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ISSN 2283-5873 SR Scienze e Ricerche MENSILE - N. 8 - GIUGNO 2015 8. ISSN 2283-5873 Luis e Simon Cremonese Viaggio in Corsica

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ISSN 2283-5873

SRScienze e RicercheMENSILE - N. 8 - GIUGNO 2015

8.

ISSN 2283-5873

Luis e Simon Cremonese

Viaggio in Corsica

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Viaggio in Corsica SOMMARIO

All’alba della storia pag. 5Sotto le ali di Atene pag. 6Il complotto cartaginese pag. 9La supremazia etrusca pag. 10La Corsica guarda a Roma pag. 13Il tumultuoso ingresso nel Medioevo pag. 15Le repubbliche marinare si contendono l’isola pag. 18Cinque secoli nel segno di Genova pag. 19La Francia pag. 23

1. BASTIA Bastia pag. 25

2. CAP CORSE (U CAPU)Cap Corse pag. 31Macinaggio e il sentiero dei doganieri pag. 40

3. LA BALAGNESaint-Florent e il Nebbio pag. 43Il deserto des Agriates pag. 46La Balagne pag. 48L’Île Rousse pag. 51Calvi pag. 51

4. LA COSTA OCCIDENTALEPorto e il suo golfo pag. 53La riserva naturale della Scandola pag. 54Cargèse e il golfo di Sagone pag. 55

5. AJACCIOAjaccio, la città di Napoleone pag. 57Le Isole Sanguinarie pag. 62La foresta di Chiavari pag. 62

6. L’ALTA ROCCAPropriano pag. 63Sartène e il Sartenese pag. 64Levie pag. 67

7. IL VERSANTE ORIENTALEVescovato e la Costa Verde pag. 69La Castagniccia e le sorgenti di Orezza pag. 69Aléria, la prima colonia fondata in Corsica pag. 71Il Fiumorbo e il Monte Renoso pag. 73Solenzara e le guglie di Bavella pag. 73Porto-Vecchio pag. 74

8. BONIFACIOBonifacio: il Capo Sud pag. 79

9. IL CUORE DELLA CORSICALa valle dell’Asco pag. 85U Niolu (Il Niolo) e la foresta di Aitone pag. 87La capitale storica della Corsica: Corte pag. 88Il Bozio pag. 90La valle del Tavignano pag. 92La foresta di Vizzavona pag. 92La valle della Gravona pag. 95Bastelica pag. 95

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ISSN 2283-5873 Scienze e RicercheRivista bimensileSuppl. al n. 20 (1° gennaio 2016)

Coordinamento• Scienze matematiche, fisiche, chimiche e della terra:

Vincenzo Brandolini, Claudio Cassardo, Alberto Facchini, Savino Longo, Paola Magnaghi-Delfino, Giuseppe Morello, Annamaria Muoio, Andrea Natali, Marcello Pelillo, Marco Rigoli, Carmela Saturnino, Roberto Scan-done, Franco Taggi, Benedetto Tirozzi, Pietro Ursino

• Scienze biologiche e della salute: Riccardo N. Barbagallo, Cesario Bellantuono, Antonio Brunetti, Davide Festi, Maurizio Giuliani, Caterina La Porta, Alessandra Mazzeo, Antonio Miceli, Letizia Polito, Marco Zaffanello, Nicola Zambrano

• Scienze dell’ingegneria e dell’architettura: Orazio Carpenzano, Federico Cheli, Massimo Guarnieri, Giuliana Guaz-zaroni, Giovanna La Fianza, Angela Giovanna Leuzzi, Luciano Mescia, Maria Ines Pascariello, Vincenzo Sapienza, Maria Grazia Turco, Silvano Vergura

• Scienze dell’uomo, filosofiche, storiche, letterarie e della forma-zione: Enrico Acquaro, Angelo Ariemma, Carlo Beltrame, Marta Bertolaso, Ser-gio Bonetti, Emanuele Ferrari, Antonio Lucio Giannone, Domenico Ien-na, Rosa Lombardi, Gianna Marrone, Stefania Giulia Mazzone, Antonella Nuzzaci, Claudio Palumbo, Francesco Randazzo, Luca Refrigeri, Franco Riva, Mariagrazia Russo, Domenico Russo, Domenico Tafuri, Alessandro Teatini, Patrizia Torricelli, Agnese Visconti

• Scienze giuridiche, economiche e sociali: Giovanni Borriello, Marco Cilento, Luigi Colaianni, Riccardo Gallo, Ago-stina Latino, Elisa Pintus, Erica Varese, Alberto Virgilio, Maria Rosaria Viviano

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colari si rinvia alle informazioni contenute nel sito)Una copia in formato elettronico: 7,00 euroUna copia in formato cartaceo (HD, copertina a colori, interno in b/n):

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scientifica (solitamente in italiano).• ricerche e articoli scientifici (in italiano, in inglese o in altre lingue).

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Scienze e RicercheSede legale: Via Giuseppe Rosso 1/a, 00136 RomaRegistrazione presso il Tribunale di Roma n. 19/2015 del 2/2/2015Gestione editoriale: Agra Editrice Srl, RomaTipografia: Andersen Spa, BocaDirettore responsabile: Giancarlo Dosi

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VIAGGIO IN CORSICA | SCIENZE E RICERCHE

cheologica di Filitosa, ad esempio, nel sud dell’isola, rico-nosciuti di interesse mondiale dall’Unesco, sono opera di antichissime e animose tribù, probabilmente del terzo mil-lennio avanti Cristo. Ma vi sono tracce ancora più antiche: lo scheletro di una giovane donna conservato al Museo di Lévie, noto come la “Dama” di Bonifacio, il più antico re-perto storico di cui si abbia traccia in Corsica, risale al 6570 avanti Cristo. Non vi è dubbio, insomma, che in Corsica la vita fervesse già da parecchio tempo.

Viaggio in Corsica

ALL’ALBA DELLA STORIA

Nel 563 avanti Cristo - a dar retta alle cronache - alcuni coloni greci provenienti da Focea, in Asia Minore, giunsero sulla costa orientale della Corsica e fondarono alla foce del Tavignano, dove oggi è Aleria, la città di Alalia.

Fu un evento sicuramente straordinario, ma altre po-polazioni, prima di quei coloni, avevano già messo piede nell’isola. I dolmen e i monumenti in pietra dell’area ar-

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preceduti avevano portato soltanto mercanzie ed esperienza, i greci esportavano addirittura una civiltà: l’arte, la religio-ne, la lingua, il pensiero, l’organizzazione sociale. E tutto il fascino della loro storia. Ce n’era a sufficienza per sentirsi onorati della loro presenza.

C’era però anche dell’altro. La colonizzazione greca era un’espansione pacifica. Le colonie erano Stati indipendenti, legati alla madrepatria da motivi di convenienza commercia-le e sociale, ma anche da vincoli morali che impegnavano ad un reciproco aiuto in caso di necessità. Alla Grecia si guar-dava dunque con ammirazione e speranza, ma dalla Grecia ci si sentiva anche protetti.

Così, quando i coloni focesi arrivarono ad Alalia, sulla co-sta orientale della Corsica, dopo aver fondato probabilmen-

Da molti secoli, oltre a lottare e a difendersi, l’uomo arava e coltivava la terra anche in Corsica, irrigava i campi, alleva-va il bestiame, modellava e dipingeva la ceramica. Nei pressi di Saint Florent, nel nord dell’isola, si lavoravano i vimini, nella piana di Aleria il rame. Dalla Mesopotamia e dall’E-gitto la scrittura era arrivata da tempo. Poi cominciarono a fiorire i commerci, a crescere le città. Veloci imbarcazioni iniziarono a solcare i mari verso nuovi mercati.

SOTTO LE ALI DI ATENE

Nel 563 a.C. dunque, quando i coloni greci sbarcarono sul-le coste della Corsica, l’isola era già affollata da tempo.

Questa volta però era diverso. Se i popoli che li avevano

La foresta e il lago dell’Ospedale nei pressi di Porto-Vecchio

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Tirreno, non vi fossero comunque solo ragioni squisitamente commerciali.

A quei tempi l’impero persiano, anch’esso affacciato sul Mediterraneo, non era entrato ancora formalmente in guer-ra contro la Grecia, ma le sue tribù si contendevano oltre al potere anche le terre, e con esse i popoli che le abitavano, senza curarsi molto della loro nazionalità. Fra queste terre c’era anche Focea. Fu quindi anche per sfuggire alla schiavi-tù persiana che alcuni gruppi di focesi abbandonarono la loro patria nel VII secolo a.C. imbarcandosi precipitosamente per luoghi più tranquilli e arrivando in Corsica. Col senno di poi si potrebbe dire che presero forse una decisione troppo pre-cipitosa, giacché Focea fu distrutta soltanto alcuni secoli più tardi, per mano dei saraceni, ma tanto bastò a circondare la

te alcuni anni prima sulla foce del Rodano anche Marsiglia, qualcuno capì che per Cyrnos - come i greci battezzarono inizialmente l’isola - si stava per aprire un capitolo veramen-te nuovo: il primo capitolo della sua storia.

Focea era greca, ma non era esattamente in Grecia. Era

stata fondata pochi anni prima sulla costa nord-occidentale dell’Asia Minore, poche miglia più a sud dell’isola di Lesbo, da emigrati provenienti dalla Focide, sulla sponda settentrio-nale del golfo di Corinto. In poco tempo aveva acquistato enorme importanza come città di traffico, non soltanto nel mar Egeo, e i suoi marinai godevano fama di navigatori abili e intraprendenti.

Sembra che a spingerli a navigare verso Occidente, fin nel

La foresta e il lago dell’Ospedale nei pressi di Porto-Vecchio

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I resti di un’antica torre genovese sul mare

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un’altra parte: Cartagine, che alzava il tiro giorno dopo gior-no per contrastare l’egemonia greca nell’area e bloccarne l’espansione al di qua delle colonne d’Ercole.

IL COMPLOTTO CARTAGINESE

Cartagine era stata fondata sulla costa africana dai fenici di Tiro oltre due secoli prima, ma solo adesso cominciava ad affermarsi sul mare. Mentre i greci scoprivano la Corsica, i cartaginesi raggiunsero le Baleari e fondarono Ibiza. Poi conquistarono Cadice e Malaga in Andalusia, e si attestaro-no in tutta la parte meridionale della penisola iberica. Erano presenti un po’ ovunque, anche sul Bosforo, in Marocco. Nell’Atlantico avevano organizzato diverse spedizioni mili-tari. Nel Mar Tirreno presidiavano, oltre alla Sicilia, anche la Sardegna (Cagliari, il Sulcis, Olbia, Porto Torres) da cui importavano grano, argento, rame.

In breve tempo, per l’abilità dei suoi generali e dei suoi ammiragli, Cartagine era diventata la più ricca e la più im-portante delle colonie fenicie.

Per gli abitanti dei paesi mediterranei, in particolare per i greci, i cartaginesi continuavano a rappresentare un enig-ma: non si capiva come avessero potuto edificare una po-tenza così vasta, da Gibilterra alla costa del Libano, senza avere città fortificate o possedimenti terrieri. La domanda, in fondo, continua a non avere una risposta. I cartaginesi stessi peraltro non rivelarono mai il loro segreto: arrivavano, face-

loro impresa di un significato anche simbolico. E la Corsica - che in realtà aveva fatto ben poco in quella occasione - ac-quistò subito merito di paladina degli oppressi.

Con i greci, si è detto, arrivarono in Corsica anche gli dèi, Omero, la polis, il diritto, la scienza, le belle arti. Di lì a poco Solone avrebbe abolito nelle magistrature ogni diritto ereditario e Talete avrebbe aperto le porte della filosofia. Fu insomma un periodo di grande fermento. Le repubbliche ari-stocratiche andavano soppiantando le vecchie monarchie, e il contrasto tra Atene e Sparta rifletteva quello dei differenti ordinamenti in gioco - democratico il primo, oligarchico l’al-tro - generando paure e speranze anche nelle lontane colonie.

Signora del cielo e della terra, la Grecia lo era ormai anche dei mari.

E come spesso accade, la sua forza divenne la sua mag-giore debolezza. A Oriente e a Occidente si andavano infatti consolidando nuovi stati, per i quali la civiltà ellenica rappre-sentava non solo una fastidiosa concorrente ma una minaccia reale. Quei popoli fecero di tutto per contenere la coloniz-zazione greca. Nel mare Egeo e nella penisola balcanica le pressioni esercitate dalle popolazioni dell’Est - soprattutto i Lidi e i Frigi - divennero più intense e spavalde, anticipando lo scontro che avrebbe opposto di lì a poco Atene all’impero persiano.

Nel Mediterraneo, invece, dove le colonie fondate dai greci sembravano non avere rivali, il pericolo proveniva da

Nell’interno della Corsica

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LA SUPREMAZIA ETRUSCA

Né gli etruschi, né tanto meno i cartaginesi erano soliti fare qualcosa per nulla. Con la battaglia di Alalia ci guadagnaro-no entrambi.

Ci guadagnò Cartagine che, ceduta la Corsica ai suoi al-leati, poteva fare a meno di guardarsi le spalle e dedicarsi ai traffici nei suoi possedimenti più golosi – la Sardegna, la Sicilia, la penisola iberica - senza il timore di vederseli com-promettere dai mercanti greci. E ci guadagnarono gli etruschi che più che avere in odio i greci, con i quali intrattenevano invece normali rapporti commerciali, non vedevano di mal occhio l’idea di rafforzare la propria immagine e la propria supremazia marittima nel Tirreno, rendendo meno difficolto-sa l’attività della loro potente marina da guerra.

Non bisogna dimenticare che gli etruschi stavano giocan-do in quel momento una carta importante in Italia. Alcuni anni prima Tarquinio Prisco aveva spodestato dal trono di Roma i figli di Anco Marzio, diventando - a credere alla tra-dizione - il quinto re di Roma e il primo di sangue etrusco. Gli successe Servio Tullio, della stessa stirpe, che regnò dal 578 al 535 a.C. pare con discreto successo.

Più tardi la dinastia dei re etruschi, cui in verità fece difetto la moderazione, farà a Roma una brutta fine, trascinando con sé nel fango la stessa monarchia, ma non è escluso che nel 540 - ai tempi della battaglia di Alalia - un po’ la considera-

vano i loro affari e sparivano di nuovo, ma offrivano merci introvabili, lasciando intravedere di viaggiare per terre mai toccate nemmeno dai greci. La loro forza era in quella fitta rete di rotte commerciali che avevano saputo pazientemen-te creare negli anni con l’abilità e la furbizia dei popoli le-vantini. Non a torto sono rimasti famosi come i “beduini del mare”. Scrive dei cartaginesi Gerhard Herm, uno studioso tedesco che tra i primi ne ha raccontato la storia in una riu-scita serie di documentari televisivi: «I loro agenti stavano come consiglieri dietro i troni dei sovrani egizi, sussurravano consigli all’orecchio dei monarchi assiri, babilonesi, persia-ni. Lavoravano persino con gli etruschi. Ovunque s’andasse si era certi di trovarli, tanto che a un certo punto ci si abituò all’idea che fossero implicati in ogni complotto contro i gre-ci, chiunque ne fosse il promotore».

E complotto fu. A metà del VI secolo avanti Cristo, con-quistata la Sardegna fino ad Olbia, i cartaginesi decisero di puntare sulla Corsica e in combutta con i loro alleati di turno - gli etruschi - assalirono la flotta focese di stanza ad Alalia, costringendola ad abbandonare il controllo dell’isola. Poi si ritrassero nuovamente in Sardegna lasciando la Corsica ai loro amici etruschi, secondo quanto avevano concordato pri-ma della battaglia.

E’ il 540 avanti Cristo. Per la Corsica, uscita troppo in fretta dall’influenza della civiltà greca, si apriva una nuova pagina di storia.

Il laghetto alpino di Capitello sulle montagne che circondano Corte

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si sia lasciato prendere la mano. Le leggende d’altra parte ci mettono poco a confondersi con la realtà: «al tempo in cui Atys regnava sulla Lidia - scrive Erodoto nel V secolo a.C. - questa regione [in Asia Minore] fu afflitta da una gravissima carestia, tanto che il popolo non aveva più nulla da mangiare. Non cessando quella sciagura, il re Atys decise di dividere in due parti il suo popolo, per sorteggio. E mentre una parte fu destinata a rimanere in Lidia, all’altra toccò in sorte di do-ver emigrare. Questi ultimi dunque partirono, imbarcandosi nel porto di Smirne, guidati da uno dei figli del re, Tirreno. Attraversarono il mare e sbarcarono nel paese degli Umbri. Quivi costituirono un grande regno. E dal nome del principe che li aveva condotti così felicemente, mutarono il loro nome e, invece di Lidi, si chiamarono Tirreni».

Per dovere di cronaca, c’è anche chi parla degli etruschi come di un popolo venuto da molto più vicino, probabilmen-te dalle Alpi, ai tempi dell’età del ferro. Gli oggetti e i vasi di terracotta di un sepolcreto scoperto nel 1853 a Villanova, nei pressi di Bologna, sembrano dar loro ragione. E a con-fermarlo sarebbero anche alcune notizie - riportate da Tito Livio - secondo cui i celti, scesi in Italia al tempo di Tar-quinio Prisco, combatterono più volte contro gli etruschi tra gli Appennini e le Alpi, segno che da molto tempo questo popolo occupava gran parte della Transpadania. E’ da lì che sarebbero poi emigrati in Toscana sul finire del X sec. a.C.

zione di cui i romani godevano, un po’ il timore di contrasta-re il suo esercito, convinsero i cartaginesi a scendere a patti con Roma offrendole la Corsica su un piatto d’argento.

Anche gli etruschi - che i romani chiamavano a volte Tusci e i greci Tirreni - erano a loro modo un enigma. Anzi, anco-ra oggi rimangono un mistero, non tanto per la loro storia che anche antichi scrittori hanno raccontato con sufficiente dovizia di particolari, né per la loro cultura, ricostruita assai fedelmente grazie alle rovine di antichi centri, quanto so-prattutto per le loro origini e la loro lingua, di fronte a cui la scienza ha dovuto arrendersi finora senza scampo. Per la lingua - una sorta di antichissimo greco di cui ancora non si è scoperta la chiave - ci sovvengono alcune iscrizioni ritrovate qua e là in Italia, ma non più di una decina e tutte di am-piezza talmente risicata da rendere impercettibili i progressi realizzati su questo fronte. Basti pensare che il testo etrusco più lungo è un manoscritto costituito da poche bende di lino avvolte attorno a una mummia. Per quanto riguarda le origi-ni, il mistero è ancora più fitto: erano un popolo autoctono, come sosteneva Dionisio di Alicarnasso nel I secolo avanti Cristo, o provenivano dal lontano Oriente, come aveva affer-mato alcuni secoli prima Erodoto nelle sue “Storie”? Erodoto era uno storico molto acuto e ancora oggi la sua opera rima-ne essenziale per capire le vicende del suo tempo, ma non è escluso - anzi è più escluso il contrario - che qualche volta

Un tratto di costa nei pressi de L’Île-Rousse

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L’isola Giraglia di fronte a Barcaggio, Cap Corse

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Per circa un secolo la Corsica visse prudentemente nell’ombra, senza schierarsi, in attesa che nuovi equilibri si delineassero all’orizzonte. Poi lo scontro tra Roma e Carta-gine esplose in modo dirompente e nel 259 a.C. - nel corso della prima guerra punica - i romani ruppero gli indugi e oc-cuparono militarmente l’isola.

LA CORSICA GUARDA A ROMA

Fin dalla sua fondazione - che la tradizione fa risalire a Romolo e Remo nel 753 a.C. - Roma non aveva mai avu-to vita tranquilla, ma gli anni che seguirono alla cacciata di Tarquinio il Superbo e alla fine della monarchia nel 509 a.C. furono tra i più convulsi ed incerti che la città eterna dovet-te affrontare. Ai contrasti interni tra patrizi e plebei si era sommata la fortissima pressione dei nemici esterni, vecchi e nuovi, contro cui la nascente repubblica intendeva affermare ad ogni costo la sua egemonia.

In successione abbastanza rapida erano state messe a tace-re prima le popolazioni latine più vicine alla città, poi quelle dell’Italia meridionale e insulare, tutte progressivamente in-corporate nella federazione romano-italica. La prima guerra punica contro Cartagine scoppiò nel 264 a.C. per il controllo della Sicilia, parzialmente occupata dai cartaginesi. Fu una guerra di logoramento che si protrasse per oltre un ventennio con aspri scontri sul mare e in terraferma, fino alla battaglia decisiva alle isole Egadi, nel 241 a.C., che terminò con la sconfitta cartaginese e la trasformazione della Sicilia in pro-

Per quanto affascinante, il dibattito sulle origini degli etru-schi, non aggiunge tuttavia molto alle vicende di cui inten-diamo occuparci. Quel che è certo è che, usciti allo scoperto con molto coraggio, gli etruschi estesero progressivamente la loro influenza in tutta la penisola italica, nel Lazio, in Um-bria, in Campania, nell’Adriatico, nella pianura Padana. Ar-tigiani saggi e tenaci si erano anche stabiliti nell’isola d’Elba, di cui riuscirono a sfruttare le famose miniere di ferro. E oltre alla Sardegna, alle Baleari, alle coste spagnole, all’Atlanti-co portarono la loro colonizzazione anche alla Corsica. Il VI secolo avanti Cristo rappresenta il periodo della massima espansione della potenza etrusca sia in Italia che in tutto il bacino del Mediterraneo.

