INTERVISTA Evaporazione del padre, La egola testimonianze ... · etica di una possibilità di...

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CULTURA 11 Corriere degli Italiani Mercoledi 20 febbraio 2013 di Luca Bernasconi I grandi ideali che hanno orientato la vita individuale e collettiva del passato sono tramontati. Anche la funzione ideale, normativa e sim- bolica del padre quale punto di ri- ferimento e garante di identità e stabilità, è venuta meno. Nel saggio “Cosa resta del padre?” (Raffaello Cortina Editore, 2011) il noto psicoanalista lacaniano Mas- simo Recalcati ripensa la funzione paterna nell’epoca della sua eclissi. Non più un padre Ideale, Legge o Simbolo, ma l’incarnazione singo- lare di una vita e la testimonianza etica di una possibilità di vivere, desiderare, fallire e ritrovarsi. L’al- leanza fra legge e desiderio, un tempo custodita e incarnata dalla funzione paterna, si è sgretolata, cedendo il passo al godimento im- mediato e compulsivo di oggetti, promosso dal discorso capitalista e spacciato quale rimedio al male di vivere. Ospite la settimana scorsa dell’ASRI (Associazione Svizzera per i Rap- porti Culturali ed Economici con l’Italia), il professor Recalcati ha tenuto all’Università di Zurigo una conferenza dal titolo “La promessa del desiderio e il tramonto del pa- dre”. Lo abbiamo incontrato per mettere a fuoco alcuni aspetti legati alla tematica della evaporazione del padre e dello smembramento della famiglia tradizionale nell’epoca ipermoderna. L’Occidente capitalista – scrive in “Ritratti del desiderio” (Raffaello Cortina Editore, 2012) – ha prodotto una nuova forma di schiavitù: l’uomo senza inconscio e l’uomo senza de- sideri. Quali ne sono i tratti salienti? Come direbbe Pier Paolo Pasolini, si tratta di una sorta di mutazione antropologica. L’uomo ipermoderno è un uomo schiavo di una nuova forma di religione. Pasolini aveva giustamente sostenuto che il di- scorso capitalista ha reso possibile il passaggio dal monoteismo, co- stituito dalle società religiose che entravano in un rapporto di suddi- tanza con Dio, ad un inaudito po- liteismo, fondato su una moltipli- cazione degli dei che si manifestano nelle forme di svariati oggetti di godimento. L’uomo senza inconscio e senza desideri è succube di questi idoli mascherati da oggetti e di di- pendenze patologiche – la droga, l’alcol, il cibo, il sesso, il computer – che diventano una specie di par- tner inumano. In questa nuova for- ma di schiavitù il soggetto si rap- porta con gli oggetti inumani pre- ferendoli all’incontro con l’altro ses- so, ovvero all’esperienza dell’amore. Tutte queste nuove patologie rap- presentano forme dell’antiamore, nel senso che il soggetto sceglie una di quelle dipendenze per non incontrare l’enigma perturbante dell’aleatorietà dell’amore. Benché sia un’esperienza estatica, l’amore implica sempre il rischio della per- dita, dell’abbandono e dello smar- rimento, a differenza di quanto in- vece accade nel rapporto con l’og- getto. Freud sosteneva infatti che l’unico matrimonio davvero felice è quello con la bottiglia poiché l’og- getto non ci lascia mai. Che cosa si può fare per ricostruire un uomo che riconosca e viva i propri desideri intesi come progettualità e resistenza all’omologazione? Uno degli equivoci fondamentali su cui si regge la mutazione antro- pologica a cui accennavo, è quello di ridurre il desiderio alla dimen- sione del capriccio. Se il desiderio corrispondesse esclusivamente al togliersi uno sfizio, esso sarebbe una libertà senza alcuna responsa- bilità. In ambito psicoanalitico il termine ‘desiderio’ equivale per contro a ‘vocazione’ e dunque a un impegno a rispondere alla chiamata. La domanda che ci dobbiamo porre è se siamo riusciti a rendere gene- rativo il nostro desiderio, a farlo fruttificare, se abbiamo trasformato la nostra vita in qualcosa di pro- duttivo o se essa sia invece rimasta sterile. La nostra epoca recide questo rapporto fra desiderio e responsa- bilità, riducendo il desiderio a mero capriccio. Per contrastare questa restrizione, bisogna riabilitare l’idea del desiderio inteso non tanto come trasgressione della legge – il bam- bino con le labbra sporche di mar- mellata che viene rimproverato dai genitori – quanto come vocazione che ci abita, che ha radici lontane nell’infanzia e rispetto alla quale siamo chiamati a dare una risposta. Rispondere significa rischiare. Nel rapporto di paternità o in una rela- zione amorosa si è inevitabilmente esposti a dei rischi, tra cui il falli- mento, i quali possono tuttavia condurre a una vita autentica e fe- lice. In un’epoca dominata dalla logica utilitaristica e dal godimento imme- diato, come agire per riappropriarsi del desiderio e del senso di respon- sabilità? La crisi che sta attraversando l’Oc- cidente e che coinvolge tanto le vite individuali quanto quella col- lettiva, è un sintomo fondamentale della situazione disagevole