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Letteratura italiana Einaudi I miei ricordi di Massimo Taparelli D’Azeglio

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  • Letteratura italiana Einaudi

    I miei ricordi

    di Massimo Taparelli D’Azeglio

  • Edizione di riferimento:Barbera, Firenze 1891

    Letteratura italiana Einaudi

  • Letteratura italiana Einaudi

    Origine e scopo dell’opera 1

    Capo primo 9Capo secondo 23Capo terzo 40Capo quarto 51Capo quinto 60Capo sesto 73Capo settimo 86Capo ottavo 97Capo nono 112Capo decimo 125Capo decimoprimo 137Capo decimosecondo 148Capo decimoterzo 160Capo decimoquarto 173Capo decimoquinto 190Capo decimosesto 201Capo decimosettimo 224Capo decimottavo 240Capo decimonono 258Capo ventesimo 271Capo ventesimoprimo 288Capo ventesimosecondo 297Capo ventesimoterzo 327Capo ventesimoquarto 354Capo ventesimoquinto 368Capo ventesimosesto 386Capo ventesimosettimo 400Capo ventesimottavo 429

    Sommario

  • Capo ventesimonono 448Capo trentesimo 472Capo trentesimoprimo 493Capo trentesimosecondo 504Capo trentesimoterzo 514Capo trentesimoquarto 538

    Sommario

    ivLetteratura italiana Einaudi

  • 1Letteratura italiana Einaudi

    ORIGINE E SCOPO DELL’OPERA

    Da parecchi anni mi si viene affacciando il progettodi scrivere l’istoria della mia vita. Ma ogni qualvoltaquest’idea, anzi questo desiderio mi si presenta allamente, rimane tosto avviluppato e reso inerte da milledubbi. Merita la mia vita d’esser narrata? Perchè sentoio il desiderio di narrarla? Mi muove un sentimento lo-devole, od è questo un laccio che mi vien teso da un vol-gare e malaccorto amor proprio?

    A far tacere questi dubbi ognuno ha sempre in pron-to le persuasioni degli amici. Ma, per esser giusto, nondebbo accusarli d’essersi mostrati troppo insistenti suquesto particolare; poi credo che in questo caso si ande-rebbe più sul sicuro a poter sapere quel che ne pensino inemici. Onde lascio stare quest’argomento.

    Ecco, invece, i motivi che mi mossero a scrivere.Io son arrivato, si può dire, tutto d’un fiato sino alla

    mia età di sessantaquattr’anni, senza mai aver avutotempo, sto per dire, di voltarmi indietro. Giova oramaigettare uno sguardo sulla via corsa. È esercizio moral-mente salubre usare il freddo e tranquillo criteriodell’età matura a giudicare gli atti della giovinezza e del-la virilità. E se il farsi da sè in certo modo il processo èutile a noi stessi, perchè non potrebbe esserlo ad altriegualmente, purchè il giudice sia giusto, illuminato esincero? Resta a vedersi se saprò io poi esser tale. Senzapronunziare un sì troppo risoluto mi contento di direche lo spero, e vi porrò ogni studio.

    Tuttavia non è male che, per prima prova di sinceritàe di giustizia dia al lettore questo consiglio. Quandodirò male di me, creda pur troppo ad occhi chiusi;quando ne dirò bene, gli tenga aperti. Ora dunque, on-de rendere utile altrui, e più di tutto alla nuova genera-

  • Massimo D’Azeglio - I miei ricordi

    zione, l’opera mia, ecco in qual modo ho pensato ordi-narla e dividerla.

    Intendo non tanto narrare le mie vicende, quanto faredi me uno studio morale e psicologico, cercando di co-noscermi e di descrivere a fondo la natura mia, il mio ca-rattere nelle sue successive modificazioni; rintracciandoal tempo stesso le cause obiettive o subiettive che lo mi-gliorarono talvolta, e tal altra lo resero peggiore. S’ionon prendo errore, questa specie di autopsia morale riu-scirà tutt’altro che inutile, sia a chi educa gli altri, sia acoloro che comprendono dovere ogni uomo sino all’ul-timo suo giorno attendere ad educare sè stesso.

    Ma non mi basta studiare me ed ingegnarmi di cavareda questo studio utili ammaestramenti. Io spero poteroffrire a chi vorrà leggermi assai miglior derrata che nonsono io.

    Ebbi alla vita mia ad incontrarmi con grandissimo nu-mero di persone. Volle la mia fortuna che fra questes’annoverassero uomini di primordine, bellissimi inge-gni, alti cuori e rari caratteri. Io spero riuscire a formarede’ loro ritratti una galleria, ricca di nobili modelli. Vo-lesse Iddio ch’essa ne producesse un’altra ricca egual-mente, quella de’ loro imitatori!

    Nella mia lunga carriera io mi sono imbattuto in ani-me di veri eroi. Ma intendiamoci. Io chiamo eroi quelliche sacrificano sè agli altri: non già quelli che sacrificanogli altri a sè. Non avrò dunque a porre innanzi nessunmodello che rassomigli neppure alla lontana a queigrandi tormentatori della nostra specie, che essa adoraed ammira in ragione diretta del male che le fanno. No.I miei eroi la più parte ignorati, tutti vittime e nessunocarnefice, appartennero ad ogni classe; chè la Dio gra-zia, se l’umanità non è quale dovrebb’essere, non è nep-pur composta solo d’inetti o di scellerati, come credonogli Eracliti di tutte le epoche.

    Qui poi ho una fortuna tutta mia.

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  • Per trovare anime elette, degne d’essere poste in lucequali modelli di nobile sagrificio ed intemerata vita, nonho da andar fuori di casa mia; nè saprei meglio princi-piare questo studio critico di molte vite fra le quali lamia è posta soltanto onde serva d’orditura a più degnotessuto, non saprei, dico, meglio principiarlo che da miopadre e mia madre.

    Io vorrei poter porre i loro nomi sopra monumentoben più durevole ed illustre che non sono queste poverepagine, ch’io dedico alla loro cara ed onorata memoria;ma il far di più non è in poter mio.

    Conosco benissimo che non potrà il lettore dividereinteramente i miei sentimenti, ma non per questo vogliopunto indebolirne l’espressione. Mentirei, così facendo,al mio cuore ed alla coscienza mia; violerei quella leggedi dire intera la verità che mi sono imposta. Mi parrebbequasi rinnegare il culto che professo per chi mi diede lavita, e mi diede, che è ben altra cosa, tutto quel poco chepuò essere di buono in me. Nè mi fece mai vedere atto,mai udir parola che non dovesse riuscirmi di virtuosoesempio.

    Qual uomo di cuore potrebbe sapermi malgrado diquesto mio sentire?

    Altra avvertenza.Io non vorrei che questo fosse un libro politico o di

    circostanza; e se riesco nel mio intento e nel mio lavoro,certo non lo sarà. So bene quanto sia difficile ad unoscrittore non esser più o meno tinto del colore della suaepoca. Si può anzi dire che a lavarsene affatto sia impos-sibile, e forse nemmeno è desiderabile. Ma io ho sempretanto cercato nella mia vita politica di conoscere e segui-re esclusivamente il vero ed il giusto, senza passione diparte e senza occuparmi se ciò piacesse o dispiacesse; hotanto inveterata in me l’abitudine di chiamare uom dab-bene o ribaldo chi credo tale realmente, e non chi ap-partiene ad un partito o ad un altro (e per questo son

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  • Massimo D’Azeglio - I miei ricordi

    riuscito a venire in uggia a tutti); ho tanto cercato di sco-prire ed applicare, quando fui al potere, le leggi elemen-tari che servono a fondare, mantenere e far prosperarele nazioni, senza occuparmi d’interessi, di passioncelle,di miserie volgari, che quasi ho speranza ottenere il miodesiderio e lasciare a chi vien dopo qualche pagina chepossa esser letta senza troppo fastidio, e non del tuttoinutilmente, anche in circostanze ed in epoche ben di-verse dalle presenti.

    Io vorrei però che queste pagine servissero, in un sen-so, anche all’età nostra: e mi spiego.

    L’Italia da circa mezzo secolo s’agita, si travaglia perdivenire un sol popolo e farsi nazione. Ha riacquistato ilsuo territorio in gran parte. La lotta collo straniero èportata a buon porto, ma non e questa la difficoltà mag-giore. La maggiore, la vera, quella che mantiene tutto in-certo, tutto in forse, è la lotta interna. I più pericolosinemici d’Italia non sono gli Austriaci, sono gl’Italiani.

    E perchè?Per la ragione che gl’Italiani hanno voluto far un’Ita-

    lia nuova, e loro rimanere gl’Italiani vecchi di prima,colle dappocaggini e le miserie morali che furono ab an-tico il loro retaggio; perchè pensano a riformare l’Italia,e nessuno s’accorge che per riuscirci bisogna, prima, chesi riformino loro, perchè l’Italia, come tutti popoli, nonpotrà divenir nazione, non potrà esser ordinata, ben am-ministrata, forte così contro lo straniero, come contro isettari dell’interno, libera e di propria ragione, finchègrandi e piccoli e mezzani, ognuno nella sua sfera nonfaccia il suo dovere, e non lo faccia bene, od almeno ilmeglio che può. Ma a fare il proprio dovere, il più dellevolte fastidioso, volgare, ignorato, ci vuol forza di vo-lontà e persuasione che il dovere si deve adempiere nonperchè diverte o frutta, ma perchè è dovere; e questaforza di volontà, questa persuasione, è quella preziosadote che con un solo vocabolo si chiama carattere, onde,

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    per dirla in una parola sola, il primo bisogno d’Italia èche si formino Italiani dotati d’alti e forti caratteri. Epur troppo si va ogni giorno più verso il polo opposto:pur troppo s’è fatta l’Italia, ma non si fanno gl’Italiani.

    Ora, se le materie, i racconti, gli esempi contenuti inquesto libro, potessero avere per effetto di contribuire aformare un solo alto carattere, io crederei aver reso ungran servizio al mio paese; poichè se è vero, come dice ilproverbio, che un pazzo ne fa cento (e grandi esempi nevediamo tuttodì), è vero altrettanto che anche un alto eforte carattere può farne cento e mille, e dare vita, calo-re, e, per dir così, intonazione più degna e più generosaper anni ed anni ad un intero paese.

    Mi rimane ora a manifestare l’ultimo de’ motivi diquesto scritto; e, certamente, il meno importante, poi-chè mi è interamente personale. Debbo quindi invocarein suo favore tutta la cortesia del lettore.

    La mia famiglia, secondo ogni probabilità, sta perestinguersi, e sono ben lungi dal metter questo fatto frale sciagure di Stato. Anzi, a dirla nell’interesse nostroprivato, preferisco vederla finire adesso con onore, poi-chè le tre ultime generazioni (posso affermarlo franca-mente) non contarono se non uomini onesti ed onorati,preferisco questo al pericolo di terminare più in là conqualche marchesino imbecille, come può accadere be-nissimo, e forse con peggio.

    Anco Dante dice nel Purgatorio:«O Ugolin de’ Fantolin, sicuro È il nome tuo, da che

    più non s’aspetta Chi far lo possa, tralignando, oscuro.»Onde questo mio sentire sta in buona compagnia.Ma, a ogni modo, è nella nostra natura la ripugnanza

    alla distruzione, e più ancora all’oblio. Io non potrei so-stenere l’idea che in un paese da me tanto amato, e tantoamato e servito dai miei, fra pochi anni nessuno neppurpiù sapesse che siamo stati di questo mondo.

    Ora, dunque, è mio disegno che questo scritto serva

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    tutt’insieme a descrivere la mia vita, a narrare i fatti del-le persone degne, che o m’appartennero ovvero incon-trai; e, finalmente, che gli si unisca una breve monogra-fia di casa nostra onde non se ne spenga così subito lamemoria nel cuore dei miei concittadini.

