IRS106_IL DUCA E LA SUA SPOSA

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MARGARET MOORE

IL DUCA E LA SUA SPOSA

Titolo originale dell'edizione in lingua inglese: The Duke's Desire

Harlequin Historical © 2000 Margaret Wilkins

Traduzione di Laura Iervicella

Tutti i diritti sono riservati incluso il diritto di riproduzione integrale o parziale in qualsiasi forma.

Questa edizione è pubblicata per accordo con Harlequin Enterprises II B.V. / S.à.r.l Luxembourg.

Questa è un'opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o persone della vita reale è puramente casuale.

© 2001 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano

Prima edizione I Grandi Romanzi Storici settembre 2001

Seconda edizione I Romanzi Storici Harlequin Mondadori ottobre 2012

Questo volume è stato stampato nel settembre 2012

da Grafica Veneta S.p.A. - Trebaseleghe (Pd)

I ROMANZI STORICI HARLEQUIN MONDADORI ISSN 1828 - 2660

Periodico mensile n. 106 del 17/10/2012 Direttore responsabile: Alessandra Bazardi

Registrazione Tribunale di Milano n. 212 del 28/03/2006 Spedizione in abbonamento postale a tariffa editoriale

Aut. n. 21470/2LL del 30/10/1981 DIRPOSTEL VERONA Distributore per l'Italia e per l'Estero: Press-Di Distribuzione

Stampa & Multimedia S.r.l. - 20090 Segrate (MI) Gli arretrati possono essere richiesti

contattando il Servizio Arretrati al numero: 199 162171

Harlequin Mondadori S.p.A. Via Marco D'Aviano 2 - 20131 Milano

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Appollaiata sul bordo di un divano del suo salotto de-corato con estrema opulenza, Lady Bodenham scrutò il Duca di Deighton. «Devo dire che l'aria dell'Italia sembra donarvi, cu-gino» osservò in tono materno. «Anche se la vostra carnagione è alquanto scura.» Scandì ogni parola dando un colpetto al braccio di Galen con il suo delicato ventaglio d'avorio. «Davvero scura» aggiunse accompagnando il com-mento con altri due colpetti. Per fortuna le sue braccia esili non avevano quasi muscoli, perciò i suoi colpi ebbero su di lui l'effetto che avrebbe avuto una piuma d'oca. Le labbra notoriamente sensuali del Duca di Deigh-ton si curvarono in un sorriso e i suoi occhi nocciola brillarono divertiti mentre sosteneva tranquillamente lo sguardo indagatore della cugina. Eloise era abbigliata con lo stesso fasto con cui era arredata l'ampia stanza che in origine aveva fatto parte di un'abbazia medievale. La sua famiglia era venuta in possesso di quella proprietà durante il regno di Enrico VIII e da allora

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aveva subito diversi restauri, alcuni pregevoli, altri di dubbio gusto. Quella sera indossava un abito stile impero verde pallido ornato di pizzo, un colore che non le donava e faceva assumere alla sua carnagione una tonalità gial-lastra. I capelli piuttosto radi erano pettinati in una ac-conciatura talmente complicata da fare rabbrividire Galen al pensiero di quanto fosse stata maltrattata la sua cute per appuntarli in quel modo. «Non ho alcun dubbio che abbiate trascorso la maggior parte del tempo vivendo come un contadino» continuò Eloise con aria petulante. «In questo caso sarei stato un contadino davvero ricco ed indolente» replicò lui. «Ditemi, è tutto qui il cambiamento che notate?» «Perché, che altro dovrei vedere? Un tatuaggio o qualcosa di altrettanto disgustoso?» Galen non sapeva perché si era dato pena di farle quella domanda. Eloise non era stata mai famosa per la sua perspicacia. Quanto al suo aspetto, la cugina aveva ragione. Tranne per la pelle abbronzata e qualche ruga attorno agli occhi, non sembrava molto diverso da quando a-veva lasciato l'Inghilterra dieci anni prima. Fece un profondo sospiro e si mise a osservare i nu-merosi ospiti di Eloise, la solita cerchia di amici e a-dulatori che approfittavano della generosa ospitalità della cugina. Vedendolo, alcuni di loro arrossirono e rivolsero la loro attenzione altrove. Galen non si sorprese più di tanto. Se solo la sua re-putazione fosse morta con la sua partenza!

