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libertàcivili In questo numero interventi di: Ban Ki Moon La città interetnica Primo Piano / Corrado Beguinot Graziano Delrio Chiara Giaccardi Mario Giro Marco Omizzolo Franco Pittau Vincenzo Scotti Francesco Vecchio BIMESTRALE DI STUDI E DOCUMENTAZIONE SUI TEMI DELL’IMMIGRAZIONE

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In questo numero interventi di: Ban Ki Moon

La città interetnicaPrimo Piano /

Corrado BeguinotGraziano DelrioChiara GiaccardiMario Giro

Marco OmizzoloFranco PittauVincenzo ScottiFrancesco Vecchio

BIMESTRALE DI STUDIE DOCUMENTAZIONESUI TEMI DELL’IMMIGRAZIONE

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libertàciviliRivista bimestrale del dipartimentoper le Libertà civili e l’Immigrazionedel ministero dell’Interno

Piazza del Viminale 1- 00184 Romatel. 06 46525869fax 06 [email protected] [email protected]@interno.it

Comitato scientificoPresidente Enzo CheliVice presidente emerito della Corte costituzionale

ComponentiVincenzo CesareoProfessore ordinario della facoltàdi Scienze politiche - Universitàcattolica del Sacro Cuore - Milano

Mario GiroResponsabile per le relazioni internazionali Comunità di Sant’Egidio

Antonio GoliniProfessore ordinario di Demografia- facoltà di Scienze statistiche -Università degli studi di Roma“La Sapienza”

Angelo MalandrinoPrefetto - Autorità responsabiledel “Fondo europeo per l’integrazione di cittadini di Paesi terzi” 2007- 2013

Mario MorcelliniPreside della facoltà di Scienzedella comunicazione - Universitàdegli studi di Roma “La Sapienza”

Riccardo Compagnucci Prefetto - vice capo dipartimentovicario per le Libertà civilie immigrazione

Serenella RavioliResponsabile ufficio comunicazione istituzionale del ministero dell’Interno

Giuseppe RomaDirettore generale CENSIS

Direttore editorialeAngela PriaPrefetto - capo dipartimentoper le Libertà civilie l’Immigrazione

Direttore responsabileGiuseppe Sangiorgi

RedazioneAlessandro GrilliClaudia Svampa

Responsabile organizzativoStefania Nasso

Progetto graficoStudio Francesca CantarelliMilano

FotografieCopertina © Frontepagina;pag. 22 © Mark Garten | UN Photo;pag.31 © Daniel T.Yara-morgueFile.com;pag.43 © Alberto Bordi; pag.50 © Associazione Esenosen;pag.55 © Ian J.Young-morgue-File.com; pag.69 © KevinConnors-morgueFile.com;pag.91 © Eskinder Debebe | UNPhoto; pag.106 © Alex France -morgueFile.com; pag.109 © Africa FreeDigitalPhotos;pag.132-136-142 © FondazioneMondo Digitale;pag.146 -148 © morgueFile.com;pag.154 © Luke Powell | UN Photo

CopertinaStudio Francesca Cantarelli

Autorizzazione Tribunale di Milanon. 579 del 18.12.2009Bimestrale - Poste Italiane Spa Sped. in Abb. Post. - D.L.353/2003(conv. in L. 27.02.2004 n.46) art.1, comma 1 DCB Milano

Copyright © 2011 by Ministero dell’Interno

StampaTipografia Iprint Srl Via Tiburtina Valeria km 18,30000012 Guidonia-Montecelio Roma

Anno IIQuarto bimestre 2011finito di stampare ottobre 2011

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In questo numero interventi di: Ban Ki Moon

La città interetnicaPrimo Piano /

Corrado Beguinot

Graziano Delrio

Chiara Giaccardi

Mario Giro

Marco Omizzolo

Franco Pittau

Vincenzo Scotti

Francesco Vecchio

BIMESTRALE DI STUDIE DOCUMENTAZIONESUI TEMI DELL’IMMIGRAZIONE

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EditorialeCostruire una nuova polis che rimetta al centro l’uomodi Angela Pria 5

L’interventoLe città, i veri “hub” nell’era della mobilitàdi Ban Ki Moon 7

La road map della città interetnicadi Giuseppe Sangiorgi (con Corrado Beguinot) 11

Il documento finale della conferenza 15

La scheda/ I contenuti del progetto 17

La crisi delle città del mondo: cause, rimedi, iniziativedi Vincenzo Scotti 21

I pericoli della crisi libica per la sopravvivenzadelle nuove città multiculturali nel Saharadi Mario Giro 25

Hong Kong e Guangzhou: dall’Asia esempi di metropoli interetnichedi Francesco Vecchio 28

Aperta, sicura, collaborativa: la “città delle persone”esiste ed è in val PadanaColloquio con Graziano Delrio (sindaco di R.Emilia) 35

La par tecipazione politica quale strumento di inclusione nell’esperienza dei consiglieri stranieri al comune di RomaTestimonianze raccolte da Franco Pittau 40

La via all’intercultura nasce dalla casadi Chiara Giaccardi 46

Dalla polis monocentrica ai nuovi spazi socialitransurbani e interetnicidi Marco Omizzolo 52

I diritti culturali, la via da percorrerecontro i pericoli del “comunitarismo”di Roberto Mongardini 62

EuropaCittà etniche al centro dell’Europadi Andrea Fama 74

La Commissione europea approva il Programma annuale 2011 del Fei 79

Diritto d’asiloCooperazione europea e sistema comune d’asilo:iniziative e proposte di Enzo Rossi 80

Uomini e donne in fuga: il Rapporto 2010 dell’Unhcr 89

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LaborDa beneficiari a “creatori” di welfare:i lavoratori immigrati negli archivi Inpsdi Maria Paola Nanni 92

Immigrati: oltre il 70% ha un conto corrente.Quasi sette imprenditori su 10 sono stranieri

98Dialogo interculturaleLa mediazione interculturale nel nostro Paese:questioni aperte e prospettivedi Massimiliano Fiorucci 102

InsiemeMi impegno, dunque sonodi Raffaele Bracalenti - Attilio Balestrieri 112

Oltre la pauraLe trappole amministrative nel rinnovodei permessi di soggiorno per motivi di studiodi Alessia Damonte e Berna Yilmaz 124

Il buon esempioPer l’accoglienza integrata… “Ricominciodatre”di Alfonso Molina 134

ImaginariumUna canzone per bagagliodi Alberto Bordi 144

Sullo scaffale 150

Percezione dei richiedenti asilo e flussi in Europaa cura di Luca Vitali 153

iSteve, goodbye geniusdi Claudia Svampa 159

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artin Heidegger ha scritto che “Il costruire ... non è soltantomezzo e via per l’abitare, il costruire è gia in se stessoun abitare”.

Questa osservazione, in sé apparentemente semplice, sottende una serie di implicazioni molto delicate, perché investono gli “archetipi” culturali di una data società.Se il “costruire” è un “abitare in potenza”, ciò vuol dire anche cheil “costruire” porta in sé un’idea o, se si preferisce, un “progettoideale” del dove e del come una data società decida di vivere.Dovremmo, allora, chiederci cosa significhi, in Italia, costruireuna città.C’è stata un’epoca nella quale intellettuali, uomini di governo,architetti e filosofi proposero al riguardo il progetto di una “città umanistica”, dove la persona umana veniva posta al centro del costruire e dell’abitare e dove il costruire e l’abitareerano entrambi posti in funzione del “bello”, valore che la culturaclassica, greca e latina, aveva tenuto in altissima considerazionee che l’Umanesimo e il Rinascimento avevano riscoperto e studiato.Tutto ciò è emblematicamente riassunto nel famoso dipinto quattrocentesco “La città ideale”, che nuovi studi hanno recentemente attribuito alla mano di Leon Battista Alberti, autore del “De Re Aedificatoria” e poliedrico intellettuale del nostro Rinascimento. Oggi quella proposta culturale di mettere l’uomo al centro della polis può essere, in chiave moderna, recuperata, aggiornatae messa in pratica secondo alcune coordinate normative offertedalla nostra Costituzione: la tutela della persona umana (art.2 Cost.), la promozione dello sviluppo della cultura (art.9 Cost.) e la tutela del paesaggio e del patrimonio storico e artistico della Nazione (art.9 Cost.). Alla luce di tali principi è, quindi, possibile immaginare un progetto di “città ideale” anche per l’Italia del XXI secolo

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Costruire una nuova polische rimetta al centro l’uomo

di Angela Pria

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Costruire una nuova polis che rimetta al centro l’uomo

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ed elaborare politiche urbanistiche che definiscano un “costruire”organico e razionale.Abbiamo urgentemente bisogno di città ancor più integrate fra centro e periferia e di periferie che, a loro volta, siano il centrodinamico di aree metropolitane più vaste o siano il trait d’unioncon le campagne circostanti. Abbiamo bisogno di città moderneche siano non solo funzionali alle esigenze e ai tempi, talvolta frenetici, della modernità, ma anche belle da vedersi e da “abitare”. Abbiamo bisogno di città aperte al nuovo, come quelle del Rinascimento, le quali, svestiti i panni dei centrifortificati del Medioevo, si proposero come luoghi d’incontro, di crescita civile, d’arte e di cultura. Per dirla con Heidegger abbiamo, in definitiva, bisogno di un “costruire” che metta in relazione l’uomo e lo spazio circostante, come un ponte che non si limiti a collegare solamentedue rive già esistenti: “Il collegamento stabilito dal ponte.. fa sìche le due rive appaiano come rive. Le rive, poi, non costeggianosemplicemente il fiume come indifferenziati bordi di terra ferma.Con le rive, il ponte porta continuamente di volta in volta al fiume l’una e l’altra distesa del paesaggio retrostante. Esso portail fiume e le rive e la terra circostante in una reciproca vicinanza…riunisce la terra come regione intorno al fiume...”.

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entoLe città, i veri “hub”

nell’era della mobilità

di Ban Ki MoonSegretario generale dell’Organizzazione delle Nazioni Unite

Il segretario generale dell’Onu: “le comunitàottengono risultati migliori quando ognuno ha un ruolo e la possibilità di mostrare il suopotenziale”. È la chiave per la convivenza nelle sovraffollate aree urbane del futuro

Sono felice di trovarmi qui. Voglio ringraziare i nostri ospiti,il ministero italiano degli Esteri che ha organizzato questo eventosotto il patrocinio dell’Alleanza delle civiltà delle Nazioni Unite.

Mi trovo qui in Italia per unirmi alla celebrazione del 150ºanniversario dell’unificazione italiana. Gli anniversari sonomomenti volti a celebrare il passato, ma dal mio punto di vistaessi in realtà si rivolgono al futuro.

Questo è esattamente ciò che la conferenza tratta. Ci siconcentra su questioni centrali del XXI secolo. Come costruiresocietà inclusive? Come promuovere fiducia e rispetto reciprocoall’interno delle comunità? Come beneficiare al massimo dellanostra crescente diversità?

Questo difficile compito richiede un contributo da ognuno di noi. Citroviamo in quella che definirei “età della mobilità”. Si tratta di un’erain cui le persone varcano confini in maniera sempre crescente neltentativo di trovare opportunità e speranze di una vita migliore.

Le città sono i maggiori centri dell’azione, i fulcri, i magneti,i luoghi dove le persone entrano in contatto e coesistono. Entroil 2030, oltre cinque miliardi di persone vivranno nelle maggioricittà del mondo. Già ora metà della popolazione mondiale risiede

Le persone varcano sempre di più i confini degli Stati per trovare una vita migliore e le città sono i centri dell’azione,i magneti dove entrano in contatto fra loro e coesistono

Pubblichiamo il discorso tenuto dal segretario generaledell’Onu, Ban Ki Moon, in occasione della conferenza inter-nazionale “La città interetnica” (The Interethnic City) del1 giugno scorso a Roma, evento collocato all’interno dellecelebrazioni del 150° anniversario dell’Unità d’Italia.

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L’intervento di Ban Ki Moon alla conferenza sulla città interetnica

nelle aree urbane. Entro il 2050, ci si attende che questapercentuale salga a due terzi.

Che si tratti di minoranze o di immigrati, molte persone gravitanoattorno alle città per opportunità economiche e per libertà.Tuttavia, le città presentano difficoltà sia economiche sia socialinel creare un ambiente inclusivo. In tale clima, si delinea unatendenza ad additare “l’altro” o a vedere “l’altro” come coluiche prosciuga l’economia locale.

L’Italia ha accolto molti immigrati in fuga dal caos politico, dallapovertà e dall’insicurezza. Spesso vi è disagio nel gestire ladiversità di chi proviene da origini diverse. Infatti, in ogni angolodel mondo, il fenomeno della migrazione è oggetto di accesodibattito – una leva per provocare tensioni sociali, portare lapolitica verso i suoi estremi, alimentare la fiamma della discrimi-nazione e dell’odio.

Gli immigrati e le minoranze divengono un facile caproespiatorio quando vengono a mancare posti di lavoro e gli stipendivengono ridotti. Ma i dati offrono una visione diversa. I migrantitendono a compensare, non a sostituire i lavoratori nazionali.Creano una domanda aggiuntiva. Spesso occupano posizionilavorative, le quali vengono trascurate dai lavoratori nazionali,anche in tempi di crisi economica.

Dovremmo ricordare che il profilo del lavoratore migrante nonsempre corrisponde al pregiudizio che noi abbiamo. Non sempresono lavoratori sottopagati e poco istruiti. Al contrario, in moltiPaesi e città rappresentano i migliori e più brillanti professionisti:medici, infermieri, ingegneri e altri esperti altamente istruiti. Sonoimprenditori che rilanciano i quartieri e creano nuovi posti di lavoro.Le loro figure sono accolte benevolmente da qualsiasi società.

Senza dubbio, in ogni parte del mondo, si può fare molto di piùper costruire luoghi in cui i nativi e i nuovi arrivati si uniscanoper uno scopo comune; luoghi in cui tutte le famiglie possanoaccedere all’istruzione e alla sanità e ad altri servizi vitali.

Solo pochi decenni fa, l’Italia era un paese di emigrazione.Milioni di italiani emigrarono all’estero, alleviando in tal modola disoccupazione, mentre le rimesse da loro inviate erano fon-damentali per il sostentamento delle loro famiglie. L’Italia hamostrato come la migrazione internazionale possa costituire unatripla vittoria: per i Paesi di origine, per i Paesi di destinazionee infine per i migranti e le loro famiglie.

L’Italia dovrebbe portare questa saggezza all’interno deldibattito globale. La migrazione è tra i temi significativi del nostrotempo. Per questo motivo, nel 2006, abbiamo lanciato il Forumglobale su migrazione e sviluppo – una serie di incontri che ha

Gli immigrati sono un facile capro espiatorio quando mancano posti di lavoroe gli stipendi si riducono,ma essi compensano e non sostituiscono i lavoratori nazionali e sono spesso altamente istruiti e qualificati

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L’intervento di Ban Ki Moon alla conferenza sulla città interetnica

Il ruolo delle autorità,delle associazioni e dei gruppi locali è fondamentaleper la riuscitadella integrazionee per una gestione efficace delle diversità culturali

permesso ai governi di fare progressi reali su un tema complessoe delicato. Ma dobbiamo fare di più per sfruttare appieno ivantaggi. Nel 2013, l’Assemblea generale organizzerà unsecondo dialogo ad alto livello sulla migrazione internazionalee sullo sviluppo. Questa sarà un’occasione fondamentale per lacomunità internazionale.

Il ruolo dei leader locali è fondamentale. Le autorità localisono essenziali per la riuscita dell’integrazione dei migranti edelle altre minoranze etniche, e per la gestione efficace delladiversità culturale. I gruppi locali della società civile possonofar avanzare l’integrazione dal popolo. Le aziende possonoadottare misure speciali per rendere la diversità una prioritànel reclutamento di forza lavoro, procurare nuovi fornitori eraggiungere nuovi clienti. Le fondazioni e gli istituti di istruzionelocali possono fornire alle persone di etnie diverse spazi sicuriaffinché possano discutere delle loro differenze e agire per i loroobiettivi comuni.

Signore e signori, sono pienamente consapevole della difficoltàdi questo argomento.

Viviamo in un mondo dove troppo spesso la divisione èpresente. Essa vince voti e prende punti. È molto più facileaccusare gli altri invece di noi stessi. Eppure, ovunque io vada,ho trovato qualcosa d’altro – una crescente consapevolezzadel trovarci in questo insieme. Una comprensione più nitidadelle città e delle comunità, le quali ottengono risultati miglioriquando ogni persona ha la possibilità di mostrare il suo pienopotenziale, quando tutti hanno un ruolo.

Questa consapevolezza è ciò che attira tutti noi insieme.Inoltre contribuisce ad animare il lavoro delle Nazioni Unite –che è per molti versi come una città inter-etnica – cercando dicostruire la solidarietà e la cooperazione tra i rappresentantidi tutto il mondo.

Insieme, cerchiamo di approfondire il nostro impegno per ivalori comuni di inclusione e di accettazione sociale, istruzionee comprensione.

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I problemi di convivenza e integrazione postidalle migrazioni chiamano oggi l’antica polis a trasformarsi in una nuova civitas, aperta e inclusiva, ma anche luogo di valori e di un ordine sociale condiviso e rispettato. Il tema della città interetnica, modello di riferimentourbanistico, civile e politico, è oggetto di una iniziativa italiana per una risoluzione Onu su questi temi, sostenuta dal nostro Governo

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La road map della città interetnica

di Giuseppe SangiorgiVice presidente emerito della Corte costituzionale

Prosegue il percorso per fare del progetto una risoluzione dell’Onu. A colloquio con l’architetto Corrado Beguinot, protagonista di questa avventura che il Governo italiano sostiene nella sua proiezione internazionale

Presentato una prima volta all’Onu nel settembre del 2009(vedi libertàcivili di gennaio-febbraio 2010), il progetto della“città interetnica” del XXI secolo ha compiuto altri passi versoil traguardo che lo vedrà diventare una risoluzione ufficialedell’Assemblea delle Nazioni Unite sulla crisi della città e lesoluzioni per porvi rimedio: un’architettura del dialogo, delletecnologie e del “funzionamento delle funzioni” alla luce di unnuovo personalismo sociale. L’obiettivo non è solo urbanisticoma politico: questa pacifica rivoluzione tende a riallineare ilsignificato stesso della convivenza civile ai mutamenti epocalidegli ultimi decenni, segnati dalla “mescola genetica” delmulticulturalismo e della multietnicità, fenomeni che chiamanodirettamente in causa le migrazioni interne ed esterne deidiversi Paesi.

Che cos’è dunque la città interetnica? Sorride nell’ascoltarela domanda l’architetto Corrado Beguinot, che ha dedicato unalunga vita di studioso e di progettista a elaborare e svilupparequesta idea: una idea nuova ma con un cuore antico, se giàAristotele descriveva la città dei suoi tempi non come unasemplice comunità, ma come una “comunità di comunità”. Erapartito dal tema della città cablata Beguinot, per comprenderepoi che la riflessione andava portata oltre. Oggi è un fatto cheil progressivo aumento di megalopoli di dieci milioni di abitanti,i servizi che scoppiano, i fenomeni di degrado urbano hannomutato radicalmente il volto della città di una volta, cinta dallesue mura protettive e rassicuranti. Il mese di agosto del 2011resterà nella memoria per le immagini degli incendi e delle

Una rivoluzionepacifica che ha un obiettivo non solo urbanistico,ma anche politico,riallineando il significato stesso della convivenza civile ai mutamenti epocali degli ultimi decenni

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Il progetto della città interetnica

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ano violenze che hanno devastato le periferie di Londra, in un

esplosivo collegarsi di forme di delinquenza e di vandalismocon disagi e tensioni sociali di una portata profonda e lontananel tempo, non rimuovibili con semplici interventi di ordinepubblico.

Eppure l’uomo ha bisogno della città, essa è il suo habitatelettivo: in questo luogo l’essere umano si definisce, si esprime,organizza la propria vita. Perciò deve declinarne nuovamentel’identità; un’identità che poggia paradossalmente sulla matricegenerativa della diversità. Il progetto della città interetnica, sortonell’ambito della fondazione di studi urbanistici Aldo Della Rocca(un giovane architetto morto prematuramente in un lontanoincidente automobilistico), è stato fatto proprio dal Governoitaliano, che lo sostiene oggi nella sua proiezione internazionaleattraverso il ministero degli Esteri e il sottosegretario VincenzoScotti (che interviene più avanti in questo numero di libertàcivili).Il progetto è il frutto di un grande e trasversale gruppo di lavoroe di saperi: urbanistici ma anche economici, sociali, umanistici,storici.

Corrado Beguinot non si stanca di proporre la sua analisi: “Ildegrado delle città si combatte con rimedi frutto di alcuni principibase: una architettura urbana del dialogo, l’uso delle nano-tecnologie, il chilometro zero come prossimità spaziale deiservizi rispetto ai cittadini, un welfare inteso come prevenzionedei problemi urbani, la creazione della figura di un ‘garanteinteretnico’ per la cura delle città”. Come raggiungere questiobiettivi? “Stiamo lavorando da tempo a un manifesto-concorsosul tema della città sostenuto dai grandi premi Nobel, a uncatalogo dei saperi per una nuova enciclopedia della scienzache affronti il tema della città su scala planetaria, e stiamolavorando sulla formazione di classi dirigenti in grado di gestirela complessità della città interetnica”.

La road map di questo lavoro, dopo l’incontro avvenuto aNew York nel settembre 2009 con una serie di agenzie delleNazioni Unite è proseguita con un calendario di altri importantiappuntamenti: Rio de Janeiro nel maggio 2010, Napoli neldicembre 2010, Roma nel giugno 2011, di nuovo a New York nelsettembre 2011. A Rio de Janeiro, organizzato proprio da unadelle agenzie che fanno capo al Palazzo di vetro, l’Alleanzadelle civiltà, si è svolto un convegno internazionale sul temadella “città condivisa”. Si è discusso di coesistenza, di cittadi-nanza interculturale, di come non nascondere le differenze, maviverle insieme. L’Italia era presente con una delegazione delministero degli Esteri e una della fondazione Della Rocca.

Per l’architettoBeguinot “il degrado della città si combatte con rimedi frutto di alcuniprincipi-base,tra i quali l’uso delle tecnologie e un’architetturaurbana del dialogo”

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Il progetto della città interetnica

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L’incontro di Rio è stato importante per una ulteriore messaa punto del progetto e la sua condivisione con gli studiosidegli altri Paesi.

Dopo Rio de Janeiro, nel dicembre 2010 è stata la volta diNapoli con un seminario di preparazione in vista della successivaconferenza di giugno a Roma. Nella città partenopea si è riunitoil “gruppo di riflessione” italiano, che coinvolge esperti e docentidelle maggiori università del Paese, da Torino e Trieste fino aPalermo. Si è arrivati così alla conferenza mondiale per la cittàinteretnica che si è svolta a Roma, in Campidoglio, il primogiugno 2011, alla presenza del segretario generale dell’Onu,Ban Ki Moon, il cui intervento pubblichiamo in apertura di questonumero della rivista. Il Presidente della Repubblica, GiorgioNapoletano, ha inviato un messaggio sulla necessità di definireuna nuova politica sulle diversità; numerosi interventi di parteitaliana sono venuti dal sindaco di Roma, Gianni Alemanno, dallavice presidente del Senato, Emma Bonino, dal rappresentantedella comunità di Sant’Egidio, Mario Giro, dal sottosegretarioal lavoro, Nello Musumeci.

L’Italia ha presentato in questa occasione una seconda pub-blicazione dedicata alla città interetnica. La prima era stata“The City Crises, Causes, Remedies” (Giannini editore, Napoli2009). La seconda ha avuto per titolo “The City Crises. ThePriority of the XXI Century” (Giannini editore, Napoli 2011). Idue volumi, curati da Beguinot, costituiscono un unicum nellastoria dell’urbanistica per l’ampiezza e lo spessore degli studie delle proposte avanzate. La sera prima della conferenza,nel teatro di Santa Chiara, poco distante dal Campidoglio,aveva avuto luogo un’altra riunione del gruppo di riflessioneitaliano, con la partecipazione di numerosi studiosi, autori deisaggi pubblicati nei volumi dei quali s’è detto.

In un contesto non solo italiano dominato spesso dai conflitti,dagli egoismi sociali, dai calcoli d’interesse questo gruppo distudiosi faceva effetto per le parole d’ordine che caratterizzavanogli interventi: occorre realizzare un mondo di pace che nondivida ma colleghi… se l’economia riparte dalle città starannomeglio le città e l’economia… l’educazione e la cultura devonofar dialogare le diversità… è necessario comprendere che gli“altri” non sono diversi da noi… dobbiamo rivendicare al noma-dismo, anche se mosso dalla necessità, il fatto di essere undiritto e un valore… la città va concepita come comunità apertae come una sorta di media proporzionale tra l’intero pianeta e lasingola persona…

Intorno a queste motivazioni ideali e culturali si vuole dare

Il contributo italiano al progetto:due volumi cheraccolgono saggi e idee sul tema della città interetnica e il lavoro costante di un gruppo di riflessione costituito da numerosi studiosi di varie discipline

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Il progetto della città interetnica

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Necessario ilcoinvolgimentotrasversale di governi,istituzioni sopranazionali,organizzazioni non governative

vita a una resurrezione della città e dei cittadini impiegando ilmeglio delle scienze urbanistiche, di quelle sociali e delle piùrilevanti innovazioni tecnologiche. Ecco perché la proposta dellacittà interetnica come modello condiviso e la road map dellasua affermazione richiedono il più ampio e trasversale coinvol-gimento dei governi di Paesi di ogni continente, di istituzionisovranazionali, di organismi non governativi, di soggetti socialie culturali capaci di dialogo e di influenza internazionale,come sottolineato anche nel documento finale della conferenzadi Roma (che di seguito riportiamo integralmente). Nell’estate2011, in attesa della 66 ª sessione delle Nazioni Unite, erano incalendario nuovi incontri e seminari propiziati dal Consigliod’Europa e dalla Comunità di sant’Egidio. Quanto maggiore saràquesto coinvolgimento, tanto maggiori saranno le possibilitàche il tema della città interetnica venga inserito all’ordine delgiorno dei lavori dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite.

C’è da sottolineare una continuità fra questo tema e almenodue filoni storici di attenzione dell’Onu verso i problemi generalidel pianeta, quello dei diritti umani e quello dell’habitat. Inentrambi i casi – il diritto alla città come un aspetto dei dirittiumani e come parte integrante delle politiche dell’ambiente –si tratta dunque di proseguire lungo una strada già intrapresadall’Onu. Una strada, ha auspicato Ban Ki Moon, che portiverso una civiltà del convivere priva di paure, che faccia deldialogo non una tecnica dei rapporti ma il modo per renderetutti assieme protagonisti della vicenda umana. Ci vuole l’utopiaper costruire la realtà.

Per la “Risoluzione dell’Onu” - La città interetnica condivisa

Verso la risoluzione Onu per la città ideale del XXI Secolo

1989 La città cablata

2002 La città interetnica

1° EventoSulla città interetnica - La proposta progettuale

2° EventoLa città interetnica condivisa

Seminario di preparazione

3° EventoConferenza mondiale per la città interetnica condivisa

1994 La carta di Megaride

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New Yorksettembre 2009

Rio De Janeiromaggio 2010

Napolidicembre 2010

Romagiugno 2011

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Il documento finaledella conferenza

di Stefania NassoViceprefetto aggiunto - ministero dell’Interno

International Conference on the Inter-ethnic City(Rome, 1 of June 2011)

Final StatementConsidering that:

Under the auspices of the UN initiative on the Alliance ofCivilisations, attention is increasingly being paid to the evolutionof urban centres, marked by globalisation, migration and theintermingling of culturally and ethnically diverse communities.

Previous discussions held in New York in 2009 (and Rio deJaneiro in 2010) placed great importance on the merits of findingways and means to address this complex issue, bearing in mindthat scientific and technological developments coupled withincreased ethnic and cultural diversity pose challenges the cityhas not been able to respond to, thus generating contemporaryurban crisis.

Extensive work has been carried out on urban themes, inparticular by international organisations such as the OIM andUN-HABITAT and regional bodies, as well as various eminentexperts and research centers, among which the “Aldo della Rocca”Foundation. They have all put forward practical solutions aimedat managing diversity and promoting integration, tolerance,understanding in multicultural and multiethnic societies andthen the remedies, the initiatives and the procedures to adaptthe city to the needs of a radically changed society.

An International Conference on the Inter-ethnic City was heldin Rome on the 1st of June 2011 (on the eve of the celebrationsof Italy’s national day and its 150 year long unification), upon

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Il documento finale della conferenza

the initiative of the Italian Ministry of Foreign Affairs and withthe support of the Municipality of Rome and of the ItalianMinistry for Labour and Social Policies.

The high level representatives of international and regionalorganisations, countries and cities across the world took uponthemselves to pursue the valuable work undertaken so far andbuild upon the best practices developed and concrete proposalsmade to address the challenges faced by inter-ethnic and inter-cultural cities.

Participants highlighted the importance of ensuring a conti-nuous involvement of civil society organisations and academicsin the process of devising and implementing measures to respondto the problems of today’s inter-ethnic cities.

They took note of various concrete proposals, including acomprehensive project proposal aimed at responding to indi-viduals’ needs and demands through an urban environmentdesigned to promote respect and civil coexistence among differentpeoples. Today’s cities are going through a complex transitionthat requires new functions, activities and services. Participantshave discussed the possibility of creating new facilitating roles,and among others the idea of having an “inter-ethnic guarantor”who would advice municipalities on multi-cultural issues.

Participants agreed to pursue efforts aimed at placing theissue of urban transformation at the heart of the agenda of selectedinternational agencies and programmes with a view to takingappropriate action at the level of the relevant United Nationsbodies, including the possibility of a resolution of the GeneralAssembly.

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Sfogliando le oltre mille pagine del volume The City Crises.The Priority of the XXI Century – che segue il primo volumeThe City Crises, Causes, Remedies pubblicato nel 2009 – ci si puòfare un’idea dei passi concreti finora compiuti nell’elaborazionedi idee e progetti per la città interetnica e in particolare della“proposta italiana”. Il volume – disponibile in due lingue, inglesee italiano – può essere consultato anche on line, in formatopdf, all’indirizzo www.fondazionedellarocca.it ed è corredatoda una serie di disegni realizzati dall’architetto Mario Casolaroche illustrano i vari aspetti del progetto, aiutando il lettore avisualizzare i concetti espressi.

Un po’ di storiaNell’articolo di Giuseppe Sangiorgi in apertura del Primo piano

viene tracciata sinteticamente la road map degli ultimi due anni,ma il progetto nasce da un lavoro ultradecennale che inizianel 1994 con la “Carta di Megaride” (dal nome dell'omonimoisolotto che si trova a Napoli), documento di principi che si

innesta nella tradizione delle carte dell'urba-nistica. La Carta di Megaride si articola indieci dichiarazioni di principio e si esprimesull'interazione tra città e natura, popoli,cittadini, mobilità, complessità, tecnologia,recupero, sicurezza, bellezza e tempo. Si trattadi un documento scientifico, un progetto diricerca aperto e può essere considerata ilpunto di partenza di questo percorso verso

la città interetnica. Questa rete internazionale di ricerca si è poi trasformata in

un gruppo chiamato “International Group Charter of Megaride(IGCM 94)” che ha partecipato al Forum delle NGO nell’ambitodella conferenza “Habitat II” di Istanbul e, nel 1997, alla 16ªCommission on Human Settlements in Kenya. Successivamenteha maturato la decisione di aderire alla rete del Global Urban

La scheda /I contenuti del progetto

La Carta di Megaride del 1994 segna la nascita del percorso verso la città interetnica:dieci dichiarazioni di principio per un progetto di ricerca apertoe di alto valore scientifico

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I contenuti del progetto

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ano Observatory dell'Unchs (United nations center for human

settlements) attivando un Osservatorio dedicato. Si arriva così al 2007, quando Link Campus University e

Fondazione Aldo Della Rocca realizzarono a Napoli una seriedi seminari denominata “I lunedì per Napoli”, con la parteci-pazione di studiosi e operatori, volti ad approfondire i diversiaspetti della complessità della città e a elaborare concreteproposte di “governance”. La riflessione dell'ultimo decenniosi è focalizzata sul tema del “Diritto alla città” e si è sviluppatanegli importanti appuntamenti internazionali già citati (Rio DeJaneiro, Napoli e Roma) che, auspicabilmente, dovranno portarealla risoluzione Onu.

Il progettoLo stato dell’arte attuale, sia dal punto di vista del percorso

concretamente compiuto verso la risoluzione Onu sia dal puntodi vista delle ricerche e dei progetti elaborati, è frutto dunquedi almeno un decennio di studi; del coinvolgimento della comunitàscientifica internazionale; di interviste a personalità europee,rappresentative di vari saperi; di pubblicazioni; di iniziativeculturali; di partecipazione per la diffusione dei risultati dellungo percorso.

Oggi si è arrivati a una proposta progettuale che esaminale ragioni della crisi della città e dei problemi che le attanaglianoe propone rimedi e iniziative per ridisegnare la città stessa.

L’idea di fondo è che la caratteristica princi-pale della città attuale sia la complessità; essadiventa sempre di più il “luogo delle differenze”,lo “spazio condiviso dove si concretizzano esi tramandano i valori comuni della cultura che,in molte parti del pianeta, è una cultura urbana”,ma anche “un luogo in cui si esasperano iproblemi e le tensioni dei cittadini, preesistentie di nuova immigrazione, al punto da produrre

incongruenze nel modello di sviluppo, degrado, carenze strut-turali, congestioni, mobilità coatta, assuefazione al degrado,differente velocità di trasformazione della città fisica, della cittàdelle relazioni, della città del vissuto, alterazione irreversibiledel rapporto tempo-spazio-velocità: quindi aumento progressivodella distanza tra la città e le esigenze della società urbana”.

Questa città va riprogettata, facendo in modo che essacontenga una serie di funzioni nuove a supporto della convivenzacivile delle diversità, favorendo il dialogo, la crescita comune,la comunicazione e la coesistenza. Tra i fattori fondamentali

La proposta progettuale esamina le ragioni della crisi delle città e dei problemi che le attanagliano,promuovendo rimedi e iniziative per ridisegnarle

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per un nuovo modello di città ci sono da un lato le tecnologie,che costituiscono un aiuto indispensabile in questo processodi “ridisegno” dei nostri spazi urbani e dall’altro la conoscenza,

risorsa fondamentale che richiede investi-menti adeguati e immediati per la formazionedi coscienze e di competenze che mettanoin condizione in primis i gestori della cosapubblica e poi noi tutti di affrontare, nei modipiù efficaci, la complessità della città di oggi.

È bene sottolineare che quello della cittàinteretnica è un progetto aperto, di cui siauspica l’arricchimento continuo attraverso

nuovi contributi e nuove adesioni da parte di studiosi ed espertidi tutti i settori, dall’altro, di un work in progress, in attesa diuna definizione completa.

Il contributo italianoL’Italia, da cui il progetto è nato e si è sviluppato grazie

all’impegno di Corrado Beguinot e della fondazione Della Rocca,ha visto la costituzione un Gruppo di riflessione interdisciplinarecostituito da 65 membri, che ha elaborato le proprie proposte,con un approccio unitario e multidisciplinare. In particolare illavoro dei partner del gruppo si è concentrato su cinque punti:1. L’interetnicità espressa dall’“architettura del dialogo”2. L’innovazione tecnologica data dalle nanotecnologie3. La filosofia del Km. 04. L’approccio ai problemi della città orientato alla prevenzione5. La formazione delle nuove figure professionali

Questi cinque punti fanno forza su dieci principi chiave cheguidano la sperimentazione progettuale:1. La città periferia del mondo verso Urbs Civitas Diversitas2. La velocità della trasmissione dei fenomeni3. L’architettura del dialogo per il dialogo4. La prevenzione per la cura dei mali della città5. L’incontro delle diversità6. La città interetnica cablata, motore per la soluzione della crisi

urbana7. Tutto il mondo, ricco e povero, sta andando a vivere in città8. La città incarna sempre più il concetto di complessità9. L’emblema della città è oggi l’entropia, generata dalla inca-

pacità di gestire la complessità10. Per governare la complessità e quindi la trasformazione della

città è necessario mettere in circolo i saperi.

Tecnologie e conoscenza diffusa sono due pilastri nella riprogettazione dei nostri centri urbani a supporto della crescita comune e di una migliore convivenza civile

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I saggi riportati nel volume The City Crises. The Priority of the XXICentury, corredati anche dalla loro interpretazione grafica,costituiscono un’ampia panoramica interdisciplinare delle analisie delle riflessioni finora elaborate, e una prima base concretadi progetti da sperimentare per trovare rimedio alla crisi della città.

A questa base conoscitiva si aggiungono i contributi di 10intellettuali europei impegnati in diversi settori del sapere – tra iquali filosofi come Reinhard Brandt o André Jacob, un sociologoquale Edgar Morin, il linguista Jürgen Trabant, il geografo ManuelFerrer Regales – sotto forma di interviste sul tema della cittàinteretnica.

Le iniziativeA sostegno del progetto si collocano poi tre iniziative:la costruzione, ancora in fieri, di una Squadra di garanti

interetnici che dovrebbe coinvolgere vari Premi Nobel, le isti-tuzioni rappresentative di Paesi dei sette Continenti scelte suindicazione dei governi, i rappresentanti della Comunitàscientifica internazionale e la cui base è costituita dagli studiosie dalle istituzioni che finora hanno contribuito al progetto

con un approccio multidisciplinare, tale squadra dovrà dare unassetto definitivo al “Catalogo dei saperi” finora sviluppato perdare luogo a una “Enciclopedia della Conoscenza”, baseconoscitiva per la definizione di un linguaggio comune e discelte condivise nella fase di sperimentazione sul campo deiprogetti elaborati

il lancio di un “Manifesto-Concorso intercontinentale di idee”,patrocinato dall’Onu, bandito da Agenzie e Programmi Onue curato dalla fondazione Della Rocca, che consentirà didiffondere l’iniziativa e, nel contempo, di identificare i soggettiattuatori e i casi-studio da porre in campo in breve tempo, peruna sperimentazione che trasformi conoscenze, enunciazionie intuizioni in soluzioni concrete e correttamente interpretate.

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La crisi delle città del mondo:cause, rimedi, iniziative

di Vincenzo ScottiSottosegretario agli Esteri

Il Governo italiano è da tempo impegnato sul temadella città interetnica, favorendo intese con le diplomazie di altri Paesi, per giungere a definireuna proposta progettuale (e normativa) che risolvai problemi delle metropoli del XXI secolo

L’analisi dei processi di urbanizzazione conduce alla com-prensione dei fenomeni che hanno causato l’attuale alterazionedegli equilibri di qualsiasi ambiente urbano. Le relazioni tragovernance e struttura urbanistica, tra politica e forma urbana,tra tecnologia e infrastrutture, tra tradizioni e interetnia, sonoquestioni complesse e critiche.

La città è da sempre il luogo della diversità e della memoriacollettiva, lo spazio condiviso dove si tramandano e si con-cretizzano i valori della cultura. Ma oggi è anche il luogo dovesi esasperano i problemi e le tensioni, così da generareincongruenze nei modelli di sviluppo, degrado, congestione,diseconomie, insicurezza. Le velocità di trasformazione dellacittà fisica, della città delle relazioni e di quella del vissuto, nonviaggiano più sullo stesso binario. La società pone domandealle quali la città non è in grado di rispondere.

In che misura la città deve affrontare la questione, soprattuttonegli ambiti dove si amplificano i fenomeni e si moltiplicano ifattori di analisi? Quali sono le aspettative? Quali le differenze e,invece, i punti in comune tra le diverse realtà?

Negli ambiti in cui si amplificano i conflitti e, troppo spesso,si annientano i diritti dell’individuo, la multiculturalità, l’interetnia,le differenti espressioni di culto rappresentano una risorsa e unproblema allo stesso tempo. Riconducono, come l’insieme deiproblemi emergenti, alla stessa questione di fondo: la capacitàdi governance.

Le grandi trasformazioni sociali, politiche, territoriali continuanoin un contesto generale di incomprensioni, di scarso confronto,

La complessa questione delle relazioni fra politica e forma urbana, tra tecnologia e infrastrutture,tra tradizioni e interetnia

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Città del mondo in crisi: cause, rimedi, iniziative

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di insufficiente scambio culturale. La sopravvivenza dei valoritradizionali ha vacillato. Forme di avvicinamento tra culture hannocausato, in reazione, movimenti in difesa delle tradizioni, dellereligioni e delle strutture societarie.

Le città mondiali vivono la stessa grande sfida, sebbenecon punti di vista profondamente differenti per tipologia dipopolazione immigrata, per struttura organizzativa, per culturaetnica, eccetera.

Le comuni finalità di coesione sociale, integrazione, devonocondurre a individuare punti di analisi condivisi, a una migliorereciproca conoscenza, al riconoscimento di rimedi per unagovernance globale che, però, riconosca e rispetti le diversità.In tal modo deve potersi conseguire un livello di capacitàgovernativa che possa limare le incomprensioni interne e trale parti e possa, il più possibile, ridurre o annientare i relativiconflitti.

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Città del mondo in crisi: cause, rimedi, iniziative

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Il focus del confronto deve partire da una riflessione generalesulle ragioni che hanno condotto la più diffusa tipologia d’inse-diamento umano a una crisi che sembra non dare spazio aquella speranza di una vita migliore che ne è stata da sempreil motore dello sviluppo. La constatazione dell’acuirsi della crisie del diffondersi di un allarme sociale e istituzionale in meritoinduce ad affrontare questo tema da molteplici angolazioni e conun intento propositivo e operativo.

L’incapacità di dispiegare azioni politiche efficaci, in gradodi affrontare la crescente complessità urbana e l’accelerazionedel mutamento sociale, culturale, relazionale e materiale,sono le ragioni della crisi della città. Dalla riflessione suquesti temi – che investono tutte le città del mondo, pur conricadute differenti – deve scaturire il ruolo di un nuovo approccioprogettuale, fondato sull’architettura del dialogo, per affrontarela questione con una prospettiva di lungo termine.

Occorre il ridisegno della città per la società delle differenze;un nuovo quadro politico-strategico per reinventare il territorio.Alla base deve porsi un programma di obiettivi: i processimigratori, interni ed esterni, devono diventare risorse per latrasformazione; i grandi progetti di recupero fisico e funzionaledevono trovare fondamento nella civile coesistenza di genti eculture. Possono aiutare alcune sperimentazioni storiche,come il Progetto per Rio (1929-1936), quello per Algeri (1931), leNew Towns, le azioni compiute dalla Tennessee Valley Authority,ed altro ancora.

Il Governo italiano è da tempo impegnato sul tema dellacittà interetnica, favorendo intese con le diplomazie di altriPaesi, nell’intenzione di vedere partecipato il problema suscala planetaria e giungere alla definizione di una propostaprogettuale (e normativa) risolutiva dei problemi della cittàdel XXI secolo.

Ma come si è arrivati a tanto? Un breve excursus delle piùimportanti tappe può tornare utile: ricercatori italiani, agli inizi deglianni Ottanta, hanno intuito la necessità di studiare le modalitàdi applicazione dell’innovazione tecnologica alla città europeain crisi. È così nato il progetto interdisciplinare di ricercadenominato “La città cablata”, presto partecipato da molti Paesidel mondo. Agli inizi degli anni Novanta, il programma haprodotto i principi della nuova Carta dell’urbanistica, la “Cartadi Megaride, per la città della pace e della scienza”, poidivulgata, nel 1994, con un convegno mondiale a Casteldell’Ovo in Napoli.

La crisi della città nasce soprattutto dalla incapacità di mettere in atto azioni politiche efficaci,in grado di affrontare la crescente complessità urbana

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Di qui, l’attenzione del filone di ricerca ha incluso i temi dellacittà multietnica e multiculturale. L’intenso lavoro, tradotto inuna densa produzione scientifica ed editoriale, ha stimolatol’interesse di grandi istituzioni (prima fra tutte, il ministerodegli Affari esteri italiano) e, a seguire, delle Nazioni Unite.Ne sono derivati, come a voi tutti noto, tre eventi: uno a NewYork nel settembre 2009, a chiusura dell’Assemblea Generaledelle Nazioni Unite, per sottoporre all’Onu i risultati dellaricerca; un altro a Rio De Janeiro nel maggio 2010, nell’ambitodel terzo Forum di Alleanza delle civiltà, per preparare l’intesasulla risoluzione Onu per il Diritto alla città; l’altro ancora aRoma nel giugno 2011, in forma di conferenza mondialefinalizzata a una risoluzione sul tema.