Quando Roma passò al contrattacco, non ci volle molto però perché su molti piccoli ma gloriosi centri dell’antica ci-viltà etrusca - come Veio, Cerveteri, Tarquinia, Orvieto, e tanti altri - cominciassero a sventolare i vessilli dell’impero. Verso la metà del IV secolo a.C. l’Etruria, integrata cultural-mente ed economicamente nella nuova civiltà romana, era ormai a tutti gli effetti soltanto una provincia romana.

Rimasta fino ad allora sotto l’egemonia del popolo etrusco, la Corsica seguì solo in parte il destino dei suoi tutori, forte della protezione che Cartagine continuava in qualche modo a garantirle. Per questa bella isola del Tirreno la protezione di Cartagine rappresentava in effetti una garanzia. E quando dalla vicina Sicilia furono i Siracusani a tentare di conqui-starla sbarcando a sud dell’isola, nei pressi di Bonifacio, l’e-sercito cartaginese non ci mise molto a farli sloggiare.

Un tratto di mare sul versante occidentale

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Seneca era stata accusato di adulterio da Messalina, mo-glie di Claudio, che l’accusa-va di avere avuto rapporti con l’avvenente Giulia Livilla, fi-glia di Germanico e sorella di Caligola, ma anche leader di una forte opposizione politica all’imperatore. Sulle accuse rivolte a Seneca rimangono quindi molti dubbi. Quando nel 41 Caligola morì, il suo successore, Claudio, mandò Seneca in esilio in Corsica, dove il filosofo rimase otto anni (dal 41 al 49).

E’ agli anni dell’esilio che risale la pubblicazione dei libri del De Ira (iniziati alcuni anni prima), il cui contenuto ver-rà poi ripreso nelle Tragedie, della Consolatio ad Helviam matrem, scritta per tranquil-lizzare la madre ed esaltare le virtù della vita contemplativa

e della Consolatio ad Polybium, scritta per consolare Poli-bio, un influente liberto di Claudio, della morte del fratel-lo, ma forse anche per adulare indirettamente l’imperatore e ottenere il ritorno a Roma.

Nel 49 divenne moglie di Claudio Agrippina con il cui intervento Seneca ottiene il ritorno dall’esilio e inizia l’at-tività di precettore del giovane Nerone. Ma le sue lezioni non dovettero essere molto efficaci!

“La cosa migliore è di-sprezzare subito i primi sin-tomi dell’ira e opporci al suo stesso nascere, e impegnarci a non cadere in suo possesso. Poiché se comincia a portarci fuori strada, è difficile il ritor-no alla salvezza, in quanto la ragione non ha voce una volta che la passione è entrata in noi e la nostra volontà le ha riconosciuto qualche diritto” Lucio Anneo Seneca, De Ira, 41 d.C.

Lucius Annaeus Seneca, più noto come Seneca, nacque a Córdoba, in Spagna il 4 a.C. e morì suicida a Roma nel 65 prima che la condanna a mor-te inflittagli da Nerone potes-se essere eseguita. Filosofo, esponente dello stoicismo, fu attivo in molti campi compre-sa la vita pubblica. Condanna-to a morte da Caligola (37-41) ma graziato ed esiliato in Corsica da Claudio (41-54) che poi lo richiamò a Roma, divenne tutore e precettore del futuro imperatore Nerone, su incarico della madre Giulia Agrippina Augusta. Quan-do Nerone e Agrippina entrarono in conflitto, Seneca approvò l’esecuzione della madre. Poi, implicato in una congiura contro lo stesso Nerone, cadde vittima della sua repressione e costretto al suicidio.

L’esilio di Seneca in Corsica

vincia romana. E’ nel corso di quella guerra che la flotta romana sbarcò in

Corsica, sottraendola al dominio di Cartagine e costruendovi un proprio avamposto militare. Non che i corsi si dimostraro-no per questo teneri verso i nuovi padroni: pochi anni più tar-di, di ritorno da una spedizione in Sardegna, i romani furono costretti da una tempesta a ripararsi sull’isola ma gli abitanti li assalirono decimandoli senza pietà.

Ci vollero ancora due guerre puniche, e più o meno un se-colo, a Roma per avere definitivamente ragione di Cartagine, ma nel frattempo la città eterna era divenuta la prima potenza nel Mediterraneo, aveva annesso la Macedonia, la Grecia. Nel I secolo a.C. - mentre Giulio Cesare si avviava a diven-

tare padrone incontrastato di Roma, precorrendo la vicina nascita dell’Impero - i territori romani si estendevano ben oltre i confini dell’Italia, comprendendo la Spagna, la Gallia, l’Istria, la Dalmazia, l’Africa, l’Asia, la Macedonia. Nel Mar Tirreno, oltre alla Sicilia, Roma poteva anche contare su una nuova provincia: quella unificata di “Sardinia et Corsica”.

Nominato dittatore a vita Cesare riformò completamente l’amministrazione dello stato e l’organizzazione delle pro-vince, ampliò i diritti di cittadinanza, distribuì le terre ai ve-terani, stabilì numerose colonie militari. Dopo il suo assas-sinio - alle idi di marzo del 44 a.C. - toccherà ad Ottaviano riprendere le linee essenziali della sua politica come primo imperatore di Roma.

La sicurezza delle province era garantita da eserciti po-

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IL TUMULTUOSO INGRESSO NEL MEDIOEVO

La decisione di Costantino di trasferire nel 330 d.C. la ca-pitale dell’Impero Romano a Bisanzio, ribattezzata per l’oc-casione Costantinopoli, chiudeva un capitolo della storia di Roma durato oltre tre secoli. Il centro di gravità dell’impero si spostava definitivamente ad Oriente.

In realtà non fu Costantino a dissolvere l’unità dell’im-pero. Pochi anni prima, di fronte alle difficoltà di contrasta-re le crescenti minacce della periferia, Diocleziano aveva instaurato il sistema della “diarchia”, chiamando uno dei suoi migliori generali, Massimiano, ad assumere il titolo di “Augusto” e affidandogli il governo delle regioni occiden-tali dell’impero. Per raggiungere il suo scopo Diocleziano mise anche mano alla riorganizzazione dello stato affidando l’amministrazione delle province ai proconsoli, rendendo più efficiente la riscossione delle imposte e separando bene, per non avere sorprese, le funzioni civili da quelle militari. Ma le spinte centrifughe e le tensioni crescevano e anche due impe-ratori non furono più sufficienti a contrastarle. Si passò alla “tetrarchia” (quattro imperatori). Diocleziano trasferì il suo palazzo a Nicomedia, in Asia Minore, da dove controllava l’Oriente. Due nuovi Cesari (Galerio e Costanzo Cloro) si in-sediarono nell’Europa centrale. Massimiano, invece, gover-nava da Milano l’Italia, la Spagna e l’Africa, con un occhio alla Sardegna e alla Corsica che costituivano una preziosa

sti direttamente sotto il comando di Roma, e la Corsica non faceva eccezione. La conquista definitiva dell’isola non fu però cosa di pochi giorni perché l’occupazione romana fu tenacemente ostacolata da una miriade infinita di ribellioni, alcune anche particolarmente cruente. La storia continuava però il suo cammino e l’instaurazione della “pax romana” su tutto l’impero riuscì alla fine a travolgere anche le ultime resistenze dei corsi.

Economicamente, sia l’interno dell’isola che le fasce co-stiere se ne avvantaggiarono subito: nella piana orientale dell’isola, attorno ad Aleria, la più importante base navale del tempo, lo sviluppo della vigna e dell’uliveto impresse una rapida spinta alla floridezza del territorio, contribuendo ad accrescere il volume degli scambi commerciali con il con-tinente. Anche lo sfruttamento delle sorgenti minerali e dei prodotti del mare fecero la loro parte.

Se insomma Roma non disdegnava la Corsica è ancor più vero il contrario. E l’isola - avida di progresso - sembrò in quel momento avviarsi verso un periodo di rinascita e di svi-luppo. Vennero fondate nuove città, fiorirono commerci, si costruirono strade, si sfruttarono meglio i terreni. E a bene-ficiarne non furono soltanto i soldati o i veterani di guerra romani ma le stesse popolazioni locali di cui Roma riuscì a guadagnarsi a volte persino il rispetto.

L’incanto, però, era destinato a spezzarsi.

Il fiume Alesani nella Castagniccia

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tinuò da Costantinopoli a condizionare i destini del mondo, fino a quando nel 1453 la città fu invasa dagli Ottomani. Ma il nome con cui gli storici moderni definiscono quel che ri-maneva ad Oriente dell’Impero Romano - l’Impero Bizanti-no - la dice lunga su quel concitato periodo di decadenza del-la storia di Roma che accompagnò, tra saccheggi, discordie e invasioni, l’ingresso dell’Italia e dell’Europa nel Medioevo.

In quel lungo periodo aveva fatto la sua comparsa nel mondo anche lo Stato della Chiesa.

Era bastato un pretesto per accendere la miccia. I primi cristiani avevano in realtà praticato con moderazione il culto delle immagini ma in Oriente le cose andarono diversamente e si giunse a forme di così esasperata venerazione da par-te dei fedeli che l’Imperatore di Bisanzio, Leone III, forse con l’intenzione di fare del bene anche al papa, decise di riportare la situazione sotto il controllo imperiale e di vie-tare tale forma di culto, allontanando il patriarca di turno e reprimendo duramente ogni ribellione. Come spesso accade in queste circostanze, la situazione gli sfuggì di mano e dalla distruzione delle immagini religiose i suoi seguaci passarono alla distruzione delle chiese. Da Roma Papa Gregorio reagì con la scomunica. Ci volle un concilio - quello di Nicea nel 787 - per riportare un po’ di concordia, ma ormai il danno era fatto e il solco tra Bisanzio e il papato era irrimediabilmente scavato. Fu a seguito di quegli eventi che i papi gettarono le basi del primo Stato della Chiesa, incoronando di lì a poco Carlo Magno alla guida del Sacro Romano Impero: romano, certo - e qualcosa contava ancora - ma soprattutto cristiano.

testa di ponte sul Tirreno. Roma conservava soltanto il primato di capitale morale

dell’impero. Nel corso degli anni i contrasti tra i quattro condottieri si

fecero però incolmabili. La scelta di dividere l’impero per poterlo meglio governare si era rivelata un vero boomerang. Unico sopravvissuto allo scontro, Costantino, figlio illegitti-mo di Costanzo Cloro, tornò con l’aiuto dei militari al ver-tice dell’impero e si assunse la responsabilità di trasferire la capitale a Bisanzio.

Un secolo e mezzo dopo, nel 476, con la deposizione di Romolo Augustolo, l’Impero Romano d’Occidente scompa-riva definitivamente dal palcoscenico della storia.

A giudicarla oggi, la decisione di Costantino di abbando-nare Roma e l’Occidente al loro destino non fu certo una buona scelta per il futuro dell’impero, ma a riscattare la me-moria del grande Imperatore era intervenuto qualcosa desti-nato a garantirgli per sempre un posto nei libri di storia: la promulgazione dell’editto di Milano nel 313 che assicurava libertà di culto ai cristiani. Quali che fossero le vere motiva-zioni di Costantino quell’editto chiuse un lungo e vergogno-so periodo di persecuzione contro la Chiesa, aprendo una sta-gione nuova nella storia delle comunità cristiane sorte dalla predicazione di Gesù di Nazaret.

Sul sangue dei martiri sorsero anche in Corsica le prime basiliche e i nomi dei primi perseguitati vi rimasero impressi per sempre: Santa Giulia, Santa Devota.

La fine dell’Impero Romano d’Occidente non fu natural-mente la fine dell’Impero Romano, che per molti anni con-

Le scogliere di Porto

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ra il caos. Così Giustiniano affidò a dieci giuristi il compito di rimettere le cose a posto. E ci riuscì. I suoi codici sop-piantarono quasi d’un colpo una moltitudine di leggi, testi e costituzioni imperiali accumulatesi disordinatamente nel tempo, restituendo al diritto maggiore vigore e certezza. Non è un caso se anche le sue avventure militari si trasformarono in innegabili successi.

Seppure con alterne vicende, i bizantini mantennero il pos-sesso della Corsica fino al 713.

Pochi anni dopo vi fecero capolino i Longobardi che, im-posto il loro dominio in Italia, non si sottrassero all’idea di conquistare anche le isole del Tyrrhenum. E si presero pure la Corsica, a portata di mano. I Longobardi provenivano dal nord. Liberatisi dalla tutela bizantina, non diventarono però mai veramente un popolo: anziché fare quadrato e tener testa ai loro nemici - e ne avevano molti che premevano da ogni parte - cercarono più pragmaticamente di integrarsi con le popolazioni locali finendo col tempo per perdere ogni resi-dua identità. Perché non ci fossero dubbi sulle loro intenzioni avevano anche adottato la religione cattolica. E per grazia ricevuta regalarono la Corsica al Papa.

Successivamente fu il turno dei Saraceni, arabi provenien-ti dal Sinai, che costruirono diverse teste di ponte sull’isola

Quel che avveniva nel mondo frantumava equilibri rag-giunti in millecinquecento anni di storia, e nemmeno la Cor-sica, facendo le debite proporzioni, poteva restarne fuori.

Attorno al 450, col declinare dell’Impero Romano, l’isola era passata di fatto sotto il dominio dei Vandali, provenienti dalle regioni orientali dell’Europa. Per non inimicarsi Co-stantino i Vandali si erano convertiti al cristianesimo ma il loro temperamento guerriero era rimasto del tutto intatto: approfittando delle difficoltà di Roma, si erano fatti con Gen-serico più temerari, invasero la Gallia, la Spagna, poi passa-rono all’Africa, sempre inseguiti e ricacciati da altri popoli. Furono i primi tra i germani a costruirsi una flotta e con-quistarono la Sicilia, la Sardegna, le Baleari, e naturalmente la Corsica. Poi saccheggiarono Roma e spadroneggiarono in lungo e in largo per il Mediterraneo appoggiandosi alle loro isole. Quando Giustiniano ne ottenne la resa nel 534 - ripren-dendosi anche la Corsica - furono venduti come schiavi. I più abili finirono invece nella cavalleria imperiale.

Proclamato pochi anni prima imperatore d’Oriente, Giusti-niano non aveva grandi doti di condottiero e nel tentativo di riconquistare l’Occidente per sottrarlo ai regni romano-bar-barici, aveva usato anche un’altra arma: il diritto. Prima di lui c’era stato qualche tentativo, anche pregevole, di rimettere in ordine l’intera legislazione, ma nella sostanza regnava anco-

no di vendicarsi e alcuni anni dopo, nel 1567, lo uccisero in un agguato nei pressi di Eccica Suarella, nel sud della Corsica. Era però già entrato nel cuore del popolo.

Nato nel 1498, Gian Pietro da Bastelica, più noto come Sampiero Corso, è tra i capitani di ventura più popola-ri del ‘500. Le sue doti militari lo condussero dapprima in Italia al servizio dei Medici e di papa Clemente VII, poi del cardinal Jean du Bellay, ambasciatore di Francia a Roma. Per conto dei francesci combatté contro Carlo V d’Asburgo.

Sampiero Corso fu tra i primi a invocare l’indipenden-za della Corsica da Genova e per questo considerato un patriota.

Nel 1545 si unisce in matrimonio con Vannina d’Orna-no, appartenente ad una delle famiglie più in vista della Corsica. Due anni dopo - salvata la vita al delfino di Fran-cia, il futuro Enrico II - diventa comandante in capo delle truppe corse al servizio del re di Francia. Rimarrà pratica-mente tutta la vita al servizio dei francesci contro Genova.

Nel 1564 sbarca a Propriano, sulla costa occidentale della Corsica, a capo di un piccolo ma coraggioso eser-cito, innescando la ribellione contro il dominio dei geno-vesi. In poco tempo conquisterà Ajaccio, Corte, Bastia.

Successivamente, con il trattato di Cateau-Cambrésis del 1559, la Corsica fu però restituita ufficialmente ai genovesi. Deluso e reso sospettoso dagli avvenimenti, giunse addirittura a far assassinare la moglie, accusata di schierarsi dalla parte di Genova. Ma i suoi parenti giuraro-

Sampiero Corso

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morte successe letteralmente il finimondo: il regno fu diviso tra i suoi quattro figli che iniziarono subito a litigare. E, come accade il più delle volte in queste circostanze, furono altri a spuntarla: i Carolingi. Successivamente il regno dei Franchi divenne Regno di Francia, che sostituì il nome ormai desueto di Gallia.

LE REPUBBLICHE MARINARE SI CONTENDONO

L’ISOLA

Passato da poco l’anno 1000 fu Pisa, a modo suo, a tentare di porre fine in Corsica a questo lungo periodo di invasioni.

Città di antichissime tradizioni, fondata non si sa ancora se dai liguri o dagli estruschi, fortificata al soldo delle legioni romane, Pisa aveva mantenuto intatto per lunghissimi secoli lo spirito di città marinara distinguendosi per il suo valore anche contro le incursioni musulmane.

All’inizio del secondo millennio la sua supremazia sull’Al-to Tirreno era fuori discussione e le rivalità con le altre re-pubbliche marinare, in particolare con Genova e Venezia,

continuando a insidiarla per oltre sessant’anni, senza però mai possederla veramente fino in fondo. L’espansione politi-ca e religiosa dell’Islam aveva preso avvio da Medina dopo la morte di Maometto nel 632, e non sembrava trovare osta-coli. Furono Abd al-Malik e suo figlio Walid I a occupare nei primi anni del nuovo secolo la penisola iberica e la Corsica, ma toccò soprattutto a Sulayman fronteggiare il malconten-to e l’opposizione dei popoli sottomessi. Per lungo tempo i Mori, che cosituirono una continua minaccia per il com-mercio marittimo, funsero però anche da deterrente per altre possibili incursioni nemiche nell’isola.

Nel 732 i Saraceni furono sconfitti a Poitiers dai Franchi di Carlo Martello che di lì a poco – nel 774 - avrebbe portato i suoi vessilli anche in Corsica.

Comparsi da tempo sulla scena europea i Franchi non ap-parivano meno temibili dei loro predecessori e finirono per creare in Europa il più importante dei regni romano-barbari-ci. Dopo la caduta dell’Impero Romano d’Occidente fu Clo-doveo I - il capostipite della prima dinastia regnante, quella dei Merovingi - a unificare le tante tribù della Gallia. Alla sua

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CINQUE SECOLI NEL SEGNO DI GENOVA

Fu con la battaglia della Meloria, con cui Genova sconfis-se definitivamente i sogni pisani imponendo il suo dominio su tutto il mar Tirreno, che la sovranità della Corsica passò nel 1284 nelle mani di Genova. E fu Genova a traghettar-la nell’età moderna, rimanendovi tra alterne vicende fino al 1768 quando venne ceduta alla Francia con il trattato di Ver-sailles.

La storia della città di Genova si perde nella notte dei tem-pi. Di certo c’è che fu fondata dai Liguri, un’antica popola-zione che estendeva la sua influenza in gran parte d’Europa, costretta infine dalle pressioni di altri popoli ad arroccarsi progressivamente sulla fascia tirrenica dell’Appennino set-tentrionale. E alla sua posizione deve le sue disgrazie e le sue fortune. Centro strategico di transito e di commerci Genova fu infatti per secoli alla mercè di tutti i popoli che si contese-ro il dominio dei mari e dell’Europa. Non si diede però mai per vinta, nemmeno quando, attaccata dai Saraceni nel 934,

non sembravano scalfirne l’autorità. Conquistata l’Isola d’Elba e la Sardegna, Pisa mirò anche

alla Corsica, che le fu affidata addirittura dal papa. A quei tempi il vescovo della città, Landolfo, era infatti - per dirla con un certo eufemismo - particolarmente attivo anche nella vita pubblica, al punto da confondersi agli occhi della gente con le stesse magistrature civili. Nominato da Gregorio VII vicario della Corsica, con il compito di reggere l’isola come dominio di San Pietro, Landolfo andò ben oltre la sua mis-sione e tanto gli animi si infervorarono che un secolo dopo, nel 1165, la repubblica pisana finì per trasformare quella legazione in un vero e proprio feudo. Poi i fautori della Chie-sa, i Guelfi, furono sopraffatti in città da quelli dell’Impero, i Ghibellini, che cedettero la Corsica a Genova. Più tardi, nell’intento di aprirsi una via al mare, fu Firenze, allora di fede papale, a dare definitivamente il colpo di grazia alla re-pubblica pisana.

E l’arcivescovo di Pisa - con l’intento di ristabilire la sua autorità, non soltanto morale - si riprese il titolo di cui ancora oggi si fregia: Primate di Corsica e di Sardegna.

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delle altre potenze: la Repubblica di Venezia, la Spagna, ma soprattutto il Ducato di Milano e la Francia.

A toglierla temporaneamente d’impaccio ci provò Andrea Doria, scaltro e accorto ufficiale di ventura, nato ad Oneglia, sulla costa ligure. Nel 1503 Andrea Doria aveva ottenuto il comando delle truppe genovesi in Corsica con il compito di sedare le rivolte delle popolazioni locali guidate da Ranuc-cio della Rocca, appartenente alla dinastia che dominava la signoria dei Corsica nella parte meridionale dell’isola. Sem-brava un semplice incarico di routine ma il successo di quella missione era destinato ad aprirgli progressivamente le porte della città. Entrato nelle grazie di Carlo V d’Asburgo, re di Spagna, re d’Italia, Arciduca d’Austria e imperatore del Sa-

inseguì testardamente il nemico per mare riacciuffandolo nei pressi dell’isola dell’Asinara. Non contenta, la città parteci-pò poi alla prima crociata gettando le basi della sua espansio-ne coloniale, e scontrandosi inevitabilmente con gli interessi delle altre repubbliche marinare.