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Sfortunatamente non era stato così e lui se ne era reso conto nel momento stesso in cui era tornato a ca-sa. Non gli erano sfuggiti i sorrisi untuosi, gli ammic-camenti, i tentativi di allontanare da lui mogli e sorel-le... Durante la sua giovinezza si era comportato spesso come una vera canaglia. Era stato il tipo d'uomo che intrecciava relazioni amorose seguendo solo il suo ca-priccio. Si lasciava guidare dal suo istinto e non pos-sedeva alcuna remora morale. Tutto questo fino alla notte in cui era accaduto qualcosa che aveva cambiato la sua vita. «Confesso di non capire perché avete trascorso die-ci anni all'estero» dichiarò Eloise. Galen fu su punto di rispondere che lo aveva fatto perché preferiva i contadini italiani alla sua famiglia e all'aristocrazia inglese in generale, ma non lo fece. Dopo tutto era ospite in quella casa e nessuno gli tene-va una pistola puntata contro la tempia per obbligarlo a restare. «Perché l'Italia mi piace.» «Allora forse avreste dovuto restarci» replicò la donna, con tutta evidenza offesa dalla sua risposta va-ga. «Lo avrei fatto, se mio padre non fosse morto.» E-loise arrossì e, per dissipare quel momento di profon-do imbarazzo, lui continuò a parlare con lo stesso tono casuale. «Per questo sono tornato. Ma come mai, cara cugina, non mi avete ancora chiesto il motivo per cui non sono ripartito?» «Dovete occuparvi della conduzione della tenuta»

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replicò lei. «Oppure potrebbe trattarsi di una donna.» «No. Non ho bisogno di pensare all'amministrazio-ne delle proprietà. Jasper sa farlo benissimo senza la mia supervisione» rispose Galen alludendo al soprin-tendente della tenuta. Si avvicinò a Eloise e abbassò la voce con un tono da cospiratore. «Ma avete ragione. C'è di mezzo una donna.» Eloise sgranò gli occhi mostrando un'avida curiosi-tà mentre lui faceva una pausa melodrammatica. «Ho deciso di trovare una moglie.» La cugina lo fissò stupita. «Una... una che cosa?» «Una sposa. Una moglie. Una donna con cui divi-dere il resto dei miei giorni e che mi dia anche un ere-de. Sono tornato a casa per sposarmi.» «Non riesco a capire...» Lui corrugò le sopracciglia con aria preoccupata. «Devo chiamare un servitore perché vi porti un bic-chiere d'acqua o i sali, Eloise? Sembrate sul punto di svenire.» «No! No! Non sto male. Sono solo sconvolta! Sor-presa! Deliziata! Voi, sposato!» Nonostante si rivolgesse a lui, il suo sguardo vaga-va già avidamente nella stanza. «L'ho trovata!» gridò poco dopo come se avesse scoperto l'Eldorado. Con il ventaglio gli indicò una giovane che indossa-va un abito bianco verginale bordato di rosa e delle ro-selline tra i capelli. Anche la sua carnagione era bian-ca e rosa e l'unico ornamento che portava era una sem-plice e sottile catenina d'oro che le pendeva dal collo lungo e flessuoso. La voce di Eloise si abbassò tra-

