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in abbinamento a Insieme - dicembre 2008 Terremoto di Messina del 1908

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in abbinamento a Insieme - dicembre 2008

TTeerrrreemmoottoo ddii MMeessssiinnaa ddeell 11990088

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terremoto di messina 1908 insieme 1

Ricordare o dimenticare? Ci sono certe date che non vengono registra-

te soltanto nelle cronache o nei libri di storia, mache sono scolpite profondamente nella memoriadelle singole persone e di un’intera popolazione.Questo certamente accadde al terremoto di Mes-sina del 28 dicembre 1908, ore 5,21.

A cento anni dal terribile sisma, ondulatorioe sussultorio, che distrusse Messina, Reggio Ca-labria e i comuni limitrofi, ci si chiede fino a chepunto è necessario e utile farne una commemo-razione che rafforzi la memoria delle persone an-ziane e offra un messaggio positivo alle nuovegenerazioni.

Solo pochi individui più che centenari po-tranno rievocare i frammenti dell’esperienza cheli coinvolse personalmente durante il terremotoe nel periodo immediatamente seguente. Le altre

Introduzione

persone, soprattutto coloro che vivono in questaparte dell’Italia, conoscono bene che qui la terracontinua a tener desti non soltanto i sismografi,ma anche gli abitanti, perché sovente si ripetonopiccoli terremoti (che speriamo che rimanganosempre piccoli!); questi individui certamenteavranno interesse a confrontare le loro recentiesperienze con quanto avvenne quel 28 dicem-bre 2008 alle 5,21.

Cosa ricordare? Nella vita degli uomini esiste un elemento

che fa da cemento capace di fondere in unità lesingole persone e i gruppi umani: esso è costitui-to non soltanto dalla condivisione dei momentidi gioia, oppure dalla contemplazione della bel-lezza della natura, ma anche dal partecipare inti-mamente ai dolori e alle angosce degli amici edal viverli insieme in una prospettiva di speran-za. E se i momenti di dolore, pur limitati, attira-no la solidarietà e la condivisione delle personeamiche, a maggior ragione i grandi disastri, chetravolgono persone e cose, risuonano ampia-mente dando origine ad una catena di condivi-sione che oltrepassa i confini della città e dellaregione per estendersi, come è avvenuto in occa-sione del terremoto del 1908, dal piccolo angolodello Stretto di Messina agli orizzonti dell’Euro-pa, dell’Asia e dell’America.

Come ricordare? Con la perfezione odierna dei mezzi di co-

municazione sociale, per noi è facile non solo do-cumentare gli avvenimenti (foto, film, articoli digiornali, diari, ecc.), ma anche poter rivivere loslancio e la generosità dei soccorritori, l’ampiez-za dei gesti di altruismo e di solidarietà, la ric-chezza umana e spirituale delle persone venuteper aiutare, le lacrime che accomunarono vittimee benefattori, lo spazio di speranza che si aprì aisuperstiti che furono accolti prima in baraccheprovvisorie, e poi in quartieri che portano anco-ra oggi il nome delle regioni che si prodigaronoper la ricostruzione. Tra le rovine di Messina distrutta dal terremoto.

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Perché ricordare? Ricostruire la memoria del passato serve, in-

nanzitutto, a sbloccare l’eventuale prigione deinostri minuscoli interessi quotidiani e a farcicommisurare, idealmente, con coloro che hannocostruito con sacrifici, tenacia e fantasia il mon-do che abbiamo ricevuto gratuitamente da loro.

Perciò il ricordo del passato può esserci an-che utile per illuminare con la luce della ricchez-za antica, i problemi e gli interrogativi del nostropresente.

Infine, ricordare il passato con i suoi drammie con l’impegno delle persone coinvolte, puòservire a ridestare un gesto di creatività che at-tende di uscire dal fondo del nostro intimo e puòdiventare efficace nella costruzione di quella chePaolo VI e Giovanni Paolo II chiamavano “la ci-viltà dell’amore”.

Due documenti poco conosciuti.

11.. UUnnaa ppaaggiinnaa ddeell ““ddiiaarriioo”” ddeell CCaann.. SSaallvvaattoorreeDDee LLoorreennzzoo cchhee ddeessccrriivvee lloo ssffaacceelloo ccaauussaattoo ddaalltteerrrreemmoottoo ddeell 11990088 aa RReeggggiioo CCaallaabbrriiaa..

“Reggio piangeva sotto la sferza dell’ira divi-na. I morti erano sparsi per le vie, il puzzo de’ ca-daveri putrefatti ammorbava l’ambiente, il cieloversava piogge ininterrotte sulle case diroccate, suqualche residua stanza cadente, sulle malconce ba-racche improvvisate. Le scosse si susseguivano, e ilterrore e il pianto non accennavano a cessare, ag-giungendosi anche lo spauracchio della fame e del-l’abbandono della città.

La piazza del mercato (e non solo quella piaz-za) risuonava di gemiti e di pianti; alcune piccole

baracche improvvisate, qualche tenda, dei piccoliricoveri comunque apparecchiati, difendevano dal-la pioggia i feriti e i superstiti del terremoto del 28dicembre. Intorno alle case un ammasso informedi macerie che coprivano le salme delle vittime,molte delle quali, ricoperte da un lenzuolo, ingom-bravano le vie in attesa di chi li trasportasse al ci-mitero. Tutta la città offriva questo misero spetta-colo ed udivasi da ogni parte pene ed angosce ine-narrabili in mezzo al succedersi delle scosse tellu-riche, in mezzo al diluvio di pioggia che cadeva dalcielo”.

(Minutoli Giuseppe Salvatore, Angeli sulla collina. Il“romanzo” della vita, spiritualità e ideali del CanonicoSalvatore De Lorenzo, Reggio Calabria 2002, p. 34).

22.. CCrroonnaaccaa ddeell 2288 ddiicceemmbbrree 11990088 ddeellll’’OOrrffaannoo--ttrrooffiioo ““SSaanntt’’AAnnttoonniioo”” ddii MMeessssiinnaa ddeeii PPaaddrrii RRoo--ggaazziioonniissttii,, ffoonnddaattii ddaa SSaanntt’’AAnnnniibbaallee MMaarriiaa DDiiFFrraanncciiaa..

“LL’’oorrffaannoottrrooffiioo mmaasscchhiillee“Siamo ancora esterrefatti per l’immane cata-

strofe della nostra bella e cara Patria, divenuta unmucchio di macerie, sotto di cui perirono più di 80mila persone, cioè i quattro quinti della cittadi-nanza! Neppure uno dei nostri orfani ha soffertoalcun danno: delle nostre orfanelle qualcuna soffrilieve contusione. Accenniamo di volo allo svolger-si degli avvenimenti nei nostri Istituti in mezzo al-l’universale sterminio della nostra città”.

LL’’iissttiittuuttoo mmaasscchhiillee«Gli orfanelli si alzarono alle cinque del mat-

tino, secondo il loro solito. Alle cinque e un quar-to erano in piedi e vestiti. Il giovane prefettinoEmmanuele Vizzari, in quel momento chiamò tut-

Messina in baracche dopo il terremoto.

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ti i ragazzi per recitare le preghiere del mattino di-nanzi ad una bella immagine della SS. Vergine: ecosì un buon numero dei ragazzi si spostarono dauna parte del dormitorio, per raccogliersi tutti nelcentro dinanzi alla Madonna. In quell’istante laterra trema formidabilmente in mezzo a un rombospaventevole, le pareti traballano, e quella porzio-ne di dormitorio dalla quale si erano ritirati allorai ragazzi, si sconquassa, cadendo giù il tetto confracasso. Il resto del dormitorio, dov’erano i ragaz-zi, rimase in piedi. I fanciulli vennero subito fuo-ri nell’atrio. Nell’orfanotrofio abbiamo una sezio-ne di giovinetti studenti, che aspirano a farsi sacer-doti dello stesso Istituto, per essere i futuri educa-tori degli orfanelli antoniani. Questi giovinetti cisono carissimi. Alle cinque del mattino uscironodal loro dormitorio, ed entrarono nella Chiesettadell’Istituto per la preghiera e la meditazione mat-tutina. Scoppiato il terremoto, il loro dormitoriocadde completamente. La chiesa cadde anch’essa:restò fermo il tratto solo della tettoia, sotto cuipregavano i ragazzi, ai quali erano anche uniti ifratelli laici del nostro Istituto, nostri fedeli com-pagni e coadiutori, che formano con noi unica fa-miglia Religiosa. Così, giovinetti, studenti e Fra-telli laici, rimasero incolumi. Ne sia lode al Santodei miracoli!”.

LL’’oorrffaannoottrrooffiioo ffeemmmmiinniillee“Nell’orfanotrofio femminile, si contenevano

più di cento persone, una settantina di orfane,grandi e piccole, e una quarantina di suore, com-prese le novizie e le probande o postulanti. Al mo-mento dell’immane disastro, le orfanelle si trova-vano per la maggior parte nel dormitorio già vesti-te, ed altre nel corridoio attiguo, che conduce al la-vatoio. Quando ad un tratto l’ampio salone sbalzòcome nave in tempesta, i muri crollarono, la tetto-ia precipitò, e le ragazze si trovarono travolte inquel subbisso. Quelle che si trovavano nel corrido-io ebbero pure addosso la tettoia, e cadde parte delpavimento. Ebbene, chi il crederebbe? S. Antoniodi Padova mostrò la sua protezione sulle sue orfa-nelle, e le custodiva il favore dei Cuori SS. mi dìGesù e di Maria. Nessuna orfanella perì».

(Dal periodico: Supplemento di “Dio e il Prossimo”, anno II, n. 1,Messina, 6 gennaio 1909).

DDoonn RRaaiimmoonnddoo FFrraattttaalllloonnee

PPeelloorroo 22000000:: iill tteerrrreemmoottooddii MMeessssiinnaa ddeell 11990088

Chi pensava alle tante scosse sismiche che sierano, in quei giorni, susseguite oppure ai veggen-ti che affermavano che qualcosa di terribile si sa-rebbe presto abbattuto sulla città? Ma il 28 dicem-bre, alle ore 5:21 e 43 secondi, Messina si spensein modo convulso; sembrava una creatura che hatanto desiderio di vivere ma che, obtorto collo, de-ve arrendersi all’irrefrenabile e travolgente forzadella Natura.

VVaattiicciinnii ee sseeggnnii pprreemmoonniittoorrii

• II 25 settembre 1907 il Cardinale Portano-va, arcivescovo di Reggio Calabria, aveva indiriz-zato una lettera a un conoscente in America nel-la quale diceva di avvertire prossima la fine e chequesto gli avrebbe risparmiato di vedere la rovi-na della propria città; invitava anche a portareaiuto agli scampati, come suo ultimo desiderio.

• Melania Calvat, la veggente di La Salette,era rimasta a Messina per un anno e diciottogiorni, ne l’orfanotrofio antoniano dello SpiritoSanto; le sue virtù furono esaltate da Annibale diFrancia. A quest’ultimo scrisse una lettera, affin-ché esortasse il popolo di Messina a evitare il ca-stigo di Dio; infatti, durante un triduo, egli disseche Ninive aveva fatto penitenza e non era statadistrutta, mentre per Messina non ci sarebbe sta-to scampo.

• Padre Caudo riferì che, nei giorni prece-denti al disastro, erano apparse per le vie cittadi-ne strisce di carta con su scritto “Gesù Cristonon è esistito. San Pietro non venne mai aRoma”.

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• II giornale anticlericale “II Telefono”, nelnumero di Natale, aveva pubblicato una parodiadella “Novena a Bambino Gesù”, in cui fra l’al-tro si leggeva:

O Bambinello miovero uomo e vero Dio

per amor della tua croce fa sentire la nostra voce

tu che sai, che non sei ignotomanda a tutti un terremoto.

• Il “Mefistofele”, altro giornale di spiritoanalogo, aveva scritto:

La tua santa gravidanzataumaturgo fu soave non ti fu di peso grave partorire la frittata o Concetta Immacolata.

• Nell’udienza del 26 dicembre 1908, pressoil Regio Tribunale penale di Messina, al diciot-tenne Girolamo Bruno era stata inflitta una con-danna a due anni per furto. La madre, CarmelaBruno, aveva urlato allora: «Mala nova! Avi a vé-niri un tirrimotu cu ll’occhi e ‘avi a mmazzari avui birbanti e a tutta Missina!».

• Capuana scrisse che un superstite gli rac-contò che, la notte fatidica, il figlio di cinque an-ni non voleva andare a letto e piangeva perché cisarebbe stato il terremoto. Secondo alcuni il“Cammaroto”. Figura pittoresca che prodigiosa-mente riusciva a guardare il sole senza ferirsi lavista, avrebbe invocato la distruzione di Messinaperché disperato a causa di alcune drammatichevicissitudini familiari.

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• Il Cavalier Vincenzo Cammareri aveva fat-to rinforzare i muri della propria casa. Era statagiudicata una bizzarria, ma la sua intelligenzariuscì a salvarlo.

• Al cinema Iris, e forse altrove, si rappresen-tava il film “L’avvisatore del terremoto”. Il pro-tagonista era un ometto somigliante in modo va-go all’attore Tino Scotti, che aveva realizzato unmarchingegno con tanti campanelli che avverti-vano il minimo sussulto. Gli spettatori ridevanoa crepapelle perché bastava una vibrazione perfar scappare in mutande il simpatico personag-gio che, stanco, finiva per addormentarsi; e pro-prio allora accadeva ciò che egli aveva temuto.Possiamo immaginare lo sgomento di chi vide lafinzione cinematografica trasformarsi in realtà...

SSii ddiiccììaa,, mmaa nnuudddduu ccii ccrriiddììaa

Si dicìa chi Missina picca vita avia. Si dicìa i tantu tempu, ma nuddu ci cridìa. Chi traficu a’ Marina:vapuri chi sbarcaunu e u mari ripigghiaunu, a sudura di facchini chi scaricaunu mentri a bava di boi ‘nterra arruvava picchi, stanchi, tiraunu carri chini chini e, nimaleddi, non si putiunu lamintari... Aviunu a ‘travagghiari!

Un gran banniari, intantu, arruvava dapiscaria... Buci putenti di figghioli e vecchi chi vinniiinu tanta bedda e frisca meccanzia... Si dicia, ma nuddu ci cridia...

Natali era passatu... Ragnuni, caccioffuli, cacocciuli, pasta ‘nto zucu, ducci e scacci… Cu picca e cu assai, tutti aviunu manciatu!...

‘Nte casi u prisepi ancora sbrillantiava e un bambinellu i re magi spittava... I missinisi eruni felici e cuntenti,au tiatru daunu a famusa Aida di Veddi…E mentri u Capillannu arruvava a motti d’iddi sempri chiù s’avvicinava... Si dicìa, ma nuddu ci cridìa...

Auspico che le parole non rimangano tali eche la superstizione e l’oblio non prevalgano an-cora sui fatti. Errare humanum est, perseverareautem diabolicum!

CCoorrrraaddaa CCaasstteelllleettttii CCuuzzaarrii

Da: “Peloro 2000”, gennaio-febbraio 2008.

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insieme6 insieme numero speciale

Ci dispiace che in questa appendice su tre ar-gomenti, due trattino di terremoti. Ma siccomefurono interessati i nostri confratelli e special-mente nell’ultimo fu coinvolta la casa di Messi-na, conviene spendere alcune pagine sull’argo-mento.

A distanza di appena tre anni dal terremotodella Calabria (1905), la terra tremò in un modocatastrofico e più violento.

Il terremoto di Messina avvenne alle ore 5,20della mattina del 28 dicembre 1908. Nessuna pa-rola o descrizione può rendere a pieno quelloche accadde in quei quaranta interminabili se-condi.

Come se ciò non bastasse, alla violenta scos-sa si aggiunse il maremoto: onde altissime, valu-tate tre metri oltre il normale livello, irrupperoimpetuose sulla terraferma, abbattendo e risuc-chiando tutto quello che incontravano.

Neppure il numero delle vittime fu quantifi-cabile: forse ottanta mila, forse cento mila… Danotare che il sisma si estese anche sulla costa ca-labra di fronte a quella sicula. Vi furono paesettio interi quartieri completamente inghiottiti daenormi voragini. Purtroppo come accade in que-ste occasioni si verificarono degli sciacallaggi: idetenuti evasi dalle carceri a cui si aggiunseronumerosi ladri si diedero a rubare il denaro nel-le banche, negli uffici, nelle case e persino gli og-getti preziosi ai cadaveri.

I primi ad accorrere e portare quel po’ diaiuto che si poteva furono i marinai di alcunenavi ancorate nel porto; fra queste una corazzatarussa. I marinai di quest’ultima poterono instal-

lare a terra un piccolo ospedale e salvare un mi-gliaio di persone.

Diffusasi la notizia si cominciarono ad orga-nizzare i soccorsi. Il papa Pio X inviò due sacer-doti e molti aiuti, esortando i Vescovi, clero dio-cesano e religioso a fare tutto il possibile per ve-nire incontro alle più urgenti necessità.

Accorsero tra i primi sul luogo del disastro ilre Vittorio Emanuele III e la regina Elena. E qui,anche se in nota, dobbiamo ricordare due episo-di tanto cari a i Messinesi.1

L’arcivescovo mons. Letterìo D’Arrigo, dopoaver visto morire tanti suoi fedeli e quasi tutti isuoi chierici, rifiutò di allontanarsi dalla città erimase a coordinare il lavoro per salvare i super-stiti. Ma anche in questo fu ostacolato dalle set-te massoniche e dall’anticlericalismo che alloraimperava a Messina.

Il “San Luigi”di Messina, aperto prima comeoratorio, poi come collegio, ospitava all’iniziodell’anno scolastico 1908-09 oltre cento allievi. IlNatale era già trascorso (allora le vacanze si pas-savano in collegio) e gli alunni il giorno 27 di-cembre avevan fatto l’esercizio di buona morte,in uso allora nelle case salesiane.

L’indomani, al buio di una mattinata uggio-sa, il disastro.

Qui saremmo tentati di trascrivere una lette-ra inviata a don Rua dal direttore della casa donAngelo Lovisolo, testimone oculare della cata-strofe, ma la teniamo soltanto presente.2

Sono descritti i minimi particolari e le sceneagghiaccianti accadute subito dopo il terremoto:persino i dialoghi coi superstiti ancora tra le ma-

Don Iacono sul terremoto di Messina

1. In una casa semidistrutta la regina teneva tra le braccia un bambino sottratto alle macerie; nello stesso tempo una trave cadde sulle suespalle. Ella per salvare il bambino ne sostenne il peso con tutte le sue forze, finché alcuni militari non accorsero a liberarla. (La scena è ritratta in uno dei tre alto-rilievi che adornano la base del monumento eretto ad Elena di Savoia in Messina).Simile è il secondo episodio. Dato che il soccorso ai feriti diventava sempre più vasto e difficile, si rendeva necessaria una attrezzatura im-mensa; ma le infelici città della costa siciliana e calabrese non offrivano alcuna possibilità di ricovero. Si vide allora la regina Elena salire abordo dell’incrociatore russo “Slavia”, giunto nel porto in quei giorni. Al comandante, il quale legato agli ordini di rotta, non poteva assu-mere iniziative personali, ella disse in russo: Non è la regina d’Italia, e nemmeno la principessa del Montenegro che vi parla, è una donna chevi chiede in nome dell’umanità di trasportare questi feriti a Napoli. Il comandante invertì la rotta e trasportò i feriti in quel porto.I due episodi sono tratti da: Giorgio Papasogli - Vita di Don Orione - Gribaudi, Torino 1974, pagg. 183-184.

2. La lettera, scritta a Catania il 12 gennaio, fu pubblicata nel Bollettino Salesiano del mese di Febbraio 1908, pagg.38 - 43.Don Lovisolo era stato nominato direttore del “San Luigi”, in seguito alla morte di don Salvatore Gusmano, avvenuta nel marzo del 1907.

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cerie. Dieci giovinetti seminudi, pazzi per la pau-ra, aggrappati ai muri cadenti, sporgono il capoall’infuori, invocando aiuto.

Sono ricordati gli atti eroici dei confratelli ri-masti incolumi per recare aiuto e per tirar fuori iferiti; la prima notte trascorsa sotto la pioggia in-sistente e sotto gli eucaliptus gocciolanti, accan-to al fuoco alimentato coi rottami delle imposte;il sentirsi impotenti davanti alle voci flebili deigiovanetti ancora vivi, ma irraggiungibili…

Il giorno 29 a quelli che sono in grado dicamminare viene imposto dai soldati di allonta-narsi, per il pericolo incombente di uno scoppiodi un vicino deposito di nitroglicerina. Rimango-no sul posto, dopo tante insistenze, un sacerdo-te con altri due chierici per la cura dei feritigravi.

Un treno affollatissimo trasporta sino a Cata-nia il direttore don Lovisolo, don Virzì Giusep-pe, due chierici e una ventina di ragazzi. Partitinella mattinata arrivano alle ore diciotto, accolticon indicibile carità dai nostri confratelli.

Nella stessa mattinata del 29 partivano daCatania per il luogo del disastro l’Ispettore donFascie, il Direttore del “San Francesco di Sales”don Camuto, e da Torino don Giuseppe Bertel-lo, già Ispettore della Sicilia.

La loro presenza e gli aiuti provenienti dallecase salesiane, in personale e in mezzi conforta-vano e collaboravano con i confratelli rimastisulle macerie.

Per accogliere gli orfani del terremoto ci fuuna gara commovente tra gli istituti salesiani: 27a Catania, 26 a Genzano di Roma, 2 fratelli mes-sinesi a Torino - Valdocco; molti altri vennero ri-coverati in altre case salesiane.

Non vi fu casa salesiana d’Italia che non si af-frettò ad annunziare al nostro Superiore donRua d’esser disposta ad accogliere qualche pove-ro orfano del disastro.

