra.

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In questo mondo, io non sono più.Sono un monumento

decadente dell’umanità.Devo lottare per la sopravvivenza,

e sono solo,spaventato e vulnerabile.

Loro sono freddi, recalcitranti e letali. Ma io sono vivo.

anonimo sopravvissuto

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L’inizio

1 gennaio

Ore 3:58Buon anno a me. Dopo una notte di sbronze e divertimento, ho smaltito la sbornia e sonotornato a casa. Sono così stufo di stare a casa in vacanza a non fare nulla. Da un lato ringraziodi aver potuto staccare dall’addestramento, ma in Arkansas ci si stufa in fretta. Tutti i mieivecchi amici sono qui, sempre a bere la stessa birra e a fare le stesse cose. Credo che saròfelicissimo di tornare a casa, a San Antonio. Proposito per l’anno nuovo: iniziare a tenere undiario.

2 gennaio

Ore 11:00La sbornia mi è finalmente passata. Quando mi trovo nei pressi di una tv guardo volentieri iltelegiornale, ma qui a casa dei miei pare che prendano solo i canali locali. Non credo chetenterò con la connessione analogica, perché mi farebbe solo innervosire da matti. Credo cheguarderò le email quando tornerò a casa. Sembra che stia succedendo qualcosa in Cina, perchéle notizie locali parlano di una specie di virus influenzale che ne sta facendo fuori parecchilaggiù. C’è stata una brutta stagione di influenza quest’anno. Io sono stato vaccinato alla basemilitare, e così ho evitato il problema dell’esaurimento dei vaccini. Sono felice di tornare acasa domani e alla mia connessione internet ad alta velocità. Neanche il mio cavolo dicellulare funziona in questo posto sperduto. La cosa peggiore del trovarmi qui è che so chedevo darmi parecchio da fare per restare in sella. Quando ho firmato per la marina militarenon pensavo che avrei dovuto lavorare e studiare tanto solo per mantenermi al passo.

3 gennaio

Ore 6:09Mia nonna ha chiamato stamattina per dire a mia madre che andremo in guerra contro laCina, e per cercare di convincermi ad andare in Canada per disertare la chiamata.Sinceramente credo che mia nonna stia dando i numeri. Ho acceso la tv aspettandomipraticamente una specie di embargo con la Cina. Il notiziario, invece, ha detto solo che ilpresidente Bush ha acconsentito all’invio di personale medico militare in Cina a solo scopo diconsulto.

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Il che mi fa chiedere: cosa abbiamo in America di cui un Paese grande e terribile come laCina può aver bisogno? Hanno tutte le risorse naturali che vogliono. Non faccio che pensareche avrei dovuto lasciare una luce accesa a casa mia a San Antonio. Ho due piccole celle solarisul tetto, ma sono collegato alla rete elettrica. Uso i pannelli solo per vendere elettricità allacompagnia quando sono via in missione. L’hanno anche già pagata.

5 gennaio

Ore 20:04Ieri sono arrivato a casa dopo un bel viaggetto in macchina di dieci ore dal NorthwestArkansas. Ho ricevuto per Natale una radio satellitare e l’ho tenuta accesa durante il viaggio.Ho ascoltato BUZZ o FOX sulla strada verso casa, mettendo ogni tanto un po’ di musica dalmio MP3. Avrei dovuto connettere la radio satellitare quando ero giù dai miei, perché sonoquasi certo che avrebbe funzionato, anche se vivono in mezzo al nulla.

La situazione con la Cina sta iniziando a surriscaldarsi. Le notizie dicono che abbiamo persopiù di dieci medici in questa storia. Gli altri “consulenti militari” che sono ancora in Cinaverranno messi in quarantena prima di rientrare negli Stati Uniti. Che fregatura. Vai lì peraiutare e in cambio ti ritrovi in cella.

Oggi non è stato male come lunedì. Ho dovuto fare un paio di uscite in volo perl’addestramento. L’EP 3 è fondamentalmente un C-130 con molte antenne. Non è molto benmanovrabile, ma è in grado di ricevere un buon numero di dati a 20.000 piedi.

Il mio amico Bryce di Groton, nel Connecticut, ha chiamato oggi. È ufficiale in unsottomarino. Mi ha aiutato parecchio recuperando materiale da vecchie barche a gasolio,mentre stavo installando i pannelli solari a casa mia qualche anno fa. Ha detto che stafinalmente per ottenere il divorzio, perché lei ha ammesso di averlo tradito. In qualche modo,me lo sentivo che lei stava facendo qualcosa del genere, ma non ho mai detto niente. Noncredo che sarebbe cambiato niente, se l’avessi fatto. Abbiamo parlato di questa cosa della Cinaper un bel po’ e lui pensa che si tratti di un brutto virus influenzale. Che è un po’ quello chepenso io, credo.

9 gennaio

Ore 16:23Grazie a Dio è venerdì.

Oggi mia madre mi ha chiamato al cellulare tutta preoccupata per chiedermi se avevo ideadi cosa stesse succedendo all’estero. Le ho dovuto spiegare per l’ennesima volta che solo perchésono un ufficiale della marina non significa che io sappia chi ha ucciso Kennedy o la storiadegli UFO a Roswell, in New Mexico. Adoro mia madre, ma a volte mi fa impazzire. Hocercato di tranquillizzarla come potevo, ma c’è comunque qualcosa che non va. Questa storiaassurda sta dominando i telegiornali. Dalle domande che i reporter fanno alla FEMA, l’entefederale per la gestione delle emergenze, alla Casa Bianca e al Ministero della Difesa si capisceche sentono puzza di bruciato.

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Il presidente ha fatto un discorso (che si può sentire solo su banda radio AM, forse perevitare troppa pubblicità) e ha detto alla gente che non c’è nulla di cui preoccuparsi e che lasquadra medica dell’esercito e della marina spedita in Cina ha rimandato a casa uno dei nostridottori perché stava troppo male per essere lasciato alle cure e alle strutture inadeguate delposto in cui si trovava. Un’altra cosa strana è che il mio squadrone, il mese prossimo, dovevaandare ad Atsugi, in Giappone, per alcune esercitazioni nel Pacifico, ma hanno annullato tutto.

Ho chiesto notizie al mio skipper, il quale mi ha solo detto che stanno cercando di stare allalarga da tutto, e che ci sono voci di persone “malate” a Honshu, in Giappone. Ha fatto uncenno di assenso col capo e mi ha detto di non preoccuparmi. C’è qualcosa che non va in tuttaquesta storia e sta cominciando a insinuarsi nella mia mente. Sento che forse dovrei andare alsupermercato e prendere un po’ di bottiglie d’acqua o roba simile.

10 gennaio

Ore 7:00Non ho dormito un granché ieri notte. Ho guardato il tg tutto il tempo per essere sicuro dinon perdermi niente. “Posso assicurare agli americani che stiamo facendo di tutto percontenere l’epidemia entro i confini della Cina”. Forza, dillo col tuo accento migliore da uomodel sud. Sono stato ai grandi magazzini Wal-Mart e ho comprato un po’ di cose, giusto nelcaso in cui dovessi stare chiuso in casa per evitare il contagio. Ho preso un po’ di bottiglied’acqua, stufato di manzo in lattina e sono stato alla base a fare due chiacchiere col mio amicodelle forniture, al magazzino. Mi ha detto che può darmi un po’ di confezioni di cibi precottiin cambio di una tuta da volo in nomex nuova. Il che per me non è un problema. Ne hoalmeno una ventina. Ho preso una di quelle più nuove che avevo e gliel’ho portata: almenoavrò un po’ di varietà nella mia dieta se dovrò rinchiudermi in casa, se non fosse per il fattoche i cibi precotti non sono così funzionali visto che pesano molto e la confezione occupa unsacco di spazio.

Vance (il mio amico del magazzino) mi ha anche detto di aver visto una ricevuta governativariguardante la spedizione di un migliaio di confezioni di cibi precotti al Comando americanodella Difesa Aerospaziale e a un paio di altri posti nel nord-est. Gli ho chiesto se fossenormale, e mi ha risposto che non c’erano state richieste di scorte di cibo così grandi dalla crisidei missili a Cuba. Comincio a pensare che i grandi capi si vogliano mettere al sicuro perqualche mese. Forse le cose sono più serie di quanto pensassi.

Ore 10:42Ho scaricato una parte delle confezioni di cibi precotti e ho notato che una si era rotta.L’odore del “contenitore A” ha invaso la stanza e mi ha ricordato tutti i cibi precotti che homangiato quando ero nell’area del golfo arabico. Mi avevano assegnato a un comando di terraallucinante. Odiavo stare lì. Faceva un caldo insopportabile, e quando poi mi ero dovutoimbarcare su una nave le cose non erano affatto migliorate. Ho controllato le batterie, sonotutte e sei cariche. Ho pensato a Bryce e all’“affare” che ho fatto con le batterie di quelvecchio sottomarino.

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Al tempo in cui i sottomarini andavano a gasolio e non erano nucleari, quando si trovavanosottacqua andavano con batterie caricate da un generatore diesel ogni volta che emergevano insuperficie. Alcuni Paesi usano ancora queste vecchie imbarcazioni. Non era male come idea,perché per ricaricarle coi pannelli solari ci vuole molto più tempo, 10 ore anziché 3, ma il soleè gratis.

Mi mancano le mie sorelle, Jenny e Mandy. Non le vedo molto da quando sono in servizio, ècome se fossero cresciute senza che io me ne accorgessi. Ho chiamato a casa di mio padre e harisposto Jenny, la minore. Era ancora mezzo addormentata quando l’ho sentita. Le facevo unsacco di dispetti quando era piccola. Le volevo bene a quella piccoletta, e queste cose ticostruiscono il carattere. Mandy vive di nuovo a casa, giusto il tempo di rimettersi in piedi.Non è mai stata il tipo con cui aprirsi e non mi raccontava mai niente. Vorrei che le cosefossero andate diversamente, o che fossimo stati più uniti da bambini.

I miei fucili hanno davvero bisogno di una ripulita, specialmente il mio CAR-15, che èdavvero sporco. Già che ci sono potrei anche pulire le pistole. A proposito, potrei procurarmiun centinaio di proiettili per la carabina visto che costano poco. Non amo gli sciacalli, e seuno di quei bastardi in quarantena passa da queste parti voglio essere pronto.

Ore 14:36Ok, adesso inizio a preoccuparmi: il Centro di Atlanta per il Controllo Malattie ha riportatoun caso di questa “malattia” all’Ospedale Navale Bethesda in Maryland. Qui non ci sonocomunisti a mettere a tacere le notizie, e quindi le cose vengono fuori. A quanto pare questamalattia fa perdere alla vittima alcune funzioni motorie, e la fa comportare in modo strano.Ho contattato lo squadrone per chiedergli un paio di cose. Mi hanno detto che forse avremo illunedì libero, in modo che il Dipartimento della Difesa possa valutare il livello di rischio per ilpersonale delle forze armate all’interno degli Stati Uniti.

Anche mia madre mi ha chiamato dopo aver sentito il notiziario e mi ha detto chel’Ospedale Navale Bethesda è lo stesso in cui hanno portato Kennedy quando gli hannosparato. Mi sono messo a ridere di fronte all’inclinazione di mia madre per le teoriecospirative, e le ho detto di prendersi cura di suo marito (il mio patrigno) e di evitare diandare in città se hanno abbastanza provviste a casa. Adesso vado al supermercato a farerifornimenti e, ah, ho preso un migliaio di proiettili per la carabina. Sono dovuto andare in unpo’ di negozi diversi per prenderli tutti, perché nessuno voleva vendermene così tanti in uncolpo solo. C’è probabilmente qualche specie di legge liberale di cui non so nulla a causarequeste lungaggini, o forse era solo un negoziante che voleva tenere un po’ di proiettili per sé eallo stesso tempo fare felice il cliente.

Ero praticamente fuori dalla porta quando ho ricevuto l’ordine di indossare l’uniforme e farerapporto al quartier generale. Vediamo cosa succede.

Ore 19:12Sono appena tornato dall’incontro alla base col mio squadrone. Sono un po’ preoccupato. Cihanno detto che abbiamo un’importante missione di volo domani, che è domenica. A quantopare è un volo di ricognizione su Atlanta (per la precisione su Decatur) in Georgia. Dobbiamo

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focalizzarci su un’area specifica, ovvero il Centro Controllo Malattie di Atlanta. Non è nientedi serio, dobbiamo solo fare un controllo per l’FBI di Washington per assicurarci che il CCMnon stia nascondendo niente. È solo una ricognizione fotografica e di intercettazione.

Mi ricorda i tempi in cui ascoltavo le conversazioni telefoniche della mia ex ragazza mentreero in missione di volo nei dintorni di San Antonio. Adoro l’attrezzatura da spionaggio coisegnali elettromagnetici (SIGINT). Mi ha fatto risparmiare un bel po’ di tempo e soldi conquella donna. Anche al notiziario un reporter ha rotto un bel po’ le palle a un’ufficiale addettaalla comunicazione del Bethesda chiedendole perché non lasciavano entrare i giornalisti inospedale per fare qualche domanda ai medici. O’rielly le ha chiesto “Che cosa nascondete lìdentro?“ L’ufficiale ha ribadito che lo fanno solo per proteggere il personale della stampa eche nessuna persona esterna può essere ammessa all’interno dell’ospedale, e che comunque nonsi tratta di territorio pubblico, ma di un ospedale militare del governo americano. Piuttostostrano che dichiarazioni del genere vengano fatte da un’ufficiale di grado così basso.

11 gennaio

Ore 19:44Non so proprio cosa pensare. Siamo stati alla stazione radio, e ci hanno fatto spiare il nostrostesso governo (CCM) alle 8:16 del mattino. Abbiamo acceso l’attrezzatura per intercettareogni cellulare, linea fissa o trasferimento di dati che avveniva tra i CCM e l’esterno. Nonriuscivo a credere ad alcune cose che si dicevano. C’era un agente dell’FBI lì, il che è veramentestrano. Mentre ci dava le direttive prima del volo ha detto che, tecnicamente per la legge delPosse Comitatus, è illegale che i militari siano schierati all’interno degli Stati Uniti permissioni ufficiali.

L’agente sarà il comandante ufficiale della missione del velivolo, per evitare che i militarisiano accusati di aver infranto le leggi operando all’interno degli Stati Uniti. Abbiamo sentitoframmenti di trasmissioni tra diversi componenti del CCM sul fatto che il virus è difficile daarginare e che il direttore del CCM non vuole esser considerato male o messo in cattiva luceagli occhi del Presidente. Stanno cercando di tenere la massima riservatezza su questa storia.Stavano usando le Unità Telefoniche di Sicurezza (telefoni UTS), ma l’Agenzia per la SicurezzaNazionale ci ha dato una mano e trovare il codice è stato praticamente come dare al nostrosoftware l’ordine di decriptare.

Dicevano che uno degli uomini infetti che avevano messo in quarantena ha morsoun’infermiera in un attacco di rabbia mentre lei stava cercando di dargli da mangiare. Lohanno legato al letto con delle cinghie e l’hanno nutrito con un tubo per evitare altri problemi.L’infermiera non sta un granché bene, e nelle ultime ore le è venuta la febbre. L’uomo cheparlava da CCM ha detto anche “Jim (la persona dall’altro capo del telefono) non hai idea delgenere di segnali vitali che abbiamo dall’uomo infetto”. Jim ha detto “Che vuoi dire? Puoidarmi più dettagli?”, e l’uomo del CCM “No, niente dettagli per telefono”.

Questo è già abbastanza per farmi preoccupare. Dopo che siamo decollati mi hannoobbligato a firmare un accordo di riservatezza che ho subito infranto. Ho chiamato i mieigenitori e gli ho detto quello che penso che dovrebbero fare, e poi ho iniziato anch’io a

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prepararmi. Ho scoperto che domani non dobbiamo andare al quartier generale e dobbiamosolo fare rapporto alle 8:00. Avevo già pulito il fucile, così mi sono occupato delle pistole. Econ questo ho quattro armi da fuoco e un buon coltello. Sono stato sul tetto a pulire le miecelle solari, che erano sporche e impolverate. Ho anche tirato fuori gli appunti che avevo presosu come fare il passaggio dalla corrente elettrica a quella delle batterie del sottomarino, cosache potrebbe tornarmi utile in futuro. Ho messo le pallottole in tutti i miei caricatori (10) perun totale di 290 colpi. Non riempio mai totalmente i caricatori, perché potrebbe bloccareinavvertitamente l’arma.

Le finestre del piano terra hanno soltanto i doppi vetri, e quindi sono andato al negozio e hocomprato delle sbarre per bloccare almeno quelle che sono ad altezza torace. Tutte le altresono troppo alte per arrivarci senza una scala. Adesso vado a montarle.

Ore 23:54Ho montato le sbarre usando un metro avvolgibile, una matita, un trapano con punta 5/32 eun cacciavite dalla punta quadrata (brevettato incluso nella confezione delle sbarre, pensatoperché le viti diventino difficili da rimuovere senza usare un trapano). Se qualche sciacallo ècosì bravo da riuscire a smontare le sbarre e prendere le mie quattro cazzate mentre dormo,giuro che lo aiuto a caricarle sul suo furgone del cazzo.

Ho fatto un breve giro lungo la recinzione del mio cortile e ho deciso che il muretto di pietranon è abbastanza alto. Qualsiasi uomo con un minimo di agilità riuscirebbe a saltarlo. Il murodi cinta è stato costruito assieme alla casa. Ho rotto alcune bottiglie che tenevo nella dispensae ho usato del cemento adesivo per fissare i cocci sulla cima del muro perimetrale, più o menoogni 30 centimetri. Come minimo dovrebbero riuscire a rallentare l’arrampicata. Mentrelavoravo ho ascoltato la radio con le cuffie, e adesso che sono più informato mi pare che lasituazione stia solo peggiorando.

La radio dice che il presidente rilascerà una dichiarazione alle 9:00 (sul fuso orario dellacosta est). Giù lungo la strada c’è una famiglia che sta caricando la roba su un SUV perpartire. Nessuno va in vacanza in questi giorni dell’anno, quindi l’unica cosa che posso dedurreè che stiano tagliando la corda. Domani andrò a fare ancora rifornimenti dopo il discorso delpresidente e dopo aver fatto rapporto al mio squadrone.

12 gennaio

Ore 9:34Non so che altro dire, se non “cavolo“. In pratica il presidente ha detto che la malattia èaltamente contagiosa e al momento non c’è cura. Invita gli americani a stare al chiuso e ariferire subito alle autorità se si viene a sapere di qualcuno con dei “sintomi sospetti”. Uno deigiornalisti ha chiesto “Signor presidente! Signor presidente! Potrebbe dire qualcosa di più suisintomi sospetti?” Il presidente ha risposto che dovremmo far caso a persone che sicomportano in modo bizzarro e sembrano malate.

Ha anche detto “è estremamente importante che se qualcuno della vostra famiglia mostraquesti sintomi non cerchiate di curarlo voi in qualche modo, ma vi comportiate esattamente

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allo stesso modo di come fareste con un estraneo”.Un numero verde che inizia per 1-800 è apparso sullo schermo e il presidente ha aggiunto:

“Vi chiedo di chiamare questo numero al più presto nel caso ci sia uno scoppio improvviso diquesti sintomi nella vostra comunità. Abbiamo fatto un addestramento specifico a uomini e adonne che sanno gestire la situazione, e porteremo i vostri cari in apposite strutture medicheper prestare loro le cure necessarie”.

Il presidente ha anche affermato che ordinerà il completo ritiro di civili e militari americanida Cina e Iraq. Ha aggiunto che sta meditando anche il ritiro delle truppe dalla zonademilitarizzata in Corea del Sud. C’era un video in sottofondo che mostrava l’ambasciataamericana in Cina mentre veniva evacuata sotto la stretta supervisione di marines armati finoal collo. Uno degli spezzoni mostrava tre marines tirare giù la bandiera americana, a riprovadel fatto che l’ambasciata era stata ufficialmente abbandonata. Sul video è apparsa una scenanon troppo diversa da quella della caduta di Saigon. C’era una folla di cittadini americanievacuati con gli elicotteri dai tetti di Pechino. In sottofondo si sentiva un rumore di armiautomatiche, ma la gente non sembrava preoccupata, pareva volessero solo andarsene. Adessoesco a fare provviste.

Ore 15:22È stato un casino totale. Ho avuto un incidente nel parcheggio del supermercato, e una tizia miha praticamente assalito per i boccioni d’acqua (quattro) da circa 20 litri che avevo compratoal Wal-Mart. Ho anche acquistato qualche pallottola da 9 mm in più già che c’ero. Sonocontento perché ho abbastanza acqua e confezioni di pasti pronti nel caso la situazionepeggiori. Ho anche comprato delle mascherine usa e getta nel caso in cui ci sia uno scoppio diepidemia nella mia zona. Ho preso quello che era rimasto sugli scaffali del reparto scatolame.Ho comprato cinquanta confezioni di zuppe diverse. Non posso crederci comunque. È dall’11settembre che non mi sento in una situazione così surreale.

I miei sono al sicuro sulle colline dell’Arkansas. Li ho avvertiti di stare a casa e di nonandare in città per nessun motivo. Hanno sempre il freezer pieno di roba e l’acqua lì non è unproblema perché bevono quella della fonte. Hanno un piccolo generatore di elettricità cheusano di inverno quando i cavi congelano e si rompono.

Ho comprato un po’ di cose dal ferramenta in una delle catene più grandi della zona; alcuneassi per usi vari, maniglie di acciaio e catenacci per installare una rudimentale barricata sullaporta principale e vicino a quella sul retro. Si tratta di un semplice pannello 4x4 che scivola suun supporto all’interno della porta per evitare che qualcuno possa sfondarla. Credo che seraziono l’acqua bevendone un litro al giorno e limito a 1000-1500 calorie la dieta, potròresistere almeno cinque mesi con le scorte che ho fatto.

Ho acceso la radio e ho ascoltato il notiziario di oggi. Mi sono sintonizzato sul canale 19per sentire cosa dicevano in proposito gli autotrasportatori. In generale, erano arrabbiati pertutti i blocchi stradali e le ispezioni del carico che stanno subendo. A quanto pare il CCM el’Ufficio Immigrazione sono in cerca di camion che trasportano carichi di immigraticlandestini attraverso il confine. Hanno detto anche qualcosa sul fatto che non sono mezzisicuri e che c’è stato un episodio di contagio quando un agente dell’Immigrazione ha aperto leportiere di una cabina di un autotrasportatore.

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A quanto dicono, hanno dovuto mettere in quarantena l’interno camion e anche l’agente diguardia perché ogni maledetta persona era infetta. Uno degli immigrati infetti ha attaccatol’agente, probabilmente aveva paura di doversene tornare in Messico. Adesso chiamo uno deimiei compagni Marines. Sta a San Diego e voglio vedere cosa combina in mezzo a tutta questastoria.

Ore 18:54Ho appena chiuso la chiamata col mio amico Shep dei Marines. Ha detto che a San Diego cisono uomini armati della Guardia Nazionale a ogni angolo della strada e che è stato chiamatoper far parte della squadra di sicurezza della sua base. Mi ha detto che gli è stato consigliato diportare sua moglie nel rifugio che avevano costruito alla base ai tempi della guerra fredda, eche è stato riaperto. Pare che chiuderanno i cancelli e metteranno la base in quarantena nelcaso in cui ci fosse un attacco in zona. Adesso il sole è basso. Ho predisposto sensori motoriluminosi lungo il perimetro della casa. Nell’eventualità in cui un saccheggiatore si aggirasseper cercare di rubare qualcosa, per lo meno si accenderanno le luci. Stasera comunque dormiròcon la Glock sotto al cuscino e il CAR-15 accanto al letto.

Il notiziario continua a riportare strani fenomeni accaduti in alcune grandi città,apparentemente dei casi di cannibalismo. Questa è l’America. Quando sono cazzi amari tuttidanno di matto. Visto che abito nei sobborghi dell’ottava città più grande della nazione questenotizie non sono buone notizie. Sento le sirene della polizia e delle ambulanze su e giù lungo lastrada fuori da casa mia. Ho fame, ma ho mangiato fin troppo oggi. Un sedano andrà bene,immagino

Ore 21:13La CNN sta trasmettendo da Times Square con una webcam. A quanto pare è una lorotelecamera privata e i federali non hanno pensato di spegnerla. Stanno facendo unapanoramica e le immagini sgranate mostrano truppe di militari armati che sparano ai civili.Merda, ci saranno delle grane legali qui.

Le immagini sono state velocemente interrotte dal sistema di trasmissione di emergenza.Dopo qualche minuto l’immagine è ricomparsa, con il segretario della Difesa Interna chesaliva su un podio con lo stemma presidenziale.

“America, mi dispiace comunicarvi che nonostante i nostri sforzi, questa malattia hasfondato le nostre misure di contenimento. Non è più sicuro restare nelle grandi città.Delle zone sicure sono state allestite nei dintorni delle aree densamente popolate esaranno aperte a chi non è infetto. Per favore cercate di mantenere la calma, perchéquello che sto per dirvi potrà sembrare abominevole. La malattia si trasmetteattraverso il morso di una persona infetta. Non sappiamo se ciò è collegato allasaliva, al sangue o a entrambi. Coloro che si infettano soccombono per le ferite emuoiono, ma nel giro di un’ora si risvegliano in cerca di esseri viventi. Non si sacome mai quelli che muoiono per cause naturali poi ritornino in vita, ad ogni modo

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questo è quanto. Mi scuso per il fatto che il presidente non possa essere qui. Lostanno portando in un rifugio di sicurezza. Che Dio sia con noi in questo momentodifficile. Vi affido al generale Meyers”.

Non appena il segretario della Difesa ha iniziato a chiudere la sua cartellina è stato

bombardato di domande dagli addetti stampa sotto il palco. Sembrava più una scena dellaborsa di Wall Street che una conferenza stampa. Anche se non si poteva vedere la follaammassata davanti al podio, si sentiva la loro presenza dal rumore di fondo, dai flash dellemacchine fotografiche e dalle voci confuse. Una delle domande più allarmanti è stata quella diun reporter che ha chiesto al Segretario come facevano a sapere se quelle creature erano morteo, invece, semplicemente infette dalla malattia. E il segretario ha risposto: “Gli esseri viventinon hanno la temperatura corporea che si adatta a quella dell’ambiente. Stamattina abbiamochiuso una di queste creature in una cella frigorifera. Abbiamo registrato una temperaturacorporea di 40 gradi Fahrenheit per più di 12 ore e rotti”.

La folla è trasalita incredula e subito altre domande si sono riversate sul podio. “Quali sonole possibilità di essere infettati se si riceve un morso?” Il segretario ha preso un respiroprofondo e ha detto: “Finora la contagiosità della malattia è data al 100% se la pelle vieneferita da un morso”.

Cazzo non posso credere che stia succedendo questo. Chiamo i miei.

Ore 22:00Dopo aver provato a chiamare per più di mezz’ora, mi sono reso conto che probabilmente èquello che tutti negli Stati Uniti stanno cercando di fare. Le linee telefoniche non reggono. Hoprovato col cellulare. Stesso risultato. “Rete occupata”. Ho anche ascoltato quello che ilgenerale aveva da dire mentre tentavo di richiamare.

“La miglior difesa in questa situazione è che restiate a casa e aspettiate le squadre dievacuazione. Evitate a ogni costo le persone infette. Se vi trovate coinvolti in uncombattimento o simili con questi individui, l’unica cosa che li metterà fuori gioco ècolpirli forte al cranio. Se vi trovate nella spiacevole situazione di dovervi difendereda una persona che amate, fatelo con la stessa prontezza che usereste con unosconosciuto, poiché questo è ciò che è diventato. Fate ciò che potete per evitare diessere morsi, perché non c’è modo di evitare il contagio nel caso questo accada.Le notizie che riceviamo dalla Cina dicono che queste creature sono in primo luogoattratte dal rumore forte. Pare che lo usino come principale metodo per trovare unapreda. Devo insistere nel dirvi che è nel vostro interesse restare al chiuso, il piùpossibile calmi e tranquilli. Quello che ci dicono i nostri operatori della humanintelligence della CIA (HUMINT) in Cina è che lì la malattia è dilagata in modoincontrollato per più di tre settimane e che sono in uno stato di devastazione. Se nonci comportiamo in modo diverso da loro, potrebbe toccarci lo stesso destino”.

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Il generale è stato fatto scendere dal podio e uno degli ufficiali civili del governo gli ha

lanciato un’occhiata severa. Quel che è seguito è stato un tentativo di smorzare i toni di quelloche il generale aveva detto.

Ho paura... non so veramente che fare oltre a spegnere le luci e stare seduto qui, a scrivere...ho il fucile a tracolla anche standomene seduto. Bussano alla porta... torno subito...

Ore 23:50Uno dei miei compagni squadrone è venuto per riportarmi alcune voci che aveva sentito daJake, un nostro amico in comune, appena tornato da una missione aerea in una delle areecolpite di Atlanta, in Georgia. Durante la missione Jake ha detto di aver visto moltissimi corpiinfetti che si aggiravano per strada nella parte sud della città. Ha detto che c’erano canirandagi che abbaiavano verso di loro, e ha visto gli infetti mentre cercavano di saltare addossoai cani. Ha ripreso tutto con una videocamera a zoom digitale. Gli è sembrato che alcuni deimembri più giovani della missione cercassero di farsi giustizia da sé sparando ai cadaveri.

A quanto dice il mio amico, Jake era bianco come un fantasma quando è atterrato, e noncredeva a quello che aveva visto con i suoi occhi. Chris, il mio visitatore notturno, era moltospaventato da quel che Jake gli aveva detto. Glielo leggevo negli occhi. Mi ha chiesto se volevoandare con lui e stare alla base, nel rifugio che hanno allestito. So a cosa si riferisce. Alla baseci sono diversi rifugi costruiti durante la Guerra fredda ancora attivi e per lo più utilizzati perconservare cibo, acqua e medicinali vari in caso di necessità. Ho guardato Chris e gli ho dettodi stare all’erta e guardarsi le spalle, e che tutto sarebbe andato bene. Gli ho detto che sareirimasto qui da solo, cercando di non farmi vedere da niente e da nessuno. Mi ha chiesto se neero sicuro e gli ho detto di sì. Se n’è andato, e ora sono stanco. Vado a chiudere tutto, guardoil notiziario. Poi proverò a dormire un po’. Non riesco ancora a crederci. Una parte di mevuole vedere, l’altra vuole solo nascondersi sotto il tavolo con le pistole e tremare di paura.

13 gennaio

Ore 11:43Non sono riuscito a dormire ieri notte. C’erano in continuazione sirene della polizia eambulanze, davvero un gran fastidio. Credo di aver sentito degli spari in lontananza, mapotrebbe essere stato il motore di qualche veicolo. Mi sono alzato dal letto alle 5. Sono andatoin garage a prendere le lampadine fluorescenti per il perimetro della casa e per le luci interne.Normalmente uso delle lampadine normali perché fanno più luce, ma vista la situazione potreidover far conto solo sull’energia solare o della batteria se i trasformatori o i generatori dicorrente venissero colpiti.

Il notiziario riporta solo morte e distruzione. Adesso stanno dicendo che ogni grande cittàriporta casi di morti viventi. Stamattina ho iniziato a chiudere con i pannelli tutte le miefinestre, anche quelle che non sono al piano terra. Ho anche messo dei pannelli a due dellefinestre più vulnerabili, dove da poco ho installato le sbarre, giusto per precauzione. Mi sento

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abbastanza al sicuro per quanto riguarda le finestre. Ho messo le lampadine a risparmioenergetico nelle luci perimetrali.

Svantaggio: ci mettono un paio di secondi ad accendersi quando i sensori si attivano.Vantaggio: non prosciugheranno la mia batteria in fretta come le altre. Sono preoccupato per la mia incolumità, ma sto prendendo ogni precauzione per assicurarmi

che me la caverò. Sto facendo un nuovo scomparto per i viveri, così posso tener d’occhioquanta acqua e cibo consumo. Ho anche controllato il livello di acido delle mie batterie. Cen’è per un po’. Dovrebbero resistere a tutto questo, a meno che… beh, preferisco non pensarciadesso.

Finalmente sono riuscito a raggiungere mia madre e il mio patrigno (papà). La mamma eraisterica. Ho dovuto parlare con papà per riuscire a dire qualcosa. Mi ha detto che va tuttobene e che loro sono il più al sicuro possibile. Non hanno visto nessun segno di malattia, mami hanno detto che ci sono stati dei casi di possibili attacchi in città (a 10 miglia da loro).

Hanno le pistole e i cani pronti per eventuali saccheggiatori, nel caso in cui la situazioneprecipitasse. Ho chiesto a papà se avesse idea di cosa fare nel caso in cui le cose si mettanomale a casa. Dice che lui, mamma e i cani andranno probabilmente nel rifugio di Fincher. Sitratta di una piccola grotta, dove giocavo da piccolo. Il vecchio Fincher minacciava dispararmi con un fucile calibro dodici caricato a sale se avessi continuato ad andarci senza imiei genitori. Sembra siano passati secoli da allora. Avevo solo dodici anni. Ho detto ai mieiche mi sarei fatto sentire, almeno finché le linee telefoniche sarebbero state attive. Non hasenso sperare nel cellulare perché è già andato. I servizi che necessitano di alta manutenzionesono i primi che se ne vanno.

Ore 19:10Oggi la luce ha iniziato a tremolare. Non capita spesso da queste parti. Stavo pulendo il fucilequando è successo. Ho pensato che sarebbe andata via del tutto, invece è tornata. Si sentonosirene e spari, e questo riassume più o meno la maggior parte dei suoni che ho sentito oggi.Dopo aver riagganciato il telefono (ho deciso di chiamare mio padre, ma non ha risposto) hoanche iniziato a organizzarmi per non far sembrare casa mia troppo abitata.

Ho preso la pistola sparachiodi e alcune coperte che avevo in più, e le ho fissate alle finestrerinforzate per essere sicuro che la luce interna non si veda dall’esterno quando guardo ilnotiziario, accendo una luce o uso il computer. Ho un paio di batterie che mi sono avanzatedal mio vecchio portatile. Non sono lo stesso modello del mio Apple, ma posso farlefunzionare con qualche filo elettrico in caso di necessità. Sto solo considerando la peggioredelle ipotesi. Ho attaccato con del nastro isolante la mia webcam in modo da riprendere ilcortile anteriore, così anziché dover aprire le tende per guardare fuori posso semplicementedare un occhio allo schermo.

Quando il computer è in standby (con lo schermo chiuso sulla tastiera) l’ago che misura lacarica delle batterie non si muove. Ho dovuto usare il cavo Usb che era collegato allastampante, a cosa mi serve stampare in un momento come questo? Non credo che stamperòdei coupon per la pizza. Ho mandato qualche email e mi sono tutte tornate indietro. Alcuni

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messaggi di errore dicevano che il server che assegna l’indirizzo IP è assente. Tirerò fuori lamacchina fotografica e farò una foto dalla finestra del piano di sopra. Ho davvero paura.

Ore 23:19Mi sono svegliato sentendo alcuni colpi di pistola, questa volta più vicini. Ho acceso lawebcam. Sembra che ci sia un camioncino verde da trasporto dell’esercito parcheggiato sottouna delle luci stradali all’angolo di fronte casa mia. Alcuni soldati caricano corpi sul retro delfurgone. Stanotte devo dormire. Il perimetro è al sicuro… Correrò il rischio prendendo unblando sonnifero (solo mezza dose), giusto per smorzare l’ansia. Al notiziario dicono che incittà è entrata in vigore la legge marziale. Io abito nei sobborghi, ma potrebbero farla entrarein vigore anche qui, se questi tizi dell’esercito continuano a girare in zona. Ah, un’altra cosa:ho ricevuto una chiamata dallo squadrone oggi e non ho risposto. Era l’ufficiale esecutivo chevoleva dirmi di fare rapporto al rifugio e di chiamarlo immediatamente appena ricevevo ilmessaggio. Certo signore, col cazzo signore… inizio a sentire gli effetti del sonnifero…

14 gennaio

Ore 8:15Mi sono addormentato col rumore dell’oceano in sottofondo inviatomi direttamente nelle mieorecchie dal lettore Mp3. L’ho acceso per coprire il casino che veniva dall’esterno. Mi sonoalzato verso le 3 per pisciare. E in realtà, per un attimo, non mi sono ricordato di cosa stessesuccedendo. È stato come durante la mia infanzia o quando ero un ragazzino e accadevaqualcosa di brutto, tipo un lutto in famiglia. C’erano brevi momenti di leggerezza in cui la miamente si dimenticava della tragedia, ma poi la dura e fredda realtà mi colpiva all’improvviso.Nell’istante in cui la mia mano si è mossa per accendere la tv, la tragedia è ritornata tra i mieipensieri. Sono rimasto a guardare immobile, mentre un numero infinito di cronisti esponeva lapropria teoria sulle cause e gli effetti di questa faccenda. Il mercato azionario è al punto di nonritorno.

L’elicottero della guardia costiera è stato riassegnato alle zone interne per aiutare la polizia eil personale militare a evacuare alcune delle aree più duramente colpite. Un servizio che mi haparticolarmente colpito mostrava un gruppo di sopravvissuti in cima a un tetto a San Diego.L’elicottero passava attorno al tetto circolarmente e si vedeva il vento provocato dalle elicheche scompigliava i capelli e i vestiti delle persone. Le persone erano intrappolate in cima a uncassone dell’aria condizionata. A quanto pareva si erano arrampicate lì per sfuggire agliinseguitori (una dozzina di morti che brancolavano). Un’immagine particolarmente scioccantemostrava una madre con sua figlia. La madre aveva chiuso con lo scotch la bocca della figlia ele aveva legato mani e piedi. La bambina non era più un essere umano, era morta. Ma lamadre non poteva lasciarla andare. Povera donna ignara.

Non so come reagire vedendo il mondo andare in pezzi così. Sullo schermo è segnalato unnumero infinito di città. Anche la mia città natale. Non ci sono pubblicità. Solo i cronisti.

Reporter: “Le scene seguenti mostrano contenuti non adatti ai bambini”.

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Le scena seguente mostrava un gruppo di giornalisti nel loro furgone che attraversava in

macchina Chicago fino al centro città. La telecamera riprendeva il guidatore, e si vedeva beneche era visibilmente scosso e che cercava di fare del suo meglio per tenere il veicolo sullacarreggiata. La telecamera ha poi ripreso una scena dell’esterno. C’era un mare di gente difronte e ai lati della strada. Si capiva che il furgone cercava di muoversi il più velocementepossibile, e si sentiva la voce di un uomo che gridava dal retro. Il conducente faceva del suomeglio per scansare le figure, ma ce n’erano troppe per riuscire a evitarle tutte. La telecamerasi è spostata sul retro per riprendere la reporter.

Che ha detto: “Come potete vedere sarebbe un SUICIDIO cercare di entrare a Chicago. Che

Dio ci aiuti”. Ha fatto cenno con la mano di chiudere rivolta alla telecamera, e la linea è tornata al

reporter. Il quale ha detto che sperava di uscirne vivo, cercando di sorridere senza riuscirci. Hospento la tv e fatto una valutazione della situazione attorno a casa mia.

Ore 9:00- Muro perimetrale: sicuro.- Situazione della strada: solo veicoli d’emergenza. Vedo delle figure umane, ma non potrei

dire se sono amici o nemici.- Minacce: vedo un fuoco che divampa a circa un miglio lungo la strada. Dalla direzione del

fumo direi che si sta muovendo nella direzione opposta alla mia.

Ore 22:12Mi sono imbattuto in un post su un forum di sopravvissuti, su internet. Immagino che ilnotiziario non stia dicendo tutta la verità. Un marinaio su una nave da guerra della Marinaamericana ha scritto un post oggi. A quanto pare vive di pesce e di gabbiani. Spero ce la faccia.Questo rafforza il mio presentimento che il governo stia continuando a nascondere i fatti. Equesto mi porta a una domanda: quale governo? Nelle ultime 24 ore non si è visto in tv nessunrappresentante della Casa Bianca.

Ho passato il resto della mattinata e del pomeriggio a preparare il mio zaino con un kit disopravvivenza nel caso in cui debba darmela a gambe. E ho anche riempito le vasche da bagnodi casa mia. L’acqua c’è ancora e quindi inizierò a bere acqua del rubinetto per conservare lebottiglie. Oggi ho iniziato a razionare il cibo. Ho mangiato solo una zuppa in lattina e unabanana. Dovrei anche mangiare tutta la frutta adesso, perché tra una settimana sarà andata amale (a parte le mele). Ho controllato di nuovo i muri di cinta, e ho deciso che indosserò pertutto il tempo la mia tuta da volo e cercherò di camuffarmi il più possibile quando esco dacasa.

Ho maschera e guanti in nomex, e almeno dieci tute. Credo sia una buona idea indossare latuta perché:

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1. resiste al fuoco, e2. è un pezzo unico e quindi meno seccature, il che significa anche meno impaccio se devo

darmela a gambe.

L’unica cosa negativa è che devo essere in un posto molto sicuro per scoprirmi la testa.Ho forgiato un’asse da bucato niente male a partire dalla mia griglia a propano. Ho dovuto

disincrostarlo un bel po’ prima, ma mi servirà come buon proposito per tenere i vestiti puliti enon incorrere nel rischio di prendermi malattie o dermatiti. Inizierò a radermi un giorno sì euno no per conservare i rasoi.

Ore 23:50Ho sentito qualcuno muoversi fuori dal mio cancello e ho disattivato le luci a sensore mobile,mentre indossavo guanti e maschera. Ho afferrato il fucile e sono uscito a ispezionare la zona.Ho visto uno strano tizio in abiti civili che barcollava lungo la strada e che sbatteva incontinuazione contro il mio muro di cinta. Dal modo in cui camminava, sembrava uno di queicadaveri che facevano vedere in tv. Non ho intenzione di fare niente, e non mi farò prenderedalla febbre del guerrigliero. Me ne resterò qui in silenzio, per evitare di essere visto o sentitoda chiunque, vivo o morto che sia. E poi, era troppo buio perché capisca se fosse vivo o morto.Mi sento un fottuto idiota a non aver rubato binocoli per la visione notturna (NVG) dallosquadrone quando potevo. Sarebbero molto utili in questa situazione. Buonanotte, diario.

15 gennaio

Ore 22:37Ho passato tutto il giorno a monitorare la situazione qui fuori casa. Ho visto uno di queibastardi che brancolava intorno alle 10:45 del mattino. Ho usato il binocolo per poterlovedere decentemente. Alcuni di questi corpi lividi sembrano normali, altri non molto. Uno diloro aveva la gola tagliata. Molto inquietante. Il mio telefono ha suonato verso mezzogiorno(prima è stato temporaneamente fuori servizio). Ho impostato la suoneria bassa, un paio digiorni fa. Ci ero seduto vicino, e così ho deciso di rispondere, forse aspettandomi che fosse unodei miei superiori che si chiedeva perché non ero alla base, nel rifugio. Era uno dei mieicompagni di squadrone, Jake. Eravamo insieme alla Scuola ufficiali dell’esercito.

Abbiamo inaspettatamente scelto lo stesso lavoro e siamo finiti nello stesso posto. Mi haraccontato come stavano le cose alla base, e posso dire di aver fatto la scelta giusta arestarmene qui. Mi ha detto che l’hanno mandato a prendere delle coperte all’unità di depositodella base vicino all’entrata ovest. Quando è arrivato, ha detto che la polizia militare sparava araffica a quelle creature dai cancelli, nel tentativo di sfoltire un po’ la massa prima che fosseroin troppi e il cancello cedesse. Un Humvee con un calibro .50 è stato mandato a trattare con lafolla ma ha dovuto ritirarsi subito quando l’artigliere è stato quasi strappato via a forza dalveicolo.

Ha detto che non sapeva quanto i cancelli avrebbero retto, ma era sicuro che non sarebberoriusciti ad arrivare al rifugio antiatomico di cemento. Gli ho chiesto da dove stava chiamando.

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Ha detto che stava chiamando dalle rete di sicurezza della base (delle linee riservateesclusivamente al Dipartimento della Difesa). Ha detto che gli ufficiali erano nei bunker,armati fino al collo, e pensa che abbiano abbastanza cibo almeno per qualche settimana. Gliho detto di non preoccuparsi per me e che nessuno sa che sono qui. La musica di InstantKarma risuonava in sottofondo. È tutto per oggi, diario.

16 gennaio

Ore 22:00I telefoni di nuovo non vanno più. Per fortuna la banda larga funziona. Tutti i siti di notiziarihanno smesso di mettere quelle belle immagini colorate e si limitano all’essenziale. Immaginoche, in questo momento, gli importi poco di avere un sito figo. Ho passato la giornata inpreparativi, portando alcune bottiglie d’acqua e confezioni di pasti precotti in soffitta, giustoin caso di necessità. Ho anche preso del compensato dal garage e costruito un piano rialzatoabbastanza grande da poterci dormire su. Non sono passati veicoli d’emergenza oggi. L’ariaera densa del fumo che veniva da alcuni incendi scoppiati in città. Riesco a vedere le fiamme làfuori, nonostante la pioggia. A casa mia tutte le luci sono spente. Oggi l’elettricità andava eveniva, di nuovo. Se va via del tutto, mi ci vorranno almeno 20 minuti per fare il passaggio aipannelli solari/batteria.

Alla tv i notiziari non mandano più servizi in diretta. È chiaro che stanno controllando latrasmissione da lontano, perché tutto quello che si vede sono immagini prese dalle telecamereagli angoli delle strade, collegate al resto del mondo attraverso il web. Ah, e mandano arotazione una lista dei centri di rifugio del governo. Almeno la metà sono scritti in modosbagliato o chiaramente scritti di fretta, un po’ come questo diario. Una delle telecamere chetrasmetteva le cose più interessanti era posizionata in una strada statale da qualche parte inCalifornia. Mostrava quei bastardi di morti viventi intrappolati nei loro veicoli con ancora lecinture allacciate che cercavano di liberarsi e uscire. Da quello che sembrava, dovevano esseremorti in un incidente, ed essersi risvegliati senza alcuna cognizione su come slacciare lecinture. Il che mi fa sentire sollevato, perché se non riescono a slacciare una cintura disicurezza, allora non riescono a girare la maniglia della porta.

Teoria: i telefoni non vanno più, internet sì... perché? Immagino che sia perché la maggior

parte delle linee internet passa sottoterra o è regolata via satellite. La maggior parte delle lineetelefoniche invece passa all’aperto e quindi possono essere danneggiate dal fuoco e dal tempo.

17 gennaio

Ore 14:24C’è il sole. Inizia a far caldo qui dentro. Non voglio accendere l’aria condizionata per pauradel rumore che potrebbe fare. L’elettricità è intermittente. La pressione dell’acqua sta calando.

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Tengo le vasche piene man mano che bevo l’acqua. Non faccio la doccia né il bagno perchédovrei far correre l’acqua e potrei perdere del tutto la pressione. Mi lavo con una spugna e unsecchio d’acqua. Cerco di radermi un giorno sì e uno no per tirarmi su il morale. Sugli schermici sono sempre le stesse notizie. Niente servizi da due giorni. Sto cercando di instaurare unasorta di routine per restare sano di mente. Nelle prime ore del mattino faccio due passi lungoil perimetro della casa prima che il sole si alzi e per evitare l’attenzione di quelle “cose”. Piùtardi, nella mattinata, ho intenzione di iniziare regolarmente a fare ginnastica.

Stamattina mi sono preso un bello spavento. Un gatto aveva saltato il mio cancello perevitare di venire ucciso da uno di quegli esseri. Non ci ho fatto particolarmente caso finché ilgatto non è scappato saltando il muro di cinta opposto a quello da cui era venuto. Cioèquando la “cosa” che lo stava inseguendo ha deciso di continuare l’inseguimento. Ho visto lemani che spuntavano dalla cima del muro, tastando intorno in cerca del gatto. E hacontinuato, tagliandosi sui vetri rotti che avevo incollato lì qualche giorno fa. Immagino chequeste creature non temano il dolore.

Credo che la “cosa” si sia arrabbiata, perché ha iniziato a dare colpi al muro. Sentivo i tonfidall’altra parte. Faccia pure, immagino ci voglia ben altro per distruggere il muro di pietra. Cisono quattro o cinque di quelle creature qui in zona. Se ne vanno in giro barcollando. Ho lasensazione che sentano che sono qui, ma non posso esserne certo. Se le cose si mettono male,dovrò affrontarli. Pensavo che potrei prendere la scala e mettere un po’ della mia riserva dikerosene nel vaporizzatore che uso per i pesticidi. Potrei arrampicarmi sulla scala, spruzzarlicol kerosene e dargli fuoco. Fa molto meno rumore che sparargli, immagino. E almeno potreiriuscire a guardarne uno bene da vicino. Adesso vado a prepararmi per questo piano.

Ore 16:00Non ho parole per descrivere quanto sono disgustosi quegli esseri. Adesso ci credo. Sono

senz’altro morti e senz’altro vogliono la mia pelle. Sono andato in garage senza far rumore aprendere kerosene, scala e vaporizzatore. Per prima cosa ho sistemato la scala. Sono andatolungo il muro fin dove pensavo fossero più vicini. Sentivo dei passi, mentre sistemavo la scala.

Avevo voglia di guardare, ma avevo anche paura. Sono tornato nel garage e ho preso il restodell’attrezzatura da combattimento. Avrei potuto sparargli molto facilmente, ma non vogliofare rumore né sprecare munizioni. Ho riempito il vaporizzatore e sono salito sulla scala.Primo gradino... vedevo la teste di tre di loro... secondo gradino, hanno notato la mia presenzae uno di loro ha fatto un lamento simile a un grugnito. Sembrava come... boh, non so cosasembrava. Sono salito in cima alla scala e ho visto che ce n’erano sei, raggruppati dall’altraparte del muro, al di là di dove mi trovavo io. Ho caricato il vaporizzatore per avere lapressione sufficiente e ho innaffiato i bastardi di kerosene. Erano piuttosto incazzati, oaffamati, o tutt’e due, boh. Ho acceso un fiammifero e l’ho gettato addosso a uno di loro maniente, non ha preso fuoco. L’ho fatto per tre volte, mentre queste creature cercavano diarrampicarsi per afferrarmi. Finalmente al quarto tentativo uno di loro ha preso fuoco. Sapevoche dovevo restare lì sulla scala in modo che loro continuassero a sbattere l’uno contro l’altroe il fuoco si diffondesse.

Alla fine quando hanno preso fuoco tutti, sono sceso dalla scala e ho messo vial’attrezzatura. Ho sentito gli scoppiettii del fuoco per le 2 ore successive. Sono contento cheabbia piovuto negli ultimi due giorni, o non mi sarebbe neanche venuto in mente di fare una

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cosa del genere. Devo fare un piano alternativo nel caso in cui, come sempre, le cose vadano aputtane.

1. Non sentono dolore.2. Vogliono mangiarmi.3. Il fuoco li (ri)uccide.4. Non so ancora che effetto gli facciano le pallottole.

Ore 18:15Il sole sta calando in fretta. Dalla webcam del mio computer vedo numerose figure per lastrada, attorno a un’altra casa. Mi chiedo se ci sia qualcuno di vivo... sento i versi degli uccelliprovenire da quella direzione come se fossero impazziti. Non so bene cosa stia succedendo.Spero che, se mai c’è qualcuno là dentro, abbia il buon senso di stare in silenzio, perché non hointenzione di scoprire adesso che effetto fanno le pallottole su queste creature. Non ho vogliadi fare l’eroe oggi. Mi manca già il mondo. Mi manca volare. Mi manca essere un ufficialenavale. Credo di esserlo ancora in realtà, ma non so neanche se c’è più un governo che possariconoscere il mio ruolo. Ho affilato il mio coltello alla perfezione oggi. È stata una specie ditecnica di rilassamento. Ho anche pulito la carabina, anche se non ne aveva bisogno. Ho fattoun’ispezione visiva di tutte le armi.

