STRAPPATI - Ristretti · 2015-10-28 · Dove sei? Dove sei an-data? Che ne stato di noi? Ancora...

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Periodico dell’Associazione di Volontariato Onlus VOCI DI DENTRO per promuovere la solidarietà a favore dei detenuti e per il loro reinserimento sociale - Anno IX Numero 21 - giugno 2014 Poste Italiane S.p.A. Spedizione in abbonamento postale -70% Chieti. Aut. C/CH 068/2010 STRAPPATI

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N. 21 - GIUGNO 2014Periodico di cultura, attualità, cronaca dalleCase Circondariali di Chieti, Pescara, Vasto,

Lanciano edito dall’Associazione “Voci di Dentro” [email protected]

Redazione: via De Horatiis 6 - Chieti

Direttore responsabile: Francesco Lo Piccolo

Art Director: Mario D’Amicodatri - CSV Chieti

Progetto Grafico: Joan Damir

Illustrazioni: Carlo Di Camillo (Cadica)

Stampa: TECNOVADUE viale Abruzzo 232, Chieti

Registrazione Tribunale di Chietin. 9 del 12 /10/2009

Voci di Dentro è un’associazione di volonta-riato senza fini di lucro che opera nelle CaseCircondariali di Chieti e Pescara. Lo scopo èquello di promuovere la solidarietà a favoredei detenuti e agire per il loro reinserimento.Voci di Dentro è iscritta al registro delle Onlus.Organizza incontri, convegni, iniziative di sen-sibilizzazione sociale, attività di formazioneall’interno e all’esterno del carcere.

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immagine riprodotta in copertina è una scultura di Adria-no Scioli, artista del ferro di Guardiagrele. Si intitola “uomocon la valigia” e quando l’ho fotografata non pensavo diusarla per Voci di dentro. Era solo uno dei tanti miei scat-ti, il ricordo di una gita, un’emozione per una bella scul-tura. E tale sarebbe rimasta se non avessi letto, con calmae tutti assieme, gli articoli del nuovo numero della nostra

rivista. Ad esempio l’articolo dove viene raccontata la storia di un cit-tadino albanese che vuole a tutti i costi vivere e lavorare in Italia mache immancabilmente per ben cinque volte viene cacciato ed espulsoe infine carcerato senza alcuna colpa se non quella di non avere il per-messo di soggiorno. O come l’articolo scritto da Luigi che ci parla della“terra dei fuochi” e dei crimini compiuti su un pezzo di Campania tra-sformato in un terreno di morte capace di far ammalare di tumoreanche i bambini. O come il testo di Mario che nella notte fa i conti colsuo passato o ancora come quello dove si parla di Luca che in cella stapreparando il nodo per darsi la morte e che viene salvato all’ultimomomento grazie all’arrivo della posta… grazie alla lettera della figliaTalita.

…testi e storie di una umanità strappata. Quella umanità che incontroquotidianamente in carcere, ma anche fuori dal carcere … quando glistrappi, come nel corpo dell’uomo con la valigia realizzato da Scioli,sono ormai troppi.

Francesco Lo Piccolo

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Il mondo che ci “circonda”iflettendo sul mio vissuto vedosolo repressione e la mia spa-smodica ricerca di una libertàmai trovata. Il mio presente?Semplicemente la cartina di tor-nasole di quello che ho vissuto

in passato. Mi guardo attorno, ma oltrealle celle full optional e telecamere ovun-que non riesco a notare più nulla. Eccoperché credo che non basti dire le cose:bisogna anche dirle nel loro ordine, conil tono appropriato, con l'enfasi e gli ac-centi giusti (non parlo di quelli gramma-ticali). E poi la carota del full optional, leprigioni d'oro, le emanazioni del welfa-re convinto della propria beneficenza....carota come contraltare del bastone, sem-pre pronto a vergare con impudica vio-lenza dove gli pare. Su chi gli pare. Queste prigioni”d'oro” mettono a postole coscienze deboli di chi si erge a giudi-ce, di chi imprigiona, considerandosi nelgiusto perché rispetta delle normative chevanno contro il concetto antropocentri-co che considera l'uomo al centro del-l'universo.Mi togli la libertà ma mi arredi la cella?Non ho parole...Ricordano una pubblicità in televisionedell'Ikea, quella dei mobili tutti uguali davent'anni (Dove tra l'altro di recente cisono stati degli scioperi, ovviamente man-ganellati e sedati dal potere istituito, inquesto caso della multinazionale in que-stione e dei magnaccia delle cooperativedi facchini e magazzinieri, questi ultimistranieri, sfruttati, presi in giro...).Beh, la pubblicità fa vedere un tipo che sisveglia nel suo lettino, con la sua coper-ta con decorazione super design, lampa-da intonata, comodino pure, tendinaanche!Poi l'inquadratura si allarga e lui stirac-chiandosi si alza, nella sua cella, sì... cella...forse qualcuno bussa anche alla porta.Questo per lanciare una nuova linea di ar-redamento per single! Mentre scrivo mivergogno di tanto ardire umano, di tantacinica presunzione ma poi penso che è an-cora peggio! Perché è proprio quello chevogliono fare, che stanno facendo... il po-tere usa la cosiddetta civiltà come para-fulmine-giustificazione, per i propri abusi,per i propri usi. (Con potere non intendosolo lo stato, ma anche tutte le sue decli-nazioni, vedi la chiesa, le mafie, le cultu-re patriarcali).Nel caso di queste nuove chicche del-

l'edilizia carceraria è proprio cosi. Pecca-to che nel full optional c'è anche l'imple-mento della sorveglianza a distanza. Tratelevisori LCD, Ikea e videosorveglianza,continuo a pensare che il dentro è solouno specchio, chiaramente distorto, diquello che c'è fuori.O forse sarebbe più giusto dire il contra-rio, è dentro che è più chiara l'immagine,fuori c'è più “disordine”!Ma appunto le modalità attraverso cui cispiano e ci sedano sono le stesse.Videocamere ovunque, di ogni tipo congettata incredibile, televisori anche nellecase di gente che è già tanto se riesce amangiare tutti i giorni. Come dentro, cosìè fuori e questo lo trovo sempre più al-larmante. Non sono più le relazioni, gliamori, le passioni, le amicizie a tenerciuniti...c'è il lavoro, con la sua socialità in-dotta, la famiglia intesa ormai sempre esolo come obblighi, orari, rituali vuoti. Ladifferenza sta in quello che si vuole fare,una volta fatti certi ragionamenti, unavolta guardato dietro quell'angolo che ciregala prospettive reali. Sono contentoquantomeno, che, al di là dei full optio-nal della nuova sistemazione in cui mitrovo, ho potuto trovare la solidarietà diqualche compagno di sventura.Nell'ultimo colloquio che ho fatto con lapsicologa, per l'ennesima volta, mi è stataribadita la loro idea: io non ho fiducia inloro, come se fossi un un “cane sciolto”…eccetera… Invece io penso il contrario.Inoltre, se essere un “cane sciolto” signi-fica non dover scegliere un'appartenen-za, un'identità, in senso politico, per pren-dere una posizione, allora lo sono perchéin tutto quello che faccio tengo fede allamia coscienza, al buon senso e all'educa-zione che i miei genitori mi hanno dato.Sono un'individualista, che non rinunciaa prendere posizione, in senso fattivo,non solo teorico, perché ci metto la fac-cia in tutto quello che faccio, sia nel beneche nel male, perché è l'unica cosa che hoe che mi permette di andare avanti, sem-pre a testa alta.Certamente ci sono gli incontri, che per-mettono ad esempio di mettere insiemeuno strumento come il giornale “Voci didentro”, dove mi trovo in buona compa-gnia. La compagnia giusta fa la differen-za, sempre .Ci dà conforto, quando se neha bisogno, ma soprattutto forza! E que-sta serve sempre!

Elian Osman

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Certe nottii giro e mi rigiro, non c'è pace... non que-sta notte. Nascosto nel buio sto qua; per-cepisco i dettagli della stanza, ombre siriflettono sui muri e un fruscio assor-dante si insinua tra me e il sonno, mi ri-corda in continuazione che c'è vento làfuori. La mente viaggia, vola via lonta-

na da tutto ciò che è realtà, quello che poteva essere...quel-lo che è stato. Eccoli, si avvicinano, sono i miei demoni, sonovenuti a farmi compagnia in questa notte di solitudine. C'ètormento, è immancabile in queste notti e mi sussurra tuttociò che nella vita ho sbagliato, le conseguenze dei miei er-rori, l'ira funesta del destino di fronte alle mie scelte. Poi c'èrimpianto, in assoluto il più presente, mi riempie la testacon tutto ciò che avreipotuto ma non hofatto, e tutto ciò cheho fatto quando nonavrei dovuto. Mi giro e mi rigiro, lofaccio ancora ma nonc'è pace... non questanotte. Mille pensierimi attanagliano le vi-scere. Chi sono? Dovevado? E' forse questoil mio destino? Sonoin preda ad una dellemie solite crisi misti-che che puntuali arri-vano in queste notti;se tu esisti perché mihai fatto questo? Setu esisti perché ti hofatto questo? Do-mande assurde, do-mande che non tro-vano risposte, quesitiesistenziali a cui ri-spondere fa male, fasempre male. Ancorarumore si aggiunge alfruscio, sento la piog-gia cadere goccia agoccia, sento il pro-fumo sciogliersi nel-l'aria e arrivare fino ame. Gli occhi sbarrati,non c'è paura nel miosguardo ma solo ras-segnazione mista astanchezza. Un fattoè chiaro, lo distin-guono chiaramente imiei sensi ora più chemai in questa nottesurreale, sto chiuso qua e tutto il mondo è là, fuori, unmondo che non si è fermato ad aspettarmi, anzi ha acce-lerato la sua folle corsa lasciandomi indietro di molte fer-mate, troppe. Provo rabbia, rabbia verso me stesso e tutto

ciò che sono stato. Scaccio via i miei demoni, libero la mente,un senso di calma sembra finalmente arrivare, ma è calmaapparente, la tempesta sta per arrivare. Mi giro e mi rigi-ro ancora, cerco pace ma niente, questa notte non è fattaper dormire. Chiudo gli occhi nella speranza che serva aqualcosa ma è ancora presto. Il rumore è cessato, non men'ero accorto o non vi ho badato immerso com'ero nel mioio più profondo. Decido di alzarmi, il mio sguardo va oltrela finestra, lui può, il mio corpo invece resta imprigionatoqui, è cosi che deve essere, è cosi che vogliono! Ha smessodi piovere, era solo una nuvola passeggera, forse mi havisto da solo ed è passata a farmi un saluto, ma ora è an-data via, non ha voluto che la vedessi, ha lasciato il postoad una luna immensa e luminosa che risplende al centro

d'un cielo stellato. Unimmagine fugace mipassa davanti, quasiastratta, non ho dubbiè lei! Un brivido micorre lungo la schiena,sento il mio cuore bat-tere all'impazzata.Dove sei? Dove sei an-data? Che ne stato dinoi? Ancora immaginiscorrono davanti aimiei occhi, un mare diricordi m'invade e s'in-frange su questa durarealtà come onde sugliscogli. Forse è questoil mio destino, costrui-re per poi distruggere. Nella vita tutto ha unprezzo ed io oggi mitrovo a pagare un contosalato per quello che èstato il mio passato.Già... il mio passato...che n'è stato dei mieianni migliori? Sembraieri quando ero anco-ra un bambino e la vitasembrava assai più fa-cile, ma quand'è che hosmesso di credere nellefavole? quand'è chetutto è cambiato?Quando sono cresciu-to? Semmai sono cre-sciuto. Torno a letto èancora buio, spero cheMorfeo venga presto afarmi visita e mi portinel suo regno. Uno sba-diglio mi annuncia che

forse è ora. Le palpebre si fanno pesanti, è arrivato il mo-mento, si cala il sipario, un'altra notte è passata, la vita con-tinua...

Mario Livrieri

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Dopo il buio, la luceuomo è sveglio, non ha dormito. Davan-ti ai suoi occhi un altro giorno nasce. L'uo-mo, però, non dà importanza a quella ma-gnifica alba, non gli importa del mattino.E’ assente, ha ancora la pesantezza dellanotte passata a lottare contro se stesso in

una battaglia dove in gioco c'è la mente , il cuore, l'anima.Lotta contro un nemico che gli torce le viscere e gli schiac-cia il torace come un macigno…e ogni giorno su quel tora-ce si aggiunge una pietra sino a ferirgli l'anima. Si tratta diun nemico crudele, roditore di vita, capace anche di piega-re i più forti. I suoi occhi, un tempo ricchi di luce, ora si mo-strano spenti, privi di vitalità, staccati dagli impulsi del cer-vello capaci di cancellare le immagini dei volti che lui ama:sua moglie, sua figlia.Nessuno gli chiede il suo nome, nessuno si avvicina alla suacella. Combatte ogni giorno, ogni notte e gli altri detenutihanno paura d'essere trascinati in quella guerra non loro.Ma anche questo non lo turba, il suo cervello non s'interes-sa degli altri reclusi. Sa benissimo di essere solo, solo controil male, solo nella battaglia che gli mangia ogni giorno unpezzettino della sua esistenza. Si appoggia stanco alle sbar-re della finestra. Nella mano stringe una foto, le immaginisono di coloro che ama, poi gli occhi si riempiono di lacri-me. Una lacrima cadente urta il ferro e si frantuma in centolacrime più piccole. Poi si asciuga con il dorso della mano leultime lacrime e ritorna in quello stato in cui è da molto,molto tempo. Ecco riprende la lotta, non c'è un momentodi pace, è prigioniero di quel essere invisibile che sente inogni momento del giorno. Infine il nemico lo batte, gli sug-gerisce con voce subdola di farla finita, di terminare la suaesistenza di detenuto immerso in una pena che nessun tri-bunale umano può infliggere.L'uomo è lì per mollare, per assurdo si trova d'accordo conil nemico. E' convinto che, tutto sommato, la cosa miglioresia accettare. Ora è veramente deciso, non vuole e non puòpiù sopportare il dolore che lo fa star male ogni secondo,distruggendolo. Con gesti lenti e un po' scoordinati, percolpa delle mani tremolanti, intreccia un pezzo di stoffalunga e resistente. Modella quelle strisce e ne esce un cap-pio. Ecco pronto il mezzo per condurlo alla morte. Tiene ilcappio tra le mani, lo stringe e sente aumentare i battiti delcuore per via dell'adrenalina in circolo nel sangue. E' pron-to per dare la vita al suo nemico.Passi provenienti dal lungo corridoio in cui si affacciano lecelle lo fanno desistere, almeno per il momento. Nascondela corda perché capisce che i passi appartengono a chi ognigiorno controlla e conta, tramutando la gente in numeri.L'agente si ferma davanti alla sua cella, lo guarda come siguarda un barbone, tanto è orribile il suo aspetto, prova unpo' di dispiacere per lo stato in cui è poi dice “Posta” e su-bito aggiunge: “Questa ti è arrivata in ritardo, per dei pro-blemi che si sono verificati alle poste, non ne conosciamo lacausa, di conseguenza la direzione non ha responsabilità”.L'uomo la prende veloce perché ha fretta di tornare alla suacorda, al suo piano suicida. Getta sul letto la busta gialla,mentre la busta si adagia sul letto, l'uomo non può nonfare a meno di leggere il mittente e quasi il cuore gli fuo-riesce dal petto sentendolo spaccarsi come un fico matu-ro. Ad aprire il foglio piegato su se stesso sono quelle dita

affusolate dell'uomo prossimo alla resa.Riconosce la grafia della figlia.