nella quale ci troviamo. Le possibili so- luzioni per poter uscire da questa impasse si situano su due livelli. Sul piano indivuale entra in gioco la psicoanalisi: l’esperienza analitica prova infatti ad ascoltare, decifrare e rispondere alla chiamata del de- siderio. Chi si rivolge all’analista lo fa perché soffre. La sofferenza men- tale, che si manifesta in diverse forme, ha sempre un comune de- nominatore: si tratta di vite che non seguono ciò che desiderano e di conseguenza vengono investite dalla malattia. La psicoanalisi di- venta allora per il soggetto una pos- sibilità di rendere più coerente la propria esistenza con il proprio de- siderio, malgrado questa scelta com- porti tutta una serie di complica- zioni quali il non essere più consi- derato amabile agli occhi degli altri, il pagare un prezzo in termini di solitudine, l’essere in qualche misura disadattati e via discorrendo. Ep- pure, più una vita collima con il proprio desiderio inconscio, più essa è ricca e generativa. È dunque necessario concepire un nuovo egoi- smo psichico in senso positivo: l’egoista non è chi persegue con determinazione e rigore il proprio desiderio, ma è semmai chi vuole che l’altro realizzi il proprio desi- derio. Sul versante della vita col- lettiva, proporrei invece, a titolo di esempio, di leggere il rapporto tra lavoro e finanza come una relazione fra desiderio e godimento. La grande crisi che ci ha travolti è dipesa dal fatto che la centralità del lavoro è stata sommersa dal potere sovrain- dividuale dei giochi finanziari. Re- stituire allora centralità al desiderio in termini collettivi significherebbe restituire centralità all’impresa, al progetto, alla realizzazione, e non alla dimensione anonima, spettrale e autoritaria della finanza che decide dei nostri destini. Insieme ai grandi ideali che hanno orientato la vita individuale e col- lettiva in passato, è tramontata anche la figura del padre. Quali ne sono le principali cause e che cosa la sosti- tuisce? La perdita di autorità simbolica del padre apre il Novecento con l’an- nuncio nietzschiano della morte di Dio e ha il suo epilogo nel ’68 e nel ’77. In altre parole significa che nessun padre ci potrà salvare, che la parola del pater familias, del pa- dre-padrone, del padre-papa non potrà metterci in salvo. Il ’68 e il ’77 sancirono la contestazione dei figli contro i padri e la demolizione, a mio avviso giusta, della funzione disciplinare, autoritaria e repressiva della paternità. Tuttavia, l’errore di quei movimenti fu quello di aver immaginato la possibilità di una vita che si autogeneri, che non passi più attraverso il legame di debito con il padre. Privarsi del padre non è possibile, a meno di non servir- sene, come insegna Lacan: solo se si accetta il debito con il padre, solo se ci si riconosce come figlio pur in una relazione di conflitto con la paternità, sarà possibile se- pararsi dal padre. Oggi viviamo una nuova fase nella quale non ha più senso pensare di restaurare la funzione normativa, repressiva e disciplinare del pater familias. Si tratta allora di ripensare la paternità in un altro modo che io definisco “dai piedi”, ovvero non a partire dall’autorità della tradizione, dal timore che suscitava la parola pa- terna, bensì dalla testimonianza del padre. Il compito di un padre è certamente ancora oggi quello di introdurre la vita dei propri figli al trauma della legge del limite, ma anche quello di donare al figlio l’esperienza stessa del desiderio: un padre deve farsi testimone di come si possa stare al mondo pur non avendo l’ultima parola sul senso della vita – come pretendeva il pater familias – e dando un significato umano alla nostra presenza nel mondo. Credo che i giovani di oggi sentano la necessità di incontrare questa testimonianza, non neces- sariamente in famiglia, giacché il padre non è riducibile a una mera questione biologica. C’è infatti pa- ternità laddove c’è riconoscimento simbolico del valore della vita del- l’altro, effetto di formazione: ad esempio nel rapporto di un ragazzo con gli insegnanti o con l’allenatore di pugilato come racconta in modo esemplare il film di Clint Eastwood “Million Dollar Baby”. La nostra epoca ha tuttavia prodotto un effetto, a suo avviso gravissimo, di simmetrizzazione generazionale. Come ripristinare la differenza? Per poter diventare adulti, bisogna essere dei figli. I figli hanno bisogno dei genitori per diventare adulti. Ma per essere genitori, non si deve più essere figli. Il maggiore pro- blema oggi è che molti genitori non smettono di essere figli, creando una confusione di funzioni che è sotto gli occhi di tutti: hanno gli stessi gusti, parlano allo stesso modo, ascoltano la stessa musica, giocano con gli stessi giochi e ve- stono nella stessa maniera dei loro figli. Ciò non significa non poter svolgere delle attività insieme, anzi, ma un tempo esse servivano a man- tenere viva questa differenza. I figli hanno un grande bisogno di adulti ai quali appoggiarsi, ma spesso si ritrovano ad avere genitori più an- gosciati di loro. La prima inquie- tudine è legata alla necessità dei genitori di sentirsi amati dai loro figli e, perché ciò avvenga, è indi- spensabile dire sempre “Sì!”