È evidente, dunque, che la continuità di tanto impegno sta nelleattuali e future azioni del gruppo di ricerca, delle istituzionicoinvolte e da coinvolgere, e dell’Onu attraverso le sue agenzie,per avviare la sperimentazione in città significative dei diversicontinenti.

“Unità nella diversità” è la parola chiave. In questo vannoriconosciute le condivise aspettative delle Nazioni Unite e dinoi tutti.

Sul concetto di autonomia moderna condivisa, sulle auspicabilibasi del dialogo internazionale, sulla condivisione di metodi esperimentazioni, sui paragoni tra culture e istituzioni politiche,sulle relazioni tra democrazie e sviluppo economico, sull’in-fluenza delle diverse culture di governance nell’affrontare temisociali e ambientali, sulle diversità dei principi costituzionali,deve essere impostato l’impegno. Solo le Nazioni Unite possonoaffrontare questa priorità del XXI secolo per garantire il dirittoalla città, ultimo in ordine di tempo fra i diritti umani e per unfuturo urbano.

Ricordiamo infine che l’ottica dell’integrazione richiede unapproccio territoriale, scientifico e politico totalizzante e pluri-disciplinare, per meglio focalizzare gli eventi che hanno condottole differenti realtà urbane all’attuale divenire e per individuarele migliori cure.

Per la cura dei mali delle nostre città in un’ottica d’integrazione è necessario un approccio territoriale,scientifico e politico totalizzante e pluri- disciplinare

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I pericoli della crisi libicaper la sopravvivenzadelle nuove città multiculturali nel Sahara

di Mario GiroResponsabile per le relazioni internazionali - Comunità di Sant’Egidio

Un’area geografica fiorita in questi anni,in cui si intrecciano etnie, trafficanti, commercianti,miliziani, immigrati, ribelli, nomadi e terroristi è oggi a rischio isolamento con il probabile mutamento delle vie di passaggio degli immigrati

Niger e Mali sono divenuti da tempo zone di transito permigliaia di candidati al passaggio in Europa, verso il Marocco

e la Libia (prima della guerra) prevalente-mente, ma anche territori di interscambio tracontrabbandieri, miliziani, terroristi e trafficantidi ogni genere. Alcune città saheliane, comeGao o Agadez, poste a nord dei rispettiviStati, rappresentano tappe importanti per ognitipo di traffico. Per l’area saheliana passanoogni anno circa 65mila candidati all’emigra-zione verso la costa (A Bensaad, “Agadez

carrefour migratoire sahélo-maghrébin”, in Revue européennedes migration intrenationales, 2007, vol.19, n .1).

L’immagine del Sahel per lungo tempo consegnata dai mediaoccidentali, quella cioè di una zona “vuota” posta ai confinidel deserto del Sahara e meta soltanto del turismo estremo,non corrisponde più da tempo a una realtà magmatica in cuisi intrecciano – e talvolta si scontrano – etnie, trafficanti, commer-cianti, contrabbandieri, miliziani, immigrati, ribelli, nomadi eterroristi di varia specie. I media internazionali se ne sonoaccorti dopo la recente serie di sequestri di turisti europei.Camion pieni di migranti sub sahariani vanno verso nord supiste desertiche e oltrepassano invisibili frontiere, utilizzandogli antichi tracciati dei tuareg e delle altre etnie nomadi(Zaghawa del Darfur, Toubou del Ciad e Niger, Reguibi, Kountao Beraber del Mali).

Sono costoro che si incaricano di gestire questi passaggi,

Il Sahel non è l’area vuota ai confini del deserto del Sahara che i media occidentali dipingono, ma un’affollata via di transito per i migranti in viaggio verso l’Europa

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Nel Sahara, nuove città multiculturali in pericolo

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almeno fino al limitare del deserto. Di città in città, i nomadi diieri sono diventati gli attori della mobilità di oggi. La loro disse-minazione tra vari Stati, assieme all’urbanizzazione delle vecchieborgate desertiche del Sahara centrale, ha favorito la nascitadi un sistema di trasporti alla cerniera sahelo-sahariana. Legrandi vie di passaggio delle migrazioni transahariane sonoall’origine delle vie di emigrazione attuali.

La guerra in Libia ha reso questa enorme area ancora piùpericolosa. C’è una diretta conseguenza militare: le miliziepro-Gheddafi sono composite e formate in parte da militari

provenienti dal Ciad, Mali e Niger. I milizianiciadiani lavorano da tempo in Libia, ma pernigerini o maliani si tratta di nuove leve. Sicalcola che circa 26mila ex combattenti tuarego di altre etnie siano andati a combattere perdenaro. Un’altra conseguenza è legata allacircolazione delle armi. Le caserme libichesono state saccheggiate e le armi vendutenell’area. Si dice che terroristi e altri ribelli

siano venuti in possesso di armi pesanti. C’è anche una conse-guenza economica, tenuto conto del blocco delle esportazioniverso la Libia (soprattutto bestiame) e della fine dei finanziamentilibici nell’area (cfr. S. Bredeloup e O. Pliez, Migrations entreles deux rives du Sahara in “Autrepart” 26, 2005). Infine oltre200mila lavoratori nigerini, che avevano trovato un’occupazionein Libia, sono ora rientrati in patria dopo aver perso tutto.

La crisi libica cambierà le vie di passaggio e le città ingrossatedai flussi migratori e economici di questi ultimi tempi, forte-mente arricchite, si ritroveranno presto in una condizione diisolamento. Le principali città sahariane, situate al limite trastrade asfaltate e piste, hanno a lungo beneficiato della mannadei traffici e del transito migratorio. È il caso di Agadez nelNiger, di Tamanrasset in Algeria ma anche di Sebha e di Kufrain Libia o di Gao in Mali e Abeché in Ciad. I vecchi caravan-serragli e posti di commercio del Sahara sono stati i pivot deimovimenti transfrontalieri. A Sebha, porta di entrata in Libiadal Niger e dal Ciad, circa il 40% della città è abitato da quartieridi rifugiati o migranti.

Tra questi grandi centri sono fioriti anche decine di piccoliagglomerati che crescono grazie alla loro posizione sulle piste,fungendo da stazioni di posta, di rifornimento, servizio o ripara-zione dei veicoli. È il caso dei centri alla frontiera algerina olibica. Tra Agadez e il sud libico, Dirkou conta oggi circa10mila abitanti anche se ufficialmente ne dichiara duemila.

La guerra in Libia ha reso pericolosa questa zona,piena di miliziani mercenari pro-Gheddafi, che hanno rivenduto nell’area le armi sottratte alle caserme libiche

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Nel Sahara, nuove città multiculturali in pericolo

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Quartieri “africani” spuntano a Gardaia, Tamanrasset, Adrar eDjanet. Il franco-africano soppianta arabo e berbero. La tra-sformazione è anche imponente a Nouadhibou, sulla costamauritana, dove i migranti che cercano di continuare il loroviaggio per la Spagna si fermano e trovano lavoro nel settoredella pesca. A Sebha i migranti sub-sahariani alloggiano in grandibidonville di periferia (cfr. ancora S. Bredeloup e O. Pliez).Tutto questo mondo è ora destinato a restringersi notevolmente,se non a sparire.

Fonte: Pons (1997), Schmitz (2000), et enquèt terrain (2001)

Flussi migratori e circolazione nel Sahara

Aree di percorsi nomadiPercorso carovane Conflitti

Flussi di migranti

Passaggio verso l’Europa

Flussi di rifugiati Fronte armatoGiacimenti di idrocarburi

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Hong Kong e Guangzhou:dall’Asia esempidi metropoli interetniche

di Francesco VecchioMonash University Hong Kong - Corrispondente Ismu

Il microcosmo economico parallelo e marginaledi africani e sudasiatici che collaborano dividendoil lavoro su base etnica nelle due città cinesi può diventare un laboratorio per studiare processi presenti anche nei centri urbani dell’Occidente

Uno straordinario intreccio di etnie e popoli diversi costituisceoggi il tessuto sociale di diverse città asiatiche. Da un semplicesguardo alla conformazione urbanistica che questi centri hannoassunto negli anni si comprende la ricchezza culturale che li connota.Nella più antica delle capitali cinesi, ad esempio, l’odierna Xi’An,all’interno delle mura fortificate della città antica si estende ilvasto e colorato quartiere musulmano sorto all’ombra della torredei tamburi e intorno alla grande moschea. Nell’attuale capitalecinese, Pechino, la variegata presenza di templi, moschee, esoprattutto insegne e prodotti nei negozi, unitamente ad altrisimboli urbani, suggerisce il succedersi di culture e genti che dasecoli vi prendono dimora. In città come Singapore, Bangkok,Jakarta e Yokohama ci sono distinti quartieri cinesi o arabi, spessocelebrati quali località turistiche eccellenti per assaporarestrutture architettoniche fuori dall’ordinario e deliziosi piatti“locali” in terra straniera.

Se però, oggi, gran parte di tale visibile esposizione delladiversità soddisfa un ritorno di immagine, richiamandosi peraltroa un passato storico di grandi movimenti migratori interni alcontinente, più recentemente la supposta armonia socialeche superficialmente governa tali località di profusione etnicaè stata posta sotto esame dal continuo arrivo di genti semprepiù diverse, che in gran numero originano da culture e areegeografiche che si estendono ben oltre i confortanti limiti delconosciuto, per includere migranti provenienti, in particolare,dall’Africa sub-sahariana, dall’Asia meridionale e dall’AmericaLatina. Sono soprattutto le città partecipi alla finanza e al

Molte città asiatiche sono caratterizzate da un intrecciodi etnie e popoli,ma l’armonia sociale che finora le ha governateè oggi posta sotto esame dal continuo arrivo di genti sempre più diverse

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Dall’Oriente esempi di città interetniche

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commercio internazionale, definite sovente “globali” per ilruolo di nodi di scambio dall’accentuato sapore cosmopolitache le contraddistingue, che attraggono il maggiore numerodi queste persone. È la loro presenza che poi contribuisce adaccrescere la diversità e le relazioni internazionali, che leganoPaesi e città anche lontane tra loro, creando le premesse perulteriori movimenti migratori verso destinazioni dove sonomaggiori, o perlomeno così vengono percepite, le opportunitàdi assicurare per sé e la famiglia un futuro migliore.

Nella Cina meridionale, Hong Kong e Guangzhou (Canton) sonodue città per molti aspettii diverse tra loro. Nel corso dell’ultimodecennio, tuttavia, entrambe sono diventate la meta di consistentiflussi migratori di diverso genere, che le hanno trasformate in cittàdal carattere interetnico.

Per la verità, Hong Kong, pur rimanendo una città cinesedal passato coloniale, è sempre stata abitata da genti diverse.Oltre a britannici ed europei, un nutrito gruppo di sudasiaticiera già a Hong Kong all’arrivo degli inglesi, alla metà deldiciannovesimo secolo; essi contribuirono significativamenteallo sviluppo del territorio (White, 1994). I primi poliziotti dellacolonia furono gli indiani Sikh introdotti dall’Impero (Pluss, 2005).La prestigiosa Università di Hong Kong e il famoso Star Ferryfurono fondati con capitali di origine indiana. Sino a tempi recenti,i Gurkha nepalesi formavano l’avamposto militare britannico aHong Kong. E poi, alla conclusione del conflitto in Indocina, oltre250mila vietnamiti si riversarono nella colonia tra gli anniSettanta e Novanta, sollevando non poche proteste da partedella popolazione locale (Thomas, 2000), che dall’ascesa delPartito Comunista in Cina già accoglieva numerose e periodicheondate di migranti e perseguitati politici cinesi, che a HongKong entravano anche in violazione delle norme imposte dalgoverno britannico per regolarne l’afflusso.

Pur appartenendo al medesimo gruppo etnico, i nuovi arrivaticinesi parlavano talvolta lingue diverse. Ma, lungi dal creareeccessivi conflitti sociali, il loro arrivo portò nella piccola coloniacapitali, risorse e la forza lavoro necessaria per lo sviluppoindustriale della città (Lam e Liu, 1998). Oggi, invece, sisegnala soprattutto l’arrivo di numerosi africani e sudasiatici,che attratti in Cina e a Hong Kong dallo straordinario sviluppoed espansionismo economico cinese, e dalla difficoltà diottenere il visto per i Paesi più sviluppati, cercano qui, conostinazione, la difficile via del successo, che però soltanto unnumero estremamente limitato di loro è in grado di percorrere.

Hong Kong e Guangzhou in Cina,nel corso dell’ultimo decennio,sono diventatela meta di consistenti flussi migratoriche le hanno trasformate in città dal carattere interetnico

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In questa parte di mondo giungono i piccoli commerciantiprovenienti dall’Africa e da altri Paesi in via di sviluppo percomprare i manufatti cinesi, come vestiti, telefoni cellulari eprodotti elettronici, a basso costo, che i loro Paesi non produconoe che difficilmente potrebbero comprare altrove a prezzi piùvantaggiosi. Qui arrivano i richiedenti asilo, in particolare quelliche non hanno il tempo di attendere il permesso di soggiornoper l’Europa o il Nord America, ma che qui possono entrare senzavisto oppure con un permesso rilasciato in due settimane. Inqueste terre vengono scaricati i più disperati, che pagano perottenere sicurezza e prosperità lontano da casa, abbandonatida contrabbandieri privi di scrupolo che celano ai clienti ladestinazione e le condizioni di arrivo. Ma soprattutto, qui arrivanoi piccoli imprenditori e avventurieri che, stanchi della corruzione,della povertà, delle guerre e del nepotismo del loro Paese,sperano di diventare ricchi in Cina, aprendo un’attività diimport-export o arrangiandosi in vari modi soprattutto quandoentrano nell’illegalità, spesso quale conseguenza di un businessmalriuscito, alla prima esperienza all’estero.

Nella sola Guangzhou, la vera capitale dell’export cinese,ci sarebbero, tra regolari e irregolari, oltre 100mila africani(Bodomo, 2010), in una città di quasi 12 milioni d’abitanti, checomprende anche diversi milioni di migranti interni cinesi.Molti di questi businessmen vivono e commerciano con budgetlimitati, tuttavia valorizzati da capacità professionali personalie da una più o meno estesa conoscenza dei potenziali acquirentinel Paese d’origine. Interi mercati cinesi, quali quelli nell’areadi Sanyuanli e nei dintorni del centro commerciale di Tianxiu,nel quartiere di Xiaobei, sono oggi dei veri e propri labirinti diprodotti di ogni sorta destinati ai Paesi in via di sviluppo, tantoda essere chiamati dalla popolazione locale “chocolate city” inriferimento al colore della pelle delle genti che le popolano.

Similmente a Hong Kong, i quartieri popolari di Sham ShuiPo e Kam Tin e la vecchia cittadella formata da cinque torri dadiciassette piani l’una di Chungking Mansions, nella centralee turistica Tsim Sha Tsui, rappresentano i centri del commercioalternativo dei prodotti destinati ai mercati poveri. In questiluoghi abitano, in ostelli dalla dubbia legalità e in case spessofatiscenti, ma economiche, i mercanti e i piccoli commerciantistranieri, i richiedenti asilo, gli overstayers, i cinesi meno abbientiprovenienti dalla Cina popolare, e gran parte delle comunitàetniche locali meno privilegiate.

In quella che apparentemente potrebbe sembrare la ripro-duzione di attività economiche da Terzo Mondo, ognuno di

A Hong Kong arrivano molti africani e sudasiatici attratti dalla esperienza economica cinese;a Guangzhou già oggi si contano 100mila africani,fra i quali molti piccoli imprenditori che spesso diventano ricchi in Cina

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questi gruppi collabora con gli altri, in una sorta di divisionedel lavoro su base etnica, e soprattutto legale (a seconda delpossesso o meno di un permesso di soggiorno), finalizzataalla massimizzazione e condivisione del profitto. A ChungkingMansions, ad esempio, in un dedalo di negozietti, ristoranti,guesthouses e rivenditori all’ingrosso, la proprietà è in generecinese, l’esercizio commerciale è di proprietà o gestito dapiccoli imprenditori locali di origine pakistana, la forza lavoroè fornita da connazionali, indiani e nepalesi, molto spessorichiedenti asilo oppure “turisti” in possesso di un permessodi 40 giorni rinnovabile fino a un massimo di sei mesi(Mathews, 2011); mentre i clienti sono generalmente africani,quelli che almeno due volte all’anno si recano a Hong Kong eGuangzhou e acquistano telefoni cellulari, orologi, vestiti,gioielli e parti di automobili usate, che poi trasportano da soliin valigia oppure spediscono via mare in containers affittati conaltri per ridurre i costi relativi al trasporto. Diversi overstayerse richiedenti asilo a Hong Kong e Guangzhou svolgono poi il ruolodi intermediari, mettendo in contatto i compratori connazionalie i rivenditori cinesi, sia che questi siano le fabbriche cheproducono su ordinazione, come nel caso della Cina (grazieanche alla mediazione di un numero crescente di donne cinesiche sposano gli africani), sia piccoli grossisti che in tempi di

La divisione del lavoro su base etnica e legale,connessa al possesso o meno del permesso di soggiorno

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globalizzazione hanno saputo reinventarsi per dare un seguitoalla domanda di manufatti a basso costo proveniente dai Paesiafricani e sudasiatici.

Di questo microcosmo economico parallelo e marginale,rispetto ai capitali mossi e al lusso esibito nei centri finanziaridi Hong Kong, fanno parte anche oltre 250mila badanti e collabo-ratrici domestiche indonesiane e filippine e centinaia di prostituteafricane, indiane, malesi e cinesi, talvolta trafficate con la promessadi fare la cameriera, ma spesso consapevoli dell’attività dasvolgere. Se gran parte delle migrazioni e delle comunità etnichelocali sono formate da popolazioni maschili, la femminilizzazione dicerti tipi di arrivi è in crescita. In particolare, si nota il costanteaumento, anche in periodi di crisi economica, delle collaboratricidomestiche straniere, assunte per sollevare dalla responsabilitàdella casa le donne locali che entrano nel mercato del lavoro(Young, 2004). Specialmente negli ultimi anni, è aumentatoanche il numero di africane dirette a Hong Kong e in Cina, inparticolare da quei Paesi che godono di un sistema agevolato diconcessione dei visti, quali l’Uganda e il Kenya, ma anche dicommercianti di origine ghanese, togolese e persino somala, checommerciano in vestiti e pietre preziose.

La vitalità e il dinamismo di questi spazi socialmente riprodottiattraverso il continuo movimento e scambio di beni e personeè reso possibile, oltre che dall’individualità dei singoli, ancheda situazioni contingenti che compongono la struttura politico-economica della ex colonia e in minor misura di Guangzhou.Lo sviluppo capitalistico delle due città, e in particolare illaissez-faire di Hong Kong – unitamente alla mentalitàimprenditoriale di chi vi abita e all’ideologia di autosufficienzaeconomica, per cui a Hong Kong i più poveri vengono incentivatiad arrangiarsi, stigmatizzando i sussidi statali (Chan, 2011) –apparentemente contribuiscono ad allargare il gap esistentetra i ricchi e i poveri, ma ripropongono anche il mito del “self-mademan”, e l’ormai parallela ostentazione della ricchezza acquisita,la quale viene raggiunta soltanto attraverso il lavoro, anchequando non del tutto eticamente corretto. Inoltre, mentre ilsistema di visti liberale e la riduzione del costo dei trasportiinternazionali aumentano le opportunità di ingresso legalegarantendo ampie possibilità di movimento e il ripetersi diaccordi che avvengono tramite l’incontro personale, il minimointervento dello Stato permette alle parti di esercitare il commercioanche al di fuori degli stretti vincoli normativi imposti dallalegislazione locale, quando la transazione non rientra in attivitàapertamente criminali.

Lo sviluppo capitalistico delle due città,unito alla mentalità imprenditorialedi chi vi abita,contribuisce a riproporre il mito del self-made mane a generare una forte tensione al lavoro

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Se in tal modo le opportunità di mantenersi senza ricorrereallo Stato sembrano aumentare per le minoranze etniche e icinesi più poveri, la possibilità che questi scalino le rigidegerarchie sociali imposte dal capitalismo moderno appaionotuttavia abbastanza ridotte. In un certo senso, si potrebbeaffermare che, specialmente per quanti giungono dai Paesiin via di sviluppo, Hong Kong può diventare il luogo dove icommercianti semi-abbienti della classe media dei Paesi in viadi sviluppo, che può permettersi di viaggiare e investire discretesomme di denaro in Cina, formano la classe povera dei Paesipiù ricchi, in quanto raramente i capitali investiti produconoun profitto sufficiente per entrare a fare parte dell’ammirato,ma ristretto circolo dei ricchi nei Paesi di destinazione.

Ciò nondimeno, tutt’altro che episodici casi in cui l’individuoriesce a crearsi una nicchia di business e generare profitticonsistenti crescono parallelamente al numero di persone chesono attratte in questa parte del mondo dal medesimo propositodi successo. Mentre alcuni falliscono nell’impresa, molti altririescono a emergere e a sistemarsi, mentre altri ancora riesconopersino a guadagnarsi la possibilità di emigrare verso Paesi piùambiti, quali il Canada e l’Australia, oppure di entrare stabilmentee a maggiore diritto nel tessuto sociale di Hong Kong attraversoil Capital Investment Entrant Scheme o uno degli altri schemi checompongono l’elaborato e competitivo sistema immigratoriocon cui Hong Kong assicura il continuo afflusso dall’esterodi capitali e “talenti”, in cambio del permesso di soggiornopermanente.

È forse questo uno degli aspetti più significativi da notareriguardo la formazione di moderne città interetniche in Asia.Mentre i governi di Stati e città non lesinano sforzi con programmipensati ad hoc per attrarre personale straniero qualificato chegestisca gli scambi finanziari su cui poggia la prosperità economicadel Paese, gli strati meno privilegiati delle società multiculturalipiù ricche si adattano alle trasformazioni sociali ed economichedi cui sono partecipi, contribuendo al cosmopolitismo dellacittà attraverso legami personali, commerciali e culturali cheinstaurano nel perseguire l’interesse economico, spesso neldisinteresse, se non addirittura nell’ostilità generale, e inassenza di politiche governative che accomodino la diversità.A Hong Kong e Guangzhou, così come in città culturalmentepiù omogenee come Seoul e Tokyo, la presenza straniera è undato visibile, riconoscibile, e ormai “normale”, anche se nonsempre accolto con favore quando il colore della pelle dello

Hong Kong è il luogo in cui icommerciantisemi-abbientidella classe media dei Paesi in via di sviluppo diventano la classe povera dei Paesi più ricchi;pochi riescono a fare profitti e a emergere

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straniero non corrisponde alle presunte possibilità pecuniariearbitrariamente associatevi dalla popolazione locale. Allo stessomodo, il dinamismo di certi settori ed economie, ormai etnicheper l’alto numero di stranieri e minoranze che vi partecipano,e l’estendersi di legami multiculturali e transnazionali chequesti alimentano, quando difficilmente quantificabili in termini diritorni economici per la città, rivelano tuttavia come la diversità,quella meno ricercata e apprezzata dai governi, ha le potenzialitàdi contribuire significativamente al benessere degli strati menoagiati della popolazione locale e quindi della città stessa.

In tal senso, diverse città asiatiche, e in particolare Hong Konge Guangzhou, pur con le loro individualità, potrebbero interpretarsiquali moderni centri di sperimentazione sociale post-industriale,ovvero laboratori multietnici e multiculturali dove osservare queiprocessi sociali ed economici individuati anche in Occidente,quali polarizzazione sociale, impresa etnica, riqualificazioneurbana, che qui però appaiono concentrarsi quasi all’eccessoin una miriade di flussi e legami transnazionali di crescente portatache molto probabilmente, in un futuro non troppo lontano, costi-tuiranno, al pari dei grattacieli, dei teatri e del lusso di granparte del recente sviluppo capitalistico globale, il tratto distintivonon solo di queste città, ma di gran parte delle società econo-micamente più avanzate.

Bodomo, A. B., The African TradingCommunity in Guangzhou: An EmergingBridge for Africa-China Relations, in“China Quarterly”, vol.203, pp.693-707,2010

Chan, K. C., Hong Kong: Workfarein the World’s Freest Economy , in“International Journal of Social Welfare”,vol.20, pp.22-32, 2011

Lam, K. C. e Liu, P. W., Immigrationand the Economy of Hong Kong, CityUniversity Press, Hong Kong, 1998

Mathews, G., Ghetto at the Center ofthe World: Chunking Mansions, HongKong, Chicago University Press, Chicago,2011

Pluss, C., Constructing GlobalizedEthnicity: Migrants from India in HongKong, in “International Sociology”, vol. 20,n.2, pp.201- 224, 2005

Thomas, J., Ethnocide: A CulturalNarrative of Refugee Detention in HongKong, Ashgate, Aldershot, 2000

White, B. S., Turbans and Traders: HongKong’s Indian Communities , OxfordUniversity Press, Hong Kong, 1994

Young, K., Globalisazion and theChanging Management of MigrationService Workers in the Asia Pacific, in“Journal of Contemporary Asia”, vol. 34,n.3, pp.287- 303, 2004

Bibliografia

La diversità di culture è un dato visibile in queste metropoli e contribuisce al benesseredegli strati meno agiati della popolazione locale, che siadattano meglio a questa trasformazione

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anoAperta, sicura, collaborativa:

la “città delle persone”esiste ed è in val Padana

A cura di Stefania NassoRicercatrice - università Vrije di Amsterdam, Migration and Diversity Centre

Intervista a Graziano Delrio, neo eletto presidentedell’Anci e sindaco di Reggio Emilia, dove il 17%della popolazione è straniera, unica città italianadel programma europeo Intercultural Citiese capofila del Network italiano

Signor sindaco, parliamo in questonumero di crisi della città, di città chenon sembrano strutturate per vivere le“differenze”. Reggio Emilia si dichiara“città delle persone”, una comunitàaperta all’accoglienza, come suggerisceil vostro logo. Certamente un taleapproccio ha radici culturali ben definite.Vuole spiegarci la “filosofia” della suacittà, e i modi in cui questa si è carat-terizzata per una particolare attenzionealle persone?

Rispetto alla crisi che descrivete, lecittà nascono, al contrario, come luogodi scambio e di incontro, come comunitàe come comunità aperte. Pensiamo allapolis greca, modello su cui nella storiasi sono configurate le città, e all’agoràcome luogo di intreccio di culture. Unacittà che si chiude su se stessa e siarrocca è destinata a spegnersi. Perquanto riguarda Reggio Emilia abbiamovoluto sottolineare questa caratteristicadel suo Dna: una città in cui l’autonomiae la creatività individuale si accompa-gnano con la condivisione e il progettocollettivo. La stessa nascita della bandiera

tricolore, con quattro città diverse che siunirono in una Repubblica per esserelibere, avvenne nel 1797 a Reggio Emiliasotto questo segno.

Affiancare allo stemma comunale il logo“città delle persone” significa sottoli-neare l’aspetto della relazione. Il temadella cittadinanza stesso non va inter-pretato solo come un diritto personalema come un diritto alla città, un dirittoche ti mette in relazione con la comunità.Alla base del nostro lavoro c’è questoprincipio: sia nell’organizzare i servizisociali, sia nel pensare le ciclabili e lamobilità, sia nel riqualificare le piazzeper renderle spazio di convivenza, unodei progetti di riqualificazione in cuiabbiamo creduto di più. Chi condividequesta idea di città come una comunitàaperta, in cui fare crescere il proprioprogetto e dare un futuro ai propri figli,a Reggio Emilia è il benvenuto.

Attualmente il 17% della popolazioneresidente a Reggio Emilia è compostada cittadini stranieri. Quali sono lecomunità più numerose? Come e in che

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Intervista al sindaco di Reggio Emilia, Graziano Delrio

misura partecipano alla vita della città?Al 31 dicembre 2010 a Reggio Emilia

si contano 28.456 cittadini stranieri parial 17% di tutta la cittadinanza (166milaabitanti). Questi dati pongono ReggioEmilia tra le città italiane più toccate dalfenomeno migratorio. Tra le nazioni piùrappresentate ci sono Albania e Marocco,poi Cina, Ucraina, Romania e Ghana.

L’Italia è un Paese che produce stranieri,anche senza nuova immigrazione, comeben sanno i lettori di questa rivista. Bastanascere in Italia da genitori non italiani,anche se presenti da molti anni, e si èanagraficamente “stranieri”. Questo accadeanche a Reggio Emilia. Negli asili nido,tutti i bambini di origine straniera iscrittiin questi anni sono in realtà bambininati in Italia. È in primo luogo per evitarequesto paradosso che ci siamo impegnatinella campagna di modifica della leggesul diritto di cittadinanza “L’Italia sonoanch’io” (vedi box successivo).

I migranti arrivati a Reggio Emilia sonostati finora soprattutto uomini alla ricercadi un lavoro e di un progetto di vita,quindi , nel tempo,questa immigrazioneha preso la forma difamiglie e di genitoricon bambini. Il luogodi lavoro e la scuolasono di conseguenzadue luoghi nevralgiciper l ’ integrazione ela partecipazione. Lascuola dell’infanzia ela scuola primaria sonoun primo passaggio incui c’è la possibilità di coinvolgere lefamiglie. Le donne hanno un ruoloimportantissimo nell’aprire le famiglie direcente immigrazione alla relazione conla città. Abbiamo un progetto, “Mamme

a scuola”, con cui cerchiamo di favorirel’alfabetizzazione di queste mediatricinaturali. L’Amministrazione è inoltre incostante dialogo con le comunità di stra-nieri e il numero delle associazioni attivesul territorio oggi conta oltre 60 realtà.

Il rapporto del Consiglio d’Europa“Combinare diversità e libertà” citala sua città come uno degli esempivirtuosi di applicazione di politiche afavore dell’integrazione degli immi-grati e della coesione sociale, tantoda guadagnare la definizione di città“aperta, sicura e collaborativa”. Qualipolitiche si sono rivelate più efficaci?Quali sono gli strumenti principali e iprogetti più importanti che avetemesso in campo?

Con realtà come Berlin Neukoelln,Lione, Oslo e altre, Reggio Emilia ha fattoparte, unica città italiana, del progetto“Intercultural cities”, coordinato dalConsiglio d’Europa ed è promotrice diuna analoga Rete nazionale “Networkdelle città del dialogo interculturale”

per lo scambio dellebuone prat iche inambito interculturale.Le politiche seguitequindi sono quel ledella promozione deldialogo interculturale,l’ inclusività di tutti icittadini, la diffusionedella convivenza, i lrispetto di diritti, doverie regole della comu-ni tà. Abbiamo un

assessorato dedicato alla Coesionesociale, ma il tema della convivenza ecoesione è trasversale a tutti gli ambitidell’Amministrazione.

La migliore gestione dell’integrazione

Il posto di lavoro e la scuolasono due luoghi nevralgici per l’integrazione e la partecipazione.Fondamentale è il ruolo delle donne per aprire le famiglie di recente immigrazione alla relazione con la città

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e delle diversità è, a mio parere, quellache arriva a non dover distinguere traquote e provenienze, ma a decideresolo in base ai diritti di cittadinanza e aidiritti umani. Oggi il mondo genericamentedefinito dell’immigrazione comprendecasistiche molto diverse tra loro e avrebbebisogno di un vocabolario comune piùarticolato per essere descritto. Ci sonopersone perfettamente inserite, ma anchesituazioni di precarietà ed emergenzaper cui sono necessari gli interventi deiservizi e delle cooperative sociali.

Il tema della presenza di stranieri havissuto anche a ReggioEmilia, come in tuttele città italiane, la fasedella paura e dellainsicurezza, sollecitataimmotivatamente, ma digrande efficacia media-tica. Questa fase harichiesto una reazio-ne energica da partenostra, con incontri coni cittadini e una fortedeterminazione a dimo-strare con i dati la realtà delle cose. Inquesta fase, in cui c’era la necessità dirasserenare il clima e risolvere problemidi convivenza, abbiamo messo in attoprogetti organici nelle zone ad alta densitàcon interventi a più livelli, sociale, urba-nistico, culturale, che oggi dimostranodi aver avuto efficacia. È poi moltoimportante un lavoro di rete perché icittadini di diverse origini imparino aconoscersi. Da molti anni è attivo il Centrointerculturale Mondinsieme, oggi fonda-zione, in cui lavorano cittadini italiani diorigine straniera, che è fondamentale inun’azione di impegno sulla “frontiera”tra le diverse culture presenti in città,nei quartieri, nelle scuole.

L’opinione più comune è che metterein atto una strategia organica per l’in-tegrazione comporti costi sostenutiper le amministrazioni. È così? A qualirisorse attingete?

È importante scegliere una organizza-zione strategica del lavoro dell’ammini-strazione pubblica che, senza rinunciarea presidi specifici, ponga il tema dellacoesione e dell’integrazione come prioritàtrasversali a tutte politiche.

A fianco di questo, le risorse, umaneed economiche, sono fondamentali: temicomplessi, come la convivenza nei quartieri

tra vecchi e nuovi cit-tadini, richiedono diripensare intere zonee di rileggerne le fun-zioni. Cito, ad esempio,uno dei nostri progettipiù complessi, al qualestiamo lavorando daanni: quello della zonastazione di ReggioEmilia, dove c’è unaconcentrazione altissi-ma di cittadini stranieri

residenti (90%), insieme ad alcuni residentistorici. Abbiamo elaborato un progettostrategico che ha messo in atto: riquali-ficazione urbana (da una nuova illumina-zione al riordino della mobilità, allaricerca di spazi di quartiere), iniziativedi dialogo, culturali e di convivenza,mediazione condominiale, introduzionedi attività commerciali equosolidali,ordinanze per evitare commercio di alcole così via. Solo per la realizzazione, alposto di un ex parcheggio, di una piazzacon chiosco, alberi, panchine e giochiper i bambini abbiamo investito circaun milione di euro, con un contributodella regione Emilia-Romagna. Con ilcalo di risorse degli enti locali, stiamo

Anche Reggio Emilia ha vissuto la fase della pauraper la presenza di stranieri,superata attraverso incontricon i cittadini e la forte determinazione dell’amministrazione a dimostrare con i dati la realtà delle cose

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cercando di convogliare finanziamentinazionali, regionali ed europei, ma contri-buti sporadici tolgono strutturalità e lapossibilità di programmare.

Per gestire queste attività è certa-mente necessario personale qualificato,in grado di rappresentare un interlocutorecredibile per gli immigrati e per le stesseistituzioni; il riferimento è in particolarea figure-chiave come quella dei mediatoriinterculturali. Come reperite questerisorse umane?

Dell’importanza di “mediatori, costruttoridi ponti, saltatori di muri, esploratori difrontiera” ha scritto a suo tempo congrande saggezza Alex Langer. Uno deipassaggi fondamentali della convivenzaè certamente quello della mediazione,anche della mediazione del conflitto,soprattutto per le situazioni di precarietàed emergenza.

Grazie all’interesse nato attorno alCentro Mondinsieme è cresciuta un’otti-ma generazione di giovani preparati,grazie ai quali abbiamo rapporti confamiglie, associazioni, nuovi cittadini chetutti gli anni incontriamo in sala Tricolore.Ci sono ottime risorse ed esperti inComune, nelle aziende per gli alloggipubblici, nell’azienda sanitaria, nellecooperative sociali che si occupano dirifugiati ed emergenza. Non sono lerisorse umane che mancano, ma quelleeconomiche che, alla fine, penalizzanoquesti servizi e l’utilizzo di queste grandicapacità. Depotenziare tali servizi, cosìcome gli sportelli di mediatori sociali esanitari, di mediazione condominiale,scolastica, gli sportelli informativi per tuttele pratiche che riguardano l’arrivo e lapermanenza in Italia o per le assistentifamiliari significa impoverire una comunitàe la sua tenuta sociale.

Reggio Emilia è a tutti gli effetti unacittà interetnica. Quale ruolo hannosvolto le diversità come fattore di svi-luppo economico e culturale? Come ècambiata la percezione dei suoi cittadiniverso la realtà dell'immigrazione?

Reggio Emilia ha avuto fino ad oggiuna economia basata sul manifatturiero.Nel 2009 era tra le prime realtà italianeper Pil e tasso di occupazione e assorbivasignificative quantità di forza lavoro. Ilbenessere e lo sviluppo di questi annisono in gran parte dovuti alle personeche sono arrivate con le loro braccia asostenere la nostra economia.

In questa città, dove c’è un atteggia-mento quasi religioso verso il lavoro, illavoro è stato, nonostante ciò cuiaccennavo prima, un lasciapassare socialeper essere rispettati. Gli stessi sondaggihanno dimostrato che la percezione diinsicurezza legata all’immigrazione si èfortemente ridimensionata in questi ultimianni, acquisendo la consapevolezza chel’immigrazione è stata una risorsa. Oggisiamo in una fase nuova perché la crisimorde, mettendo in discussione i postidi lavoro di tutti e in particolare quellidegli immigrati: su 8.353 disoccupatiiscritti al Centro per l’impiego, il 40% circasono stranieri. Quello che ci preoccupaoggi non sono le tensioni culturali, ma ildisagio sociale di tutti e la mancanzadi prospettiva delle nuove generazionidi italiani, con genitori italiani o stranieri,cui spetterebbe di scrivere il futuroeconomico e culturale di questa città edel nostro Paese.

Per finire sindaco, come immagina lacittà del futuro? Come la disegnerebbe?

Le direttrici della Comunità europeaper il 2020, “crescita inclusiva, sostenibile,intelligente” possono orientare il nostro

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Paese nelle scelte, facendo crescere lecittà italiane in innovazione, convivenza ebenessere. Non ci si può limitare a parare icolpi della crisi, occorre rilanciare peressere comunità e città diffusive diopportunità.

Uno dei passaggi cruciali in Italia èsicuramente la riforma della legge suldiritto di cittadinanza. La attuale legge91/92 sta generando italiani di serie B,come le ragazze e i ragazzi di secondagenerazione, nati in Italia da genitoristranieri o arrivati piccolissimi, perfetta-mente integrati ma cui vengono negatele opportunità dei coetanei italiani.Questa condizione di ingiustizia socialeè un freno per un Paese unito che vuoldarsi obiettivi comuni. Per questo motivo,come accennato prima, stiamo sostenendo,nel 150° dell’Unità d’Italia, la raccolta difirme per le proposte di legge di iniziativapopolare della campagna “L’Italia sono

anch'io”, portata avanti da una ventinadi associazioni della società civile. Laproposta di riforma della legge 91/92intende riconoscere la cittadinanza apersone che oggi sono italiane di fatto,ma non di diritto: i minori nati da genitoriregolari o che arrivano in Italia da bambini,oppure che frequentano un ciclo di studi,come in molte città europee, diventinocittadini. Inoltre si propone il diritto alvoto amministrativo ai lavoratori stranieri,i quali in modo così massiccio contribui-scono al welfare nazionale. In entrambi icasi si recepiscono convenzioni europeerimaste finora lettera morta.

Purtroppo questi temi, sconosciutiall’opinione pubblica, sono ferite nellevite delle persone e sono molto sentitinelle scuole, negli ambienti di lavoro,nelle famiglie, nelle comunità. Non sipossono più rinviare.

In occasione del 150° anniversario dell’Unità d’Italia, 19 associa-zioni della società civile e l’editore Carlo Feltrinelli hanno lanciato“L’Italia sono anch’io”, campagna per i diritti di cittadinanza eil diritto di voto per le persone di origine straniera. Il Comitatonazionale, presieduto dal sindaco di Reggio Emilia, è vasto etrasversale: ne fanno parte Acli, Arci, Asgi, Caritas Italiana, CentroAstalli, Cgil, Cnca, Coordinamento enti locali per la pace eTavola per la pace, Emmaus, Fcei, Fondazione Migrantes, Ilrazzismo è una brutta storia, Libera, Lunaria, Rete G2, PrimoMarzo, Libera, Sei Ugl, Terra del Fuoco. Oltre all’impegno perportare all'attenzione dell’opinione pubblica e del mondo politicoe culturale il tema dei diritti di cittadinanza e di partecipazione,la campagna promuove la raccolta di firme per la presentazionedi due leggi di iniziativa popolare: una che riformi la normativasulla cittadinanza, aggiornando i concetti di nazione e nazionalitàsulla base del senso di appartenenza a una comunità determinatoda percorsi condivisi di studio, di lavoro e di vita e l’altra chericonosca ai migranti il diritto di voto nelle consultazioni elettoralilocali, quale strumento più alto di responsabilità sociale e politica.Tutte le informazioni sul sito http://www.litaliasonoanchio.it

La campagna “L’Italia sono anch’io”

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La partecipazione politicaquale strumento di inclusione

Testimonianze raccolte da Franco Pittau

La storia personale, l’impegno e gli auspiciper il futuro di Tetyana Kuzyk, Victor EmekaOkeadu, Romulo Sabio Salvador, MadissonGodoy Sanchez, i membri aggiunti eletti dagli immigrati nel Consiglio comunale di Roma

Le prime elezioni dei consiglieri stranieri aggiunti si sonosvolte a Roma nel 2004 (a metà consiliatura) in attuazionedella delibera n.19 0 del 14 ottobre 2003 (a sua volta basatasu una proposta avanzata nel 1995). Sono stati designati diret-tamente dagli immigrati quattro consiglieri al Comune e unconsigliere in ciascuno dei 19 municipi della città. Negli anniprecedenti, le questioni riguardanti i residenti stranieri venivanotrattate da un consigliere comunale a cui il sindaco conferivala delega alla multietnicità.

La seconda tornata elettorale si è svolta nel 2006. Gli eletti,tuttora in carica, partecipano con diritto di parola, ma senzadiritto di voto, alle sedute del Consiglio e alle riunioni dellecommissioni consiliari permanenti e possono proporre mozioni.È inoltre attiva anche una Consulta cittadina composta dai primi19 non eletti dei quattro Continenti.

I consiglieri aggiunti di Roma Capitale costituisconoun’importante realtà perché rappresentano numericamente ilterzo gruppo all’interno dell’Assemblea capitolina. La loroesperienza è stata oggetto di divergenti interpretazioni daparte di qualche associazione che si occupa di immigrazione:un avvio positivo seppure incompleto oppure un “contentino”che distrae dall’obiettivo effettivo che consiste nella parteci-pazione al voto amministrativo? Si è ritenuto opportuno farerispondere i diretti interessati, una donna e tre uomini, inrappresentanza delle quattro aree continentali.

Il punto di partenza non può essere che la loro biografia,che presenta molteplici motivi di interesse.

I consiglieri stranieri possono partecipare alle sedute senza diritto di voto e possono proporre mozioni.Accanto a loro opera la Consulta cittadina composta dai primi 19 non eletti

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Tetyana Kuzyk è ucraina. È venuta in Italia nel 2000, affidandola figlia di nove anni ai suoi genitori e facendosi poi raggiungeredopo tre anni. Laureata in lingue e insegnante di inglese pressole scuole pubbliche, era insoddisfatta del basso stipendio chericeveva in patria. In Italia, ha lavorato prima come baby sitter,poi per un giornale ucraino e infine ha creato una propriaagenzia per traduzioni e disbrigo di pratiche. È molto impegnata,tra l’altro, per far conseguire ai ragazzi ucraini residenti a Roma,parallelamente con quello italiano, anche il diploma di maturitàvalido in Ucraina.

Victor Emeka Okeadu, è nigeriano. Arrivato in Italia a 18 anniper studiare, si è diplomato come ragioniere e perito commercialee poi laureato in giurisprudenza con un dottorato in psicologia.Prima di diventare consigliere svolgeva l’attività di piccoloimprenditore e consulente legale sui problemi dell’immigrazione:la sua esperienza associativa è di lunga data. Coniugato, hacinque figli in età compresa tra gli 11 e i 23 anni, tutti nati in Italia,il che aiuta a capire la sua sensibilità nei confronti delleseconde generazioni di stranieri per i quali l’Italia è la loro terra.

Romulo Sabio Salvador è filippino, di Santa Cruz, a Sud diManila. Venuto in Italia nel 1984 per assistere al matrimoniodella sorella, si è poi fermato. Laureato in psicologia, nel suoPaese ha lavorato presso l’istituto previdenziale locale. InItalia ha svolto diversi mestieri come cameriere e portiere eanche come attore nei telefilm, cosa che fa ancora oggi quandogli capita di essere chiamato. È titolare di un’impresa di spedi-zioni che opera tra l’Italia e le Filippine. Sia nel 2004 che nel2006 è stato il consigliere più votato: nel 2004 dovette cedere ilposto a una donna, per assicurare la quota rosa tra i consiglieriaggiunti.

