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ISM-Italia Corso di formazione e training per attivisti “in e per” la Palestina Milano, 17-18 marzo 2012 L’industria del processo di pace di Alfredo Tradardi 1

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ISM-ItaliaCorso di formazione e training per attivisti “in e per” la Palestina

Milano, 17-18 marzo 2012

L’industria del processo di pacedi Alfredo Tradardi

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Prima guerra mondiale

La guerra scoppia il 28 luglio 1914

La guerra termina l’11 settembre 1918

Il trattato di pace è firmato a Versailles il 10 gennaio 1920

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Seconda guerra mondiale

La guerra scoppia l’1 settembre 1939

La guerra termina l’8 maggio 1945 in Europa

La guerra termina il 2 settembre 1945 in Giappone

Il trattato di pace è firmato a Parigi il 10 febbraio 1947

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L’industria del processo di pace

Un compito enorme:l’imperativo ebraico per la sopravvivenzala potente trama del sostegno occidentale l’incapacità degli arabi di farvi frontela loro paralizzante dipendenza dal più fedele alleato di Israele, gli Stati Uniti

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L’industria del processo di pace

Imperativi che richiedono una azione urgente:

• l'espropriazione subita sotto l’occupazione

• l’inaccettabile prolungamento di una vita da profughi

• il solco sempre più ampio tra le varie comunità palestinesi

• la distruzione in corso della causa nazionale palestinese

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L’industria del processo di pace

“Mi venne in mente quanto preziosa sia la libertà di movimento, quanto impensabile sia l’idea di perderla, come noi tutti la diamo per scontata e come sia scandaloso che possa essere tolta a milioni di palestinesi come se fosse una inezia.” Ghada Karmi

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L’industria del processo di pace

La eccezionale indulgenza dell’Occidente:

• forti sentimenti di invincibilità e di presunzione • una serie di idee esagerate sul loro ruolo nel mondo• il diritto internazionale non si applica a Israele

IMMUNITA’ E IMPUNITA’

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L’industria del processo di pace

Per gli israeliani, dopo la vittoria del ’67:

• l’intera Palestina storica gli appartiene• i palestinesi non hanno diritti su di essa • sono lì perché tollerati• le esigenze di Israele hanno la priorità

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L’industria del processo di pace

Il sostegno a una specie di entità palestinese in Cisgiordania e a Gaza:

• una risposta, recente e pragmatica, dovuta alla paura del «terrorismo» palestinese

• non è stato un tardivo riconoscimento dei diritti dei palestinesi• ogni offerta è una concessione e come un «doloroso sacrificio»

per la pace

Vi sono due narrazioni, una israeliana e una palestinese. Lo squilibrio di potere tra le due parti fa prevalere quella israeliana.

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L’industria del processo di pace

Come risolvere il problema?

l’uomo di una vecchia storiella irlandese «Bene, io non avrei cominciato da qui». Ma da qui bisogna cominciare.

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L’industria del processo di pace

Nel 2006 la situazione lasciava poco spazio all’ottimismo:

• i protagonisti principali diseguali • equilibrio delle forze a favore di Israele • unico sostegno dei palestinesi:

governi arabi in preda all’influenza occidentale

incapaci di affrontare Israele

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è una reazione umana familiarecome prendere a calci il gatto quando ci si sente allo stesso tempo provocati e impotenti.

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• Conclusione: dato lo schieramento delle forze e l’imperativo occidentale di difendere il suo petrolio e i suoi interessi strategici, con Israele protagonista, l’esito è scontato.

• Nulla può essere fatto a meno che l’intera struttura imperialista non sia smantellata e i servi arabi eliminati.

• Solo allora si potrà risolvere il problema di Israele.

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• il conflitto con Israele è diventato più insolubile che mai

• vengono proposti molti piani di pace che non approdano a nulla

• Israele consolida quotidianamente la presa sui territori palestinesi che restano

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• Il coinvolgimento della numerosa popolazione musulmana dell’Europa, soprattutto in Francia e Germania.

• L’invasione dell’Afghanistan aveva già acceso queste passioni e se l’Iran e la Siria diventeranno i prossimi bersagli verrebbe confermata la tesi di una crociata anti-islamica.

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Gli Stati Uniti hanno voluto credere e convincere gli altri che «il terrorismo» è un fenomeno mondiale, come una epidemia, le cui cause non hanno nulla a che fare con la loro politica estera o con quella di alcuni dei suoi alleati.

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«Il processo di pace arabo-israeliano»un termine abusato e privo di significato.

Come un poveraccio è sempre con noi ma senza una soluzione in vista.