Alcune offrirono l’ospitalità a numerosi feri-ti: fra queste, Marsala, Ancona, S. Pier d’Arena;molte poi organizzarono rappresentazioni, con-ferenze, riunioni per raccogliere offerte.

Gli allievi delle nostre case furono invitati adare quel che potevano e lo offrirono con gene-rosità, molti si privarono dei pochi centesimi chepossedevano. Alcuni confratelli poi della Siciliae del Meridione vennero a Messina in aiuto ai

pochi che erano rimasti sul luogo. Tra questi ul-timi con ammirazione e commozione ricordiamoin particolare l’allora ch. Nunzio Amato di Co-miso (Rg), che si prodigò sino all’eroismo e poicontinuò ad essere una bandiera e un esempio dilavoro, di sacrificio e di burbera generosità: mor-to ottantenne nella “sua” Messina.

Le vittime del terremoto furono 38 alunni, 9salesiani, 4 persone di servizio.

Diamo qui un elenco dei confratelli conqualche breve notizia biografica fornita dallostesso Bollettino.

Il più anziano era il sacerdote romano donGiuseppe Pasquali, poco più che quarantenne.Era stato direttore in un’altra fondazione salesia-na in Sicilia (San Giuseppe Jato) ed ora attende-va all’ufficio di prefetto-economo.

Il coadiutore Giuseppe Longo, di Biancavil-la (Ct), guardarobiere, di 36 anni.

Due sacerdoti coetanei, 34 anni, di Belpasso(Ct): don Mario Rapisardi e don Antonio Urso.

Don Vincenzo Pirrello di Alcamo (Tp), con-sigliere scolastico e laureato in lettere.

Don Arcangelo Lo Faro di Biancavilla (Ct),di anni 30.

Don Dario Claris di Savona, ventottenne,laureato in lettere e filosofia. A cura della fami-glia la salma fu trasferita nella città di origine.

Mario Manzini, chierico ventiquattrenne diBologna.

Giuseppe Venia, chierico di venti anni diBronte (Ct).

Concludiamo con le parole di don Ceria: IlGoverno a suo tempo non dimenticò che don Ruaera stato il primo ad aprire le sue Case ai piccoli,ma grandi sventurati, e seppe tener conto di quan-to realmente i Salesiani avevano fatto: perciò ilMinistero dell’Interno nell’assegnare attestati dibenemerenza, non essendo più don Rua fra i vivi,conferì in data 5 giugno 1910 al suo successoredon Albera il diploma di Menzione Onorevole ealla Congregazione la Medaglia di bronzo perl’opera prestata.

Meglio poco che niente. (Annali…, III, pag.759).

Da: Giovanni Iacono“Don Bosco e la Sicilia, quasi una cronistoria1908-10”, Catania 2002, pp. 30-34.

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insieme8 insieme numero speciale

L’angelo dello Stretto: la Regina Elena

La Regina Elena soccorre i feriti del terremoto diMessina del 28 dicembre 1908.

Lungo la via Cesare Battisti in corrisponden-za della Casa dello Studente, sulla sinistra, è pos-sibile osservare uno degli spazi verdi della città,denominato Largo Seggiola. Al centro, nascostadai folti e voluminosi alberi, c’è la statua dellaRegina Elena. L’anonimato in cui versa non ren-de il giusto merito alla memoria di una grandeSovrana che tanto ha fatto per la nostra cittàdurante i tristi giorni del terremoto del 28dicembre 1908.

La mattina del 30 dicembre 1908, due giornidopo il terribile evento calamitoso, preceduta dauna torpediniera e seguita da altre due navi daguerra, arrivò a Messina la Regia Nave “VittorioEmanuele” che aveva a bordo i Sovrani, VittorioEmanuele III e la regina Elena, e il ministroGuardasigilli V.E. Orlando. Giunsero altre navi,la “Campania”, la “Lombardia”, la corazzata“Marco Polo” e una squadriglia di siluranti daTaranto.

La regina si trasferì inizialmente sul “Campa-nia”, adibita a nave ospedale, e successivamentesulla nave “Regina Elena”, dove era stata im-piantata una infermeria e venivano raccolti gliorfani. Fece anche delle brevi visite sulla navebritannica “Minerva” e sulla russa “Makarov”dove erano ricoverati dei feriti. Elena di Monte-negro operò con tenerezza, nobiltà e modestia,come era d’altronde nel suo carattere, discreto eschivo da ogni clamore e ostentazione e tale ri-mase per tutta la vita. Durante l’opera di assi-stenza amorevole ai piccoli due volte colpiti dal-la sciagura la regina ebbe l’idea della creazionedi un ente benefico che avrebbe dovuto aver cu-ra degli sventurati bambini.E proprio sulla nave-orfanotrofio accadde un episodio, citato da San-dro Attanasio in “28 dicembre 1908 terremoto”,che avrebbe potuto avere gravissime conseguen-ze per l’Augusta Signora. Un pazzo, uno dei tan-ti che vagavano fra le rovine della distrutta Mes-sina, riuscì a salire a bordo del “Regina Elena” e

irruppe nel quadrato gridando: “E’ il finimon-do! La terra s’inabissa! Si salvi chi può!”. A que-ste parole “una donna ferita, arsa dalla febbre, siè gettata allora dal letto per buttarsi a mare. Allaporta la Regina con le braccia distese che le vo-leva impedire di uscire. E la malata si è gettata al-lora a testa bassa contro il petto dell’eroica damache è caduta all’indietro con la bocca piena disangue […]”.

Nessuno dimentica i tanti episodi diffusi dal-le cronache sulla regina Elena a Messina, quan-do consola le vedove, mentre conforta gli orfani,e poi, quasi fosse un’infermiera tra le tante, nel-l’assistenza sin quasi allo sfinimento una donnache subisce un’operazione chirurgica. Nel “Cor-riere della Sera” del 2 gennaio 1909 leggiamo:“[…] da due giorni la Regina Elena fa la suora dicarità – testimonia un ufficiale russo – Tutta lagiornata di mercoledì essa rimase a bordo della

Esempio di grande regale umanità per la città di Messina

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con una carità com-movente, la gambadella donna: ve latenne durante tuttal’operazione, e poi-ché anche dopo fi-nita l’operazione ladonna continuavaad urlare, «Non vimuovete per cari-tà» le disse «non vimuovete», e conti-nuò a tenerla inquella posizioneper circa mezz’ora,fino a quando ladonna poté essereadagiata dalle infer-miere nella posizio-ne che conveniva[…]”

V. E. Orlandoin un’intervista rila-sciata a Tullio Giordana per “La Tribuna”, edi-zione del 5 gennaio 1909, così descrive la Regi-na: “[…] La Regina è stata mirabile. Assisteva,curava, medicava con le sue mani. Una volta,mentre si operava una donna, la Regina, che erasola, senza una dama, dovette tenere le gambedella paziente appoggiate sulle proprie spalle perun bel po’ di tempo. Quando il chirurgo fu pas-sato ad altri feriti, e la Regina volle posare legambe della donna, questa cominciò a gemere ea lagnarsi, e allora la Regina restò lì un’altra mez-z’ora, con le reni che le si dovevano spezzare,con quelle gambe doloranti e sporche di sanguesulle spalle use a coprirsi di ermellini. Aveva or-ganizzato un piccolo laboratorio di donne delluogo, e, sa, non soltanto per il bisogno, ma perdare a quelle povere sopravvissute, che avevanociascuna perduto parenti, mariti, figliuoli, unmodo per distrarsi assorbendosi nel lavoro. In-fatti appena smettevano, ricominciavano a pian-gere. Questa, vede, la nostra Regina! Quanto be-ne hanno fatto le sue piccole mani! […]”.

Nella medesima edizione le parole dell’On.Mirabello: “[…] La Regina? Ho visto ancorameglio la sua opera di pietà, perché ella era qua-si sempre a bordo della “Regina Elena”, sulla

insieme 9terremoto di messina 1908 insieme

Regina Margherita, trasformata in ospedale […]Io l’ho vista ovunque, nei punti in cui maggioreera il pericolo, nelle località in cui nessuno maiprima di lei aveva osato avventurarsi […]”.

Antonio Scarfoglio, “Il Mattino”, e Giusep-pe Piazza, “La Tribuna”, il 2 gennaio 1909 ripor-tano le medesime affermazioni: “[…] La reginaElena, sulla nave, che da lei prende il nome, vivefra i feriti, respira con loro, offre con meraviglio-sa devozione e dedizione, un’opera di tenerezzae di nobiltà superiore ad ogni descrizione, a qua-lunque inno […]”. Il 4 gennaio 1909 GoffredoBellonci nel “Il Giornale d’Italia” scrive: “[…] Abordo del Regina Elena la Regina ha impiantatouna infermeria per gli orfani, a cui dedica tutto ilsuo cuore di madre affettuosa. Suora di dolore edi conforto è divenuta veramente l’Augusta Si-gnora […]”.

Nel “Corriere della Sera” del 4 gennaio 1909l’episodio dell’operazione: “[…]Una donna feri-ta doveva essere operata con molta delicatezza.Intorno al chirurgo che doveva operare non viera altri in quel momento che la Regina. Ebbene:la Regina prese sulle sue spalle senza esitazione,

Statua della Regina Elena - assistenza ai malati.(Foto E. Casale).

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insieme10 insieme numero speciale

quale il quadrato degli ufficiali era stato trasfor-mato in ospedale. La Regina ha fatto un corso diinfermiera non so dove. E curava personalmen-te; sapeva accomodare le ossa spostate, e fascia-va soprattutto i bambini con una abilità di nurseprofessionale. Quando non giungevano feriti, laRegina cuciva vesti per la povera gente che erastata trovata ignuda. […]”.

Nel “Corriere della Sera” del 5 gennaio 1909Ada Negri la pone come esempio per tutte ledonne d’Italia: “[…] Ve n’è una fra noi, la piùbella, la più nobile, quella che la sorte ha postapiù in alto, che ci dà l’esempio sublime. Elena diSavoia e Montenegro ha lasciato i figli, ha messol’abito dell’infermiera, si è fatta suora di carità,soffre tra i sofferenti, abbraccia e riveste gli orfa-nelli, sfida ogni stanchezza, ogni malattia, ognipericolo anche mortale. È al suo posto di Regina,è al suo posto di donna. Vi è nel suo atteggia-mento una semplicità, una bellezza umana, unaveemenza d’amore, d’energia, che appassionano.Con Lei, intorno a Lei, senza tregua, senza pau-ra, coi figli in braccio e alla gonna se non possia-mo separarcene, di notte se non possiamo digiorno, con ogni atomo ogni palpito ogni vibra-

Statua della Regina Elena - autore e anno.(Foto E. Casale).

Statua della Regina Elena - assistenza ai bambini.(Foto E. Casale).

zione della nostra umanità dolorosa, sorelle mied’Italia, avanti! […]”. Giacomo Gobbi Belcredi,“Il Messaggero”del 6 gennaio 1909, sottolinea ilsuo atteggiamento positivo nei confronti di tuttiquelli che la circondavano: “[…] La regina è sta-ta squisita ed ammirabile! Essa si è messa in grangrembiule bianco, si è rimboccate le maniche fi-no al gomito ed ha lavato, disinfettato, fasciatoda mattina a sera, avendo una buona parola pertutti, un incoraggiamento, un sorriso per ogni di-sgraziato. E quando si pensi all’influenza chequesto suo atteggiamento aveva su quanti la cir-condavano e il sacro fuoco che accendeva neimedici, negli infermieri, nei marinai della “Regi-na Elena” e in tutte le autorità che andavano abordo a farle omaggio, si comprenderà quale ve-ramente benefico apostolato ella abbia esercitatocon la propaganda dell’esempio che è sempre lamigliore […]”.

Elena di Montenegro ripartì il 1° gennaio perraggiungere Napoli e poi fare ritorno a Roma perdare vita all’ente di assistenza per gli orfani deldisastro. In un articolo apparso sul “Giornaled’Italia” dell’8 gennaio 1909, Goffredo llonciscrive: “[…] la più compiuta madre d’Italia, la

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insieme 11terremoto di messina 1908 insieme

Statua della Regina Elena - assistenza agli orfani.(Foto E. Casale).

Regina, la nostra gentile, buona, bella, misericor-de Regina li ha accolti tutti (gli orfani) sotto legrandi ali della sua pietà […]”. Prima di lasciareMessina la regina, ricorda Sandro Attanasio, conregale generosità fece fare una larga distribuzio-ne di orologi d’oro agli ufficiali e ai funzionariche l’avevano assistita e aiutata nell’opera di soc-corso.

L’opera dei Sovrani non terminò con la loropartenza dalla città. Mentre a Napoli decisero dimettere parte del Palazzo reale a disposizionedei primi feriti giunti da Messina, al Quirinale,scrive Giorgio Boatti in “La terra trema”, la re-gina decise di trasformare la sala del trono in unlaboratorio di taglio e cucito. Sotto gli splendidilampadari che diffondono solitamente il loro ri-verbero dorato sui ricevimenti di corte si sonoportate macchine da cucire e forbici, pezzi distoffa e tela e si “lavorava, lavorava con febbrileattività a preparare camicie, abiti e biancheria”.A dirigere il lavoro è la regina Elena stessa, vesti-ta dimessamente di scuro e con un gran grem-biulone a righe allacciato davanti: è lei che distri-buisce il lavoro, taglia, cuce, controlla la perfe-zione degli abiti confezionati. Alle sue dipenden-ze sono giovani sartine e donne abitualmente la-voranti a domicilio che nella giornata preceden-te emissari della corte hanno provveduto a reclu-tare nei quartieri popolari di Roma e attraversoalcune cooperative. A queste ragazze si sono ag-giunte, appena sono state informate dell’iniziati-va della regina, le dame di corte e le gentildonnedella Roma che conta. Persino le due principes-sine, Jolanda e Mafalda, pur di pochi anni, ven-gono ammesse a partecipare al lavoro che prose-gue sino a tarda notte. Indicative le parole diFrancesco Gaeta in “La Tribuna” del 6 gennaio1909: “[…] Colei che ha fasciati gl’infelici, ches’è fatta male aiutandoli, che alla presenza dellagigantesca ferocia cosmica non ha ricordata lasua qualità di regina se non per sentirne il dove-re di mostrarsi più volte donna […]”.

Vittorio Emanuele ed Elena di Montenegro,a Messina, a Reggio e nelle altre località devasta-te, impersonarono degnamente la Nazione inquell’estremo e disgraziato lembo d’Italia. I so-vrani rappresentarono lo Stato paterno, giusto,benefattore e comprensivo sempre sognato dallepopolazioni meridionali, che accorreva in aiuto

dei suoi figli più sventurati. Fu un momento ma-gico, nei rapporti fra le popolazioni calabre e si-ciliane e lo Stato italiano. Per le derelitte popola-zioni la vista dei sovrani fu un balsamo consola-tore ed una grande speranza di vita. Nel “Gior-nale d’Italia” dell’11 gennaio 1909 GoffredoBellonci riporta un episodio significativo: “[…]L’onomastico della Regina Elena ha mossa la lin-gua di tutte le povere donne della terza classe:parlano di Lei, con affetto, con tenerezza, bene-dicono Lei, asseriscono tutte di averla veduta eaverla benedetta […]”.

Messina, grato delle opere compiute dallaRegina in quei terribili giorni, eresse nel 1960 laStatua in marmo bianco di carrara che oggi noivediamo e ammiriamo, commossi per il dolorosoricordo ma felici per l’alto senso di umanità e dimaterna dedizione dimostrata dall’Augusta So-vrana verso i sopravvissuti, evidenziato nelle raf-figurazioni in bronzo poste ai lati del piedistal-lo.Elena di Savoia, donna, madre e regina, ha la-sciato una traccia indelebile nella storia della cit-tà del: a memoria queste poche righe che, insie-me a quelle di tanti validi, renderanno il suo ri-cordo eterno nel cuore del popolo.

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Ricorre quest’anno il centenario del terremo-to che all’alba di lunedì 28 dicembre 1908 (era-no le ore 5,21) devastò Messina e Reggio Cala-bria – il “The Great Disaster” come lo definì ilDuca di Bronte Alexander Nelson Hood – unadelle tragedie naturali più orribili a memoriad’uomo sino a quel momento.

Quel 28 dicembre il duca Alexander NelsonHood si trovava a Taormina, ospite dell’HotelTimeo, in Via Teatro Greco, l’albergo fondatonel 1873 da Giuseppe La Floresta quando a Ta-ormina la stagione turistica cominciava a novem-bre e terminava a Pasqua.

Il Duca vi si era trasferito dalla tranquillaManiace per trascorrervi il Natale in compagniadegli amici inglesi, americani e tedeschi, che in-sieme con lui avevano sancito il successo dellacittadina come “winter resort”, luogo di splendi-do e tranquillo soggiorno soprattutto durantel’inverno.

Il Duca stesso vi aveva acquistato un terrenonel 1903, sul quale aveva dato inizio alla costru-zione de “La Falconara”, la villa da lui stesso pro-gettata, i cui lavori nel 1908 erano ancora in cor-so. È possibile quindi che la sua presenza a Taor-mina nella notte fra il 27 ed il 28 dicembre 1908fosse dovuta anche alla sua esigenza di seguireda vicino i lavori. Si racconta a tal proposito cheper la sua continua presenza in cantiere avevafatto erigere sul posto una baracca come suo ri-paro dalla pioggia o dai raggi del sole.

Così il Duca racconterà in seguito su “Sici-lian Studies” le prime notizie giunte quel 28 di-cembre a Taormina sul destino di Messina: “Ver-so sera, circolarono delle voci sul destino di Messi-na. Nessuno può dire da quale fonte provenissero.Il pensiero che una città di centosessantamila abi-tanti fosse andata distrutta fu considerata assurda.Gli uomini sorrisero e non vollero crederci. Era lasolita fervida immaginazione meridionale […],Messina era stata completamente rasa al suolo nel-l’arco di mezzo minuto […] la popolazione era ri-masta sepolta sotto le macerie delle case crollate”.

In una lettera alla Principessa del Galles,Mary di Teck, della quale era all’epoca Segreta-rio Privato, così riassume il suo stato d’animo:“Scrivo queste poche righe – (è impossibile, si di-ce, servirsi del telegrafo perchè i cavi sono inter-rotti ovunque) – per fare sapere a Vostra AltezzaReale che mi trovo ancora tra i vivi, mentre lostesso non può dirsi per tanta povera gente di quiattorno […]. Alle 5.15 am questa mattina tuttiqui sono stati svegliati da un violento scuotimen-to della terra e dal sollevamento dell’hotel. Tuttoè durato circa mezzo minuto […] il sisma si è ri-petuto, ho contato sei scosse in un’ora”. Informaquindi la principessa sul fatto che il sisma non hacomunque provocato danni gravi a Taormina eda Bronte.

Gli Studi Siciliani di Alexander Nelson Ho-od furono pubblicati a Londra nel 1915 daglieditori Allen e Unwin, destando immediatamen-te grandi consensi di pubblico. Nelson Hood co-

Il Duca Alexander Nelson Hood eil terremoto di Messina

Duca Alexander Nelson Hood.

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insieme 13terremoto di messina 1908 insieme

stituisce l’ultima vo-ce dei viaggiatori inSicilia in lingua in-glese insieme al fran-cese Gaetan Combesde Lestrade che già aDonnafugata tenevacopia del volume (diNelson), nella mi-gliore tradizione cul-turale del “Travel” diPatrich Brydone odel “Reisen” di Wolfang Ghoethe. Una lungastagione, iniziata negli ultimi scorci del XVII se-colo, creò la consistenza culturale e l’impegnodel mondo europeo nei confronti della terra diSicilia. […]

Alec Nelson si avvalse per la conoscenza del-la terra di Sicilia di studi britannici e non, e perla questione del mondo classico si vantò giusta-mente di essere stato aiutato da Mr. GilbertMurray che poi diventerà “regius professor” diletteratura greca a Oxford e maestro di ErichDodds. I suoi discorsi sulla Sicilia non sono sol-tanto le impressioni di uno straniero su una re-gione lontana, ma il frutto di uno studio e di unamore particolarmente intenso. Non bisogna di-menticare che di parecchie vicende Alec fu pro-tagonista, e non semplicemente conoscitore, co-me ad esempio il terremoto di Messina o la pri-ma rappresentazione nel teatro greco di Siracusadi una tragedia nel 1914 ad opera del Conte Gar-gallo e dei suoi amici. Lo studio della nostra ter-ra fu condotto in modo elegante e non trascuròalcun particolare, anzi profondendosi in ricercheprecise come nel caso di Ragusa: non sono mo-menti letterari ma osservazioni sul preciso anda-mento della vita sociale e culturale anche nel suohinterland, come gli spunti su ChiaramonteGulfi. […]

L’eleganza espositiva di Nelson, per moltedescrizioni, quasi anticipa i tratti di D. H. La-wrence sulla rigogliosa e sognante natura sicilia-na in “Racconti italiani”. Non poteva essere di-verso l’impatto su uno straniero che, per quantoabituato agli scenari siciliani ne subiva inesora-bilmente il fascino, quasi un “mal di Sicilia”. Ba-sta riprendere i tratti delle descrizioni di Ragusain primavera, i tramonti sull’Etna, o la lussureg-

giante vegetazione nell’Epilogo per avere tutti glielementi di valutazione al riguardo. […]

Unitamente al gusto descrittivo Nelson amaosservare, da buon etnologo, gli atteggiamentidel popolo siciliano, senza esclusione di ceti, conocchio affettuoso e perfettamente indagatoreche con notazioni scarne sa delineare vicende ecaratteri. Riprendiamo ad esempio le note suglisguardi delle fanciulle verso i ragazzi, o il cap-potto che conobbe tempi migliori o i fenomenidi sciacallaggio dopo il terremoto di Messina.Tutto è sempre perfettamente in ordine, consi-derato con scrupolo e serietà, non indulgendomai al tratto emotivo. […]

Siamo sicuramente grati ad Alec Nelson Ho-od che con i suoi scritti, e mi piace ricordare ilsuo libro sulla Ducea di Bronte, ha lasciato uninteressante quadro della nostra Sicilia che for-tunatamente risente poco del volgere del tempo,nel senso che alcuni caratteri sono rimasti densidi una sicilianità inossidabile.