“Ciao papà, come puoi vedere mi sono messa d'impegno eti ho scritto, così quando verrà mamma a colloquio non lepotrai dire che non ti scrivo. A proposito di mamma, ognitanto la sorprendo a piangere, piange per te. Io, però , fac-cio finta di non accorgermi del suo pianto e lei si asciuga infretta le lacrime per nascondersi. Poi cerco sempre il mododi farla ridere e non so se ci riesco o semplicemente mi ac-contenta regalandomi un sorriso per ringraziarmi. Ad aver-la come moglie sei un uomo fortunato, è una donna fanta-stica, straordinariamente forte, tanto forte. Naturalmenteanch'io sono fortunata ad averla come madre, altrettantoad avere te come padre, perché nonostante tutto mi sei sem-pre stato vicino. Certo alcuni momenti della quotidianitàmi sono mancati. Ricordo un episodio di quando facevo leelementari. Vedevo, all'uscita da scuola, i miei amici corre-re felici ad abbracciare i loro padri. Non ti nascondo che mifaceva male notare la felicità sul viso di quei bambini e nonriuscivo a capire perché dovevo essere privata di un dirittotanto naturale come l'abbraccio del proprio genitore. Cre-scendo, però, mi sono resa conto di aver fatto ragionamentida ragazzina, ragionamenti egoistici. Adesso, se ci ripensoa quel periodo, non so dire se abbia sofferto più io oppuretu. Comunque, sappilo, non ti ho mai dato colpe e non tene darò. Il destino ha voluto metterci alla prova e noi, io, tue la mamma ne usciremo più forti. Specie tu che ci regalicontinuamente, con le tue lettere, parole incoraggianti,proprio tu che dovresti essere il destinatario di parole con-fortanti.Caro papà, ti faccio sapere che ho deciso di venirti a trova-re, non ho ancora deciso quando, ma sicuramente sarà il mese prossimo. Verrò da sola, tanto ormai so guidare”.

L'uomo interrompe la lettura. Mentre nuove lacrime riem-piono gli occhi per poi solcare le guance sino a bagnare lalettera, quasi lacerando il foglio, con la testa rivolta verso ilsoffitto, sgombra i polmoni con un urlo liberatorio pieno dirabbia, di dolore. Un urlo per dire al mondo: Io non vogliopiù soffrire!Riprende nuovamente a leggere“ Adesso non stare in pensiero, non sono più una bambina,sono una donna con la testa sulle spalle che sa quello chevuole. Ora papà ti saluto, un bacione grande da parte miae della mamma. Sempre ovunque oltre ogni confine, smack,tua Talita”.L'uomo non sente più il nemico, il dolore si è trasformato inrabbia. Rabbia per non aver capito prima che quanto stavaper fare, non avrebbe sanato nulla. Basta, basta! urla an-cora una volta. In quel urlo c'è tutta la potenza, l'amore diun padre, l'amore di un guerriero che riesce a spaccare lecatene invisibili che l'avevano tenuto legato e lo stavanotrascinando verso il punto di non ritorno. Sentì allo stoma-co e al petto gli ultimi duelli poi, una forza lo invase ridu-cendo a brandelli il nemico che sparisce per sempre. La cordala butta nel secchio della spazzatura e mentre lo fa, ride digioia accorgendosi che era la prima volta dopo mesi. L'uo-mo vede tutto diverso, all'improvviso il buio si è dileguatoe un raggio di luce penetra nel cuore e, al primo che passadavanti alla sua cella, gli dice:” Ciao mi chiamo Luca”.

Luigi Z.

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Il carcere e la città

l carcere dice della città e viceversa; le riforme didetenzione riflettono le forme della democra-zia. Un mondo a sé, cancellato dalla vista e dallebuone coscienze collettive, rimosso. Eppure inquel mondo dovrebbero farsi strada la legalità,il rispetto della dignità,per restituire alla socie-tà (alla città) persone libere e responsabili. Per

produrre, in definitiva, sicurezza. Questo è il sensodella pena detentiva, il significato imposto dalla co-stituzione e dalle successive scelte riformatrici. Dal 1990 al 2014, nonostante un indulto e un indulti-no, la popolazione carceraria è più che raddoppiatapassando da 30 mila a quasi 60mila detenuti; cresce aritmo di 800-1000 persone al mese a fronte dei 45milaposti disponibili.La corte Europea dei diritti dell'uomo considera il so-vraffollamento delle prigioni uno dei problemi piùgravi dell'Europa dei diritti e l'Italia non ne è immu-ne. Il sovraffollamento è causa ed effetto di politicheschizofreniche che producono carcere e poi cercanodi correre ai ripari; che proclamano la tolleranza zeroe rivendicano la certezza della pena ma non promuo-vono né libertà, né legalità, né sicurezza. E che fini-scono solo per perpetuare l'immobilismo del sistemapenitenziario attraverso il collaudato e perverso mec-canismo “autorità-finzione“, ottimo per garantire latranquillità di carceri e carcerati, nefasto per il recu-pero e il reinserimento sociale dei detenuti. Parcheg-giati in attesa di un fine pena che, breve o lungo chesia, li restituirà tali e quali, pronti per un nuovo giro dicarcere, di emarginazione.Il cimitero dei vivi che i padri costituenti volevano tra-sformare in un luogo dignitoso e operoso è in realtàancora oggi un luogo in cui si consuma quotidiana-mente l'annullamento dei corpi e delle menti, di chici abita. Il muro di cinta, la rete metallica, la chiaveda buttare sono i simboli perfetti dell'ansia di rimo-zione, ma lasciano intatti tutti i problemi che questaumanità cancellata porta con sé: legalità,dignità, in-tegrazione. E così la “certezza della pena” è garan-tita dalla quantità più che dalla qualità dei giorni, deimesi e degli anni da scontare dietro le sbarre; quan-ta più lungo sarà quel tempo, tanto più efficace saràla punizione. Eppure il carcere era stato concepito come un luogo

sensato, che non imbarbarisce i detenuti né li trasfor-ma in vittime, sudditi o manipolatori, un luogo cheproduce libertà.La rivoluzione immaginata dalle riforme voleva che laporta carraia si aprisse gradatamente garantendo, dalprimo all'ultimo giorno di prigione, l'intangibilità deidiritti fondamentali della persona. Il diritto a una mo-bilità autonoma, anche se limitata dal muro di cinta,il diritto al consumare il pasto in luogo diverso da quel-lo in cui si dorme, il diritto a mantenere e addiritturaa rafforzare i legami familiari, il diritto al lavoro re-munerato e a non perdere i contatti con la comunitàesterna.Diritti del detenuto: obblighi dell'amministrazioneche invece si sono trasformati in privilegi dei primi ein concessione sovrani della seconda. Nel carcere deiprivilegi e delle concessioni il lavoro non è un dirittoma un premio per i raccomandati. Persino la Gozzini,che prevede le misure alternative alla detenzione, sisnatura. I benefici previsti dalla legge dell'86 vieneusata più per la gestione tranquilla del detenuto cheper la sua rieducazione.Bastone e carota. “Attento” è la sottintesa minacciadei carcerieri “ perché perdi la liberazione anticipatase non ti comporti esattamente come ti chiedo”, maquel che viene chiesto al detenuto non coincide sem-pre con i suoi doveri.In questo carcere strabico e perverso la Gozzini au-menta il senso di vassallaggio dei detenuti e incorag-gia la finzione. Purtroppo, anche se come garanzia ab-biamo la Legge Gozzini, questa non viene più applicataa nessuno, per via della ex Cirielli, che intima di scon-tare due terzi della pena prima di accedere alle penealternative, cioè, quasi l'intera pena. Bisogna abolirela recidiva, la ex Cirielli, e far ripristinare la Gozzini diun tempo.Bisogna pensare a carceri aperti, ma aperti significa inrelazione alla città, delle carceri scuola, delle pene dipercorso formativo, delle pene di studio, di educazio-ne e legami sociali, di educazione ai sentimenti maiavvertiti. Non di un recupero si tratta ma di una resti-tuzione.

Antonio Guarnieri

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USTIZIA

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Documenti e lettere (da OLGa – Milano “ E’ Ora di Liberarsi dalle Galere” )

1) Dal carcere di Tolmezzo (UD)Salve a tutti, come state? Spero bene...ioinvece non sto molto bene sono ancorain questo carcere e per di più mi hannomesso in isolamento solo perché ho par-lato dei miei diritti; sono stato maltrat-tato e mi insultano tutti i giorni e se parlomi picchiano e mi tolgono anche i vesti-ti e le lenzuola e mi lasciano al freddotutta la notte. E poi sono senza soldi,senza vestiti non posso comprarmi nien-te. Qui non ci danno nulla da mangiare,è molto scarso e non è pulito. Ogni tantosi ammala qualcuno di noi e poi non cidanno nemmeno il sapone per lavarci.Siete gli unici a cui posso scrivere per sfo-garmi......non sono nato in Italia la miafamiglia è lontana. Ringrazio per tutto.

2) Dal carcere di Saluzzo (TO) Il 16 marzo stavo male e ho insistito perandare in infermeria. Dopo l'ennesimorifiuto ho trattato male l'agente, insul-tandolo. Ha chiamato rinforzi, in 10 mihanno portato in isolamento. Mi hannopicchiato a sangue. Sono poi stato por-tato in infermeria e l'agente ha dettoche ero caduto. Io ho detto al dottoreche mi avevano picchiato. Al ritorno inisolamento mi hanno di nuovo picchia-to. Mi hanno portato in ospedale,su or-dine del dottore. E anche lì l’agente hadetto che ero caduto e io ho ripetutoche non ero caduto. Al ritorno in carce-re mi hanno di nuovo picchiato, per laterza volta. Poi mi hanno messo il colla-rino per il trauma delle botte e sono statoin isolamento per 22 giorni.

3)Dall'Opg Di MontelupoFiorentino (Fi)Cari compagni/e, una cosache ho sempre scordato didirvi, che quando ci fu unpresidio al CC di Biella, anno2009, io ero lì che vi ascolta-vo. C'erano compagni chedicevano, con un megafo-no, guardate che grate chehanno le finestre, mancol'aria ci passa Fu lì che capiitutto. Vi faccio presente chesono riuscito a votare, chia-ramente ho ritenuto dare ilvoto a M5S Grillo. Spero chequesto non incrini i rappor-ti che ho con voi.In 4 mesi che sono qui sonoriuscito ad evitare psicofar-maci che annientano l'esse-

re umano. L'80% sono zom-bie che vengono maltratta-ti sia dalla Asl psichiatria siadelle guardie. Tenendo lamente lucida ho indagatosul passato di codesto infer-no. Ho conosciuto Sergio Co-simini, un vecchio anarchi-co che aveva ammazzato unfinanziere. Costui è da 23anni che gira per OPG mapiù che altro, la maggiorparte degli anni li ha scon-tati qui (...) . Cari compagni,finché non è venuta l'ispe-zione del deputato Marino,qui era come o quasi un veroe proprio lager. Qui dentromi vergogno di essere ita-liano, perché se voi vedestecon i vostri occhi, non ci cre-

IN/GIUSTIZIA

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Scuola di cultura e non

di criminalitào 50 anni, 18 dei quali li ho passatinelle patrie galere di mezza Italia perreati contro il patrimonio. Non homai ricevuto quella benedetta libe-razione anticipata di cui si parla, enon ho mai avuto la possibilità di ve-dermi applicato quel benedetto ar-

ticolo 27 della Costituzione che tutti lo-dano ma che raramente viene attuatoveramente nei confronti dei detenuti.Qualche mese fa un ministro della Re-publica Italiana fece delle dichiarazionisulla possibilità di riusare delle casermedismesse per riciclare dei posti per i de-tenuti, senza capire però che non è lospazio che manca. Quello che manca sonopercorsi rieducativi fatti di lavori e pro-getti culturali.C’è veramente qualcosa che non va senel nostro paese si continuano a varareleggi cancerogene tipo Bossi-Fini, Fini-Giovanardi,ex Cirielli, e nello stesso tempoci si lamenta che il sistema carcerario nonfunziona e che continua a riprodurre ifuturi delinquenti. Insomma è come ilcane che si morde la coda. Possibile chenon si comprenda che il detenuto ha ildiritto di espiare la sua pena parteci-pando a qualcosa di sensato?. Eppurequesto è l'unico modo per dare un sensoalla pena stessa e far sì una volta fuorida questo inferno (che è il carcere) il car-cerato possa sentirsi persona diversa daquando è entrato. I detenuti hanno il di-ritto a non vedere sprecata la sofferen-za della pena, non facendola diventarefine a se stessa o in qualche modo a nonrassegnarsi alla pena o almeno a qual-siasi tipo di pena. Noi tutti dovremmolottare perché le persone rinchiuse par-tecipino a qualcosa che abbia valore eche realizzi il senso di un cambiamento.Sono sicuro che non si può chiamare giu-stizia la decisione di parcheggiare unapersona 24 ore al giorno senza fare nullae a guardare il soffitto dalla sua branda,a costringerlo a guardare al passato. Ilrisultato di fatto è che così facendo si co-struisce solo un muro di durezza. Io sonoconvinto che rieducare non significa can-cellare il passato delle persone ma pro-muovere un percorso nuovo verso il fu-turo. Concludo: nonostante abbia poca fidu-cia in un istituzione miope come quellaattuale penso checomunque sia vale la pena di continua-re a lottare perché le cose cambino, per-ché le carceri diventino scuola di cultu-ra e non una scuola di criminalità.