I pannelli solari funzionano bene. Ho paura ad andare sul tetto per pulirli, perché temo diessere notato. Dovrei farlo di notte. Un po’ improbabile. Ho sentito il rumore degli elicotterioggi, ma non sono uscito a vedere, anche se quelle creature non possono scorgermi se sto alpiano terra. Però forse potrebbero sentire il mio odore. E mi chiedo quali sensi abbiano perso(o guadagnato) morendo e tornando in vita. Credo che probabilmente quelli a cui ho datofuoco ci abbiano messo più tempo a morire a rispetto a un normale essere umano.

Ho visto quelle creature in fiamme che vagavano al di là del muro per almeno 3 minuti. Lamedia degli esseri umani sarebbe collassata per il dolore in meno di trenta secondi, immagino.Quando farà buio ho intenzione di usare il puntatore laser della mia pistola per provare a faredei segnali alla casa in cima alla strada. Almeno in questo modo le creature non vedranno ilsegnale, e solo chi vive laggiù lo vedrà – ammesso che esista o sia ancora vivo.

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John

Ore 22:51Usando il puntatore laser ho provato a fare dei segnali alla casa attorno a cui si erano riunitele creature. All’inizio ho solo preso di mira un punto su ogni finestra e fatto dei segnalicircolari. Dopo circa 5 minuti di questa cosa, ho visto il debole bagliore di una luce in unafinestra del piano di sopra. Chiunque fosse, ha iniziato a mandare dei segnali con la luce. “Ti-Ti-Ti-TA-TA-TA-Ti-Ti-Ti”. Era un SOS in codice morse. Ho imparato il codice morse qualcheanno fa quando ero alla scuola militare per operatore radio ed ero piuttosto bravo ainterpretare il segnale visivo e discretamente una merda a interpretare quello uditivo.

Questa volta sono stato fortunato. Ho afferrato la matita e un pezzo di carta (delle bolletteche non pagherò mai) e ho dato il segnale che ero pronto a trascrivere. Quelle “cose” nonreagivano ai segnali di luce che mi faceva l’altra persona, e così ho deciso di usare la mia luceLED perché la sua batteria dura circa 25 ore, a differenza del puntatore laser. Ho iniziato acopiare il segnale morse. All’inizio c’è voluto un po’ di tempo perché dovevo segnalare a lui (olei) di ripetere il messaggio. Ho iniziato a ingranare dopo le prime parole.

O...K… (pausa)

IO… (pausa) S…O…N…O… (pausa) J…O…H…N… (pausa)T…U…? (punto di domanda)

Gli ho detto il mio nome, e che anche io ero ok. Gli ho anche detto di restare in silenzio, ché

alle “cose” piace il rumore. Ha capito. Non male come comunicazione, tenendo conto cheeravamo a 100 metri di distanza. Ha detto che casa sua è sicura e che aveva un piano percomunicare in modo più veloce, ma ne parleremo domani. Gli ho chiesto di che piano sitrattava e la sua risposta è stata:

B...A...N...D...A... D...I... G...O...M...M...A... (pausa)...W...A...L...K...I...E...T...A...L...K...I...E...(pausa)

F...I...O...N...D...A... Ho detto a John che credo di aver capito. Ha detto che per lui era ora di riposarsi un po’.

L’ho lasciato andare. È stato più di un’ora fa e ancora non riesco a capire che cosa haintenzione di fare con una banda di gomma, una radiolina e una fionda. Non riesco a pensarecome un tiro con una fionda possa lanciare una radiolina a 100 metri di distanza e, anche sepotesse, si romperebbe in mille pezzi non appena tocca terra. Ma almeno ho qualcosa daattendere per domani.

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18 gennaio

Ore 10:12Mi sono svegliato alle 6:05 e sono andato a guardare dalla finestra del piano di sopra. Sonostato lì seduto per un minuto e poi ho iniziato a mandare segnali con la luce per chiamareJohn. Ho continuato a mandare segnali alla sua finestra, ma non ho ricevuto nessuna risposta.Ho iniziato a pensare al peggio. Sono stato seduto lì qualche minuto sentendomi triste, esapendo che tra mezz’ora sarebbe stato tutto inutile perché il sole sarebbe stato troppo forteper vedere i segnali di luce. E in quel momento l’ho visto. Ho visto dei movimenti sul tetto, ela figura di un uomo di mezz’età con una camicia scozzese rossa e nera, e un paio di jeans. Hopreso il binocolo e ho iniziato a fare segnali con la luce.

Il sole era già sorto e non sono sicuro che lui abbia visto i miei segnali che cercavano dicompetere con la luce del sole. Ha guardato nella mia direzione e ha fatto un cenno colbraccio. Poi ha preso una roba lunga e verde che sembrava un elastico e quello che sembravaun piccolo termos da caffè di metallo.

Poi ha iniziato ad avvolgere un’estremità della banda verde attorno alla canna fumaria el’altra attorno al ventilatore elettrico esterno formando una specie di fionda. Ci ha posizionatosopra il termos e ha iniziato a camminare indietro tirando l’elastico, uscendo dal mio campovisivo per quello che mi è sembrato un tempo lunghissimo. Finalmente ho visto la bandaslanciarsi verso l’alto, e meno di un secondo dopo ho sentito lo schiocco.

Il termos che John aveva messo sulla banda stava seguendo una traiettoria che l’avrebbemandato da qualche parte nel mio giardino. I dieci o quindici zombie che barcollavano attornoalla casa di John non si sono accorti del pacco che arrivava a destinazione.

Ho sentito un forte KA-TUMPF quando il termos ha colpito una delle pietre del vialetto.Il pacco aveva fatto più di 100 metri ed era arrivato all’interno del mio muro di cinta. Non

senza complicazioni. Il rumore era stato forte e due delle cose fuori da casa di John si sonogirate come se avessero sentito, e hanno iniziato a camminare in direzione di casa mia. Non hoperso tempo. Mi sono subito messo maschera e guanti e ho afferrato la pistola. Ho pensatonon fosse necessario portare il fucile per una spedizione in giardino.

In meno di quindici secondi sono sceso al piano di sotto, ho preso il termos ammaccato esono corso dentro a fare un cenno a John. Mi ha visto e io vedevo lui, ma le “cose” nonpotevano vedere nessuno dei due dalla posizione in cui eravamo. Quando sono entrato hoaperto il pacchetto di John. Ci ho trovato tre confezioni di pile Duracell “AAA” e le seguenticose: un biglietto di John, e un walkie talkie.

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C'erano anche delle palline di polistirolo I cadaveri alla fine sono arrivati nella mia zona, ma il rumore dell’impatto del termos era

stato così breve che non sapevano esattamente dove andare. Ho caricato le batterie (quattroAAA) nel walkie talkie e mi sono messo l’auricolare. John stava già cercando di contattarmisul canale 7. Abbiamo parlato per un bel po’. Mi ha detto di aver usato la banda elastica chesua moglie usava per fare yoga per lanciarmi il termos. Ne abbiamo riso entrambi. Avevopaura di chiedergli di sua moglie e così mi sono limitato a chiedergli se aveva perso qualcunoin questa storia, e lui ha risposto semplicemente “credo che tutti abbiano perso qualcuno”.Non sono andato oltre. Gli ho chiesto che piani aveva, e come era messo a provviste. Mi hadetto che stava ancora mettendo a punto un piano di sopravvivenza e uno di fuga, e che avevaparecchio cibo e acqua. Mi ha anche detto di avere un fucile semi automatico calibro .22 e unpaio di scatole di munizioni. Cavolo, ne ha più di me.

Gli ho chiesto perché erano tutti riuniti attorno a casa sua e mi ha detto che era a causa delsuo cane, che ha iniziato ad abbaiare alle creature e così ha dovuto mettergli la museruola. Gliho chiesto che tipo di cane aveva, e mi ha detto che aveva un levriero italiano (una versionepiù piccola di un levriero) che si chiama Annabelle. Sono un po’ geloso del fatto che lui abbiacompagnia. I miei orari serrati in marina mi avevano scoraggiato dal prendermi un animale

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domestico, perché avrei potuto essere mandato al fronte all’improvviso. Gli ho detto che avevoun altro amico che si chiama John, allo squadrone. Ha detto che dovremmo conservare lebatterie e pensare a qualcosa di utile di cui parlare di sera, e che ci saremmo risentiti alle 18 inpunto. Ho detto ok, e abbiamo chiuso.

Stato delle provviste: BUONO!

Ore 19:50John era in linea alle 18:00 in punto come aveva detto. Abbiamo parlato della situazioneattuale e abbiamo provato a capire come è iniziato tutto. Ho chiesto a John se sapeva se iproiettili potevano ucciderli, ma nemmeno lui ne sapeva nulla. Gli ho detto del mio piccolorogo di ieri e mi ha detto di aver visto le fiamme dopo che quelli erano morti e si chiedevacosa fosse accaduto. Alla fine mi ha detto di sua moglie. Suo figlio era al college a Purduequando tutto è iniziato. E sua moglie è stata vittima di una di queste creature. È stata attaccatapoco prima del tramonto qualche giorno fa, mentre usciva per andare a prendere dei chiodi peri pannelli protettivi che stavano mettendo. Era un barbone morto la sera prima dopo essersirifugiato nella rimessa del loro giardino. Quando la moglie si è messa a urlare, era già troppotardi. Nel momento in cui John è arrivato con una mazza da baseball lei si stringeva il braccioinsanguinato e gli correva incontro con la creatura alle spalle. John l’ha ucciso con la mazza.

Ha detto che la ferita sul braccio aveva dato subito sintomi di infezione e gonfiore. Nel girodi un’ora dei segni rossi e neri lungo il corso delle vene si sono diffusi fino alla spalla. Johnl’ha medicata e ha cercato di tenerla tranquilla, ma non c’era nient’altro che potesse fare. Hainiziato a piangere (sentivo le sue lacrime attraverso la trasmissione gracchiante del walkietalkie) e ho cercato di cambiare argomento, e lui ha detto “ho dovuto abbatterla, è statodolorosissimo, ma ho dovuto farlo”. Gli ho detto di cercare di non pensarci e di provare aconcentrarsi sul futuro. Ha detto che avevo ragione e abbiamo continuato a parlare.

Gli ho raccontato di aver visto molti messaggi su internet di sopravvissuti in ogni parte degliStati Uniti, ma nessuno di persone oltreoceano. Mi ha chiesto di leggerglieli e l’ho fatto. Gli hodetto che un sopravvissuto si trova nel Texas sud orientale, e questo significa che io e lui nonsiamo gli unici sopravvissuti da queste parti. Ho letto di un sopravvissuto a New York e Johnha aggiunto con tono distante che ha dei parenti laggiù. Abbiamo chiuso un paio di minuti perprendere i nostri atlanti stradali. Siamo tornati in linea e abbiamo iniziato a discutere dellepossibili rotte per la fuga nel caso in cui quest’area fosse diventata infestata e inabitabile. Hasuggerito Alamo, perché si trova a solo mezza giornata di cammino da qui. Gli ho detto chepenso sia un suicidio entrare in città adesso. Ho proposto invece di “prendere in prestito” unveicolo robusto e dirigerci a est verso il Golfo del Messico e di cercare una piattaformapetrolifera al largo della costa.

John ha detto che da lui la corrente negli ultimi giorni va e viene. Non sa per quanto durerà.Ha un generatore Honda in cantina, ma dice che non vuole usarlo se non è proprio necessario,perché potrebbe sentirsi dall’esterno. Abbiamo deciso di non sprecare le batterie dei walkietalkie. Ho solo altre tre scatole di batterie AAA.

Ho fatto un tentativo con la banda radio cittadina su tutti i canali, ma è muta.Ho fame.

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Pensiero:ho ancora la mia radio satellitare in macchinaSatellite = se il collegamento col satellite è ancora operativo qualcuno potrebbetrasmettere dati dal web. Stasera vado a prendere la radio e un’antenna UHF.

Ore 23:34Io e John abbiamo deciso che se avremo bisogno di parlarci ci metteremo alla finestra alloscattare dell’ora esatta e faremo segnali con le luci. Abbiamo deciso di andare alla finestra aogni ora, fino a quando non ci facciamo cenno di andare a dormire (cinque segnali di luce).Nessun segnale significa che non c’è necessità di usare i nostri walkie talkie. Ho controllato laradio. Pare funzionare bene; sfortunatamente ogni stazione attiva manda un loop costante.Alcuni dei canali che trasmettono notiziari mandano storie e servizi della settimana scorsa.Notizie vecchie. Continuerò a monitorarla quando posso. Ho provato di nuovo la banda radiocittadina. Potrei giurare di aver sentito una voce umana. Ho chiamato e cercato di avererisposta, ma niente.

Guardando dalla finestra vedo almeno una dozzina di fuochi in lontananza, e ogni tanto misembra di sentire degli spari. Per un attimo ho immaginato che potesse trattarsi degli ultimisopravvissuti in città. Credo che sia una specie di zona di guerra laggiù. Mi sento sporco, manon voglio sprecare acqua. Questo mi ha ricordato di controllare la pressione dell’acqua. Neho ancora un po’. Non mi allontano da casa da cinque giorni credo (fatto salvo per prendere lecose mandatemi con la fionda e per il rogo). Mi sembra un mese.

Mi chiedo come se la passino negli altri Paesi. Scommetto che gli eschimesi e alcune isolettedelle Filippine non sono state toccate da questa storia. Bastardi fortunati. Chissà, i mortiviventi saranno freddi al tatto? Questo mi fa pensare che non generino calore corporeo equindi siano più simili ai serpenti che agli uomini. Il che porterebbe a teorizzare che, se facessemolto freddo, potrebbero rallentare almeno un po’. Domani è domenica. Niente chiesa.Immagino che non fossero tutte cazzate quelle sull’Omega nel libro delle Rivelazioni. È quasimezzanotte, andrò a fare i cinque segnali a John.

19 gennaio

Ore 16:59Stamattina mi sono svegliato, e non c’era più corrente elettrica. È accaduto intorno alle 7:30.Alle 8 in punto sono andato alla finestra a fare un segnale a John. Era già lì. Mi ha detto che lacorrente è andata via stanotte alle 3:30. Io stavo dormendo. Non so come mai, ma da quandoho conosciuto John riesco a dormire un po’ meglio. Immagino sia la sensazione di non esserepiù solo. Facendo il militare non ho mai avuto l’occasione di farmi dei buoni amici, perché sigira molto. Anche qui è un po’ così. Mi sono fatto costruire questa casa perché era un buoninvestimento e perché sapevo che ci sarei stato per un paio d’anni.

John ha detto che a lui in realtà la corrente elettrica non serve. Usa una bombola a propanoper cucinare e ha moltissima acqua. Gli ho detto che io uso l’energia solare e delle batterie di

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un sottomarino.La mia connessione a banda larga continua a funzionare perché i cavi passano sottoterra, e

sembra non aver subito danni. Anche la linea telefonica è ancora attiva, perché quando alzo iltelefono mi dà occupato significa che i centralini sono andati, ma la linea no. Ho detto a Johnche tornavo subito, perché dovevo andare in garage a fare il passaggio di corrente al miosistema privato (non vorrei che un sovraccarico danneggiasse le batterie). Dopo che ho fatto laconversione all’energia solare e a quella fornita dalle batterie, ho ripreso a parlare con John.Mi ha chiesto se c’erano dei nuovi commenti di sopravvissuti sui forum online, e gli ho lettogli ultimi. Ci sono commenti di persone da ogni parte degli Stati Uniti. Alcuni sembranodisperati, altri speranzosi. Credo che leggere i messaggi dei sopravvissuti per John sia una sortadi sfogo. John e io abbiamo parlato di scappare. Gli ho detto che so guidare un aereo. Seriuscissi a trovare un aeromobile funzionante, potremmo arrivare più o meno ovunque negliStati Uniti. Mi servirebbero solo le carte per trovare le piste d’atterraggio dove rifornirsi dicarburante. Sta venendo a entrambi la smania di uscire da casa, e si vede. Stiamo cercandocontinuamente delle scuse per lasciare questo posto morto.

Ore 19:20Si sentono degli spari provenire da fuori. È troppo buio per riuscire a vedere la casa di John daquando le luci stradali si sono spente definitivamente. Ho acceso la radio e aspettato qualcheminuto. Ero certo che fosse in pericolo, finché non ho sentito la sua voce. “Non preoccuparti,sto bene, ho dovuto sparare ad alcuni di loro perché avevano iniziato a mettersi uno sopral’altro formando una scala umana”. Gli ho chiesto che effetto avevano avuto gli spari sullecreature. Ha detto che ha sparato alla testa a dodici di loro a distanza ravvicinata, con la solaluce lunare per vedere. Li ha uccisi. Questa è una buona notizia. So che quegli spariattrarranno altri di loro, così cercherò di non dormire troppo profondamente stanotte. Hodetto a John di tenersi pronto che alle prime luci ce ne sarà da uccidere il doppio rispetto aquelli che ha ucciso oggi.

Ore 23:11Non riesco a dormire perché penso a tutti quelli che sono ancora vivi e che lottano persopravvivere. Una donna in Oklahoma è intrappolata in casa coi suoi bambini e chiede consiglisul forum. Mi sentirei malissimo se scoprissi che un mio consiglio ha portato qualcuno a essereucciso da una folla di creature. So che se mi trovassi… intrappolato… con gli zombie attorno acasa mia che ogni giorno diventano di più non avrei altra scelta se non andarmene. Stopensando a dei rifugi temporanei. Torri dell’acqua, autotreni con il tetto apribile, tetti dipalazzi con un accesso limitato al tetto. Ma vorrei che nessuno fosse da qualche parte,circondato, e senza via d’uscita. Se ci fossero prigioni o strutture militari, sceglierei quelle. Sipossono mantenere ben difese a patto che si riesca a fare piazza pulita all’interno. Più ci penso,e più mi rendo conto che la mia situazione potrebbe presto diventare come quella della donna,se non sto attento. Non mi sembra prudente dare consigli, perché non sono un esperto. Sperosolo che sopravvivremo tutti. Ma per molti di noi non sembra che ci siano molte chance.

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Le nozze di Figaro

20 gennaio

Ore 22:23La situazione è terribile… John e io ci siamo svegliati stamattina e abbiamo iniziato acomunicare col walkie talkie. Quello che ho visto dalla finestra era davvero troppo. Erano le7:00 e c’erano circa cento di quelle creature sulla nostra strada che formavano una specie dibarriera umana attorno alla casa di John. Ho preso la carabina, controllato che fosse a posto,sfoderato la mia pistola e mi sono preparato per la battaglia. Ho messo guanti, cappuccio, tutada combattimento, e un auricolare connesso al walkie talkie. John non si aspettava che il suotentativo di farli fuori ne avrebbe portato qui così tanti come effetto del rumore. Gli ho dettodi stare chiuso a casa e ho tolto la barricata dalla porta sul retro. Poi sono uscito e ho saltatoil muretto evitando i cocci di vetro mettendoci sopra un vecchio asciugamano.

Prendendo con attenzione la mira ho iniziato a sparare prima a quelli che erano più vicini,dalla parte esterna del circolo, pensando che il passaggio sopra ai morti avrebbe potutorallentarli. Avevo solo quattro caricatori, cioè 116 proiettili. Li ho colpiti al cranio, colpodopo colpo. Si potrebbe pensare che questo li avrebbe uccisi all’istante. Ma non è così. Anchedei colpi molto precisi non facevano che trapassarli da una parte all’altra. Per dieci colpi chesparavo, ne uccidevo solo otto o nove.

Quella massa sgraziata di mostri mi ha inseguito mentre inciampavo sull’asfalto coperto dicadaveri. Non avevo scelta, dovevo darmela a gambe. Ho corso per interi isolati, e sonoincappato sempre in altri di loro. Sapevo che tutto era morto, lo sentivo nell’aria e levibrazioni dei loro gemiti mi rimbombavano nel petto come la musica di uno stereo da quattrosoldi in un locale notturno. Mi davano la caccia. Il rifugio più vicino che ho trovato era unbenzinaio. Ero pieno di adrenalina in corpo. So che mi avrebbero fatto a pezzi se mi fossiarreso.

Mi sono arrampicato su un tubo, a lato della stazione di servizio, e sono rimasto in piedi sultetto. Dai gemiti e dai movimenti che sentivo in lontananza, sapevo di essere già un uomomorto, e che era solo questione di tempo. Avevo circa trenta pallottole ancora (un caricatore equalche ricambio). Così ho deciso di togliere un proiettile dal caricatore, e conservarlo per me.

Ho iniziato a sparare, cercando di colpirli alla testa, colpendone alcuni e mancandone molti.La confusione della battaglia mi faceva sbagliare la mira o forse era la depressione,probabilmente simile a quella di qualcuno che ha appena scoperto di avere l’HIV.

A quel punto ho sentito il mio salvatore. Ho intravisto una macchina che veniva dalladirezione in cui si trova la mia strada. Ho continuato a sparare. La macchina mi ha visto e haproseguito nella mia direzione. Era John. È arrivato in macchina fino al lato della stazione.C’erano cinque creature che gli si stavano avvicinando. Ne ho presi tre, e ho finito i proiettili.Sono saltato velocemente giù dal tetto e ne ho uccisi due a bruciapelo, come un carnefice. Una

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specie di fumo marrone scuro usciva dalle loro teste. Mi sono tenuto alla larga per paura diinfettarmi e sono saltato in macchina con John. Non abbiamo perso tempo a stringerci lamano e John mi ha chiesto se volevo andare a casa. Gli ho detto che se ci fossimo andati, ce lisaremmo portati dietro. Mi ha dato ragione. A quel punto ho avuto un’idea. Ho chiesto a Johnse gli dispiaceva separarsi dalla sua macchina. John ha sorriso e mi ha detto “Che piano hai,capo?”

Ho detto a John di continuare a guidare. Quelle creature ci stavano seguendo. L’ho portatoin un posto non lontano casa. Ho chiesto a John che tipo di musica aveva in macchina. È unapersona dai gusti tradizionali. Guardando i suoi CD, ho trovato quello che cercavo. Facevaesattamente al caso mio. Siamo arrivati sul posto, un grande parcheggio vicino a un’aziendaabbandonata. Abbiamo posteggiato la macchina ma ho detto a John di tenerla accesa. Homesso dentro un CD, abbassato i finestrini e aperto le porte. Ho acceso tutto, persino itergicristalli. John e io abbiamo afferrato le armi e ci siamo diretti in un posto più sicuro dovefermarci, a un quarto di miglio dalla sua macchina.

Le Nozze di Figaro risuonavano nel parcheggio e nelle zone circostanti. La massa di zombiefinalmente ha girato l’ultimo angolo e si è avvicinata alla macchina. La loro andaturavacillante si è fatta più rapida quando con gli occhi vitrei hanno visto quello che cercavano.Hanno circondato la macchina e se ne sono impossessati. Io e John non abbiamo perso altrotempo. Quando abbiamo visto che il nostro piano funzionava, ce ne siamo andati.

Sulla via verso casa, ho detto a John che forse neanche loro sarebbero sopravvissuti a quellamusica. Si è messo a ridere e abbiamo continuato a camminare. Abbiamo visto una dozzina diquelle cose mentre tornavamo indietro furtivamente. Nessuno di loro si è accorto di noi.Mezza bottiglia di whisky dopo, sono seduto qui. Guardando il proiettile che ho tenuto per mestesso… - Ma ha senso la vita?

21 gennaio

Ore 21:43Ho riordinato i pensieri e mi sono ripreso dal finimondo di ieri, e dalla sbronza. Io e Johnabbiamo deciso che è meglio stare in case separate perché “non è mai bene tenere tutte le uovain un cestino solo”. Non vogliamo morire entrambi perché una delle case è sotto assedio. Lecose che sono successe ieri sono state veramente un brutto colpo per me. Sono quasi morto làfuori. Se John non mi avesse trovato o avesse scelto di non farlo, sarei stato dei giorni lassù, amorire di disidratazione, con i gemiti dei morti nelle orecchie, finché non avessi deciso di farlafinita.

Saranno stati almeno cinquecento che si accalcavano attorno alla macchina, quando io eJohn l’abbiamo abbandonata nel parcheggio. Ieri notte, sdraiato sul letto, sentivo inlontananza il suono di Mozart, ogni volta che il vento soffiava nella mia direzione. Adesso nonlo sento più. Posso solo provare a immaginare quanto ci sia voluto alla macchina per spegnersiuna volta finita la benzina, e alla batteria per esaurirsi completamente. Ora le strade sonosgombre, ma non c’è modo di sapere quanto durerà. Dopo che il suono ha smesso di attirarliverso la macchina, sono certo che si sono di nuovo sparpagliati in giro. È solo questione ditempo, prima che le leggi statistiche li riportino qui. Io e John abbiamo parlato. Ieri notte,

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prima di lasciarci alle rispettive solitudini (dopo l’incidente di Figaro), John è corso dentrocasa e mi ha dato altri due pacchi di batterie per il walkie talkie. Credo che avesse voglia diparlare. Ma soltanto oggi sono riuscito a farlo. John sapeva che ero sottosopra. Oggi l’hoconosciuto un po’ meglio. È un ingegnere (questo spiega quel piano stravagante con la bandaelastica da yoga). Ha fatto un master in ingegneria meccanica a Purdue. Mi ha detto chelavorava per la Execu-Tech.

Si sente in colpa per la sorte che probabilmente è toccata a suo figlio, e pensa di averlospinto troppo a frequentare la sua stessa scuola. Ho detto a John che in qualsiasi altra partedel mondo si fosse trovato, in questa situazione, non avrebbe fatto molta differenza. A quantopare, le circostanze sono tragiche ovunque. Dopo il fallimento totale di ieri, so che non moltisopravvivranno a questa storia. Mi sono rimaste 884 munizioni del .223. Credo che la sogliacritica sia sotto i 500, considerando che probabilmente, per ogni sopravvissuto, di quelli ce nesono mille. O forse anche di più. Questa non potrà essere una guerra di logoramento, perchéuna vittoria di Pirro non è tra le opzioni disponibili.

Io e John ci vedremo domani, ammesso che la strada sia abbastanza sgombra. Parleremodell’ipotesi di fare un giro di perlustrazione per vedere che tipo di rifornimenti potremmoriuscire a procurarci. Sono abbastanza sicuro che il governo sia collassato. Abbiamodefinitivamente archiviato l’idea della piattaforma petrolifera, perché dovremmo attraversarechilometri di territorio governato dai morti. Quando, e se, ce ne andremo, dovremo avere unpiano realistico e una location difendibile.

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È impossibile bloccare l’isolato con quelle creature che ci girano intorno. L’unica cosa che

mi viene in mente sarebbe portare in qualche modo dei camion alle due estremità della strada eusarne uno per tirare un altro rimorchio fino ad accostarlo al camion (per evitare che passinoda sotto). Poi potremmo usare alcuni veicoli più piccoli per tappare i buchi. Questo piano ècomunque pura fantascienza. Prima ancora di riuscire a posizionare un camion la stradabrulicherebbe di quegli esseri. Non so cosa darei in questo momento per un idrovolante con ilserbatoio carico. Mi chiedo come se la stiano cavando alla base. Sono sicuro che i cancellitengano ancora. Nella peggiore delle ipotesi, avranno trasportato i sopravvissuti in un postosicuro con aerei molto grandi (dei 737) prima che il peggio accadesse. Ho bisogno di riflettere.Buonanotte, diario.

22 gennaio

Ore 22:40C’è qui John adesso. Abbiamo deciso che era meglio vedersi di persona per organizzare un

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piano, piuttosto che farlo con i walkie talkie. È in cucina che dà da mangiare al cane. Abbiamointenzione di trovare un aereo che sia in grado di volare. Abbiamo passato la giornata araccogliere le cose essenziali da portarci, e partiremo con le prime luci. John lascerà il suo canenel seminterrato con cibo e acqua per cinque giorni. Il vantaggio è che, se abbaia, da lì nonpossono sentirlo. Mi dispiace molto, ma questo non è davvero il mondo ideale per un cane.Cercherò anche di trovare delle altre armi.

Una cosa particolarmente utile che porterò è un caricabatteria da auto portatile. La miamacchina, infatti, non ha molte possibilità. Il piano è di partire di mattina con la mia (dalmomento che quella di John ormai è inutilizzabile) e di cercare subito un mezzo di trasportoalternativo. Qualsiasi tipo di veicolo militare sarebbe perfetto. Un’auto corazzata sarebbel’ideale, ma le possibilità di trovarne una sono le stesse che ha una scimmia di uscirmi dalculo. Mi chiedo se i satelliti GPS funzionino anche senza alcun intervento umano. Se per casotroviamo un velivolo, non mi dispiacerebbe avere un GPS come supporto per la navigazione.Ho intenzione di continuare a scrivere il diario quando sarò via. Credo che torneremo fra tregiorni. Non vogliamo spingerci oltre le 300 miglia di distanza. Il piano è di dirigerci in unazona vicina ai sobborghi di Austin, in Texas. Non entreremo in città, specialmente dopo il miofallimento alla stazione di servizio un paio di giorni fa. Se ci penso ancora tremo, e sudo, esento l’odore della polvere da sparo.

23 gennaio

Ore 6:00John e io stiamo per partire. Cambio di programma: torniamo tra due giorni, non tre.

Ore 10:00Siamo partiti stamattina verso le 6:00. Al momento siamo a Universal City. Ho caricato lamacchina dal garage per evitare di incontrare ospiti sgraditi mentre lo facevo. Ho acceso ilmotore. Era un po’ inceppato, ma la macchina è partita. Non c’è molto spazio nella Volvo, equindi la nostra prima missione è stata quella di trovare un mezzo di trasporto più adatto.Siamo arrivati fin sulla 1604. Non ho mai visto così tanto caos in vita mia. La strada era pienadi veicoli abbandonati. Ho usato il binocolo per controllare l’area. Ho fatto una panoramicada sinistra a destra e le immagini che ho visto mi hanno turbato. Mi ricordavano le immaginitrasmesse dalle telecamere stradali qualche tempo fa (mi sembra che siano passate settimane esettimane da allora). Alcuni di quegli esseri erano intrappolati con le cinture di sicurezzaallacciate. Probabilmente le persone erano in giro con i finestrini abbassati e sono stateattaccate in quel momento, e poi lasciate lì a morire e a rianimarsi. Abbiamo trovato quelloche cercavamo, anche se non è del colore ideale.

Un Hummer H2 color giallo canarino era fermo in mezzo alla strada con la portiera delguidatore aperta. John e io abbiamo parcheggiato in un posto poco visibile, abbiamo preso learmi e il caricabatteria, e lentamente abbiamo girato attorno alla collinetta vicino, al bordodella 1604. Gli unici movimenti che vedevamo provenivano da alcuni di loro checamminavano a una certa distanza. E naturalmente c’erano quelli intrappolati nelle macchine.

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Non dimenticherò mai ciò che ho visto quando ci siamo avvicinati all’H2. C’era unseggiolino legato sul sedile posteriore. Ho detto a John di fermarsi mentre mi avvicinavo alveicolo. Non volevo che vedesse, perché so che lui è (o era) un padre.

Ho aperto la portiera posteriore della macchina. Ed eccolo lì, quello che un tempo dovevaessere un bambino. Si contorceva sul seggiolino cercando di afferrarmi. Aveva solchi neriattorno agli occhi. Mentre gli slacciavo la cintura, avrei voluto piangere. L’ho messo a terra, auna certa distanza. Appena ho finito di mettere giù il sedile e mi sono rialzato, l’ho vista. C’erauna donna orribilmente sfigurata con indosso un paio di jeans, una maglietta e in paio distivali, che si muoveva lentamente a non più di qualche metro di distanza.

Mi ha visto e ha iniziato a muoversi verso di me. Un gemito acuto si è alzato dalla suasagoma decomposta. Ho cercato disperatamente di pensare a un modo per liberarmi di leisenza far troppo rumore. Sapevo che probabilmente avremmo dovuto ricaricare la batteriadell’Hummer (facendo rumore), perché la portiera del guidatore poteva essere aperta da giorni,se non settimane, e le luci erano accese.

La donna si avvicinava lentamente, ma in modo costante. Ho guardato dentro l’Hummer.C’era un cuscino sul sedile del passeggero. L’ho afferrato velocemente, ho preso la mia cinturae ho avvolto il cuscino attorno al fucile CAR-15, legandolo stretto. Lei mi era quasi addosso,quindi non avevo altra possibilità che sparare. Nello stesso momento in cui le sue labbra siarricciavano sui denti gialli, ho premuto il grilletto.

Lo sparo non ha fatto più rumore di un chicco di mais che si trasforma in pop corn, mentrela testa del mostro esplodeva in una specie di nebbia scura dietro di lei. L’avevo uccisa. Misono inginocchiato vicino al bambino, chiedendomi cosa dovevo farne. Se c’è un Dio, speroche mi perdoni per quello che ho fatto. Ho ucciso il bambino col coltello. Non è necessarioscendere nei dettagli.

Dopo questi piacevoli incontri ho gettato il cuscino sul sedile posteriore e ho fatto cenno aJohn di venire. Non vedevo nessuna minaccia immediata, fatta eccezione per uno di quelli chesi dimenava in un’auto a circa 20 metri da noi. John ha portato la batteria mobile(essenzialmente una batteria carica da attaccare con dei cavi a quella scarica). Mi sonoslacciato il cappuccio della tuta, sporgendomi dalla portiera anteriore e me lo sono tolto. Poisono rientrato nell’auto per cercare le chiavi. Non c’erano. Sono rimasto lì seduto a riflettereper un minuto.

Cosa era accaduto al guidatore di quest’auto? Sarebbe stato (o stata) così egoista da lasciareil suo bambino qui a morire per la gioia di questi mostri? Dopo aver riflettuto attentamente,ho realizzato che probabilmente i genitori non avevano abbandonato il bambino. Controllandol’interno del veicolo ho notato un alberello profumato rosa che pendeva dallo specchiettoretrovisore. Ho guadato attraverso lo specchietto, in basso, a terra, la donna che avevo appenaucciso. Le ho controllato le tasche. C’erano le chiavi della macchina e la sua patente. Mi spiaceper suo figlio, signora Rogers.

Le ho prese e ho cercato di accendere il motore. Proprio come pensavo. La batteria eraandata. Ho agguantato la batteria portatile e l’ho collegata, mentre John accendeva l’auto.Funzionava. Abbiamo controllato il livello della benzina, era quasi a secco. John si è messo sulsedile del passeggero e siamo partiti. Abbiamo fatto una sorta di inversione a U e siamo andativerso la mia macchina. Mentre ci accostavamo, ho guardato nello specchietto retrovisore e hovisto che avevamo attirato delle attenzioni sgradite. Circa una decina di loro barcollava versodi noi più o meno a 300 metri. Ho fermato l’Hummer accanto alla mia auto, ho caricato

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velocemente le scorte nel bagagliaio e ci siamo diretti nel luogo più vicino dove farrifornimento di benzina. Io e John sapevamo che le pompe non funzionano senza elettricità ecosì abbiamo portato un pezzo di manichetta da giardino per mettere la benzina nel serbatoio.

Dopo circa 2 miglia di guida a zig zag per evitare il “traffico” di mostri, ho preso una stradalaterale. Abbiamo guidato per un altro mezzo miglio e abbiamo trovato una macchina che eraabbastanza vecchia da non avere nessun blocco nel serbatoio. Aveva le luci di sicurezza cheemettevano un debole bagliore. Probabilmente erano accese da settimane. Abbiamo controllatola zona e non abbiamo visto nessuna minaccia. Ho parcheggiato l’H2 in una buona posizioneper fare il travaso di benzina. Abbiamo prosciugato il serbatoio, ma abbiamo riempito ilnostro solo a metà. Non c’era altra scelta. Tutti i benzinai erano chiusi.

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Blue Light Special

Corsia 13

Ore 22:43Se esiste l’inferno in terra, l’ho visto oggi. Sto pensando di buttare via la macchina fotografica,perché non penso che ci sarà mai qualcuno che avrà voglia di vedere queste immagini, anche sel’umanità in qualche modo sopravvivrà a quest’esperienza traumatica. Non c’è altro che mortee distruzione.

Ho guidato per la maggior parte del tempo. Dopo aver lasciato Universal City, ci siamodiretti sulla I-35 verso San Marcos, procedendo a zig zag tra le macchine e questi sacchi dimerda. La cosa sta diventando davvero pesante. Inizio ad avere un enorme rispetto per iveterani di guerra che hanno visto ogni giorno la morte. Non capisco come abbiano fatto. Sivedeva del fumo sopra Austin già molto prima che arrivassimo a San Marcos. Avevamobisogno di benzina, così ho preso l’uscita 190 e abbiamo deviato dal percorso, dirigendociverso un lungo parcheggio abbandonato del Wal-Mart.

John ha fatto la guardia mentre io ho svuotato la vescica in un fosso, e io ho fatto lo stessoper lui. Abbiamo portato l’Hummer vicino ad alcune macchine in modo da prendere un po’ dibenzina. Per fortuna questa volta abbiamo trovato una Chevy Blazer col serbatoio pieno.Abbiamo riempito il serbatoio fino a tre quarti. Io ho circa 880 colpi del .223 e 300 della 9mm, mentre John ne ha circa 1000 della calibro .22. Gli ho chiesto se gli andava di fare un po’di shopping.

La porta sul davanti era chiusa. Sono tornato alla macchina a cercare un piede di porco. Hotrovato quello che cercavo e ho iniziato a forzare la serratura della porta. Sono riuscito a fareleva con la sbarra. John ha tenuto d’occhio il parcheggio per assicurarsi che non avessimosorprese. Ho continuato a tirare. All’improvviso ho sentito un colpo secco alla porta. Hoalzato lo sguardo e con mia enorme delusione, ho visto… Un cadavere con una tuta bluinsanguinata del Wal-Mart che dava manate alla porta cercando di uscire. La creatura è andatadritta contro la porta e ha sbattuto contro l’apertura interna.

La porta ha iniziato lentamente ad aprirsi e quell’essere ha provato a uscire, venendo versodi noi. Ha messo fuori la testa e ho colto l’occasione per dargli un colpo in mezzo agli occhicol piede di porco, uccidendolo all’istante. Gli ho aperto la porta come un vero gentiluomo eho lasciato che il cadavere cadesse fuori, sul marciapiede. Ho spalancato la porta e per tenerlaaperta ci ho messo in mezzo il cestino della spazzatura.

Ho detto a John che probabilmente dentro ce n’erano altri. Abbiamo portato l’Hummer cosìvicino all’entrata che nessuno sarebbe potuto entrare o uscire a meno che non fosse entrato dallato del guidatore e uscito da quello del passeggero. È stata una mia idea, giusto nel caso in cui

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qualche visitatore avesse deciso di spuntare fuori durante il nostro giro di compere. Ho fattovedere a John come tenere in mano la pistola in caso di contatto ravvicinato con quegli affari.Io lo chiamo passo di ricognizione, e l’ho imparato dai miei amici marines. John e io abbiamoiniziato a procedere lungo i corridoi… cavolo, ma perché da Wal-Mart devono sempre metterela roba sportiva in fondo?

Ho fatto un cenno a John per attirare la sua attenzione. C’era un altro commesso che dovevaesser stato ucciso durante un turno di lavoro. Camminava lentamente verso di noi. Ho fatto aJohn segno di sparare, perché la sua pistola era molto più silenziosa della mia. John ha fattofuori l’essere, prendendo attentamente la mira. Si è accasciato a terra senza vita.

Grazie a Dio c’erano i lucernari, altrimenti tutti i nostri propositi sarebbero andati a farsifottere. Io e John abbiamo proseguito verso il fondo del negozio. Siamo arrivati al repartosport e abbiamo constatato che quasi tutte le pistole erano state vendute o rubate. C’eranodiverse scatole di munizioni .223 e anche calibro dodici. C’era una pistola particolarmenteinteressante in una teca, una Remington 870 calibro dodici ad aria compressa. Ho rotto ilvetro di protezione e l’ho data a John. Lui non ha molta esperienza in questo senso come vigiledel fuoco. Abbiamo preso le pallottole e le munizioni per la carabina, e ci siamo diretti versol’uscita.

Controllavamo attentamente che non ci fossero zombie nei corridoi. Mentre svoltavol’angolo dal reparto sportivo, sono stato tirato per i piedi da uno zombie donna. Ho sbattutoforte per terra, e ho sentito uno strappo alla caviglia e un forte pizzico mentre quell’esserecercava di mordermi il tallone attraverso gli scarponi militari. Le ho mollato un calcio sul nasoe ho sentito il colpo secco della cartilagine. Avevo colpito nel segno. Mi sono alzato e mi sonoguardato il tallone per vedere se avevo delle ferite. Grazie a Dio avevo gli stivali Altama. Ladonna non si è alzata, perché probabilmente la schiena le era stata rotta settimane prima dauno scaffale che le era caduto addosso. Mi ha ringhiato contro. John ha preso la mira, ma…gli ho fatto segno di non sparare. Sono andato verso di lei e con il tacco dello stivale e le hodato un colpo sulla tempia con tutta la forza che avevo. Adesso era fuori combattimento.

Siamo tornati verso l’ingresso, e come temevo c’era un comitato d’accoglienza a darci ilbenvenuto. Ne ho contati una trentina. John è saltato dentro la macchina mettendosi nel postodel passeggero, e lo stesso ho fatto io, mettendomi alla guida. Ho acceso il motore e alzato ilfinestrino. Saremmo stati nei guai se non avessimo appoggiato l’Hummer alla porta d’ingresso.Uscendo nel parcheggio ho lasciato perdere ogni cautela e ne ho messi sotto parecchi. John eraimpegnato a togliere dalla confezione la sua nuova Remington.

Era tempo di trovare un rifugio, perché il sole iniziava a tramontare. Abbiamo preso unastrada di servizio lungo la I-35 nord, cercando un punto dove fermarci. Ho detto a John cheera meglio cercare un posto semi-sicuro e poi dormire in macchina. Era d’accordo. Poi hadetto in tono scherzoso: “Dubito comunque che il Motel six sia aperto”.

Ho continuato a guidare finché non abbiamo raggiunto una piccola città chiamata “Kyle”,appena a sud di Austin. C’era un cartellone che diceva “Kyle, Texas. Benvenuti a casa”. In quelmomento ho visto un punto dove potevamo fermarci. Era un grande campo di fieno circondatoda una recinzione, e non c’era alcun segno lì attorno di quegli esseri barcollanti. Mi sonodiretto verso il campo e ho tirato la maniglia a T che chiudeva il cancello. Ho fatto cenno aJohn di far a cambio di sedile in modo da poter richiudere il cancello. Abbiamo portatol’Hummer in mezzo a quattro balle di fieno che in questo modo coprivano la macchina ai lati,così che se che qualcosa si fosse avvicinato, avrebbe dovuto farlo da davanti o da dietro. Ci

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siamo assicurati che tutte le porte fossero chiuse, e a quel punto John si è messo a dormire.Adesso sono le 22:30, credo che dovrei dormire anch’io.

24 gennaio

Ore 15:34Io e John ci siamo svegliati alle 6:15 stamattina. Un gallo cantava in lontananza. Ho accesol’H2 e siamo usciti dallo spazio fra le balle di fieno. Siamo andati al cancello e abbiamoguardato lungo la strada da dove siamo venuti. C’erano molti esseri in lontananza. Non sareiin grado di dire se stessero venendo verso di noi. È possibile che abbiano sentito il rumoredella macchina e ci abbiano seguito fin qui? Spero di no.

Siamo arrivati nei sobborghi di Austin, in Texas, alle 7:05. Il fumo era quasi insopportabile.Si vedeva, più o meno, fino a 100 metri di distanza. In qualche momento, quando il ventosoffiava, scorgevo dei pezzi delle costruzioni più alte. Una pareva una torcia, con la cima cheardeva. Sulla destra ho visto quella che sembrava una torre di controllo di un aeroporto. Io eJohn abbiamo preso la prima strada in direzione della torre.

Siamo arrivati al cancello esterno. Era un piccolo aeroporto privato con pochi aerei Cessna edue piccoli jet parcheggiati dentro due hangar aperti. Una parte del cancello era distrutta, cosìsiamo entrati con la macchina direttamente in pista. Abbiamo controllato l’area ma nonabbiamo visto pericoli immediati. Ho legato una corda alla ruota davanti di uno dei Cessna172 (ho scelto quello che sembrava migliore) e ho aperto la porta della cabina. Con grandesorpresa ho trovato, nel posto del passeggero, il diario di bordo del pilota, il computer e unacarta.

Sono salito nella cabina e ho detto a John di trascinarci lentamente verso la stazione dirifornimento. Ho chiuso la portiera e mi sono concentrato sulla lista di controllo in modo daaccendere il sistema elettrico del velivolo e controllare l’indicatore di livello del carburante oqualsiasi altra cosa potesse essere fuori uso. Mentre John conduceva il velivolo alla pompa conme a bordo, sentivo a intermittenza dei piccoli strattoni. Dopo aver controllato i serbatoi, hoconstatato con gioia che entrambi quelli delle ali erano pieni, così ho aperto il portello, sonosaltato fuori e sono corso a dire a John di cambiare rotta e riportarci verso la torre.

Una volta lì ho preso la lista di controllo e ho fatto un’ispezione generale. Non mi piaceval’idea di passare sopra un’area molto infestata. Ho preparato l’aereo per il volo e ho discussocon John del nostro piano d’azione. Abbiamo tirato fuori l’atlante e abbiamo cercatol’aeroporto più vicino a casa, giù a San Antonio. Ho cercato e cercato, e non sono riuscito atrovare altro se non l’aeroporto internazionale in centro città. Era improponibile.

John si è piegato all’indietro. Aveva una faccia perplessa. Mi ha chiesto se ero mai stato allapista da corsa “Retama Park”, vicino alla I-35. Mi ha detto che c’eravamo passati mentreuscivamo dalla città. Non l’avevo mai sentita, perché non vivo lì da molto. John mi ha chiestodi quanti metri deve essere la pista per atterrare. Sono uscito dalla cabina e ho guardato nelloscomparto delle carte. Non ho trovato nessuna informazione, alcuni degli aerei più piccoli cheho pilotato avevano bisogno di 300 metri circa, se c’era il controllo beta. Ma questo aereo nonlo aveva. Dovevo tirare a indovinare. Probabilmente ce ne sarebbero voluti almeno 450.Secondo John avrebbe potuto funzionare.

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Abbiamo preso le armi e lentamente ci siamo avvicinati all’ingresso della torre di controllo.John ha aperto la porta e io ho guardato dentro. L’ascensore era chiaramente fuori uso, cosìabbiamo dovuto prendere le scale. Abbiamo chiuso la porta dietro di noi e siamo saliti insilenzio. In cima a ogni rampa c’erano finestre che si affacciavano sulla pista. Non abbiamovisto, né sentito nulla, finché non siamo giunti in cima. Ho visto una pozza di sanguecoagulato di fronte alla porta del centro di controllo della torre.

Ho fatto cenno a John di guardare. Mi sono diretto verso la porta e l’ho aperta lentamente.Sono saltato dentro, pronto a sparare. Ma non mi aspettavo una scena del genere… uno deicontrollori aveva fatto fuori quattro di quelle cose e poi, probabilmente preso dalladisperazione, aveva rivolto la pistola verso se stesso e si era sparato. Ho aperto la porta delponte di osservazione e abbiamo spostato i corpi sul lato opposto rispetto a quello dell’aereo.

Siamo scesi lungo le scale, abbiamo scaricato la roba dall’H2 e portato tutto dentro la torre,giusto per precauzione. Ho chiuso l’Hummer e siamo tornati su a fare un piano.

John mi ha detto che non avrebbe lasciato il suo cane in cantina a morire di fame, e io l’hocapito. Mi ha detto che avrebbe preso l’H2 e che ci saremmo visti alla pista da corsa, esaremmo tornati a casa insieme sull’H2. Io dovrò prendere l’aereo e atterrare sulla pista. Hofatto molte ore di volo sugli aerei militari, ma mai su un Cessna. Sarà rischioso ma necessario.

Ho calcolato che mi ci vorranno circa 35 minuti per fare avviare il motore e arrivare allapista. Questo significa che, per risparmiare carburante, John partirà prima di me. A lui civorranno due ore. Gli ho fatto vedere i miei calcoli e ha detto che è d’accordo a partire perprimo.

Ore 22:43Fuori fa buio. Si vedono solo fuochi, in lontananza. Sulla pista di volo ho trovato alcune zoneper decollare e atterrare. È un’ottima cosa. Grazie a questi documenti ho scoperto che c’è unatorre per l’acqua 60 metri fuori dalla pista di partenza. Non l’avrei mai vista in tempo, contutto questo fumo. Adesso almeno so in quale direzione volare quando mi solleverò da terra. Èora di dormire.

25 gennaio

Ore 7:00È ora di tagliare la corda. Stamattina io e John siamo usciti e abbiamo guardato verso la basedella torre. A quanto pare abbiamo fatto troppo rumore. Ce n’erano dieci che camminavano lìattorno e ci sbattevano contro producendo dei suoni metallici. Li ho distratti mentre Johnbuttava dalla finestra i pacchi con le scorte dentro cui non c’era roba che poteva rompersi, inmodo da evitare di fare troppi viaggi. John è venuto da me e mi ha dato la sua calibro .22. Gliho detto che mi sarei occupato di loro mentre prendeva i rifornimenti. La visibilità era ancoraridotta a 100 metri circa.

Ho sparato alle creature e aiutato velocemente John a caricare le ultime cose. Siamo scesisenza incidenti. Ho preso quello di cui avevo bisogno per il volo, cioè le pistole, un po’ di ciboe acqua, e ho lasciato il resto a John. Gli ho chiesto se era sicuro. Ha detto di sì. Gli ho detto

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che ci saremmo visti alla pista alle 9:30. Ieri sera abbiamo preso una radio portatile dallatorre, in modo che John mi possa raggiungere sul canale 121.5, nel caso avessimo bisogno diparlare. È la frequenza di soccorso dell’aviazione. Dubito che dia fastidio a qualcuno se lausiamo.

John ha preso l’Hummer ed è partito. Io sono salito sull’aereo, ho chiuso i portelloni e hoiniziato a controllare tutto quello che potevo per ingannare l’attesa. Tutto questo fumonell’aria e la poca visibilità devono acuire i fottutissimi sensi di quegli esseri. Ho realizzatoanche che gli spari potrebbero averne attratti altri. Inizio ad aver paura, e ho deciso di partire,ora…

Ore 8:12Sono in volo. L’aereo ha il pilota automatico (così ho le mani libere) e mi sto dirigendo versola pista. Ho intenzione di fare una piccola missione di ricognizione, visto che mi sono messo involo così presto. Questo aereo è relativamente facile da guidare. Pensavo che sarebbe stato piùdifficile. Dopo il decollo, ho deciso di dirigermi verso la base per vedere se i muri erano ancoraintatti. Mi sono ricordato la frequenza del VOR, l’ho inserita nel comando di navigazione e hoseguito la rotta. Mentre scendevo attraverso le nuvole a 600 metri, il mio cuore ha avuto unsussulto.

Sono passato sopra la base, più in basso che potevo, e ho visto l’orrore. Ogni costruzione erain fiamme, o distrutta. Come se fosse stata colpita da un fulmine. Questo spiega cosa èaccaduto a Austin, in Texas. Ho virato di 15 gradi, in direzione del cancello. Che eratotalmente distrutto. Attraverso il fumo si vedevano camminare migliaia di morti viventi.Avevano preso possesso di tutta la zona intorno alla base. A quel punto ho ripreso la rotta.