Alleatasi con l’imperatore d’Oriente per limitare la poten-za di Venezia e sconfitte le mire di Pisa sul Tirreno, Genova la “Superba” visse lunghi anni di splendore: ampliò la sua flotta, estene i suoi commerci, accumulò ricchezze. Ma il vero pericolo si nascondeva dentro le mura della città e ave-va il volto delle lotte intestine. Indebolita dalle forti rivalità tra le sue famiglie più nobili, la città finì preda delle rivolte e delle congiure, incapace di sottrarsi al dominio e alla tutela

Richiamato nella sua patria dalla rivoluzione francese fu nominato governatore dell’i-sola.

Quando nel 1790 sbarcò in Corsica, a Macinaggio - dopo essere passato per Pa-rigi acclamato dai principali leader della rivoluzione - ba-ciò piangendo il suolo natio, esclamando: “O, patria, ti ho lasciata schiava e ti ritrovo libera”.

In rotta però di lì a poco con le tendenze radicali della rivoluzione e accusato dalla Convenzione di tradimento, nel 1793 proclamò ancora una volta l’indipendenza dell’isola dalla Francia. Gli inglesi lo aiutarono ma in cambio tra-sformarono la Corsica in un protettorato britannico, nomi-narono un viceré - Gilbert El-liot - e richiamarono Paoli in

Inghilterra. Il sogno di Pasquale Paoli stava infrangendosi contro

l’ambizione delle due potenze europee. Nel 1796 i corsi riuscirono a cacciare nuovamente gli inglesi con l’aiuto della Francia, e la Corsica divenne un dipartimento fran-cese. Ma Paoli preferì rimanere a Londra, dove si dedi-cò all’accoglienza degli esuli corsi. E a Londra morì nel 1807.

Riposa a Morosaglia, nella cappella eretta vicino alla sua casa natale.

Nato nel 1725 a Stretta di Morosaglia, nei pressi di Ba-stia, Filippo Antonio Pasquale di Paoli, detto Pasquale Paoli, è chiamato in Corsica anche U Babbu di a Patria (Il Padre della Patria)

E’ sicuramente il patriota corso più noto.

Figlio di Giacinto Paoli, che aveva guidato i ribelli corsi nella lotta contro il dominio di Genova, Pasquale aveva seguito suo padre in esilio combattendo nell’esercito del Regno di Napoli e prendendo parte attiva alle rivolte contro la Repubblica di Genova.

Al suo ritorno in Corsica nel 1755, fu acclamato dal popolo come Generale della Nazione Corsa, comandante in capo delle forze ribelli.

Nello stesso anno, a no-vembre, fu proclamata l’indi-pendenza della Corsica, che si dotò di costituzione, am-ministrazione, sistema giudiziario ed esercito. Pasquale Paoli fu nominato generale in capo e supremo magistrato dell’isola attuando numerose riforme di stampo liberale e relegando militarmente i genovesi nella fascia costiera dell’isola. Fondò anche una università a Corte.

Quando nel 1786 Genova cedette i propri diritti sulla Corsica alla Francia, Pasquale Paoli si batté nuovamente per l’indipendenza, ma, sconfitto dall’esercito francese a Pontenuovo si ritirò in esilio in Inghilterra.

Pasquale Paoli, il Padre della Patria

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blica di Genova soltanto con la pace di Cateau-Cambrésis nel 1559. Quel trattato definì gli equilibri europei per tutto il secolo successivo spostando l’asse della scena europea verso la Spagna e la Francia, ma non risolse i problemi di Genova, né tanto meno quelli della Corsica.

Nel 1563 una ribellione dei corsi guidati da Gian Pietro da Bastelica, noto anche come Sampiero Corso, e appoggia-ta dai francesi che ne intuirono pienamente le potenzialità antigenovesi, aveva assunto i contorni di una lotta per l’in-dipendenza dell’isola costituendo un campanello d’allarme per gli interessi di Genova. In quell’occasione la potente re-pubblica genovese ristabilì ben presto il suo dominio sulla Corsica cercando di attuare un ampio programma di risana-mento e provvedendo a fortificarne le difese. Ma i fermenti indipendentisti non cessarono. Nel 1735 i corsi si diedero una costituzione sostanzialmente repubblicana con un par-lamento elettivo e un governo sovrano. L’insurrezione as-sunse nuovo vigore nel 1736 con l’arrivo di un avventuriero tedesco, Teodoro di Neuhoff, autoproclamatosi re di Corsica con l’appoggio della corona britannica. La Francia si schierò in quell’occasione accanto a Genova, occupò Bastia e pro-clamò l’isola “patrimonio personale” del re. Poi restituì il controllo dell’isola ai genovesi.

Pochi anni più tardi Genova avrebbe pagato molto caro questo insperato sostegno.

cro Romano Impero - l’uomo più potente al mondo in quegli anni - non gli fu difficile sottrarre Genova al dominio del re di Francia e avviarla verso un periodo di riforme. La Costitu-zione che riuscì a far approvare sopravvisse di fatto per oltre due secoli alla sua morte, avvenuta nel 1560.

I riflessi di questo turbinoso periodo della storia di Genova si fanno sentire anche in Corsica dove tutti gli stati approfit-tavano dei contrasti con la repubblica marinara per appog-giare le ribellioni esplose in quel periodo contro il dominio genovese.

Nel 1453 i diritti sull’isola passarono al Banco di San Giorgio che le diede una sorta di costituzione (Capitula Cor-sorum). Creato nel 1407 dal governatore francese di Genova, Jean Le Meingre, più noto come Boucicault II, il Banco di San Giorgio era nato per risanare il debito pubblico della cit-tà ma finì inevitabilmente - forza del denaro - per sostituirsi alla repubblica genovese non solo nell’amministrazione fi-scale e finanziaria ma nella gestione stessa degli affari esteri e nel governo dei territori genovesi. Pur nelle alterne vicende che caratterizzarono la vita della città, i vari protettori del Banco tennero per lunghissimi anni nelle loro mani le redini della Repubblica.

La Corsica costituiva una preziosa merce di scambio: cedu-ta temporaneamente al Ducato di Milano sul finire del ’400, fu poi occupata dai francesi che la restituirono alla repub-

Lo scenario delle Calanche sul golfo di Porto

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cia e la Spagna contro Maria Teresa, aveva dovuto sopporta-re in una situazione già critica anche il peso economico delle spedizioni militari in Corsica. Indebitata verso la Francia per le spese di guerra sostenute da Luigi XV contro la ribellione dei corsi, e di fronte alla nuova e preoccupante sfida lancia-tale nel 1755 da Pasquale Paoli, la repubblica di Genova non poté far altro che piegarsi alla monarchia francese offrendole la Corsica a garanzia dei suoi debiti. E’ il 15 maggio 1768: la Francia - che più che avere a cuore la rivolta dei corsi, mira in realtà ad irrobustirsi nel Mediterraneo per opporsi alla cre-scente potenza britannica senza dover temere sorprese dal Mar Tirreno - subentra a Genova nel controllo dell’isola con il trattato di Versailles. Esattamente un anno dopo, nel mag-gio del 1769, la battaglia di Ponte Nuovo pone fine all’indi-pendenza corsa e Luigi XV impone la sua signoria sull’isola.

Difficile dire come sarebbere andate le cose se non fosse intanto intervenuto in Europa un fatto assolutamente inaspet-tato che contribuì a chiudere definitivamente anche il lungo capitolo del dominio genovese in Corsica. Nel 1740 moriva improvvisamente senza lasciare eredi maschi Carlo VI d’A-sburgo e saliva al trono la figlia primogenita, Maria Teresa d’Asburgo, moglie di Francesco Stefano di Lorena. I contra-sti tra le potenze europee dovuti alle diverse interpretazioni delle norme di successione in Austria e ai diversi interessi che ne scaturivano sfociarono in quella che è rimasta alla storia come la “guerra di successione austriaca”. La guerra si concluse pochi anni dopo, nel 1748, con la pace di Aquisgra-na che riconobbe il diritto al trono di Maria Teresa d’Austria.

Era una soluzione che non avrebbe dovuto scontentare nessuno, ma la Repubblica di Genova, schierata con la Fran-

Un tratto di costa battuto dal vento

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Isolata, privata del Canada e di molti altri possedimenti, senza più una marina e un esercito degni di tale nome, la Francia si ritrovò nel 1774, anno della morte di Luigi XV, anche senza il suo re. Quando nel 1793 il suo successore, Luigi XVI, fu condannato e decapitato a Parigi, la Rivolu-zione francese aveva già aperto una nuova pagina nella sto-ria della Francia e del mondo. E della Corsica naturalmente, che dal 1796, cessata l’occupazione inglese, è di fatto inte-grata - in un rapporto perennemente irrisolto - nello stato e nella storia della Francia contemporanea. Nel 1982, due secoli più tardi, otterrà l’autonomia regionale.

Ma questa è storia dei nostri giorni.

Quello stesso anno, il 15 agosto 1769, nasceva ad Ajaccio Napoleone.

LA FRANCIA

Come Genova, anche la Francia in realtà non se la pas-sava molto bene in quel periodo. Luigi XV non aveva dato segnali di grande lungimiranza strategica e diplomatica du-rante il suo regno anzi, a dire il vero, non ne azzeccò neanche una, sia nella vita privata che in quella pubblica: ruppe il fidanzamento con l’infanta di Spagna, si alleò nella guerra di successione polacca con Stanislao, che ne uscì spodestato, e nella guerra di successione austriaca contro Maria Teresa, che invece la spuntò. Non contento si alleò disastrosamente contro l’Inghilterra e la Prussia nella guerra dei Sette anni.

Un punto di ristoro allo stagno di Urbino, nei pressi di Ghisonaccia

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to, il micheline (U Trinichellu), che collega Bastia con Corte, Calvi ed Ajaccio. Il percorso tra le montagne è particolar-mente suggestivo e mozzafiato, consigliato a chi ha voglia di emozioni diverse. L’aeroporto è a una ventina di chilometri, a sud della città, poco sotto lo “stagno di Biguglia”.

Cresciuta attorno alla vecchia bastiglia costruita dai geno-vesi nel 1380 - da cui appunto prese il nome - Bastia divenne

verso la metà del ‘400 ca-pitale amministrativa della Corsica e centro politico ed economico incontrasta-to dell’isola. Sempre attra-versata da continue rivolte e sommosse, sia contro la dominazione genovese che contro quella francese, ha rappresentato in ogni tempo un punto di coagulo della dissidenza politica e nazio-nalistica dell’isola. Anche nel Settecento, durante le guerre per l’indipendenza, la sua posizione geografica l’aveva trasformata in una città particolarmente ambita da tutti i contendenti: italia-ni, francesi, inglesi, corsi. Nel 1811, con l’unificazione amministrativa della Corsi-ca attuata dai francesi - che da pochi anni avevano as-sunto il controllo definitivo dell’isola - Bastia ha dovuto cedere lo scettro di capitale ad Ajaccio, pur continuan-do a rappresentare una delle città più vivaci dell’isola.

1. Bastia

Adagiata sulla costa nord-orientale ai pie-di del promontorio di Cap Corse, Bastia è il principale punto di approdo per la maggior parte dei turisti che giungono nell’isola (la separano dalle coste della

Toscana soltanto un’ottantina di chilometri in linea d’aria). Dal 1975 - da quando cioè l’isola fu divisa in due dipartimen-ti amministrativi - Bastia è il capoluogo della Haute-Corse (Alta Corsica), corri-spondente all’antica regione della Banda di Dentro (en deça des monts, al di qua dei monti). La Haute-Corse (quasi 4700 kmq.) ha oltre 140.000 abitanti ed è a sua volta suddivisa nei tre cir-condari (arrondissements) di Bastia, Calvi e Corte, le tre città più importanti del Nord. La regione ha sempre costituito la parte più mo-derna dell’isola, la più aper-ta ai commerci, la più popo-lata. Ma Bastia non è solo una città turistica, è anche un piccolo centro industria-le, con imprese alimentari, del tabacco, chimiche, del legno. Lo scalo marittimo è nella parte settentrionale della città. L’ufficio turi-stico e il capolinea dei pul-lman sono a poche centina-ia di metri dal porto. Dalla stazione ferroviaria parte il trenino a scartamento ridot- Bastia, il porto vecchio

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ra-Vecchia - c’è la chiesa di San Giovanni Battista che gode di un primato partico-lare: è la chiesa più grande di tutta la Corsica, costruita nella prima metà del 1600 in barocco genovese. I suoi due campanili gemelli do-minano il vecchio porto e costituiscono uno degli elementi più caratteristici di Bastia. L’interno è tutto marmi e stucchi dorati.

Appena fuori Bastia, sulla strada verso Saint-Florent, si trova una cappella del 1600 dedicata alla Madon-na di Montserrat, con una caratteristica Scala Santa che i fedeli continuano a salire in ginocchio nei tra-dizionali pellegrinaggi del 12 maggio e del 2 luglio. La scalinata fu costruita nel 1812, ad imitazione della famosa Scala Santa della basilica di San Giovanni in

Laterano a Roma, su autorizzazione di Pio VII, come rin-graziamento per l’ospitalità accordata da Bastia ai sacerdoti romani esiliati da Napoleone in Corsica.

Le spiagge tradizionali di Bastia sono a sud della città, lungo la lingua di terra che separa lo Stagno di Biguglia dal mare. Di particolare pregio ecologico e ambientale, lo stagno di Biguglia si estende per 1800 ettari, separato dal mare da uno stretto cordone di sabbia sul quale si aprono diversi are-nili, tra cui le spiagge della Marana. Lo stagno di Biguglia è la più vasta zona umida dell’isola, situata alla foce del Golo, una riserva naturale sottoposta a tutela dal 1994, con diversi sentieri naturalistici. Sono almeno un centinaio le specie che lo popolano, tra cui aironi, cormorani, fenicotteri, testuggini con cui fare amicizia soprattutto in primavera e in autunno. Tra la strada e la laguna corre anche una pista ciclabile. Bi-guglia fu capitale dell’isola sotto i pisani e sede del governa-tore genovese fino al 1372.

Oltre l’area dove sorge l’aeroporto di Bastia, all’estremità meridionale dello Stagno, Caio Mario fondò nel 111 a.C. la colonia di Mariana, potenziata negli anni successivi da Au-gusto con la costruzione di un porto. L’area fu col tempo de-vastata dalle invasioni e dalla malaria, fino a quando, nel XII secolo, i pisani cercarono di riportarla al suo antico splendo-re. A quel periodo risale la costruzione in perfetto stile roma-nico della cattedrale di Santa Maria Assunta, più conosciuta come “la Canonica” che - insieme a quel che resta dell’antica città e di altri edifici religiosi - costituisce un’interessante deviazione dai tradizionali percorsi turistici.

Fu Napoleone, che i corsi in realtà non hanno mai amato particolarmente, a volere lo spostamento della capitale nella sua città natale, e da quel momento le rivalità tra le due città non si sono mai sopite del tutto. Soltanto nel 1975, con la modificazione dell’assetto amministrativo della Corsica e la creazione di due dipartimenti (la Cor-sica del Sud, con capoluogo Ajaccio, e l’Alta Corsica, di cui Bastia è diventata ca-poluogo) la capitale morale dell’isola ha avuto il giusto riconoscimento.

In tempi ormai passati la vita di Bastia si svolge-va tutta attorno al vecchio porto, una piccola insena-tura dominata dalla faccia-ta e dai due campanili del-la chiesa di San Giovanni Battista. Dal molo sud del porto, attraverso la scalinata dei giardini Romieu, si può ancora salire fino alla Cittadella (Terra-Nova), costruita a cavallo tra il XV e il XVI secolo dai governatori genovesi dell’isola per offrire alle famiglie più facoltose un rifugio alle incursioni e alle ribellioni che prendevano di mira la par-te più bassa e indifesa della città (il quartiere di Terra Vec-chia). Lassù, sulla Cittadella, è anche il Palazzo dei Gover-natori che risale nella sua parte più antica al 1380, oggi sede del Museo di etnografia corsa. Sulla Cittadella sono anche da visitare la cattedrale di Santa Maria e l’oratorio di Santa Croce con il Cristu Negru, un crocifisso di legno, annerito per la sua lunga permanenza in acqua, ritrovato da alcuni pescatori nel ‘500. Da allora, ogni anno a maggio, viene so-lennemente portato in processione per le viuzze della città per dedicargli la prima pesca della stagione. Il vecchio porto di Bastia mantiene intatto tutto il suo fascino, peccato però che sia nascosto alla vista di molti turisti che, frettolosamen-te, preferiscono imboccare un moderno tunnel sottomarino costruito in tempi più recenti per convogliare il traffico verso sud, sulla strada per Bonifacio (170 chilometri) e per Ajaccio (155 chilometri). Anche il “nuovo” porto della città, con il terminal dei traghetti, non è comunque così recente come si può pensare: è stato costruito nel 1862.

Vale assolutamente la pena di passare per Place Saint-Ni-colas - proprio di fronte al porto - anche solo per dare un’oc-chiata alla statua di Napoleone Bonaparte vestito da impera-tore romano. La piazza, tra palme e platani, ospita nei giorni festivi anche un mercato delle pulci e costituisce il fulcro vero della vita cittadina. Poco più a sud - nel quartiere di Ter-

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Bastia. Place Saint-Nicolas (San Nicolau)

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Bastia, i colori della città

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Cardo, costruito sulla sommità di uno sperone roccioso, si gode la veduta del porto di Bastia, dell’antica Cittadella e dello stagno di Biguglia più a sud. Gli amanti dell’arte non possono lasciarsi sfuggire lungo la Route de la Corniche la settecentesca cappella di St-Pierre e la chiesa di St-Martin, nei pressi di San Martino di Lota, e il caratteristico ponte a schiena d’asino di Mandriale, costruito nel Seicento sul fiu-me Miomo. Poco distante è il paese di Figarella, così detto perché completamente immerso tra i fichi.

Se vi fermate a Bastia e avete voglia di godervi - tempo permettendo - una delle più belle vedute del Mar Tirreno e dell’arcipelago toscano fate un salto sulla Route de la Cor-niche (la Strada del Cornicione). E’ una strada panoramica che sale da Bastia per una ventina di chilometri verso Car-do e Ville-di-Pietrabugno fino al santuario di Santa Lucia, per poi ridiscendere verso nord sulla litoranea in direzione di Erbalunga. I due villaggi di Cardo e Pietrabugno - tra i più antichi insediamenti dell’area - sono ormai inglobati nell’elegante periferia di Bastia. Dal santuario di Ste-Lucie, a

Bastia. L’ingresso al vecchio porto

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Bastia

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fuori dalla Corsica, conservando ulteriormente quella certa indipendenza dai destini dell’isola che ancora oggi è perce-pibile tra i suoi abitanti (i capicursini). Il moderno tracciato stradale (la D80) è più o meno lo stesso di quello antico, asfalto e parapetti a parte, spesso in quota e a strapiombo sul mare. Il versante orientale è abbastanza dolce, costellato di baie e di spiagge fino a settentrione, dove la strada taglia verso l’interno, da Macinaggio a Centuri Port, lasciando in-contaminata un’ampia riserva di macchia mediterranea. La costa occidentale è invece molto più frastagliata, dirupata e selvaggia.

L’intero giro del Capo riserva sempre piacevoli sorpre-se, non soltanto per le vedute di straordinaria emotività

Il promontorio di Cap Corse - u Capu, in corso - emerge dalle acque del Tirreno e del Mediterraneo come un severo “ditone” puntato sulla città di Ge-nova, che tanta parte ebbe sulle lunghe e contra-state vicende della Corsica. E’ sovrastato per tutta

la sua lunghezza - una quarantina di chilometri - da una dor-sale montuosa dominata nella sua parte centrale dalla cima del Folicce (1324 m) e da quella del Monte Stello (1307 m). Meno frequentato dai turisti che preferiscono affollare le co-ste meridionali della Corsica, Cap Corse vale però un’intera vacanza nell’isola. Se non fosse stato per Napoleone III che nella seconda metà dell’800 vi fece costruire tutto attorno una “carrozzabile”, l’intera regione sarebbe ancora tagliata

2. Cap Corse (U Capu)

La strada che aggira il promontorio di Cap Corse

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Un’immagine di Cap Corse

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Nonza

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nel XV secolo, la tradizione vuole che siano conservate tre reliquie: una mandorla del paradiso terrestre, un dito del pro-feta Enoch e il pugno di argilla da cui venne creato Adamo. Per lungo tempo il luogo ha attratto frotte di pellegrini, non solo dalla Corsica. Impossibile verificare la veridicità della tradizione perché il convento, oggi privato, non è visitabile, comunque secondo alcune voci le reliquie sarebbero state trafugate.

Sisco più che un comune è una comunità di piccoli villag-gi - 17 per la precisione - sparsi lungo una verde vallata che ancora sembra risuonare del rumore dei suoi antichi artigia-ni: fabbri, armaioli, orafi. Per questo la chiamano la “valle degli artigiani del ferro”. Un altro pezzo forte del paese è la Cappella di St-Michel costruita agli inizi dell’anno Mille dai pisani. Secondo gli esperti si tratterebbe del più bell’esempio di romanico pisano sull’isola. Si trova dopo Barrigioni ed è raggiungibile soltanto a piedi.

Dalla spiaggia bianca di Pietracorbara, chiusa verso l’in-terno dai canneti, si raggiunge attraverso un’ampia vallata il borgo della città, probabilmente abitato fin da tempi antichis-simi, come testimonia il ritrovamento pochi anni fa di resti umani risalenti al sesto millennio a.C.