Giuliano Baldini

dereste, penserete che sia unfilm, un brutto film.Il 28 aprile 2013 un degentedentro una cella di conten-zione in gomma altamenteinfiammabile gli ha dato fuoco.Questo è successo verso le ore5 del mattino. Questo incen-dio ha provocato un fumonero, acre, irrespirabile. Soloalle 6 hanno aperto i cancellidelle celle. Per un soffio nonfanno causare una strage, esapete perché? Per organiz-zarsi, per paura che qualcunopotesse evadere, pazzesco.Mezzi nudi, cento persone, cihanno messo nel cortile del-l'aria per 3 ore al freddo.

H

IN/GIUSTIZIA

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12 IN/GIUSTIZIA

Rosa, grigio e nero...

i sono carceri e carceri,smettiamola di pensa-re che le carceri sianotutte uguali. Le 206 car-ceri italiane possono es-sere suddivise in tre ca-tegorie. C’è la categoria

che possiamo chiamare “rosa” ovvero lacategoria di carceri “vivibili”, sempre sevivibile è la parola giusta. Tra questi pos-siamo elencare Bollate, Rebibbia, Gor-gona, Due Palazzi, Volterra... Sono car-ceri dove l'istruzione, il lavoro e lariabilitazione del detenuto sono al primoposto e dove il rispetto per la dignitàumana cerca a tutti i costi di prevalereanche scontrandosi a volte con perso-naggi e istituzioni che questo non vor-rebbero. Nella maggior parte di questecarceri c'è un grande lavoro della magi-stratura di sorveglianza che permette aidetenuti di affrontare un percorso perrientrare nella società come personeeguali nei diritti e nella formazione. La seconda categoria è quella “grigia”,ma affronteremo il discorso più in là. La terza categoria è tra le più temibili

nell'immaginario collettivo del detenu-to: è la categoria delle carceri “nere”:sono carceri "speciali" intorno alle qualialeggiano racconti e leggende, storie dibotte e torture al limite di qualunquesopportazione umana, posti in cui ti au-guri che tutto presto possa finire nel mi-gliore dei modi, dove ogni mattino al ri-sveglio ti auguri che tutto sia stato soloun brutto sogno. Tra questi spiccano tri-stemente i nomi di Poggioreale, Nova-ra, Cuneo, Ferrara, Lecce, Favignana,Trani, Campobasso... dove un colloquioin giornata può essere atteso dai fami-gliari sin dalle due di notte (succede aPoggioreale), dove i detenuti sono am-massati in minuscole celle prive di ogniforma di igiene, senza acqua calda cor-

rente, a volte senz’acqua e basta. Doveil cibo non merita di essere chiamato taleper quantità e per qualità, dove ci sonomalattie e pidocchi, dove i detenuti sonocostretti a dividere i propri ridottissimispazi con topi e insetti di ogni genere(San Vittore). Dove ci sono celle con ilwater scoperto in mezzo alla stanza eper fare i propri bisogni ci si copre dallatesta in giù con una coperta sotto lo sguar-do disgustato di chi ti sta intorno e chepensa che presto toccherà anche a luiquella stessa umiliazione (Favignana) ocelle senza un comune lavandino per cuile persone sono costrette a lavarsi i dentie la faccia nel bidet, magari dopo aver-lo usato per l'igiene personale (Campo-basso). Dove capita che si viene legati altermosifone in una cella di isolamento"liscia". Carceri “nere” perché sono cen-tinaia i casi di abusi e soprusi da partedelle autorità addette al controllo, cen-tinaia se non migliaia i detenuti che sonostati picchiati e sottomessi ad una sortadi volontà superiore che chiede ai suoi“ospiti” la totale e cieca obbedienza. Torniamo alla seconda categoria che noiabbiamo definito categoria “grigia” edè quella che annovera la gran parte dellestrutture italiane. Posti in cui sconti unapena senza essere quasi mai umiliato mache di fatto non dà nessun senso all'esi-stenza. Spesso questo accade perché ladirezione dell'istituto non riesce ad im-porsi sulla “sicurezza” in nome della qualela sorveglianza impone reggimi più fer-rei senza considerare che gli esperimen-ti di Bollate e Padova hanno dimostratosenza ombra di dubbio che minore è lapressione della sorveglianza e maggio-re è il senso di responsabilità del dete-nuto. A volte o quasi sempre capita discontare la propria pena “sballottato”da un carcere all’altro aumentando cosila triste esperienza che si ha di questi luo-ghi e capita di passare da una categoriaall'altra fino a rendersi conto che nonesiste un solo carcere … perché infondo,come tutti sappiamo, al peggio c'è sem-pre di peggio.

Testo di Mario Livrieri,

Hanno collaborato Osman Elian, Giuliano

Baldini, Antonio Guarnieri, Luigi Z.,

Antonio Malandra

C

...Quelle carceri spe-ciali dove aleggianostorie di botte e tortu-re

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l dibattito in redazione e il chiac-chiericcio di sezione, immancabil-mente portano al confronto fra ilnostro sistema penitenziario e quel-lo di altri paesi: puntualmente neesce una sorta di guida Michelin deinostri Istituti di Pena. Scontata l’im-

possibilità di attribuire “le stelle” e visto cheè inutile impiegare energie nel provare a de-scrivere cosa effettivamente è il carcere, ci af-fidiamo alla fantasia del lettore di Voci di Den-tro: se riuscisse ad immaginare il peggio delpeggio, forse andrebbe molto vicino alla bru-tale realtà. Nei nostri generalizzati cahiersdes doleances, continuiamo però a farci sfug-gire l’occasione di considerare chi sono i de-tenuti e del perché sono in carcere; dovrem-mo invece soffermarci a riflettere anche sullapopolazione detenuta, osservarne le variespecie e sottospecie dei componenti per va-lutarne comportamenti e atteggiamenti chedi fatto determinano la tipologia del carce-re e in gran parte ne giustificano l’esistenzaper come effettivamente è.Dunque, ecco in carcere criminali efferati opiù semplicemente criminali che spesso ri-vendicano la loro differenza dai delinquen-ti; delinquenti incalliti, delinquenti per pas-sione, per tradizione familiare o per personalescelta di vita che aspirano a fare il salto di qua-lità; delinquenti per caso o di ritorno; stra-nieri, extracomunitari e non, attratti dal Bel-paese per la speranza di una vita migliore maanche per la diffusa opinione – vai a capire ilperché – che il nostro sistema giudiziario siafacilmente aggirabile. E non mancano gli sfa-ticati - lavorare è duro - e i disperati per man-canza di lavoro; e poi sfigati, ladri di polli e

colletti bianchi che hanno preferito scorcia-toie; e ancora i vari personaggi che riempio-no le cronache di nera, mondane e politiche;uomini e donne dalla vita normale e irre-prensibile che in pochi secondi di raptus in-controllato hanno irrimediabilmente segna-to la loro vita.

Questa variegata umanità, disperatamenteunita, affolla le nostre carceri: uomini e donneche pur nella diversità dei reati e di ciò chesono stati prima, sono comunque accomu-nati nell’aver consapevolmente rotto il pattosociale e tradito il vivere civile. Patto Socia-le e vivere civile che, cancellati i concetti della“giustizia fai da te” e dell’ “occhio per oc-chio, dente per dente”, anche a noi colpevo-li permettono di avere una speranza che nonpossiamo spegnere rifugiandoci nel rancore,sempreché non si preferisca coltivare e ali-mentare rancore e rabbia, perché l’essere vit-tima rende tutto più facile.Finché ci sarà un Caino in circolazione, il car-cere continuerà ad esistere e gli altri, quelliche stanno fuori, si sentiranno in pieno dirit-to di chiedere, pretendere giustizia il cui anel-lo finale è il carcere. Spetta quindi a noi de-tenuti, pochi e privilegiati per la possibilitàdi scrivere su un giornale, pensato, discussoe realizzato in carcere, cercare di far arriva-re all’esterno la nostra comprensione per co-loro che fuori di qui, fra infinite difficoltà,paure e incertezze, pur sfiduciati, ogni gior-no comunque vanno avanti con il rischio diritrovarsi poi vittima di reati spesso odiosi,che segnano nel corpo e nell’anima. Seguia-mo i TG, leggiamo i giornali: impossibile noncapire se il piatto della bilancia pende e con-tinuerà a pendere dalla parte delle vite spez-zate, degli affetti rubati e della dignità vio-lata. Sono ragioni che pesano più delle nostre. Ma le nostre, sono ragioni?Ma, riconoscerele ragioni delle vittime e ammettere le pro-prie colpe non significa che si debba accet-tare la barbarie e nessuno, in piena coscien-za, può continuare a dichiarasi d’accordo conla barbarie del fine pena mai, dell’ art. 41 bis;del regime di internamento nelle case lavo-ro e degli anziani reclusi; degli OPG, della sa-nità approssimativa e dei suicidi ignorati; nonsi può continuare a far finta di non saperedella barbarie dei bambini nati in carcere,bambini che crescono senza conoscere i nor-mali rumori, i colori e odori della quotidiani-tà della vita normale; bambini che non sannocosa sia un cono gelato; bambini certamen-te segnati per le colpe di madri, colpe che,poco evangeli-camente e molto incivilmen-te, ricadono sui figli. Barbarie. Appunto.

Domenico Silvagni

13IN/GIUSTIZIA

Barbarie

I

Una variegata umanità, di-speratamente unita pur nelladiversità dei reati

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Il carcere in Spagna, altro mondo

enni arrestato a Va-lencia, in Spagna,dove vivevo con lamia famiglia. Il car-cere dove passai lapena fu quello di Ma-drid e precisamente

il Centro Penitenciario Madrid VSoto del Real. Come detenuti era-vamo tutti in stanze doppie conbagni e docce interne e in veritàmolto pulite. Dovevamo fare dasoli le pulizie, ma il penitenziarioforniva, a semplice richiesta, tuttol’occorrente.All’ingresso, nell’ufficio matricola,mi venne consegnato un librettodove erano spiegate tutte le rego-le con gli orari e le localizzazionidi tutti i servizi annessi all’internodell’istituto. Al mattino alle 8,30dovevamo lasciare libere le stanzeper andare nel salone dove era ubi-cato un self-service nel quale con-sumavamo i pasti. Subito dopo, sevolevamo, potevamo andare in unagrande palestra fornita di tutti iservizi dove potevamo praticaremolti tipi di sport oppure recarcinei saloni annessi a socializzare invario modo. In questo ambientec’era un grande bar multi servizionel quale si potevano consumarebirre, caffè, vini, spuntini di ognigenere, tutto pagabile con unacarta di credito personale che ci ve-niva consegnata all’ingresso in isti-tuto e dove ci veniva accreditatotutto il denaro in nostro possesso,anche quello proveniente dal no-stro lavoro.Per il pranzo e la cena ci dovevamorecare nella stesso salone della co-lazione dove veniva somministra-to tramite un self-service del ciboappena cucinato e di ottima qua-

lità. Il tempo trascorreva veloce per-ché dovevamo permanere tutta lagiornata fuori delle nostre stanze,praticando sport o usando gli in-numerevoli giochi di socialità pre-senti nel grande salone accanto allapalestra, andando a leggere o stu-diare nella grande biblioteca adia-cente o effettuando una delle varietelefonate quotidiane da dieci mi-nuti a cui avevamo diritto, pagandocon una carta telefonica prepaga-ta da cinque euro acquistata in pre-cedenza nel multi bar. Su nostra richiesta potevamo an-dare, dopo il pranzo, a riposare instanza ma solo fino alle ore 16,30.Durante la permanenza nell’isti-tuto si potevano avere incontri delladurata di quattro ore con la pro-pria donna, o dichiarata tale, inuna camera da letto da soli ove al-l’atto di ingresso le guardie ci ri-fornivano anche di profilattici. Quando penso a quel periodo lofaccio sempre con piacere e no-stalgia anche se, alla fine, una pri-gione è pur sempre una prigione!Avevamo attività ricreative di tipoteatrale tutti i giorni e ai parteci-panti ad attività sportive era pre-vista l’uscita dal penitenziario duevolte alla settimana per recarsi inuna attrezzatissima palestra. L’unica nota stonata era l’incontrocon il legale che avveniva in unasala specifica con un muro diviso-rio in vetro e tramite esclusivamentedegli apparecchi citofonici.Ora sono a Chieti, sono stato anchea Rebibbia ma posso ricordare conpiacere solo il tempo che ho tra-scorso a Madrid perché devo am-mettere che era veramente un altromondo!