Ore 23:56.Sono a casa.

Non me la sento di scrivere.

I più fortunati sono quelli che sono morti.

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È facile parlare col senno di poi

26 gennaio

Ore 18:42Ieri è stata una giornata dura. Sono arrivato alla pista con ancora un bel po’ di benzina. Larecinzione era intatta e non c’erano zombie in giro. Sembrava anche che ci fosse abbastanzaspazio per atterrare, ma ho notato che la pista non era in pianura. Pareva inclinata di circadieci gradi. Avrei dovuto dimostrare di avere un bel controllo del velivolo per mantenere leruote dritte durante l’atterraggio.

Sono arrivato dall’estremità nord della pista a 85 nodi. Ho abbassato la velocità e toccatoterra con le ruote posteriori, abbassando il controllo dell’equilibratore e anche il musodell’aereo. Ho messo il motore al minimo e lasciato che l’aereo si fermasse da sé (era meglioevitare le frenate, visto che la pista non era molto pulita). Ho guardato il diario di bordo ecercato la pagina relativa allo spegnimento del motore. Dopo aver parcheggiato l’aereo in unpunto meno visibile all’estremità della pista, l’ho spento.

Adesso si trattava di aspettare. Erano le 9:30 quando sono sceso. Non ho visto da nessunaparte l’H2, e non era facile non vedere un Hummer color giallo canarino, anche a 2 miglia didistanza. Se John fosse arrivato, avrebbe visto l’aereo e saputo che ero nelle vicinanze. Hodeciso di provare a trovare qualcosa per coprire l’aereo in modo che fosse meno visibile aglialtri... vivi o morti. Quella era una pista da corsa, quindi ero sicuro che da qualche parte cifossero delle cerate o cose simili. Ho preso il fucile e mi sono diretto verso la zonamanutenzione. Fuori dalla rete metallica che circondava la pista, c’erano numerosi mortiviventi che vagavano. Alcuni di loro battevano le braccia contro la rete, arrabbiati per il fattodi non riuscire a passarci attraverso. E sapevo che se ne fossero arrivati abbastanza, cel’avrebbero fatta.

Mi sono avvicinato alla zona manutenzione con cautela. Sono rimasto davanti alla portad’acciaio, in ascolto... si sentiva un rumore di colpi metallici, come se qualcuno stessemartellando il pavimento. La mia filosofia è sempre stata quella di evitare il confronto,quando si può. Ho girato attorno alla costruzione in cerca di finestre. Ne ho trovata una sulretro, a circa un metro e mezzo di altezza da terra. L’unico problema era uno zombie chebarcollava dall’altro lato del vetro. Non poteva raggiungermi, ma ho pensato che avrebbe fattonon poco casino se mi avesse visto. La finestra era un passaggio interdetto. Mi sono accostatoalla parete, tornando in silenzio verso la porta.

Il rumore era cessato. A quel punto ho perso la testa. Non ho più resistito, ho aperto laporta e ho guardato dentro. C’era buio, fatta eccezione per la poca luce che filtrava dallafinestra di prima. Si sentiva odore di carne putrefatta.

Ho richiuso la porta. Il mio istinto mi ha detto: che si fotta la copertura dell’aereo, non èpoi così importante. Per qualche ragione però ho ignorato quel ragionamento così logico. Ho

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preso la mia luce LED e l’ho fissata sopra al fucile. Ho acceso la luce e aperto di nuovo laporta, facendo passare per prima la canna del fucile in modo che facesse luce sul buio delgarage. La puzza era davvero insopportabile.

La fonte di quel casino si è subito mostrata. Un meccanico, morto, schiacciato da un carrelloidraulico per sollevare le macchine, era steso a terra, e, tornato in vita, batteva sul pavimentouna chiave dinamometrica. Da quel corpo orrendamente mutilato si è levato un grugnitosordo, mentre provava a guardare in su, verso di me. Cercava di prendermi. In quel momento,e tutto nel giro di un secondo, sono accadute le seguenti cose:

Ho visto i segni dei morsi che gli avevano strappato via la carne dalla faccia e dal collo.Sapevo che non se li era fatti da solo, e ho dedotto che doveva esserci un altro cazzo di zombienella stanza. E infine, cosa non meno importante, la porta si è spalancata e uno di loro mi haafferrato (immagino fosse lo stesso che aveva mangiato per pranzo il meccanico morto).

L’unica cosa che ha impedito a quello schifoso sacco di merda di strapparmi il naso a morsiè stato il fatto che, tra me e lui, c’era il fucile. L’ho spinto via e lui (o lei, ma non saprei dirlo)mi ha afferrato il polso. Gli ho piazzato un bel colpo in testa col calcio del fucile, ed è cadutoall’indietro. Mi sono rialzato immediatamente e ho sparato una revolverata in quella sua testamiserabile. L’avrei voluto spaccare in due, cazzo, ma la mia parte razionale mi ha detto di nonsprecare munizioni.

Ho chiuso la porta del garage. E così sarebbe rimasta per un bel po’, cazzo. Sentivo ilrumore di pugni sbattuti sulla porta, il che voleva dire che dentro ce n’erano altri. Sonotornato sul lato dove avevo visto dei barili di benzina, e ne ho fatto rotolare uno fino allaporta del garage per metterlo davanti all’ingresso e impedire che, qualunque cosa ci fossedentro, uscisse e mi rovinasse la giornata.

Niente più esplorazioni. Ho iniziato lentamente a camminare in direzione dell’aereo. Honotato che avevo attirato un gruppo di fan dall’altro lato della rete. Digrignavano i denti,attaccandosi, al reticolato metallico, emettendo gemiti e lamenti, e dando colpi sulla rete.Guardare quella malefica folla variopinta mi ha fatto sentire a disagio.

Più o meno in quel momento ho sentito arrivare una macchina. Mi sono nascosto dietro unaspecie di banchetto delle bibite e sono rimasto a guardare. La vista di quell’orribile giallo haconfermato i miei sospetti. Era John. Sono corso al cancello per farlo entrare.

Con una certa riluttanza ho preso la carabina e ho sparato, mirando alla parte che toccava lacatena ma non il lucchetto... tre colpi e il lucchetto è caduto dal catenaccio. Mentre aprivo ilcancello dando uno strattone alla catena, ho riflettuto sul fatto che pensavo che colpire ilucchetti funzionasse solo nei film. John è entrato urlando. Ho chiuso velocemente il cancello,vi ho riavvolto attorno la catena e sono corso in direzione dell’aereo. Mi ricordavo di avervisto una pinza a C fissata al sedile dentro la cabina del velivolo. L’ho tolta velocemente esono tornato di corsa al cancello. Alcune di quelle creature erano già a tiro di fucile. Ho messola pinza alle estremità della catena e l’ho stretta bene. Non avrebbe fermato un essere umano,ma ero certo che quelle creature miserabili, umane solo all’esterno, avrebbero potuto capirecome aprirla.

Sono tornato verso l’aereo, dove John aveva parcheggiato. L’ho guardato. Aveva la guanciasanguinante. Mi ha detto che aveva dovuto fermarsi per prendere altra benzina e aveva finitoper dover sparare a tre di quelli. Aveva ucciso il primo con un colpo solo, mentre col secondoaveva mancato il bersaglio e colpito un guardrail di cemento. Il colpo gli era rimbalzatoindietro, ferendolo alla guancia. Aveva ucciso l’ultimo e aveva levato il culo da lì. Per fortuna,

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quando tutto questo era successo, aveva già finito di riempire il serbatoio.Quando l’ho visto, all’inizio, ho pensato che fosse stato morso o graffiato, e che il mio unico

amico al mondo fosse diventato uno di loro. Ho detto a John che probabilmente nel serbatoiodell’aereo c’era carburante per un volo di 2 ore (più o meno 190 miglia nautiche a una velocitàmassima di crociera di 95 nodi).

L’aereo era pronto per il decollo. John e io abbiamo deciso che la cosa migliore fosselasciarlo lì, andare a casa e riflettere sul da farsi. Eravamo probabilmente a 20 minuti da casa.Ho ripreso le cose che avevo lasciato sul velivolo e le ho caricate sull’Hummer. Dovevamodistrarre quegli esseri se volevamo uscire dalla parte da cui era entrato John.

Sono andato a piedi verso il cancello e ho attirato la loro attenzione. Ho fatto da esca (tantoerano dall’altro lato della rete) e li ho indotti a seguirmi mentre John, in macchina, sipreparava alla fuga. Mi sono venuti dietro fino all’estremità opposta della recinzione. Inquesto modo ho guadagnato 200 metri per scattare in direzione contraria, aprire il cancello,salire in macchina, portare l’auto fuori da lì e riscendere a chiudere il cancello alle nostrespalle. Nessun problema. È andata esattamente così. Abbiamo guidato fino a casa schivandoli,e sopravvivendo.

Questa situazione sta diventando, per noi, ormai familiare. Una volta arrivati nelle vicinanzedella mia abitazione, John ha preso una strada laterale e ha parcheggiato il veicolo nelparcheggio di un palazzo deserto. Abbiamo preso le armi, l’essenziale, e siamo tornati versocasa di John, strisciando come ombre. Abbiamo evitato di farci vedere da quelli che abbiamoincrociato lungo il percorso. Dopo aver saltato il muretto di recinzione della casa di John, lui ècorso dentro dal suo cane, mentre io chiudevo le porte. Il cane di John si è precipitato su per lescale, facendogli le feste e leccandogli la faccia. Ho detto a John che forse avremmo dovutousare casa mia come base, visto che io avevo la corrente. Dopotutto, se tanto dovevamomorire, avremmo anche potuto morire assieme. È strano come si cambia idea.

Oggi abbiamo passato la giornata a trasferire l’attrezzatura di John fino a qui, un viaggioper volta, evitando di farci vedere. Ho la sensazione che presto partiremo.

27 gennaio

Ore 17:13Sono contento che John sia un ingegnere. Ha pensato a un modo per fare un sistema d’allarmeche potrebbe salvarci la vita in caso di necessità. Ci abbiamo pensato oggi quando siamodovuti uscire e ammazzare uno di quelli senza fare troppo rumore. Stava sbattendo contro ilmio cancello e faceva un gran casino. L’ho ucciso con un rompighiaccio fissato a un tubometallico con dello scotch da condutture. È stato allora che John mi ha esposto il suo piano emi ha chiesto cosa ne pensassi. Voleva che collegassi con dei cavi una radio (alimentata abatterie) a una cassetta della posta, due edifici più in giù di casa mia. Ha detto che avevaabbastanza cavi in cantina e che avrebbe funzionato. La sua cantina era piena degli escrementidi Annabelle.

Ha preso la sua radio-sveglia a batteria e i cavi, un semplice interruttore della luce(strappato da una parete di casa sua), e fatto una sorta di allarme telecomandato. L’idea era laseguente: se quegli esseri ci avessero attaccato durante la notte, e ce ne fossero stati troppi,

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potevamo accendere la radio con l’interruttore e usare il rumore per attirarli verso la cassettadella posta qualche casa più in là, dall’altra parte della strada.

John ha fissato la radio in modo che stesse dentro la cassetta postale, usando così la scatolametallica come cassa di risonanza. L’abbiamo provata per qualche secondo, e il suono eradecisamente forte, anche se abbiamo dovuto usare la funzione allarme, visto che non ci sonopiù stazioni radio che trasmettono. Abbiamo portato il cavo lungo la strada, mettendoci sopradella terra con una pala, in modo che quelle creature non ci inciampino facilmente o lostrappino. In tutto erano almeno 100 metri di filo.

Ho montato l’interruttore della sveglia a una scatola di derivazione usando una calamita dacucina.

Passerò il resto della serata a pensare a dove andare adesso. Potremmo finire per stare quiun po’, ma credo che la sensazione che ho provato ieri, quella voglia di volare via, potrebbetornare presto.

Dopo aver messo in atto il nostro piccolo stratagemma, ho preso il binocolo e ho controllatol’Hummer. Dal mio punto di osservazione vedevo solo la parte anteriore e gli specchiettilaterali. C’erano due o tre di loro che giravano attorno incuriositi. Ne ho preso notamentalmente.

28 gennaio

Ore 20:39Oggi, mentre monitoravo la frequenza radio cittadina, ho fatto una scoperta sorprendente. Hointercettato una registrazione che stavano trasmettendo sul canale nove per i sopravvissuti chevolevano fare da “volontari” per il “nuovo servizio militare”. La trasmissione era laregistrazione di un loop che aveva la data di ieri. La registrazione chiedeva di rispondere alloscoccare di ogni ora. Però c’era qualcosa che non mi suonava. Se quello era un gruppo dimilitari sopravvissuti e ne stavano cercando altri, cosa era successo a quelli precedenti. Uccisi?Vittime di un’esecuzione? Non c’erano alternative. Ho spento e poi riacceso quandomancavano ormai 10 minuti alle 18. Sono rimasto a sentire se c’era qualcuno là fuori che sioffriva come volontario.

“**interferenze**

qui è Shane Stahl, Concord, Texas. C’è nessuno?”

“Sì, qui è il capitano Thomas Beverly,ex membro effettivo del 24° squadrone tattico,

sono contento di sentire la tua voce”. La conversazione è proseguita e i due si sono scambiati informazioni. Hanno deciso un

punto dove prelevare Shane non lontano da casa sua, vicino a una torre dell’acquedotto fuoridalla statale. Io e John abbiamo discusso i nuovi sviluppi e abbiamo deciso che è megliocontinuare a monitorare e raccogliere informazioni, finché non scopriamo se questo gruppopoco trasparente è davvero un gruppo amico di volontari sopravvissuti.

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Ho passato la maggior parte della mattinata a studiare sui manuali di volo le procedure diemergenza. Voglio saperne di più sul sistema di questo aereo per la prossima volta. Non simai.

Io e John abbiamo discusso molte destinazioni per le nostre prossime uscite. Abbiamo dueopzioni. Continuare a stare qui, e sperare di non essere attaccati, o prendere l’aereo, riempirlocon tutto quello che riusciamo a farci stare e dirigerci a sudest, sulle isole al largo della costadi Corpus Christi. C’è una base navale a Corpus, e sono sicuro che c’è un sacco di carburante,e forse anche un aereo migliore.

Se scegliamo l’opzione fuga, dobbiamo considerare attentamente cosa portaredell’equipaggiamento e cosa lasciare qui. Insieme, io e John pesiamo circa 150 chili. A questobisogna aggiungere il carburante e il bagaglio. Possiamo volare al massimo con 18 chili diprovviste. Questo, caricandolo al massimo, e non è molto, tutto considerato. Abbiamo iniziatoa fare una lista di cose che non possiamo assolutamente lasciare. John ha messo nella lista“cane, 10 chili”. Ho detto a John di non preoccuparsi, che Annabelle sarebbe venuta con noi.

Ad ogni modo non partiremo oggi, e neanche domani. Ho detto a John che non volevomorire il giorno del mio compleanno.

29 gennaio

Ore 12:50Un gruppo di motociclisti è passato rombando attraverso il nostro quartiere circa mezz’ora fa.John ha dovuto mettere la museruola ad Annabelle per evitare che abbaiasse. Dubito cheavrebbero sentito il cane con il rumore dei loro motori, ma il mio motto è “evitare ognipossibilità”. Ho contato 70-80 moto quando è passato il convoglio. Molti motociclisti avevanopasseggeri, e molte moto avevano dei supporti su cui erano fissati dei fucili.

Ho notato una cosa che non penso si sarebbe mai vista prima di questa epidemia. Nonc’erano solo moto normali, ma anche moto da corsa (dei piccoli razzi sotto il culo) nelconvoglio. Scommetto che hanno usato dei motociclisti per fare le ricognizioni. Questo gruppocontinua a non convincermi, e ho pensato che non fosse il caso di informarli della nostrapresenza.

Ore 18:45Il rumore dei gemiti e dei passi strascicati degli zombie è quasi insopportabile. Tre ore dopoche il convoglio di motociclisti è passato di qui, le creature che li stavano senza dubbioseguendo hanno iniziato la loro lenta parata qui, nella zona. John e io stiamo in silenzio. Laluce sta calando, e ce ne sono troppi per contarli. Questa storia potrebbe facilmentetrasformarsi nell’ipotesi peggiore che avevamo considerato. Non credo che si siano accortidella nostra presenza, ma non posso esserne certo. Mi accorgo che, a tratti, guardano in questadirezione, e vanno a sbattere contro il muro di cinta, ma c’è un tal chiasso che non riesco acapire se stiano effettivamente cercando di entrare.

Sono andato nell’armadio delle pistole e ho preso due paia di tappi per le orecchie, quelligialli, e ne ho dato un paio a John. Gli ho detto se domani vogliamo partire, dobbiamo

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riposarci. John se li è messi in tasca e ha annuito.

Ore 22:13Abbiamo preparato tutto nel caso in cui dovessimo fare la grande fuga. Molti di quei mostrihanno proseguito il cammino seguendo la direzione dei motociclisti. Ma molti di più sembranopersi e confusi, e si sono accampati qui fuori, nella nostra strada, girando in tondo, sbattendogli uni contro gli altri e cambiando direzione. Mi ricorda il corso di fisica al college, anni fa.Le molecole si scontrano le une con le altri in modi imprevedibili, vagando senza meta sulvetrino. Direi che, ad occhio, siano approssimativamente 85. Ma posso usare solo la luce dellaluna per contarli.

da ricordarmi: trovare al più presto delle luci per vedere di notte.

Se oggi fosse stato un giorno normale, saremmo andati con gli ufficiali del mio squadrone a

ubriacarci in un qualche bar a caso sul lungofiume. È il mio compleanno e so che non miavrebbero permesso di starmene chiuso in casa. Beh, immagino che i festeggiamenti dovrannoaspettare. Ho bevuto un bicchierino di whisky con John e abbiamo brindato allasopravvivenza. Notte.

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Notizie Bomba

30 gennaio

Ore 15:34Brutte notizie. Mentre monitoravamo la televisione e la radio, io e John ci siamo imbattutinella prima trasmissione presidenziale da settimane. La trasmettevano da ogni canale tvdisponibile e anche sulla banda AM. Immagino che sia dovuto al fatto che la AM trasmette piùlontano della FM. Era la First Lady. Con una voce solenne ha detto a ciò che era rimasto degliStati Uniti che il presidente era morto dopo esser stato attaccato da uno zombie, ed era mortouna settimana prima. Le forze armate erano ora sotto il comando del vicepresidente. Haproseguito dicendo che il vicepresidente era in un posto sicuro e che sperava che tutto sarebbeandato al meglio, per l’America e per il resto del mondo. Ha messo in guardia contro unafazione solitaria di militari che aveva disertato nelle scorse settimane. Sperava che ritornasseroin sé e che riprendessero a combattere seguendo gli ordini del loro comandante.

Ma il bello è venuto alla fine.

Ha detto a chiunque fosse in ascolto di fare del proprio meglio per diffondere la voce,

perché era al corrente del fatto che non molti sopravvissuti avessero l’elettricità, o accesso allatv o alla radio. Dopodiché ha sganciato la bomba.

“Il presidente ha autorizzato l’uso di testate nucleari tattiche in tutte le città piùgrandi. Il primo febbraio, alle 10 di mattina circa del Central Standard Time, il fusodella zona centrale del Stati Uniti, un gruppo d’assalto formato dalla marina e daibombardieri dell’aviazione sgancerà alcuni ordigni nucleari nelle città più grandi.Crediamo che questa rappresaglia ci consentirà di tornare a essere in sovrannumerorispetto ai morti viventi, in modo da poterci riprendere il nostro Paese e il nostromondo. L’uso di aeromobili Global Hawk e Pradator a pilotaggio remoto hamostrato che ci sono grandi masse di zombie nelle maggiori città e intorno a esse. Seavete la possibilità di spostarvi, e state ascoltando questo messaggio, vi invito aprepararvi al più presto per l’evacuazione. Adesso trasmetteremo la lista delle areedesignate come bersaglio. Per favore, guardate attentamente le scritte in fondo alloschermo”.

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Le lacrime le scendevano sul viso.No, non stava scherzando. Lo avrebbero fatto. Ho guardato, e ho incrociato le dita. Sapevo

che la mia città era l’ottava degli Stati Uniti. Non volevo prendermi in giro da solo. Quandosono arrivati alle città con la lettera “R”, io e John abbiamo trattenuto il respiro. Ed eccola...– San Antonio. Io e John siamo stati designati come obiettivo delle armi nucleari. Vivo a 18miglia dalla fortezza di Alamo, che è nel centro di San Antonio. Il raggio dell’esplosione saràalmeno di venti miglia, a seconda della testata che utilizzano. Credo che non ci andrannoleggeri, e cioè che il raggio sarà almeno di cinquanta miglia.

Nell’istante in cui questo pensiero ha attraversato la mia mente, ero ancora lì che guardavol’elenco delle città predestinate scorrere sul fondo dello schermo. Venne trasmesso unmessaggio precauzionale. “La distanza minima di sicurezza sono 150 miglia dal bersaglio”.Questo vuol dire che il governo userà bombe in grado di demolire montagne, distruggendotutto.

Ho guardato John, e ho detto: “Credo sia giunto il momento di andarsene da questo posto”.

31 gennaio

Ore 23:41La situazione non sta migliorando. John e io abbiamo caricato l’Hummer per il viaggio alla

pista da corsa. Partiremo stasera. C’è la luna e la visibilità sarà perfetta per il volo. Il testodiffuso con la trasmissione d’emergenza sta avvisando i sopravvissuti che i bombardierilanceranno dispositivi elettronici che emetteranno dei suoni nei centri delle città per attirare imorti viventi in modo da massimizzare l’efficacia dell’esplosione. L’avvertimento sottolineavail fatto che questo causerà un’attività molto più intensa dei morti viventi. Stamattina sonopassati alcuni jet e hanno sganciato i dispositivi. Il suono deve essere bello forte, perché riescoa sentirlo fin da quaggiù. È una sorta di fischio acuto e oscillante. Ad Annabelle dà fastidio,ma ci si sta abituando, anche se ha il pelo perennemente rizzato.

È difficile pensare che il mese di gennaio finirà tra qualche minuto. Io e John, mentrecaricavamo l’H2 oggi, abbiamo dovuto usare il nostro “apparecchio sonoro” nella casellapostale. È stato circa un paio d’ore dopo che i militari hanno lanciato il dispositivo elettronicoe gli esseri sono usciti allo scoperto, vagando sulla nostra strada. Abbiamo fatto quattroviaggi, prima che le “cose” distruggessero l’invenzione di John. Uno di loro alla fine hastrattonato la cassetta e l’ha usata come randello, ammaccandone la cima. Abbiamo caricatotutto ed è quasi ora di partire. È buio fuori e ho spento le luci in modo che, quando partiremo,avremo gli occhi già abituati alla visione notturna. Io e John voleremo col nostro aereo versoest. Ho studiato e ristudiato i manuali. Non c’è molto altro da fare, se non il conto allarovescia.

Credo che saremo leggermente in sovrappeso sul velivolo. Pazienza, lo porterò in aria lostesso. Dieci ore alla fine del mondo.

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L’inverno nucleare

1o febbraio

Ore 4:30Noi tre (io, John e Annabelle) siamo scivolati fuori casa dalla porta sul retro e abbiamoraggiunto l’Hummer. I nostri occhi si erano già adattati al buio. A quanto pare anche quelli diAnnabelle lo erano, perché ci ha messo in guardia contro uno di quei mostri che si aggiravanell’oscurità. John mi ha detto che sentiva il pelo del cane che le si rizzava sul dorso (laportava in braccio), e tutti e due sentivamo che stava ringhiando attraverso la museruola. Hofatto fuori la creatura con una mazza di alluminio e abbiamo proseguito fino alla macchina.Ce n’erano un po’ che si aggiravano dietro l’auto, ma si trovavano a una certa distanza e siamoentrati. Anche chiusi nell’abitacolo riuscivamo a sentire il fischio oscillante del dispositivoelettronico. I gemiti infernali dei morti in lontananza si innalzavano quasi al di sopra di quelsuono.

Il viaggio fino alla pista da corsa è stato abbastanza tranquillo. Ho guidato piano, con leluci spente. Non è accaduto nulla, a parte qualche tonfo occasionale di una di quelle creatureche finiva sotto le ruote. La luce della luna illuminava la strada.

Siamo arrivati al cancello con la catena da cui si entrava nella pista. Ho acceso le luci e lapinza a C era ancora al suo posto, proprio come l’avevo lasciata. Sono uscito dall’Hummer colfucile in mano e mi sono avvicinato per togliere la catena. Anche se non vedevo nessuno diloro lì attorno, potevo sentirne la puzza e percepire la loro presenza in lontananza.

Dopo aver portato dentro l’auto, ho richiuso il cancello con la pinza. A un centinaio di metridi distanza ho intravisto la sagoma di un morto vivente. Ma ormai non importava più. Ce nesarebbero voluti almeno cento per sfondare la recinzione.

Io e John abbiamo scaricato la macchina e caricato il Cessna. Ho fatto tutte le procedurepreparatorie per il volo, e a quel punto eravamo pronti. Sono entrato nella cabina di guida. Hoeseguito i comandi per l’accensione del motore. Si è acceso senza difficoltà. Ho controllato lapressione e la quantità del carburante. Ce n’era abbastanza. Abbiamo chiuso i portelloni e hoacceso le luci di decollo. È stato allora che mi è tornata in mente la scoperta raccapricciante diqualche giorno prima, del povero meccanico schiacciato dal carrello e mangiato dagli zombie.

Mi sono anche ricordato dell’incontro con uno di loro, e di come l’avevo ucciso, e del bariledi petrolio da 200 litri davanti alla porta per fare in modo che qualsiasi altra cosa fosse lìdentro non potesse uscire.

Le luci di decollo puntavano alla porta del garage. Era spalancata, e il barile era a terra, suun lato. È stato in quel momento che il misterioso abitante del garage si è fatto vedere. Unforte tonfo al finestrino del lato del pilota, ed ecco lì quell’essere... che sbavava e premeva lelabbra sul vetro della cabina, come uno di quei pesci mangiatori di alghe attaccato al vetrodell’acquario. Mi sono cagato sotto. Non riesco a credere di essermi dimenticato del garage

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fino a quando non sono salito sull’aereo. Avrei potuto lasciarci le penne. Ho iniziato a rullarenell’area di decollo; quello si trascinava dietro l’aereo. Ho cercato di evitare di colpirlo colpropulsore. Non volevo rischiare di danneggiare il velivolo.

Ho messo la leva sulla massima potenza, mandando un bel po’ di carburante nel motore.Abbiamo iniziato a barcollare in avanti. Le luci stroboscopiche anticollisione facevanosembrare la pista sotto una tempesta di fulmini. Ho guardato lo specchietto retrovisore e vistodue di quei mostri dentro al perimetro brancolare verso di me.

Cinquanta nodi... 60... 75 nodi... ho tirato indietro la leva e abbiamo iniziato a salire.C’eravamo quasi. Il motore era sotto sforzo, l’ho messo alla massima potenza. Mentreraggiungevamo la cima degli spalti potrei giurare di aver toccato le gradinate. Poi eravamo inaria e volavamo verso sudest in direzione di Corpus. Prima, prima ancora che uscissimo dacasa, io e John avevamo acceso la tv e la radio, e controllato due volte che non ci fossero arminucleari dirette sul nostro percorso. C’erano sempre i nomi delle stesse città che passavanosullo schermo. Credo che Corpus non sia abbastanza grande. Dannazione, so che ne hannoabbastanza di bombe... ma in qualche modo credo che abbiano troppo pochi piloti persganciarle.

Durante il volo abbiamo visto sulla strada statale quelle che sembravano luci di macchine.Mi chiedo se fossero altri sopravvissuti che evacuavano. Non potevo in nessun modo aiutarli eprobabilmente sia io sia John saremmo stati uccisi se avessimo tentato di atterrare sulla stataleo lì vicino.

Volavo a circa 2000 metri, in accordo, per abitudine, con le regole del volo a vista (VFR).Non credo ci siano possibilità di collisione, visto che probabilmente sono sull’unico aereopilotato da un uomo in tutto il Nord America. Sono certo che ci siano diversi Predatorteleguidati che passano in ricognizione in questi cieli, mandando notizie sulla moltiplicazionedei morti. A metà strada verso Corpus ho visto qualcosa che non mi aspettavo... Luci. Dellevere luci elettriche. Sì. I fuochi sono una consuetudine da quando siamo decollati, ma nonl’elettricità.

Secondo le cartine ci stavamo avvicinando a Belville, in Texas. C’era una piccola pistamunicipale di atterraggio laggiù. Ho controllato il livello di carburante, e sapevo che non cen’era ancora per molto. Così io e John abbiamo deciso di chiamare l’aeroporto, dato che avevale luci accese, e vedere se potevamo atterrare senza problemi. Quando ho tagliato perl’aeroporto municipale di Belville, stavamo volando verso sudest sopra la I-37.Miracolosamente, i satelliti GPS funzionavano ancora e vi ho inserito le coordinate (28-21.42N7 097-47.27O). La luce LED verde puntava nella stessa direzione, ed ero sicuro diessere sulla rotta giusta.

Siamo arrivati all’aeroporto circa 8 minuti dopo, proprio come indicava il GPS e mi sonoabbassato a 300 piedi per controllare le piste, che correvano in direzione nordovest-sudest. Hodeciso di atterrare sulla pista 12, perché il vento lì avrebbe favorito l’atterraggio. I farisegnaletici erano ancora accesi, dunque potevo atterrare anche perché non c’era nessunoparcheggiato sulla pista. Dopo un giro di ricognizione quasi al suolo, ho portato l’aereo inposizione per l’atterraggio. Al primo passaggio avevo visto un’autocisterna per il trasportocombustibile vicino alla pista di rullaggio.

Sono atterrato e ho rullato fino all’autocisterna. Ho lasciato il motore acceso e sono sceso apiedi girando dietro al velivolo, in direzione del camion. Avevo il fucile pronto, in casoqualcosa fosse andato storto. Ho acceso la luce LED e il suo fascio luminoso ha illuminato

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l’area tutt’intorno. Avevo dimenticato di spegnere le luci stroboscopiche anticollisione quandosono sceso dall’aereo. Emettevano ogni due secondi una luce forte, facendomi cogliere alcunisquarci della zona.

Mi sono diretto verso il tubo della benzina, l’ho estratto e ho controllato la pressione dellapompa. Sembrava che non fosse mai stata spenta. Ma non c’entra, la batteria non si sarebbecompletamente prosciugata a meno che la pompa non fosse stata continuamente in uso. C’eraabbastanza carburante in questa cisterna per attraversare il paese in volo due o tre volte.Peccato solo non poterlo prendere tutto. Ho girato attorno all’aereo, sbloccato il tappo alserbatoio dell’ala con un blocco di legno che era dentro la portiera. Non volevo correre rischicon gli spruzzi. Normalmente, non avrei lasciato il motore acceso mentre facevo rifornimento,ma volevo evitare la possibilità che l’aereo non ripartisse. Ho riempito i serbatoi fino all’orlo,finché qualche goccia non è fuoriuscita. Ho riattaccato la pompa al suo posto sull’autocisternae sono tornato indietro. Non sentivo niente a causa del rumore del motore. Mentre camminavoverso il velivolo, ho visto che John stava tentando disperatamente di segnalarmi qualcosa. Èsaltato su e ha iniziato a correre verso di me. Mi sono girato istintivamente e ho alzato ilfucile. Ottimo tempismo.

Ho sparato una raffica di colpi e ho decapitato la creatura a bruciapelo... meno male chec’era John con me, perché quel bestione di 2 metri era nella posizione giusta per chinarsi estaccarmi a morsi un pezzo di collo prima ancora che capissi che cosa mi aveva colpito. Adessosi stava contorcendo a terra come un verme. John mi ha lanciato uno sguardo preoccupato ed ètornato con Annabelle sull’aereo. A lei non piaceva volare e aveva vomitato due volte daquando eravamo partiti.

Ci siamo rimessi in volo e abbiamo proseguito per Corpus. Secondo la cartina, Corpus era a144 miglia da San Antonio. Per essere al sicuro dovevamo però trovarci a 150. Erano le 3:15quando siamo tornati in volo, il che significava 6 ore e 45 minuti al lancio della bomba.Un’ora dopo il decollo da Belville siamo arrivati sopra Corpus. La nostra destinazione era laStazione aerea navale a est della città. Era alla giusta distanza di sicurezza. La Stazione aereanavale di Corpus Christi è una base di addestramento. Avremmo preso un aereo. Non eraimportante quale. Ne bastava uno da addestramento a turboelica, con un motore solo.

Nella base navale le luci erano ancora attive. Probabilmente avevano un generatore. Lamaggior parte delle basi ha diverse fonti di rifornimento energetico, nell’eventualità che unnemico colpisca la rete elettrica. Evidenti segni di distruzione erano visibili volando sopra labase. Il perimetro era stato distrutto e, laggiù, c’erano centinaia di quegli esseri. Ho seguito lasolita procedura... e controllato la pista di atterraggio. La torre di controllo era ancoraoperativa e mandava segnaletiche bianche e blu.

Le luci all’interno della torre erano accese e non vidi movimenti nella zona delle pistementre ci passavo sopra (c’era una recinzione interna che le separava dalla torre e dall’edificiodell’amministrazione). Ho visto che c’erano circa cinquanta o sessanta velivoli monomotoriparcheggiati sulla pista. La maggior parte erano Turbo T-34 e T-6 Texani. Più o meno eranotutti così. Io conoscevo bene i T-34c e sapevo che avevano tutti il paracadute (a differenza delCessna). John e io abbiamo deciso di atterrare vicino alla torre e usarla come rifugio per lanotte. Dopo l’atterraggio abbiamo spento subito il motore per evitare di attrarre gli zombie.La porta della torre non era chiusa a chiave, ma almeno era chiusa. Proprio come sospettavo,era abbandonata. Nessun segnale di vita o di morte dentro. Abbiamo portato nell’edificio leriserve di cibo e acqua e le munizioni per la notte, e ci siamo chiusi dentro. Il portone era di

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acciaio e sapevo che avrebbe retto.

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Ground Zero

Ore 10:50Attorno alle 5:40 del mattino io e John ci siamo finalmente messi a dormire. La torre eravuota e silenziosa. Ho messo la sveglia alle 9:30 in modo da avere 30 minuti per prepararmiallo show. Abbiamo acceso la radio, trasmettevano lo stesso messaggio dell’altro giorno.Intorno alle 10:05 ho realizzato che l’avevano fatto. L’onda dell’esplosione deve aver viaggiatoa un’immensa velocità. Si è alzato il vento e vedevo gli alberi che si piegavano a est senzaoscillare. Avevo gli occhi rivolti verso nordovest in direzione di San Antonio. E l’ho vista.Sembrava piccola, da questa distanza, ma c’era.

Abbiamo visto all’orizzonte una nube arancione a forma di fungo. Merda, devono aversganciato quella più potente che avevano, perché io sia riuscito a vederla e sentirne l’onda apiù di 150 miglia. Era una giornata chiara. Il cielo era sereno. Sapevo che il vento da questadistanza non sarebbe stato radioattivo, al contrario della forza che lo causava. Spero solo chela nube di gas non arrivi fin qui.

Ho notato un’altra cosa un po’ strana. Houston è a nordest da qui. John guardava in quelladirezione. Non ci sono state esplosioni laggiù. Ed è a 127 miglia da qui. È strano. Mi chiedoperché siano in ritardo. La torre qui ha elettricità, acqua e la radio. Credo che starò qui erifletterò sull’accaduto.

2 febbraio

Ore 14:35Stamattina mi sono svegliato e ho preso il binocolo per vedere cosa succedeva nella zona quiintorno. La prima cosa che ho controllato è stata la manica a vento. Soffiava verso ovest. Ilche è una buona notizia. Non brancolerò nel buio oggi. La pista aerea è al sicuro. Tutte lestazioni navali hanno delle reti alte 3 metri per tenere il personale non autorizzato alla largadalla zona di volo. Ci sono diversi morti viventi attorno al perimetro, in lontananza. Nonfanno particolare caso alla recinzione. Stanno semplicemente lì.

A un certo punto Annabelle, ha preso a guaire. John teneva monitorata la radio, così hodeciso di portarla fuori (era il guaito che significa “devo fare la pipì”). Sono sceso con lei esiamo andati in un pezzettino di prato sul lato della torre di controllo opposto a quello dellepiste. Ha fatto i suoi bisogni e annusato l’aria. È un cane piccolo, ma ha un buon fiuto. Il pelosul dorso le si è rizzato di nuovo. L’ho fatta salire su per le scale e ho chiuso la porta dellatorre. La torre ha una visuale a 360°, e così ho camminato attorno al centro, sopra il lato colprato per vedere se magari riuscivo a cogliere quello che aveva innervosito il cane.

Non c’era niente. Probabilmente il vento portava un odore che non le piaceva. Ma adesso si

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era tranquillizzata di nuovo, le ho dato dell’acqua e un po’ di cibo per cani. John aveva su lecuffie ed era in ascolto. Nella torre di controllo tutti usano le cuffie perché altrimenti sarebbeun casino, con tutte le trasmissioni radio che avvengono lì dentro. Stava chiaramenteascoltando qualcosa. Sono andato al suo pannello, ho controllato la frequenza su cui erasintonizzato e mi sono messo a un altro terminale per ascoltare.

C’erano due piloti che parlavano tra loro. Uno dei due ha chiesto all’altro se secondo luiavevano preso la decisione migliore. Dovevano essere vicino alla nostra torre, altrimenti non liavremmo intercettati. Probabilmente pensavano di avere tutta la privacy del mondo, adesso.Per quello che ne sapevano, non c’era nessun essere vivente in zona che potesse sentirli. Misono chiesto cosa intendessero. Erano gli stessi piloti che avevano sganciato le bombeatomiche? La risposta alla mia domanda è arrivata subito. La conversazione è proseguita e hoscoperto che si erano rifiutati di sganciare gli ordigni. Non credevano che fosse una buonadecisione, e così, anziché eseguire gli ordini, avevano a quanto sembra preferito l’esilio.

Non posso davvero biasimarli. Sono esseri umani, proprio come me. A mia volta non so sel’avrei fatto. Mi chiedo quali città siano state risparmiate. Immagino che una sia Houston, oforse anche Austin, per quanto forse l’esplosione di San Antonio possa aver investito anchequesta città.

Io e John non abbiamo potuto caricare sull’aereo tutto il cibo e l’acqua che avevamo.Quest’ultima al momento non è un problema, ma tra un paio di settimane vedremo comestaremo col cibo. Ieri notte il fuoco ardeva verso nordest. Ogni cosa che poteva bruciare,probabilmente, è bruciata. Scommetto che della mia casa non è rimasta che polvere.

Ore 21:43Dopo aver rovistato nella torre, io e John abbiamo trovato una grande scatola di alluminio conun bel lucchetto. Siamo riusciti ad aprirlo usando delle cesoie prese al piano di sottodall’armadio della manutenzione. La scatola era uno di quei contenitori con l’interno foderatodi polistirolo con dentro alcuni occhiali per la visione notturna. Ce n’erano quattro, di tipomonoculare, che andavano con le normali batterie AA. Avrei dovuto saperlo. Gli addetti allatorre di controllo li usano di notte per avvertire i piloti in caso ci siano ostacoli sulla pista. Neè dotata la maggior parte delle torri di controllo delle piste aeree militari. E adesso li abbiamoJohn e io. Sono una merda per la percezione della profondità, ma comunque, mi sentodecisamente meglio con questi.

Li abbiamo provati. Abbiamo spento tutte le luci interne. Abbiamo regolato focus eluminosità. La pista aerea era inondata di una luce verde. Questi aggeggi ci saranno moltoutili. Sono persino riuscito a vedere un topo di campo che correva sulla pista, vicino agli aerei.Domani voglio uscire e dargli un’occhiata per conto mio.

3 febbraio

Ore 15:23Stamattina sono uscito a esaminare alcuni aerei e ho scelto il migliore, nel caso in cui io e Johndovessimo andarcene. Questi aerei a turboelica sono molto più affidabili del Cessna, e per lo

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meno li ho già guidati un paio di volte. Sapevo che erano tutti utilizzabili, ma ho cercatoattentamente quello che mi sembrava tenuto meglio. È il velivolo numero 07. Oggi, io e Johnandremo nell’hangar a prendere un po’ di equipaggiamento.

Mentre ero fuori stamattina, ho camminato lungo la recinzione stando lontano dalle zonedove c’erano alcuni di quegli esseri che brancolavano al di là della rete. È un aeroportopiuttosto grande. Da terra, usando il binocolo, ho visto qualcosa che si muoveva dentro unodei palazzi dell’amministrazione, al terzo piano. Qualcuno di vivo? Non saprei. Sono tornatosilenziosamente alla torre e ho avvertito John di quello che avevo visto. Sto iniziando a pensareche l’unico modo di sconfiggere questi mostri sia quello di aspettarli all’esterno. Come unalunga sentenza di prigionia.

È da un po’ che non penso ai miei. Le mie speranze sulla loro sorte non sono molto alte. Miè venuto in mente di prendere uno degli aerei e atterrare in uno dei campi vicino a casa mia,giusto per chiudere la questione. Non chiederei mai a John di venire con me. È solo unpensiero saltuario, comunque.

4 febbraio

ore 14:47Abbiamo riempito i serbatoi di uno dei T-34. Ho controllato il motore e mostrato a John comefar funzionare l’unità di potenza ausiliaria (APU). Il T-34 si avvia anche con l’accensione abatteria, ma è meglio comunque accenderlo con l’unità di potenza ausiliaria esterna. Dopo cheabbiamo fatto questa cosa abbiamo chiuso Annabelle nella torre e ci siamo messi a perlustrarel’hangar, in cerca di qualsiasi tipo di equipaggiamento possa tornarci utile.

Ormai siamo diventati degli esperti. Lui apre la porta e io controllo l’interno. L’internodell’hangar pareva una città fantasma. Camminando attaccati ai muri ci siamo diretti versouna stanza che recava sulla porta la scritta “manutenzione equipaggiamento di volo”. La portaera mezza aperta e dentro le luci erano accese. Sono entrato di soppiatto, pronto a sparare. Hoquasi sparato a un manichino con indosso l’equipaggiamento di bordo. Era tutto troppopiccolo per me, ma sembrava della taglia di John.

Dopo aver controllato che la stanza fosse ok, e dopo aver richiuso la porta (giusto perprecauzione) ho detto a John di prendere la roba del manichino e provare la tuta e il casco. Ioho preso un casco dall’attaccapanni dell’equipaggiamento già controllato e sono andato atestare il funzionamento del microfono. Funzionava bene. Abbiamo preso un paio di giubbottidi salvataggio attrezzati per le necessità, e un modellino di legno del T-34 che potrebbe essereutile nel caso in cui debba spiegare a John come funziona qualcosa. C’era anche una serie dichiavi con su l’etichetta “autocisterna carburante”.

Dopo esser tornati alla torre, ho iniziato a spiegare a John alcuni concetti base del volo. Housato vari manuali di volo e il modellino di legno per fornirgli alcune nozioni sull’aviazione esul funzionamento delle superfici di comando. Ho chiesto a John se voleva che uscissimo inuna sorta di missione di ricognizione. Ha detto di sì e ci siamo messi le tute.

Ore 19:32Io e John siamo decollati alle 15:45 e abbiamo volato verso nordovest a più di 200 nodi per

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controllare i danni causati dall’esplosione. Ci abbiamo messo solo 40 minuti per arrivare neisobborghi. Eravamo abbastanza vicini. La città era un ammasso di macerie. Ci siamo tenuti adalta quota (a più di 3500 metri) per evitare i residui di radiazioni. A quel punto, abbiamodeciso che era meglio tornare indietro. Appena fuori pericolo, siamo scesi a 700 metri. Era unagiornata serena e avevamo il sole alle spalle. Abbiamo seguito la statale.

John mi ha chiesto di abbassarmi, in modo da poter osservare meglio il suolo. Mi sonoinclinato di circa 30 gradi. Abbiamo guardato la statale. Le creature stavano facendo un esododi massa, andando verso l’esterno dalla città. Mi chiedo quanto siano serviti gli ordigninucleari per quelli che non si trovavano nelle immediate vicinanze. Dubito che le radiazioniabbiano un qualsiasi effetto su questi esseri. Solo l’esplosione può averli distrutti. La distanzadi sicurezza minima per un essere umano sono 150 miglia, ma non per loro. Scommetto chepossono sopravvivere anche a 20 miglia.

John ha scattato una foto digitale della “ritirata dei mostri” dalla città. Abbiamo toccatoterra quando il sole iniziava a calare, e siamo tornati con l’aereo vicino alla torre. È veramenteun posto morto. Non abbiamo visto segni di vita, solo migliaia e migliaia di quegli esseri checamminavano attraverso la campagna. Le luci di Corpus Christi alla fine li condurranno versola città.

5 febbraio

Ore 22:01Ce ne sono sempre di più sul lato ovest della recinzione che si trova a circa 200 metri dallatorre. Con gli occhiali per la visione notturna li vedo barcollare in lontananza. L’immagineverde sgranata è molto surreale e inquietante. Quando li abbiamo notati, abbiamo spento leluci. Ho la sensazione che non sia che una prima ondata che fuoriesce dalle grandi città.Merda, un contatore Geiger sarebbe stato un utilissimo regalo di Natale. Non faremo piùuscite in volo non necessarie. Non voglio attirare la loro attenzione. Stasera andrò inavanscoperta nell’edificio dell’amministrazione, quello dove l’altro giorno ho notato deimovimenti. Adesso ho il vantaggio della visione notturna, e penso che andrà tutto bene. Inoltremi servono delle batterie.

6 febbraio

Ore 4:30Sono andato da solo ieri notte nell’edificio dell’amministrazione. John è rimasto sulla torre.Quando ho lasciato l’ultimo piano della torre ho chiuso la porta e sono passato al dispositivoper la visione notturna. È comparsa la solita immagine verde sgranata. Mi fa sentire invisibile.L’edificio si trova a 250 metri buoni dalla torre. Ho preso il fucile come arma principale, e lamia Glock di riserva. Avevo con me solo 58 colpi calibro .223 per la carabina (ce ne sono 29in ogni caricatore). Non mi stavo dirigendo verso una battaglia, andavo solo a fare un po’ disciacallaggio. Ho preso anche delle cinghie nere a cerniera e delle corde trovate nella torre. Perqualche ragione non credo che il “me” di qualche mese fa stasera avrebbe lasciato la torre. E

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in fondo alla mia mente, continuo a chiedermi… è rimasto qualcosa per cui vale la penavivere?

Mi sono avvicinato con cautela all’ingresso principale dell’edificio, e ho iniziatometodicamente a controllare segni di movimento alle finestre. A causa dei limiti del dispositivoper la visione notturna, non sono riuscito a vedere l’interno finché non sono stato così vicinoall’edificio da poterlo colpire con il lancio di una pietra. Non capivo cosa si stesse muovendosu, al terzo piano. Per un istante ho pensato che potesse trattarsi dell’ombra di una figuraamica, che aveva una qualche fonte di luce alle spalle. Questo è quello che avrei voluto chefosse. Ero davanti alla porta. Non era chiusa a chiave. Sono entrato facendo molta attenzione,restando in ascolto di eventuali rumori. Tutto ciò mi ha fatto tornare in mente i test di ascoltoche dovevo fare al servizio militare. Dentro era tutto silenzioso, come in una stanzainsonorizzata. Dopo aver passato la seconda serie di porte, sono andato nel centro della stanzae ho notato una larga scala che immaginavo portasse al secondo e al terzo piano. Ho fatto unaltro passo e ho sentito un forte scricchiolio sotto ai piedi. Avevo pestato un pezzo di vetro… efatto un bel po’ di casino. È stato allora che ho iniziato a sentirli.

Pareva un gruppo di quattro o cinque esseri al piano di sopra. Si sentiva il rumore di gemitie lenti passi strascicati che si muovevano sulle macerie, proprio sopra di me. Sapevo di che sitrattava. Avevano sentito, e volevano scendere a fare un banchetto con la mia carne. Mi sonogirato rapidamente tornando verso la porta. Dietro di me ho sentito il rumore di uno (o più) diloro che cadeva dalle scale. Sembrava il rumore di un sacco della spazzatura pieno di fogliebagnate.

Sono corso verso la porta più veloce che potevo. Dopo aver oltrepassato la prima serie diporte, ho tirato fuori rapidamente un paio di cinghie nere e legato la porta. Sono corso verso laporta successiva (quella di ingresso) e ho fatto lo stesso. Sono di plastica dura. So che potrannosolo rallentarli. Sull’ultima ci ho messo quattro cinghie. Mentre me ne stavo andando, hosentito che avevano aperto la prima porta e iniziavano a colpire la seconda, che avevo appenachiuso. Ho iniziato a correre verso la torre. Sentivo i loro colpi, forti e frustrati, mentrecorrevo.

Poi è esploso un rumore di vetri infranti. Mi sono voltato e ho visto uno di loro che cadevadalla finestra del terzo piano. Tutto quel casino doveva averlo mandato su di giri. Sonotornato alla torre, ho corso su per le scale fino all’ultimo piano, dove stavamo io e John. Hobussato e detto forte a John di abbassare le luci e mettersi gli occhiali notturni. Dopo che lafessura di luce sotto la porta si è spenta, sono andato a vedere se l’essere che si era buttatodalla finestra mi aveva seguito.

Non c’erano sue tracce. La porta di sotto era chiusa. Lo sentirei se cercasse di entrare. Perora siamo al sicuro.

Ore 15:34John stava ascoltando la radio (negli ultimi giorni ha iniziato a sentire la depressione dovutaalla morte di sua moglie) e controllando i canali, e mi ha chiamato per dare un’occhiata a unacosa. Mi ha detto che c’era qualcosa che strisciava sotto uno degli aerei, ma adesso non lavedeva più. Ho afferrato il binocolo e controllato l’area che John mi stava indicando. Era ilcadavere che era caduto dalla finestra ieri notte. Camminava sulle braccia, trascinandosi le

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gambe a peso morto. Non mi piaceva molto l’idea di uscire e ammazzarlo e al momento nondava particolare fastidio.

7 febbraio

Ore 18:26Movimenti… li abbiamo notati io e John qualche ora fa. Da dove mi trovo adesso non riesco avedere se la porta dell’edificio dell’amministrazione è ancora chiusa. Ce ne sono molti di piùadesso, al confine ovest della recinzione. Sono uscito a controllare l’aereo per assicurarmi chefosse pronto per il volo, se ne avessimo avuto bisogno. Non ho potuto parcheggiarlo troppovicino alla torre dopo il nostro giro di ricognizione in città a causa dell’erba bagnata dovuta auna pioggia recente.

Ho lasciato l’aereo a 200 metri abbondanti dalla torre, ed è stato un viaggio andare acontrollarlo. Sono scivolato verso l’aereo senza incidenti. Non vedevo da nessuna parte lozombie che strisciava. L’autocisterna era a circa 40 metri dall’aereo. Mi sono diretto da quellaparte, e li ho visti. La posizione in cui mi trovavo prima mi bloccava la visuale. Ne ho contatidieci all’interno della recinzione, che camminavano attorno all’edificio dell’amministrazione.Non mi hanno visto, ma avrebbero visto l’autocisterna se avessi provato ad avvicinarlaall’aereo per fare rifornimento di benzina. Ho sentito una fitta allo stomaco al pensiero didover fare il pieno del velivolo al buio, ma non c’era alternativa.

