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1 “G loria a Dio nell’al- to dei Cieli e pace in terra agli uomini che Dio ama”: forse mai come in questo momento è stato attuale il messaggio che ha accompagnato la nascita di Gesù. Come un’eco esso risuona quoti- dianamente nelle parole di Papa Francesco, che sottolinea come la pace vera non nasca da accordi politici o internazionali, che tante volte si vedono fallire o comunque non funzionare, a causa della spre- giudicatezza di chi sulle guerre specula e guadagna. La vera pace, sottolinea continuamente il Papa, è quella che ognuno di noi comin- cia a costruire quando si rapporta fraternamente nell’ambiente in cui vive, a cominciare dalla famiglia, e negli incontri quotidiani che la vita di ogni giorno ci propone. Incontriamo spesso persone stan- che, sfiduciate, deluse, bisognose di occasioni di speranza. Tutti noi forse, per vari motivi, siamo sog- getti alla tentazione dello scorag- giamento, ma dobbiamo far nostro l’invito di Papa Francesco: “Non fatevi derubare della speranza”. C’è chi spera in una vincita buttan- dosi nel pericoloso vortice del gio- co, chi cerca risposte da maghi o indovini o si illude consultando gli oroscopi, chi, infine, si lascia ten- tare da affari loschi, giustificandosi che, tanto, “fanno tutti così”. È chiaro che, per un cristiano, non è così che va intesa la speranza. Non siamo degli ingenui, abbia- mo occhi per vedere e orecchi per sentire. Ci preoccupano le notizie che ci giungono da fronti di guerra in atto o possibili, condividiamo le preoccupazioni di chi perde il lavo- ro, di chi si trova, suo malgrado, in mano a usurai e profittatori, ma la Parola di Dio ci suggerisce un modo diverso di guardare la realtà. Sappiamo infatti che è Dio il pa- drone della storia, anche se ha dato all’uomo la libertà di attuarla giorno per giorno. L’uomo può usare male questo ORGANO DI INFORMAZIONE E COLLEGAMENTO DELLA S. VINCENZO VERONESE Anno XVIII - Dicembre 2013 - Poste Italiane S.p.A. - Spedizione in Abbonamento Postale - D.L. 353/2003 (Conv. in L. 27/02/2004 n° 46) art. 1, comma 2, DCB Verona n. 138 Natale 2013 Adorazione dei pastori, affresco di Vincenzo Tamagni e Giovanni Brunotti da Spoleto (1516), chiesa di Santa Maria Assunta (Arrone, provincia di Terni). Segue a pagina 3

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“Gloria a Dio nell’al-to dei Cieli e pace in terra agli uomini

che Dio ama”: forse mai come in questo momento è stato attuale il messaggio che ha accompagnato la nascita di Gesù.Come un’eco esso risuona quoti-dianamente nelle parole di Papa

Francesco, che sottolinea come la pace vera non nasca da accordi politici o internazionali, che tante volte si vedono fallire o comunque non funzionare, a causa della spre-giudicatezza di chi sulle guerre specula e guadagna. La vera pace, sottolinea continuamente il Papa, è quella che ognuno di noi comin-

cia a costruire quando si rapporta fraternamente nell’ambiente in cui vive, a cominciare dalla famiglia, e negli incontri quotidiani che la vita di ogni giorno ci propone.Incontriamo spesso persone stan-che, sfiduciate, deluse, bisognose di occasioni di speranza. Tutti noi forse, per vari motivi, siamo sog-getti alla tentazione dello scorag-giamento, ma dobbiamo far nostro l’invito di Papa Francesco: “Non fatevi derubare della speranza”.C’è chi spera in una vincita buttan-dosi nel pericoloso vortice del gio-co, chi cerca risposte da maghi o indovini o si illude consultando gli oroscopi, chi, infine, si lascia ten-tare da affari loschi, giustificandosi che, tanto, “fanno tutti così”.È chiaro che, per un cristiano, non è così che va intesa la speranza.Non siamo degli ingenui, abbia-mo occhi per vedere e orecchi per sentire. Ci preoccupano le notizie che ci giungono da fronti di guerra in atto o possibili, condividiamo le preoccupazioni di chi perde il lavo-ro, di chi si trova, suo malgrado, in mano a usurai e profittatori, ma la Parola di Dio ci suggerisce un modo diverso di guardare la realtà.Sappiamo infatti che è Dio il pa-drone della storia, anche se ha dato all’uomo la libertà di attuarla giorno per giorno.L’uomo può usare male questo