F. J. A.

V

14 IN/GIUSTIZIA

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uscita dal carcere al termine dellapena. Un momento tanto atteso quan-to temuto, quando si sa di non averepersone che ti attendono, né con-crete opportunità di quel reinseri-mento sociale e lavorativo attornoal quale ruotano tante affermazio-

ni di principio, progetti spesso inattuali, illusioni daparte dei detenuti. Il cosiddetto rientro nella socie-tà civile, quasi che fosse il rientro da un altro pia-neta, specialmente quando sono trascorsi molti annicomporta dover affrontare un impatto notevole. Ilmondo di fuori è nel frattempo cambiato molto,nell'aspetto, negli stili di vita, nell'organizzazionesociale.Dal carcere non si può avere una percezione reali-stica dei mutamenti che intervengono, se non si vi-vono giorno per giorno, se si è tagliati fuori da ogniinterazione, salvo quelle poche occasioni possibili,ma accuratamente filtrate e delimitate. Forse non cisono più quei legami affettivi che davano tanto so-stegno, qualche persona cara è mancata, la famigliase c'era, ora può non esserci più, anch'essa dissolta-si sotto il peso insostenibile dell'abbandono: mogliche si separano, figli che non ne vogliono più sape-re...e poi, che fine avranno fatto gli amici, le perso-ne conosciute, tutta quella rete di relazioni che untempo costituiva il tuo futuro? Dopo averlo a lungo sognato questo fine pena, manmano che si avvicina, mette un'ansia incredibile, puòdiventare un incubo. Spesso non c'è un posto doveandare a vivere, non c'è di che sostenersi, si deve cer-care alloggio in comunità oppure affidandosi allasorte, magari a qualcuno che ti rimetta nel “giro”.Altra ipotesi può essere quella di avere un'età anco-ra accettabile per tentare un inserimento lavorati-vo, anche se molto generico.La famiglia c'è ancora, è stata una galera anche per icongiunti, ma alla fine si è di nuovo uniti, pronti a vol-tare pagina, anche se le difficoltà non mancheranno.La libertà sarà a portata di mano una volta spalan-cato il portone del carcere, ma io sarò veramente li-bero? Sarò diventato in questi anni un uomo diver-so, capace di affrontare la vita accettandone le regole,pronto a lavorare per restare onesto? Avrò compre-so il male, la sofferenza inferta agli altri, o avrò sem-plicemente rimosso tutto per non soffrire a mia volta,ritenendo sufficiente la pena espiata? Il piangersiaddosso non aiuta, anzi, rallenta quella presa di co-scienza che sola può capovolgere la situazione. Per

questo sono importanti in carcere tutte quelle ini-ziative di cui si lamenta la grave carenza, ovvero quel-le attività culturali, formative, lavorative e di soste-gno capace di aprire spiragli di luce, che lascianointravedere scenari nuovi e spesso sconosciuti, oradesiderabili, degni di essere perseguiti a costo di sa-crifici e di fatica. Questa sorta di liberazione è possi-bile anche per coloro il cui fine pena è mai, ovverogli ergastolani. C'è per loro la possibilità del lavoroall'esterno, la speranza di ottenere la “condiziona-le” anche se non la completa libertà perché la loropena non si estingue mai. Sembra questo un con-trasto del nostro ordinamento penitenziario, so-prattutto se confrontato con l'enunciazione del-l'art.27 della Costituzione; perciò molti si battonoper l'abolizione dell'ergastolo.Sentirsi liberi può quindi non coincidere con lo statodi libertà fisica e giuridica, ma è la vera condizionecui nessuno dovrebbe rinunciare.È più che giusto pagare il debito con la giustizia e lasocietà, ma non è affatto giusto scontarlo in modoincivile e barbaro “basta contare i suicidi che avven-gono nei nostri carceri” dove ogni speranza di re-cupero e reinserimento verso la società, viene abo-lita e negata da coloro che dovrebbero garantire lalegalità e il senso di civiltà nel nostro paese.È lo stato il primo colpevole! E chi ne fa le spese? sonosempre la povera gente.Credetemi...non è questo il modo corretto di far fun-zionare la giustizia, redimere, non vuol dire neces-sariamente solo punire, bisogna anche educare, re-cuperare e reinserire.È stato approvato in parlamento il decreto legge“svuota carceri” questa legge non solo non funzio-nerà e non servirà a risolvere il problema del sovraf-follamento... ma farà in modo che nel mese di mag-gio la corte Europea di Strasburgo condannerà l'Italiaalla multa di 450 milioni di euro. Questa legge (chegetta solo fumo negli occhi ai detenuti e ai cittadi-ni) non servirà a nulla! Questa legge c'era già da anni,fa parte della Gozzini! Ma la Gozzini non è più ap-plicabile per via della ex Cirielli, quindi affinché nonverrà abolita la ex Cirielli la giustizia resterà prigio-niera del giustizialismo e dell'egoismo.Cittadini...preparatevi a pagare altre tasse per il mesedi maggio, dove la corte Europea multerà l'Italia diben 450 milioni di euro per non aver risolto il pro-blema del sovraffollamento carcerario e delle lorodisumane condizioni.

Antonio Guarnieri

Speranze e timori del dopo carcere

IN/GIUSTIZIA

L’

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Omertose irresponsabilità

uole dirlo, ma siamo di fronte all’ennesi-ma dimostrazione della superficialità, ir-responsabilità e omertà che politica, in-formazione e gran parte della pubblicaopinione continuano a dimostrare versoi problemi incancreniti del nostro sistemapenitenziario. E così anche il neo ministro

Andrea Orlando non è riuscito a fermare il count-downin vista del prossimo 28 Maggio, data fatidica fissata dalComitato dei Ministri del Consiglio d’Europa perché l’Ita-lia dimostri almeno la volontà, certificata e sostanziale,di voler almeno avviare la soluzione dei problemi dellenostre carceri.Sulle soluzioni che il Guardasi-gilli ha prospettato a Bruxellesnon sono stati emessi comuni-cati ufficiali, ma qualche noti-zia riguardo alla detenzione incondizioni di disumana illegali-tà è però trapelata: 10 / 20 Euroal giorno – diaria? rimborso? ri-sarcimento? – per gli ex dete-nuti; a chi è attualmente dete-nuto invece spetterebbe unbonus del 20 % sulla pena scon-tata in condizioni disagevoli.Scontato il sorriso fra il sardo-nico e il tenero compatimentodei componenti il Comitato:quando si ricevono Presidentidel Consiglio o Ministri italiani,a Bruxelles e dintorni le sghi-gnazzate sono ormai istituzio-nalizzate. Ma gli interlocutoridel mite Orlando hanno avutouna reazione meno controllatae umanamente più comprensi-bile: di fronte alla proposta dispostare a Roma, al Ministerodella Giustizia, il contenziosodelle migliaia di ricorsi di dete-nuti ed ex detenuti giacenti pres-so la Corte Europea dei Diritti, icerberi guardiani del dettatoeuropeo hanno perso il loro tra-dizionale aplomb e sono staticolti da generalizzata ed in-controllabile diuresi. Insomma,si sono scompisciati. Bisogna essere comprensivi: nonsapendo a quale santo votarsi,l’ultimo arrivato - in ordine ditempo - al Ministero di Via Are-nula, ha cercato di guadagna-re tempo nella speranza che icazziatoni dell’Unione Europea e i blitz della nostra Ma-gistratura in qualche modo riescano a dare una manoalla Politica per uscire dallo stallo della nostra Giustizia.Stallo certificato anche dal Presidente del Tribunale diRoma che, dichiarata l’impossibilità di avviare più di 12mila processi all’anno, di fatto ha decretato un’amnistiacon l’incondizionato appoggio del Consiglio superiore

della Magistratura. E il Parlamento? Campicchia: dopo la conversione in Leggedel decreto “Cancellieri”, chissà perché chiamato“svuo-tacarceri”, e la successiva approvazione del Disegno diLegge sulle pene alternative al carcere, da Bruxelles è ar-rivata l’ennesima bacchettata: “le misure fin qui adot-tate dall’Italia per la soluzione del problema carceri, nonsono sufficienti”. Poteva essere altrimenti?Nell’illustrare il suo Decreto Legge, lo scorso 21 Dicem-bre l’allora Ministro della Giustizia Annamaria Cancel-lieri parlò di “un primo passo necessario” per avviare lasoluzione del sovraffollamento carcerario. Bon ton nei

confronti della Signora Cancellieri e rispetto per le Isti-tuzioni spinsero a prendere per buone la cifra di 7milascarcerazioni previste nel breve periodo per effetto delsuo svuotacarceri. C’è però da osservare che, a distanzadi oltre tre mesi, con il decreto convertito in Legge e vistianche le precedenti previsioni sballate sugli effetti della199/2010, c’è da supporre che al Ministero della Giu-

D

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Omertose irresponsabilità

stizia più che dati e cifre, si continui a dare i numeri. Ipo-tesi tutt’altro che peregrina visto che la popolazionedetenuta, secondo fonti del Ministero, sarebbe scesa aquota 60mila. Non ce ne siamo accorti, ma è evidenteche i nostri burocrati abbiano proficuamente dedicatoparte del loro tempo alla storia per imparare qualcosa:nel ventennio, quello mussoliniano, si fece ricorso al-l’ammuina per moltiplicare sommergibili e carri arma-ti, ora, con la stessa tecnica, si fanno sparire i detenuti.Per tatticismi, convenienze elettorali o più semplice-mente per vigliaccheria e conclamata incapacità, la Po-litica ha preferito non trovare la strada per varare queiprovvedimenti di clemenza che tutti gli operatori dellagiustizia, senza distinzione di ruolo e di appartenenza,ormai ritengono necessari per far partire quelle riformeche portino il sistema penitenziario ad assolvere in pienoalle sue funzioni: rieducare, reinserire e, nel rispettodella dignità, far consistere la pena nella sola limitazio-ne della libertà personale. Sembrerebbe scontato, manon è così nonostante due secoli e mezzo siano trascor-si dal “Trattato sulla Tolleranza” di Voltaire, da “Il con-tratto sociale” di J. J. Rousseau, da “Dei delitti e dellepene” di C. Beccaria e 185 anni dal’ uscita di “L’ultimogiorno di un condannato a morte” di V. Hugo.Gli appelli, persino accorati di Giorgio Napolitano, hannorichiamato l’attenzione sulle condizioni delle nostre car-ceri e il sovraffollamento è diventato argomento per ac-cesi dibattiti, ma il sovraffollamento non è il problemaprincipale delle carceri, ma la conseguenza di una seriedi malfunzioni che da anni affliggono il nostro sistemapenitenziario. Anziché guardare alla luna, si sono con-centrati sul dito che la indica: è emblematica l’indagi-ne che la Corte dei Conti ha svolto sull’utilizzo dei fondidel “pianeta carceri”nel 2011: una mazzata per il siste-ma carcerario italiano ”…il cui modello di gestione delcapitolo rieducazione in cella non funziona: inadegua-to, insufficiente nei percorsi di rieducazione individua-le e collettivi rimasti lettera morta”. Da parte della Magistratura Contabile è stata una boc-ciatura totale per il nostro concetto di carcere in unoscenario desolante da imputare non solo “ai continuitagli di bilancio, alla inadeguatezza delle strutture e allacarenza di personale, ma anche alla mancanza di pro-gettazione e di programmazione delle risorse umaneed economiche... alla incapacità di relazioni interistitu-zionali e all’assenza di progetti quadro”.Pochi i programmi mirati, tutti caratterizzati da “at-tuazioni faticose e difficili”, nonostante gli indubbi “be-nefici diretti sui detenuti e i vantaggi indiretti sulla so-cietà”. Meno del 3% dei detenuti ha usufruito del beneficiodel lavoro esterno e solo il 20%, lavorando mediamen-te per un mese all’anno, sottopagato e al limite dellosfruttamento, è stato impiegato nella manutenzioneordinaria, servizi di cucina e di lavanderia, nelle puliziedegli istituti di pena italiani. E il restante 77%? Ozio. Il basso tasso di scolarizzazione della popolazione de-tenuta e il sempre più diffuso analfabetismo di intorno,porterebbero a imporre la scuola come un’alternativaobbligatoria alla normalità del lavoro che invece conti-nua ad essere un beneficio. Scuola e lavoro dovrebberoessere la base della rieducazione e del reinserimento

che, con il sostanziale e non formale rispetto delle re-gole, attraverso percorsi e impegni reali, portino o ri-conducano alla normalità e soprattutto aiutino a nonfar perdere competenze, attitudini, abitudini e la cul-tura del lavoro che per non pochi detenuti hanno rap-presentato il quotidiano. Inoltre “è scontato che più i detenuti sono impegnatinello studio, nel lavoro, in attività ricreative ed educa-tive, meno sono inclini a stati d’animo che generano ran-core, isolamento, turbe psichiche…” La normalità è in-vece la detenzione imposta fra ozio, riti quasi tribali,pietismo. tirare a campare e la minaccia della perditadei benefici. Un teatrino.

Ma come uscirne?La Corte dei Conti suggerisce ”… un coordinamento esistemi integrati… una banca dati con i programmi at-tivati per ogni singolo detenuto… l’uso del braccialet-to elettronico per favorire il lavoro esterno… destinareai programmi rieducativi i beni sequestrati alla crimi-nalità organizzata …” e, c’è da aggiungere, per crearelavoro per gli ex detenuti. Sono rimedi che dovrebberoessere la normalità alla quale arrivare attraverso un “con-fronto fra carcere e società civile”.È soprattutto il carcere che deve però proporsi come unarisorsa per il territorio, ma anche il territorio deve guar-dare al carcere come un serbatoio a cui attingere percreare possibilità di lavoro che non sia elargizione buo-nista e assistenzialista: il detenuto può essere una pos-sibile soluzione anche per colmare i vuoti che semprepiù si creano in settori lavorativi non più particolarmenteambiti. Lavoro ai detenuti significa più basso tasso di re-cidiva e quindi maggiore sicurezza e legalità; il recupe-ro di un detenuto è un risparmio e un investimento“…ogni punto in meno di recidiva vale 50 milioni diEuro…” (N. Boscoletto, Pres. Del Consorzio Sociale Giot-to – Padova).Da parte della politica sono necessari coraggio e lungi-miranza; da parte della pubblica opinione è invece do-verosa la consapevolezza che le porte del carcere si deb-bano aprire non solo per far entrare, ma anche per faruscire. Precludere una possibile normalità a chi ha sba-gliato sarebbe un ulteriore errore e il risultato dellasomma di due errori non è mai una cosa esatta.

Domenico Silvagni

... nel ventennio, quello mussoliniano, si fece ri-corso all’ammuina per mol-tiplicare sommergibili ecarri armati; ora, con la stessatecnica, si fanno sparirei detenuti

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18SCRITTI CORSARI

Disegno di Osman Elian

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Lo sciopero

in carcere

Terrorismo

uando proposi ai miei compagni di par-tecipare alla protesta pacifica che si sa-rebbe svolta in tutte le carceri di questopaese dal 5 al 20 aprile, si è scatenata unamoltitudine di pareri molto discordantitra di loro, ma più che altro quello che si

percepiva era lo stato di completo disinteresse pertutto quello stava succedendo e continua a succe-dere attorno a loro. C’era chi metteva in dubbio lafondatezza di quello che stavo proponendo, chi neribadiva l'inefficacia e chi invece era semplicemen-te stufo ed esausto in virtù dei molti anni passati al-l'interno di queste mura. Io penso che si debba smet-tere di riporre le proprie speranze in chi questi postili ha riempiti fino a farli scoppiare, creando disagio,frustrazione e disperazione non solo nelle vittime(i detenuti), ma anche in tutte le persone, le strut-ture e gli apparati che vi ci lavorano. Al centro dellerivendicazioni di questo sciopero c’erano la richie-sta di condizioni di vita più umane all'interno comepiù volte l'unione Europea ci ha imposto, la cessa-zione di tutti i regimi di tortura legalizzati quali 41bise il 14bis, la scarcerazione di tutti i malati cronici ela fine dei trasferimenti punitivi…(quest’ultima pra-tica è quella che mi riguarda più da vicino perchédopo la stesura di questo articolo potrò essere vistodi cattivo occhio per aver messo in pratica il dirittodi manifestare il proprio disaccordo sullo stato at-tuale delle carceri: se ciò dovesse avvenire, vorrà direche tutti gli sforzi non sono stati inutili perché que-sta pratica obsoleta che ti sradica dagli affetti e cheti sbatte qua e là come un pacco continua a esiste-re ). Comunque, tra chi era d'accordo e chi invece no, il5 aprile abbiamo iniziato e devo dire che la reazio-ne a catena è stata immediata e la cosa si è protrat-ta (con la battitura delle pentole sulle inferriate) pertutti i giorni a seguire fino al 15. Un successo oltreogni aspettativa tanto che ne ha parlato persino ungiornale locale. Concludo con una precisazione: que-sta forma di protesta “pacifica” e assolutamente au-todeterminata, non è stata attuata nei confronti diquesto o quell'istituto di pena, ma nei confronti dichi ha reso le carceri incettabili legittimando tutti iregimi di tortura legalizzati e le barbarie che af-fliggono l'intero sistema carcerario e giudiziario.