Ore 21:00Ho preso gli occhiali per la visione notturna e le chiavi di riserva dell’autocisterna che io eJohn abbiamo trovato qualche giorno fa, e sono uscito nell’oscurità per riempire il serbatoiodell’aereo. Con il fucile pronto, sono scivolato lentamente attraverso la pista finoall’autocisterna, mi sono arrampicato al finestrino e ho guardato dentro (non si sa mai). Eravuoto. Ho aperto la portiera e messo in folle. Non ho mai provato a spingere un camion diquesta stazza, e adesso so perché. Semplicemente, non si può. Avrei dovuto accendere ilmotore. Immagino che le creature non possano vedere al buio, ma possono sentirmi.

Con riluttanza ho tirato fuori la chiave dalla tasca e l’ho infilata nell’accensione… ho esitatoun attimo e poi, rabbrividendo, ho schiacciato la frizione e il freno, e ho girato la chiave. Alsecondo tentativo il motore si è acceso, ho ingranato la marcia e sono andato verso l’aereo.Mentre andavo, ho azionato i comandi della pompa all’interno del veicolo, in modo che fossetutto pronto quando avessi finito.

Ho parcheggiato l’autocisterna, sono saltato fuori e ho iniziato a camminare verso l’aereo.Vedevo qualcosa che si muoveva a un centinaio di metri di distanza, nel prato. Ho regolato illivello di sensibilità degli occhiali e l’ho visto. Era il mostro che si trascinava per terra. Andavaverso la torre. Avrei dovuto occuparmi di lui tornando indietro.

È stato allora che sono partiti i flash di luce di John, dalla torre. Era un codice morse.

D…I…E…T…R…O…

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Mi sono girato e ne ho visti sei che si facevano strada verso il camion. Non avevo scelta. Hopreparato la carabina e sono corso verso l’aereo. Sono saltato sull’ala e ho iniziato a sparargli.Ne ho fatti fuori due e ne ho mancato uno.

Ho fatto attenzione a non sparare ai due che si trovavano sulla traiettoria diretta tra me e ilcamion. Dovevo farne fuori ancora due prima di potermi occupare con la dovuta cautela deglialtri. Ho sparato a un altro sulla testa. Si è aperta come un fiore che sboccia.

I lampi di luce che partivano con gli spari mandavano a puttane la mia visione notturna. Hodovuto regolare l’intensificatore. Mentre ne ammazzavo un altro con un colpo prima al collo epoi alla testa, la visione era molto più scura. Ce n’erano ancora due. I due (a cui era rischiososparare) si sono avvicinati. Erano vicini all’aereo e cercavano di arrampicarsi sull’ala. Hosparato alla spalla di uno di loro, che è caduto all’indietro. L’altro mi aveva quasi afferrato loscarpone, prima che lo abbattessi con un colpo alla testa.

Lo zombie che avevo ferito si è rialzato in piedi, ha messo le braccia in avanti, dirigendosiverso di me. Sembrava una specie di Frankenstein. Sono saltato giù dall’ala opposta rispetto adove si trovava e l’ho osservato mentre girava attorno all’aereo venendo verso di me. Era buio,e la creatura è andata a sbattere contro l’ala e la coda dell’aereo. Ho preso con attenzione lamira per evitare di fare danni all’aereo e ucciderlo con un colpo solo. La mascella gli èschizzata via dalla faccia, lasciando la lingua a penzoloni. Anche con la percezione limitata deicolori che avevo attraverso gli occhiali, era una visione rivoltante. Si è curvato indietro e hacontinuato a venire verso di me emettendo un gorgoglio. Ho sparato di nuovo a quel bastardo,mettendo fine alla sua miserabile esistenza.

Dopo aver trascinato per le gambe i cadaveri lontano dalla traiettoria dell’aereo, ho iniziatoa riempire il serbatoio. Ci ho messo circa 10 minuti per fare il pieno. Nel frattempo sentivo ilamenti dei morti viventi trasportati dal vento. I colpi di pistola li avevano attirati. Era unrumore terribile. Dopo aver riempito i serbatoi, sono tornato alla torre senza fare deviazioni. Edi nuovo lo zombie che strisciava non si vedeva da nessuna parte. Ma che cazzo… per ora sonoal sicuro dentro la torre. I gemiti continuano… un’altra notte con i tappi alle orecchie.

Pensiero della serata: ne ho uccisi sei… e con questo restano il monco e altri quattro di lorodentro la recinzione. Dove sono?

8 febbraio

Ore 18:22Stamattina sono stato svegliato dal rumore di colpi sul portone di acciaio al piano di sotto.Pareva che laggiù ci fossero un po’ di quegli esseri. Io e John siamo scesi in silenzio acontrollare. Dal rumore che c’era, i pugni che sbattevano contro la porta dovevano essere benpiù di uno. Attraverso l’acciaio si sentivano gemiti soffocati. Ho controllato che la chiusuratenesse. È l’unica porta di accesso alla torre.

L’unica altra via d’uscita è un volo di 70 metri dal balcone. Io e John abbiamo portato giùuna scrivania pesante e l’abbiamo messa davanti alla porta. Sono salito in cima e sono uscitosul terrazzo di osservazione. Non si vedeva bene sotto perché c’è una tettoia sopra la porta diingresso. Con il binocolo ho dato un’occhiata alla parte occidentale della recinzione. Ce nesono parecchi lì, ma il cancello tiene. Immagino che quelli che battono alla porta siano quelli

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rimasti dalla battaglia di ieri. Non voglio rischiare e aprire la porta adesso. Ma non so qualesia il modo migliore per liberarsi di loro.

9 febbraio

Ore 21:42I colpi sulla porta sono cessati la notte scorsa. Gli zombie che erano giù devono aver lasciatoperdere, probabilmente perché non ci hanno mai né visti né sentiti. Io e John ieri siamo rimastifermi e in silenzio per tutto il giorno. Non avevamo particolare bisogno di uscire, perchél’aereo adesso ha i serbatoi pieni, e abbiamo ancora sia acqua sia corrente.

Sono anche riuscito a farmi una doccia nel bagno al piano di sotto. C’è un lavandinoabbastanza profondo e una manichetta da giardino. Il pavimento è un pannello di plastica conuno scarico in mezzo e l’intera stanza è una specie di ripostiglio delle scope, così non ho fattoaltro che fissare la manichetta in alto per farmi una bella doccia. Ho dovuto usare unasaponetta al posto dello shampoo, ma alla fine si prende quello che passa il convento, oalmeno così dicono. Non mi radevo da qualche giorno, ed è stata una bella sensazione. Misono sentito rinascere dopo essermi lavato. Ho anche lavato delle cose (nel lavandino, con ilsapone), e le ho stese ad asciugare sulla ringhiera, per le scale. Ho detto a John della docciaartigianale che avevo allestito, ma non era molto interessato. Sta sempre peggio, pensa semprealla moglie.

Non ho piani a lungo termine, al momento. Il mondo adesso non è più lo stesso. L’aereo aturboelica può fare più di 400 miglia, il che ci offre diverse possibilità. Oggi ho riflettuto sullaeventualità di mettermi in contatto con quello che era rimasto dei militari. Però avrei difficoltàa rispondere alla domanda che mi farebbero subito, e cioè: “Come sei sopravvissuto alla base,figliolo?” Mi sento quasi in colpa per non essere morto con i miei compagni. Mi ricorda unepisodio macabro a cui ho assistito prima che questa merda incominciasse. Si trattava di unsottomarino della marina affondato, cui solo una persona è sopravvissuta. Il marinaio sisentiva in colpa, e continuava a vedere in sogno i suoi compagni morti che lo chiamavano negliabissi.

Spero di non fare sogni stasera.

10 febbraio

Ore 23:50La recinzione a ovest potrebbe cedere. Lì attorno ce ne sono a centinaia. Le luci della città lihanno portati qui. In questo momento non vorrei proprio essere in giro a Corpus Christi. Hopassato la maggior parte della giornata col binocolo, studiando i loro movimenti. Ho vistodegli uccelli che si avventavano contro alcuni di quelli. Uno non aveva le braccia, e due uccelligli si erano appollaiati sulle spalle e gli mangiavano la carne dalla testa. Il cadavere si limitavaa digrignare i denti, cercando di morderli senza successo. Gli sta bene a quel bastardo.

Io e John stiamo cercando di capire cosa fare adesso, perché la sicurezza della torre ci hacullati in un illusorio senso di protezione. A causa della distanza limitata che può compiere

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l’aereo, e il fatto che alcune zone siano radioattive (immagino), è dura prendere una decisione.Non so guidare l’elicottero, e quindi, se trovassimo un’isola, avrei bisogno comunque di unterreno abbastanza lungo e semipianeggiante dove atterrare. Ormai è passato un mese daquando sono apparsi i primi morti viventi. Noto segni di decomposizione in alcuni di loro,mentre altri sembrano delle new entry.

Mi chiedo che effetto abbiano le radiazioni su di loro. So per certo che per noi sarebbenocivo anche solo toccarle, ma quali saranno gli effetti su di loro? Le radiazioni uccidono ibatteri che fanno marcire i cadaveri in modo naturale? Mi vengono i brividi al pensiero che lebombe possano avere portato più danno che beneficio. Stiamo finendo le scorte di cibo. Forsece ne restano per una settimana, ma non sono pronto a rischiare la vita per prenderne altre,perché sono sicuro che ci siano molte creature all’interno della recinzione.

Già da un pezzo ormai cerco di combattere lo shock per quello che è successo, e non soquanto resisterò ancora, prima di crollare. Credo che sia il corso naturale delle cose e sperosolo di non uscire di testa nel momento sbagliato. John non sta affatto meglio. Ho giocato unpo’ con Annabelle oggi, ne aveva bisogno. È un bravo cagnolino. Sente in qualche modo chesiamo allo stremo, ma non sa come aiutarci. Io e John abbiamo pensato che è bene che ilperimetro sia sempre controllato e ci daremo dei turni. Vado a riposarmi, cosa da nonconfondersi con il dormire. Il mio turno inizia tra quattro ore.

11 gennaio

Ore 17:13Facendo una variazione al nodo piano, ho legato insieme tre pezzi di una corda di nylon da 30metri per fare una sorta di fune utile per scappare in caso di necessità. Fare dei nodi ognimetro (più i nodi di raccordo) ha accorciato un po’ la lunghezza totale (circa 90 metri), matocca comunque terra se la lego al balcone e la lancio giù. Sono quasi sicuro che quegli esserinon siano in grado di arrampicarsi, ma ad ogni modo ho tirato su la corda e l’ho lasciata benarrotolata fuori dalla porta del balcone, legata a una robusta tubatura esterna.

La recinzione tiene ancora, ma solo perché quelli non hanno nessuna prova che ci sia delcibo all’interno. Immagino che se ci vedessero, o capissero che siamo qui, potrebberofacilmente buttare giù la rete, facendoci passare una brutta giornata. Siamo, credo, troppolontani dalla recinzione occidentale perché possano vederci. Oggi ho pulito le armi e ho fattovedere a John come si usa il CAR-15. Ho anche notato che c’è un accesso al tetto della torre.Probabilmente è stato fatto per gli addetti alla manutenzione delle varie antenne e dei fari. Misono arrampicato lassù. È ad almeno 3 metri dal balcone.

Sarà all’incirca un mese che non viene fatta la regolare manutenzione, così oggi sono uscito,per arrivare furtivamente all’aereo e ho tirato fuori i paracadute, sia del pilota sia delpasseggero, per assicurarmi che fossero a posto. Se accadesse qualcosa al motore, almenoavremo una possibilità di salvarci. Non ho visto nessuno degli zombie che vagano liberamentedentro al perimetro (sono almeno quattro, più quello che striscia). Non che li stessi cercandonaturalmente. Ho portato i paracadute alla torre. Dopo una buona ispezione visiva mi sonosentito meglio all’idea di riprendere il volo (sull’aereo numero 07), quando sarà il momento.Ho continuato a guardare verso ovest, per assicurarmi che le barriere reggano.

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12 febbraio

Ore 19:13Ci sono alcuni uccelli morti sul lato interno della recinzione occidentale. Li ho visto oggi colbinocolo. Ne ho contati sei in tutto. Non sembrava che fossero stati mangiati, sembravasemplicemente che fossero morti lì. Sono per terra, a circa un metro dalla rete, con la massa dizombie che si muove al di là. Non saprei di che tipo di uccelli si tratti. Sono neri, il che escludequasi tutti gli uccelli da preda. Non è una cosa molto importante, credo, ma continuo apensare agli uccelli neri che erano appollaiati sulle spalle dello zombie e che ne mangiavano lacarne. Oggi non è successo niente di che. La recinzione tiene ancora.

Stasera uscirò a stipare un po’ di scorte di cibo e munizioni nella zona di carico dell’aereo.Cercherò di fare tutto in silenzio e starò molto attento agli zombie che si aggirano all’internodel perimetro. C’è solo una cosa che attira queste creature, ed è la carne viva. Non li ho maivisti cercare di mangiarsi a vicenda. Qualcosa probabilmente li attira da qualche altra parteall’interno del perimetro. Annabelle dorme. Vorrei essere senza pensieri, adesso, proprio comeun cane. L’ignoranza è una benedizione.

Ore 21:22Sto tremando. È da quando ero bambino che non avevo paura del buio, e le vecchie paure misono tornate tutte stasera. Ho caricato le cose sull’aereo. Fuori era nuvoloso e la luna si vedevaappena, quindi era abbastanza scuro. È stato allora che i miei occhiali notturni si sono spenti.Avevo delle batterie dietro, nel caso in cui le altre si esaurissero, ma non pensavo sarebberodurate così poco. Sono andato a tentoni nel buio. Ero a più di 100 metri dalla torre. Me nestavo lì al buio cercando di capire come inserire le batterie, e continuavo a sentire rumori dipassi strascicati. La mente mi stava giocando brutti scherzi.

Cominciavo a sentire il panico. Finalmente sono riuscito a inserire le pile, mi sono cacciatogli occhiali sulla testa e ho aggiustato l’intensificatore. Quando l’immagine verde è tornata, hocontrollato la recinzione. Niente. Mi sta salendo la merda al cervello. Sono corso alla torre,sono salito su per le scale e mi sono seduto lì. John stava guardando una delle cartine cheabbiamo trovato qualche giorno fa. Mi sono messo dietro di lui e ho visto che aveva fatto uncircolo attorno a un posto, “Mustang Beach”. Non è molto lontano da qui.

13 febbraio

Ore 20:13Fuori fa buio ed è molto freddo, specialmente quassù sulla torre. Credo che se accendessimo leluci si riscalderebbe un po’, ma attirerebbe anche le creature dalla parte ovest della recinzione.Sono sicuro che le vedrebbero. Sono salito sul tetto quando è calato il sole e ho ammirato lestelle. Non si vedeva nessuna luce all’interno del perimetro (io e John le abbiamo spente tutte

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quando i morti hanno iniziato ad ammassarsi sul lato ovest), e così la Via Lattea eraperfettamente visibile.

Credo che John stia uscendo dal suo stato depressivo e si stia riprendendo. Oggi è venuto ingiro con me. Non siamo usciti dalla torre, ma devo assolutamente riportare all’aereo iparacadute in modo che non avremo troppo da caricare quando partiremo. Sono ancora unpoco nel panico per via dell’altra sera, e credo che rimanderemo ancora per un po’. Midomando ancora perché le creature stiano al confine ovest e non dalle altre parti. Non soquanto darei per del vero cibo. Quando oggi monitorava la radio, John ha sentito alcunetrasmissioni da un aereo della Air Force che controllava la zona. Una delle cose più interessantiche John ha notato, e che mi ha un po’ inquietato, è che il pilota è dovuto tornare indietro perrisparmiare carburante. Il pilota ha commentato che giù alla base avevano risorse limitate.Questo mi conferma che stanno razionando il carburante, e che quindi sono confinati in unazona dove non ne hanno. Il governo (o quello che ne è rimasto) è intrappolato, proprio comenoi.

L’idea di un’isola al largo del Texas è sempre più allettante. L’unico problema è che saràdifficile procurarci del cibo, visto che saremo solo in due ad andarne in cerca.

14 febbraio

Ore 14:40La rete della recinzione si sta piegando all’interno e non so per quanto reggerà ancora.Dobbiamo partire oggi, o potremmo non farcela mai più. La manica a vento sventola da est aovest, verso la pista. Prenderemo il volo non appena possibile.

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Torre

15 febbraio

Ore 22:43La situazione è terribile. Ho smesso di sanguinare ma mi gira ancora la testa da tutto il sangueche ho perso. Deve essere stato mentre ieri stavo scrivendo il diario, che hanno sfondato larecinzione. Non mi sono accorto che erano entrati nel perimetro fino alle 14:45, e allora eragià troppo tardi. Io e John li abbiamo visti. Circa 100 metri di recinzione sono venuti giù eloro sono entrati nella pista come delle formiche.

Abbiamo radunato tutto il necessario (quello che pensavamo ci servisse) e abbiamo iniziatoa scendere per saltare sull’aereo e andarcene. Quando abbiamo raggiunto il fondo della torre eaperto la porta, ce n’erano quattro ad aspettarci. Abbiamo richiuso la porta e ci abbiamomesso davanti la scrivania che avevamo portato giù qualche giorno fa.

Eravamo dei cazzo di topi in gabbia e quei bastardi lo sentivano. Nel giro di poco sisentivano i gemiti di centinaia di quegli esseri, e sono iniziati i colpi al portone. Questa torre èalta più di 70 metri e ha una sola via d’uscita. Sono andato sul balcone e i miei sospetti sonostati confermati.

Almeno trecento di loro erano accalcati davanti alla porta e attorno alla torre. John hamesso la museruola ad Annabelle, perché stava iniziando a impazzire. Ho preso la corda pervedere dove sarebbe caduta se l’avessi lanciata. Niente da fare. L’ho ritirata sul balcone,perché purtroppo non c’era modo di calarsi giù senza che almeno cento di loro ci vedessero e ciprendessero prima ancora di aver toccato terra.

A quel punto la situazione è peggiorata. Sentivamo dal rumore dei colpi che la porta diacciaio stava per cedere, e la massa si stava facendo strada per entrare. Ho guardato John e gliho detto: “Non sono ancora pronto per morire”. E lui ha risposto: “Neanch’io”. Abbiamopreso le scale che portavano alla porta e abbiamo iniziato a buttare giù tv, tavoli, sedie.Questo ci avrebbe dato almeno un po’ di tempo in più. Poi abbiamo chiuso la porta... che,grazie a Dio, si apre verso l’esterno.

La porta del piano di sopra non è resistente come quella di sotto che dà sulla pista. Nonappena abbiamo chiuso la porta e ci abbiamo messo davanti gli ultimi tavoli rimasti, abbiamosentito sulle scale il suono metallico di scarpe eleganti. John ha messo Annabelle nel suo zaino,lasciandole fuori il muso. Ho fatto cenno a John di salire su per la scala a pioli e aspettarmi lì.Gli avrei passato le provviste.

John si è messo sull’ultimo piolo della scaletta, con Annabelle nello zaino, che sentiva lanostra paura e mugolava. Per prima cosa gli ho passato le cose più importanti... i dueparacadute, che non ho mai rimesso sull’aereo! Poi gli ho passato una confezione da sei dibottiglie d’acqua, gli occhiali per la visione notturna, e qualche scatola di cibo precotto. Misono sentito di passargli il mio piccolo pc portatile. Infine, tutte le armi e la maggior parte

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delle munizioni, anche se non sarebbero mai bastate per farli fuori tutti.Erano arrivati alla porta di sopra. La porta ha una piccola finestra verticale rettangolare, di

circa 15 o 20 centimetri. Vedevo la faccia ghignante di uno di quelli attaccata al vetroinfrangibile, mentre cercava di guardare dentro. Quando mi ha visto ha iniziato a colpire laporta e a gemere, e gli altri lo hanno imitato. John è salito sul tetto e l’ho seguito. C’era ventoforte come il giorno prima. Questa forse era una buona cosa.

John si è tolto dalle spalle lo zaino col cane e se lo è messo sul davanti. L’ho aiutato amettersi il paracadute, e, servendomi delle cinghiette a cerniera, gliel’ho fissato più stretto chepotevo, cercando allo stesso tempo di non impedirgli troppo i movimenti. Gli ho fatto vedere agrandi linee come liberarsi dal paracadute una volta toccata terra.

Gli ho spiegato che era molto importante che slacciasse le due cinghie interne prima diquella sul petto. Ha annuito, così mi sono chinato e ho preso il mio paracadute. Si è sentito dasotto un rumore di vetri rotti, segno che avevano spinto il vetro della finestrella giù dallaporta. Mi sono augurato che non fossero in grado di arrampicarsi su per le scale a pioli. Con ilgancio dello zaino mi sono fissato il fucile sul petto attaccandolo al gancio a forma di D cheavevo sul davanti. Il coltello era fissato alla cintura in modo che fosse a portata di manoappena avessi toccato terra.

Io sarei saltato per primo... a quel punto abbiamo sentito il rumore del tavolo di legno cheveniva scaraventato sul pavimento. Non c’era modo di chiudere la porta di accesso al terrazzodall’esterno. Era molto semplice... se erano in grado di arrampicarsi, sarebbero arrivatiquassù. Ho dato un’ultima istruzione a John... “Tira le maniglie per rallentare la discesa aterra”, e gli ho fatto vedere a gesti cosa intendevo.

John mi ha guardato mentre mi avvicinavo all’angolo del tetto. Sentivo i rumori di quelli chesi muovevano al piano di sotto, cercando di scovare la preda. Vedevo la porta del balcone cheveniva aperta, e poi, due, cinque, dodici di quelle creature che camminavano sul balcone, disotto. Per qualche motivo non sembravano decomposti come pensavo che fossero. A quelpunto probabilmente c’erano almeno duecento morti viventi dentro la torre.

John si è sporto e li ha visti. È diventato bianco dalla paura. Non era solo il pensiero diessere mangiato vivo... ma il pensiero di lanciarsi dalla torre, rompersi le gambe e non avereneanche la possibilità di combattere... sapevo che stava pensando a questo. Perché io pensavola stessa cosa. In quel momento il portello di accesso al tetto si è spalancato, per poirichiudersi di scatto... clang... clang.. La fede nuziale della creatura sbatteva sul portello, cheiniziava ad aprirsi di qualche centimetro sotto i colpi di quella mano... per poi richiudersi. Peruna frazione di secondo ho visto quella mano bianca, prima che il peso del portellone larispingesse indietro. C’erano quasi, cazzo.

In qualche modo sono riuscito distogliere l’attenzione di John da quello che stavasuccedendo e gli ho mostrato come tirare l’anello per il paracadute frenante, che è un piccoloparacadute che segue il vento e fa chiudere quello principale. Il paracadute frenante si apre conuno scatto forte: se tiri la levetta e si apre, segue la direzione del vento e mette l’altro fuoriuso. Ho lanciato un’occhiata alla manica a vento, lontana sulla pista... era il momento giusto.Ho guardato giù. Ce n’erano molti, ma la maggior parte doveva essere nella torre. Ho tirato lalevetta e mi sono messo sul ciglio, in modo da non cadere prima che il paracadute si aprisse.

Il vento ha investito il paracadute principale e mi ha letteralmente strattonato per aria. Hovisto il portellone del tetto che si spalancava e veniva scardinato, e ho sentito il frastuono cheha fatto quando è stato scaraventato sul pavimento del tetto. John era dietro di me. Le

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creature sul balcone ci hanno visto saltare e hanno iniziato quasi a urlare. Ho guardato su e hovisto che avevano le braccia tese per cercare di afferrare la cima del mio paracadute.

C’erano finestre ogni pochi metri sulla tromba delle scale... quei bastardi si erano messi unosopra l’altro per cercare di arrivare in cima. Molti di loro erano in uniforme militare. Primapensavo che fossero duecento, ma erano molti più. Dal modo in cui erano accalcati per lescale, saranno stati almeno mille. Sono fluttuato lentamente verso terra, per un tempo chesembrava eterno. Ogni finestra che vedevo, scendendo, era come una fotografia, o, volendo, unquadro di Picasso, che raffigurava sempre la stessa cosa: facce morte e membra ammassateinsieme... poi sono tornato alla realtà, e ho toccato terra. Non è stato un atterraggio soffice,ma non mi sono rotto niente. Mi sono subito slacciato il paracadute e ne sono scivolato fuori.Ho estratto il coltello e ho aspettato che anche John toccasse terra. Le creature si stavanoavvicinando.

Appena John è atterrato ha cercato di liberarsi del paracadute. Non volevamo che il vento citrascinasse in mezzo a un gruppo di quelli. L’ho dovuto aiutare a tagliare via le bardature dinylon. Ho detto a John di tenere una delle estremità del paracadute. Poi siamo corsi versol’aereo passando attraverso a un gruppo di quelle creature.

John ha capito cosa avevo in mente. Ne abbiamo arrotolati nel paracadute almeno unadecina girandogli intorno con i pezzi di stoffa. Per fortuna eravamo atterrati a 50 metridall’aereo. Abbiamo corso più veloce che potevamo. Nell’agitazione del momento, il cane èscivolato fuori dallo zaino. John era davanti a me, e così ho raccolto io Annabelle mentrecorrevo. Era così spaventata che ha cercato di salirmi in testa. Non la posso biasimare, cazzo.Ho sentito il calore dell’urina che mi scendeva sui vestiti. Si era pisciata addosso.

Siamo arrivati all’aereo, ho spalancato il portellone della cabina e ho gettato la roba sulsedile di dietro. John e Annabelle sono saltati sul retro. Ho detto a John di allacciarsi lecinture. Mi ricordavo la sequenza di partenza, e per abitudine ho detto tutto ad alta vocementre la eseguivo...

*ora che ci penso, forse ero io che mi pisciavo sotto...

1. orologio

2. accensione

3. batteria sopra i 10 volt

4. accensione luci di ignizione

5. pressione dell’olio

7. N1 sopra il 12 per cento

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8. regolazione della leva di comando

9. dare l’ok al personale di terra

Quasi mi sono messo a ridere a questo punto. Non c’era personale di terra. Anche se erosicuro che il bastardo era là fuori a cercarci. Ho aumentato il flusso del carburante nel motorecon la leva di comando e ho sentito che il propulsore iniziava a prendere aria.

Non credo che avrei potuto evitare quello che è successo dopo. C’erano cinquanta di loroche si stavano radunando attorno a noi. Non potevo far altro che cercare di mettermi inposizione di decollo. Uno di loro, davanti al muso dell’aereo, è andato verso l’elica. Mi sonosempre chiesto che rumore avrebbe fatto tranciare un corpo umano, e ora lo so: come ungrande frullato di verdure. Il cadavere ha perso tutta la spalla sinistra. Ho controllato i giri delmotore. Erano scesi leggermente ma si sono ripresi subito a 2200. Non volevo colpirne altri.Con i pedali ho mosso avanti e indietro il muso dell’aereo per liberarmi degli zombie e misono messo in posizione, colpendone qualcuno ma solo di sfuggita.

Ho controllato la pressione del carburante. Era ok. Tutto era in verde. Ho spinto la leva allamassima potenza e ho iniziato ad avanzare per decollare... l’indicatore di velocità aereasegnava 50 nodi... 65...70 nodi... ne ho falciato un altro con l’ala sinistra, colpendolo al fianco(almeno questo) prima di arrivare a 80 nodi. A 85 nodi ho tirato indietro la leva ed eravamo inaria. John si era già legato il casco. Ho afferrato quello che avevo sulle gambe e me lo sonoinfilato. Ho controllato con John il sistema di comunicazione interna. Stava dicendo qualcosa,ma dal modo in cui parlava (e anche dalle sue labbra blu, che vedevo nello specchiettoretrovisore) si capiva che era in stato di shock.

La cosa peggiore di tutto questo è che non sapevamo veramente dove andare. Quandoabbiamo decollato ho guardato la torre. Il tetto era pieno di quegli esseri, e si buttavano disotto, come dei lemming. Cercavo di guidare il velivolo e contemporaneamente guardare lacartina. L’aereo sobbalzava su e giù e ho sentito che John iniziava ad avere mal d’aria. C’eraqualcosa di comico in quella situazione, ma non volevo ridere di lui. Ho notato una piccolapista aerea abbandonata chiamata “pista di atterraggio di Matogarda Island”, circa a 65miglia a nord-est da dove eravamo. L’ho segnata velocemente sulla carta con una penna rossa.Pareva che ci fossero molte isole da quelle parti, e non era lontano da Corpus, quindiprobabilmente c’era ancora energia.

Abbiamo volato verso nordest per circa 20 minuti a 180 nodi di velocità, quando a un certopunto ho iniziato ad avere problemi all’elica. Il motore era a posto, ma l’elica continuava aperdere l’angolo di incidenza e così non riusciva a prendere molta aria. Nel giro di poco, hainiziato a mettersi in bandiera. Sapevo che questo in qualche modo aveva a che fare con lozombie tritato prima. Non avevo scelta. Dovevo planare, perché il controllo dell’inclinazioneprobabilmente stava perdendo pressione. Ho abbassato il propulsore con la leva di comando eho fatto scendere il motore fino a trecento piedi-libbra di coppia.

Secondo la cartina la pista era nelle vicinanze, ma non la vedevo. Sono sceso a 900 metri pertrovare un modo di planare decentemente. La zona sotto di me sembrava turistica, con moltialberghi che si affacciavano sulla spiaggia. Grazie a Dio eravamo in febbraio e non in altastagione. A questo punto dovevo fare una scelta. O cercavo un altro posto dove atterrare, o

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fanculo, sarei atterrato per strada. Alcune di quelle creature erano già visibili sotto di noi, manon era niente rispetto alla situazione da cui stavamo scappando. Non avevo molto tempo adisposizione senza una buona elica. Dovevo atterrare. Ho tirato la leva indietro e a sinistra,spinto un piccolo timone a sinistra e planato cercando di tenermi parallelo alla strada cheavevamo sotto. Muso in giù, ruote in giù. Appena mi sono avvicinato alla strada ho rialzato ilmuso e ho toccato terra con le ruote di atterraggio principali.

Ho schiacciato i freni e provato a guidare le ali in modo da non colpire i pali del telefono.Avevamo ancora un bel po’ di benzina nei serbatoi e volevo evitare di colpirli e ritrovarmi conle ali in fiamme. Lungo la strada, ho preso una di quelle creature con l’ala destra, facendolapiegare in due. L’avevo colpita così forte che era morta all’istante, lasciando la macchiamarrone del cervello sull’ala. Ho controllato la velocità, ero a cinquanta nodi... ho rallentatofino a fermarmi. L’area subito davanti a noi era sgombra.

Ho fatto segno a John di uscire. Ho lasciato il motore acceso, in modo che il rumorecoprisse la nostra fuga... abbiamo preso la nostra roba e seguito l’indicazione che diceva“Porticciolo di Matagorda Island”.

E adesso siamo qui...Mi sono squarciato una gamba con il paraurti di un’auto distrutta dopo 5 minuti che

correvamo. È stato piuttosto faticoso (almeno un miglio di strade, lungomare e cortili) ma cisiamo. È un porticciolo di dimensioni piuttosto discrete con un grande traghetto e un negoziodi souvenir. L’elettricità funziona ancora. Il porticciolo è abbandonato. Pare che il capitano delporto si sia suicidato. Il suo cadavere gonfio era piegato su un bancone della reception, conquello che restava del suo cervello sparso su un calendario di gennaio. La tv era ancora accesa,ma sullo schermo c’erano solo dei puntini bianchi.

15 febbraio

Ore 19:12Sono molto debole oggi. Se non fosse per John, sarei morto. Annabelle dorme accanto a me. Èbuio fuori e sono stato tutto il giorno in stato semicosciente. La ferita alla mia gamba ha fattoinfezione e ho bisogno di antibiotici. Nel bancone del capitano del porto abbiamo trovato delwhisky. Per la maggior parte del giorno mi è stato utile come disinfettante, e anche comeantidolorifico. Domani John uscirà da solo a cercarmi medicine per l’infezione. Al momentonon siamo in pericolo. Ieri ho sentito il motore dell’aereo restare in moto per almeno 2 oreprima di spegnersi. Non importa, è da buttare comunque adesso, perché sono sicuro che nonc’è rimasto alcun essere vivente in grado di aggiustarlo.

17 febbraio

Ore 22:20Oggi mi sento meglio. Abbiamo sentito in lontananza un motore che sembrava quello di unamoto da cross. John ha trovato un kit da pronto soccorso sul traghetto qui vicino. Non c’eranoantibiotici, ma avevano dei prodotti per uso locale. Tengo la ferita pulita, la lavo diverse volte

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al giorno e ci metto su la crema. Pare stia funzionando. La ferita è solo molto rossa einfiammata. La scorsa notte abbiamo sentito alcuni rumori nel buio. Con gli occhiali notturniabbiamo provato a capire cosa fosse, ma alla fine era solo un procione in cerca di cibo.Domani proverò a camminare per non irrigidirmi troppo. Io e John dobbiamo ispezionarequesta zona, perché siamo al sicuro solo temporaneamente.

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Il guerriero oscuro

18 febbraio

Ore 23:02Di tanto in tanto si sentono degli spari. Abbiamo ricevuto una chiamata di emergenza dallaradio del porto che proveniva da una famiglia nei sobborghi di Victoria, in Texas (a 50 migliada qui). Il segnale era debole e abbiamo provato a rispondere, ma non ci sentivano e hannocontinuato a trasmettere il messaggio in continuazione. Ci ho pensato un po’ ma poi hoconcluso che non vale la pena fare un viaggio di 50 miglia attraverso un territorio ostile incerca di un gruppo di persone che al nostro arrivo potrebbero essere già morte. È triste. Primaero più compassionevole e cavalleresco. Forse dopo che hai visto capitare cose orribili a moltebrave persone, non hai più voglia di fare la parte del buono. Sono intrappolati in una soffittacon quelle creature che scorrazzano sotto di loro. Penso di sapere chi resisterà di più in quellasituazione.

Immagino che abbiano portato tutte le cose essenziali in soffitta quando è scoppiato tuttoquesto casino. C’è qualcosa che mi sta divorando, come se quel che resta del vecchio me stessomi stesse ordinando di fare qualcosa. O forse mi è solo rimasta una coscienza. Ma ne dubito.

Adesso riesco a camminare, ma non a correre. Io e John abbiamo tolto la catena che tienelegata la rampa di accesso al porticciolo. Abbiamo trovato della corda nella lavanderiadell’ufficio della marina e l’abbiamo usata per costruire un sistema di ponte levatoio. Ciabbiamo pensato oggi. Quando siamo qui, possiamo semplicemente tirare la corda e la rampagalleggiante prende il largo dal porticciolo, rendendo più difficile a quei bastardi raggiungerci.Spero che non sappiano nuotare.

19 febbraio

Ore 15:24Stiamo facendo diversi progressi nel mettere al sicuro questo posto. Ci sono molte piccolebarche nella marina e io e John abbiamo portato qui quelle che pensiamo valgano qualcosa.Voglio controllarle tutte insieme, in modo da evitare di accendere i motori in momenti diversifacendo troppo casino. Stamattina ho visto un gruppo di otto cadaveri ambulanti che passavalungo la strada a circa 50 metri dalla riva. L’unica cosa che mi ha preoccupato è che simuovevano più velocemente delle creature che abbiamo visto finora. Non stavano correndo néfacendo jogging, ma non stavano neanche camminando. Mi è venuto un colpo quando honotato la velocità a cui andavano.

Ho attraversato la passerella che porta al traghetto ormeggiato nel porticciolo. È un

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traghetto di medie dimensioni su cui possono stare circa venti macchine. Immagino che lousassero per attraversare il canale che porta alla terraferma, in Texas.

Sono salito sul ponte superiore a fare un controllo. Ho trovato un set di binocoli (avevolasciato i miei alla torre) e li ho usati per cercare di localizzare il gruppo di morti. Hoguardato su e giù lungo la spiaggia e controllato le finestre degli alberghi. Nessun segno divita. Ho contato cinque finestre al quinto e al sesto piano dell’albergo più vicino (l’Hotel deBlanc) che avevano degli occupanti. Morti viventi che stanno marcendo, e che non uscirannomai dall’albergo.

Questi binocoli sono stati pensati per il servizio marittimo. Sono larghi, pesanti e hanno uningrandimento molto potente. Non sono adatti da portare in giro, ma sono ottimi percontrollare la zona. Tre di quei mostri se ne stavano alla finestra a guardare fuori. Uno di lorosembrava quasi che mi fissasse. Gli altri due pareva che stessero camminando per la stanza. Michiedo come siano morti.

La mia gamba sta molto meglio adesso e penso che tra un paio di giorni sarò in grado dicorrere. Oggi abbiamo finito il cibo, quindi per ora scassineremo le macchinette del caffèfinché non riuscirò di nuovo a correre. Poi andremo in cerca di cibo. Sono riuscito a recuperaresolo 500 proiettili per il CAR-15. John ne ha un migliaio per la sua .22 semiautomatica.

Ore 22:23Mezz’ora fa ho sentito un rumore. Ho messo gli occhiali per la visione notturna e mi aspettavodi vedere un altro procione. Ma questa volta c’era dell’altro. Quattro di loro stavano sulla rivae guardavano nella nostra direzione. In genere non fanno rumore. Se ne stanno semplicementelì a dondolare le braccia vicino all’acqua in modo sinistro. Io e John cerchiamo di essere piùsilenziosi che possiamo. Tengo gli occhiali spenti per non consumare la batteria, ma ogni voltache le onde si infrangono sul pontile della marina mi immagino che stiano nuotando verso dinoi.

20 febbraio

Ore 18:54Ieri sono stato sveglio tutta la notte. La nebbia sull’acqua ha reso impossibile vedere laspiaggia dopo mezzanotte. Stamattina, quando il sole è sorto e ha spazzato via un po’ dellanebbia, ho provato a cercarli. Sentivo dei rumori in lontananza. Sembrava che qualcuno stessepassando su alcune lattine. La mia gamba sta molto meglio. Oggi abbiamo pranzato concaramelle stantie e bevande delle macchinette. Il che mi fa pensare... probabilmente non cisaranno più lattine di questa roba. È un po’ deprimente. Avrò presto bisogno di un orologio,perché la batteria di questo ha più di due anni. Credo che la metterò nella lista delle cose “darubare”. Anche se qualcuno potrebbe dire che rubare per sopravvivere non è davvero rubare.Secondo me sono solo dettagli. Non intendo svaligiare una gioielleria, ma prendere le cose chepossono aiutarmi a sopravvivere.

Passando a questioni più leggere, io e John abbiamo trovato una stazione radio che ancora

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trasmette musica. Peccato che è automatica e manda la stessa solfa ogni dodici ore. Ma fa beneall’umore e sono contento che funzioni ancora. Puoi quasi immaginarti che sia in diretta.Aiuta... almeno un po’.

21 febbraio

Ore 8:00Abbiamo un disperato bisogno di cibo. Abbiamo acqua in abbondanza, qui alla marina, neldistributore, ma al momento viviamo di caffeina e zucchero. Ci sarebbe molto utile una mappadettagliata di questa zona, anche se andare a prenderla potrebbe rivelarsi fatale. Prima,stamattina, il sole stava sorgendo sopra la nebbia, e si sentivano e vedevano parecchi di quelliche camminavano sulla strada di fronte al porticciolo del traghetto. Era come se si attraesseroa vicenda grazie al rumore che loro stessi facevano. Non vedevo quanti fossero, ma dal casinoche facevano sembravano a centinaia.

Io e John abbiamo preso la barca migliore tra quelle che abbiamo provato qualche giorno fa.Ho controllato il serbatoio e ho visto che era pieno a ¾. C’è una pompa di benzina alporticciolo, così ho deciso di vedere se funzionava ancora. Sono stato nell’ufficio della marinae ho cercato l’accensione della pompa. Quello della numero due era ancora acceso.

Sono andato alla pompa due per fare il pieno alla barca, ma non ho avuto fortuna. Lapompa funzionava, ma non usciva benzina. Doveva essere stata prosciugata quanto è scoppiatoil casino. Sono tornato dentro per accendere la pompa uno. Ho preso l’erogatore e l’hoprovato a schiacciare per vedere se usciva qualcosa. Il liquido color arcobaleno è uscito dopopochi secondi, coprendo la superficie dell’acqua. In altri tempi questo mi sarebbe costato unamulta. Dopo poco il serbatoio era pieno. Ho trovato un paio di fusti di plastica vuoti, li horiempiti e li ho messi sulla barca.

John è tornato indietro, ha preso il mio fucile e l’ha tenuto puntato verso la spiaggia mentreio lavoravo. Non sappiamo ancora che rapporto e che capacità abbiano quelle cose in relazioneall’acqua. Ieri, mentre ascoltavamo la trasmissione di musica all’ultima radio dell’umanità, ioe John abbiamo trovato una piccola scatola di metallo per le chiavi accanto allo scaffalenell’ufficio dell’amministrazione. Tutte le imbarcazioni hanno un numero di registrazione sullato dello scafo, così non è stato difficile trovare la chiave giusta. Ho trovato quella con scritto‘Shamrock 220’ e sono andato a fare un tentativo di accensione.

La poppa si era spostata e la prua era di fronte all’ufficio amministrativo. Il nome dellabarca era dipinto sul retro, su uno stendardo a forma di semicerchio. Era la “Bahama Mama”.Sono saltato a poppa e sono andato al volante per inserire la chiave. John era ancora sedutosul pontile, con lo sguardo rivolto verso la fila di alberghi e la strada. Il motore si è accesosenza difficoltà al secondo tentativo. L’ho lasciato acceso per circa 5 minuti.

Mi sono seduto sorridendo a John per la fortuna che avevamo avuto. Ho girato la chiave inposizione “off”. Appena il motore si è spento abbiamo sentito i rumori che prima stavamocoprendo. Era come se la folla di un intero stadio di football stesse gemendo in modo sinistro el’eco rimbombava su tutte le costruzioni dell’isola. Potevamo sentire la reazione di Annabelleda dentro la marina. Il rumore la innervosiva e i peli sul dorso le si erano rizzati. Ora che nonci sono più dubbi sul funzionamento del motore è tempo di pianificare un viaggio per cercare

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cibo. Partiremo domattina.

22 febbraio

Ore 4:03Nel corso della giornata di ieri, sulla spiaggia ne sono arrivati almeno una cinquantina, incerca della nostra carne. C’è qualcosa che non quadra però. A un certo punto si erano ridotti acirca venti. Bahama Mama & Co. partono in cerca di cibo.

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Esodo del Bahama Mama

23 febbraio

Ore 20:05Ieri sera, con gli occhiali per la visione notturna, ho approntato la barca per la partenza distamattina. Erano circa le 4:30 quando ho iniziato a caricare sulla barca caramelle, bottiglied’acqua, munizioni e i contenitori extra di benzina. Ho portato anche un piede di porco nelcaso in cui dovessimo forzare qualche porta. John stava preparando un rifugio per Annabelle.Era pericoloso portarla con noi. Sarebbe stata bene qui, dentro i confini del nostronascondiglio galleggiante. La solita ventina di morti viventi camminava lungo la costa, resiciechi dal buio della notte, e speravano di avvistare un bagliore emesso dalla loro preda. Hotrovato alcuni remi di plastica dentro al capanno della manutenzione e li ho caricati sullabarca (non si sa mai). Ci siamo imbarcati e ho sciolto la corda. Ho acceso il motore con unacerta riluttanza e ho controllato i movimenti sulla spiaggia. Alcune di quelle creature siagitavano convulsamente e due erano entrate nell’acqua fino alle ginocchia. Il fatto che la loropaura per l’acqua stia diminuendo mi ha fatto gelare il sangue nelle vene.

Quando siamo usciti dal porto mi sono diretto verso ovest. Ho trovato una cartina per lanavigazione marittima nell’ufficio del porto. Peccato che non c’era anche una mappa dell’isoladi Matagorda. Ne conoscevo vagamente la forma, ma senza saperne i dettagli. Mi sono direttoverso la baia di San Antonio. Andavo piano, per risparmiare carburante e per poter avvistareeventuali pericoli che sarebbero potuti apparire nella nebbia leggera del primo mattino.

Stando alla cartina avevo delle opzioni molto chiare. Entrare nella baia di San Antonio edirigermi a est o a ovest. A ovest c’era la piccola (secondo la cartina) città costiera di Austwell,mentre a est c’era Seadrift. Né io né John le conoscevamo. Abbiamo entrambi scelto Seadrift,per nessuna ragione in particolare. Forse in qualche zona remota della mia mente pensavo chesarebbe stata un posto migliore dove ormeggiare, visto che il suo nome richiama il fluttuaredel mare.

Il sole stava sorgendo a est e si trovava davanti a noi quando Seadrift è comparsaall’orizzonte. C’erano molti pontili piuttosto lunghi. Senza dubbio erano dei punti di attraccoper i pescherecci. Ho spento il motore e abbiamo iniziato a remare in direzione del molo. Farerumore era un lusso che non ci potevamo permettere.

Con i binocoli che avevo preso dal traghetto, ho ispezionato la costa. C’erano. Vedevo leloro miserabili sagome muoversi senza meta su e giù lungo la strada principale cheattraversava tutta la baia. Non ce n’erano molti, ma abbastanza per metterci nei guai. Ilcartello del porticciolo diceva “Area d’attracco del Centro per la Pesca”. Una delle barcheormeggiate lì aveva una ciurma di morti viventi. Io e John abbiamo visto tre creature checamminavano sul pontile di un peschereccio, a soli 40 metri di distanza. Ci hanno visto e unodi loro si è sporto verso di noi cadendo in acqua, scomparendo nelle acque fangose della baia.

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Quando ci siamo avvicinati al pontile, abbiamo scorto un piccolo supermercato e un negoziodi articoli per la pesca appena dopo il molo. Ho legato la Mama al pontile e siamo saliti sulletavole di legno logoro del pontile. Ho preso il piede di porco e me lo sono fissato alla cintura.Ogni scricchiolio echeggiava forte come un tuono. Il rumore dei morti che camminavanosull’altra barca era molto più forte di quello che facevamo noi, ma c’era comunque silenzio.Non si sentivano altri rumori nell’aria, né naturali, né quelli artificiali dei motori; persino ilrumore delle onde che si infrangevano sulla costa sembrava muto.

Il ponticello retrattile della barca dove c’erano sopra i due zombie era ancora al suo posto.Eravamo in pericolo. Ho detto a John di attirare la loro attenzione. Ha sventolato le bracciaverso di loro e mi sono avvicinato furtivamente al ponticello che collegava la loro barca almolo. Silenziosamente l’ho fatto scivolare in acqua. Il rumore del suo impatto con l’acqua èstato più forte di quanto mi aspettassi, e quelli si sono immediatamente girati verso di me,emettendo i lamenti ormai familiari. C’erano dei granchi sul ponte del peschereccio insieme aidue mostri, e vari cumuli di pesci morti a poppa.

L’odore era insopportabile. I granchi erano attaccati ai calzoni dei due zombie e c’eranodiverse carcasse di granchio fracassate, oltre che non poche zampe strappate. A guardare piùattentamente i due morti viventi, avevano i denti rotti, o diversi denti mancanti. I bastardiavevano cercato di mangiare i granchi.

Io e John abbiamo lasciato quella ciurma variopinta e ci siamo diretti verso il piccolosupermercato. Con le armi spiegate ci siamo avvicinati all’ingresso. Non si vedevanomovimenti. Dannazione, che fame che avevo. E il pensiero di tutto il cibo che c’era lì dentropeggiorava le cose. Al braccio destro avevo il fucile pronto, nella sinistra tenevo saldamente ilpiede di porco di acciaio nero. Il negozio non era più grande di un campo da tennis. Eranostate montate le saracinesche antiuragano. Impedivano la visione dell’interno, che siintravedeva solo dalla porta di ingresso. C’erano due cartelli appesi all’interno: “Chiuso” e“Cercasi aiutante”. Il secondo era un eufemismo.

Sono andato verso la porta e ho afferrato la maniglia. Niente da fare. Avrei dovuto usare lemaniere forti. Ho inserito il piede di porco tra la porta e la cornice e ho iniziato a far leva.Questa volta non mi sarei fatto sorprendere. Ho ripensato a quello che era successo al Wal-Mart. Sembrano secoli fa. Mentre sbuffavo lottando contro la porta chiusa, guardavonervosamente dentro, in cerca di movimenti sospetti. John stava diventando un’ottima vedetta.Cercava di captare ogni movimento e mi copriva le spalle. Finalmente, dopo alcuni minuti dilotta, la porta si è aperta.

L’interno del negozio era buio. Sentivo l’odore della frutta marcita. Ho acceso la lucemontata sul fucile. Ho fatto una panoramica dell’area, con le orecchie tese in cerca di qualcherumore strano. Abbiamo afferrato due carrelli e ci siamo diretti verso la sezione dei cibi inscatola. Li abbiamo silenziosamente riempiti con qualsiasi cosa che si potesse mangiare o bere,iniziando con le cose che non vanno a male. Il pane era tutto ammuffito, ma c’erano deibiscotti ancora buoni. E naturalmente i cibi in scatola erano a posto.

La zona frigo era tutta marcia. Ho avvicinato la luce al vetro e ho visto le bottiglie di latteingiallito e il formaggio ammuffito. Poi qualcosa ha attirato la mia attenzione. C’era qualcosache si muoveva nel freezer. Ho sempre saputo che c’era uno spazio per i dipendenti sul retrodei congelatori, utilizzato per sistemare la merce. Pareva che un dipendente e un suo compagnofossero ancora lì dentro. La luce ha attirato la loro attenzione e li ho visti sbattere sugliscaffali pieni di bottiglie di latte. In una sezione, uno di loro stava cercando di strisciare tra gli

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scaffali del congelatore per arrivare alla porta del freezer, nella nostra direzione.Abbiamo deciso che era ora di andarsene. Abbiamo riportato i carrelli all’ingresso e ho

controllato per vedere se c’erano segni del nemico. Ho aperto la porta e John è uscito perprimo, con me alle spalle. Contemporaneamente ho sentito la porta del congelatore che siapriva nel fondo del negozio e ho sentito il suono di un corpo che cadeva a terra. Sapevo cheera il Signor Commesso che voleva chiederci se poteva aiutarci a trovare qualche prodotto.

Ci siamo messi a correre spingendo i carrelli verso il molo. Facevano un sacco di casino enon avevo voglia di restare nei paraggi a vedere cosa sarebbe successo. Abbiamo velocementecaricato la barca con le provviste. Dietro di noi la porta di ingresso del supermercato si èaperta lentamente e ho visto la pallida figura della creatura che era nel congelatore. Io e Johnsiamo saltati sulla barca e ci siamo allontanati in fretta dal molo. Abbiamo remato più veloceche potevamo. Ci siamo fermati a circa 10 metri da dove eravamo ormeggiati.

Era ora di fare una pausa. Con il mio coltello ho aperto una lattina di stufato di manzo el’ho divorato in un secondo. John ha fatto lo stesso. Mentre sedevamo lì, bevendo acquadirettamente dalla bottiglia, il nostro amico sul molo ci stava dando un affettuoso addio. Lacreatura aveva un aspetto orribile, le mancava la mano destra e la maggior parte dellamascella. Indossava un grembiule bianco con scritto su qualcosa col sangue. Ho preso ilbinocolo e ho letto la scritta in stampatello:

“Se leggi questo, uccidimi!”

Ho sorriso, e mi sono detto tra me e me che mi sarebbe piaciuto conoscere quest’uomo da

vivo, perché aveva un buon senso dell’umorismo. Mi sono messo il fucile in spalla e hoimpostato il colpo singolo. Ho preso la mira, e sparato in testa al commesso. John mi halanciato uno sguardo che diceva “perché l’hai fatto?” L’ho guardato e gli ho rispostosemplicemente: “Un favore professionale amico, un favore professionale”.