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L’industria del processo di pace

dal 1949 non è stato raggiunto nessun accordo che metta fine alle ostilità e assicuri una pace duratura nella regione. numerose proposte di pace si sono susseguite nel tempo.nessuna è riuscita a mettere fine in modo positivo alle molteplici ostilità tra Israele e gli arabi.

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L’industria del processo di pace

Perché nessuna soluzione ha funzionato? Perché tutti gli sforzi internazionali e regionali non sono riusciti a risolvere il conflitto?

L’esame delle principali proposte di pace presentate fino ad oggi potrebbe aiutare a rispondere a queste domande.

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Fino al 1993, quando furono firmati gli Accordi di Oslo tra Israele e l’OLP, i negoziati di pace non riguardavano esclusivamente il problema palestinese.

Sola eccezione il Piano di pace Fahd del 1981 nel quale si faceva riferimento alla necessità di uno Stato palestinese.

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In qualche modo i palestinesi erano diventati come un parente povero che tu sai di dover aiutare e, sentendoti in imbarazzo, gli dai qualcosa ogni tanto per permettergli di andare avanti.

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L’industria del processo di pace

Il nodo cruciale: i profughi palestinesi • in teoria tutti sanno che c'è bisogno di una giusta

soluzione • ma in pratica vengono ignorati e trattati con

condiscendenza • guardati dall’alto in basso come individui inferiori

Questo principio è stato costantemente presente nell’approccio al processo di pace arabo-israeliano.

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La risoluzione 242

Il primo esempio è rappresentato dalla famosa, ma inapplicata, Risoluzione 242 del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite approvata dopo la guerra del 1967.

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• La Risoluzione 242 creò le premesse per i successivi tentativi di pace arabo-israeliani ponendo ai margini il problema palestinese.

• Le ostinate manovre di Israele, nel periodo immediatamente successivo alla Risoluzione, hanno anche rappresentato un modello per il futuro.

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L’industria del processo di pace• Nelle more Israele ha continuato a occupare le terre arabe e a

costruirvi insediamenti rimandando la soluzione del problema palestinese.

• La comunità internazionale ha fatto poco per opporsi con efficacia a questi stratagemmi israeliani - anzi ha avuto una posizione molto vicina a quella israeliana – le cui conseguenze ci perseguitano da allora.

• Non è mai stato istituito alcun meccanismo internazionale per costringere Israele a ritirarsi dai territori arabi, né per ingiungergli di rispettare i diritti umani e politici dei palestinesi.

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• Un’ampia attività diplomatica seguì l’approvazione della Risoluzione 242.

• Le Nazioni Unite nominarono un negoziatore speciale, Gunnar Jarring.

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• Israele insisteva perché si facesse ogni sforzo per condurre separatamente negoziati di pace diretti con ciascuno dei paesi arabi .

• Gli Stati arabi e l’Unione Sovietica sostenevano che il ritiro fosse la pre-condizione per ogni ulteriore colloquio.

• Jarring non fu in grado di superare questo scoglio e la sua missione fallì.

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• Gli Stati Uniti proposero il Piano Rogers nel 1969, cercando di favorire il desiderio di Israele di colloqui bilaterali con l’Egitto, chiedendo il ritiro dai territori egiziani in cambio di una pace completa, ma Israele rifiutò anche questa proposta.

• Dal 1970 gli Stati Uniti si erano allineati al punto di vista israeliano, cioè che fossero possibili solo accordi di pace limitati con singoli Stati arabi.

• Golda Meir, il Primo Ministro israeliano del tempo, dichiarò che anche se era intenzionata a restituire il territorio di Sharm al-Sheikh e Gaza o le colline del Golan siriano, Israele avrebbe continuato a tenere saldamente sia Gerusalemme sia la Cisgiordania, dove entro il 1972 aveva già installato 44 colonie.

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L’industria del processo di pace

• Intanto, in queste frenetiche attività, il problema palestinese era stato accantonato.

• L’OLP si vendicò di questa emarginazione della causa palestinese iniziando la campagna di resistenza armata contro obiettivi israeliani, prima dalla Giordania.

• Quando le sue forze furono cacciate dalla Giordania, continuò la sua campagna dal sud del Libano.

• L’effetto negativo di questa mossa sulla stabilità del Libano, sulla sua economia e sulla sua popolazione nei decenni seguenti, è ben noto.

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L’industria del processo di pace

• Qualsiasi progresso nella soluzione del conflitto tra Israele e gli arabi è avvenuto soltanto attraverso una miscela di lusinghe, di corruzione e di coercizione, sempre viziato dalla scarsa attenzione data alla questione palestinese.