    Sento purtroppo non essere io fra quei cigni chel’Ariosto dipinge soli capaci di salvare i nomi che lo me-ritarono, dall’onde dell’Obblio. Ma quello che io nonpotrei fare da me solo, perchè non lo otterrei colla bene-volenza che trovai in tanti coetanei, e che può divenireretaggio (e lo spero) dei loro figli e dei loro nepoti?

    Detto così dello spirito del mio lavoro, mi si permet-tano due parole sulla forma.

    Scrivendo di me debbo mostrarmi quale sono. Debboesser io, proprio io, e non un altro. Debbo, dunque, aquesto fine non solo narrare i fatti esattamente, edesporre senza velo i miei pensieri e le mie opinioni; ma èaltresì necessario che io usi i modi, le frasi, le parole, iconcetti miei soliti, quelli che emergono dalla mia indi-vidualità, dal carattere, dalle abitudini mie.

    Io credo che per scrivere bene, bisogna in ogni casoscrivere come si parlerebbe ad una compagnia amica,ben educata, composta d’uomini rispettabili e di donneoneste.

    Basta astenersi dalle sconvenienze e da certe trivialità,che un po’ di tatto serve ad indicare, tutto il resto si de-ve dire francamente, col medesimo stile e le medesimeparole che s’usano nel discorrere.

    Se in Italia si adottasse questa regola; se una quantitàdi scrittori non si credessero obbligati di cambiar linguaquando hanno la penna in mano; se invece (mi sia per-messa l’ardita immagine) se la mettessero in bocca, nonsarebbe la lettura dei libri italiani quella fatica improba,per non dire quell’impossibilità d’andar innanzi, chepurtroppo è, per noi e più pei forestieri.

    E veda se è vero! L’Italia è uno dei paesi ove più ab-

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  • bondano i facili, i bei parlatori, e dove più abbondanoaltresì gli scrittori illeggibili. Scrivano in nome d’Iddiocome parlano in buona compagnia, e saranno letti comesono ascoltati con piacere. Veniamo ad un po’ d’analisionde meglio intenderci.

    Supponiamo che in quella compagnia accennatadianzi avessero tempo e pazienza d’udirmi raccontareciò che ora presento tampato; mi verrebbe egli in mentedi principiare col dire: – Ecco, cari signori e gentili si-gnore, RICORDI PER MASSIMO D’AZEGLIO. – Co-me? (interromperebbe qualcuno), come? per lei? Mi pa-re che ora sono per noi che ascoltiamo, e se sistamperanno saranno per il pubblico. – E non, avrebberagione?

    Dunque sul mio frontispizio ho scritto di e non perMassimo d’Azeglio.

    Ora, supponiamo altresì che la mia storia non an-noiasse troppo quel crocchio, e qualcuno volesse direche sarebbe bene metterla in carta, mi direbbe forse: –Perchè non detta questi suoi ricordi? – Mi direbbe: Per-chè non li scrive? Altrimenti gli potrei rispondere: Ionon ho mal d’occhi, nè reumi alle dita, e posso scriveresenza dettare. Pare impossibile che ci siano cervelli chevedano un’eleganza nell’equivoco, nel falso e nell’affet-tato! Se così fosse, ci vorrebbe poco a scriver elegante!

    Principiando, dunque, il mio libro, ho pensato direche da un pezzo avevo in mente non di dettare ma discrivere i miei ricordi.

    Terzo ed ultimo esempio. Nella detta società, se vo-lessi dirigere la parola a chi non è di mia confidenza,non gli darei di tu nè di voi; e perchè? Perchè non s’usa.Dunque, perchè dovrei dare di tu al mio lettore? Gli dodi lei secondo il costume italiano. Il giorno che in so-cietà si darà di tu a tutti, lo darò anche al lettore.

    Questi esempi bastano certamente a spiegarle la miaidea, la quale, in sostanza è questa: servirsi delle parole

    Massimo D’Azeglio - I miei ricordi

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  • Massimo D’Azeglio - I miei ricordi

    comuni secondo il loro senso naturale, evitare ogni pa-rolone, ogni equivoco benchè minimo, evitare le traspo-sizioni, far in modo insomma che il lettore capisca com-pletamente, subito, ed anzi gli sia impossibile, anche perun attimo, esitare sul vero senso di quello che legge.

    Ora un’ultima avvertenza.Dopo che in Francia s’è inventato l’homme sérieux,

    dopo che i bambini fumano, dopo che i giovani a 18 an-ni non ballano più, dopo che gli uomini di 30 sposano ladote, e le ragazze di 15 il milionario di 50 anni; dopo in-fine che i tre più antipatici fra i sette peccati mortali, su-perbia, invidia ed avarizia, hanno messo il piede sul col-lo agli altri quattro, s’è formato in ogni lingua più omeno un tono magistrale, didascalico, pesante, malinco-nico, tuono falso, affettato e noioso, e che quindi inten-do evitare.

    Ad ogni questione che si presenta, è nella natura miadi correre col pensiero immediatamente a considerarnetutti gli aspetti, come tutte le conseguenze. Delle coseserie mi vien fatto assai sovente di vedere il lato ridicolo,come delle cose ridicole mi si presenta tosto il lato serio.

    Tale sono, tale mi mostrerò nel mio scritto. La vita,grazie a Dio, non è sempre nè trista nè tragica; è talvoltalieta, talvolta d’una serietà buffa, che è il non plus ultradel genere ridicolo. Narrando una o più vite, perchè do-vrei riprodurne un solo aspetto, e non tutti quelli che innatura essa veste a vicenda?

    Penso dunque di lasciarmi portare a seconda dei sog-getti che mi verranno successivamente fra le mani; e sepoi da essi scaturiscono riflessioni od insegnamenti, per-chè li tacerei? E volendo imprimerli nella mente de’ gio-vani, è forse modo migliore farne un trattato ex profes-so, ovvero spargerli in una narrazione ove l’autore nonsempre si mantiene serio, ma ride pure talvolta se c’èmateria di ridere?

    M. D’AZEGLIO

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  • CAPO PRIMO

    Quaesivi justitiam et odiviiniquitatem, propterea...

    Sommario. – Ignoranza de’ fatti domestici – Savia risposta dimio padre – Antipatia al casato – Occasione di saperne la sto-ria – Origine Brettona – I Brenier Capel – Passano nel Delfina-to – Uno di loro si fissa in Savigliano – Altra versione di monsi-gnor della Chiesa – La regina Giovanna investe casa Taparelladel feudo di Genola – Compra di Lagnasco – Brenier uomod’arme ci riconosce (secolo XVI) – Il conte di Lagnasco miononno – Suo ritratto – Fama dei cervelli della famiglia – Rime-dio del nonno contro i dispiaceri cortigianeschi – Sua morte –Cesare mio padre – Cristina mia madre – Incertezza s’io debbascrivere di lei – Ritratto di mio padre – Sua nascita ed entrataal servizio – Vita di guarnigione. Usi dei superiori d’allora – Vi-ta da giovane – Entra alla Corte – Società d’allora – Nobiltà –Suoi difetti – Buone qualità – Conseguenze – Conversione –Stato degli affanni – Cause della sua mutazione – Riflessioni.

    Ho passata tutt’intera la mia vita sino a tre mesi fa,senza saper altro della mia famiglia se non poche notizieudite da un vecchio agente di casa. Non uscì mai paroladalla bocca di mio padre e mia madre su questo argo-mento. Mi ricordo anzi che nella mia fanciullezza (pote-vo aver dodici anni al più) essendo un giorno riuniti infamiglia, presente qualche amico di casa, il discorso cad-de sulla nobiltà. Io così alla buona, e senza malizia dissi:«Noi, signor padre, siamo nobili?» M’accorsi che dove-vo aver fatta una domanda sciocca, vedendo che tutti ri-devano verso di me. Mio padre, sorridendo anch’esso,rispose: «Sarai nobile se sarai virtuoso.» Ed io non cer-cai più in là.

    Non cercai più in là, come dico, per un pezzo: ed anzinon so perchè m’era sempre stato antipatico quel nostronome di Taparelli, e sempre mi son fatto chiamare e fir-mato Azeglio.

    Massimo D’Azeglio - I miei ricordi

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  • Massimo D’Azeglio - I miei ricordi

    Ora, tre mesi sono, in una triste occasione per la fami-glia (la morte del mio fratello maggiore Roberto) ebbiad esaminare carte e documenti nostri, e così la mia eru-dizione archeologica sulla storia di casa mia ha potutospingersi nel passato più indietro di mio nonno, puntoche finora non avevo potuto mai superare. Ecco quelche ho imparato.

    La gente nostra venne di Bretagna. Forse per questosino ad oggi tutti di casa siamo di testa un po’ dura.

    Le vecchie memorie parlano d’una famiglia e d’un ca-stello posto in quella provincia, che ambedue avean no-me Brenier Chapel o Capel. Sul quale era scolpita la me-desima impresa che sempre s’è avuta in casa sino alpresente.

    Questo castello venne distrutto, e sparì parimenti lafamiglia, che si trova però trapiantata in tempi posterio-ri nel Delfinato, e molte carte esistono nell’archivio diGrenoble che provano la sua esistenza colà.

    Quando Carlo d’Anjou calò alla conquista del Regno,o forse prima, venne in Italia un membro di detta fami-glia, e senza che se ne conosca nè il come nè il perchè,troviamo ch’egli aveva fermata la sua dimora in Saviglia-no, e vi aveva preso moglie. Di sua discendenza vienfuori un Giorgio, che di Chapel, Capel, era, Dio sa co-me, diventato Taparel; e costui co’ suoi figli è la primapersona veramente storica e conosciuta per documentidella famiglia. Per la storia anteriore, l’ho accennata co-me la trovo scritta. È il caso di dire: – Chi non crede, va-da a vedere – Monsignor Agostino della Chiesa nellasua descrizione del Piemonte narra un’istoria diversa, edice (per brevità cito il senso, non le parole): la famigliaTaparella e antichissima di Savigliano e delle principalidi parte guelfa. Guglielmo e Oddone sono nominati si-no innanzi il 1240, coi loro figli, nel libro di cartapecoracontenente gli statuti del popolo di Savigliano come si-

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  • gnori de’ mulini ed altri ingegni mossi dall’acqua, dellapesca dei fossi, della terra e dei borghi di detto comune.

    Qui ricompare quel medesimo Giorgio dell’altra ver-sione. Aggiunge monsignor della Chiesa che trovandosiin Cuneo Ruberto di Leonardo siniscalco e capitano ge-nerale della regina Giovanna, in ricompensa dei moltiobblighi che aveva quella regina alla casa Taparella diSavigliano, investì (1344) del feudo di Genola i figli diGiorgio, Gioffredo, Leone e Petrino di quella casa, confacoltà di fabbricarvi un castello a danno dei nemici del-la casa d’Anjou.

    Pochi anni prima (1341) la famiglia era venuta in pos-sesso del feudo di Lagnasco, venduto pel prezzo di 25mila fiorini d’oro a Gioffredo Taparelli e Petrino Fallet-ti d’Alba, da Tommaso marchese di Saluzzo, onde aiu-tarsene a pagare la taglia di ottanta mila fiorini postaglidai suoi zii; costoro, aiutati da Bertrando del Balzo sini-scalco di Carlo II d’Anjou e da altri collegati, gli avevantolto lo Stato e fattolo prigione.

    Di detto castello di Lagnasco, come di quello di Ge-nola, la famiglia fu sempre in possesso, ed ancora è.