Osman Elian

Q

olte, troppe persone oggi vengo-no incarcerate per terrorismo, soloperché hanno avuto la capacità diorganizzarsi per protestare con-tro lo stato attuale delle cose. Una

volta dentro, questi dimostranti vengono sot-toposti a regimi di detenzione che lambisconola tortura, in condizioni di visibilità degradantie umilianti.Sono convinto che nessuno si è mai chiesto qualisono le reali motivazioni che li spingono a pro-testare, fino a rischiare anche l'arresto. Forse sarà:il terrore di perdere il lavoro, il terrore delle manganellate se protesti per quel-lo che stai perdendo,il terrore di finire all'inferno se commetti peccati,il terrore della punizione se non segui le leggi inique,il terrore della galera se combatti quelle leggi,il terrore di uscire dalla galera dentro una bara,il terrore di cercare in un paese una vita miglioree finire in gabbia perché senza documento,il terrore di non arrivarci vivo in quel paese,il terrore delle malattie causate dall'industriainsieme al terrore di non avere i soldi per curarsi,il terrore di curarti con le medicine che produce l'industria che ti ha fatto ammalare,il terrore che qualcuno ascolti ciò che tu dici,il terrore che qualcuno veda quello che fai,il terrore di vivere di tutto questo che innescalo spirito rivoluzionario che vive in ognuno dinoi…e l'artefice di questo è lo stato con le sue politi-che basate sul terrore e l'intimidazione.Negli ultimi 4 anni questo paese ha subito 3 colpidi stato (per colpo di stato s'intende anche quan-do un governo auto costituito sale al poteresenza il voto popolare )….tutte le più feroci dit-tature sono state segnate da colpi di stato.La dittatura è terrore.La dittatura è terrorismo.

Osman Elian

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La terra dei fuochi

ulla “terra dei fuochi” si è detto ditutto e di più. Ad esempio si è dettoche gli industriali del Nord con l'aiu-to della camorra per ben 22 anni sottogli occhi di tutti hanno scaricato ille-galmente più di 10 milioni di ton-

nellate di rifiuti tossici industriali. E poi si è dettoche dai prelievi realizzati tra il 2009 -2011 nelleprovince di Napoli e Caserta si è rilevata la pre-senza di livelli inaccettabili di piombo, di nichele di naftalina, oltre a tracce di diossina e di ura-nio. E ancora è stato scritto che il pentito Car-mine Schiavone nel 1997 ha reso, davanti allaCommissione Parlamentare, informazioni det-tagliate sul ciclo dei rifiuti tossici con la com-plicità di sindaci di 106 comuni di qualsiasi ap-partenenza politica, pronosticando che i poveriabitanti dei comuni interessati avranno “forsevent'anni di vita”.In questi 22 anni il Dio denaro ha scatenato ilbusiness sui rifiuti dove tutti hanno intascatosoldi: le organizzazioni criminali, la politica, leimprese di raccolta (quelle campane sono trale più importanti d'Italia, capaci addirittura dientrare in relazione con i più grandi gruppi delmondo). Guadagnano i consorzi, ovvero piùcomuni che si mettono insieme per spuntareprezzi più convenienti per la raccolte diffe-renziata, diventando però il regno del cliente-lismo, degli appalti truccati dalle fatture gon-fiate: il luogo dove politica, clan e imprese siincontrano. Tutta questa fame di denaro nonha fatto altro che racimolare cosi tanti rifiutiche messi uno sopra l'altro formerebbe la mon-tagna più alta del mondo: 15.600 metri con unabase di 3 ettari e sotto questa montagna di ri-fiuti ci mettiamo quelli tossici.Nel leggere questi dati dentro di me si scatenauna rabbia indescrivibile nei confronti di tuttiquesti signori che pur di guadagnare denaronon hanno avuto pietà della povera gente cheha fatto dei sacrifici per costruirsi una casa, aloro insaputa, su un terreno inquinato. Pove-ra gente che dopo un po' di anni si è ammala-ta di cancro e tumore pensando che il destinocon loro è stato crudele. Però da un po' di anni,nel sapere che non è stato il destino ma l'uo-mo che li ha condannati ad una morte sicura, iloro occhi si sono riempiti di rabbia e di odiomaledicendo tutti coloro che hanno preso partealla loro fine. Io non posso non essere dalla loro

parte.I politici, gli industriali, la camorra… è mai pos-sibile che nel momento in cui decidevano disversare questi rifiuti tossici sotto metri di terranon sapessero che con il passare degli anni po-teva scatenarsi una vera e propria strage di bam-bini, uomini e donne? La camorra si sa che è unvirus della società che distrugge tutto quelloche tocca senza pensare minimamente alle con-seguenze che più delle volte si riversano anchesu di loro. Gli industriali, agli occhi di tutti, sonodei benefattori che danno lavoro e produconobeni per la società. Però questi signori che hannoa che fare con i rifiuti tossici è mai possibile checon tutti i miliardi che guadagnano non si pos-sano permettere di spendere qualche milionedi euro in più per smaltire regolarmente i ri-fiuti tossici? E' proprio vero! I ricchi più soldihanno e più ne vogliono avere e non gli im-porta se la povera gente muore di tumore e dicancro. Per me non possono essere meglio dellacamorra e dei politici. I politici francamentenon li sopporto. Non li sopporto perché parla-no, parlano e parlano. Il loro unico obiettivo èquello di far sedere il loro fottuto fondo schie-na su una poltrona per assicurarsi un futurotranquillo con la pensione d'oro che lo Statogli darà per il resto della loro vita. Non vogliofare di tutta un'erba un fascio, qualcuno buonoci sarà pure ma niente mi toglie dalla testa chenel momento in cui vengono a conoscenza nonintervengono per paura della camorra o di per-dere quella fottuta poltrona.Lo Stato, finalmente, sembra intenzionato adintervenire per bonificare il territorio inqui-nato e sappiamo tutti quello che stanno fa-cendo, però dalle poche informazioni che honon ho né visto né sentito che stia facendoqualcosa per aiutare quei poveri cristi amma-lati che stanno spendendo il loro denaro percurarsi da una malattia incurabile.Tutti coloro che si sono macchiati del criminedella “terra dei fuochi”, camorra, industriali epolitici, sappiate che le vostre coscienze non vidaranno pace fino alla fine dei vostri giorni, imorti che pesano su di essa disturberanno i vo-stri sonni facendovi svegliare la notte tutti su-dati, in quel momento il vostro pensiero saràuno solo: “ Dio mio che cosa ho fatto”.

Luigi Z.

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Le risorse non sono inesauribili

ino a qualche tempo fa l'uomo, che abitaormai il nostro pianeta da millenni, rite-neva che le risorse della terra fossero ine-sauribili e credeva anche di poter abusa-

re delle capacità di smaltimento di tutti i rifiutiche produceva.Ma si è dovuto ricredere perché la natura ha rea-gito, spesso violentemente, ai danni che le veni-vano arrecati da parte dell'uomo. Il grave pro-blema dell'inquinamento, sciaguratamente, sista accentuando sempre più anche perché moltipaesi, non rendendosi conto dei danni che pro-vocano, continuano ad inquinare. Oggi si posso-no vedere i primi cambiamenti dovuti alle so-stanze disperse nell'ambiente dall'uomo. Unmutamento che sicuramente tutti hanno notatoè quello climatico. Si parla infatti di effetto serra,cioè di un riscaldamento eccessivo del nostro pia-neta. I gas di scarico delle automobili, quelli delleindustrie o dei climatizzatori, finendo nell'at-mosfera, danneggiano l'ozono, che ha una fun-zione molto importante per la salvaguardia dellasalute e quindi della vita dell'uomo.Il rischio è che tra 50 o al massimo 100 anni po-tremo assistere a dei veri e propri sconvolgimen-ti negli equilibri terrestri.Il clima si riscalderà a tal punto da far sciogliere ighiacciai; così, il livello del mare si alzerà e tuttele zone costiere del mondo verranno sommerse.Per evitare questi disastri dobbiamo renderciconto di essere come dei “custodi” per la terra eper questo il nostro compito è quello di proteg-gerla, non di danneggiarla. Innanzitutto do-vremmo iniziare a usare le fonti energetiche al-ternative che, oltre a rispettare l'ambiente noncorrono il rischio di esaurirsi, come sta avvenen-do per quelle tradizionali. Infatti, il carbone edil petrolio, formatisi nel corso di milioni di anni,oggi si stanno consumando molto rapidamentea causa dei continui sprechi. Oltretutto, con lacombustione del carbone viene prodotta l'ani-dride solforosa, che provoca le piogge acide, molto

pericolose per i boschi. Per questi motivi è meglioutilizzare le fonti alternative o rinnovabili. Traqueste troviamo l'energia idroelettrica, che vieneprodotta con la forza dell'acqua; l'energia geo-termica, che sfrutta il vapore proveniente daglistrati interni della terra; l'energia solare, che de-riva dal calore di raggi solari e l'energia eolica,che viene ricavata dalla forza del vento. Oltre aqueste vi è l'energia nucleare, prodotta con l'ura-nio. L'Italia è restia ad utilizzarla per i rischi chesi corrono. Infatti, nella centrale nucleare di Cer-nobyl, in Ucraina, il 26 aprile 1986 un guasto a unreattore provocò un gravissimo episodio d'in-quinamento radioattivo. L'esplosione avvenutaall'interno del reattore liberò un'enorme quan-tità di radiazioni che si diffusero su gran partedell'Europa. (l'ultima si verificò in Giappone).Per migliorare la situazione ambientale biso-gnerebbe inoltre ridurre gli sprechi. Da alcuneindagini emerge che noi sprechiamo il 20% in piùdi quanto possiamo produrre e i rifiuti contri-buiscono ad incrementare l'inquinamento. Perrisolvere questo problema bisogna riciclare i ri-fiuti solidi urbani per poterli riutilizzare. Se neipaesi più ricchi si spreca sempre più, nei paesi delterzo mondo si muore di fame e soprattutto disete. In realtà, quello dell'acqua è un altro pro-blema molto grave che interessa tutti poichéanche le falde acquifere sono inquinate. Difatti,molti agricoltori, per far crescere meglio le pian-te usano concimi chimici che inquinano innanzi-tutto il suolo e, filtrando nel terreno raggiungo-no le falde acquifere e le contaminano. Così,attraverso l'acqua che beviamo, il danno causa-to alla natura ci si ritorce contro. Ciò che è acca-duto a Bussi: è di una gravità allarmante.L'uomo, oggi conosce i problemi che affliggonola natura. L'essenziale, adesso, è che si prenda co-scienza del dover agire subito per tentare di sal-vare il nostro pianeta, che, se lasciato come è at-tualmente rischia la totale rovina e distruzione.

Antonio Guarnieri

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La discarica di Bussi

La nostra salute non è d'acciaio

l rapporto ministeriale è sicura-mente limitato e reticente: l'in-quinamento in Italia e le sue con-seguenze mortali sulla nostrasalute (il cancro prima di tutto)sono note a tutti. E’ evidente chesiamo di fronte a un problemadalle dimensioni gigantesche eche, io credo, va a colpire in mi-sura maggiore e più grave i cetipiù bassi della popolazione, quel-li che vivono nei quartieri a ri-dosso delle produzioni di morte,come nel caso del rione Tamburidi Taranto, dove nascono bam-bini con tumore alla prostata.Quando si ascolta dai telegior-nali che nella cosiddetta “terradei fuochi” muoiono bambini ditenera età con tumori leucemiae malattie più assurde c’è moltoda riflettere su quello che acca-de, visto anche che in Italia cu-rarsi diventa sempre più un lusso.Non so esattamente perché main Italia trattare di questi teminon mi sembra sia particolarmentecomune, so solo che nei prossimianni l'inquinamento la farà dapadrona.

Giuliano Baldini

er decenni, certamente dal 1992, maprobabilmente fin dagli anni '60 e co-munque fino al 2007, settecentomi-la persone tra Chieti e Pescara hannobevuto acqua inquinata da sostanze

come mercurio, tetracloruro di carbonio, clo-roformio, esacloroetano, tricloroetilene, tetra-cloroetilene e pentalorobenzene provenientidalle lavorazioni della Montecatini Edison aBussi e sotterrate di nascosto e di notte a pochipassi, a monte dei pozzi dell’acqua che serviva-no gli acquedotti di Pescara e Chieti.Oggi ne parlano giornali e Tv ma si sapeva giàda molti anni, almeno dal 2007, ovvero da quan-do la Forestale scoprì vicino alla stazione ferro-viaria di Bussi la discarica più grande d’Europa.Da quando venne a galla la verità e cioè la di-scarica gestita dall’ex polo chimico Montecati-ni Edisonera infarcita di veleni a camionate con-tinue e sversamenti selvaggi di giorno e di notte.Si sapeva che da allora (e la società in questio-ne, stando a documenti aziendali riservati, giàdal 1992) quei veleni avevano contaminato l’ac-qua potabile della rete idrica a distanza di 2 kmda Bussi Officine, acqua poi distribuita a circa700 mila persone - ospedali e scuole compresi -senza controllo. O meglio cercando di non farlosapere, nascondendo carte e documenti. Unascandalo pazzesco, sulla pelle di migliaia di cit-tadini. Pensate, come dice il Wwf le sostanzecontenute nelle discariche abusive scoperte aBussi arrivano a 3 milioni di volte oltre i limiti dilegge consentiti per il cloroformio, 420mila volteoltre il limite per il tetraclorometano, decine dimigliaia o migliaia di volte per tante altre so-stanze pericolose tra cui mercurio e clorofor-mio. Cancerogene e pesantemente dannose perfegato, reni e colon. E questo mentre gli Entidecidono di non “allarmare la popolazione”.Ora se ne sta occupando la Procura che sta in-dagando sui vertici di Ato (ente d’ambito terri-toriale) e Aca (l’azienda comprensoriale ac-quedottistica), che erano a conoscenza delproblema inquinamento sin dal 1992, ma hannosempre inviato relazioni ed analisi sommarie,false e rivolte a dissimulare un problema fattopassare come un capriccio degli ambientalisti.I motivi sempre i soliti: disfarsi velocemente esenza costi aggiuntivi per lo smaltimento dei ri-fiuti tossici, il tutto con la collusione degli Entilocali.