. In que- sto modo si elimina il conflitto che, se riconosciuto e assunto critica- mente, può diventare motore di trasformazione e di crescita. L’altra loro angoscia riguarda il principio di prestazione: l’insuccesso dei pro- pri figli viene tollerato sempre meno. Togliendo loro la possibilità del- l’esperienza del fallimento, li si priva dell’incontro fondamentale con la verità del proprio desiderio. Che cosa impedisce ai genitori di essere adulti e di comportarsi come tali? Credo vi siano diverse retoriche che ostacolano il bisogno di far esistere ancora degli adulti. Fra queste figura quella che io chiamo del dialogo, la quale porta a deresponsabilizzare gli adulti rispetto al loro ruolo. Nella carta stampata e nei talk- show domina oggi il culto della ne- cessità del dialogo tra le generazioni. Chiunque abbia un figlio adole- INTERVISTA A colloquio con lo psicoanalista lacaniano e saggista di successo Massimo Recalcati Evaporazione del padre, testimonianze del desiderio scente, sa che è impossibile parlargli, come ben racconta il romanzo “Pastorale americana” di Philip Roth. In esso si coglie con una forza unica l’impossibilità, a volte, di un autentico dialogo fra genitori e figli nell’adolescenza – aspetto tipico per quell’età. È allora più si- gnificativo che un genitore colga l’impossibilità del dialogo e che in essa sappia tenere la sua posizione, anche perché insistere a parlarsi significa pure che alla fine nessuno prende una decisione. Finché i figli sono in un pro- cesso di formazione, tra i compiti degli adulti vi è anche quello di mettere dei punti, di mettere un limite, anche al dialogo. Un’altra retorica che impedisce agli adulti di essere tali è quella relativa alla regola, ovvero l’idea che in una famiglia bastino delle regole certe, chiare e ben definite perché tutto funzioni come in un campo di concentramento. Questa retorica è ad esempio incarnata televisiva- mente dal reality “SOS tata”. In una famiglia nella quale regna un totale disordine, arriva una tata con un suo decalogo seguendo il quale la casa si trasforma miracolosamente in un giardino alla francese tutto ordinato. Questo è soltanto un mito del nostro tempo, perché la regola senza desiderio non mette ordine, al massimo può opprimere la vita. È giusto che in una famiglia vi siano delle regole – poche – ma è soprattutto indispen- sabile che vi circoli il lievito del desiderio, teso a prevenire il rischio di smarrimento e derive patologiche. A salvare la vita dei nostri figli è la testimonianza di altre vite capaci di soddisfazione. Una vita adulta ricca e gene- rativa contagia quella dei figli: per poter far nascere in loro delle passioni, bisogna che essi siano circondati da adulti appassionati. Di che cosa è fatta la passione che anima il suo lavoro e che si coglie anche tra le righe dei suoi libri? Per fare lo psicoanalista bisogna essere ap- passionati delle cause perse e soprattutto bi- sogna esserlo stato. Tutti noi abbiamo una prima vocazione che abbiamo fallito. La mia era quella di diventare un poeta. Su quella sconfitta è germogliata la passione per l’attività che svolgo attualmente. Come diceva un poeta, dai diamanti non nasce niente, è sem- mai dal letame che nascono i fiori. Non vi è nulla di più emozionante nel mio lavoro che vedere rispuntare il germoglio del desiderio in una causa persa. Tirando le somme, quali sono gli aspetti co- struttivi sullo sfondo della evaporazione del padre? La pars construens può essere sintetizzata in tre termini della psicoanalisi: atto, fede e promessa. Il primo racconta che la paternità si fonda su di un evento simbolico, ovvero quello del riconoscimento della vita altrui. Si tratta di un atto di adozione che trascende la paternità biologica – come nel caso sopra- citato del film di Clint Eastwood. La seconda parola si riferisce alla necessità di credere nella visione, nel sogno dell’altro: avere fede nel desiderio altrui, non nel suo capriccio. È questo l’aspetto che dà maggiore valore ai figli e, in senso lato, alle nuove ge- nerazioni. In quanto all’ultima voce, proporrei un esempio personale. Quando a 18 anni decisi di abbandonare gli studi per dedicarmi alla politica, mia madre vi si oppose ferma- mente, facendomi però una promessa: se avessi rinunciato al godimento immediato, accettando la legge del limite, e avessi scelto la via della cultura, mi si sarebbero aperti nuovi mondi e avrei avuto un tipo di godi- mento più alto e più vivo. Così è stato perché a posteriori quella promessa si è realizzata. In alto: Bond of union di Cornelius Escher. In basso: lo psicanalista Massimo Recalcati. La regola e il lievito del desiderio