(Nota di Gaetano Cosentini, tratta da “Studi Siciliani” di AlexanderNelson Hood, Duca di Bronte, edito dal Rotary International, Di-stretto 2110 Sicilia e Malta, Club di Ragusa, 2007)

LLaa ggeenneerroossiittàà ddeeii ssiicciilliiaannii

Le città ed i paesi della Sicilia (quelli d’Italianon si tirarono indietro nell’opera di carità) apri-rono le loro porte ai loro conterranei sofferenticon una generosità che fu tanto di gran cuoreche spontanea. Catania sola accolse ventimilaprofughi; li ospitò, e si prese cura di loro, sebbe-ne a costo di grandi propri sacrifici. Tutti, dalpiù ricco al più povero, fecero a gara per vestir-li, sfamarli, confortarli. Gli orfani furono adotta-ti o diversamente fu provveduto per loro.

Nell’opera di soccorso i Siciliani primeggia-rono; per questo è necessario ricordare che lapresenza fra loro di molte persone così tanto in-digenti costituì un serio problema sociologico,nel quale furono coinvolti gli interessi vitali deglistessi benefattori. Il lavoro impiegatizio non eraabbondante. L’occupazione era scarsa. Il com-mercio era quasi fermo. L’inondazione quindidel mercato del lavoro in quel momento era vi-sto con serie complicazioni e paure.

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insieme14 insieme numero speciale

MMoonnss.. AAnnggeelloo PPaaiinnoo::ll’’AArrcciivveessccoovvoo RRiiccoossttrruuttttoorree

Angelo Paino fu vescovo della chiesaCattolica e 106° arcivescovo di Messina.

Proprio a Messina Paino si guadagnògli appellativi di “Arcivescovo ricostrutto-re” e “Muratore di Cristo”. Sono dovute alui, dopo il Terremoto del 1908, la riedifi-cazione ex novo di 132 chiese, il restauro el’ampliamento di altre 72 chiese, nonché lacostruzione di 132 case canoniche, di 7istituti d’istruzione media e superiore, 12grandi istituti di beneficenza e assistenza,10 asili infantili, 2 biblioteche, 2 seminari.A ciò bisogna aggiungere la colonna voti-va del porto di Messina, su cui si staglial’immagine benedicente della Madonnadella Lettera, patrona della città e dell’ar-cidiocesi, il sacrario e la campana del ca-duti di Cristo Re, la Concattedrale del SS.Salvatore, affidata alla Congregazione deiSalesiani e la Cattedrale di Messina, cheoggi ne ospita le spoglie mortali, ricostrui-ta per ben due volte a seguito sia dei dan-

ni del terre-moto del1908 e deibombarda-menti bellicidel 1943 chela incendia-rono com-pletamente,ed elevataper lui alrango di ba-silica minoreda papa PioXII. A lui si

deve anche la costruzione del Duomo di S.Sebastiano, nella vicina città di BarcellonaPozzo di Gotto, la più grande chiesa dellaprovincia, seconda solo alla cattedrale delcapoluogo messinese, e fregiata anch’essadel titolo di basilica minore nel 1992 daPapa Giovanni Paolo II.

“Morte tutta eloquente” regnava in quell’iso-la di fragranti boschetti e di dolcissimi e profu-mati frutti, dove molti hanno trovato il riposodella mente e del corpo tra fiori e benefico splen-dore del sole. Vieppiù era stata sempre una terradi gioiosa rinascita, il cui ritorno alla vita era sta-to cantato da tempo immemorabile nella suapoesia e nelle sue leggende. Fedeli alla tradizio-ne, Messina ed i suoi villaggi, con Reggio e le cit-tà della Calabria oltre la stretta striscia di marescintillante, stanno risorgendo di nuovo.

L’amore dei Siciliani per la loro terra natia liha fatti ritornare appena fu loro possibile. Le cit-tà sono state ricostruite con il coraggio e la deter-minazione che sono loro propri. Anche qui, sivede il credo Orientale del destino “Che sarà sa-rà”. Se un altro terremoto è in arrivo, venga comevuole, non importa dove l’uomo può trovarsi!

Ma quelli che furono presenti; quelli chehanno patito quando la lugubre rabbia della“spaventosa terra” provocò “orrore universale”;quelli che hanno visto “la cosa spaventosa” e so-pravvissero; non potranno mai in giorni più alle-gri essere sereni come lo erano prima, né com-pletamente liberati dal ricordo di quel senso dipiccolezza dinnanzi alla grande Presenza, cheera forse il primo, continuo, sentimento nel com-piersi dell’immane disastro.

MMaarriioo CCaarraassttrroo

Da: “www.bronteinsieme.it”.

Ponte in cemento armato nel Viale Principe Amedeo.

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insieme 15terremoto di messina 1908 insieme

L’Amico della Gioventù

AAmmiiccii ppeerrdduuttii!!

Gli amici perduti in quel fatale mattino del28 Dicembre sono in numero considerevole!

Erano figli di virtuose famiglie, studenti alleR. Scuole, chierici dei Seminari, alunni e alunnedei fiorenti Istituti di Messina, di Gazzi e di Reg-gio; e perirono tutti tragicamente nel rigogliodella loro giovinezza. Sognavano forse in quel-l’ora le liete vicende dei dì futuri e li sorprese ilgelido abbraccio di morte!

Percorrendo quei luoghi di infinito doloreinvano li ho cercati, chiamati con l’ansia d’unasperanza fra il silenzio delle rovine. Ho rivedutole case loro, i loro istituti, dove – pochi giorni ad-dietro – vivevano una vita gioconda tra personeche li amavano e che condivisero con essi l’ulti-ma, terribile angoscia di morte.

Quei cortili, una volta tanto chiassosi dei lo-ro trastulli – ombreggiati da glicine e da platanisotto cui prosperavano le modeste aiuole primocampo dei loro sudori – or tacciono, ingombri dimacerie. E le case? Le belle aule scolastiche, ledivote cappelle, i dormitori ampi, puliti che rive-lavano il senso dell’ ordine che guidava gli amicinostri fin dai loro anni giovanili? Nulla piùesiste.

I muri abbattuti, o squarciati profondamen-te, lasciano vedere ciò che è successo: pavimentie tetti sono crollati e con essi travolti quegli ani-mi gentili...

Poveri amici scomparsi per sempre! Ne horiveduti alcuni, ancora composti sui rottami deiloro letti, sbalzati in giardino o sprofondati nellebuche al pian terreno, ricoperti delle propriecoltri: parevano dormire tuttavia i loro sonnitranquilli, nonostante la pioggia e la gragnuolache cadeva con violenza fra lo strepito assordan-te del tuono e il cupo rombo sotterraneo del ter-remoto che ad intervalli animava con un fremitorabbioso quelle rovine orrende. Una trave di fer-ro o un pezzo di muro, abbattutosi sui loro tene-ri corpi, li aveva uccisi e malconci prima cheavessero tempo di afferrare la realtà della situa-zione disperata.

I più sono scomparsi interamente sotto cu-muli di macerie: di essi non esistono tracce, masi sentono là sotto: il lezzo delle loro salme affio-ra la superficie delle rovine.

Un amico mi guidava in quel pio pelle-grinaggio e all’odore caretteristico di un ca-davere profferiva un nome, perchè egli conosce-va la disposizione degli ambienti. Io dal nomeprofferito conosceva i sepolti... ed ogni nome erauna stretta angosciosa al cuore e un risveglio diricordi: ogni nome strappava un’esclamazione dirimpianto e una preghiera di suffragio.

Anche oggi vi rammento, o amici così cru-delmente periti; e vi ricordo al buon cuore ditanti lettori, che voi pure amavate senza conosce-re, perchè, s’uniscano a me, ai vostri superiori edalle vostre famiglie superstiti per piangere la vo-stra morte immatura e per implorarvi dal Dio dimisericordia la pace eterna.

DD.. GGaarrnneerrii

IIll ““tteerrrreemmoottoo””

Dalla carta sismica, qui riprodotta, si rilevache il terremoto del 28 Dicembre 1908 ebbe ilsuo centro nello stretto di Messina.

La scala di Mercalli – ideata dal valorosissimosismologo italiano di questo nome – componen-tesi di 10 gradi in ordine decrescente, indica laintensità graduatoria della scossa, e ad un tempol’entità dei danni subiti dai paesi e città Sicule-Calabresi.

La linea della massima intensità (grado X)rinchiude i luoghi dove vi fu distruzione comple-ta (lei fabbricati con migliaia di vittime: cioèMessina, Reggio e i paesi da una parte e dall’al-tra dallo stretto. Invece la linea isosismica di IIIgrado passa per quei luoghi dove la scossa fu leg-giera. È evidente, come l’intensità del terremotodiminuì con grande rapidità intorno al suo epi-centro, tanto che a 15 km., in media, dal X gra-do, cessano le grandi rovine.

(Articoli tratti dal Periodico Quindicinale EducativoAnno VI - 1909)

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insieme16 insieme numero speciale

QQuuaall èè ssttaattaa llaa ccaauussaa??Non si può assolutamente indicare con cer-

tezza. Gli scienziati hanno varie teorie per spie-gare l’origine dei terremoti; ma oggi non sonopiù esclusivisti per una piuttosto che per un’altrateoria. Ben diceva P. Alfani: “dieci anni fa, tutti iterremoti erano d’origine vulcanica; oggi son tut-ti di origine tectonica: la scienza ha le sue mo-de!...”.

In tre modi principali gli scienziati spieganoil terremoto: colla teoria astronomica, con l’idro-meccanica, e con la tectonica, e queste tre teories’integrano a vicenda.

La teoria astronomica mentre può spiegarel’origine dei terremoti, però non può dare laspiegazione del perchè un terremoto avvenga inuna regione piuttosto che in un’altra della terra.

Nel 1900 Albrecht mostrò come l’asse pola-re della terra si sposti di giorno in giorno di unaquantità variante da un secondo a mezzo secon-do d’arco. Tenendo dietro a questo spostamentodel polo si trova che la frequenza dei terremoti

coincide col massimo e col minimo di tali oscilla-zioni.

Il più piccolo spostamento di posizione del-l’asse viene a produrre uno spostamento dellemasse mobili nell’interno della Terra, un disloca-mento interno o superficiale producente, in am-bo i casi, terremoti più o meno ampi.

Altri hanno trovato che la frequenza dei ter-remoti è in correlazione colle fasi lunari; gli anti-chi aspettavano il terremoto dopo un’eclisse disole e di luna.

La teoria idromeccanica spiega l’origine deiterremoti con l’infiltrazione delle acque attraver-so la crosta terrestre, la quale comunicando coni focolari vulcanici, per la grande tensione dei va-pori generati, produrrebbe un’esplosione od unterremoto violento, laddove, come avvenne ul-timamente alla Martinica, tali vapori non posso-no trovare uno sfogo per mezzo dei vulcani.

Questa teoria e convalidata dal fatto che tut-ti i centri sismici, meno uno, sono in vicinanzadel mare.

Carta sismica del terremotodel 28 dicembre 1908.

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insieme 17terremoto di messina 1908 insieme

I grandi terremoti dell’India e quelli che av-vengono alle basi dell’ Imalaia abbisognano tuttidi una spiegazione più ampia delle precedenti,spiegazione che viene trovata nella teoria tettoni-ca o di dislocazione, dovuta allo sprofondamen-to od allo scivolamento di grandi estensioni diterreno alla superficie del globo.

Siccome il nostro globo era un giorno allostato incandescente e per raffreddamento vennein seguito a coprirsi di una crosta opaca, conti-nuando la sua contrazione anche ai nostri giorni,nelle parti interne ancora fluide di essa: la scorzaterrestre deve necessariamente ripiegarsi, comeavviene in una mela appassita la cui corteccia di-viene rugosa; ed è ad un tal fatto che devesi l’ori-gine delle montagne.

Questi movimenti della scorza terrestre pro-ducono fratture più o meno profonde che gene-rano dei terremoti.

LLoo ssttrreettttoo ddii MMeessssiinnaa ee iill tteerrrreemmoottooUna di queste fratture esiste nello stretto di

Messina e l’ing. E. Cortese, che studiò quella re-gione, vi attribuisce la separazione avvenuta an-ticamente della Sicilia dalla Calabria.

Lo stretto, dunque è un punto debole, e leregioni attigue, anche prima che fossero abitatedall’uomo, erano soggette a notevoli movimenti,sia piccoli, lenti (bradisismi) sia bruschi e grandi(microsismi) e fin dove arriva la storia si ha il ri-cordo di terribili convulsioni telluriche.

Sono dunque gli orli di questa frattura che simuovono, ora in un luogo, ora in un altro, spo-stando e rompendo rocce e facendole vibrare.

Un fenomeno gravissimo per l’umanità av-viene allorché in tali dislocamenti l’acqua delmare incontra un focolare vulcanico.

L’enorme tensione dei gas cosi formatisi alcontatto dell’acqua con le materie in fusione,cercherà uno sfogo da qualche parte, per via diun vulcano che può esser anche lungi dal luogoin cui è avvenuta l’infiltrazione dell’ acqua, op-pure solleverà potentemente lo strato compattoche lo tiene racchiuso, il quale verrà scosso,producendo un terremoto od un maremoto.

Ora va appunto ricordato che sotto la concasismica attuale vi ha una caldaia sismica grandis-sima; ed i grandi volumi di lava eruttata dall’Et-na alla periferia della conca ne fan testimonian-

za. Alla stessa caldaia apparterrebbe lo Strombo-li, di guisa che un immenso focolare vulcanico sistende tutto al di sotto della conca sismica nelquale le acque marine talora sembran co-municare, come lo prova l’ebollizione di acquaspesso constatata presso lo Stromboli.

La grande tensione di vapori che non hannosfogo proporzionato alla loro potenza scuotonola conca, producono un dislocamento di roccia,un terremoto, un maremoto.

È quanto avvenne il 28 dicembre scorso. Al-lora l’urto fu possente e lo sbalzo delle onde re-pentino; queste, sia per le vibrazioni, sia per l’ur-to diretto avuto dalla scossa sottomarina, si pre-cipitarono con efferata violenza sulle coste riti-randosi poscia con velocità.

IIll mmaarreemmoottooIl prof. Riccò, dall’osservatorio di Catania,

asserisce che il maremoto ha colpito le coste sici-liane sul tratto Siracusa-Messina-Termini Imere-se e le Calabresi da Scilla a Gerace.

A Villa S. Giovanni l’acqua si è innalzata ametri 3,80; a Reggio, 3,25; a Melito, Pellaro eLazzaro anche di più; a Messina 2,30; a Giardini6,00; a Riposto 3,00; a Catania 2,70.

Il dott. Graevenitz, dell’Istituto geologico diVienna, scandagliando lo stretto dopo il terre-moto, vi ha trovato grandi variazioni nel fondo,prova questa che nello stretto, fra Messina e Reg-gio, vi è stato un grande sconvolgimento, proba-bilmente movimento, frattura di rocce, chegiustificherebbe l’ipotesi di un movimento dellaclassica frattura dello stretto.

La costituzione del sottosuolo e del suolodelle spiagge di queste regioni, che è alluvionale,e perciò incoerente, ha facilitato le fratture, ed ilmovimento sussultorio sicuramente vi ha pro-dotto la compressione del terreno e quindi l’ab-bassamento della sua superficie a quella degliedifici sovrapposti. Possono anche il terremotoed il maremoto, guastando i sostegni, aver fattoscivolare in mare la parte più avanzata dellaspiaggia, cosicchè ne sia seguito il cedimentodell’altra più interna; ma l’ampiezza e l’estensio-ne di tali cedimenti, che è così grande, fa pensa-re ad una causa maggiore, cioè un vero abbassa-mento brusco delle coste.

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insieme18 insieme numero speciale

DDuunnqquuee??Gli scienziati propendono a considerarlo di

natura tectonico; ma non è improbabile che viabbia avuto parte anche un fenomeno vulcanico.Perchè anche il vulcanismo ha strette relazionicolle grandi dislocazioni degli strati della cortec-cia terrestre. Fra i terreni così dislocati si apro-no strada più profonda le infiltrazioni delle ac-que a favorire le reazioni chimiche da cui nasco-no poi le alte temperature, la scomposizione del-le rocce ecc.

Vulcanismo e terremoto si collegano ad unastessa condizione della corteccia terrestre, hannoquindi comune l’origine, anche senza avere talo-ra nessuna dipendenza nelle loro manifestazioni.

In ogni fenomeno sismico vi hanno una cer-ta partecipazione anche le forze elettriche. Neltremendo risveglio della mattina del 27 dicem-bre, persone degne di fede assicurano di aver vi-sto sull’orizzonte una luce come di aurora borea-le rapida come il baleno e sentito come un soffiodi vento accompagnare il principio delleconvulsioni del suolo: ciò fu osservato a Riposto,a Taormina, a Messina, ad Ali, a Reggio, ed in al-tri siti, colpiti dal disastro. Indizi di elettricità:benchè il prof. Colletti dia una spiegazione di-versa e non meno probabile.

Il maremoto si spiega come conseguenza del-la frattura che dallo stretto di Messina si prolun-gò sul mare Ionio. Questa spaccatura, del resto,ha dovuto emettere i soliti gas, ha fatto sprofon-dare o innalzare il fondo del mare come un lun-go cratere sottomarino dal quale i vapori ignei,per un momento, han dato colori di fuoco allacosì detta nebbia asciutta, che è quella sostanzavaporosa, pesante, densa che si forma, sintomoprecursore dei terremoti. In tal modo si com-prende come le materie e i vapori in stato di fu-sione ignea emessi dalla enorme spaccatura ab-biano ucciso una immensa quantità di pesce, dal-l’onda gettata poi sulla spiaggia di Riposto, Giar-dini, ecc.

II.. BBoouurrggnniinn

LLaa vviissiioonnee ddii MMeessssiinnaa ddiissttrruuttttaa

È una descrizione profondamente vera edespressa con efficacia. Chi ha visto Messina di-strutta, riconosce in queste pagine del valorosoBarzini le proprie impressioni di terrore e di im-mensa commozione, che lo hanno atterrito e com-mosso sugli avanzi del più grande disastro che lastoria ricordi. Crediamo di far cosa gradita ai no-stri Lettori, riportandola quasi integralmente sul-le colonne dell’Amico della Gioventù, perchè ab-biano un’idea meno imperfetta della sventura cheha colpito questa terra.

Ricordo altre volte in cui passai di qui. Que-sto mare era pieno di vele, e Messina bianca, su-perba, sfolgorante al sole adagiava lungo laspiaggia la orgogliosa fila dei suoi grandiosi pa-lazzi, adorni di archi di portici, una delle più bel-le fronti di città marine. Messina offriva ai navi-ganti una visione magnifica di opulenza e di ga-iezza; arrivava al largo il lieto vocio del suo por-to operoso, si scorgeva lungo le banchine il bru-licare della folla; era una di quelle città-sirenenelle quali si sente il desiderio di approdare ve-dendole dal largo.

Ricordo una volta, tornando da un viaggio inPalestina, di aver attraversato lo stretto di sera;una sera tranquilla di autunno. Messina splende-va di luci e la processione regolare dei suoi fana-li lungo la marina indicava la via del passeggio.Gli echi lontani di un concerto si spandevano sulmare fino alla nostra nave e noi, ascoltando conun senso di nostalgia della terra, immaginavamola folla gaia per la quale quella musica suonavafra le palme del giardino pubblico.

Queste rimembranze mi tornano, mi assal-gono, mi commuovono mentre la Sardegna, im-boccato lo stretto, si dirige al porto e l’orrendospettacolo della Messina morta si svolge ai mieisguardi con lugubre solennità!

Non riesco ad avvicinare la spaventosa realtàd’oggi al ricordo che ho di questi luoghi. Pensoche la Messina che io vidi non la vedrò mai più.Sorgerà una nuova città, sarà forse più bella; masarà un’altra. Quella che ho impressa nella me-moria non è più che un sogno, non è che una vi-sione scomparsa, non ha più solidità di un deli-rio; è finita per sempre.

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insieme 19terremoto di messina 1908 insieme

Questo è stato il primo pensiero angosciosoche mi ha assalito: una pietà infinita per la cittàstessa, morta così, senza quella grandiosa agoniache precede sempre la fine delle città: morta in32 secondi, schiacciata come se un piede titanicosi fosse posato su di lei...

Dove Messina si prolungava in ridenti sob-borghi, non esistono più che ruderi, dodici chi-lometri di ruderi; non un segno di vita. Ogni tan-to qualche casa che giganteggia sulle rovine pareintatta e attira lo sguardo che cerca un ritroso fratanto orrore; ma è una facciata in piedi avanti amacerie informi, una maschera dalle occhiaievuote; delle chiese non rimane che l’abside bian-ca simile ad una nicchia gigantesca.

– Guardate! Guardate! dei morti; – passaquesto grido a bordo; corriamo dalla parte indi-cata.

– Qui, qui sotto! Guardiamo: due cadaveriche, chi sa per quale simpatia da morti, gal-leggiano vicini, ondeggiano presso alla nave gon-fi, orrendi, cullati dalla agitazione della nostrascia. Arrivano dunque fino qui i morti?

Un capitano messinese ci dice che a decine icadaveri sono stati gettati dalla marea sulle sab-bie del Faro perchè, dopo che la terra ha com-

piuto la strage, il mare ha voluto la sua parte. Lamostruosa ondata che seguì il terremoto spazzòintieri villaggi.