    Siccome la casa nostra, se è antica, non e illustrata nèda grandi fatti nè da quei nomi storici che possono ren-derne importante ed utile la minuta notizia, penso di ri-sparmiare al lettore la noia di leggerla, come a me quelladi scriverla. Dirò soltanto che le due versioni circa la no-stra origine credo possano conciliarsi, e forse la gentenostra prima d’essere guelfa in Savigliano, era venuta diFrancia in una di quelle pur troppo tante calate di uomi-ni del nord.

    Abbiamo certa memoria d’un Brenier, uomo d’armenella compagnia di M. de Thermes, venuto a Saviglianonel tempo delle guerre tra Francia ed Impero (M. deMonluc parla della sua guarnigione in allora in Saviglia-no); e trovo che detto gentiluomo, vedendo in casa no-stra l’arma sua medesima, volle sapere di chi noi si veni-

    Massimo D’Azeglio - I miei ricordi

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  • Massimo D’Azeglio - I miei ricordi

    va e saputolo, ci riconobbe come affini. Per meglio assi-curarsi, interrogò qual fosse il Santo più in favore nellafamiglia, e venendogli risposto santa Maria Maddalena,affermò che anche nella sua era onorata più d’ogni altro.Parrebbe difficile che queste due circostanze s’incon-trassero per caso. Se veramente l’uomo d’arme aveva in-dovinato, mi troverei, dopo aver tanto gridato Fuori ilbarbaro!, d’essere un barbaro anch’io! Mondo curioso!

    Invece dunque di scrivere l’istoria d’una serie di oscu-ri signorotti, che a saperne autenticamente i fatti, Dio sache roba da chiodi si troverebbe, dirò quel che, scarta-bellando, ho scoperto di genere aneddotico; sempre piúo meno interessante, poichè appartiene non tanto allacasa Taparella quanto alla più antica d’Adamo, la cui di-scendenza non si studia mai abbastanza.

    Mio nonno fu il conte Roberto di Lagnasco, e ebbeper moglie Cristina contessa di Genola, ambedue uscitidi due rami della nostra medesima famiglia. Ebbero duemaschi: l’uno marchese di Montenera, morto giovaneper una caduta; l’altro per nome Cesare, che fu mio pa-dre.

    Pochi giorni dopo averlo messo al mondo, sua madremorì. Parecchi anni dipoi, il conte Roberto sposò Matil-de Caissotti di Casal Grasso, dalla quale ebbe una solafiglia sposata poi al conte Prospero Balbo, padre di Ce-sare lo scrittore, mio fratello cugino per conseguenza, eduno de’ miei piú cari, stimabili e rispettati amici.

    Di questo mio nonno io so quel poco soltanto chen’udii da mio padre.

    Fu uomo di svegliato ingegno, non senza qualche sin-golarità nel carattere, come si dice che tutti di casa neabbiamo. Anzi nel vecchio Piemonte, non posso nascon-derlo, la razza Taparella avea nome di non avere precisa-mente il cervello ove tutti l’hanno.

    Senza voler discutere il fatto, è però bene di riflettereche in questo vecchio Piemonte, pieno d’ottime e sode

    12Letteratura italiana Einaudi

  • qualità, era molto frequente quel carattere d’immutabi-lità, quell’amore per le tradizioni, quella diffidenza con-tro le novità, che è il distintivo di tutte le razze forti eche si sanno mantenere lungamente tali. Quindi ogni co-sa insolita, anche indifferente, andava poco a sangue aipiù, e si rigettava, chiamandola, senza tanti discorsi,pazzia.

    Così mio nonno, per esempio, era gran cultore dellalingua e letteratura inglese. I suoi conoscenti, mi par disentirli, avranno detto: – Curioso il conte di Lagnascocol suo inglese! – E da ciò a concludere: – Già tutti i Ta-parelli n’hanno un ramo, – la via è breve.

    Lo so io (come narrerò in appresso) che per aver vo-luto far altro da quel che facevano tutt’i contini del tem-po di mia prima gioventù, fui dichiarato pazzo a pienivoti!

    Comunque sia, mio nonno corse, com’era costume dicasa, la carriera militare, e poi di Corte, e fu l’amico (perquanto si può esserlo d’un re) del re Vittorio d’allora.Ebbe fama d’uomo dabbene, quantunque stesse in Cor-te; e siccome in questa professione nessuno può trovarsicosì forte in sella, nè tanto sapersi maneggiare che nongli tocchi spesso rischiare il capitombolo, od almeno in-ghiottire molti bocconi amari, il detto mio nonno s’eravoluto premunire, ed aveva posto nel suo gabinetto mol-to in vista un’iscrizione piemontese che portava questeparole: Ai fa pa nen, cioè Non importa nulla; che però,ha un significato più frizzante in piemontese che in ita-liano, ed equivale al me ne infischio, per parlare conconvenienza. Così, quand’egli tornava di Corte, forsecoll’amaro in bocca per qualche tiro fattogli, vedendo ladetta iscrizione, si dava una sgrullata di spalle, e pranza-va col solito appetito. Queste cose mi raccontava CesareBalbo.

    Mio nonno morì di 57 anni, mentre stava per dar mo-

    Massimo D’Azeglio - I miei ricordi

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  • Massimo D’Azeglio - I miei ricordi

    glie al solo figliuolo che gli rimaneva, e già erano fatte lepromesse.

    Venendo ora a parlar di Cesare mio padre, mi trovoaver la piú sicura, la più preziosa delle guide. Hosott’occhio un manoscritto di mia madre che ne narra lavita.

    Non nascondo al lettore che, giunto al momento didover parlare anco di lei, di dover dire dei suoi casi, cita-re le sue parole, squarciare quel velo nel quale essa cercòsempre tanto studiosamente celarsi e celare i suoi atti, lesue virtù, mi sento ondeggiare nell’incertezza; provo unsentimento che neppur io so chiaramente definire....Non sarebbe mai questa per parte mia una profanazio-ne? Per quanto io non abbia a palesare se non tutta ladivina bellezza che può splendere in un’anima umana,non v’è egli, però, in ogni cuor gentile un istinto che di-ce la vita della madre di famiglia, e persino la memoria el’elogio delle sue virtù, doversi tenere gelosamente rac-chiusi fra le mura domestiche? Doversi imprimere neicuori dei figli e dei nepoti, rimanervi come un nascostotesoro di famiglia, e non gettarli nella gran corrente del-la pubblicità ad estranei e indifferenti? Io sento che e inme questo istinto, eppure mi risolvo a disubbidirlo. Mivince il desiderio di disegnare i cari lineamenti di quellanobile figura che ebbe grazia, candore, bellezza mulie-bre, ed insieme (come vedremo) fortezza virile. Da ven-ticinque anni essa riposa accanto a mio padre nella po-vera chiesa dei Cappuccini di Genova; oramai essaappartiene all’età passata; non potrà questa circostanzarendere giusto e ragionevole il modificare la severità dicerti principi? Potrebbe egli esser vero, esser bene, chemai non dovessero venire offerti all’imitazione de’ po-steri i nobili modelli della virtù femminile? Chi, se nonla madre, ebbe da Dio l’incarico d’imprimere i primi epiù indelebili lineamenti del carattere dell’uomo? Equella che tanto mirabilmente seppe quest’arte creatrice

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  • delle forti generazioni, quindi delle grandi epoche, do-vrebbe rimanere ignorata, mentre primo bisogno d’Ita-lia e appunto trovare uomini e chi sappia educarli e ren-derne forte e generoso il carattere?

    E di più, ho il diritto di spogliare chi nasce da me,della più, preziosa delle eredità, quella di nobili o vir-tuosi esempi?

    Queste riflessioni mi decidono, e tiro innanzi. Ma pri-ma, due parole per dipingere mio padre. Cito il mano-scritto: «Giovane di bellissimo aspetto e di cortesi ma-niere, pieno di talenti, di vivacità (sostenuta però), coltonon poco, bravo nella musica, nel canto, ec. ec.». Cosìmia madre. Mi sia permesso di compiere il ritratto edaggiungere ch’egli fu tenuto uno dei migliori soldati delnostro esercito, uomo d’inesorabile severità di principi eal tempo stesso d’indicibile bontà di cuore, che avrebbedato il suo sangue per risparmiare un dolore alla fami-glia, come l’avrebbe lasciata sagrificare tutta sotto i suoiocchi, piuttosto che tradire il dovere o l’onore. Vera na-tura da morire, secondo le epoche, nella botte di Rego-lo, ovvero nel Circo, sbranato da’ leoni, confessando lafede di Cristo. Non piegò mai in vita sua a fronte del do-vere, e di questo fu martire secondo lo comportarono icasi ed i tempi.

    La coesistenza in lui di due sensi, che quasi sempre sicombattono e soventi volte s’escludono a vicenda, il do-vere e l’affetto, fecero della sua vita una lotta incessante.In continuo sospetto del proprio cuore, sempre all’ertaper tenerlo in freno onde non lo conducesse ad atti didebolezza, gli avveniva talvolta gettarsi dal lato opposto,e parere burbero e rigido. In famiglia noi giovani n’ave-vamo una soggezione incredibile, ed il timore pur trop-po, non lascia limpido il giudizio. Fra i miei rammarichipiù acuti vi è quello d’averlo conosciuto e apprezzatoquanto lo meritava soltanto ora, quando non e più diquesto mondo.

    Massimo D’Azeglio - I miei ricordi

    15Letteratura italiana Einaudi

  • Massimo D’Azeglio - I miei ricordi

    Quanto bene non si perde per siffatti errori, e quantoimporta evitarne ogni occasione!

    Egli nacque il 10 febbraio 1763. All’età di undici an-ni suo padre lo presentò al magistrato detto allora uffi-zio del soldo, il quale regolava quel brutto arruolamentovolontario che ha reso celebre il tipo del così detto re-cruteur, e che, la Dio grazia (quantunque Inglesi edAmericani la pensino altrimenti), venne abolito colla co-scrizione.

    Malgrado i privilegi della nobilta, era in essa tantospirito militare, per essere l’armi e l’esercito la base dellamonarchia, di Savoia, che non s’avea punto a vile l’ideadi essere semplice soldato. Tutti per comune sentireconcordavano essere nella gerarchia militare, tanto ine-gualmente graduata, perfettamente allo stesso livellol’onore del semplice soldato e quello del primo generalee dello stesso re.

    Perciò non poteva esistere fra noi il curioso fenomenodi vedere un bambino, condotto a spasso da una sua ba-lia, portare l’insegne di maggiore o di colonnello.

    È vero però che se i nostri signori entravano nell’eser-cito per la porta comune, trovavano poi in seguito trat-tamento diverso. Presto eran cadetti, poi ufficiali; ed inciò consisteva la differenza sostanziale.

    Mio padre soldato, poi cadetto ed ufficiale nel reggi-mento della Regina, seguì le guarnigioni, l’ultima dellequali fu Cagliari. Egli era raccomandato particolarmenteal colonnello ed ai superiori; «i quali (copio il mano-scritto) in que’ tempi facevano veramente da padre aigiovani allievi; ispirando loro i sensi del vero onore, fon-dato sulla fedeltà a Dio ed al sovrano, e nella probità edelevatezza d’animo. Questo era il senso generale dellanobiltà piemontese quasi tutta arruolata sotto il patriovessillo. L’onorario dei militari era limitatissimo; lo eraassai più quello dei cortigiani, a segno che si spendeatutto per le mance e le strenne di Corte. L’onore era il

    16Letteratura italiana Einaudi

  • gran motto nostro!... » Ed a ciò contribuivano i principi,rispettando quello dei loro gentiluomini e contentandosidel sangue loro quando occorreva.

    Dagli undici ai diciassette anni s’esercitò e divenneesperto nel maneggio dell’arme e nelle cose militari, escrive mia madre « ...l’epoca fu questa del suo viveve lapiù infelice (dicea egli stesso!).... » e ciò perchè in queglianni, giovane vivace, di calde passioni, visse da giovane!