Poco prima di Porticciolo, in un’insenatura sabbiosa, è la Torre dell’Osso (di l’Ossu in corso), detta anche Torre dell’Aquila. Tra le torri del sistema difensivo costiero co-struito in Corsica dai genovesi tra il XIV e il XVI secolo

che l’accompagnano o per le spiagge di sabbia o di mor-bidi ciottoli levigati dall’acqua disseminate nelle picco-le baie lungo il tragitto, ma per i paesi e i villaggi che vi si affacciano e le testimonianze che la regione conserva. Lavasina è nota soprattutto per il santuario di Notre-Dame, costruito nel 1677 in pietra rosa e meta ogni anno - l’8 set-tembre - di una suggestiva fiaccolata sulla spiaggia.

Dal delizioso porticciolo di Erbalunga, ben vigilato da una torre di guardia genovese, partivano un tempo le navi che trasportavano il vino della Corsica sul continente. Qui è da visitare la bella chiesa di St-Erasme dove si custodiscono i crocifissi portati in processione dai fedeli durante la settima-na santa. Nei dintorni sono anche le rovine di un vecchio castello e un santuario ancora più antico, Santa Maria delle Nevi, dove si conservano alcuni affreschi risalenti al 1386, opera probabilmente del genovese Giovanni da Recco. Sep-pure in cattivo stato di conservazione sono comunque i più antichi affreschi di cui si abbia testimonianza in Corsica. Vale la pena di farci un salto.

Dal piccolo villaggio di Pozzo, nel comune di Brando, par-te il sentiero - non particolarmente difficoltoso ma lungo - che porta sulla cima del Monte Stello (1307 m). Il panorama abbraccia l’intero Cap Corse frugando l’orizzonte del mare su entrambi i versanti del promontorio e giungendo, nelle giornate particolarmente limpide, fin sulla costa italiana.

Nel convento di Santa Caterina, eretto a Marina di Sisco

I colori del mare

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Nel Cap Corse

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Veduta dal faro

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to un antico e suggestivo porticciolo, Barcaggio (U Var-caghju), disteso tra dolci scogliere e spiagge sabbiose ai piedi della bella Torre d’Agnello. Di fronte si trova l’isola della Giraglia, con il suo potente faro, attorno al quale fa rotta una importante regata velica che si svolge ogni anno da Genova a Saint-Tropez: la Giraglia Cup. La spiaggia di Barcaggio ha un fascino veramente irresistibile. Anche Tol-lare - l’altro piccolo porto all’estremità settentrionale di Cap Corse - conserva integro tutto il fascino della natura corsa. Sulla strada che da Rogliano porta a Centuri, all’altezza del Colle della Serra, un breve sentiero conduce al mulino Mat-tei, restaurato nel secolo scorso. Oltre al Mulino è comunque anche il paesaggio a farla da padrone, con un bellissimo oriz-zonte sul Capo Bianco.

Centuri Port - il porto di Centuri, l’antica Centurium dei Romani - è tra le marine più incantevoli del Capo Corso, punta di diamante di numerosi villaggi e case sparse nell’en-troterra e testardamente aggrappate sulla montagna. Il fon-dale di Centuri è un vero e proprio paradiso per i subacquei. Anche la cucina - rigorosamente a base di pesce, in partico-lare di aragoste - non tradisce mai. Per secoli il porto è stato il punto di partenza di navi cariche di vino dirette in Francia o in Italia. Da Centuri un sentiero sale più o meno in un’ora fino al caratteristico villaggio di Cannelle, raggiungibile pe-raltro anche in macchina. Le sue case, letteralmente arrocca-te sulla montagna, sono tutte in pietra.

Dai colli di Morsiglia si domina tutto il golfo di Aliso.Chi avesse fretta di arrivare a Pino, sulla costa occiden-

tale del Capo, può percorrere da Santa Severa tutta la valle

è forse quella meglio conservata. Ai piedi della torre, cir-condata dalla macchia, è la Cala dell’Osso dove ci si può immergere.

Tomino, situato poco più a nord – prima di Macinaggio - è un piccolo villaggio di case in pietra, dominato da un’antica chiesa barocca e da una torre genovese. La vista spazia a tutto campo sia sulla riserva naturale dell’isola Finocchiarola che su Capraia facendo di questa cittadina un belvedere na-turale di grande fascino nelle giornate serene. Stando ai ritro-vamenti all’interno di alcune grotte, Tomino potrebbe essere stato uno dei primi centri di diffusione del cristianesimo in Corsica, probabilmente attorno al VI secolo.

Anche Rogliano, ai piedi del monte Poggio, ha vissuto in primissimo piano l’intera storia della Corsica. Il luogo era occupato in origine da una colonia fenicia, poi dai romani che lo battezzarono Pagus Aurelianus, quindi dai genovesi, che vi stabilirono la sede del loro governatorato nell’isola, e infine dai francesi. La chiesa di S. Agnellu, nei pressi di Bettolacce, ha l’altare maggiore in marmo bianco doc di Carrara. Il castello di San Colombano (“u castellacciu”), ap-partenente un tempo a un’importante famiglia di Genova, i Da Mare, fu distrutto dagli stessi genovesi nel 1554 per ven-dicarsi dell’appoggio dato da quella famiglia ai movimenti indipendentisti corsi. Le gigantesche pale a vento dei mu-lini del monte Poggio, sopra Rogliano, appartengono a una centrale per la produzione di energia eolica. Sono attivi già da alcuni anni, con effetti quindi probabilmente positivi in termini di risparmio energetico.

All’estremità nord della punta di Capo Corso è situa-

Cap Corse

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strada che attraversa i comuni di Barrettali e di Canari. E’ chiamata la “cornice alta”, una variante di indubbio fascino per chi ha voglia di godersi lo splendido panorama della co-sta dall’alto, particolarmente eccitante soprattutto al tramon-to. A Canari, antico feudo medievale, due chiese di un certo interesse sono sopravvissute al tempo: Santa Maria Assunta, del XII secolo, e la chiesa di San Francesco, costruita nel Cinquecento.

Arroccata sul versante settentrionale del golfo di Saint-Florent, Nonza è un vero e proprio gioiello della Corsica. Nella parte alta del promontorio, suggestiva e maestosa, è la famosa Torre quadrangolare, al centro di un episodio che ha fatto epoca: nel 1768, ultimo baluardo degli indipendentisti corsi, la Torre capitolò dopo un lungo assedio arrendendosi ai francesi. Ma questi, increduli, dovettero constatare che l’e-sercito separatista era formato da un solo uomo, il capitano Giacomo Casella, che aveva architettato un complicato con-gegno di funi e di cordicelle per simulare un intenso fuoco di sbarramento da tutti i bastioni. Nonza è anche famosa per aver dato i natali a Santa Giulia, martire e patrona della Cor-sica, a cui è dedicata la chiesa parrocchiale della città. Una cappelletta lungo la discesa che conduce alla bella spiaggia di ciottoli neri ricorda - presso una fonte miracolosa - il luogo dove venne crocifissa. A chi ama il brivido farà piacere sape-re che la spiaggia di Nonza è anche il punto di atterraggio di spericolati voli in parapendio.

Per apprezzare veramente Cap Corse – ma il discorso vale per tutta la Corsica - non basta il “mordi e fuggi” del turista

del Luri, valicando il colle Santa Lucia per ridiscendere suc-cessivamente verso il mare. Molto caratteristici i villaggi di pietra lungo la strada, tra cui Castello e Fieno, ormai in parte invasi dalla vegetazione.

Nell’entroterra di Pino, all’altezza del colle Santa Lucia - sulla strada che taglia il Capo Corso attraversando le mon-tagne - si trovano i resti di un antico castello appartenuto anch’esso alla famiglia dei Da Mare, feudatari di Genova e per secoli signori incontrastati del Capo. Il castello fu co-struito, stando alla leggenda, sul luogo della famosa Torre di Seneca, dove il filosofo romano trascorse il suo lungo esilio in Corsica tra il 41 e il 49 d.C. La torre si raggiunge in meno di un’ora lungo un sentiero che a tratti si inerpica sulle rocce, ma è alla portata di tutti e vale veramente lo sforzo. Il pano-rama e il tuffo nel passato sono indimenticabili. Per la pre-cisione, va detto che la leggenda non sempre collima con la realtà: per alcuni storici la vera casa di Seneca era in tutt’altra parte dell’isola, forse nei pressi di Aléria, sulla costa centro-orientale della Corsica. Ma un po’ di fantasia non guasta.

Anche Pino, come diversi altri comuni di Capo Corso, è più che altro una comunità di villaggi, un insieme di frazioni sparse senz’ordine sul territorio, tra la vegetazione e le pie-tre. Accanto alle ville e alle case coloniche sono assai nume-rosi anche i tempietti e le cappelle funerarie, dagli stili più variegati. Sul litorale - nei pressi dell’immancabile torre di guardia - è il bel convento di San Francesco del ‘400.

Sopra la stretta insenatura della marina di Giottani, tra i paesi di Minerbio e Marinca, si inerpica a mezza costa una

Cap Corse, l’interno

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La torre di Seneca

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stion de la réserve naturelle) è nel comune di Rogliano. Le marine della riserva di Capandula si snodano lungo l’antico “sentiero dei doganieri di Cap Corse”, percorso un tempo dalla guardia costiera per reprimere il contrabbando. Il sen-tiero, percorribile soltanto a piedi, abbraccia praticamente lungo il mare tutta l’estremità nord del Capo, da Macinag-gio a Centuri. E’ veramente spettacolare. La prima parte del sentiero (tre ore tra andata e ritorno, in mezzo alla macchia mediterranea, rasentando spiagge e scogli rocciosi) parte dal campeggio U Stazzu di Macinaggio, attraversa la spiaggia di Tamarone e la Riserva di Capandula, passa di fronte all’isola Finocchiarola e arriva fino al porticciolo di Santa Maria. Lì, oltre alla piccola cappella del XII secolo dedicata a Santa Maria, fa mostra di sé un’antica torre genovese, praticamen-te nell’acqua. Si può tornare a Macinaggio anche tagliando nell’interno attraverso i vigneti. I più tenaci possono invece proseguire lungo l’antico tracciato del sentiero dei doganieri oltre la baia di Santa Maria, verso la Punta d’Agnello, Bar-caggio, Tollare e il Capo Grosso, per giungere via costa fino a Centuri. Ma ci vuole tempo e acqua in abbondanza. Per i meno attrezzati vanno bene anche le strade che dalla D80 raggiungono comodamente la costa a Barcaggio, Tollare e Capo Grosso.

frettoloso. Chi non ha tempo dispone però di una facile al-ternativa: la cima di Serra di Pugno (960 m), tra i punti più panoramici di Capo Corso, con vista su entrambi i versanti del promontorio. E’ facilmente raggiungibile dalla strada che collega Bastia a Saint-Florent.

MACINAGGIO E IL SENTIERO DEI DOGANIERI

Macinaggio, pittoresco e animato villaggio del Cap Cor-se, attorniato da scogli e spiagge di grande fascino, è con-siderato fin dai tempi antichi uno degli scali più protetti di tutta l’isola. Non a caso è da qui che - stando ai resoconti dell’epoca - partì la flotta corsa che nel 1571 partecipò con la Lega Santa alla battaglia di Lepanto contro i turchi ed è qui che due secoli più tardi sbarcò Pasquale Paoli per sottrarre l’isola ai genovesi e dare vita a un governo della nazione corsa. Nei pressi del porto - il più importante scalo turistico di Cap Corse - si affittano canoe e altre imbarcazioni, men-tre un piccolo ma simpatico servizio di crociera garantisce il giro del promontorio lungo la riserva naturale di Capandula, tra i luoghi più suggestivi e incontaminati della Corsica, e l’isola Finocchiarola, su cui è vietato l’approdo. La riserva naturale delle isole Finocchiarola - costituita nel 1987 - si estende per circa 3 ettari e comprende tre isolotti (A Terra, Mazzana e Finocchiarola) situati all’estremità nordorientale del Capo. L’ente che gestisce la riserva (Association de ge-

Centuri

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Corsica. Prodotti tipici

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Corsica. Prodotti tipici

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della di Saint-Florent è stata aspramente contesa nel tempo dai genovesi, dai corsi e dai francesi. Nel 1794 fu danneg-giata dai cannoni inglesi dell’ammiraglio Nelson. Nei pres-si dell’antico insediamento romano sorge la Cattedrale del Nebbio, dedicata a Santa Maria Assunta, ricostruita nel XII secolo in stile romanico pisano.

La posizione della città al centro del golfo di Saint-Florent ha trasformato l’intera area in una meta esti-va particolarmente ambita dai turisti. La spiaggia della Roya, appena sotto Saint-Florent, è ben conosciuta an-

SAINT-FLORENT E IL NEBBIO

L’area dove oggi sorge Saint-Florent - sulla costa setten-trionale della Corsica, poco distante da Bastia - fu esplorata nell’antichità dai romani che vi fondarono la città di Nebium. Successivamente venne fortificata dai genovesi che nel 1439 vi eressero a sua difesa la Cittadella per farne la sede dei governatori del Nebbio, la regione che si estende nell’entro-terra meridionale della città. In posizione strategica sul golfo, sia da un punto di vista militare che commerciale, la Citta-

3. La Balagne

Saint-Florent

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Sant’Antonino

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volta affrescata o il bell’altare decorato di marmi intarsiati. La ragione è un’altra: nel suo giardino è conservata una sta-tua-menhir dalle sembianze umane (viene chiamata u nativu) che risale probabilmente al IX secolo avanti Cristo. Venne alla luce negli anni Sessanta durante i lavori di terrazzamento di una vigna.

Più nell’interno è Murato. Il paese, molto caratteristico e ben conservato, è praticamente diviso in due: Muratu Sutta-nu (la parte bassa) e Muratu Supranu (in alto). Su un pianoro a 475 metri di altitudine, costruita in pietra bianca e verde nel XII secolo, la bellissima chiesa di San Michele a Murato domina la Valle del Bevinco stagliandosi nettamente sulle colline del Nebbio. Molto caratteristico il campanile addos-

che dai surfisti perché battuta spesso dal vento. Le co-ste verso il deserto des Agriates sono invece più riparate. La regione del Nebbio è costituita dall’antica piana alluvio-nale percorsa dall’Aliso fino a Saint-Florent, estendendosi ad est fin quasi allo stagno di Biguglia, sotto Bastia. La campa-gna del Nebbio merita - per il suo paesaggio - la stessa atten-zione riservata generalmente al mare. Ideale per i cicloturisti e gli amanti della mountain bike. Sulle colline della regione - che Pasquale Paoli chiamò Conca d’oro - sorgono centri che ancora conservano la memoria del loro passato. Tra que-sti c’è Patrimonio (Patrimoniu), sulla strada verso Bastia, ri-nomato per la produzione dei vini. La cittadina deve la sua notorietà anche alla chiesa di Saint Martin. Non però per la

Il deserto des Agriates

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zione del formaggio. Oggi l’intera area è tutelata dalla Conservatoria del Litorale (Conservatoire de l’Espa-ce Littoral) e dal Syndicat mixte des Agriates. L’unica strada asfaltata che attra-versa il promontorio è la D81 (route départementale) che da Bastia porta a Saint-Florent congiungendosi poi sulla “Balanina”, la nazio-nale diretta a L’Île-Rousse. Ed è sulla D81 l’unico cen-tro abitato dell’area: la fra-zione di Casta.

Lungo la costa, solcata da un antico e suggestivo sentiero dei doganieri - uno dei più belli tra quelli che cingono la costa corsa - si aprono stupende marine tra cui la spiaggia di Saleccia, sotto Punta di Curza (colle-gata alla D81 da una pista molto accidentata di 12 chi-lometri che parte da Casta) e la spiaggia di Malfalco,

nei pressi di Punta di Pietra Alta (collegata invece Bocca di Vezzu, sulla D81, da una strada sterrata di 14 chilometri). Entrambe le piste sono percorribili con dei fuori strada o in mountain bike, o anche a piedi, ma sempre con molta pru-denza e attrezzature adatte, soprattutto a luglio e ad agosto. La sabbia delle spiagge è bianchissima, in forte contrasto con il colore turchese del mare. Sulla lunga spiaggia di Saleccia (dove è stato girato lo sbarco in Normandia del “giorno più lungo”), tra i pini di Aleppo, c’è un campeggio, l’unico posto dove poter pernottare. Il “sentiero dei doganieri” des Agria-tes è lungo 45 chilometri: congiunge via costa Saint-Florent con la foce dell’Ostriconi, nella baia di Peraiola, verso L’Île-Rousse. E’ molto impegnativo ed è quindi riservato soltanto agli amanti più esperti del trekking. Nel suo tratto iniziale passa per il faro di Fornali, la Torre della Mortella, costruita dai genovesi nel XVI secolo e la spiaggia del Loto fiancheg-giando poi l’intera costa del “deserto” fino alle dune della bellissima spiaggia dell’Ostriconi, alla foce del fiume (da cui transitano i servizi di pullman che collegano Saint-Florent con L’Île-Rousse, e ritorno).

Nell’entroterra del deserto, sulla strada per Corte, è il vil-laggio di Lama, molto caratteristico per i riusciti interventi di conservazione urbanistica che lo hanno interessato.

LA BALAGNE

La Balagne (Balagna), nella parte nord-occidentale del-la Corsica, si estende tra le pendici del massiccio centrale

sato alla facciata. L’uomo con le braccia ai fianchi e quello nudo col bastone, che coronano le mensole della facciata, rappresenta-no il potere religioso e am-ministrativo esercitato nella pieve ai tempi della domi-nazione pisana (XII e XIII secolo). Difficile sottrarsi alla tentazione di fotogra-fare la chiesa, costruita nel 1280 con un uso magistrale di materiali policromi.

Nell’entroterra del Neb-bio si aprono diversi paesini che meritano di essere visi-tati, tra cui Oletta, Murato, San Pietro di Tenda, Pieve.

Santo-Pietro-di-Tenda conserva due antiche chie-se: quella barocca di San Giovanni Evangelista, con una doppia facciata e - poco fuori dell’abitato - la pieve di San Pietro, risalente al XIII secolo.

A Pieve tre menhir an-tropomorfi testimoniano della presenza dell’uomo in questo luogo fin dal II millennio avanti Cristo. Ad un’ora di marcia dal paese ci sono anche i resti della “chiesa nera” di San Ni-colaiu del XIII secolo, in stile romanico-pisano. E’ detta così perché interamente costruita con pietra scura.

Il “défilé” di Lancone - lungo la strada che porta allo Sta-gno di Biguglia - è un insieme di dirupi mozzafiato scavati dal fiume Bevinco: una golosità per chi ha voglia di emo-zioni.

IL DESERTO DES AGRIATES

Il deserto des Agriates è un promontorio che si estende per oltre 15.000 ettari di area costiera tra il golfo di Saint-Flo-rent e la baia di Peraiola, alla foce del fiume Ostriconi, non lontano da L’Île-Rousse. E’ delimitato a sud dalle alture del Nebbio. L’intera area, selvaggia e pietrosa, è disseminata di macchia mediterranea e si affaccia sul mare per 36 chilome-tri di costa, in alcuni punti estremamente frastagliata. Poche le alture, tutte al di sotto dei cinquecento metri.

Per un paradosso della storia il deserto di “Les Agriates” deriva il suo nome da ager (che in latino è il campo coltiva-to), e costituiva fino al XIX secolo il “granaio” della Corsica, frequentato durante la buona stagione dai contadini di Cap Corse e di Saint-Florent di cui rimangono ancora intatti i ca-ratteristici pagliaghji (pagliai) a cupola, disseminati un po’ per tutta la regione. Vi si coltivava grano, olivi, viti, frutteti, che d’inverno lasciavano spazio alla pastorizia e alla produ-

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La chiesa di San Michele di Murato nei pressi di Calvi

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e attività artigianali di ogni tipo). Pigna ha saputo coniugare molto bene nel tempo le sue antiche tradizioni con le esi-genze della valorizzazione turistica offrendo un ambiente di indubbia suggestione. Alle moltissime botteghe che si affac-ciano sulle viuzze del borgo attorno alla Casa di l’artigiani, si è aggiunto il Festivoce, una manifestazione canora dedicata al canto polifonico che si svolge ogni anno con grande afflus-so di artisti anche internazionali. La Casa Musicale (Scat’a Musica) - che offre anche servizi di alloggio e di ristorazione - è deputata alla conservazione della musica corsa e delle tradizioni più importanti.