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L’immigrazione è una storia vera

Come sei finito qui in carcere? Tutto comincia nel luglio 1999 quando rice-vo una telefonata in Albania da mia sorellache era in Italia con la sua famiglia. Una te-lefonata che è un invito a cominciare unanuova vita in Italia. Mi convinco che si puòfare e decido di fare il salto. Lo faccio da clan-destino con un gommone, di notte, 1500 euro:sbarco a Brindisi, poi arrivo a Pescara a casadi mia sorella.

A Pescara che cosa hai fatto?Appena arrivato a Pescara, tra mille difficol-tà, ho cominciato a lavorare come operaiosia in campagna che nell’ edilizia, per la qualesono oltretutto qualificato, ovviamente in“nero”. Ma prima di andare avanti una pre-cisazione è d’obbligo: in barba alle apparenzesu ciò che si pensa degli albanesi, io proven-go da una famiglia povera ma onesta, sonoregolarmente sposato e padre di due figli la-sciati a vivere in patria nella casa dei miei ge-nitori.

Andiamo avanti.Due anni dopo, in ottobre, decisi di tornarea casa per rivedere la mia famiglia. Ma allafrontiera, prima di imbarcarmi mi notificanol’espulsione dall’Italia. Restai in Albania finoal luglio 2002, poi ricevendo un’altra telefo-nata da mia sorella, decisi di nuovo di parti-re al fine di poter lavorare e “guadagnare ilpane per i miei figli” cosa impossibile nel miopaese. Punto e a capo: viaggio in gommoneper Brindisi, altre 1500 euro, e arrivo a Pe-scara da mia sorella. In quel tempo mio co-gnato, che aveva aperto una ditta artigiana-le edile, mi chiese di lavorare per lui. Lo poteifare grazie all’opportunità di una sanatoriaalla legge Bossi/Fini sulla clandestinità. A se-guito di ciò (contratto di lavoro e di affittoottenuti tramite mio cognato e mia sorella)nel maggio 2003 ottengo il tanto ambito “per-messo di soggiorno”. Con la mia qualifica ed

arte, nel campo dell’edilizia, riesco ad otte-nere con forte sacrificio economico, dopo solidue mesi l’ apertura di una mia ditta qui aChieti addirittura riuscendo ad assumere eregolarizzare anche quattro operai albane-si come me “in cerca di sopravvivenza.

Ma non tutto è andato comedoveva.Tutto fila liscio fino al 20 novembre del 2004quando dalla Questura mi comunicano unprovvedimento di espulsione nel quale si evin-ce che a distanza di un anno e mezzo si eranoaccorti di aver fatto un errore nel fornirmi ilpermesso di soggiorno e che quindi tutto ciòche ne conseguiva era nullo. La mia ditta, ilavori effettuati, le macchine acquistate a de-bito ancora da finire di pagare, il conto inbanca, il capitale circolante, le fatture emes-se ed ancora da saldare… tutto un sogno dalquale mi ero dovuto bruscamente risveglia-re al mattino? Come non bastasse ecco chemi fermano per strada e, a seguito del prov-vedimento di espulsione, mi accompagnanocoercitivamente alla frontiera ridendo ironi-camente sul fatto che gli operai (“miei”) ave-vano i documenti regolari e il padrone ( “io”)che li aveva regolarizzati, invece no!

E quindi che accadde?Mi ritrovo di nuovo in Albania senza nientedi tutto ciò che in Italia avevo costruito conil mio sudore: mi sentivo come un sacco dellaspazzatura buttato in un cassonetto! Nonavevo più voglia di vivere, pensavo conti-nuamente a tutto quello che, forzatamente,avevo dovuto abbandonare in Italia: 47 milaeuro più tutta l’attrezzatura e i mezzi mobi-li. Dopo un mese sotto shock, con tanti pen-sieri per la mente, grazie alla mia famiglia,riesco ancora a trovare la forza di tornare inItalia: questa volta i vari e vani tentativi eranovia Grecia! Il racconto dell’esperienza grecaassomiglia ad una vera e propria “Odissea”:arresti, un mese in carcere, espulsione coat-

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ta. In un anno i tentativi furono quattro e iricordi sono: clandestinità, carceri (Patras, Ia-nina, Athinai, Thessaloniki), fame, freddo,dormite all’aperto e distruzione della miapersona sia morale che fisica! Nel novembre2005, stanco degli esiti ellenici, tento di arri-vare in Italia attraversando il Montenegro,la Bosnia-Erzegovina, la Croazia e la Slove-nia. Come? Ma è semplice, passando i variconfini di stato a piedi e il resto in taxi di paesein paese con tutti gli inconvenienti che mi sipresentavano di volta in volta. Il costo fu di3500 euro e 12 giorni di viaggio. Se fossi ve-nuto a nuoto forse avrei fatto prima ed ancherisparmiato!

Altro che Odissea, raccontaci il resto.Appena giunto finalmente nella, per me di-ventata “terra promessa”, cominciai di nuovoa lavorare “in nero” per poter sopravvivere,perché i costruttori con cui avevo collabora-to in passato, non mi volevano saldare le vec-chie fatture sulle quali io oltretutto contavo.Per recuperare i miei vecchi crediti e per ot-tenere un “agognato” permesso di soggior-no decido di rivolgermi ad un legale, ma il 1°maggio del 2006,fermato di nuovo per stra-da, vengo coercitivamente accompagnato aBari in frontiera: espulsione numero tre. Nelnovembre 2006 torno di nuovo in Italia que-sta volta a Venezia con la nave via Grecia. Ri-comincio di nuovo a lavorare ,“in nero”, unicapossibilità presentatami per mandare avan-ti la famiglia, e riesco, nel frattempo, a re-cuperare la metà del vecchio credito. A Pe-scara nel 2007 mi fermano di nuovo edindovinate dove mi portano? A Bari: espul-sione numero quattro! Torno ancora con laforza della disperazione, questa volta a Bo-logna via aerea, risultato: a Treviso espulsio-ne numero cinque ! Nel 2009 torno ancora,via Grecia, ma nel 2010 annovero un’altraespulsione. Fino al febbraio 2011 resto In Al-bania e penso addirittura di cambiarmi il

nome, nel mio paese lo si può fare regolar-mente al comune. Detto fatto, con la nuovaidentità torno in Italia da Bari con traghettoe regolare passaporto. Appena arrivato mido da fare per ricominciare di nuovo a lavo-rare, “in nero” ovviamente, ma rispettandoed essendo rispettato per il mio lavoro. Tuttofila liscio fino al 27 dicembre 2012 quando aPescara mi fermano per l’ennesimo control-lo ed in Questura vengo a sapere che ho unacondanna definitiva di due anni e un meseper immigrazione clandestina in essere dal2010. Così, completamente sotto shock, vengotrasferito in carcere. La mia epopea continuacon cinque mesi di detenzione e un mese emezzo di arresti domiciliari, fino a quando ilproprietario di casa dov’ero, decide di tra-sformare l’abitazione in un ufficio così chesono costretto ad andare via. Accadde ciòche volevo evitare . Mio malgrado la vita mimetteva di fronte alla ennesima beffa: dopocirca un mese e mezzo di vagabondare di casain casa, da un mio amico, che nel frattempomi aveva gentilmente ospitato a Francavillaal mare mi prelevano e mi portano di nuovoin carcere, questa volta a Chieti, dove sonotutt’ora da cinque mesi.

Morale?Ancora oggi, dopo tutto questo tempo, an-cora non riesco a capire come un onesto la-voratore con l’unica colpa di provenire da unpaese dall’altra parte del mare Adriatico, asole quattro ore di distanza, cioè 68 miglia,sia trattato come un criminale! In questa vitavoler lavorare onestamente significa esse-re forse un delinquente? Si dice che la leggesia uguale per tutti, ma a questo punto miviene da pensare che così non è. Nei miei pen-sieri c’è costantemente la mia famiglia chemi dà la forza di andare avanti e vivo con lasperanza che qualcuno si accorga di me chesono alla fine un cittadino europeo, ma forsedi serie B!

Franco

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La mia vera storia

La lettera che segue è stata scritta daTarek Sgaieri poco prima di uscire dal car-cere. E’ la sua storia ed è piena di spe-ranze. Ma non tutto è andato come sa-rebbe stato giusto: la questura di Chietidefinendolo “pericoloso socialmente”,gli ha negato il permesso di soggiorno eal termine di una pena di 6 anni di car-cere, lo hanno convocato alla Mobile,quindi messo in un’auto e subito porta-to nel Cie di Bari per rimpatriarlo in Tu-nisia. Un provvedimento in palese viola-zione della “Direttiva sui rimpatri”115/2208 che tra l’altro non aveva tenu-to in alcun conto gli sforzi di chi (dire-zione carcere, educatori, polizia peni-tenziaria, volontari, istituzioni) per tantianni aveva lavorato per la piena attua-zione dell’articolo 27 della Costituzione.Ma per fortuna il diritto vince: prima ilgiudice di pace di Bari e poi quello di Chie-ti hanno annullato il decreto di espul-sione. Ora la parola spetta al Tar d’Abruz-zo al quale è stata fatta richiesta per ilpermesso di soggiorno. Con la speranzache l’operazione di reinserimento di Tarekvada a buon fine.

on sono un mostro e non sonoun criminale come mi hanno de-finito. Sono solo una personache vuole essere ascoltata. Oggiho ventotto anni, e nella vita hosempre avuto sfortuna. All'etàdi nove anni ho perso la cosa più

cara che io avevo, la mia mamma. Dopodi-ché mio padre ha preferito la sua secondamoglie a noi figli. Io e mia sorella, nono-stante la giovane età siamo stati cacciatifuori. Ormai sono passati venti anni, e an-cora oggi, non sappiamo l’uno dell’altra.Questa è la prima causa che mi ha costrettoa lasciare il mio paese; all'età di tredici annicome clandestino, nascosto sotto un camiondentro una nave, sono arrivato a Marsiglia,quindi, dal 1998 a Padova. Delle persone mihanno aiutato a trovare lavoro, ma pur-troppo in nero. Con quel lavoro sono anda-to avanti per quattro anni. Poi nel 2002 hotrovato un lavoro regolare col quale ho avutoil mio primo permesso di soggiorno. Ma que-sto lavoro non è durato al ungo; anche per-ché all'epoca il lavoro era poco. Purtropposono stato licenziato. Da lì in poi sono ri-masto senza lavoro, tutti i miei risparmi che

avevo messo da parte erano finiti tutti, nonavevo più neanche un soldo. Ero disperatoe non sapevo cosa fare. In breve ho persoanche la casa perché non riuscivo più a pa-gare l'affitto. Ma nonostante questo non homai pensato di fare una cosa fuori legge; fin-ché un giorno ho conosciuto un ragazzo al-banese insieme ad altri cinque miei paesa-ni. Mi hanno ospitato in una loro casa situatain centro di Padova; all'epoca essendo senzacasa, senza un lavoro, senza soldi e soprat-tutto senza un consiglio di un buon amico,sono stato costretto a rimanere insieme aloro: da quel momento non potevo uscirepiù fuori dal loro giro; a volte, se non face-vo quello che loro dicevano di fare, venivopicchiato selvaggiamente e venivo ancheminacciato di morte…dicevano che sareb-bero andati in Tunisia a cercare mia sorellaper portarla qua in Italia per farla prostitui-re, oppure che avrebbero ucciso mio padre.Finché finalmente fui arrestato: era 21 ot-tobre 2008. Devo dire una cosa: ero consa-pevole che stavo andando in carcere, ma erofelice. Felice perché in carcere avrei avuto lapossibilità di allontanarmi da quelle perso-ne. Oggi in carcere non passa giorno che nonpenso a quello che ho fatto, mi dispiace tan-tissimo. Sono colpevole dei miei reati. In tuttiquesti anni che ho passato dietro le sbarreho studiato, e oggi mi ritrovo con un diplo-ma. Ho trovato tante persone che mi hannoaiutato e che hanno avuto fiducia in me fa-cendomi uscire in articolo 21 e trovandomiun lavoro come manovale. E ora, mentreaspetto di uscire dal carcere perché sconta-ta la mia pena, vorrei soltanto poter conti-nuare a lavorare presso la ditta che mi ha as-sunto. Vorrei continuare a lavorare perdimostrare che non sono un delinquenteabituale come mi hanno definito. Qui a Chie-ti ho trovato persone che mi hanno tratta-to come un figlio e ho capito che nella vitabisogna essere umili. Tutti noi esseri umanipossiamo sbagliare; l'importante è saperreagire e aggiustare i nostri errori, in questianni ho fatto anche volontariato, aiutandocon la raccolta alimentare nei supermerca-ti. Questo per me è stato un elemento in piùper capire che nella vita bisogna essere utilia gli altri. Non chiedo altro, solo che vengaperdonato per i miei errori commessi, e chemi venga rinnovato il permesso di soggior-no per continuare a lavorare onestamente.