    A diciassett’anni nominato scudiere del duca d’Aostadal re Vittorio Emanuele padre suo e di Carlo Felice, furichiamato a Torino per tale servizio.

    Ecco in quali termini il manoscritto parla di quel gio-vane, il quale giudicava tanto severamente se stesso inquell’epoca della sua vita: «.... Non tardò a farsi cono-scere nelle più scelte società e dalle dame brillanti diquel tempo: era amatissimo in famiglia, più che fratello,amico sviscerato del suo maggiore, tenerissimo per la so-rella e per la matrigna, di nome, ma più che madre per latenerezza verso i figli del marito.»

    Come si vede, la sua condotta non sembrava poi tantoscioperata nè alla famiglia, nè alla buona società d’allo-ra. Curiosa società! della quale s’è ora perduta ogn’ideaed ogni tradizione, che non vorrei certamente vedere nelsuo complesso ripristinata, ma che a noi tanto mutati,tanto alieni dalle idee di quei tempi, puó pure dar mate-ria a riflessioni interessanti, come ad impreviste conclu-sioni.

    La nobiltà in Piemonte nel secolo scorso ed al princi-pio di questo, più che tirannica, era fastidiosa. Sono cer-to che piú d’una volta le sarà accaduto, signor lettore,d’aver da fare con persona che non mancasse in nulla,trattando con lei, al più stretto dovere di cortesia, chenon le dicesse cosa della quale trovasse modo a potersilagnare, senza parere ridicolo per esagerato puntiglio;ma che al tempo stesso emanasse talmente da tutta lapersona un fatti in là così chiaro, un io son io e tu non

    Massimo D’Azeglio - I miei ricordi

    17Letteratura italiana Einaudi

  • Massimo D’Azeglio - I miei ricordi

    conti nulla così patente, che non essendovi modo nèd’adirarsene nè di tollerarlo, non le paresse vero d’an-darsene fuori di tiro, e non lasciarvisi mai piú cogliere,se la cosa era possibile.

    Tale effetto produceva la nobiltà in Piemonte. Di qui,quella divisione delle classi che appena ora comincia asparire.

    Ma se aveva difetti, ebbe pure doti, e si serbò operosaedenergica, mentre in Italia le altre eran fedelmente ri-tratte nei Florindi e nelle Rosaure del Goldoni. E percheciò? Perchè era di continuo in guerra (solamente nel se-colo passato ne furori tre cui partecipò il Piemonte) eperchè la guerra è moralmente più salutare ai popoli chele lunghe paci. La fedeltà ad un dovere difficile e perico-loso tempra gli animi e li rende atti a far bene e forte-mente anche fuori dell’armi. Esempio: Alfieri, il qualenarra aver preso d’assalto la grammatica greca, comeavrebbe vinto una breccia quand’era soldato.

    Da tutto questo ne verrebbe però una conseguenzacuriosa: che un popolo, cioè, per serbare le virtù che losalvino dalla decadenza, deve per necessità uccidereogni tanto un dato numero dei suoi vicini.

    Studi il lettore questa questione; la studierò anch’io.Intanto, andiamo avanti.

    A ventiquattr’anni mio padre subì una di quelle inter-ne rivoluzioni, che mutano e rinnovano l’uomo e chesoltanto sono possibili nelle nature rette, forti ed appas-sionate.

    Ardeva in quell’epoca generalmente, ma più in Fran-cia, la febbre di distruzione contro il mondo antico, perla quale a molti pareva avesse il creato a ritornare nelCaos; mentre invece ci condusse, fra orrendi mali, è ve-ro, a vedere noi apparire, secondo l’espressione biblicacoelum novum et terram novam.

    L’Italia è l’antica terra del dubbio. Poco vi potè laRiforma, non tanto perchè la frenasse l’Inquisizione ro-

    18Letteratura italiana Einaudi

  • mana, quanto perchè poco l’Italia si curava di Roma emeno di Wittemberga.

    È nella nostra indole di non voler essere più credentidei preti, e i preti di Roma mostrarono sempre di crederpoco. Per conseguenza, gl’ltaliani non presero mai lequestioni di dogma molto sul serio; ed il chi sa se e vero!(dolorosa parola all’umanità!) fin da’ tempi di GuidoCavalcanti dominò sempre fra noi . Perciò fu l’Italiaspettatrice piuttosto indigerente della lotta fra Wittem-berga e Roma, poco curandosi d’ambedue. Ma il dub-bio, le derisioni, i sarcasmi di Voltaire erano più di suogenio; quindi volgeva un sorriso allo scetticismo france-se come a conosciuto e vecchio amico. Se ciò accadevanel resto d’Italia, in Piemonte però era altra cosa.

    A fronte di pochi novatori, l’antica fede popolare sta-va salda sull’antiche sue basi. Oggi, dopo tante buferepassate su questo sbattuto paese, poco o nulla vediamomutato al suo carattere tradizionale; figuriamoci qualdovesse essere allora, uscito appena dall’ambiente delmedio evo!

    Il senso religioso era vero e profondo generalmente,ed il culto cattolico contava fra i suoi stessi oppositoriassai più empi certamente che non miscredenti.

    Predicò nella quaresima del 1784, in San Giovanni,un frate che il manoscritto dice essere stato l’uno de’due, o padre Denobili o Casati. Mio padre l’udì, e siconvinse essere suo stretto dovere il mutare vita. Comesappiamo, per lui scoprire un dovere ed adempierlo acosto di qualunque sacrifizio, era una stessa cosa.Dall’oggi al domani, senza curarsi di critiche, di derisio-ni e forse di rimproveri e di trafitture di cuore, si diedealla professione assidua del principio cattolico, della suamorale e del suo culto, spinto alle più minute applica-zioni; e tale dipoi sempre si mantenne fermo e costantesino all’ultimo del viver suo.

    In un animo così risoluto, così schivo dal tentennare

    Massimo D’Azeglio - I miei ricordi

    19Letteratura italiana Einaudi

  • Massimo D’Azeglio - I miei ricordi

    in ogni cosa, la fede divenne tosto assoluta e profondacertezza. Egli così si provvide, per le traversie amarissi-me che l’aspettavano, il più valido de’ conforti; quello dicredere che pel vero cristiano il male del Mondo presen-te e la moneta che paga il bene infinito del mondo avve-nire.

    Beato chi si sente proprio sicuro d’un cosìricco patto!Ma purtroppo in fatto di credere, le aspirazioni, i desi-deri non bastano!

    L’uomo crede quello che può, e non quello che vuo-le! E Dio che lo sa, non vorrà l’impossibile come voglio-no gli uomini, nè sarà crudele come son loro.

    La parola conversione suona oggi all’orecchio quasicome un vocabolo di antiche leggende di santi. Dovemai oggidì fra noi si vide o s’udì parlar di una di quellepatenti e rumorose conversioni che ricordano san Fran-cesco, san Benedetto, san Girolamo, ec. ec.? Invece,l’esaltazione religiosa è frequente nelle razze anglosasso-ne e tedesca. Fra loro è fatto comune una conversione.Ogni veggente, sia furbo o convinto, vi trova tosto gentedevota, che pel suo dogma accetta sagrifici e privazioni.

    Venga invece in Italia un di costoro. Predichi in piaz-za; avrà quell’uditorio medesimo che hanno i saltimban-chi e che, finito il sermone, si scioglierà, alzando le spal-le e dicendo in piemontese: A l’a bon temp. In italiano:È matto!

    A prima vista, dovremmo dunque dire: Si vale assaipiù noi che non ci lasciam corbellare; ma ad andare infondo alla cosa che si trova?

    Si trova che la razza più forte, più morale, più domi-nante non è la latina con tutto il suo talento, ma è l’an-glosassone!

    Ciò prova che non è l’ingegno sottile (l’esprit) quelloche forma le nazioni, bensì sono gli austeri e fermi carat-teri; che con gente capace di morire per una fede anchestorta e stramba, c’e qualche cosa da fare; con gente, in-

    20Letteratura italiana Einaudi

  • vece, non persuasa di nulla, in nome di che o di chi riu-scirete a farla muovere, a farla operare, a farla morire? Ildubbio è un gran scappafatica; lo direi quasi il vero pa-dre del dolce far niente italiano.

    Qui però la nave rompe allo scoglio che dianzi accen-navo! Può una nazione, come un individuo, dire: io vo-glio aver fede? E, se non lo può, a che i rimproveri?

    Io non vorrei imitare coloro che ad ogni malanno, adogni guaio che li offenda, se la prendono coi preti e conRoma. Siamo indulgenti con tutti, anco coi preti! Il cle-ricato nel medio evo fu esposto ad una tentazione cosìpotente, che resistervi era forse una virtù superiore alleforze umane. Aver in mano la croce, poter con una pa-rola mutarla nello scettro del mondo, e non pronunziarequesta parola! Chi si sentisse da tanto, scagli primo lapietra.

    Ma l’indulgenza s’ha da applicare agli uomini, non al-la logica nè alla verità storica. E questa ci dice e ci ripetequello che, or sono tre secoli, ci diceva Machiavelli. Lospettacolo della Roma papale ha spenta in Italia la reli-gione; e se è vero, come io credo innegabile, che una na-zione che ne è priva non può essere nè ordinata nè forte(prova gli antichi Romani, i moderni Anglosassoni epurtroppo noi!), convien concludere che l’Italia nonsarà veramente nazione, finchè non sia ferma in un prin-cipio religioso; che questo, se non si comanda nè s’ottie-ne con un decreto o un atto di volontà, si vede però sor-gere quando detto principio si palesa, non come unistrumento di dominio (e brutto dominio) materiale,bensì come una benefica emanazione della divinità. Laconclusione naturale e finale è dunque che, se Roma, seil cattolicismo non si riforma, se il prete non riesce aconvincere che egli crede quello che insegna; ch’egli cre-de che non è terribile troppo la povertà, nè troppo desi-derabile la ricchezza; che è un bene essere mite ed umi-le, ed un male essere crudele e superbo; che la carità ed

    Massimo D’Azeglio - I miei ricordi

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  • Massimo D’Azeglio - I miei ricordi

    il perdono sono un bene, ed un male l’odio e la vendet-ta; finchè egli non persuade coi fatti ch’egli crede tuttociò, non c’e da sperare si diffonda negli animi italianiquel vero e sincero principio religioso, senza il quale sa-remo sempre, come ora, un popolo di poco nervo, dimeno carattere, e di nessuna facoltà assimilativa tra ipropri elementi.

    22Letteratura italiana Einaudi

  • CAPO SECONDO

    SOMMARIO. – Dissesti di salute – Zelo del medico per la raz-za – Parentado colla casa Marozzo – Scrupolosa lealtà di miopadre – Stabilimento della famiglia – Numero dei figliuoli –decadenza dei cavalier serventi – Scherzo sull’unione coniugaleper moda – Malattia di mio padre – Lascia la corte – Isolamen-to del Piemonte – Rottura della guerra – Mio padre aiutante dicampo del Generalissimo – Vergognosa ignoranza mia – Aned-doto – Proverbio piemontese – È fatto prigioniero – Onored’un tamburino – Nuovo Pilade – Sua origine – Si fa prenderecon mio padre – Sono condotti a Montbrison – Domandanol’elemosina – Generosità d’una contadina – Morte di Robe-spierre. Miglior condizione – Atroce reazione – La moglie e lafamiglia credono mio padre morto – Mirabile testamento dimio padre – Rifiuta la libertà a patto di non combattere controla Repubblica – Il governo francese gli rende omaggio – Rifles-sioni – Ritorno di mio padre – Ritorno di Pilade – Muore – Pi-lade ed Alessandro Magno.