• Benché varie parti tentassero di fare qualcosa per loro, ogni accordo di pace veniva raggiunto a spese dei palestinesi.

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L’industria del processo di pace

• Il presidente egiziano Anwar Sadat, nella sua fallita offerta di un accordo di pace con Israele, inserì una condizione relativa alla soluzione del problema dei profughi palestinesi che fu respinta da Israele.

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L’industria del processo di pace

• In modo simile, in un insolito ed incisivo documento del 1975, William Saunders, Sottosegretario di Stato con Henry Kissinger, sottolineò la centralità del problema palestinese nel conflitto e dichiarò che «i legittimi interessi» dei palestinesi dovevano avere un ruolo importante in tutti i negoziati di pace arabo-israeliani.

• Israele respinse anche questa proposta che venne abbandonata.

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L’industria del processo di pace

• Con lo stesso spirito, il Presidente Jimmy Carter mostrò una iniziale volontà di risolvere il problema palestinese.

• Nel 1977 propose, insieme all’Unione Sovietica, una conferenza di pace internazionale sulla base della Risoluzione 242 per una soluzione del problema palestinese e per il riconoscimento dei «legittimi diritti del popolo palestinese».

• Israele doveva ritirarsi dai territori occupati nel 1967, sebbene non da tutti, e ogni stato di belligeranza sarebbe finito, portando ad una pace completa e al riconoscimento reciproco tra Israele e gli Stati arabi.

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L’industria del processo di pace• Carter era andato anche oltre parlando lo stesso anno della necessità di una «patria

palestinese».

• Benché questo concetto fosse riferito solo ai profughi e fosse inteso come un gesto umanitario e non politico, Carter cominciò a subire forti pressioni da parte del Dipartimento di Stato, di Israele e della lobby degli ebrei americani e fu costretto a ritirare la nota e il riconoscimento dell’OLP con cui aveva iniziato a trattare.

• Per le stesse ragioni dovette anche abbandonare l’idea di una conferenza di pace internazionale perché, come è diventato consueto fino ad oggi nelle relazioni degli Stati Uniti con Israele, non era preparato a esercitare una qualche pressione affinché Israele accettasse.

• La storia della marcia indietro di Carter di fronte alle pressioni israeliane è deprimente: dopo aver espresso simili ideali sul conflitto li ha abbandonati, in modo vile, di fronte alle pressioni israeliane.

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L’industria del processo di paceGli accordi di Camp David

• Alla fine, Egitto e Israele finirono per concludere un accordo di pace separato nel 1979.

• Anche così, la situazione palestinese giocò un ruolo nei colloqui di pace. • Nel corso di faticosi negoziati che andarono avanti fino al 1980 venne

discusso un piano di autonomia per i territori occupati. • Il piano prevedeva che dopo un periodo di cinque anni, durante il quale i

palestinesi della Cisgiordania e di Gaza, Gerusalemme Est era «off-limits», si sarebbero preparati a una piena autonomia, sarebbe stata istituita una autorità di auto-governo, risultato di libere elezioni. Quando ciò fosse avvenuto e i poteri dell’Autorità fossero stati definiti, Israele avrebbe «trasferito» - trasferito non ritirato - le sue forze nei territori palestinesi.

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L’industria del processo di pace

• Dopo tre anni sarebbero iniziati i colloqui definitivi su questioni come la sicurezza, i confini e altro.

• Nel frattempo l’Autorità avrebbe potuto avere una forza di polizia dotata di armi leggere che avrebbe agito in coordinamento con Israele, Egitto e Giordania e i cui compiti avrebbero contemplato, inter alia, quello di proteggere Israele da attacchi palestinesi.

• Non si faceva menzione del ritiro israeliano dalla Cisgiordania o da Gaza

• Lo status di Gerusalemme era lasciato nell’incertezza• Non vi erano riferimenti né agli insediamenti illegali di Israele,

né ai diritti nazionali dei palestinesi.

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L’industria del processo di pace

• Nei cinque anni tra il 1977 e il 1983 il numero di insediamenti illegali passò da 47 a 149, non contando le sei colonie sorte intorno a Gerusalemme.

• Questa sequenza di avvenimenti – le richieste americane o anche solo le sollecitazioni sul programma degli insediamenti si scontrano con l’inflessibilità israeliana che porta ad una situazione di stallo – si sarebbe ripetuta in seguito numerose volte.

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L’industria del processo di pace

La sola volta che un presidente americano si allontanò da questo modello fu nel 1991, quando George Bush senior bloccò la garanzia per un prestito di dieci miliardi di dollari a Israele per impedire che venissero costruite nuove colonie.Il risultato fu che Israele incrementò il programma di costruzioni e che Bush non fu rieletto per un secondo mandato.