Madisson Godoy Sanchez nel 1999 ha lasciato l’Ecuadorper raggiungere la moglie in Italia; qui ha conseguito unmaster in politiche dell’incontro e della mediazione culturale,che gli consente di operare come esperto in pedagogia inter-culturale e di partecipare a diversi progetti. In Ecuador èstato insegnante e preside di un liceo, e anche in Italia hainsegnato presso l’Università ecuadoriana de Loja e in un istitutosuperiore ecuadoriano. Anche nel suo Paese d’origine si eracandidato come consigliere e, inoltre, era stato assistenteparlamentare. Ha due figli, di 19 e di 7 anni, il secondo natoin Italia e quindi un esempio di seconda generazione.

Tutti i consiglieri hanno creato personalmente o hanno operatoe continuano a operare nelle associazioni sorte nell’ambitodella loro collettività. Avendo una rappresentanza continentale,

Le prime elezioni si sono svolte nel 2004.I quattro rappresentantiattuali,provenienti da Ucraina,Nigeria,Filippine,Ecuador,uno per ogniContinente,sono in carica dal 2006

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l’attaccamento all’associazionismo del proprio Paese si componecon l’apertura a quello delle altre nazioni. Interculturali perdefinizione nell’esercizio delle loro funzioni, i consiglierisostengono e rimangono legati alle associazioni, ritenutefunzionali alla promozione delle istanze culturali in diversimodi, e i risultati non mancano.

Sono profondamente convinti che il tema delle associazionivada affrontato in profondità, così come merita di esseretrattato seriamente il tema dell’integrazione. Ad esempio, è statacreata la “Rete dell’Europa dell’Est”, che si riunisce periodica-mente e promuove diverse iniziative visto che a partire dagli anniNovanta l’immigrazione dall’Est Europa ha dato nuova linfaall’associazionismo femminile. L’associazionismo è anche untema ricorrente di dibattito all’interno della diaspora africana,interessata alla prospettiva di una maggiore coesione sociale ecivile, dibattito che coinvolge anche i rappresentanti diplomaticied è finalizzato a creare la “Casa d’Africa a Roma”. Per quantoriguarda l’America è stato dato un grande sostegno all’associa-zionismo, soprattutto per trovare una soluzione alla mancanzadi luoghi dove potersi riunire e con questo scopo il consiglieredell’area ha proposto la creazione di uno spazio denominatocasa “Las Americas”.

Comunque, l’associazionismo degli immigrati, pur con i suoiaspetti interessanti, si trova ancora in una fase iniziale, e devecrescere ancora tramite un vero e proprio sviluppo politico.

Il contributo riconosciuto ai consiglieri da Roma Capitale per laloro partecipazione istituzionale è di 36 euro netti al giorno(anche se nello stesso giorno i consiglieri aggiunti partecipanoai lavori del Consiglio e di una o più commissioni), per un massimodi 20 partecipazioni al mese. Questo gettone, dimezzato rispettoa quello dei consiglieri italiani, non è sufficiente per vivere;perciò i consiglieri hanno la necessità di svolgere anche unlavoro proprio e questo non può non incidere, in senso restrittivo,sul tempo da dedicare alla rappresentanza dei bisogni degliimmigrati.

I quattro eletti hanno partecipato alle elezioni come consiglieriaggiunti per diverse ragioni. Innanzi tutto per mettere a frutto leproprie capacità e incidere positivamente sulla situazione dellepersone rappresentate: lo slogan di Madisson Godoy Sanchez,ad esempio, è stato “Un amico al Comune per difendere i tuoidiritti – Fai sentire la tua voce”.

La propaganda elettorale si è basata per ciascuno di lorosul personale coinvolgimento in prima linea, con il supporto di

Tutti hanno creato o operano nelleassociazioni attivenell’ambitodella propria collettività di riferimento,con una dimensione internazionalelegata al fatto che essi rappresentanol’intero Continente di provenienza

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amici e conoscenti: chi è andato nei parchi, chi presso leassociazioni o in altri luoghi di incontro come le chiese. Singolareè la comunità filippina, organizzata in oltre una quarantina distrutture parrocchiali che periodicamente si riuniscono pressola Basilica di S. Pudenziana, dove il consigliere aggiunto puòintervenire per fare le sue comunicazioni e raccogliere gli stimolidalla base.

I candidati, per essere eletti, si sono adoperati non solo neiconfronti dei propri connazionali ma anche con gli immigratidegli altri Paesi dello stesso continente. Per tutti la propaganda èstata facilitata dalle relazioni sviluppate in precedenza, non solopresso le associazioni ma anche lavorando nei giornali etnicio collaborando con trasmissioni radiofoniche etniche: la molladi tutto ciò è stato l’interesse ad assicurare una rappresentanzaagli immigrati.

La loro funzione pubblica consente di fornire agli immigratiinformazioni indispensabili per districarsi in Italia e per assicurareloro anche assistenza e sostegno per il disbrigo di variepratiche, dall’asilo nido al lavoro, dalla scuola alla questura.Naturalmente i consiglieri aggiunti, intervenendo all’internodell’Assemblea Capitolina, possono pronunciarsi non solo

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sugli interessi degli immigrati ma anche sui vari aspetti dellapolitica locale e della vita cittadina.

Una valutazione complessiva dell’esperienza li porta a esserepositivi e disponibili a ripeterla. Hanno la possibilità di occuparsicongiuntamente di varie questioni, di vivere un impegno politicoin una dimensione internazionale e con accortezza diplomatica(dovendo rappresentare più Paesi), di capire il funzionamentodel Comune (dal bilancio agli altri aspetti amministrativi in unacittà complessa come Roma), di confrontarsi sulla base di undiritto loro riconosciuto con gli altri eletti del Comune. Si tratta diun’esperienza bella e difficile, trattandosi di esercitare un dirittoriconosciuto solo a metà, consultivo per l’appunto, che incidesul Consiglio e non direttamente sulla Giunta (benché questasi mostri aperta e disponibile), da considerare come un primopasso verso il riconoscimento più pieno del diritto di voto.

Questi rappresentanti degli immigrati si attengono a uncomportamento di grande equilibrio nei confronti degli schiera-menti politici di maggioranza e di opposizione, cercando difarsi accettare da tutti. Sintetizzando, si può dire che sonoriconosciuti nel loro ruolo, ma in una funzione di dipendenza:le proposte fatte possono passare solo sulla base della sensibilitàdegli altri, una situazione sulla quale solo il diritto di votopotrebbe incidere alla radice.

L’auspicio dei quattro consiglieri aggiunti è quindi unanime:bisogna garantire agli immigrati le pari opportunità, aprire il settorepubblico anche ai nuovi cittadini, agevolare la concessionedella cittadinanza (specialmente a beneficio dei figli nati in Italia),mettendo in agenda la concessione del diritto di voto, impostaresu questa base una politica più stabile e finalmente in gradodi gestire la presenza degli immigrati, senza considerarli unaccessorio o inquadrarli negativamente.

Gli spunti per un inquadramento organico di questa esperienzasono molteplici e stimolanti. La partecipazione degli stranieritramite la creazione di strutture di rappresentanza consultive,specialmente tramite il voto amministrativo, costituisce unodegli elementi fondamentali di inclusione nella vita pubblica.

Il voto, raccomandato dalla convenzione del Consigliod’Europa, rimane la strada maestra ma, in sua mancanza, nonvanno trascurati altri modelli di partecipazione, come laConsulta e il consigliere aggiunto, modelli che a Roma sonostati adottati con successo.

I consiglieri aggiunti in carica sono leader delle associazionidegli immigrati, che si accreditano così anche come una fucina

Un limite al loro operato sta nel fatto che le proposte da loro elaborate possono essere approvate solo se fatte proprie da altri consiglieri;il diritto di votopotrebbe risolvere questo problema

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di formazione politica. In attesa di sbocchi giuridicamente piùsignificativi, essi ritengono positiva la loro funzione temporaneaperché può aiutare gli immigrati a integrarsi politicamente e aconfrontarsi con la politica. Pur vissuta con grande impegno,la partecipazione consultiva viene ritenuta una soluzioneintermedia, da non trascurare in attesa dell’attribuzione deldiritto di voto. È proprio la stabilità della residenza in Italia,più ancora del passaporto, a introdurre ai diritti di cittadinanzae a una partecipazione più piena.

Le loro rivendicazioni vengono avanzate in una maniera chesottolinea l’assenza di allarmismo. Non si ha alcun interesse aportare un attacco alle tradizioni e all’identità degli italiani,bensì si intende promuovere una convivenza armoniosa eincentivante, per cui è fuori posto gridare che “Annibale è alleporte”. Il vero pericolo, in una società multiculturale a fortepresenza immigrata, è invece che una consistente parte dellapopolazione si consideri esclusa. I diritti sociali non possonoessere legati solo alla cittadinanza, anche perché non tutti gliimmigrati sono interessati a quella italiana, la cui acquisizioneva peraltro facilitata.

Le migrazioni si traducono, insomma, in una forte esigenzadi partecipazione e impongono di ripensare l’idea di Statonazionale e la sua divisione tra quelli che stanno “dentro” egli altri che stanno “fuori”, tra “noi” e “loro”. Gli immigrati sisentono cittadini del Paese di accoglienza, anche se non vi sononati, e la loro valorizzazione come fattore positivo di crescita esviluppo della società va a beneficio di tutti. Il contatto direttocon chi esprime queste esigenze, come qui si è cercato di fareregistrando le posizioni dei consiglieri aggiunti, è un’esperienzaconvincente e rasserenante.

L’impegno nel Consiglio comunale è comunque ritenuto unaesperienzapositiva,perché può aiutare gli immigrati a integrarsi politicamente

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La via all’interculturanasce dalla casa

di Chiara GiaccardiUniversità Cattolica di Milano

In un piccolo centro del Nord Italia,un esperimento di convivenza,uno dei tanti modi possibili per costruire la città interetnica, riscoprendo il valore dell’abitare come veicolo di socialità

C’e tanta retorica, buona e cattiva, sul tema degli stranieri.Il dibattito rischia di rimanere polarizzato tra due metanarrazioniugualmente sterili: quella buonista (siamo tutti migranti, glistranieri ci arricchiscono) e quella criminalizzante (gli stranieri cirubano il lavoro, delinquono, vogliono renderci tutti musulmani).

Entrambe queste posizioni sono ugualmenteinutili per affrontare, e possibilmente risolve-re, le tante difficoltà che la delicata questionedella convivenza multietnica pone come sfidaineludibile che interpella il nostro presente.La prima perché nega, in modo spessoideologico, l’evidenza; la seconda perchéinquadra il problema in modo riduttivo eunilaterale, con effetti che rischiano di

essere disumanizzanti.Il modo stesso di inquadrare la questione allontana la

possibilità di una soluzione ragionevole, e la questione dellaconvivenza multietnica rischia di venire ridotta al tema dellasicurezza (come difendersi dallo straniero), mentre pochissimoè investito nell’accompagnamento alla cittadinanza e all’inte-grazione e nel superamento degli ostacoli a una convivenzapacifica. Si tratta in ogni caso di un cammino lungo e difficile, maanche dell’unico modo per affrontare una questione ineludibileche, non certo solo per colpa dei migranti, può diventa esplosiva.

La situazione, già complessa di per sé, è aggravata dallacrisi. Una crisi che, prima ancora che economica, è culturale:una vera e propria “crisi di umanità”, dalla quale non si può

Spesso la questione della convivenza multietnica rischia di venire ridotta al tema della sicurezza, mentre pochissimo è investito nell’accompagnamentoverso cittadinanza e integrazione

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uscire con ricette calate dall’alto, con soluzioni istituzionali,che pure sono importanti, ma non cambiano le mentalità. Solocon un cambiamento di postura è possibile immaginare soluzionialla crisi e alle questioni complesse che ci interpellano.

Un primo cambiamento a mio avviso necessario e urgenteriguarda la consapevolezza e il necessario abbandono di unaseparazione artificiale e ideologica tra pubblico e privato,individuo e società, che autorizza anche una scissione, assurdaquanto deleteria, tra la faccia pubblica e quella privata dellostesso sé, oltre a incoraggiare un atteggiamento di derespon-sabilizzazione, come se spettasse ad altri affrontare e risolvere

le questioni pubbliche. Credo che sia venuto ilmomento di riabilitare seriamente la categoriadel “comune”, un bene condiviso di cui tuttisono corresponsabili, e che coinvolge leindividualità in senso pieno superando lalogica autoreferenziale degli individualismi.

La città è uno straordinario laboratorio inquesto senso: soprattutto la città italiana,che è costruita intorno a un senso (religioso

e laico) più che a uno scopo, e che è pensata a misura d’uomo,di una socialità fatta anche di incroci e incontri, resi possibilida spazi percorribili a piedi e da distanze ragionevoli, da luoghiprivilegiati come le piazze e da articolazioni territoriali vivibili,come i quartieri nelle città più grandi. Ma al di là degli aspettiche ne definiscono la configurazione, la città rischia di riprodurreoggi quelle divisioni artificiali che generano effetti di ottusitàculturale, oltre che di disumanizzazione: una contiguitàdisconnessa, una invisibilizzazione e un mancato riconoscimentodelle persone portatrici di istanze culturali altre, che rischianon solo di sciupare un’opportunità straordinaria per quantoimpegnativa, ma anche di creare una situazione di risentimentocelato che può esplodere nei modi più distruttivi.

Va benissimo pensare i corsi per gli immigrati, appoggiarele loro richieste di luoghi di culto e tollerare benevolmente laloro presenza nelle classi dei nostri figli, ma è possibile, comecittadini di un mondo ormai globale, offrire un contributomolto più attivo alla costruzione di una città interculturale, chenon sia né frutto di una pianificazione astratta, né il risultatocasuale di processi di cui nessuno è alla fine responsabile ei cui esiti non possono che essere quantomeno deludenti.Quello che il presente ci richiede è uno sforzo di immaginazioneesistenziale e relazionale.

Contro i rischi delle divisioni artificiali e del mancato riconoscimento dell’Altro,va riabilitata la categoria del “comune”, un bene condivisodi cui tutti sono corresponsabili

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Ho sempre apprezzato molto, da studiosa dei media, la sotto-lineatura di McLuhan sul potere degli ambienti di plasmarci anostra insaputa, tanto più quanto meno ne siamo consapevoli eli diamo per scontati, e sul potere liberante ed emancipantedei “controambienti”: poiché l’essere umano si adatta e tendea reagire alle urgenze immediate, è importante che si diaconsapevolmente dei contesti che lo aiutino a porsi e mantenersiin una direzione sensata, anche con l’appoggio di chi gli sta intorno.La famiglia può essere un controambiente, se non si appiatti-sce sulla cultura dominante dell’individualismo; l’arte lo èspesso per la cultura, quando non ne diviene un megafono erimane capace di suggerire uno sguardo diverso sul mondo;la religione può esserlo oggi, in un mondo dove tutto è sigillatoin una immanenza e materialità mortificanti.

Con la duplice consapevolezza che oggi è necessarioprendere in mano direttamente le situazioni che ci sfidano, eche non si può farlo come individui isolati ma occorre costruiredei contesti che supportino gli sforzi individuali e consentanoanche di superarne i limiti inevitabili, qualche anno fa ho datovita, con la mia famiglia e un’altra coppia di amici dalla sensibi-lità affine, a un esperimento. Mi sento di raccontarlo perché,pur con i suoi limiti, rappresenta uno dei tanto modi possibiliper costruire la città interetnica (un termine che mi piace più

di “multiculturale”, perché contiene l’idea direlazione, oltre che di molteplicità) dalbasso e a partire da un nucleo in cui, adispetto dei luoghi comuni e delle retoriche,la negoziazione tra diversità è all’ordine delgiorno, ovvero la famiglia. Un esperimentoche è nato anche da una riflessione sullafamiglia stessa, che nella sua apertura eosmosi con l’esterno può trovare strumenti

per educare i figli, per alimentare la consapevolezza del presente,per dare spessore al rapporto di coppia, per esercitare la suafunzione umanizzante; mentre il modello prevalente tende atrasferire la cultura dell’individualismo anche al suo interno,rendendo la famiglia un sodalizio tra individui che massimizzanoil vantaggio personale e riducono gli svantaggi, con gli effettiasfittici che sono sotto gli occhi di tutti.

Una via che più che solidale definirei conviviale: condividere ilmondo, come recita il titolo di un bel libro di Luce Irigaray, èun movimento di reciprocità che rende l’esistenza più mossa,più intensa, anche più allegra, e fonte di continue scoperte.

Un esperimento di convivenza nato da una riflessione sulla famiglia e sulla sua funzione umanizzante, contro la cultura prevalente dell’individualismo

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Vivo in una piccola città del Nord, dove più della metà dellapopolazione è anziana, oltre il 60% dei nuclei familiari è costituitoda uno o due membri, dove a un relativo benessere diffusocorrisponde una miopia culturale che si manifesta anche nelsuccesso elettorale di partiti che fanno della chiusura difensiva lapropria bandiera. Come costruire, per me prima di tutto e poiper la mia famiglia, un controambiente in grado di tenere vigilel’attenzione sui limiti di un contesto di questo tipo? Come dare uncontributo perché la città in cui i miei figli sono nati e stannocrescendo possa collocarsi positivamente in un presentecomplesso, anziché difendersene?

Ormai più di cinque anni fa, grazie al generoso interessamentodi un amico sacerdote, allora direttore della Caritas, e poi alladisponibilità di un ordine religioso di offrire una struttura ormaisottoutilizzata per carenza di vocazioni, mi sono trasferitacon la mia famiglia e un’altra coppia di amici in uno stabile

adatto al nostro progetto. Caritas e Cariplohanno finanziato la ristrutturazione e abbiamopotuto ricavare quattro appartamenti autonomie un miniappartamento per ospitalità più brevi,più una serie di spazi comuni. Dal 2006 sonopassate nove famiglie di otto nazionalità,cinque di religione musulmana, tre composteda madri sole con i figli, oltre 30 bambini.

ll nostro compito è insieme molto semplicee molto difficile: lo definirei un “vicinato attento”, qualchecosa che per molto tempo, nella nostra cultura italiana, che ilsociologo Franco Cassano giustamente definisce “materna”,si è manifestato come una sensibilità spontanea e che oggi,nell’era dell’iperindividualismo allergico ai legami e ai vincoli,diventa decisamente controcorrente.

C’è un ritornello ricorrente, che chiunque non accetti comeun dato il fluire delle cose si sente sempre ripetere: il problema ètalmente grosso che ci sovrasta, qualunque azione si possaintraprendere non è che una goccia in un oceano, non si puòsvuotare il mare con un cucchiaio e così via.

Alla luce dell’esperienza, piena di soddisfazioni e frustrazioni,successi e fallimenti di questi anni mi sento di dire esattamenteil contrario: nessuna delle azioni intraprese è risultata vana, aldi là del successo o meno, e per tutte le persone che sonopassate di qui questo ha fatto una differenza enorme nellaloro vita, oltre che nella nostra.

L’idea di base è molto semplice: parte dalla famiglia, un’entità

Da una struttura appartenente a un ordine religioso sono statiricavati alcuni appartamenti autonomi, da cui, a partire dal 2006, sono passate nove famiglie di otto nazionalità

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importante che non per forza deve assumere la forma mono-nucleare del modello borghese contemporaneo, i cui limitisono ormai evidenti, ma che si esprime nel modo migliore nelmomento in cui si caratterizza come un luogo di accoglienzae di responsabilità reciproca, nel senso di “prendersi cura di”ed “essere disposti a rispondere a”. Come un grembo, e noncome una tana, che tanto prima o poi diventa stretta.

L’idea di famiglia allargata e aperta è diversa da quella dicomunità, almeno nel senso in cui la si intende e la si praticaoggi. È molto meno normata, molto più lasca, molto più apertaalle diverse esigenze che via via si presentano. Si traduce inpratiche quotidiane che hanno a che fare con l’attenzione, ilprendersi cura, il pre-occuparsi, l’accettare che a volte il propriotempo, come scrive Emmanuel Lévinas, diventi ostaggio diquello degli altri. Non sempre è semplice, e la convivenzareale, non quella da pubblicità, è fonte di fatiche e anchedelusioni. Eppure nella convivenza qualche angolo si smussa,qualche nodo si scioglie, e soprattutto, quasi sempre si senteche ciò che unisce è più importante di ciò che divide.

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È, per noi, un modo di affrontare la crisi e di immaginarenuovi paesaggi urbani, più mescolati e meno segregati. Non ècerto l’unico, né vuole porsi come un modello, ma solo comeun caso singolare che rende concreto a suo modo qualcosadi universale.

Ci sono tanti altri esempi riusciti di modi per rendere vivibili eabitabili le nostre città multiculturali. Uno che conosco è quello

dell’associazione dei genitori della scuolaelementare Di Donato all’Esquilino di Roma(raccontata in www.generativita.it) che hatrasformato un “problema” (l’arrivo massicciodi stranieri, soprattutto cinesi, nel quartiere)in una risorsa, usando la scuola come spaziocomune da valorizzare a beneficio di tutti efacendo le cose “con loro” e non “per loro”:lavorare per iI bene comune è intercultura

pratica e quotidiana, che non ha bisogno di manuali.Scrivono i geografi urbani che la città per essere viva deve

essere connessa (anziché una giustapposizione di spazisegregati) e transitiva, ovvero percorsa e attraversata in tuttele sue direzioni (e non solo, per esempio, dalla periferia alcentro). Anche la città interetnica deve quindi favorire questidue movimenti. Ma, ancora più profondamente, deve riscoprireil valore dell’abitare, valore antropologico fondamentale che haa che fare col senso e la socialità.

Abitare non è risiedere né soggiornare, non è occupare népresidiare, ma, come scriveva Ivan Illich, “iscrivere le proprietracce e la propria biografia nel paesaggio”. E Heideggerindividuava il tratto caratteristico dell’abitare nell’avere cura,e scriveva che gli esseri umani abitano in quanto “salvano laterra”. Dove salvare non significa solo strappare a un pericolo, ma,molto di più, significa liberare.

Chissà che la sfida della città interetnica non ci aiuti adabbandonare l’ossessione del pericolo (nostro) per stimolarcia rigenerare l’immaginario della nostra libertà.

La sfida della città interetnica potrebbe aiutare tutti noi ad abbandonare l’ossessione del pericolo per stimolarci a rigenerare l’immaginario della nostra libertà

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Dalla polis monocentricaai nuovi spazi socialitransurbani e interetnici

di Marco OmizzoloDottorando - Università di Firenze

Le migrazioni hanno cambiato le nostre città,ampliandone i confini e aumentandone la pluralità.Auspicabili un approccio multidisciplinare e unaprogrammazione sociale e urbana basata sulla“diversità” quale collante di questa nuova realtà

Riflettere su un argomento complesso come la città interetnica,quale traguardo auspicabile di un percorso di inclusione socialecapace di tenere insieme diverse culture, etnie e identità econtemporaneamente, alla luce della complessità della societàcontemporanea, tenere in equilibrio l’articolato intreccio divariabili globali e locali, significa partire da tre presuppostifondamentali.

In primis, il superamento, come stanno dimostrando i risultatidi alcune tra le ricerche più avanzate della sociologia urbana,del modello di urbanità tradizionale. In questo caso è importantecitare quanto scrive Franco Ferrarotti insieme all’architettoMassimiliano Fuksas in un saggio del 2006: “l’idea di polismonocentrica e omogenea, così come tramandataci dal nostroglorioso passato e dalla nostra cultura classica (con la cittàsviluppata tutt’attorno all’Agorà e al Pireo) non è più praticabilené può costituire un ideale: viviamo in un mondo in continuomovimento, siamo tutti migranti e abbiamo bisogno di spazidinamici e policentrici in cui muoverci. La città deve acquisireuna sua mobilità di sviluppo che in qualche modo riesca a farconvivere una molteplicità linguistica, religiosa, etnica senzaprodurre dei ghetti come invece si tende a fare oggi. I luoghidi ritrovo della gente devono essere luoghi interetnici, inter-linguistici”. L’idea di un’urbanità consolidata, stabile, rigida èsempre più corrosa dal mare in tempesta della globalizzazionecon il suo carico di contraddizioni e opportunità e attraversoessa, in particolare, dai flussi migratori. Questi ultimi sono stati ingrado di superare non solo i rigidi confini degli Stati-nazione

Il modello di urbanità tradizionale è in via di superamento,corroso dalla globalizzazione,con il suo carico di contraddizionie opportunità,e in particolaredalle migrazioni

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ma anche il pomerium invalicabile delle città tradizionalmenteintese, quali monadi rigidamente distinte sia al loro interno, inquartieri ognuno con una sua particolare cittadinanza, sia dallospazio rurale circostante, contribuendo a riscriverne l’orga-nizzazione urbana e riarticolando il complesso delle relazionisociali che caratterizzano le identità culturali locali. Si tratta,a ben osservare, di un’opportunità straordinaria di rigenerazionee ricreazione di un tessuto sociale nuovo, centrato sull’acco-glienza, l’inclusione, il dialogo e la convivenza tra le diverseidentità etniche e i suoi diversi patrimoni culturali. Una straordinariae strategica chance di modernizzazione e ri-generazione delPaese, pur nella consapevolezza dei possibili conflitti cheda tale progetto potrebbero scaturire.

Il secondo presupposto è relativo, conseguentemente alprimo, alla formazione di un nuovo modello di organizzazioneurbana e sociale, i cui tratti possono essere già colti a partiredai nuovi spazi urbani delle piccole e medie città italiane. Le cittàcostituiscono ancora, come sostiene il Segretario generaledella Nazioni Unite, Ban Ki Moon, nell’intervento riportato inapertura, “i maggiori centri dell’azione, i fulcri, i magneti, i luoghidove le persone entrano in contatto e coesistono”. Per i centriurbani vale ancora l’antico proverbio tedesco secondo cui“l’aria delle città rende liberi” (Stadtluft macht frei)1, anche senon necessariamente uguali, presentando evidenti casi diesclusione sociale. Anche in ragione di questo trend, i confinidelle città si sono ampliati notevolmente, dando vita all’evoluzionedi forme urbane nuove. Martinotti definisce questo processo“recessione dei confini urbani”. La città si proietta sempre piùverso l’esterno, includendo territori o aree o quartieri consideratitradizionalmente periferici e contemporaneamente anche i lororesidenti, generalmente esclusi dal perimetro urbano e collocatinegli slum trascurati, lontani dai pregiati centri storici. Si trattadi un modello di città estroverso che include la diversità legataalla presenza dell’Altro, inteso come migrante.

Il terzo e ultimo presupposto è relativo agli spunti di riflessioneforniti dalla recente conferenza internazionale sulla città interetnicadi cui si parla in questo numero di libertàcivili, durante laquale è stata sottolineata la centralità delle città per il processodi integrazione dei migranti nel tessuto sociale ed economico

1 Già negli statuti della città di Parma, la libertà era subordinata alla permanenzain città per 10 anni, a dimostrazione del valore che aveva l’essere riconosciuti comecittadini e quindi l’assunzione di uno status che garantiva diritti e vantaggi indubbirispetto a coloro che invece ancora abitavano nelle campagne

Un nuovo modello di organizzazioneurbana e sociale si staformando e i suoi tratti possono essere giàcolti a partire dai nuovi spazi urbani delle piccole e medie città italiane

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locale e nazionale. Nel messaggio inviato per l’occasione, ilPresidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, ha ricordato che“esclusione e isolamento non possono offrire una risposta alladinamica dell’immigrazione”, mentre lo stesso Ban Ki Moon hasottolineato che “quella odierna è l’era della mobilità in cui le cittàsono i principali centri d’interazione, gli hub in cui si collabora esi convive”. Uno spunto di riflessione importante per incentivarestudi multidisciplinari sul ruolo delle città nella società contem-poranea, quali centri nevralgici per l’incontro tra migranti eautoctoni e delle relative dinamiche ed evoluzioni.

I migranti sono da considerare ormai come presenza organicadella società contemporanea, sino a immaginare la possibilecostruzione di una futura “città interetnica” avente una suaspecifica organizzazione urbana e sociale fondata sull’inclusionedella diversità etnica. Si tratta della più chiara evidenza dellecorrette previsioni di molti sociologi, urbanisti e filosofi, chesul finire del Novecento, sulla base anche di talune evidenzeempiriche inconfutabili, correttamente definivano le migrazioni“una delle sfide più impegnative del prossimo secolo”,responsabili del mutamento “nelle relazioni sociali, nei modellisocioculturali di vita e nell’ambiente umano, cioè nella societàglobale in quanto rete di relazioni” (Pollini e Scidà), riconoscen-dole come “uno dei meccanismi essenziali di cambiamento inseno alle società” (Noin) 2.

Le migliaia di migranti che ogni anno entrano nel nostro Paesetendono a risiedere in spazi urbani generalmente perifericigenerando processi, fenomeni e comportamenti etnicamenteconnotati che contribuiscono a trasformarne l’organizzazionesociale ed economica, nonché il relativo patrimonio simbolico.Il mito della città ha storicamente rappresentato il punto diriferimento per milioni di uomini che per secoli hanno ancoratole proprie esistenze, speranze, relazioni e aspettative a un’orga-nizzazione complessa, ma anche rigidamente perimetrataattraverso confini fisici, culturali, economici e sociali che assicu-ravano un processo di identificazione forte e rassicurante.Questo riferimento è entrato in crisi con la globalizzazione,

2 Si tratta di una delle evidenze maggiori di ciò che Pastore (2004) definisce il“restringimento del mondo”, ossia la straordinaria compressione delle dimensionidello spazio e del tempo e che ha portato Zygmunt Bauman, nel 1998, a parlare di“fine della geografia”. Una conclusione drastica, ma che pure aiuta a descrivere unprocesso che vede nel mutamento tra spazio urbano e spazio rurale il suo elementopiù originale e interessante

Le migliaia di migranti che ogni annoentrano nel nostro Paese tendonoa risiedere in spazi urbani periferici,generando processi,fenomeni e comportamentietnicamente connotati

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obbligando milioni di persone a costruire, mediante l’incontrocon l’Altro globale e spesso senza averne diretta consapevolezza,una nuova organizzazione sociale in cui si mescolano urbanitàe ruralità, identità culturali diverse, etnie, economie fluide etransnazionali, capaci di superare i rigidi confini dello Statonazionale, in un complesso puzzle identitario che ha condottoalla contemporanea formazione delle città globali e di nuovi spazisociali transurbani e interetnici. La nuova organizzazioneurbana e sociale territoriale si fonda sugli effetti prodottidall’articolarsi della combinazione globalizzazione-migrazioni,producendo una varietà di situazioni insediative differenziate.Si tratta di una pluralità frutto di un’originale convergenza localedi caratteri spaziali e sociali multisituati e multietnici. Lo stessoabitare, apparentemente azione rassicurante, diventa nel nuovospazio sociale transurbano e interetnico occasione di incontroe confronto, anche simbolico, che tende a stabilizzarsi nel tempo,sino a definire una nuova forma di coabitazione.

All’interno di questo processo, le migrazioni svolgono unruolo fondamentale che necessariamente si manifesta nelle formeoriginali e proprie delle culture di cui sono portatrici. Si trattadi nuovi spazi sociali non più circoscritti nei confini rigidi,

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facilmente individuabili, dei vecchi quartieri urbani, ma invececaratterizzati da pratiche sociali, identitarie, economiche in cuiè evidente l’aumento del potenziale di accessibilità agli altri,nel senso della possibilità di incontri e scambi. Lo stesso spaziofamiliare, con l’insediamento dei migranti e la formazionedella relativa comunità, diventa problematico, ossia non piùriconoscibile nella sua specificità tradizionale. Esso necessitadi una riprogrammazione che prevede l’inclusione di nuovi ediversi stili di vita, in modo da costruire le fondamenta di unacittà realmente interetnica, quale lento ma costante processodi costruzione e radicamento di un modello socio-urbano nuovoe includente.

La questione principale è capire come la nuova urbanitàconsenta alle diverse comunità di migranti residenti all’internodi un medesimo spazio urbano di gestire la complessità dellerispettive differenze culturali, consentendo la durevole eauspicabilmente pacifica coabitazione. I punti fondamentaliriguardano l’esistenza o meno di una possibile competizionetra le diverse culture compresenti per il predominio di unasola tra loro quale riferimento prevalente; quali rapporti sigenerano tra le diverse culture (tolleranza, inclusione, dialogo,indifferenza, competizione); e se esiste la possibilità di unarelazione tra loro che permetta l’elaborazione di un patrimoniosimbolico-culturale comune. È evidente che questo genere diproblematiche, legate alla possibile natura interetnica della città,non possono essere affrontate solo guardando alla residenzialitàtra le diverse culture e alla coabitazione dei relativi esponentinella condivisione di spazi urbani, ma includendo nell’analisipossibili relazioni economiche, simboliche o di altro genereche presuppongono una riflessione ben più ampia.

Da questa premessa emerge l’indispensabile riflessionemultidisciplinare sulla città interetnica. Non è certo possibilepensare di affrontare questa tematica e di organizzare inecessari presupposti della futura città interetnica attraversoun’analisi monodisciplinare, solo sociologica o urbanistica oeconomica. La sua complessità richiede un dialogo intradi-sciplinare auspicabile e indispensabile. Peraltro le praticheinteretniche che legano locali e migranti sono intimamenteconnesse alla globalizzazione e alla sua indiscutibile mutevolezza.Si tratta, infatti, di azioni in continuo mutamento e mai date inmaniera definitiva. Ciò richiede un’attenzione continua e un’ela-borazione molto complessa.

In particolare, la coabitazione interetnica urbana, seppurein uno spazio transnazionale, è legata alle identità dei gruppi

È cruciale comprendere come la nuovaurbanità consenta alle diverse comunità di migranti residenti nella stessa città di gestire le loro differenze culturali,permettendo una coabitazione pacifica e durevole

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etnici che si confrontano. Un utile esempio in tal senso è quellodella provincia di Latina, il cui tessuto urbano di piccoledimensioni si integra in un paesaggio rurale diffuso, produttivoe organizzato in cui le dinamiche sociali etnicamente connotatedella comunità transnazionale migrante indiana di religione sikh,ad esempio – che in essa pure rappresenta una delle comunitàmigranti più numerose e meglio organizzate – sono protagonistedell’evoluzione dello spazio sociale abitato in cui urbano e ruraleiniziano a con-fondersi sino a dar vita, come sostiene Lanzani,a una “incerta rappresentazione di una vasta urbanizzazione”,indubbiamente estesa e isotropa. Le azioni quotidiane dei sikhnei diversi ambiti sociali in cui essi sono presenti, insieme alle lorodinamiche insediative legate alla propria originale organizzazionesociale, generano la ri-programmazione degli spazi urbani,rompendo le frontiere che dividevano ruralità-urbanità edando vita a un’originale nuova sintesi urbanistico-socialeinteretnica.

Tali tendenze riguardano nuovi processi di ristrutturazionedel territorio e nuove forme di fruizione, nuove economie,generalmente transnazionali, una nuova stratificazione sociale enuovi sentimenti di appartenenza territoriale composita o ibrida,che consentono, rielaborando il concetto di città diffusa(Indovina) o frattale (Secchi, Viganò) o infinita (Bonomi,Abruzzese), di sviluppare questa nuova forma di spazio sociale,quale spazio sociale transurbano e interetnico. Si tratta di unospazio nuovo, periferico e centrale nel contempo, rurale eurbano, in cui i migranti sono i co-protagonisti del processo diri-progettazione e ri-programmazione sociale, economica eurbana degli spazi abitati e vissuti. Non cambia ovviamentesolo la forma urbana in questa nuova organizzazione spaziale esociale, ma necessariamente anche il modo di vivere chediventa plurale e polimorfico perché condizionato dall’alteritàe pluralità culturale e identitaria. In questo caso il caratteretransurbano si manifesta nel superamento delle perimetrazionitradizionali della società urbana e di quella rurale, realizzatograzie a un nuovo complesso di relazioni sociali, economichee culturali i cui protagonisti sono sia i migranti che gli italianiresidenti, i quali insieme attribuiscono al sistema il carattereinteretnico.

È evidente che questo cambiamento è processuale e relazio-nale e non rigidamente rivoluzionario. Si tratta di un mutamentoche non è repentino e immediatamente visibile, piuttosto di unbradisismo individuabile, in origine, solo dall’occhio vigile eallenato degli specialisti. Sono molti i rapporti che hanno

Il nuovo spazio sociale è transurbano e interetnico,al contempo periferico e centrale,rurale e urbano e gli immigrati sono i co-protagonistidi questo processo di riprogettazioneeconomica,sociale e urbana

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saputo mettere in luce le trasformazioni sociali che le migrazioniinevitabilmente innescano nei Paesi verso i quali si indirizzano.Il 2009 Ageing Report (Commissione Europea, 2009) mettein evidenza, ad esempio, con grande competenza, le profondemodificazioni che le migrazioni apportano nei Paesi di accoglienza 3.Un altro interessante esempio è quello del comune diAcquaformosa, piccolissimo centro urbano del Pollino, che èriuscito a risolvere il problema dello spopolamento grazie aiprogetti Sprar (il Servizio di protezione richiedenti asilo e rifugiatidel ministero dell’Interno), con i quali ha intelligentemente offertoresidenza a diverse famiglie di profughi. Si tratta di un numeroperaltro limitato di persone (appena trenta, ossia soli quattronuclei familiari), ma che hanno saputo rigenerare il sistemasocio-economico locale destinato al declino.

La crisi dei modelli centro-centrici, con la dominanza delnucleo storico delle città e il connesso subordinamento dellearee via via più esterne (le cinture e le periferie più o menodegradate) ha generato, dunque, in misura crescente, formepolifunzionali, diffuse, disperse, ambivalenti (e a volte conflittuali)di nuova urbanità, abitate sempre più dalla diversità (di classe,culturale, economica ed etnica), da economie, occupazioni eda forme di fruizione del territorio stesso, del tutto nuove. Il nuovospazio sociale transurbano e interetnico che viene dunque aformarsi, è costituito da un “territorio ampio, a sviluppoestensivo [...] e a funzionalità urbana” (Indovina), con effettidi progressiva reticolarizzazione e destrutturazione delle vecchiegerarchie territoriali. Il crollo dell’unitarietà e organicità qualicaratteristiche tipiche della società urbana tradizionale èanche l’effetto della graduale erosione del legame grupposociale-spazio.

Come avevano acutamente esplicitato gli studiosi dellaScuola di Chicago, per quasi due secoli a ogni area o luogodella città occidentale era possibile associare specifici gruppi,con particolari connotati sociali, economici e culturali (o almenoquesto era il modello che fuoriusciva dallo studio di numerosicontesti urbani industrializzati). Nel nuovo spazio socialetransurbano e interetnico (il quale si riferisce sempre a realtà

3 In tutti gli Stati membri dell'Unione Europea, l'apporto netto (saldo tra posti creatie quelli invece definitivamente perduti) che la migrazione fornisce all'occupazionerisulta positivo sin dagli anni Novanta e peraltro, almeno stando alle previsionidell'Ocse (Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico) del 2009,crescente nel tempo. Per l'Italia, per esempio, nel quadriennio 2003-2007, il contributodei lavoratori migranti è stato quasi tre volte quello rilevato nel decennio 1997-2007

È in crisi il modellodi città “centro-centrica”che subordina le periferie emarginandolee generando forme di urbanità disperse,conflittuali,abitate soprattutto dalla diversità economica ed etnica

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territoriali dalle quali sono escluse le grandi metropoli e caratte-rizzate da un sistema diffuso di medio-piccole realtà urbane),quest’identificazione spaziale connessa alle diverse formesociali che abitano il territorio e agli insediamenti produttivi,residenziali e funzionali ivi operanti, non è possibile. Gli spaziurbani sono diversamente occupati e interetnicamente connessi.Per questa ragione, molti quartieri che erano tradizionalmenteconsiderati di ceto medio-alto, possono ora essere occupati,e non per degrado degli stessi, dai migranti. Il territorio urbanonon può essere più descritto, in sostanza, come una unitàfunzionale nella quale a ogni porzione corrisponde una deter-minata tipologia di popolazione, permettendo così di adottarechiavi di lettura della società urbana a partire da una dimensionesocio-residenziale determinata e sempre valida.

Ciò che oggi pare manifestarsi nei contesti interessati daprocessi di conurbazione o connessione urbana-rurale per mezzosoprattutto dell’immigrazione, elementi di base nel processodi formazione dello spazio sociale transurbano, è, invece, ilconfigurarsi di un insieme altamente complesso e differenziatodi modalità di vita e di pratiche d’uso del territorio, in cui imigranti svolgono un ruolo assolutamente primario e caratteriz-zante. La letteratura tende, dunque, in ragione di tale complessità,a definire le nuove figure sociali che abitano le piattaformeurbane post moderne come abitanti-users, ossia figure mistedi abitanti-lavoratori-consumatori-turisti-migranti “che tendonoa vivere le pratiche di vita quotidiana fruendo di uno spaziourbano sempre più diffuso e policentrico” (Castrignanò), chein questo caso sono anche etnicamente diversamente orientati.

Le trasformazioni indotte nelle forme e nei contenuti deilegami sociali, determinate dalla nuova dimensione dello spaziosociale transurbano e interetnico, sono numerose e comportanoproblematiche di grande rilevanza sociologica. Se ne possonoindividuare alcune che possono essere sinteticamente riassuntenel modo seguente:1. Il venir meno di un’identità speculare tra dimensione strutturalee dimensione sociale, cioè tra forma e composizione del territorioe comunità di soggetti che vi risiedono. Questa trasformazioneè accelerata dai processi di nuovo inurbamento da parte deimigranti i quali, con la loro stessa presenza e la loro capacitàdi tessere relazioni sociali ed economiche transnazionali, ivicompresa la loro capacità di dare vita a iniziative imprenditorialietnicamente connotate, rompono le categorizzazioni precedentie obbligano ad analisi orizzontali e aperte. I quartieri urbani o

Nel passato a ogni area cittadina era possibile associare specifici gruppi economici,sociali,culturali;oggi questaidentificazionenon è più possibilee gli spazi urbani sono diversamenteoccupati e interetnica-menteconnessi

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semi-periferici in cui vivono i migranti sono sempre più compresiall’interno dello spazio sociale transurbano e tendono a perdereil carattere di marginalità che era loro attribuito dal vecchioschema società urbana-società rurale.2. La caratterizzazione dell’agire sociale contemporaneoconsente di sostituire, al senso di appartenenza e radicamentotradizionale, le proprietà inclusive ed esclusive dei sistemifunzionali complessi, ri-generando occasioni di marginalità.In questo senso, l’interetnia costituisce un principio di convivenzafondamentale e il pilastro di una nuova organizzazione urbanae sociale non più centrata su un’identità culturale e simbolicanetta o monolitica ma invece diversamente orientata.3. Le crescenti difficoltà ma anche le sfide riaperte dagli individuia “fare territorio”, ossia a produrre, entro nuove e multiformicondizioni sistemiche e soggettive, nuove forme di territorialitàe di appartenenza, sia pure, nel caso dei migranti, di carattereplurale o composita.

In questa nuova condizione permane la questione delleperiferie urbane, ossia territori complessi composti da“ambiente naturale, ambiente costruito e ambiente antropico”(Magnaghi). L’immagine di quartieri degradati ha generalmentecoinciso con quella degli slum, ossia quartieri periferici ai centriurbani i cui standard qualitativi di vita erano assai modesti.L’Ocse ha definito, nel 1998, le aree degradate come “contestiterritoriali dove l’esclusione abitativa è intersecata a quellasociale e dove gli abitanti vengono sempre più spinti ai marginidella società e questo influenza la qualità della vita degli abitantie delle imprese sia direttamente che indirettamente”. Uno deiprocessi che storicamente investivano questi luoghi consistevanella standardizzazione dei suoi abitanti verso una condizionesociale comune, omologando la loro relativa identità sino a farnequasi un’unica identità di quartiere.