***Dalla riva non giunge un rumore: Messina

non tumultua più, non grida più, non piangepiù, si è composta in un silenzio spaventoso.Contro alle rovine si ergono formidabili e foschiprofili di navi da guerra: e navi da guerra inglesie americane sono ormeggiate al largo, torpedi-niere nere filano a tutto vapore per missioniignote. Si ha l’impressione di un immenso spet-tacolo di guerra, di una città rasa al suolo daibombardamenti, annientata, di un passaggio ma-rittimo preso e custodito da squadre poderose.

Qualche facciata di palazzo è rimasta in pie-di lungo la marina con delle finestre sfondate egli stipiti anneriti dagli incendi; ma dietro allafacciata è uno sfacelo. Sono delle apparenze, co-me quinte da teatro tenute in piedi per nascon-dere gli orrori della distruzione. A chi sbarca pa-re che il terremoto abbia avuto una specie di pu-dore nel suo delitto.

Mi rendo conto dell’errore di un grande pi-roscafo che, ignaro della catastrofe, andò l’altroieri per sbarcare a Messina un carico di rimpa-trianti e soltanto quando fu entrato nel porto is-sando le bandiere si accorse che Messina nonc’era più. Si sollevò improvvisamente dal pontedella nave un urlo alto di orrore e la nave atter-rita si gettò macchina indietro a tutta forza, uscìdal porto e fuggì.

Sbarcando mi sono sentito alitare per la pri-ma volta sul viso dalla città disfatta l’orrendoodore dei cadaveri, un lezzo indimenticabile, pe-netrante, caratteristico, accorante, che vi richia-ma di colpo alla memoria tutte le più atroci sce-ne di morte alle quali avete assistito e che evocaimprovvisamente una visione di volti lividi osses-sionante.

Le banchine di approdo sono ora a fiore diacqua ed erano invece tre metri alte sul mare; leondate più grosse invadono la strada che, taglia-ta in lungo da ampie fenditure, ha rovesciato ver-so il mare carri e grue, carichi di merce. Fra lefenditure minacciose delle facciate ancora in pie-di passano squadre di soldati, file di marinai in-glesi, italiani, americani e mi è sembrato di ri-trovarmi per un istante nella occupazione inter-

Messina-S. Luigi: Collegio Salesiano.Ciò che è rimasto della facciata. – In fondo, nell’ango-

lo dei due bracci, si scorge un tratto della terrazzacrollata al di là del muro. Le macerie del cortile for-

mavano una volta il muro esterno del secondo piano,crollato interamente, con numerose vittime di alunni

che dormivano nel camerone ivi esistente.

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insieme20 insieme numero speciale

nazionale delle rovine di Tientsin. Sui cumuli dimacerie che hanno cancellato persino la tracciadi alcune strade, il passaggio delle truppe hatracciato strani viottoli primitivi, che scendono,salgono, serpeggiano, intorno ai ruderi, sentieribizzarri e sinistri minacciati da muri che penzola-no, da travi stranamente sospese e nei quali sipuò dire che la morte è sotto ai piedi e sulla testa.

***Veramente le morte è per tutto e diventa fa-

miliare; se ne parla con serenità, vi si vive vicinosenza ribrezzo. Vi sentite indicare: «Qui sottosono sepolte quindici persone; qui venticinque;là era una caserma di guardie di finanza e vi so-no duecento cadaveri.

La morte entra in tutti i discorsi come il suofetore entra in ogni rifugio.

Sotto ad un arco rimasto del palazzo mu-nicipale, appena sbarcato, ho visto quattro sol-dati, due dei quali terminavano di chiudere unagrossa cassa posta sopra un carretto e gli altridue mangiavano del pane dando una mano. Era-no sporchi, avevano lavorato fra le macerie.

– Che ci è li dentro? – ho chiesto.– Un principe con la sua moglie. Qui era il

suo palazzo. Li abbiamo tirati fuori adesso.– Come si chiamava? – ho domandato.– Il principe di Santa Margherita. La cassa

partirà per Napoli.Avendo compiuto il lavoro i due soldati si so-

no attaccati al carretto che gli altri hanno spintosbocconcellando il loro pane e si sono allontana-ti sotto la pioggia per la via sconnessa.

Poco lontano un gruppo di marinai inglesilavorava a scavare un ammonticchiamento di ro-vine.

– Chi cercate?– Cerchiamo la moglie e la figlia del console

inglese, che vivevano qui.– Sieti sicuri di trovarli?– Si; già si sente il puzzo.Tutto questo è detto con indifferenza, non

per dispregio, ma per familiarità colla morte.Anche i superstiti cominciano a parlare con stu-pore più che con strazio dei loro morti, ed è conaria attonita che dicono cose le quali vi fendonoil cuore. Hanno provato emozioni troppo violen-te e subitanee per avere ancora dell’energia neldolore. Il numero enorme di pazzi indica qualespaventosa prova abbia subito l’anima di questiinfelici e spiega gli orrori che hanno seguito lacatastrofe, perchè in questi momenti di crisi su-preme un popolo dà, in poche ore, tutto il benee tutto il male che ha in sè: crudeltà, cupidigia,egoismo, devozione, eroismo, escono all’aperto.

***Nell’istante della catastrofe, così spaven-

tevole che non si può immaginare, perchè supe-ra i confini della fantasia umana, Messina deveavere presentato l’aspetto di una burrasca di ca-se. Le vaste città osservate dall’alto richiamanosempre alla mente il vecchio paragone di un ma-re di case...; ebbene qui, quel mare ha avuto del-le ondate giganti, ha per mezzo minuto agitatodei marosi. I palazzi debbon aver subito oscil-lazioni più ampie di quelle che tormentano le na-

vi sulle creste di unoceano in tempesta.Non è possibile figu-rarsi questo titanicosconvolgimento dimuraglie, di tetti, dipavimenti, di colon-ne, di archi, di lastri-cati se non si è com-piuto un indimenti-cabile, ossessionantepellegrinaggio fra lemacerie. Le cifre, idati, le notizie nonbastano a darne unaidea; bisogna aver vi-

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insieme 21terremoto di messina 1908 insieme

sto. Dire che tutte le case sonocrollate è poco. Vi sono segnievidenti che certi muri, chedei balconi, delle intiere frontidi palazzi sono stati lanciativia, spinti in direzioni straneda impulsi formidabili e in-concepibili. Molti caseggiatihanno addiritura sparpagliatointorno e lontano i loro brani,hanno mescolato le loro rovi-ne a quelle di edifici discosti,hanno frammisto macerie,suppellettili cadaveri in unammucchiamento fantastico,orrendo, grandioso. Si è crea-to al posto della città un pae-saggio atroce fatto di cumuli calcinosi, di ruderi.Spesso le vestigia di una via sono date soltantoda qualche angolo di edificio rimasto eretto, daqualche fetta di facciata pericolante colle impo-ste divelte, le cortine delle finestre sventolanti,con vasi fioriti ancora incastrati nei davanzali.Alcune case da lontano sembrano intatte; ma av-vicinandole ci si accorge che non hanno che lequattro fronti screpolate, gonfie, minacciose,chiudenti le completa rovina dell’interno crolla-to; fronti che pare stiano a guardia della lorostrage perchè stanno per cadere e ad ogni istan-te i massi crollano dalle loro creste come per te-nere lontana la pietà degli uomini. Altri pezzi diedifizi si sono appoggiati uno all’altro sostenen-dosi. Alcuni ruderi sottili rimangonomiracolosamente eretti sulle rovine quasi per in-dicare l’altezza dei palazzi scomparsi.

Ed è infinitamente pietoso leggere sui tantiavanzi le traccie di una vita tranquilla ed intima.Di molte case è crollata una parete soltanto e gliappartamenti si mostrano aperti come scene diteatro, narrando la loro storia; tavole ancora ap-parecchiate in piccole sale da pranzo, piene diordine e di pace, camere da dormire con letti di-sfatti, abbigliamenti femminili gettati sulle sedie,eleganze e miserie, vite di ricchi e vite di poveri,forse troncate insieme, sono ricordate così.

Si vedono ambienti sventrati che pare aspet-tino ancora chi li ha creati, abitati ed amati, conalle pareti ritratti e ricordi cari a genti che furo-no. Vento e pioggia penetrano in angoli intimi,

arredati con affetto, ed alle intemperie sbiadisco-no fotografie di persone che sorridono.

***Singolare il rispetto che il cataclisma ha avu-

to per tante piccole cose. La convulsione che hasquassato ed atterrato costruzioni gigantesche,ha spesso lasciato al loro posto stoviglie, bibelots,lampade, libri.

Ogni cosa che si vede commuove o fa inor-ridire. Si rimane attoniti e storditi ; si passa attra-verso ad emozioni troppo intense, si vive in unincubo spaventoso. In certi momenti ci si do-manda se tutto ciò è vero, se non si è vittime diuna folle angoscia, se è possibile che questa im-mane esecuzione sia avvenuta in molti luoghi; losconvolgimento caotico è tale che non si riesce acapire la posizione che avevano le case crollate;per tutto le macerie hanno seppellito le antichestrade a profondità che sembrano talvolta inve-rosimili. Passando sui bizzarri ammon-ticchiamenti di rottami si può spingere lo sguar-do attraverso a finestre rimaste dei secondi pia-ni; balconate di ferro contorte, sporgenti daavanzi di facciata, ingombrano talvolta il passo;si cammina su oscillanti macigni di muratura, cisi arrampica fra travi, si calpestano poltrone, let-ti, tavole infranti, cuscini insanguinati, indumen-ti, trine, stoffe, oggetti di ogni genere usciti dal-le case sventrate e che fanno anche essi pietà; ilpasso intralcia negli aggrovigliamenti dei fili elet-trici e spesso bisogna crearsi un passaggio,

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insieme22 insieme numero speciale

ascendere su colline di rottami che erano palaz-zi, studiare i punti praticabili, tornare indietroper cercare nuove uscite. E si è sopraffatti talvol-ta dalla paurosa impressione di rimanere senzascampo, prigionieri di quella desolazione fune-bre. I muri pericolanti pare che vi blocchino e viaspettino al varco.

Il silenzio è assoluto, angoscioso e il fetoredei cadaveri filtra dalle macerie accorante. In ta-le quiete di morte ogni piccolo rumore vi fa vol-gere sussultando: ora è un sasso che cade e rim-balza fra i rottami, ora è qualche uscio sganghe-rato, rimasto in alto, ed una porta che nessuno

varcherà mai più, e che, mosso dal vento, gigolae sbatte. Si ascolta trasalendo, si cerca l’originedel rumore più piccolo con un ansia indefinibile,tanto sorprende ogni parvenza di vita nella vastasolitudine di questo cimitero. Spesso sopra deiruderi si scorge all’improvviso qualche cosa chesi muove tacitamente. Ci si ferma e si guarda co-me aspettando un prodigio. È il vento che agitadei panni bianchi stesi ad asciugare fuori di qual-che balcone prima che la città morisse e che orabattono l’aria erme per un disperato segnale dinaufragio; o sono grandi lembi di tappezzerieche la pioggia ha distaccato dalle pareti dirupate

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insieme 23terremoto di messina 1908 insieme

e che ogni soffio d’aria fa sollevare con frusciisommessi.

A poco a poco tutto prende un aspetto terri-bile intorno a voi, l’aria pura e la vita socialesembrano beni lontani, felicità inefferrabili. Visentite l’anima schiacciata dal peso dell’immanecatastrofe e si è invasi da un senso di annichili-mento più profondo.

***Ho girato per le rovine non sapendo dove,

sperduto in quello immenzo labirinto della mor-te, così grande che ho percorso lunghe migliasenza trovare la fine, senza rivedere il mare e ilverde della campagna; ho girato fino alla sera inquel sinistro, atroce deserto, così vario e cosìuguale. Passavano di tanto in tanto piccole caro-vane di soldati in fila per sentieri pericolosi, mu-niti di alpenstocks, attenti ad affrettare il passo,rasentando i muri pericolanti come per non far-si sorprendere da nemici; negli spiazzi dei picco-li corpi di guardia bivaccavano intorno a fuochialimentati con dei libri e con dei pezzi di mobili;erano soldati incaricati di vigilare i luoghi ove sonsepolti dei valori. Il saccheggio non ha paure.

Giungo, avanti ad una grande chiesa di-roccata. È la cattedrale. Essa aveva resistito atanti terremoti dal dodicesimo secolo, in cui fufondata, ma ora la facciata di marmo è crollata inavanti ed ingombra la larga piazza dei suoi fran-tumi delicatamente scolpiti e sul muro ancoraeretto sono rimaste scoperte le antiche sagomenormanne. La grande croce di ferro che ornavala sommità del timpano è stesa in terra con le suegrandi braccia aperte, quasi un’immensa furiaiconoclasta l’avesse scaraventata lontano; la vol-ta, la cupola, e l’abside coperte di preziosi mosai-ci bizantini, tutto è caduto e, attraverso agli am-pi finestroni ogivi della navata, passando si scor-ge il cielo. Le sagrestie sono pure crollate e sullepareti rimaste in piedi, grandi ritratti di prelatibenedicono.

Per una feroce ironia, due colossali statue dicartapesta rappresentanti un re moro e una regi-na a cavallo – informi e grotteschi che rammen-tano le bizzare divinità cinesi, statue che si por-tavano in processione per le strade una volta al-l’anno, cerimonia avanzo di chissà quale solenni-tà saracena – sono intatte. La spaziosa rimessanella quale erano custodite ha resistito al catacli-

sma. La tradizione vuole che quelle statueraffigurassero i fondatori di Messina. Della Mes-sina scomparsa è così rimasto solo questo stranoe fragile simulacro della sua nascita.

Molti cadaveri si scorgono qua e là, distesiancora sui letti ove hanno dormito l’ultimo son-no, oppure caduti nella fuga. In un andito aper-to due corpi di donna abbracciati imputridisco-no. Altri cadaveri giacciono in punti inaccessibi-li o pericolosi. Ad ogni momento bisogna torce-re lo sguardo dallo spettacolo orrendo di nuditàlivide e gonfie.

***Il più grande numero dei morti è sulle vie; la

maggiore strage è stata di fuggiaschi. I superstitiraccontano d’aver visto le case abbattersi sullestrade gremite di popolo seminudo, che fuggivain terrore.

Messina-S. Luigi: Collegio Salesiano.Come sono stati ridotti il camerone del primo piano e

il teatrino del pian terreno, situati dietro la facciata.E sono gli ambienti che meno hanno sofferto...

Tutti gli alunni della camerata al primo piano si sonosalvati (tranne uno), ma gli assistenti che dormivano

all’estremità sono periti, travolti dalle macerie.

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insieme24 insieme numero speciale

– Urlava la gente correndo – mi ha detto unadonna raccontandomi la fuga – ma il rumore del-le case che crollavano era più grande di milletuoni e di mille cannoni.

Quando si scaverà si troveranno migliaia dicadaveri a masse, tutti caduti per lo stesso versocome biade falciate.

In un luogo le macerie ancora fumano: trac-cio di incendi sono ovunque. Al fetore della pu-trefazione si mescola l’odore speciale della robabruciata. Chissà per quale tremenda complicitàdi sciagure, il fuoco segue quasi sempre il terre-moto. Tutti gli elementi pare si avventino.

Anche molte rovine di Reggio si dice sianobruciate. Le due rive dello stretto, nella spaven-tosa notte del 28 dicembre, illuminate dallefiamme, dovevano presentare alle navi al largoun indescrivibile spettacolo di orrore.

Non so perchè, la mia mente si accanisce, inun’ossessione piena d’angoscia ad evocare que-ste scene spaventose, che dovremmo di-menticare per concentrare meglio le nostre vo-lontà e le nostre forze al risorgimento delle re-gioni colpite dal cataclisma. E vorrei pensare adaltro; ma il ricordo di quel che ho visto è troppovivo, presente, straziante e ad una ad una le or-rende cose mi si pre-sentano al pensiero con lapaurosa esattezza di visioni persecutrici.

LLuuiiggii BBaarrzziinnii

JJUUVVEENNIILLIIAAIIll rreessooccoonnttoo ddeell rreeddiivviivvoo

Si sparge una clamorosa notizia per la città: icarabinieri hanno estratto vivo un uomo dopo14 giorni di sepoltura.

Corro subito a bordo del Savoia, dove sareb-be stato trasportato il redivivo. Entro nell’infer-meria – vi sono quaranta feriti assistiti dalla ba-ronessa De Coza e dalla signorina Bersani, dueumili angeli di carità – e vengo indirizzato versoun lettuccio. L’ uomo è lì, il fenomeno mi sta di-nanzi. È una figura maschia di operaio, abbruni-ta dalla barba nera. Due occhioni lucidi gli scap-pano fuori dalla benda che gli fascia la fronte. Miparla:

Messina-S. Luigi: Collegio Salesiano.Il lato opposto alla facciata: è stato interamente

distrutto. Ivi erano il refettorio (pian terreno),scuola e studio (primo piano), e dormitorio

al secondo piano.Il muro esterno si ripiegò tutto d’un pezzo nel

giardino, e i due piani sprofondarono: i dormientifurono tutti sepolti, tranne due assistenti e tre alunni.

Oltre i muri dello sfonfo era la cappella,un dormitorio e la terrazza; tutto andò distrutto!

– Bon giorno, vo’ scienza.– Come stai? Il tuo nome?– Sto bene, bene. Sono Bensaia Benedetto e

facevo il macellaio.I medici sono sorpresi di questa parlantina.

Gli hanno somministrato un brodo e del made-ra; non son capaci di farlo tacere.

– Dunque deve sapere che abitavo in viaCentonze, ove tenevo bottega. Il giorno 28 m’ero alzato, come sempre, alle 4,45 e con me miamoglie e i tre bambini. Apro il negozio, accendoil gaz, vendo un chilo di carne ad un soldato e mimetto a fumare sulla soglia. Sentivo il mare cheballava rumorosamente, ma non ne feci caso.Mia moglie stava dietro il banco con due ragaz-zini. Mimo, il più piccolo di due anni al quale vo-

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insieme 25terremoto di messina 1908 insieme

levo tanto bene, giocava col gatto ai miei piedi.Ad un tratto il cielo si spacca e viene su l’infer-no. Non so che cosa sia avvenuto. Ho sentito unurlo disperato di mia moglie e faccio per lanciar-mi verso di lei, ma non posso. Siamo divisi dauna montagna di calcinacci. La chiamo: – Con-cetta! Concetta! Ciccillo! Pasqualino! Nessuno,capisce, mi ha risposto. E non potevo vederli. Aipiedi mi scorreva del sangue caldo; il loro, il lo-ro... Stavo incastrato, senza potermi muovere:davanti alla porta c’era un’altra montagna di mu-raglia rotta, dalla quale ho visto venir fuori unuomo. L’ho chiamato, non s’è nemmeno volta-to....

– Come facevi a vedere?– Attraverso uno spiraglio piccolo, piccolo.

Urlai, urlai due ore, tre, cinque. Nessuno mi in-tese. Poi sono caduti altri muri e non potei piùvedere. Mi sono accorto allora d’avere sulle gi-nocchia Mimo, che domandava della poveramamma sua, morta li vicino. Poveri noi!...

E continuando con parole rotte dai singultisi sottopone volentieri al mio crudele interroga-torio.

Avevo comperato per Natale una scatola difichi meravigliosi: dolci come un bacio. Tutte lemattine ne prendevo uno e lo davo a Mimettoperché stesse bono. Anche quel mattino e per unaltro ancora, l’angioletto mi ha ripetuto: – Papa,e dammi il fico! Immagini lei con quale strazio iomi sentivo tagliare il cuore. Mi frugai in tasca: te-nevo un mozzicone di sigaro e quattro confetti.Con questi dolci lui e con il tabacco io abbiamovissuto due giorni. Al mattino del terzo mi scos-si di soprassalto: – L’ amor mio moriva, me losentivo raffreddare lentamente. Gesù, Signore!Mi sentivo scoppiare la testa! Urlai ancora dispe-rato: niente! In uno sforzo supremo raccolsi tut-ta l’energia rimastami e mi cacciai tra legno e le-gno verso un quarto di bue. Non ho potuto arri-varlo. Vede questa ferita al capo : è stato un chio-do, che nello slancio non avevo visto.

– Sei poi vissuto senza mangiare?– No, signoria. Con un pezzo di legno pun-

zonavo la coscia di bue, strappando via qualchebriciolo. Cosi vissi tanti giorni in mezzo ad ariache puzzava del sangue mio andato a male. Po-veri noi, signoria, poveri noi!

Stamattina avvoltolavo, alla meglio, nella mia

II ttrree ffrraatteellllii

L’immensa tomba ha dunque restituito anco-ra tre vite, dopo averle celate per 18 giorni!

Una madre con quattro figli era rimasta se-polta viva sotto alle rovine di un palazzo in viadel Purgatorio a Messina. Vivevano in una came-ra al piano terreno: le macerie dei piani superio-ri si sono accumulate in modo da nasconderecompletamente le basi delle case in un affastella-mento gigantesco di travi, di calcinacci e di mat-toni che si riversa a frana sulla via. Molti edificisono crollati in questo modo, si sono trasforma-ti in fantastiche alture, in monticoli di detriti e dirottami. Appaiono non soltanto abbattuti, matriturati ed i frantumi sparpagliati intorno.

Avvenuta la catastrofe, una parte della came-ra dove la piccola famiglia si trovava è crollata.La madre è rimasta ferita alla metà del corpo;più che ferita, compressa, immobilizzata, ma,fattosi il silenzio, la poveretta con voce debole hachiamato per nome i figli: tutti hanno risposto.Allora essa li ha incoraggiati, ha detto loro paro-le di conforto. Poi si è lamentata; ma sempre piùflebilmente, poi ha taciuto e la sua voce non si èintesa più.

***I figli si sono stretti insieme e sono rimasti

tanto tempo immobili. Chi sa quanto! Hanno

giacca il cadaverino di Mimetto e recitavo il ro-sario, rassegnato a morire. Sento una voce dal-l’alto che chiama; rispondo con un gemito, le ta-vole scricchiolano e si impolverano, accecando-mi. Che succedeva non lo so. Mi sono rivedutosu una barella in faccia al mare: ero vivo, sonosalvo.