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L’industria del processo di pace

• L’accordo di Camp David significò anche che Israele era riuscito a sviare ogni tentativo di convocare una conferenza di pace, internazionale o regionale, dando il via alla pratica di colloqui di pace separati con i singoli Stati arabi, secondo la sua volontà iniziale.

• Ma la conseguenza più grave degli accordi di Camp David, dal punto di vista palestinese, fu il fatto che garantivano al possesso israeliano dei territori palestinesi una falsa legittimità retroattiva.

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L’industria del processo di pace

• Era come se l’Egitto, stringendo con Israele un accordo che riguardava solo il territorio egiziano, avesse dato il suo assenso a ogni azione in altri territori.

• Questo non sarebbe accaduto se l’Egitto avesse vincolato la firma del trattato all’accettazione, da parte israeliana, delle sue condizioni riguardanti il problema palestinese.

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L’industria del processo di pace

Dopo Camp David

• Con l’arrivo di Ronald Reagan nel 1980, il più filo-israeliano dei Presidenti americani fino a quel momento, Israele divenne più forte.

• Il Segretario di Stato di Reagan, George Schultz, strinse una alleanza strategica con lo Stato ebraico, così forte che, come disse in seguito, gli accordi istituzionali da lui creati, che legavano gli Stati Uniti a Israele, avrebbero reso impossibile a un futuro incaricato meno ben disposto nei confronti di Israele di lui di annullarli.

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L’industria del processo di pace

• Nel 1982 l’Arabia Saudita avanzò la proposta di un piano di pace «arabo» nella forma del Piano Fahd, Israele lo ignorò.

• Era un primo passo importante verso l’accettazione di Israele da parte degli arabi suggerito dagli arabi stessi.

• Il piano proponeva che, in linea con la Risoluzione 242: Israele si ritirasse dai territori conquistati nel 1967che ai palestinesi fosse garantito uno Stato in

Cisgiordania e a Gaza, con Gerusalemme Est capitale • Così gli Stati della regione «avrebbero vissuto in pace».

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L’industria del processo di pace

• 1987 cessione della Cisgiordania all’OLP da parte di re Hussein di Giordania

1988 incontro di Algeri • Il Consiglio Nazionale Palestinese (PNC) offre

a Israele il riconoscimento reciproco• Accetta ciò che l’OLP aveva sempre respinto,

ovvero le Risoluzioni 242 e 338

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L’industria del processo di pace

La Conferenza di Pace di Madrid, 1991

• La strategia israeliana, appoggiata dagli Stati Uniti, di privare la causa palestinese di ogni significato o di ogni importanza a fronte di una opposizione araba inefficace, sembrò avere successo.

• I tentativi di convocare una conferenza di pace internazionale non erano approdati a nulla fino a quel momento e Israele era stato lasciato indisturbato mentre consolidava il suo possesso sui territori arabi occupati.

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L’industria del processo di pace

• Nel 1991 gli Stati Uniti, sotto il presidente George Bush Senior, erano determinati a risolvere il conflitto arabo-israeliano come parte di quel «nuovo ordine mondiale» che Bush aveva sposato.

• Era anche ansioso di dare qualche soddisfazione, nel periodo immediatamente successivo alla prima guerra del Golfo, agli Stati arabi i quali, avendo aiutato la coalizione occidentale ad attaccare l’Iraq, si aspettavano qualche cosa.

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L’industria del processo di paceLa conferenza di Madrid

• Una grande conferenza di pace fu convocata a Madrid nell’ottobre del 1991.

• James Baker, il Segretario di Stato americano, si batté in modo determinato per coinvolgere i palestinesi in questo tentativo.

• Israele, con un Primo Ministro duro e riluttante come Ytzhak Shamir, fu convinto a prendervi parte usando tutte le lusinghe possibili.

• A questo scopo l’Unione Sovietica si offrì di riaprire le relazioni diplomatiche con Israele sospese dal 1967 e al team di Shamir fu permesso di trattare con ogni Stato arabo separatamente in incontri a quattr’occhi all’interno della conferenza.

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L’industria del processo di pace

• L'OLP, nonostante fosse l’unico rappresentante legittimo dei palestinesi venne esclusa dagli incontri secondo il volere di Israele.

• Un accomodamento assurdo per il quale i negoziatori di Gaza e della Cisgiordania, che dietro le quinte conferivano apertamente con l’OLP, sedevano al posto dei dirigenti di quest’ultima.