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sformandosi in un eccitato sussurro. «Lady Mary, la figlia del Conte di Pillsborough! La sua fortuna è immensa. Non potreste trovare di meglio Galen. E come potete vedere è anche molto bella.» Non poteva negarlo, pensò lui. Tuttavia aveva co-nosciuto molte donne bellissime e sapeva che ci vole-va molto di più dell'aspetto fisico per convincerlo a sposarsi. «È anche compita e raffinata. Suona, canta e ricama con squisita abilità...» Galen interruppe la cugina prima che lo consideras-se già impegnato. «Non avevo in mente di fare la scel-ta proprio oggi.» Eloise diventò seria. «Non siete più giovanissimo, Galen. Ormai avete passato la trentina.» «So di avere perso molto tempo, Eloise. Ma avevo le mie ragioni.» «Quali?» «Sono private e personali, cugina.» Eloise corrugò ancora di più la fronte. «Capisco.» «Tuttavia ho davvero bisogno delle vostre cono-scenze di gran lunga superiori in materia» disse Galen anche per placare i suoi sentimenti feriti. «Non vorrei essere preso in trappola da un viso grazioso o da modi affascinanti.» Eloise sorrise, tranquillizzata da quelle parole. «Sarò felicissima di potervi essere d'aiuto, Galen. Davvero felicissima!» Poi tornò a farsi seria. «Che cosa c'è? Forse tra i vostri ospiti c'è qualcuna con un viso grazioso e modi affascinanti che non è a-datta a me?»

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«A dire il vero, sì. Ma non per le ragioni che potre-ste pensare o che potreste sentire da altri.» «Mia cara cugina, ora avete risvegliato la mia cu-riosità» replicò Galen esagerando di proposito il suo tono. «Si tratta di una mia carissima amica, che conosco fin dai tempi della scuola.» Galen ricordava quale sciocca creatura fosse stata la cugina quando era molto più giovane e se l'amica le assomigliava, quell'avvertimento non era necessario. «Ora è vedova. Suo marito è morto due anni fa e da allora lei ha vissuto praticamente in totale eremitag-gio.» Galen fece un sorriso ironico. «Credevo che gli ere-miti fossero solo uomini.» Agitò il ventaglio come se volesse scacciare un at-tacco di falene e gli lanciò un'occhiata stizzita. «In completa reclusione, allora. In qualsiasi modo vogliate chiamarla, mi ci sono voluti due anni di inviti per in-durla a venire a trovarmi.» «Non vedo nessuna donna vestita di nero» osservò lui dopo avere scrutato le signore presenti, tutte ele-gantemente abbigliate con abiti di seta di vari colori. «Non è ancora qui» replicò Eloise. «Dovrebbe scendere tra breve, a meno che sua figlia non faccia i capricci. Lei la ama svisceratamente e se non sta at-tenta la vizierà.» Il sorriso di Galen si fece teso in modo quasi imper-cettibile. «Sono sicuro che le avrete dato i vostri consigli in merito» commentò ironico. Le opinioni di Eloise e-

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rano quelle di una donna che non era mai stata madre. «È naturale, ma dubito che ne terrà conto. È stata sempre testarda.» «Allora rilassatevi, cugina. Io mi sono ripromesso di evitare le donne ostinate e le vedove testarde con dei figli mi riempiono di orrore.» «Vi prego di non parlare in questo modo in presen-za della mia amica! Sono sicura che la fareste inorridi-re.» «E noi non vogliamo che nessuno dei vostri ospiti si scandalizzi» convenne Galen, convinto che non gli ci sarebbe voluto molto per sconvolgere la maggior parte di quelle menti benpensanti. «Perciò, dopo che saremo stati presentati, la ignorerò.» Il suo lieve sarcasmo non fu colto da Eloise. «So di non potermelo aspettare da voi. Tutti sanno che non siete in grado di lasciare in pace una donna. Cercate solo di non amoreggiare con lei, perché sono certa che in quel caso tornerà a Jefford in un baleno. Ha già sen-tito parlare di voi. A dire il vero temo...» Eloise arros-sì. «Temo di avere fatto un ritratto fin troppo eloquen-te delle vostre avventure.» Galen non faticava a immaginare come la cugina a-vesse descritto lui e i suoi trascorsi amorosi. Era pro-babile che la vedova lo considerasse un vero e proprio demonio. «In ogni caso non è più così bella come era fino a due anni fa.» «La morte di suo marito ha avuto un effetto deva-stante sul suo aspetto?» «Ne rimase quasi uccisa. In tutta franchezza io ho