    La conversione di mio padre fece chiasso alla Corte enel mondo. Ma quel giovane così vivace e simpatico, co-sì pieno di salute e di forza, a poco a poco sembrava sivenisse spegnendo. Una volontà di ferro aveva in lui, sipuò dire, preso pel crine un corpo di carne e d’ossa, chenella lotta s’accasciava e cadeva.

    Non s’esce illesi mai dalle battaglie tra il cuore e la vo-lontà; dopo alcuni mesi, la famiglia concepì gravissimitimori, vedendo sempre maggiori le apparenze di sfini-mento sul viso del figlio superstite. Dovette intraprende-re una lunga cura, che, però, aiutando la gioventù, sortìottimo effetto. Ma l’organismo era colpito, e se vennevinta la malattia del momento, non valsero le cure a ri-produrre il vigore e la salute di prima. Mio padre non fumai più veramente robusto.

    L’estinzione di una razza non si prendeva in queltempo colla filosofia colla quale vedo io, per esempio,

    Massimo D’Azeglio - I miei ricordi

    23Letteratura italiana Einaudi

  • Massimo D’Azeglio - I miei ricordi

    avvicinarsi per la nostra questo fatto, senza perdere per-ciò nè l’appetito nè il sonno.

    I medici, interrogati dal nonno, gli risposero pocopoeticamente che, essendo divenuto il marchese Cesarefiglio unico, era bene di cavarne tosto la razza.

    Mio padre mi raccontava dipoi questo aneddoto, e sidivertiva molto dell’idea d’essere stato messo da quelbuon medico sulla stessa linea d’un King’s Charles, od’un cavallo arabo.

    Il fatto sta che si pensò tosto a dargli moglie; e la figliadel marchese Morozzo di Bianze, Cristina, parve partitoa proposito: fu chiesta ed accordata la sua mano e con-cluso il parentado.

    Mia madre, che in appresso non mai si saziava di par-lare del delicato sentire del marito, mi raccontava che,nella prima visita di sposo, mio padre, invece di fare co-me tutti usano di vestirsi, cioè e mettersi in assetto il me-glio che sia possibile, volle, per l’ottimo principio di nonprodurre nessun’illusione ed apparire come ogni maritosi mostra in seguito nella famigliarità coniugale, vollepresentarsi in un vestire talmente negletto (e alloraognun sa che razza di tolette s’usassero) che la sposa e lastessa famiglia rimasero meravigliate e perplesse, non sa-pendo spiegarsi tal cosa.

    Ma, soggiunggeva mia madre, «questo non era che ilprincipio.» Dopo poche e cortesi parole, mio padre ca-vatosi di tasca un foglio e voltosi alla sua promessa: «Ec-co, signorina, in questo foglio il mio ritratto morale,ch’ella non può come l’aspetto materiale giudicare a col-po d’occhio «. E datole il foglio, cortesemente si con-gedò, dicendo nell’uscire che, se dopo ben conosciutoquale egli veramente fosse, non mutava pensiero, egli sisarebbe tenuto felice di dedicarsi a lei per la vita e dive-nirle marito.

    Mia madre mi diceva che, coll’inesperienza de’ di-ciott’anni, col candore, l’ignoranza del mondo, prove-

    24Letteratura italiana Einaudi

  • nienti da un’educazione riservata quale era stata la sua,visto in quel foglio una lunga lista di difetti che si attri-buiva il suo pretendente, fu quasi sul punto di non farnealtro, tanto li aveva presi sul serio. Ma i suoi parenti chesapevano quel che ne dovessero pensare, si burlaronodel foglio e di lei; il reo confesso fu richiamato, festevol-mente accolto, e, dopo avergli detto che « si aveva interafiducia sulla sua futura conversione», il matrimonio sifece.

    Ecco in qual modo s’esprime a questo punto mia ma-dre nel suo manoscritto: « Questo fu il primo d’una ca-tena d’oro di ben 42 anni di fedeltà e d’amore coniugale,che strinse l’avventurata Cristina in modo indissolubile,sino al 26 novembre 1830, che morte lo sciolse, o per dirmeglio lo rese in parte immortale in Cielo «.

    Gia s’annunziavano in Francia le agitazioni che pre-cedettero la rivoluzione, ma lo scoppio doveva accaderepiù tardi; e per tre anni ebbero i miei parenti pace e feli-cità. Furono i soli anni felici, credo io, del viver loro!

    Nacquero di loro due maschi successivamente: il pri-mo morì in fasce. Il secondo fu Roberto vissuto poi 73anni. Altri quattro maschi e due femmine vennero dipoi.Queste, moglie l’una (Metilde) del conte Rinco, bellaproprio come un angelo ed altrettanto buona, morì aventidue anni di mal sottile: zitella l’altra (Melania),morì essa pure giovanissima. Enrico, capitano d’artiglie-ria, mancò nel 1824, a 29 anni; onde soltanto Roberto,Prospero il gesuita, ed io, siamo sopravissuti; ed essi milasciarono, solo ed ultimo dei fratelli, soltanto nelloscorso anno 1862.

    Era l’anno 1788-89. La società si veniva rinnovando.Tendeva al suo termine l’epoca dei cavalier serventi le-gali, stipulati persino talvolta per contratto matrimonia-le! Che erano stati uno dei mille indizi della necessità diposare la società su nuove fondamenta.

    Lascio pensare al lettore se mio padre, moda o non

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    25Letteratura italiana Einaudi

  • Massimo D’Azeglio - I miei ricordi

    moda, sarebbe stato tal uomo da adattarsi a questasciocca e ridicola usanza. Vi si fosse anche potuto adat-tare esso, non l’avrebbe certo accettata mia madre.

    Trovo nel suo manoscritto due pennellate su quest’ar-gomento, che dipingono l’epoca, e più la grazia del di leispirito e la maturità del suo giudizio.

    «Era questa, dice essa, l’epoca felice nella quale eratornata la moda che i mariti fossero sempre i cavalieridella propria moglie. Quanti sbadigli, quanti musi lun-ghi si osservavano alle volte di certi coniugi, che all’ido-lo della moda sagrificavano la loro libertà e le loro incli-nazioni!

    Non pare di vederli?Ma questa felice tranquillità non fu di lunga durata.

    Mio padre, trovandosi alla caccia del cervo col ducad’Aosta del quale era scudiero, dove, per chiamare cac-ciatori lontani, dare un grandissimo grido. Questo sfor-zo gli fece sfiancare nel petto una vena; diede per boccagran copia di sangue, onde, messo in pericolo di vita, ri-mase in cura un pezzo, e venne costretto quindi a rinun-ziare al servizio di Corte.

    Anche questa cura ebbe felice fine, e mio padre guarì.A tempo appunto per entrare a parte delle lunghe guer-re, come delle varie vicende dello Stato, che soltanto nel1814 dovevano aver breve tregua, per ricominciare poinel ventuno e via via seguitare, finchè piacerà a Dio didarci stabile ordinamento.

    Non essendo mio proposito scrivere storie, tanto me-no queste già scritte e note generalmente, non narrerò leguerre che sostenne allora il Piemonte contro l’invasio-ne francese.

    Pur troppo mi tocca dire il Piemonte; e non posso ag-giungere: coi rimanenti Stati d’Italia; i quali pure aveva-no con lui comuni i timori, le speranze e i pericoli. Matutti, invitati ad una lega, la respinsero. Napoli solo ac-cennò a qualche velleità d’accostarvisi, che poi terminò

    26Letteratura italiana Einaudi

  • in nulla. Quei governi però che non avevano spontanea-mente voluto unirsi contro il pericolo, vennero poi, co-me accade, uniti per forza nella comune rovina.

    Quante volte nella mia infanzia udii mio padre narra-re di quest’abbandono del Piemonte alle sole sue forze!Nessuno più di lui detestava l’invasione straniera; nessu-no più di lui perciò detestava la secolare discordia italia-na.

    Rotta la guerra nella contea di Nizza, il conte diSant’André, di famiglia nizzarda, ebbe il comando in ca-po di quel corpo d’armata e nominò mio padre suo aiu-tante di campo. Egli fece seco due campagne. Poi vennemandato nella valle d’Aosta, ove ebbe il grado di tenen-te colonnello del reggimento Vercelli.

    Qui son costretto con mio rossore a confessare chepoco conosco i fatti militari di mio padre, salvo l’ultimoche narrerò or ora; soltanto so in complesso ch’egli eratenuto, come già dissi, eccellente soldato. Egli non par-lava mai di se per lodarsi; e rarissime volte ci ha narratoqualche episodio delle sue vicende d’allora. Avrei potu-to informarmene dai suoi coetanei e compagni ancoravivi; ma per isventatezza giovanile non lo feci. Che cosanon pagherei ora per potere evocare ed interrogare i lo-ro spiriti!

    Ciò serva d’avviso a chi è a tempo di risparmiarsi, sevuole, siffatti inutili rammarichi.

    D’un aneddoto mi ricordo, narrato da uno degli ami-ci di casa.

    L’esercito nostro quando incominciò la guerra dellarivoluzione, era in pace sin dall’epoca della guerra dellasuccessione di Polonia. Per i soldati, quarantasei o qua-rantasette anni di pace significano mancanza assolutadella istruzione pratica di campagna, cominciando dalgenerale sino all’ultimo tamburino. Oltre a ciò, l’ordina-mento provinciale, secondo il quale il soldato non passa-va che poco tempo sotto le bandiere, era tale da non

    Massimo D’Azeglio - I miei ricordi

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  • Massimo D’Azeglio - I miei ricordi

    correggere punto questo difetto d’esperienza. Uno de’doveri, come una delle difficoltà dei superiori, era dun-que l’avvezzare i soldati a quel severo, minuto e conti-nuo sacrificio di sè, che si chiama disciplina; senza laquale si puó avere una moltitudine d’uomini valorosi,ma non s’ha, non dico un esercito, ma neppure un reggi-mento.

    Mio padre, nella val d’Aosta, ebbe un giorno da con-durre il suo battaglione a traverso un piano assai lungo,in faccia al nemico, e sotto una batteria che percuotevain pieno quel tratto di terreno; ottima occasione d’ag-guerrire i suoi provinciali. Egli era di quei tali che usanofare i bravi sulla pelle propria e non sull’altrui. Avrebbepotuto, per smargiassata, formarsi in colonna per ploto-ni; il qual ordine, presentando il fianco al nemico conquindici o venti file di profondità, accresceva il pericolodel soldato senz’accrescere il suo proprio. Egli invece,comandato per fianco dritto, si pose su due file, tamburiin testa, si mosse, e postosi innanzi a tutti, mantenne lasua gente a un passo lentissimo. Qui non poteva dirsi:chi ha fretta, corra; e in questa forma giunsero ove il ter-reno metteva il battaglione al coperto. Cosa singolare!Un solo colpo del nemico colse; ma colse il ferro di lan-cia della bandiera! Tanto e giusto quel gran proverbiodi Gianduja: La paura l’è faita d’ nen: proverbio, che, senon è sempre scrupolosamente veridico (per esempio,quando s’è sotto la mitraglia), è però la fedele immaginedel carattere del nostro popolo, che non ama vedere pe-ricolo dove non è, neppur talvolta dove è.

    Non intendo dare a questo fatto maggior importanzache non ebbe, e che certamente non gli attribuiva miopadre. Senza alcun dubbio, la sua vita militare potè pre-sentare circostanze assai più degne di memoria, ma purtroppo, come già dissi, le ignoro.