Tarek Sgaieri

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ProiezioneUn giorno, mentre stavo seguendo ilcorso di grafico impaginatore nel car-cere di Chieti, sono rimasto colpito dallaspiegazione della parola “proiezione”:l’idea di base è che, se il tuo occhio giacesu un piano bidimensionale, guardan-do un cerchio lungo la sua circonfe-renza, percepirai l’oggetto come unaforma a una dimensione. Ciò mi ricor-da tutte quelle situazioni in cui sei tal-mente dentro che non riesci a vedereil quadro complessivo e a mantenerela giusta prospettiva di osservazionedall’esterno.Ogni giorno scendevo a mani vuote erisalivo in stanza con un sacco di cosenuove imparate e che ho potuto subi-to mettere in pratica. Io sono un ra-gazzo di 28 anni e proprio durante que-sta carcerazione ho scoperto di averela dote del disegno. Ci tengo a preci-sare che non ho mai seguito corsi di pit-tura, mi piace disegnare e sperimenta-re altre forme d’arte. Il disegno mi fasentire libero totalmente (cosa che quiproprio mi manca) ed è per questo cheho cominciato a disegnare. Disegno riprendendo ritratti fotogra-fici miei, dei miei amici, disegni trova-ti qua e là, insomma qualsiasi cosa vedoio riesco a portarla su un foglio. Per mele immagini valgono più di mille paro-le..quando disegno, lì con la mano e lamatita sul foglio bianco che presto saràriempito dai colori delle mie emozio-ni, mi sento come libero e quando fi-nisco mi sento gratificato. (Joan Damir)

Il mio corso di informaticaSono contento di essere stato inseritonel corso di informatica che si tiene nelcarcere di Pescara. Per me è un piccolopasso verso la libertà, anche se solomentale. Perché facendo questo corso,ho la possibilità di fare quello che piùmi piace, visto che io sono attratto datutto quello che è elettronico e tecno-logico. Da sempre, già da bambino,avevo questa passione: mi ricordo quan-do uscì il Commodore 64. Purtroppo al-l'epoca i miei genitori non avevano lapossibilità di comprare il computer, maavevo un mio amico di scuola il qualeavendo un negozio di abbigliamentoebbe in dono da suo padre un compu-ter per la gestione delle attività. Ne ho,diciamo così, approfittato: andavo tuttii giorni da lui per giocare con il com-puter, essendo all'epoca ancora picco-li e per noi il computer era visto solosotto forma di gioco. All'epoca nonavrei mai immaginato che si sarebbearrivati a tutto quello che oggi gira at-torno al computer, poi ora con l'avventodi Internet se non sei collegato sei fuoridal mondo, e noi qua non potendo con-netterci siamo tagliati fuori dal mondo.E così, purtroppo, l'unico contatto conla vita reale è la televisione. (Antonio Malandra)

La magia del teatro Scrivere sul teatro come iniziativa dasvolgere in carcere è abbastanza sem-plice. Tra tutte le iniziative possibili eimmaginabili, per me quella del “La-boratorio” teatrale è una delle migliori.Quest’anno per la prima volta ho par-tecipato e sono rimasto molto colpitodal metodo con cui si arriva a metterein scena una commedia. Solo ora rie-sco a comprendere la parola “Labora-torio” nel suo vero significato. Sonocerto che questo percorso è frutto di

Una piccola tanaper topiCirca 10 mesi fa ho cominciato a ci-mentarmi con l’ago e il filo. Una sceltafatta dalla necessità di fare qualcosadopo una specie di tracollo fisico cau-sato dalla mia situazione di detenuto.A dire il vero già in passato sono statovittima di forti depressioni con tantodi esaurimento nervoso dovuto princi-palmente a stress per il duro lavoro dicamionista. Ma questa volta il mio ce-dimento è stato veramente grave alpunto che sono anche stato ricoveratoin ospedale. Comunque, una volta tor-nato in cella, nel male ho trovato qual-cosa di bene: ho infatti conosciuto unaltro detenuto che sa cucire un po’ ditutto: borselli, borse, cappelli e capi diogni tipo. Incuriosito da ciò e da cosasi poteva fare con un semplice ago efilo e vista la sua disponibilità nel pre-starmi ciò che aveva (un ago in più) co-minciai anch’io a creare qualcosa.Quando ci era concesso, ci recavamo inuna saletta adibita alla socialità e doveio davo fondo a tutta la nostra creati-vità per assemblare in intrecci vari pic-coli pezzetti di stoffa di vario colore etipo. Insieme producevamo oggetti cheerano presenti solo nella nostra fanta-sia: cappelli, borselli, borse insommatanti piccoli capolavori di arte con-temporanea. Pensavo tra me e me: vuoivedere che senza saperlo sono nati due

anni e anni di lavoro, ma anche di con-vinzione, impegno e anche di un piz-zico di grinta. Nel caso della nostra re-gista, la signora Paola Capone, vera epropria artefice di tutto, ci aggiunge-rei anche la testardaggine, o come sivuol dire “cocciutaggine”, in un mistodi pazienza inesauribile alternata daurla degni di una cantante lirica, sguar-di che sono più chiari delle parole e sor-risi distensivi e armoniosi. Inoltre bi-sogna sottolineare la sua insindacabilebravura e soprattutto la sua passione,che trasforma quello che sembra unmuro di cartone in un muro di cemen-to armato indistruttibile . Certamenteè proprio la sua immensa passione cheha aiutato la nostra regista a superarei tanti momenti di difficoltà creati danoi e da altri, che magari a volte le avran-no fatto pensare di mollare questo viag-gio senza compensi, pieno di sacrifici econ orari limitati dalle esigenze del-l’amministrazione penitenziaria. Solola passione può fare questi miracoli!D’altronde se passione non è, sono ten-tato di dire che c’è una testa che nonfunziona al meglio. Bisogna però ri-badire che determinati risultati si ot-tengono solo con la passione.Cara Paola, lo so che abbozzerai unsorriso quando leggerai queste righe.Non lo scrivo per adularti, ma io vengoal laboratorio per piacere ; mi piace ve-nirci anche se non ho un ruolo ben de-finito, ho imparato a conoscere e adapprezzare il teatro nei diversi aspet-ti che prima ignoravo. A volte vedo imiei compagni che settimana dopo set-timana migliorano e sono soddisfat-

to, provo piacere anche per quel pocoche faccio, mi sento di far parte di que-sto gruppo e questo mi rende felice.Dopo queste riflessioni, in verità, nonposso fare a meno di incitarti, anchese in verità non ne hai bisogno, di pro-seguire questa tua avventura per tan-tissimi anni ancora, con soddisfazionied emozioni sempre maggiori, a spro-narti di non mollare mai e non farcimai mancare quella magia del teatroche con il tuo magnifico insegnamen-to ci hai fatto assaporare. Ciao, Paola.(Antonio D’Ingiullo)

Disegno di Joan Damir

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Caritas, se ci seibatti un colpoCaritas, se ci sei, batti un colpo. Scrive-re in questo modo dell’organismo pa-storale della Cei che promuove la cari-tà può sembrare strano, ma questo nonsignifica che non riconosciamo i meri-ti della Caritas nella rete nazionale, anzitutt’altro; ma per quanto riguarda lapresenza della Caritas chietina nellaCasa Circondariale di Chieti si può tran-quillamente parlare di un’assenza in-giustificata.Scrivo questo pezzo perché negli anniprecedenti ho avuto il piacere di sco-prire tutto quello che la Caritas ha fattoospitando ad esempio presso la casa diaccoglienza “Mater Populi Teatini” idetenuti agli arresti domiciliari (com-presi quelli che erano affetti da malat-tie particolari) e offendo alloggio allefamiglie dei carcerati che venivano dalontano. Inoltre i volontari Caritas eranosempre disponibili ad accompagnare idetenuti in permesso, venivano spes-so in carcere per promuovere tantissi-me attività, e soddisfacevano tutti i bi-sogni di abbigliamento per i menofortunati, prodigandosi in tutto e pertutti. Ma oggi, nel 2014, la Caritas, per i de-tenuti di Chieti è diventata un mirag-gio, conosciuta per nome e non per ifatti: per avere qualche capo di abbi-gliamento bisogna fare una richiestascritta e rivolgersi al cappellano del car-cere…insomma è diventata un’ope-razione lunga, macchinosa e alquantodifficoltosa. Credo sia superfluo a que-sto punto dire che lo spot pubblicita-rio della Caritas che dice di essere sem-pre vicina e a sostegno dei bisognosi,non riguarda i carcerati di Chieti. Possosupporre che, con la crisi che ha colpi-to un po’ tutti, siano aumentati tantis-simo gli utenti, ma…Queste righe non vogliono essere nèuna denuncia nè tantomeno un recla-mo, ma semplicemente una richiestaperché il rapporto tra la Casa Circon-dariale teatina e la Caritas stessa siaproficuo: noi siamo qui e non possia-mo far altro che aspettare. (Antonio D’ Ingiullo)

SubsonicaUn disco uscito nel 2000 prodotto dalla“Mescal”, che ha poi rivenduto alla“Sony Music” i diritti per la distribu-zione. Stiamo parlando del lavoro diSamuel (voci), Pierfunk (basso), C-Max(chitarre), Boosta (tastiere, campioni),Ninja (batteria), Bass Vicio (basso); seiragazzi talentuosi che si uniscono in-torno al 1995 e già nel ’97 raccolgonoi primi frutti del loro successo con l’ usci-ta del primo album intitolato con ilnome della band “Subsonica”. Di que-sto disco va ricordato più di tutti il pezzo“Radioestensioni” che fa subito capi-re le intenzioni della band che sonoquelle di lasciare un’impronta tutta per-sonale: riescono infatti a mescolare so-norità puramente rock con campionidi musica elettronica di vari generi. Nel’99 vanno a San Remo portando un loropezzo inedito “Tutti i miei sbagli”; perla critica sanremese è un flop ma per ifan è la conferma che sono uno deigruppi “sperimentali” più innovativoe orecchiabile sul mercato in queglianni.A questo punto nel 2000 registrano perla seconda volta l’album Microchip Emo-zionale aggiungendo solo la tracciaportata al Festival della Canzone Ita-liana: è l’apice della sonorità targataSubsonica, unica e inconfondibile. Daquesto momento in poi le date dei con-certi aumentano a dismisura; le 14 trac-ce sono una più esplosiva dell’altra.Ho scelto proprio questo album perchéla band in 14 tracce riesce ad esprime-re con beat house, electro, techno edrum ‘n’ bass mixate a chitarre e bat-teria rockeggiante, tutto il suo essereuna new style band con una semplici-

nuovi stilisti? Oltre a questi capolavo-ri facevamo e tutt’ora facciamo anchepiccole riparazioni per altri detenuticome ricuciture, pieghe a pantaloni etute, cambio di cerniere, rimessa di bot-toni, modifiche di capi di ogni genereetc. Il motivo iniziale, come detto, era solocuriosità ma con il tempo questa atti-vità è diventata per me una necessità:creare qualcosa mi porta fuori da que-ste gelide mura. Ogni oggetto creatoè dedicato a qualcuno e il tempo tra-scorso per realizzarlo trascorre con ilpensiero del suo futuro destinatario.Per fare degli esempi : ho creato unborsellino da ragazzo per mio figlio etutto il tempo servitomi per realizzar-lo ho pensato a lui. Poi ho creato alcu-ne borse e un cappello per una perso-na a me molto vicina che mi è stataidealmente a fianco per tutto il temponecessario a terminare il lavoro. In-somma ho realizzato parecchi ogget-ti tipo zainetti, sacche, borselli da bagno,tabacchiere e poi, borse e borselli ditutti i tipi e per tutte le età. Ne ho fab-bricati per amici, compagni di cella, peri loro familiari, per le persone a mecare, addirittura sono così preso che avolte trascuro la mia salute pur di rea-lizzare i miei prodotti. Ora mi si è pa-lesata una nuova sensazione: la vogliadi donare a chiunque una mia crea-zione. Sono arrivato a pensare che senzaquesto passatempo io sarei come unapianta senz’acqua: dunque per me èdiventata linfa vitale.L’unico neo a tutto ciò è la mancanzadi spazio dove poter svolgere il lavoro.Nella cella infatti, considerando che incerti periodi siamo stati anche otto per-sone, non sono ben visto per via di tuttiquei pezzetti di stoffa vecchia e ma-leodorante sempre in giro. Un proble-ma che abbiamo incontrato è la scar-sa luminosità dell’ambiente perché èun lavoro che impegna molto la vista,infatti sia cella che saletta in verità la-sciano molto a desiderare da questopunto di vista. Un’altra difficoltà ri-scontrata è lavorare in mezzo al caosdi gente che vaga senza meta. In que-sti posti, dovete sapere, che è difficilenon dare o subire fastidio. Abbiamoprovato, allora, a chiedere un ambien-te un po’ più tranquillo per chi, comenoi, vuole cercare di creare qualcosa,che magari possa sfociare in un futu-ro lavoro artigianale o ha solo bisognodi estraniarsi da questo luogo di soffe-renza. Sono trascorsi più di due mesiormai che, io e il mio” collega” ci ci-mentiamo quotidianamente con agoe filo scambiandoci di tanto in tantoqualche parola e idea per nuove crea-zioni … Questa attività seppur nonmolto loquace ci aiuta a tutti e due asuperare l’immensa solitudine che cipervade l’animo in questo posto … Avolte basta poco per alleviare le soffe-renze altrui : a me e al mio amico sa-rebbe sufficiente anche un solo picco-

lissimo angolo dove chiunque abbiavoglia di fare, possa stare in pace.Voi non sapete che gioia si può prova-re a donare oggetti creati con le pro-prie mani ! Vorrei tanto avere la possi-bilità di creare un angolo per coloroche, soffrendo come noi, chiedono solodi poter stare in santa pace con se stes-si e con gli altri! All’inizio non avrei maiimmaginato che, con il tempo sarei riu-scito a creare qualcosa che mi avessepermesso di sopravvivere! Sapete, ladignità di un uomo, si evince anche daquello che egli riesce a fare in condi-zioni estreme! Il donare qualcosa fattocon le mie mani equivale a dare del-l’affetto. Forse lo stesso affetto che, inquesto momento della mia vita, nonsento di poter dare ai miei cari ed aimiei amici che mi danno sostegno in-viandomi lettere, cartoline o facendo-mi visita pur di starmi vicino in questodifficilissimo momento della mia vita!Spero tanto che le autorità ci diano unamano a realizzare un “angolino” dovepoter realizzare le nostre creazioni Infondo chiediamo solo un angolino,grande come una piccola tana per topi!(Ferdinando)

tà e originalità uniche. Dopo questohanno pubblicato altri due album cheha portato altra fama e popolarità, tant’è che Boosta (il tastierista) ha iniziatoun progetto come dj e Samuel (la voce)ha creato un duo con lui alla voce ed undj producer che gli sparava basi house(chiamati “Motel Connection”).Insomma, i Subsonica sono sempre unadelle band più underground che ci sianoin circolazione al momento: una bandche riesce a passare da 100 Bpm roc-keggianti fino a spingere i propri fan aballare a ritmo dei 140 Bpm della Drumand Bass non può davvero passare inos-servata. (Brian 5torm)