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sempre pensato che quell'uomo fosse troppo vecchio per la mia amica. E tuttavia lei lo adorava e quando ebbero una figlia la loro felicità aumentò, anche se non si trattava di un maschio.» Eloise si avvicinò di più inondandolo con la forte fragranza del suo profumo. «Ricordo che i parenti del marito erano furiosi. Per anni erano stati convinti che avrebbero ereditato i suoi soldi e invece non solo si era sposato, ma aveva anche messo al mondo un erede. Ho sentito dire che dopo la morte di Daniel Davis-Jones si fecero piuttosto ag-guerriti e suggerirono che fossero fatte delle indagi-ni.» «Che cosa c'era di tanto misterioso nella sua mor-te?» «A dire il vero...» Eloise si fece ancora più vicina. «Fu piuttosto improvvisa. Il dottore però si dichiarò assolutamente sicuro che si trattasse di polmonite. Non so come qualcuno abbia potuto solo pensare che sua moglie fosse stata capace di...» Sollevò le ciglia ammiccando. «Omicidio?» «Non ditelo!» gridò la cugina, inorridita. «Quando l'avrete conosciuta capirete anche voi che la sola idea è pazzesca. È la creatura più gentile del mondo!» «Siete voi a mettermi pensieri del genere in testa» osservò Galen. «Come avete fatto a sapere queste co-se?» «Ho i miei informatori, Galen.» Non poteva essere altrimenti, considerando gli o-spiti che affollavano continuamente la sua casa, i pe-

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riodi trascorsi a Bath e a Baden-Baden a fare cure ter-mali e la fitta corrispondenza che intratteneva con le sue conoscenze. Aveva una ampia rete di conoscenze che la tenevano continuamente al corrente di tutto e di tutti. «Santo cielo! Credo di avere appena commesso un grave errore a raccontarvi tutte queste cose» disse E-loise con un tono pieno di rimorso. «Ne sembrate affa-scinato.» «I pettegolezzi non mi hanno mai interessato e vi assicuro che le vedove con figli non esercitano alcun richiamo particolare su di me, cugina.» «Bene. Adesso venite con me. Vi presento Lady Mary» disse Eloise facendo un cenno alla giovane. «Credo di avere bisogno di qualche momento di so-litudine per ricompormi e prepararmi a questa impor-tante presentazione» rispose lui dicendo una parziale verità. «Vogliate scusarmi, ma credo che una breve passeggiata nei vostri incantevoli giardini farà al mio caso.» Prima che Eloise potesse protestare, Galen si voltò e si diresse verso la terrazza. Una fugace occhiata die-tro le spalle gli disse che la cugina non lo aveva segui-to e sospirò di sollievo. Accolse con piacere l'aria fresca, lontano dai profu-mi delle signore e da quello della cipria proveniente dalle parrucche che alcuni anziani ospiti di Eloise an-cora amavano indossare. Avrebbe dovuto riflettere prima di accettare l'invito della cugina a restare a Potterton Abbey per qualche tempo. Aveva dimenticato che lei reputava la sua casa

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vuota se non aveva almeno venti ospiti. E ora che le aveva rivelato i suoi progetti, si sentiva come se fosse appena stato messo all'asta. «Si vende un duca usato, in condizioni ancora pas-sabili» mormorò parlando a se stesso. Si fermò un istante a osservare il parco che circon-dava la proprietà della cugina. Poteva anche essere una ficcanaso intrigante, ma aveva dei giardini bellis-simi. Respirò profondamente inalando l'odore dell'er-ba e altri inconfondibili profumi che gli ricordarono che si trovava in Inghilterra. Non c'era niente in nessuna parte del mondo che potesse essere confrontato con la campagna inglese. Con un altro sospiro si diresse verso il boschetto dove sperava di trovare un po' di solitudine. Se per stare da solo doveva nascondersi, lo avrebbe fatto. «Attenzione, signore!» Allarmato dall'avvertimento, Galen si chinò mentre qualcosa gli volava sopra la testa. «Che cosa...?» «Scusatemi!» gridò una ragazzina correndo verso di lui. Raccolse la sua palla e si fermò a una certa distan-za, arrossendo e fissandolo con un paio di occhi azzur-ri sgranati che brillavano sotto una folta massa di ric-cioli scuri. «Non mi ero accorta che ci fosse qualcuno nelle vicinanze quando l'ho calciata» continuò in tono di scusa. Avrebbe potuto avere dagli otto ai dodici anni. In-dossava un abito blu senza ornamenti che suggeriva il lutto. La pregevole fattura e la buona qualità del tessuto