Le puntate nell’interno della Balagna rivelano sempre belle sorprese e bei panorami. Una di queste sorprese è Sant’Antonino (Sant’Antoninu). Il borgo, costruito dai Sa-velli, è una vera e propria fortezza. Quando all’orizzonte si stagliavano le sagome delle navi saracene tutta la popola-zione vi trovava riparo. Oggi la cittadina è un vero e proprio polo turistico e artigianale. Notevolissimo il panorama. Ma tutti i centri della Balagna hanno un belvedere che vale una sosta non frettolosa. Tra i paesini più vivaci vi è Calenzana (Calinzana) famosa non solo per la qualità del suo olio, del vino e del miele, ma per il fatto di costituire la porta d’in-gresso di due frequentati e straordinari sentieri di trekking. Il primo - la Grande Randonnée 20, meglio conosciuto come GR20 - arriva fin nel Sud della Corsica, poco sopra Porto-Vecchio. Il secondo - il Mare e Monti nord - porta verso Ajaccio. Sono due tra i percorsi più affascinanti che attraver-

dell’Haute Corse nel Parco regionale della Corsica e la fa-scia costiera tra L’Île-Rousse e Calvi. Il nome riprende il termine greco balanos, che ricorda le olive di cui la pianu-ra era piena. La regione era abitata anticamente da alcune tribù che vivevano di caccia, pesca e miele. Furono loro ad erigere le statue menhir, ormai in gran parte distrutte, che ancora si trovano in questa parte della Corsica. Comunque, la posizione geografica e il clima - insieme alla fertilità delle sue terre - l’hanno sempre resa appetibile a tutti, dai greci ai cartaginesi, dagli etruschi ai romani, dai pisani ai genovesi, che ne hanno favorito la crescita costruendovi nel tempo una gran quantità di chiese, dimore e castelli. La Balagna costitu-iva un po’ il frutteto della Corsica, la prima regione viticola dell’isola. Poi “Santa Balagna”, come veniva chiamata per le sue straordinarie risorse, ha ceduto progressivamente il passo all’artigianato, l’agricoltura è entrata nella sua fase di stanca e il turismo - soprattutto sulla costa - ha finito per soppiantare le vigne, il grano e gli ulivi. E’ comunque una delle regioni più gradevoli della Corsica. La “strada degli artigiani” che la solca è un vero e proprio percorso lungo i luoghi delle produzioni artigiane più caratteristiche della Balagne, a cui si deve - occorre dirlo - gran parte della rinascita turistica della regione e dei paesi che la popolano: da Calenzana (mo-bili in legno, rilegatura di libri) a Occhiatana (vasi, lampade, portacandele e oggetti in grès), passando per Lumio (colet-teleria), Corbara (ceramica d’autore, piatti), Feliceto (cuoio, vetrosoffiato), Pigna (strumenti musicali, carillon, ceramica

Un trenino che collega Calvi a L’Île-Rousse

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Calvi, la cittadella

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Calvi

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pendentista e la successiva annessione dell’isola alla Francia riprese l’antico nome de L’Île-Rousse (L’Isula Rossa), che prende il nome dall’Isola de la Pietra, un isolotto di roccia rossastra poco distante, unito al porto da un molo costruito sul finire dell’Ottocento. Da Place Paoli, con al centro un busto in marmo bianco del “generale della Nazione Corsa”, si accede alla città vecchia che discende verso il mare. Poco lontano, sugli scogli, si erge la torre del faro. Il mercato co-perto e l’Aquarium sono - per i prodotti di terra e di mare - lo specchio della Balagna, di cui L’Île-Rousse rappresenta lo sbocco sul Tirreno. Di fronte, collegata da un molo, c’è l’Ile de la Pietra. E’ formata da rocce di color rosso e ocra.

CALVI

Eretta all’estremità di un promontorio di roccia, Calvi è dominata - come i più importanti centri dell’isola - dall’an-tica Cittadella, con uno splendido giro di ronda risalente al XIII secolo. La storia della città si perde nella notte dei tem-pi: scelta dai romani che vi fondarono una colonia in epoca cristiana - Sinus Casalus - e martoriata dalle successive inva-sioni barbariche, attraversò un lungo declino risollevandosi soltanto sotto la dominazione pisana e la successiva egemo-nia genovese. Una lapide posta all’ingresso della città (“Ci-vitas Calvi semper fidelis”) ricorda la fedeltà della città alla Repubblica di Genova contro i tentativi di conquista francese nel Cinquecento. Nel 1729 la città si rifiutò di seguire Pasqua-le Paoli nella lotta indipendentista contro i francesi, ospitan-do e proteggendo molti suoi oppositori, tra cui - nel 1793 - lo stesso Napoleone Bonaparte. Bombardata e conquistata l’an-no successivo dalla flotta inglese dell’ammiraglio Nelson, fu definitivamente annessa alla Francia nel 1797. Il nucleo storico della città è tutto arroccato sul promontorio. Impor-tanti vestigia sono il Palazzo dei governatori del secolo XIII, rimaneggiato e ampliato successivamente, e la chiesa di St-Jean-Baptiste (San Giovanni Battista) interamente ricostruita verso il 1570 sulle rovine della vecchia chiesa duecentesca. Sorge nel punto più alto della Cittadella. Un piccolo museo di arte sacra si trova, poco distante, nell’Oratorio di Sant’An-tonio, risalente a Quattrocento. Affacciata sull’insenatura di Fontanaccia - sul lato opposto del porto - è invece la casa dove secondo la tradizione locale sarebbe nato Cristoforo Colombo (nel 1441, quando Cristoforo Colombo nacque, la città apparteneva in effetti a Genova). La città bassa, detta “la Marina”, vive tutta attorno agli antichi magazzini del porto, trasformati per la bisogna in colorati locali per i turisti. Dalla chiesa di Ste-Marie-Majeure (Santa Maria Maggiore) parte ogni anno a ferragosto una importante processione dell’As-sunta. Calvi è considerata la capitale della Balagna. Dal por-to alcune imbarcazioni fanno la spola con i punti più attrattivi della sua costa, tra cui, verso est, Punta Spanu e la marina di Sant’Ambrogio ad Algajola. Poco distanti sono anche la spiaggia di Santa Restituita e dell’Arinella.

Algajola è una città fortificata di antichissime tradizioni, risalenti secondo alcuni addirittura ai fenici. La città conobbe il suo massimo splendore sotto i genovesi che la cinsero di

sano la Corsica in lungo e largo. Nei pressi di Calenzana vi è la chiesa di Ste-Restitude, eretta in epoca romana sui resti di un’antica necropoli. La santa - il cui martirio è ricordato negli affreschi dietro l’altare - è la patrona della Balagne. Ai piedi del campanile della Collegiata una targa ricorda an-che la battaglia di Calenzana che nel 1732 vide la morte di 500 soldati tedeschi al servizio di Genova. L’antica capitale della Balagna è Corbara (Curbara), praticamente sulla costa. La cittadina è dominata dalla chiesa barocca dell’Annuncia-zione - costruita con marmi provenienti dalle Alpi Apuane in Italia - e dall’antico convento dei Francescani, distrutto durante la rivoluzione francese e ricostruito più imponente dai Domenicani. E’ sede di un’accademia di studi filosofici e teologici. Dal convento si può salire lungo un sentiero sul Monte Sant’Angelo, in realtà poco più di una collina (562 m). Da quelle parti sono anche le rovine di un castello genovese del XVI secolo appartenente un tempo alla famiglia Savelli. Nel cimitero di Aregno, la chiesa della Santissima Trinità fu costruita nel XII secolo in stile romanico-pisano. Al suo interno conserva degli affreschi del ‘400, tra cui San Michele che uccide il drago.

Nella chiesa di Muro avvenne nel 1730 il miracolo di un crocifisso che si mise improvvisamente a sanguina-re. Da quel momento il luogo è meta di pellegrinaggi. Zilia, nei pressi di Montegrosso, è nota per le sorgenti dell’ac-qua Zilia, un’acqua minerale conosciuta in tutta la Corsica.

Speloncato (Spuncatu) è tra i paesi più suggestivi della re-gione. Prende il nome dalle numerose grotte che lo circon-dano, tra cui quella - ormai famosa - della Petra Tafonata: l’8 aprile e l’8 settembre il sole, dopo essere calato dietro le montagne, riappare improvvisamente attraverso la grotta illuminando con un fascio di luce la piazza del paese. Qui è anche la secentesca chiesa di Santa Maria.

In posizione panoramicissima sul golfo di Calvi, i due antichi villaggi di Lumiu e di Capu d’Occi - vivo il primo, completamente abbandonato il secondo - rivelano fortissima l’antica influenza pisana e genovese. Il cimitero di Lumio conserva una cappella romanica dell’XI secolo, rimaneggiata più tardi, dedicata a San Pietro e Paolo.

Nel centro dell’alta Balagne - tra il Monte Corona e il monte Padro - la foresta di Tartagine ospita - tra natura in-contaminata e villaggi di antico carattere - sentieri e percor-si di grande fascino. L’intera area è un’ambita meta degli amanti del trekking. Vi si arriva anche dalla costa tramite la strada che da Belgodere conduce nell’entroterra ai villaggi di Speloncato, Pioggiola, Mausoleo. La foresta di Tartagine-Melaja, tra le più grandi della Corsica, prende il nome dai fiumi che le percorrono.

L’ÎLE-ROUSSE

Fondata nel 1758 da Pasquale Paoli, sul luogo dove i roma-ni avevano edificato l’antica Rubico Rocega, la città doveva servire da testa di ponte per contrastare l’egemonia france-se nel nord della Corsica. In onore di Paoli avrebbe dovuto chiamarsi “Paolina”, ma con il fallimento del tentativo indi-

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Calvi che - attraverso il golfo di Girolata - alla città di Porto. Il vento del golfo - particolarmente vivace da queste parti - può regalare ai surfisti piacevoli momenti in acqua, mentre la canoa può essere praticata anche verso l’interno, ma con particolare attenzione. Ugualmente per il trekking. La spiag-gia di Galéria è quella della Ricciniccia, una lunga lingua di sabbia e di ciottoli che separa il mare dall’estuario del Fango, formatasi nel corso del tempo con detriti alluvionali. Risa-lendo la valle del Fango lungo la foresta di Filosorma si può giungere fino al caratteristico ponte di e Rocce, da cui par-tono alcuni sentieri di trekking immersi nel parco regionale.

Risalendo invece direttamente da Calvi la vallata della Figarella, lungo la strada che passa per l’aeroporto, si entra attraverso la D251 nella Foresta di Calenzana e in quella di Bonifato, ai piedi del Parco naturale regionale della Corsi-ca. Il sentiero che dall’Auberge de la Fôret porta in quasi tre ore al rifugio di Carrozzu, sotto la Muvrella (2148 m.), è una specie di scorciatoia per raggiungere il villaggio di Haut-Asco e immettersi sul sentiero della Grande Randonnée n. 20 (GR20), un classico dell’escursionismo corso e internazio-nale. Le pareti di porfido e le guglie della catena montuosa che sovrasta la foresta si stagliano sopra il verde dei larici. Per gli alpinisti più temerari, nei pressi del rifugio di Car-rozzu, c’è anche l’ebbrezza della “passerella” di Spasimata, ma il consiglio è quello di non sfidare la sorte. In ogni caso l’Ufficio Nazionale delle Foreste propone delle visite guidate con emozioni garantite anche a dimensione dei meno esperti.

mura per porla al riparo dalle incursioni. Anche la chiesa di San Giorgio - con un’antica Deposizione attribuita al Guer-cino - fu fortificata a seguito di un attacco dei barbari. Nel 1729 fu conquistata dai corsi genovesi, poi perse progressi-vamente la sua importanza a favore di Calvi e, soprattutto, de L’Île-Rousse, dove si diresse gran parte dei suoi abitanti. E’ comunque una pregevole stazione balneare, servita anche dal trenino che da Ponte di Leccia la collega sia a L’Île-Rousse che a Calvi. Caratteristico il porticciolo.

Di grande fascino, nei pressi di Calvi, l’escursione alla Punta della Revellata e alle sue grotte, ad ovest della città. La vista delle scogliere dal faro della Revellata è assolutamen-te da non perdere. Sul piccolo promontorio si trova anche la famosa grotta dei vitelli marini. I fondali e le immersioni promettono emozioni indimenticabili. Da quelle parti un’al-tra bella vista sul golfo è dalla terrazza della chiesa di Notre Dame de la Serra, costruita nel XIX secolo sulle rovine di un antico santuario. Se non siete soddisfatti potete salire ancora più sù e arrivare in cima al Capu di a Veta, ad oltre 700 metri di altezza.

La costa sud-occidentale di Calvi, tra la Punta della Re-vellata e il Golfo di Galéria, particolarmente frastagliata, of-fre opportunità ed emozioni. Tre le tappe quasi obbligate: la baia di Nichiareto, il faro di Capo Cavallo e la spiaggia dell’Argentella nella baia di Crovani. Il lungo tratto di costa è chiuso dal villaggio di Galéria, che in realtà non è un vero e proprio paese, ma un semplice porticciolo alla foce del fiume Fango. Un rapido servizio di piccoli traghetti la unisce sia a

Una spiaggia lungo la costa della Balagne

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il nome dal fiume Porto che proprio in quel luogo sfocia nel mare lasciandosi alle spalle le gole della Spelunca e la valle di Evisa. Dall’alto dell’imbarcadero vigila un’antica e mas-siccia torre genovese del XV secolo, restaurata. Nei pressi anche un bell’acquario.

Dal porto della città partono le piccole crociere turistiche dirette sia al golfo di Girolata e alla riserva della Scandola, che alle grotte di Capo Rosso. Il golfo di Porto si apre a sud con uno straordinario panorama di guglie e pareti scoscese di rosso granito scolpite dal vento e dall’acqua, colonne e

PORTO E IL SUO GOLFO

Dominato dalle bellissime guglie del monte di Capu d’Or-tu, che si erge fino a 1296 metri di altezza, Porto deve la sua fama al fascino incontrastato del suo paesaggio e all’am-biente circostante. Il golfo sul quale si affaccia è un insieme di piccole insenature che si rincorrono lungo la costa tra il promontorio della riserva naturale della Scandola, a nord, e la punta di Capo Rosso, a sud. Nel mezzo ci sono spiag-ge, marine e scogliere tutte da scoprire. La località prende

4. La costa occidentale

La riserva della Scandola

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la spiaggia di Ficajola e quella più ventosa di Arone, particolar-mente amata dai surfisti, entrambe facilmente raggiungibili. A nord di Porto, dalla strada panoramica che corre a mezza costa sul golfo, alcune discese consentono di arrivare al mare abbastanza comodamente. Le marine più frequentate sono la spiaggia di Bussaglia (all’altezza di Serriera), la spiaggia di Caspiu (in corrispondenza di Partinello) e quella di Gra-telle (all’altezza di Osani). Prevalentemente sono spiagge di ciottoli. I tre villaggi sono dei piccoli gioielli aggrappati sui monti e meritano di essere visitati.

LA RISERVA NATURALE DELLA SCANDOLA

L’ingresso alla Riserva naturale della Scandola - sul pro-montorio all’estremo nord del golfo di Porto - è dalla “bocca a croce” sulla D81, all’altezza di Osani, da cui parte un sen-tiero che discende verso il mare fino alla Caletta di Tuara,

pinnacoli dalle forme spettacolari e suggestive che i corsi chiamano “e Calanche” (le Calanche). Difficile sottrarsi alla tentazione di dare un nome alle forme o di abbandonare la strada per esplorarle - come antichi pastori o soldati - lascian-dosi trasportare dai sentieri che le attraversano.

Il punto più famoso, una vera terrazza affacciata sul mare, sono i bastioni di un forte di roccia (lo chateau fort) da cui il tramonto è assolutamente indimenticabile. Oltre le Calan-che, alcune strade e sentieri conducono dal piccolo borgo di Piana fino alla Punta di Ficajola e a quella di Capo Rosso (Capu Rossu), sormontata dalla torre di Turghiu. Il sentiero più battuto parte da una grande “testa di cane” (sulla strada che proviene da Porto) e arriva dopo una mezzoretta fino a un fortino - lo “château fort” - una sorta di piattaforma naturale con vista irripetibile sui calanchi e il golfo.

Le spiagge e le vedute di Capo Rossu non hanno nulla da invi-diare a quelle della riserva naturale della Scandola, soprattutto

Spiaggia nel Golfo di Girolata

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fronte alla costa per difenderne i fondali: coralli, conchiglie, aragoste, ma anche un’alga di tipo calcareo che ha formato col tempo sulla scogliera una specie di sottile marciapiede sul mare lungo più di cento metri. La pesca e le immersio-ni sono vietate. Per gli amanti della flora e della fauna le escursioni nella Riserva della Scandola - anche fino alla baia dell’Elbo, dietro punta Palazzu - assicurano, immersi nella bellissima macchia mediterranea, la vista di molte specie di uccelli: cormorani, merli, rondoni, cinciazzurre, ma soprat-tutto il falco pescatore, divenuto il simbolo della Riserva.

CARGÈSE E IL GOLFO DI SAGONE

Cargèse - situata sul promontorio che chiude a nord il golfo di Sagone - conserva da secoli sia il segno dell’antica identi-tà ortodossa che quello della cultura latina. E’ la città greca

tappa obbligata per raggiungere il piccolo villaggio di Giro-lata. Il paese, difeso da un fortino genovese del XVI secolo, sorge sul luogo dove nel 1540, secondo quanto si racconta, venne distrutta da Giannettino Doria la flotta del pirata Dra-gut. L’area della riserva si affaccia sull’interno del golfo di Girolata, tra il Capo d’Osani e le rocce rosse di Punta Scan-dola, di difficile approdo. La Scandola è nella lista del patri-monio mondiale dell’Unesco, l’organizzazione delle Nazioni Unite per la scienza e la cultura. Lo scenario della Riserva è ad un tempo maestoso e selvaggio, dominato dal massic-cio della Scandola, un promontorio di roccia vulcanica che si apre frastagliato sul mare con numerose grotte e calanche. Al largo - tra punta Muchillina e punta Palazzu, sono i due isolotti di Gargalu e Garganello che si contendono il primato di essere la parte più occidentale della Corsica. La protezione del parco è stata estesa anche ad un’ampia fascia di mare di

Porto. Il porto turistico della città

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Le calanche che si affacciano sul Golfo di Porto

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Le calanche che si affacciano sul Golfo di Porto

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Nell’entroterra di Sagone, a Vico, il Convento di San Fran-cesco conserva il più antico crocifisso in legno della Corsica: “u Santu franciscone”. Le cripte sotto il convento erano usate in passato per seppellirvi i defunti e non è escluso che le at-mosfere della chiesa possano ancora impressionare qualche visitatore. Vico fu completamente fortificata in passato, tanto che nel 1572, per volere di Gregorio XIII, vi venne addirit-tura trasferita la sede vescovile, poi definitivamente spostata a Calvi. Nelle vicinanze, a Renno, si tiene a metà agosto una delle più importanti manifestazioni fieristiche della Corsica, dedicata all’agricoltura e ai prodotti dei campi.

Un’altra deliziosa meta di facili escursioni è rappresentata dal laghetto alpino di Creno (Lavu di Crenu), ai piedi del Monte S. Eliseo. E’ ad oltre 1300 metri di altezza, circondato dai larici. Si raggiunge in un’oretta da Soccia, sopra Guagno-les-Bains, immersi nella tipica vegetazione corsa. Le sue ac-que sono quasi ghiacciate. Guagno-les-Bains è una piccola ma famosa località termale lungo le acque del fiume Grosso. Conosciute fin dal Cinquecento queste terme hanno curato per secoli reumatismi ed acciacchi di varia natura, grazie alle proprietà delle sorgenti che in quel punto sgorgano anche ad oltre 50 gradi di temperatura.

La valle del fiume Liamone, che sfocia con il suo estuario nel Golfo di Sagone, segna il confine quasi naturale tra la co-sta nord-occidentale della Corsica e quella sud-occidentale

per eccellenza della Corsica. Abitata fin dal XVII secolo da coloni greci che qui si stabilirono, prima sotto la protezione della Repubblica di Genova poi della Francia, è sempre stata osteggiata dai corsi che soltanto nell’ultimo secolo ne hanno reso possibile l’integrazione. Ne sono una testimonianza le due chiese dedicate alla Vergine - una greca e l’altra latina, appunto - entrambe del XIX secolo, che custodiscono all’in-terno preziose icone, tavole e dipinti rinascimentali. A dir messa nell’una e nell’altra chiesa è lo stesso sacerdote, di rito ortodosso, munito di apposita dispensa papale.

A nord della città, sul promontorio di Capo Rossu, si apro-no le belle spiagge di Pero e Chiuni, con le immancabili torri di guardia genovesi. Ce ne sono addirittura tre a breve di-stanza una dall’altra: sulla punta di Cargèse, di Omigna e di Orchino. E’ un segno dell’effettivo pericolo rappresentato in questa zona dai saraceni. Verso sud, non distante dalla città, ci sono le grotte di Molendinu e altre marine che annunciano il golfo di Sagone.

Se Cargèse è greca, Sagone è una città romana. Fondata nel VI secolo e divenuta sede vescovile nel Medioevo, fu ben presto abbandonata, a causa della malaria, dai suoi abitanti che si rifugiarono verso l’interno lasciando la costa al suo destino. Anche il vescovado si trasferì a Calvi. Soltanto in epoca più recente il golfo ha ripreso vita e la lunga spiaggia si è risvegliata dal suo letargo.

Una veduta del Golfo di Porto

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Poco più a sud si apre il golfo di Lava, dal nome del fiume che vi sfocia, con una bella spiaggia sabbiosa. Una bella ve-duta dall’alto sul golfo di Sagone è dal colle di san Bastia-no, a poca distanza da Calcatoggio, sulla D81. Ma siamo già sul promontorio di Ajaccio. Il capouogo delle Cinarca è Sari d’Orcino, un’austera città di pietra. E’ distinto in due frazio-ni: Acqua di Sù e Acqua di Ghjù. Poco lontano dal paese si trova la Cappella di San Giovanni Battista, un tempo chiesa parrocchiale. Fu costruita nell’XI secolo.

marcata a meridione dai golfi di Ajaccio e di Propriano. Sia-mo nella terra dei conti della Cinarca, antichi signorotti del luogo che controllavano in epoca medievale l’intera Corsica sud-occidentale. Alleati dei pisani, persero progressivamente le loro terre dopo la battaglia della Meloria (1284) in cui Pisa fu costretta alla resa di fronte alla superiorità militare della Repubblica di Genova. Nel 1456 gli ultimi eredi dei conti della Cinarca - attirati in una trappola - furono sterminati nel corso di un banchetto offerto loro dai genovesi. Il loro pas-sato è testimoniato dall’antico castello di Capraja, i cui resti svettano sul piccolo golfo della Liscia - ideale per le immer-sioni - e le marine delle torri di Capigliolo e di Palmentoju.