Il viaggio di ritorno alla base nel porticciolo è andato liscio. A circa 300 metri dal moloabbiamo spento i motori e abbiamo remato in silenzio verso il pontile. Non c’era nessuno diloro sulla spiaggia, probabilmente perché avevano seguito il rumore del motore che siallontanava la mattina presto. Abbiamo scaricato la maggior parte del cibo e dell’acquafacendo pianissimo. Era ora di cena per Annabelle. Fa ridere l’idea che lei mangi meglio adessorispetto a prima.

24 febbraio

Ore 20:47Io e John abbiamo parlato della famiglia. Gli ho detto che ero preoccupato per la mia e chedubitavo che fossero sopravvissuti a tutto questo, anche tenendo conto del posto in cui erano.John mi ha parlato di suo figlio, di quanto era orgoglioso di lui, e della borsa di studio che

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aveva vinto a Purdue. Ha proseguito raccontandomi delle stranezze dell’ultima riunione dellasua famiglia e di come sua moglie non andasse d’accordo con sua madre. John mi ha chiestocome mai mi sono arruolato. Gli ho raccontato della mia vita, di com’ero stato un ragazzinodi una zona povera degli Stati Uniti che voleva servire il suo Paese, e di come avevo salito lafaticosa strada dei gradi militari.

(Non che adesso il mio grado importi un granché.)Sono certo che da qualche parte, nel profondo del nordovest degli Stati Uniti, il grado

militare importi ancora qualcosa. Ma non qui, in questa insignificante marina in un’isolasperduta senza nome. Ho detto a John che non ero stato coi miei compagni alla base. A quelpunto sono rimasto in silenzio, chiedendomi se mi sarei dovuto o no battere con loro per lagiusta causa. Ho detto a John che a volte mi sento in colpa per non essere alla base coi mieicompagni. Ma il punto in questione è che io sono vivo, e loro no. Preferisco essere un ago inun pagliaio, che un asino in una fortezza. Gli ho detto che avrei dovuto convivere con ladecisione di aver disertato, ma almeno sono vivo per farlo.

John mi ha guardato e mi ha detto: “Parli come se ti stessi accusando di aver disertato”. Misono scusato e gli ho detto che era un argomento delicato per me. In effetti, credo di essere undisertore. Ma chi è vivo per dirlo? Forse se le cose non torneranno mai alla normalità, allora…beh, non ha senso pensarci adesso.

Ho sentito una fitta al cuore al pensiero dei miei genitori chiusi in soffitta, a implorareaiuto. Riuscivo quasi a vederli, coi vestiti sporchi, i capelli arruffati, i corpi indeboliti dallafame. Ho dovuto ricacciare indietro questi pensieri e confinarli in un angolo della mente, perevitare di prendere una decisione impulsiva. Tentare di salvare i miei genitori che si trovano acentinaia di miglia, sarebbe un gesto suicida. Mi chiedo quanto ci sia voluto perché ladevastazione raggiungesse i boschi sperduti dell’Arkansas. Non è passato molto tempo daquando la notizia è stata data al telegiornale, a quando il casino è arrivato sotto casa mia, e hainiziato a battere colpi sul muro di cinta.

È una decisione da prendere a freddo, ma ad ogni modo io preferisco vivere, e non possolasciare che siano le emozioni a decidere i miei prossimi passi. Anche nella migliore delleipotesi, il più piccolo errore di giudizio significherebbe la morte. Se scelgo di andare inArkansas per vedere se i miei genitori sono ancora vivi, dovrei calcolare ogni mossa almillimetro, e pensare anche a dove dormire di notte e dove prendere il cibo.

Cos’è che è andato storto? Non capisco perché ci abbia messo due mesi prima di iniziare apensarci seriamente ma, chi cazzo farebbe qualcosa del genere? L’uomo è forse diventato undio? Forse è stato qualcosa di più grande ancora. Non voglio pensarci adesso, perché nonsaprei fare altro se non urlare e imprecare, e se fosse stato qualcosa di più grande dell’uomo,non voglio dare a questa forza superiore l’occasione di riprendermi per insubordinazione. Equindi per adesso avremo il nostro accordo non scritto. Se esisti davvero, lasciamoci in pace avicenda… ti farò sapere quando sono pronto.

Non ho paura della grande mietitrice.

25 febbraio

Ore 19:32

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La costa era sgombra, oggi, quando ho portato fuori Annabelle a sgranchirsi le zampe sulpontile. È andata un po’ su e giù lungo il ponte di legno. Mi pare che sia ingrassata un paio dichili e abbia bisogno di fare un po’ di moto. Le ho tenuto la museruola per evitare che simettesse ad abbaiare. La marina assomiglia a un sistema di pontili che, visto dall’alto, ha laforma di una “H”. L’ufficio che si trova sul pontile è attaccato a un lato della “H” e unarampa galleggiante è l’unica cosa che prima connetteva quest’isoletta artificiale di legno,metallo e polistirolo all’isola vera e propria.

Ho portato Annabelle lungo il perimetro del ponte. Ieri ho preso una lunga asta da pesca dauna delle barche e ho provato a toccare il fondale dal punto del pontile più vicino alla costa.Non ci sono riuscito, il che significa che in quel punto l’acqua è profonda almeno 3 metri. Perqualche motivo temevo che quelli fossero in grado di avanzare nell’acqua e arrampicarsi quasopra. Mi sento un po’ rassicurato dopo aver testato la profondità in quel punto.

Al nostro secondo giro lungo il pontile, Annabelle ha iniziato ad annusare l’aria, e ha avutola ormai consueta reazione, col pelo che le si è rizzato sul dorso. Sentiva il loro odore. Il ventosoffiava dalla spiaggia, e quindi eravamo sottovento. L’ho presa e l’ho riportata dentro. Sonoandato alla finestra verso la costa e sono rimasto in attesa. Ho detto a John cosa era successoquando ero fuori col cane. Ci siamo messi entrambi alla finestra e siamo rimasti a guardare.

Per prima cosa abbiamo sentito il rumore, che mi ha ricordato quello di una spazzatricelontana portato dal vento. Poi è arrivata lentamente la massa, alcuni barcollando, altricamminando. Non c’era modo di contarli, e ho capito che se avessero voluto, sarebbero potutiarrivare qui da noi, alla marina. Quando li ho visti passare nei pressi del nostro rifugio, mihanno ricordato una maratona in una grande città. Sarebbe bastato il loro numero perimpilarsi in acqua. Inizio a essere stanco di correre, ma quest’isola è grande e sono sicuro chenon potremmo mai trovare abbastanza armi e munizioni per ucciderli tutti. Se solo avessimoavuto più giorni a Corpus per fare un piano. John ha captato una debole trasmissione disopravvissuti intrappolati in soffitta. Questa è un’altra cosa che mi sta prendendo da dentro,che mi sconvolge.

26 febbraio

Ore 9:23Io e John abbiamo controllato la radio stamattina. Sembra che i sopravvissuti della soffittastiano bene. Non siamo ancora riusciti con la nostra trasmittente a metterci in contatto conloro. L’uomo si chiama William Grisham, ed è lui che trasmette le richieste di aiuto. Di tantoin tanto ho sentito una voce femminile, ma non saprei dire se si tratti di un bambino o di suamoglie. Dice che non sono infetti e hanno cibo e acqua per una settimana, ma pare che i mortiviventi attorno a loro li stiano facendo uscire di testa.

Sembra convinto di non potercela fare senza aiuto. Guardando la cartina che mi è rimasta,mi sono reso conto che potremmo tornare in barca a Seadrift, trovare lì una macchina ecercare di proseguire fino a Victoria, in Texas. Non so neanche perché ci sto pensando. Intutto, il viaggio sembra essere di almeno 50 miglia, dieci delle quali via mare. Questo significa80 miglia andata e ritorno di un viaggio estremamente pericoloso. Non posso chiedere a Johndi andare, e in realtà preferirei che restasse qui. John è combattuto tra il desiderio di fare la

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cosa giusta e la possibilità di perdere il suo compagno sopravvissuto, o fare la cosa sbagliata eperdere la sua anima. Io vado a momenti. Non mi piacerebbe per niente essere in quellasituazione, ma lo sono stato e ho fatto qualcosa. Ho scelto di vivere.

Ore 21:45William ha trasmesso alla radio a più riprese per tutto il giorno. Sembra davvero disperato.Non riesco a smettere di ascoltare, perché è un’altra voce umana. Le sue frasi sconnesse edesasperate portano i miei pensieri in un labirinto di oscurità. Sento che devo aiutarlo. Io e Johnne abbiamo discusso a lungo e abbiamo deciso che lui resterà a difendere la nostra fortezza conAnnabelle. Io mi sento come se iniziassi quasi a conoscere William. Per qualche strana ragioneè andato avanti per quasi 30 minuti a parlare di tutto quello che gli passava per la testa.Immagino che sia in stato di shock e stia usando la radio come sfogo emotivo. Ha parlato delsuo lavoro, era un chimico prima che tutto questo accadesse. Ho ascoltato la sua voce, eavvertito la sua onestà e integrità dalla paura che aveva di perdere la sua famiglia. Sento cheDEVO aiutarli. Stasera mi preparo, e domani vado.

27 febbraio

Ore 8:20Parto tra poco. Tornerò in barca fino a Seadrift, e poi farò il resto in macchina o a piedi.Potrebbero volerci un po’ di giorni. Ho trovato una radio a banda locale su una delle barchequi vicino. È un po’ pesante e va a batterie, ma appena entrerò nel raggio di William la useròper cercare di contattarlo. È inutile che io faccia le ultime 20 miglia e finisca per trovareWilliam e famiglia ormai diventati parte di quegli esseri. Mi sono rimasti circa 500 colpi dopola fuga dalla torre di controllo, tenendo conto di quello che ho usato per sparare in testa alcommesso del negozio. Con radio, acqua, armi, cibo e altre piccole cose, ho con me quasi 70chili di roba. Ecco perché sarebbe preferibile che trovassi una macchina.

Il mio piano è quello di prendere un atlante stradale non appena arrivo a Seadrift, e poistrisciare nell’ombra lungo la strada fino a Victoria (se sono a piedi). Non posso rischiare diessere visto da niente e nessuno, vivo o morto, lungo la strada. Starò in contatto con Johnfinché la radio trasmetterà. Non so che raggio di trasmissione abbia, ma sono sicuro cheriuscirò a parlargli da Seadrift, perché il segnale viaggerà sull’acqua.

L’altra notte ero fuori e guardavo le stelle, quando ho visto nel cielo una scia verde, simile auna stella cadente. Il colore verde probabilmente era dato dal rame che bruciava in un satelliteabbandonato da tempo. È solo questione di tempo prima che il GPS salti, insieme a tutti glialtri dispositivi che si appoggiano a satelliti.

Ho farfugliato abbastanza.Vado a caricare le armi.

Ore 18:44Ho remato per 300 metri fuori dalla marina prima di accendere il motore, perché non volevo

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attirarli verso John. Ho dovuto fare il pieno alla barca ieri notte. Quando ho acceso il motoremi sono diretto a ovest per un po’ per portarli lontano, giusto per lasciare a John almeno unbriciolo in più di tranquillità. Non ci ho messo molto ad arrivare a Seadrift, visto che ci sonosolo 10 miglia dalla marina alla terraferma del Texas. Anche qui ho spento la Bahama Mama eho fatto del mio meglio per remare (con un remo solo) per il resto del tragitto. Quando horaggiunto lo stesso porticciolo dove io e John eravamo qualche giorno prima, ho notato lestesse due creature sul peschereccio, e il commesso morto a faccia in giù sul pontile. Un gruppodi uccelli lo avevano parzialmente mangiato.

Prima di avvicinarmi all’attracco, ho provato ad accendere la radio a banda locale sul canaleche io e John avevamo scelto per comunicare. Al secondo tentativo ho sentito la sua voce unpo’ gracchiante, che chiedeva se era tutto ok. Gli ho risposto di sì, e che i suoi amici delpeschereccio avrebbero mangiato granchi stasera a cena, e si chiedevano se volesse unirsi aloro. Si è messo a ridere. Gli ho detto che mi sarei fatto sentire non appena fossi tornato nelraggio del segnale radio.

Sapevo che c’era un’altra creatura dentro al supermercato. Vedevo qualcosa muoversistentatamente sulla strada, a circa 300 metri dentro la terraferma. Ho visto quello chesembrava un altro gruppo di pontili un po’ più su lungo la costa. Era troppo lontano perremare fin lì da solo. Dovevo accendere il motore. Questo ha messo in agitazione le creaturesul peschereccio e sembrava che tutti gli occhi rimasti al mondo fossero puntati su di me…arrabbiati per aver infranto il loro silenzio.

Mentre mi muovevo veloce lungo la costa, le creature sulla spiaggia si sono accorte dellamia presenza e hanno iniziato a seguirmi. Non credevo a miei occhi. Queste non erano lecreature barcollanti a cui ero abituato. Alcune sembravano muoversi più velocemente.

Una sembrava quasi che stesse correndo, con le braccia tese in direzione della mia barca.Erano ancora scoordinate, e molte cadevano faccia a terra nella sabbia, per poi rialzarsi ecercare di raggiungermi. Ho deciso di allontanarmi dalla costa in modo da non attirare questamassa scalcagnata verso di me.

Ho portato la barca a un miglio di distanza, nel centro della baia, e mi sono avvicinato alpontile seguendo una traiettoria perpendicolare. Ho cercato di prendere velocità in modo davenire trascinato il più a lungo possibile quando avessi spento il motore. Non conoscevoquesto molo e appena mi sono avvicinato ho estratto le armi. Per molti versi era simileall’attracco a est. Lì per lì non ho visto morti viventi. C’era una stazione di benzina in bellavista a 300 metri dal porticciolo. Ho tremato al pensiero di quella volta sul tetto delbenzinaio, quando ero ancora a casa. La mia paura ha iniziato a crescere quando la visualedella stazione è diventata più netta.

Ho spento il motore e sono andato alla deriva senza remare finché è stato possibile. Sonoentrato nella marina senza far rumore e ho ormeggiato la barca. Ho perlustrato zona in cercadi pericoli immediati e poi ho controllato il livello della benzina per assicurarmi di avereabbastanza carburante per tornare a Matagorda. Ho spento la radio a banda locale perché nonvolevo che eventuali chiamate infrangessero il prezioso silenzio che stavo cercando dimantenere. Mi sono messo in spalla il pesante zaino, sono saltato sul pontile e ho iniziato acamminare verso la spiaggia, facendo estrema attenzione a guardare dove mettevo i piedi perminimizzare il rumore. C’erano due veicoli parcheggiati di fronte alla stazione di benzina. Unodei due aveva ancora la pompa di benzina inserita nel serbatoio, come se il proprietario nonavesse mai avuto la possibilità di riattaccarla alla base. L’altra macchina, parcheggiata di

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fronte al benzinaio, aveva la porta del guidatore aperta. Sicuramente le luci dell’abitacoloavevano ormai prosciugato la batteria da un bel pezzo.

Ho proseguito fino alla stazione con le armi spianate. Sapevo che se avessi dovuto fuggire,non avrei potuto fare più di 3 miglia senza riposarmi, perché era un bel lavoro trasportaretutto quel peso. Quando mi sono avvicinato alla macchina vicino alla pompa l’unico rumoreche sentivo era quello dell’acqua che si infrangeva vicino al molo.

Ho controllato i litri segnati sulla pompa per vedere se il serbatoio era stato riempito. Nonho avuto fortuna, perché lo schermo era digitale e la stazione non aveva corrente. Facendo piùpiano che potessi ho estratto la pompa e l’ho appoggiata a terra; poi ho rimesso il tappo alserbatoio. L’auto sembrava un modello degli anni Ottanta. Dagli adesivi ho capito che sitrattava di una Buick Regal Grand National. Nera.

Sono andato alla portiera del guidatore. Il finestrino era aperto. Ho allungato la manoall’interno in cerca delle chiavi. Non c’erano. Mi sono diretto verso il minimarket delbenzinaio. Le vetrine erano rotte, saccheggiate molto tempo fa. Ma io non ero lì per rubare.Mi serviva solo un atlante stradale. Ho visto lo scaffale delle mappe sullo stesso banco delmicroonde, così sono andato in quella direzione passando a testa bassa attraverso i vetri rotti.Non sentivo odore di zombie. Ho dato un’occhiata a ogni scaffale mentre andavo a prendere lamappa. Erano a corto di atlanti stradali, ma ho trovato una cartina plastificata del Texas.Andava benissimo anche quella, visto che non pianificavo nessun viaggio al di fuori delloStato.

Adesso dovevo vedermela con la Buick senza chiavi. Dal momento che questa zona sembravapriva di pericoli immediati, ho deciso che era meglio tentare di accendere la macchinacollegando i cavi, piuttosto che cercare una macchina con le chiavi in un territorio pieno dipericoli. Sapevo che non avrei avuto una cazzo di speranza di accenderla se fosse stato unmodello più nuovo, ma con questa vecchia Buick sarebbe stato più facile. Ho trovato loscaffale “materiali vari” e ho preso un piccolo rotolo di filo di rame di tipo economico mavenduto a sovrapprezzo. Poi ho preso dalla griglia di esposizione l’imitazione da due soldi diun coltellino dell’esercito svizzero (del resto mi trovavo in un minimarket).

Ho lasciato il negozio con il mio bottino e, dopo aver controllato ancora una volta la zona,mi sono avvicinato alla Buick. Mentre passavo accanto all’altro veicolo parcheggiato con leportiere aperte, ho sentito un rumore che proveniva dall’interno e mi sono allarmato... c’erauno scoiattolo che si era fatto una bella tana completa di nido sul sedile posteriore. Ho apertola portiera e ho fatto scattare il cofano. Ho seguito i cavi di accensione fino alla bobina. Hopreso il cavo di rame, ho tolto la plastica che lo ricopriva da entrambe le estremità con quelmerdoso coltellino svizzero e ho collegato l’attacco positivo della batteria a quello dellabobina. Questo avrebbe fornito l’energia elettrica al cruscotto. Senza la quale la macchinasarebbe stata inutilizzabile.

Dovevo localizzare il solenoide. Di solito si trova nell’accensione. Con la lama più lunga delcoltellino ho completato la connessione tra il solenoide dell’accensione e il polo positivo dellabatteria. C’è stata una scintilla e il motore si è avviato. Lo avrei collegato dopo con i cavi. Ilrumore li avrebbe attirati, quindi dovevo sbrigarmi a svignarmela.

Mi sono tolto zaino e armi e ho messo tutto sul sedile del passeggero. Ho spinto il cacciavitea punta piatta del coltellino nell’accensione per sbloccare il bloccasterzo. Poi ho stretto bene ilcavo di rame in modo che la macchina non si spegnesse durante la guida. Ho chiuso il cofano,sono entrato in macchina, ho alzato i cazzo di finestrini alla velocità della luce e mi sono

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diretto verso la strada. È il mio giorno fortunato. Il povero bastardo che possedeva questamacchina aveva fatto il pieno presumibilmente subito prima di morire. Stando alla cartina, lastrada che dovevo fare era chiara.

Ero sulla 185 nordest fuori da Seadrift, che va dritta verso Victoria. La strada non è unadelle vie principali, così non ho avuto problemi particolari e sono arrivato alla periferia diVictoria in meno di due ore. Le uniche cose che mi hanno fatto perdere tempo di tanto in tantosono state le macchine abbandonate in mezzo alla strada, o sporadici gruppi di creature cheattraversavano la strada barcollando, come branchi di pecore. Avvicinandomi alla periferia misono reso conto di non essere lontano da un’area distrutta, perché c’era un leggero strato dicenere sulla maggior parte delle superfici orizzontali, ad esempio sulle macchine parcheggiate,sulle case e sui palazzi. Non sono un esperto di radiazioni, ma ho visto degli uccelli e deipiccoli animali, e così ho azzardato l’ipotesi che fosse una zona semisicura da quel punto divista, almeno per passarci attraverso.

Adesso sono le 20:30 ed è mezz’ora che cerco di raggiungere i Grisham alla radio, manessuno risponde. Questo viaggio potrebbe esser stato completamente inutile. Entrando in cittàho evitato di farmi vedere da un gruppo di quei mostri. Ho parcheggiato la macchina vicinoalla locale torre dell’acquedotto di Victoria. Non ero neanche a 300 metri dalla macchina chec’erano già decine di quegli esseri a circondarla. Non ho idea di come riescano a localizzare irumori in modo così sensibile. Un vivente avrebbe delle difficoltà a farlo. Ho iniziato a pensarealla struttura dell’orecchio e a come certe parti debbano irrigidirsi con la morte.

Il sole tramonterà presto, e sono stanco di scrivere. Sono al sicuro sulla torre, col mio zaino,a più di 100 metri da terra. Sta piovigginando e mi sento depressissimo. Proverò ancora acontattare i sopravvissuti.

28 febbraio

Ore 9:23Li ho trovati. Non ho molto tempo per scrivere. Ho acceso la radio stamattina alle 8 e sonoandato dal lato opposto della torre, per vedere com’era la ricezione. Dopo tre tentativi, la vocefamiliare di William ha risposto: “Sia ringraziato Dio. Abbiamo bisogno di aiuto. Dove titrovi?” Gli ho dato qualche informazione. Gli ho detto che erano un paio di giorni che io e unaltro uomo di nome John intercettavamo le sue trasmissioni, e che ci eravamo stabiliti nelporticciolo di un’isola al largo del Texas.

Gli ho chiesto com’era la situazione da lui e mi ha detto che erano completamente circondatidai morti viventi. Gli ho detto che lo stavo chiamando dalla torre dell’acquedotto di Victoria egli ho chiesto dove si trovava rispetto alla torre. Mi ha dato alcune semplici indicazioni. Pareche si trovi solo a un paio di miglia da dove sono io. Parto adesso...

A sinistra di Main Street (su Brown Avenue)

400 metri, girare a destra su Elm Street. Avanti dritto.

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Riconoscerò la casa quando la vedrò.

Ore 15:41Sono con me adesso. Sta guidando William.

Dopo che ci siamo parlati stamattina, ho lasciato la torre dell’acquedotto per andare acercarli. Ho riacceso di nuovo l’auto collegando i cavi (questa volta è stato molto piùsemplice) e mi sono affrettato verso la strada di cui mi ero segnato la direzione. Non è statodifficile trovare la casa, perché era circondata da almeno un centinaio di zombie. Ho vistoWilliam, la cui faccia spuntava dal buco dove un tempo doveva esserci la presa d’aria dellasoffitta. Anche da questa distanza riuscivo a vedere la disperazione nei suoi occhi. Non so cosami sia successo. Forse dentro sono ancora un essere umano. Potrei ancora avere una coscienza.Ho detto a William, attraverso la radio, di “aspettare”. Ho inchiodato, sono saltato fuoridall’auto e ho aperto il fuoco su quella folla demoniaca. Un centinaio di paia di occhi bianchisi è voltata immediatamente verso di me e potrei giurare di aver sentito cento bocche che siaprivano e ripetevano all’unisono il mio nome.

Naturalmente era la paura che mi faceva vedere le cose in questo modo, ma di fatto stavanovenendo verso di me. Sono saltato di nuovo in macchina, ho fatto retromarcia e mi sonogirato. Quando il primo di loro ha raggiunto l’auto e ha iniziato a picchiarci sopra, sonoripartito, attirandoli lontano da William e dalla sua famiglia.

Ho preso il microfono della radio e ho detto a William di tenersi pronti a uscire sulterrazzo, il più possibile vicino al cornicione. Andavo molto lentamente, in modo che quelliriuscissero a seguirmi e mi stessero appresso. William mi ha detto che il piano stavafunzionando e che mi stavano seguendo. Gli unici che erano rimasti lì erano quelli che avevoavuto la fortuna di abbattere con la raffica di spari a casaccio quando prima avevo aperto ilfuoco.

Ho fatto il giro dell’isolato e ho aspettato che mi fossero quasi addosso. A quel punto hoschiacciato il cazzo di acceleratore e sono tornato verso casa dei Grisham. Sul terrazzo c’eranoWilliam, sua moglie e una bambina. Ho accostato la macchina alla casa, in modo chepotessero saltarci su, accorciando così l’altezza. Sono uscito dalla macchina e ho controllatoche la zona fosse sgombra. William è saltato per primo, e ha aiutato le altre a saltare.

Uno zombie è uscito dalla porta di ingresso, con i vetri in frantumi, e ha visto la moglie diWilliam che scivolava giù dal terrazzo, con le gambe a penzoloni. Ho preso la mira e hosparato in bocca a quel bastardo. Con un altro colpo in testa l’ho fatto fuori.

Ho ruotato il torace come la torretta di un carro armato, guardando verso la strada. Eraancora sgombra. Nel frattempo William e la sua famiglia erano scesi. Ha iniziato aringraziarmi, ma l’ho interrotto. Le due ragazze si sono sistemate dietro, William è salitodavanti e si è messo la cintura. Gli ho passato il mio fucile e siamo partiti velocemente versoSeadrift. Farà troppo buio per prendere la barca e tornare a Matagorda. Non so come fare atrovarla al buio, perché ho lasciato gli occhiali per la visione notturna a John. Staseradobbiamo trovare un posto sicuro dove dormire a Seadrift o da quelle parti.

29 febbraio

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Ore 6:45Non sono riuscito a contattare John alla radio ieri notte, né stamattina. Alla fine abbiamodormito in barca. L’ho allontanata un centinaio di metri dal porticciolo e l’ho ancorata.Eravamo al sicuro, e in realtà ho anche dormito discretamente. La Buick è parcheggiataproprio accanto al pontile. Non so se ne avrò mai bisogno di nuovo, ma è una buonamacchina. Tra pochi minuti io e gli altri sopravvissuti torneremo sull’isola. Non ho avutomolto tempo per chiacchierarci, perché si sono addormentati molto profondamente una voltache eravamo al sicuro sulla barca. La bambina (Laura) ha pianto nel sonno di notte.

Ore 9:00Nessun segno di John. Non ha lasciato nessun messaggio, niente. Nessun segno di battaglia.Io, William, Jan e la piccola Laura siamo al sicuro dentro i confini della marina. Sonopreoccupato per John. È un tipo troppo all’antica per fare una cosa del genere. Annabelle erafelice di vedermi, ma era particolarmente felice di vedere Laura. La bambina sorrideva ed erafelicissima di avere un cane con cui giocare. Forse John è uscito in barca e si farà vederepresto...

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Resistenza

1° marzo

Ore 15:22Ancora nessun segno di John. Sento che dovrei cercarlo, ma non so da dove iniziare. Cosapotrebbe averlo fatto andar via senza lasciare un messaggio? Non c’è più il suo fucile, e ilmeccanismo a ponte levatoio che abbiamo fatto è tirato su. È tutto molto strano. Hoapprofittato di questo momento di pausa per conoscere un po’ meglio la famiglia Grisham.Non conoscono John, ma vedono nei miei occhi la preoccupazione che sto cercando dinascondere.

3 marzo

Ore 9:14John era insanguinato, stanco e distrutto. È tornato stamattina e ha urlato forte il mio nome.Sono corso fuori e gli ho aperto il ponte levatoio. È svenuto sulla spiaggia e ho dovuto portarloio dentro. Non è un omone, peserà 70 chili. Me lo sono caricato in spalla, ho attraversato ilponte e ho teso le cinghie per ritirarlo indietro e accostarlo alla parete. Quando siamo entratidentro e l’ho fatto sdraiare su un letto improvvisato, ho notato la fotografia insanguinata chestringeva in mano.

Un’immagine chiazzata di sangue che ritraeva una donna è caduta a terra. Nel mio cuoresapevo di chi si trattava. Era sua moglie. È in stato semicosciente da quando è tornato. Habevuto un po’ d’acqua e ha tentato di mangiare un po’ di zuppa. Io e Janet continueremo adassisterlo.

Jan, la moglie di William, era un’infermiera professionista (un paio di anni fa ha mollato illavoro per frequentare Medicina). Non è un medico, ma chi lo è più?

Lo ha esaminato dalla testa ai piedi, guardando con attenzione le sue ferite. Nessuna sembraessere un morso. Una di loro sembra una ferita di arma da fuoco di piccolo calibro (un forod’entrata e d’uscita alla spalla), mentre le altre sembrano ferite da caduta. John non era ingrado di spiegare niente, perché è riuscito a malapena a bere un po’ di acqua e zuppa senzavomitare o svenire. Sono preoccupato.

4 marzo

Ore 20:14

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John finalmente si è ripreso. Gli ho detto quanto fossi preoccupato e che non avevo la minimaidea di cosa gli fosse successo. A quel punto mi ha raccontato che nella solitudine dei giorniscorsi ha avuto un crollo. Mentre ero via non riusciva a pensare ad altro che a sua moglie e asuo figlio, e a quanto li amava. Jan ascoltava dalla stanza accanto e so che poteva capirlototalmente. John mi ha raccontato di essersi ricordato, a un certo punto, di aver lasciato dellecose sull’aereo quando lo abbiamo abbandonato, e lì c’era l’unica foto che aveva della moglie.Mi ha detto che non mi avrebbe mai chiesto di rischiare la vita per una foto, e così, anzichéaspettare il mio ritorno, ha deciso che avrebbe cercato da solo di recuperarla.

È arrivato vicino ai resti del velivolo, ha preso la piccola borsa dove teneva la foto e se n’èandato immediatamente. Presto si è trovato assediato da molti di loro, e ha dovuto rifugiarsiin un albergo. È riuscito a barricarsi al secondo piano di un hotel a cinque piani. A quel puntosi è sbarazzato di tutti gli altri ospiti sgraditi con la sua pistola calibro .22. Dopo aver passatotre giorni e tre notti con i gemiti costanti dei morti viventi intrappolati nelle camere, ha decisodi scappare.

È andato di stanza in stanza (assicurandosi che non fossero occupate) e ha preso le lenzuoladai letti. Le ha annodate tra loro e ha composto una lunga fune. Di mattina presto ha trovatola finestra giusta da cui scappare. La finestra che aveva scelto era al terzo piano e aveva ungrande albero davanti che ne copriva la vista dalla strada. È sceso aggrappato alla fune, con lapistola nella fondina da spalla. Ha buttato a terra tutto ciò che non si sarebbe rotto nellacaduta.

Nel momento in cui ha iniziato a scendere, ha sentito che uno dei nodi stava iniziando adallentarsi. Ha continuato a scendere. Il nodo si è sciolto quando era al livello del secondopiano. È caduto attraverso i rami dell’albero, tagliandosi tutto. Toccando terra, il suo fucile hasparato il colpo che gli ha attraversato la spalla.

Il ricordo successivo che ha, è di me che lo riporto sul pontile.

5 marzo

Ore 12:30Stamattina verso le 6:00 mi sono svegliato in un bagno di sudori freddi. La famiglia Grishamstava ancora dormendo nell’altra stanza della marina. Io e John ci eravamo buttati su duedivani in un’altra camera. So di aver fatto un incubo terribile la notte scorsa, ma non ricordosu cosa. Ricordo solo che correvo… e veloce. La prima cosa che ho visto appena sveglio sonostate le gocce di sangue sul muro, risalenti al suicidio del capitano del porto. John si èsvegliato verso le 11:30 circa.

Fortunatamente la ferita non sembra essere gravemente infetta. Ci sono solo degliarrossamenti sui fori. Fortunatamente per lui il colpo gli è uscito dalla spalla. Se qualcuno dinoi avesse dovuto estrargli il proiettile, sarebbe potuto morire per un’infezione.

Sarebbe un lusso molto utile avere medicinali e materiale medico, specialmente dal momentoche abbiamo qualcuno in grado di usarli. Ovviamente anche un bel bunker con mura di acciaiospesse 3 metri, energia geotermica e acqua e cibo illimitati non sarebbero male. All’infernovogliono l’acqua ghiacciata.

… ma chi prendo in giro?

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Non esiste più nessun inferno.Perché l’inferno è qui.Voglio dell’acqua ghiacciata.

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Gioco del silenzio

Ore 19:44Laura e Annabelle hanno giocato nella stanza sul retro della marina mentre io, John, Jan eWilliam ci raccontavamo le rispettive esperienze. William ha raccontato della soffitta e dicome erano arrivati a chiudersi lì. John stava sdraiato sul divano, con le sue bendeimprovvisate (ironicamente fatte con pezzi di lenzuola).

Ho posto il problema del fatto che non possiamo vivere su quest’isola in eterno. Nonsaremo mai al sicuro dalle orde che vagano per le strade. E cosa accadrebbe se ci fosse unuragano che portasse via il porticciolo, o ancora peggio, lo mandasse alla deriva sulla spiaggia?Un milione di cose potrebbero andare storte. Abbiamo anche una riserva limitata di carburanteper le barche. Nessuno di noi sa come aggiustare/far funzionare il traghetto grande ancoratoqui. Ho chiesto a William perché non poteva essere un meccanico navale, anziché un chimico.Sembra aver un buon senso dell’umorismo, per essere un chimico.

Poi ho domandato a Jan come stava prendendo questa situazione la piccola Laura. Jan hadetto che la bimba era insolitamente resistente agli orrori a cui aveva assistito negli ultimimesi. L’ho sentita piangere di nuovo nel sonno, ma non l’ho detto a Jan, perché sono certo chenon è una novità per lei.

Deve essere la mia natura militare, ma mi sento nella stessa situazione in cui eravamo io eJohn nella torre. Sento che dobbiamo fare un piano, e dobbiamo farlo in fretta. Non riesco aprevedere nessun pericolo specifico qui alla marina, perché abbiamo la nostra isolettaartificiale, ma anche lì io e John avevamo una torre di 70 metri circondata da un’alta retemetallica, e nel giro di pochi minuti ci siamo ritrovati sotto assedio. Ma forse sono soloparanoico.

Abbiamo delle parole in codice per Laura quando vediamo fuori una o più di quelle creature.Giochiamo al “gioco del silenzio”. Così Laura capisce che non è il momento di saltare, giocaree ridere con Annabelle. Oggi c’era una di quelle creature che brancolava qui attorno, moltovicina alla parte di costa dove attracca il nostro pontile mobile. Il suo corpo putrescente nonriusciva bene ad alzare la testa, ma riusciva a guardare verso di me quando ho sbirciato dalletende. So che sono morti e stupidi, ma sentivo una sorta di sguardo calcolatore mentre volgevagli occhi nella mia direzione. Ne sono arrivati degli altri nel giro di poco tempo. Alcunisembravano esser morti recentemente. Si muovevano più velocemente e in modo più metodicodei loro compari putrescenti. Cercherò decisamente di evitare questi ultimi con più attenzione.

6 marzo

Ore 3:22

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Mi sono svegliato mezz’ora fa e non riuscivo a riaddormentarmi, così ho deciso di controllarela costa con gli occhiali per la visione notturna. Numerose creature camminano in zona,attorno alla spiaggia. Sento un rumore provenire da un palazzo molto alto, però non riesco acapire di che si tratti. Sembra, per qualche assurdo motivo, il suono di una tv a tutto volume.Mi fa venir voglia di accendere la nostra tv qui, ma aspetterò finché fuori c’è luce, in modo chela luminescenza dell’apparecchio non sia visibile dall’esterno. Perché stanno qui? Riescono asentire la nostra presenza?

Se avessi una pistola col silenziatore, ne farei fuori all’istante un bel po’.

Ore 12:42Sto facendo un sacco di brainstorming. Ho passato tutta la mattina a pensare a possibili zonesicure. Naturalmente non c’è nessun posto veramente sicuro. Tutte le costruzioni altamentefortificate sarebbero impenetrabili, e completamente inutili se non abbiamo l’accesso.Quest’isola non va bene. Forse una più piccola con una popolazione di morti viventi inferiore.Verrebbe da pensare che in questa situazione un’isola sarebbe l’ideale, ma non c’è nessun postodove scappare, e le provviste sono solo quelle già presenti. Una volta finito il genere di cose,tipo frutta da albero, che di solito viene presa da chi abita nei dintorni, non c’è altro. Williammi ha raccontato del suo vicino, e di come è stato morso. Dice che potrebbe giurare che nonabbia impiegato più di un paio d’ore per soccombere alla ferita e trasformarsi. E ne basta solouna. Ho letto da qualche parte che anche i ladri migliori sanno che prima o poi verranno presi.È una legge statistica.

Basando le mie chance di sopravvivenza su queste premesse, anch’io sento che il mio giornonon è lontano. Tutto quello che posso fare è cercare di sopravvivere. Non ho mai avuto figli evedo la preoccupazione negli occhi di Jan e William quando Laura chiede loro di uscire. È unavita di merda. Mi sento in qualche modo responsabile di tutti. So che se qualcuno di loromorisse starei malissimo. Dev’esserci un gruppo di gente da qualche parte. La domanda è:voglio che sappiano di me? Ho spostato la radio del porto vicino al divano di John, in modoche possa sempre controllarla. Gli piace, e gli dà qualcosa da fare intanto che si rimette insesto.

Ho ancora la cartina del Texas che avevo rubato. Non ci sono molti dettagli sull’isola diMatagorda, ma c’è un ospedale a un paio di miglia a sud da qui. Le ferite di John nonsembrano peggiorare, quindi non so se avremo bisogno di trovare medicazioni, ma non è malesapere che c’è, nel caso io voglia rischiare il culo.

Non ci sono trasmissioni alla televisione. Avrei giurato di aver sentito qualcosa del genere inlontananza stamattina. Una stazione emette un suono acuto, ma ci sono solo puntini bianchisullo schermo. La stazione radio funziona ancora, penso di aver quasi memorizzato l’ordinedelle canzoni e le pubblicità. È un loop costante che ci terrà compagnia finché la corrente nonandrà via, e il nastro o il disco non si danneggerà. Mi chiedo che razza di esseri in putrefazionesiano intrappolati nella postazione del DJ in questo momento.

Siamo quasi in primavera e non mi piace l’idea di essere in balia di un uragano. Non mipiace continuare a spostarmi, ma sembra che sia l’unica ragione per cui sono ancora vivo.

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7 marzo

Ore 21:23Quando io e John siamo stati a Seadrift nella nostra missione-cibo, abbiamo riempito i carrellicon tutto quello che potevamo e ce la siamo data a gambe alla svelta. Quella quantità diprovviste ci sarebbe durata per un po’ se fossimo rimasti in due. Ma adesso abbiamo altre trebocche da sfamare. John non è ancora in grado di uscire. Dunque rimane solo William. Gli hoaccennato la questione oggi. Mi sentivo un po’ in colpa, visto che ha moglie e figlia. Ma nonho molte speranze di sopravvivere se vado da solo. Ho bisogno di qualcuno almeno perguardarmi le spalle mentre sono in azione. William mi ha guardato e mi ha detto che non c’eraneanche bisogno di chiederlo, e ha proseguito dicendo quanto mi era grato. Io non amo moltoringraziamenti, complimenti e simili, e così l’ho ringraziato sbrigativamente e ho cambiatoargomento.

Dopo aver fatto un inventario del cibo e dell’acqua che abbiamo, direi che ce n’è ancoraabbastanza per una settimana. Il che a una persona accomodante sembrerebbe già molto. Iopreferirei averne per un mese, più una settimana di riserva. William ha un’esperienza moltolimitata con le armi da fuoco. Bisogna porre rimedio a questa cosa, perché possa essermid’aiuto là fuori. Dopo aver discusso insieme il da farsi per i prossimi giorni, ha acconsentitoad imparare a usare la pistola calibro .22 di John.

Abbiamo controllato che non ci fossero morti viventi appostati fuori. C’era solo uno di queicadaveri barcollanti, in posizione parallela rispetto a noi, che sembrava occupato con qualcosaa terra. Ho caricato il mio fucile e la calibro .22 di John con colpi a sufficienza per quello chedovevamo fare. Ho lasciato la mia pistola carica a Jan. Le ho raccomandato di non lasciarla inposti in cui Laura possa arrivare a prenderla e le ho spiegato le nozioni base su come tenerla inmano e prendere la mira. Sapevo che sarebbero state al sicuro mentre io e William eravamovia. E, in ogni caso, ci saremmo allontanati solo per un’ora.

Siamo saliti sulla barca in silenzio e abbiamo sciolto gli ormeggi. Abbiamo remato insiemeper un quarto d’ora in modo da allontanarci dall’area della marina. Questa volta, anzichédirigerci verso la parte ovest di Seadrift, siamo andati verso la costa in direzione dell’area piùpopolata dell’Isola di Matagorda. Non c’è modo migliore di far pratica se non sparare aobiettivi reali.

Si capiva che William era nervoso. Gli ho detto di stare tranquillo, e che non saremo andatioggi a prendere il cibo. Questo in qualche modo ha allentato la tensione e gli ha fattosembrare la cosa più piacevole. Abbiamo ormeggiato la Bahama Mama a circa 200 metri dallacosta, molto vicino ai tre grandi alberghi che si affacciano sul mare. Non mi piaceva farequesto a William, ma meglio faticare nella pratica che sanguinare in battaglia. Ho iniziato afare rumore, fischiando e urlando in direzione di quelle creature. Non c’è voluto molto perchéla spiaggia fosse invasa da dozzine di cadaveri ambulanti. Alcuni di loro si sono immersi inacqua fino alle ginocchia prima di tornare barcollando all’asciutto.

A quel punto ho iniziato a spiegare a William come caricare e sistemare una pistolabloccata. Ho pensato che se fosse riuscito a farlo mentre eravamo circondati da quellecreature, sarebbe riuscito a farlo ovunque. Ha maneggiato l’arma in modo maldestro e ha fattocadere un paio di proiettili sul ponte, ma la cosa più importante è che ha imparatovelocemente come si carica un’arma e come si prende la mira. Ho preso la pistola che aveva

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appena caricato e ho sostituito (senza farmi vedere) il caricatore con uno vuoto che tenevonascosto in tasca. Quando gli ho ripassato la pistola guardava nervosamente verso la costa. Gliho detto di mirare alla creatura con la maglietta rossa.

Gli ho spiegato, mimando l’azione, le nozioni basilari su come prendere la mira, e gli hodetto che per ucciderlo avrebbe dovuto colpirlo in testa. Idealmente, gli ho detto, il colpoavrebbe dovuto prendere la parte superiore del cranio. Gli ho detto di prendere dei lunghirespiri... e di premere il grilletto solo quando fosse stato pronto... e poi espirare...

Lo stavo mettendo alla prova. Avrebbe finito per anticipare il rinculo della calibro .22, estrattonare la pistola rilasciando il grilletto? Gli ho detto di sparare...

Con gli occhi ben aperti, come gli avevo spiegato, ha tenuto lo sguardo fermo e ha premutoil grilletto. CLICK…

William ha fatto scattare la pistola in alto a destra, seguendo i suoi riflessi mentali. Poi miha guardato confuso. Gli ho spiegato cosa avevo fatto e il perché. Gli ho detto che adesso avreipreso l’arma e avrei caricato a caso un colpo per testarlo. Nel giro di poco non ha piùstrattonato l’arma. Il suo primo colpo ne ha fatto secco uno. Il proiettile è entrato nell’occhiodel fortunato cadavere distruggendogli il cervello e la scatola cranica putrescente.

Ho caricato dieci colpi e gli ho detto di darci dentro, e di uccidere per prime le creature cheparevano muoversi bene. Poco dopo sulla spiaggia s’erano ammassate una ventina di carcasse.In totale, in questa lezione di tiro a segno avevamo usato circa 20 colpi. Per la calibro .22 neabbiamo ancora 800.

Avevamo attirato verso di noi all’incirca ogni cadavere ambulante nel raggio di dieci miglia.Ma chi se ne frega, meglio attirarli lì che alla marina. Ho tirato su l’ancora e ci siamo rimessiin moto lungo la costa per condurli lontano dal porticciolo. Dopo 5 minuti abbiamo girato e cisiamo diretti al largo dell’isola per mascherare il rumore del nostro rientro. Arrivati a unadistanza ragionevole, abbiamo spento il motore e remato fino alla base. Mi sento un po’meglio all’idea di avere William con me, ora che si sente più sicuro.

9 marzo

Ore 20:47Ieri e oggi sono stati due giorni interessanti. La mia scorta di sentimenti umani ultimamente sistava prosciugando. Dopo il battibecco coniugale a cui io e John abbiamo assistito oggi, so chequesta piaga non potrà distruggere la natura umana, e non lo farà. Visto che non c’è latelevisione, e non è il caso di fare dei giretti in città, questa storia mi ha intrattenuto per lamaggior parte della mattinata.

Non era mia la nostalgia di umanità per cui litigavano, era la loro, ma la natura pre-apocalittica del litigio mi ha colpito. Era una semplice discussione sul bucato e sulle faccendedi casa, e su chi se n’era occupato prima di tutto questo. Mi sono sentito così bene ad ascoltareuna conversazione normale, anziché discorsi su come evitare uno di quegli esseri che cirompono il cazzo in continuazione.

Cibo: la situazione non è ancora critica, ma dall’aggiornamento effettuato direi chene resta per cinque (5) giorni

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Laura vuole andare fuori e giocare “come fanno di solito i suoi amici a scuola”. Ho cercato

di spiegarle, con la mia scarsa conoscenza dei bambini, che al momento non sarebbe cosìdivertente giocare all’aperto, e che le persone che sono là fuori non sarebbero molto carine conlei. Mi ha guardato, ha alzato gli occhi al cielo e ha detto: “So benissimo che sono morti, nonc’è bisogno che mi racconti delle storie”. Sono rimasto spiazzato dalla franchezza dellabambina e mi è venuto da ridere.

Mi chiedo da quale dei suoi genitori abbia preso questo caratterino. Ho fabbricato unascacchiera incidendo col coltello il tavolo di legno della zona bar della marina. Ho preso deigalleggianti dal negozio e io e John li stiamo utilizzando (senz’amo, ovviamente) come scacchi.Al momento vinco io con tre partite a due.

Qualcosa mi dice che William e Jan hanno fatto la pace dopo quella stupida discussione,perché non si sentono più le loro voci attraverso la tenda che abbiamo messo per loro qualchegiorno fa, per dargli un po’ di privacy.

Attività del nemico: movimenti sporadici. La luna piena dell’altra notte ne ha portatia centinaia qui vicino a noi. Li ho studiati bene con gli occhiali per la visionenotturna. Sembrano più attivi. Può essere dovuto alla luna piena? Ne dubito.

Ho dato ai Grisham il mio ultimo paio di tappi per le orecchie. Laura era affascinata dal

fatto che riprendono la loro forma normale dopo che li hai schiacciati. John ha i suoi nellatasca dei pantaloni.

Visto che non ne avevo altri per me, ho preso due pallottole da 9 mm dalla scatola dellemunizioni e me le sono messe nelle orecchie. Ci entravano alla perfezione e finalmente, ierinotte, non ho sentito i gemiti delle creature.

10 marzo

Ore 12:22Oggi la stazione radio ha smesso di trasmettere la musica. Per un breve attimo ho sentito

una voce umana. Mi è parso di sentire la parola “fortificare”, prima che il microfono venissespento. Quando è successo io e John stavamo di nuovo giocando a scacchi. Adesso non riescopiù a staccare John dalla radio. Continua a cercare di trasmettere, nella speranza che chiunqueabbia interrotto la trasmissione della musica ci senta e risponda. La stazione trasmetteva dafuori Corpus e quindi so per certo che, chiunque essi siano, sono circondati da quelli. So ancheche la radio che John sta usando non raggiungerà mai quella distanza. Ma direi che qualunquecosa gli tenga alto il morale va bene.

Io e William abbiamo parlato delle sue nozioni farmaceutiche. Gli ho chiesto se sarebbe ingrado di preparare qualcosa che potrebbe servirci nella nostra situazione. Ha detto che seavesse gli ingredienti, potrebbe fare praticamente qualsiasi cosa. Con un chimico e uningegnere (John), sono certo che potremmo escogitare qualcosa di utile per rendere menodifficile la nostra situazione.

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Pensiero: mi chiedo quali luoghi storici siano stati distrutti, luoghi che Laura nonvedrà mai. Ricordo di aver visitato Alamo l’anno scorso. Mi chiedo se, quando letestate nucleari sono state sganciate, qualche sopravvissuto si era barricato comeultima resistenza nella fortezza di Alamo.

Forse le sue preghiere sono state esaudite…

12 marzo

Ore 21:45

cibo: ne resta per due (2) giorni.acqua: c’è ancora pressione, ma inizia ad avere un gusto strano. Avremo prestobisogno di pastiglie purificanti. Se avrò qualche disturbo, tipo diarrea, dovrò trovarele pastiglie quanto prima. O semplicemente bollire l’acqua.

Anche William ha capito che si sta avvicinando il momento di andar via da qui. Piove e il mareinizia a essere mosso. Il nostro rifugio galleggiante ondeggia quanto basta a farci venire il maldi mare. Nessun segnale dalla stazione radio che prima trasmetteva musica. Sto studiandoattentamente la mappa che mi sono procurato nell’ultima uscita. Abbiamo diverse opzioni percercare viveri. Potremmo dirigerci a nordest lungo la linea costiera e scegliere i posti migliori,ma correremo il rischio che la barca non regga, il che ci metterebbe nella merda.

Un’altra possibilità è di andare nella “vecchia e cara” Seadrift.Dall’altra parte della baia di San Antonio c’è un’altra cittadina che si chiama Austwell.

Penso che dovremo farci un passaggio mentre andiamo a raccogliere provviste. Ho bisogno dialtre batterie per gli occhiali a visione notturna e di alcuni rifornimenti per i materiali dipronto soccorso.

John si sta riprendendo bene. Solo la mobilità del braccio è ancora ridotta. Le ferite sistanno rimarginando ma, visto che non è stato possibile chiuderle con dei punti di sutura,dovrà fare attenzione per un po’. Jan ha usato dello scotch da condutture per fasciargliele etenergliele chiuse, anche se non è proprio l’ideale. William ha promesso a Laura che le porteràqualcosa dalla nostra escursione. Immagino che per lui fosse una tradizione portare alla suabambina un regalo, quando andava in viaggio per lavoro. Farò del mio meglio perché ci riesca.Ho davvero paura di queste uscite, e mi chiedo se verrà di nuovo il giorno in cui potròcamminare liberamente per le strade. Stasera continuerò a fare la lista delle cose da prendere eriempirò i serbatoi della barca quando farà buio per non attirare l’attenzione. Voglio cercare dicoricarmi entro mezzanotte.

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13 marzo

Ore 7:45Siamo pronti a partire. L’equipaggiamento è stato caricato sulla barca. Ha smesso di piovere eil mare è un po’ meno mosso. Ho lasciato a John e Jan la mia Walther P 99. Non è ungranché, me ne rendo conto, ma non penso che ne avranno bisogno. Ci dirigeremo versoAustwell (che è sul lato opposto rispetto a Seadrift nella baia di San Antonio). È rappresentatasulla carta da un puntino molto piccolo, e spero che indichi, di conseguenza, una bassapopolazione di morti viventi. Quest’uscita avrà due scopi. Il primo è quello di abituare almenoun po’ William a trovarsi in mezzo a quelli, in modo da poter pensare a un piano più grande.Il secondo è quello di raccogliere le cose di cui abbiamo bisogno.

Ci sono sei anime al momento nella nostra isola nella marina (inclusa Annabelle), e visto chesiamo solo in due immagino che riusciremo a prendere al massimo una settimana di viveri pervolta. Devo cercare di variare un po’ le cose che prendo. È vero che le zuppe in scatola e lealtre schifezze che abbiamo preso finora erano buone, ma la mancanza di vitamine e diesercizio si sta facendo sentire. Il mio metabolismo si è rallentato perché non posso più andarea correre.

Che la fortuna ci assista.

Ore 22:33Dopo aver lasciato la marina remando fino a raggiungere la “distanza di sicurezza” necessariaper accendere il motore, ci siamo diretti verso la baia di San Antonio. Vedevo gli uccelli volaree l’odore dell’aria aperta era rinfrescante. La terraferma del Texas è comparsa ben prestoall’orizzonte, proprio di fronte a noi. Entrare nella baia è stato identico alle volte scorse. Dopoaver raggiunto la costa occidentale abbiamo intravisto qualche molo privato. In cima a unapiccola collina si notava una grande casa. Credo che i pontili fossero per le barche delproprietario, anche se non ce n’era nessuna ancorata.