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L’industria del processo di pace

• La conferenza di Madrid si svolse con una serie di colloqui multilaterali che tentarono di trovare soluzioni per i più importanti problemi della regione, quali l’acqua, il controllo degli armamenti, il commercio, i profughi e che si trascinarono fino al 1993.

• Ai palestinesi, come durante i negoziati di Camp David, venne offerto un accordo provvisorio che questa volta anche per la loro condizione indebolita accettarono a condizione che portasse a uno Stato indipendente.

• Ma, come già in precedenza, Israele rifiutò dichiarandosi d’accordo solo per una forma di autonomia mentre la sicurezza e gli affari esteri sarebbero rimasti sotto il suo controllo.

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L’industria del processo di pace• Shamir, come ammise in seguito, era pronto a tirare avanti i

negoziati per altri dieci anni mentre Israele continuava a costruire colonie nei territori occupati.

• Alla fine, tutti questi accordi complicati e le manovre diplomatiche approdarono a un nulla di fatto sul fronte palestinese e siriano.

• Le relazioni israelo-giordane avevano fatto, invece, qualche progresso, ma la conferenza di Madrid si chiuse senza una soluzione del conflitto.

• Una volta ancora le esigenze israeliane avevano vinto e gli arabi avrebbero dovuto aspettare ancora per avere un’altra opportunità.

• Ancora una volta la questione palestinese era stata relegata a un ruolo secondario.

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L’industria del processo di paceGli accordi di Oslo, 1993

• Nel 1993 i palestinesi stessi si assunsero la funzione di peacemaker. Fu una svolta importante nella storia del processo di pace.

• Sebbene l'OLP avesse continuato a fare proposte per la coesistenza con Israele fin dal 1974, sempre ignorate, adesso negoziava con Israele direttamente e non tramite i soliti intermediari.

• Eppure, come si vedrà, il tutto fu segnato dal fallimento nell’affrontare le cause del conflitto e si concluse con un imbroglio come in precedenza.

• Sono state scritte pagine e pagine sugli Accordi di Oslo, che hanno attirato sostenitori e detrattori in ugual misura.

• Hanno rappresentato senz’altro una pietra miliare nella storia del conflitto tra Israele e i palestinesi con conseguenze di vasta portata.

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• La pratica bizantina del baratto• la slealtà• I sotterfugi• l’inganno• l’inesorabile umiliazione della posizione

palestinese

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• Era, nel suo complesso, un accordo buono o cattivo? • Probabilmente era inevitabile, date le circostanze. • Nel 1993 l’OLP era irrilevante ed era praticamente in rovina. • I traumi che si erano succeduti negli anni precedenti, come

l’espulsione dal Libano nel 1982, l’esilio della sua leadership e dei suoi combattenti verso la periferia del mondo arabo in Yemen e a Tunisi e la condanna per l’appoggio dato a Saddam Hussein in occasione della guerra del Golfo, stavano a significare che il prestigio rimastole era piuttosto scarso e lo stesso valeva per la risorse finanziarie.

• I palestinesi dei territori occupati, che si erano sollevati contro l’occupazione israeliana nella prima Intifada del 1987 indipendentemente dall’OLP, erano stati colpiti negativamente dal suo comportamento alla conferenza di Madrid

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La divisione del fronte palestinese, che l’Intifada aveva acutizzato, tra coloro che vivevano sotto occupazione e coloro che vivevano all’estero con a capo una leadership impotente e demoralizzata, procedeva velocemente e corrispondeva esattamente alle aspirazioni di Israele e alle sue macchinazioni nel corso degli anni.

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• Quando nel 1992 cominciarono i colloqui segreti tra l’OLP e Israele, nella fase di preparazione degli accordi di Oslo, l’interpretazione generale fu che Arafat stava cercando di riavere un ruolo e che desiderava rendere l’OLP di nuovo influente.

• Yitzhak Rabin, il leader laburista eletto nel 1992, cercava di sbarazzarsi di Gaza, colonia ribelle, sovraffollata e impoverita, ormai fonte solo di preoccupazioni.

• Arafat provocò l’ira di molti palestinesi, che ritennero che si fosse venduto agli israeliani per interesse personale.

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L’industria del processo di pace• Uno dei suoi più inesorabili critici è stato l’intellettuale palestinese

Edward Said che parlò a nome di molti quando scrisse, subito dopo l’entrata in vigore dell’accordo: «Yasser Arafat e alcuni dei suoi più stretti consiglieri hanno già deciso di accettare qualsiasi cosa gli Stati Uniti e Israele gettino sulla loro strada, solo per sopravvivere come parte del “processo di pace”».