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Sulla legalizzazione delle droghe leggere

o credo che in Italia non sia possibile legalizzare nes-sun tipo di droghe, e questo perché ci sono immensiguadagni sul mercato illegale. Insomma temo che siaquasi impossibile togliere questa fetta di mercato dallemani della criminalità organizzata che opera anchecon la complicità delle istituzioni deviate. E dico que-sto ben sapendo che con il proibizionismo non si ri-solve il problema ma si incrementa solo l’aumento dei

reati legati all’assunzione delle droghe visto che il consumato-re si ritrova a rubare per potere acquistare il fabbisogno gior-naliero, oppure si ritrova a sua volta a spacciare per poter assi-curarsi il fabbisogno giornaliero delle sostanze. Io credo chebisognerebbe provare a cambiare atteggiamento verso le dro-ghe, partendo dalle scuole mettendo in atto una seria campa-gna di informazione sia sugli effetti devastanti di alcune dro-ghe ed anche sugli effetti terapeutici: un domani si potrebbearrivare a legalizzare tutte le droghe essendovi una cultura dibase permettendo ai ragazzi di essere consapevoli a che cosavanno incontro. Ora proverò a dare un piccolo contributo portando la mia espe-rienza personale: come quasi tutti ho iniziato tramite amici piùgrandi a fumare spinelli, essendo all'epoca un ragazzino di quat-tordici anni e come la maggior parte di chi prova lo spinello miè subito piaciuto, non sapendo affatto che di lì a pochi anni sareipassato ad usare anche cocaina ed eroina, perché anche se nonè un passaggio obbligatorio o scontato, di solito tutti quelli chesono arrivati ad usare le droghe cosiddette pesanti sono parti-ti da un innocuo spinello! Quindi, non so se sapendo cosa miaspettava usando le altre droghe, sarei arrivato ad usarle, pro-babilmente sì. Ma non posso giurarlo. Comunque sia la cosa èandata cosi: iniziando a fumare spinelli si entra nel mondo del-l’illegalità, perché purtroppo in Italia l’unico modo per procu-rarsi lo spinello è per vie illegali, quindi si fanno conoscenze dipersone che oltre a vendere droghe leggere, vendono anchedroghe pesanti. E il passaggio dalle leggere alle pesanti, anchese non automatico, può capitare. Col risultato che aumenta ilfabbisogno e a quel punto i soldi non bastano mai. Si inizia conil commettere reati per procurarsi la droga ed è facile arrivarea spacciare, come è successo a me e mi sono ritrovato in carce-re, il posto più sbagliato per un tossicodipendente. Perché il car-cere ti aiuta solo a rovinarti. E io penso che questo non succe-derebbe se si legalizzassero tutte le droghe, non solo quelleleggere.Visto che in Italia vi sono attualmente in carcere (dati del dipar-timento dell'amministrazione penitenziaria) 26.559 personetossicodipendenti (il 34% circa del totale) ben si capiscono le di-mensioni del problema, specie se si tiene conto del fatto che,come riporta il libro bianco, "sui 37.750 detenuti con condannapassata in giudicato, presenti al 27 novembre 2011, ben 14.590(38,90%) lo sono per violazione della legge sugli stupefacenti".Eclatante il dato della Toscana dove, secondo una ricerca, "il40%dei detenuti sono in carcere per reati di droghe minori”: sitratta spesso di consumatori che semplicemente detenevanoquantità superiori al limite consentito, grazie alla Fini-Giova-nardi che ha ridotto la quantità per uso personale e ha equi-parato tutti i tipi di droga, non facendo più distinzione fra dro-ghe leggere e droghe pesanti."Uno studio del professor MarcoRossi dell'università La Sapienza di Roma stima le imposte ri-cavate sulla vendita della cannabis pari a 5,5 miliardi di eurol'anno". Con la depenalizzazione, poi, si stima che si potrebberisparmiare un altro miliardo per le sole spese carcerarie. Intempi di crisi, forse vale la pena rifletterci.

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IMillion Marijuana March

abato 8 febbraio 2014 in giro per le stra-de di Roma si sono riuniti migliaia di gio-vani e movimenti antiproibizionisti. Il cor-teo è stato seguito per tutta Roma fino araggiungere Piazza delle Medaglie d’Oro.

I giovani rivendicavano a gran voce la liberalizza-zione delle droghe leggere (marijuana ed hashish),nella massa si potevano trovare persone di tuttele età e di tutte le classi sociali. L’ennesima MillionMarijuana March che ha travolto le capitali di tuttoil mondo pian piano sta avendo i suoi effetti. Masuccede soprattutto all’estero perché in Italia, inrealtà, siamo sempre in stallo con le solite discor-die radicate su opinioni e pregiudizi. Anche que-st’anno il corteo ha cercato di portare alle orecchiedel pubblico i problemi relativi a tutte le conse-guenze che questo proibizionismo porta. In primisil portare soldi in nero nelle tasche delle mafie chegrazie ai loro enormi canali riescono a far entrareenormi quantitativi di droghe leggere e non. Ed èqui che sorge il primo problema, come può un ra-gazzo acquistare cannabis senza venire a contat-to con la malavita organizzata che un giorno o l’al-tro gli proporrà un’ altra sostanza stupefacente,cosiddetta pesante. Al momento in Italia per chivuole farsi uno spinello questo è uno dei proble-mi principali, dato che la coltivazione è illegale,quindi il giovane è portato a mettersi in mezzo adun giro più grande di lui.Siamo nel 2014, e non ancora riusciamo o non vo-gliamo capire che liberalizzando le droghe legge-re diminuirebbe l’immondizia che ti vendono mi-schiata all’erba o al fumo per poter far crescere ilpeso e il volume. Quindi un ragazzo se vuole fu-mare non è costretto a mettere a rischio i propripolmoni, i propri neuroni e soprattutto a non doverportare i propri soldi nelle mani delle organizza-zioni criminali; non è costretto a delinquere peracquistare il proprio quantitativo per uso perso-nale, e non parlo di delinquenza in generale, per-ché chi compra fumo o erba per la legge italianacommette un reato anche se è per uso personale.Potrei fare altri tre mila esempi…e chiudo con unadomanda che da quando ho 18 anni mi pongo: manon è che allo stato conviene questo mercato nero?

Brian 5torm

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Sulla legalizzazione delle droghe leggere

Legalizziamo o non le-galizziamo? Giusto o sba-gliato? Ovviamente stia-mo parlando dell'usodella cannabis a scopi ri-creativi, visto che per l'usoterapeutico ormai da

tempo è stata legalizzata.Beh comunque la risposta non è poicosi semplice, almeno non tanto quan-to la domanda.Partiamo quindi dallo spiegare cosacambierebbe con un ipotetica lega-lizzazione. Offrendo alle persone adul-te la possibilità di poter acquistare econsumare cannabis e derivati in ma-niera legale tutto il mercato di conse-guenza risulterebbe più trasparente.Nella coltivazione si farebbe capo atecniche migliori sia dal punto di vistadella salute pubblica che da quellodella salvaguardia del territorio. Il mer-cato nero andrà ridimensionandosi econ lui i problemi che da lui dipendo-no. Le autorità potranno elaborareuna regolamentazione sensata e con-trollare i punti vendita durante tuttoil processo, dalla coltivazione al con-sumo. I punti vendita possono creareimpiego e acquistare quantità consi-derevoli di merci e servizi sottoposti aimposizione fiscale. Questo sistemapuò mettere rapidamente a disposi-zione del consumatore un’alternati-va al mercato nero. La produzione ela distribuzione di cannabis creereb-bero in Italia un considerevole aumentodei posti di lavoro, molti contratti atempo indeterminato e altrettanti atempo determinato. I salari, la tassa-zione e le imposte del ramo reintro-durrebbero ogni anno milioni di euronell’economia ufficiale diventando unfattore innegabile di crescita. I consu-matori di cannabis, giovani o meno,non avrebbero più l’impressione di es-sere ammalati sotto tutela se non ad-dirittura dei delinquenti. Le organiz-zazioni criminali subirebbero un drasticotaglio ai loro introiti. Come passare da una proibizione to-tale a una regolamentazione del mer-cato che protegga la salute e la sicu-rezza pubblica e nello stesso tempogarantisca un impatto socio-econo-mico molto positivo? La risposta forseè sotto gli occhi di tutti, da tempo nelmondo e in Europa stanno nascendo

i cosiddetti “cannabis social club”, as-sociazioni senza fine di lucro che or-ganizzano la coltivazione professio-nale collettiva di una quantità moltolimitata di cannabis sufficiente a sod-disfare i bisogni personali dei membridel club. In questi club la marijuananon viene venduta, ma ripartita inparti a seconda del bisogno persona-le. Ogni socio versa all'associazioneuna quota pari ai suoi bisogni che ser-virà per la produzione dell'erba da luiconsumata. A mio avviso questa sa-rebbe la strada migliore da seguire,ma anche il modello americano re-cente che tratta la cannabis come unqualsiasi articolo di vendita, se noncon qualche regola in più, non è poicosi male e per scoraggiare il narco-turismo di massa si sono inventati unarestrizione che permette ai non resi-denti di acquistare marijuana solo inpiccolissime quantità. L’Uruguay haapprovatola legge sulla produzionee la vendita della cannabis. Si calcolache, lo Stato del Colorado, guadagneràcirca 60milioni di dollari quest'annograzie al commercio legale di canna-bis e molti altri stati come Washingtone Oregon stanno seguendo l'esempio.Ma se gli U.S.A. che hanno fatto dellawar on drugs il loro statuto per moltianni ed ora finalmente cambiano ten-denza, questo non dovrebbe farci ri-flettere tutti? Una legge che non vienerispettata dai cittadini semplicemen-te non è una buona legge. In Italia ormai il dibattito è avviato edè notizia di qualche giorno fa che fi-nalmente la famosa legge Fini-Giova-nardi è stata dichiarata anticostitu-zionale e finalmente abolita, una leggeche ha prodotto più danni che bene-fici e che di fatto ha incarcerato e per-seguito migliaia di consumatori di can-nabis manco fossero narco-terroristisenza alcuna distinzione tra drogheleggere e non. Per fortuna da oggi nonè più cosi, ma ancora molto c'è da fareper portare il bel paese ad un punto diciviltà accettabile.Ma che cos'è la cannabis? Cos'è e comenasce il proibizionismo?La canapa o marijuana è la pianta nonalimentare più antica che l'uomo abbiamai coltivato. Il proibizionismo non haalcuna base scientifica, alcuna giusti-ficazione storica o morale, non ha al-

cuna giustificazione sul piano legalee costituzionale, è un ideologia e cometale si giustifica in se stessa, di controinvece abbiamo conoscenze ed evi-denze scientifiche. Esperienze prati-che ci dimostrano che occorre una po-litica diversa.In realtà nessuno ha mai dimostratodei danni fisici nel cervello dei consu-matori di cannabis. I ricercatori consi-derano le droghe nella loro pienezzae nella loro pericolosità mettendo alprimo posto in classifica per danni edipendenze alcol e tabacco seguitedalle cosi dette droghe pesanti.Tutti i giovani cominciano a fumareprima sigarette , prima a bere almenouna birra e poi qualcuno di loro passaalla cannabis, una percentuale moltomodesta passa a droghe pesanti comela cocaina o eroina, quindi il passag-gio dalle droghe leggere a quelle pe-santi è un luogo comune che va asso-lutamente rivisto, a volte questopassaggio può avvenire quando un in-dividuo va a comprare cannabis e lospacciatore attirato da guadagni su-periori lo esorta a passare a droghepiù pesanti, questo non avverrebbecon una legalizzazione controllata.Purtroppo la stragrande maggioran-za delle informazioni dei nostri gior-ni sull’argomento è fortemente con-dizionata da ideologismi, c'è unaccanimento a mostrare tutto il malepossibile o tutto il bene possibile. Iovorrei affrontare il problema in unamaniera un po' più laica, se un indivi-duo adulto sa quelli che sono gli ef-fetti della cannabis nel bene e nel male,potrà decidere in un modo o nell'al-tro, così come un politico potrebbe,conoscendo tutta la verità non soloquella di parte, prendere delle deci-sioni più ponderate e quindi stabilirese una legalizzazione nel suo intero èpiù dannosa di una situazione di proi-bizionismo, senza pregiudizi.Non vorrei dare l'impressione di esse-re a favore di una legalizzazione sel-vaggia nè vorrei mai istigare nessunoal consumo di droghe nè tanto menodi cannabis, non rientra nella sferadelle priorità di chi scrive. Vorrei solopiù chiarezza attorno ad un proble-ma che ormai non può più essere ri-mandato.

Mario Livrieri

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Ricordi quel giorno in prigione quando, in-contrandoti per caso, ti ho chiesto se sapevileggere? Ebbene, io non volevo che tu legges-si un libro, volevo che tu vivessi un libro! Tuttoil resto sarebbe venuto da sé, se il caso lo aves-se voluto. Il saper leggere, ti dissi, permette dievocare nella nostra mente un mondo fatto disuoni, profumi e immagini. Se sappiamo leg-gere infatti viviamo e passeggiamo in questomondo come se fosse reale e il messaggio dellibro arriva al nostro cuore come se facesseparte di noi, della nostra vita. Poi dopo alcunigiorni vidi che sfogliavi un libro con un certointeresse. Senza farmi notare mi allontanai sor-ridendo … e pensai “benvenuto nel mondodella cultura!” Dopo un po’ di tempo vidi unavviso in bacheca che invitava chi fosse inte-ressato a iscriversi a scuola. Uno dei tanti gior-ni, in cui vagavi nel tuo nulla per il solito corri-doio, mi avvicinai a te e, facendo finta diimbattermi per caso in quell’avviso, ti chiesi:perché non ti iscrivi ? La tua secca risposta fu:perché? Tanto non serve a niente, da noi a scuo-la non ci va nessuno perché non ci si guadagnaniente ! Rifletti - ti replicai - essendo tu una per-sona intelligente, perché permetti di isolartidal mondo? Forse non lo sai, ma le uniche speseche sono un guadagno per te, sono il viaggia-re e lo studiare. Dopo qualche giorno sei venuto a cercarmi permostrarmi la tua richiesta di iscrizione a scuo-la. Eri felice… e lo ero anch’io.

Franco