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CULTURA 11Corriere degli ItalianiMercoledi 20 febbraio 2013

di Luca Bernasconi

I grandi ideali che hanno orientatola vita individuale e collettiva delpassato sono tramontati. Anche lafunzione ideale, normativa e sim-bolica del padre quale punto di ri-ferimento e garante di identità estabilità, è venuta meno. Nel saggio “Cosa resta del padre?”(Raffaello Cortina Editore, 2011) ilnoto psicoanalista lacaniano Mas-simo Recalcati ripensa la funzionepaterna nell’epoca della sua eclissi.Non più un padre Ideale, Legge oSimbolo, ma l’incarnazione singo-lare di una vita e la testimonianzaetica di una possibilità di vivere,desiderare, fallire e ritrovarsi. L’al-leanza fra legge e desiderio, untempo custodita e incarnata dallafunzione paterna, si è sgretolata,cedendo il passo al godimento im-mediato e compulsivo di oggetti,promosso dal discorso capitalista espacciato quale rimedio al male divivere. Ospite la settimana scorsa dell’ASRI(Associazione Svizzera per i Rap-porti Culturali ed Economici conl’Italia), il professor Recalcati hatenuto all’Università di Zurigo unaconferenza dal titolo “La promessadel desiderio e il tramonto del pa-dre”. Lo abbiamo incontrato permettere a fuoco alcuni aspetti legatialla tematica della evaporazionedel padre e dello smembramentodella famiglia tradizionale nell’epocaipermoderna.

L’Occidente capitalista – scrive in

“Ritratti del desiderio” (Raffaello

Cortina Editore, 2012) – ha prodotto

una nuova forma di schiavitù: l’uomo

senza inconscio e l’uomo senza de-

sideri. Quali ne sono i tratti salienti?