Esistono diverse realtà periferiche che, ancora oggi, siapure in forme diverse rispetto al passato, sono arrivate, per ilcombinato disposto di emarginazione, omologazione e standar-dizzazione, a produrre identità di quartiere, come nel caso delquartiere Zen di Palermo o le ben note Vele di Scampia. Lastigmatizzazione che generalmente derivava dall’abitare inperiferie arrivava a definire il carattere e l’identità di tutti coloroche vi risiedevano. Si trattava di aree deboli dove spesso siriscontrava carenza di infrastrutture e di servizi pubblici,deprivazione socio-culturale ed esclusione delle relativeproblematicità dal dibattito pubblico, se non nel caso di eventi

Resta la questione delle periferie urbane,specialmente quelle in cui emarginazionee omologazionehanno prodottoun’identità di quartiere forte, come nel caso delloZen a Palermo o di Scampia a Napoli

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particolarmente drammatici, esasperandone la stigmatizzazionee i processi di esclusione anche per via mediatica. A questoproposito, si può affermare che le periferie urbane costituivanodegli importanti recruitment magnets, ossia luoghi di confinee di vulnerabilità sociale. All’interno di questi contesti, lemigrazioni erano sicure protagoniste, riuscendo a insediarvisiin modo più o meno stabile in ragione del loro carattere digenerale marginalità, svolgendo la funzione di serbatoi dimanodopera operaia per le attività produttive locali e avviandooccasioni di caporalato etnico anche di grande rilevanza.

Esiste, dunque, un’espansione urbana che coinvolge lecomunità migranti, in genere socialmente e urbanisticamente aimargini della città tradizionale, ossia nelle sue periferie poveree trascurate, che obbliga a una ri-programmazione delle stesse,determinando una sintesi alta tra le diversità etnico-culturalipresenti che costituisce la vera sfida del futuro. Sociologi,architetti, politici e filosofi sono chiamati sempre più a rifletteresulle caratteristiche di quest’espansione e sulla formazionedel nuovo spazio urbano sociale transurbano, privo di ununico centro e di una periferia lontana e grigia ma multicen-trico e indiscutibilmente interetnico, sapendo però governarenon solo questa complessità ma anche i possibili rapporti diforza tra gruppi egemoni e quelli emergenti di qualunquenazionalità essi siano. Un auspicio che deve essere tradottoin uno sforzo comune in favore di una programmazione urbanae sociale in cui la diversità etnica deve costituire il collantedi una nuova forma di città, moderna, fruibile, sicura, plurale,le cui diverse etnie migranti sono in costante relazione. La stradaè ancora lunga ma la direzione auspicata è chiaramente indicata.

Sociologi,architetti,politici e filosofi sono chiamati sempre più a riflettere sulle caratteristiche di una espansione urbana che coinvolge le zone ai margini della città

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I diritti culturali,la via da percorrerecontro i pericolidel “comunitarismo”

di Roberto MongardiniDocente di Aspetti filosofici dei diritti umani - Università “Niccolò Cusano” di Roma

Il carattere multiculturale delle città non può essere ignorato e il necessario processo di ricostruzione della cittadinanza dovrà permettere la convivenza pacifica tra gruppi culturalmente ed etnicamente eterogenei

Il fenomeno delle migrazioni che caratterizza la societàcontemporanea solleva, nel mondo accademico e politico, undibattito acceso su questioni quanto mai pressanti, legate ai temi

dell’identità, della cittadinanza, dell’incontroe della convivenza di culture differenti. Inun’epoca come la nostra, caratterizzata daquella che viene definita la crisi dello Stato-nazione, le migrazioni sono tra le principaliresponsabili del venir meno proprio dell’e-lemento nazionale, inteso nel senso di quellacomunanza di storia, cultura, etnia, lingua,territorio che costituisce, per i cittadini, il

contenuto della loro identità collettiva. Ne è una prova la diffusione,a livello globale, delle cosiddette “diaspore etniche” cherappresentano uno dei più importanti attori non-statali dellapolitica mondiale, contribuendo al cambiamento della naturadei conflitti internazionali, ed eventualmente complicando ilproblema della sicurezza e del terrorismo globale1.

Queste comunità, che rappresentano veri e propri networksociali, uniscono persone lontane nello spazio, ma accomunatedall’appartenenza etnica e religiosa, delineandosi, dunque,come una espressione chiave della transnazionalità delle culture

Le “diaspore etniche”sono fra gli attori non statali più importanti della politica mondiale,nell’era della crisi dello Stato-nazione

1 Cfr P. Berger, The Desecularization of the World, a Global Overview, in ID. (a cura di),The Desecularization of the World. Resurgent Religion and World Politics, Wm. B.Eerdmans Publishing Co., Grand Rapids, 1999, p.14

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Città interculturali: comunitarismo, ghettizzazione e diritti culturali

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e delle religioni; spesso, infatti, si configurano come vere e proprieenclaves straniere entro i confini di un determinato Stato.

A tale proposito, paradigmatico è l’esempio degli Stati Unitid’America, dove non a caso, a partire dalla fine della Guerrafredda, molti dibattiti accademici si sono focalizzati sul tentativodi far luce sugli scopi e sulla direzione che la politica esteradel Paese assume e sulle forze che li determinano. Da unaserie di studi è emerso un ruolo influente dei diversi gruppietnici nel definire quello che è, a seconda delle situazioni,l’interesse nazionale che, a sua volta, determina la presa diposizione del Governo sulle più disparate questioni di carattereinternazionale.

Differenti opinioni sono state espresse relativamente alcontesto americano: alcuni studiosi comeArthur Schlesinger Jr. o Samuel Huntingtonhanno descritto le cosiddette lobbies etnichecome degli attori estremamente influenti e,dunque, potenzialmente dannosi tanto perla politica estera statunitense, quanto perl’interesse nazionale. Al contrario altri, comeMichael Clough e Yossi Shain, consideranol’influenza di tali gruppi moderata e, comunque,

benefica in quanto promotrice degli interessi americani all’estero 2.Da quanto detto finora emerge chiaramente che le città

nelle quali viviamo stanno scoprendo sempre più il propriocarattere multiculturale, che non può certo essere ignorato. Ilnecessario processo di ricostruzione della cittadinanza dovrà,infatti, permettere la convivenza pacifica tra gruppi culturalmenteed etnicamente eterogenei.

Nel corso della storia, la cittadinanza e i diritti che ne derivanohanno subito un’evoluzione, essendo stati definiti in base alrapporto con lo spazio – inteso in senso politico, sociale egeografico – cui si riferivano: rispettivamente, la polis, lo Stato,il mondo. Ciascuno di questi spazi ha proprie caratteristiche:1) la polis può essere considerata come la radice stessa dellacittadinanza, in quanto solo chi vi nasce è cittadino; 2) lo Statomoderno, invece, ha tratto la propria origine da un contrattofra individui, basato sul riconoscimento del diritto di ognuno e sul

La costruzione di unanuova cittadinanza passa per la convivenza pacifica fra i gruppi culturalmente ed etnicamente eterogenei che vivono nelle nostre città

2 Cfr. H. S. Gregg, Divided They Conquer: The Success of Armenian EthnicLobbies in the Uni ted States , paper presentato a l meet ing annualedell ’American Polit ical Science Association, Boston, August 28, 2002, p.V

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necessario rispetto del diritto altrui: anche la cittadinanza avrà,dunque, in tale contesto, un’origine contrattualistica; 3) il mondoè alla base del diritto di cittadinanza che si rifà all’idea dicosmopolitismo, la quale era considerata una mera utopiafino a pochi anni fa, mentre oggi appare come un obiettivoconcreto da raggiungere, dati i processi di “mondializzazione” inatto 3. Questi ultimi hanno prodotto una crescente consapevolezzadel fatto che tutti viviamo in un “villaggio globale” 4, semprepiù privo di frontiere di qualunque tipo; conseguentemente,ciò rimette in discussione l’essenza stessa dello Stato, intesocome organizzazione politica che esercita la propria sovranitàsu un territorio chiaramente delimitato. Come ha scritto JeremyRifkin “lo spostamento dall’ambito geografico al cyberspazio,dal capitalismo industriale a quello culturale, dalla proprietàall’accesso, è destinato a provocare un radicale ripensamentodel contratto sociale. […] l’accesso sta diventando un potentestrumento concettuale per riformulare una visione del mondoe dell’economia, ed è destinato a diventare la metafora piùefficace della nuova era” 5.

Di fronte a questa situazione di fatto, sorge la necessità didiscutere e ripensare la nozione di multiculturalismo, fondatasull’idea liberale di tolleranza e sulla centralità accordata al dirittoall’autoaffermazione di ciascuna comunità, in base alla propria

specifica identità, che Zygmunt Baumandefinisce come l’“ideologia della fine dell’ideo-logia”. Il suo successo sarebbe il frutto di duetrasformazioni legate al carattere “liquido”e deregolamentato della società moderna: il“disimpegno quale nuova strategia di poteree dominio” e l ’“eccesso quale odiernaforma di sostituzione della regolamentazionenormativa” 6. Il sociologo polacco vede nel

multiculturalismo una forza conservatrice, poiché “il suo effettoè una ridefinizione delle ineguaglianze, qualcosa che difficilmente

È necessario ripensare l’idea di multiculturalismo,fondata sulla nozioneliberale di tolleranza e sulla centralità del diritto alla propria identità

3 Cfr. A. Tosolini, Identità, diversità, pluralità. La città in prospettiva multiculturale,in K. F. Allam, M. Martinniello, A. Tosolini, La città multiculturale: identità, diversità,pluralità, Emi editore, Bologna, 2004, p.174 Cfr. M. McLuhan, Understanding Media: The Extensions of Man, McGraw Hill,New York, 19645 Cfr. J. RIifkin, L’era dell’accesso, Mondadori, Milano, 2000, p. 206 Cfr. Z. Bauman, Voglia di comunità, Editori Laterza, Roma-Bari, 2009, p. 121

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susciterebbe l’approvazione pubblica, come ‘differenze culturali’,da rispettare e coltivare” 7.

Per comprendere appieno i termini della questione, ènecessario specificare il contenuto e la portata della nozionedi multiculturalismo e distinguere questo concetto da quellodi pluralismo. Seguendo la riflessione di Giovanni Sartori, èindubitabile che la buona società sia una società aperta, dunquepluralistica, laddove, bisogna ricordarlo, quella di pluralismo

è un’idea già insita nel concetto di tolleranza,così come si è sviluppato dopo le guerre direligione del XVI secolo. “Si capisce chetolleranza e pluralismo sono concetti diversi;ma è anche facile capire che sono intrinse-camente connessi. In questo senso: che ilpluralismo presuppone tolleranza, e quindiche un pluralismo intollerante è un falsopluralismo. La differenza è che la tolleranza

rispetta i valori altrui, mentre il pluralismo afferma un valoreproprio. Perché il pluralismo afferma che la diversità e il dissensosono valori che arricchiscono l’individuo e anche la sua cittàpolitica” 8. Riguardo al multiculturalismo, è necessaria unadistinzione preliminare: se in esso si vede semplicemente unostato di fatto, che descrive la convivenza di più culture all’internodi uno stesso spazio sociale e geografico, allora tale concettonon urta in alcun modo con una visione pluralistica dello stesso.Nel caso in cui, invece, esso sia considerato come un valoreda affermare ed, eventualmente, imporre, ciò lo pone inevitabil-mente in contrasto con il pluralismo. Infatti, scrive Sartori, nonnecessariamente all’aumento del multiculturalismo corrispondeun parallelo aumento del pluralismo.

La distinzione fondamentale che si può tracciare tra i dueconcetti sta nel modo di porsi di fronte alle differenze. Il pluralismo,infatti, tende ad accettare la situazione di fatto, nel senso cheincorpora una società come tale, sia nel caso di relativa omoge-neità che di eterogeneità da un punto di vista culturale, etnico,linguistico, religioso ecc., senza tentare di uniformare la primao “pluralizzare” la seconda, ma cercando solo di favorire “queltanto di assimilazione che è necessario per creare integrazione”;il multiculturalismo, almeno nella sua seconda versione, sottintende

La distinzione principaleche si può tracciare fra i due concetti di pluralismoe multiculturalismosta nel modo di porsi di frontealle differenze

7 Cfr. Ivi, p.1058 Cfr. G. Sartori, Pluralismo, multiculturalismo e estranei. Saggio sulla societàmultietnica, Bur, Milano, 2007, p.19

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che la diversità sia, di per sé, sempre una cosa buona e, perciò,che vada moltiplicata. In questa accezione, tale concetto si rivelauna negazione del pluralismo, in quanto favorisce l’intolleranza,nega il riconoscimento reciproco e fa prevalere la separazionesull’integrazione 9.

All’interno delle società occidentali, come già accennatoprecedentemente, il problema della convivenza multiculturaleè piuttosto recente e ha messo in crisi l’autocomprensione intermini di omogeneità culturale ed etnica, fulcro del concettomoderno di Stato-nazione. La scoperta di questa eterogeneitàha prodotto spesso reazioni negative, volte alla chiusura della

propria comunità, allo scopo di difenderla epreservarne l ’ identità. Come ha scrittoBauman, “la vicinanza di ‘razze estranee’”può risvegliare, e spesso risveglia, “neglielementi locali un forte istinto di identifica-zione, e le strategie che fanno seguito a taliistinti puntano tutte alla separazione e ghettiz-zazione degli ‘elementi estranei’, il che generaa sua volta un impulso all’autoisolamento e

all’autochiusura del gruppo coattamente ghettizzato” 10. Ne deriva,scrive ancora Bauman, una nozione di comunità che corrispondea “identicità, e ‘identicità’ significa esclusione dell’altro,soprattutto di un altro che si ostina ad essere diverso […]Nella figura dell’estraneo (non semplicemente del ‘non fami-liare’ ma dell’alieno, del ‘fuori-posto’) le paure dell’incertezza,radicate nella totalità dell’esperienza di vita, trovano la tantoagognata e attesa incarnazione. […] Data l’intensità dellepaure, se non esistessero estranei bisognerebbe inventarli.E, di fatto, vengono inventati, o piuttosto costruiti, quotidiana-mente […] le ansie frammentarie e fluttuanti assumono unnucleo solido” 11.

Si può affermare, come ha scritto Alain Touraine, che il terminecomunitarismo descriva situazioni diverse fra loro: in generale,comunitarista è uno Stato che riconosce al proprio interno il peso,non solo politico, dei vari “pilastri” culturali che compongonola società.

In una seconda accezione, si definisce come tale un movimento

9 Cfr. Ivi, p. 56, 5810 Cfr. Z. Bauman, Voglia di comunità, cit., p.10111 Cfr. Ivi, p. 112

Secondo Zygmunt Bauman,la vicinanza degli estranei risveglia l’istinto alla identificazione e genera strategie che tendono a ghettizzare il diverso

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che vuole imporre il proprio monopolio sulla gestione dellerelazioni reciproche tra i membri della comunità, definita in sensoetnico o culturale, e di quelle fra quest’ultima e, rispettivamente,lo Stato e le istituzioni internazionali. A parere di Touraine“questa concezione dell’organizzazione sociale può arrivare finoall’identificazione completa degli individui con una certa comunitàetnica, nazionale o religiosa. Identificazione che definiscetutti gli aspetti del loro modo di vita e perfino la definizionedei loro diritti. Se un governo accettasse che sulle carte diidentità nazionali alcune donne portino un velo islamico o unchador, questo significherebbe per lo Stato avere relazioninon con cittadini, ma con membri di una comunità. Questasituazione estrema sarebbe il segno di un indebolimentogenerale e della sparizione pressoché completa dello Statonazionale”.

Tra questi due tipi di comunitarismo, l’uno limitato, l’altroestremo, ne esiste un terzo che può esseredefinito come “ripiegamento comunitario”:tale espressione indica un atteggiamento dirifiuto della maggioranza, o di una partecospicua della popolazione, nei confrontidegli appartenenti ad alcune comunitàminoritarie. La loro reazione è spesso quelladi “situarsi al di fuori della scala sociale[…] e di contrapporre agli avversari una

definizione qualitativa di se stessi” 12.

Di fronte a questo tipo di manifestazioni di chiusura e rigettodell’altro, governi, opinione pubblica e studiosi si interroganoe dibattono nel tentativo di trovare delle forme positive diconvivenza e integrazione. Storicamente, tale dibattito è statocondizionato dalla polarizzazione di concezioni contrapposte:l’assimilazionismo contro il pluralismo, l’universalismo controil particolarismo, l’individualismo contro il differenzialismo. Nesono derivati, almeno nel contesto europeo, tre modelli dipolitica migratoria: l’assimilazionismo “repubblicano” francese,il pluralismo ineguale britannico e la “precarizzazione istitu-zionalizzata” tedesca.

Il primo si basa sull’idea rivoluzionaria di eguaglianza, per la

Il concetto di “ripiegamento comunitario” inteso come atteggiamento di rifiuto di una parte della popolazionenei confronti dei membridelle comunità minoritarie

12 Cfr. A. Touraine, La globalizzazione e la fine del sociale. Per comprendere ilmondo contemporaneo, Il Saggiatore, Milano, 2008, p. 228

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quale tutti gli individui hanno i medesimi diritti e doveri esono, dunque, uguali davanti alla legge, indipendentementedalla loro etnia, confessione religiosa e dalle loro praticheculturali. La loro eventuale diversità sotto questi aspetti attieneesclusivamente all’ambito privato della loro esistenza 13. In uncontesto caratterizzato da una presunta omogeneità nazionalee da un forte Stato accentrato, l’ integrazione ha sempre pre-supposto un’assimilazione culturale e linguistica: gli immigratidovrebbero sostanzialmente abbandonare la propria identitàper diventare “buoni francesi” 14.

Il secondo modello rivela una concezione della societàcome “giustapposizione di comunità etniche e culturali incompetizione, se non in conflitto, per il controllo dello Stato.[…] Le identità locali prevarrebbero sull’identità nazionale e ognicomunità rispetterebbe in primo luogo i suoi valori particolari,

rivendicando al contempo il maggior numeropossibile di diritti per gli individui che lacompongono. La diversità culturale e iden-titaria invaderebbe lo spazio pubblico” 15.In altre parole, l’idea di fondo è che gliimmigrati, indipendentemente dal loro Paesed’origine, non potrebbero mai diventare dei“buoni britannici”. Poiché l’immigrazione,in questo contesto, è stata principalmente

il frutto di crisi di varia natura, scoppiate nei Paesi delCommonwealth, essa ha spesso assunto la fisionomia di unfenomeno non individuale ma di massa, il che ha portato altrasferimento di intere comunità di immigrati sul suolo britannico 16.

Infine, il terzo modello è legato al tentativo dello Stato dicontrollare strettamente il livello di integrazione delle minoranze.In Germania, almeno fino agli anni Settanta, l’immigrazione harisposto a un bisogno di manodopera in determinati settorieconomici e industriali, che, senza molte difficoltà, hannoassorbito i lavoratori stranieri, ma la loro assimilazione culturalenon veniva considerata necessaria, dal momento si supponevafossero “ospiti”, residenti a tempo determinato, che prima o poi

Tre concezioni diverse dei modelli d’integrazione:assimilazionismo francese,“pluralismo ineguale”britannico, “precarizzazioneistituzionalizzata” tedesca

13 Cfr. M. Martiniello, Le società multietniche, Il Mulino, Bologna, 2000, p. 4914 Cfr. U. Melotti, Politica e migrazioni, in P. Fantozzi, A. Montanari, Politica e mondoglobale. L’internazionalizzazione della vita politica e sociale, Carocci, Roma, 2008,pp.103-10515 Cfr. M. Martiniello, Le società multietniche, cit., p. 4916 Cfr. U. Melotti, Politica e migrazioni, cit., p.109

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avrebbero fatto ritorno nel loro Paese d’origine 17. Tuttavia, al di làdi questi modelli teorici così diversi tra loro, dai quali, spesso,“le pratiche sociali, politiche e amministrative locali si distanziano”,si può rilevare, nota Marco Martiniello, “una certa convergenzafra le dinamiche politiche e sociali in atto in tutti i Paesi europei”,i quali si trovano a dover affrontare problemi del tutto simili“che rappresentano altrettante sfide da raccogliere” 18.

Il pericolo principale, insito nell’accezione più estrema dimulticulturalismo e conseguente alla negazione del dirittoall’assimilazione, è quello dell’atomizzazione sociale, cioè dellaristrutturazione dello spazio pubblico in una serie di comunitàchiuse e conflittuali o, quantomeno, ostili e incapaci di comunicarein maniera costruttiva; in altre parole della formazione di ghetti.Loïc Wacquant ha descritto il ghetto come un luogo che combinalimitazione spaziale e chiusura sociale: si tratta, dunque, di un

17 Cfr. M. Martiniello, Le società multietniche, cit., p. 5418 Cfr. Ivi, p. 59

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fenomeno al contempo geografico e sociale, che comporta nonsolo una distanza fisica ma anche morale, implicando la nettaseparazione di una comunità omogenea da un punto di vistaetnico-razziale, che si trova al suo interno, dal resto dellapopolazione che vive all’esterno di tale spazio 19. SecondoBauman “è la situazione del ‘senza alternative’, la condizionedel ‘vietato uscire’, che caratterizza l’abitante del ghetto, chefa sentire la ‘sicurezza dell’uguaglianza’ come una gabbia diferro: stretta, opprimente, inevadibile. Tale mancanza di scelta inun mondo pieno di persone libere di scegliere è una condizioneancor più insopportabile del grigiore e dello squallore di unaresidenza non liberamente scelta” 20.

Dal momento che l’isolamento comunitario si nutre della pauradell’altro, i suoi fautori finiscono per temerne la scomparsa e,quindi, tendono a mantenere alta la percezione di pericolo, diminaccia da parte della maggioranza dei cittadini. Di conse-

guenza, Bauman sottolinea il valore dellasicurezza, in quanto “condizione necessariadel dialogo tra culture. Senza di essa, cisono poche possibilità che le comunità siaprano reciprocamente e avviino un dialogoche possa arricchire tutte loro e migliorarel’umanità in virtù della loro aggregazione.Se c’è sicurezza il futuro dell’umanità appareradioso” 21. Secondo Jürgen Habermas, per

sfuggire al pericolo del multiculturalismo “estremo”, che siconfigura come un nuovo comunitarismo, si potrebbe “rispolverare”il concetto di semplice tolleranza, nato, come è stato prece-dentemente ricordato, nel contesto delle guerre di religione inEuropa, facendone la base per ripensare a una nozione dimulticulturalismo che non si riduca a una mera giustapposizionedi ghetti 22.

Qui si inserisce il discorso sui diritti culturali. Touraine hascritto che il comunitarismo si contrappone all’idea di cittadinanza,come esercizio di diritti politici all’interno di un Paese democratico,

Secondo il sociologo JürgenHabermas, per sfuggire ai pericoli del multiculturalismo estremo si potrebbe rispolverare il concetto di semplice tolleranza

19 Cfr. L. Wacquant, A Black City Within the White: Revisiting America’s Dark Ghetto,in “Black Renaissance”, 2, 1998, p.14220 Cfr. Z. Bauman, Voglia di comunità, cit., p.11521 Cfr. Ivi, pp.137-13822 Estratto della conferenza “De la tolérance rel igieuse aux droits culturels” ,Sorbonne, Paris, 5 dicembre 2002

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in quanto minaccia le libertà individuali. Tuttavia, “sarebbesbagliato credere che la difesa della cittadinanza contro lecomunità risolva il problema delle minoranze. Per questaragione, al fine di evitare simili malintesi, credo sia più giustoparlare di “diritti culturali”, in modo da costringere le democraziea riflettere su se stesse e a trasformarsi al fine di riconoscerequesti diritti, così come in precedenza si sono trasformate,pur con aspri conflitti, al fine di riconoscere i diritti sociali ditutti i cittadini. I diritti culturali sono infatti positivamente legati aidiritti politici, e di conseguenza alla cittadinanza, contraddettadal comunitarismo” 23. La soluzione proposta da Touraine è,dunque, quella di difendere una concezione il più possibile

aperta di cittadinanza, che riconosca il plura-lismo culturale e religioso, cercando dicombinare l’accettazione dei principi di portatauniversale che sono alla base della modernità(il pensiero razionale e i diritti dell’individuo),con l’idea che non si possa identificare unpercorso univoco e unilineare di moderniz-zazione: “la comunicazione interculturale èil dialogo tra individui e collettività che dispon-

gono, al contempo, degli stessi principi e di esperienze storichedifferenti per rapportarsi gli uni agli altri” 24.

Ma questa unità di “principi” appare assai difficile a realizzarsi,considerate le evidenti diversità culturali, sociali, politichee religiose di cui ogni comunità è portatrice, oggi come nelpassato; né tantomeno sembra possibile richiamarsi a unapresumibile uguaglianza nel diritto, ben sapendo che: “il dirittopuò consistere soltanto, per sua natura, nell'applicazione di unaeguale misura; ma gli individui disuguali (e non sarebberoindividui diversi se non fossero disuguali) sono misurabili conuguale misura solo in quanto vengono sottomessi a un ugualepunto di vista, in quanto vengono considerati soltanto secondoun lato determinato [...]: un operaio è sposato e l'altro no; unoha più figli dell'altro, [...] uno è più ricco dell'altro, e così via.Per evitare tutti questi inconvenienti, il diritto, invece di essereuguale, dovrebbe essere disuguale” 25. Non a caso, queste“aspirazioni”, del tutto occidentali, a considerare come

Alain Touraine propone di difendere una concezione “aperta” della cittadinanza che riconosca il pluralismo e i principi universali su cui si basa la modernità

23 Cfr. A. Touraine, La globalizzazione e la fine del sociale, cit., p.19224 Cfr. Ivi , p.23825 K. Marx, Crit ica al programma di Gotha , Editori Riunit i , Roma, 1990

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“universali” certi principi, sono continuamente smentite neifatti, come d'altronde il ripensamento (fortunatamente, nonsui principi espressi, ma sull’affermazione della loro validitàuniversale come fondamento) sul “diritto dei diritti” sembraaffermare chiaramente. D’altra parte, la teoria kantiana del dirittocosmopolitico, “può essere considerata come la conclusionedel discorso sin qui condotto sul tema dei diritti dell'uomo einsieme il punto di partenza per nuove riflessioni” 26, specie inmateria di multiculturalismo come momento dialettico costruttivo.Appare, dunque, evidente, prima ancora di guardare al prossimofuturo, la necessità di costruirlo giorno dopo giorno attraverso ilricorso al “diritto dei diritti” come processo di riconoscimentodell'altro, e all'instaurarsi di un rapporto empatico tra gli individuiappena “mediato” dal diritto generale.

Se è vero che i diritti umani sono frutto di un processo diapprendimento, come in effetti è, allora l’unica funzione del dirittosarà quella di dover fornire dei criteri di carattere generale.L’uomo in sé, come individuo pensante e agente, nell’incontrocon l’altro e nella sfida dell’affermarsi di una cultura dellanon-violenza, forniranno la strada da intraprendere: se avremoil coraggio di seguirla e la capacità di comprendere comecostruirla, insieme.

26 N. Bobbio, L'età dei diritti, Einaudi, Torino, 1997; cfr. I. Kant, Per la pace perpetua,Feltrinelli, Milano, 2006

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Città etniche al centro dell’Europa

di Andrea FamaErnst & Young - Financial and Business Advisor per il servizio di assistenzatecnica del Fei

Tra le iniziative finanziate dal Fondo europeo per l’integrazione dei cittadini di Paesi terzi alcune sono rivolte al miglioramento della gestione della diversità nei quartieri, per promuovere la creazionedi aree urbane in grado di garantire l’inclusione

Dal quadro delle politiche macro-europee emerge la centralitàdella dimensione locale in materia di integrazione dei cittadini diPaesi terzi. In questo contesto, la città rappresenta il laboratorionaturale per l’attuazione di tali politiche, nonché l’unità dimisura di base per la valutazione delle prassi adottate e perla sperimentazione di pratiche a loro volta esportabili anche alivello nazionale e comunitario.

La città del ventunesimo secolo si compone di nuove enumerose sfumature, si arricchisce di stimoli e si prepara adaffrontare le criticità derivanti dal carattere sempre più multiet-nico che va assumendo. La città etnica come un organismocomplesso, dunque, in divenire, il cui corretto “funzionamento”dipende anche dal rispetto di regole e principi comuni.

A tale proposito, i Principi fondamentali comuni (Pfb) dellapolitica di integrazione degli immigrati nell'Unione Europeasostengono “la partecipazione degli immigrati al processodemocratico e alla formulazione delle politiche e delle misuredi integrazione, specialmente a livello locale” (Pfb 9), nonché“l’inclusione delle politiche e misure di integrazione in tutti ipertinenti portafogli politici e a tutti i livelli di governo e di serviziopubblico” (Pfb 10).

La Commissione Europea rilancia quanto già espresso attra-verso l’adozione dei Principi fondamentali comuni, sviluppandodei Moduli europei sull’integrazione dei migranti. Si tratta di unnuovo strumento, il cui obiettivo – che si basa su iniziativeprecedentemente sviluppate quali i Principi di base comuni eil Manuale per l’integrazione – è quello di rafforzare ulteriormente

Fra i principi fondamentali comuni della politica di integrazione degli immigrati UE c’è il sostegno alleiniziative di partecipazionea livello locale

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l’apprendimento reciproco tra gli Stati membri e di concertare leazioni all’interno dell’Unione Europea.

Uno dei moduli fa ancora leva sulla “Partecipazione attivadei cittadini immigrati a tutti gli aspetti della vita della collettività”,evidenziando l’importanza della dimensione locale. “I Principifondamentali comuni”, si legge nella nota di presentazionedel modulo, “affermano che l'interazione frequente di immigratie cittadini degli Stati membri è un meccanismo fondamentaleper l'integrazione. Forum comuni, il dialogo interculturale, l'edu-cazione sugli immigrati e la loro cultura, nonché condizioni divita stimolanti in ambiente urbano potenziano l'interazione traimmigrati e cittadini degli Stati membri (Cbp 7)”. Gli elementiche caratterizzano lo sviluppo del modulo sono il dialogointerculturale o religioso, la partecipazione sociale e politica,e la cittadinanza.

L’Europa attira l’attenzione degli Stati membri anche su unulteriore spaccato della vita dei cittadini immigrati nelle nostrecittà: i diverse neighbourhood. Letteralmente “quartieri diversa-mente etnici”, sono le aree urbane in cui si concentra il maggioretasso di multietnicità. “Quartieri ghetto”, li chiama qualcuno;espressione brutale che riflette la segregazione residenzialeche spesso lacera le città. Altri, invece, intendono queste areequali fucine per un nuovo sviluppo urbano, richiamando il fonda-mentale apporto economico, professionale e demografico fornitodai cittadini immigrati ai Paesi di accoglienza.

A tale proposito, un recente studio della European Foundationfor the Improvement of Living and Working Condition sulla“Qualità della vita nei quartieri diversamente etnici” (disponibilesul sito www.eurofound.europa.eu) analizza le condizioni di vitadei cittadini immigrati in 15 Paesi europei. Oltre a rilevare sogliedi povertà ed esclusione maggiori nelle aree in questione, lostudio evidenzia la necessità di politiche sociali integrate inmateria di alloggi, affiancate dal coinvolgimento attivo dellecomunità locali.

Tra le misure adottate dall’Europa per far fronte a tali criticitàe favorire l’integrazione dei cittadini immigrati nel tessuto socialedegli Stati membri – anche attraverso azioni che coinvolgonodirettamente le comunità locali – vi è il Fondo europeo perl’integrazione dei cittadini di Paesi terzi (Fei).

Il Fei si pone quale strumento operativo per dare attuazionealle politiche e agli obiettivi finora menzionati. A tale proposito,la programmazione comunitaria per il 2011 prevede una specificaazione rivolta proprio al miglioramento della gestione della

Il focus dell’Europa sui diverseneighbourhood,le aree urbane in cui si concentra il maggiore tasso di multietnicità.Quartieri-ghetto o fucineper un nuovo sviluppo urbano?

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diversità nei quartieri, promuovendo la creazione di aree urbanein grado di garantire l’inclusione, nonché l’adozione di iniziativevolte a sostenere la partecipazione dal basso.

Anche la programmazione pluriennale e i singoli programmiannuali varati dall’Italia hanno sempre promosso azioni dimediazione sociale e promozione del dialogo interculturale inambito locale. Nello specifico, tale azione intende facilitare laconvivenza e il confronto costruttivo tra differenti etnie e culture,promuovendo la conoscenza reciproca, la gestione e la media-zione dei conflitti, quali condizioni essenziali per l’integrazionedei cittadini immigrati nelle società ospitanti.

Nell’ambito degli interventi di mediazione sociale finanziatia valere sul Programma annuale appena avviato, sono statefavorite iniziative con un focus specifico sulle zone di maggioreconcentrazione della presenza straniera – caratterizzate dacondizioni di disagio sociale e da fenomeni di criticità nellaconvivenza comune – e segnatamente sui territori che sonostati teatro di episodi di intolleranza generati dalla difficileconvivenza civile tra comunità straniere e società ospitante.

In particolare, l’azione è stata mirata a sostenere interventidi mediazione sociale e gestione dei conflitti in ambito localee urbano, attraverso modalità di progettazione partecipataper la risoluzione delle criticità, la realizzazione di eventiaggregativi e di partecipazione, nonché di iniziative checontribuiscano a migliorare la qualità della vita sociale deiquartieri, in un’ottica di sicurezza urbana integrata.

Focus sui progetti FeiComune di Venezia - Altrimenti nella città

Il progetto “Altrimenti nella città”, attuato dal comune diVenezia nei territori del capoluogo veneto e del comune diPadova, ha affrontato il tema dell’abitare e della convivenzanegli spazi urbani a forte concentrazione di persone immigrate.

Sono state realizzate azioni in tre ambiti principali di intervento:la mediazione sociale dei conflitti, sia a livello abitativo che

di comunitàl’informazione e l’accompagnamento all’abitare, sia dal punto

di vista dell’accesso all’alloggio che della conoscenza e delrispetto delle regole legate all’uso di un’abitazione

la creazione di reti locali sui temi dell’abitare, con particolareriguardo alla mediazione abitativa.

In un anno di attività sono stati formati oltre 50 operatoripubblici e privati sulla mediazione dei conflitti; sono stati attivatisportelli per la mediazione abitativa e unità mobili di strada di

I programmi pluriennali del Fei e quelli annuali varatidall’Italia hanno sempresostenutoazioni di mediazione sociale e promozione del dialogo interculturale a livello locale

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facilitatori interculturali, che hanno registrato più di 1.500 accessi;sono stati realizzati incontri informativi sulla vita in condominioe sull’uso della casa che hanno visto la partecipazione di 350cittadini italiani e immigrati. Inoltre sono stati pubblicati opuscoliinformativi, guide multilingue, un manuale sulle buone pratichee una ricerca sull’uso degli spazi urbani. Ed è stato creato un sitointernet – www.progettomediazione.it – dal quale è possibilericavare informazioni sul progetto e scaricare i documentirealizzati.

Il lavoro avviato a valere sull’annualità 2009 del Fondoeuropeo per l’integrazione proseguirà dopo l’estate, nel quadrodel nuovo progetto Fei di recente approvazione (“Mediare.Com:percorsi di comunità attraverso la mediazione”). Tutti gli sviluppidel nuovo progetto potranno essere seguiti tramite il sito internet.

Comune di Perugia - Diritti e culture in cittàMettere a sistema azioni di mediazione sociale rivolte alla

popolazione immigrata e di animazione territoriale per la comunità,al fine di promuovere l’integrazione e il maggiore coinvolgimentodei cittadini stranieri e delle loro organizzazione nella vita deiquartieri. È questo l’obiettivo del progetto del comune di Perugia“Diritti e culture in città”.

Con il primo intervento è stata potenziata l’azione deglisportelli di Frontiera lavoro presso gli Uffici della cittadinanzaper informare e orientare i cittadini stranieri e coinvolgerli inoccasioni di formazione e di confronto. La seconda azione,realizzata sugli stessi territori della prima, ha inteso realizzareiniziative di animazione territoriale volte a promuovere il dialogointerculturale. L’obiettivo generale degli interventi è stato quellodi favorire la partecipazione alla pari e lo scambio tra cittadinistranieri e autoctoni, con il doppio fine di far conosceremeglio il territorio agli immigrati, sostenendo dunque processidi identificazione e di appartenenza, e, contemporaneamente,di promuovere la conoscenza dei “vicini di casa” da partedegli autoctoni, al fine di abbattere forme di pregiudizio emeccanismi di stereotipizzazione.

Il progetto, infine, ha previsto un’ulteriore azione di infor-mazione e di orientamento per i cittadini italiani sulle culturedi provenienza degli stranieri, che si è tenuta sempre sui territoridi competenza degli Uffici della cittadinanza e presso un centrodi accoglienza cittadino.

Le iniziative di “Diritti e culture in città” hanno coinvoltocirca 3.000 cittadini tra stranieri e italiani. I cittadini immigratiche hanno preso parte alle attività progettuali fanno parte di un

Il progetto “Diritti e culturein città”del comune di Perugia,tra azioni informative,rafforzamento degli sportelli di servizio e iniziative di animazione territoriale

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nucleo familiare con una presenza di medio-lungo periodo inItalia. È stata riscontrata una sostanziale parità di presenze tracittadini di sesso maschile e femminile, con una percentualedi partecipazione di cittadini stranieri pari al 58,2%. I Paesi diorigine dei partecipanti variano in base al territorio in cui sonostate realizzate le distinte iniziative e rispettano le caratteristichedei diversi insediamenti presenti nella città di Perugia, con unaprevalenza di cittadini provenienti da Marocco, Albania, Nigeria,Perù ed Ecuador.

Comune di Rosarno - Diversamente … insiemeL’obiettivo del progetto “Diversamente … insieme”, realizzato

dal comune di Rosarno, è quello di facilitare la convivenza eil confronto costruttivo tra i cittadini rosarnesi e le diverse etniee culture dei migranti che risiedono nel territorio, intervenendonella gestione e nella mediazione dei conflitti e promuovendola conoscenza reciproca quale condizione essenziale per l’inclu-sione dei cittadini immigrati che stabilmente e stagionalmentesono ospitati dalla comunità rosarnese. Il progetto ha intesopromuovere la conoscenza e l’accettazione reciproche sfruttandoil cinema e la cucina quali ambiti privilegiati per il dialogo e loscambio interculturale.

“Diversamente al cinema” consiste nella realizzazione diuna rassegna cinematografica interculturale sulle tematichedell’emigrazione e dell’integrazione e/o sulle diverse realtà deiPaesi di provenienza degli immigrati. La rassegna si è svoltapresso l’auditorium comunale e prevede 16 proiezioni cheverranno introdotte da esperti del mondo del cinema.

“Diversamente in cucina” è una fase progettuale che havisto il coinvolgimento di 40 donne, 20 immigrate e 20 locali,unitamente agli operatori del mondo del volontariato, del settorepubblico e del settore ristorazione. Ciascun corso di cucina si èrivolto a un massimo di 10 partecipanti e ha previsto lezioniteoriche ed esercitazioni pratiche sulle diverse tradizioni culinarie.I corsi si sono svolti con cadenza quindicinale, culminandonell’organizzazione di serate di degustazione a tema. Le eser-citazioni hanno impegnato i partecipanti inizialmente nellasperimentazione di tecniche e ricette base, e in seguito nellapreparazione di piatti tipici concordati tra corsisti e docenti. Ipiatti realizzati in ogni serata sono stati offerti alla mensa dellaCaritas per la cena di circa 80 ospiti, quasi tutti immigrati. Ilprogetto si è concluso con una manifestazione pubblica cheha visto la presentazione di piatti etnici realizzati in seno alleattività progettuali.

“Diversamente…insieme”è il nome dell’iniziativa portata avanti dal comune di Rosarno in Calabria,che mira a facilitare il dialogo interculturale attraverso due ambiti di incontro e di scambio:il cinema e la cucina

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Con Decisione del 13 settembre C(2011)6455, la Commis-sione europea ha approvato il Programma annuale (Ap) 2011del Fondo europeo per l’integrazione dei cittadini di Paesiterzi (Fei). Il Programma, definito sulla base di un’ampiaconsultazione a livello nazionale e territoriale, garantiscecontinuità e coerenza con quanto pianificato e realizzatonelle quattro precedenti annualità di attuazione del Fondo.L’Ap 2011 è conforme agli orientamenti strategici comunitariin materia di integrazione e alla programmazione pluriennaleapprovata all’Italia per il Fei e intende svilupparne gli obiettivispecifici. Per l’attuazione dell’Ap Fei 2011, la Commissioneeuropea ha attribuito all’Italia un co-finanziamento pari a27.136.905,22 euro. La Decisione di approvazione delProgramma annuale fissa al 30 giugno 2013 il termine ultimoper la realizzazione dei progetti finanziati a valere sull’annualità2011. Gli avvisi pubblici per la presentazione di progetti finan-ziati dall’Ap 2011 saranno pubblicati nei prossimi mesi.

La Commissione europea approvail Programma annuale 2011 del Fei

Programma annuale-Piano finanziario indicativo -Tabella 1: Piano finanziario d’insieme

(in Euro - prezzi correnti) Rif. Rif. Contributo % azione/contribpriorità priorità comunitario comunitario disp

specifica

1. Formazione linguistica ed educazione civica 1 2 - 3 13.500.000,00 49,75%

2. Orientamento al lavoro e sostegno all’occupabilità 1 2 - 3 1.875.000,00 6,91%

3. Progetti giovanili 1 2 - 4 - 5 3.375.000,00 12,44%

4. Promozione dell’accesso all’alloggio 1 2 1.350.000,00 4,97%

5. Informazione, comunicazione e sensibilizzazione 1 4 - 5 1.125.000,00 4,15%

6. Mediazione sociale e promozionedel dialogo interculturale 1 4 - 5 2.250.000,00 8,29%

7. Sistema di valutazione delle politiche e degli interventi di integrazione 2 - 400.000,00 1,47%

8. Capacity building 3 - 1.750.000,00 6,45%

9. Scambio di esperienze e buone pratiche 4 - 396.429,01 1,46%

10. Assistenza tecnica - - 1.115.476,21 4,11%

Totale 27.136.905,22 100,00%

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Cooperazione europea e sistema comune di asilo:iniziative e proposte

di Enzo RossiCentro di ricerche economiche e giuridiche (Creg), Università di Roma “Tor Vergata”

Il principale problema irrisolto è quello della ripartizione degli oneri dell’acccoglienza fra gliStati membri. I limiti di Dublino II si possono superare con un approccio cooperativo che tenga conto anche della volontà del rifugiato

La cooperazione europea in campo di asilo ha mostrato,anche di recente, di non funzionare in modo ottimale e di nongenerare politiche e azioni veramente efficaci1. Il vero problemairrisolto, che frena la costruzione di un autentico sistema europeocomune di asilo, è quello della ripartizione degli oneri dell’acco-glienza fra gli Stati membri, sul quale in passato sono emerseposizioni divergenti.

Il sistema di burden sharing, così come rappresentato nelcosiddetto sistema Dublino II, esclude esplicitamente la ripar-tizione fisica dei richiedenti asilo fra gli Stati membri, mentre èprevista una perequazione finanziaria, effettuata per mezzodei Fondi Fer (Fondo europeo per i rifugiati) a compensazionedei costi affrontati dagli Stati. Questi principi sono stati mantenutinel programma quinquennale UE di Stoccolma del 2009, inmateria di libertà, sicurezza e giustizia, che, per quanto attienealle politiche di asilo, assume formalmente il sistema Dublinocome un cornerstone dell’intero processo. Il Programma pone fragli obiettivi quello della costruzione di un Common EuropeanAsylum System (Ceas), per il quale è stata costituita unaAgenzia Europea, l’Easo (European Asylum Support Office),cui sono state conferite opportune deleghe.

1 Questa nota sintetizza alcuni risultati di una ricerca pubblicata nel volume “I rifugiatiin Italia e in Europa: procedure di asilo fra controllo e diritti umani”, di Enzo Rossie Luca Vitali, Giappichelli, Torino, 2011. Alcuni risultati della ricerca sono riportati inquesto numero di libertàcivili nella sezione Documentazione. Per contattare l’autore:[email protected]

Il sistema del burden sharingesclude la ripartizione fisica dei richiedenti asilo fra gli Stati membri,prevedendo invece la perequazionefinanziaria

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In coerenza con l’asserita centralità del sistema Dublino,queste deleghe riguardano prevalentemente l’armonizzazionee omogeneizzazione delle procedure di esame delle domande.A tal fine, Easo ha il compito di creare curricula comuni e di altostandard per l’esame delle domande, definire percorsi formativicomuni, implementare un sistema informativo sui Paesi di prove-nienza dei rifugiati (Coi, Country of Origin Information) percoadiuvare le decisioni sulle richieste di protezione.