La baia di Girolata

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Porto e il mare di Corsica

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la città, in direzione di Propriano. Il Casinò è nei pres-si del Palazzo dei Congressi, dietro Place De Gaulle. Fondata dai genovesi nel 1492 - l’anno della scoperta dell’A-merica - Aiaccio divenne definitivamente francese con il trat-tato di Versailles del 1768 con cui la Repubblica di Genova

cedette la Corsica al Regno di Francia. Appena un anno dopo - il 15 agosto 1769 - vi nacque Napoleone, figlio di Carlo Buonaparte (sarà Napo-leone più tardi a trasformare il nome in “Bonaparte”) e di Letizia Ramolino, di origini genovesi. La casa di Napoleo-ne è in rue St-Charles, a pochi passi dalla Cittadella. La fa-miglia dovette abbandonarla in tutta fretta nel 1793 perché minacciata dagli indipenden-tisti corsi di Pasquale Paoli, ed anche il futuro imperatore non vi soggiornò che per bre-vi periodi, ma la casa è ancora lì - tutta da visitare - con gli oggetti, gli arredi, i documen-ti e i ritratti della famiglia. La sala da pranzo affaccia su Place Letizia dove spicca un busto di Napoleone II, figlio di Napoleone Bonaparte e di Maria Luisa d’Austria. Poco più a nord, sulla rue Cardinal Fesch, è la cappella funebre dei Napoleone, fatta costru-ire nel 1857 per volere di Napoleone III. L’imperatore non c’è ma ci sono la madre

AJACCIO, LA CITTÀ DI NAPOLEONE

Affacciata nella costa sud-occidentale della Corsica su uno dei golfi più belli del Mediterraneo, la città di Ajaccio - in corso Aiacciu - è il capoluogo della Corsica. La città ha circa 53.000 abitanti ed è sede dell’Assemblea corsa. Dal 1975 è anche il capoluo-go della Corse-du-Sud, uno dei due dipartimenti in cui è stata divisa l’isola (l’altro è il dipartimento della Haute-Corse, Alta Corsica, con ca-pitale Bastia). La Corsica del Sud corrisponde alla vecchia regione della Banda di Fuo-ri (au delà des monts, al di là dei monti) e comprende i due circondari (arrondisse-ments) di Ajaccio e Sartène. La regione (poco più di 4.000 kmq) ha quasi 120.000 abi-tanti ed è rimasta a lungo povera e spopolata. Un cer-to sviluppo è cominciato più recentemente solo con l’ac-centrarsi delle funzioni am-ministrative dell’isola nella città. L’abitato è composto essenzialmente da tre nuclei: l’antica cittadella genovese, la città moderna e i quar-tieri periferici. La stazione ferroviaria è a poche decine di metri dal porto. L’aero-porto (Campo dell’Oro) è invece a sei chilometri dal-

5. Ajaccio

La statua di Napoleone ad Ajaccio

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du Maréchal Foch, dove c’è il municipio, che i francesi chia-mano Hotel de Ville e, al primo piano, il museo napoleonico. La Cittadella purtroppo non è visitabile perché zona militare. Iniziata nel 1554 dai francesi fu terminata alcuni anni dopo dai genovesi che la fortificarono ulteriormente. Più oltre è il molo della Cittadella - questo sì visitabile - da cui si gode una magnifica vista sul resto della città e sul golfo. In cima alla piazza, nella nicchia di un edificio, è la statua della “Ma-donnuccia”, Nostra Signora della Misericordia, patrona della città.

Da visitare il museo di storia corsa “A Bandera”, poco di-stante dal porto, è nei pressi della Prefettura, in rue Général Levie, ospitato in una casa con la facciata affrescata dai ritratti di Napoleone, Pasquale Paoli (l’eroe del movimen-to indipendentista corso, morto nel 1807), Sampiero Corso (l’eroe della rivolta antigenovese nel XVI secolo). Il museo è interamente dedicato alla storia dell’isola, con reperti e te-stimonianze dalla preistoria alla resistenza.

Il Golfo di Ajaccio è delimitato a nord dalla Punta della Parata e a sud dalla Punta di Capu di Muru, entrambe vigila-te dalle antiche torri di avvistamento. La Torre della Parata, perfettamente cilindrica, fu costruita dai genovesi nel 1608. Vi si arriva percorrendo una comoda strada costiera, anche in autobus, o con un servizio di battelli dal porto. Proprio lungo la strada che porta a Punta della Parata sono a disposizione, per chi non ha voglia di allontanarsi da Ajaccio, alcune belle

(morta nel 1836), il padre, deceduto molto tempo prima, altri membri della famiglia e il cardinal Fesch, appunto. Joseph Fesch era lo zio materno di Napoleone. Abile diplomatico, fece una carriera abbastanza rapida divenendo ambasciatore della Repubblica francese a Roma, dove riuscì a collezionare un’impressionante serie di opere d’arte e di capolavori, gran parte dei quali lasciati in eredità alla città di Aiaccio: oltre 17.000 pezzi, tutti scrupolosamente inventariati e raccolti in quello che è diventato il Museo Fesch. Il museo raccoglie la più importante collezione di dipinti italiani conservata in Francia, dopo quella del Louvre s’intende, con opere di gran-di maestri tra cui Giovanni Bellini e Sandro Botticelli.

Tutta Ajaccio parla naturalmente di Napoleone. I due monumenti più famosi dell’imperatore sono in Place De Gaulle (un grandioso monumento equestre con Napole-one in veste di imperatore romano) e in Place d’Auster-liz, sempre da quelle parti. Anche la cattedrale di Ajaccio, consacrata a Nostra Signora della Misericordia, conserva due ricordi estremi dell’imperatore: un fonte battesimale dove Napoleone fu battezzato nel 1771 e una targa con le parole pronunciate a Sant’Elena cinquant’anni dopo - nel 1821 - poco prima di morire: “Se il mio corpo sarà esilia-to da Parigi come lo è stata la mia persona, desidero esse-re seppellito vicino ai miei avi, nella cattedrale di Ajaccio, in Corsica”. Ma la storia gli ha riservato un altro destino. La città vecchia di Aiaccio - da visitare a piedi - è oltre Place

Ajaccio

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La torre dell’orologio ad Ajaccio

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ra, lungo la litoranea (route des Sanguinaires), o in battello dal vecchio porto di Ajaccio. Più che dal sangue dei lebbrosi di un antico lazzaretto, il nome delle isole deriverebbe da “Sagonarii”, con riferimento alla protezione offerta da quelle terre all’imboccatura del golfo di Sagone, poco più a nord. Per chi non apprezza le isole il sentiero che porta lungo le anse di Minaccia alle spiagge del Piccolo e del Grande Capo, poco più a nord della Punta della Parata, è particolarmente agevole.

LA FORESTA DI CHIAVARI

In posizione strategica sul promontorio che divide il Golfo di Ajaccio da quello di Valinco, la foresta di Chiavari, im-mersa nella fitta macchia mediterranea, è anche il crocevia di diversi sentieri che offrono bellissimi scorci panorami-ci. Prende il nome dal vicino paese di Coti-Chiavari (Coti e Chjàvari in corso), un’invenzione tutta italiana. Costituì infatti il primo insediamento in Corsica - durante il periodo della dominazione genovese - dovuto ad alcuni coloni prove-nienti da Chiavari, in Liguria. Il paese è costruto a terrazze. Oltre al sottobosco della foresta, un’altra attrazione dell’area è un vecchio penitenziario dismesso agli inizi del Novecen-to, in cui i carcerati erano costretti ai lavori forzati di bonifica della zona, infestata dalla malaria. Sembra che gli eucalipti, impiantati nell’area dai galeotti, tengano lontane le zanza-re. Bellissime e facilmente raggiungibili, per sentieri o per strada, le spiagge del promontorio, in particolare quelle tra Pietrosella e la Punta della Castagna e quelle a nord e a sud di Punta Guardiola, tra cui Cala d’Orzo.

spiagge tra cui quelle di Scudo e Vignola. Alla spiaggia di Vignola si può arrivare anche a piedi, partendo dal centro della città (Place d’Austerlitz) e proseguendo lungo un sen-tiero che si mantiene sulla cresta delle colline. Dall’estremità della Punta della Parata lo spettacolo delle isole Sanguinarie è grandioso, soprattutto al tramonto.

A sud della città, sulla penisola dell’isolella è la Punta di Sette Navecon una bella spiaggia. Presenta tre vantaggi: il primo è la spiaggia stessa, in granito rosa; il secondo è il panorama su Ajaccio, forse il più bello dall’intera costa del golfo: il terzo vantaggio è indotto. Per arrivarci si passa in-fatti dall’Aqua Cyrne Gliss di Porticcio, il più famoso parco acquatico della Corsica. Porticcio è il luogo ideale per chi non ama la solitudine.

Le due punte che chiudono a sud il golfo di Ajaccio, in direzione di Capu di Muru, sono entrambe raggiungibili a piedi e sorvegliate dalle immancabili torri di avvistamento genovesi: sono la Punta della Castagna, subito dopo la baia di Ruppione, e la Punta della Guardiola, dopo Acqua Doria.

LE ISOLE SANGUINARIE

Le isole dell’arcipelago delle Sanguinarie - controllate a vista da una torre genovese che svetta sulla Punta della Para-ta a difesa delle incursioni barbariche - chiudono ad ovest il vasto Golfo di Ajaccio. Il color rosso delle rocce granitiche offre, soprattutto al tramonto, un gioco di luci e riflessi parti-colarmente suggestivo. Dei quattro isolotti il più importante è quello della Grande Sanguinaria che ancora conserva un suggestivo semaforo marittimo. Ci si può avvicinare via ter-

Ajaccio. Porto turistico

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Le Isole Sanguinarie

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U trinighellu. Il treno che collega Bastia ad Ajaccio e a Corte

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Tutto il promontorio di Capu di Muru è percorso da stra-de e sentieri che rendono possibile raggiungere le piccole cale disseminate sul mare. Il ché fa della baia di Cupabia - di finissima sabbia bianca - uno dei punti più godibili di tutta la costa. Tra le mete più ambite dell’area ci sono Cala

d’Orzu, Capu Neru, la punta di Porto Pollo, la spiaggia del Taravo, alla foce del fiume, ma anche le spiagge nei pressi di Propriano, come la spiag-gia di Baraci, nei pressi di Viggianello, famosa anche per le sue terme. Note fin dai tempi dei ro-mani, che probabilmente ne sperimentarono già al-lora gli effetti positivi sui reumatismi, le Terme di Baraci sono costituite da acque sulfuree che sgor-gano ad oltre 50 gradi di temperatura con effetti benefici anche per le affe-zioni delle vie respiratorie e alcuni problemi della pelle. Più nell’interno è il paese di Olmeto arroccato sul versante meridionale della cima di Buturetto, in realtà non particolarmente alta (meno di 900 metri di altezza), ma particolar-mente suggestiva. Su una collina sono le rovine del castello di Arrigo della Rocca che sul finire del

PROPRIANO

Situata nel golfo di Valinco, poco sopra la foce del Rizza-nese, Propriano ha costituito un facile approdo fin dall’VIII secolo a.C. per cartaginesi, etruschi, greci e - successiva-mente - pisani, genovesi, francesi. Distrutta dalle incursioni piratesche fu ri-costruita soltanto in epoca moderna fino a diventare uno scalo commerciale e turistico di rilevante im-portanza. E’ praticamente circondata da chilometri e chilometri di marine e di spiagge mentre una stra-da si snoda lungo l’intero tracciato della costa ab-bracciando tutto il golfo da Capo di Muru, che a nord separa il golfo di Va-linco da quello di Ajaccio, a Punta di Campomoro, a sud, con il bel porticciolo e l’antica torre genove-se. La torre, costruita nel 1586, è la più grande di tutte quelle esistenti in Corsica e ospita spesso delle mostre. La baia di Campomoro, per la sua posizione riparata, è tra le più tranquille dell’area, al contrario della costa più meridionale, maggior-mente esposta e battuta dai venti.

6. L’Alta Rocca

Un menhir nel sito archeologico di Filitosa

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più recenti, armati di spade e pugnali, testimonianza delle popolazioni guerriere che invasero la Corsica in tempi più recenti. Si fa naturalmente per dire: parliamo sempre di tre-mila anni fa!

SARTÈNE E IL SARTENESE

Sartène - la più corsa delle città corse - è al centro di una regione già intensamente frequentata nella preistoria, come testimoniano i numerosi monumenti megalitici portati alla luce in quell’area. Fu fondata agli inizi del 1500 dagli uomini di Andrea Doria, che i genovesi avevano inviato nell’isola per mettere fine alle insurrezioni dei corsi. Fortificata, più volte assediata e al centro di violenti scontri tra opposte fa-zioni e signorotti locali, la città ha vissuto sempre di riflesso le alterne vicissitudini dell’isola. L’ingresso alla cittadella, tutta arroccata tra suggestivi camminamenti e ripide scalina-te, è sotto il palazzo comunale. Il centro della città è comun-que Place de la Libération, nei pressi dell’antica porta, con i caffè e il mercato. Imponente la chiesa di Santa Maria che

1300 diede molto filo da torcere ai genovesi.Nella piana del Taravo, a pochi chilometri dalla foce del

fiume sul golfo, è il sito archeologico di Filitosa, il più im-portante di tutta la Corsica. Gli scavi condotti dall’archeolo-go Roger Grosjean a partire dagli anni Cinquanta hanno ri-portato alla luce numerosi reperti tra cui diverse staute-men-hir scolpite in forma di figura umana. Le più famose sono la Scalsa Murta, armata di elmo, spada e corazza, risalente al 1400 a.C. e la Filitosa V (la quinta delle settanta statue ritro-vate), il più grande menhir armato che sia mai stato rinvenuto in Corsica. In cima, su uno sperone roccioso, è l’Oppidum circondato da mura ciclopiche e da alcuni monumenti fune-rari. Nel Museo sono conservati reperti del periodo Neolitico (6000-2000 a.C.), del Megalitico (3500-1000 a.C.) e del Tor-reano (1800-800 a.C.). I menhir sono grossi blocchi di pietra, alti anche fino a 4 metri, infissi verticalmente nel terreno. I più antichi risalgono alla civiltà megalitica (3000-1000 a.C.). A questi, appena sbozzati, si sostituirono col tempo menhir finemente lavorati, dalle forme umane, con i tratti del viso ben definiti e scolpiti (menhir antropomorfi), fino ai menhir

Propriano, nel golfo di Valinco

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la cala di Conca e la cala di Agulia, a sud il piccolo golfo di Tizzano, particolarmente adatto alle immersioni. Le escur-sioni non sono né comode né di breve durata ma le spiagge e l’acqua del mare le ripagano ampiamente. Quest’angolo della Corsica - esposto in modo particolare agli elementi at-mosferici - è stato ribattezzato il Giardino del vento.

La regione del Sartenese è poco più a sud, tra la nazionale che porta a Bonifacio e la strada che raggiunge la spiaggia di Tizzano (Tizzanu). L’intera area conserva intatto il fascino e il mistero della preistoria, com’è testimoniato dai megaliti sparsi sul pianoro di Cauria. Dei quattro siti preistorici venuti alla luce nel corso di recenti scavi in quest’area, quello più imponente è l’allineamento di Palaggiu, nei pressi del fiume Avena. E’ formato da 158 menhir dalle sembianze umane, anche di notevole altezza, orientati prevalentemente in dire-zione nord-sud. Gli altri scavi sono tutti dalle parti di Cauria: il dolmen di Fontanaccia (la stazzona di u diavulu, la fucina del diavolo), i menhir di Stantari e quelli di Renaggiu.

chiude la piazza da un lato. Vi sono conservate la pesante ca-tena e la croce che vengono utilizzate durante il Catenacciu, la processione del venerdì santo. In quell’occasione vengono trasportate da un penitente rosso (con un saio e un cappuccio rossi) aiutato dagli altri a rialzarsi ogni volta che cade, come avvenne a Gesù. L’ingresso al vecchio quartiere medievale di Sant’Anna è dall’Hotel de Ville (il Municipio), già palaz-zo dei governatori genovesi. Nei pressi di Place de la Libéra-tion, in un edificio che ospitava un tempo le vecchie prigioni, è collocato Il Museo della Preistoria Corsa, di grande interes-se. Raccoglie oggetti - anche di ottomila anni fa - provenienti da scavi effettuati in tutta la Corsica: oggetti in terracotta e in ceramica, utensili, armi, gioielli, statue. Una vera manna per gli studiosi. Chi è meno esperto non si preoccupi. Ci sono molti pannelli e carte esplicative per orientarsi.

L’ampio promontorio che, alle spalle di Sartène, culmina sulla costa con il Capo di Senetosa si è trasformato col tempo in un immenso parco del trekking, solcato com’è da alcuni sentieri che proprio dalla torre di Senetosa si diramano tra il mare e la macchia mediterranea. A occidente raggiungono

Sartène

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Resti archeologici

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vanni Battista, con un altissimo ed elegante campanile che si staglia sull’orizzonte. Testimonia il debutto del romanico pi-sano in Corsica e risale probabilmente alla fine dell’XI seco-lo. A dare notorietà al paese di Carbini è comunque ben altro: nel XIV secolo vi fu fondato il movimento dei Giovannali, una setta religiosa che proprio nella chiesa di San Giovanni Battista si riuniva predicando la castità e la povertà estreme in opposizione alle tendenze ufficiali. Tutti i suoi affiliati fu-rono accusati di eresia e scomunicati da Urbano V.

Sulle pendici meridionali dell’Alta Rocca, meno scoscese di quelle settentrionali, c’è anche il paese di Santa Lucia di Tallano (o di Tallà, come si dice in corso, che significa “in pendenza”) con la piazza principale a belvedere e quel che resta di un convento francescano risalente al 1492.

Se Levie è in qualche modo la capitale dell’Alta Rocca, il vero centro geografico della regione è però Aullène (Auddé in corso). Siamo nell’alto Rizzanese, un vero e proprio cro-cevia di strade e sentieri che mettono in comunicazione l’in-terno montuoso con entrambe le coste dell’isola. Il villaggio di Zicavo, letteralmente arroccato sui monti, è - poco più a nord - un punto di partenza ideale di belle escursioni verso il Monte Incudine (2136 m) e la foresta del Coscione, frequen-

tata anche d’in-verno per lo sci di fondo. Da quelle parti c’è anche una piccola sta-zione termale sul fiume Taravo: Bains-de-Guitera

Altri sentieri di interesse archeo-logico e naturali-stico partono da Zonza. Da Quen-za - che in inverno si trasforma in una ambita base di sci di fondo - alcune stradine sono per-corribili anche in mountain bike.

Nella parte bas-sa del Rizzanese, lungo la piana che degrada fino al golfo di Valinco, alcune piscine na-turali nell’alveo del fiume consen-tono di immerger-si nell’acqua tra i ciottoli e i canne-ti: un’occasione da non lasciarsi sfuggire.

LÉVIE

Capitale dell’Alta Rocca, Lévie - posta su un altopiano ad oltre 800 metri di altitudine - è raggiungibile sia dal versante orientale della Corsica (da Porto-Vecchio o da Solenzara) sia da quello occidentale, da Sartène. L’Alta Rocca è una regio-ne storica della Corsica: sviluppatasi attorno alle sorgenti del fiume Rizzanese - che sfocia nei pressi di Propriano - deve il suo nome all’antica signoria della Rocca che a lungo la dominò nel Medioevo contrastata dai genovesi. Il palazzo comunale ospita il Museo Archeologico dell’Alta Rocca che conserva una gran quantità di reperti provenienti non soltan-to dalla regione. Tra gioielli, ceramiche, monete e stoviglie spiccano anche due scheletri: la Dama di Bonifacio, lo sche-letro di una giovane donna ritrovato a Bonifacio e risalente addirittura al 6500 avanti Cristo, e il Prolagus sardus, un rodi-tore ormai estinto ma che per lunghissimo tempo rappresentò l’unico esemplare di mammifero selvatico in tutta la Corsica. Lévie è anche un luogo ideale di partenza per passeggiate ed escursioni di grande interesse storico, archeo-logico e pae-saggistico. Siamo nel cuore del Pianu de Lévie, abitato fin dall’età del Bronzo e del Ferro, come dimostrano i diversi ritrovamenti ar-cheologici e l’area attorno al “castel-lo” di Cucuruzzu, o a quel che ne rimane dato che la costruzione risale a molto tempo pri-ma di Cristo. Da lì si possono rag-giungere anche le rovine medievali di Capula.

Poco dopo Lévie, sul Riz-zanese, è il più famoso dei ponti costruiti dai geno-vesi in Corsica: lo Spin’a Cavallu (il dorso di cavallo), restaurato negli anni passati. Ha un’unica arcata. Più in là, a Calda-ne, una piscina ter-male è alimentata da una sorgente calda di acqua sol-forosa. A Carbini, per gli appassiona-ti di architettura, è tutta da vedere la Chiesa di San Gio- Un antico ponte genovese

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Un antico ponte genovese

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che un luogo di preghiera. Nel 1731 vi si riunirono alcuni esponenti del clero corso che proclamarono santa la guerra contro Genova. Vent’anni più tardi vi fu approvata la Costi-tuzione della Corsica. Nel 1790 fu anche teatro di uno storico incontro tra Pasquale Paoli e Napoleone Bonaparte. La strada che raggiunge Orezza, a volte particolarmente tortuosa, parte dalla litoranea orientale, alcuni chilometri a sud di Casamoz-

za, costeggiando per un lungo trat-to iniziale il fiume Alto.