Abbiamo spento il motore e iniziato a remare verso la spiaggia. Per un istante mi sonomesso a pensare a quanto sarei sembrato sfigato in questo momento a uno spettatore esterno,se tutto questo non fosse mai successo. Ho abbandonato subito quei pensieri e ho continuato aremare, immaginando che fosse tutto normale.

Era un casino totale. C’erano finestre rotte, topi, spazzatura, giornali e altre cose chevolavano attorno al pontile e per le strade. Un grande parcheggio si trovava nell’area asfaltatadietro il porticciolo. Cinque di quelle creature giravano attorno a una monovolume bianca ebattevano le loro putride mani sui finestrini. Dalla distanza e dall’angolazione in cui mitrovavo non riuscivo a vedere l’interno dell’auto. Ho dedotto che dentro ci fosse qualcosa cheinteressava quelle creature, e che fosse vivo, di qualunque cosa si trattasse.

Abbiamo remato in silenzio fino al punto di ormeggio e abbiamo legato la barca al pontile.Mi sono messo in spalla lo zaino vuoto e ho fissato il piede di porco alla cintura. Ho messo intasca alcune cinghie di plastica a cerniera, ed estraendo il fucile e ho messo il piede a terra – inquesta nuova terra. Non mi sono guardato alle spalle, ma sentivo la presenza di William dietrodi me. Potevo quasi sentire l’odore della sua paura. Probabilmente avevo più paura di lui.

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Controllando attentamente la zona, abbiamo attraversato la rampa e siamo arrivati sullaspiaggia, con gli occhi puntati sulla piccola Ford bianca circondata dai morti. Non appena homesso piede sulla terraferma, ho afferrato una pietra grande quasi quanto un pugno e l’hoscagliata più forte che potevo, a circa 20 metri dietro la Ford, colpendo il lunotto di uncamioncino nero. La pietra, andando a segno, ha prodotto un rumore simile al rullante di unabatteria. Le creature si sono rizzate all’istante e hanno iniziato a camminare verso ilcamioncino.

Ho detto a William di stare indietro e di tenerli d’occhio mentre io controllavo la macchina.Ci sono arrivato quasi sopra, mi sono avvicinato al cofano e ne ho toccato la fredda superficie.Dentro si scorgeva una figura che giaceva sul sedile anteriore. Era una donna piuttostoattraente, che pareva sulla ventina. I finestrini erano lerci con tracce secche di marciumelasciate dai colpi incessanti di quelle creature. La maggior parte dei finestrini erano venati atela di ragno.

Ho avvicinato il viso al vetro per vedere meglio la donna. Sembrava morta. Ne vedevo sulviso le tracce di estrema disidratazione. Aveva le labbra secche e spaccate. Le creature cheprima erano accalcate qui adesso erano occupate altrove. Ho chiamato William. Gli ho chiestoquanto tempo ci voleva perché una persona si trasformasse in zombie (ricordavo che mi avevadetto di aver assistito a una trasformazione). Ha detto che aveva visto un uomo morire instrada e trasformarsi nel giro di un’ora.

Qualcosa non quadrava. C’era una confezione aperta di aspirina sul sedile del passeggero edelle bottiglie di plastica vuote sparse nella macchina. Non poteva essere morta da più di ungiorno. Mi sono chiesto perché non si era trasformata come gli altri…

Nel sedile posteriore c’erano diversi bicchieri di carta da fast food, riempiti con qualcosa chesembrava feci e urina. Doveva essere intrappolata in macchina almeno da qualche giorno.

A quel punto c’è stato un movimento. La sua bocca si è aperta in un debole sbadiglio, e poiha iniziato a sbattere le palpebre. Ho puntato il fucile verso di lei e ho detto a William diguardarmi le spalle e tener d’occhio la situazione attorno a noi. Mi aspettavo di vedere dueocchi del familiare bianco latteo dei morti, e sono rimasto sorpreso vedendo, invece, due iridiblu. Mi ha guardato in uno stato di shock. Dalla sua prospettiva dovevo essere strano, con lamaschera addosso e un fucile puntato su di lei. Si è guardata alle spalle e ha detto, col solomovimento delle labbra, “Sono viva”.

Mi sono tolto la maschera e sono andato ad aprire la portiera. Era chiusa dall’interno. Hasorriso, mi ha guardato, e l’ha aperta. Le ho preso un braccio e l’ho aiutata a uscire. Puzzavapiù degli zombie. O forse era la macchina. Dovevo sorreggerla mentre camminava. Era moltodebole e dolorante. Ho girato la testa verso William facendogli cenno di seguirci fino allabarca.

Quando abbiamo raggiunto la Bahama Mama l’ho messa giù, le ho dato dell’acqua e un po’di zuppa in scatola (il mio pranzo), dicendole di non mangiare o bere troppo velocemente. Nonavevo tempo di fermarmi a chiacchierare. Ho dato a William istruzioni di portare fuori labarca a circa 20 metri dalla costa, gettare l’ancora e aspettarmi. Io sarei andato a fare la spesa.

Ho sentito il rumore della barca che si allontanava. Sono tornato al parcheggio. Ne vedevopiù di cinque in zona. Ho seguito la costa in direzione della città senza farmi notare. Nonc’erano segni di vita. Né cani, né gatti: niente. Mi stavo avvicinando a un gruppo di palazzi.Ho tagliato verso l’interno e mi sono diretto verso quello che doveva essere il centro diAustwell. Dopo poche centinaia di metri sono passato attraverso uno spiazzo. Da lì ho visto

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un Walgreen e un benzinaio.Il Walgreen non ha cibo, ma ero certo che avesse medicinali. Mi sono avvicinato alla porta

di ingresso, stando attaccato al muro. Questa porta era diversa, nel senso che aveva dellecatene che la tenevano chiusa dall’interno. Non avrei avuto modo di entrare se non rompendoun vetro e attirandoli. Sono andato sul retro del palazzo. C’era una finestrella per la consegnadei medicinali ai clienti in auto. Quel lato della costruzione si affacciava su un boschetto.Potevano essercene a centinaia lì dentro, che mi stavano guardando senza che io lo sapessi.Non riuscivo a sentirli, ma ancora una volta, mi chiedo se abbia un senso esprimersi cosìquando si tratta di morti viventi.

C’era una porta con una saracinesca d’acciaio, probabilmente per il carico merci. Ho cercatodi tirarla su. Era chiusa. Dovrei proprio prendermi un libro dalla biblioteca locale su comeaprire le porte chiuse. Ho preso il piede di porco e l’ho posizionato sotto la saracinesca, vicinoalla serratura. Ho fatto forza per qualche minuto, imprecando e sudando, e finalmente horotto la chiusura. Ho controllato il territorio circostante, e ho notato che avevo attiratoattenzioni non volute a circa un isolato di distanza, e si stavano avvicinando.

Ho fissato la luce LED sulla carabina e l’ho accesa. Era buio nell’area di carico merci,perché era lontana dalla parte anteriore del negozio che riceveva luce dall’esterno. Hoilluminato la stanza. Si vedevano solo scatole, mensole d’acciaio e altre cose normali. Sonobalzato nell’area di carico. Mentre iniziavo ad abbassare la saracinesca, due di loro hannogirato l’angolo e mi hanno visto. L’ho chiusa immediatamente e mi sono subito messo apensare a come era possibile fermarla. La tenevo chiusa con lo scarpone quando la primacreatura ha iniziato a battere dei colpi sul metallo. Ne avrebbero attirati altri. Le cinghie diplastica che avevo in tasca non sarebbero servite a un granché, perché non c’era niente a terraa cui fissare la serranda. Ho visto che nell’angolo della stanza c’era una scopa e alcune cordedi nylon. Mi sono allungato per afferrarle, tenendo la punta del piede sulla saracinesca. Hopreso la scopa e l’ho incastrata nel rullo che faceva aprire lentamente la serranda. L’ho fissatacon la corda. Sugli scaffali c’era uno scatolone pieno di bottiglie di collutorio. Ho messo loscatolone sull’estremità della serranda dove tenevo il piede. Non avrebbe retto per sempre, maper ora sarebbe stato sufficiente.

Dopo aver sbarrato la porta almeno temporaneamente, sono entrato nella farmacia. C’eranomolti volumi farmaceutici allineati sugli scaffali. Ho preso il Manuale Medico da Bancone percercare informazioni utili sui medicinali. Mi sarebbe piaciuto portarlo a Jan, ma era un libropiuttosto grosso e avrebbe occupato posto prezioso nello zaino.

In un altro volume erano registrati i nomi degli antibiotici. Usandolo come guida hoafferrato e portato via confezioni di pillole che nessuno avrebbe mai più richiesto. Più o menotutto quello che finiva con –biotico è finito nella busta di nylon dentro al mio zaino. Saltandosul bancone, sono atterrato sul pavimento del negozio e ho diretto subito il fucile verso unpunto cieco.

Alzando gli occhi, ho notato che questo negozio aveva degli specchi convessi per il controlloambientale che consentivano agevolmente di vedere quasi tutto lo spazio. Guardando neglispecchi ho ispezionato, fila dopo fila, tutto il magazzino. Le creature erano ancora lì chebattevano le mani sulla serranda d’acciaio del retro. Questa cosa mi dava ai nervi, e mimetteva fretta. Tylenol, acqua ossigenata, bende, garze, ho messo tutto nella busta di plasticaassieme agli antibiotici. Ho visto della tintura di iodio sullo scaffale e mi sono ricordato dellascuola di sopravvivenza della Marina, dove dicevano che la tintura di iodio purificava l’acqua.

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L’ho infilata nella busta. Avevo sete. Ho afferrato una bottiglia di acqua dallo scaffale e l’homandata giù tutta d’un fiato. Lo zaino era quasi pieno. Sono passato davanti al repartodolciumi e ho preso una barretta di cioccolato.

Aprendola, ho realizzato quanto tempo era passato da quando questa storia era iniziata. Labarretta era scaduta da un pezzo ma me ne sono fregato. Avevo bisogno di energie. Nel repartogiocattoli ho trovato un piccolo orsacchiotto di peluche e l’ho messo nello zaino. Dopo avermangiato la barretta, ho pensato a come tagliare la corda.

Mi sono portato sull’entrata principale. La catena era una di quelle classiche di acciaiopesante. Non volevo camminare di fronte alla porta, nel caso in cui l’avessi dovuta usare comevia d’uscita. Non c’era modo di liberarsi della catena a meno di non sparargli sopra, o dicolpirla un centinaio di volte con un’ascia. Senza far rumore (non che cambiasse qualcosa,visto il casino che facevano le creature sul retro del negozio con i colpi sulla saracinesca diacciaio) ho coperto di scotch la parte inferiore della porta a vetri, accertandomi di non esservisto.

Ci ho messo qualche minuto a tappare l’intera sezione. Gli ho dato un colpo con l’estintorepreso da dietro il bancone. Non ha fatto un rumore eccessivo, ma era pur sempre troppo per imiei gusti. Mi sono diretto velocemente lungo la strada da cui ero arrivato, attraverso la zonaalberata in direzione del parcheggio della marina. Ero via da più di un’ora. Ho corsoattraverso il boschetto, andando velocissimo. Davanti a me vedevo lo spiazzo.

Mi sono imbattuto in due di loro. Li ho scartati e ho continuato a correre. Quando horaggiunto lo spiazzo, mi è venuto un colpo. Ce n’erano un casino. Ho girato attorno alparcheggio, cercando di evitare di attirare la loro attenzione. Non avevo altra scelta chepalesarmi. Ho corso in direzione del pontile sapendo che mi avevano visto. Si è alzato un corodi gemiti che rimbombava sull’acqua ed echeggiava in tutte le direzioni facendomi quasicrollare dallo sconforto.

Ho corso a perdifiato e ho chiamato William urlando. Nessun segno della barca. Hocontinuato a correre. Ancora non li vedevo. Mi sono guardato alle spalle, stavano tutticonvergendo verso il pontile. Non avevo vie d’uscita. Mi restavano altri 4 metri di pontiledavanti, e loro erano dietro di me a circa 8 metri. Ed erano affamati, marci, putridi e malvagi.Nella loro furia si scontravano a vicenda buttandosi in acqua… giusto per essere i primi astrapparmi di dosso la carne. Mi sono voltato e ho corso.

Mi sono buttato in acqua e ho iniziato a nuotare. Ho nuotato con ampie bracciate per unbuon minuto prima di rallentare e girarmi indietro. Il pontile era pieno di quelle creature, cosìpieno che in molti cadevano in acqua per mancanza di spazio. E io ero lì che galleggiavo, dasolo. Avevo l’impressione che ci fosse qualcosa sotto che mi colpiva la suola degli scarponi.Ero terrorizzato e accidentalmente ho inghiottito un bel sorso di acqua. Ho pensato a chissàquanti di loro stavano putrefacendosi sul fondo fangoso.

A quel punto ho sentito il rumore di un motore. Avevo ancora l’attrezzatura addosso, ma èsorprendente quanto sia facile galleggiare se soltanto si soffia un po’ d’aria nei vestiti. Ho fattocenno concitatamente con le braccia verso la barca. Era William. Mi aveva visto.

La barca si è avvicinata a bassa velocità, ma col motore accesso. Ho passato a William ilmio zaino e il fucile. Poi mi sono arrampicato sulla barca. William mi ha detto che ilparcheggio si era riempito poco dopo che me n’ero andato. Non aveva avuto altra scelta checercare di trascinarli via per potermi far rientrare senza problemi. Ho controllato lo zaino.Solo qualche goccia d’acqua era entrata nelle buste di plastica, non abbastanza da rovinarne il

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contenuto.Siamo tornati da John, Jan, Laura e Annabelle. Ero fradicio, infreddolito e senza il cibo che

avrei dovuto prendere. Non so per quanto tempo avrei potuto nuotare lungo la costa,attirandone inevitabilmente ancora, prima di essere esausto per nuotare oltre. Ammettendo lasconfitta, il mio corpo sarebbe stato fatto a pezzi nel momento in cui avessi poggiato i piedisul fondo del mare, lì dove era più basso… finendo dritto nelle loro braccia.

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Le Idi di Marzo

15 marzo

Ore 18:22Ho passato due giorni a combattere contro un’influenza seguita alla mia piccola avventura anuoto, oltre che a pulire e ad asciugare il mio fucile. Solo in un mondo del genere un’influenzapuò equivalere a una sentenza di morte. Non è così terribile, mi sento solo più debole delnormale e ho un po’ di febbre. Jan dice di non usare antibiotici a meno di non averne davverobisogno, perché il corpo si abituerebbe alle medicine e l’antibiotico, in futuro, nonfunzionerebbe in caso di necessità. Jan si è anche presa cura della nuova arrivata, Tara.

Era rimasta intrappolata nell’auto per giorni. Stava per morire di disidratazione quando io eWilliam siamo arrivati. Ora sta meglio. Jan si premura di farla bere e stare a letto.

L’ho vista che mi guardava un paio di volte oggi. I nostri sguardi non si sono incrociati, maanch’io la guardavo. È attraente, e io sono umano. Ho sentito una sua conversazione con Jansu come è finita al pontile.

Era intrappolata nella sua casa ad Austwell e ha trovato un modo di scappare. È arrivataalla marina ma è stata notata da tre di quelli mentre cercava una barca su cui scappare. Nonha avuto altra scelta che rifugiarsi nella macchina aperta più vicina che ha trovato. Tara stavaper laurearsi in marketing al college locale. Ha commentato che ormai non le servirà più aniente e che la sua carriera lavorativa nel marketing è finita prima ancora di iniziare. A quelpunto entrambe le donne hanno riso.

Ieri William e John sono usciti in mare e hanno pescato dieci pesci.John ne aveva voglia e credo che un po’ di sole gli faccia solo bene. Laura mi ha chiesto

com’era andato il mio viaggio fino al negozio. Le ho detto che era andato bene e che midispiaceva di non averle portato niente da mangiare. Ha detto che non importava e checomunque neanche suo padre le aveva portato niente. Mi sono ricordato dell’orsacchiotto.L’ho dato a William per farlo asciugare al sole prima di darglielo, perché si era bagnatoquando ero saltato in acqua per sfuggire alle creature. Ho detto a Laura di non preoccuparsi eche lui aveva un regalo per lei, e stava solo aspettando il momento giusto per darglielo. Hasorriso ed è andata a indagare.

Il pesce crudo non è il mio piatto preferito, ma milioni di giapponesi non possono sbagliarsiin merito. Beh, forse ci sono milioni di giapponesi ancora vivi, chi lo sa. Ho di nuovo paura alpensiero di andare via da qui. Ma abbiamo bisogno di una vita migliore, e di un posto decentedove vivere.

17 marzo

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Ore 18:33Eravamo seduti al tavolo come vecchi guerrieri che discutevamo i piani di battaglia. Io, Jan,Tara John e William abbiamo discusso a lungo tutte le possibilità per trovare un posto nuovoin cui vivere. Una roccaforte su un’isola presenta indubbiamente una qualche attrattivamistica, però lo abbiamo escluso, a causa del costante bisogno di viaggiare in cerca diprovviste. Quale posto potrebbe essere ritenuto sicuro ma lontano da una grande città?

C’è una grande mappa degli Stati Uniti sul muro del negozio di souvenir. Non è dettagliata.Ci sono solo i fiumi, i confini tra gli stati e le capitali. Ho tolto la mappa dalla parete el’abbiamo studiata attentamente. Si sono intromesse le mie motivazioni personali, e hosuggerito di prendere una barca lungo la costa e risalire il fiume Mississippi per trovare unluogo sicuro (che sarebbe vicino ai miei genitori). Questa è un’opzione. William ha suggeritodi andare via terra, per evitare gli effetti disastrosi che potrebbe avere un guasto alla barca.John ha proposto di navigare a vela lungo la costa attorno alla Florida meridionale, drittoverso le Bahamas.

Abbiamo tutti sorriso all’idea, ma si ripresenta il problema delle risorse limitate e dellanecessità di procurarsele. Per ora siamo al sicuro, perché tutto il casino che hanno fatto colmotore della barca per andare a pescare ha attirato quelle creature da altre parti dell’isola, maquesta cosa non durerà per sempre. Abbiamo bisogno di un posto più stabile dove vivere.

Stasera giocheremo a poker per tirarci su il morale. Laura, Annabelle e “Tubby”(l’orsacchiotto) hanno altri piani. Giocheranno a mamma e papà.

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La splendida Claudia

18 marzo

Ore 21:48Negli ultimi giorni siamo andati avanti mangiando pesce. Ho trovato un fornello a propano suuna delle barche più grandi della marina, e finalmente ho mangiato del pesce cotto. Adessoabbiamo cibi di diverso tipo. Oggi mi sono avventurato sull’isola con William. Abbiamo presola Bahama Mama e ci siamo diretti a ovest lungo la costa in cerca di cibo. Secondo la mappa,l’isola di Matagorda è lunga circa 25 miglia, e larga 2 o 3. Ho pensato all’idea di elaborare uncongegno che emetta rumore e che sia comandabile a distanza per distrarre quegli esseri eattirarli da una certa parte dell’isola mentre io e William esploriamo altre zone. John stalavorando alla cosa.

Io e William abbiamo trovato qualcosa di interessante oggi. Dovevamo essere a circa 10miglia a ovest lungo la costa, quando qualcosa è apparso sulla terraferma dietro agli alberi.Pareva una sorta di torre. Quando ci siamo avvicinati abbiamo capito che si trattava del farodell’isola. Si tratta di un grande pinnacolo nero che si innalza a circa 50 metri e ha una grandestanza vetrata in cima. Alla base della lanterna c’era quella che credo fosse l’abitazione deicustodi. Questa zona pareva piuttosto isolata, ma sapevo che non ci sarebbe voluto più di unpaio d’ore prima che il rumore dei motori li attirasse nella nostra posizione.

Abbiamo gettato l’ancora a 10 metri da terra. Sono saltato giù dalla barca, finendo con legambe a bagno. L’acqua era calda. Quest’area era più campagnola di quella del porticciolo. Illato positivo è che meno popolazione vivente = meno popolazione di morti. Il lato negativo èche questi alberi ostacolavano la visuale della maggior parte della zona attorno al faro.

William era migliorato molto con la calibro .22 nei giorni scorsi. Adesso eravamo scesi a700 proiettili, e della calibro .223 ne avevo solo 450 (avevo dovuto fare un po’ di praticaanch’io). Ci siamo addentrati nell’area boscosa attorno al faro. C’era qualcosa che facevarumore. Più ci avvicinavamo alla struttura e più il rumore era forte. Era un rumore costante eintervallato, sembravano dei colpi. Tuttavia non c’erano segni di morti viventi. Eravamo allarecinzione. Il faro pareva molto vecchio. Sono certo che c’è stato un tempo in cui le nere paretiesterne erano lucenti, ma anni di aria salmastra e pioggia dovevano aver lasciato il segno. Lacasa vicino alla base del faro sembrava più moderna. Nel cortile c’era l’erba alta. Non dovevaesser stata tagliata da tre mesi abbondanti. Il rumore dei colpi proveniva ovviamente dalladirezione del faro.

Ci siamo avvicinati. Ho fatto segno a William di guardare i lati, in modo da evitareaggressioni improvvise. Bang... bang... bang... il rumore continuava, sembrava quello deibattiti di un orologio a pendolo di seconda mano. Io e William abbiamo camminato lungo ilperimetro del faro e della casa. La direzione da cui veniva il rumore era chiara. La porta diaccesso alla cantina sul retro tremava a ogni colpo. Non ne ero sicuro al 100%, ma credevo di

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sapere cosa ci fosse là sotto. Sapevo che la porta era assicura (per qualche strana ragionedall’esterno) e qualunque cosa fosse là sotto ci sarebbe rimasta finché i cardini non fosseromarciti o si fossero rotti. Ci siamo avvicinati all’ingresso. La porta non era chiusa a chiave, male finestre erano chiuse con dei pannelli, cosa di cui, per quanto mi riguarda, non riuscivo acapire il motivo. Ho girato piano la maniglia e ho spalancato la porta. Tutti e due abbiamofatto un balzo indietro, puntando le armi. Dovevamo essere davvero ridicoli.

La casa puzzava di carne marcia. Non era buon segno. Avevo voglia di dire “fanculo” evivere di pesce per il resto dei miei giorni, ma ero lì, e avevamo bisogno di cibo. Il pavimentodi quella casa sul mare era di legno e piuttosto vecchio. Ogni scricchiolio mi pareva un tuono.

Siamo andati in salotto. Ho sussurrato a William: “Pensi che ci sia una porta dentro casache conduce in cantina?”, ma anche lui era incerto. Ho sperato che non ci fosse. Ho notatosubito che c’era del sangue secco sul pavimento che portava verso il corridoio, e c’erano dellechiare tracce di mani. Sembrava che qualcuno si fosse trascinato per terra.

Sono andato per primo e William mi ha seguito. Girando l’angolo, ho visto che le tracceproseguivano fino a quella che doveva essere la stanza da letto. Avevo il cuore che battevaall’impazzata, ero sudato e terrorizzato. Sono andato verso la porta seguendo le tracce. Erachiusa e le impronte insanguinate delle mani erano su tutta la parte inferiore. Sono rimasto inascolto afferrando la maniglia. Non si sentivano rumori. Lentamente ho girato la maniglia eho aperto uno spiraglio. Mi si è presentata davanti l’immagine di un corpo in putrefazione.Vedevo un paio di gambe in blu jeans che giacevano sul letto. Sono entrato. Vedevo, credo,quello che restava di un uomo. Aveva la camicia a quadri e i calzoni inzuppati di sangue, e dalnaso in su la testa era andata. I vermi avevano infestato le ferite aperte e la sua pelle parevamuoversi dal brulicare delle larve che c’erano sotto.

Aveva posato sul petto un fucile da caccia calibro dodici. Togliendoglielo dalle mani ormaimarce, ho notato un pezzo di carta gialla con delle scritte in nero.

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Ho dato la lettera a William. Siamo stati in silenzio per qualche minuto. Il fucile di Frank cisarebbe stato molto utile, e anche le tre scatole di proiettili che erano sul cassettone. Loabbiamo aperto, e nello scompartimento delle calze abbiamo trovato una Smith calibro .357 eun revolver Wesson con una scatola di cinquanta pallottole. Siamo andati in cucina. Abbiamopreso i cibi in scatola, l’olio, le spezie e tutti i prodotti non soggetti a scadenza. Non c’eratanto cibo quanto mi aspettavo. I colpi incessanti sulla porta continuavano senza sosta.Claudia non mollava.

Ricordavo di aver visto una carriola sul retro, vicino alla porta della cantina. L’ho portatavicino all’ingresso e l’ho riempita con le cose che avevamo preso. Ho detto a William chepensavo che in cantina avrebbe potuto esserci altro cibo e armi. Abbiamo deciso di aprire laporta e occuparci di Claudia.

William si è offerto di aprire la porta. Io avrei sparato a Claudia. Ha lentamente aperto ilchiavistello a T che fissava la porta alla parete di cemento, sbloccandola. I colpi continuavanosenza sosta. Claudia non sapeva che eravamo lì, sapeva solo che aveva fame e che volevauscire. Ero terrorizzato all’idea di vederla.

William ha afferrato la maniglia e stava per aprire la porta, quando gli ho fatto segno diaspettare. C’era un modo più sicuro. Ho detto a William di cercare una corda o dello spagodentro casa. Dopo pochi minuti è tornato con un gomitolo di lana da maglia preso da unadelle stanze da letto. Gli ho detto di legare a filo doppio la maniglia e di arretrare di qualchepasso. Gli ho dato il segnale e ha strattonato la porta, aprendola.

Ed eccola… marcia, putrida e malvagia. I suoi lattei occhi putrescenti si sono fissati su dinoi, e quello che restava delle sue labbra si è arricciato sui denti gialli e spezzati. Le sue manierano protuberanze sanguinolente, ridotte così da settimane di colpi sbattuti contro la porta dilegno. Si è mossa verso di noi. Uscendo dalla porta ha inciampato contro il gradino ed è finitafaccia a terra. Ho colto quest’occasione per restituirle la pace che Frank non era riuscito adarle. Le ho sparato a bruciapelo alla nuca, facendola ricongiungere con suo marito.

La cantina era buia e suscitava in me una certa inquietudine. Ho acceso la luce che avevomontato sul fucile e con essa ho illuminato la scala. Ho dato ai miei occhi il tempo diabituarsi, mentre nel frattempo pensavo a quali altri orrori avrebbero potuto essere nascostilaggiù, nelle viscere di questo vecchio faro. Sono sceso nel buio e non ho trovato nessun altro,né vivo né morto. C’era solo Claudia. Ho chiamato giù William per aiutarmi. C’eranomoltissimi barattoli di fagiolini, patate dolci e altra verdura. C’era anche una buona selezionedi vini e altri cibi in scatola.

Sembrava che inizialmente Frank e Claudia si fossero nascosti qua sotto, perché c’erano unletto, delle stoviglie e un frigorifero, insieme a un fucile da caccia Remington 7 mm col mirinomontato sulla canna appoggiato sul muro in un angolo. Sopra al frigo c’erano due scatole diproiettili da 7 mm. Abbiamo preso tutto il cibo che riuscivamo a trasportare, e il fucile dacaccia.

Abbiamo riempito gli zaini con cibo, armi e munizioni. La maggior parte delle cose trovatele abbiamo messe nella carriola. Ho preso il mio zaino e detto a William che sarei tornatosubito. Mi sono diretto verso il faro. Volevo salire in cima per osservare meglio i dintorni, inmodo da capire se dovevamo aspettarci altra compagnia. Sono salito su lungo la scala achiocciola fino alla cima. Una volta là, ho controllato la zona. Nella direzione da cui venivamo(est) ne vedevo circa una ventina, che si muovevano in gruppo, tendenzialmente verso di noi.Immagino che il rumore della barca e lo sparo abbiano fatto da catalizzatori.

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A giudicare dalla loro velocità di movimento avevamo tempo a sufficienza per andarcene.Sono corso giù dalle scale. Io e William ci siamo alternati a spingere la carriola fino alla barca.Abbiamo caricato la Mama e ci siamo diretti verso casa. Abbiamo avuto fortuna oggi.

20 marzo

Ore 15:17Ho appena ricevuto una trasmissione radio sulla banda locale. La persona diceva di essere unmembro del congresso della Louisiana e di essere al sicuro in un bunker a 100 miglia a nord diNew Orleans. Aveva una voce dura e stanca. Ha proseguito dicendo che erano sopravvissuticon lui molti soldati della Guardia nazionale della Louisiana. La ragione della trasmissioneradio era di mettere in guardia contro la minaccia rappresentata dagli zombie esposti alleradiazioni. A quanto sembra, New Orleans era stata distrutta dalla strategica campagna dibombardamento nucleare.

Il membro del congresso aveva mandato in esplorazione gruppi equipaggiati di dosimetri econtatori Geiger per verificare i danni alla città e alle schiere dei morti viventi. Di dieci cheerano stati mandati in missione, ne erano tornati sei. I superstiti avevano riportato che i mortiviventi esposti alle radiazioni mostravano segni minori di decomposizione e si muovevano inmodo più rapido e coordinato dei loro compagni non radioattivi. Le radiazioni in qualchemodo li conservavano. Uno dei soldati ha detto persino di aver sentito una di quelle creaturepronunciare una parola. Dei quattro che erano morti, due erano stati sopraffatti da dozzine dicreature contaminate sulla statale fuori New Orleans. I restanti due erano morti peresposizione alle radiazioni dopo aver trascorso la notte in un camion dei pompieri che nonsapevano essere contaminato, mentre gli altri erano al sicuro nella rete fognaria sottoterra.

L’uomo alla radio diceva di avere una comunicazione limitata attraverso una telescrivente adalta frequenza con una base equipaggiata con squadroni di prototipi di droni e magazzini pienidi ordigni esplosivi militari. Stando all’uomo, l’esplosione elettromagnetica aveva resoinutilizzabili le apparecchiature elettroniche non schermate attorno alle città distrutte. I soldatimandati in missione non erano riusciti ad accendere le auto collegando i cavi, né avevanotrovato delle radio utilizzabili. Terrò conto di queste informazioni per eventualità future, nelcaso in cui abbia la sfiga di trovarmi nel raggio delle zone radioattive.

Io e John abbiamo cercato di rispondere alla trasmissione, ma la bassa potenza della nostratrasmittente non è riuscita ad arrivare così lontano. Magari in un giorno uggioso… ma nonoggi. È solo una cosa in più di cui preoccuparsi.

22 marzo

Ore 18:54Tara è una donna interessante. Ammiro molto il fatto che sia riuscita a sopravvivere. Nonposso immaginare come deve essersi sentita dentro quella macchina, con quelle creature cheper giorni battevano i pugni contro i finestrini. Mi ha detto che ha passato un giorno intero adattirarli da un lato dell’auto, in modo da poter aprire il finestrino sul lato opposto e respirare

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aria fresca per alcuni preziosi istanti, prima che tornassero barcollando verso di lei. Non l’hoancora vista crollare o piangere, ma è una cosa naturale e sono certo che prima o poi accadrà.

Laura vive nel suo piccolo mondo con Annabelle e l’orsacchiotto. Sono terrorizzato alpensiero del giorno in cui dovremo andarcene. Un giorno che arriverà presto. In qualche modoqui mi sento responsabile di tutti. So che non riuscirei a sopportare l’idea di perdere uno diloro, anche se so che prima o poi soccomberemo alle statistiche. Sono diventato piuttostobravo a scacchi e io e John, quando giochiamo, siamo più o meno alla pari.

Ieri notte William si è svegliato verso le due. Io mi ero alzato e stavo guardando la mappa.Mi ha detto di essersi sognato la nostra escursione al faro e che, nel sogno, “Claudia” noninciampava nel gradino. Sapevo dove sarebbe arrivato e ho cercato di scacciare il pensiero.Non ho visto più nessuno di quelli dopo il nostro ultimo viaggetto. Siamo riusciti aconfonderli con i nostri diversivi, tra spari e motori. Non abbiamo intercettato nessunatrasmissione radio dalla Lousiana ieri e oggi. Abbiamo fatto in modo che ci fosse sempre unapersona che stesse alla radio con l’auricolare. Io ho subito un leggero crollo dopo il viaggio alfaro e così ho deciso di radermi per tirarmi su di morale. È incredibile come una buonarasatura abbia il potere di farti sentire più umano.

Sto pensando a quanti ce ne siano di quelli in questo momento. Mi chiedo di quanto sono inmaggioranza rispetto ai sopravvissuti e quanti militari di professione siano rimasti. Mi ricordoche l’ultimo censimento in America, nel 2000, aveva detto che eravamo quasi 300 milioni dipersone. Non ho modo di sapere quanti sopravvissuti ci siano, ma sono sicuro che i mortiviventi ci superino di un bel po’. Credo che la campagna nucleare ne abbia fatti fuori alcunimilioni (inclusi i vivi). Ma non ho nessun dato per fare una stima accurata. La pioggerellinaimperversa. La primavera è in arrivo, e con lei anche le tempeste.

23 marzo

Ore 18:19Abbiamo ricevuto un’altra trasmissione dalla Louisiana. Questa volta era molto confusa. Lavoce diceva che tutte le comunicazioni con il NORAD, il Comando di difesa aerospaziale, sonostate interrotte. La loro teoria è che probabilmente è stato distrutto dall’interno. Stannocercando di entrare nel loro sistema informatico e intercettare le trasmissioni video delle lorotelecamere interne dalla base di New Orleans, anche se i tentativi fatti finora sono falliti.

John sta facendo il progetto dell’apparecchiatura sonora per “distrarre” le creature. Gli hoanche chiesto di pensare a un dispositivo mobile per ricaricare le batterie esauste, perché credoche molte delle auto rimaste nel continente siano andate. Proprio come i loro proprietari.Stiamo facendo un piano di fuga. Dove andremo, però, non lo abbiamo ancora deciso.

24 marzo

Ore 23:39Non siamo stati contaminati dalle radiazioni. Dovremo evitare le grandi città, perché sonosicuro che laggiù ci siano quantitativi letali di radiazioni, come si è visto dai soldati mortinella missione. Poi ci sono anche le ultime informazioni captate qualche giorno fa dalla

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Louisiana. Sento i loro gemiti, trasportati dal vento. Sembra che siano qui fuori, alla finestra.So che non è così, ma è davvero angosciante. Non sono gemiti umani. È un suono profondo egutturale, basso e innaturale. Devo andare a controllare il perimetro della marina.

26 marzo

Ore 20:03Le creature non sanno nuotare, ma possono “vivere” anche in acqua. Abbiamo deciso di usciresul pontile a prendere un po’ di sole. Ho portato il fucile, giusto per essere tutti al sicuro. Lapiccola Laura era un po’ pallida per la mancanza di sole e mi sono sentito in colpa per il fattoche non abbia mai la possibilità di stare un po’ all’aperto. Sono rimasto in piedi, con losguardo verso la costa, mentre gli altri si toglievano le scarpe e immergevano i piedi in acqua,seduti sul pontile.

Non si vedevano movimenti sulla costa, tranne quello delle creature che si tormentavano,intrappolate nelle stanze dell’albergo lungo la strada di fronte a noi. Mi sono girato verso glialtri. Sembravano tutti divertirsi. Se ne stavano tranquilli, consapevoli dei pericoli che erano inagguato nell’area urbana attorno a noi. Ho guardato in acqua e ho notato qualcosa che simuoveva sotto la superficie. Ma l’acqua verde scuro impediva in parte la visibilità.

Ho chiamato John e ho detto a William di sorvegliare gli altri e di dirgli di togliere i piedidall’acqua. Sulla parete della marina c’era un salvagente, simile a quelli che ci sono sullebarche, e un uncino di salvataggio per tirare le persone fuori dall’acqua. L’ho guardato e holanciato uno sguardo a John. Me l’ha portato, mentre io continuavo a guardare negli abissi.L’ho visto di nuovo. C’era qualcosa di grosso che si muoveva sottacqua.

Ho detto a John di tenermi forte per la cintura mentre immergevo il bastone nell’acqua. Hotoccato l’oggetto. Dopo qualche minuto di strattoni, l’ho finalmente afferrato. Mentre tiravosu dall’acqua la creatura putrescente, ho pensato a tutti i pesci che avevamo mangiato neigiorni precedenti e che probabilmente si erano nutriti del corpo di quest’uomo. Si agitavaconvulsamente con la bocca aperta, digrignando i denti. Mentre tentava di mordermi, un po’di acqua stagnante gli è uscita dalla gola facendo bassi gorgoglii.

Non aveva più gli occhi, probabilmente da tempo se li erano mangiati i pesci. Doveva esserenell’acqua da un bel po’. L’ho tirato su, issandolo sul pontile. Non aveva più neanche legambe. Ma era ancora pericoloso, e così ho deciso di liberarmene, senza far rumore, con unacoltellata ben piazzata nell’orbita sinistra. Usando il bastone a uncino gli ho immobilizzato latesta e gli ho assestato il colpo, neutralizzando questo miserabile pezzo di merda.

Ne sarebbe passato di tempo prima che decidessi di farmi di nuovo una bella nuotata. Hofatto scivolare il ponte levatoio verso terra tirando le corde. Col bastone a uncino hotrascinato la creatura lungo la strada, mentre John mi copriva col fucile. Laura ha visto cheportavo via quell’essere e si è messa a piangere. Mi sono sentito malissimo e ho odiato ancoradi più questa massa putrida mentre la trascinavo via. Il viscido cadavere, trascinato sulpavimento riscaldato dal sole, lasciava sul cemento una scia nera.

27 marzo

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Ore 19:51Il vento ulula all’esterno. I gemiti delle creature sembrano farsi più forti col passare dei giorni.Là fuori in questo momento ce ne sono una ventina. Fanno una sorta di “ricognizione” dellacosta. Ogni volta che li vedo, devo lottare contro il desiderio di uscire e farli fuori. Staserametterò di nuovo dei proiettili come tappi per le orecchie, perché il rumore rischia dimandarmi fuori di testa. Anche nell’oscurità della sera riesco a scorgere le tracce lasciatetrascinando il corpo della creatura che ho eliminato ieri.

Siamo tutti d’accordo, è ora di andarsene da qui. Ci siamo dati una settimana di tempo. Nelfrattempo cercheremo di raccogliere altre provviste e di pensare a una possibile destinazione.Ho iniziato a realizzare che se non ti sposti vai incontro a morte certa. E anche in quel casonon moriresti davvero, ma esisteresti come esistono quelli, che è molto peggio.

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Atlantis

28 marzo

Ore 13:00Siamo in barca. Stamattina presto, attorno alle 2, una tazza che Laura aveva lasciato sulbancone ieri notte è caduta senza una ragione apparente. Mi sono alzato immediatamente e misono sentito come se fossi ubriaco, perché faticavo a stare in piedi. Mentre andavo verso icocci della tazza mi pareva di camminare in salita. Ho acceso la luce e ho chiamato John eWilliam. Anche loro si sentivano poco stabili sui piedi, e alla fine ho capito cosa stavasuccedendo. Mi chiedevo quanto ci volesse alla Legge di Murphy per realizzarsi. Stavamoaffondando. C’era stata una tempesta la notte prima che ci aveva fatto ballare un bel po’.Immagino che la mancanza di manutenzione e di ispezioni e il corso della natura abbianoavuto il loro effetto. Abbiamo svegliato gli altri e ho detto a John e William di iniziare araccogliere i viveri. Non avevo idea di quanto ci volesse prima che tutta la marina affondasse.Il peso sbilanciato avrebbe finito per far rompere i supporti di legno causando l’affondamentodell’intera struttura.

Non c’era tempo per fare tutto in silenzio. Mi sono messo gli occhiali per la visionenotturna e ho iniziato subito a preparare la Mama. Il rumore che facevo io, e gli scricchioliidel legno usurato della marina, avevano attirato una folla. Con la visione sgranata permessadagli occhiali, ne vedevo circa una ventina. Erano terrificanti. Ho sentito nel profondo delcuore che se esisteva un inferno, quelli venivano da lì, e l’immaginazione mi faceva avvertire sudi me i loro respiri infernali.

Anche se sono quasi sicuro che non possano vedere al buio, molti guardavano nella miadirezione, sintonizzati sul rumore e muovendo la testa come un cane disorientato verso il suopadrone. La maggior parte di loro era in uno stadio intermedio di decomposizione. Nonriuscivo a vederne gli occhi, solo le orbite scure, che aggiungevano altro orrore alle loro figure.

Io, Jan, Tara, John e William abbiamo formato una catena umana passandoci di mano inmano le cose da caricare in barca. Era passata solo un’ora e uno degli angoli della piattaformaera già affondato di quasi un metro, facendo sollevare dall’acqua l’angolo opposto. Questovoleva dire che la struttura era fortemente sotto pressione. Ho messo la museruola adAnnabelle, ho portato sulla barca lei e Laura e le ho fatte sedere. Le creature emettevano i lorogemiti ottusi verso di noi. Ho detto a Laura di non preoccuparsi e che il suo compito era ditenere il cane e di non lasciare la barca. Le ho messo in mano il suo orsacchiotto e le ho datoun bacino sulla guancia.

Abbiamo caricato l’imbarcazione così tanto da essere quasi in sovrappeso. Non l’avevo maivista così immersa da quando avevamo iniziato a usarla. Ho aiutato Jan e Tara a salire e hodetto a William di restare con loro, mentre io e John facevamo un ultimo giro dentro lamarina per accertarci di non aver dimenticato niente che potesse servirci. Soddisfatti dalla

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nostra ultima ricognizione siamo saliti in barca e abbiamo acceso il motore. Se non fosse statoper Laura, ne avrei ammazzato qualcuno all’istante, anche solo per sentirmi meglio.

Mentre ci allontanavamo dalla marina, ripensavo a tutti i posti in cui eravamo stati costrettia rifugiarci negli ultimi tempi. Parevano essere progressivamente sempre meno comodi. Almomento ci troviamo a circa un miglio dalla costa del Texas, e galleggiamo col motore spentoper risparmiare benzina.

Ore 21:44Abbiamo deciso di dirigerci a nordest lungo la costa del Texas, verso Galveston. C’è qualcosache non va col motore. Continua a riempirsi d’acqua. Quando finalmente riesco ariaccenderlo, si spegne dopo 5 minuti. Stiamo iniziando a perdere le speranze. Secondo i mieicalcoli abbiamo percorso all’incirca 75 miglia. Stiamo finendo la benzina. Vedo il livello nelserbatoio che scende costantemente. Ma comunque, questo non è il problema principale. Èqualcosa che c’entra col motore, il che significa che, di qui a poco, o manderemo avanti labarca remando, alla velocità di circa un nodo all’ora, o finiremo a terra.

Peggio di così non può andare.

29 marzo

Ore 6:05E invece può. Dopo aver remato per più di 4 ore ieri notte, siamo finalmente arrivati a unazona dove poter ancorare, lontano dai morti viventi. Abbiamo dormito appena 2 ore, e poi nonabbiamo avuto altra scelta se non decidere di proseguire a piedi. Tara mi ha detto di averbisogno di un bagno, e dopo il problemino che abbiamo avuto con la creatura sott’acqua nonha troppa voglia di sporgere il culo dal lato della barca. Credo di poterla capire. Nonpossiamo stare su questa barca a tempo indeterminato. Abbiamo trascinato la barca remandoabbastanza vicino alla riva da vedere sotto di noi il fondo sabbioso. Sono saltato fuori e conl’acqua alle caviglie ho tirato la barca sulla spiaggia. William mi copriva le spalle con il fuciledel guardiano del faro. Abbiamo scaricato dalla barca tutto quello che abbiamo potuto.Dovremmo essere vicino a Freeport, anche se non ne sono sicuro.

Sembra un’idea estremamente rischiosa e folle quella di attraversare a piedi il Texas con unabambina. So che non è mia figlia, ma mi sento incredibilmente protettivo nei suoi confronti.Mentre eravamo seduti sulla spiaggia, ho detto agli uomini che avremmo dovuto usare unasorta di schieramento difensivo, con le donne (e Annabelle) nel mezzo e gli uomini attorno.Stiamo per andar via e saremo costretti ad abbandonare alcuni dei barattoli con le verdure,oltre che dell’acqua. Non possiamo portare tutto quel peso. Quando lasceremo la costa lanceròun ultimo sguardo alla Bahama Mama e le darò un addio spirituale, proprio come ho fatto conla macchina che avevo usato durante gli anni della scuola, e che avevo da molto tempo.

Ore 13:41Dopo aver marciato a nordest verso l’entroterra per cinque ore, ci siamo fermati per una pausa

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pranzo. Mi sento così vulnerabile, in confronto alla sicurezza della marina. Basterebbero pochidi quelli per sopraffarci completamente. Nel corso delle ultime ore abbiamo attraversatodiverse strade a doppio senso, alcune a quattro corsie. Siamo in aperta campagna, in una zonain parte destinata ai pascoli. A grandi linee dovremmo trovarci nei pressi di Sweeny, ma nonpotrei dirlo con certezza e non credo che chiederò delucidazioni alla popolazione locale. Icactus crescono dappertutto liberamente. Credo di non averlo mai notato prima, perché noncredo di essermi mai veramente avventurato a piedi per la campagna.

Abbiamo attraversato una delle autostrade, stamattina attorno alle 10:30. Si vedevano seimacchine accatastate a circa 100 metri da dove abbiamo attraversato. Pareva che nel mezzo cifosse anche un camion dei pompieri con la scala a pioli alzata verso il cielo. Ho deciso di dareun’occhiata per vedere se c’era qualcosa che poteva servirci. Osservando quei rottami hopensato che non avrei voluto rischiare di guidare su un’autostrada per paura di incappare insimili macerie lungo la strada. Non volevo finire intrappolato e circondato da quegli esseridentro qualcosa che potesse essere a corto di benzina.

Avvicinandomi all’ammasso di rottami, la mia mente ha iniziato a connettere i diversipassaggi per capire cos’era accaduto. Ho fatto segno agli altri di restare fermi. Il nemico eravicino. In cima alla scaletta meccanica che si alzava dal camion dei pompieri, una di quellecreature, appesa a una cinghia di salvataggio, si è accorta della mia presenza. Inutile chiedersida quanto tempo fosse lì come un animale selvaggio in una trappola di acciaio. Il mortovivente, un tempo addetto alla sicurezza pubblica, doveva esser stato probabilmente una bravapersona nella sua vita precedente. La tuta gialla da pompiere era ancora visibile sotto tutto ilsangue secco che aveva addosso. Sulla sua manica sinistra era cucita una bandiera degli StatiUniti con la data 11-9-01, ricamata tra le stelle e le strisce.

Avrei voluto mandare all’altro mondo quell’essere con un colpo ben assestato, ma sapevoche stavolta era diverso. Non avevamo la nostra barca a proteggerci. L’avrei lasciato appeso lì.Ho girato attorno ai rottami. Immagino che quell’uomo si sia trovato circondato e abbiacercato rifugio a 15 metri da terra in cima alla scala, chissà per quanto tempo. C’era unapiccola piattaforma, grande abbastanza perché un uomo potesse starci seduto sopra.Probabilmente si era trasformato in uno di quelli, era inavvertitamente caduto e adesso eracondannato a passare lì in cima il resto della sua putrida esistenza, appeso alle cinghie disicurezza. C’erano delle feci a terra, sotto la scaletta, segno che l’uomo era rimasto lassùprobabilmente per qualche giorno. La mia domanda era: da cosa si stava rifugiando? Al di làdella sua infelice sagoma, non c’era alcun segno di morti viventi, a quanto potevo vedere suentrambi i lati dell’ammasso di rottami. Ma le impronte insanguinate alla base della biancascaletta meccanica, e le stesse impronte tutto intorno al camion, raccontavano una storiadiversa.

Abbiamo proseguito lungo la terra di nessuno delle pianure texane, scavalcando recinzioni difilo spinato e destreggiandoci nella rigogliosa vegetazione primaverile. Potremmo viaggiare pergiorni, per non dire settimane, prima di trovare un posto dove poterci potenzialmenterifugiare.

Ore 23:12Ci siamo rifugiati per la notte in un’area recintata con filo spinato acuminato. L’abbiamo

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trovata per una pura botta di fortuna dopo aver combattuto per ore con i cactus e con lavegetazione folta. Il cartello appeso fuori dalla recinzione recitava:

Attenzione:Area controllata, proprietà privata del governo americano. È vietato entrare senza ilpermesso del comandante della zona. Tutto il personale e le relative proprietàsaranno oggetti a perquisizione all’interno di quest’area, costantemente sorvegliata dagruppi militari con unità cinofile.

Si stava facendo buio quando John si è imbattuto nella recinzione. A un certo punto

abbiamo dovuto fare dei turni per portare Laura, perché iniziava a non reggersi più sullegambe. L’area recintata non è più di 20 metri per 20. Non ho la più pallida idea di che cosa ilgoverno possa aver fatto di un pezzo di terra così piccolo, né per quale motivo si sianopreoccupati tanto da mettere un cartello di quel tipo.

A un’occhiata tutt’intorno non si vedevano altri segni di vita (o di morte) oltre a noi. Nonc’erano edifici all’interno della recinzione, che pareva più un’area incolta simile a un cortilerettangolare. L’erba selvatica era cresciuta parecchio e credo che, se ci fosse stato qualcuno aterra, non lo avremmo visto. Non avevamo altra scelta se non entrare lì o dormire su unalbero, idea che non mi piaceva molto. Ho preso le coperte dallo zaino che portava Tara e leho piegate su se stesse, in modo da creare un certo spessore.

La recinzione era alta circa 3 metri, ho fatto un paio di tentativi e alla fine sono riuscito agettare le coperte sui fili taglienti, in modo da potermi arrampicare e saltare dall’altra partesenza farmi a pezzi. Appena ho toccato il terreno ho alzato il fucile e ho iniziato a controllareogni metro di terra in cerca di potenziali pericoli.

Ho girato intorno al centro dell’area, poi mi sono diretto verso il punto più interno, dove hotrovato quella che pareva una grande botola. Mi sono inginocchiato e ho notato che nonc’erano maniglie esterne. Tuttavia, anche se ci fossero state non sarei stato in grado disollevare il portello, perché la sola parte esterna erano 10 buoni centimetri di acciaio. Alcunigrandi cardini erano presenti su uno dei lati di quella strana copertura. Ho idea che, da sola,pesi più di tutti noi messi assieme. Non si sente nessun rumore tranne quelli della natura. Lestelle sono molto luminose stasera, e la recinzione è sicura. Se non piove, sarà bello dormiresotto le stelle.

30 marzo

Ore 15:17La situazione è improvvisamente cambiata. Mi sono svegliato stamattina sentendo inlontananza dei cani latrare. Non c’è modo di sapere se si tratti di animali domestici o selvaggi.Mi ha fatto pensare alle scritte che c’erano sul cartello all’esterno della recinzione. Sono

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curioso di sapere perché mai una spessa botola d’acciaio sia stata messa proprio qui, conattorno una recinzione del genere, nel mezzo del nulla in una pianura del Texas. Ho detto aJohn che volevo dare un’occhiata facendo il giro della recinzione, perché da uno dei lati pareche non vi siano né alberi né cespugli.

Ho usato di nuovo la tecnica della coperta e ho scavalcato il recinto. John era dietro di me.Ormai si è completamente ristabilito. Ha lasciato la calibro .22 a William e alle ragazze e hapreso il fucile, ché non sarebbe stato l’ideale per sparare attraverso la recinzione.