Come direbbe Pier Paolo Pasolini,si tratta di una sorta di mutazioneantropologica. L’uomo ipermodernoè un uomo schiavo di una nuovaforma di religione. Pasolini avevagiustamente sostenuto che il di-scorso capitalista ha reso possibileil passaggio dal monoteismo, co-stituito dalle società religiose cheentravano in un rapporto di suddi-tanza con Dio, ad un inaudito po-liteismo, fondato su una moltipli-cazione degli dei che si manifestanonelle forme di svariati oggetti digodimento. L’uomo senza inconscioe senza desideri è succube di questiidoli mascherati da oggetti e di di-pendenze patologiche – la droga,l’alcol, il cibo, il sesso, il computer– che diventano una specie di par-tner inumano. In questa nuova for-ma di schiavitù il soggetto si rap-porta con gli oggetti inumani pre-ferendoli all’incontro con l’altro ses-so, ovvero all’esperienza dell’amore.Tutte queste nuove patologie rap-presentano forme dell’antiamore,nel senso che il soggetto sceglieuna di quelle dipendenze per nonincontrare l’enigma perturbantedell’aleatorietà dell’amore. Benchésia un’esperienza estatica, l’amoreimplica sempre il rischio della per-dita, dell’abbandono e dello smar-rimento, a differenza di quanto in-vece accade nel rapporto con l’og-getto. Freud sosteneva infatti chel’unico matrimonio davvero feliceè quello con la bottiglia poiché l’og-getto non ci lascia mai.

Che cosa si può fare per ricostruire

un uomo che riconosca e viva i propri

desideri intesi come progettualità e

resistenza all’omologazione?

Uno degli equivoci fondamentalisu cui si regge la mutazione antro-pologica a cui accennavo, è quellodi ridurre il desiderio alla dimen-sione del capriccio. Se il desideriocorrispondesse esclusivamente altogliersi uno sfizio, esso sarebbeuna libertà senza alcuna responsa-

bilità. In ambito psicoanalitico iltermine ‘desiderio’ equivale percontro a ‘vocazione’ e dunque a unimpegno a rispondere alla chiamata.La domanda che ci dobbiamo porreè se siamo riusciti a rendere gene-rativo il nostro desiderio, a farlofruttificare, se abbiamo trasformatola nostra vita in qualcosa di pro-duttivo o se essa sia invece rimastasterile. La nostra epoca recide questorapporto fra desiderio e responsa-bilità, riducendo il desiderio a merocapriccio. Per contrastare questarestrizione, bisogna riabilitare l’ideadel desiderio inteso non tanto cometrasgressione della legge – il bam-bino con le labbra sporche di mar-mellata che viene rimproverato daigenitori – quanto come vocazioneche ci abita, che ha radici lontanenell’infanzia e rispetto alla qualesiamo chiamati a dare una risposta.Rispondere significa rischiare. Nelrapporto di paternità o in una rela-zione amorosa si è inevitabilmenteesposti a dei rischi, tra cui il falli-mento, i quali possono tuttaviacondurre a una vita autentica e fe-lice.

In un’epoca dominata dalla logica

utilitaristica e dal godimento imme-

diato, come agire per riappropriarsi

del desiderio e del senso di respon-

sabilità?

La crisi che sta attraversando l’Oc-cidente e che coinvolge tanto levite individuali quanto quella col-lettiva, è un sintomo fondamentaledella situazione disagevole nellaquale ci troviamo. Le possibili so-luzioni per poter uscire da questaimpasse si situano su due livelli.Sul piano indivuale entra in giocola psicoanalisi: l’esperienza analiticaprova infatti ad ascoltare, decifraree rispondere alla chiamata del de-siderio. Chi si rivolge all’analista lofa perché soffre. La sofferenza men-tale, che si manifesta in diverseforme, ha sempre un comune de-nominatore: si tratta di vite chenon seguono ciò che desiderano edi conseguenza vengono investitedalla malattia. La psicoanalisi di-venta allora per il soggetto una pos-sibilità di rendere più coerente lapropria esistenza con il proprio de-siderio, malgrado questa scelta com-porti tutta una serie di complica-zioni quali il non essere più consi-derato amabile agli occhi degli altri,il pagare un prezzo in termini disolitudine, l’essere in qualche misuradisadattati e via discorrendo. Ep-pure, più una vita collima con ilproprio desiderio inconscio, piùessa è ricca e generativa. È dunquenecessario concepire un nuovo egoi-smo psichico in senso positivo:

l’egoista non è chi persegue condeterminazione e rigore il propriodesiderio, ma è semmai chi vuoleche l’altro realizzi il proprio desi-derio. Sul versante della vita col-lettiva, proporrei invece, a titolo diesempio, di leggere il rapporto tralavoro e finanza come una relazionefra desiderio e godimento. La grandecrisi che ci ha travolti è dipesa dalfatto che la centralità del lavoro èstata sommersa dal potere sovrain-dividuale dei giochi finanziari. Re-stituire allora centralità al desiderioin termini collettivi significherebberestituire centralità all’impresa, alprogetto, alla realizzazione, e nonalla dimensione anonima, spettralee autoritaria della finanza che decidedei nostri destini.