    Vengo al fatto d’arme nel quale fu fatto prigione.Accadde sul Piccolo San Bernardo fra la Thuille e

    28Letteratura italiana Einaudi

  • l’Ospizio, essendo il combattere per molto tempo ridot-to per quelle vette. Egli occupava col suo corpo il luogodetto le Terre rosse. Fu pei nostri giorno disgraziato; edil reggimento che comandava mio padre, tagliato a pezzio disperso, si potè chiamare distrutto. Egli, naturalmen-te, non volse mai le spalle, e circondato da ogni parte, fupreso, bistrattato, spogliato d’ogni cosa di valore, comes’usava altre volte più assai che non ora, grazie a Dio.

    Al momento di cadere nelle mani del nemico, gli ven-ne fatto di guardarsi alle spalle, se mai rimanesse qualcu-no de’ suoi. Mi raccontò egli stesso l’aneddoto in questitermini: «Mi voltai, e non vidi nessuno, salvo un tambu-rino, ragazzo di quattordici anni. Gli dissi con un gestod’impazienza, pensando che tanto valeva non si lasciasseprendere: – Eh, cosa fai costì? – Il fanciullo mi rispose: –Finchè ci sta il colonnello, ci sto anch’io.-»

    Peccato non poter sapere che cosa diventasse quelbravo ragazzo! Mio padre non ne seppe più nulla.

    Ma un altro compagno gli era rimasto al fianco, e diquesto, grazie a Dio, ne so tutta l’istoria.

    Dissi poche pagine addietro che avrei a mettere in lu-ce anime di veri eroi, prese in tutte le classi sociali. Ecco-ne una, e delle migliori; poichè si tratta d’un poverocontadino della valle di Lanzo, ignorante, zotico, chenon sapeva nè leggere nè scrivere, che non aveva la mi-nima idea che esistessero eroi, nè moderni nè antichi,che perciò non conosceva la famiglia degli Atridi nèAgamennone, non aveva mai sentito parlare del suo fi-gliuolo Oreste; e non potè per conseguenza mai rendersiragione dei motivi pei quali da mio padre gli fosse in ap-presso posto nome Pilade: molto meno poi capire qualtitolo di gloria e d’onore fosse per lui questo classico esemimitologico battesimo.

    La valle di Lanzo ha per uso tradizionale delle sue po-polazioni la missione di provvedere Torino di servitori edi quei sensali portatori di vino, che in piemontese si

    Massimo D’Azeglio - I miei ricordi

    29Letteratura italiana Einaudi

  • Massimo D’Azeglio - I miei ricordi

    chiamano brindour ed hanno una blouse turchina, didata, credo io, molto più antica delle blouses rivali deicarrettieri e degli operai.

    Dal Colle San Giovanni, paesello della detta valle, eravenuto a servire in casa nostra Giovanni Drovetti giovi-ne montanaro, proprio sgrossato coll’ascia, che mio pa-dre, vedendolo però assai robusto, condusse al campoper servitore. Egli non perdeva mai d’occhio il padrone,ed in questo pericolo, mio padre se lo trovò, come il so-lito, ai talloni. Anche a questo egli disse: «Eh, va’! non tilasciar prendere!» ma il montanaro lo guardò in visocon occhi così trasecolati che una simile proposizione glisi potesse dirigere, a lui, Giovanni Drovetti, che mio pa-dre senz’aggiunger parola accettò il sacrificio del suo fe-dele.

    Lo sguardo che quei due uomini si gettarono in quelmomento li legò l’uno all’altro per sempre.

    Condotti ambedue dietro la linea francese di combat-timento, mio padre fu creduto un emigrato, e circonda-to da parecchi che schiamazzavano e gli dicevano villa-nie, sino colla sciabola a misurargli sul capo unfendente, gridandogli: «B... d’émigré!» alle quali paroleil prigione rispondeva senz’alterarsi: «Non, jè ne suispas un émigré»; finchè alla fine comparve un ufficialeche si mise di mezzo e terminò questa scena indegna disoldati regolari, liberandolo dalle mani di costoro.

    Di qui, per Moutier e Vienna, venne condotto aMontbrison, poi a Feurs nel Forez. Ancora regnava Ro-bespierre coi terroristi, i quali, in quella piccola città,più pazza o feroce delle altre, durarono ancora per certotempo dopo il 9 Thermidor, che ne vide la fine a Parigi.

    Ai prigionieri, per mantenersi, erano dati dieci soldial giorno in assignats; i quali perdendo l’ottanta per cen-to, non rimaneva d’effettivo che un paio di soldi. Suquesti dovevano vivere padrone e servitore! Convennedunque ad ambedue campare di elemosina; ma sotto il

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  • regime dei terroristi l’aiutare i regi era veduto di mal oc-chio, ed esser veduto di mal occhio da coloro si sa checosa in quel tempo significasse. Onde i poveri derelitticercavano di non compromettere all’aperta i loro bene-fattori: il montanaro chiamato sin allora Giovanni, do-mandava e riceveva di nascosto la carità: «Trovò grancompensi (dice il manoscritto) nella carità de’ buoni dicui abbondò mai sempre la Francia, specialmente inquei tempi, e tanto piú nelle persone del sesso gentile.Queste pie signore nelle ore della notte aspettavanoGiovanni, e gli davano pane, ova, burro pel padrone. Vifu una contadina che volle avanzare a Cesare seicentofranchi senza esser sicura del rimborso!...»

    Eccone un’altra delle anime eletta, della quale giam-mai saprò neppur il nome, come giammai potrò ringra-ziarne i figli o i nepoti!

    Udii da mio padre piú d’una volta qualche particolaredi quella sua vita di mendico: «Un giorno (mi raccontòfra le altre) eravamo condotti in una grossa barca sul Ro-dano, ov’erano a prora cavalli e muli, e noi con loro. Lafame ci costrinse a domandare l’elemosina agli altri pas-seggeri. Ci buttarono cipolle che caddero nella brutturadi quei muli, e che dopo una sciacquata nel fiume, ciservirono da pranzo.» Fortuna per mio padre d’averavuto tal cuore da sentire che il dover dividere quelle ci-polle imbrattate col povero montanaro, non era un’umi-liazione, bensì un onore. Qual onore più alto che il me-ritare che altri s’offra in sacrificio per noi?

    Altre volte veniva avvisato che nel tal luogo, alla talora, di notte, si sarebbe in qualche ripostiglio ignoratodetta una messa. Per nevi, per ghiacci, fra le tenebre ed ipericoli (chè ad essere scoperti n’andava la vita, graziealla libertà di coscienza d’allora), egli v’andava, comene’ primi secoli della Chiesa facevano i nuovi cristiani.

    Finalmente, dopo la morte di Robespierre, dopo fini-to il terrore, anche nel terrorista Montbrison, accadde la

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    31Letteratura italiana Einaudi

  • Massimo D’Azeglio - I miei ricordi

    reazione, poco meno crudele del regime caduto. Miopadre non era più odiato e respinto generalmente comeprima; un regio si poteva tollerare, se non altro perchèsotto Robespierre era venuto in deliberazione di scanna-re i prigioni, onde risparmiare i due soldi attribuiti al lo-ro mantenimento.

    Ma i parenti, i figli delle vittime dei Giacobini, presida una febbre di selvaggia vendetta, cercavano a mortegli antichi carnefici. Mi narrava mio padre d’un giovaneche avea conosciuto per uom religioso e dabbene, e cheun giorno gli si presenta coi capelli ritti, lo sguardo er-rante e furioso, e gli grida: «Monsieur, je viens de tuercelui qui a fait guillotiner mon père!» – «Monsieur, vousn’êtes pas chrétien!», rispose a quel forsennato mio pa-dre.

    Ma, mentre egli trovavasi in queste strette di miseria,mia madre in Torino stava in ben più tristi condizioni epiangeva il marito per morto.

    Nel fatto d’arme ov’egli era stato preso, i nostri aveva-no, come dissi, ceduto il campo di battaglia, che i Fran-cesi occuparono portandosi avanti. Non vi fu dunqueverificazione possibile di morti e di feriti. Fu creduto aldetto di chi si era trovato al combattimento, o vi s’eradovuto trovare; e pur troppo (mi duole doverlo dired’un ufficiale piemontese) vi fu un tale che per mostrared’essersi messo nella battaglia avanti quanto mio padre,narrò ed affermò essere questi stato colpito da una pallanel petto, e che, mentre egli cercava sostenerlo, n’aveatoccata un’altra nella fronte per la quale era caduto aterra morto.

    Non potendosi creder possibile tanta ribalderia in unufficiale, gli venne prestata piena fede: il rapporto portòfra i morti il tenente colonnello Cesare d’Azeglio, e miamadre ricevette l’avviso che suo marito combattendo frai primi, era onoratamente rimasto sul campo.

    (Quando noi tre suoi figliuoli, Roberto, Enrico ed io

    32Letteratura italiana Einaudi

  • si prese servizio, nostro padre ci costrinse a dargli la no-stra parola d’onore che giammai avremmo fatto ricercadi quello sciagurato nè del suo nome, che non volle sve-larci mai).

    Mia madre era in quel tempo gravida di mio fratelloEnrico e l’impressione che ricevette da quest’annunziofu una delle cagioni che dissestarono la sua salute e la re-sero in seguito sempre infermiccia.

    S’aprì il testamento lasciato da mio padre al partireper la guerra, e vi si trovò uno splendido trattamento la-sciato alla vedova e da doverlesi continuare anche nelcaso di seconde nozze. Vera poi un articolo che diceva:«Nel caso che la mia morte avvenisse mentre sonocoll’armi alla mano, prego mia moglie a non vestire il so-lito lutto, ma a mettersi invece in abito di gala, poichè,dato sfogo all’affetto che mi porta, ella deve tenere agrandissima fortuna per essa e per me ch’io abbia potu-to dar la vita pel Re e pel mio paese.»

    Così passarono circa due mesi senza che a lei giunges-se notizia del marito. Finalmente seppe ch’egli era vivo,illeso, e prigione in Francia; e la gioia dell’inaspettatafortuna fu una nuova percossa pel suo organismo già in-debolito. Per mezzo del ministro del Re in Isvizzera levenne fatto d’ottenere che il prigioniero venisse riman-dato su parola. Gia essa ed i suoi speravano poterlo pre-sto abbracciare; ma alla sua liberazione era posta la con-dizione di non più servire contro la Repubblica fino acambio reciproco, e mio padre rispose che mai in eternoavrebbe firmata la promessa di non battersi pel suo pae-se e contro i suoi nemici. Preferì rimanere in quella tri-ste ed amara prigionia, stentando la vita, lontano dallamoglie e dai figli, che erano e furono sempre il suo soloamore, e sofferse questi tormenti per altri sei mesi piut-tosto che mancare a ciò ch’egli giudicava suo dovere.

    Ma ebbe una soddisfazione che non era comune inquel tempo. Dopo l’armistizio di Cherasco (21 aprile

    Massimo D’Azeglio - I miei ricordi

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  • Massimo D’Azeglio - I miei ricordi

    1796) e dopo la trista pace del 15 maggio, gli giunse fi-nalmente il permesso di rimpatriare, e gli uomini stessiche allora governavano la Francia, sui quali pesa ormai ildefinitivo giudicio della storia, non vollero lasciare sen-za una parola d’onore la nobile condotta del colonnellod’Azeglio. Nella nuova permissione era fatta menzionedella «louable délicatesse du citoyen d’Azeglio, en refu-sant sa liberté sous la condition de ne plus porter les ar-mes contre les ennemis de son souverain, etc. etc.»

    Prego il lettore di venirsi ricordando degli uomini chein vita sua ha conosciuti, e vedere quanti n’ha trovati disimil tempra. Se n’avra trovati pochi o forse nessuno,potrà comprendere qual cuore sia il mio, mentre scrivoqueste pagine!

    E qui viene a proposito ridire e ripetere e ribatterequanto sia potente l’influenza degli alti e forti caratterisulla loro gente, sul loro paese, sul loro tempo.