OrganO di infOrmaziOne e COllegamentO della S. VinCenzO VerOneSe

Anno XVIII - Dicembre 2013 - Poste Italiane S.p.A. - Spedizione in Abbonamento Postale - D.L. 353/2003(Conv. in L. 27/02/2004 n° 46) art. 1, comma 2, DCB Verona

n.138

Natale 2013

Adorazione dei pastori, affresco di Vincenzo Tamagni e Giovanni Brunotti da Spoleto (1516), chiesa di Santa Maria Assunta (Arrone, provincia di Terni). Segue a pagina 3

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Tra le tante iniziative realiz-zate durante quest’anno in tutta Italia, anche Verona

ha voluto ricordare in modo signi-ficativo il bicentenario della nasci-ta del Fondatore della Società di San Vincenzo de Paoli.A tale scopo il Consiglio Centrale ha promosso due eventi:

2 marzo – Convegno dal titolo “Federico Ozanam studente e testimone da 200 anni” – relato-re il professore Emilio Butturini, già preside della Facoltà di Scienze della Formazione dell’Università di Verona, studioso e profondo conoscitore della figura e del pen-siero del Beato Ozanam.L’incontro, che si è tenuto nell’Au-la Magna dell’Istituto alle Stimma-te, introdotto dalla Presidente del C.C. Adriana Cavaggioni, ha visto la presenza di circa 250 persone, di cui un centinaio di studenti delle superiori. Ha destato mol-to interesse la relazione del prof. Butturini, ma pure, soprattutto fra i ragazzi, la testimonianza di due giovani Vincenziani, Maria Ber-tiato, delegata nazionale, e Nico-la Pesando. Interventi, domande, risposte hanno concluso una mat-tinata interessante, vivace, ricca di contenuti. Grazie Federico.

15-22 ottobre – Mostra d’arte “Dare una mano colora la vita” in sala Birolli.In questo caso si è organizzata una mostra d’arte a tema, per ri-chiamare l’attenzione sul mondo della solidarietà e in particolare sull’opera della San Vincenzo.Il Consiglio Centrale ha invitato i membri dell’Accademia d’Arte e Artigianato Artistico a rappresen-tare, attraverso le diverse espres-sioni della fantasia di ciascuno, la propria attenzione nei confronti di chi è meno fortunato. L’Acca-demia, Associazione culturale fon-data a Verona nel 1999, riunisce artisti esponenti di molteplici real-

tà creative quali pittura, scultura, fotografia e arte digitale, ma pure ebanisteria, liuteria, ceramica, fer-ro battuto...Molte e significative le opere pre-sentate dai vari artisti, che hanno saputo interpretare con grande sensibilità il tema proposto, dando al visitatore emozioni profonde.Hanno presenziato alla Mostra, posta sotto il patrocinato della 1° Circoscrizione del Comune di Ve-rona, personalità civili e religiose, S.E. il Vescovo Monsignor Giu-seppe Zenti, la Presidente Nazio-nale della San Vincenzo, Claudia Nodari, la Presidente del C.C. di Verona, Adriana Cavaggioni, la Presidente dell’Accademia, Ema-nuela Terragnoli.Nell’ambito della manifestazione, è stato proposto il progetto “Ago e filo per unire il mondo”, (scuola di sartoria) e sono stati esposti capi di abbigliamento confezionati con abilità, precisione e buon gusto dalle allieve. Molti i visitatori che nella settimana si sono avvicendati, esprimendo giudizi lusinghieri sul-l’iniziativa e sulle opere presentate. Molti hanno potuto così venire a conoscenza della San Vincenzo, della sua opera e della straordinaria figura del suo fondatore.Grazie Federico.

F.T.

Grazie Federico

Probabilmente nemmeno An- na, quando molti anni fa av-viò nel piccolo laboratorio di

sartoria, uno dei vari progetti dalla San Vincenzo, immaginava quanto la sua idea fosse importante e de-stinata ad avere i felici risultati at-tuali.Anna è una brava sarta che ha pen-sato di mettere la sua esperienza a

favore delle donne straniere che si rivolgono per aiuto alla San Vin-cenzo.Si trattava di insegnare l’arte del cucito soprattutto per permettere a queste persone di provvedere di-rettamente alle piccole riparazioni di sartoria all’interno della propria famiglia o anche, per le più por-tate, di imparare a confezionare

capi di vestiario, ma, si pensava, sempre ad uso esclusivamente fa-miliare. Non si osava certamente sognare di più. In realtà da quella piccola scuola sono uscite persone in grado di mettere a frutto quan-to imparato come vero e proprio lavoro di sarta.