Insieme ai grandi ideali che hanno

orientato la vita individuale e col-

lettiva in passato, è tramontata anche

la figura del padre. Quali ne sono le

principali cause e che cosa la sosti-

tuisce?

La perdita di autorità simbolica delpadre apre il Novecento con l’an-nuncio nietzschiano della morte diDio e ha il suo epilogo nel ’68 e nel’77. In altre parole significa chenessun padre ci potrà salvare, chela parola del pater familias, del pa-dre-padrone, del padre-papa nonpotrà metterci in salvo. Il ’68 e il’77 sancirono la contestazione deifigli contro i padri e la demolizione,a mio avviso giusta, della funzionedisciplinare, autoritaria e repressivadella paternità. Tuttavia, l’errore diquei movimenti fu quello di averimmaginato la possibilità di unavita che si autogeneri, che non passipiù attraverso il legame di debitocon il padre. Privarsi del padre nonè possibile, a meno di non servir-sene, come insegna Lacan: solo sesi accetta il debito con il padre,solo se ci si riconosce come figliopur in una relazione di conflittocon la paternità, sarà possibile se-pararsi dal padre. Oggi viviamouna nuova fase nella quale non hapiù senso pensare di restaurare lafunzione normativa, repressiva edisciplinare del pater familias. Sitratta allora di ripensare la paternitàin un altro modo che io definisco“dai piedi”, ovvero non a partiredall’autorità della tradizione, daltimore che suscitava la parola pa-terna, bensì dalla testimonianzadel padre. Il compito di un padre ècertamente ancora oggi quello diintrodurre la vita dei propri figli altrauma della legge del limite, maanche quello di donare al figliol’esperienza stessa del desiderio:un padre deve farsi testimone dicome si possa stare al mondo pur

non avendo l’ultima parola sul sensodella vita – come pretendeva il paterfamilias – e dando un significatoumano alla nostra presenza nelmondo. Credo che i giovani di oggisentano la necessità di incontrarequesta testimonianza, non neces-sariamente in famiglia, giacché ilpadre non è riducibile a una meraquestione biologica. C’è infatti pa-ternità laddove c’è riconoscimentosimbolico del valore della vita del-l’altro, effetto di formazione: adesempio nel rapporto di un ragazzocon gli insegnanti o con l’allenatoredi pugilato come racconta in modoesemplare il film di Clint Eastwood“Million Dollar Baby”.

La nostra epoca ha tuttavia prodotto

un effetto, a suo avviso gravissimo,

di simmetrizzazione generazionale.

Come ripristinare la differenza?

Per poter diventare adulti, bisognaessere dei figli. I figli hanno bisognodei genitori per diventare adulti.Ma per essere genitori, non si devepiù essere figli. Il maggiore pro-blema oggi è che molti genitorinon smettono di essere figli, creandouna confusione di funzioni che èsotto gli occhi di tutti: hanno glistessi gusti, parlano allo stessomodo, ascoltano la stessa musica,giocano con gli stessi giochi e ve-stono nella stessa maniera dei lorofigli. Ciò non significa non potersvolgere delle attività insieme, anzi,ma un tempo esse servivano a man-tenere viva questa differenza. I figlihanno un grande bisogno di adultiai quali appoggiarsi, ma spesso siritrovano ad avere genitori più an-gosciati di loro. La prima inquie-tudine è legata alla necessità deigenitori di sentirsi amati dai lorofigli e, perché ciò avvenga, è indi-spensabile dire sempre “Sì!”. In que-sto modo si elimina il conflitto che,se riconosciuto e assunto critica-mente, può diventare motore ditrasformazione e di crescita. L’altraloro angoscia riguarda il principiodi prestazione: l’insuccesso dei pro-pri figli viene tollerato sempre meno.Togliendo loro la possibilità del-l’esperienza del fallimento, li sipriva dell’incontro fondamentalecon la verità del proprio desiderio.Che cosa impedisce ai genitori di essere

adulti e di comportarsi come tali?