    Non parlerò che di noi suoi figliuoli, e dirò che perquanto siamo tutti rimasti addietro le mille miglia da no-stro padre, quanto a virtù di sagrificio e ad altezza disentire, pure se in vita nostra ci venne mai fatto d’opera-re cosa che fosse buona ed onorata, tutto lo dobbiamo aisuoi belli ed onorati esempi.

    Io la provo in me, la forza indestruttibile delle primeidee, delle prime impressioni. Di fatti, quando aprendogli occhi alla luce e le labbra al primo respiro vi trovatecollocato in un ambiente d’onestà, di lealtà, d’onore eche venite crescendo in esso, e trapassando così via viadall’infanzia all’adolescenza e da questa alla gioventù ealla virilità, ne rimanete talmente penetrati ed imbevuti,che malgrado errori, scappate e colpe, pure il fondo delcarattere serba sempre per istinto il senso del dovere edell’onore. E venendo l’occasione, è quasi impossibileche si faccia vergogna a sè ed ai suoi; è probabile inveceil contrario; e così il paese si trova ben servito, ben dife-so, così diventa forte e rispettato.

    34Letteratura italiana Einaudi

  • Per questo Washington, che io tengo il primo fra queirari uomini, veri padri delle nazioni, che diedero loro lavita morale più che l’essere materiale, per questo egli, ri-tirato a Mont Vernon, scriveva ai governanti d’allora:«per ufficiali scegliete dei gentlemen «. Egli non avevane alterigie aristocratiche, nè invidie democratiche. Ave-va la testa quadra ed amava il suo paese, nè voleva certointendere esclusivamente dei gentiluomini della gerar-chia nobiliare; bensì intendeva parlare di tutti coloroche ebbero educazione ingenua e si trovavano in posi-zione possibilmente indipendente.

    Non era certo sua intenzione, come non è punto lamia, il porre in poca stima quegl’individui ai quali fossetoccata più umile fortuna; ma nella società la bisognadev’essere divisa secondo vuole l’utile suo; come a bor-do d’una nave è tenuto conto delle qualità d’ognuno, alsuo miglior governo; Chi sa, regga, e chi non sa, ubbidi-sca: e se le navi vanno generalmente meglio degli Stati,ciò accade per la sola ragione, che in esse ognuno accet-ta la parte che gli compete, mentre negli Stati general-mente, meno se ne sa, e più s’ha la smania di comanda-re.

    E non basta dire: «Chi sa, regga» se non s’aggiunge:«e regga chi ha più fermezza di sacrificarsi al dovere»vale a dire di sagrificare il proprio interesse all’interessedi tutti. Ora domando io quale dei due potrà sentirsi piùpronto a tale sacrificio, quello che sin dall’infanzia avràudito esser cosa onorevole e liberale acquistare virtuosa-mente e donar gratis, o quell’altro che da quanto vide eudì bambino, dovè pensare essere missione dell’uomosu questa terra comprare a buon mercato e vender caro?

    Ma la democrazia di Washington era il trionfo del di-ritto comune sul privilegio. Ora, quella che vediamo, èinvece il trionfo d’un altro privilegio sul diritto comune.La scuola realista non fiorisce soltanto nella letteratura enella pittura, può anzi dirsi che la sua vera culla fu il

    Massimo D’Azeglio - I miei ricordi

    35Letteratura italiana Einaudi

  • Massimo D’Azeglio - I miei ricordi

    campo politico. (Chi volesse andare pel sottile in cercadì origini remote, dovrebbe por mano ad Hegel e Schel-ling, ai panteisti, ec.; ma lasciamo ai Tedeschi le nuvole).Questa scuola non conoscendo di reale al mondo se nonil brutto ed il sudicio, come l’ha messo avanti nell’arte eci ha date nei libri per eroine le mantenute e per eroi igaleotti; come ci ha dato in pittura quelle tali tele, cheviste passando a cavallo di galoppo potrebbero parerepitture, ma viste altrimenti, no, perdio; questa scuola,dunque, nel campo politico che cosa ci poteva dare? Di-fatti l’abuso dei vocaboli e arrivato al punto che d’unabito lacero e sudicio si dice: Eh!... abito democratico!d’una casa male spazzata e piena di immondizie: Eh!...casa democratica! e gran quantità di persone hanno fini-to col persuadersi sul serio che la democrazia sia il cultoed il trionfo del brutto, dell’ignobile e dell’imbratto ingenere, tanto materiale che morale!

    Venga ora Washington coi suoi gentlemen, e farà fu-rore con questa democrazia!

    Ora io, che sono aristocratico per nascita, sono demo-cratico per scelta; (ma, badiamo, della vera e santa e cri-stiana democrazia che tiene gli uomini eguali avanti allalegge politica, sociale, civile, ec., come avanti alla leggereligiosa) io chiederò il permesso di fare una profezia, edire che l’Italia e l’Europa ed il mondo giammai avrannoriposo (neppure quel tal riposo relativo che e conciliabi-le colla vita terrena e colle passioni umane) finchè la ve-ra democrazia non regnerà incontrastata sulle rovine deidue privilegi, dell’antico e del nuovo; finchè essa nonavrà spenti i due enti parasiti, che di sopra o di sotto ro-dono le radici o le cime della gran pianta dell’umana as-sociazione; finchè non sarà assimilata, trasfusa nel san-gue dell’universale la persuasione non esservi nègoverno, nè indipendenza, nè libertà possibile senza laresponsabilità legale d’ogni potere, d’ogni partito,d’ogni associazione come d’ogni individuo, ridotta in

    36Letteratura italiana Einaudi

  • fatto vero, reale, e rarissimamente, meno che si può, fal-sato da qualche eccezione.

    Ma finchè la società ondeggierà, quasi pendolo spintoda mano inconsiderata, fra i due estremi, il despotismodall’alto della Russia e il despotismo dal basso degli Sta-ti Uniti (ora Disuniti), il povero seme d’Adamo cercheràinutilmente il suo assetto.

    E son costretto per giustizia a domandare perdono aldespotismo russo d’averlo posto sulla bilancia medesi-ma del despotismo americano. Poichè mentre Alessan-dro Romanoff spezza le catene dei suoi schiavi, AbramoLincoln spezza soltanto quelle degli schiavi appartenen-ti ai suoi nemici! La conseguenza quale sarebbe? Quales’avrebbe a tener peggiore delle due tirannie?... Ma nonla finirei più, e già troppo mi son scostato dal mio cam-mino.

    Il lettore anzi avrà già detto: – A costui non mancacerto il coraggio delle digressioni! – Verissimo. Ma iodal canto mio lo pregherò a non volere in questo scrittobadare troppo attentamente alle sue qualità letterarie: iogliel’offro semplicemente come un portafogli nel qualeho gettate le idee a misura che mi sono venute, col solopensiero che possano esser utili alla nuova generazione.

    Se poi mi ci illudo, non saprei che farci. Sarà colpad’intelletto e non di volontà.

    E riprendo il mio racconto.Venne finalmente pei miei parenti il giorno benedetto

    di rivedersi. L’incontro fu all’Ospizio del Mont Cenis,dove mia madre corse fra le braccia di mio padre.

    Siccome io non scrivo romanzi ma fatti veri, non puòentrare nel mio disegno il dipingere scene d’affetto; la-scio dunque alla fantasia del lettore il rappresentarsil’incontro e la festa di questi due giovani che tanto ar-dentemente s’amavano; che s’eran creduti separati persempre, e che così si trovavano riuniti dopo tante ansie,tanti dolori sofferti, dei quali non rimaneva altra traccia

    Massimo D’Azeglio - I miei ricordi

    37Letteratura italiana Einaudi

  • Massimo D’Azeglio - I miei ricordi

    che un’aureola d’onore aggiunta alla fronte di mio padreper la fermezza e la generosità dei suoi portamenti.

    La Provvidenza tiene in serbo eccezionali compensiper quelle anime che sacrificano continuamente sè all’al-trui bene.

    E certo vi sono momenti nella vita che basterebbero apagare, compensare i tormenti d’un’eternità.

    Ma mio padre non tornava solo dalla prigionia. Tor-nava seco il povero montanaro, prigione volontario e vo-lontario mendico per lui. Egli piangeva di tenerezza ve-dendo il padrone e la padrona riuniti. Mio padre lopresentò alla moglie non più Giovanni Drovetti, ma Pi-lade. Lo presentò come amico. E Pilade ed amico vissepoi sempre in casa fino all’ultimo, ed ancora ho il piace-re di pagare la sua pensione agli eredi che Dio manten-ga, moltiplichi e benedica.

    Soltanto, quel nome classico e poetico non potè maifar bene la sua nicchia nei cervelli degli altri servitori, edinvece di Pilade si mutò talvolta pur troppo in Pilato.Ma quello che sempre rimase, fu la stima e l’affettod’ognuno pel generoso ed onorato e fedele contadino, ilquale ebbe tanto felice natura che, senza l’educazioneingenua che dicevamo dianzi, ebbe cuore e sentire percento gentlemen.

    Ma l’eccezione non distrugge, anzi conferma la rego-la.

    La sua immagine è una delle prime impressioni dellamia infanzia. Ma quando lo conobbi, nè sapevo, nè eroin grado di comprendere quanto valesse quel vecchioservo, massiccio, tozzo, sempre in calzoni corti, i qualimettevano in mostra due gambe corte ed erculee comequelle delle Cariatidi cui venne affidato l’ufficio di por-tare in ispalla terrazzini e cornicioni.

    Egli morì in casa assai vecchio avendo sempre conti-nuato nel suo umile servizio, senza tenersi punto di quelche aveva saputo fare; e senz’accorgersi mai d’esser altro

    38Letteratura italiana Einaudi

  • che il povero contadino servitore in casa Azeglio cometanti altri.

    Povero Pilade! Io vorrei che in queste pagine fossetanta virtù da poter vivere un pezzo. Almeno non acca-drebbe a te come a tanti altri uomini poveri, oscuri, chetrovano nel proprio cuore, senz’aiuto di libri o d’esempii germi dell’eroismo, e compiono grandissimi sagrifici;che nessuno li sa nè si sogna neppure che siano nati almondo. Tu almeno sfuggiresti ad un totale oblio!

    Basta, la Provvidenza saprà dargli compenso miglio-re. Quel che è certo si è, che avendo fede nella sua giu-stizia, non crederò mai e poi mai che in quell’arcano emisterioso luogo che aspetta le anime nostre per pre-miarne i meriti; se colà vi saranno, per usare il vocabola-rio umano, classi, gerarchie, corone, seggi più o menosuperbi, non crederò mai, dico, che, se Dio mi farà tantagrazia d’aprirmene la porta, mi tocchi la mortificazionedi trovare Pilade seduto più basso, verbigrazia, cheAlessandro Magno. Io sento la certezza assoluta cheavrò invece a trovare Pilade collocato molto più in alto;la qual cosa non sarà se non pretta giustizia per l’uno co-me per l’altro.

    Sarebbe bella che quello, il quale sparse tante desola-zioni e disperazioni in tante anime umane, non per altroche per usurpare esso solo il bene destinato dalla Prov-videnza a farle tutte più o meno felici; quello che ub-briaco, uccise il suo piú caro amico; quello che morì pertroppo bere, lasciando tante nazioni a sbranare ai suoimasnadieri; sarebbe bella, dico, che Alessandro Magnoavesse da esser preferito dall’eterna giustizia a GiovanniDrovetti!

    Vorrei veder questa! – No.