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gli dissero che doveva trattarsi della figlia di qualche ospite di Eloise. Galen provò un'ondata di simpatia per quella bam-bina con degli occhi così luminosi, costretta a indossa-re dei vestiti scuri e che invece avrebbe dovuto portare tinte pastello decorate di fiori e di nastri. Poi si chiese se non fosse proprio la figlia dell'ami-ca di Eloise, l'ostinata vedova che aveva perso la sua bellezza. Se era così, sua cugina si sbagliava nell'affermare che la ragazzina era troppo coccolata. Lui aveva avuto modo di conoscere diversi ragazzi davvero viziati e la bambina che aveva davanti non aveva niente in comu-ne con loro. Il suo fratellastro più giovane lo avrebbe fatto pentire amaramente di essergli capitato tra i piedi mentre giocava. «Va tutto bene» la rassicurò sorridendole. I sorrisi di Galen Bromney non erano particolarmente rari. Lo era però uno sincero. «Sono felice di sapere di non es-sere attaccato.» La bambina sgranò gli occhi e strinse ancora di più la palla. «Vi siete trovato mai sotto attacco?» «Una volta o due» replicò lui riluttante. La bocca della ragazzina si spalancò per lo stupore. «Ma a rischio della mia reputazione e per essere completamente onesto, anche in quei casi le armi era-no parole e non spade» confessò. Alla notizia la bambina fece una faccia lunga e Galen provò una strana sensazione di vuoto. «Permettetemi di presentarmi. Io sono il Duca di

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Deighton» disse in tono formale facendo il suo mi-gliore inchino. Rimase particolarmente compiaciuto nel vedere che la sua espressione era di nuovo incantata mentre pie-gava la testa con grazia. «Io sono la signorina Jocelyn Davis-Jones» replicò seria. «Come state, signorina Davis-Jones?» «Molto bene, grazie, Vostra Grazia.» Galen rimase impressionato dalle sue buone manie-re. «Siete qui tutta sola?» le chiese guardandosi attor-no alla ricerca di altri bambini. «Sì» rispose la ragazzina con aria quasi di sfida. La sua espressione perplessa la indusse a proseguire. «Gli altri non sono voluti uscire, così sono venuta io. Non mi importa di stare da sola.» «Una indipendenza davvero ammirevole, signorina Davis-Jones.» «Preferirei essere a casa mia. Qui non mi trovo be-ne.» «Mi dispiace sentirvi dire una cosa del genere.» La bambina arrossì. «Lady Bodenham è molto gen-tile, la sua tenuta è meravigliosa e la sua cuoca prepa-ra dei budini buonissimi, ma mi manca casa mia.» «Anche a me» confessò Galen. «La mia si trova in Italia.» Lei corrugò le sopracciglia. «Siete italiano?» Lui fece cenno di no con il capo. «No, ma ho vissu-to là per dieci anni e ormai la considero la mia vera casa.» Molto più di quanto non lo fosse mai stata la sua di-mora di famiglia, anche se era altrettanto solitaria.

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«Suppongo di dover tornare dentro per il tè ades-so.» «Non credo sia ancora ora» disse Galen. Indicò con un cenno la palla che lei teneva tra le mani. «Non gio-co a pallone da molto tempo. Vi piacerebbe fare due tiri?» Jocelyn Davis-Jones chinò la testa di lato e lo scru-tò con aria scettica. In quel momento lui si rese conto che voleva che quella ragazzina lo trovasse simpatico, anche se non sapeva perché. «Potreste sporcarvi i vestiti.» Galen sospettò che quella raccomandazione le ve-nisse fatta spesso. «Accetterò le conseguenze» dichia-rò con coraggio. La bambina gli rivolse un sorriso prima di mettere a terra la palla. Mentre Galen si stava chiedendo se quei folti ric-cioli fossero naturali, lei all'improvviso e senza una parola di avvertimento calciò il pallone lanciandoglie-lo addosso. Con un abile balzo lui lo schivò e poi cercò di col-pirlo con il piede. Lo tirò a Jocelyn e si accovacciò per attendere la risposta, incurante della piega dei suoi calzoni e di ciò che avrebbe potuto dire il suo came-riere personale. La ragazzina era agile e ben presto riprese la palla tra i piedi scagliandola a fianco di Galen che allungò una gamba nel tentativo di fermarla. Ma con un gemito di orrore e di dolore finì a terra. «Vi siete fatto male?» gridò Jocelyn preoccupata. «No» borbottò lui afferrando la palla e rialzandosi