Il disgraziato m’afferra una mano e la bacia,lieto di essersi sfogato, d’aver ripetuto a sè stes-so, agli altri che non è morto, ma vive e sta bene.Crede talora di vivere nel sogno e poi sorride diuna felicità infantile.

Uscendo dall’ospedale il comandante del Sa-voia – rude e mite uomo di mare – si terge unalacrima e mi fa osservare che tutti gli ammalati,piangono: si erano sollevati sui letti ad ascoltareil racconto del redivivo!

CC.. AA.. FFrraattttaa

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insieme26 insieme numero speciale

avuto dei sogni che dovevano essere letarghi. Inquelle tenebre hanno perduto la coscienza deltempo. Erano un bambino di dieci anni, unabambina di dodici e una ragazza di ventun anno.La maggiore Natalina, non ha abbandonato glialtri neppure un istante: ha tenuto fra le bracciai più piccoli con un affetto da madre che sentaun pericolo tutt’intorno, un pericolo ignoto eimminente.

A poco a poco si sono abituati alla loro pri-gionia: hanno avuto fame, hanno avuto sete e,brancolando tutti uniti nell’angusto spazio, han-no rinvenuto un grosso pacco di fichi secchi cheavevano ricevuto due giorni prima in regalo peril Natale; hanno trovato delle cipolle ed il tinoz-zo dell’acqua nella quale, rompendosi, uno zirodi olio aveva riversato il suo contenuto. Si sonosfamati, si sono dissetati e nell’olio hanno avutoun disgustoso, ma efficace alimento. Dopo uncerto tempo, tastando ed esplorando, hanno tro-vato alcune bottiglie di Marsala, avanzo delle fe-ste natalizie.

Era la sorella maggiore che distribuiva cibi ebevande. Essa assisteva gli altri, regelava la vitain quella orrenda sepoltura, come avrebbe diret-to la casa. La bambina minore si era ammalata enon parlava quasi più. Passavano lunghi, indefi-nibili periodi di tempo ascoltando immobili,sentendosi soffocare da un fetore cadaverico.Udivano gli ululati lunghi delle sirene dei vaporinel porto e dicevano: “Dio! Perchè non pensanoa noi? Perchè nessuno si cura di salvarci?” Essi,come tutti coloro che sono rimasti sepolti, nonavevano coscienza della distruzione della città,credevano che soltanto la loro casa fosse caduta;il grande silenzio che era intorno lo scambiavanoper la notte, una notte tanto lunga. Qualche mo-mento udivano un rumore lontano di passi e divoci. Gridavano allora, ma i passi e le voci siallontanavano o svanivano e quel tremendosilenzio di una notte eterna ritornava assoluto.Una volta capirono queste parole dette con ecci-tazione da una voce maschia: “Aggio fatto seichilometri...” Non capirono il resto. Chiamaro-no, ascoltarono; la voce si era fatta quasi imper-cettibile nella distanza.

***Dopo molto tempo trovarono una cosa pre-

ziosa, una scatola di cerini. Ne accesero uno, poi

con la carta nella quale erano involti i fichi fece-ro una specie di torcia e alla sua luce vollero ri-vedere la madre. Videro le sue gambe livide. Latorcia languì, si spense ed essi rimasero di nuovonelle tenebre con quella orrenda visione e pian-sero.

Ad un certo momento – forse dopo ore, for-se dopo giorni – udirono sibilare il vento che siincastrava nelle macerie e parve loro di sentirlopenetrare dalle fenditure di un grande armadio.Alla luce di un fiammifero sgombrarono l’arma-dio, che era pieno di vestiti e di biancheria. Dell’aria penetrava, infatti, fra le tavole del fondoschiodate. Riuscirono ad abbatterne due. La pa-rete dietro all’armadio era caduta, ed essi curvi,carponi fra le macerie, poterono passare in unandito che comunicava col portone della casa. Inalto era un’apertura. Sperarono comunicassecon l’aperto e vi passarono la estremità di unacanna strappata alla incannucciata di un soffittocrollato. Alla canna avevano annodato un bran-dello di camicia e lo agitarono così lungamenteperchè la gente libera, la gente felice vedessequel segnale di naufraghi. Ma fu inutile. Essi agi-tavano il loro disperato segnale in una cieca cavi-tà, della rovina.

Cercarono una via di scampo. Piano piano,strisciando fra blocchi di muro rovesciati, trova-rono un’altra parete dell’andito caduta, penetra-rono dove prima esisteva un negozio di cordaioappartenente ad un loro zio. Il soffitto del nego-zio, caduto ad angolo, lasciava un passaggio, uncunicolo, per il quale raggiunsero una scalettache comunicava con un mezzanino; ma il mezza-nino era crollato e la scaletta bloccata dalle ma-cerie.

Cominciarono allora a sgombrarla sasso persasso. Accendevano un fiammifero di tanto intanto. Lavoravano finchè erano sfiniti: per bererifacevano tutta la strada fino alla tana ove giace-va la madre morta.

La sorella grande guidava il lavoro: il fratelli-no Francesco si spingeva avanti arditamente.Doveva avere acquistato l’istinto e la prudenzadi un animale sotterraneo, quel fanciullo. Non silasciarono mai. Dormivano addossati uno all’al-tro si confortavano, si baciavano, sostenuti dallaincoscienza e dalla vitalità giovanile.

Viveri e bevande finirono. Gl’infelici co-

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insieme 27terremoto di messina 1908 insieme

minciarono a soffrire gli atroci tormenti della fa-me e della sete e la sorellina minore morì. I su-perstiti composero il suo cadavere e continuaro-no a scavare.

All’improvviso da una pietra smossa è giun-to fino a loro un barlume di luce bianca, debole,filtrata fra degli interstizi: era luce del giorno, eral’aria aperta, era la vita. Il piccolo Francesco èriuscito poco a poco ad aprirsi un varco bastan-te per il suo corpicino ed è venuto fuoriinsinuandosi fra i blocchi di muro oscillanti cheminacciavano di rinserrare l’angusta via di sal-vezza. Si è trovato sulla sommità, di un cumuloenorme di macerie. Splendeva il sole. Egli ha vi-sto avanti a se la vecchia chiesa del Purgatoriosventrata; intorno non più case, non più vie, maun deserto di rovine. Messina era scomparsa, edè rimasto li rannicchiato, tremante, quel piccoloessere atterrito, annichilito, senza osare di muo-versi, di cercare un aiuto che forse nella sua pic-cola anima ha creduto oramai impossibile.

Come deve essersi sentito solo quel bambinoad un passo dalle sorelle sepolte!

***Questo avveniva, il 15 gennaio alle otto, os-

sia diciotto giorni dopo la catastrofe, e non èpassata un’ora che delle voci umane hanno ri-suonato nel silenzio e due guardie di finanza, ilmoschetto a tracolla sotto alla mantellina, si so-no avvicinate percorrendo quella che una voltaera la via, con l’andatura incertae lenta di chi si arrampica per unsentiero alpino e cerca i punti si-curi dove posare il piede. Allorail bimbo ha gridato: Correte!

Questo grido alle guardie èsembrato un lamento; si sonofermate; hanno guardato; nonhanno visto niente perchè ilbambino era coperto di polvere,era sporco di maceria ed aveva ilcolore della maceria.

– Correte! – ha ripetuto.Lo hanno scorto.– Che fai qui – gli hanno chiesto iner-

picandosi fino a lui. – Che sei venuto a fare qui.Forse lo avevano preso per un ladruncolo.– Ci sono le mie sorelle: aiutateci ! – ha ri-

sposto – Sono qui dentro.

Una guardia ha osservato : “Eh! ci sono tan-ti morti...”

– Oh, no; le mie sorelle sono vive. Aiutateci!– Vive?! – hanno esclamato le guardie incre-

dule.Vi sono tanti pazzi e tanti allucinati fra i pro-

fughi!Chinate sull’angusta apertura, hanno gri-

dato: “Ehi!”Una voce sotterranea, una voce femminile,

dolce ha risposto: “Soccorreteci!”Subito una guardia si è precipitata a chiama-

re soldati; l’altra è rimasta lì, ha involto il bimboeroico nel suo mantello e se lo è posto sulle gi-nocchia.

Dieci minuti dopo una squadra di zappatorigiunta di corsa cautamente scavava, allargaval’uscita, e le due fanciulle venivano tratte in sal-vo.

I tre risorti, involti in coperte, adagiati nellelettighe sono stati trasportati a bordo del Savoia.

Un minuto dopo il salvataggio, mentre i sol-dati che lo avevano compiuto e quelle pochepersone che vi avevano assistito – fra le quali hoavuto la ventura di trovarmi – erano ancora sulposto, si è udito uno schianto, un crollo; deimassi, si sono abbattuti, delle travi si sono spez-zate, e la sepoltura entro la quale insinuavamo inostri sguardi commossi si è richiusa con vio-lenza.

Quando si sono ritrovatinell’ospedale di bordo riunitie salvi, i redivivi si sono stret-ti in un abbraccio frenetico. Èstata una scena straziante. Sisono messi a piangere la mor-te della madre con tutta lapiena di un dolore nuovo, co-me se allora soltanto si accor-gessero della loro sventura.

Prima forse sentivano unaspecie di terribile eguaglianza fra loro e quelcadavere caro, era una comunanza della sorte.La morte non era stata una separazione. La sepa-razione cominciava ora. Con la vita è venuto ildistacco ed il dolore di un addio eterno.

Messina 15 gennaio.

LLuuiiggii BBaarrzziinnii

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insieme28

FFrraa iill tteerrrroorree ee llaa ccoommmmoozziioonnee

Riferiamo – spigolando dai giornali – alcuniepisodi che servono a completare la dolorosacronaca dell’immane sciagura.

UUnn ffoorreessttiieerroo ssccaammppaattoo

Il piccone lavora da mezz’ora; tra i calcinac-ci con movimento regolare si agita un bastone.Passano venti minuti e ricevo il battesimo dellaresurrezione un individuo seminudo, piena labocca di calce che adagiato su una barella segui-ta ad agitare ancora la canna di malacca, dispera-tamente... Lavato, medicato, Sante Ferretti, puòparlare.

– Quanto ore siete rimasto sotto terra?– Due mesi... tanti anni... sempre. Si, si! So-

no sempre stato sepolto. Dov’è Luigina? Ho se-te! Datemi del vino. Dove siamo? Scappiamo,subito. Capite? Fuggiamo tutti perché, a mo-menti moriremo tatti. Su, su, via. Ecco, ecco, ilterremoto. Oh, Madonna benedetta, salvatemi:io sono morto, morto.

E continua a delirare, a dare in smanie, fin-ché il cognac gli ridona un po’ di forze e gli per-mette di intrecciare, con una certa dirittura i filiingarbugliati del pensiero che si inquadra ada-gio, adagio nelle sue sconvolte cellule cerebrali.Sentite la voce di chi arriva dall’altro mondo:

– Ero arrivato a Messina il ventisette dicem-bre, da Genova, in viaggio per Alessandria diEgitto. Sono italiano, ma abito in Inghilterra. Ilmal di mare terribile mi ha costretto a rifugiarmiall’ospedale di Messina; non ne potevo più. Fuicurato da due suore; la mia solita got-ta aveva ripreso a martoriarmi crudel-mente. La notte fatale fui svegliato daun rumore cupo che ad un tratto s’in-terruppe e, poi, riprese più terribile. Ilterremoto parlava. Pareva dicesse:“Adesso ti uccido, povero imbecille”.Infatti al rumore di mille cannonate lastanza cominciò a screpolarsi. Corsialla finestra per buttarmi in istrada,ma sono stato travolto in un pazzomovimento circolare da destra a sini-stra. Durò un attimo. Tutto caddespaccandosi. Mi parve d’intenderedelle strida. Un colpo terribile sul ca-

insieme numero speciale

po mi fece perdere i sensi. Quando mi svegliai,mi sono trovato stretto nella morsa di due travi.Ho cercato di gridare, ma fin nella gola tenevoun gruppo di calce. Guardai. Da uno spiraglio,in alto, filtrava la luce, con goccia d’acqua, chesuppongo di pioggia. Ero sprofondato nella can-tina. Dietro una botte fiottava sangue da una lar-ga ferita alla spalla, una suora. L’infelice volevaancora muoversi per porgermi soccorso: morìquando non ci vedeva più. Più lontano si sbatte-va in scatti felini un giovane biondo, bellissimo:per un po’ di tempo riprese la parola.

– “Mamma, mamma mia, diceva, perché nonmi dài aiuto! Ahimè, o Dio, soffoco...”. Morivalentamente. Sua madre, uccisa sul colpo, tenevasu lui gli occhi sbarrati, terribili. Faceva paura.

Quattro giorni – quanti? – sono rimasto inmezzo a quel cimitero. Quando ho potuto libe-rare un braccio, afferai un bastone e sforacchiaiun buco toccando la luce. Volli gridare, ma nonpotevo. Allora il mio bastone cominciò a muo-versi, su e giù. Sentivo la gente parlare. Quantevolte mi pareva venissero a salvarmi! Invece, sene andavano ripiombandomi, ricacciandomi ver-so la fine!... Quando vi sentii avvicinarvi, non nepotevo più. Agitai, in uno sforzo la canna. E...eccomi qui a letto, pazzo di felicità. Lasciatemidormire.

Volevo chiedergli chi fosse la Luigina cheinvocava: non potei. Non deve aver torto davve-ro il proverbio inglese : chi vuol rinascere russi....

CC.. AA.. FFrraattttaa

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insieme 29terremoto di messina 1908 insieme

LLaa ““nniinnnnaa--nnaannnnaa”” dd’’uunnaa mmaaddrree

In fondo al corso Cavour una giovane e bel-la donna, d’aspetto signorile, è seduta in mezzoad una pozzanghera e stringe disperatamente alseno una testolina bruna di bambino letteral-mente staccata dal busto!

L’occhio non regge ad osservare questa for-ma selvaggia dell’amor materno! A due marinaidel Makaroff che cercano di toglierle quel ricor-do insanguinato della sua felicità e la invitano aadagiarsi sulla barella, ella risponde con mono-sillabi incomprensibili, con urli frenetici e congraffi. L’avvicino, le rivolgo qualche parola; èinutile.

– Caro il mio Ugo – balbetta – caro figliolet-to mio! Non temere, sai, la mamma tua sta beneed è qui con te, a guardarti! Non temere di nul-la! Vuoi che vada dalla zia Adele a prendere lapecorella del bambino Gesù? Hai fame? Vuoilatte! Dimmi, dimmi ciò che desideri? Ma per-ché non parli, mio Dio? Ah, buon angioletto, haisonno eh? Ebbene dormi, dormi sul seno dellamamma.

E raccogliendo il briciolo di forze che le ri-mane, la povera pazza scrolla le spalle e comin-cia una ninna-nanna smozzicata a sussulti, maca-bra! I biondi soldati dello Czar piangono e si de-cidono a trasportarla a viva forza sulla nave. Ap-prendo poi che la disgraziata – signora d’un uffi-ciale – passava per la più bella signora di Messi-na ed oggi è l’unica superstite della giovane fami-glia. I suoi lamenti si perdono lontano sulla lan-cia a vapore che miagola – sembra anch’essapiangente – le sue segnalazioni.

CC.. AA.. FFrraattttaa

PPiieettàà ddii ffiigglliiaa!!

In una via larga, della quale non ho potutosapere il nome, ma dove è rimasta intatta la lineadel tram ho sorpreso una giovinetta dodicennestesa al suolo di fianco con l’orecchio appoggia-ta ed un’enorme trave. Quando la giovinetta miha visto mi é corsa incontro e mi ha pregato diaiutarla... sua madre era sepolta e la ragazza di-ceva di udirne ancora i lamenti. Rimasi immobi-

le, ma la piccola derelitta mi afferrò per un brac-cio e mi trascinò tra un ammasso di rovine, soprale quali una muraglia immensa già ripiegata su sèstessa attendeva un sofio di vento per precipita-re. La fanciulla m’indicò un punto ed io non vi-di che due scarpe capovolte... La donna era se-polta con la testa in giù... Doveva esser morta dalprimo momento, ma la figlia sperava ancora.Tentai di portarla con me, non ne volle sapere;me ne andai promettendole di ritornare con imarinai. Avevo fatto pochi passi, quando unrombo terribile mi fece tremare: mi volsi, la mu-raglia era sparita e su dalla terra si alzava un nu-volo di polvere. La bimba dagli occhioni neri erastata sepolta vicino alla mamma sua.

CC.. AA.. FFrraattttaa

UUnnaa ddeeccoorraazziioonnee pprreezziioossaa

Ieri (14) ho assistito ad una scena pietosa ecommovente. In una carovana di trenta feriti,che dovevano essere inviati a Catania ed eranocon dolce violenza persuasi che nell’interesse lo-ro e di tutti, conveniva fossero tolti da Messina –era una povera monaca votata a morte sicura,perché aveva la calotta cranica fracassata dalcrollo di muri sotto i quali, fra le macerie, era an-data cercando infelici e cadaveri cui dar sepoltu-ra. Essa, che, malgrado il suo stato gravissimo,conservava una mente lucidissima – piangendoabbracciò il medico che l’aveva curata, e volleche egli accettasse l’unico segno di sua ricono-scenza che le era possibile dargli: una medagliet-ta di alluminio.

– Questa è la mia più cara decorazione! – midiceva stamane commosso fino alle lacrime ilbravo ufficiale medico della nostra marina, mo-strandomi la medaglietta. Tanta fede, tanta abne-gazione, tanta rassegnazione in quella poverasuora alla quale non sembrava che di aver com-piuto il proprio dovere, richiama anche me allafede.

Ed era un vecchio dottore che a casi pietosidoveva aver assistito molte volte!

CC.. AA.. FFrraattttaa

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insieme30 insieme numero speciale

E non contava ancora 29 anni il giovanissimoed indimenticabile Sac. Dario Claris, dottore inlettere e filosofia, che per due anni era stato vir-tuoso insegnante anche qui all’Oratorio. Era na-to il 4 gennaio 1880 a Savona; ed a Savona percura della desolata famiglia ne fu trasferita la sal-ma, e l’anima elettissima ebbe in quella Catte-drale-Basilica, coll’elogio di quell’Ecc.mo Vesco-vo, reiterati solenni suffragi.

Nè più di 24 anni aveva il bravo chierico Ma-rio Manzini di Bologna, prof . di Scienze Fisichee Matematiche, il quale coi voti più ardenti so-spirava di poter giungere al sacerdozio; -e non neaveva compiuti 22 il buon chierico Giuseppe Ve-nia di Bronte, solerte istitutore!

Dinanzi a queste robuste e volenterose esi-stenze troncate improvvisamente, noi troviamoconforto solo nella preghiera e negli alti pensieridi quella fede, la quale ci ammaestra che onoraegualmente Dio il grano d’incenso che arde tut-to intero nel turibolo come quello che cade e siperde sull’altare.

II ssuuffffrraaggii

Non ci è possibile registrare tutti i funeraliche si celebrarono per le vittime, ma dobbiamoalmeno dichiarare che ebbero luogo in tutte lenostre case.

A Roma, nella Chiesa del S. Cuore di Gesù,cantò messa il parroco D. Colussi e l’Em.moCard. Cassetta impartì l’assoluzione al tumolo. Iltempio era gremito.

A Milano, nella Chiesa di S. Agostino, cele-brò il Rev.mo Prevosto Rolandi. L’apparato, ar-ricchito da varie iscrizioni, era imponente.

A Parma, per tre giorni continui, vennero ce-lebrate devotissime esequie.

A Firenze, nella Chiesa di S. Maria degli An-geli, celebrò il S. Sacrifizio il Rev.mo D. Ildefon-so Sillani, Abate dei Camaldolesi, con assistenzapontificale di S. E. R. ma Mons. Mistrangelo, Ar-civescovo, che in fine diè l’assoluzione.

A S. Pier d’Arena al solennissimo funerale ce-lebratosi in S. Gaetano assistè numeroso clero

Bollettino Salesiano

EEcchhii ddeell ddiissaassttrroo

Agli ampi particolari dati lo scorso numerofanno seguito questi altri pochi, a soddisfare l’af-fettuosa partecipazione dei Cooperatori al nostrolutto e a chiedere nuovi suffragi per gli indimenti-cabili estinti.

CChhii eerraannoo ii SSaalleessiiaannii ppeerriittii

A sfogo di fraterna pietà ecco in primo luo-go un cenno dei Salesiani defunti. Erano tutti nelfiore degli anni, pieni di alacrità nella santa car-riera abbracciata, e certo anelanti a vita più lun-ga per averla maggiormente ricolma di meriti!Ma Dio nei suoi adorabili consigli li volle con sè,vorremmo dire, innanzi tempo, e certo in un mo-do inaspettato, e insieme con 38 giovani vite, daloro affettuosamente avviate pel sentiero dellavirtù e del sapere!

Il più anziano era il Sac. Giuseppe Pasquali ilquale non contava più di 40 anni, essendo nato aRoma il 1° settembre 1868. Egli era già stato di-rettore in un’altra fondazione salesiana in Sicilia,e nell’anno in corso, attendeva all’ufficio di pre-fetto-economo dell’Istituto. Dopo lui veniva, peretà, il sig. Giuseppe Longo, guardarobiere, sicilia-no e di soli 36 anni, poichè era nato a Biancavil-la (prov. di Catania) il 4 settembre 1872.

I buoni maestri sacerdoti D. Mario Rapisardae D. Antonio Urso erano ambedue di soli 34 an-ni, essendo nati a Belpasso (prov. di Catania) nel-l’anno 1876. Ambedue disimpegnavano nell’Isti-tuto il delicato ufficio di direttori spirituali; edhan lasciato in molti giovani, amici ed ammirato-ri, il più vivo rimpianto. A Bova Marina ed aSliema-Malta la memoria di D. Urso è veramen-te in benedizione. Dopo questi veniva il Sac. Vin-cenzo Pirrello dottore in lettere e filosofia, natoad Alcamo, provincia di Trapani. Non contavache 31 anni, ed era il vigile consigliere scolastico,o prefetto degli studi.