Ago e filo per unire il mondo

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grandissimo dono, mettendo al primo posto l’interesse personale, incurante che da questa sua scelta nascano le tragiche conseguenze che vediamo riguardare spesso l’intera umanità e lo stesso mera-viglioso equilibrio dell’ambiente in cui viviamo. Ma sappiamo che “Dio scrive drit-to anche sulle nostre righe stor-te”. Non dobbiamo cercare gesti clamorosi: non tocca a noi, gente comune, affrontare i grossi pro-blemi del mondo. A noi il Signore

chiede di “amare il nostro pros-simo” e questo prossimo sono le nostre famiglie prima di tutto, i nostri amici e conoscenti, i nostri vicini di casa e tutte le persone che Dio ci fa incontrare sulle strade della nostra vita di tutti i giorni. Nessun incontro avviene per caso: ogni persona che Dio ci fa trovare nella nostra quotidianità è un Suo dono, una possibilità per noi di se-minare un po’ di bontà.Rileggiamo insieme, a questo punto, le parole di Paolo (Ef. 4, 29-32): “Nessuna parola cattiva esca più dalla vostra bocca; ma piuttosto parole buone che possa-no servire per la necessaria edifi-

cazione, giovando a quelli che le ascoltano. E non vogliate rattri-stare lo Spirito Santo di Dio, col quale foste segnati per il giorno della redenzione. Scompaia da voi ogni asprezza, sdegno, ira, clamo-re e maldicenza con ogni sorta di malignità. Siate invece benevoli gli uni verso gli altri, misericordiosi, perdonandovi a vicenda come Dio ha perdonato a voi in Cristo”.I risultati lasciamoli nelle mani di Dio. Ecco perché possiamo augu-rarci Buon Natale, sicuri che il Si-gnore è sempre vicino a noi e, da Padre, quale Egli è, vuole soltanto il nostro bene.

C.B.

Una casa può essere pove-ra, ma non è mai squal-lida, se si tratta della

povertà dignitosa di una famiglia che, sia pur con qualche sacrificio, riesce a far fronte alle sue neces-sità fondamentali. Purtroppo in questo momento di crisi, anche famiglie che fino a qualche tempo fa riuscivano a farcela, oggi sono sprofondate in uno stato di po-vertà assoluta, quasi sempre per problemi di disoccupazione; sono famiglie che forse abitano vicino a noi e nascondono una situazione che vivono con estremo disagio.Queste persone non chiedono niente, ma sono quelle che sempre più spesso sentiamo frequentare le mense destinate ai poveri, quelle che risparmiano, per poter man-giare, sulle medicine, sulle cure preventive della salute, su quelle odontoiatriche, sul riscaldamento.Addirittura abbiamo letto che ci sono bambini che vanno a scuola con due merende, una per l’inter-vallo e una per pranzo, perché i genitori non possono sostenere la spesa della mensa scolastica.Pensiamo al profondo senso di fal-

limento di un papà che deve assi-stere impotente al venir meno di quel benessere che col suo lavoro poteva garantire alla famiglia fino a qualche settimana prima, al suo inutile vagare alla ricerca di un la-voro che difficilmente oggi potrà trovare; pensiamo alle mamme che si industriano come possono per far quadrare il misero bilancio della famiglia. Come può essere sereno il clima che si vive in situazioni del genere? E che dire se guardiamo a famiglie di anziani o dove ci sono malati bisognosi di cure costose? Non possiamo rimanere tranquil-lamente seduti in poltrona a guar-dare la televisione, limitandoci alla commozione quando anch’essa ci presenta situazioni di miseria e di-sperazione. La San Vincenzo pro-pone ogni anno l’iniziativa “Inver-no Sereno”: contribuiamo con la nostra offerta a rendere meno dif-ficile la vita di tanta povera gente.

Per le vostre offerte:Soc. di San Vincenzo de PaoliConsiglio Centrale Verona, Piazza Duomo, 6c.c. 15613375

Inverno sereno Abbiamo letto:

“Dobbiamo riscoprire il valore dell’elemosina, dell’intervento immediato, che non pretende di risolvere tutto, ma fa quello che è possibile al momento.Può essere un gesto ambiguo. Può incoraggiare la pigrizia e la menzogna in cui lo riceve, mentre in chi lo compie può nascere l’idea di sentirsi a po-sto, senza andare alla radice del male.Bisogna recuperare il senso dell’elemosina, che è prima di tutto un gesto di carità im-mediata, che non rimanda la risposta a un bisogno ai tem-pi lunghi che occorrono per mettere in modo meccanismi più complicati e risolutivi.È un gesto profetico ed edu-cativo: proclama che nessuna civiltà terrena può risolvere tutti i problemi: solo Dio, con la venuta finale del Suo Regno, tergerà ogni lacrima e farà cessare ogni lutto, pianto e dolore.La carità vale per se stessa, non soltanto e soprattutto per i frutti che produce”.