• Il maggior beneficio dell’accordo fu quello di restituire a Yasser Arafat

e a una stretta cerchia di suoi intimi un potere e una autorità molto relativi.

• Ma dietro questo logica ogni leader aveva un progetto più vasto.

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Con l’Intifada Rabin aveva capito che i palestinesi non sarebbero né scomparsi né avrebbero lasciato per sempre Israele in pace. I gruppi islamici militanti, Hamas e la Jihad Islamica, erano diventati una forza importante.Alla fine del 1992 Rabin deportò 416 loro membri nel Libano del Sud. Bisognava fare qualcosa per affrontare la rivolta e per prevenire la sua recrudescenza. Rabin pensava anche che il rischio di una eventuale minaccia palestinese alla natura sionista dello Stato ebraico.

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• Cercò di preservare il sionismo in uno spazio geografico più piccolo se necessario, pur di lasciare intatto un Israele ebraico «puro».

• Fece questo perfezionando la dottrina della separazione (hafradah, in ebraico), assicurando cioè una divisione fisica tra le due parti.

• Confinati nel loro spazio i palestinesi erano liberi di costruire una qualche sorta di entità, che potesse assumere le competenze di uno Stato e darsi il nome che preferivano.

• Potevano anche occuparsi dell’ordine pubblico, cosa molto conveniente per Israele, in modo da garantire la sicurezza di Israele.

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• Gli Accordi di Oslo, furono conclusi tra uno Stato da una parte e una organizzazione dall’altra.

• La trattativa venne presieduta da Bill Clinton, il Presidente americano fortemente pro-israeliano eletto nel 1992, i cui consiglieri per il Medio Oriente erano tutto fuorché imparziali.

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Gli Accordi di Oslo hanno significato che Arafat, in apparenza rappresentante dell’intera nazione palestinese ha firmato di fronte al mondo:

• di riconoscere a Israele il diritto di esistere in pace e in sicurezza, cosa che aveva già fatto anche se nel più piccolo forum del PNC del 1988

• di rinunciare al «terrorismo» e di controllarlo e di cancellare quelle parti della Carta dell’OLP considerate ostili a Israele.

• L’OLP riconobbe lo Stato di Israele, ma non ricevette in cambio un analogo riconoscimento del diritto dei palestinesi ad avere una nazione.

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L’industria del processo di pace• Israele aveva ottenuto il premio più grande che mai potesse

sperare.

• In un colpo solo, firmando gli accordi, Arafat aveva legittimato il sionismo, l’ideologia che aveva creato e che contribuiva a perpetuare la tragedia palestinese.

• Naturalmente Israele aveva già manovrato in modo da non aver bisogno di una simile accettazione da parte dei palestinesi.

• Dopo Oslo i palestinesi potevano essere veramente messi da parte.

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• Fu tentato ogni genere di approccio verso i palestinesi, sia nei territori occupati che all’estero, allo scopo di impegnarli in quello che fu definito un «dialogo» con gli israeliani, per preparare insieme progetti apparentemente vantaggiosi per loro e per consigliarli e indirizzarli.

• Abbondavano i gruppi di contatto giovanili, scolaresche palestinesi e israeliane venivano invitate dalle due parti a partecipare a campi estivi e ad altre attività, con l’idea di influenzare le loro giovani menti in favore di una «cultura di pace».

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I punti deboli degli accordi di Oslo:• non portavano a nulla• non riconoscevano ai palestinesi alcun diritto di avere

uno Stato oppure l’autodeterminazione• non mettevano un limite alla costruzione di

insediamenti ebraici• rinviavano tutti i problemi cruciali:

Gerusalemme, gli insediamenti, le frontiere, la sicurezza e i profughi – dando a Israele il tempo di creare «fatti sul terreno» sempre più irreversibili.

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• Gli Accordi di Oslo formalmente intitolati «Dichiarazione dei principi sulle disposizioni di auto-governo provvisorio» erano iniziati come un audace tentativo dei palestinesi di prendere in mano la questione e di confrontarsi con la dirigenza di Israele.

• Ma ciò si rivelò più difficile di quello che avrebbero potuto immaginare.

• Non solo erano troppo deboli per farlo, ma erano anche svantaggiati dal fatto di non essere riusciti a capire il complesso carattere di Israele e la sfaccettata natura del suo sostegno.

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• Le loro speranze iniziali furono, inevitabilmente, infrante da una serie di delusioni non appena l’accordo entrò in vigore.

• Israele violò ripetutamente le sue scadenze e divenne chiaro che le aree che erano finalmente passate sotto il «governo» palestinese, non godevano, nel modo più assoluto, di alcuna sovranità.