Il Sac. Arcangelo Lo Faro, insegnante e addet-to a vari altri uffici, ancor più giovane, aveva sol-tanto 30 anni. Era nato a Biancavilla (Catania) il5 aprile 1878.

(Articoli tratti dal BS nn. 3-4-5-6Anno XXXIII - 1909)

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insieme 31terremoto di messina 1908 insieme

con a capo il Rev.mo Mons. Olcese e preser par-te tutte le associazioni cattoliche e gli Istituti re-ligiosi della città.

Eguali dimostrazioni di sincera stima e di re-ligiosa pietà si rinnovarono in tutte le nazioniove sono salesiani e cooperatori. In più luoghi,questi dettero le prove più commoventi dellaparte vivissima che prendevano al nostro dolore.A Cammarata, in Sicilia, a cura appunto dei me-desimi, venne celebrato nella Chiesa di SantaDomenica un solenne ufficio di trigesima . L’ad-dobbo della chiesa per la mesta cerimonia vennepreparato con magnificenza e gratuitamente. Of-ficiò il zelante Decurione D. Salvatore La Corte,assistito da molto clero, e si chiuse la funzionecon un bel discorso funebre del professore D.Mendola. Numerosi gli intervenuti, appartenen-ti ad ogni classe sociale.

Noi confidiamo che il Signore abbia accoltotante preghiere ed abbia già dischiuse le sogliecelesti ai cari confratelli, ai loro trentotto allievied ai quattro famigli periti a Messina la mattinadel 28 dicembre; nondimeno continuiamo conaffetto fraterno a suffragare le loro anime!

GGaarraa ddii ccaarriittàà ppeeii ssuuppeerrssttiittii

All’universalità dei suffragi pei defunti, fupari il concorso degli Istituti Salesiani d’Italia pelricovero di giovanetti rimasti orfani a causa delterremoto.

A Catania son già 27 gli orfani raccolti dalleAutorità Civili ed Ecclesiastiche e affidati a quel-l’Istituto Salesiano. Dalla provvida carità delSanto Padre altri 26 orfani vennero affidati alRev.mo D. Arturo Conelli, Ispettore dei Salesia-ni in Roma, il quale li fece accompagnare conogni riguardo al nostro Istituto di Genzano Duefratelli messinesi furono accolti nell’Oratorio diValdocco, presentati dalle nobili Contesse Vitto-relli e Cappello a nome di S. A. I. e R . la Princi-pessa Laetitia. Similmente molti altri orfanellivennero ricoverati in altre case, poiché non vi fucasa salesiana d’Italia che non si affrettò ad an-nunziare al nostro Superiore d’esser disposta adaccogliere qualche povero orfano del disastro.

Il sig. D. Rua poi, nella sua grande carità, mi-se a disposizione del Vescovo di Mileto il nuovoIstituto Salesiano di Borgia in Calabria, generosaproposta accolta con commossa riconoscenza

dal zelantissimo Mons. Morabito, il quale tele-graficamente inviò al nostro venerato Superiorele più vive azioni di grazie. Altre case, comequelle di Marsala, Ancona e S. Pier d’Arena, die-dero ospitale ricetto a numerosi feriti.

Anche i nostri alunni – lo diciamo con verasoddisfazione – diedero uno splendido esempiodi generosità e di bontà di cuore, facendo tutti digrand’animo la loro piccola offerta. Molti si pri-varono dei pochi centesimi che avevano; altri diambiti divertimenti. In più luoghi, come a Ferra-ra ed Alessandria, interni ed esterni rinunziaro-no all’Albero di Natale; altrove, come ad Alassioe Schio, promossero al caritatevole scopo oppor-tuni trattenimenti.

Altamente commendevole per gli stessi gene-rosi intenti è stato anche lo zelo di vari ComitatiSalesiani. Quello di Este ad esempio, non con-tento di aver devoluto al pio scopo il provento dialcune conferenze con proiezioni luminose tenu-tesi nei primi giorni dell’anno, si fece promotoreanche di uno splendido Trattenimento musico-ci-nematografico e di riuscitissime Accademie-musi-cali nel Salone di S. Francesco.

A Parma, per iniziativa dei giovani dell’Isti-tuto, delle Dame Patronesse e degli studenti uni-versitari iscritti alla Scuola di Religione, fu pro-mosso un trattenimento Musico-drammatico, alquale assistettero S. E. Mons. Conforti, Arcive-scovo-vescovo, e le più distinte famiglie della no-biltà parmense.

Nè possiamo tacere la larga parte presa inquesta gara di carità dai nostri ex-allievi. A co-minciare dal caro D. Boeris che si unì ai nostrinel salvataggio compiuto fra le macerie dell’Isti-tuto Salesiano di Messina, agli ex-allievi del Col-legio di Frascati, dott. Enrico Arrigo, scelto a farparte della Commissione inviata dal S. Padre suiluoghi del disastro e sig. Casimiro Arrigo, mem-bro della Commissione inviata dalla Società del-la Gioventù Cattolica per portare soccorsi in de-naro e in generi alle disgraziate popolazioni, finoall’on. Giuseppe Micheli, ex-allievo del Collegiodi Alassio e Deputato al Parlamento Nazionaleche della morta città fu giustamente salutato ilsimpatico ed attivo restauratore, molti e molti al-tri si mostrarono memori di quegli alti sentimen-ti di cristiana fratellanza appresi all’ombra degliIstituti Salesiani.

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insieme32 insieme numero speciale

FFrraa llee mmaacceerriiee

A Messina intanto non appena si ebbe il per-messo d’incominciare gli scavi, subito s’intrapre-sero e tuttora continuano alacremente le ricer-che dei cadaveri. Il 15 gennaio venne scoperto,fortunatamente quasi intatto, il Santo Taberna-colo, ove dentro i vasi sacri eransi conservateperfettamente illese le sacre Specie Eucaristiche,che l’indomani furono trasportate nella squallidacarbonaia del collegio, divenuta il ricovero not-turno della squadra intenta al disseppellimentodei cadaveri. La domenica seguente, 17 gennaio,il SS. Sacramento venne recato processional-mente in alto, sulla collina che è a ridosso dellemacerie dell’Istituto, e di là, presenti un 200 su-perstiti, fu impartita in suffragio dei defunti e atutta la città e allo Stretto la santa benedizione.

«La squadra dei coadiutori (così una letteradel 6 febbraio) continua sempre a scavare. Ha ri-trovato già alcuni dei cari confratelli periti, matutti in condizioni assai tristi. Non uno di loro è ri-masto intatto; tutti hanno il capo spezzato in piùpunti... Anche i giovani alunni finora scoperti sipresentano su per giù in simili condizioni.

La spianata dell’orto (dove era il cortile degliesterni e dove attualmente è situato l’altare al qua-le celebra ogni dì D. Farina per comodità di alcu-ne famiglie accampate sulle vicine colline) si vaconvertendo a poco a poco in un cimitero che ac-coglie ogni giorno le vittime estratte dalle macerie.Ogni tomba ha la sua croce e reca il nome del se-polto…».

«Poveri confratelli! Poveri alunni!... (cosìun’altra lettera del 13 dello stesso mese) si trova-no quasi irriconoscibili e in atteggiamenti contor-ti in modo straziante, col capo schiacciato o spez-zato, col petto rotto, colle estremità divelte. Per lopiù sono alla profondità di tre o quattro metri, e leenormi chiavi del fabbricato contorte come fili diferro, ostruendo gli scavi, impediscono di accelera-re i lavori…».

Rinunziamo a trascrivere altri particolari pernon accorare di soverchio la pietà dei lettori.

LLee nnoossttrree iinncciissiioonnii

Diamo però quattro fotografie rappresentan-ti lo stato dell’Istituto S. Luigi dopo il disastro.

La prima, rappresenta i ruderi dell’Istituto,visti dall’ala interamente distrutta. A sinistra è il

lato prospicientel’ingresso, sconquas-sato ma rimasto inpiedi; l’altro è ilcorpo di fabbricaprincipale. Questoera di due piani oltreil terreno; il secondopiano insieme coltetto e colle soffittevenne interamentedistrutto.

La seconda èpresa un po’ più lon-tano per ritrarre ilcumolo di macerieformato dal corpo difabbrica simmetricoa quello d’ingresso,ove abitavano gli in-segnanti e i famiglidell’Istituto; questolato venne letteral-mente stritolato.Messina-S. Luigi: Il cortile dell’Istituto. (Prima foto).

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insieme 33terremoto di messina 1908 insieme

La terza offre la vista raccapricciante dellosventramento e della distruzione completa dellametà del corpo principale, rispondente al latoopposto al cortile, cioè verso la collina. Il corpoprincipale, come gli altri, era un edifizio doppio,avente nel mezzo ad ogni piano un corridoio.Orbene, della parte del corpo principale oppo-sta al cortile nulla è rimasto in piedi; il muro difacciata cadde sul dorso della collina, e, insiemecol tetto, sfasciandosi precipitarono contempo-raneamente tutti i piani. Di questa parte non re-stano che le travi di ferro del primo piano perchèfortemente unite al muro interno del corridoio;contorte però come si vedono, esse dànnoun’idea del cozzo tremendo dei piani rasi al suo-lo. Da questo lato al pian terreno trovavansi i re-fettori, al primo piano le scuole e la sala di stu-dio, al secondo piano un dormitorio!...

L’ultima rappresenta una delle scene pietoseche si svolsero e si svolgono tuttora fra le mace-rie: il disseppellimento cioè di un cadavere…

Da: “Bollettino Salesiano”, n. 3 - marzo 1909.

Messina-S. Luigi: Il cortile dell’Istituto. (Seconda foto)

Messina-S. Luigi: In basso, l’Istituto S. Luigi vistodalla collina (terza foto) e il disseppellimento di un

cadavere fra le macerie (quarta foto).

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insieme34 insieme numero speciale

CCaarrnneevvaallee aallll’’IIssttiittuuttooSS.. FFrraanncceessccoo ddii SSaalleess

I giovani dell’Istituto S. Francesco di Sales diCatania, dove trovarono rifugio i Salesiani e i no-stri alunni scampati al disastro di Messina, incarnevale consacravano alla beneficenza due se-rate. Nella prima gli oblatori furono gli stessiconvittori, che diedero un’altra prova della lorofraterna solidarietà, giacchè raccolsero la bellasomma di lire 360. Pel secondo trattenimento es-si lasciarono il salone del teatro esclusivamenteai Cooperatori, che accorsero in gran numero esi mostrarono generosi verso gli sventurati fratel-li messinesi, mentre i piccoli artisti ebbero lodi eapplausi col Salvatorello del Soffredini e con unabrillante commedia.

Da: “Bollettino Salesiano”, n. 4 - aprile 1909.

Come vede, è desiderio nostro di riprenderele nostre adunanze, le nostre pratiche di pietà, lanostra vita, di continuare insomma a far del be-ne. Il vessillo l’abbiamo consegnato a D. Farina;e noi siamo in attesa di un suo consiglio, di unaparola che ci diriga…

E il sig. D. Rua, applaudendo alla buona vo-lontà ed all’entusiasmo dei cari giovani, ha bene-detto di cuore alle loro riunioni, fiducioso chesaranno di aiuto per far nuovamente fiorire,adattato alle eccezionali circostanze, l’OratorioSalesiano di Messina.

AA RRaannddaazzzzoo cceerriimmoonniiaa iinn ssuuffffrraaggiioo ddeeiiSSaalleessiiaannii ppeerriittii aall SS.. LLuuiiggii ddii MMeessssiinnaa

Merita un cenno speciale, per la larga parteche vi ebbero i nostri Cooperatori, la devota ce-rimonia compiutasi in suffragio dei Salesiani edallievi periti nel disastro del Collegio di S. Luigidi Messina.

La messa fu celebrata dal Direttore del Col-legio San Basilio e accompagnata dal canto deigiovani convittori e di quelli dell’Oratorio festi-vo, ai quali si associarono affettuosamente alcu-ni antichi allievi, ed assistettero i rev.mi Canoni-ci delle tre Collegiate locali, i quali, prima dellamessa, cantarono essi stessi l’ufficio dei morti.Una vera folla di amici ed ammiratori si associòcon mesto e devoto slancio al solenne tributo,per cui ci sentiamo in dovere di porgere a tuttiuno speciale ringraziamento.

Da: “Bollettino Salesiano”, n. 5 - maggio 1909.

IIll vveessssiilllloo ddeell CCiirrccoolloo DD.. BBoossccoo.

Il Presidente del « Circolo D. Bosco » del-l’Oratorio Salesiano di Messina, sig. Alfredo Let-terio Marzacchì, in data 5 aprile scriveva al sig.D. Rua: « I superstiti del Circolo « D. Bosco » ie-ri domenica 4 corrente procedettero agli scavinella sala del Circolo pel ricupero della bandie-ra. Bisognava vederli lavorare, tutti d’un sol pen-siero, per estrarre dalle macerie l’amato vessillocoll’idea risoluta di far rivivere il Circolo d’unavita ancor più attiva e gloriosa. Difficile era l’im-presa; ma non ci sgomentammo. Verso le 11 1/2si scorse una traccia del desiderato vessillo, loslancio crebbe; e finalmente dopo altre ore di la-voro diligentissimo, alle 14 1/2 esso era in salvo.L’asta era intatta, l’alabarda anche, la bandierapure; era solo macchiata in più luoghi; ma nonimporta, ricordandoci la triste prova subita, pernoi sarà anzi più gloriosa e ci darà animo a nonindietreggiare dinanzi a nessun sacrifizio!

Se avesse veduto, amatissimo sig. D. Rua,che momento fu quello in cui il ricuperato vessil-lo sventolò su gli avanzi della sala del Circolo!Fu un grido di tutti: Viva la bandiera! Viva D.Bosco! Viva la bandiera di D. Bosco! Viva D.Rua!... E tutti ci scoprimmo, versando lacrime ditenerezza.

DDaallllee rroovviinnee ddii MMeessssiinnaaLa Settimana Santa fra le macerie

dell’Istituto Salesiano

Rev.mo Sig. D. RUA,permetta che questo suo povero figlio le dia

notizie dell’opera che insieme con i suoi confra-telli, mercè l’aiuto di Maria Ausiliatrice, va com-piendo sulle rovine della sventurata Messina.

Confratelli e alunni (esclusi due) tutti furonorintracciati e seppelliti nel cimitero improvvisato

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insieme 35terremoto di messina 1908 insieme

nel cortile degli esterni, donde per ordine supe-riore vennero trasportati al Cimitero centrale,ove riposano all’ombra dei cipressi e salici pian-genti, in luogo solitario, donato dal municipioesclusivamente pei caduti dell’Istituto San Luigi.

Sopravvenendo la settimana santa, ci prepa-rammo a confortare i pochi superstiti dei dintor-ni colle sacre funzioni di rito e col ministero del-la confessione. Mons. Arcivescovo benedice inostri sforzi e c’incoraggia a.lavorare con lui perla causa di Cristo.

Il Giovedì Santo il cielo brillava d’insolitosplendore. Ai vivi rintocchi delle nostre campa-nelle risposero gli argentei squilli delle campanedei Minori e dei Cappuccini che, indefessi apo-stoli, lavorano sulle colline vicine.

Alla funzione assistè numerosa folla, com-mossa ed esultante d’aver con sè il ministro diDio. Al Gloria squillano per l’ultima volta lecampanelle, che rompono la monotonia di tantasolitudine e ci trasportano in un orizzonte pienodi amore! E amore è il Dio che per la prima vol-ta scende in 20 giovani cuori di messinesi super-stiti, fanciulli e fanciulle, inginocchiati innanzil’altare. La gioia che loro brilla sul volto è im-mensa, e quando con poche parole li animó a ri-cevere Gesù con slanci di fede e carità, e li esor-to a pregare per sè, per le famiglie, per la loro cit-tà, tanto provata dalla sventura, piangono com-mossi, insieme colla folla stipata nella piazzetta.

Durante la cerimonia non mancarono i can-ti; un dolcissimo Panis angelicus cantato daun’oratoriana delle Figlie di Maria Ausiliatrice,la signorina Concetta Versaci, vero apostolo dicarità e di zelo fra la popolazione di questa bor-gata, rese più solenne la funzione che lasciò uncaro ricordo in quanti vi presero parte. Anche iltrasporto del Divinissimo al devoto sepolcropreparato con permesso speciale dell’Arcivesco-vo in una piccola baracca riuscì imponente. Lun-go il percorso i giovanetti e le ragazze della pri-ma Comunione, guidate dalla suddetta oratoria-na, cantavano lodi a Gesù in Sacramento, spar-gendo di fiori le macerie sulle quali bisognavapassare. Io stringevo al cuore il Cristo Redento-re e con lacrime lo pregavo per la città distruttae per tutti i figli suoi caduti e superstiti.

Finita la funzione, l’antico cortile dell’Orato-rio echeggiò ancora per qualche istante di quelle

voci argentine che mi fecero pensare malinconi-camente al passato, rievocando tanti bimbi spen-ti nella primavera della vita, allorchè formavanola nostra delizia!

Intanto il Ch. Amato, che funge da economodella piccola comunità, aveva preparato per laschiera giovanile un po’ di colazione con vinobianco e biscotti. Non si aspettavano tanto bendi Dio e non finivano più di ringraziarci.

A coronare la cara festicciuola si spedi que-sto telegramma al Sommo Pontefice per implo-rare la sua benedizione sulle primizie della gio-ventù messinese rinnovellata in Cristo:

Augurando giorni migliori sposa di Cristo eVicario suo, imploriamo benedizione apostolicagiovanetti messinesi riceventi oggi prima voltaGesù. - Sac. Farina Livio, Salesiano.

L’Augusto Pontefice, che tanto fece e fa persoccorrere Messina, non tacque alla voce dei fi-gli e al tramonto dello stesso giorno ci faceva ar-rivare la seguente risposta:

S. Padre ringrazia benedicendo di tutto cuoregiovanetti prima Comunione.

Partecipai la benedizione del Papa ai giovanied alle ragazze tornati a salutare Gesù in Sacra-mento e un forte Viva il Papa! uscì commoventeda quei teneri cuori. Gli angeli del cielo debbo-no aver portato fino al trono di Dio il sincero au-gurio di quella pia schiera, che per me rappre-sentava in quell’istante tutte le dense schiere gio-vanili della futura Messina .

Il Venerdì Santo adorammo la Croce, espo-nendola alla pubblica venerazione nella baraccacappella che domina le rovine della città. Lagiornata passò in una malinconia religiosa, tur-bata solo da una forte scossa di terremoto, cheverso le 15 ci ricordò il terraemotus factus est ma-gnus del Vangelo, allorchè narra la morte di Ge-sù. All’imbrunire facemmo la Via Crucis, ed allapopolazione accorsa diedi a baciare la reliquiadella S. Croce disseppellita a stento dalle mace-rie della sacrestia. Fu un’altra funzione commo-ventissima, che strappò le lacrime a tanti che,mai come allora, avevano sentito la dolcezza del-la rassegnazione cristiana.

Bello in un mare di luce spuntò il Sabato San-to. Sentivamo l’avvicinarsi della risurrezione epiù del solito eravamo come invasi da una santaallegrezza.

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insieme36 insieme numero speciale

Si fecero le sacre funzioni e quando il Gloriain excelsis eccheggiò perle colline, fu un piange-re di gioia, un baciarsi ed abbracciarsi amichevo-le e fraterno in Cristo risuscitato. Dai colli squil-lavano le solitarie campane appese agli ulivi, e,finita la funzione, il popolo scese a valle col sor-riso sulle labbra e colla pace nel cuore. Son sicu-ro che anche i figli caduti.avranno esultato quel-la mattina, e, a migliaia, avranno accompagnatoGesù Cristo nel trionfo della sua risurrezione!

E finalmente giunse la Pasqua! Il gran giorno«che il Signore ha fatto » sorse in un mare di san-ta poesia. Balziamo dai materassi dell’umida car-bonaia, augurandoci a vicenda buone feste .Squillano nervosamente le due campane appeseagli eucalyptus del nostro cortile, e in breve co-mincia a giungere gente alla cappella che preston’è zeppa tanto da costringere gli ultimi a stipa-re la piazzetta prospiciente.

Comincia la Messa: «Cristo è risorto!» Untremito m’invade ed un agitarsi insolito mi scuo-te. Son gemiti, singhiozzi, spari di fucili e rivol-telle in aria che si mescolano al suono dei sacribronzi, reso più solenne dal silenzio che li cir-conda. Il popolo non sa contenersi; e nuovamen-te si abbracciano e si baciano gli uni cogli altri,piangendo di gioia. Alcuni, cogli occhi timidi,guardano la città; li opprime la funerea calmadella loro terra natale e forse pensano: - Oh! Sor-gessero anche i nostri fratelli a cantare la gloriadi Cristo risorto!

Alla Comunione son più di cento quelli chesi accostano alla S. Messa; poveri superstiti che sierano trascinati fin quassù per compiere il pre-cetto pasquale!

Verso le 9 della stessa mattina binai, cometutte le domeniche, al torrente Scoppo; e pur las-sù trionfò Gesù nell’anima dei fedeli, assiepatifin nella piazza prospiciente la chiesa ornai semi-crollante.

Amato Padre, non ho parole per esprimerele gioie spirituali di quella santa settimana. Entrodi me ripetei più volte il Satis Domine di S. Fran-cesco Saverio e insieme con questi confratelli mivotavo anima e corpo ad instaurare Cristo nei fi-gli di questa sventurata città. Mons. Arcivescovovuol che l’Oratorio nostro risorga presto e rego-larmente.