Segue dalla prima

Buon Natale

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Questo numero di Voci Vincenziane, che esce in prossimità delle Fe-

ste Natalizie (tantissimi auguri a tutti), mi offre l’opportunità di riprendere il discorso sulla forma-zione in San Vincenzo che abbia-mo affrontato in una recente riu-nione prima della pausa estiva.In quella sede ebbi modo di spie-gare a grandi linee il progetto formativo nazionale che si caratte-rizza come formazione “di prossi-mità”, cioè il più vicino possibile alle esigenze formative dei singoli vincenziani e delle Conferenze al fine di “accompagnare e stimo-lare la formazione personale dei vincenziani, offrendo strumenti e sussidi adeguati, promuovendo momenti di spiritualità, approfon-dimenti sul carisma, vocazione e spiritualità vincenziani, nonché la lettura e la conoscenza del pensie-ro e delle opere dei Fondatori in particolare quelli del beato Fede-rico Ozanam”*.Senza la consapevolezza delle pro-prie radici, la San Vincenzo non ha futuro, perché rischia di perdere la propria identità e così l’essenza del suo esistere.Il monaco benedettino tedesco Anselm Grùn annota “chi scopre le proprie radici e ci riflette su, entra in contatto con la propria identità, trova il proprio centro. Sarà radicato così saldamente nel-la propria storia da poter resistere senza troppi danni alla tempesta della vita... (le radici) gli donano la linfa vitale necessaria per riuscire nella vita e superarne le sfide”.Quindi formazione anche per cre-scere nella consapevolezza delle proprie radici e della vocazione vincenziana, per rafforzare il sen-so di appartenenza alla Società e consolidare lo spirito di apparte-nenza.Per quanto riguarda le modali-tà operative avremo occasione di parlarne concretamente anche in termini organizzativi prima del-l’avvio del programma che inte-

resserà le nostre Conferenze.In questa occasione mi pare prio-ritario sottolineare l’importanza dell’attività di formazione poiché non pochi vincenziani pensano che il tempo dedicato alla forma-zione sia sottratto alla normale at-tività, al rapporto con i fratelli nel bisogno.“Per il servizio che le persone svolgono per i sofferenti, occorre innanzitutto la competenza pro-fessionale: i soccorritori devono essere formati in modo da saper fare la cosa giusta nel modo giu-sto, assumendo poi l’impegno del proseguimento della cura. La com-petenza professionale è una prima fondamentale necessità, ma da sola non basta. Si tratta, infatti, di es-sere umani, e gli esseri umani ne-cessitano sempre di qualcosa in più di una cura solo tecnicamente cor-retta. Hanno bisogno di umanità. Hanno bisogno dell’attenzione del cuore. Perciò, oltre alla prepara-zione professionale, a tali operatori è necessaria anche, e soprattutto, la formazione del cuore: occorre condurli a quell’incontro con Dio in Cristo che susciti in loro l’amore e apra il loro animo all’altro, così che per loro l’amore del prossimo non sia più un comandamento im-posto per così dire dall’esterno, ma una conseguenza derivante dal-la loro fede che diventa operante nell’amore” (Cfr. Gal 5,6). (Deus Caritas Est, 31a).*Siamo nella società della cono-scenza e quindi non è più possibile pensare che possa bastare il sem-plice ripetere quello che si è fatto. È necessario saper conoscere e ca-pire sempre verità nuove: siamo in cammino continuo. “L’unica cosa che non cambierà mai è il cambia-mento” (Eraclito).Talvolta o forse spesso siamo dif-fidenti del nuovo, del cambia-

mento; siamo restii a cambiare e preferiamo andare avanti col solito trantran salvo poi criticare in con-tinuazione lo status quo.Vero senso della formazione è il conoscere continuo. Formazione permanente “life long learning”, così si pronuncia un famoso docu-mento della Commissione Euro-pea dell’autunno 2000 – pare tra-scorso un secolo – “... il buon esito della transizione ad una economia ed una società basate sulla cono-scenza deve essere accompagnato da un orientamento verso l’istru-zione e la formazione permanente (lungo tutto il corso della vita) poi-ché il contesto in cui ci troviamo ad operare e vivere è caratterizzato dal cambiamento continuo, im-prevedibilità ed informalità (tanti aspetti, relazioni e cose non sono come nel passato anche recente).La formazione prepara il cambia-mento, è stimolo per nuove rispo-ste.Il cambiamento diventa una sfi-da per imparare ad apprendere e quindi è un’occasione di crescita personale: partire da se stessi per rafforzare la propria identità, rive-dere il nostro passato ed attrezzarci per le nuove sfide che la quotidia-nità ci presenta. Ma è altrettanto chiaro che se non siamo motivati e non siamo consapevoli della ne-cessità della formazione non rag-giungiamo alcun obiettivo: tutto parte dalla volontà, è l’uomo che decide e vuole realizzare ciò che ritiene importante; il rinnovamen-to parte dalla volontà.In questa ottica la formazione è un processo dinamico che coin-volge la persona e il gruppo-con-ferenza in un percorso di crescita umana, culturale e spirituale, nella partecipazione responsabile alla vita ecclesiale e sociale.“L’apostolato può raggiungere