Sicuramente queste misure di armonizzazione e omogeneiz-zazione potranno contribuire a rendere più equo e funzionale ilsistema di asilo europeo, con una diminuzione del fenomenodell’asylum shopping (cioè della presentazione delle richiestenegli Stati ritenuti più benevoli) e quindi dei movimenti secondaridei richiedenti asilo fra i diversi Stati europei. Tuttavia, nonriteniamo che esse siano sufficienti a instaurare un efficacesistema di asilo. La riluttanza degli Stati, chiaramente dimostrata,a prendere in carico quote di rifugiati, sia nella normalità deiflussi, sia in occasione di movimenti eccezionali e massicci,conduce, nella nostra visione, a comportamenti non cooperativiche rendono meno efficace la gestione dell’intero processo.Nelle note che seguono intendiamo esaminarne in sintesi i motivi,riportando anche le proposte per superarli, per un maggiorrispetto dei diritti dei richiedenti asilo e, insieme, per una piùefficace gestione del processo migratorio in Europa.

Il problema del burden sharingIl sistema Dublino, da quanto sommariamente richiamato,

appare già di per sé poco cooperativo. Esso esprime la volontàdegli Stati di non assumersi l’onere della presenza fisica deirifugiati, oltre quelli che varcano in prima battuta le loro frontiere.Questo sistema, evidentemente, intende lasciare agli Stati difrontiera il carico maggiore. La Germania, in verità, negli anniOttanta e Novanta, in seguito alle guerre nella ex-Jugoslavia ein relazione a eventi socio-politici verificatisi in Asia, è quella cheha registrato gli oneri maggiori.

Negli anni Novanta, in occasione della sua presidenzaeuropea, la Germania propose la riallocazione fisica dei rifugiatifra gli Stati, configurando anche possibili indicatori per stabiliredelle quote, basati su popolazione, ampiezza del territorio, Pile altri fattori più complessi. Tali “indicatori di capacità” sonotuttora riportati, ad esempio, nelle statistiche del Unhcr, ma solocome riferimento, poiché non hanno mai trovato applicazione. Ilmotivo risiede nella contrarietà degli Stati. Apparve chiaramenteuna propensione a lasciare il carico dei flussi dei rifugiati al

Tra i limiti del modello Dublino II c’è quello di lasciareagli Stati di frontiera il carico maggiore nella gestionedei rifugiati

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Paese che per sorte ne fosse destinatario. Attualmente, adesempio, i Paesi mediterranei e alcuni del Nord-Europasopportano un peso maggiore che non in passato.

Il sistema Dublino 2 segna in sostanza un compromesso fraquesti tentativi di cooperazione. Si pensò di risolvere il problemacon trasferimenti finanziari, i fondi Fer appunto, che potesseroricompensare gli Stati per le spese sostenute. Nel contempo,si creava un sistema di rilevazione delle impronte digitali,Eurodac, per l’individuazione dello Stato di ingresso competente

2 La Convenzione di Dublino (Regolamento 2725/CE/2000 del Consiglio, poimodificato dal Regolamento 407/CE 2002) è confluita nel 2003 nel Regolamentoeuropeo 343/2003/CE, cosiddetto “Regolamento Dublino II”. Per questo e altri riferimentinormativi si veda il libro di Sandra Sarti (2010), L’Italia dei rifugiati

Grafico 1. Quote di richiedenti asilo di alcuni Paesi europei (% richieste d’asilo su totale di richiested’asilo in Europa)

Fonte: elaborazioni Creg -Tor Vergata su dati Unhcr (Alto commissariato Onu per i rifugiati)

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per l’esame delle domande di asilo. È previsto il trasferimentofisico del richiedente asilo in tale Stato, qualora egli vengasegnalato all’interno dei confini di un altro Stato europeo.

In verità, il sistema Dublino ha mostrato carenze e inefficienzeche ne impediscono il corretto funzionamento. La stessaCommissione europea, in varie relazioni, ha rilevato più voltetali incongruenze, lamentando il numero di trasferimenti nonrispondente ai casi segnalati e, soprattutto, la carenza e i ritardidi inserimento dei dati da parte di alcuni Stati, segnatamentealcuni Stati della frontiera Schengen.

In contemporanea con il varo del sistema Dublino, e cioèdall’inizio degli anni 2000, si assiste all’assunzione di misurerestrittive da parte dei principali Stati europei. Il grafico 1 mostrachiaramente come, ad esempio, la Germania sia passata a numeridi rifugiati decisamente più contenuti che non in precedenzae come sia ora la Francia quella che assume il carico maggiore.

Le misure restrittive consistono – ad esempio nella classi-ficazione di Thielemann (2004) – soprattutto nella clausola di“Paese di origine o di transito sicuro”, in esami più severi delledomande, con un recognition rate 3 più basso 4, nell’inasprimentodegli standard di accoglienza e di integrazione, con fini dissuasivi.Le misure restrittive provocano un trasferimento della respon-sabilità dell’accoglienza ai Paesi vicini (si veda su questo i datidella ricerca nella sezione “Documentazione e statistiche”).Esse sono assunte bilateralmente con i Paesi di provenienza edi transito, al di fuori di qualsiasi schema di concertazioneeuropea. Accordi bilaterali sono incentivati nel Programma diStoccolma come strumento di razionalizzazione del processomigratorio, ma sussistono preoccupazioni sulle risposte dialcuni Stati 5. Si hanno scarse informazioni sull’equità dell’esamedelle domande di asilo nei safe third countries 6, nonché sulle

3 Il recognition rate misura il grado di accoglimento delle richieste di asilo ed è riportatodall’Unhcr nelle sue statistiche4 Nella nostra ricerca (v. in questo numero la sezione Documentazione e statistiche)non abbiamo trovato riscontro di questi comportamenti5 Ad esempio la conclusione nr.40 del Comitato Esecutivo del Unhcr6 In Francia l’Ofpra (Ufficio francese per la protezione dei rifugiati) ha elaborato, apartire dal 2005, una lista di safe countries che secondo diversi osservatori appareeccessivamente ampia, in quanto include paesi quali Benin, Ghana, Mali, India, Senegal,Georgia, Ucraina, Bosnia e Croazia. La conseguenza è stata una drastica riduzione(circa l’80%) delle domande di asilo provenienti da questi Paesi. Anche nel Regno Unito,l’adozione di misure restrittive per la concessione della protezione dei richiedentiasilo si è basata sull’introduzione di procedure accelerate e sul principio di safe countryof origin e soprattutto di safe third country in virtù del quale la domanda di asilodovrebbe essere processata nel primo Paese “sicuro” raggiunto dal migrante

A partire dal 2000 gli Stati hanno adottato misure più restrittive per la concessionedell’asilo:esami più severi delle domande,tasso di accoglimentopiù basso,inasprimentodegli standard di accoglienza

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condizioni materiali di accoglienza e sulle possibilità di inte-grazione offerte ai rifugiati in tali Paesi. Si tratta spesso di Statiafricani, oggetto di critiche da parte di organismi internazionali,istituzionali e non. Nelle nostre interviste a rifugiati ospitati neiCara (Centri di accoglienza per i richiedenti asilo), abbiamoricevuto notizia di violazioni di diritti fondamentali subite inalcuni dei Paesi in cui gli intervistati erano transitati.

Il numero di rifugiati accolti in Europa appare notevolmentediminuito rispetto agli anni Ottanta e Novanta. Anche se ciòè in parte spiegabile con l’evolversi dei fattori che provocanoi flussi dei rifugiati, rimane il fatto che le misure restrittive ne hannonotevolmente mutato la distribuzione fra gli Stati, aumentando ilgrado di diffidenza reciproca e incoraggiando atteggiamentinon-cooperativi.

Motivi della scarsa cooperazioneAppare quindi necessaria una riflessione analitica circa i motivi

di questa contrarietà ad accogliere i rifugiati. Nella nostra ricercaabbiamo considerato i costi collegabili all’accoglienza dei rifugiatida parte degli Stati. Basandoci anche su dati e commenti contenutiin uno studio del Parlamento europeo (2010), possiamo affermareche i costi diretti e tangibili, cioè i costi meramente monetari,sono trascurabili. Anche il numero dei rifugiati in Europa èveramente scarso, se rapportato alla popolazione, al territorioe al Pil. Argomentiamo che una migliore distribuzione e unaumento dei fondi Fer possono sicuramente aiutare, ma non sonorisolutivi. Altri costi, indiretti, sono i costi sociali dell’accoglienza,in termini di utilizzo delle strutture sanitarie, scolastiche e simili.Anche qui, però, rapportando alle popolazioni europee, i numeriappaiono non rilevanti.

Emergono invece, anche nelle valutazione di studi commis-sionati dal Parlamento europeo (Thielemann et al. 2010), i costipolitici legati alla percezione negativa che popolazioni e governihanno del fenomeno migratorio. Alcuni studi (Neumayer 2004,Thielemann 2004), pongono in relazione le politiche restrittivesui rifugiati con tali percezioni negative. Argomentiamo però chei timori di alcuni Stati di essere particolarmente attrattivi perchépiù ricchi e più grandi, se valgono per i migranti economici sonoeccessivi nei riguardi dei richiedenti asilo, per i quali prevalgonoi fattori della vicinanza geografica e delle organizzazioni dihuman smuggling (si veda anche Thielemann 2004).

Proposte di cooperazioneIn definitiva, gli strumenti comunitari, quelli attuali e quelli

Appare necessaria una riflessioneanalitica sulla generalecontrarietà ad accoglierei rifugiati,soprattutto considerandoi costi limitati che essi comportano eil loro numero scarso in rapporto alla popolazione e al Pil

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previsti dal Programma di Stoccolma, non sembrano sufficientiper promuovere miglioramenti sensibili, a livello cooperativo,del sistema di asilo europeo. Si propone invece, ad esempioda parte del Parlamento europeo (2010), la riallocazione fisica deirifugiati come il mezzo per garantire meglio i diritti umani deirifugiati e rendere effettiva una collaborazione in materia di asilo.

A questo proposito, un precedente normativo importante è laDirettiva 55/2001/CE, che prevede una ripartizione del carico deirifugiati, peraltro solo in caso di eventi eccezionali e massicci,basato su un principio di “doppia volontà”: la disponibilitàdello Stato ad accogliere e la volontà del rifugiato a recarsi in taleStato. Peraltro, la Direttiva non ha mai trovato attuazione (salvoper un numero limitato di rifugiati iracheni nel 2009 e 2010).

Il rispetto della volontà del rifugiato trova spazio nelle proposteche prevedono la riallocazione fisica. Lo schema dell’Unhcralloca la responsabilità allo Stato dove la domanda è presentataper la prima volta. L’Ecre (European Council on Refugees andExiles), più radicalmente, lascia al richiedente asilo la sceltadello Stato responsabile.

Entrambe queste proposte pongono in primo piano lavolontà del richiedente asilo, ma non tengono conto dellavolontà degli Stati ad accoglierli. Per questo motivo, gli estensoridello studio del Parlamento europeo del 2010, pur ritenendoleraccomandabili, si mostrano pessimisti circa le concretepossibilità di attuazione. Si osserva pertanto che un sistemadi ripartizione dovrebbe essere “obbligatorio” per gli Stati. Lanostra opinione è che la “obbligatorietà” di una norma riferitaa Stati sovrani, pur con i vincoli comunitari, non induce icomportamenti desiderati se manca la piena convinzione chei vantaggi della cooperazione sovrastino i costi tangibili eintangibili. Le inefficienze del sistema Dublino ne sono unaconferma. Bisogna invece che si ritrovino vantaggi comuni,per disegnare un sistema condiviso.

Per cercare modelli procedurali adeguati a un’allocazionefisica dei rifugiati, non mancano esperienze effettuate all’internodegli stessi Stati europei. Alcuni hanno applicato principi eprocedure diverse, che tengono conto di fattori di capacitàlocali e, in certi casi, della volontà dello stesso richiedente asilo.La tabella 1 sintetizza queste procedure.

Come si può osservare, alcuni sistemi di ripartizione consideranola volontà del rifugiato e instaurano sistemi di contrattazione perconsiderare la volontà degli stakeholders locali. Nella nostraricerca, anche su queste basi, abbiamo presentato una propostache rispetta il principio della “doppia volontà”. Riteniamo che

Le proposte più recenti dell’Unhcr e dell’Ecre pongono l’accento sulla volontà del richiedente asilo, ma non tengono contodi quella degli Stati

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meccanismi di contrattazione fra gli Stati e fra questi e i richiedentiasilo possano essere efficaci. Le esperienze effettuate all’internodi alcuni Stati europei possono fornire una traccia per un sistemacooperativo siffatto.

In sintesi, si propone un sistema di informazione circa gliStati di destinazione: Country of Destination Information (Cdi).Il Cdi dovrebbe contenere informazioni sulle possibilità diintegrazione presenti nei diversi Stati membri, in termini distrutture di prima e seconda accoglienza e condizioni materiali;sulle condizioni economiche e di lavoro ivi esistenti; sul numerodi richiedenti asilo/rifugiati che in ciascuno Stato membro èpossibile accogliere in modo ottimale; informazioni generalisugli Stati membri.

Le informazioni contenute nel Cdi dovrebbero essere trasmesseal richiedente asilo, mediante l’opera di apposite Commissioni

Tabella 1. Sistemi di ripartizione dei Richiedenti asilo (RA) all’nterno di alcuni Stati europei

Volontà del RA

No

No

n.a.

Completalibertà di scelta per il RA

Completalibertà di scelta per il RA

Stakeholders

Regioni

Laender Kreise(distretti)

Municipalità

Municipalità

Regioni

Informazioni rilevantiper ripartizione

Origine etnica, lavoro, lingua, comunità esistenti, posti disponibili

Non considerate

n.a.

Educazione e vocazionedei RA. Possibilità di lavoro locale

Non previste, ma di fatto: attrattivitàeconomica, reti di connazionali,legami familiari

Sistema di ripartizione

Cooperazione,con criteri numericibasati su indici di capacità

I livello: tra i Laenderin proporzione al numero di abitantiII livello tra i Kreisein proporzione al numero di abitanti

Processo volontario,con contratto decennalecon il Governo centralesu base negoziale

Discussione con il RAcontrattazione con le municipalità.Accordi tra municipalitàe Migration Board

Programma triennalesu base numerica.Coordinamento di OFII(Office Francais de l’Immigration e de l’Integration)

Paese

Regno Unito

Germania

Finlandia

Svezia

Francia

Fonte: nostre elaborazioni da Thieleman et al (2010)

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Cdi, che dovrebbero essere dislocate nei punti di arrivo deirichiedenti asilo in tutti gli Stati membri. L’omogeneità del lavorodelle Commissioni dovrebbe basarsi su un curriculum europeo,che dovrebbe essere studiato da Easo, ampliando i compitiche già gli sono stati assegnati. Si può anche pensare, perrassicurare gli Stati sulla imparzialità delle Commissioni Cdi,che esse siano composte da rappresentati di più Stati membri.Il sistema dovrebbe essere integrato da un’Agenzia europea,avente il compito di stipulare accordi con gli Stati in tema diripartizione dei rifugiati.

Il Cdi dovrebbe essere integrato, a livello informatico, al Coi(Country of Origin Information), per permettere un incrocio frale esigenze specifiche dei richiedenti asilo in base alla prove-nienza, e le possibilità di accoglienza/integrazione presentinei vari Stati membri. Ciò permetterebbe di fornire alleCommissioni Cdi criteri comuni di indirizzo.

Il sistema Cdi/Coi non ha bisogno di “obbligatorietà” neiconfronti degli Stati, perché contiene un principio di contrattazione:la volontà del richiedente asilo viene confrontata con il possibile“interesse” che uno Stato di destinazione può avere ad accoglierloe il risultato di questo confronto viene codificato in un accordovolontario con una Agenzia europea centralizzata. È un sistemadi domanda/offerta, che tiene conto di fattori di integrazione e delladisponibilità di accoglienza di ciascuno Stato.

Pur non ignorando le difficoltà politiche che possono ostacolareun sistema di riallocazione fisica dei rifugiati, osserviamo chequesta appare l’unica strada percorribile per la costruzione diun autentico Ceas (Sistema europeo comune di asilo). Fino aquando gli Stati guarderanno il problema dell’asilo come unproblema nazionale, non sarà possibile una vera cooperazione.

È percepibile, peraltro, che il funzionamento non ottimale ele inefficienze dell’attuale sistema Dublino costituiscono unaperdita di vantaggi per tutti, anche in termini di controllo. Unsintomo grave di questa mancanza di cooperazione è l’inefficienzadel sistema Eurodac. Viceversa, un sistema Eurodac pienamentefunzionante apporterebbe vantaggi non solo in termini di controllodelle migrazioni in generale, ma anche sui fronti intimamentecorrelati della lotta al crimine e al terrorismo, ai quali Eurodacè stato recentemente esteso. In effetti, il Consiglio europeodi Bruxelles del novembre 2004 7 ha posto il problema di un

7 Consiglio europeo di Bruxelles, conclusioni della Presidenza del 4 e 5 novembre2004. DOC 15226/04 del 5 novembre 2004

La propostadi un nuovo sistema di informazione che incroci le istanze dei rifugiati con le possibilità di integrazionepresenti nei diversi Stati membri in termini di strutture di accoglienza e condizioni materiali e di lavoro

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Iniziative e proposte per la cooperazione europea in matera d’asilo

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collegamento del sistema Eurodac con altri dispositivi di sicurezzaquali Sis (Sistema di Informazione Schengen) ed Europol 8. Larecente evoluzione del sistema Frontex, cui si vuole conferire,sia pure in termini limitati, una autonomia sopranazionale, puòcostituire un primo esempio di questa consapevolezza, daestendere anche al campo delle politiche d’asilo.

In conclusione, a nostro giudizio, la costruzione del Ceascomporta la possibilità della ripartizione fisica dei richiedenti asilo,da effettuarsi su basi cooperative volontarie e non “obbligatorie”.Affinché la cooperazione sia possibile, è necessario che gli Statiacquisiscano la consapevolezza, basata su dati relativi e oggettivi,che i costi politici dell’accoglienza dei rifugiati non sono così elevatie che i vantaggi di un sistema comune di controllo prevalgono.Ciò permetterebbe accordi cooperativi incentive compatible. Lacooperazione, in accordo al principio della “doppia volontà”,dovrebbe realizzarsi per mezzo di un duplice livello di contrattazione:fra i richiedenti asilo e gli Stati e fra quest’ultimi e un’Agenziaeuropea, che abbia il potere di stringere accordi pluriennali sulnumero di rifugiati che ciascuno Stato è disposto ad accogliere.Ciò può avvenire solo con una delega della Commissione. Ledeleghe attualmente conferite a Easo non sono sufficienti percostruire il sistema comune di asilo.

8 Con la Decisone 633/2008, è stato anche istituito il Sistema informatico visti, Vis, chepermette controlli più accurati sia alle frontiere esterne che all’interno degli Stati membri

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Commissione Europea, (2007b), Relazionesulla valutazione del sistema di Dublino.

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Riferimenti bibliografici

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Uomini e donne in fuga: il Rapporto 2010 dell’Unhcr

Non sono mai state così numerose, negli ultimi 15 anni, lepersone costrette alla fuga in tutto il mondo: ben 43,7 milioni,quasi come l’intera popolazione della Colombia o della Coreadel Sud, oppure quella della Scandinavia e dello Sri Lankasommate insieme. Fuggono dalla guerra, dall’instabilità interna,dal rischio di restare vittime di crisi che si protraggono da anni,alle quali vanno aggiunte quelle divampate in Nord-Africa eMedio Oriente negli ultimi mesi. E proprio il moltiplicarsi di nuovecrisi – Costa D’Avorio, Libia, Yemen – insieme alla mancataconclusione dei vecchi conflitti è alla base di questo recordstorico.

Questi dati emergono dal Rapporto annuale dell’Unhcr(Alto commissariato Onu per i rifugiati) “Global trends 2010”,presentato a Roma lo scorso 20 giugno.

Gran parte di coloro che fuggono, circa tre milioni, arrivanodall’Afghanistan e vivono in 49 Paesi. Ed è proprio il datosulle destinazioni di queste persone a sorprendere di più.“C’è una falsa impressione che i rifugiati vadano verso Nord– ha dichiarato l’Alto commissario dell’ Onu per i rifugiati,Antonio Guterres presentando il Rapporto – ma in realtà adaccogliere l’80% delle persone in fuga sono i Paesi in viadi sviluppo”. Guterres ha voluto sottolineare come il verosforzo di condivisione delle responsabilità nell’accoglienza èespresso proprio da queste nazioni, invitando tutti i Paesia mantenere i confini aperti, così come hanno fatto Tunisiaed Egitto, nonostante versino in un periodo di transizionedemocratica. E a riprova di questo andamento c’è l’esempiodella Libia: secondo Guterres solo il 2% delle persone infuga è arrivato in Europa, mentre sono un milione quellegiunte in Tunisia ed Egitto.

Dunque molti dei Paesi più poveri del mondo accolgonouna vasta popolazione di rifugiati, sia in termini assoluti siain proporzione ai loro sistemi economici, con le conseguenzeimmaginabili per la stabilità di economie già largamente indifficoltà. Il Pakistan, l’Iran e la Siria ne ospitano il maggiornumero, con rispettivamente 1,9 milioni, 1,1 milioni e un milionedi persone accolte. Il Pakistan risente dell’impatto economicomaggiore con 710 rifugiati per ogni dollaro pro capite del Pilnazionale, seguito dalla Repubblica Democratica del Congo e

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dal Kenya (rispettivamente con 475 e 247). La Germania, ilPaese industrializzato con la più alta popolazione di rifugiati(594mila), accoglie 17 rifugiati per ogni dollaro pro capite del Pil.

Entrando più nel dettaglio, delle 43,7 milioni di personecostrette alla fuga in tutto il mondo, 15,4 milioni sono rifugiati(10,55 milioni sotto mandato dell’Unhcr e 4,82 milioni dicompetenza dell’Unrwa, l’Agenzia dell’Onu per i rifugiatipalestinesi) – ovvero coloro che per timore di persecuzioniper motivi di razza, religione, cittadinanza, opinioni politicheo appartenenza a un determinato gruppo sociale si trovanofuori dallo Stato di appartenenza (in quanto cittadini o apolidiivi domiciliati) e non possono farvi ritorno – mentre 27,5 milionisono sfollati a causa di conflitti interni, ovvero coloro chehanno dovuto abbandonare il proprio Paese o regione d’originea seguito di conflitti armati o situazioni di grave rischio diviolazione dei diritti umani. Circa 850mila, infine, sono richiedentiasilo, per i quali è il Sudafrica a guidare la classifica delledomande ricevute con 180.600, seguita da Stati Uniti (54.300)e Francia (48.100).

Sono situazioni che spesso si trascinano da tempo: ad oggisono 7,2 milioni i rifugiati che vivono in un altro Paese da piùdi cinque anni (distribuiti in 24 nazioni). L’anno scorso, appena200mila dei 15 milioni di rifugiati è potuto rimpatriare (il datopiù basso degli ultimi venti anni), mentre dei 27 milioni di personerimaste nel proprio Paese, hanno fatto ritorno a casa 2,9 milioni(in questo caso è il miglior dato degli ultimi quindici anni).

Infine, un dato significativo riguarda l’anello più deboledella catena: sono 15.500 i minori non accompagnati o separatidalle proprie famiglie che hanno presentato domanda di asilo,la maggior parte proveniente da Afghanistan e Somalia.

Nel complesso l’immagine che il rapporto 2010 consegnaè quella di un drastico cambiamento nell’ambito della protezionerispetto a 60 anni fa, quando l’agenzia Onu per i rifugiati vennefondata. Allora l’Unhcr si occupava di 2,1 milioni di europeisradicati a causa della seconda guerra mondiale. Oggi il lavorodell’agenzia abbraccia più di 120 Paesi e comprende siapersone costrette a fuggire oltre i confini nazionali sia glisfollati all’interno del proprio Paese.

Per quanto riguarda l’Italia, i rifugiati sono 56.397, gli apolidi854, mentre i richiedenti asilo ammontano a 4.076 unità. Sitratta di cifre contenute, in termini sia assoluti che relativi,rispetto ad altri Paesi dell’Unione Europea. Ad esempio in

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Danimarca, Paesi Bassi e Svezia i rifugiati sono tra i tre e i noveogni 1000 abitanti. In Germania oltre sette, nel Regno Unitoquasi quattro mentre in Italia meno di uno ogni mille abitanti.

Alcuni numeri del Rapporto25,2 milioni. Sono le persone che hanno ricevuto protezione

dall’Unhcr nel 2010 (10,55 sono rifugiati, 14,7 sono sfollatiinterni)

12 milioni. È la stima sulle persone senza nazionalitàrelativa al 2010

2 milioni. Sono le persone coinvolte in catastrofi naturaliche hanno beneficiato degli interventi dell’Unhcr nel 2010

22 Paesi. Sono gli Stati che hanno ammesso rifugiati inbase a processi di reinsediamento, in termini assoluti 98.800persone su un totale di 108mila casi presentati dall’Unhcr

44%. È il peso dei minori di 18 anni sul totale dei rifugiati.

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Da beneficiari a “creatori”di welfare:i lavoratori immigratinegli archivi Inps

di Maria Paola NanniDossier statistico immigrazione Caritas/Migrantes

Gli extracomunitari contribuiscono positivamenteal bilancio dell’ente e forniscono un ulteriore valore aggiunto al sistema col lavoro domesticoe l’assistenza alle persone. L’importanza della regolarità e della mobilità occupazionale

In virtù dei principi della territorialità dell’obbligo assicurativoe della parità di trattamento, ai lavoratori di origine immigrata,siano essi comunitari o meno, si applicano le stesse disposizioniassistenziali e previdenziali previste per i lavoratori italiani, almeno

per quanto riguarda le prestazioni a carattereassicurativo, finanziate tramite il versamentodei contributi previdenziali (prestazioni pensio-nistiche e a sostegno del reddito). In linea conqueste prospettive di tutela piena e diffusa,l’Inps, principale ente previdenziale italiano,si trova a svolgere una funzione di sostegnodi grande rilevanza per un lineare e serenoinserimento dei migranti nel mondo del lavoroitaliano, nonché, di riflesso, nell’insieme delle

strutture sociali del Paese.L’Istituto, infatti, garantisce la tutela dei lavoratori non solo in una

prospettiva previdenziale (e non solo con riferimento all’ambitolavorativo), ma accompagna i lavoratori assicurati durante l’interacarriera professionale, intervenendo ogni qualvolta si manifestinosituazioni di particolare difficoltà, legate alla cessazione o allasospensione del rapporto di lavoro (disoccupazione, mobilità,cassa integrazione guadagni…) o anche alla riduzione dellacapacità lavorativa (in caso di invalidità, malattia, ma anchematernità, paternità…).

Ecco quindi che il sistema previdenziale, oltre che garantirele tutele dovute al migrante in quanto lavoratore, ricopre ancheun significativo ruolo di orientamento e di mediazione nel

La funzione dell’Inps nel garantire sostegno ai migrantiper facilitarne l’inserimentonel mondo del lavoro e per accompagnarli nella loro vita professionale

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complesso percorso di confronto, interazione e scambio tra icittadini migranti e il nuovo contesto sociale e istituzionale diriferimento. Ne consegue, tra le altre cose, che i dati raccoltinegli archivi previdenziali, relativi ai lavoratori assicurati pressol’Inps e ai beneficiari delle prestazioni erogate dall’Istituto,permettono di inquadrare in modo organico non solo il ruologiocato dai migranti all’interno del sistema economico-produttivoe occupazionale italiano, ma anche di valutare il loro impattocome utenti del sistema della previdenza sociale: informazionipreziose per ricondurre le percezioni comuni ai “dati” di fatto e,quindi, focalizzare i nodi problematici da sciogliere e le virtuositàda valorizzare.

E sono proprio queste le due principali piste d’analisi chehanno orientato l’impostazione del “IV Rapporto sui lavoratori diorigine immigrata negli archivi Inps”, frutto della collaborazione,ormai continuativa, tra l’Istituto nazionale della previdenza socialee il Dossier statistico immigrazione Caritas/Migrantes.

I migranti nel mondo del lavoro e del welfare:centrali e marginali allo stesso tempo

Nell’insieme, fatta eccezione per gli iscritti alla gestioneseparata, i lavoratori nati oltre i confini dell’UE a 15 per i quali,nel corso del 2007, l’Inps ha registrato almeno un rapporto di lavorosono oltre 2 milioni e mezzo (2.727.254). Un livello di assolutorilievo, che attesta la valenza strutturale che la componenteimmigrata è andata gradualmente assumendo per il buonandamento del sistema occupazionale e produttivo italiano.

Ne dà conto, con maggiore immediatezza, il fatto che questilavoratori incidono per oltre un ottavo (12,9%)sull’insieme degli iscritti negli archivi previden-ziali nel corso dello stesso anno (21.108.368),un valore che varia considerevolmente aseconda della categoria occupazionale diriferimento. I lavoratori di origine immigrata,infatti, non si distribuiscono nei vari settori diattività in modo analogo al resto dei lavoratori,ma seguono specifiche traiettorie di inseri-mento, orientate dalle esigenze del sistema

produttivo nazionale (che solo in determinati ambiti e funzionimanifesta un bisogno di manodopera aggiuntiva) e poi condizio-nate, e in parte “cristallizzate”, anche da fattori di altra naturache finiscono per bloccare la mobilità occupazionale dei migrantie, di riflesso, la stessa flessibilità del mercato del lavoro.

In sintesi, i lavoratori di origine immigrata vengono fortemente

Sono 2.727.254 i lavoratori nati oltre i confini dell’Unione Europea che sono registrati negli archivi Inps,incidendo per quasi il 13% sul totale degli iscritti

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canalizzati negli ambiti che potremmo dire più marginali (almenorispetto all’attrattiva che esercitano sui lavoratori italiani), postialla base della piramide occupazionale e segnati da uno scarsoriconoscimento, tanto sul piano retributivo che su quello delprestigio sociale, per quanto cruciali per l’intero equilibrio delsistema Paese.

Lo attesta, in modo quasi emblematico, la marcata “sovra-rappresentazione” nel gruppo dei lavoratori domestici, che inoltre i tre quarti dei casi sono di origine immigrata, 77,5%(479.133 su 618.032), o anche, seppure in misura più contenuta,

il loro peso sul totale degli operai agricoli odegli addetti all’edilizia, tra i quali copronopiù di un quinto del totale (231.663 su1.032.308: 22,4%; 335.105 su 1.482.803:22,6%), un’incidenza che arriva a un quarto se,nel gruppo degli occupati in edilizia, si restringel’analisi ai soli operai (25,6%). E, d’altra parte,i dati sui livelli occupazionali ci dicono chei lavoratori dipendenti da un’azienda, se diorigine immigrata, in nove casi su 10 ricoprono

ruoli a bassa qualifica (operai: 81,9% del totale; apprendisti:7,4%), un rapporto che tra gli italiani scende a sei ogni 10,a riprova della diversità delle rispettive traiettorie di inserimentooccupazionale.

Non mancano, ovviamente, le ripercussioni sul pianoretributivo. In conseguenza dei diversi modelli di inserimento,infatti, i lavoratori dipendenti di origine immigrata percepisconoretribuzioni mediamente ridotte di quasi i due quinti rispettoagli italiani (-39,9%: 12.121 euro lordi annui contro 20.161),sperimentando, a riprova delle scarse prospettive di mobilitàoccupazionale, un aumento della retribuzione durante l’interacarriera lavorativa dimezzato rispetto ai lavoratori nel lorocomplesso, per cui, a 60 anni, mediamente guadagnano quantoun dipendente d’azienda generico prima dei 40.

Tornando alla distribuzione per macrosettori, i dati Inpsattestano come i lavoratori di origine immigrata in oltre un sestodei casi sono addetti al settore domestico (17,6%, in quasi novecasi su 10 donne: 86,9%), mentre il comparto agroalimentare,considerato nel suo insieme, assorbe un assicurato ogni 10(10,3%). Nel variegato gruppo dei dipendenti dalle aziende delPaese, invece, che raccoglie ben oltre la metà degli assicurati diorigine immigrata (63,2%), prevalgono gli addetti al commercio(26,3%) e, in seconda battuta, all’edilizia (12,3%) e al compartometalmeccanico (8,7%).

Occupano i posti alla base della piramide occupazionale;tre lavoratori domestici su quattro sono immigrati e pesano per un quinto fra gliaddetti agricoli e all’edilizia

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Gli autonomi sono poco più di un decimo del totale (il 6,3% ditutti i lavoratori registrati in questa posizione), attivi per lo piùnell’artigianato (52,1%) e nel commercio (46,3%), ma il loronumero cresce di anno in anno, secondo ritmi piuttosto sostenuti(sono aumentati di oltre la metà tra il 2004 e il 2007: +51,4%),evidenziando la diffusa aspirazione a emanciparsi dalle posizionitendenzialmente “periferiche” in cui i lavoratori migranti si ritrovano“relegati” nel contesto occupazionale italiano. A crescere, però,sono soprattutto commercianti e artigiani, mentre restano contenutii dati relativi all’inserimento dei migranti come autonomi del settoreagricolo (4.804, +9,6% tra il 2004 e il 2007), seppure con unesito opposto a quello rilevato tra gli italiani, tra i quali si registraun decremento speculare, almeno in termini relativi (-9.6%, paria 53mila persone). I coltivatori diretti in Italia, infatti, hannosuperato i 65 anni in più di un caso su 10 (11,1%), con forti diffi-coltà di ricambio generazionale e con gli stessi migranti che soloraramente si fanno carico del subentro, soprattutto in ragione deicosti particolarmente elevati che segnano la fase di avvio.

Resta il fatto che l’inserimento dei migranti in agricoltura, inparticolare come operai agricoli, in largaparte a carattere stagionale (+58,9%, pari a+86mila addetti tra il 2004 e il 2007, a frontedel -2%, pari a -33mila persone, rilevato tragli italiani), è di fondamentale importanza perla stessa tenuta del settore e, quindi, dell’interosistema produttivo nazionale, che proprio nelcomparto agroalimentare trova una delle suepunte d’eccellenza.

I dati quindi ci ricordano come le stesseproduzioni-principe del “Made in Italy” si fondino sull’apportodi lavoratori di origine neo o non comunitaria ai quali, però, avolte, non solo si stenta a riconoscere questo ruolo produttivo diinnegabile rilevanza, ma si fa fatica anche a garantire le tuteledovute. Parallelamente, il massiccio inserimento nel settoredomestico e di cura alla persona, spesso deregolato e schiacciatonell’informalità, sottolinea come i lavoratori immigrati (e le donnein particolare) siamo divenuti un tassello fondamentale per la tenutadel sistema di welfare nazionale, che davanti alla progressivaemancipazione della donna dalla sfera puramente domestica nonè ancora riuscito ad attivare efficaci forme di sostegno alternative.

Ecco quindi che i dati degli archivi previdenziali ci ricordanoanche come i migranti, oltre a contribuire e beneficiare delleprestazioni di protezione sociale erogate a livello istituzionale,vanno parallelamente inquadrati come “creatori” di welfare, quel

Le produzioni principe del “Made in Italy” si fondanosull’apporto dei lavoratori di origine neo o non comunitaria,senza che questo loro ruolo venga riconosciuto

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welfare informale, invisibile, leggero che prende la forma del lavorodomestico e di assistenza alla persona di cui sono gli addettipressoché esclusivi.

D’altra parte, le poche indagini finora condotte sull’impattodei migranti sul sistema di welfare nazionale attestano uncontributo sostanzialmente positivo per le casse statali, con unbilancio costi-benefici in attivo, in quanto la relativa concentrazionedei migranti nelle fasce più svantaggiate e, quindi, potenzialmentepiù rappresentate nel gruppo dei fruitori di servizi di protezionesociale è largamente bilanciata dalla loro scarsa rappresentazionenel gruppo dei beneficiari di prestazioni per la vecchiaia, cherappresentano la principale voce di spesa sociale nel nostro Paese(oltre il 60% di quanto stanziato per la protezione sociale nel 2006).

Non disponiamo di dati aggiornati all’attuale fase di recessionerispetto al loro impatto sul gruppo dei beneficiari delle prestazioni

a sostegno del reddito (a base contributiva)erogate dall’Inps (disoccupazione, mobilità,cassa integrazione guadagni). Sappiamo peròche in un momento di congiuntura positiva,come il 2007, questi si qualificavano più comecontributori che come fruitori del sistemaassistenziale (e previdenziale) gestito dall’Istituto:incidevano mediamente per il 9,3% sui per-cettori di prestazioni a sostegno del reddito, afronte di un’incidenza del 12,9% sul totale

degli assicurati, mentre all’inizio del 2010 il loro impatto sul totaledelle pensioni erogate dall’Inps non arrivava verosimilmenteall’1% del totale (considerato l’impatto delle migrazioni italianedi ritorno, il loro numero si stima intorno alle 110mila unità).

La regolarità del lavoro e la mobilità occupazionale come strumenti di coesione sociale

Nonostante un ricorso ancora relativamente contenuto deimigranti al sistema di welfare, condizionato anche dalle molteplicibarriere di natura giuridica, gli stessi dati Inps attestano la loroparticolare esposizione alle dinamiche della povertà e dell’esclu-sione sociale: ne danno conto emblematicamente le medieretributive prima richiamate, che rimangono basse tanto rispettoa quelle del resto dei lavoratori italiani che rispetto al costo dellavita, sottolineando come la persistenza di modelli di inserimentooccupazionale che vedono gli immigrati fortemente canalizzativerso le posizioni più umili induca, inevitabilmente, percorsi diinserimento socio-economico orientati alla marginalità, tanto piùin considerazione della particolare esposizione al sommerso dei

Il loro contributo al sistema di welfare è positivo: nel 2007 incidevano mediamente per il 9,3% sui percettori di prestazioni, pur essendo il 12,9% degli assicurati

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principali settori di impiego della popolazione immigrata (lavorodomestico, agricolo, in edilizia).

Si pone quindi l’esigenza di individuare, sul piano istituzionale,misure in grado di rispondere adeguatamente alle esigenzesocio-economiche dei lavoratori immigrati e delle loro famiglie,senza per questo innescare dei meccanismi deleteri di competizionecon la popolazione autoctona rispetto all’accesso alle prestazionidi welfare, considerando tutti all’interno di una piattaforma di diritti(e di doveri) il più possibile condivisa, in linea con il principio di paritàdi trattamento che già informa l’approccio del sistema previdenziale.

Su questo piano, l’analisi degli archivi previdenziali mettein evidenza due aspetti sui quali riflettere. Da un lato, emerge laquestione della regolarità dell’occupazione e la relativa garanzia

della copertura contributiva, che, va da sé,rappresentano un fattore di inserimento dicruciale importanza, tanto più per i noncomunitari, visto lo stretto legame che unisceil diritto al soggiorno con la titolarità di unregolare contratto di lavoro (senza contare ibenefici per il bilancio del sistema previdenziale,già sostenuto dai contribuenti immigrati).

Dall’altro, la mobilità occupazionale. Purtutelando le esigenze del sistema produttivo

nazionale, infatti, orientare in senso paritario i processi di inclusioneimplica la capacità di stemperare la rigidità dei modelli di inse-rimento occupazionali fin qui consolidati e quindi di favorire – neltempo – la mobilità dei lavoratori migranti. Questo è particolarmenteimportante nei confronti delle seconde generazioni, semprepiù numerose anche in Italia: se non si attivano nei loro confrontidei reali meccanismi di mobilità sociale che li sgancino dalleposizioni umili e subordinate generalmente occupate dai lorogenitori, non solo si alimenta una progressiva “etnicizzazione”dell’esclusione sociale, e di riflesso della richiesta di protezionesociale, ma si rischia di fomentare il conflitto che ne discende,come ci ricordano i fatti delle banlieue.

In altri termini, favorire la regolarità del lavoro e – nel tempo –la mobilità occupazionale dei lavoratori immigrati, oltre a implicareun beneficio per il bilancio del sistema previdenziale, significaanche sostenere concretamente i processi di inclusione e coesionesociale, oggi e in prospettiva.

La regolarità dell’occupazionee la mobilità dei lavoratori immigrati porta benefici al sistema previdenziale e favorisce i processi di inclusione e coesione sociale

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Immigrati: oltre il 70% ha un conto corrente. Quasi setteimprenditori su 100 sono stranieri

Sempre più spesso, gli indicatori economici segnalano lacrescente stabilizzazione degli stranieri nel nostro Paese.Due dati recentemente diffusi lo testimoniano ulteriormente:nel 2010 oltre il 70% dei migranti adulti residenti in Italia possiedeun conto corrente; inoltre, al 31 dicembre 2010, i migranti titolario soci d’impresa in Italia sono 336.583 (il 6,5% del totalecontro il 5% registrato nel 2006).

Questi dati emergono dalla terza ricerca sull’evoluzionedel processo di bancarizzazione dei cittadini stranieri in Italia,realizzata dall’Abi (Associazione bancaria italiana) insiemeal Cespi (Centro studi di politica internazionale). L’indagine– pubblicata nel volume Cittadinanza economica dei migrantie rapporto con le banche italiane – si basa su un campionerappresentativo di quasi il 90% degli stranieri di 21 nazionalitàresidenti in Italia.

Gli immigrati e le bancheIl processo di bancarizzazione si è dunque consolidato

nel suo insieme, anche se procede a velocità diversa aseconda delle aree del Paese. Al Sud è meno rapido, anchese proprio qui si registra la maggiore incidenza dei prestitiper l’acquisto della casa (uno su tre è un mutuo). Il rapportosegnala anche come, tra il 2007 e il 2009, nonostante la crisieconomica, l’integrazione economico-finanziaria dei migrantisia proseguita a ritmi significativi, anche con una forte tendenzaall’utilizzo di prodotti e servizi bancari finanziariamente piùevoluti, persino maggiore rispetto alla clientela italiana.

Per rispondere alle crescenti richieste e per facilitarel'accesso degli immigrati in banca, illustrare i principaliprodotti e servizi e contribuire all'educazione finanziaria,l’Abi – in partnership con altre istituzioni quali le Acli (Associazionicristiane lavoratori italiane), l’Anci (Associazione nazionalecomuni italiani), l’Arci, la Caritas italiana, lo stesso Cespi, ilCiss (Cooperazione internazionale Sud Sud) e l’Unhcr (Altocommissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati) – ha realizzato“Benvenuto in banca”, la brochure multilingue destinata aicittadini immigrati e ai beneficiari di protezione internazionale;la prima di una serie di iniziative tese a realizzare strumentiutili per l’inclusione finanziaria e sociale dei cittadini stranieri.

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La brochure è stata realizzata in italiano e anche in albanese,arabo, cinese, francese, inglese. Il testo, una quindicina di pagineper ciascuna lingua, è semplice e chiaro e i cittadini stranieri vitrovano risposte a domande quali: “Come posso mandaredenaro nel mio Paese?”, “Vorrei comprare una casa, come possofare?” oppure ancora “Come posso aprire un conto correnteper accreditare lo stipendio?”. La brochure è stata stampatain 100mila copie ed è in corso di diffusione a Bari, Milano,Palermo, Roma. “Benvenuto in banca”; sarà anche scaricabiledal sito Abi (www.abi.it) e da tutti quelli delle organizzazionipartner.

Crescono gli imprenditori e le imprese stranieri Per quanto riguarda i dati sull’imprenditorialità, gli oltre

336mila migranti titolari o soci d’impresa segnano un aumen-to del 4,9% rispetto al 2007. In quattro anni le aziende gui-date da un immigrato sono aumentate del 68%, in media il14% in più per anno. Si tratta per lo più di società nuove,solo il 12% è un’attività rilevata da altri imprenditori. In primopiano, in questo particolare settore, ci sono le donne: sonooltre 50mila le imprenditrici immigrate, cresciute a un tassoparticolarmente apprezzabile (+4,1%) tra dicembre 2009 egiugno 2010. Rappresentano il 6% dell’imprenditoria femmi-nile italiana e il 20% di quella immigrata complessiva. Lamaggior parte dei migranti titolari di imprese è entrata inItalia dopo il 1990 (80% circa), mentre l’avvio delle attivitàimprenditoriali è iniziato dal 2000. Si tratta per lo più di per-sone fra i 25 e i 45 anni, con un buon livello di istruzione.