Credo vi siano diverse retoriche cheostacolano il bisogno di far esistereancora degli adulti. Fra queste figuraquella che io chiamo del dialogo,la quale porta a deresponsabilizzaregli adulti rispetto al loro ruolo.Nella carta stampata e nei talk-show domina oggi il culto della ne-cessità del dialogo tra le generazioni.Chiunque abbia un figlio adole-

INTERVISTA A colloquio con lo psicoanalista lacaniano e saggista di successo Massimo Recalcati

Evaporazione del padre,testimonianze del desiderio

scente, sa che è impossibile parlargli, comeben racconta il romanzo “Pastorale americana”di Philip Roth. In esso si coglie con una forzaunica l’impossibilità, a volte, di un autenticodialogo fra genitori e figli nell’adolescenza –aspetto tipico per quell’età. È allora più si-gnificativo che un genitore colga l’impossibilitàdel dialogo e che in essa sappia tenere la suaposizione, anche perché insistere a parlarsisignifica pure che alla fine nessuno prendeuna decisione. Finché i figli sono in un pro-cesso di formazione, tra i compiti degli adultivi è anche quello di mettere dei punti, dimettere un limite, anche al dialogo. Un’altraretorica che impedisce agli adulti di esseretali è quella relativa alla regola, ovvero l’ideache in una famiglia bastino delle regole certe,chiare e ben definite perché tutto funzionicome in un campo di concentramento. Questaretorica è ad esempio incarnata televisiva-mente dal reality “SOS tata”. In una famiglianella quale regna un totale disordine, arrivauna tata con un suo decalogo seguendo ilquale la casa si trasforma miracolosamentein un giardino alla francese tutto ordinato.Questo è soltanto un mito del nostro tempo,perché la regola senza desiderio non metteordine, al massimo può opprimere la vita. Ègiusto che in una famiglia vi siano delleregole – poche – ma è soprattutto indispen-sabile che vi circoli il lievito del desiderio,teso a prevenire il rischio di smarrimento ederive patologiche. A salvare la vita dei nostrifigli è la testimonianza di altre vite capaci disoddisfazione. Una vita adulta ricca e gene-rativa contagia quella dei figli: per poter farnascere in loro delle passioni, bisogna cheessi siano circondati da adulti appassionati.

Di che cosa è fatta la passione che anima il

suo lavoro e che si coglie anche tra le righe

dei suoi libri?

Per fare lo psicoanalista bisogna essere ap-passionati delle cause perse e soprattutto bi-sogna esserlo stato. Tutti noi abbiamo unaprima vocazione che abbiamo fallito. La miaera quella di diventare un poeta. Su quellasconfitta è germogliata la passione per l’attivitàche svolgo attualmente. Come diceva unpoeta, dai diamanti non nasce niente, è sem-mai dal letame che nascono i fiori. Non vi ènulla di più emozionante nel mio lavoro chevedere rispuntare il germoglio del desiderioin una causa persa.

Tirando le somme, quali sono gli aspetti co-

struttivi sullo sfondo della evaporazione del

padre?

La pars construens può essere sintetizzatain tre termini della psicoanalisi: atto, fede epromessa. Il primo racconta che la paternitàsi fonda su di un evento simbolico, ovveroquello del riconoscimento della vita altrui.Si tratta di un atto di adozione che trascendela paternità biologica – come nel caso sopra-citato del film di Clint Eastwood. La seconda parola si riferisce alla necessitàdi credere nella visione, nel sogno dell’altro:avere fede nel desiderio altrui, non nel suocapriccio. È questo l’aspetto che dà maggiorevalore ai figli e, in senso lato, alle nuove ge-nerazioni. In quanto all’ultima voce, proporreiun esempio personale. Quando a 18 annidecisi di abbandonare gli studi per dedicarmialla politica, mia madre vi si oppose ferma-mente, facendomi però una promessa: seavessi rinunciato al godimento immediato,accettando la legge del limite, e avessi sceltola via della cultura, mi si sarebbero apertinuovi mondi e avrei avuto un tipo di godi-mento più alto e più vivo. Così è stato perchéa posteriori quella promessa si è realizzata.

In alto: Bond of union di Cornelius Escher. Inbasso: lo psicanalista Massimo Recalcati.

La regolae il lievitodel desiderio