Brevi riflessioni sul concetto di Formazione

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Oggi il progetto si è arricchito an-che della creazione di veri e propri modelli, alcuni dei quali abbiamo visto esposti recentemente, in oc-casione di una delle iniziative vol-te a celebrare il bicentenario della nascita di Federico Ozanam.Ma perché “Ago e filo per unire il mondo?” Il primo piccolo gruppo delle allieve di Anna era formato da donne appartenenti ad etnie diverse e fin dall’inizio la neces-sità di capirsi rese indispensabile la conoscenza delle prime parole italiane.Dal limitato vocabolario legato al mondo dell’ago e del filo, si pensò

ben presto a usare la lingua italia-na, divenuta lingua comune, per scambiarsi qualche facile frase per conoscersi meglio.Il piccolo ambiente dove queste donne si incontravano venne ben presto vivacizzato da un simpa-tico scambio di notizie, che di-ventavano conoscenze di diverse esperienze di vita e quindi nascita di amicizia e simpatia reciproche.Il primo gruppo ha lasciato po-sto ai molti che si sono succeduti negli anni e, per tutte le donne che ne hanno fatto l’esperienza, è diventato non solo mezzo per imparare un mestiere, ma soprat-tutto ha aperto a delle donne che avrebbero trascorso le loro gior-nate chiuse solo nell’ambiente domestico, la possibilità di impa-rare quella nostra lingua alla qua-

le potevano accedere gli uomini, impegnati nel lavoro fuori casa, e soprattutto i bambini che, fre-quentando la nostra scuola, erano spesso gli unici a saper fare da tra-mite nei rapporti fra le loro mam-me e l’ambiente esterno.Probabilmente ora ci sono famiglie provenienti da diversi paesi stra-nieri dove, grazie anche al sogno realizzato di Anna, si parla italia-no anche nell’ambiente domestico e la nostra lingua sta diventando un mezzo importante per unire questo nostro mondo così spesso incapace di trovare parole di con-divisione negli ambienti della poli-tica e della grande economia. È un piccolo passo, che apre però prospettive di grande speranza per il futuro.

C.B.

piena efficacia soltanto mediante una multiforme e integrale for-mazione; la quale è richiesta non soltanto dal continuo progresso spirituale e dottrinale del laico, ma anche dalle varie circostanze di cose, di persone, di compiti a cui la loro attività deve adattarsi... questa formazione che dev’essere sempre ulteriormente perfezionata, per la crescente maturazione della per-sona umana, per l’evolversi dei problemi, richiede una conoscen-za sempre più approfondita e una azione sempre più idonea... la for-mazione deve essere perfezionata lungo tutta la vita a misura che lo richiedono i nuovi compiti che si assumono”. (Cfr. Apostolicam Actuositatem, decreto del Conci-lio Vaticano II sull’apostolato dei laici, par. 28,29,30).Ulteriori sottolineature circa l’im-portanza e la necessità della for-mazione si trovano nella Christi-

fidelis Laici di Giovanni Paolo II, “La formazione dei fedeli laici ha come obiettivo fondamentale la scoperta sempre più chiara della propria vocazione e la disponi-bilità sempre più grande a viver-la nel compimento della propria missione. Dio chiama me e manda me come operaio nella sua vigna; chiama me e manda me a lavorare per l’avvento del suo regno nella storia” (n. 58).Numerosi sono i riferimenti alla formazione contenuti nello Statu-to della San Vincenzo: art. 6.2 “il nuovo socio dovrà effettuare un periodo di formazione...; art. 8.7 “i soci per lo svolgimento della propria attività sono tenuti a se-guire corsi di formazione e di ag-giornamento”; art. 15 “Le confe-renze sono il centro dell’azione e della formazione vincenziana. (Da ricordare l’importante Convegno Nazionale di Rocca di Papa otto-