• Persino Arafat doveva chiedere il permesso israeliano per usare il suo elicottero perché lo spazio aereo sopra i territori occupati era sotto controllo israeliano.

• Ogni entrata o uscita dai territori era controllata da Israele, nonostante un accordo ridicolo che avrebbe dovuto favorire i palestinesi.

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L’industria del processo di pace• Il ritiro delle forze israeliane dalle città veniva costantemente rinviata

a causa del dissenso sulla misura delle aree da consegnare e sulla linea dietro la quale l’esercito doveva ritirarsi

• Ad esempio, il ripiegamento da Gerico, la più docile tra le città della Cisgiordania e la prima a essere consegnata, fu effettuato con quattro mesi di ritardo a causa di vari cavilli.

• Anche allora Israele stabilì dei checkpoints fuori delle aree evacuate, scavò una profonda trincea intorno alla città che ostacolava ancora di più i movimenti e si riservò il diritto di invaderla in qualsiasi momento per inseguire i «terroristi».

• L’ANP provvisoria che doveva essere istituita nel 1994 non venne eletta fino al 1996 e i colloqui sullo stato finale che dovevano iniziare allora e terminare nel 1999 non ebbero mai luogo perché tutto il processo era alla fine crollato nell’estate del 2000.

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• Per isolare ulteriormente i palestinesi, Israele e la Giordania firmarono nel 1994 un trattato di pace separato che prevedeva la loro cooperazione per «combattere il terrorismo» e per prevenire «infiltrazioni transfrontaliere», tutte allusioni, finemente dissimulate, al movimento dei combattenti palestinesi e ai membri dei gruppi di resistenza, inclusa ogni incitazione alla violenza.

• I contatti storici e spesso segreti dei giordani con lo Stato ebraico venivano ora formalizzati aggiungendo un altro pezzo male assortito al mosaico dei rapporti arabo-israeliani.

• Mentre gli accordi con i palestinesi lasciavano a Israele il controllo delle frontiere, dello spazio aereo e delle colonie, il suo esercito poteva muoversi liberamente lungo tutte le strade e aveva la giurisdizione della sicurezza sopra ogni aspetto della vita palestinese.

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L’industria del processo di pace• Non poteva sorprendere che il tortuoso processo dei negoziati, con le sue

interruzioni, le riprese, le offerte fatte e poi ritirate, fosse spesso interrotto dalla violenza palestinese contro obiettivi israeliani che ogni volta provocava la tradizionale eccessiva repressione di massa israeliana.

• E, ogni volta, Israele avrebbe chiesto ad Arafat di «controllare la violenza» e di «combattere il terrorismo», un ritornello familiare da allora in poi.

• Un impegno simile non era previsto da parte degli israeliani nei confronti della violenza dei coloni o della indubbia violenza delle sue stesse truppe. A Gaza, ad esempio, il coprifuoco durò dal giugno 1993 al gennaio 1994.

• Le città di Jenin, Tulkarem, Qalqilya, Ramallah e Nablus vennero alla fine trasferite all’area A e fu loro concessa l’autonomia rispetto agli affari civili.

• Invece a Hebron, dove la parziale evacuazione dovette attendere fino al 1997, fu mantenuta la provocatoria enclave dei coloni ebrei più oltranzisti al centro della città protetti da migliaia di soldati israeliani.

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• La situazione di Hebron è veramente tragica. • È stata una delle vittime più grandi degli Accordi di Oslo. • A causa di 500 coloni ebrei, la vita quotidiana di 35.000 palestinesi

residenti in quella zona è diventata un incubo, isolati dagli altri 115.000 palestinesi che vivono nel resto di Hebron nell’Area H-2 così chiamata a causa di una ulteriore elaborata sub-divisione del territorio, sottoscritta con l’Accordo di Hebron del 1997.

• Questa area comprende la città vecchia e il centro commerciale di Hebron ed era parte dell’Area C, cioè sotto il controllo israeliano; questo voleva dire che i palestinesi che vivono lì sono alla completa mercé dei coloni, dell’esercito e della polizia di frontiera israeliana notoriamente brutale.

• È incredibile che Arafat abbia sottoscritto queste condizioni visto che i coloni di Hebron sono probabilmente i più odiosi e i più anti-arabi di tutti.

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• L’arrendevolezza di Arafat a questo proposito appare ovviamente misteriosa quanto la sua accettazione della rete di strade di collegamento riservate sull’intero territorio della Cisgiordania che Israele era stato autorizzato a costruire dopo l’Accordo provvisorio sulla Cisgiordania e Gaza (Oslo 2), firmato nel 1995.