Il rapporto ha fotografato anche questo fenomeno, con loscopo di analizzarne le potenzialità per lo sviluppo di tutto iltessuto economico italiano e per individuare gli strumentifinanziari migliori per sostenere queste potenzialità. Uno su tutti,la microfinanza che, comprendendo una pluralità di prodotti siasul lato della raccolta che degli impieghi, potrebbe permetteredi risolvere alcune delle problematicità presenti soprattuttoin una prima fase di bancarizzazione.

I rapporti finanziari con il Paese di origineInfine, si segnala anche un’altra questione significativa

nell’ambito della relazione tra la banca e i cittadini stranieri,presa in considerazione dalla ricerca Abi-Cespi: il rapportofinanziario con il Paese di origine. In particolare, uno dei terreni

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di maggiore interesse è la possibilità di sviluppare il canalebancario per il trasferimento di risparmio all’estero da parte delmigrante, anche attraverso lo sviluppo da parte delle banchedi pacchetti di prodotti e servizi che integrino i processi diaccumulazione e impiego fra i due Paesi, quello di provenienzae quello di residenza.

Un tema di attualità, anche in base a quanto risulta dalmonitoraggio sul fenomeno delle rimesse compiuto dal Cespiattraverso il suo sito www.mandasoldiacasa.it, secondo il qualei costi di invio delle rimesse dall’Italia tra il 2009 e il 2011 si sonoridotti, ma i margini di diminuzione sono ancora ampi. Dall’analisidei principali corridoi di rimesse (Albania, Bolivia, Brasile, Cina,Colombia, Costa d’Avorio, Ecuador, Filippine, Ghana, Marocco,Nigeria, Perù, Romania e Senegal) è possibile osservare unmercato sempre più dinamico nel quale, per ora, si gioca laconcorrenza tra operatori di trasferimento monetario, banchee sistema postale.

Tre sono le componenti che determinano il costo totaledell’invio: la commissione pagata al momento dell’invio dellarimessa, quella pagata al momento della ricezione e il marginesul tasso di cambio applicato dall’operatore nel momento incui il denaro ricevuto dall’estero è cambiato in valuta locale.Il dato più rilevante, come sottolineato, è che nel periodomonitorato, dall’ottobre 2009 al febbraio 2011, il costo totaledi un invio di 150 euro dall’Italia verso i 14 corridoi rilevatidal sito si è ridotto di quasi un punto e mezzo percentuale:dal 9% al 7,7% dell’ammontare inviato. Ulteriori riduzioni sihanno per importi maggiori o in caso di accettazione ditempi più lunghi di consegna del denaro.

Il decremento maggiore ha riguardato i Money TransferOperators (MTOs), anche se i loro prezzi sono superioririspetto agli altri operatori: ad esempio, inviare 150 euro conun MTO costa in media il 7,3%, con una banca il 5,8%. Lebanche costano meno soprattutto se si inviano importi piùalti – 1,2% è il costo per inviare 1.000 euro con una bancarispetto al 4,9% dei MTOs – anche se molte banche non sonoancora trasparenti rispetto al margine sul tasso di cambioapplicato e ai tempi di consegna del denaro.

Costa di più inviare denaro nei Paesi europei e asiatici(11% per l’Europa e 10,7% per l’Asia), rispetto ai trasferimentiverso l’America Latina e l’Africa (rispettivamente 7% e 6,9%). Icosti degli invii verso due tra i Paesi più rilevanti, Cina e

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Albania, sono quelli che hanno subito la maggiore contrazione(2,9 punti percentuali in meno fra Italia e Cina, dal 12,7% del-l’ottobre 2009 al 9,8% del febbraio 2011, 1,6 punti percentualiin meno fra Italia e Albania).

L’analisi mostra, dunque, come il mercato delle rimessestia evolvendo molto rapidamente. La pressione crescentedella concorrenza, maggiore trasparenza e informazione, e unaserie di riforme nell’ambito legale e dei sistemi di pagamento,può agire a favore di un miglioramento delle condizioni delmercato. Lo scopo è l’adempimento dell’obiettivo di dimezzareil costo medio globale di trasferimento delle rimesse dal 10%al 5% in cinque anni (obiettivo “5x5”) sottoscritto nel 2009dal G8 dell’Aquila sotto la presidenza italiana ed entrato a pienotitolo a far parte dell’agenda del G20.

(a.g.)

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La mediazione interculturalenel nostro Paese:questioni aperte e prospettive

di Massimiliano FiorucciUniversità degli studi Roma Tre - Creifos (Centro di ricerca sull’educazioneinterculturale e sulla formazione allo sviluppo)

Cruciale per l’accoglienza e l’integrazione,il mediatore è un agente di “democratizzazione”che favorisce l’acquisizione di una cittadinanzapiena e consapevole da parte degli immigrati

Per iniziare… Le definizioni della mediazione spaziano dalla filosofia alla

psicologia, dalla sociologia alla politica, dalla teologia al dirittocivile, fino al diritto internazionale. A queste ne potremmoaggiungere molte altre relative alla mediazione familiare, aquella educativa e pedagogica, linguistica, sociale, culturale,interculturale, ecc. Tutte hanno in comune l’idea che l’agire eil pensare degli uomini si esprimano attraverso una dialetticatra diversi fattori che di volta in volta raggiungono punti di sintesi,di parziale ricomposizione tra spinte diverse, che a loro voltapreparano il terreno per ulteriori conflitti e ulteriori eventualimediazioni. La mediazione, quindi, come forma della dialettica.“La via della ricerca, […] se vuol farci comprendere, come èsuo compito, le vicende degli uomini, è sempre indiretta […].La parte migliore, reale, della dialettica [consiste nella] nostraimpossibilità di fare a meno della mediazione, di andare al dilà e della storia e del nostro tempo” (Sichirollo 2003, p. 21).

In campo pedagogico, la mediazione si configura comeuna delle funzioni centrali della relazione educativa. La stessapedagogia “è mediazione per eccellenza [nella] saldatura traprospettiva filosofica, ricerca delle scienze, ‘arte’ come abilità

“Dell’importanza di mediatori, costruttori di ponti, saltatoridi muri, esploratori di frontiera. Occorrono ‘traditori dellacompattezza etnica’, ma non ‘transfughi’”(A. Langer, La scelta della convivenza, e/o, Roma 1995, p.39)

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pratica applicativa. Il motivo della mediazione, del raccordo ècaratteristico del suo stesso costituirsi come scienza” (Cives 1973,p. XII). Ne consegue che “l’educatore lavora come mediatoretra il ragazzo e il mondo sociale che lo riguarda (famiglia,gruppo dei pari, figure del controllo sociale…) facilitando lacostruzione o il ripristino di relazioni adeguate, l’elaborazionee la soluzione dei conflitti, l’incontro o il passaggio con nuovedimensioni sociali (inserimento scolastico, inserimento nel mondodel lavoro…). L’educatore è altresì mediatore dell’incontro traun allievo e un compito di apprendimento diventando uno deivertici del triangolo socio-cognitivo” (Bertolini 1996, p. 242).

In altre sedi ci si è concentrati su questo aspetto, dilatandoi confini classici della figura del mediatore culturale, funzioneche dovrebbe essere centrale in ogni educatore: “l’attività dimediatore è propria di ogni insegnante, è una funzione chepervade tutta la professionalità pedagogica di chi opera nellascuola, indipendentemente dai bambini che ha di fronte e dallecose che deve insegnare. Insegnante/mediatore è, dunque,ogni insegnante, in quanto professionista della comunicazione”(Fiorucci 2000, p. 96). La mediazione si configura quasi sempreall’interno di una relazione asimmetrica in cui due parti occupanoposti differenti nella scala delle relazioni socio-culturali. In realtà,un’autentica mediazione presuppone una qualche forma didialogo, cioè una relazione tra pari, fra soggetti che sono ingrado di far valere la propria soggettività, le proprie esigenze,i propri interessi e i propri diritti.

La mediazione in ItaliaLa mediazione è dunque una strategia che si concretizza a

diversi livelli ma è anche e soprattutto una scelta politica cheha a che fare con il modello di società che si vuole costruire.Non è indipendente, quindi, dalle politiche di integrazionemesse in atto a livello nazionale e a livello locale.

Il quadro della situazione italiana che emerge è quello diuna grande varietà di esperienze in termini di politiche locali,risorse per l’intercultura, pratiche innovative. A fianco dellestrutture e dei servizi che fin dal primo momento sono staticoinvolti dalle migrazioni, e dove il tema dell’interculturalità haavuto la possibilità di sedimentarsi, esistono altri servizi che, acausa di resistenze e rigidità, scontano maggiori ritardi nelpercorso di adeguamento delle proprie metodologie operativeper tentare di rispondere a un’utenza sempre più complessa. Iservizi, tuttavia, hanno bisogno di essere sostenuti adeguatamente(in termini economici e di personale) da parte del Governo e

Un’autentica mediazione presuppone una qualche forma di dialogo e di relazionefra pari,mentre oggi si configura spesso come una relazione asimmetrica

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delle istituzioni per migliorare le proprie risposte e per agire sulleprincipali aree di riferimento per le dinamiche di integrazione(economica, sociale, culturale, politica e demografica). Si trattaper l’immediato futuro di migliorare e rinforzare quanto già realiz-zato passando da un visione reattiva (di risposta alle emergenzee ai bisogni essenziali) a una prospettiva propositiva, chevada incontro alle persone (nei loro luoghi di vita e di lavoro)nel loro complesso, attraverso un sistema di servizi sul territoriocapillare, garantendo diritto di cittadinanza anche ai bisogniculturali e di partecipazione attiva della popolazione immigratain vista di una “piena integrazione”.

Un tema cruciale in questa direzione è quello delle cosiddette“seconde generazioni”. Gli adolescenti di origine immigrata inItalia vivono, infatti, una condizione difficile perché ai problemiclassici dell’adolescenza si aggiungono – in alcuni casi – quellilegati alla “doppia identità” e alle “appartenenze multiple”. Sitratta di una generazione cruciale per il futuro del Paese, unagenerazione che si situa tra bisogno di identità e desiderio diappartenenza e i cui esponenti rappresentano i “pionieri involontaridi un’identità nazionale in trasformazione” (Ambrosini 2006, p. 89).Le cosiddette “seconde generazioni” possono svolgere, seadeguatamente sostenute, un positivo ruolo di “mediazione”.

Per quanto concerne più specificamente la professione dimediatore sembra utile fare riferimento agli studi di GraziellaFavaro e Franca Balsamo che hanno ricostruito, rispettivamente,le fasi di impiego dei mediatori nei servizi e una breve storia dellamediazione in Italia (Balsamo 2006, pp. 71-78). Riprendere talistudi consente di formulare qualche previsione per il futuro ditale professione. Graziella Favaro sostiene che ripercorrendole diverse fasi di utilizzo dei mediatori è possibile individuare:

l’origine esperienziale del dispositivo, che si colloca agliinizi degli anni Novanta e che riguarda i primi tentativi e spe-rimentazioni condotti in servizi che hanno aperto la strada,contando sui mediatori “pionieri”

la diffusione progettuale della mediazione, avvenuta in unafase successiva e che ha consolidato una metodologia di lavoroed esplicitato obiettivi precisi, declinati sulla base degli ambiti,dei differenti servizi e dei bisogni degli utenti

la visibilità nella normativa, ovvero: il passaggio dalla periferiaal centro. L’esperienza e le pratiche di mediazione hanno trovatoe trovano attualmente spazio e attenzione in alcuni documentie normative, a livello nazionale, regionale e locale (Favaro2004, p.18).

Nella sua lucida ricostruzione della breve storia della

Il problema cruciale delle“seconde generazioni”che, se sostenutein modoadeguato,possono svolgere naturalmenteun positivo ruolo di mediazione

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mediazione culturale in Italia, con particolare riferimento allasituazione piemontese, Franca Balsamo individua quattroperiodi. “Il primo periodo è quello della sperimentazione e della‘creatività’; a questo è seguito un secondo periodo di sviluppo dellivello formativo (cento corsi fioriscono); il terzo periodo (chein certa misura si sovrappone a quello precedente) è quellodella diffusione e del silenzio-isolamento; il quarto è quello dioggi, quello in cui si apre una nuova azione autonoma verso lacostituzione di una categoria professionale” (Balsamo 2006, p. 71).

Il primo periodo (della “creatività”) è, secondo la Balsamo,contemporaneamente un’epoca di sperimentazione sul terrenoe di elaborazione teorica. Nel momento in cui i mediatoricominciano a operare nei servizi fioriscono una pluralità didefinizioni e di interpretazioni più o meno ristrette: dal mediatorecome mero interprete linguistico al mediatore come informatoree traduttore delle regole in una logica di inclusione socialeassimilatoria fino a letture più profonde di tale figura. “Il sensopiù forte e proprio della mediazione è stato comunque, a mioavviso, quello dell’interpretariato culturale dei bisogni. Poichéi bisogni […] sono costituiti socialmente e culturalmente all’internodi diverse tradizioni e contesti socio-ambientali, il/la mediatriceculturale reinterpreta sostanzialmente i bisogni, ne evidenzia esostanzia la legittimità (non riconosciuta in contesti culturalidiversi), alla luce dei codici culturali e comportamentali entro cuisi generano e mette in evidenza anche attraverso la decodificaculturale delle risorse che gli immigrati esprimono, non semprevisibile agli operatori. […] Il mediatore/la mediatrice, in questainterpretazione, rende agibili i diritti sostanzialmente, non soloformalmente” (Balsamo 2006, p. 73). Il mediatore viene vistoanche come agente di cambiamento, trasmettitore di culture,promotore dei diritti politici, sindacali, sociali. “Periodo dunque disperimentazione di progetti […] che si coniugavano anche conla riflessione e dove pratiche, prospettive teoriche e politichesi tenevano intrecciate insieme” (Balsamo 2006, p. 75).

Il secondo periodo è stato quello dell’investimento in formazione.Se la prima formazione aveva coinvolto le migliori risorse territo-riali mettendo insieme associazioni, istituti di ricerca e università,successivamente si è assistito a una proliferazione di agenzieformative impegnate in quest’ambito senza che vi fosse un’ade-guata verifica della qualità della formazione. Durante questa faseanche le università, all’interno del loro percorso di autonomia,hanno cominciato a proporre percorsi formativi per mediatoriculturali. I due tipi di percorsi formativi (quello delle agenzie equello universitario) hanno seguito strade separate e parallele,

La storia e l’evoluzionedella figura del mediatore in Italia:dalla fase della sperimen-tazione,a quella dellaformazione,fino alla diffusione dei servizi sul territorio

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salvo rarissime occasioni in cui si sono incrociati e integrati.Il terzo periodo, sempre secondo Franca Balsamo, è quello

della diffusione della mediazione sul territorio e nei servizi, maal tempo stesso dell’“isolamento”. “All’aumento del numero deimediatori presenti sul territorio corrisponde tuttavia il loroisolamento: finito il periodo formativo i singoli operatori(mediatori culturali) si trovano ‘buttati’ nei servizi senza nessunprogetto che preveda un periodo (e risorse, di denaro e ditempo) dedicate all’aggiornamento, alla riflessione sul lavoro,al coordinamento, alla valutazione, allo sviluppo di quellemicro-reti tra i servizi che proprio grazie alla presenza delle/deimediatori si erano attivate nei primi progetti sperimentali. Nessunpercorso di accompagnamento e di formazione permanente èprevisto” (Balsamo 2006, p. 77). I mediatori vengono quindilasciati a loro stessi senza avere occasioni di confronto e diriflessione sul proprio lavoro. Ciò impedisce al mediatore diessere un professionista pienamente riflessivo (Schön 1993)producendo frustrazione e atteggiamenti routinari che inibisconoquella “spinta creativa e trasformativa che inizialmente erastata il sogno da realizzare” (Balsamo 2006, p. 78).

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La quarta fase, quella odierna, presenta ancora una varietàdi percorsi formativi possibili per i mediatori. “Sul versantedella mediazione a livello locale […] i mediatori culturali sicostituiscono in organizzazioni autonome, nello spirito diriqualificare il loro lavoro, con un autocontrollo sulla propriaformazione, sulla qualità, sull’accesso, sul mercato del lavoro”(Balsamo 2006, p. 78). I cambiamenti in corso sono profondi: imediatori locali “passano da essere rappresentanti degli ‘stranieri’e degli immigrati all’essere cittadini mediatori di diverse‘culture/lingue’ presenti nella società multiculturale. In corri-spondenza a questa trasformazione societaria, i mediatori si stannocostituendo come una nuova categoria socio-professionaleautonoma. E questo è un passo cruciale. Ma la loro stessapresenza di mediatori culturali, la loro stessa necessità puòessere allo stesso tempo indicatore di un duplice rischio. Ilprimo, che la mediazione sia necessaria perché c’è l’inclusionesubordinata dei nuovi cittadini. L’altra faccia è il rischio chediventino i rappresentanti di ‘comunità’ culturali/etniche separatee forse ‘inventate’, alla cui invenzione loro stessi finiscono colcontribuire (o hanno contribuito)” (Balsamo 2006, p. 78).

Le questioni aperteMolte questioni, tuttavia, restano oggi aperte: dalla precarietà

lavorativa 1 (Fiorucci, Susi 2004) alla discontinuità, dallaquestione della formazione allo sfruttamento fino alla mancanzadi riconoscimento del loro valore sociale sia in termini retributivisia in termini di progettualità politica.

Sembra utile, a tale proposito, fare riferimento ad alcunidocumenti nazionali. Nel 2000 il Cnel (Consiglio nazionaledell’economia e del lavoro) ha elaborato un importante documentodal titolo Politiche per la mediazione culturale. Formazione edimpiego dei mediatori culturali (Cnel, 2000) che ha rappresentatoa lungo un valido punto di riferimento. Recentemente taledocumento, attraverso un percorso partecipato e condiviso conle istituzioni e le associazioni che hanno maturato le esperienzepiù significative di formazione e di impiego dei mediatori inter-culturali, è stato riveduto e aggiornato e reso pubblico con iltitolo Mediazione e mediatori interculturali: indicazioni operative

1 Secondo i risultati di un’indagine nazionale, i cui risultati sono stati pubblicati nelvolume Fiorucci M., Susi F. (a cura di), Mediazione e mediatori in Italia. La mediazionelinguistico-culturale per l’inserimento socio-lavorativo dei migranti, Anicia, Roma2004, solo il 20% del campione era impegnato a tempo pieno nella professione dimediatore e riusciva a vivere svolgendo solo questo lavoro

Oggi i mediatori si stanno configurandocome una nuova categoria socio-professionaleautonoma,con un profilo ben definito

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(Cnel, 2009) 2. Il documento tenta di fare chiarezza sul ruolodel mediatore e offre utili indicazioni per l’accesso alle professionee sulla formazione di base e specialistica dei mediatori culturali.

Un altro significativo documento a livello nazionale – che haaffrontato almeno in parte le questioni ancora aperte – è rap-presentato dalla Nota per la discussione del Gruppo di lavorointerministeriale 3, nata dall’esigenza di elaborare un testocomune per fare il punto sui bisogni di mediazione culturalerilevati dalle amministrazioni più direttamente coinvolte nellepolitiche di gestione del fenomeno migratorio. Nella Nota, ilmediatore viene indicato quale “traduttore di lingua e di strutturevaloriali, dei modi di pensiero, dei modi di interpretare ilmondo, del senso religioso […]; figura professionale di supportoa operatori e servizi; figura terza tra utente, paziente, alunno,servizio, istituzione; facilitatore di relazioni” (Gruppo intermini-steriale, 2002). Il documento si sofferma, inoltre, sugli ambitidi intervento del mediatore mettendo in luce problematiche especificità relative ai singoli settori (pubblica sicurezza, giustizia,sanità, scuola, lavoro).

In tempi più recenti è stato elaborato un documento, ancorapiù rilevante per il carattere nello stesso tempo ampio, analiticoe concreto, dal titolo Linee di indirizzo per il riconoscimentodella figura professionale del Mediatore interculturale delGruppo di lavoro istituzionale per la promozione della mediazioneinterculturale4 che, a partire da una ricognizione sullo statodell’arte e dopo aver individuato le principali criticità legate allafigura professionale del mediatore (dalla formazione al ricono-

2 Il Cnel, attraverso il Gruppo di lavoro “Politiche per la mediazione culturale.Formazione e impiego dei mediatori culturali” dell’Organismo nazionale di coor-dinamento per le politiche di integrazione sociale degli stranieri (Onc), ha svoltouna serie di consultazioni con esperti e operatori al fine di redigere la versioneaggiornata del documento del 2000 che tenesse conto delle ricerche e delleesperienze maturate nel corso degli ultimi anni. Il risultato di tale lavoro è confluitonel documento: Cnel, Organismo nazionale di coordinamento per le politiche diintegrazione sociale degli stranieri, Mediazione e mediatori interculturali: indicazionioperative, Roma, 29 ottobre 20093 Gruppo interministeriale, Nota per la discussione, Padova, giugno 2002. Talenota è stata redatta da: ministero del Lavoro, ministero dell’Interno, ministerodella Giustizia, ministero dell’Istruzione, ministero dell’Università, ministero della Saluteed è stata presentata nell’ambito del convegno Ponti fra due culture, organizzatodal ministero del Welfare e dalla regione Veneto e svoltosi a Padova nei giorni25-26 giugno 20024 Gruppo di lavoro istituzionale per la promozione della mediazione interculturale,Linee di indirizzo per il riconoscimento della figura professionale del Mediatoreinterculturale, Unione Europea, Progetto cofinanziato dal Fondo europeo perl’integrazione di cittadini di Paesi terzi 2007-2013, ministero dell’Interno dipartimentoper le Libertà civili e l’Immigrazione, direzione centrale per le Politiche dell’immigrazionee dell’asilo, Assistenza tecnica e scientifica del CIES, 21 dicembre 2009

Tra le questioni aperte restano quelle della precarietà e della discontinuità lavorativa,della formazione,del mancato riconoscimentodel valore sociale della mediazione

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scimento) si sofferma sulle proposte condivise a livello interi-stituzionale indicando le strade per il futuro sviluppo della pro-fessione. Il documento, oltre a indicare competenze, capacità epercorsi formativi del mediatore, propone percorsi per il rico-noscimento e la validazione delle competenze apprese daimediatori sul campo nel corso di esperienze pluriennali, neltentativo di non disperdere quel patrimonio di saperi acquisitiattraverso la pratica professionale.

Nell’ambito del dibattito sulla mediazione vi è chi ha individuatonella costituzione di un albo professionale dei mediatori unapossibile, parziale soluzione ai problemi sopra menzionati,così come è avvenuto per molte professioni sociali. E, tuttavia,si stanno modificando anche le funzioni della mediazione.Rimane valida e sempre più attuale la funzione politica “socio-culturale di accompagnamento alla partecipazione ai diritti dinuovi cittadini di ‘seconda categoria’, cui si riconoscono i dirittisociali ma non pieni diritti politici” (Balsamo 2006, p. 79).

Il mediatore in questo senso diventa un agente di “democra-tizzazione” che favorisce l’acquisizione di una cittadinanzapiena e questo sembra essere il suo ruolo principale oggi e neiprossimi anni. La sua presenza nei servizi di accoglienza eorientamento contribuisce alla riconfigurazione in chiave inter-culturale dei servizi andando oltre un’accoglienza di tipoemergenziale, per costruire canali di accoglienza e di rispostaai bisogni che tengano conto delle diverse specificità di cuisono portatrici determinate fasce sociali. Il mediatore può

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favorire processi di empowerment e promozione di diritti.“Partendo dal presupposto che la condizione sociale del-l’immigrato è una situazione di debolezza che va rimossa, unapolitica dell’immigrazione non può esimersi dal promuovere esostenere iniziative atte a far acquisire, alle persone immigrate,conoscenze e strumenti per interloquire in una posizione diparità. Per questo è necessaria la valorizzazione della personae della soggettività in un contesto sociale attraverso attività diformazione, sia come scuola di cittadinanza – intesa comeavvicinamento a e appropriazione di fondamenti, potenzialità,opportunità e limiti della realtà italiana e locale – sia in terminidi aggiornamento delle competenze professionali” (Jabbar2006, p. 94). Si tratta, quindi, di lavorare per la realizzazione diun progetto interculturale di cittadinanza creando le condizioniper cui “cittadini immigrati e cittadini autoctoni possano ridefinireuna casa comune, uno spazio di interazione e di collaborazione”(Jabbar 2006, p. 94).

La funzione di “democratizzazione”, tuttavia, deve esserepropria di ogni operatore che deve farsi garante del ricono-scimento dei diritti di tutti. Gli operatori dei servizi, quindi, sonoloro stessi mediatori culturali. Se la società italiana sarà capacedi garantire alle seconde e terze generazioni un’integrazionenon subalterna forse si potrà fare a meno di professionisti cheoperino in qualità di “mediatori culturali”. Se anche ai cittadiniitaliani di origine immigrata sarà offerta la possibilità di diventareinsegnanti, medici, avvocati, ecc. si potrà fare a meno dellafigura del mediatore culturale.

Al momento, tuttavia, le cose sembrano stare diversamente.Siamo ancora in presenza, molto spesso, di servizi specificidedicati alla popolazione immigrata. Sembra giunto almenoil momento per arrivare al superamento dei servizi dedicati(servizi speciali per stranieri) andando nella direzione dei serviziper tutti, che siano in grado di rispondere effettivamente aibisogni di tutti. Il mediatore culturale può assumere un ruoloimportante all’interno di questo percorso che potrebbe portare,come suo traguardo, alla presenza all’interno dei servizi di unaéquipe di collaboratori “etnicamente” mista.

Il progetto interculturale rischia, tuttavia, di rimanere a livellodi pura intenzione se non prevede al suo interno i requisiti difondo di una prospettiva dialogica che presuppone una relazionetra pari, fra soggetti che siano in grado di far valere la propriasoggettività. Tale prospettiva non può prescindere da alcunielementi quali:

promozione dei diritti umani degli immigrati e rimozione

Sembrano maturi i tempi per il superamento dei servizi dedicati agli stranieri nella direzione dei servizi per tutti, anche attraverso la costituzione di équipe dicollaboratori “etnicamente”miste

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leSulla figura del mediatore in Italia

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delle cause di debolezza socioeconomica e politico-giuridicapartecipazione autentica e attiva dei nuovi cittadini dentro i

luoghi in cui si individuano progetti e percorsi di attuazione,non solo sui temi dell’immigrazione, ma su tutti i temi e leproblematiche che caratterizzano la comunità ospitante;

possibilità per gli immigrati di contribuire a definire le “regoledel gioco” (Jabbar 2006, p. 95).

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Mi impegno,dunque sono

di Raffaele Bracalenti - Attilio BalestrieriPresidente dell’Istituto psicoanalitico per le ricerche sociali -Socio fondatore dell’Istituto psicoanalitico per le ricerche sociali

Una prospettiva psicanalitica sulle ragioni chespingono i migranti ad agire nel volontariato, sianelle associazioni autoctone sia in quelle su baseetnica, e sul valore anche “identitario”che questo assume nel loro percorso migratorio

Il tema “volontariato e immigrazione” è stato declinato secondoprospettive diverse. La prima – forse più studiata – riguarda larisposta del volontariato ai bisogni dei migranti e il suo ruolo nelfavorire i processi d’integrazione. Da un altro punto di vista, sonostate osservate le forme dell’associazionismo dei migranti, chepure costituiscono strumenti e veicoli d’integrazione e indicano lacapacità propria degli immigranti di rispondere a esigenze socialie di rappresentanza. Infine, si è guardato – in termini quantitativie qualitativi – al contributo che gli stranieri impegnati in attività divolontariato apportano a questo mondo, nelle società ospiti.Il nostro articolo fornisce una lettura in parte inusuale – ancheper il ricorso a chiavi interpretative proprie della psicoanalisi –e prende le mosse da due quesiti: quali motivazioni animano imigranti che fanno volontariato? Sono rintracciabili le ragioni cheorientano la scelta dei migranti di impegnarsi negli organismidel volontariato per così dire autoctoni o, invece, nelle formedell’associazionismo su base etnica o nazionale?

Le due domande sono fortemente interconnesse e traggonospunto dalle ricerche condotte nell’ambito delle scienze sociali inmerito alle motivazioni che spingono a fare volontariato, per capireun comportamento umano che appare al contempo naturale einnaturale. Naturale in quanto realizza la forma più spontanea direlazione tra esseri umani, quella non normata all’interno diuno scambio economico. Nel contempo la più innaturale poichériguarda la messa a disposizione gratuita di talenti e competenzeche “normalmente” sono poste sul mercato per esigere uncompenso.

La duplicenatura del volontariato,comportamentoumanoal contemponaturale e innaturale

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Le considerazioni che seguono sono frutto in parte dello studiodella letteratura e in larga parte di due ricerche – l’una acarattere nazionale, l’altra realizzata nel Lazio 1 – su questitemi. Anche a ragione della scelta di privilegiare la chiaveinterpretativa psicologica e psicoanalitica, ci si riferisce quialle risultanze delle indagini qualitative, effettuate tramiteinterviste in profondità e focus group con migranti – siano essivolontari in organismi del volontariato (Odv) o in associazionietniche – e con responsabili di Odv. Per i risultati delle analisiquantitative – sulla partecipazione dei migranti al volontariatoe sul ruolo che le Odv e le associazioni di migranti giocanonel favorire l’integrazione – si rimanda alle relazioni finalidelle due ricerche, in via di pubblicazione.

Nel parlare di identità e di crisi che i processi migratoriproducono, senza dimenticare i lavori di Erik Erickson, questolavoro fa riferimento a una linea di pensiero che è partita daSigmund Freud e passando per Wilfred Bion giunge alla teoriadell’inconscio sociale di Sandro Gindro.

L’impegno nel volontariato: motivazioni di baseArticolandosi tra lo psichico e il sociale, l’impegno in attività

gratuite e accomunate da finalità sociali – in cui le personeimpiegano il proprio tempo secondo un principio radicalmentediverso da quello che governa le logiche del profitto e dellavoro retribuito – si pone al centro di uno snodo fondamentale,sul quale ha posto l’accento, tra gli altri esperti della materia,Piero Amerio: “il volontariato è un fenomeno che si trova al centrodi un chiasma dialettico tra individualità e socialità, assumendouna singolare caratteristica che è quella di rappresentare, inmodo tangibile e operante, il punto di articolazione tra processi

1 La prima ricerca è La partecipazione degli immigrati all’associazionismo comeveicolo d’integrazione sociale, indagine promossa dal dipartimento per le Libertàcivili e l’Immigrazione del ministero dell’Interno, nell’ambito del Fei 2007-2013 erealizzata da un RTI (Raggruppamento temporaneo di imprese) composto daStrategie Srl e dall’Istituto psicoanalitico per le ricerche sociali (Iprs). Lo studioquantitativo è stato effettuato tramite l’analisi di 91 questionari somministrati aorganismi di volontariato (iscritti nei registri regionali) e di 94 questionari somministratiad associazioni d’immigrati (tra quelle iscritte al “Registro delle associazioni edegli enti che operano a favore degli immigrati”). L’affondo qualitativo è statocondotto attraverso quattro focus group territoriali (che hanno complessivamentecoinvolto 53 partecipanti) e attraverso 11 interviste vis a vis. L’altra ricerca èImmigrazione, volontariato ed integrazione, svolta dall’Iprs e dai Centri di servizioper il volontariato del Lazio Cesv e Spes. L’analisi quantitativa è stata svolta sullabase di circa 100 questionari somministrati a responsabili di OdV e di circa 45questionari somministrati a responsabili di Associziaoni d’immigrati, presenti nelLazio. Lo studio qualitativo è consistito nell’analisi di circa quaranta interviste vis a vis,con migranti impegnati in attività di volontariato e responsabili di strutture

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psicologici e processi sociali, costituendo uno degli elementiimportanti di quella comunità che nella partecipazione trovail senso di un bene comune” (Amerio P., Gattino S. Psicologiadi Comunità, Il mulino, Bologna 2000, p. 45).

In accordo col punto di vista della psicologia sociale, DanielBatson e Laura Shaw 2 suggeriscono che il volontariato si puòesercitare in base a motivazioni prevalentemente altruisticheo egoistiche e, nondimeno, in base a entrambe. Né si puòescludere che, a volte, le motivazioni non siano ascrivibili néall’altruismo né all’egoismo (sono infatti difficili da ricondurrea queste categorie altre motivazioni, quali l’aspirazioneall’empowerment, o il desiderio di rafforzare i legami traappartenenti alla medesima comunità). In alcuni casi si parladi motivazioni egoistiche perché una persona che fa volontariatosi aspetta una ricompensa, oppure tenta di evitare una punizioneo, ancora, desidera alleviare un’ansia – o una qualsiasi formadi disagio personale – che sente connessa alla percezione dellasofferenza altrui. In altri casi si parla di motivazione altruistica,nata dal sentimento di empatia per chi è in difficoltà: quil’impegno nel volontariato mira a ridurre, per simpatia 3, ildisagio dell’altro.

In una prospettiva sociologica, Donatella Bramanti e VincenzoCesareo 4 individuano quattro elementi di fondo, che conduconoall’azione volontaria: 1) orientamento al sé o orientamentoespressivo; 2) orientamento al compito (sempre legato al séma più spostato in direzione del compito); 3) orientamento

2 Evidence for altruism: toward a pluralism of prosocial motives, in “Psichologicalinquiry” 1991, 2, p.107-1223 Riferendosi a questo termine nel suo significato etimologico di “sentire insieme”,Sandro Gindro ha spesso parlato di simpatia per descrivere gli aspetti “proiettivi” che,lungi dall’avere valenza solo difensiva, cioè egoistica, favoriscono l’interazione positivacon l’altro: “Ho detto che la proiezione è un meccanismo originario e ineliminabile;ho detto inoltre che può essere usata come difesa. C’è – anche in questo caso – unaproiezione sana e una proiezione malata. La proiezione sana voglio chiamarla:‘simpatia’, sentire insieme. Non soltanto soffrire o godere, ma sentire… Il mondo, glialtri, entrano in noi attraverso l’identificazione e la proiezione e allo stesso modonoi veniamo a contatto col mondo. Tutto è mosso dal desiderio; ma il desiderionon si accontenta di illusioni; il desiderio vuole la realtà; che è presente e nascosta,che si manifesta e si cela. Perciò, all’identificazione e alla proiezione, bisognaaggiungere il “riconoscimento”: l’altro da noi deve essere riconosciuto. SoltantoEros ci può guidare per questa strada ed insegnarci a riconoscere l’altro, chedeve essere percepito o conosciuto in un abbandono senza smarrimento. L’altroda noi deve comunicarci qualcosa di sé, del suo presente e del suo passato, e noi,nel riconoscerlo, riconoscenti, ci abbandoniamo a lui, senza paura” (La via delriconoscimento, in “Psicoanalisi Contro”, n.18, dicembre 1985, p.1)4 Cesareo V., Rossi G., Boccacin L., Bramanti D., La Regione Lombardia e ilvolontariato. Nuovi bisogni, nuove forme emergenti, Rapporto di ricerca, Milano,1992

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alla cura; 4) orientamento al dovere. Sulla stessa linea, ElenaMarta ed Eugenia Scabini 5 giungono a precisare cinque profilidi volontari: a) espressivi, che agiscono in un’ottica di compen-sazione narcisistica, con riferimento a motivazioni autocentrantie legate alla propria attività lavorativa; b) autonormativi, checombinano l’orientamento al sé a una norma o a un valore(volontariato doveristico); c) compartecipi, cioè persone conalto tasso di identificazione empatica; d) proiettivi, dotati diun alto orientamento esterno, che tuttavia non riconoscono laparte del sé implicata nell’azione e rischiano di percepire leproprie necessità come se fossero dell’altro; e) altruisti, checombinano il forte orientamento all’altro con un senso deldovere di tipo religioso. Mentre i compartecipi e i proiettivipongono la propria attività al centro della loro esistenza esono soprattutto orientati all’altro, gli altruisti e gli autonormativivedono la propria attività come componente esistenziale, madanno anche importanza a norme e valori. Invece gli espressivisentono l’attività come elemento di transizione e sono soprattuttoorientati al sé.

L’impegno nel volontariato: le motivazioni dei migrantiIn merito alle motivazioni alla base della loro propensione

al volontariato, i migranti intervistati hanno esplicitato ragioniannoverabili tra quelle “tradizionali” e comuni alle personeche svolgono tale attività, cioè del tutto sovrapponibili ai profilimotivazionali dei volontari non migranti. Pare perciò legittimoaffermare che la base motivazionale risulta trasversale allediverse culture.

Considerazioni analoghe valgono per la motivazione chespinge a impegnarsi all’interno delle associazioni d’immigrati(su base etnica o nazionale). A proposito di questa forma diassociazionismo, la letteratura descrive alcune caratteristiche,tra cui: l’aspetto strumentale, l’aspirazione al riconoscimento,il bisogno di rafforzare i legami tra i membri della comunitàimmigrata 6. Si tratta di proprietà parimenti riscontrabili nel

5 Giovani volontari. Impegnarsi, crescere e fare crescere, Giunti Editore, Roma 20036 L’aspetto strumentale caratterizza la motivazione del volontario che si adopera nelfornire appoggio a coloro che condividono la sua appartenenza. L’aspirazione alriconoscimento spinge a svolgere azioni spontanee e gratuite, finalizzate a promuoverel’immagine della propria comunità e della propria cultura. Il bisogno di rafforzarei legami si riferisce all’impegno nella realizzazione dell’insieme di attività culturali,ludiche e ricreative, attraverso cui si mantiene il contatto con la terra d’origine, siconserva il patrimonio di lingua, usi e costumi, si dà luogo a occasioni di incontroe di scambio

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profilo della spinta motivazionale dei volontari non migranti,ad esempio impegnati nelle Odv che favoriscono ciò che sipuò a buon diritto definire l’empowerment degli associati,oppure nelle Odv orientate a promuovere il riconoscimento dialcune categorie di soggetti, nonché in quelle che offronooccasione di condivisione di interessi e amicizie.

Il senso attribuito all’esperienza volontaria è dunque ilmedesimo sia per i migranti sia per i non migranti: per tutti laspinta a impegnarsi nel volontariato è orientata all’altro e al sé,al compito e al dovere. Per tutti prende le forme dell’espressività,della proiezione e dell’empatia compartecipe; sottende lasimpatia o, nondimeno, denuncia un mancato riconoscimento. Iltema della motivazione si può allora leggere alla luce dellespecificità del soggetto che fa volontariato. Nel caso delmigrante, una specificità 7 è costituita dalla sua storia dimigrazione, intesa nel senso di dislocazione identitaria, contutti i risvolti psicologici che tale processo comporta. I migrantiintervistati hanno espresso – in maniera più o meno esplicita econsapevole – le seguenti motivazioni al loro coinvolgimentoin attività di volontariato:

sul versante dell’altruismo empatico (descritto da Batsone Shaw) è costante il riscontro di quella “simpatia” (nel significatoetimologico di “sentire insieme”, in cui Gindro individua ilpresupposto per il “riconoscimento” dell’altro) che rimandadirettamente al bisogno relazionale, essenziale e costitutivo

sul versante dell’orientamento “al compito” (secondoBramanti e Cesareo) l’elemento centrale sembra connesso aldesiderio di “restituire” all’altro l’aiuto a propria volta ricevuto(l’aiuto che si è ricevuto in ragione della propria condizione diimmigrato)

all’interno della tipologia dei “compartecipi” (secondo Martae Scabini) pare prevalere una dinamica psichica caratterizzatadall’identificazione con l’esperienza di sofferenza dell’altro –ovvero dall’identificazione proiettiva nella condizione di bisognoin cui l’altro è supposto versare

ancora all’interno della tipologia dei “compartecipi” (secondoMarta e Scabini) e ancora sul versante dell’orientamento al“compito” (secondo Bramanti e Cesareo) fa la sua comparsa

7 Certamente, la spinta del migrante al volontariato poggia su dimensioni psicologicheche derivano dall’intreccio tra caratteristiche individuali e influenze dei sistemisocio-culturali di appartenenza (molti volontari immigrati hanno in realtà soltantoproseguito in Italia un’esperienza di volontariato già intrapresa nel Paese di origine)oltre che dalla storia personale, caratterizzata dalla migrazione

Sul pianomentalel’attivitàvolontariaè intesaallo stessomodo da migranti enon migranti;per tuttila spintaad agire è orientata all’altro da sé,al compito,al dovere

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l’esigenza di partecipare al micro-contesto rappresentato dalmondo del volontariato, dopo aver sperimentato le difficoltàincontrate nel voler partecipare al macro-contesto della societàospite, talvolta percepito ancora estraneo ed estraniante

a metà strada tra l’orientamento al sé (secondo Bramanti eCesareo) e la tipologia “proiettiva” (descritta da Marta e Scabrini)appare altrettanto costante l’aspirazione a mostrare, attraversoil coinvolgimento in attività di volontariato, che il migrante èpersona capace di fornire aiuto e non solo persona bisognosa diaiuto. Si tratta, in sostanza, di un’esigenza di riconoscimentoidentitario.

Il frequente richiamo – nella narrazione dei migranti intervistati– al tema connesso alla “restituzione” rimanda alla questione del“debito” morale, contratto da chi è stato aiutato, nei confrontidi chi ha aiutato. Come diceva un’intervistata peruviana “èimportante non sentire il ricatto morale che spesso si puòsentire quando si viene aiutati”. In altri casi, il bisogno direstituire rimanda al desiderio di “correggere” le forme diaiuto ricevute, che si ritiene siano state “difettose”: “ero moltogiovane quando sono arrivata, stavo dalle suore insieme a unamia amica che aveva un bambino molto piccolo. Ci aiutavano, èvero, ma in cambio chiedevano di dar loro una parte delnostro stipendio, quasi la metà … questo ci ha molto ferite”.

L’idea di “restituire per colmare un debito” nei confronti delPaese d’arrivo sembra prender piede e dar luogo all’azione(la scelta di fare volontariato) in genere quando il migrante sisente più stabilizzato: “mi sento molto integrata nella societàitaliana, lo ero già prima di iniziare il volontariato, anzi, forse nonlo avrei fatto se non fossi stata già integrata”. Non si riscontratuttavia un rapporto lineare e unidirezionale tra propensione arestituire – attraverso l’attività di volontariato – e livello d’integra-zione. Del resto, dal punto di vista dell’esperienza psicologica,è molto difficile dire cosa significhi integrazione ed è ancorpiù difficile quantificarla 8. La questione del “debito” e della“restituzione” certamente si matura nel corso di una fase disedentarizzazione ma appare relativamente indipendente dalraggiungimento di un ipotetico livello d’integrazione. Essaparla piuttosto degli interrogativi che il migrante si pone intorno

8 È più facile quantificare l’integrazione in base a parametri sociologici, relativi allacondizione occupazionale, abitativa e di reddito, oppure al grado di accesso ai servizie ai diritti di cittadinanza attiva

La strettaconnessionedell’impegnonelle associazionicon il tema della “restituzione”da parte del volontario che sente di aver contratto un debito morale con chi l’ha aiutato

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9 Si ritiene che in questa fase il migrante abbia risolto i problemi connessi alprimo insediamento (problemi che costituivano anche una ragione in più per cercareappoggio nelle associazioni etniche o di connazionali) e abbia conquistato unastabilità occupazionale, abitativa e di reddito che, unitamente alla maggiore familiaritàcon i servizi e con le risorse disponibili nel contesto d’insediamento, gli consentel’accesso ai diritti di cittadinanza attiva. Tutto ciò metterebbe il migrante – comein effetti in molti casi accade – nella condizione di poter pensare di dedicare partedel proprio tempo ad attività di volontariato, anche all’interno delle Odv “autoctone”

al significato dell’appartenenza e dell’integrazione: “Secondome fai volontariato perché già ti senti parte …”. In manieraanaloga, una volontaria nigeriana racconta che “ad un certopunto ho avvertito una spinta civica derivante da un amoreper questo Paese … è così che ho iniziato a fare volontariato”.Dice un altro volontario: “la cultura del volontariato non si puòtrasmettere, perché una cultura del volontariato … devi averladentro”.

Volontariato dei migranti nelle associazioni d’immigrati e nelle Odv

Non v’è dubbio che, rispetto al tema dell’integrazione, lapartecipazione del migrante al mondo del volontariato, in sée per sé, rappresenta uno strumento d’integrazione (cioè unveicolo per approfondire gli scambi con la società in cui ilmigrante è “contenuto” e per approfondire i l suo senso diappartenenza ad essa) e un indice d’integrazione (cioè un segnodi positivo sviluppo dei percorsi d’integrazione).