Mi benedica, amato Padre, e con me benedi-ca i confratelli che continuamente si sacrificanoal bene di questa popolazione, aiutando i debo-li, confortando gli oppressi, tergendo le lacrimeagli orfanelli.

Siamo e saremo semprei suoi figli in Corde Jesu

SSaacc.. LLiivviioo FFaarriinnaaee CCoommppaaggnnii..

DDuuee sscchhiieerree ddii oorrffaanneellllii

Povere vittime del disastro,appartenenti alle provincie diReggio e Messina crescono oraalla virtù ed al sapere negli Isti-tuti Salesiani di Genzano e No-vara.

A Genzano (in provincia diRoma) in numero di 35 vennerocollocati per le paterne solleci-tudini del S. Padre.

«I primi venuti – così unalettera scritta al sig. D. Rua indata 4 maggio dal Direttore del-l’Istituto – furono ricevuti inquesta casa il giorno 5 febbraiou. p. giorno dedicato al S. Cuo-re, essendo il primo venerdì delmese. La popolazione di Gen-Messina-S. Luigi: Il Giovedì Santo sulle rovine dell’Istituto S. Luigi.

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insieme 37terremoto di messina 1908 insieme

zano, con a capo tutte le autorità Civile ed eccle-siastiche, fece loro un’accoglienza entusiastica.

«Pioveva! Ma, appena giunti, fu una gara perprendere i bimbi in braccio e portarceli a casa: ibuoni Genzanesi non permisero che si bagnasse-ro e li coprirono coi mantelli. Anche nei giorniseguenti fu un continuo accorrere per portarcibiancheria ed abitini, tanto che bastò per cam-biarli tutti. Le Suore Agostiniane attesero conmolto zelo a confezionare altra biancheria nuo-va. Due buone signore si prestarono, come fan-no tutt’ora, per la pulizia personale. A poco apoco li mettemmo all’orario, ed oramai ci sonogià così bene avvezzi che paiono vecchi convitto-ri . Che cambiamento in tre mesi! Prima magri emacilenti in volto, ora puliti e grassocci che fan-no invidia! Prima irascibili anzichenò e melanco-nici: ora contenti, allegri e ben disciplinati.

«Tre imparano un’arte: gli altri frequentanola scuola; 18 dei più grandicelli, ben istruiti e bendisposti, si accostavano per la prima volta allaSacra Mensa il 15 aprile, pregando per i loro po-veri morti, pel S. P. Pio X e per tutti i loro bene-fattori... ».

Altri 20 giungevano a Novara il 24 aprile.Quel Direttore si recò personalmente a Napoli aprendere i poveri fanciulli, e caritatevole riuscìl’accoglienza alle stazione di Novara « dove –scrive l’Azione – molte elette e caritatevoli signo-re, tra le quali la nobildonna Faraggiana, la Pra-to, la Righini ecc. e molti signori, fra cui il Pre-fetto, il Generale, il Seri. Faraggiana, il Comm.Brughera, gli assessori Cipollino e Marzoni, non-chè il parroco di S. Eufemia Teol. Cassani e mol-ti altri sacerdoti convennero a testimoniare ai di-sgraziati fanciulletti il sentimento di pietà e di ca-rità cristiana, con cui Novara li aveva richiesti. Ilcorteo, preceduto dalla banda salesiana, si mos-se e attraversò il corso fino all’Istituto Salesiano,seguito dai collegiali dell’Istituto S. Lorenzo e danumerosi concittadini, pieni di espressioni pieto-se per gli orfanelli...».

Questi 20 fanciulli vennero ritirati a cura delComitato Novarese, costituitosi per raccoglieresoccorsi per le vittime del terremoto, che mandòal Direttore dell’Istituto anche un abbondantecorredo per i singoli orfanelli.

GGaarraa ddii ccaarriittàà

Un’ammirevole gara di carità fu quella concui gli alunni e i superiori delle nostre case rispo-sero all’appello del Rev.mo signor D. Rua ed aquello del Direttore generale degli studi dellanostra Pia Società, accennati da noi nel Bolletti-no di febbraio. Ovunque fu davvero uno slanciogeneroso e commovente.

Porgendone a tutti le più vive azioni di gra-zie, non sappiamo trattenerci dall’inviare un rin-graziamento speciale alle Case di Utrera (Spa-gna), «Don Bosco» di Montevideo (Uruguay),«Trasfigurazione» di New York, nonchè alrev.mo Mons. Bagnano ed all’Ispettore dell’Ar-gentina D. Giuseppe Vespignani, le cui offerteoltrepassarono la cifra di L. 1000.

Da: “Bollettino Salesiano”, n. 6 - giugno 1909.

Articoli tratti dal Periodico Settimanale“Il Savio” di Cesena – Anno XI nn. 489-491-492

Anno 1909 nn. 1-3-4

“Il Savio” di Cesena

PPeeii ffrraatteellllii ddii CCaallaabbrriiaa ee SSiicciilliiaa

Il Comitato Cittadino sta attendendo con lo-devole slancio e assiduità all’opera di soccorsoche anche Cesena, mai seconda alle città sorelle,vuole e deve compiere pei fratelli duramente col-piti dalla sventura.

Domenica scorsa si adunava una secondavolta, e constatato che la prima raccolta di offer-te non aveva dato quei risultati che si sarebberodovuti aspettare data città nostra, deliberò al-l’unanimità di iniziare una seconda questua consquadre composte di Signore, Signorine, Signorie Studenti, riconoscendo più conforme alla cir-costanza perdurare in questo modo di oblazione,piuttosto che far denaro con feste teatri ecc. Aquesto proposito ci piace segnalare che il Comi-tato ben fece a impedire nei primi giorni dell’an-no qualunque trattenimento e festa: mentre tan-ti fratelli piangevano e il mondo civile era in lut-to disdiceva che altri pensassero al divertimento.

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insieme38 insieme numero speciale

Anche le nuove squadre collo stesso slancio,di cui avevano dato prova la prima volta gli stu-denti, si sono messe al lavoro e con ammirabileabnegazione vanno ancora di porta in porta achiedere 1’obolo della solidarietà. Di tutte le of-ferte, anche le più esigue, sarà data pubblicazione.

La Congregazione di Carità ha erogate L.300, la Cassa di Risparmio L. 2000 e la BancaPopore L.500. Par certo poi che il Comitato, ter-minata anche la seconda questua, intenda pro-muovere anche stavolta una passeggiata di bene-ficenza per raccogliere indumenti, coperte ecc.Noi non dubitiamo punto che come nel 1905,anche quest’anno all’iniziativa del Comitato cor-risponderà, in caso, prontamente e largamentetutta la cittadinanza.

Ad incoraggiare la generosità crediamo gio-verà il sapere che, possibilmente, saranno anchea Cesena trasportati molti danneggiati.

Ancora aria volta raccomandiamo ai cesena-ti di coadiuvare sia pure con qualche sacrificio –impari sempre all’immensità del bisogno – al-l’opera solerte del Comitato: col sentimento dipietà per le vittime emerga la concordia deglianimi nella solidarietà della sventura!

Suffragi pei defunti – Sabato come preannun-ziammo, fu celebrata alla Cattedrale una Messafunebre a suffragio delle anime dei morti nell’im-mane disastro.

Pontificò S. E. Mons. Vescovo eseguendoscelta musica la Schola Cantorum del Seminario.

Prima delle esequie Mons. Cazzani disse bre-vi ma toccanti parole per spiegare l’immenso do-lore che Chiesa e Patria provano concordemen-te in quest’ora tragica.

La mesta cerimonia riuscì davvero solenne,anche per la grande folla di popolo che gremiva lavasta chiesa. Vi assistirono anche le autorità poli-tiche e militari, la rappresentanza delle scuole se-condarie e di alcuni circoli ed istituti cattolici.

Sulla porta maggiore della Cattedrale invita-va i fedeli alla preghiera la seguente iscrizione,dettata dal Rev.mo can.co. A. Gridelli:

Per i fratelli – di Calabria e di Sicilia – feritimiseramente . per la violenza degli elementi - pre-ghiere e lagrime nel nome di Cristo.

Alle quattro colonne laterali al catafalco leg-gevasi queste epigrafi dettate da Mons.: Giovan-ni Ravaglia.

Delle colpe degli estinti – siano espiazione, oSignore le lacrime e le preci – dei fratelli inermi.

La rivolta feroce della natura – tante voltesoggiogata – ricorda all’uomo – nei suoi trionfiimmemore – che Signore assoluto - unico è Dio.

La vanità delle terrene cose – svanisce in unistante – sola sulle rovine fumanti – emerge indi-struttibile la virtù.

I falli di una lunga vita – cancelli Dio il gridodell’ultim’ora – con cui i figli morenti – perun’intera eternità – ti amarono.

Altre funzioni espiatorie furono celebrate aBoccaquattro, a S. Domenico, a S. Rocco e alsuffragio.

Il contributo del Club Cesenate. – II giorno 6seguì al Club Cesenate l’annunciata recita a favo-re dei danneggiati dal terremoto. Un pubblicoscelto e numeroso corrispose all’appello della ca-rità. L’incasso netto, di L. 50 sarà trasmessoquanto prima al Comitato cittadino.

Da: “Il Savio”, Anno XI n. 489 - 9 e 10 gennaio 1909.

RRiifflleetttteennddoo ssuullll’’iimmmmaannee ssvveennttuurraa

Chi riflette al meraviglioso e unanime slanciocon cui tutta Italia si appresta a sovvenire i su-perstiti calabresi e siciliani, non può non trarneun insegnamento profondo.

Se dinanzi all’immensa sventura nazionale, alsoffrire di migliaia di fratelli nostri, ci sentiamoun cuor solo ed un’anima sola, perché questonon succede ogni giorno, quando c’ è un’operabuona da compiere? Perché tutti i giorni, quan-do l’azione concorde di tutti i partiti può porta-re il benessere a tanti uomini, che soffrono e lot-tano, come i fratelli della Sicilia, per la vita e peril pane, non si rinnova il fenomeno sublime disolidarietà che si esplica ora con commovente in-tensità?

Ci sono tanti infelici da sollevare, tanti op-pressi da redimere, tante miserie nascoste nelturbinare della vita moderna; c’è un’opera im-mensa di giustizia e di carità da compiere, c’ètanto bene da fare nel mondo, anche quandonon c’è il terremoto! E sì che tali miserie sono incerto modo più strazianti poiché spesso sono ca-gionate all’uomo, non dagli elementi naturali,ma da altri uomini!

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insieme 39terremoto di messina 1908 insieme

Perché, dinanzi a quella immensa opera nonci diamo la mano, come oggi ce la diamo, e cat-tolici e socialisti e repubblicani e monarchici econservatori?

Perché lasciare isterilire la buona causa delpovero, del lavoratore in una lotta continua eastiosa di partiti con partiti: quando unendocitutti in un’opera assidua di educazione, di rifor-ma e di giustizia possiamo rimediare con 1’ unio-ne, come con l’unione oggi rimediamo alla piagaprofonda che nella patria nostra la sventura hasegnato?

Ciò è nella mente di tutti: la solidarietà, cheoggi ci avvince, potrebbe, in tante cause giustetutti avvincerci domani. Questo è 1’ insegna-mento odierno della sventura e della carità.

Disgraziatamente, per comprenderlo, ci vuo-le un terremoto!

Riportiamo dal Corriere della sera di martedì:«Giornate d’immensa sventura e di un’im-

mensa carità, queste. La virtù tutta cristiana riful-se magnifica dall’un capo all’altro della terra. Tut-ta cristiana – dice la Woche – poiché se greci e ro-mani la conobbero, essa non diventò dolore chequando il cristianesimo la proclamò massima vir-tù, accanto alla fede e alla speranza e disse ai suoiseguaci: ama il tuo prossimo come te stesso. I pa-gani ebbero Eros e i moderni ebbero Caritas dueconcetti e due mondi; un mito e una fede. Le artiantiche non conoscevano la carità; essa entrò nel-le arti cristiane come un motivo nuovo. I primi ar-tisti non seppero raffigurarla che mediante allego-rie: il pellicano che si strappa il cuore per nutrire isuoi nati, a mo’ di esempio; poi le diedero formaumana: fu donna, non nuda come Venere, ma ve-stita con: una fiamma sul capo o col vestito orna-to di fiamme o con la fiamma in mano: spesso es-sa tende il cuore o una cornucopia. Il medioevo,dominato dalla teologia scolastica, fu ricco di cota-li fantasie. Poi, quando furono fissate le selte ope-re di misericordia, un nuovo e più vasto orizzontesi dischiuse agli artisti. La Carità di Francesco diSimone diventò la Carità di Andrea del Sarto;Rembrandt dipinse il Samaritano e Rubens, il SanMartino che divide il suo mantello col povero. Gliospedali, i monti di pietà e le chiese si adornano diopere d’arte raffiguranti la sublime virtù. Quale èil lavoro che meglio raffigura la carità nei nostri

giorni? Forse il nobile monumento del Scemeringnel giardino della carità a Berlino. Rappresenta unmodesto e grande benefattore dell’umanità —l’oculista Graese — fra i malati che si avvicinanoa lui a tastoni e se ne vanno guariti. E quale potràraffigurarla domani? Forse quello che Messina ri-sorta innalzerà, in giorni lieti, alla carità di tuttoil mondo che, in questi giorni tristi, si volge a lei».

LL’’oonn.. CCoommaannddiinnii eeiill ssoottttootteenneennttee MMaazzzzoollii iinn CCaallaabbrriiaa

Con viva compiacenza e con pari lealtà se-gnaliamo l’opera di aiuto e di soccorso che duenostri Concittadini, Ubaldo Comandini e CarloMazzoli, stanno compiendo fra i disgraziati cala-bresi, l’uno quale presidente dell’Unione Magi-strale italiana, l’altro come ufficiale dell’esercito.

Dell’on. Comandini così parlava il Giornaled’Italia di lunedì:

«L’attivissimo deputato di Cesena ha giratotutti i Comuni della costa, lasciando sussidi econfortando i poveri insegnanti, moltissimi deiquali sono rimasti senza tetto, senza vestiti e sen-za pane. Da Catanzaro, ove si era abboccato contutte le autorità, si è recato a Gerace, nel qualecomune si è impiantato provvisoriamente l’uffi-cio del Provveditorato con il Prof. Maiorotti econ l’ispettore Mortara.

L’on. Comandini, durante il suo giro, ha vi-sto delle cose dolorosissime ed è rimasto vera-mente indignato nel vedere che mentre egli,semplice privato ha potuto portare qualche soc-corso, il ministro della pubblica istruzione nonha saputo ancora nemmeno mettere in esecuzio-ne quei provvedimenti che aveva decretato qua-si subito dopo il disastro.

Qui tutti i maestri o quasi sono mancanti ditutto: il Ministero ha stanziato fondi per venir lo-ro in aiuto, e non si cura di organizzare il mododi distribuire i soccorsi. Ai disgraziati insegnantiche si trovano nei comuni delle montagne cala-bresi, sparsi ed abbandonati, che importa chenelle Casse della Prefettura o non so di quale al-tro ufficio di Catanzaro sia depositato il danaroche rappresenta il sussidio che il governo ha con-cesso loro e lo stipendio che il Governo si è as-

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insieme40 insieme numero speciale

sunto di pagare? In quale modo questi infelicipotranno sperare di venire in possesso di ciò cheè stato loro garantito? Come è possibile che essisi rechino a Catanzaro se molti di loro, lontanida ogni comunicazione, non sanno nemmenoove si trovi il loro danaro, e chi sa non può?

Ma perché il ministro dell’istruzione non hadiramato per le regioni toccate dal disastro unasquadra di ispettori giovani, fidati, generosi, conl’incarico di distribuire i soccorsi ai maestri?

Chi vuole il fine deve volere i mezzi, e fra imezzi c’ è non solo di mandare il personale suf-ficiente (si noti che una parte dei poeti era giàscoperta prima del terremoto, e che col terremo-to alcuni ispettori hanno dovuto allontanarsiperché feriti) ma anche di toglier di mezzo quel-la parte di esso, che non è più acconcia al servi-zio che è necessario per queste regioni, nellequali: alle deficienze dei comuni bisogna suppli-re con una più intensa opera del Governo».

Del Sottotenente Mazzoli così telegrafavanoda Reggio al Resto del Carlino il 17 corr:

«Merita viva; lode il sottotenente Mazzotidel 69 fanteria, di Cesena, che guida un peloto-ne di zappatori. Egli coi suoi soldati, a S. Grego-rio Cataforia e in altri paesi, ha compiuto atti ad-dirittura eroici sfidando i più gravi pericoli e riu-scendo a salvare parecchi sepolti nelle macerie».

Lo stesso Giornale d’Italia segnalava l’operadel Mazzoli:.

«Esempio di generosa attività, il tenente Car-lo Mazzoli giunse qui (a S. Gregorio) fin dai pri-mi giorni dopo il disastro, ed ha tanto lavorato,ha tanto faticato con i suoi bravi zappatori, chenon ci sono parole per elogi adeguati».

DDoonnii vvoottiivvii

Con un linguaggio eccezionalmente mite ilCuneo faceva testé una proposta che confessia-mo avere un aspetto veramente buono: quella diconvertire, a beneficio dei danneggiati dal terre-moto Calabro - siculo, i doni votivi, specialmen-te di gioielli che ornano le immagini dei celebrisantuari. Nei tempi di grandi calamità i santi piùcelebri non hanno rifuggito affatto da questimezzi estremi, e noi dichiariamo apertamente

che applaudiremmo di gran cuore a quel Vesco-vo che rinnovasse, nella presente sventura nazio-nale, l’esempio di S. Carlo Borromeo, che nellapeste di Milano spezzava i calici per trarre daquell’oro il pane pei morenti.

Questo in linea generale: ma quanto al modocon cui il Cuneo fa la sua proposta ci permettia-mo qualche osservazione, che non lede la sostan-za:

l° Non sappiamo comprendere perchè l’an-tico sentimento religioso nutrito anche disentimento artistico nell’adornare i templi e leimmagini debba sembrare oggi nei suoi effettiinumano e incivile. Ma perchè allora non dire al-trettanto delle enormi ricchezze accumulate neinostri musei? Noi diremo anzi che è cosa civilis-sima e democraticissima che, in condizioni ordi-narie, le ricchezze infruttifere, come le opered’arte, i materiali rari e preziosi, etc. mentresarebbe stupido, iconoclastico fanatismo di-struggerle, siano nei luoghi pubblici, come leChiese, e non in proprietà privata, e solo in casoeccezionale, come nella presente calamità,potremmo consentire che tornassero a privatiz-zarsi, perché il prezzo fosse convertito in benefi-cio dei colpiti dalla sventura.

2° Sotto la mite veste degli elemosinieri proCalabria e Sicilia, ci sembra purtroppo di scorge-re l’animo del demagogo che vuole incitare loStato al furto sacrilego. Perchè quelle ricchezzenon sono dello Stato, se è vero che la Chiesa nonè sua proprietà, se è vero che vige ancora il prin-cipio di Cavour: Libera Chiesa in libero Stato.Avremmo amato meglio che il Cuneo non spo-gliasse la sua veste francamente rivoluzionaria,per il candido manto dell’agnellino, e avessepiuttosto apertamente rimproverati i Vescoviche non han pensato da sè a imitare S. CarloBorromeo. Meglio questa mancanza di rispetto,che può scandalizzare i farisei del cattolicismo,elio il subdolo eccitamento al furto rivolto ad al-tri, allo Stato borghese.

IIOOTTAA

Da: “Il Savio”, Anno XI n. 491 - 22 e 23 gennaio 1909.

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insieme 41terremoto di messina 1908 insieme

Lettera di Don Gino D’Amico

In ricordo dello zio Don Giuseppe Venia,vittima del terremoto di Messina del 1908

Don Gino D’Amico ricorda lo zio Don Giu-seppe Venia, una delle vittime del terremoto diMessina, che nel Bollettino Salesiano, viene quali-ficato come solerte assistente.

«La mia vicenda, è strettamente legata a quel-la di mio zio, diceva Don D’Amico a sua madre, lamia vita salesiana comincia allora, in quella fred-da mattinata del 28 dicembre, il dopo Natale, co-me lo chiamava mio nonno».

Vi sembrerà strano, ma io ho vissuto, in varimomenti della mia vita, i giorni del terremoto diMessina.

Quella terribile mattinata del dopo Natale ilmio nonno materno, Mastro Nunzio Venia, nonla dimenticò mai.

Il racconto di quella giornata fu vissuto nellafamiglia Venia in maniera drammatica anno dopoanno.

Ecco il racconto di mia mamma:«Mastro Nunzio Venia era un possidente ed

un esperto artigiano del cuoio; lavorava i Bastidegli animali da soma e le selle dei cavalli. Avevasposato una cugina, come si usava allora nellenostre famiglie (mia nonna materna si chiamavaDonna Francesca Paola Lupo). Ebbero cinquefigli: Benedetto, Marietta, Giuseppe, Tommaso eNunziata, tutti nati a Bronte.

Giuseppe frequentò il colleggio Capizzi, al-lora retto dai salesiani. A contatto con quei me-ravigliosi confratelli (D. Ercolini, D. Bonancini,D. Fascie, D. Barale, D. Manzella) sentì la chia-mata di Dio ed entrò nel Noviziato di San Gre-gorio (fu suo compagno un confratello che tuttiabbiamo conosciuto: Don Piazza). Iniziò il suotirocinio pratico a Messina San Luigi.

Il terremoto interruppe la sua vita salesiana.Rimase sepolto insieme ad un altro chierico nelcrollo della camerata dove era assistente».

Mio nonno non ebbe pace finché non riuscìa trovare amici che lo accompagnassero a Messi-na, ma proprio lì iniziò la sua tragedia. Non glifu permesso di entrare a cercare il suo Giuseppe.Fu anche arrestato perchè era riuscito a rompe-re il cordone militare che impediva l’entrata nel-la città distrutta. Rammaricato che alcuni deisuoi “amici” si erano dati allo sciacallaggio, ri-tornò a Bronte senza aver potuto trovare suo fi-glio. Non volle più sentire parlare né di Dio, nédi Don Bosco, e così trascorse in cupa angosciagli anni dal 1909 al 1923.