Tutta la regione - la Castagniccia - è considerata il cuore verde del-la Corsica, con un vero e proprio reticolo di strade e stradine che si inoltrano nella vegetazione di ca-stagni collegando tra loro antichi borghi e villaggi dediti alla coltu-ra di quello che un tempo veniva chiamato l’al-bero del pane e all’allevamento dei maiali che dei suoi frutti sono ghiotti. Fin dall’epoca dei genovesi - che introdussero la coltivazione del

VESCOVATO E LA COSTA VERDE

Tra le città più caratteristiche della Corsica, Vescovato è costruita a picco su uno sperone roccioso e conserva in tutto l’antico aspetto medievale. Si chiamava un tempo Belfiorito ma cambiò nome nel 1269 quando divenne sede “vescovile” dopo la distruzione di Mariana, alla foce del Golo. Tre secoli più tardi, nel 1570, il vescovo si trasferì a Bastia. Vescovato è il capoluogo della Casinca, una piccola regione collinare co-nosciuta fin dall’antichità per la fertilità delle sue terre, anche oggi intensamente coltivate. Meritano una visita da quelle parti soprattutto Loreto - con un bel pano-rama sulla costa - Penta e Castellare, tutti assai pittoreschi. Da lì la strada fiancheg-gia per alcuni chilometri un tratto di mare ribattezzato per la gioia dei turisti “costa verde”, con spiagge, campeggi e villaggi accessibili a tutti. Un tempo la ferrovia collegava Casamozza anche con Porto-Vecchio. E’ un vero peccato che dopo i danni provocati dall’ultima guerra non sia stata ricostruita.

LA CASTAGNICCIA E LE SORGENTI

DI OREZZA

Le sorgenti di Orezza, la fonte termale più famosa della Corsica, e le Terme di Stazzona, sono completamente immerse nel cuore della Castagniccia, sotto le cime della dorsale montuosa. Da quelle parti sono anche i resti dell’antico convento francescano di Orezza distrutto dai tede-schi durante la seconda guerra mondiale. Il convento aveva rappresentato molto più

7. Il versante orientale

Nella Castagniccia

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strada che da Bastia porta a Corte e ad Ajaccio. Diversi altri borghi e paesi animano la regione, ciascuno

punto di partenza di belle escursioni tra i boschi di castagni o le pendici dei monti. Ad ogni paese la sua pieve: parti-colarmente belle la chiesa barocca di San Pietro e Paolo a Piedicroce, l’imponente parrocchiale di Santa Margherita a Carcheto-Brustico, la chiesa di Sant’Erasmo a Cervione, sui resti di un’antica sede vescovile, la chiesetta romanica di Santa Cristina di Campoloro, risalente al IX secolo, con affreschi del ‘400. Di grande suggestione a Valle d’Alesa-ni, sul confine meridionale della Castagniccia, il convento di San Francesco, fondato pochi anni dopo la morte di San Francesco d’Assisi.

Tutta la Castagniccia è dominata dal Monte San Petrone (1767 m). Si può affrontare da diversi versanti ma occorrono almeno tre o quattro ore per arrivare in cima.

In alternativa alla strada costiera (N198) che scorre retti-linea lungo la Piana Orientale della Corsica si può meglio godere una vista sul mare - fino all’arcipelago delle isole To-scane - dalla panoramica di San Nicolao che corre a mezza costa nell’interno della Castagniccia toccando diversi borghi tra cui Isolaccio, Pero-Casevecchie, Talasani, Santa Lucia di Moriani e San Nicolao.

castagno in questa zona - le castagne costituivano in effetti la risorsa alimentare di base delle popolazioni locali. Il raccolto serviva anche per l’alimentazione dei maiali e quindi per la produzione dei salumi, mentre il legno degli alberi, partico-larmente resistente, era impiegato come materiale da costru-zione. Col tempo questa straordinaria risorsa è entrata nella sua fase di declino. Da alcuni anni si sta cercando comunque di invertire questa tendenza rilanciando la coltura del casta-gno in tutta l’area. A Cervione il municipio ospita un inte-ressante museo etnografico con diversi attrezzi, ricostruzioni di ambienti di lavoro di un tempo, tecniche edili e agricole.

Il capoluogo storico della Castagniccia è La Porta, nei pressi di Morosaglia, immersa nel verde. Fu un centro di re-sistenza molto attivo ai tempi delle lotte indipendentiste ed è particolarmente nota anche per due capolavori del barocco corso: la chiesa di San Giovanni Battista e il suo campanile, a cinque piani. Costituiscono la massima espressione dell’ar-chitettura religiosa barocca in Corsica. Morosaglia è invece il paese dove nel 1725 nacque Pasquale Paoli, l’eroe dell’in-dipendenza corsa. La sua casa natale - nella frazione di Stret-ta - è oggi un museo con numerosi ritratti e documenti della sua famiglia e delle sue gesta. La città, che presenta numerosi esempi di architettura contadina, vale assolutamente una vi-sita. Si raggiunge più comodamente da Ponte Leccia, sulla

Il paese di Vescovato, l’antico Belfiorito

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to di costa che si estende nella parte orientale dell’isola tra il fiume Alesani, sotto Prunete (al limite meridionale della Castagniccia), e Solenzara. La costa corre rettilinea e pianeg-giante per diversi chilometri tra estese coltivazioni agricole e marine basse e sabbiose, un po’ ritratta verso l’interno per la presenza dello Stagno di Diana e dello Stagno di Urbi-no, da visitare assolutamente. Già base della flotta romana di stanza ad Aléria, lo Stagno di Diana è una laguna salata di 600 ettari, collegata al mare da una stretta apertura all’altezza della Torre di Diana. All’interno dello stagno è attivo - come lo era peraltro già ai tempi dei romani - un importante alle-vamento di vongole, mitili e ostriche. Un altro allevamento simile è presso lo Stagno di Urbino, ugualmente vasto, cui si accede attraverso la Riserva nazionale di Casabianda, crea-ta per proteggere alcune specie animali molto rare, come il cervo, la pernice rossa e l’anatra dal collo verde. I due stagni costituiscono delle zone di sosta per molte specie di uccelli migratori. Più a sud, in prossimità dell’aeroporto di Solenza-ra, ci sono anche altri due piccoli stagni: quello di Guadugine e di Palo.

L’interno della costa presenta villaggi e paesi di intensa attrattività che rappresentano in quest’area il cuore più verde dell’isola.

ALÉRIA, LA PRIMA COLONIA FONDATA IN

CORSICA

Fondata con il nome di Alalia nel 565 a.C. da coloni greci provenienti da Focea, in Asia Minore, la città è situata sulla piana orientale della Corsica, lungo la nazionale 198, a metà strada tra Bastia e Porto-Vecchio. Nel tempo è passata sotto il controllo dei fenici, poi dei romani che la conquistarono nel 259 a.C. facendone la capitale della provincia corsa. Sot-to l’impero di Augusto fu fortificata e ampliata ma venne saccheggiata e distrutta a più riprese dai vandali e - nel IX se-colo - dai saraceni. I genovesi ne entrarono in possesso molto più tardi: nel 1348. Il secolo dopo vi costruirono una fortezza poco distante, il forte di Matra. La fortezza ospita oggi il mu-seo archeologico, dedicato a Jérôme Carcopino, l’archeologo francese di origine corsa che nel secondo dopoguerra diede un forte impulso agli scavi in quest’area. Vi si trovano ogget-ti in terracotta, monete, reperti, arredi e ritrovamenti di gran-de interesse. L’insediamento antico - ancora oggi al centro di scavi - è nei pressi del forte di Matra, con il foro, le terme, il campidoglio, le botteghe artigiane. Le case e i palazzi dei quartieri residenziali sono invece ancora interrate.

Con l’autorità che le deriva dal suo passato Aléria domina anche geograficamente tutta la Costa Serena, il lungo trat-

I resti di Aléria

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Aléria, un vigneto

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residui vegetali che hanno dato luogo al famoso Plateau de Pozzi, un vero e proprio arcipelago di isolotti erbosi che co-stituisce un panorama veramente unico nel suo genere. Di grande suggestione anche i laghi alpini che ornano le sue pendici, tra cui quello di Bastiani.

Tra i villaggi e i paesi compresi nella regione del Fiumor-bo, molti sono disseminati nella valle dell’Abatesco (Serra, Fiumaccio, Prunelli, San Gavino). Da quelle parti, a Pietra-paola, sulle rive dell’Abatesco, ci sono delle rinomate sor-genti di acqua sulfurea, un toccasana, fin dall’epoca romana, per chi soffre di malattie reumatiche o alle ossa.

SOLENZARA E LE GUGLIE DI BAVELLA

Posta alla foce del Sulinzara, Solenzara è una rinomata e animata località balneare sulla costa orientale della Corsica, servita anche da un aeroporto. Le grandi spiagge di sabbia che contraddistinguono il litorale in quel punto ne fanno una meta per tutti, senza eccezioni. Ma il mare non è l’uni-ca prerogativa del luogo. Sulle pendici del Monte Incudine, nell’entroterra di Solenzara, il colle di Bavella, oltre 1200 metri di altezza, ospita alla sommità una croce e una statua dedicata alla Madonna delle nevi (Notre-Dame-des-Neiges). Da lì, senza biglietto, si può assistere al grandioso spettacolo delle guglie di Bavella, chiamate anche “corna di Asinaio”, un insieme di cime e vette frastagliate che assumono a secon-da della luce le più diverse tonalità di colore. Nei pressi del colle è il paese, immerso tra i pini e gli abeti. Numerosi sen-tieri, con varianti più o meno impegnative, conducono verso i luoghi più suggestivi della Foresta - che prende anch’essa il

IL FIUMORBO E IL MONTE RENOSO

Attraversata dal fiume Orbu, da cui prende il nome, la regione occupa un vasto altopiano, compreso nel Parco re-gionale naturale della Corsica, che degrada verso est fino a Ghisonaccia tra castagni e macchia mediterranea. La regione è un po’ appartata rispetto alla costa, anche a causa della sua condizione topografica che in passato ne ha fatto un fortino rivoluzionario, ma merita di essere visitata. Per chi ama il brivido non c’è nulla di meglio che un salto - si fa per dire - alle Gole dell’Inzecca e delle Strette, scavate dal fiume Orbu verso Ghisoni, all’estremo nord della regione. Stesse emo-zioni riservano, agli appassionati del trekking, le vette del Christie Eleison (m 1260) e quelle più alte del Kyrie Eleison (m 1535) che ancora risuonano delle grida dei Giovannali. Ispirati da San Francesco, almeno secondo quanto dicevano, i Giovannali si erano ribellati alle dottrine della Chiesa pre-dicando un pauperismo estremo, e attirando sul loro movi-mento la scomunica del papa. Braccati su quelle montagne, furono bruciati nella foresta. Si racconta allora che un sacer-dote, mosso a compassione dalle loro grida, abbia intonato un canto funebre che ancora oggi riecheggia sui monti.

Dalla valle dell’Orbu, - sulla D69 che da Corte scende ver-so Sartene - una strada sale verso l’interno al rifugio di Ca-pannelle (1640 m), ai piedi del Monte Renoso (2352 m), tra le cime più alte e più belle della Corsica, non particolarmente impegnativo per chi è allenato. Il Monte Renoso, chiamato così perché costituito da rena, sabbia e sassi, è raggiungibile anche dalla parte opposta, facendo base a Bastelica. Lassù, sul fondo di un vecchio lago, si sono ammassati col tempo

Le guglie di Solenzara

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ge sono particolarmente attrezzate per la balneazione. Dopo Bastia è la città più importante della costa orientale dell’iso-la, collegata anche all’Italia da alcuni servizi di navigazio-ne marittima. Conquistata nel IV secolo a.C. dai siracusani, che vi fondarono il Portus Syracusanus, la zona fu fortificata molto più tardi dai genovesi, che prima vi costruirono una roccaforte militare, poi cercarono nel 1578 di trasferirvi in blocco intere famiglie da Ventimiglia, in Liguria. Ma la ma-laria mieteva vittime a pié sospinto e “Ventimiglia la Nuova” - come la città veniva chiamata - rimase un sogno nel casset-to. Fu così per secoli fino a quando, nell’ultimo dopoguerra, l’intera zona è stata del tutto bonificata.

La città vecchia, attraversata da Corso Napoleone e domi-nata da Piazza della Repubblica, è un dedalo di stradine e di artigianato tutte da visitare; così le fortificazioni che svettano sul mare.

Dalla litoranea che da Porto-Vecchio costeggia il mare fino

nome di Bavella - dove è stata istituita una riserva zoologica di protezione dei mufloni. Tra le mete più ambite c’è anche un Trou de la Bombe, un buco con un’apertura circolare di otto metri di diametro, particolarmente suggestivo, scavato sulla cresta della montagna. I corsi lo chiamano “u tafonu d’u compuleddu”. Per arrivare a vedere le guglie basta im-boccare a Solenzara la D268 che costeggia il fiume. A metà strada, dopo Bocca di Larone, le cascate di Polischellu for-mano delle fantastiche piscine naturali in cui immergersi è un’esperienza irripetibile, d’estate naturalmente.

PORTO-VECCHIO

Di origini genovesi, Porto-Vecchio è situata sulla costa meridionale della Corsica all’interno di un lungo golfo sab-bioso: il golfo di Porto-Vecchio, racchiuso tra la punta di San Ciprianu a nord e quella di Chiappa a sud. Le sue spiag-

Alle pendici del monte Incudine

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Porto-Vecchio

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altezza, prende il nome dall’antico sanatorio costruito nel XVIII secolo per curare le popolazioni del luogo dalla ma-laria. Da lì lo sguardo spazia sia sul golfo di Porto-Vecchio che su quello di Bonifacio e la Sardegna. Chi non si accon-tenta può inerpicarsi lungo un sentiero fino alla punta della Vacca Morta, cinquecento metri ancora più sù. Non lontano dal paese è la cascata di Piscia di Gallo con le grandi vasche naturali scavate dall’acqua. Sono così maestose da meritar-si il nome di “marmitte dei giganti” con cui vengono anche chiamate. Ai piedi del massiccio dell’Ospedale, facilmente raggiungibile dalla strada, domina il golfo di Porto-Vecchio il castello di Arraggio (Castellu d’Araghju), posto su uno sperone roccioso. E’ un antico torrione circolare (ben 120 metri di circonferenza con mura spesse 2 metri), risalente ad oltre 1500 anni prima di Cristo. All’inizio fu probabilmente un luogo di culto, poi fu usato per scopi difensivi.

A sud di Porto-Vecchio, sulla strada per Sotta, resiste un piccolo villaggio - Ceccia (Cecia in corso) - noto per una torre circolare dell’età del bronzo che servì probabilmente da postazione di avvistamento sulle campagne circostanti. La zona conserva testimonianze di altri siti preistorici risalenti all’età torreana (da torre appunto) che presenta molti punti di contatto con quella dei nuraghi sardi. Il più antico è quello di Tappa - dalle parti della torre di Ceccia - innalzato nel IV millennio a.C.

a Santa Lucia di Porto-Vecchio, più a nord, è facile l’accesso alle insenature e ai promontori della costa, tra cui il golfo di Sogno, il golfo di San Cipriano e la spiaggia di Pinarellu, meta di naturisti. Siamo al centro della costa delle “Nacres”, come i francesi chiamano le grosse conchiglie di madreperla di cui abbondano i fondali di questo tratto di mare, limpido e pescoso.

A sud del golfo, al largo di Punta Chiappa, le Isole Cerbica-le costituiscono una riserva naturale: cinque isolotti del tutto disabitati sui quali - a parte alcune eccezioni - è praticamente vietato l’approdo. Proprio per questo alcune specie rarissime di uccelli marini e qualche mammifero non meno pregiato vi hanno stabilito il loro regno inespugnabile. Lungo la costa in direzione di Bonifacio sono adagiate alcune delle spiagge più belle di tutta la Corsica, per di più facilmente raggiungibili. Tra i nomi che hanno fatto la fortuna di quest’area ci sono soprattutto le spiagge di Palombaggia e del Golfo di Santa Giulia (con il suo caratteristico stagno) e quelle della Baia della Rondinara. Sono tra le mete più celebri e frequentate di tutta l’isola, attrezzate per ogni esigenza. E ricercate da chi ama il windsurf, la canoa, la vela.

Sulla strada che da Porto-Vecchio sale verso Aullène e l’Alta Rocca, la Foresta dell’Ospedale costituisce, se così si può dire, una delle porte d’ingresso al Parco naturale regio-nale della Corsica. La foresta si sviluppa - oltre il Colle di Taglio Maggiore - su una superficie di 4500 ettari. Il paese di Ospedale, posto in posizione panoramica a 800 metri di

Porto-Vecchio

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La spiaggia della Palombaggia

La spiaggia di Santa Giulia

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La spiaggia della Rondinara

Uno degli ingressi al Parco Naturale Regionale della Corsica

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merciali e marittimi. Da allora - a parte una breve parentesi francese verso la metà del ‘500 - rimase sempre sotto il do-minio e la protezione di Genova. Nel 1768, con il trattato di Versailles, passò definitivamente alla Francia. Arrivando dal mare la città appare straordinariamente sospesa sulla roccia, con gli edifici a picco sul mare. Proprio per questo è stata paragonata a una nave di roccia. Separata da appena dodici chilometri dalla Sardegna Bonifacio è situata al centro di una

BONIFACIO E IL CAPO SUD

In magnifica posizione sullo stretto braccio di mare del-le Bocche di Bonifacio, che proprio dalla città prendono il nome, Bonifacio (Bonifaziu, in corso) sarebbe stata fondata nell’830 da Bonifacio II di Lucca, che costruì il primo nucleo della fortezza. Dal XII secolo, con il predominio dei geno-vesi, la città divenne un importante centro di traffici com-

8. Bonifacio

Bonifacio

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Bonifacio

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fino al mare. Dice la leggenda che fu costruita dai soldati spagnoli per penetrare nella città, ma forse c’è un po’ trop-pa immaginazione e l’esistenza della lunga gradinata è più banalmente connessa con la necessità di approvvigionarsi di acqua potabile. Una visita all’Aquarium della città permette di conoscere di tutto e di più sulla fauna marina dell’isola. Diverse imbarcazioni fanno la spola dal porto fino alle grotte e alle isole che circondano il promontorio di Bonifacio, tra cui la grotta di Napoleone e di Sdragonato. Anche il faro di Capo Pertusato - sulla punta più a sud, deve il suo nome ai “pertugi” aperti nella roccia dal gioco del vento e dell’acqua. Al faro si può arrivare comunque anche a piedi da Bonifacio percorrendo un sentiero che parte dalla cappella di St-Roch e costeggia la scogliera lungo il promontorio. Attenzione però alle falesie a strapiombo sul mare.

Nello stretto lembo di mare delle Bocche di Bonifacio emerge l’arcipelago delle isole di Lavezzi e di Cavallo che un tempo - prima di essere ricoperto dal mare - congiungeva la Corsica alla Sardegna. La riserva naturale delle Isole La-vezzi - il punto più meridionale della Corsica - è off limits per i comuni mortali. L’accesso è regolamentato e a meno di non avere qualche santo in paradiso, o qualche parente nell’isola di Cavallo, praticamente riservata ai milionari (di euro) o tra i guardiani del faro, l’unica possibilità è quella di una gita organizzata in barca - dal porto di Bonifacio - con relativi tuffi, immersioni o picnic secondo il listino dei prezzi. Diverse imbarcazioni fanno la spola ogni giorno tra

insenatura tra Capo di Feno e Capo Pertusato e vive pratica-mente di turismo, soprattutto da quando gli insediamenti mi-litari che ospitavano la Legione Straniera sono stati smantel-lati. L’ingresso a piedi alla città alta (la Città vecchia) e alla Cittadella è dalla parte opposta del porto, lungo la scalinata di San Rocco, nei pressi di una piccola cappella costruita a ricordo della peste del 1528. Da lì - volendo - si può anche scendere alla spiaggetta di Sutt’a Rocca. Sia la città vecchia che la Cittadella sono protette da imponenti mura. Oggi si può entrare anche in macchina ma un tempo l’unico accesso alla città era costituito dal ponte levatoio della porta di Geno-va, costruita nel 1598, difeso a nord dal bastione degli Sten-dardi (dove ha sede un piccolo ma interessante museo con scene della Bonifacio che fu) e a sud dalle mura del giardino delle Vestigia, di cui oggi rimane in realtà ben poco. Poco oltre è la Chiesa di Santa Maria Maggiore, in stile romanico a tre navate. Un reliquiario nella sagrestia conserva, secondo la tradizione, una scheggia della croce di Cristo. Attorno alla chiesa il dedalo di viuzze e stradine dell’antico quartiere tra-smette tutta l’ebbrezza del passato. Da non perdere la splen-dida vista delle Bocche di Bonifacio e della Sardegna che si gode col cielo sereno da place Manichella. L’Esplanade di San Francesco, a strapiombo sul mare, merita una visita speciale anche di notte. Prende il nome dall’antica chiesa di San Francesco, al centro del piazzale, che in perfetto stile gotico domina il cimitero marino. Da lì una scala di 187 gra-dini - la scala del re d’Aragona - scende attraverso una grotta

Bonifacio, al porto

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Bonifacio

Bonifacio, la Cittadella

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particolarmente apprezzata anche dai sub. L’unico villaggio da quelle parti è quello di Pianottoli-Caldarello da cui prende nome anche una bella spiaggia.