    Massimo D’Azeglio - I miei ricordi

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  • Massimo D’Azeglio - I miei ricordi

    CAPO TERZO

    SOMMARIO. – Sciagure italiane – Mio fratello Enrico – Mianascita – Vita domestica di mio padre – Perchè i signori sonopoveri in Piemonte – Errori dei nostri Governanti – Vita do-mestica dei miei – Tristezza per le pubbliche sventure – Sulprincipiare del secolo – Studio di mio padre onde rendersi uti-le – Si stabilisce a Firenze colla famiglia – Fuit – Firenze è unesilio? – Mio padre odiatore del giogo straniero – Emigrati aFirenze.

    La felicità domestica dei miei parenti fu presto voltain tristezza dalle pubbliche sventure.

    Il Piemonte e l’Italia divennero per parecchi anni, co-me ognuno sa, il campo di battaglia di due potenti na-zioni; e ci toccava dare sostanze e sangue ad ambedue,colla sola conseguenza possibile di divenir servi odell’una o dell’altra.

    Delle grandi verità proclamate dalla rivoluzione, diquei principii così eternamente veri e benefici, detti iprincipii dell’89, chi se ne occupava? Fiorivano invecequelli del 99, che si possono tutti riassumere sotto l’uni-ca formula empirsi le tasche. Allora non se n’era ancoraviste tante, e l’esperienza non aveva ancora insegnatoquello che oggi sanno anche i bimbi a balia, cioè, quantomirabilmente i paroloni eroici servano per giungere aquella tanto vagheggiata e gioconda operazione.

    Allora da molti si credeva ancora che la libertà si po-tesse ricevere dall’estero come gli altri Articles nou-veautés che ci venivano da Parigi; si credeva che fare ilmestiere d’uomo libero, ed esserlo e mantenervisi, fossecosa che ogni corbello sa fare senza qualità personali ovirtù nessuna. Quindi tanti, stanchi o seccati, (e non atorto) delle anticaglie de’ governi di prima, che la rivolu-zione francese veniva a rinnovare, accoglievano chi se nefaceva l’apostolo, con grandissima allegrezza. Tutte le

    40Letteratura italiana Einaudi

  • loro promesse furono dipoi attenute con quella fedeltàche narrano gli storici e che ognuno oramai conosce.

    Ma ciò esce dal mio argomento, e passo avanti.Dissi che al tempo della prigionia di mio padre, era

    mia madre gravida.Essa aveva poi partorito un maschio, che fu il mio fra-

    tello Enrico. Le terribili agitazioni provate dalla madredurante la gestazione esercitarono una fatale influenzasul carattere e sul naturale del figliuolo. Egli ebbe capa-cità per le scienze esatte in ispecie. Ma fu d’ingegno unpo’ tardo; ed amando lo studio, desiderando distinguer-visi, nè trovandosi pronta la mente come avrebbe volu-to, visse melanconico, sfiduciato di sè, ebbe insomma vi-ta breve, amara e tribolata, che per consunzione sispense prima di toccare i trent’anni.

    Parlerò di lui più innanzi; poichè la natura sua schiet-ta, affettuosa, infelice, si può studiare ed analizzare conprofitto. Può offrire utili esempi, ai giovani, e a questoio miro sempre.

    Enrico non fu l’ultimo dei nati; l’ultimo fui io; ed ec-co giunto il momento in cui mi conviene pure parlare dime, ed accingermi a ripetere continuamente quell’io fa-stidioso, che in conclusione è poi sempre per tutti il per-sonaggio più difficile a maneggiare.

    Ma s’io pur voglio mandare il mio disegno ad effetto,questa difficoltà bisogna incontrarla. Incontriamoladunque senza tanti discorsi.

    Io nacqui il 24 d’ottobre 1798 nella nostra casa di To-rino in via del teatro d’Angennes, nella camera gialla delprimo piano, dove son nate parecchie generazioni deimiei. Fu mio padrino il cardinale Giuseppe Morozzo, al-lora monsignore, e mi venne posta questa filza di nomi:Giuseppe, Maria, Crisostomo o Gerolamo, Raffaelle,Massimo, dei quali l’ultimo m’è rimasto.

    Mia madre mi servì da balia; e di qui cominciò quella

    Massimo D’Azeglio - I miei ricordi

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  • Massimo D’Azeglio - I miei ricordi

    catena di benefizi dei quali, finchè visse, venni, con in-stancabile sollecitudine, costantemente colmato da lei.

    Dopo il trattato di Parigi del maggio 96, mio padres’era ritirato dalle cose pubbliche, dedicandosi alla fami-glia ed alle cure delle sue faccende domestiche, le quali,nelle vicende e nelle guerre degli anni scorsi avevano dimolto scapitato. La casa nostra, già assai ricca, era venu-ta ora in qualche strettezza. Nell’altre parti d’Italia hopiù volte udito deridere noi Piemontesi, perchè, i signo-ri in ispecie, siam poveri. Ma bisogna pensare che: 1° suchi non ha, non cade, se non altro, il sospetto del maleacquistato; 2° che ad ogni guerra (e ve n’era soventi, e aquasi tutte il Piemonte ci aveva la parte sua), la primacosa pei signori, il re dando l’esempio, era il fare un re-pulisti di quanto v’era di valsente in casa, onde supplirealle spese. Come si può arricchire con questa specie disacco dato periodicamente ad ogni casa di signori, alme-no un paio di volte per secolo?

    E non si creda mica che loro soli facessero sagrifici. Lifaceva il governo, il tesoro pubblico, quindi tutti. Anco-ra si spendono oggi monete da otto, da quattro soldi,d’un soldo, le quali allora avevano il corso di venti, didieci, di cinque soldi (valore che ancora si vede indicatosulla moneta medesima col millesimo 1796), e questa eranientemeno che moneta falsa, conosciuta e tenuta pertale da tutti, ma che tutti accettavano; e perche? Perchèil Piemontese è duro a sè stesso, sopporta ogni malanno(malo assuetus Ligur, lo dicevano già al tempo dei Ro-mani), non teme la vita travagliata nè il pericolo, quandoè pel suo paese, la sua Casa di Savoia ed il suo onore. Eper questo s’è sempre mantenuto padrone di sè, perquesto non s’è mai rassegnato ad essere paese di conqui-sta; e quando lo divenne sotto l’eccessiva potenza diCarlo V, Francesco I e Napoleone I, tanto fece, tanto sidivincolò e dimenò, che riuscì a liberarsi di chi lo oppri-meva, e ridiventare lui padrone in casa sua come prima.

    42Letteratura italiana Einaudi

  • E qui vien bene di dire che i Piemontesi erano e sonoben lontani dall’aver più ingegno o più doti degli altriItaliani, ma soltanto hanno carattere un po’ più fermo, edi qui venne loro la bella sorte di poter farsi iniziatoridella totale (speriamolo) emancipazione della Penisola:come pure la ricompensa d’esser venuti in tasca a tuttigl’ltaliani! Ma siccome dell’amor patrio non ne facem-mo mai una speculazione; siccome la liberazione dellapatria comune non mai la credemmo una società anoni-ma per azioni, coi suoi interessi e dividendi; siccome sia-mo pur sempre l’istessa razza e sempre malo assueti co-me i nostri padri; sopporteremo questo malanno,com’essi ne sopportarono già tanti negli scorsi secoli; e,quando gl’Italiani saranno diventati uomini e nazioneforte e compatta, un sagrificio di più o di meno incon-trato per un così glorioso ed utile fine non avrà impor-tanza nessuna.

    Piano però, e giustizia per tutti. Se il Piemonte è ve-nuto in uggia agl’Italiani, in parte, hanno torto essi, main parte, bisogna dirlo, ebbero anche torto i Piemontesi;o per dir meglio (chè i poveri Piemontesi non c’entrava-no per niente) quelli che li governavano, per le mirabiliscioccherie che fecero. Di queste dovrò purtroppo par-lare andando innanzi, chè non ho peli sulla lingua, comeognun sa, nè li avrò mai. Ma non è qui ancora nè il luogonè il tempo d’occuparcene.

    Mio padre dunque ritornato in famiglia, badava adessa ed a rimettere in sesto i suoi interessi. Tutti queitrambusti gli avean costato in complesso 400 mila fran-chi in denaro vivo; senza contare le perdite nelle sue ter-re per mancanza d’assistenza, resa dalle circostanze im-possibile. E senza parlare poi dell’argenteria, gioie, ec.,che tutto anch’esso pai avea donato al rompersi dellaguerra, come avevano fatto la Corte e tutta la nobiltà.

    Oltre le cure di buon massaio, egli ebbe la costanteabitudine di dare allo studio tutto il tempo disponibile.

    Massimo D’Azeglio - I miei ricordi

    43Letteratura italiana Einaudi

  • Massimo D’Azeglio - I miei ricordi

    Mia madre avea ricevuto un’ottima educazione per l’es-senziale, tale essendo, il costume delle famiglie agiate;ma era altrettanto nell’uso generale di pochissimo occu-parsi della coltura e dell’istruzione delle giovani, le qualisapevano bene il francese, poco l’italiano, per non dirnulla, aveano letto Rollin e Télémaque, nè altro si richie-deva per la loro laurea.

    Prese mio padre a coltivare lo spirito della sua giova-ne sposa, che dalla natura l’avea ricevuto acuto, vivace,limpido e facile nel concepire le idee quanto nell’espri-merle; tanto che il suo stile fu scorrevole, naturale e pie-no di sempre sottili riflessioni e di sentimenti gentili. Ec-co in qual modo ella narra la sua vita intima nelmanoscritto:

    «Le delizie di Cesare in genere erano la vita domesti-ca, in famiglia, con pochi e provati amici ch’egli godevariunire alla sua mensa...

    La sua giornata era piena. Dopo le cose della religio-ne, consacrava molte ore a sua moglie, della quale perfe-zionò l’educazione con buone letture, traduzioni ed altriesercizi adattati. Ripete essa il poco che sa all’amorevoleindustria e communicativa d’un tanto maestro. Quattroore al giorno furono consacrate per lo più a questi studipel corso di quattro o cinque anni; e così si preparavanopure materiali per l’educazione dei figliuoli, onde mette-re la madre in grado di supplire, quando il marito fossechiamato altrove da doveri civili o militari. Il tempo cherimaneva, egli lo impiegava negli studi di belle lettere,storia profana ed ecclesiastica, ec. ec...»

    Ma questi conforti di famiglia, questi giorni di studio-so riposo, erano in apparenza tranquilli, in realtà agitatida neri presentimenti.

    Per chi ama veramente la patria sua, vederla a poco apoco decadere e sconnettersi, sul pendìo fatale che laconduce alla rovina o almeno a lunghe e terribili sventu-re, assistere a questo precipizio senza aver forze o modo

    44Letteratura italiana Einaudi

  • d’arrestarne il corso; vedere tutto ciò e sperare poterlodimenticare, poter consolarsi colle lettere e colle arti!Chi lo crede possibile non ne fece la dolorosa esperien-za.

    Pur troppo la faceva mio padre, lunga ed amara.Un monte di riflessioni mi si presentano qui. Il Letto-

    re me ne lasci dire qualcuna.Da secoli l’umanità si volge come l’infermo sul suo

    letto di dolore. Cerca refrigerio anch’essa col mutar latoe non s’avvede ancora che il male non viene dalla positu-ra, ma che l’ha in sè e che a quello bisogna pensare e tro-var rimedio. E qual e questo male? Il male sta, non nellaforma di governo, nelle leggi, ne’ codici; esso sta negliuomini, sta nel loro cuore, nella loro coscienza. Il malesta nelle tenebre che occuparono sino ad oggi l’umanaragione; sta nella imperfetta notizia alla quale è soltantopotuta arrivare sin qui la conoscenza del bene e del ma-le, del giusto, dell’ingiusto; sta, in una parola, nella suaignoranza di quella, per dir così, igiene morale che solapuò mantenere vive e sane