Sorrise quando gli arrivò la notizia della na-scita del suo primo nipote, Gino, figlio del mare-sciallo decorato nella battaglia del Sabotino(guerra del 1915/1918) D’Amico Giuseppe edella figlia Marietta. Il maresciallo dei carabinie-ri D’Amico Giuseppe, ferito ed invalidato si tro-vava ormai da tre anni a Firenze. Breve gioia,perchè appena tre anni dopo, 25 marzo 1925 ilDon G. Venia.

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insieme numero speciale42

maresciallo D’Amico morì all’ospedale militare di Firenze. Mastro Nunzio Venia intraprese un fatico-so viaggio per riportare a Bronte la figlia e il nipote e la salma del genero al quale la città di Bronte tri-butò accoglienze trionfali. Un mese dopo il terremoto ricevette con una lettera di Don Rua la notiziadella morte del figlio Giuseppe e la sua sepoltura nel cimitero di Messina.

Neppure allora gli fu concesso di vedere la tomba di suo figlio. Questo rifiuto lo inasprì ancor dipiù.

Così quando, dopo una serie di monellerie, il nipote Gino fu mandato in collegio a Catania, nellasua cupa rabbia, buttò fuori di casa la figlia vedova e il secondo nipote Giuseppe.

La conclusione ci mostra come i sentieri del Signore non sono i nostri. La mia santa nonna, che visse nel silenzio la tragedia della morte del figlio, pregava che la grazia

di avere un figlio sacerdote di Don Bosco, si avverasse almeno nel nipote. Così disse a mia mamma sulletto di morte. Ma non uno solo, ma uno per famiglia dei suoi figli è sacerdote di Don Bosco.

Don D’Amico, figlio di Marietta; Don Daniele Venia, martire della carità, missionario in India, fi-glio di Tommaso (Daniele è sepolto a Roma); e Don Giuseppe Lupo, apostolo dei nostri connaziona-li in Germania, a Koblenz, figlio di Nunziata.

Mio nonno morì riconciliato con Dio e con Don Bosco, a cui sul letto di morte, disse: “Grazie! Perquello che mi hai tolto e per quello che mi hai dato”.

DDoonn GGiinnoo DD’’AAmmiiccoo

Una pagina significativa dell'amicizia fra la nostra città ed il popolo russo è legata ad una vicendatragica del nostro secolo: il terremoto del 1908, che ancor oggi costituisce la ferita più profonda del-la nostra Storia.

Di quegli eventi tragici, va ricordato che i primi soccorritori giunti a Messina furono proprio i ma-rinai della flotta imperiale russa, che si trovava nel porto di Augusta per delle esercitazioni.

Appresa la notizia della terribile sciagura che aveva colpito la nostra città, l'Ammiraglio Livtinovsalpò nella nottata del 28/12/1908 ed arrivò a Messina la mattina del29/12/1908. Lo spettacolo della città distrutta era sconvolgente: evitando re-litti e detriti galleggianti, la flotta composta dalle due corazzate Slava e Ce-sarevic e dall'incrociatore Makarov (in seguito sarebbe giunto anche un'al-tro incrociatore, il Bogatyr) riuscì ad attraccare nel porto, dove già si era for-mata una folla di superstiti in cerca di aiuto. Le case erano interamente raseal suolo, ed anche dietro le facciate di qualche palazzo ancora in piedi, si tro-vavano solo macerie, mentre gli incendi divampavano un po' ovunque. Nel-la stessa giornata arrivò anche la flotta britannica, che coordinò con i russila propria opera di soccorso. La situazione era veramente terribile, se si pen-sa che Messina prima del terremoto aveva 150.000 abitanti e, seppure le ci-fre ufficiali hanno accertato 60.000 decessi, c'è chi ha calcolato che vi furo-no fino a 100.000 vittime!

Appena sbarcati, i russi dovettero fronteggiare l'emergenza: i superstiti, che erano stati sorpresidalle scosse nel sonno, avevano bisogno di vestiti e di cibo, mentre ai feriti erano necessarie cure e me-dicinali, ma la prima esigenza era scavare sotto le macerie per trovare persone ancora in vita!

I russi si adoperarono con grande eroismo in quest'opera di salvataggio, scavando anche con le so-le mani sotto le macerie, incuranti della fatica e del pericolo che le continue scosse di assestamento

Un po’ di storia: i marinai russia Messina dopo il terremoto

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terremoto di messina 1908 insieme 43

minacciavano alla loro stessa vita. Soltanto nel primo giorno salvarono un centinaio di persone e tra-sportarono circa 500 feriti sulle navi. Secondo quanto recentemente dichiarato dal sismologo russoAndrej Niconov, l'eroismo dei marinai russi fu sottolineato da tutti i giornali europei (con eccezioneforse di quelli tedeschi), all'indomani di un terremoto che aveva raggiunto il 10° grado e che trovavaun solo precedente nella Storia europea nel terremoto di Lisbona del 1755.

Nei vari giorni che seguirono, i russi da soli salvarono dalle macerie circa 800 persone e, fin dalprimo giorno, trasportarono i feriti negli ospedali facendo la spola con le città di Palermo, Siracusa eNapoli, prestando soccorso a più di 2.500 vittime del disastro. Oltre alle operazioni di soccorso, do-vette essere fronteggiato anche il turpe fenomeno dello sciacallaggio: infatti sia le autorità cittadine chela maggior parte delle forze dell'ordine erano scomparse, vittime del terremoto, e i soccorritori dovet-tero svolgere anche azioni di polizia.

Man mano che i giorni passavano, giungevano gli interventi delle altre città italiane e delle flotteinternazionali: poichè i primi soccorsi giunsero dal mare, vanno ricordati i marinai delle navi inglesi,francesi ed americane che si prodigarono nelle operazioni di salvataggio, ma un merito tutto partico-lare fu riconosciuto all'abnegazione ed all'eroico sacrificio dei marinai russi, tant'è che, già nel primoconsiglio comunale dopo il terremoto, i Messinesi deliberarono di erigere un monumento a quei pri-mi salvatori.

La solidarietà con Messina andò oltre il primo e immediato soccorso: fu costituito un comitatoPietroburgo - Messina che inviò generi di prima necessitaà e raccolse fondi per la ricostruzione, lostesso Zar dono 50.000 franchi. Anche lo scrittore M. Gorkij volle contribuire, scrivendo un libro sulterremoto, i cui proventi furono donati alla città.

Il ricordo dell'aiuto ricevuto restò vivo nella nostra città: dopo la Rivoluzione d'Ottobre, il coman-dante Ponomarev dell'incrociatore Makarov, divenuto Ammiraglio, dovette fuggire dalla Russia bol-scevica e giunse a Messina nel 1918, privo di mezzi di sostentamento ed in città fu subito organizzatauna raccolta di fondi per aiutarlo tramite il giornale "La Gazzet-ta di Messina e delle Calabrie". Ed ancora nel 1920 il Principerusso Felix Iucunov, che organizzava aiuti nel Sud dell'Italia aiprofughi dalla Russia sovietica, intrattenne stretti rapporti conmolti messinesi. In tempi più recenti, nel 1978, a 70 anni dal ter-remoto, l'Amministrazione Comunale ha apposto nella facciatadel Palazzo Municipale una lapide che ricorda le gesta eroiche deiprimi soccorritori della nostra città nel 1908. Nello stesso anno inRussia venne emesso un francobollo commemorativo degli eventidel 1908. Così oggi, ripensando a quegli accadimenti lontani, possiamo immaginare che, se ancoradesso a Messina c'è chi guarda con attenzione e simpatia alla Russia, alla sua Storia ed alla sua Cul-tura, forse è proprio in quegli eventi del 1908 che possiamo trovare la radice di questo particolare le-game.

MMaauurriizziioo LLoo PPaassssoo

Da: “Russianecho.net”.

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insieme44 insieme numero speciale

Debutterà il 3 novembre l'attesissimo franco-bollo rievocativo del Terremoto di Messina e Reg-gio Calabria del 1908. Un sisma catastrofico del10° grado della Scala Mercalli che rase al suolobuona parte delle abitazioni delle due città delloStretto, facendo oltre 100.000 vittime. Dopo ildentello emesso a giugno dalle Poste dell'Ordinedi Malta, il 3 novembre ci sarà l'emissione italia-na: un francobollo da 0,60 € ricorderà il tragicoevento.

Sono passati cento anni dal catasfroficoevento, ma ancora oggi il Terremoto che scon-volse le provincie di Messina e Reggio Calabrianel 1908 è ricordato come tra i più tragici dellastoria italiana sia per la devastazione materialeche per le decine di migliaia di morti che procu-rò. Erano le 5:21 del mattino del 28 dicembrequando i sismografi, apparecchiature piuttostomodeste dal punto di vista tecnologico in quel-l'epoca, registrarono un terremoto di grande ma-gnitudo localizzato nell'Italia meridionale.

Ci volle un pò prima che si comprendessel'accaduto: un terremoto del 10° grado della Sca-la Mercalli seguito da un maremoto (oggi direm-mo tsunami) che colpì con durezza le due cittàdello Stretto. Messina fu quasi del tutto rasa alsuolo ed ebbe circa il 60% della popolazione de-cimata dal crollo delle abitazioni. Anche ReggioCalabria ebbe gravissimi danni materiali e circa15.000 morti, ovvero un terzo della popolazione.

Tutte le vie di comunicazione (comprese evi-dentemente quelle telegrafiche e postali, ancoradel tutto fondamentali per l'Italia d'inizio seco-lo) vennero interrotte. Il governo mise subito adisposizione della martoriata popolazione eser-cito e marina. Immediato e massiccio fu purel'intervento del Sovrano Militare Ordine di Mal-ta che aprì ospedali da campo e distribuì acquae viveri. Un'opera meritoria che è stata rievocatanel francobollo emesso dalle poste melitensi il 30giugno scorso.

Caratteristiche tecniche del francobolloIl francobollo è stampato dall’Officina Carte

Valori dell’Istituto Poligrafico e Zecca dello Sta-to S.p.A., in rotocalcografia, su carta fluorescen-te, non filigranata; formato carta: mm 40 x 30;formato stampa: mm 36 x 26; dentellatura: 13 x13; colori: cinque; tiratura: tre milioni e cinque-centomila esemplari; foglio: cinquanta esempla-ri, valore “€ 30,00”.

La vignetta raffigura, in grafica stilizzata, unaveduta dall’alto del-la città di Messinacon l’omonimoStretto e, sullo sfon-do, la città di ReggioCalabria; sulla vi-gnetta si evidenzia-no alcuni cerchi

concentrici a rappresentare le onde sismichecausate dal terremoto del 1908.

Completano il francobollo la leggenda “1908TERREMOTO DI MESSINA”, la scritta “ITA-LIA” e il valore “€ 0,60”.

Bozzettista: Anna Maria Maresca.A commento dell’emissione verrà posto in

vendita il bollettino illustrativo con articoli a fir-ma dell’On. Nanni Ricevuto, Presidente dellaProvincia Regionale di Messina e dell’Avv. Giu-seppe Morabito, Presidente della Provincia diReggio Calabria.

Gli Sportelli Filatelici di Messina 18 e diReggio Calabria Centro utilizzeranno, il giornodi emissione, il rispettivo annullo speciale realiz-zato a cura della Filatelia di Poste Italiane.

Il francobollo e i prodotti filatelici sarannoposti in vendita presso gli Uffici Postali, gli Spor-telli Filatelici del territorio nazionale, i Negozi“Spazio Filatelia” di Roma, Milano, Venezia,Napoli.

Queste immagini sono relative ad un periodostorico posto tra due avvenimenti catastrofici

Francobollo rievocativo del terremoto

Onde sismiche su Messina: l’Italia ricorda il terremoto del 1908

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insieme 45terremoto di messina 1908 insieme

(terremoto del 1783 e del1908) che segnarono pro-fondamente e tragicamen-te l’aspetto della città diReggio Calabria, Messinae dei paesi limitrofi.

Dopo il terremoto del5 febbraio 1783 la città diReggio, era stata ricostrui-ta conservando ancorauna tipica fisionomia me-dievale, con stradine rettee tortuose e si presentavacome un agglomerato di-sorganico di tante piccoleabitazioni, fra quali svetta-vano imponenti chiese e monasteri con alcunisontuosi palazzi di ricchi signori.

All’alba del 28 dicembre 1908 la terra tremòancora una volta, con rabbia ed inaudita violen-za, distruggendo quanto faticosamente era statoricostruito da poco. Il tremore della terra avevaancora una volta sconvolto l’aspetto della cittàche dovette affrontare di nuovo il difficile cam-mino della sua riedificazione.

A differenza del passato, grazie alla docu-mentazione di queste fotografie ingiallite e diqueste vecchie cartoline d’epoca (che apparten-gono alla collezione di mia proprietà e di qual-che amico, che gentilmente mi ha concesso dipubblicarle), si mette in evidenza con chiarezza

e crudezza di immagini visive, la gravità, la di-mensione delle devastazioni ed il clima del-l’emergenza, espresso dalle esigenze dei supersti-ti, che in pochi secondi avevano perso tutto. Ilcrollo delle strutture causato dal terremoto e lesuccessive demolizioni degli edifici pericolanti,cancellarono definitivamente le testimonianzedella Reggio presismica, per cui oggi non ci èconsentito di constatare le trasformazioni subitedalla città, tanto da far sembrare il nostro recen-te passato molto lontano dal presente.

Pur non avendo pretese di trattazione stori-ca, queste immagini tendono a sottolineare lacreativa operatività della sua gente, che seppe

costruire sulle macerieprecedenti, una città assaipiù gradevole e più vivibi-le di quella riedificata inprecedenza.

Il più disastroso terre-moto mai avvenuto in Eu-ropa, quello che il 28 di-cembre 1908 rade al suoloMessina e Reggio Cala-bria, con il suo tragico bi-lancio di morti (quasi cen-tocinquantamila) superadi gran lunga la catastrofeche qualche anno primaha distrutto San Franci-sco.

Messina: Il crollo di un edificio dopo il terremoto.

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insieme46 insieme numero speciale

Nella livida luce del-l'alba invernale la terratrema: scosse di immanepotenza si susseguono pertrentadue interminabilisecondi. Immediatamentedopo, in un surreale silen-zio, un rombo sordo chesembra venire dal fondodel mare. In rapida suc-cessione le gigantescheondate del maremoto in-vestono la città devastatadal sisma. Sparisce il por-to, le barche sono scaglia-te sopra le macerie dei pa-lazzi. Scompaiono la stazione e gli scali ferrovia-ri, vengono spazzati via i binari. Crollano abita-zioni e imponenti edifici. Tra le macerie, decinedi migliaia di abitanti sono sepolti vivi, intrappo-lati accanto ai morti, mentre interi isolati pren-dono fuoco e inizia una pioggia sottile che conti-nuerà per giorni e giorni. Nella città devastataaccorrono alcuni tra i più famosi giornalisti ita-liani: Luigi Barzini e Giuseppe Antonio Borgese,Goffredo Belloni e Guelfo Civinini. Assieme al-l'accorata testimonianza dello scrittore DinoProvenzal e dello storico Gaetano Salvemini, chenel disastro perde tutti i suoi cari, il loro repor-tage fissa memoria indelebile di uno dei capitolipiù tragici nella storia del nostro paese. Giorgio

Boatti narra per la prima volta la catastrofe diMessina in un'ampia e serrata ricostruzione ba-sata, oltre che sulle cronache e i racconti dei so-pravvissuti, su documenti inediti che ne illumi-nano i più drammatici e sconvolgenti risvolti: iritardi nella ricerca dei sepolti vivi, l'incapacitàdelle istituzioni di decidere con coerenza e dioperare con umanità. In una città lasciata privadi tutto si eseguono fucilazioni sommarie controchi compie furti e saccheggi e si tenta di depor-tare la popolazione sopravvissuta per semplifica-re la gestione dello stato d'assedio. A questoapocalittico scenario risponde l'impressionantesolidarietà delle nazioni del mondo intero. E si

registra il tempestivo ac-correre a Messina e in Ca-labria di squadre di soc-corso organizzate da nu-merose città italiane, deci-se a non delegare nienteallo Stato, al governo, aipubblici funzionari. Unavicenda, quella narrata daBoatti, che mette a fuocodue Italie diverse, con-trapposte. E che, pur ri-mossa, ha continuato apesare sulle identità pas-sate e presenti del nostropaese.

FFrraanncceessccoo DDee CCaarrlloo

Messina: Interno del Duomo prima del terremoto.

Messina: Interno del Duomo dopo il terremoto.

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insieme 47terremoto di messina 1908 insieme

L’incrociatore Aurora aMessina nel maggio del 1979.Il vecchio Incrociatore, tra leprime navi a portare soccorsoalla popolazione di Messina eReggio Calabria, è adesso una

nave-museo e si trova aS. Pietroburgo.

NNeell 7700°° ddeell tteerrrreemmoottoo,, ll’’eeqquuiippaaggggiioo ddeellllaa nnaavvee ““AAuurroorraa””vviissiittaa ll’’IIssttiittuuttoo SS.. LLuuiiggii ddii MMeessssiinnaa

In occasione del 70° anniversario del terremoto, che devastò la città di Messina e rase al suolol’Istituto Salesiano S. Luigi, situato in zona Boccetta, Don Giuseppe Riggi, sul settimanale diocesano“La scintilla”, ha mantenuto vivo il ricordo della solidarietà nazionale e internazionale, generosa an-che nei confronti dei Salesiani, esibendo abbondante documentazione e testimonianze vive dell’even-to. In questo contesto si inserisce la sua visita salesiana all’incrociatore sovietico “Aurora” e il suo apo-stolato tra l’equipaggio della nave, in grato ricordo del soccorso che la la squadra navale russa nel1908, alla fonda ad Augusta, si diresse con le navi Makaroff, Guilak, Korietz, Bogatir, Slava, Cesare-vitc, in soccorso della città, ove ritornarono ancora nel 1911 con l’incrociatore “Aurora”. Si deve aDon Riggi l’iniziativa di far visitare a tutto l’equipaggio della nave “Aurora” il nostro Istituto e fu unvero incontro familiare e informale, non privo di commozione, nella casa che rievocava un bel mo-mento di umana fratellanza tra la Russia e Messina.

Fu così che nel maggio 1979 il comandante con gli ufficiali e una trentina di marinai russi, scor-tati da due commissari del popolo, entrarono nell’istituto accolti dal Direttore, che rispose, assieme aiconfratelli presenti, e ai giovani convittori, al loro istintivo abbraccio e calorose strette di mano. Eracosa meravigliosa vederli aggirare negli ambienti dell’istituto e chiedere spiegazioni di ogni quadroche c’era nel parlatorio, di ogni statua e di ogni immagine. Fu proprio uno dei commissari a ricono-scersi, si fa per dire, nel direttore di uno dei quadri d’insieme. Attraverso l’interprete, i marinai chie-devano notizie di Maria Ausiliatrice, di Don Bosco, di San Luigi, e non era facile al direttore spiega-re a ragazzi, educati nell’ateismo più feroce, il messaggio che da quelle figure sprigionavano tenerez-za, amore, gratitudine. Al discorso di accoglienza del direttore, che illustrò come potè, controllandoper quanto gli era possibile, l’esatta traduzione del suo pensiero fatta dall’interprete, le finalità del-l’Istituto, il compito degli educatori e dei giovani, il tipo di metodologia educativa che era attuata. Ri-spose il comandante in sorprendente caloroso saluto e fece meraviglia la sua capacità di dialogo coinostri studenti, con cui si compiaceva di ricordare i suoi primi anni di durissima accademia prima dipotersi imbarcare.

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insieme48 insieme numero speciale

Invitati ad un piccolo simposio tutti si precipitarono sulle squisitezze messinesi e non ci fu più di-stanza tra ufficiali e marinai e i nostri ragazzi. Tutti mangiarono e bevvero con grande gioia e non re-stò nulla di quanto preparato, e poterono portare via quanto vollero.

Ma la sorpresa più grande per il direttore fu la richiesta da parte dell’interprete di una bibbia. For-tunatamente il direttore ne aveva una in russo e possedeva pure la traduzione in quella lingua dell’imi-tazione di Cristo, ma l’interprete ne volle anche una artistica con illustrazioni, in italiano, e al mio ti-more che non gli permettessero di tenerla sulla nave, rispose che lui aveva tutte le autorizzazioni.

Detto fatto, gli diedi la bibbia in tre volume della Marietti, la Cavalleria Rusticana nella confezio-ne disco regalo, Canti popolari siciliani, e agli ufficiali una luminosa riproduzione dello Stretto. Misipoi davanti ai marinai una serie di oggetti turistici e sacri, medaglie, rosari, cartoline. Fu incredibilecome tutti scelsero di preferenza proprio quegli oggetti che io pensavo fossero alieni alla loro educa-zione. Nessuno, dico nessuno, andò via senza portarsi un’immagine della Vergine solennemente postaa faro dello Stretto. Don Riggi gioiva immensamente e piangeva come un bambino, ma neppure noipotemmo trattenere la commozione quando il comandante nel momento di fare il gruppo fotografi-co di ricordo, si tolse il berretto della divisa e lo mise sul capo del ragazzo più vicino, ridendo sono-ramente; gesto che imitarono gli altri ufficiali, compresi i due commissari del popolo. Prima di acco-miatarsi il comandante offrì al direttore, in ricordo, una massiccia riproduzione della nave “Aurora”,ricavata dal relitto della vecchia “Aurora”, ormai in disarmo.

DD.. BBiiaaggiioo AAmmaattaa

S. Pietroburgo:Uno dei cannonidell’Incrociatore Aurora.

S. Pietroburgo:Un’immagine recente

dell’IncrociatoreAurora.

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