Nell’entroterra è l’aeroporto di Figari.Per ammirare lo straordinario panorama della punta me-

ridionale della Corsica e delle coste della Sardegna si può salire da Monacia-d’Aullène fino al villaggio di Giannuccio sulle montagne di Cagna. Da lì parte un sentiero che sale all’Uomo di Cagna (Omo di Cagna). L’uomo è in realtà una curiosissima formazione granitica, eternamente in bilico sul-la cima del monte. Per arrivare quasi a toccarlo occorrono comunque almeno tre ore di trekking, anche di qualche dif-ficoltà: una scarpinata, ma la vista sulle formazioni roccio-se e sull’azzurro del mare è veramente unica. Chi invece il mare preferisce vederlo da vicino, può rimanere sulla costa di Monacia-d’Aullène e avventurarsi fino alla torre genovese che sovrasta il capo di Roccapina immergendosi nelle acque della caletta: un’area protetta nella valle del fiume Ortolo con una bellissima spiaggia di sabbia fine. Da quelle parti c’è una roccia scolpita dal vento che assomiglia a un leone acco-vacciato che guarda il mare: è il leone di Roccapina, troppo famoso per lasciarselo scappare. Vigila sulla riserva natura-le delle isole Moines e Bruzzi, in cui l’accesso è comunque precluso ai turisti.

il porto di Bonifacio e l’isola di Lavezzi dove, nei pressi del faro, un cimitero ricorda i marinai francesi morti nel 1855 in un terribile naufragio.

A pochi chilometri da Bonifacio, nei pressi di Bocca d’Ar-bia, sulla strada per Sartène, è l’antico santuario della Trini-tà, costruito nel XIII secolo. Un tempo era particolarmente ambito da pellegrini ed eremiti, attratti dal carattere sacro del luogo. Oggi la visita è resa più frettolosa dalla vicinanza del-le spiagge della Tonnara e di Paragnano che, rispetto ai primi tempi della cristianizzazione, sembrano esercitare un fascino più terreno ma non per questo meno intenso. Gli isolotti e la spiaggia della Tonnara sono particolarmente battuti dal ven-to. E apprezzati dagli amanti del windsurf, come d’altra parte gran parte della costa che circonda Bonifacio sia risalendo verso nord est (in direzione di Porto-Vecchio) che verso nord ovest (in direzione di Sartène).Bellissime le marine e le ca-lette che si affacciano sul mare.

Sulla costa orientale sono particolarmente attrezzate le spiagge di Piantarella e di Cala Longa o quelle nel gol-fo di Santa Manza, con lo stagno di Balistra alle spalle. Sulla costa occidentale si può raggiungere la spiaggia della Tonnara o, più in là, la costa della Baia di Figari che segna con un fiordo molto profondo tutto quel tratto costiero. E’ disseminato di bellissime calette di sabbia bianca e di inse-nature raggiungibili talvolta soltanto dal mare. Tutta l’area è

La spiaggia di Santa Manza

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I cannoni a difesa della città

Bonifacio, la scala al mare del re d’Aragona

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base del Monte Cinto, sul colle Stranciacone (da cui prende il nome nel suo primo tratto fino al paese di Asco). Dalle sorgenti fino ad Asco le acque del fiume sono alimentate dai torrenti che scendono dalle montagne e corrono quin-di impetuose rallentando soltanto in prossimità delle “gole dell’Asco” e della valle del Golo, dalle parti di Ponte Lec-cia. La valle è tra le più maestose della Corsica e una delle mete preferite dagli escursionisti. E’ anche facilmente per-corribile perché interamente attraversata da una strada (la D147). Il villaggio di Asco è tra i più antichi insediamenti della Corsica, l’unico paese della lunga vallata che prende il

LA VALLE DELL’ASCO

La valle dell’Asco, completamente all’interno dei confi-ni del Parco regionale, si apre ai piedi delle montagne più alte della Corsica, tra cui il Monte Cinto che con i suoi 2706 metri è la vetta più alta dell’isola, innevata per molti mesi dell’anno. L’ingresso per risalire la valle è dalle parti di Pon-te Leccia, raggiungibile abbastanza comodamente sia dalla costa settentrionale che, ancor meglio, da Casamozza, sulla costa orientale.

La vallata prende il nome dal fiume Asco che sorge alla

9. Il cuore della Corsica

Nel cuore della Corsica

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cento la regione fu culla e roccaforte del movimento indi-pendentista e ancora oggi il sentimento delle antiche tradi-zioni è ancora vivissimo. A Calacuccia, capoluogo dell’area, un piccolo museo etnografico - aperto purtroppo raramente al pubblico dai frati del convento che lo ospita - guida alla comprensione della storia e delle tradizioni locali. Un altro museo archeologico, ad Albertacce, conserva documenti fo-tografici di grande interesse. A Casamaccioli ogni anno, du-rante la fiera che si svolge nei primi giorni di settembre, alla processione della Vergine si accompagnano feste popolari con improvvisazioni poetiche e stornellate a due voci, le ca-ratteristiche “ghjam ‘e rispondi”. Una regione viva dunque, a cui hanno contribuito anche la diga e il lago di Calacuccia che fanno di questa regione un punto di arrivo e di sosta par-ticolarmente apprezzato, oltre che la base di partenza per stu-pende escursioni estive (e sciistiche, in particolare sul colle di Verghio ad oltre 1400 metri di altitudine). Gli itinerari più gettonati portano dal convento di Calacuccia al villaggio di Lozzi (1050 m.), al rifugio dell’Ercu (1575 m.) e al Monte Cinto (2706 m.), dove non è escluso l’incontro con qualche aquila reale.

Il passo del colle di Verghio (a 1464 metri di altezza) è il più alto della Corsica, con un paesaggio veramente stra-ordinario, sia d’inverno che d’estate. Poco oltre si incrocia il GR20, il più famoso tra i sentieri del trekking in Corsica. In quel punto conduce al Lago di Nino, a 1743 m. di altezza, alle sorgenti del Tavignano.

Impagabile la vista su Capo Tafonatu (2343 metri) da cui

nome dal fiume, con una chiesa parrocchiale del ‘600 e un piccolo museo di storia locale.

Sulle pendici del Monte Cinto, oltre la foresta di Carozzi-ca, c’è il pianoro dell’Haut-Asco, a 1450 metri di altitudine, punto di partenza - d’estate - di escursioni alpinistiche sulle cime del Parco. La piana è una delle tappe del GR20, tra i sentieri di trekking più famosi in Europa. La riserva è un concentrato di specie. Ce n’è per tutti i gusti: alcuni mufloni, qualche gipeto - una specie di avvoltoio barbuto con un’aper-tura alare di oltre due metri e mezzo, e diversi altri esemplari di uccelli.

Nella parte bassa della valle, poco distanti da Ponte Lec-cia, sono i due borghi di Moltifao (Moltifau) e Castifao (Ca-stifau). Valgono entrambi una visita.

U NIOLU (IL NIOLO) E LA FORESTA DI AITONE

La porta d’ingresso alla regione del Niolo (U Niolu) è il ponte del diavolo di Castirla sul fiume Golo, a nord Corte. Si trova sulla D84 poco prima delle famosissime gole della Scala di Santa Regina. La regione si estende attorno al baci-no superiore del Golo, il fiume più lungo della Corsica (nasce a 2000 metri dalle parti del Tafonatu, sotto il monte Cinto, e sfocia dopo 84 chilometri sul Tirreno dalle parti dello stagno di Biguglia) ed è interamente compresa nel Parco regionale naturale della Corsica tra castagni, faggi, abeti e larici. La D84 - che segue l’andamento della conca - fu costruita per trasportare a valle i tronchi ricavati dalle foreste. Nel Sette-

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tra bellissimi panorami, ai piedi delle cascate dell’Aitone, tra piscine naturali di grande fascino. Altri sentieri - riservati agli appassionati del trekking - conducono più lontano, sul colle di u Salto e di Cuccavera, quasi a 1500 metri di altezza, nella foresta di Lindinosa, poco più a nord, e alle piste di Colle Verghio.

Lungo la strada che porta alla foresta di Aitone, arroccata sulle montagne di Porto, c’è Ota, altro straordinario crocevia di numerosi sentieri che si diramano nella regione circostan-te consentendo passeggiate ed escursioni spesso da brivido. Un percorso raggiunge in tre ore capo San Petru, oltre i 900 metri di altezza. Un altro si infila nelle gole della Spelunca fino al villaggio di Evisa. Le gole della Spelunca sono un vero e proprio canyon scavato dalle acque del fiume, delimi-tato sul vecchio tracciato stradale dai due ponti genovesi di Zaglia e Pianella.

LA CAPITALE STORICA DELLA CORSICA: CORTE

Importante città della Corsica, con oltre 6000 abitanti, Corte è - se così si può dire - il centro geografico dell’isola, attraversato dal fiume Tavignano che scende verso est sfo-ciando nel mare all’altezza di Aléria. La città, capitale stori-ca della Corsica, ha sempre rappresentato lo spirito di indi-

nasce il Golo. Le sue sorgenti sono nel comune di Albertac-ce, il più alto comune della Corsica (a 1095 m di altitudi-ne). Anche la foresta di Valdu-Niellu, oltre Casamaccioli, è da primato perché è la più estesa dell’isola con i suoi quasi 5000 ettari. Tutto attorno è pieno delle famose “pozzine”, formatesi sul terreno umido con l’accumulo di vegetazione: un puzzle erboso tra il prato inglese e il campo da golf dove il terreno, che in alcune parti si trasforma in un curioso e divertente labirinto vegetale, attira le mucche e tiene lontani gli arbusti. Da non perdere assolutamente.

La foresta di Aitone è considerata uno dei polmoni verdi più affascinanti della Corsica. E’ nell’entroterra del golfo di Porto, dopo Evisa, lungo la strada (la D84) che sale verso la regione di Corte. La foresta (faggi, abeti, ma soprattutto pini) si estende per quasi 2500 ettari e occupa parte del bacino del fiume Aitone. E’ collegata anche al golfo di Sagone median-te la D70, il cui tracciato segue l’antica “pista dei galeotti” fatta costruire nel XVIII secolo dai genovesi per trasportare il legname fino al mare, da dove poi veniva imbarcato alla volta di Genova. Il sentiero parte da Paesolu d’Aitone. Oggi la foresta, inserita all’interno del Parco regionale della Corsi-ca, offre ben altre opportunità, che vale veramente la pena di conoscere. Attenzione però a non sottovalutare la montagna. Tra i vari camminamenti, un “sentiero delle castagne” porta,

Corte

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La cascata des Anglais nella foresta di Vizzavona

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della cittadella si giunge attraverso una scalinata coperta da cui si accede anche all’ospedale e alla caserma Serrurier che in tempi più recenti - fino al 1983 - è stata sede di un distac-camento della Legione Straniera. La caserma ospita attual-mente il Museo della Corsica: uno spaccato “vivente” dello sviluppo antropologico dell’isola dal XVIII al XX secolo. Un vero gioiello della cultura. Non bisogna dimenticare che Corte è anche sede dell’Università della Corsica.

Tra le escursioni più ambite nei pressi di Corte - tutte nel cuore del parco regionale della Corsica - vi è quella alle gole della Restonica, il fiume che dal Lago di Melo, alle pendice del Monte Rotondo, scende tra speroni di roccia e piscine naturali verso la città confluendo nel Tavignano. La strada attraversa il ponte di Tragone arrivando fino ai caratteristici ovili di Grotelle a quasi 1400 metri di altezza. Da lì è possi-bile raggiungere a piedi i laghetti alpini di Melo (1711 m) e di Capitello (1930 m), due dei sette laghi che ingioiellano il massiccio di Monte Rotondo (2622 m).

IL BOZIO

Le pendici del Piano Maggiore (m 1591), ad est di Corte, sono sicuramente tra i paesaggi più austeri di tutta la Corsi-ca. Siamo nel pieno del Bozio, la regione che più delle al-tre conserva intatti il segno della tradizione e dei sentimenti più autentici del popolo corso. Si entra nel cuore del Bozio per Santa Lucia di Mercurio, arroccata sui monti, ma è nella cappella di San Nicolao a Sermano (Sermanu) e in quella di Santa Maria Assunta ad Alando (Alandu), o in quella di St.

pendenza dell’isola: centro di resistenza prima contro i geno-vesi, poi contro i francesi, fu sede del governo rivoluzionario di Pasquale Paoli. La storia di Corte si perde comunque nel lontano passato. Nel 1419 Vincentello d’Istria la sottrasse ai genovesi costruendo e fortificando la “cittadella” - l’unica all’interno dell’isola - che da allora ha visto alternarsi diversi padroni, corsi, genovesi, francesi, fino a quando nel 1769, dopo la breve parentesi della repubblica di Pasquale Paoli, passò definitivamente alla Francia. E a Pasquale Paoli sono dedicati la piazza e il corso principale della città. La città alta è invece dominata dalla Place Gaffori, dedicata al generale Gian Pietro Gaffori che nel 1746, alla guida di insorti corsi, sottrasse Corte ai genovesi. Una statua in bronzo del generale - al centro della piazza - e alcuni bassorilievi sul basamento ne rievocano le antiche gesta. Anche la casa di Gaffori, che si affaccia sulla piazza, conserva i segni delle fucilate dei geno-vesi durante quel celebre assedio. Tra gli edifici più antichi di Corte sono la Chiesa dell’Annunciazione del Quattrocento, il cui campanile svetta sulla città alta, e il Palazzo Nazionale, unico esempio di architettura civile genovese rimasto nella città. Fu costruito nel ‘600 e fu sede del governo della libera nazione corsa dal 1755 al 1769. Pasquale Paoli vi aveva sta-bilito anche la sua residenza. La città antica culmina al suo apice nella “Cittadella” costruita da Vincentello d’Istria su una rupe a picco sul Tavignano. Chi non soffre di vertigi-ni può dare un’occhiata in giù dal belvedere, posto ad oltre cento metri d’altezza dal corso del fiume. Una stradina molto ripida, che un tempo costituiva un’utile via di fuga dalla città, porta alle rive del Tavignano. Sui bastioni costruiti a difesa

Il lago di Nino

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Una piscina naturale lungo il fiume Restonica

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la severità e i colori del passato, come Pancheraccia, Pietra-serena, Piedicorte di Gaggio, Altiani (a nord) o Antisanti (a sud) da cui si gode una vista sorprendente sia sul mare che verso le cime montuose del Parco naturale della Corsica.

LA FORESTA DI VIZZAVONA

La foresta e il colle di Vizzavona (m 1163) rappresentano il confine naturale tra l’alta Corsica e la Corsica del Sud, con un’infinità di sentieri che si inerpicano e attraversano gli oltre 1500 ettari della foresta coperti dai pini larici, il legno degli alberi maestri, e dai faggi. Il sentiero più frequentato è quello del GR20 che passa proprio di qui. La foresta è nei pressi di Bocognano, di cui erano originari i Bonelli, per de-cenni la più nota famiglia di briganti corsi. Il più conosciuto di loro - Antonio Benelli, detto Bellacoscia - si rese prota-gonista nell’800 di una rocambolesca fuga dal penitenziario di Marsiglia che accese le fantasie di molti francesi. Tornò nella foresta di Vizzavona per morire tra i suoi boschi. La cima del colle è dominata - neanche a dirlo - da una fortezza genovese. L’albergo di Vizzavona ha un primato che nessu-no può portargli via: è stato il primo edificio in Corsica ad essere dotato di illuminazione elettrica.

Sul fiume Agnone, nei pressi del Passo di Vizzavona, mol-

Martin a Erbajolo (Erbasgiolu) che le antiche tradizioni cor-se si fanno più penetranti e solenni. Non solo tradizioni ma storia: a Bustanico, nel 1729, scoppiò la scintilla della rivolta indipendentista, culminata l’anno successivo nell’assalto a Bastia. Nei villaggi e nei paesi della regione si intonano an-cora le serenate, le nanne e la paghjella, il tradizionale canto polifonico a tre voci che ogni anno, ad agosto, si dà appun-tamento a Sermano - dove opera anche un Centro di Musi-che Tradizionali - per un vero e proprio festival musicale. Se Corte è la capitale storica della Corsica, il Bozio - che quasi l’abbraccia da est - è insomma il suo cuore pulsante.

LA VALLE DEL TAVIGNANO

Il fiume Tavignano - che nasce dal Lago di Nino, nella regione del Niolo, a 1743 m di altitudine - si fa via via meno impetuoso scendendo verso Aléria, senza perdere per questo il suo fascino. Nella sua parte alta affianca un famoso sentie-ro della Corsica: il “mare a mare”, tra quelli più affascinanti che attraversano l’isola. Anche le gole del Tavignano, nella foresta di Corte, sono tutte da gustare, così come il ponte ge-novese a triplice arcata che occorre attraversare per dirigersi verso Aleria, Nel tratto più a valle che si indirizza verso la costa si attraversano villaggi e paesi che mantengono intatti

Tolla

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Il mare a mare Nord, un sentiero di trekking

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Un paesaggio alpino nel Parco Regionale della Corsica

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Gustave Eiffel, l’ingegnere francese rimasto alla storia per un’opera molto più famosa che proprio l’anno seguente stra-bilierà tutti all’Esposizione Universale di Parigi, in occasio-ne del centenario della rivoluzione francese: la torre Eiffel.

BASTELICA

Basterebbe il nome di Sampiero Corso - figura assai po-polare della lotta contro il dominio dei genovesi in Corsi-ca - che qui a Bastelica nacque, per giustificare una visita alla città, divenuta un simbolo della resistenza corsa. La casa di Sampiero Corso, incendiata dai genovesi ma ricostruita

più tardi, reca un’iscri-zione dettata da uno dei discendenti stessi di Na-poleone, William Wyse: “Al più corso dei corsi, eroe famoso tra gli innu-merevoli eroi che l’amo-re per la patria ha nutrito in queste montagne e in questi torrenti”. Una sta-tua in bronzo di Sampie-ro è invece nella piazza principale del borgo.

Più che una città, Ba-stelica è un insieme di villaggi aggrappati a 800 metri di altitudine alle pendici del Monte Re-noso . E - per venire ai nostri giorni - una rino-mata località di turismo anche invernale, da cui

si dipartono i sentieri che raggiungono le pendici del Monte Niello (m 2157) e del Monte Renoso (m 2358) e la stazione sciistica della Val d’Ese ad oltre 1700 metri di altezza. Da lassù, nei giorni particolarmente sereni, si riesce a scrutare dallo stesso punto i due mari. La zona è attrezzata per lo sci di fondo. Anche scendendo a sud lungo il corso del Prunelli, verso Tolla e Ocana, le emozioni non mancano: l’imponente diga di Tolla, le cascate di Sant’Alberto e di Aziana, e poi faggi, pini, castagni, ponti e - a Eccica-Suarella - una stele dove Sampiero Corso finì assassinato i suoi giorni al servizio della Corsica (e della Francia).

La valle del Prunelli - il fiume che sfocia nel golfo di Ajaccio - è percorsa verso l’interno da due strade che sal-gono a Bastelica. Entrambi i percorsi si snodano attraverso meravigliosi squarci sulla vallata e le montagne circostanti, attraversando borghi e villaggi caratteristici. Una stele ricor-da nel paese di Eccica Suarella il punto in cui venne ucci-so in un’imboscata Sampiero Corso, il capitano di ventura che combatté nel 1500 contro Genova. Sull’altra strada che bordeggia a mozzafiato le famose gole del Prunelli è il lago artificiale formato dalla diga idroelettrica.

to caratteristiche sono le cascate degli Inglesi. Da lì, volendo, si può anche salire al Monte d’Oro (2389 m) ma l’ascesa è lunga (almeno 5 ore) e riservata agli appassionati bene alle-nati. Nell’Agnone e negli altri torrenti della regione non è difficile trovare un po’ di ristoro nelle piscine naturali forma-te dalle rocce e dall’acqua.

LA VALLE DELLA GRAVONA

La valle della Gravona, alle spalle di Ajaccio, collega il capoluogo corso con l’entroterra montano fino alla foresta di Vizzavona, ai piedi del Monte d’Oro. In alcuni punti il fiume che la solca - la Gravo-na - si allarga formando delle suggestive piscine naturali di acqua non fredda nelle quali è pos-sibile immergersi. Sul-la strada, a Vignola (al km 21 della N193), c’è il Parco della Cupulatta che ospita diverse specie di tartarughe (cupulatta in lingua corsa) prove-nienti da tutto il mondo. Vale una sosta, soprat-tutto con i bambini.

Invece di prendere la N163 si può risalire la valle anche a mezza costa, passando per Cut-toli-Corticchiato, Peri ed Ucciani. Proprio qui, dalle parti dell’antico ponte di Ucciani che scavalca il fiume Gravona, risalente al Settecento, sarebbero stati trovati degli antichi reperti arche-ologici databili al I millennio avanti Cristo. Fa mostra di sé anche una statua-menhir dell’età del bronzo. In prossimità della foresta di Vizzavona, ad oltre 600 metri di altezza, è il paese di Bocognano con una caratteristica fontana di ciottoli costruita alla fine dell’800. Non lontano dal paese, per rima-nere in tema d’acqua, è la “Cascata del velo della sposa”, di grande suggestione: 150 metri di dislivello con l’acqua che salta di roccia in roccia.

Poco più a nord c’è Vivario che domina le gole del fiume Vecchio, località di soggiorno estivo e invernale assai rino-mata e punto base per escursioni di rilevante interesse natu-ralistico e paesaggistico. Trote e pinoli per tutti. Anche in età romana la città costituiva una tappa importante per le milizie che da Aléria risalivano la valle del Tavignano verso il centro dell’isola. Meta di pellegrinaggi - non distante da Vivario - è la chiesa romanica di Santa Maria a Muracciole, arroccata su uno sperone roccioso. Poco fuori Vivario, non lontano da un’antica prigione, la linea ferroviaria scavalca il fiume al “Ponte del Vecchio”, tutto in ferro. E’ lungo 150 metri e alto 96. Fu costruito con metodi molto innovativi nel 1888 da

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