bre 2004); art. 27.2,d – compiti dell’associazione consiglio centra-le –” cura la formazione dei vin-cenziani, mediante corsi organiz-zati in proprio o promossi da altri organismi pubblici o privati...”.Anche il nostro Regolamento al-l’art. 3.12 afferma “È essenziale che la Società non cessi di incorag-giare la formazione dei suoi mem-bri e dei suoi responsabili, per svi-luppare la conoscenza della Socie-tà e la spiritualità, per accrescere la sensibilità, la qualità e l’efficacia del loro servizio ai poveri...”.Mi pare che in conclusione si pos-sa intendere formazione ciò che Simone Viel definiva la cultura in generale “L’allenamento della ca-pacità di porre attenzione” e ag-giungo a se stessi e agli altri.

Verona, 31 ottobre 2013

Umberto Corà

* Queste citazioni sono contenute nel documento preparatorio il programma formativo nazionale steso dal gruppo di lavoro nazioanle.

Brevi riflessioni sul concetto di Formazione

Segue da pagina 2

Ago e filo per cambiare il mondo

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Come avviene ormai da molti anni nella prima do-menica di febbraio si cele-

bra la Giornata per la Vita.Ricordiamo certamente tutti che questa è nata come risposta al-l’approvazione della legge che rendeva legale l’aborto. Contem-poraneamente nascevano i Centri di Aiuto alla Vita, per tutelare le mamme in difficoltà e permettere loro di far nascere in sicurezza la loro creatura, seguendole anche successivamente, per aiutarle a far crescere il loro bimbo in una si-tuazione di serenità.

Tante vite sono state così salvate, ma purtroppo la piaga dell’aborto e quella dell’abbandono, talvolta assai drammatico, della creatura, sono ancora tragicamente attuali, ma oggi, a questa forma di atten-tato alla vita, si aggiungono altre terribili forme di violenza, di cui i mass-media si danno quasi quo-tidianamente notizie: violenza contro le donne, quasi sempre nell’ambito familiare, violenza, spesso gratuita, sui più deboli, come gli anziani aggrediti in casa a scopo di rapina, violenza nello sport, violenza nel non rispetto

della dignità delle persone come il gravissimo verificarsi di episodi di pedofilia, l’induzione alla prosti-tuzione, il lavoro nero...La nostra sta diventando sempre più una cultura di morte – occorre educare i giovani al rispetto della vita, non tanto con le parole, ma con la testimonianza di una vita cristiana.Il nostro Dio è il Dio dei vivi, come recita il Salmo, è Padre: quello della vita è il dono fondamentale che da Lui abbiamo ricevuto per poterlo glorificare e godere eter-namente del Suo amore.

2 febbraio 2014

XXXVI giornata per la vita

Una domanda fortemente coinvolgente, che indu-ce riflessioni non facili

da esternare, perché la privazione della libertà comporta l’allontana-mento forzato dalla famiglia, dal coniuge, dai figli in particolare, ma anche dalla propria rete di re-lazioni, dagli amici, dalle persone che si amano.Ma la famiglia può essere addirit-tura assente, o può aver pesato ne-gativamente nello sviluppo della personalità e nelle scelte devianti. Spesso si preferisce non parlarne per non soffrire.I contatti che le persone detenute possono avere con i congiunti sono rigidamente regolamentati e ciò ha un’incidenza pesantissima su tutti. Col passare del tempo crescono le

ansie, i sensi di colpa, mutano le situazioni e, anche quando le fami-glie “tengono”, i ricongiungimen-ti non sono facili...

“Col passare degli anni anche il carcere è diventato se non una fa-miglia, una casa, ho imparato a ve-dere il mondo perfino dalla parte dei carcerieri e, a essere sincero, ho l’impressione di stare in una specie di collegio, dove ci sono istituto-ri buoni e istitutori meno buoni, dove ho potuto prendere la licen-za di scuola media, dove trovo persone con cui stringere una vera amicizia, che possono addirittura farmi da padre, quello che non ho mai avuto. In fin dei conti buona parte della mia vita l’ho passata in

collegio, dall’età di tre anni fino ai quattordici, quando ho comincia-to a perdermi per le strade del mio quartiere, in cerca di una fortuna che non è mai arrivata. Mia madre non poteva stare dietro a me, do-veva pensare a tirare avanti la fa-miglia, diceva che ero ‘mbecciuse [irrequieto, difficile], che gli stavo sempre fra i piedi, che m’impiccia-vo di cose che non mi riguarda-vano. Lei e mio padre venivano a prendermi una volta alla settima-na, il sabato, e mi riportavano in collegio la domenica sera. Quelli erano i miei felici week-end”.