Ma quale ruolo giocano, ai fini dell’integrazione, ciascunodei due “modi” di fare volontariato? La letteratura sociologicaè generalmente orientata a ritenere che prestare lavoro volon-tario nelle Odv italiane – siano esse più o meno impegnate aoccuparsi dei bisogni della popolazione immigrata – rappresentiil segno dell’avvento di una fase più avanzata e più maturadel processo d’integrazione. Secondo una sorta di logica“sequenzialista”: dapprima il migrante è più propenso a mili-tare presso le associazioni etniche o nazionali (di cui è spes-so membro); in una fase successiva, segno di una migliore inte-grazione 9, il migrante s’impegna a far volontariato presso leOdv del Paese d’arrivo, soprattutto in quelle che si occupanodei bisogni della popolazione immigrata; in ultimo, il coinvol-gimento del migrante nel volontariato tout court (cioè all’internodelle Odv non specificamente “vocate” a fornire aiuto allapopolazione immigrata) costituisce l’indice di un percorsod’integrazione completo e coronato da successo.

In questa prospettiva, la spinta motivazionale a impegnarsi

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all’interno delle associazioni etniche sarebbe tipica di una faseancora immatura, dal punto di vista delle prospettive d’inte-grazione. Scelta meno avanzata, sorta di momento di passaggioe destinata ad esser successivamente soppiantata, se cresce illivello d’integrazione, dalla scelta di far volontariato presso leOdv “autoctone”. I risultati delle interviste inducono a prenderele distanze da quest’interpretazione o, quanto meno, a sottoporlaa severa revisione critica. Piuttosto che espressione di un“diverso grado” d’integrazione, l’optare verso l’una o l’altratipologia di organismi di volontariato (le Odv italiane o le asso-ciazioni di immigrati) sembra porsi quale espressione di “diversimodi” di pensare l’integrazione, cioè di modi diversi per stabilirerelazioni col contesto ospite da parte del migrante che fa volon-tariato. Entrambi i modi veicolano l’integrazione (a conferma chela scelta di fare volontariato indica comunque un’integrazionein corso) perché in entrambi i casi l’universo in cui si collocala decisione del migrante è l’integrazione: processo bidirezionaleattraverso il quale si realizza l’incontro, l’interazione positiva e loscambio tra migranti e contesto d’arrivo. Ciò che cambia èinvece la modalità relazionale che il volontario migrante tenta diinstaurare con la società in cui è inserito o in cui si va inserendo.Due stili attraverso i quali il “contenuto” costruisce un’interazionepositiva e sostenibile nei confronti del “contenitore” di cui staentrando a far parte.

Nella narrazione di tutti gli intervistati prevalgono espressionilegate al tema del dono e della restituzione, nonché al tema dellagratificazione. Gratificazione derivante dall’impegno nel volon-tariato, che produce integrazione (dal punto di vista psicologico),determinando, per molti versi, una sorta di riappropriazionedella propria vita. Dice una volontaria peruviana: “facendovolontariato ti accorgi di avere molte risorse e sviluppi anche nuovecapacità, valorizzi la tua stessa vita”. Una volontaria nigerianaafferma: “mi sento gratificata, ripagata da ogni sacrificio”.Tutti i migranti vogliono “dare” qualcosa: per gratitudine, persolidarietà verso coloro a cui si sentono più simili e sotto la spintadi tutto ciò che è stato già detto. Ma ciascuno “restituisce” asuo modo. Il migrante che fa volontariato nelle Odv italianecolma un debito di riconoscenza, restituendo quel che ha trovatoe ricevuto nel Paese d’arrivo, quello che milita nelle associazionid’immigrati offre ciò che proviene dal suo Paese d’origine,quel che ha portato in prima persona o quel che altri possonoportare, anche grazie al suo aiuto (lingua, tradizioni e quant’altro).

L’esigenza di mantenere un forte legame con l’identità d’originenon necessariamente si pone in antitesi rispetto alle possibilità

Optareper l’attivitàin una Odvitaliana o in unaassociazionedi migrantirispecchiaun diversomodo di pensare l’integrazione;nel primocaso prevalel’adesione ai valori del contesto ospite,nel secondo la dimensione dello “scambio”

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10 In effetti, sin dagli esordi del fenomeno migratorio che ha interessato l’Italia,il volontariato e il Terzo settore sono stati tra i primi a occuparsi dei migranti,avendoli riconosciuti come destinatari di sostegno e di varie azioni, tra cui la for-nitura di servizi, anche per compensare i ritardi delle risposte istituzionali, in man-canza di un quadro normativo preciso in materia d’immigrazione. E la stessalegge quadro, promulgata sul finire degli anni Novanta del Novecento, ne ha espli-citamente riconosciuto il ruolo

di integrarsi: “tra il desiderio di conservare le radici culturalidei Paesi di origine e il tentativo di creare contemporaneamentequalcosa di nuovo qui non c’è contraddizione, ma un percorsodi ricerca di senso”. Si può persino ipotizzare che i percorsid’integrazione dei volontari impegnati nell’associazionismoetnico siano più coerenti con una concezione effettivamente“bidirezionale” dell’integrazione, che si realizza nello scambio tral’autoctono e il “nuovo” arrivato: colui che restituisce qualcosache ha a che fare col luogo – e con lo spazio mentale – delleorigini, piuttosto che con quello di arrivo.

Il migrante che opta per l’attività di volontariato presso le Odvitaliane sembra interpretare in altro modo il tema del debito edella restituzione. Qui l’oggetto dello scambio e della restituzioneè ciò che si è ricevuto. La società d’arrivo ha aiutato il migrante,nella fase di prima accoglienza e in quella di progressivoinserimento. Molte volte, i tramiti e gli attori di quest’aiuto sonostate proprio le Odv italiane 10. E il migrante ripaga con lastessa moneta: la moneta che principalmente ha corso legalenel Paese ospite, in accordo con una sorta di accettazione“adesiva”, invece che “trasformativa” o apportatrice di elementidi novità.

In sintesi, la differenza sembra riferibile all’universo simbolicoin cui si colloca il dono. Nel caso dei migranti che fannovolontariato presso le Odv italiane, il significato della restituzioneè connesso all’universo simbolico della società d’arrivo: l’attivitàvolontaria è frutto di un’adesione a valori che il migrante hatrovato nel contesto ospite e ha fatto propri, per ritrovare séstesso. In tal senso, quell’attività è veicolo d’integrazione.

Anche i migranti che fanno volontariato presso le associa-zioni d’immigrati hanno bussato alle porte ma nella dimensionepsicologica di chi è venuto a portare, oltre che a chiedere. Ilsignificato della restituzione va rinvenuto nel rapporto tral’universo simbolico del Paese d’origine e quello del Paesed’arrivo. Anche per questa ragione non è facile da comprenderea prima vista. L’impegno nel volontariato rappresenta percostoro un dono agli ancestors e un tentativo di portare qualcosa

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dell’universo simbolico delle origini nell’universo simbolico incui debbono e vogliono integrarsi. La scelta di dedicare ilproprio tempo all’associazionismo su base etnica o nazionaleparla della volontà di essere presenti e di preparare il terrenoalle generazioni successive. Nel voler esser presenti, essicercano lo scambio, vivono dello scambio e attraverso loscambio intendono integrarsi.

Filiazione, riconoscenza e riconoscimentoChi è il destinatario del dono? Detto in altri termini: con chi

si è contratto un debito? Nel caso del migrante che fa volon-tariato presso le Odv autoctone, palesemente si parla di undebito contratto nei confronti della società di “accoglienza”, onei confronti di alcuni suoi segmenti. Nel caso di coloro chescelgono di far volontariato presso le associazioni etniche, siè – o ci si sente – in debito nei confronti del Paese d’origine.

La dimensione in gioco è ovviamente quella psicologica:un sentimento di riconoscenza. Dal punto di vista della psicologia“del profondo” – in arte: psicoanalisi – l’idea di riconoscenzarimanda a quella di filiazione – la propria – e alla percezionedi una presenza genitoriale, rappresentata dalla societàd’accoglienza in un caso, dalla rete relazionale del Paesed’origine nell’altro. Nel primo caso: giunti fragili viandanti si èstati accolti in casa e fatti figli. Nell’altro caso: si è ricevutaun’investitura (un investimento anche economico) unitamenteall’incarico di andare in nome e per conto di… in quanto figlio.

Secondo un approccio interpretativo old fashion 11 nelprimo caso vige l’impegno nella risoluzione della dinamicaedipica verso i genitori “adottivi”, nel secondo vige l’impegnonella risoluzione della dinamica edipica verso i genitori “biologici”.

11 L’interpretazione in chiave edipica, di classica impostazione freudiana, è statautilizzata anche dai coniugi Grinberg, con riferimento alle dinamiche psichicheconnesse all’immigrazione (Grinberg L., Grinberg R., Psicoanalisi dell’emigrazionee dell’esilio, FrancoAngeli, Milano 1990, Madrid 1982). In particolare, questi autorihanno anche stabilito una similitudine tra adozione e integrazione: “Le espressioni‘terra d’adozione’ o ‘paese adottivo’ vengono usate con molta frequenza quandoci si riferisce a persone la cui vita e le cui attività si svolgono, o in forma temporaneao definitiva, fuori del loro paese d’origine. All’epoca in cui le grandi masse migratoriesi trasferivano in nave, le persone con cui si stabiliva durante la traversata unrapporto di amicizia venivano chiamate ‘fratelli’ di viaggio; erano rapporti che sicercava di mantenere per ricostruire una ‘famiglia’ di fratelli nel nuovo paese e peravere dei connazionali che dessero la sensazione di rimanere uniti al mondo conosciutoe perso, e che allo stesso tempo servissero da ponte verso il nuovo. Tutto ciò èvincolato alla fantasia inconscia di stare affrontando una nuova nascita, per la qualeè importante contare sull’appoggio (holding) del nuovo ambiente circostante, di nuovi‘genitori’ che ricevano il soggetto e lo accettino” (p.199)

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A complicare le cose: nel primo caso i genitori sono presenti,nel secondo sono lontani.

Quanti sono impegnati nel risolvere il loro conflitto edipicocon i genitori biologici hanno un compito preciso: riuscire nellasocietà d’arrivo e portare a termine il mandato che è stato loroassegnato. Dimostrare che quell’investimento iniziale non èstato un errore ma sarà un successo. Anche per questo motivo,l’impegno nell’associazionismo etnico è un lavoro che va nelladirezione di dar corpo e sostanza al proprio tentativo d’integra-zione e di aver successo nella società ospite. Chi è impegnatonell’Edipo con i genitori adottivi sente il debito di riconoscenzain modo molto più pressante di quanto non avverta l’esigenzadi avere successo: gran parte dei suoi bisogni (in termini diriconoscimento e accoglienza) sono stati placati. Costoro sisentono più “arrivati”, ovviamente in molti sensi. Anche nel sensodi sentire di aver raggiunto una meta sociale, oltre che geografica.

Non sorprende che quanti militano nell’associazionismo etnicomostrino un’indipendenza psicologica nei confronti delle figureparentali, ovvero nei confronti dell’autorità dei Paesi d’arrivo.Costoro appaiono meno inibiti nella possibilità di un confronto –anche dialettico e conflittuale – con la società che li accoglie.La rivendicazione identitaria, connaturata alla scelta di farevolontariato in un’associazione etnica, implica un confrontotra adulti, in cui la richiesta sostanziale è quella del ricono-scimento. Nel caso di chi lavora nelle Odv, la rivendicazioneidentitaria è invece di tipo sostanzialmente “assimilazionista”:nasce dal desiderio di esser parte della famiglia, cercando laconferma di un processo di accettazione e inclusione, peraltrogià avvenuto. Per costoro, infatti, l’esigenza e la richiesta diriconoscimento identitario appaiono meno pressanti. Cosìcome più debole appare la capacità di sostenere il conflitto.Proprio perché l’accettazione da parte della società ospite èil presupposto dell’agire e quest’accettazione non si può metterein discussione, se non a costo di sofferenza psichica.

L’accettazione, nel caso di coloro che operano nell’asso-ciazionismo etnico, proprio perché sempre ricercata e non giàdata per scontata, può anche esser messa in dubbio. Comedire che il dubbio in merito all’accettazione per costoro non èforte motivo di sofferenza psicologica.

Ancora: se nel caso dei migranti attivi nelle associazionietniche è centrale – sul piano mentale – il tema del ricono-scimento, nel caso dei migranti che fanno volontariato all’internodelle Odv è centrale il tema dell’identificazione (l’identificazione,adesiva, con i modelli proposti dal contesto ospite). Tutto ciò

Il confrontocon la dimensione “genitoriale”,rappresentata dalla società d’accoglienza o dai propri genitori naturali;in entrambi i casil’impegno volontario risolve una dinamica edipica

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può rendere più chiare le strategie che i percorsi d’inseri-mento sociale (nelle forme di partecipazione al volontariatoprese in esame) sembrano richiedere di attivare. Nel caso deimigranti che militano nelle associazioni etniche, la questionedell’integrazione appare proiettata all’esterno, condivisa inuna logica di gruppo, elaborata congiuntamente con altri, in unadimensione più collettiva che individuale. Nel caso dei migrantiche fanno volontariato nelle Odv, la questione dell’integrazione èaffrontata in termini di esperienza interiore, appartiene alla sferadell’intimo, dell’individuale più che del sociale. Vengono proiettativerso il mondo esterno principalmente i temi relativi al disagioe alla solidarietà, che debbono essere tradotti in azioni dasvolgere in comune con la società ospite. A volte si sceglie dilavorare – come volontari – in settori che non hanno direttamentea che fare con i bisogni della popolazione immigrata, quasi avoler allontanare l’esperienza migratoria.

Le interviste non hanno consentito di esplorare adeguatamentecome il tutto riverberi all’interno delle strutture familiari, inparticolare all’interno delle seconde generazioni. Si può tuttaviaparlare di una sorta di conferma dell’ipotesi di Arnold Epstein 12,ancorché riformulata. Nel caso della partecipazione alle asso-ciazioni etniche, per quanto esplicitamente impegnate nellarisoluzione di una loro ricerca identitaria, le seconde generazionisi trovano, in parte, il lavoro già fatto. Sono più emancipatedall’urgenza di scegliere e possono avvalersi anche delle stradeaperte dalla generazione precedente, nonché delle soluzioniche essa ha individuato. Nel caso del coinvolgimento nelleOdv, permane invece un conflitto in parte inespresso e noncompletamente affrontato sul piano sociale (come si diceva,ha qui prevalso la dimensione personale e intimistica) cheprobabilmente viene lasciato in eredità alle seconde generazioni.In accordo con Epstein, la questione dell’integrazione non sirisolve nell’arco di una sola generazione e il modo in cui essaviene affrontata dalla prima generazione influenza significati-vamente il percorso delle generazioni successive.

12 Nel terzo dei suoi celebri studi sull’identità (L’identità etnica. Tre studi sull’etnicità,Loescher Editore, Torino 1983, Londra 1978) intitolato Identificazione con i nonnie identità etnica, Epstein pone l’accento sulla dimensione temporale dei processid’integrazione, necessaria a fornire i legami tra le generazioni e tra passato e presente

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Le trappole amministrativenel rinnovo dei permessi di soggiornoper motivi di studio

di Alessia Damonte e Berna Yilmaz 1

Università Statale di Milano

La storia esemplare di Berna, dottoranda turca.La ricerca di un equilibrio fra esigenze di sicurezza e necessità di snellire le procedure per una categoria di immigrati essenziale nello sviluppo del nostro Paese

Berna è una dottoranda in scienze politiche dell’Universitàdegli Studi di Milano. Viene dalla Turchia. Ha un master in Relazioniinternazionali dell’Università Bilkent – l’ateneo privato istituitoad Ankara nel 1984 sul modello delle università americane,con una reputazione regionale di eccellenza. Quando ha inviatola sua candidatura al dottorato, nel 2007, le lettere di presen-

tazione dei suoi docenti la posizionavanonel “top 1%” degli studenti locali. Parla unottimo inglese – requisito fondamentale in undottorato che condivide fortemente gli obietti-vi ministeriali dell’internazionalizzazione, eche perciò ha deciso di impartire tutta ladidattica in lingua. Appena arrivata, nonconosceva una sola parola di italiano, nétantomeno le “regole del gioco” del conte-sto in cui si sarebbe ritrovata, né qualcuno

che potesse spiegargliele. Molto presto si è resa conto che que-sto rappresentava un problema nei rapporti con le burocrazie –una sfera fondamentale per chiunque, ma specialmente per unostraniero. Per i cittadini dei Paesi non comunitari, infatti, gliadempimenti amministrativi, che già appaiono onerosi ai nazio-nali, risultano di fatto più pesanti.

1 Il presente lavoro riflette soltanto le opinioni degli autori e non implica necessariamentela condivisione con la loro istituzione di appartenenza

Per i cittadini dei Paesi non comunitari gli adempimenti amministrativi risultano di fatto più pesanti, soprattutto per unproblema legato alla scarsa o nulla conoscenza dell’italiano

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Permessi di soggiorno per studio: le trappole della burocrazia

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Come i nazionali, Berna subisce i tempi di risposta dellaburocrazia italiana, e le relative conseguenze.

In quanto studente, la legislazione le fa obbligo di rinnovareil suo permesso di soggiorno ogni anno; ma quella stessalegge prescrive che, in presenza dei requisiti, il permesso “èrilasciato, rinnovato o convertito entro 20 giorni dalla data incui è stata presentata la domanda” 2. Sulla base della suaesperienza, però, in una realtà amministrativa congestionatacome quella di Milano, dall’invio del “kit giallo” al rilascio delpermesso da parte della questura possono passare dai due aisette mesi 3; e non è possibile anticipare le pratiche, perchéper la conferma del permesso servono innanzi tutto i certificatidi ammissione all’anno accademico successivo rilasciatidall’Ateneo.

Il collo di bottiglia risulta particolarmente visibile al momentodella convocazione in questura per il fotosegnalamento e ilcontrollo di conformità dei documenti, che va ripetuta a ogni

rinnovo del permesso. Secondo Berna, qui itempi di attesa, stabiliti automaticamentedal sistema di Agenda elettronica introdottodal 2008 4, per Milano possono arrivare finoa cinque mesi, a seconda del numero didomande da evadere al momento, dal livellodi decentramento delle pratiche ai commis-sariati, dal personale assegnato alla gestionedelle pratiche (quindi sottratto ad altre priorità).L’effetto complessivo è quello di una profonda

incertezza nei tempi del rinnovo. La possibilità di tracciare laprocedura attraverso il “Portale immigrazione” non aiuta a ridurrei tempi, perché anche se al sistema la pratica può apparirevirtualmente chiusa, in realtà il permesso può non essereancora pronto per la consegna da parte dell’ufficio.

Per un dottorando questa incertezza ha conseguenzeimportanti. Una volta scaduto il permesso, infatti, lo studenteresta, come tutti gli immigrati, in possesso di una ricevuta che

2 Legge 6 marzo 1998, n. 40, art. 5, modificato dalla Legge 30 luglio 2002, n.1893 Ma lo stesso ministero dell’Interno, nella Direttiva Prot. N. 1050/M(8) riconoscecome fenomeno generale che “l’oggettiva maggiore complessità delle proceduredi rinnovo del permesso di soggiorno, determinata dalla legge n.189 del 2002e dagli altri interventi normativi di settore, ha comportato, di fatto, l’impossibilità,per gli uffici, di rispettare il termine di 20 giorni per la conclusione del procedimentodi r innovo”4 Circolare prot. n.1698 del 10 aprile 2008

I tempi d’attesa per le varie fasidella procedura di rinnovosi dilatano ben oltre quelli previsti dalla legge, specie ingrandi città come Milano dove le domande sono numerose

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attesta che il rinnovo è in corso, e che nelle more gli permettedi muoversi solamente tra il Paese di provenienza e quello diaccoglienza attraverso lo stesso valico di frontiera usato peril primo ingresso 5. Quindi, fino al rilascio del nuovo permesso,gli è sostanzialmente preclusa la possibilità di presentare isuoi lavori a convegni fuori da questi due Paesi. L’incertezzadei tempi rende difficile a questo studente programmare, oespletare, una delle attività tra le più significative della suaformazione, quella del confronto e dello scambio entro lacomunità scientifica internazionale.

A differenza dei nazionali, però, all’inizio Berna ha scontatoanche la scarsa conoscenza dell’italiano. Nella sua esperienza,questo problema emerge in due modi. Da un lato, nell’interazionediretta con il personale delle amministrazioni: agli sportellidella questura, negli uffici postali, nel back office dell’università,la conoscenza delle lingue straniere appare spesso ancora

un’eccezione, e farsi comprendere una que-stione complicata. Dall’altro lato, il problemasi fa sentire nella gestione della modulistica.Nella legislazione, dal 1986 vige inalterata laprevisione secondo cui “gli atti sono tradotti,anche sinteticamente, in una lingua compren-sibile al destinatario, ovvero, quando ciò nonsia possibile, nelle lingue francese, ingleseo spagnola, con preferenza per quella indicatadall’interessato” 6.

Questa previsione, nella pratica delle amministrazioni,sembra implicare che solo la comunicazione riguardo agli atti,e non gli atti stessi, debbano essere prodotti in una linguacomprensibile a questa speciale categoria di utenti. CosìBerna non ricorda di aver mai avuto un modulo per la richiestadi visto o per il suo rinnovo che non fosse in italiano. Una voltaimparato l’italiano, ha inoltre realizzato con qualche stuporeche la lingua della modulistica resta comunque poco compren-sibile, e l’autocompilazione a rischio di errore.

Come tutti gli altri immigrati, anche lei dipende quindi dallamediazione di chi abbia competenze in materia. Al momento

5 Ministero dell’Interno, Circolari N400/C/2006/779/P/12.214.32/II e N400/C/2006/ 400272/P/12.214.3.2/II6 Legge 6 marzo 1998, n. 40, art. 2; Legge 30 dicembre 1986, n. 943, art.1

Problemi ci sono anche nellainterazione con il personale delle amministrazioni e nella modulistica, quasi mai prodotta in una linguacomprensibile all’immigrato

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del suo ingresso, il supporto è stato fornito direttamente dagliuffici amministrativi dell’università; ma, dopo l’ottenimento delprimo permesso, Berna ha realizzato come quel supporto nonpotesse essere continuativo. Per quanto disponibile, l’ufficio,oggi composto da cinque collaboratori e una dirigente,appartiene infatti alle strutture centrali di Ateneo e serve tuttele facoltà; inoltre è titolare di una missione più ampia e glistudenti stranieri rappresentano solo una parte delle suecompetenze ordinarie 7.

Per i rinnovi, Berna ha deciso di affidarsi quindi al supportodegli sportelli dedicati negli uffici postali. Questa soluzione però

non si è rivelata a prova di errore. In due rinnovisu tre, una volta arrivata all’appuntamentoin questura ha scoperto che la pratica erastata “bloccata” dal sistema informatizzato:una volta per l’assenza della prova di assi-curazione sanitaria, che allo sportello dellePoste avevano garantito non sarebbe servita;una seconda volta per la mancanza di un datochiave (la data di primo ingresso in Italia)nel modulo stesso, di cui nessuna amministra-

zione si è assunta la responsabilità. Questi errori di compilazioneo di completamento della modulistica rappresentano momentidi autentico sconforto, perché non sembra possibile venganorisolti nel momento in cui vengono scoperti. Per “sbloccare lapratica” le è stato detto che era necessario ricominciare da capoe ottenere un nuovo appuntamento in questura, passando ancoraper i tempi dell’Agenda elettronica e aumentando così l’effettodi incertezza.

Come cittadina extra-UE, infine, Berna va soggetta moltopiù degli italiani a quella “cultura del sospetto” che ha semprerappresentato la cifra della nostra come di altre amministrazioni

Basta un piccolo errore nel completamento dei moduli,anche non dipendente dalla volontà del richiedente,per bloccare la procedura e far ricominciare l’iter da capo

7 L’Ufficio “Dottorati, master, corsi di perfezionamento e studenti stranieri” … sioccupa principalmente della gestione amministrativa delle più comuni praticherelative ai diversi momenti dell’iscrizione: dall’ammissione ai concorsi all’esamefinale, dall'immatricolazione all’allestimento delle pratiche per lo svolgimento diperiodi di ricerca all’Estero o per l’interruzione temporanea o definitiva del corso.L’Ufficio fornisce informazioni relativamente alle scadenze e ai vari adempimentiamministrativi; distribuisce moduli e fac-simili per la produzione delle varie istanzee il disbrigo delle pratiche amministrative a carico dei dottorandi e dei docenti,coordinatori e membri di commissione d’esame; emette i certificati e le attestazionirelative alla carriera dei dottorandi; cura l’espletamento delle pratiche per il rilasciodel titolo; si occupa dell'aggiornamento delle pagine web dedicate ai dottoratidi ricerca.” http://www.unimi.it/ricerca/dottorati/2324.htm

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pubbliche nazionali, e che anni di interventi semplificativi edi digitalizzazione sono probabilmente riusciti a trasformarein “cultura del servizio” in diverse amministrazioni ordinarie e inmolte realtà locali (Barabeschi 2006, Cerase 1990, Caringella/Garofoli/Sempreviva 2010) ma, per ragioni strutturali, non in quellelegate alla sicurezza pubblica, dove – non solo in Italia – si èfatta più visibile la tensione tra rispetto dei diritti civili e obiettividi controllo (Balzaq e Carrera 2006, Palidda 2000, der Boer1995). Per impedire comportamenti opportunistici se noncriminali, la regolazione è diventata sempre più preventiva,spostando l’onere della prova su chi entra. A fare problema,agli occhi di Berna, non è il principio, ormai diffuso e la cuirazionalità appare comprensibile; piuttosto, è il modo in cui vienetradotto in pratica.

In alcuni casi, il nodo risiede nel tipo di prova che vienerichiesta. L’iscrizione al dottorato avviene “senza limitazioni di etàe cittadinanza”, ma è subordinata al conseguimento di “laureao di analogo titolo accademico… estero” 8. In Italia come altrove,in materia di riconoscimento vale però ancora quanto previstodal Regio decreto del 1933: i titoli accademici conseguiti all’esteronon hanno valore legale in Italia, al di fuori di specifici accordibilaterali – che, tra Italia e Turchia, ad oggi non esistono. Perciòsono i singoli atenei a stabilire l’equivalenza dei titoli, sullabase di diversi documenti decisi dal ministero dell’Universitàin conformità con quanto prescritto a livello europeo nella cornicedel Processo di Bologna per il Diploma Supplement, tra cui ilcertificato con il dettaglio dei corsi seguiti e degli esami sostenutiall’estero per conseguire il titolo accademico straniero 9, finoal livello dei moduli o delle unità interni al corso, con i relativi

8 Decreto del 30 aprile 1999 n. 224, art.5 co.19 Oltre questo certificato e alla sua traduzione giurata in italiano, in Italia la valutazionedi equipollenza chiede al richiedente di produrre anche: “(a) originale del titolo finaledi scuola secondaria superiore (o certificato sostitutivo), che sia valido per l’ammissioneall’università del Paese in cui esso è stato conseguito; (b) traduzione ufficiale in italianodel certificato o diploma di cui alla lettera a); (c) dichiarazione di valore sullo stesso titolodi cui alla lettera a), rilasciata dalla Rappresentanza Diplomatica o Consolare italiananel Paese al cui ordinamento didattico si riferisce il titolo stesso; (d) titolo accademico –in originale – di cui si richiede il riconoscimento, anch’esso accompagnato dallatraduzione ufficiale in italiano e da dichiarazione di valore, rilasciata dalla RappresentanzaDiplomatica o Consolare italiana nel Paese al cui ordinamento universitario il titolofa riferimento; […] (g) programmi di studio (su carta intestata dell’università straniera oavvalorati con timbro della università stessa),di tutte le discipline incluse nel curriculumstraniero, con relativa traduzione in italiano; l’autenticità di tali programmi, comepure di tutta la documentazione precedente deve essere confermata dalla RappresentanzaDiplomatica o Consolare italiana in loco. http://www.miur.it/0002Univer/0052Cooper/0069Titol i /0359Il_ric/0361Docume/1482Equipo_cf2.htm; http://www.esteri. i t /MAE/IT/Ministero/Servizi/Sportello_Info/DomandeFrequenti/ScuoleTitoliStudio

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crediti e, nel caso, i voti conseguiti . Ma mentre il sistemaeuropeo specifica che l’official transcript va inserito se l’infor-mazione è disponibile 10, per la procedura italiana il certificatooriginale dettagliato è l’unico documento plausibile previsto –anche quando, come nel caso di Berna, la sua università diprovenienza si è adeguata ai criteri di Bologna solo negli ultimianni, e il principio domestico consolidato rende accessibili leprove intermedie di esito dei singoli moduli, depositate negliarchivi dell’università, solamente dietro richiesta di un tribunale 11.

In altri casi, il punto consiste nella ridondanza delle proverichieste, come la raccolta degli stessi dati biometrici effettuata a

ogni rinnovo del permesso di soggiorno.In altri casi ancora, il nodo risiede nella

relativa instabilità dei modi in cui le proverichieste per la concessione del permesso oper il suo rinnovo debbono essere prodotte:così, in un dato anno, per la prova dei mezzidi sostentamento può bastare la fotocopiadella carta di credito, mentre per l’annosuccessivo può invece essere necessarioprodurre un estratto dei movimenti del proprio

conto corrente bancario. All’incertezza dei tempi si sommaquindi anche quella delle regole del gioco, rendendo i rinnoviun’autentica prova di volontà.

Berna rappresenta parte di un fenomeno numericamentemarginale per la nostra realtà, quello degli studenti nei cicli di altaformazione. In Italia, i dottorandi stranieri sono relativamentepochi: secondo la rilevazione del ministero dell’IstruzioneUniversità e Ricerca 12 ammontano complessivamente a pocomeno di 3.300, e costituiscono l’8,7% degli oltre 37mila studentiiscritti ai diversi anni. Non c’è da stupirsi che la normativa,semplicemente, “non li veda”, riconducendoli più o menoforzatamente alle categorie più ampie soggette a controllo –stranieri iscritti ai trienni e bienni, stranieri extraeuropei tout-court.In quanto tale, a Berna e ai suoi colleghi si applicano innanzitutto le categorie securitarie, accentuate da comportamenti

Agli studenti dei cicli di altaformazione si applicano categorie securitarie poco idonee a una fascia di stranieri considerata cruciale per il nostro Paese

10 http://ec.europa.eu/education/lifelong-learning-policy/doc/ds/ds_en.pdf al punto 4.311 Nelle more, l ’Ateneo in questo caso ha poi deciso di riconoscere il t itolo sullabase della dichiarazione di valore rilasciata dall’Ambasciata italiana12 Ufficio di Statistica del MIUR, Rilevazione del post-laurea 2009-2010, Modello 26,http://statistica.miur.it/scripts/plol_10_pub/modulo1.asp

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organizzativi che, per competenze ereditate o per disegno, dalmomento dell’ingresso in poi mettono ogni anno alla prova lasolidità delle loro intenzioni.

Ma la macchia cieca proiettata dalla normativa, e i comporta-menti delle amministrazioni nazionali, così facendo mettono sottopressione una categoria di stranieri particolarmente cruciale. Sitratta di giovani che hanno costruito il proprio progetto migratorioattorno alla fiducia nella capacità delle istituzioni formativeitaliane di sviluppare le loro personali conoscenze e competenze,e che contribuiranno a costruire il capitale futuro di reputazionee relazioni. Più banalmente, a livello aggregato, definiscono il pesodi un indicatore sempre più rilevante nella valutazione interna-zionale della qualità dei sistemi educativi di alta formazione, e perestensione della competitività di un Paese (Ederer, P., P. Schuller eS. Willms 2008). Anche senza dover ricorrere alle solite com-parazioni non particolarmente lusinghiere con quei sistemieducativi, anche europei, che hanno deliberatamente costruitoun mercato dell’educazione superiore aperto e ricco di servizisenza per questo tradire il paradigma securitario, è sufficienteosservare come, a livello interno, in sé la capacità di attrazionedi studenti stranieri dia forma a una geografia accademicareputazionale, dei programmi di insegnamento più legatialla ricerca, ma anche dell’ampiezza dell’offerta formativa,dell’imprenditività e dell’apertura degli atenei (tabella1).

Tabella 1. Studenti di dottorato per ateneo: statistiche

LU Bolzano 2 53 25 47,2 26,5 12,5

U Commerciale Bocconi Milano 7 137 48 35 19,6 6,9

Politecnico Torino 40 745 197 26,4 18,6 4,9

UdS Torino 26 1.302 117 9 50,1 4,5

Politecnico Milano 42 914 182 19,9 21,8 4,3

UdS Camerino 14 187 50 26,7 13,4 3,6

UdS Trento 49 539 161 29,9 11 3,3

LU San Raffaele Milano 6 191 18 9,4 31,8 3

U per stranieri Siena 2 29 6 20,7 14,5 3

UdS Ca’ Foscari Venezia 21 376 57 15,2 17,9 2,7

UdS Ferrara 24 356 53 14,9 14,8 2,2

LU Jean Monnet 2 35 4 11,4 17,5 2

nr.studenti

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Atenei nr.studentistranieri

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Atenei tot.studenti

nr.dottorati

UdS Roma Tor Vergata 102 1.429 200 14 14 2

UdS Milano 92 1.462 166 11,4 15,9 1,8

UdS Udine 20 462 30 6,5 23,1 1,5

UdS Roma Tre 41 622 59 9,5 15,2 1,4

LU ISS Guido Carli Roma 15 166 19 11,4 11,1 1,3

UdS Bologna 170 1.750 222 12,7 10,3 1,3

UdS Roma La Sapienza 219 2.963 287 9,7 13,5 1,3

UdS Roma “Foro Italico” 6 51 7 13,7 8,5 1,2

UdS Genova 118 1.025 138 13,5 8,7 1,2

UdS Verona 49 607 57 9,4 12,4 1,2

Media Nazionale 8,7 11,2 1,2UdS Basilicata 18 186 20 10,8 10,3 1,1

UdS Siena 90 938 99 10,6 10,4 1,1

UdS Tuscia 21 298 22 7,4 14,2 1

UdS Bergamo 17 250 17 6,8 14,7 1

U per stranieri Perugia 3 15 3 20 5 1

UdS Pavia 52 641 49 7,6 12,3 0,9

U Politecnica Marche 47 432 40 9,3 9,2 0,9

UdS Trieste 62 374 47 12,6 6 0,8

LUdS San Pio V Roma 3 8 2 25 2,7 0,7

UdS Cagliari 46 431 33 7,7 9,4 0,7

UdS Firenze 110 1.293 74 5,7 11,8 0,7

UdS Milano-Bicocca 41 611 30 4,9 14,9 0,7

UdS Pisa 135 932 98 10,5 6,9 0,7

UdS Salerno 44 544 29 5,3 12,4 0,7

UdS Sassari 32 355 21 5,9 11,1 0,7

U Calabria 45 444 32 7,2 9,9 0,7

UdS Sannio 5 158 3 1,9 31,6 0,6

UdS Insubria 26 226 15 6,6 8,7 0,6

UdS Padova 155 1.507 92 6,1 9,7 0,6

Politecnico Bari 17 200 8 4 11,8 0,5

U Cattolica “Sacro Cuore” 100 675 46 6,8 6,8 0,5

UdS Bari 105 1.058 56 5,3 10,1 0,5

UdS Napoli Federico II 122 1.612 67 4,2 13,2 0,5

UdS Orientale Napoli 22 171 10 5,8 7,8 0,5

U Salento 60 609 27 4,4 10,2 0,5

UdS Piemonte orientale 12 170 5 2,9 14,2 0,4

UdS Macerata 48 257 19 7,4 5,4 0,4

UdS Napoli Parthenope 14 136 6 4,4 9,7 0,4

UdS Reggio Calabria 30 243 13 5,3 8,1 0,4

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Atenei tot.studenti

nr.dottorati

U Campus Bio-Medico Roma 9 73 3 4,1 8,1 0,3

UdS Brescia 25 186 8 4,3 7,4 0,3

UdS Modena e Reggio Emilia 139 450 36 8 3,2 0,3

Seconda UdS Napoli 102 534 22 4,1 5,2 0,2

UdS Carlo Bo Urbino 27 230 6 2,6 8,5 0,2

UdS Cassino 29 147 6 4,1 5,1 0,2

UdS Catania 121 946 28 3 7,8 0,2

UdS l'Aquila 32 301 5 1,7 9,4 0,2

UdS Parma 62 475 13 2,7 7,7 0,2

UdS Perugia 106 551 25 4,5 5,2 0,2

IU Suor Orsola BenincasaNapoli 18 55 2 3,6 3,1 0,1

UdS Catanzaro 14 150 2 1,3 10,7 0,1

UdS Foggia 31 149 4 2,7 4,8 0,1

UdS Messina 163 1.237 23 1,9 7,6 0,1

UdS Palermo 147 764 14 1,8 5,2 0,1

UdS Teramo 25 126 2 1,6 5 0,1

UdS Chieti e Pescara 110 467 9 1,9 4,2 0,1

UdS Molise 22 91 1 1,1 4,1 0

Legenda: IU = Istituto Universitario; LU = Libera Università; U = Università; UdS = Università degli Studi

Nota: sono esclusi dal computo gli istituti parificati ai dottorati, come il SUM o l’IMT, e gli atenei senza stranieri iscritti

Fonte: elaborazione dati MIUR, rilevazione del post laurea per l’AA 2009/2010, Modello 26, http://statistica.miur.it/scripts/plol_10_pub/modulo1.asp

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Non sappiamo se, in tempi di austerità, sia davvero possibilemodificare i comportamenti organizzativi delle amministrazioniattualmente coinvolte nella gestione della procedura per il rilasciodei permessi di soggiorno, o le competenze e dotazioniamministrative degli atenei. Resta forse possibile immaginareuna procedura meno onerosa e ridondante, che continui a faresalvo l’obiettivo della sicurezza interna senza minare le motivazionidi progetti migratori legittimi quanto strategici per lo sviluppo.

Riferimenti

Balzacq, T. e S. Carrera (2006), Security versus Freedom?A Challenge for Europe’s Future, Londra, Ashgate.

Barabeschi, B. (2006), Qualità della pubblica ammini-strazione e sviluppo delle società locali, Milano, FrancoAngeli.

Caringella, F., R. Garofoli e M.T. Sempreviva (2010),L’accesso ai documenti amministrativi, Milano, Giuffré.

Cerase, F.P. (1990), Un’amministrazione bloccata. Pubblicaamministrazione e società nell’Italia di oggi, Milano,FrancoAngeli.

der Boer, M. (1995), “Moving between bogus and bonafide: The policing of inclusion and exclusion in Europe”,in Miles, R. e D. Thränhardt (a cura di), Migration andEuropean Integration. The Dynamics of Inclusion and Exclusion,Londra, Pinter, pp. 92-111.

Ederer, P., P. Schuller e S. Willms (2008), “University systemranking: Citizens and society in the age of knowledge”, theLisbon Council Policy Brief, III, 1, http://www.lisboncouncil.net/publication/publication/38-university-systems-ranking-citizens-and-society-in-the-age-of-knowledge.html.

Palidda S. (2000), Polizia postmoderna, Milano, Feltrinelli.

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Per l’accoglienza integrata…“Ricominciodatre”

di Alfonso MolinaDocente di Strategie delle tecnologie all’università di Edimburgo e direttore scientifico della fondazione “Mondo digitale”

La fondazione Mondo digitale propone un modello innovativo di sostegno ai rifugiatibasato sull’uso delle nuove tecnologie,per accelerare il processo di inserimentoe di integrazione nel Paese di destinazione

I rifugiati sono persone che devono intraprendere un percorsod’integrazione nel Paese che li accoglie recuperando gradual-mente il controllo di se stessi. Ogni rifugiato diventa un “progettodi vita”. L’obiettivo deve essere l’empowerment della persona,cioè la capacità di rafforzare le sue competenze, usufruendodelle opportunità che gli vengono offerte e costruendo unfuturo che porterà benefici sia al rifugiato stesso sia al Paesedi accoglienza.

È in questo contesto che si inserisce l’insegnamento dellenuove tecnologie, così come quello della lingua italiana. Lafondazione Mondo digitale presso il centro Enea di Roma 1

sperimenta dal vivo un modello innovativo di accoglienzaintegrata basata sull’uso delle nuove tecnologie, per accelerareil processo di inserimento e di integrazione nel Paese diaccoglienza: gestisce un internet café, organizza corsi diformazione digitale, promuove eventi sul territorio con la colla-borazione delle scuole romane e coinvolge alcuni rifugiati inun’esperienza lavorativa all’interno della propria organizzazione.L’integrazione è un dialogo tra il rifugiato e il Paese che loaccoglie: maggiori sono le opportunità che gli vengono offerte,

1 Il centro Enea (www.centroenea.it) è una struttura di seconda accoglienza perrichiedenti asilo, rifugiati e titolari di protezione sussidiaria nata a Roma nel 2007. Èun progetto sperimentale voluto dal comune di Roma in sinergia con il ministerodell’Interno, che offre continuazione ma anche sviluppo e implementazione delpercorso di integrazione cominciato in Italia grazie alla rete di prima accoglienzagià attiva sul territorio nazionale

Un internet café, corsi di formazionedigitale, eventisul territorio,lavoro dei rifugiati:questi alcuni degli strumenti su cui si basa l’azione della fondazione

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più sarà semplice per lui e per l’intera società crescere insieme.Il lavoro della fondazione Mondo digitale mira a questa ricchezzadi opportunità, stimolando azioni di sistema basate sulla solida-rietà e la collaborazione con altre organizzazioni: tutti insiemeper la sfida dell’integrazione.

Il progetto “Ricominciodatre”Quest’anno, con sei ospiti, la fondazione Mondo digitale ha

sperimentato “Ricominciodatre”, un progetto pilota di “sostegnoall’autonomia e all’inserimento lavorativo”, che coniuga sociallearning, animazione territoriale e collaborazione con le scuole.

Dal potenziamento della mobilità sul territorio alla ricolloca-zione professionale, le diverse proposte del piano di interventosono state costruite a partire dai bisogni reali dei rifugiati edalle difficoltà che hanno incontrato, nonostante la costruzionedi percorsi personalizzati. I sei candidati, dopo aver frequentato ipercorsi formativi presso le scuole romane, hanno partecipatoanche a tirocini all’interno di aziende della durata di due mesi.Durante tutto il percorso sono stati seguiti da tutor qualificati.

Le proposte sono state diversamente calibrate per duratae impegno – dalle 20 ore del patentino alle 80 della certificazioneECDL (la “patente europea del computer”) – ma tutte hannoofferto competenze e conoscenze facilmente spendibili nelmercato del lavoro.

I risultati del progetto sono stati presentati in occasione dellaGiornata mondiale del rifugiato (20 giugno 2011), nel corso dellatavola rotonda “Accoglienza integrata: scuola, territorio, lavoro”,

La fondazione Mondo digitaleLa fondazione Mondo digitale è un’organizzazione senza

scopo di lucro guidata, dalla sua nascita nel 2001, comeconsorzio Gioventù digitale, dal professor Tullio De Mauro.Ha come missione principale la diffusione delle tecnologiedigitali nel mondo della scuola e a tutti cittadini, con attenzioneparticolare alle categorie a rischio di esclusione sociale (anziani,immigrati ecc.). Opera in diverse aree, promuovendo ovunquel’uso inclusivo delle nuove tecnologie, e si occupa di ricerca esviluppo per l'azione. Lavora per una società della conoscenzainclusiva, coniugando innovazione, educazione, inclusionee valori fondamentali: i benefici che provengono da conoscenze,nuove tecnologie e innovazione devono essere a vantaggiodi tutte le persone senza alcun tipo di discriminazione.

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I sette moduli formativi di “Ricominciodatre”Laboratorio multimediale audio-video (60 ore)Certificazione Cisco - CCNA (60 ore) Web graphic design (60 ore)Informatica di base per segretarie d’azienda (60 ore)Certificazione ECDL (80 ore)Patentino per la guida del ciclomotoreLaboratorio di italiano L2-G2

con la partecipazione di enti e associazioni che lavorano nelsettore, quali Vis, Caritas o Biblioteche di Roma. A seguire iprotagonisti del progetto “Ricominciodatre” (rifugiati, aziende,scuole e organizzazioni non profit) si sono sfidati amichevolmentenella partita di calcio solidale “Io ci sono”, un appuntamentoormai consueto che la fondazione Mondo digitale organizzaper sensibilizzare anche le scuole. Un modo per mettere incampo le differenze culturali e per costruire un ponte tra giovanidi nazionalità diverse che pur avendo età simili hanno vissutosituazioni completamente diverse.