• Anche i colloqui sulla divisione dell’acqua finirono con un accordo sbilanciato, Israele avrebbe fatto la parte del leone e lasciato ai palestinesi una quota troppo piccola per le loro necessità.

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• L’ANP come risultato avrebbe controllato il 90% della popolazione ma solo il 30% del territorio, la maggior parte del quale era sotto controllo congiunto con Israele.

• Il programma di costruzione degli insediamenti che non si era mai fermato riprese con rinnovato vigore dopo Oslo 2, soprattutto nell’area intorno a Gerusalemme che si allargò a nord verso Ramallah e a sud verso Betlemme.

• Questa area, allargata artificiosamente, fu indicata da Israele come parte della «Grande Gerusalemme» e non negoziabile.

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L’industria del processo di paceIl progetto di Arafat

• Perché Arafat e i suoi colleghi accettarono tutto questo e, innanzitutto, perché accettarono i negoziati di Oslo?

• Per varie ragioni: Israele aveva riconosciuto l’OLP e quindi aveva riconosciuto l’esistenza di un popolo palestinese che aveva bisogno di una soluzione.la Risoluzione 242 era stata accettata come base del processo di pace mettendo l’accento sulla formula «terra-in-cambio-pace» che si sarebbe anche applicata ai territori palestinesi.le questioni che Israele aveva trasformato in tabù, quali Gerusalemme, gli insediamenti e i profughi, erano inserite nel programma dei negoziati.

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L’industria del processo di pace• Secondo gli Accordi, le istituzione culturali e scolastiche di

Gerusalemme Est, come la ottocentesca residenza di Husseini, l’Orient House, sarebbero state riconsegnate ai palestinesi.

• Queste implicazioni degli Accordi di Oslo erano, a rigor di termini, abbastanza vere, ma l'ottimismo generato fu di breve durata.

• I palestinesi vedevano con i propri occhi, con l’espansione degli insediamenti, dei checkpoints e delle strade di collegamento riservate che la realtà era diversa.

• Non significa che Arafat ignorasse questi fatti o che, nell’apparente acquiescenza nei confronti della strisciante colonizzazione israeliana, stesse tradendo la causa palestinese, come da qualcuno fu accusato di fare.

• Il suo vero progetto trascendeva queste considerazioni.

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• Egli credeva veramente nell’approccio del «piede nella porta».

• Era così attaccato a questo concetto da subordinare ogni obiezione, che avrebbe potuto ragionevolmente fare nei confronti delle richieste egemoniche israeliane, all’obiettivo più importante, secondo la sua visione, di mantenere la spinta verso l’inevitabile indipendenza.

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L’industria del processo di pace• La premessa di base di Arafat era che Israele era troppo potente per

essere sfidato direttamente. • Il solo modo per raggiungere gli obiettivi palestinesi era quello di

raggirarlo entrando in un processo che, malgrado tutto, sarebbe terminato con uno Stato palestinese.

• Fu per questo motivo che l’ANP assunse le sembianze esterne di uno Stato con la nomina di ministri e la creazione di istituzioni, con una bandiera nazionale e un passaporto palestinesi.

• Tutto questo è, a prima vista, ridicolo in una situazione di occupazione coloniale, ma lo è di meno se lo si interpreta come la versione palestinese del «creare i fatti», che dovevano proiettare nel mondo l’immagine di uno «Stato in attesa».

• Si trattava di una strategia comprensibile, seppure ingenua, viste le circostanze.

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• Sottovalutava la tenacia con la quale la parte israeliana rimaneva aggrappata alla acquisizione di territorio palestinese e alla determinazione di sconfiggere qualsiasi tentativo di indipendenza dei palestinesi.

• Alla fine Arafat pagò un prezzo estremamente alto per la sua ingenuità; imprigionato e degradato da Israele andò incontro, nel 2004, ad una morte sospetta da molti imputata a macchinazioni israeliane.

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I piani di persone di buona (?) volontà

• Proposta di pace di Gush Shalom 2001• Dichiarazione di principi di Ayalon-Nusseibeh

2002• Iniziativa di Ginevra 2003 o meglio, secondo

Ilan Pappé, “la bolla di Ginevra”

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• BibliografiaSposata a un altro uomo di Ghada Karmi, capitolo 4 “Il processo di pace”, DeriveApprodi 2010Non ci sarà uno Stato palestinese di Ziyad Clot, Zambon 2011Il muro di ferro – Israele e il mondo arabo di Avi Shlaim, il Ponte 2003