Gianluca Migliaccio1° premioI miei weekend con mammae papà

Per la sesta edizione del Premio “Carlo Castelli” per la solidarietà, riservato ai detenuti delle carceri italiane, quest’anno è stata prescelta la Casa Circondariale di Mantova per ospitare

la cerimonia di premiazione del concorso, che si è svolta venerdì 11 ottobre.

Tu ce l’hai una famiglia?

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Il presepio costituisce una spe-cie di sacramentale che cerca di rendere visibile ciò che è

spirituale, mentre tenta di spiri-tualizzare la stessa materia, quasi a renderla invisibile. Si tratta, cioè, di esprimere in termini di bellez-za il mistero di un Dio che si fa uomo.La grotta, i personaggi, il cielo, le albe e i tramonti, le case, i ruscel-li, diventano note di un canto che ci avvolge e ci prende per farci vi-vere un avvenimento storico i cui effetti si prolungano fino ai nostri giorni e ci coinvolgono.In questo senso il Presepio è qualcosa che ci portiamo dentro, come la nostra infanzia... la nostra famiglia... La nostra verità. Resta un’oasi di pace, in contrasto con il correre vertiginoso della vita, dove ritroviamo il gusto delle cose semplici, buone, di cosa nostra.Purtroppo, da decenni si assiste ad una tendenza che vuole staccare il Natale da qualsiasi riferimento a Dio, sostituendolo con l’albero di casa, Papà Noel carico di doni, lanterne colorate, verdi corone

alle porte. Sintomatici i film che negli ultimi anni ci ha propinato Hollywood in occasione del Nata-le: parlano di gioia, di generosità, di pace... di tutto, meno che di Gesù. È come celebrare una festa di compleanno dove tutti sono invitati a partecipare, eccetto il fe-steggiato!Sintomatica, come esempio, la California dove l’Avvento si vive nei negozi affollati e il Natale attorno ad una tavola imbandi-ta, per concludersi tutto il 26 di dicembre con gli alberi e gli addobbi gettati sui marciapie-di nella spazzatura. In contrasto con le Filippine dove, a partire da settembre, si sentono già le ne-nie natalizie, le case si adornano di luci e i presepi si moltiplicano nelle chiese, nelle vetrine e nelle strade, con un crescendo che ha l’apice nella novena di prepara-zione al Natale, per continuare fino ai primi di febbraio, quando si smontano i presepi ma, tanto, resta sempre il Santo Niño in tut-te le chiese e in ogni casa.Ogni Paese ha le sue tradizioni

tipiche e le particolari espressio-ni dei propri valori. La domanda è dove ci vediamo noi? Anche se ci rifacciamo alla tradizione fran-cescana di Greccio, oggi anche in Italia corriamo il rischio di restare in periferia rispetto alla centralità del Natale. Ci pensate ai bambini di un domani che, dopo le zucche vuote di Halloween al posto dei Santi, forse rimarranno solo con il bue e l’asinello sotto l’albero di Natale, accuditi da Papa Noel?!...Vi auguriamo di cuore che, nel corso dell’Anno appena avviato, possiate rimanere aperti a ricevere il DONO di Dio nel Suo Figlio.Sarà Lui a dischiudere un orizzon-te di speranza e di gioia, capace di fugare le tante paure che ci rat-tristano e i timori per un doma-ni incerto. Quel Bambinello nella mangiatoia di Betlemme ci ricorda l’AMORE di Dio e la Sua Provvi-denza che è di molto più grande di qualsiasi crisi politica ed econo-mica.

P. Vito LiparicMissionario Rogazionista RCJ

Che cosa è rimasto del Presepio di Greccio?

9 settembre 2013S. Messa in ricordo del Beato Federico Ozanam.É stata celebrata una Santa Messa presso la Chiesa parrocchiale di S. Maria Regina. Il cele-brante ha ricordato lo stile della carità del Beato Federico invitando tutti a riflettere sui prin-cipi della carità come servizio. La partecipazione è stata sentita anche dal numero elevato di partecipanti.