Anche se ha coinvolto un piccolo gruppo di rifugiati il progetto

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“Ricomiciodatre” è stato valutato attraverso la metodologia“Real Time Evaluation” sviluppata dalla fondazione Mondo digitaleper monitorare e ottimizzare l’impatto progettuale, attraversoindicatori qualitativi e quantitativi e il coinvolgimento dei diversiprotagonisti dell’esperienza. Il 60% dei candidati ha valutato ilpercorso formativo molto utile. I percorsi educativi, oltre a suscitaremolto interesse, hanno anche rafforzato l’apprendimento dellalingua italiana durante il periodo di formazione, come confer-mato dalla totalità dei partecipanti. Un altro dato che emergedall’analisi dei risultati è la necessità e la voglia di imparareche hanno i rifugiati, necessaria per facilitare il loro processodi integrazione. Tutti i partecipanti al progetto hanno dichiaratodi voler continuare a seguire altri corsi. Le tematiche a cui sonomaggiormente interessati sono: amministrazione e contabilità(29%), diritto del lavoro (24%), italiano e informatica (19%),pratiche di archiviazione della documentazione (14%) e operazionibancarie (14%). Le figure degli insegnanti e dei tutor che hannoseguito i partecipanti durante i percorsi sono state valutatemolto positivamente: a giudicare il lavoro ottimo è il 30% deipartecipanti, buono il 50% e sufficiente il 20%.

I percorsi educativi, oltre ad accelerare il processo generaledi integrazione dei ragazzi, hanno dato loro l’opportunità dicrearsi intorno un contesto di relazioni locali (gli studentidelle scuole romane, i tutor aziendali) e di aumentare il lorolivello di autostima intesa come fiducia nella capacità diapprendere. L’80% dichiara che questo corso gli ha dato lapossibilità di sviluppare una responsabilità personale.

Quanto ti è servito il corso?

NientePocoAbbastanzaMolto Moltissimo

Positive le valutazioni fornite dai partecipanti ai percorsi educativi proposti.Tra i maggiori interessi i settori ammi-nistrazionee contabilità,diritto del lavoro,italiano,informatica e operazionibancarie

Abbastanza30%

Molto 60%

Moltissimo10%

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Che tipo di corso vorresti frequentare?

I protagonisti di “Ricominciodatre”…

Adel è un ragazzo sudanese di 30 anni. Come saldatoreprofessionista ha lavorato sia in Italia sia all’estero. Grazieal progetto “Ricominciodatre” ha frequentato un percorsoeducativo di 20 ore per il conseguimento del patentino perla guida del ciclomotore e un corso di 80 ore per la certifi-cazione ECDL presso l’Itis “E.Fermi” di Roma. Adel ha acquisitocompetenze in ambito amministrativo con uno stage pressola cooperativa sociale Queens servizi, cooperativa il cuiobiettivo è quello di inserire delle persone svantaggiate nelmondo del lavoro (ogni tre lavoratori ne viene assunto unoportatore di handicap). Inizialmente si è occupato dell’archiviocartaceo e digitale per poi arrivare a elaborare autonomamentefatture e preventivi.“La strada della vita è lunga e piena di curve, per me èimportante imparare sempre più cose nuove”.

Amadou ha 33 anni. Dopo gli studi, in Gambia, ha gestitol’azienda agricola di famiglia. In Italia dal 2007 è entrato alcentro Enea nel 2009 dove ha frequentato corsi di italiano e hasvolto un tirocinio alla Conad per poi lavorare nell’ambito

24%14%

29%19%

14%per approfondire le praticheamministrative contabiliper approfondire l’archiviazionedella documentazioneper approfondire il rapporto con i consulenti del lavoroper approfondire il disbrigo delle operazioni bancarieper approfondire italiano e informatica

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della sicurezza. Amadou non si è fermato, per continuare acrescere ha cercato un corso di informatica e ha trovato lafondazione Mondo digitale e le attività di formazione promossepresso l’internet cafè del centro Enea. Parla tre lingue e conoscemolto bene la cultura italiana. Ha partecipato al corso diinformatica di base per segretari d’azienda presso l’Istitutocomprensivo “M.Capozzi” di Roma. Anche Amadou ha frequen-tato il percorso educativo per il conseguimento del patentinoe il laboratorio di italiano L2 - G2. Oggi presso lo studio com-merciale De Mattheis si occupa di numeri: tra fax, fatture edatabase sta diventando un vero esperto.

“Gli insegnanti sono molto gentili, non si stancano mai dispiegare, spiegano e spiegano fino a quando vedono cheho capito. Mi trovo molto bene con loro”.

Dawood, 20 anni, è afgano. Ha svolto tantissimi lavori,dal citofonista al pasticcere, ma la sua grande passione è ilcinema. Dopo aver frequentato il percorso educativo di webgraphic design presso l’Istituto di Stato per la cinematografiae la televisione “R.Rossellini” di Roma ha imparato a registraree montare video presso la Laser film srl. Il suo hobby? Ovviamenteguardare e commentare i film. Forse anche per questo Dawoodparla un italiano impeccabile.

“Studio anche quando torno al centro Enea, mi piaccionotantissimo queste cose: cinema, web, fotografia…”

Farhia, ragazza somala di 23 anni. A Mogadiscio dopo ildiploma di scuola media superiore ha iniziato a lavorarecome commessa, poi varie vicissitudini l’hanno portata inItalia. Da quando ha cominciato a parlare l’italiano e a farequalche piccolo lavoro per mantenersi è iniziato il suo “difficile”percorso di integrazione. Oggi sogna di diventare infermierao segretaria. Ha partecipato al corso di approfondimentodella lingua italiana basato sui linguaggi giovanili e lacross-medialità presso l’Istituto comprensivo “M.Capozzi” diRoma e sta completando lo stage presso la fondazioneMondo digitale.

“Ora che lavoro mi sto anche abituando alla vita freneticadi città dove si guarda sempre l’orologio. Vorrei diventareinfermiera per aiutare i bambini malati di tubercolosi e glianziani del mio Paese”.

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Goitom, eritreo, 35 anni, laureato in matematica, è unostudente modello. È arrivato in Italia nel 2009 ed è stato aLampedusa per 10 giorni per poi trasferirsi un mese a Trapani,in Sicilia. Poi ancora uno spostamento a Mazara del Vallo.Dopo cinque mesi ha avuto i documenti per trasferirsi aRoma. È stato al centro San Bruno di Finocchio per un annoe mezzo dove ha imparato la lingua italiana con un corso ditre mesi. Dopo un anno è arrivato al centro Enea. Il suo stage,presso Unidata spa, sta portando a ottimi risultati: si occupadi assemblaggio componenti wireless. All’Itis “E.Fermi” di Romaha frequentato il corso per la certificazione Cisco - CCNA. InItalia ha già svolto parecchi lavori: volontario della CroceRossa, receptionist nel settore alberghiero, traduttore. In Eritreaera anche insegnante di lingua inglese. La sua famiglia èsparsa nel mondo.

“Grazie al corso Cisco sto riuscendo a portare avanti lemie passioni, quello per cui ho studiato, e sto imparandomoltissimo. Mentre imparo il pc parlo anche molto in italianoe questa è davvero una cosa buona per me”.

Moussa viene dalla Mauritania e ha 38 anni. Laureato inScienze politiche ha lavorato nel proprio Paese comeresponsabile vendite presso la società di telecomunicazioniMattel. In Italia ha lavorato come cameriere e commesso.Investe molto tempo in formazione: ha seguito il corso per lacertificazione Cisco -CCNA, quello per l’ECDL e per il conse-guimento del patentino. Una full immersion all’Itis “E. Fermi”di Roma che lo ha formato per prepararlo allo stage inUnidata spa. Collega di Goitom, anche lui si occupa diassemblaggio componenti wireless.

“Nel XXI secolo le tecnologie e la comunicazione sonoimportanti; io ho scelto di partecipare al progetto perchévoglio essere al passo con i tempi e perché mi piacerebbelavorare nel campo dell’informatica che rappresenta per noiuno strumento di lavoro. Mi sento fortunato rispetto ai mieicompagni perché sono arrivato a poter frequentare oggi uncorso di formazione Cisco. Ho imparato a fare moltissimecose nuove con il pc. Le nuove tecnologie poi mi permettonodi comunicare con gli amici lontani, i colleghi, mia moglie. Ècome se continuassi a stare nel mio Paese. Internet aiuta lepersone a stare vicine”.

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Il progetto “Ricominciodatre” per l’accoglienza integrata

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La testimonianza degli operatori

Mediazione didattica e innovazione. Monica Nanetti è dirigentescolastico Itis “E.Fermi” di Roma. La sua testimonianza: “Il nostroè un istituto di sperimentazione e innovazione che ha volutoanche questa volta confermare la disponibilità ad accoglieregli studenti provenienti da altre parti del mondo. Nella nostrautenza scolastica abbiamo molti ragazzi stranieri. Nel POFdi Istituto è inserita una voce specifica dedicata proprioall’accoglienza, all’ospitalità e all’incontro di culture diverse. Idocenti coinvolti nel progetto “Ricominciodatre” sono personeche uniscono la professionalità tipica della loro funzione allamediazione didattica: una delle componenti forti del nostropersonale docente e in particolare dei professori coinvolti inquesto percorso con la fondazione Mondo digitale. Mediarevuol dire saper esporre le proprie conoscenze a chi ci stadavanti, saperle proporre. La capacità di aprirsi al territorio faparte della tradizione della nostra scuola. Attorno all’Istituto ècresciuta la comunità territoriale. Si tratta di una realtà aperta,da sempre, ai contatti con l’esterno: territorio, enti, istituzioni”.

Cooperazione: partire da “sottozero” per ricominciare. ReynaVictoria Terrones Castro è presidente della cooperativa socialeQueens Servizi, dell’associazione Nuovi europei e vice presidentedi Confcooperative Lazio. La Queens Servizi ha aderito al progetto“Ricominciodatre” accogliendo in stage Adel, sudanese di 30 anniche dopo aver seguito il percorso di formazione per segretarid’azienda ha partecipato a un tirocinio in ambito amministrativoimparando a compilare fatture, preventivi, relazioni e moltoaltro. A seguirlo è la vice presidente della cooperativa QueensServizi, Caterine del Alkazar Terrones. “Adel inizialmente nonutilizzava nemmeno la calcolatrice, ora sta imparando acompilare le fatture”, racconta Reyna. “Ha tantissima voglia diimparare e sta acquisendo le competenze che gli saranno utiliper la vita: questo è il motivo per cui ci dedichiamo a lui, perpotergli dare delle opportunità da spendere in futuro nel mondodel lavoro”.

Venire in Italia dal Perù per Reyna è stata una vera e propriascelta di vita. Alla domanda “Lei è partita da zero, come ha fattoa fare così tanta carriera?” risponde: “Sono partita da sottozero,perché dire da zero vorrebbe dire già tanto. Arrivare in unPaese come clandestina, senza documenti e senza conoscerela lingua è difficilissimo”. Con la figlia di 11 anni è arrivata in Italia18 anni fa per allontanarsi da una situazione difficile. In due

I docenti coinvolti nel progetto sono persone cheuniscono laprofessionalitàtipica della loro funzionealla capacitàdi mediazionedidattica,che significa saper proporre le proprie conoscenzea chi ci sta davanti

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giorni di viaggio, per arrivare in Italia dal Perù, Reyna ha persocinque chili senza sapere se sarebbe arrivata viva o morta.Un incidente l’ha costretta a letto per più di 40 giorni. È inquel momento che ha iniziato a ragionare sull’imprenditoria,ha studiato specializzandosi nel settore, si è aperta una partitaIva e dopo, anni di intenso lavoro, è arrivata a realizzare i suoisogni. “Ho vissuto sulla mia pelle l’esperienza di essere clande-stina. Non mi vergogno di questa parola perché lo sono statadavvero insieme a mia figlia. Per questo ho scelto poi di aiutarele persone in difficoltà. Tutte le mie scelte si basano sulleesperienze che ho vissuto”.

Professionalità e valore sociale. Unidata è un’azienda chesi occupa di telecomunicazioni e system integration (linee diconnessione, hosting, sviluppo software ecc.). Il presidenteRenato Brunetti sottolinea quanto sia importante per l’aziendal’etica e la responsabilità sociale. Valorizzare le diversità, fornireoccupazione possibilmente stabile, collaborare con enti efondazioni sono alcuni dei valori più importanti su cui si basal’attività dell’azienda. Il lato umano, oltre ovviamente allapreparazione tecnica, rappresenta un aspetto fondamentale.

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È proprio sulla fusione di questi due ambiti, professionalità evalore sociale, che si basa l’esperienza di Goitom e Moussa.“Per noi sono diventati oltre che colleghi dei grandi amici. Perl’azienda sono stati davvero produttivi e poi non si fermano mai.Sono loro che stanno insegnando a noi molte cose”, raccontail tutor aziendale Roberto Monaldi. “Si adattano a fare tutto.Hanno imparato in poco tempo a predisporre apparati wi-fi,assemblare componenti access-point”.

ConclusioniLa sfida dell’integrazione dei rifugiati in Italia non è cosa

semplice ma si può affrontare con l’unità e la cooperazionedi organizzazioni diverse che hanno come interesse comunela vita e la dignità delle persone disagiate che vivono unmomento di forte incertezza. I rifugiati hanno lasciato i propriaffetti, hanno vissuto esperienze di persecuzione, hanno viaggiatorischiando e sono arrivati in luoghi sconosciuti che li hannoaccolti e protetti per ricominciare a vivere senza paura dimorire. La sfida diventa quella di ricostruirsi una vita nuova,di recuperare la possibilità di sognare e intraprendere nuovipercorsi di integrazione per il proprio beneficio e per quellodel Paese.

Nel suo piccolo, l’esperienza del progetto “Ricominciodatre”mostra con chiarezza quanto siano importanti la motivazionee la volontà di reagire da parte del rifugiato (in gioco c’è lasua vita) e quanto l’Italia sia in grado di creare reti di solidarietàe collaborazione tra organizzazioni di differenti settori: aziende,scuole, associazioni, fondazioni e istituzioni. Questo rappresentauna base importante per consentire a un Paese di avere gli“ingredienti giusti per l’accoglienza” e per costruire politiched’integrazione attraverso alleanze territoriali. Così, attraverso lacollaborazione, si possono mettere in gioco competenza e inno-vatività di organizzazioni diverse, creando sistemi d’integrazionesempre più ricchi e duraturi. Un insieme di buone pratiche che, sepossibile, dovrebbe essere condiviso e messo a disposizione ditutti anche attraverso il web.

In breve potremmo dire che, partendo da esperienze territorialivincenti come quella di “Ricominciodatre”, si può arrivare aconfigurare un sistema nazionale d’integrazione per i rifugiati.Una sfida che farebbe dell’Italia un Paese modello nel contestointernazionale.

Da esperienzecome quelladel progetto “Ricomincio-datre” si può arrivare a configurare un sistema nazionaledi integrazione,che fa leva soprattutto sulla motivazione e la volontà di reagire del rifugiato

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Una canzone per bagaglio

di Alberto BordiViceprefetto - ministero dell’Interno

Dal brano-simbolo, “Lampedusa”, adottato come inno dal consiglio comunale dell’isola, ai suoni della terra d’origine, che i migranti incidono per sentirsi un po’ più a casa, la musica accompagna chi arriva in Italia alla ricerca di una nuova vita

Spesso gli immigrati lasciano la loro terra con poche coseal seguito, in molti casi praticamente nulla, ma ad accompagnareovunque i loro passi c’è un bagaglio, trasparente e leggero,impercettibile eppure importante, modulato come la speranzadi una nuova vita in una nuova terra. Questo bagaglio si chiamamusica, quasi sempre quella della terra di origine che conservanogelosamente nella loro memoria nel corso delle tappe di unpercorso faticoso, un insieme di note e di ritmi che si intreccianocome le radici della loro esistenza. Ma gli stranieri “in cerca

di fortuna” amano anche l’altra musica, tuttaquella che sfiora le corde della sensibilità, cheemoziona e fa sognare in un futuro migliore.

Non a caso una delle testimonianze diragazze migranti raccolte da Maria ChiaraPatuelli nel libro Verso quale casa si chiama“Anch’io canto l’Italia” e le parole di Fatima,una giovane donna marocchina toccanodavvero il cuore: “Domani sarò una donnaimportante quando aiuterò il mio Paese.

Formerò la mia persona qui nella mia nuova patria alla qualedevo ciò che sono e ciò che sarò. Non dimenticherò ciò che mihai dato, Italia! E poi la mia gente vedrà che non si emigra soloper lavorare e rinchiudersi come ricci nella propria ignoranza.Ho assimilato di te, Italia, le idee di libertà, giustizia, ugua-glianza, almeno nei libri di storia. Allora...anch’io sono Italia”.

Musica e immigrazione si fondono anche a Lampedusa,crocevia della diaspora maghrebina e subsahariana, come nei

La musica della propria terra,come un bagaglio trasparentee leggero eppure importante,segue gli immigrati nel loro viaggio verso terre lontane,verso un futuro migliore

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primi giorni di giugno, in occasione di “Susiti”, l’evento musicalecon il quale artisti di ogni nazionalità, con Claudio Baglioni intesta, hanno voluto celebrare nell’isola siciliana la solidarietàverso i residenti, l’accoglienza ai profughi e la riconoscenzaai soccorritori. E se tutti conoscono la nuova multiforme realtàdi questa bella isola mediterranea, in passato vocata esclusiva-mente al turismo, non sono molti a sapere che “Lampedusa”,suonata e cantata dal gruppo ragamuffin Sud Sound Systemè la canzone dei migranti ed è stata adottata ufficialmente dalconsiglio comunale isolano come l’inno di Lampedusa.

Al ritmo di “Row row, to Lampedusa we go, go, go, for a betterlife we row / oh dolce musa, bring me to (portami a) Lampedusa”,

il popolo dei migranti canta e rema (row)verso una vita migliore. E se il testo cadenzatodal reggae salentino richiama paesaggidell’Africa selvaggia (“ieu suntu quiddrhuca sfida li leoni puru lu desertu e la siccità,ieu suntu quiddrhu ca parla cu le tigria amienzu la savana e sutta nu baobab”) nonmancano parole di profonda disperazione“the waters are turbulent raging hard withthe desperate rave’s all sinking for better

meant, putting the own lives in a detriment leaving loved wasbehind hoping that they could find in the slice of paradisemaking the ultimate sacrifice”, a ricordare che “nel viaggio” sirischia la vita.

A Vedelago, un paese di oltre 15mila abitanti in provincia diTreviso, gli immigrati della zona hanno scoperto un nuovomodo per sentirsi più a casa loro: incidere qualche cd con laloro musica, musica etnica, ma anche musica sperimentale, unrepertorio che li riporta alle loro origini, arabe, cinesi o afroche siano. Entrano in sala registrazione portando anche i lorostrumenti originali e lì si divertono a ricostruire un po’ dellapatria lasciata, cimentandosi a incidere dischi che poi circolanofra gli abitanti del paese, il più delle volte ascoltati conapprezzamento diffuso. Non di rado questa passione musicale,intrisa di nostalgia e di saudade, soprattutto se realizzata dapersone con una discreta cultura musicale alle spalle, diventaun vero lavoro e le copie dei pezzi eseguiti diventano compilationdestinate alle zone limitrofe e addirittura vengono speditenella loro terra d’origine.

D’altronde la musica accompagnava anche gli italiani che finoal secolo scorso lasciavano il Bel Paese sospinti dal sognoamericano (“...mamma mia dammi cento lire che in America

“Row row, to Lampedusa we go, for a better life we row”recita la canzone dei Sud Sound System, dedicata al popolo dei migranti che rema (row) verso una vita migliore

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voglio andar; cento lire te le do, ma in America no no no...”) enel primo Novecento “Santa Lucia lontana” era diventata l’innodegli emigranti del nostro meridione (“Partono e’ bastimentipe’ terre assai luntane cantano a buordo: so’ napulitane cantanope’ tramente ‘o golfo già scumpare e ‘a luna mmiezz ‘o mare nupoco ‘e Napule lle fa vedè”) mentre i genovesi si commuovevanosospirando in musica “Ma se ghe penso alloa mi vedo o ma,veddo i mae monti e a ciassa da Nonsià rivedo o Righi e mes’astrenze o cheu”, brano ripreso più tardi da Bruno Lauzi eda Mina.

Nel 1925, nella canzone “O tripulino napulitano”, su versi diRaffaele Viviani, Nino Taranto utilizza per la prima volta il terminedi “Vu’ cumprà”, entrato prepotentemente nel nostro lessicoquotidiano (“Songo ‘e Napule e sto ccà. Sto vestuto ‘a tripulinop’’o servizio che aggi’ ‘a fa’. Na parola contro a nnuie: puh, nuschiaffo, t’ ‘o sturdisco. Chillo guarda, io nun capisco, e lledico: Vuo’ cumpra’?”). Negli anni Trenta, alla emigrazione versoil Nuovo Continente si affianca e si sostituisce l’emigrazioneinterna, quella che dal profondo Sud conduce alle fabbrichedel Nord: qui i napoletani, sulle note della “Signorinella” diLibero Bovio, sognano l’amore e il calore lasciati all’ombra delVesuvio, mentre i fiorentini lontani da casa si stringono intorno

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ad Odoardo Spadaro con “la porti un bacione a Firenze che l’èla mia città, che in cuore ho sempre qui; lavoro sol per rivederlaun dì, son figlia d’emigrante per questo son distante; lavoroperchè un giorno a casa tornerò, la porti un bacione a Firenzese la rivedo glielo renderò...”.

Se questa era la musica della malinconia che inevitabilmenteaccompagnava ed accompagna chi è costretto a lasciare i propriaffetti, nei primi anni Settanta “La ballata di Attilio”, cantata daFranco Trincale, ricorda le tragedie dei migranti italiani nelleminiere belghe di Marcinelle nel 1956 e nel corso dei lavori perla diga di Mattmark, nelle Alpi svizzere nel 1965 (“Se vuoi vederl’inferno, amico mio, vieni con me che ti ci porto io, si chiamaMattmark e Marcinelle”).

Nemmeno la stagione dei complessi beat degli anni Settantaha ignorato il dolore e la fatica esistenziale di chi emigra, mirabil-mente descritta nella canzone di Albertelli e Soffici “Casa mia”

cantata dall’Equipe 84 (“Torno a casa,siamo in tanti sul treno, occhi stanchi ma nelcuore il sereno; dopo tanti mesi di lavoro miriposerò; dietro quella porta le mie cose ioritroverò, la mia lingua sentirò, quel che dicocapirò...”) mentre i Ricchi e Poveri e JosèFeliciano, nella canzone “Che sarà” ci raccon-tano del “Paese mio che stai sulla collina,lasciato all’abbandono, alla noia, al niente”con la triste annotazione che “gli amici son

quasi tutti via”. Sono gli anni in cui tre meridionali doc come MinoReitano, Al Bano e Marcella Bella ottengono un buon successocon brani (“L’uomo e la valigia”, “La siepe” e “Montagne verdi”)che descrivono l’addio, il ricordo e il sogno del ritorno di quantiper necessità sono stati costretti ad andare via dalla terra natìa.

In quegli stessi anni i famosi Led Zeppelin lanciano, con unsound marcatamente rock, “Immigrant song” il manifesto futuristadella nuova umanità (“I’m here from a land - Sono qui da una terra- Far from my family - Lontano dalla mia famiglia - Brought onthe wave - Portato sull’onda - Of new opportunity - Di unanuova opportunità - Come and help the motherland - Vieni inaiuto alla madrepatria - Is what they said - È quello che hannodetto - Suitcase in my hand - Valigia in mano - To a foreignland - Per una terra straniera).

Anche il festival di Sanremo ha visto protagonisti attenti altema dell’immigrazione, dal trio Pupo, Paolo Belli e YoussouN’Dour con “L’opportunità”, un brano il cui testo fa capire cosasignifichi “vivere l’essere diversi come un’opportunità / benvenuto

La musica accompagnava anche gli italiani che lasciavano il Bel Paese verso il sogno americano,e più di recente, i meridionali che andavano al Nord

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amico e anche a chi non ha una casa, né un Paese ma solooffese”; un giovane cantante romano, Enrico Boccadoro, nel 2005,con la canzone “Dov’è la terra capitano?” propone il temamigratorio in una dimensione rovesciata: dietro la metaforadell’America che, da lontano miraggio di continente dorato,assume ora le sembianze delle nostre coste, descrive la paraboladel rovesciamento del concetto d’emigrazione, quasi segnatadal principio del contrappasso, sulla scia della convinzioneche...si è sempre meridionali di qualcuno.

Il tema dell’immigrato sembra particolarmente caro a SamueleBersani e ai Modena City Ramblers. Il primo, nell’albun “Freak”del 1995 racconta il viaggio della speranza su una carretta delmare stracolma di albanesi e, due anni più tardi, con “Crazy Boy”,la storia di un lavavetri egiziano, che, entrando in un museosull’antico Egitto, scopre di essere “muratore e un po’ faraone”.Il vulcanico gruppo modenese invece con la canzone “Riportandotutto a casa” ci parla dell’ambulante Ahmed che per quarantanotti ha “venduto orologi alle stelle”, al gelo, sotto un porticodeserto, prima di essere aggredito “così per divertirsi o forse

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perché risposi male / mi spaccarono la testa con un bastone…”e poi, con “Ebano” (premio Amnesty Italia 2005) ci presenta unadonna, chiamata “la Perla nera”, che aveva speso tutti i risparmiper il viaggio in Italia per poi finire a Palermo a raccogliereagrumi per poche lire, prima di arrivare a Bologna “ove indossastivali coi tacchi e la pelliccia leopardata / e tutti sanno che la PerlaNera rende felici con poco... Perciò se passate a Bologna,ricordate qual è la mia storia / Lungo i viali verso la sera, ai mieisogni non chiedo più nulla”.

Nel 1988, in un memorabile concerto tenuto nello stadio diWembley il gruppo dei Simple Minds si esibisce con la canzonedal titolo “Free Nelson Mandela” dedicata al leader del movimentoanti-apartheid sudafricano, segregato e carcerato per ventisetteanni, poi divenuto primo presidente di colore del Sudafrica epremio Nobel per la pace nel 1993. Come in una favola a lieto fine,il pubblico che riempie ogni centimetro dello stadio londineseassiste al “Mandela’s day” come a un trionfo epocale del bene,alla sconfitta della segregazione, al rispetto del diverso.Questa è storia, questa è la musica che ogni immigrato vuoleascoltare.

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Il sottotitolo non inganni. I dati e le argomentazioniriguardanti la presenza degli studenti straneri contenuti inquesto volume non sono limitati alle università toscane maabbracciano l’intera realtà italiana dal dopoguerra al 2003per poi proseguire, su alcuni aspetti, fino all’anno accademico2007/2008 e 2008/2009. I dati evidenziano come, dopo unventennio di declino, il trend sia ora in aumento, anche sel’Italia è comunque l’ultima tra i paesi Ocse come Paese didestinazione degli studenti stranieri (la media Ocse è del10%, quella italiana di poco superiore al 3%). Un numeroconsistente del totale è rappresentato da giovani che vivonogià in Italia dove hanno preso il diploma di scuola superiore.Uno studente straniero su cinque è albanese ed è cresciutala percentuale degli iscritti asiatici, in particolare cinesi anchegrazie all’attivazione del “Progetto Marco Polo” che hagarantito loro maggiori opportunità di accesso.

Nel libro viene fornito un quadro della presenza di studentistranieri in riferimento al genere, al Paese di provenienza,alla regione italiana di destinazione, alla facoltà d’im-matricolazione, al completamento del corso di studi.Un’indagine svolta tra gli studenti stranieri dell’Ateneofiorentino ha invece voluto evidenziare le caratteristichesocio-anagrafiche degli studenti, le motivazioni che li hannoportati a scegliere Firenze, il loro livello di soddisfazione.Tutti elementi utili a una riflessione per delineare unamigliore strategia di accoglienza.

La scarsa capacità dell’Italia di attrarre studenti stranieriè indice di bassa competitività ed è motivata dalla mancanzadi corsi in lingua inglese, di borse di studio, di residenzeuniversitarie, dalla scarsa diffusione della lingua italiananel mondo, dalla strategia sinora seguita dalle nostrerappresentanze diplomatiche all’estero di considerarli,in primo luogo, “immigrati”. Una certa consapevolezzadell’importanza di avere nelle aule studenti di altri Paesisi sta comunque facendo strada, come dimostrano leproposte formulate dalla Conferenza dei rettori, da Vision(rete di ricercatori italiani che lavorano all ’estero),dall’Associazione italiana dei master in business administra-tion. D’altra parte quello dell’istruzione universitaria è unsettore fiorente. Negli Stati Uniti, il Paese con la più forteattrazione studentesca al mondo, rappresenta una tra le

Studenti internazionali.Ricerca su condizioni e prospettive degli studenti esterinelle università toscane Associazione volontari del Centro internazionalestudenti Giorgio La Pira Firenze 2011

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Passaporto per l’Italia.Educazione alla cittadinanza e alla Costituzione per ragazzi stranieridi Elio Gilberto Bettinelli e Paola RussomandoVannini Editrice, 2011

maggiori fonti di entrata. Ma l’importanza dell’internazio-nalizzazione degli atenei non è ovviamente solo economica.La ricchezza della diversità culturale, un maggiore confrontointerno, più solidi legami transnazionali e maggiori sinergierappresentano valori da cui una società globale non puòpiù prescindere.

Cosa significa oggi cittadinanza italiana? Un numerocrescente di ragazzi stranieri presenti da tempo in Italiasi trova nella condizione di poter richiedere la cittadinanzaitaliana; in particolare aumentano quelli nati in Italia eche, avendo la residenza ininterrotta dalla nascita alcompimento del diciottesimo, possono presentare richiestadi cittadinanza tra i 18 e i 19 anni.

I ragazzi stranieri che vogliono diventare cittadini diquali informazioni e conoscenze hanno bisogno? Diventarecittadini non è solo un percorso burocratico ma una scelta,un progetto di vita fatto di attese, aspettative, desideri darealizzare. Non significa solo entrare a far parte di unPaese e di una comunità, ma sentirsi parte di essa, delsuo presente e della sua storia. Accompagnare il camminodi cittadinanza è quanto si propongono gli autori dellibro, inserito nel progetto “Non uno di meno” portatoavanti dalla provincia di Milano insieme al Centro Comedella cooperativa Farsi Prossimo che da cinque annipromuovono e sostengono i percorsi di integrazione deiragazzi stranieri nella scuola superiore.

Il testo è utilizzabile sia in percorsi formativi indirizzati aigiovani futuri italiani sia in corsi della scuola secondariadi secondo grado e di formazione professionale doveconvivono ragazzi italiani e stranieri. I contenuti, attraversol’informazione e la formazione sui diversi aspetti deldiventare ed essere cittadini, investono una duplicedimensione: quella delle “virtù civili”, comportamenti, sceltequotidiane e atteggiamenti del vivere insieme, e quelladell’appartenenza, il sentirsi parte di una comunità, senzatrascurare gli aspetti burocratici e pratici del percorso.

Vengono interpellati direttamente i ragazzi e vengonoraccolte le loro esperienze, presentati esempi e situazioniconcrete, stimolata la loro partecipazione, con l’obiettivodi promuovere una cittadinanza consapevole per costruireun futuro di convivenza pacifica. E questo obiettivo nonriguarda solo i ragazzi stranieri ma anche quelli italiani.Perché la capacità di riconoscere e gestire le differenze nellasocietà interculturale è una competenza imprescindibiledella cultura della cittadinanza.

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a cura di Stefania NassoDoc

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Percezione dei richiedenti asiloe flussi in Europa

Un aspetto importante, ai fini della cooperazione europeain tema di asilo, è quello della presunta attrazione che alcuni Statieserciterebbero sui rifugiati 1. Nella nota di Enzo Rossi in questostesso numero di libertàcivili, argomentiamo come da questoatteggiamento derivi l’impostazione del sistema Dublino e, nelcontempo, atteggiamenti poco cooperativi in materia di asiloda parte di alcuni Stati.

Qui riportiamo alcune tabelle che supportano, viceversa,la visione che i pull factors, cioè i fattori di attrazione relativiai vari Stati, non sono determinanti per la scelta del Paese didestinazione dei richiedenti asilo (RA), ma che sono soprattuttoi fattori della vicinanza geografica e l’azione delle organizzazionedi human smuggling ad essere importanti.

Riportiamo due livelli di informazione: il primo si riferisce allepercezioni dei richiedenti asilo che abbiamo intervistato nei Cara(Centri di accoglienza per i richiedenti asilo) di Crotone e diCastelnuovo di Porto. Il secondo si basa su una analisi dei flussidi richiedenti asilo in Europa negli ultimi trent’anni, basata suidati Unhcr.

Percezioni dei RA ospitati nei Cara

1 La documentazione qui presentata è tratta dal volume I rifugiati in Italia e inEuropa: procedure di asilo fra controllo e diritti umani, di Enzo Rossi e Luca Vitali,Giappichelli, Torino, 2011. Per contattare l’autore [email protected]

a cura di Luca VitaliCentro di ricerche economiche e giuridiche (Creg), Università di Roma “Tor Vergata”

Nessun aiuto 7,1 100,0 34,5 100,0 16,5 100,0Poco aiuto 32,1 94,4 17,2 100,0 27,1 95,7Molto aiuto 60,7 94,1 48,3 100,0 56,5 95,8

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Tabella 1. Giudizio sull’aiuto ricevuto dal governo e intenzione di rimanere in Italia (valori in percentuale)

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Fonte: Creg-Tor Vergata

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Percezione dei richiedenti asilo e flussi in Europa

La tabella 2 mostra chiaramente che i rifugiati sono soprattuttopersone in cerca di protezione. Questo punto ribalta alcuneconvinzioni circa il ruolo dei fattori di attrazione nel determinarele destinazioni dei richiedenti asilo: i push factors prevalgonoe questo influenza anche la scelta del paese di destinazione.

Guerra 11,1 8,8 10,4Persecuzione politica 35,8 55,9 41,7Persecuzione personale 28,4 26,5 27,8Miglioramento economico 17,3 2,9 13,0Povertà 3,7 2,9 3,5Ricongiungimento familiare 2,5 0,0 1,7Altro 1,2 2,9 1,7

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Tabella 2. Motivi della partenza (in %)

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Fonte: Creg-Tor Vergata

Una conferma è contenuta anche nella tabella seguente:

Opportunità di lavoro 14,3 3,0 10,1Presenza di familiari o amici 3,6 0,0 2,2Presenza di altre reti sociali 0,0 3,0 1,1Maggiore facilità di raggiungerlo 16,1 6,1 12,4Altro 66,1 87,9 74,2

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Tabella 3. Motivi per aver scelto l’Italia (in %)

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Fonte: Creg-Tor Vergata

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Percezione dei richiedenti asilo e flussi in Europa

Gli intervistati hanno dichiarato in modo pressoché unanimedi voler rimanere nel nostro Paese al termine del giudizio.

Molto importante 57,1 48,5 53,9Poco importante - 9,1 3,4Non importante/non risponde 42,9 42,4 42,7

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Tabella 4. Motivi per restare in Italia (in %)

Castelnuovo di Porto

Totale

Fonte: Creg-Tor Vergata

Lavoro

Molto importante 14,3 3,0 10,1Poco importante 1,8 24,2 10,1Non importante/non risponde 83,9 72,7 79,8

Crotone Castelnuovo di Porto

Totale

Amici

Molto importante 8,9 6,1 7,9Poco importante 0,0 27,3 10,1Non importante/non risponde 91,1 66,7 82,0

Crotone Castelnuovo di Porto

Totale

Rete di conoscenze

Molto importante 39,3 54,5 44,9Poco importante 0,0 9,1 3,4Non importante/non risponde 60,7 36,4 51,7

Crotone Castelnuovo di Porto

Totale

Integrazione

I flussi di richiedenti asilo nei Paesi europei (1980-2010)La nostra analisi propone un approccio descrittivo, basato

sull’osservazione di alcuni indicatori standardizzati.Il primo di questi indicatori è la quota di richiedenti asilo di

un dato Paese d’origine, in un dato Paese europeo, sul totaledei richiedenti asilo in quel Paese europeo e rappresenta lequote within-country delle diverse etnie (ad esempio, la quota diturchi che hanno presentato domanda di asilo in Germania sul

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Percezione dei richiedenti asilo e flussi in Europa

totale dei richiedenti asilo in Germania). Esso è in qualche misuraindipendente dalle misure restrittive adottate dagli Stati, ma èinfluenzato da episodi straordinari (shock) che comportanoafflussi di particolare rilevanza di richiedenti asilo appartenentia nazionalità specifiche.

Il secondo indicatore è calcolato come la quota di richiedentiasilo di un dato Paese d’origine, in un dato Paese europeo,sul totale dei richiedenti asilo di quel Paese d’origine in Europae rappresenta le quote cross-country delle diverse etnie (adesempio, la quota di turchi che hanno presentato domanda diasilo in Germania sul totale dei turchi richiedenti asilo che hannopresentato domanda asilo in Europa). Esso prescinde, almenoin parte, da episodi che comportano afflussi straordinari, mentre èinfluenzato dall’adozione di misure restrittive nei singoli Paesi.

Gli indicatori sono stati calcolati per nove etnie e cinque Statieuropei. Presentiamo, indicativamente, il caso dei richiedenti asiloprovenienti dalla Turchia, che evidenziano gli episodi di afflussoparticolarmente cospicuo.

Grafico 1. Quota di RA dalla Turchia sul totale RA in alcuni Paesi (media mobile a 3 anni)

Fonte: Creg-Tor Vergata

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Percezione dei richiedenti asilo e flussi in Europa

Grafico 2. Quota di RA dalla Turchia sul totale RA turchi in Europa (media mobile a 3 anni)

Fonte: Creg-Tor Vergata

Sulla base anche dei grafici relativi ad altre etnie di richiedentiasilo e ad altri Stati europei di destinazione, argomentiamo checome risultato di fattori di spinta e delle politiche attuate dai variStati, la distribuzione di richiedenti asilo in Europa tende versoun equilibrio stabile, che non comporta, salvo che nei casi dishock improvvisi, quote fortemente squilibrate di ripartizione.

Abbiamo infine testato l’ipotesi, avvalorata da numerosi studiosi,che gli Stati ricorrano a restrizioni nel grado di accoglimentodelle domande, soprattutto nei periodi di maggiore affluenza.Presentiamo due grafici relativi a Regno Unito e Italia.

Ebbene, l’ipotesi è respinta. Si vede chiaramente che ilrecognition rate segue in andamento la crescita dei flussi: proprionei periodi eccezionali, sembra che gli Stati accettino in misuramaggiore quei rifugiati che provengono da aree di emergenzaumanitaria.

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Percezione dei richiedenti asilo e flussi in Europa

Grafico 3. Indicatori di protezione: Regno Unito

Fonte: Creg-Tor Vergata

Grafico 4. Indicatori di protezione: Italia

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iSteve, goodbye genius

di Claudia Svampa

Visionario, mentore, profeta, guru,maestro, icona, mito, santo laico, ingegneredei sogni e rockstar del digitale, compiantoal ritmo di 10.000 messaggi al secondosulla rete: così il mondo ha salutato SteveJobs da qui.

Camera ardente 2.0 allestita sull’homepage della Apple. Primo piano magneticoenfatizzato dal bianco e nero a tutto campoe sostenuto da due sole date, 1955-2011:così Steve Jobs ha salutato il mondo da lì.

Semplificazione costante, esteticaassoluta, ricerca della perfezione: è stata

questa l’essenza e la consistenza dell’uomo di Cupertino, unconcentrato di rigore coerente che non ha mai ammesso eccezioni,neanche in occasione della sua morte. Che così aveva stigmatizzato:“La morte è la più importante invenzione della vita umana, perchéchiude i conti con ciò che è diventato vecchio e apre la portaal nuovo”.

E’ indubbio però che lui, a soli 56 anni rappresentava ancoraquel nuovo verso il quale, con stupore, ci stavamo appassionando.Non solo in termini di hi-tech, di design, di business. Soprattuttoin termini di pensiero.

Lui che prendeva un’idea, grezza come la polvere da sparo, ela lanciava in aria facendone fuochi d’artificio. Scintille di luce e poiscie luminose; guardarle significava sentirsi più felici, più magici,più inebriati dalla sua sintesi espansionistica del pensiero globale.

“Le persone non sanno ciò che vogliono finché non glielomostri” diceva, e chissà se alla fine ci ha mostrato di più di quantolui stesso non abbia previsto, oggi che Apple “la mela” non è piùsolo un logo, un’azienda, un morso diretto e rapido, senzasbavature, come quello che solo chi è “affamato e folle” sa dare.

Lui ha reso Apple un modo di pensare, meglio, una sintesidi pensiero, un concept, che ha plasmato il nostro pensare,

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iSteve, goodbye genius

e di conseguenza il nostro agire. A partire dal digital divide chevigeva fino a pochi anni fa tra la gente e le macchine: informaticie computer da una parte, il resto del mondo dall’altra.

Lui li ha condotti all’armistizio davanti a un Mac, per siglarequella stessa pace di Camp David che Clinton propose ad Arafate Rabin. Solo che Jobs in mano non aveva una biro ma una melamorsicata. Una tentazione irresistibile, e funzionò.

Lui ha spianato il divario generazionale e culturale nelle nostrerelazioni sociali e familiari: un iPad è per tutti. Perchè unisce le manidi nonni e nipoti, stimola la creatività, agevola la professionalità.Mette un touchscreen al centro dei desideri e dei bisogni dichiunque. Tratta l’Economist come fosse Vanity Fair e The Sunal pari dell’Herald Tribune: icone uguali per tutti, criteri diricerca a discrezione dell’utente.

Lui ha inventato un iPhone che è anche un telefono, ma che è,soprattutto, un device in grado di connettere due mondi culturali– il vecchio e il nuovo continente – che sulla terra ferma si stannoancora studiando, e nella rete si sono già abbracciati.

Perchè per Jobs la comunicazione face-to-face da un capoall’altro del mondo via internet ha incrociato naturalmente le vitedei migranti. E non più dei sofferenti e disperati che trasbordanodalla cronaca e rappresentano l’approdo primordiale del multi-culturalismo. I suoi testimonial sono già quella seconda genera-zione inserita e affermata, con radici ancorate nell’integrazioneculturale del paese ospitante e il cuore lanciato oltre oceano,verso le famiglie d'origine africane, indiane, sudamericane. Ci hamesso il futuro, Jobs dentro questi iPhone, fotografando quellavera integrazione che probabilmente noi non saremo ancora ingrado di costruire per i nostri figli, mentre lui l’ha già regalataanche ai nostri pronipoti.

E infine lui ha catturato una “i” strappandola al suo destino divocale. Per trasformarla nel prefisso identificativo di un mondoin divenire: la ”i” iconografica di iPod, iPhone e iPad. Quellainterdisciplinare di iTunes e quella istituzionale di iMac. La “i”innovativa di iCloud, ma anche, in suo omaggio, quella interpla-netaria di iSad, che tocca il cuore e vuol dire amore, ultimoemozionato saluto che la iGeneration ha tributato a Steve Jobs.

iSteve, goodbye genius.

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vili“L’idea di polis monocentrica e omogenea,

così come tramandataci dal nostro glorioso passato e dalla nostra cultura classica (con la città sviluppatatutt’attorno all’Agorà e al Pireo) non è più praticabile

né può costituire un ideale: viviamo in un mondo in continuo movimento, siamo tutti migranti e abbiamobisogno di spazi dinamici e policentrici in cui muoverci.

La città deve acquisire una sua mobilità di sviluppo che in qualche modo riesca a far convivere

una molteplicità linguistica, religiosa, etnica senzaprodurre dei ghetti come invece si tende a fare oggi. I luoghi di ritrovo della gente devono essere luoghi

interetnici, interlinguistici”.

Franco Ferrarotti, Massimiliano Fuksas(Polis. Dialogo di sociologia urbana,

Manni Editore, 2006)

NEL PROSSIMO NUMERO

Il dialogo fra le religioni

BIMESTRALE DI STUDIE DOCUMENTAZIONESUI TEMI DELL’IMMIGRAZIONE

Realizzato con il contributo del Fondo Europeo per l’Integrazione dei cittadini di Paesi terzi