L’area recintata da dove venivamo noi era di circa 3 metri più bassa rispetto alla collina sucui ci siamo arrampicati fino ad arrivare a una radura. Quando siamo arrivati in cima allacollinetta si è aperta davanti a noi una buona visuale del territorio. Si vedeva abbastanza terrapianeggiante per decollare e atterrare con un piccolo aereo, e c’era una recinzione, simile allanostra, a circa 300 metri davanti a noi.

Non appena ci siamo avvicinati alla seconda area recintata, ci siamo accorti che era moltopiù grande di quella dove avevamo trascorso la notte. C’era anche una piccola costruzione dimattoni, delle dimensioni di un capanno, con una porta di acciaio dipinta di grigio e una seriedi antenne sul tetto. Quando siamo arrivati a ridosso della seconda recinzione, John ha notatodentro al perimetro una zona di atterraggio per elicotteri. C’era anche una porzione piuttostogrande di erba bruciata che circondava quello che pareva un grosso buco quadrato nel terreno.

Non si notavano segni di movimento da nessuna parte. Avevamo una bella panoramica dellazona in ogni direzione. Vedevamo persino la cima della recinzione in cui ci aspettavanoWilliam e gli altri. Non era decisamente una base, ma era già qualcosa. Io e John siamotornati a prendere le coperte per scavalcare la seconda recinzione. Abbiamo detto a Williamquello che avevamo trovato e siamo tornati alla seconda zona.

Prima di scavalcare la recinzione, ho controllato il cancello di accesso, nel caso fosse aperto.Era chiuso con un pesante lucchetto di quelli a codice. L’altra zona aveva invece una grossacatena e un lucchetto a prova di cesoie. Ho avuto la sensazione che quest’area fosseleggermente più importante dell’altra. Abbiamo scavalcato la recinzione, iniziando acontrollare il perimetro. Sono andato verso la piattaforma per l’elicottero, tenendo gli occhiben aperti per captare eventuali movimenti. Il buco nel terreno mi incuriosiva parecchio, cosìio e John abbiamo deciso di controllarlo per bene. Mentre ci avvicinavamo al buco, ho iniziatoa realizzare di che tipo di posto si trattava.

Non ne avevo mai visto uno dal vivo, ma quest’area avrebbe potuto tranquillamente avere ilsegnale “Minuteman III” attaccato alla recinzione: una zona di lancio missili. Ero in piedivicino al luogo da cui era stato lanciato da poco un missile. Il terreno era bruciato attorno aiportelloni di lancio. Ho preso la torcia dallo zaino e ho controllato i contorni dell’apertura, incerca di una scala di accesso o qualcosa del genere. Ce n’era una a circa un metro sotto ilpesante portellone, messa di lato e attaccata alla parete. John mi ha tenuto per un bracciomentre mi calavo nel buio condotto di lancio. Ho iniziato la discesa nell’oscurità con il fucile atracolla.

Il buco era profondo almeno 15 metri e la discesa mi è parsa eterna. Quando ho alzato latesta verso l’alto, John mi sembrava a milioni di chilometri di distanza. Non so se a quel puntoero ormai un po’ fuori di testa, ma potrei giurare di aver sentito della musica in lontananza.Ero in piedi sul fondo del condotto. Guardandomi in giro, grazie alla luce della torcia, ho vistoche c’erano alcuni scoiattoli morti, che dovevano essere caduti nel buio e poi morti permancanza di cibo e acqua. C’erano anche foglie e vari detriti sul terreno. I portelloni dovevano

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essere stati aperti diverso tempo prima. Alcuni degli scoiattoli morti erano marci fino all’osso.Ho controllato il terreno e ho notato una porta di forma ovale con una ruota al centro, dallato opposto rispetto a quello in cui mi trovavo. Ho urlato a John, domandandogli se riuscivaa scendere senza bisogno del mio aiuto. Non ha risposto ma ho visto le sue gambe si portavanosul primo piolo della scaletta, mentre iniziava a scendere.

Mentre John scendeva, ho afferrato la ruota e ho iniziato a girarla in senso antiorario pervedere se si smuoveva. Con mia grande sorpresa, ha funzionato. Credo che avesseroconsiderato i portelloni di acciaio spessi un metro in cima al condotto sufficienti a tenere allalarga eventuali intrusi, e così non si erano preoccupati di chiudere quella insignificante portaovale lì sotto spessa appena 10 centimetri. Ma perché non avevano richiuso il portelloneesterno dopo il lancio?

John è arrivato giù. È rimasto alle mie spalle mentre finivo di girare la ruota per aprire laporta ovale. L’ho girata tutta a sinistra e ho sentito un rumore metallico. A quel punto ilportellone si è aperto. L’ho tirato verso di me e subito ho sentito un soffio d’aria, non sapreidire però se venisse da dentro o da fuori. Ho spalancato la porta. Una luce intensa e il suono diuna musica ci hanno investito.

“It’s the end of the world as we know it!” REMCredo che la fine del mondo imminente causi un certo cinismo. Con le armi spiegate, io e

John ci siamo addentrati in questo moderno castello luminoso. Non avevo la minima idea dicome fosse strutturato il posto. Mi sono diretto verso la fonte della musica.

Tutte le luci interne erano accese. Camminavamo lentamente. La canzone era finita… e poi èricominciata. Andava a ripetizione. Avevo sperato che non fosse così, perché la musica mitrasmetteva una falsa idea di vita. Per quello che ne sapevo, la canzone poteva essere statamandata a ripetizione per mesi.

Eravamo vicini alla fonte da cui proveniva… andava a tutto volume.“Wire in a fire, represent the seven games in a government for hire and a combat site…”Girando l’angolo nella direzione da cui ci pareva provenisse la musica, siamo arrivati a una

porta spalancata spessa circa 30 centimetri. Sembrava l’apertura del caveau di una banca. Lamusica veniva da lì.

Si vedevano alcune luci intermittenti che provenivano da pannelli computerizzati, e la puzzadi marcio era pungente. Ho lanciato un’occhiata a John e siamo entrati. Il Capitano Baker èstato il primo cadavere di cui ho incrociato lo sguardo. Legato su una sedia di acciaio, era uncapitano della Air Force, con il nome scritto su una targhetta appuntata al taschino destro.

Si è dimenato lottando contro i lacci che lo legavano alla sedia. Aveva la pelle lacerata incorrispondenza delle corde. C’era un altro ufficiale che giaceva curvo su una console con unaBeretta 9 mm in mano e metà del cranio frantumato.

Posso solo cercare di indovinare l’accaduto. Baker aveva tre colpi di pistola sul petto eavevamo un cranio a pezzi. Mentre la creatura si dimenava sulla sedia ho afferrato la pistoladalla mano putrefatta dell’altro ufficiale. Ho controllato il caricatore e contato undici colpi.Tre per Baker e uno per il “Maggiore Tom”, che non aveva la targhetta. Con gli undici colpirimasti, facevano in tutto quindici. Ho immaginato che Baker fosse infetto, che il “MaggioreTom” lo avesse legato, avesse lanciato il missile e poi sparato tre colpi al petto a Baker primadi togliersi la vita. Naturalmente erano solo speculazioni, e alla fine non importa un granché.

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Ore 23:26Io e John abbiamo portato gli altri nel bunker. Dopo aver finito Baker, lo abbiamo portatoinsieme al “maggiore Tom”, in una stanza vuota adibita a magazzino temporaneo. Sembranoesserci energia, cibo e acqua in abbondanza. E siamo al sicuro.

Non ho modo di capire se internet è ancora operativo. Al momento uso il sistemacomputerizzato del complesso. La maggior parte delle console protette da password sonoattive e con log-in effettuato, e molti degli schermi non protetti funzionano. Devo trovare ilmodo di chiudere il portellone esterno. Nei prossimi giorni cercheremo le “chiavi del regno”.

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Hotel 23

1o aprile

Ore 09:12Ho cercato nei cadaveri di Baker e del “maggiore Tom” e ho trovato molti effetti personali eun blocco note di Baker. Conteneva molte password per i sistemi di controllo dell’installazionee una tessera magnetica per aprire alcune porte.

L’installazione riceve energia dalla rete elettrica locale più quattro enormi generatori diesel.In quest’area la rete elettrica ha continuato a funzionare. Ho identificato alcuni manualitecnici nei cassetti della scrivania della stanza di controllo. Descrivono procedure di emergenzae qualche funzione dell’installazione. Uno dei manuali diceva che con rifornimenti adeguati,l’installazione fornisce cento giorni di aria, cibo, acqua e protezione per cento persone.

Il problema che rimane è capire come funziona il tutto e dove sono le cose. Non abbiamoesplorato l’installazione per intero perché abbiamo paura che ci siano altri di quelli nascostinelle catacombe dei settori più esterni. Ho notato che le parole “Hotel 23” sono stampate sullecopertine di tutti i manuali. Una targa di legno celebrativa è appesa sopra la console dicontrollo principale e riporta un’incisione con la stessa scritta in inglese e sotto in russo.

La cantina con gli impianti include una dispensa piena di cibo in scatola e molti oggettidenominati razioni “C”. Non ne ho mai mangiata una, ma ne ho sentito parlare da alcuniveterani con i quali ho prestato servizio prima che tutto questo accadesse. Ci sono anche moltescatole di cibo precotto sulle mensole nel retro della dispensa.

Smanettando col sistema di controllo computerizzato, John ha capito come controllare levideocamere telecomandate situate al di fuori dell’installazione. Non siamo riusciti a capirecome chiudere la porta blindata a prova di esplosivo. Abbiamo trovato l’ingresso e l’uscitaprincipali con la videocamera di sorveglianza di John. Sfortunatamente sta a circa mezzochilometro dal tunnel d’accesso e termina con un ascensore. La cosa peggiore è che dalletelecamere a circuito chiuso si vedono un centinaio di morti viventi che brancolano fuori dalleporte di uscita.

2 aprile

Ore 20:07Oggi ho individuato uno schema dell’installazione fatto a mano. Alcune stanze noncorrispondono. Penso che alcune aree siano state aggiunte dopo che è stato disegnato.

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Il piano per domani è finire di ripulire l’interno del bunker, che puzza di carne marcia e

frutta andata a male.

4 aprile

Ore 15:35Mentre rovistavo l’area soggiorno della postazione missilistica, ho trovato il diario personaledel capitano Baker. Inizia due anni fa e arriva fino allo scorso marzo. Praticamente c’è scrittotutto ciò che è successo qui, sin da quando tutto è cominciato. Non l’ho letto interamente mami sono riproposto di farlo nei prossimi giorni.

Trovata una cosa interessante:

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Capitano Baker, Air Force, USA10 gennaio “Ho ricevuto l’ordine di stato d’allerta all’‘Hotel 23’. Continuiamo a riceverecomunicazioni allarmanti dal comando missilistico con nuove coordinate per ipacchetti di obiettivi alternativi. Anche se le coordinate non sono scritte nel modonormale, ne ho viste a sufficienza per sapere che i dati di puntamento delle arminucleari che stiamo inserendo non corrispondono a obiettivi stranieri. Rimaniamoconfinati nella nostra postazione in stato d’allerta fino a nuovo ordine.Fortunatamente, questa volta ho pensato di portarmi un po’ di libri, a differenzadell’ultima esercitazione. I miei superiori sembrano avere la sensazione che questaepidemia possa comportare dei veri problemi per la nostra sicurezza”.

Oggi abbiamo tentato di ripulire tutto l’interno. Di tanto in tanto sento un suono

meccanico/elettrico che arriva da un’altra zona all’interno del bunker. Ho la sensazione che siaqualche genere di sistema di filtraggio dell’aria. Abbiamo sgombrato buona parte dellapostazione missilistica, tranne la stanza sulla cui porta è scritto “controllo ambientale”. C’èuna pesante porta blindata con una serratura cifrata che blocca l’ingresso. Nel blocco note delcapitano trovato qualche giorno fa non c’è alcun codice per aprirla. John ha trovato unacartella sul desktop di uno dei computer del controllo di lancio.

I computer non segretati hanno Windows, mentre le macchine protette dalle emissionicompromettenti di energia utilizzano un tipo di Linux che non avevo mai visto. John hautilizzato una specie di interfaccia non GUI (graphical user interface – interfaccia utentegrafico) tipo DOS per esplorare il computer. È riuscito a estrarre molte fotografie a coloridella stessa area (sconosciuta), però ogni volta, aprendo la cartella con le fotografie eselezionando lo stesso file, sembra venire fuori una foto un po’ diversa, ad esempio le nuvolesono leggermente spostate oppure qualche piccolo dettaglio è diverso.

Un altro elemento nella lista delle cose da aprire è una spessa cassaforte con la scrittaARMERIA, alta 2 metri. Sfortunatamente c’è un lucchetto enorme che ne blocca l’accesso.Non ho ancora avuto un’occasione vera e propria di conoscere Tara, ma si sta rivelando unapersona molto curiosa. Non le piaceva l’idea di non sapere cosa c’era nella cassaforte e quindiha cercato per 3 ore nel bunker, frugando in tutte le scatole, allo scopo di trovare qualcosa diutile per tagliare il lucchetto. Purtroppo non ha trovato niente.

Annotazione a margine: tutti i wc dell’installazione assomigliano a quelli degli aerei. Vasiasciutti. Immagino che vogliano risparmiare acqua. Questo mi fa pensare alle riserve d’acquadi questo posto. Abbiamo trovato un grosso serbatoio rettangolare nelle stanze con i generatoridiesel, dove c’è scritto “acqua potabile”. Con il calcio del fucile ho bussato sul fianco delserbatoio fino a quando nella stanza non si è sentito un suono molto profondo. Il serbatoio erapieno per almeno ¾. Misura circa 6 m x 3 m x 150 cm. Nei prossimi giorni farò dei calcoliper capire quanta acqua possiamo, e quindi dobbiamo, utilizzare.

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Una foto vale di più di milleparole

6 aprile

Ore 21:44Avremmo dovuto capire immediatamente perché le foto che John pescava dal computer disicurezza col sistema operativo UNIX cambiavano continuamente. Sono immagini satellitariscattate quasi in tempo reale. John ci è arrivato la notte scorsa e ha anche capito comezoomare fino a una risoluzione che, secondo il computer, è di 20 centimetri. Usando lecoordinate approssimative dello stradario siamo riusciti a ottenere una fotografia dettagliata dicosa era rimasto nell’area di San Antonio.

All’inizio ci riusciva difficile interpretare gli scatti dall’alto anche perché il colore non eraregolato bene e questo dava alle foto un aspetto strano. Dopo aver inserito molte istruzioni dicomando, John è finalmente riuscito a ottenere una risoluzione di 1000 metri, così dadistinguere buona parte di ciò che rimaneva del centro abitato. Secondo l’indicatore temporale,la foto era stata scattata pochi minuti prima, perché il satellite era stato programmato perprodurre una traccia fotografica automatica in momenti prestabiliti. John non sa controllare ilsatellite per ottenere immagini a comando.

Studiando la foto sono riuscito a vedere molti edifici distrutti e alcune creature che devonoessere tornate in città, attratte dai suoni e dalle luci, dopo l’esplosione iniziale. Sono ancheriuscito a scorgerne un gruppo accalcato intorno a qualcosa. John ha zoomato più che potevaverso il centro del gruppo di cadaveri.

Si stavano disputando la carcassa di un ratto enorme. Si dice che una foto vale più di milleparole ed è vero. Abbiamo intenzione di visitare tutte le città inserendo le coordinate, cosìsapremo quali sono state distrutte e quali sono ancora in piedi. Ci vorrà del tempo, ma ne valela pena per la tranquillità (o la mancanza di tranquillità) che ne può derivare.

Jan e William si sono stabiliti con Laura in uno dei settori più ampi. John si dice d’accordoche Annabelle passi le notti con Laura. Sa che il cane aiuta Laura ad affrontare la situazione,perché rappresenta qualcosa di familiare, appartenente a un mondo ormai fottuto da tempo.

Ieri, Tara e io siamo saliti di sopra per controllare il perimetro, visto che la videocameravicino a dove ci siamo calati copriva soltanto le porte dell’area di lancio. Sembra ci siadell’ironia nel fatto che John riesca capire come guardare con un satellite l’orologio da polso diun uomo morto a un migliaio di miglia di distanza, ma non è in grado di riuscire a capirecome far chiudere la porta posteriore. Devo dargli merito di essersi dimostrato un buon amicoe una persona molto adattabile.

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8 aprile

Ore 23:24Dopo alcune giornate trascorse cercando di trovare le coordinate e molti fallimenti, ci siamoimbattuti nelle immagini satellitari di alcune città che risultano essere state distrutte da arminucleari o dalle MOAB, bombe ad altissimo potenziale.

Volevo usare i satelliti per scrutare casa mia in Arkansas, ma non sembrano funzionare al dilà di una certa longitudine. San Antonio, New Orleans, San Diego, Los Angeles, Dallas,Orlando e probabilmente New York sono state distrutte. Abbiamo verificato che nelle lorostrade, ridotte in cumuli di macerie, ci sono morti che camminano. Decisamente un bruttocolpo al morale del gruppo, me incluso. Con una risoluzione minore che forniva un’immaginepiù ampia delle città, abbiamo visto la distruzione di massa. Non c’erano esseri umani viventiin alcuna foto. Alcuni gruppi nelle foto mi ricordavano quelli di Woodstock. Ho fatto unastima e credo che ci siano milioni di morti viventi nelle aree a più alto tasso di radioattivitàdelle città devastate, anche se è impossibile contarli. Non c’è modo di stabilire quanti di lorosiano attivi nelle zone degli Stati Uniti che non sono state colpite. Non c’è alcuna speranza chei sopravvissuti possano essere di più e, quel che è peggio, non c’è alcuna traccia di un governo.

Ho provato, insieme a John, a ottenere informazioni satellitari di intelligence sugli stati piùa nord, ma ce lo hanno impedito i limiti dell’area di visione effettiva del satellite. Sono riuscitocomunque a trovare alcune informazioni sul destino di New York.

Un esame approfondito dell’area comando e controllo mi ha rivelato una valigia nera conuna serratura a combinazione ferma sul numero 205 da entrambi i lati, stipata tra duemensole. La combinazione era quella di sblocco e dentro abbiamo trovato una comunicazionestampata.

Penso che il governo utilizzasse il comando missilistico spaziale per fare il lavoro sporco chei disertori si rifiutavano di fare. Devono avere previsto che ciò sarebbe accaduto, dato cheBaker aveva notato la destinazione delle consegne molto prima che i piloti decidessero didisobbedire.

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11 aprile

Ore 12:33Non abbiamo ancora trovato la chiave dell’armadietto con le armi. Abbiamo discusso tra noiper decidere se non sia il caso di uscire in città per recuperare l’equipaggiamento necessario atagliare il lucchetto. L’ideale sarebbe una fiamma ossidrica, ma dubito che riesca a rimediarneuna. Forse dovrò accontentarmi di un seghetto a mano. Le cesoie sarebbero inutili perché ilpassante è troppo grosso e non ho mai visto cesoie che sarebbero in grado di tagliarlo.

John ha trovato il codice d’accesso per entrare nel settore del controllo ambientale. Eraincluso nel file system del controllo della base. Come sempre, trattandosi di una nuova area,siamo stati molto attenti ad entrare. John ha tenuto la porta e ha aspettato che gli dessi ilsegnale. Non volevo rischiare di sparare in questo settore, per paura di danneggiare i sistemivitali all’interno. John ha spalancato la porta. Dentro era molto buio.

Ho messo gli occhiali per la visione notturna e ho acceso gli infrarossi. Non ho visto alcunpericolo mentre entravo. La stanza era molto pulita. Ho trovato l’interruttore della luce, misono levato gli occhiali e ho premuto il pulsante. Dopo un paio di secondi le lampadefluorescenti si sono accese. La stanza aveva un enorme sistema di purificazione dell’aria, di cuiignoro le modalità di manutenzione e riparazione. C’erano scaffali carichi di strumentazione,con le più svariate funzioni di monitoraggio ambientale. Alla destra del blocco strumentazione,ho notato due file di maschere antigas diverse e cinque contatori Geiger, allineati uno affiancoall’altro in modo molto ordinato. Le maschere antigas non avevano filtri. Erano ancorasigillati dentro i barattoli, lì accanto. Ne ho contate dieci di un tipo e dieci dell’altro, venti intutto.

Sul pavimento c’erano molte scatole che riportavano stampata di lato la seguente scritta“Tute CBR”. Armeggiando col coltello, ho tagliato il nastro adesivo e ho scoperto che ogniscatola conteneva dieci tute contro la contaminazione chimica, biologica e radiologica, sigillatedentro buste di plastica. Insieme alle tute ho trovato libretti di istruzioni e specifiche tecniche,che spiegavano la durata e l’intensità della protezione da agenti contaminanti.

È chiaro che l’installazione è stata progettata per resistere a un attacco nucleare. L’unicacosa che non capisco è perché ci siano solo due ufficiali di stazionamento e nessun vipsopravvissuto rifugiato all’interno. Forse il mondo si è sfasciato troppo rapidamente, oppurequesta postazione non era neppure sulle mappe. E questo ci porta a un’altra considerazioneimportante. Solo ieri sono riuscito a capire dove siamo. Sembra passato molto tempo daquando abbiamo lasciato la Bahama Mama e ci siamo diretti alla cieca e di corsa verso questoposto, dopo giorni di cammino, o almeno così ci è sembrato, portando Laura e Annabelle inbraccio a turno. John ha trovato la nostra posizione utilizzando le immagini satellitari.Abbiamo determinato la direzione che abbiamo preso partendo dalla costa, utilizzando le cartestradali per trovare le coordinate.

Prima di tutto abbiamo localizzato la barca. Passo dopo passo, poi, abbiamo messo a puntole nostre coordinate e la risoluzione muovendoci verso nordovest fino a trovare le macerie conil vigile del fuoco appeso alla scala del camion. Giunti a quel punto, abbiamo continuato ainserire nuove coordinate in direzione nordovest, a passi piccolissimi, fino a scovarel’installazione.

La si vede facilmente, perché la cavità del cilindro di lancio è un segnale chiarissimo. John si

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è segnato le coordinate esatte su un foglio di carta. Quando l’abbiamo individuata, per esseredel tutto sicuri che si trattasse di quella giusta, ho preso un rotolo di carta igienica e dopoessermi assicurato che l’area fosse priva di intralci, ho fatto una “X” gigante con la cartaigienica sulla parte superiore vicino alla porta della piattaforma di lancio.

Dopo un’attesa di 15 minuti, John ha inserito le coordinate una seconda volta e la “X” dicarta igienica era chiaramente visibile con una risoluzione di 100 metri. Mantenendo le stessecoordinate, abbiamo ingrandito la risoluzione a 200 metri, zoomando al contrario. Anche senon si vedeva più la nostra installazione, sapevamo che era al centro dello schermo perché ilprogramma funziona così.

Con le carte stradali e le foto siamo riusciti a stabilire che ci troviamo vicino a una cittadinachiamata Nada, in Texas. La brutta notizia è che siamo anche a 60 miglia da Houston,direzione sudovest. Houston non è stata distrutta dagli attacchi nucleari e sappiamo chebrulica di zombie. Ci siamo ricordati delle foto che eravamo riusciti a scattare l’8 aprile. Conle telecamere a circuito chiuso riusciamo a monitorare i movimenti dei morti viventiall’ingresso; ora che abbiamo le coordinate esatte per le foto satellitari, inoltre, possiamoprovare a controllare la situazione tutt’intorno.

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“Toc, Toc”

12 aprile

Ore 22:19Non ho parlato, né documentato molto tutti gli intrattenimenti che questa stazione offre. C’èun’area salotto con televisione, videoregistratore e lettore DVD. Ce ne sono molti nel mobiledi legno su cui la tv è poggiata. Una volta aperto e controllato il contenuto, mi sono imbattutoin uno dei miei vecchi film preferiti, “1975: occhi bianchi sul pianeta Terra”, in videocassetta.Per qualche ragione non riesco a trovare la voglia di guardarlo. Sarebbe un po’ come guardareun film di guerra mentre sono nel campo di battaglia.

Durante il giorno ho iniziato a fare delle corse lungo la recinzione perimetrale. Prima diuscire, controllo le telecamere a circuito chiuso, per assicurarmi che la folla di zombie siarimasta dove l’ho lasciata, cioè davanti alla porta davanti della stazione, occupati nel tentativodisperato di arrampicarsi sulla spessa porta blindata. Dopo quasi cinquanta giri perimetralientro e mi faccio una doccia rapidissima. Normalmente mi cronometro per risparmiare acqua.Ricordo il campo di addestramento per reclute e la scuola per ufficiali, dove bisognavamettersi lo shampoo prima di entrare in doccia per impiegare meno tempo con l’acqua aperta.Sono riuscito a ridurre la durata della doccia a un minuto.

Gli altri sembrano non avere il concetto di risparmio, oppure la disciplina necessaria.Certamente non posso pretendere che tutti si comportino come delle macchine. Forse, apensarci bene, sono io il problema. Questa risposta logica e priva di emozioni all’interasituazione è stata la mia reazione allo stress da combattimento.

Dopo il check up della stazione di qualche giorno fa, ora abbiamo un passaggio per entrare euscire senza bisogno di utilizzare la scaletta della postazione missilistica. Ci sono delle scaleche portano in alto dove c’è il capanno di mattoni con la porta blindata dipinta di grigio. Datoche questa porta d’accesso porta in superficie vicino all’apertura da cui è stato lanciato ilmissile, abbiamo pensato che, per la nostra sicurezza, fosse meglio passare da lì.

Tara e io abbiamo passato del tempo insieme oggi. Stiamo diventando amici. Abbiamo datoad Annabelle e Laura il permesso di giocare all’esterno, nell’area perimetrale, sotto la nostrastretta supervisione. Ieri sono uscito con John e abbiamo fatto, con del filo di ferro e deipicchetti di legno trovati nel settore manutenzione, una recinzione mobile intorno alla botolaaperta. Non voglio che nessuno di noi ci cada dentro. Ovviamente, non siamo ancora riusciti atrovare il codice che comanda le porte della rampa. John sa come entrare nell’area del filesystem che dovrebbe contenerlo, ma teme di fare qualche errore e di aprire le porte principalidi fronte al complesso. Sarebbe come aprire il vaso di Pandora e far entrare centinaia didemoni. Questo ci obbligherebbe a mettere in quarantena gran parte del sito.

Vedere Laura che giocava con Annabelle all’esterno mi ha fatto dimenticare per un po’ glizombie. Solo mezz’ora dopo, quando il vento ha reso udibili i lamenti dei morti viventi, ho

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ripensato alle terribili circostanze che ci hanno portato qui, all’Hotel 23. Le ho riportate dicorsa dentro la struttura, proprio mentre l’odore di decomposizione iniziava ad accompagnarela sinfonia di lamenti portati dal vento.

14 aprile

Ore 23:57C’è stato un blackout di circa due ore. Si sono attivate le batterie di riserva, che hanno fattoaccendere le luci di emergenza all’interno della struttura. Immagino che la rete elettrica inquest’area stia finendo per deteriorarsi. Tuttavia, non c’è modo di saperlo con certezza. Lacorrente è tornata alle 23:30. Sono sicuro che il sistema è automatizzato, perché è moltoimprobabile che ci siano degli operai così fedeli al dovere da prendere servizio all’impiantoelettrico con i tempi che corrono.

15 aprile

Ore 19:20Stasera vado in ricognizione con gli occhiali per la visione notturna. Eviterò l’area all’esternodella porta blindata frontale, dove ci sono più morti viventi. Sta a mezzo chilometro didistanza, oltre una collinetta. John la sorveglia con le videocamere telecomandate.

Gli ho detto di non preoccuparsi. Se ci saranno segnali di pericolo, trascinerò gli zombielontano dalla struttura. In ogni caso non possono vedere al buio. Forse mi sopravvaluto, forsesottovaluto loro. So che quando sono in tanti sono letali. A dire il vero, sono letali anchequando sono da soli.

Oggi ho sentito per quattro volte uno strano suono meccanico. Una volta mi sonoprecipitato nella stanza di controllo ambientale per vedere se veniva da lì, ma non era così. Ilsuono proviene dalla struttura, da qualche punto nelle sue profondità. Forse è un qualchesistema di pompaggio, o di backup. Non posso dirlo con certezza. È la prima volta che sono inritardo nel pagare le tasse.

16 aprile

Ore 14:09La notte scorsa sono andato in perlustrazione. Prima di uscire, ho controllato con John idettagli delle foto satellitari di due giorni fa. L’area è circondata da due recinti e si puòaccedere all’entrata principale solo attraverso un tunnel sotterraneo, oppure salendo insuperficie da un punto situato all’esterno del secondo recinto. Nelle foto si vedeva anche unpiccolo gruppo di corpi stesi al suolo sul lato nordorientale della struttura. Ho percorso lescale fino all’accesso superiore. Ho chiesto a John di spegnere le luci nella mia zona peradattarmi all’oscurità prima di uscire. Dopo circa 20 minuti mi ero completamente abituato

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alla visione notturna.Ho inforcato gli occhiali per la visione notturna, stretto la fascetta e aperto la botola. L’aria

fresca della notte sapeva di caprifoglio. Ho superato la barriera che immette al loro mondo.Ho assicurato la botola con un gancio e sono andato avanti con alcune coperte in spalla. Le holanciate oltre la recinzione, nello stesso punto da cui eravamo entrati.

Avevo i codici di quel passaggio, ma non volevo essere obbligato a sbloccare una serraturacifrata durante un picco di adrenalina. In quella eventualità, le coperte sono il modo più sicuroper superare le cancellate. Ormai sono tutte tagliuzzate. Ancora un paio di volte e potrannoessere utilizzate solamente per un falò. Dopo aver toccato il suolo con gli stivali, le ho lasciatepenzolare appese al filo spinato e ho iniziato a camminare in senso antiorario lungo ilperimetro.

Una volta acceso l’infrarosso degli occhiali, ho potuto vedere gli occhi di molti animalinotturni attorno a me. In quest’area ci sono molti conigli, topi e scoiattoli notturni. Devotenerlo a mente come cibo possibile per il futuro. Ho superato il primo angolo e ho continuatoa comminare.

Dopo aver lasciato l’area che mi era più familiare, sono entrato in una parte della strutturache avevo già visto. La recinzione dove non ero mai stato, invece, era situata a un quarto dichilometro dalla nostra. Ho calcolato che John doveva essere a circa 25 metri di profonditàrispetto al punto in cui mi trovavo. Vedevo le luci penetranti delle telecamere di sicurezza chemi seguivano, in un angolo della recinzione. Poiché anch’esse utilizzavano raggi infrarossi, aimiei occhi erano come fari. Ho raggiunto la seconda recinzione dopo un minuto di corsa e hosvoltato dirigendomi verso l’angolo di nordest. Mentre mi avvicinavo i lamenti e la puzza deimorti aumentavano. Ero fuori dal raggio d’azione delle telecamere di sorveglianza, trannequella dell’ingresso principale.

Ora riuscivo a vedere i corpi impilati sulla seconda recinzione e scorgevo il mucchio di mortiche sbatteva senza sosta sulla porta d’accesso principale. Mi sono abbassato sulle ginocchia eho iniziato ad avvicinarmi ai cadaveri. Più mi avvicinavo, più tutto aveva senso. C’erano moltefessure nella recinzione, dovute ai colpi delle mitragliatrici che erano stati sparati dall’internoverso l’esterno. I cadaveri al suolo erano stati uccisi da qualcuno che stava dentro e sparavaattraverso il recinto. Evidentemente erano lì da molto tempo. Vermi e insetti ne coprivano lapelle priva di protezione.

Ho cercato il mitragliere responsabile di tutto questo sul lato interno della recinzionenumero due. A parte l’erba alta, su quel lato non si vedeva nulla. Ci doveva essere qualcosa diimportante all’interno di questo recinto, ma non riuscivo a scorgere nessuna botola blindata,simile a quella che avevamo trovato vicino alla prima recinzione. Non potevo fare a meno dipensare che il tizio che sparava a questi sciacalli avesse fatto marcia indietro, per ragioni disicurezza, verso l’oscurità del bunker. La struttura era stata già esplorata e all’interno nonavevamo trovato nulla, né di vivo né di morto. Mi veniva da pensare di nuovo a quel suonomeccanico intermittente.

Ho controllato la recinzione danneggiata scoprendo che solo un braccio umano o qualcosadi più sottile poteva passare attraverso le feritoie che si erano venute a creare. Il bordodentellato del filo spinato era coperto da macchie di sangue rinsecchito e da pezzetti di pelle, ilrisultato del tentativo estremo dei morti viventi di raggiungere il proprio carnefice, infilando ilbraccio attraverso il recinto.

Mi sono girato in silenzio per percorrere all’indietro la strada da cui ero venuto. Ho provato

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un percorso diverso, tenendomi fra le due recinzioni, invece di raggiungere immediatamente laprima. Sono sbucato fuori in mezzo alle due reti sul lato ovest della struttura. Ancora unavolta ho notato lunghe strisce di erba spianata, che avevo già visto la prima volta che eravamopassati di qui. Non avrei avuto problemi a decollare o ad atterrare con un piccolo velivolo.Non sarebbe male trovare un aereo e provarci, non si sa mai. Dopotutto, volare non è comeandare in bicicletta. Ci vuole allentamento. Ho saltato la recinzione, recuperato le coperte e, almio rientro, ho iniziato a raccontare agli altri quello che avevo visto.

19 aprile

Ore 12:11La scorsa notte sono rientrato dopo un’uscita di tre giorni alla ricerca dei rifornimenti e delleattrezzature di cui avevamo bisogno. Sono di nuovo ferito e, ancora una volta, c’è mancatopoco che ci lasciassi le penne. John se l’è cavata meglio di me. Ha soltanto alcune ferite alvolto. Uno di quelli l’ha graffiato dimenandosi. Per la maggior parte del tempo abbiamocamminato.

Eravamo riusciti a scoprire la posizione del più vicino campo di aviazione grazie agli atlantie alle carte aeronautiche in mio possesso. Secondo le mappe, avremmo trovato una pistad’atterraggio privata chiamata Eagle Lake a 32 chilometri N-NE. La sera prima di partiresiamo riusciti a procurarci una foto satellitare complessiva dell’area. Dal satellite si vedevanodue piste di cemento parallele, di cui eravamo piuttosto sicuri. Vicino alla piccola torre c’eraun hangar e due piccoli aeroplani parcheggiati. Ingrandendo l’area visibile si vedeva la strisciasbiadita, che corrispondeva alla statale I-10, a circa 12 chilometri a nord della pista diatterraggio. Con lo zoom abbiamo ingrandito le immagini di quella striscia nel punto piùvicino al campo di aviazione, perché sapevamo che avremmo avuto bisogno di un mezzo ditrasporto per ritornare sani e salvi. Molte auto sembravano parcheggiate a casaccio lungo tuttala statale, la principale arteria di scorrimento tra le rovine di San Antonio e la città diHouston.

Lungo la strada riuscivamo a scorgere branchi di zombie. Eravamo quasi sicuri che passaredi là sarebbe stato in ogni caso impossibile. Appena sbloccato il passante della botola, nelcompartimento è entrata una ventata di aria fresca primaverile. La primavera era in fiore edera proprio quella che si dice una bella giornata. Eravamo carichi di equipaggiamento. John hainserito il codice cifrato che sbloccava il passaggio e da quel momento in poi ci siamo trovatiancora una volta in un mondo dove non siamo certo i benvenuti.

Abbiamo cominciato ad avanzare, stando attenti a non allontanarci dalle aree coperte d’erbae arbusti. Avvicinandoci per la prima volta all’ingresso principale, abbiamo visto i nostri vicinidi casa, questa volta senza uno schermo digitale di mezzo. Facevamo a turno con i binocoli,per guardarli da una certa distanza, nascosti fra gli arbusti. Bastano due parole per descriverli:affamati e arrabbiati. Penso che nessuno sappia da cosa ha origine il loro rancore verso noiviventi. Non me ne frega niente, in ogni caso.

Vederli mentre provavano ad aggrapparsi alle porte blindate e sbattevano, raschiando i loroartigli, spaccandosi le unghie e lasciando in ricordo un liquido marroncino dopo ognitentativo, mi dava veramente il voltastomaco. Quelli che si agitavano di più spingevano via gli

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altri, per farsi spazio e avere l’opportunità di ridursi le braccia a dei moncherini.Da notare quello che prendeva a mazzate la porta blindata con una pietra. Con un sasso

delle dimensioni di una palla da baseball, la martellava in continuazione, con determinazione esenza mai stancarsi. Mi sono reso conto della ragione per cui non ce n’eravamo mai accorti. Laporta blindata esterna è la prima delle tre porte che separano noi dell’Hotel 23 dal mondo lìfuori. Questi esseri conservavano una qualche forma primitiva di intelligenza che glielo faintuire.

Abbiamo continuato a spostarci verso nord, in direzione di Eagle Lake. Avevamo provato astampare alcune foto satellitari come riferimento visuale prima di lasciare l’Hotel 23, ma perqualche ragione il sistema di sicurezza della stazione di controllo non permette di stamparenessun documento che provenga dalle cartelle di immagini dei servizi segreti (IMINT). Cosìsiamo stati costretti a prendere appunti manualmente e a fare qualche schizzo sugli stradari innostro possesso, segnandoci la posizione dei punti di interesse.

Dopo averne avuto abbastanza di contemplare l’autoflagellazione di quei cadaveri, ci siamospostati ancora un po’ più a nord, verso Eagle Lake. Condizioni di terreno aspro e implacabilenon aiutavano la nostra marcia, mentre gli arbusti fitti come il filo spinato ci tagliavano legambe. Abbiamo camminato un’ora evitando attentamente di renderci visibili dalla statale. Aun certo punto siamo arrivati di fronte a un gruppo di croci, piantate al centro di un campo.Quattro croci di altezza diversa a cui erano stati legati tre morti viventi, mentre il quarto eramorto del tutto. Il cervello di quest’ultimo era già diventato cibo per gli uccelli, che se locontendevano strappandolo via dal cranio.

Gli altri tre ci guardavano, spaventosamente sincronizzati, mentre noi ci avvicinavamo. Leloro teste ringhianti si torcevano nel tentativo di seguire con gli occhi i nostri movimenti. Unonon era stato legato tanto stretto e agitava le gambe ripetutamente in un disperato tentativo diliberarsi della sua prigione di corda e legno. Sapevamo che se avessimo sparato, ne avremmorichiamati in zona molti di più. Le croci ballavano nei buchi in cui erano state conficcate pervia dei tentativi dei morti di liberarsi.

Abbiamo deciso di abbandonare quella zona e di continuare verso nord. Una volta lasciato illuogo delle croci, mi sono chiesto che razza di infidi scellerati potesse prendersi la briga e iltempo di costruire quelle croci, conficcarle a terra e crocifiggere quattro zombie. Questo mi hafatto venire in mente un pensiero orripilante: e se non fossero stati già morti quando sono staticrocifissi?

Non ne ho parlato con John, perché non aveva senso terrorizzarsi per qualcosa che non ciriguardava direttamente. Arrivati ai confini del campo, ci siamo arrampicati sul filo spinato,diretti verso le pianure sconfinate del Texas.

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Non so se quello che mi spingeva a trovarmi di nuovo in mezzo a loro fosse l’ambizione divolare ancora, o semplicemente il bisogno di sapere cosa diamine stava succedendo. E poi losapevo benissimo cosa stava succedendo. Siamo fottuti e non c’è niente da dire né da fare ariguardo. Un esercito di formiche non si ferma neppure davanti ai ragni più grossi.

La ragione immediata che ci aveva spinto verso l’hangar era il bisogno di alcuni rifornimentispecifici, ad esempio una sega manuale per aprire il lucchetto delle armi. Inoltre, sarebbe stataun’ottima cosa avere a disposizione un aereo come via di fuga dall’Hotel 23. Un’altra ragione èche se fossimo riusciti a far sloggiare i morti viventi dall’area davanti alle porte blindate,l’aereo si sarebbe prestato bene per le esplorazioni.

Mi sono messo a ripensare alle foto satellitari della stazione area. Ovviamente la visuale eramolto schiacciata, dato che erano state prese con un obiettivo situato nello spazio. Sono statopiuttosto bravo a riconoscere i profili degli aeroplani ma non così tanto da capire,semplicemente guardando il profilo aereo dell’ala, se si trattasse di due Cessna 172s oppure152s. Non importa. L’idea che avrei volato di nuovo mi dava una bella sensazione.Continuavamo a muoverci verso il campo di aviazione di Eagle Lake. Erano le 7:00 di seraquando ci siamo accorti del profumo. Non era l’odore di putrefazione dei morti, ma ilprofumo familiare dell’acqua lacustre, trasportato dalla brezza pomeridiana che soffiava versosud. Giunti in cima alla collina, un’ampia distesa d’acqua è apparsa davanti a noi.

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Secondo le carte stradali, Eagle Lake non è un bacino considerevole. Sembrava darci ilbenvenuto, ma dopo l’esperienza al porticciolo, chi poteva mai sapere cosa si nascondeva nellesue profondità? C’eravamo avvicinati alla stazione aerea, ma sapevamo di dover trovare unposto per dormire prima di sera. Abbiamo scorto una strada dall’altra parte del lago. Hotirato fuori il binocolo e ho visto uno di quei grandi pullman per le lunghe percorrenze,parcheggiato sul ciglio della strada insieme ad alcuni veicoli più piccoli.

L’ho studiato per alcuni minuti assicurandomi che non ci fosse alcun movimento intorno, oal suo interno. Per essere proprio sicuro ho passato il binocolo a John, che ha fatto la stessacosa. Abbiamo iniziato a spostarci lateralmente lungo il ciglio più corto del lago che portavaalla strada. Il sole stava pericolosamente scendendo mentre ci avvicinavamo alla statale a duecorsie. La strada era cosparsa di macchine, ma non si vedeva alcuno zombie. Sapevo che eranolaggiù, ma non riuscivo in nessun modo a vederli. Mentre ci avvicinavamo al pullman eravamopronti a colpire. Niente di niente. Mi sono messo in ginocchio, con le armi puntate, e hosussurrato a John di coprirmi le spalle mentre guardavo attentamente l’interno del bus.

Abbiamo ripetuto questa cosa ogni 2 metri, indietreggiando verso la parte posteriore e aquel punto eravamo certi che fosse vuoto. Eravamo tesi. Non è che non vedessi l’ora diincontrare un altro di questi stronzi in via di decomposizione, ma sapevo che in quellamissione, prima o poi sarebbe accaduto. Mi sono avvicinato alla porta del bus, aprendola confacilità. Sul lato del conducente non c’era la sicura e le chiavi erano ancora inserite. Quasisicuramente le batterie non funzionavano più. Ma non mi interessava. Era solo il nostroalbergo per la notte.

Sono salito sul bus facendo molta attenzione. John mi seguiva. Abbiamo chiuso la porta, cheera piuttosto pesante e fatta di acciaio e vetro. Abbiamo messo la sicura in modo che fosseimpossibile aprirla dall’esterno. Mi si sono rizzati i peli del collo quando con la codadell’occhio ho notato qualcosa nel corridoio, verso gli ultimi posti. Era il braccio di unapersona, e sembrava essere in uno stadio avanzato di decomposizione.

John è rimasto indietro, assicurandosi di tenere d’occhio il perimetro del bus, mentre ioandavo avanti in ricognizione. Pronto a sparare, mi sono diretto verso il fondo. Raggiunti i dueterzi della lunghezza del pullman, mi sono reso conto che il braccio era semplicemente solo unbraccio. Mi sono infilato i guanti da aviatore e senza fare alcun rumore ho abbassato unfinestrino, ho preso quella merda di braccio ossuto e l’ho fatto cadere all’esterno. Sembravache qualcuno si fosse pulito il culo sul sedile posteriore, invece era solo la traccia marrone delsangue secco. Dissi a John che era tutto ok e abbiamo iniziato a sistemarci per la notte (dopoaver controllato ogni cavolo di sedile due volte).

Avevo due ricambi di batterie AA per gli occhiali a infrarosso, ma cercavo di risparmiarle,quindi li usavo solo lo stretto necessario. Perciò quella notte sarebbe passata al buio totale.Non c’era neanche la luce lunare. Sussurravamo piano l’un l’altro, parlando principalmente dicome affrontare l’indomani. Il campo di atterraggio non era segnato sulle carte stradali.Dovevamo capirne la posizione usando la carta aeronautica che mi ero portato. Le cartestradali e aeronautiche erano in due scale completamente diverse, quindi sapevamo che cisarebbe voluto del tempo.

Quella notte sono andato a dormire col rumore della pioggia che batteva sul tetto. Soloverso le 3:00 mi sono svegliato a causa dei tuoni e della luce dei lampi. Mi sono sfregato gliocchi e ho ripreso conoscenza mentre sbirciavo attraverso i finestrini semioscuratidell’autobus. La pioggia stava diventando incessante ed ero contento che fossimo al chiuso. C’è

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stato un altro lampo e ho visto una sagoma umana a circa 20 metri di distanza. In quel casoera proprio necessario, e dunque ho acceso gli occhiali a infrarosso. Quell’essere non eraumano. Era il cadavere solitario di un vagabondo con uno zaino in spalla. Si vedevano glizigomi sporgere dalla sua pelle opaca, mentre la cosa spostava il suo peso avanti e indietro.Aveva quel genere di zaino che oltre alle bretelle che lo tengono agganciato alle spalle, haanche una cordicella per assicurarlo alla vita, impedendo che si sposti mentre si cammina. Identi di quella creatura erano ben visibili, fissati in un ghigno eterno, mentre l’acqua scorrevasul suo corpo senza vita.

Non poteva vederci. John dormiva ancora. Non mi sono preoccupato di disturbarlo e dopopoco il vagabondo ha proseguito il suo cammino verso la fermata successiva, nell’oscuritàdella notte texana.

La mattina seguente (era il 17) ci siamo rimessi in cammino, dopo aver fatto le valigie insilenzio. Prima di uscire dal bus ho chiesto a John di coprirmi mentre provavo ad accendere ilmotore, per semplice curiosità. Certo, avrebbe fatto rumore, ma mi sarebbe piaciuto sapere sela batteria funzionava ancora dopo tutto quel tempo. Ho girato la chiave tirando la leva diaccensione. Non si sentiva alcun rumore. Era morto, come il vagabondo della notte prima.Abbiamo lasciato la scena alla ricerca del campo aereo.

Dopo aver cercato per alcune ore abbiamo trovato le piste. Non erano tanto lontano dallastrada. Tutto corrispondeva esattamente alle immagini delle foto satellitari, quindi ero quasisicuro che si trattasse del posto giusto. Riuscivo a distinguere in lontananza la forma dei dueaeroplani parcheggiati vicino alla torre. Ci siamo avvicinati al recinto perimetraledell’aviostazione con molta cautela, forzandoci a fermarci a intervalli regolari e a metterci inascolto. La recinzione non aveva filo spinato. L’abbiamo scavalcata facilmente e, da lì, lavisuale era libera per un centinaio di metri. Nessun movimento da nessuna parte. Per ilmomento, ci sentivamo abbastanza sicuri della nostra incolumità.

Non sembrava esserci praticamente nessuna presenza di zombie in quell’area. Sapevo che laI-10 era a pochi chilometri di distanza dalla nostra posizione e che, stando al satellite, eraun’area densamente popolata di morti viventi. Forse si erano concentrati sulla I-10 come gocced’acqua, attraendosi l’un l’altro, magari a causa del rumore che fanno. Forse era la miaimmaginazione, ma mi pareva di sentire in lontananza, ogni tanto, il loro macabro suonofamiliare portato dal vento.

La cosa a cui tenevo di più erano i due aerei e il fatto che fossero utilizzabili. Abbiamofiancheggiato la recinzione andando sempre più vicini alla torre, con gli occhi puntati sugliaerei parcheggiati l’uno vicino all’altro. Si trattava effettivamente di un 172 e di un 152, unmodello di Cessna un po’ meno potente dell’altro. Non avevo esperienza di riparazioni, madalla posizione in cui ci trovavamo sembravano in buone condizioni. Ho controllato un’altravolta con il binocolo il perimetro dell’area sfruttando la nostra posizione vantaggiosa. Glihangar erano chiusi e non sentivo alcun trambusto provenire da quella direzione. Le finestreoscurate della torre, invece, mi preoccupavano, dato che non si riusciva a vedere se una diquelle cose dalle fauci schiumanti stesse ringhiando da lassù contro di noi. Tuttavia, bisognavafarsi avanti, perché sapevamo che per proteggerci avremmo dovuto passare la notte del 17nella torre.

Ancora una volta io e John ci trovavamo alle porte di una torre di controllo. John micopriva mentre, con molta attenzione, giravo la maniglia d’acciaio e aprivo la porta. Dentroera buio. Ho acceso la torcia montata sul fucile e ho iniziato a perlustrare la tromba delle

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scale. Nessun segno di lotta o carneficine. La torre era stata abbandonata.Avvicinandoci alla cima, la sensazione di pericolo è presto svanita. All’interno della torre di

controllo era tutto vuoto. Ci siamo ricordati della nostra fuga. Sembra che siano passati annida allora. All’interno era saltata la corrente, anche se si vedeva una luce accesa all’esternodell’hangar. Doveva essere partito un interruttore. Ma ho subito lasciato perdere la questione.

La seconda cosa da fare era controllare gli hangar, dove probabilmente avremmo trovato imateriali e la strumentazione che cercavamo. Erano quasi le 14:00 e faceva un caldoincredibile. Con un eccesso di fiducia, ci siamo avvicinati apaticamente al primo hangar. Hofatto cenno a John di coprirmi e ho aperto la porta di colpo. L’atteggiamento non circospettoper poco non ci uccideva.

Un cadavere putrefatto con un grembiule bianco e una maglietta si è proiettato fuori dallaporta con delle cesoie da giardino in mano. Non si rendeva neanche conto di usarle come armimentre si gettava su John, apparentemente ignorando la mia presenza. La creatura èinciampata subito ed è caduta su John, digrignando i suoi denti marci. Le cesoie hanno feritoJohn alle guance. Sentivo altri movimenti all’interno dell’hangar. Con un calcio, ho speditol’essere lontano dal mio amico e girandogli intorno mi sono diretto verso la porta aperta,totalmente buia. Pensavo che John stesse bene, invece la caduta l’aveva fatto svenire. L’essereche avevo allontanato da lui ora aveva un altro obiettivo... me.

Mi si è buttato addosso barcollando. Era già troppo tardi. Mentre reagivo al suo gorgogliofamiliare, mi aveva già inavvertitamente colpito alle costole con le cesoie da giardino. Mi sonogirato, rosso dalla rabbia. Dopo averlo colpito con un calcio al petto, che lo ha scaraventatovicino a John, ho preso la mira in mezzo ai suoi occhi e l’ho neutralizzato. Il suo cervellosembrava un cavolfiore bluastro, prima che la polvere gli si appiccicasse sopra. Aveva ancorale cesoie in mano, dove, del resto, dovevano essere rimaste per mesi e adesso sarebbero rimasteper sempre.

Mi sono inginocchiato vicino a John e gli ho dato un paio di schiaffi. Avevo il suo sanguesulle mani. Anche se la mia ferita era peggiore, la sua pareva sanguinare di più. Ho controllatole cesoie. Erano asciutte dove non erano entrate a contatto con la carne fresca. Un rumoreproveniente dall’hangar mi ha ricordato del pericolo che stavamo per affrontare. Non avevointenzione di lasciare John a terra.

Ho continuato a schiaffeggiarlo fino a che non si è svegliato. L’ho aiutato a mettersi in piedie gli ho detto di fare attenzione. La luce esterna dell’hangar che avevo visto prima era sopraquella porta. Ai lati della porta aperta c’erano altre due ampie serrande. Ho pensato di entraree premere l’interruttore di apertura che si trovava vicino all’ingresso, per fare entrareall’interno la luce del sole.