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Natale e relazione

Sono sacerdoti ormai da più di cinquant’anni. Fin dai primi anni del mio ministero, parlando con la gente, con i giovani soprattutto sentivo dire che la solennità del Santo Natale del Signore Gesù era

ed è diventata una occasione di commercio e ha perduto tutta la sua bel-lezza del mistero. Ma in tutti, forse per emotività si è fatta strada sempre più la cornice del dono. Abbiamo perduto il senso genuino del mistero del Natale: Dio-uomo che nasce tra di noi, tuttavia possiamo dire ancora che non si è spento del tutto il messaggio profondo del Bambino-Dio, anche per il dono del si di una Madre Maria Dio si è fatto dono per noi. Sebbene affievolito ri-mane nella nostra vita questo principio fondamentale del Vangelo: anche noi ora possiamo essere dono per il prossimo.La Chiesa ha perfezionato bene il concetto di Corpo Mistico di Cristo (Rom 12,5-16), nella riflessione teologica conciliare è giunta alla defi-nizione di Chiesa Comunione e Comunità (Con. Vat. II); proseguendo ora nello studio su se stessa, la Chiesa può definirsi mistero di “Rela-zione”. È stato proprio questo Bambino Gesù ad aprire la porta alla relazione con noi uomini, scendendo tra noi, diventando nostro fratello. Da questa breve riflessione scaturisce ora il nostro impegno. Se infatti una comunità è arelazionata, cioè non è in relazione con se stessa, non si può chiamarla comunità, sarà un’altra cosa. Tuttavia nella nostra comu-nità cristiana possiamo scoprire ancora dei segni che sono ancora visibili anche se abbiamo perduto un poco di fede: abbiamo e sentiamo ancora la “gioia di donare”. Ma il segno più grande è il Santo Natale e questa è opera di Dio che ci ha donato suo Figlio Gesù.Nella relazione noi siamo il “tu” Dio è l’“Io”. È stato proprio il suo infini-to amore a bussare al nostro cuo-re. Noi “Tu” possiamo risponde-re, ognuno a modo proprio e con diversa intensità. Nella relazione interpersonale è fondamentale cercare un “Io” che sia buono, perfetto, fratello, santo perché al-lora noi ne saremo arricchiti. Nella misura con la quale saremo aperti a questo dono “Io” realizzeremo un valore intenso e straordinario, in questo incontro natalizio noi cresceremo nel senso di Dio.Ecco, proprio così il Signore nascerà dentro al nostro cuore. Urge allora disporci ad ascoltare, ed apriamoci ad accogliere questo Dono rinnovato: è l’amore di Dio che nasce in noi.In relazione con voi, vi auguro un Santo Natale.

Verona, Santo Natale 2013

Don Elvio Bonetti

la rifleSSiOneBriciole di “Scrittura”

Un bambino avvolto in fasce(Luca 2,12)

“Un bambino”, l’essere umano più struggente ed esaltante per la sua fra-gilità io l’ho visto tra le mani della mia piccola Chiara quando anche lei era una piccola e fragile creatura di quat-tro anni. Fu una visione improvvisa: mi marchiò indelebilmente, la tengo in un angolino speciale del mio cuore.Tanti anni sono passati, e tante vicen-de hanno segnato la vita della nostra piccola-grande famiglia. Ma il ricor-do della mia nipotina che dolcemente culla un bimbo di gesso, piccolo e ad-dormentato come un passero di nido e avvolto nella morbida sciarpa della nonna, mi racconta una storia antica sempre nuova a ogni Natale.Nella mangiatoia di Betlemme, “un Bambino avvolto in fasce” è dolce-mente cullato da una ragazzina dagli occhi lucenti come una notte traspa-rente, limpida di serena gioia. Scena di terra e di cielo narrata da innu-merevoli scrittori e poeti a partire da Luca e Matteo, che innumerevoli pit-tori ci hanno dipinto, che innumere-voli compositori hanno musicato. Nei miei sogni natalizi di nonno, ricor-renti in tutti i mesi del tempo, quella ragazzina è sempre la stessa, è la mia Chiara e allo stesso tempo la dolcissi-ma Mamma del Bambino della man-giatoia avvolto in fasce.Ditemi che il sogno può essere real-tà! Cosa mi resterebbe altrimenti da condividere con altri, con gli amici, con tutti coloro che veramente sanno amare? Ditemi che non c’è più bella realtà di un sogno, quando è fatto di tenerezza. Ditemi che il volto di certe mamme, di qualsiasi età, è sempre vi-vido di luce come le stesse di un cielo splendente. Ditemi che la conoscen-za del mondo-dei mondi, la saggezza della vita-delle vite, la bellezza della bontà-la bontà della bellezza e non solo i miei anni di nonno mi dicono che in quel tiepido angolino del mio cuore riposano mamme e bambini di tutti i popoli, di tutti i tempi.Non ditemi che questi miei pensie-ri, che queste mie parole sono frutto soltanto della mia illusione da sprov-veduto, da credulone, da poeta so-gnatore. Ditemi che anche in voi, in tutti, nascosto nell’angolino pulsante del cuore vive lo stesso mio sogno!Buon Natale

Glauco

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