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abbastanza in fretta, nonostante i muscoli delle sue gambe protestassero. La tenne sollevata e la colpì a mezz'aria con la pun-ta di un piede mandandola qualche metro oltre l'avver-saria. La bambina corse a raccoglierla e Galen ne ap-profittò per togliersi i fili d'erba dai calzoni. Al rumore del calcio sollevò la testa e poi si lanciò in avanti per cercare di intercettare il pallone. Quando riuscì a colpirlo al volo lanciò un grido di trionfo. Jocelyn fece per bloccarlo, ma lo vide sparire sotto un cespuglio prima di riuscirci. «Chissà dove è andato a cacciarsi!» esclamò chi-nandosi per scrutare in mezzo alle foglie. Galen si affrettò a raggiungerla per aiutarla a cer-carlo. Stavano entrambi frugando tra i rami quando udiro-no una donna che chiamava Jocelyn. La bambina si rimise in piedi. «È la mamma. Deve essere ora del tè.» Guardò preoccupata verso il folto fogliame che sembrava avere inghiottito il suo giocat-tolo. «Sarà molto dispiaciuta quando saprà che ho per-so la palla.» «Allora io rimarrò qui fino a quando non la avrò trovata» si offrì Galen. «Sono sicuro che non può es-sere andata lontano anche se l'ho colpita con un tiro prodigioso.» «Era un tiro piuttosto storto, altrimenti l'avrei inter-cettata» dichiarò Jocelyn. «Il pallone è andato esattamente dove intendevo mandarlo» replicò lui sulla difensiva. L'espressione della ragazzina tradì i suoi dubbi.

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«Volevate che sparisse tra i cespugli?» «No, certo che no. Io miravo a voi.» «Ma io mi trovavo dall'altra parte!» «Io...» Galen non riuscì a impedirsi di sorridere. «La mia mira era sbagliata, ma voi vi stavate muoven-do in questa direzione. Non è vero?» «Jocelyn?» Galen e la sua piccola amica si voltarono e si accor-sero che una giovane donna li stava guardando con a-ria interrogativa. Verity Escombe. Riconobbe immediatamente il suo viso e un miscu-glio di emozioni lo assalì. Provò gioia, sgomento, col-lera ed eccitazione, tutti nello stesso momento. Fece un passo avanti, poi ci ripensò. Aveva fatto di tutto per non rivederla. Durante i dieci anni trascorsi in Italia aveva sperato di non do-verla mai più incontrare. Del resto perché avrebbe do-vuto farlo? Erano trascorsi dieci anni e tuttavia Verity Escombe era ancora la stessa, con quegli occhi azzurri dall'aria interrogativa che la figlia aveva ereditato e le labbra socchiuse come se stessero per fare una domanda o se fossero in attesa di un suo bacio. Notò il semplice abito nero tagliato a vita alta, co-me dettava la moda del momento. Un sottile scialle di pizzo dello stesso colore le copriva le esili spalle. I ca-pelli castano chiaro erano pettinati in modo semplice e non indossava guanti. Galen guardò la sua mano sini-stra e notò l'anello nuziale. «Questo è il Duca di Deighton, mamma» annunciò

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Jocelyn avvicinandosi alla madre e prendendola per mano per portarla verso di lui. «Stavamo giocando.» Lui guardò la piccola. Nonostante quello che prova-va per Verity sapeva che avrebbe ferito la bambina comportandosi in modo rude. Perciò fece un elegante inchino e parlò come se non avesse mai incontrato Verity Escombe prima di allora. Come se dieci anni addietro lei non lo avesse sedot-to e abbandonato.

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