Entrando ne ho scorto uno. Non avevo altra scelta che farlo fuori. Con la luce del fucile neho visti altri. Il flash era molto intenso e le immagini di sei cadaveri si sono stampate sulla miaretina. Mi sono allungato verso l’interruttore e l’ho premuto. Niente da fare. Ho provato conquello sotto ed ecco il familiare suono della serranda automatica.

Mi sono spinto fino alla porta dando le spalle a John, con l’arma puntata in avanti versol’oscurità zeppa di morte dell’hangar. Mi sono reso conto che il mio compagno era ancorastordito e contava solo sul suo fucile. Gli ho urlato di stare vicino a me. Era ora di andare acaccia. Ho preparato il fucile caricandolo, aspettando che fossero loro a venirmi incontro. Ilprimo che ha risposto all’appello l’ho fatto fuori con un solo colpo. Ne sono arrivati prestodegli altri, eccitati dalla vista di cibo dopo chissà quanti mesi. Ci venivano incontro con le

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braccia tese. John ha provato a sparargli ma ha sbagliato tutti i colpi. Io li ho fatti fuori quasitutti al primo colpo, tranne un paio, che ho mancato due volte. L’ultimo è caduto quandodistava solo un metro da me.

Otto morti viventi annientati giacevano tra la polvere all’entrata dell’hangar e vicino alleporte. Li avevo uccisi tutti. Ho controllato il caricatore e preparato il fucile. John si stavaripigliando e la sua ferita aveva smesso di sanguinare. Mi ha fatto cenno col capo che tutto eraok e mi ha fatto capire che dovevamo nascondere i cadaveri, perché i morti non erano gli uniciche avrebbero potuto sentire gli spari. Stavamo pensando alla stessa cosa... le croci.

Abbiamo trascinato i corpi verso l’angolo interno dell’hangar, insieme alle cesoie e a tutto ilresto. Dopo una rapida perlustrazione abbiamo visto un telone con cui abbiamo coperto quellecreature demoniache. Non stavo pensando più alla mia ferita, fino a quando John non si èimbattuto in un kit di pronto soccorso appeso vicino a un estintore.

Dopo averlo scartato con il pugnale, ho iniziato a prendere tutto quello che serviva. Hopreso la tintura di iodio, la garza e il cerotto a nastro. Mi sono tirato giù la lampo della tutada volo fino alla vita. Il sangue scuro aveva inzuppato la maglietta color verde militare. Avevopaura a togliermela... ho iniziato a sfilarmela dal basso in corrispondenza del lato sinistrodella cassa toracica e ho visto che non ero poi così malridotto. Ma sicuramente c’era bisognodi un po’ di pronto soccorso. Ho agitato lo iodio, l’ho aperto e ne ho messo in abbondanzasulle ferite. Era freddo e bruciava leggermente, ma non c’era bisogno di mettere punti. Loiodio mi ha colorato la pelle di rosso, ci ho messo sopra le garze e ho assicurato il tutto conuna fasciatura stretta intorno al torace.

Mentre controllavamo il recinto, abbiamo notato un gruppetto di tre zombie nonvicinissimo a noi. Erano stati attirati dai colpi di arma da fuoco. Erano troppo distanti pervederci, ma sapere che erano là e reagivano al suono della nostra presenza non ci rasserenava.

Abbiamo trovato rifornimenti in abbondanza: un seghetto a mano, chiavi inglesi, un tuboper trasferire il carburante, lubrificante spray e una vecchia giacca da aviatore. Poi abbiamoiniziato a dare un’occhiata alle librerie dell’hangar. Abbiamo trovato diverse check list per iCessna, alcuni antiquati, ma non era un problema in queste circostanze. Altra cosa utile, unmanuale di manutenzione per entrambi i modelli, il Cessna 172 e il 152. Abbiamo preso ilbottino e ci siamo diretti verso l’aereo. Ora ce n’erano quattro dietro al recinto. Siamo arrivatial velivolo e io ho iniziato a fare la check list, per vedere se si accendeva.

Ci sono voluti alcuni minuti. Tuttavia, dopo tre tentativi di far partire il motore, l’elica hainiziato a girare ed è tornata in vita scoppiettando. Sono riuscito ad attivare tutti i sistemi e hocontrollato il livello del carburante. Era a metà, ovvero bastava per 2 ore di volo. Ho calcolatoche l’Hotel 23 era solo a una ventina minuti, quindi il carburante non era un problema. Ma loerano i morti viventi al fuori della recinzione, che aumentavano di momento in momento. Hospento il motore e siamo tornati indietro verso l’hangar per prendere una tanica di carburante,in modo da travasare il carburante dal 152 al 172. Al cancello ora erano in dieci. Nonprovavano a entrare, ma brancolavano nel vuoto, attirati dal rumore degli spari e del motore.

Io e John abbiamo preso una tanica e ci siamo preparati al pallosissimo compito di travasareun’ottantina di litri di carburante per fare il pieno. Ma dopo 75 litri il 152 era a secco. Amen.Facendo qualche conto a mente, avevamo circa 3 ore e 35 minuti di volo. Abbiamo caricato isedili posteriori con l’equipaggiamento. Avevamo riempito ogni angolo della stiva con tuttoquello che riusciva a starci. Abbiamo preso anche l’olio per l’aereo trovato nell’hangar. Non sisa mai.

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Come ultima cosa, ho preso la batteria del 152 e l’ho messa insieme agli altri rifornimentisul sedile posteriore. Viaggiavamo carichi, ma ormai ero abituato. E questa volta avevamo unavera pista per il decollo, non una strada di terra battuta. Si stava facendo tardi. C’erano solotredici di quegli affari al cancello, quindi non avevo paura che riuscissero a sfondarlo. Mentrefinivamo di preparare l’aereo, abbiamo sentito un vago rumore di armi automatiche inlontananza. Reagendo al rumore, molti di quegli esseri hanno rinunciato alla recinzione e sisono diretti verso i suoni.

Chi era? Non ne abbiamo idea. Nel peggiore dei casi (che probabilmente era quello giusto)si trattava di quei pazzi scatenati che avevano crocifisso dei poveri bastardi nel campo aqualche chilometro a nord dell’Hotel 23. Abbiamo preparato tutto quello che abbiamo potutoe ci siamo ritirati sulla torre di controllo, in vista di una notte di sonno senza riposo.

Mi sono svegliato la mattina seguente con dei dolori lancinanti alle costole. La faccia diJohn aveva un aspetto migliore, ma la mia ferita si stava infettando. L’ho pulita ancora unavolta e ho cambiato la fasciatura. Erano già le 10:00 quando me la sono sentita diabbandonare la torre. Non c’era segno di morti viventi vicino al recinto e non avevamo sentitocolpi di arma da fuoco la notte precedente. Era ora di considerare il problema più evidente.Come cavolo avremmo fatto a tornare indietro in volo, atterrare sulla striscia d’erba vicinoall’H23, uscire dall’aereo e scavalcare il cancello senza farci mangiare?

Abbiamo riflettuto sulla questione per un paio d’ore e abbiamo ristretto le opzioni fino apreferire lo scenario notturno con l’utilizzo degli occhiali a infrarossi. Ho detto a John chetemevo che il rumore del motore attirasse gli zombie verso di noi tanto di giorno quanto dinotte. A quel punto lui mi ha chiesto: “Puoi atterrare a motore spento?”. Mi sono messo aridere e gli ho risposto che non lo sapevo fare, e che non avevo mai tentato un atterraggio amotore spento se non in contesti di addestramento controllato. Ci ho dovuto riflettere un belpo’ prima di convincermi che poteva funzionare.

Abbiamo aspettato con pazienza fino a sera. Abbiamo deciso di ripartire verso casa soltantoalle 20:50. Era il 18 aprile. Quella sera, mentre spostavamo i nostri sacchi a pelo e altraattrezzatura dalla torre all’aereo, abbiamo sentito ancora gli spari. Questa volta erano vicini,molto più vicini. Si sentiva anche un altro rumore, come di motori d’auto, fra uno sparo el’altro. Siamo saliti sull’aereo con un salto, abbiamo sistemato le imbracature e ci siamopreparati a riportare il culo a casa. Sapevo che avremmo trovato l’H23 facilmente grazie alletelecamere di sicurezza. Grazie agli occhiali a infrarosso ero in grado di vedere tutte leemissioni nella lunghezza d’onda dell’infrarosso come se fossero stati fari.

William era stato istruito per attivare le telecamere a infrarossi prima che tutti andassero aletto, ogni giorno. Era la nostra sicurezza, il percorso di navigazione che ci avrebbe riportato acasa. Ho fatto rullare l’aereo sulla pista facendo attenzione a saltare il passaggio che faaccendere le luci. Eravamo senza fari, senza luci, senza nulla che potesse rivelare la nostraposizione.

Mentre mettevo il ruotino posteriore verso il centro della pista, ho visto dall’altro lato delcancello alcune immagini verdi sfuocate di figure umane. Né John né io volevamo scoprire sesi trattava di amici o nemici. Ho mollato i freni e arrivato a cinquanta nodi di velocità hofatto alzare il muso dell’aereo. Eravamo in aria ancora una volta. Con l’aiuto delle carteaeronautiche, ho iniziato a puntare l’aereo in direzione dell’H23.

Appena superata la fine della pista abbiamo visto le luci degli spari a terra, sotto di noi.Non sapevo se ce l’avessero con noi o si stessero difendendo da qualcosa. Ripensando alle

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croci, propendo per la prima ipotesi.Non c’è voluto molto prima di scorgere la luce penetrante delle molte telecamere di

sicurezza con gli occhiali per la visione notturna. Ho fatto un paio di giri di ricognizione perprendere posizione e poi sono risalito fino a 800 metri, iniziando l’avvicinamento circolare.Arrivato a 800 metri, riluttante, ho spento il motore, sapendo che presto ci saremmo ritrovatia terra, che lo volessimo o meno. Non sapevo accendere in volo un aereo come quello. Era unbiglietto di sola andata per il livello del mare. Ho messo l’ala destra parallela al lato ovestdella recinzione (avevo come punto di riferimento una telecamera ad ogni angolo del latoovest). Controllavo l’altimetro, e la velocità, in continuazione. Ottanta nodi, 800 metri.

Un altro giro, questa volta con un angolo di virata più stretto, perché ero troppo alto. Hoperso un po’ di altitudine e mi sono trovato ad affrontare la fase finale a 200 metri.Scendevamo a una velocità decisamente superiore a quella che mi avrebbe fatto sentire alsicuro. Riuscivo a vedere l’H23 oltre all’ala sinistra. La percezione della profondità degliocchiali all’infrarosso faceva cagare, quindi dovevo tenere d’occhio l’altimetro (che avevoregolato prima della partenza sul livello del mare). Novanta metri, 60 metri, 70 nodi...

A 3 metri ho fatto il flare per addolcire l’atterraggio. L’elica girava ancora quando il carrelloha toccato il suolo, seguito troppo rapidamente dalla ruota anteriore. L’urto è stato violento,così la roba che non era stata fissata bene si è sparsa per tutta la cabina di pilotaggio. Hotenuto l’aereo in posizione mentre usavo ciò che rimaneva dei freni idraulici per rallentare.

Gli impianti idraulici non funzionano bene quando il motore è spento. Non me ne fregavaniente della roba che avevamo con noi. Abbandonando l’aereo in mezzo al campo ho presosolo il fucile, scappando il più velocemente possibile verso la recinzione, con John dietro dime.

Siamo arrivati alla recinzione e John ha inserito il codice. Il tintinnio meccanico ci ha dettoche la serratura si era aperta. Siamo entrati dentro al recinto, chiudendolo dietro di noi, efinalmente eravamo al sicuro. Ho attraversato il portello diretto verso l’abbraccio di Tara e isuoi sguardi preoccupati, visto che aveva notato i miei vestiti insanguinati. Ho passato buonaparte della mattina a riposare e a farmi medicare da Jan. Ha pensato che fosse meglio metteredei punti, così ha riaperto la ferita. Dopo averla pulita si è occupata di cucire il taglio.Nonostante il dolore, non mi sono messo a discutere. Ho solo buttato giù un paio di cicchettidi rum Captain Morgan del capitano Baker per lenire il dolore.

21 aprile

Ore 21:18Abbiamo passato la giornata a nascondere l’aereo con l’erba e il sottobosco, e a trasferire irifornimenti dall’aereo all’Hotel 23. John si è messo d’impegno a esaminare le foto satellitariper scoprire l’identità dei nostri aggressori da terra. Tara mi si è molto avvicinata da quandosono tornato. Domani proveremo ad aprire l’armadio delle armi con il seghetto.

24 aprile

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Ore 20:41All’Hotel regna il silenzio. L’infezione al torace sta guarendo. Prude e brucia un po’, conl’irritazione tipica delle infezioni profonde. Jan dice che probabilmente fra una settimana mileverà i punti. Purtroppo per me, ha usato del normale filo per cucire. La mattina del 22abbiamo segato l’enorme lucchetto che chiudeva l’armadio delle armi, facendo a turno,William, John e io. Ho segato per 10 minuti, come gli altri due.

Abbiamo messo del lubrificante sulla sega per non rompere e consumare la seghettatura. C’èvoluta quasi un’ora a tagliarlo. Mentre la aprivamo mi sono immaginato che sarebbe saltatofuori un branco di cadaveri. Naturalmente non è successo, per fortuna. Dentro all’armadioabbiamo trovato un nascondiglio con armi di livello militare. C’erano cinque M-16, uno deiquali equipaggiato con un lancia granate M-203. Non avendo ricevuto l’addestramentonell’esercito di terra, ci sono molte cose che dovrò studiarmi bene prima di provare a utilizzarequelle armi.

All’interno della nostra piccola pentola d’oro abbiamo trovato anche due fucili Remington870 e quattro Beretta M-9. Avevamo appena iniziato a spostare le armi dall’armeria alla salacontrollo, quando mi sono accorto di un altro fucile, seminascosto nel retro dell’armadiodietro alle scatole di munizioni. Mentre avvicinavo la mano all’oggetto per scoprire di cosa sitrattava, ho capito che stavo per tirare fuori un’arma russa da un armadio di una basemissilistica americana. Non fosse stato per l’iscrizione sul fucile, avrei continuato a chiedermiper tutta la vita come fosse finito qui.

L’iscrizione, un po’ in inglese e un po’ in russo, diceva:

Per il colonnello James Butler, Air Force, USA

“Guerra Fredda 1945-1989”

Dimitre Nikolaevich

Non ci ho messo molto a indovinare come fosse finita qui. Il mio russo è arrugginito e non

sono mai stato molto bravo, ma riuscivo ancora a ricordare che “polkovnik” significacolonnello. Sapevo anche che “Voyna” significava guerra e che la data della fine ufficiale dellaguerra fredda è il 1989. La cosa più probabile era che l’AK-47 russo fosse un regalo di buonavolontà fatto da un militare della superpotenza decaduta al colonnello Butler. Non avevo ideadi chi fosse questo Butler, ma era ragionevole pensare che fosse stato il comandante di questabase nel periodo della guerra fredda e che avesse incontrato il suo avversario russo prima dellacaduta dell’Unione Sovietica.

Ho finito per chiedermi cosa avesse potuto spedire in cambio James Butler al compagnoNikolaevich. Credo che non lo scoprirò mai. L’arma ha un aspetto eccellente. Ho deciso diportarla da me come souvenir, un ricordo molto più utile di un bicchierino per la grappa.

Ormai siamo armati fino ai denti e abbiamo almeno un’arma militare a persona. Masfortunatamente le donne non hanno idea di come usare queste armi e bisogna rimediarepresto. Sono uscito di nuovo con John per imboscare meglio l’aereo.

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Lo abbiamo nascosto così bene che per trovarlo ci si deve proprio sbattere contro. John sista ancora occupando di scoprire come funzionano tutti i sistemi di questa struttura. C’èancora quel suono intermittente che proviene da qualche settore all’interno della stazione. Neabbiamo cercato la fonte. Dopo avere analizzato letteralmente un centinaio di foto, ancoranessun segno visibile del(i) nostro(i) aggressore(i) dell’altra notte.

Da un po’ di tempo mi chiedo se (lui, lei, o loro) possano essere tanto bravi da dedurre lanostra posizione semplicemente guardando la direzione in cui puntava l’aereo. So che la scorsanotte, se non avessimo spento fari e luci di decollo, ci avrebbero colpiti. Un bersaglio benilluminato è facile da colpire, ma fortunatamente il loro mitragliere stava seguendo soltanto ilsuono del motore.

Abbiamo fatto a turno per controllare le telecamere a intervalli regolari. John pensa che letelecamere siano dotate di sensori di movimento, che potrebbero essere attivati se scoprissequali sono i comandi. Per il momento, ci sono le armi da pulire.

26 aprile

Ore 19:54C’è voluto un po’ di tempo, ma finalmente sono state pulite tutte le armi. Ne avevano bisogno.Non mi sarebbe dispiaciuto procurarmi un po’ di munizioni per l’AK-47. Hanno un calibrodiverso rispetto al suo analogo locale, l’M-16. Ho passato la giornata di ieri a insegnare a Tarae Jan come si carica e si punta un fucile, oltre a come regolarsi con l’effetto del vento. Ho lasensazione che si tratti di abilità molto richieste di questi tempi.

Per ingannare un po’ la noia, con l’aiuto di John ho scattato alcune foto di Houston. Nonsiamo riusciti a identificare alcun sopravvissuto. A un certo punto sembrava che avessimotrovato qualcosa, perché scorgevamo in cima a uno degli edifici più alti una bandiera con lascritta “AIUTO” fatta in fretta e furia. Ingrandendo l’immagine, abbiamo scoperto che l’aiutoera già arrivato sotto forma di zombie. Se ne vedevano quattro brancolare sul tetto.Probabilmente erano le stesse persone che avevano costruito quella bandiera improvvisata.

Abbiamo anche studiato i manuali dei generatori di corrente a motore diesel che fanno partedella struttura. Ci sono degli accumulatori grandi e un po’ nascosti, che non avevamo notatonella stanza dei generatori. A uno sguardo più accurato, gli indicatori di carica stanno sulrosso, non sul verde. Abbiamo studiato il significato degli indicatori e scoperto che il rosso staa significare che le batterie hanno perso carica a causa dell’abbandono. Abbiamo fatto qualcheprova con la sequenza di attivazione dei generatori e poi abbiamo provato davvero adaccenderli. Ci siamo resi conto delle conseguenze della nostra azione soltanto quando ilrumore era diventato così forte da costringerci a urlare per farci sentire. Ci siamo precipitati insala controllo e John si è lanciato immediatamente sulla telecamera della porta d’accessoprincipale.

Erano ancora lì e il rumore non gli aveva fatto niente. Qui, nella stanza di controllo, John eio non eravamo troppo distanti dalla stanza con il generatore. Il rumore non era troppo forte,ma si sentiva chiaramente il ronzio continuo di un motore. Felici di non avere scatenatol’inferno, siamo rientrati nella stanza del generatore per controllare gli indicatori di carica. Simuovevano lentamente verso il verde. Ci sono volute solo 2 ore a caricarli del tutto. A quel

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punto il generatore poteva essere spento. In tutto questo, miracolosamente la corrente non èsaltata.

Di tanto in tanto, mi assale il pensiero del significato di quegli spari. Perché mai unapersona dovrebbe sparare a un altro sopravvissuto, se questo non lo sta attaccando? Nonriesco a capire che razza di piacere si possa provare, da umani, a uccidere un’altra persona nelmondo in cui viviamo. Da gennaio ho avuto la mia dose di sparatorie e non mi è mai capitatodi puntare l’arma su una persona vivente. Dati i nuovi sviluppi, questo potrebbe certamentecambiare.

Hotel 23 - Porte della rampa

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AMIGOS

29 aprile

Ore 23:05In questi giorni non è successo niente. Ho controllato le telecamere di sicurezza a intervalliregolari per rilevare qualsiasi spostamento insolito da parte dei morti viventi. Ho la sensazioneche quelli che stazionano davanti alla porta di ingresso mi potrebbero essere utili,avvertendomi se qualche vivente si avvicina. Li considero come una specie di sistema d’allarmed’emergenza. Pensando alla possibile minaccia di aggressori umani, abbiamo passato partedegli ultimi giorni a esaminare la sicurezza delle nostre infrastrutture fisiche. Abbiamocontrollato che l’entrata a botola che immette alla postazione di lancio sotterranea rimangachiusa, in modo che nessuno si possa calare all’interno come abbiamo fatto noi. Ma non siamoriusciti a far chiudere gli sportelli. John crede che sia di una specie di sicura, impostata inmodo che nessuno possa fermare un lancio semplicemente chiudendo gli sportelli.

Il mondo che conoscevo mi ritorna in mente a lampi e a pezzetti. Non ho idea di cosa siasuccesso ai miei amici di una volta. Non ho certo dimenticato i loro nomi, e mi mancano.Avevo un amico stretto che si era fatto la sua azienda. Era un uomo d’affari di successo, conmoglie e figli. Una parte di me vorrebbe che Craig fosse ancora vivo, sopravvissuto con la suafamiglia, mentre l’altra parte si augura che la sua morte sia stata rapida. Ho la sensazione chequelli morti rapidamente, loro sì, siano stati i fortunati. Un altro amico, Mike, era in partenzaper New York per fare una scuola di cucina.

È ironico, ma il colpo che l’ha ucciso è partito proprio dall’Hotel 23. Questa installazioneera il sostegno contro i piloti ribelli. Penso che preferirei andarmene in un lampo piuttosto cheessere distrutto dalle mani di dodici milioni di morti viventi. Duncan era un perdigiornoprofessionale che non credeva nel lavoro a tempo pieno. Penso che ci ha visto giusto. Al postodi correre come un criceto sulla ruota fino alla fine dei suoi giorni, ha continuato il suomantra, semplicemente facendosi la sua vita.

30 aprile

Ore 20:10Un’ora fa si è udito un colpo profondo provenire da qualche parte nell’installazione. Abbiamocontrollato l’interno ma non siamo riusciti a capire da dove venisse.

Ore 23:42

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Sento uno strano bussare all’interno della struttura. Adesso vado con John a controllare letelecamere di sicurezza.

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Verità e conseguenze

1° maggio

Ore 14:24Il colpo profondo che si è sentito la notte scorsa continuava a risuonarmi dentro. Mi sembravache provenisse dall’interno, ma dopo un’attenta perlustrazione non abbiamo trovato nulla.Stamattina le cose sono cambiate. Abbiamo iniziato a sentire dei colpi seguiti a breve da untamburellare leggero, a intermittenza, provenienti ancora una volta da dentro la stazione.Abbiamo controllato nuovamente le telecamere per esserne certi. Stessa cosa con il perimetro.John si è seduto un attimo e ha suggerito: “Perché non le controlliamo tutte, tanto per esseresicuri?” Ero d’accordo e abbiamo iniziato a rimbalzare da una telecamera all’altra all’internodella struttura.

Lo spazio coperto da tutte le telecamere era sgombro. Fino a quando non abbiamo raggiuntoquella della rampa di lancio. Probabilmente il precedente lancio dei missili aveva appannato lelenti, perché l’immagine era molto disturbata. John ha provato a passare alla visione notturna,ma questa telecamera sembra essere stata progettata senza una funzione del genere.

Abbiamo continuato a osservare. Una figura grande e scura si muoveva di fronte allatelecamera, rendendo temporaneamente difficile la visione. Poi altri suoni dall’interno delcomplesso. Qualsiasi cosa o chiunque fosse, stava tamburellando e sbattendo sulle porte dellarampa di lancio. Ho deciso di andare in superficie e controllare la rampa dal di sopra,evitando di mettermi in una posizione potenzialmente compromettente (mortale).

Ho afferrato il fucile e ho iniziato a salire le scale che portavano all’uscita alternativa difronte alla pista per elicotteri e alla cavità della rampa di lancio. Mentre aprivo la portasigillata sentivo in faccia l’aria fresca di maggio. Ho messo un piede fuori alla luce del sole,lasciando che gli occhi si abituassero. La prima cosa che ho notato era il passaggio. Non erachiuso. Ho camminato fin là, cercando qualche forzatura sull’entrata o segni di scassinamento.Non c’era nulla che non andasse, se non un po’ di sporcizia sui pulsanti. Per quanto ne sapevo,ognuno di noi avrebbe potuto premere i pulsanti con le mani sporche, quindi non me ne sonocurato e mi sono avvicinato al buco nel terreno.

Temendo che il vento forte mi facesse cadere all’interno, mi sono messo a pancia in giù e hospostato la testa di lato. Guardando dentro la cavità, ho scoperto la fonte di tutti gli stranirumori che avevamo sentito la notte prima e questa mattina. In piedi, sul fondo del cilindro dilancio, si trovava un ufficiale dell’aeronautica maciullato, con i segni di svariate fratturescomposte al braccio, e le ossa che sbucavano attraverso la pelle marcia. L’abominevolecreatura si è accorta dell’ombra che proiettavo e ha cercato di arrampicarsi sulla scala a piolialla ricerca di cibo.

Per poco non gli ridevo in faccia mentre tentava di salire. Nella caduta deve essersi rotto ilbraccio e la spalla gli è uscita. Dopo aver messo piede sul primo piolo, è inciampato

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all’indietro per assenza di coordinazione.L’ufficiale zombie aveva esattamente la stessa uniforme che avevano i due visti al nostro

arrivo. Questo, insieme al fatto che qualcuno doveva avere aperto la serratura con il codicecifrato, avrebbe dovuto farmi considerare la peggiore delle ipotesi. Sembra che alcuni di questiesseri conservino qualcosa di più che ricordi primitivi. L’ufficiale doveva essere qui in servizio.Dopo essersi arreso alla morte qualche mese fa, la notte scorsa deve essere finito per caso inquesto posto e a quel punto, in qualche modo, si è ricordato come digitare il codice di cinquecifre per entrare.

Ora il problema era rimuoverlo da là. Non potevo permettermi di fare troppo rumoresparandogli da dove mi trovavo. Ho deciso quindi di scendere a metà del condotto per colpirloda quell’altezza. La cosa non mi faceva impazzire, ma preferivo nettamente fare così, piuttostoche attrarre l’attenzione di frotte intere di zombie che stazionavano all’esterno della portaprincipale.

Ho messo le gambe all’interno e ho iniziato a calarmi verso il basso, arma in spalla. Giuntoa metà del cammino, mi sono tenuto con la mano sinistra, mentre con la destra caricavo ilfucile. L’essere era rabbioso e desiderava solamente che cadessi rompendomi le gambe. Nonavrei avuto scampo e mi avrebbe divorato. Mentre pensavo all’odio che provava contro di me,ho preso la mira e l’ho fatto fuori.

Ho raccontato a John la novità e lui si è mostrato decisamente preoccupato per il fatto chequell’essere orripilante avesse aperto il passaggio. Avrei voluto controllargli le tasche, ma inquel momento non ero dell’umore giusto per farlo. L’avremmo lasciato lì fino a domani, primadi tirarlo fuori per sbarazzarcene.

4 maggio

Ore 21:09Oggi mia madre avrebbe compiuto cinquant’anni. Non c’è più alcuna speranza che la miafamiglia sia sopravvissuta. Ho cambiato i codici delle porte esterne insieme a John, prevedendol’eventualità di un altro visitatore. Il giorno successivo al nostro incontro con il “saltafossi”abbiamo deciso di controllargli le tasche. Niente di niente. Ho trovato comunque una cosa cheha suscitato la mia attenzione. Sul braccio sinistro aveva un bell’orologio da polso Omega chesembrava nuovo. Non potevo buttarlo nella spazzatura.

Le lancette sono un’ora indietro al mio, perché questi esseri non sono capaci di impostarel’ora legale. A parte questo dettaglio, è ancora puntuale. Si tratta di un orologio automatico e imovimenti del cadavere l’avevano tenuto in vita. Un bel ritrovamento.

Stanotte esco a controllare l’aereo, sfruttando la copertura dell’oscurità. Di giorno hogiocato con Laura e ho anche portato Annabelle a fare un giro. Le ho fatte muovere un po’ inlibertà mentre riparavo la barriera costruita intorno al condotto di lancio. C’era un puntoaperto. Il cadavere l’aveva calpestata, facendola cadere.

Il vento ha cambiato direzione e Annabelle sentiva l’odore di quegli esseri. Le si è rizzato ilpelo del dorso come fosse un porcospino e ha iniziato ad abbaiare. Ho fatto segno a Laura diportarla dentro. Era molto divertente vedere la piccola Laura che cercava di tenere Annabellementre questa si dimenava. La dose giornaliera di mondo esterno è finita per oggi. Ce ne siamo

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tornati dentro.

7 maggio

Ore 20:36Anche se il rumore della pioggia serale non si sente all’interno della stazione, so che c’è, comeso che là fuori ci sono i lamenti dei morti. In cielo non c’è stato altro che tuoni e lampi perore. L’immagine delle telecamere a circuito chiuso diventa instabile quando i lampi colpisconoqui vicino. Immagino che nessun genere di temporale possa farci del male mentre stiamosottoterra, anche se un tornado potrebbe abbattere il recinto perimetrale.

Riesco a riconoscere l’orda di zombie all’esterno tra un’interferenza e l’altra,. Molti di lorovengono buttati a terra dal vento oppure travolti come in un domino dagli altri morti viventi.Frugando nell’area soggiorno, ieri, ho trovato un libro dal titolo “L’ultimo degli uomini ”, diMargaret Atwood. Ho passato gran parte della notte e anche della giornata di oggi a leggerlo.Mi sembra che, in un senso molto strano, ci siano dei paralleli con la mia situazione. Non c’èbisogno di approfondire. Dubito che qualcun altro lo leggerà in ogni caso. Penso che siadeprimente. Abbiamo sentito delle voci alla radio ad alta frequenza. Il segnale non è affattodistorto, ma sembra che gli esseri/persone che stanno parlando usino una specie di codice conabbreviazioni. Come sono ottimisti a pensare che a qualcuno potrebbe fregargliene qualcosa diquello che dicono.

Ho fatto ginnastica con Tara stamattina. Flessioni, addominali e saltelli a gambe alternate...“del mio corpo sono sempre fier / ve lo voglio far saper”. Questa strofa mi fa ripensareall’istruttore delle brigate della fanteria di marina, ai tempi della scuola per aspiranti ufficiali.Che osso duro del cazzo. Scommetto che quel figlio di puttana è ancora da qualche parte, vivo,vegeto e proprio in questo momento intento a rendere la vita difficile a qualcuno.

10 maggio

Ore 19:53La notte dell’8 qualcosa ha spinto i morti viventi che stavano davanti alla struttura adandarsene via per qualche ora. Controllando le telecamere all’esterno del complesso anteriore,ho visto che c’era qualcosa che ne attirava l’attenzione. Le loro teste marce ruotavano conl’espressione familiare di quando sono alla ricerca di cibo. Centinaia di quelli davanti alletelecamere sono scomparsi nel buio della notte. In cerca di cosa, non saprei. Io e Williampensiamo che possano essere quelle persone, o quel gruppo, che aveva cercato di sparare alnostro aereo. È prevedibile che vengano a perlustrare quest’area, tenuto conto del suo ovviovalore come rifugio.

Abbiamo sentito di nuovo parlottare nella stazione radio ad alta frequenza. Sono riuscito adistinguere le parole seguenti: banda, offensivo, e perimetro. Non sono sicuro dell’ordine incui, o in quale contesto, siano state pronunciate, e comunque possono voler dire molte cose.Abbiamo svariate migliaia di rotoli di munizioni nell’armeria, ma non penso che riusciremmoa respingere una maggioranza schiacciante di intrusi. Se varcassero le difese della struttura,

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potrebbero sconfiggerci.Le ragazze hanno imparato a prendere la mira con i fucili, ma ho ritenuto comunque

necessario che si esercitino a sparare sul serio, se vogliono diventare almeno quasi brave.Sarebbe da pazzi fare le prove vicino alla stazione, perché questo finirebbe per attirare i nostrinemici verso la nostra posizione e ci vedrebbero scappare nella recinzione. Inizierò a preparareun’uscita all’esterno con Jan e Tara, per assicurarmi che siano in grado di usare i fucilid’assalto quando sarà il momento.

Ho sentito per caso Jan mentre insegnava a Laura un po’ di matematica di base. Dato chenon è possibile mandarla a scuola, non è una cattiva idea farla continuare a studiare.Annabelle sta ingrassando a causa della mancanza di vero cibo per cani e della assenza dimovimento.

14 maggio

Ore 22:09L’11 maggio ho portato le ragazze a fare un’escursione. Abbiamo camminato per circa 2chilometri intorno al complesso fino a quando si sono viste, distanti, le porte dell’ingressoprincipale. Eravamo William, Jan, Tara e io. Avevamo portato Jan e Tara per fargli fare un po’di pratica con gli M-16 trovati nell’armeria. Piuttosto che sprecare le munizioni, avrebberomigliorato le loro capacità sparando agli zombie che stazionavano davanti alla base. Ci siamoavvicinati all’ingresso principale fino a quando ci siamo trovati a circa un chilometro dall’areaantistante all’entrata, con un ampio raggio di visione.

Io controllavo la scena con il binocolo, mentre William si occupava di guardarci le spalle. Learmi di Jan e Tara erano già cariche e avevano munizioni extra. Era giunta per loro l’ora dimettersi a sparare davvero. Hanno tirato indietro il carrello d’armamento e ho sentito il clickdegli otturatori che si caricavano. Hanno preso la mira. Ho usato due pallottole da 9 mmcome tappi per le orecchie e ho alzato il binocolo mentre sparavano. Senza un bersaglio precisoda puntare, sparavano al centro della folla. Con i binocoli vedevo quegli esseri cadere, mentrenuvolette di polvere marrone gli si sollevano al di sopra quando le pallottole li prendevano.Non erano solo loro a dover fare esercizio di tiro a segno, ora era arrivato il MIO turno.

William, Jan, Tara e io abbiamo aspettato il momento opportuno, mentre un massicciodispiegamento di morti viventi iniziava a dirigersi verso la posizione da cui provenivano glispari, allontanandosi dall’Hotel 23. Le ragazze continuavano a prendere di mira i ritardatari,mentre io caricavo l’M-203 montato sul mio M-16. Non avevo ancora mai utilizzato unlanciagranate, ma avevo letto e riletto il manuale con molta attenzione negli ultimi giorni.

Un gruppo di circa trecento di loro si stava facendo strada verso la nostra posizione, conqualche isolato ritardatario intorno allo schieramento. Un gruppo ancora più grande, rimastoindietro, alla fine si era reso conto che stava accadendo qualcosa e aveva iniziato anch’esso adirigersi verso di noi. Il primo gruppo si trovava a circa 200 metri quando ho lanciato lagranata. Dato che non conoscevo le caratteristiche dell’arma, avevo esagerato con leprecauzioni e piazzato il colpo tra il gruppo di trecento e il gruppo più grande alle loro spalle.Ne ho uccisi alcuni da entrambi i lati. Anche le ragazze sparavano, cercando di colpire allatesta. William ci copriva ai lati, fidandosi di noi per il fronte. Ho inserito la seconda carica nel

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lanciagranate. Questa volta il mio obiettivo era piazzare la granata al centro del gruppo piùvicino. La carica è esplosa e ne ha uccisi almeno cinquanta. Lo spostamento d’aria hastroncato la metà di loro all’altezza del bacino. Sembrava di vedere la caduta delle tessere diun domino. Di sicuro molti di loro sono tornati sui propri passi. Ora che avevo scoperto lepotenzialità dell’arma e che le ragazze avevano avuto modo di provare gli M-16 in una verabattaglia, era il momento di tornare. Siamo scomparsi dietro la linea degli alberi, abbiamogirato intorno al perimetro e così, coperti dalla vegetazione, siamo tornati alla stazione.

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Problemi in Paradiso

16 Maggio

Ore 12:02Ora siamo sotto assedio. Questa mattina alle 05:30 circa abbiamo sentito un rumore intensoprovenire dall’alto e dopo pochi minuti si è iniziato a sentire quel bussare familiare, moltosimile al suono che avevamo sentito dopo che l’ufficiale dell’aeronautica zombie era caduto nelcilindro di lancio. Ho perso il conto dei colpi.

Dovevano essere in venti, forse trenta. Sono andato con John e Will nella stanza di controlloe abbiamo portato indietro le immagini dalla telecamera di sorveglianza registrate nell’harddrive prima di quel rumore. Lo schermo ce ne ha mostrato la causa. La rete metallica dellarecinzione collegata all’ingresso con la serratura cifrata è stata legata a una motrice, simile aquella dei tir. La quantità di fango ed erba scaraventata indietro dalle ruote dice che ilconducente aveva dato gas a manetta. Istantaneamente sono stati sradicati dal terrenol’ingresso e 3 metri di recinzione, lasciando un’apertura di 5 metri nel recinto. La motrice eracircondata da zombie. Li vedevamo riversarsi all’interno del perimetro, calpestando la parte direcinzione che era stata distrutta.

Abbiamo riportato le telecamere in modalità live, ma la cosa non ci ha aiutato molto. Hovisto gli ultimi secondi di registrazione nei quali cinque uomini hanno coperto le telecamerecon sacchi di patate (o qualcosa del genere). Perché non le hanno distrutte? L’unica telecamerarimasta è quella situata nell’ingresso di fronte principale. Mi sa che non l’hanno vista, oppurenon l’hanno potuta chiudere a causa della massa di zombie. Sentiamo suoni intermittentiprovenire dall’alto, ma non abbiamo modo di sapere cosa stiano pianificando.

Posso ipotizzare che se aprissimo le porte d’accesso al cilindro di lancio, ci ritroveremmocon un piccolo esercito di zombie percossi e maltrattati con cui gareggiare. Ancora adessosento il loro tamburellare ovattato. Vogliono uscire dalla prigione cilindrica. Anzi, non èesatto. In realtà, c’è solo una cosa che vogliono.

Un’altra domanda che mi viene in mente è, perché non hanno semplicemente lanciatoquell’enorme motrice sulla recinzione? Sarebbe stato più prudente che uscir fuori e collegarerecinzione e motrice con una catena. A meno che… non cerchino di minimizzare i danniall’installazione. John sta manovrando la telecamera principale. Si vedono veicoli inmovimento dietro alla massa dei morti viventi. Appena escono allo scoperto, si dirigono versoil sentiero già battuto che porta al retro della stazione in cui ci troviamo noi. John ha contatosei vetture in tutto, esclusa la motrice. Il sole è appena sorto. Ora c’è silenzio. Sarà una lungagiornata.

Ore 20:18

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Non so come abbiamo fatto a non pensarci prima. Hanno avvolto le telecamere con i sacchiper disattivarle senza distruggerle. John ha cambiato la modalità delle telecamere da normale atermica. Vediamo tutti i movimenti delle persone attraverso i sacchi di juta come se non cifossero affatto. Abbiamo zoomato diverse volte cercando di contare quante persone ci fossero.Si vedono le chiazze rosso-arancione dei corpi in movimento intorno alle loro vetture e lescintille degli spari, che emettono calore. Non sembrano essere in possesso di fucili militari. Sitratta piuttosto fucili da caccia.

Continuano a muoversi, portando con sé i morti viventi lontano dall’area, e poi tornandoindietro. Immagino che non possano permettersi di stare fermi nello stesso punto per moltotempo a causa dell’enorme massa di morti viventi che arriverebbe. Sembra quasi che portino ilgregge degli zombie a pascolare lontano da qui, intenzionalmente, per poi ritornare. Unastrategia molto intelligente. Devono avere imparato a sopravvivere fuggendo sin da quandotutto è cominciato.

Scommetto che ci hanno inseguito per giorni e che potevano persino essere là fuori quandosiamo usciti a provare le armi. Non sento rumore di arnesi da taglio, né alcunché che mi facciapensare che stiano cercando di forzare l’entrata. La telecamera sul lato frontaledell’installazione funziona ancora perfettamente. Inserendo la visione notturna si vedeun’ampia area vuota, come un grande parcheggio.

I saccheggiatori hanno effettivamente sgomberato l’uscita, ma potrebbero essere in attesa,nascosti nell’ombra, pronti a ucciderci alla prima occasione. Ho poggiato un orecchio sulleporte blindate d’accesso al cilindro di lancio. Sentivo i loro lamenti dei morti viventi mentre sitrascinavano e battevano i pugni sulla parete, dal lato opposto al mio.

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Lo stratagemma di John

19 maggio

Ore 19:32La notte del 17 c’è stato l’assalto. L’abbiamo visto con le telecamere termiche e con quella nonostruita dell’ingresso principale. Hanno portato alcune squadre di uomini nei pressi dellacavità del cilindro di lancio, dove erano già caduti molti morti viventi. Dopo qualche minuto,la traccia termica delle telecamere a infrarosso della piattaforma di lancio era così ampia daessere incomprensibile. Passati 10 minuti, ho sentito cosa accadeva dietro allo sportellod’accesso inferiore passando la mia mano guantata sulla parete del cilindro di lancio. Losportello era spesso e robusto ma il calore sprigionato dal fuoco acceso dall’altra parte eramoltissimo. Stavano bruciando i morti viventi caduti nel pozzo. Volevano spingersi più inbasso e al di là della porta vicino a cui mi trovavo.

Bisognava formulare un piano. John mi ha avvisato che con le telecamere termiche, pocoprima che le figure divenissero indistinguibili, aveva intravisto quattro uomini con un grossobaule, che si dirigevano verso lo spazio aperto nella rete di recinzione. Doveva essere qualchetipo di tagliatrice. Nelle 24 ore precedenti (le notti del 16 e del 17) li avevo osservati mentrecontinuavano la strategia del pastore per gestire i morti viventi.

Nel loro convoglio c’era anche un’autocisterna per la benzina. L’avevamo vista usando lefoto satellitari, prima che si rannuvolasse. Avevo contato cinquanta persone e circa unaventina di veicoli.

Abbiamo cercato informazioni controllando le trasmissioni sulle frequenze della bandalocale. Li sentivamo comunicare. Il codice utilizzato era familiare, molto simile al codiceabbreviato che avevamo sentito alla radio qualche settimana fa. Per quanto mi riguarda,poteva essere persino cinese. Non aveva alcuna importanza, a quel punto. A giudicaredall’ampia chiazza bianca sulle immagini riprese con la telecamera termica, il fuoco era ancoraalto. Dovevo trovare un modo per raggiungere la superficie senza farmi scoprire e farequalcosa per disorientarli fino alla resa. Serviva il contributo di tutti per venirne a capo con unpiano.

Ecco il piano. Ho detto a Jan che a un certo punto doveva mandare comunicazioni via radioper i saccheggiatori. Il comunicato radio diceva che la nostra era una base ufficiale del governoprotetta da più di cento militari ben armati. Se non si fossero ritirati, i soldati sarebbero statiautorizzati ad annientarli. Le ho detto anche di mandare l’annuncio alla frequenza deisaccheggiatori esattamente 45 minuti dopo la nostra uscita dall’installazione. Ora erano le21:55.

John e io ci siamo ricordati del giorno in cui eravamo arrivati all’Hotel 23. Avevamodormito in una piccola area circondata da una rete metallica, con un grosso tombino al centro.Nei giorni successivi al ritrovamento di questo posto avevo scoperto, insieme a John e Will,

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che si trattava di un passaggio per la fuga, un’uscita di sicurezza in più nel caso in cui le altrefossero divenute inutilizzabili. L’uscita era molto lontana dalle aperture nel cilindro di lancio edall’entrata principale, e quindi era probabile che non l’avessero notata.

Le ragazze si sono armate con fucili e mitragliatrici. Ho insegnato loro a usare lemitragliatrici in una stanza blindata. Se puntavano le armi in basso verso il pavimento conun’inclinazione di circa 45 gradi, le pallottole esplosive (a 12 pallini) rimbalzavanodistruggendo tutto ciò che si trovava davanti sulla passerella d’acciaio. Questa tattica mi erastata impartita nelle esercitazioni antiterrorismo, quando ci avevano insegnato a respingereun’intrusione terroristica nei vascelli della marina americana. Con questo sistema non c’eraneppure bisogno di vedere i bersagli.

Ho imbracciato l’M-16 con il lanciagranate M-203, e afferrato tutte le munizioni di cuiavevo bisogno, una coperta e gli occhiali a visione notturna. John e William hanno preso unM-16 a testa, due pistole M-9 e i binocoli. Ci siamo diretti verso l’uscita di emergenza, a circa600 metri lungo un tunnel d’accesso privo di illuminazione.

Alcune lampadine lì dentro erano fulminate e sono stato costretto ad accendere la visionenotturna più volte per guidare John e Will fino alla botola. John si teneva alla mia spallalasciandosi guidare attraverso l’oscurità. Sentivo l’odore del terrore nell’aria. Avevamo tuttipaura. A nessuno piaceva uccidere altri esseri umani, ma questa volta era in gioco la nostrastessa sopravvivenza.

Non potevamo correre alcun rischio con questi nemici. Siamo giunti alla botola. Da quelmomento in poi, Jan avrebbe iniziato il conto alla rovescia. Controllai l’ora. Erano le 21:55.Alle 22:40 avrebbe effettuato il comunicato radio. Non potevamo rischiare di utilizzare ilmotore idraulico per aprire il tombino. Ogni cosa in quel posto però aveva un sistema di backup. Dopo sessantadue giri manuali con la manovella, la botola si è aperta lateralmentemostrando un passaggio di circa mezzo metro d’altezza. Era una notte nuvolosa e senza luna.Si percepiva il luccichio distante della piattaforma missilistica proveniente dall’altro lato dellacollina, vicino al recinto dell’area dove ci trovavamo.

Abbiamo scavalcato insieme il filo spinato usando le coperte che avevo portato con me. Oraeravamo sul lato. Non coglievamo movimenti di zombie né da una parte, né dall’altra di quellato della recinzione. Abbiamo strisciato fino a una banchina cercando una posizione divantaggio per osservare i banditi. Erano lì davanti a noi. Ho iniziato a contare le loro teste coni binocoli. Quarantacinque in tutto. Molte delle vetture su cui viaggiavano erano modellicostosi. Molte Landrover e Hummer modello originale. Si erano asserragliati intorno allarecinzione nei pressi delle loro vetture e di quell’enorme autocisterna, pronta per quandoesaurivano la loro dose di dinosauri morti e avessero avuto bisogno di ulteriore carburante.

A questo punto non sapevo che pesci pigliare. Erano molti di più di noi e ci avrebberofacilmente sconfitti in uno scontro armato. L’unica cosa da fare era aspettare il messaggioradio di Jan, sperando che ci cascassero. Erano le 22:15… Conversavano senza avere la piùpallida idea di quello che stava per succedere. Ho riattivato la visione notturna per controllarele zone più scure vicino al cilindro di lancio, dove c’erano i resti del fuoco. Si vedevano lebuste illuminate dall’infrarosso della telecamera al loro interno. Era buffo pensare che eranocome una versione verdastra delle luci a gas da campeggio, quel vecchio modello che utilizzavauno straccetto al propano per generare la luce.

Le 22:35. I minuti sembravano ore. Ancora 5 minuti e avremmo scoperto le nostreprospettive di combattimento. I saccheggiatori portavano una strana combinazione di blu jeans

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e pantaloni mimetici. Molti di loro erano grassi e fuori forma, con le pance che pendevano aldi fuori della linea della cintura. Non aveva nessuna importanza. Non c’è bisogno di esseremagri per schiacciare un grilletto e colpire il bersaglio.

Era ora di muoversi. Le 22:40. Ho guardato l’orologio e ho fatto un segno con il capo aJohn e Will affinché facessero il massimo silenzio. Niente. Non sembrava che avessero sentitoil comunicato di Jan. Poi è arrivato. Si è sentito il gruppo dire “shhhh!” all’unisono. Tuttifacevano segno ai loro compagni di fare silenzio. Dopodiché… dal gruppo si è alzata una risatamolto forte e il grido di una persona “FANCULO COGLIONI! VOI AVETE QUELLO CHEVOGLIAMO NOI!” Poi nuovamente risate a voce alta, maledizioni, e spari in arianell’oscurità della notte.

Ho dovuto bloccare il braccio di William per impedirgli di alzarlo in uno scatto di rabbia. Ilfuoco stava scemando e non si vedevano più fiamme uscire dall’estremità del cilindro di lancio.Il tempo a nostra disposizione stava finendo. Con il binocolo, li ho visti trascinare una sorta disaldatore-tagliatrice verso l’interno della recinzione. Questi ci volevano morti.

Era una questione di sopravvivenza. Mi sono deciso. Invece che aspettare che cisbaragliassero dentro alla stazione, dovevo colpirli quando erano tutti insieme. Ho preso unadecisione che mi perseguiterà per sempre. Ho detto a John e Will di tenersi bassi mentrecaricavo il lanciagranate dell’M-16. Conoscevo la distanza del camion della benzina. Horegolato la mira per un bersaglio a 100 metri. Mi sono fermato un attimo a meditare,riflettendo sulla decisione. Non c’era più tempo per pensare. Non era più ora di esitare… hopremuto il grilletto.

La granata ha attraversato l’aria con un sibilo, diretta verso il camion della benzina. Hatoccato terra a 2 o 3 metri dal rimorchio – più o meno a metà – ed è esplosa, rovesciandocentinaia di frammenti d’acciaio contro quel guscio metallico che conteneva litri e litri dibenzina. Dopodiché c’è stata un’esplosione enorme. Poi non ricordo più nulla.

Il ricordo successivo che ho sono John e William che, a turno, mi fanno un massaggiocardiaco, mentre giaccio a terra nei pressi della recinzione. Dopo qualche tempo, ho scopertoche lo spostamento d’aria causato dall’esplosione mi aveva scaraventato al suolo dopo un volodi 10 metri. Fortunatamente avevo colpito la recinzione al centro, e non sul palo o sul filospinato.

Da quel giorno sono rimasto a letto, per guarire dalle bruciature e da quella che secondo Janera probabilmente una commozione cerebrale. John e William mi hanno riportato al centro dicomando e hanno mandato altri comunicati radio diretti agli aggressori. Pensavamo che alcunidi loro fossero fuori al “pascolo” con gli zombie. John ha trasmesso il messaggio seguente,utilizzando tutte le frequenze disponibili:

“Per il gruppo di ribelli che ha intrapreso attività ostili contro una postazionemissilistica governativa:Sappiate che quattro elicotteri Apache sono stati inviati nell’area per neutralizzaretutte le forze ostili nei paraggi. La continuazione delle ostilità porterà a unapesantissima rappresaglia contro la fazione coinvolta”.

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John ha ripetuto il messaggio per mezz’ora. Fino a questo momento,all’avvertimento non è seguita alcuna risposta. Spero solo che lostratagemma di John abbia funzionato. Forse abbiamo vinto la battagliadell’Hotel 23, ma se decidessero di attaccarci nuovamente con forzesimili, non potremmo resistere. A prescindere da come vada la faccenda,l’inquietudine che mi porto dentro non mi abbandona, dopo avere uccisoalmeno cinquanta esseri viventi. Da un certo punto di vista, sonocontento che l’esplosione mi abbia quasi fatto fuori. Almeno non hosentito le loro urla strazianti.

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P.S.

Grazie a tutti per avermi seguito nel mondo dei morti viventi. Spero che via sia piaciutoleggere Diario di un sopravvissuto agli zombie tanto quanto a me è piaciuto scriverlo. Lastoria non è finita e vi avviso che le vicende dei sopravvissuti dell’Hotel 23 avranno un seguito.Anche se la Guerra globale contro il terrorismo mi ha tenuto occupato per gran parte deltempo, riesco ancora a calarmi nella mente di un fuggitivo intrappolato nel mondo dei mortiviventi. Devo questo ai personaggi e ai fan di questo romanzo.

Ci sarà un seguito.

Chiudete la porta di casa.

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