Insediamenti lungo il Nilo
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Relatore Ch. Prof. Emanuele Marcello Ciampini Correlatrici Ch.ma Prof.ssa Francesca Iannarilli Ch.ma Prof.ssa Alessandra Gilibert
Laureanda Marta Fornasari
Matricola 876449
Anno Accademico 2019 / 2020
Corso di Laurea magistrale in Scienze dell'antichità: letterature,
storia e archeologia
Tesi di Laurea
Insediamenti lungo il Nilo Confronto tra modelli urbanistici egiziani e sudanesi in
epoca greco-romana
INDICE
1. Introduzione …………………………………………………………………………………… p. 1
2. Quadro storico e culturale: la Nubia dall’inizio della dominazione egizia (XII Dinastia) alla scomparsa del regno meroitico (V sec. d.C.) ………………………………………. p. 3
a. La prima dominazione egizia: il Medio Regno …………………………………….. p. 3
b. Il regno di Kerma ……………………………………………………………………… p. 3
c. La seconda dominazione egizia: il Nuovo Regno ……………………………….... p. 4
d. Il secondo regno di Kush …………………………………………………………….. p. 7
e. La XXV Dinastia ………………………………………………………………………. p. 8
f. Il periodo napateo ………………………………………………………………….... p. 18
g. Il periodo meroitico ………………………………………………………………...... p. 24
3. Insediamenti in Egitto ………………………………………………………………………. p. 35
a. Alessandria …………………………………………………………………………... p. 35
b. Ermopoli …………………………………………………………………………….... p. 38
c. Antinoe ……………………………………………………………………………...... p. 39
d. Fayyum ……………………………………………………………………………….. p. 40
i. Karanis …………………………………………………………………….... p. 41
ii. Philadelphia ………………………………………………………………… p. 43
iii. Tebtynis …………………………………………………………………….. p. 44
iv. Theadelphia ………………………………………………………………… p. 45
v. Dionysias ………………………………………………………………….... p. 46
e. Considerazioni ………………………………………………………………………. p. 47
i. Le vie processionali di tradizione faraonica nella definizione urbanistica di età ellenistica ……………………………………………………………..... p. 47
o Deir el-Medina ……………………………………………………. p. 48
o Tebe ……………………………………………………………….. p. 49
o File …………………………………………………………………. p. 51
ii. I templi faraonici nel passaggio alla dominazione ellenistica e romana p. 53
iii. Confronto tra insediamenti ………………………………………………... p. 54
4. Insediamenti in Sudan ……………………………………………………………………… p. 58
a. Napata ………………………………………………………………………………... p. 58
i. Il B1200 ……………………………………………………………………... p. 59
ii. Il B100 ………………………………………………………………………. p. 61
iii. Il B2400 ……………………………………………………………………... p. 61
iv. Il B1500 ……………………………………………………………………... p. 63
v. Il B3200 ……………………………………………………………………... p. 66
vi. Assetto urbanistico ………………………………………………………… p. 67
b. Meroe …………………………………………………………………………………. p. 70
i. La Città regale e il complesso M294-295 ………………………………... p. 72
ii. L’M251-253 ………………………………………………………………… p. 75
iii. L’M750 ……………………………………………………………………… p. 76
iv. Assetto urbanistico ………………………………………………………… p. 78
c. Butana o Isola di Meroe …………………………………………………………….. p. 79
i. Wad Ben Naqa ……………………………………………………………... p. 80
ii. Muweis ……………………………………………………………………… p. 83
iii. Mussawarat es-Sufra …………………………………………………….... p. 87
d. Considerazioni ……………………………………………………………………..... p. 91
i. Distinzione tra “città” e “centro cerimoniale” …………………………….. p. 91
ii. Confronto tra palazzi ………………………………………………………. p. 94
5. Conclusioni: confronto tra la realtà egiziana e sudanese …………………………… p. 105
a. L’integrazione degli spazi preesistenti ………………………………………….... p. 105
b. Il ruolo dei viali processionali nel tessuto urbano ……………………………..... p. 106
c. L’idea della “città” …………………………………………………………………... p. 109
d. Epilogo ……………………………………………………………………………… p. 109
6. Elenco delle illustrazioni con relativa bibliografia …………………………………… p. 111
7. Bibliografia ………………………………………………………………………………….. p. 114
1
1. INTRODUZIONE
L’obiettivo di questo elaborato è il confronto tra i modelli urbanistici attestati in Egitto e Sudan in
epoca ellenistica e romana per capire se sia possibile individuare dei punti in comune.
Prima di entrare nel vivo dell’esposizione, si è voluto dedicare un capitolo alla definizione del quadro
cronologico e culturale della regione nubiana, per restituire una visione quanto più possibile chiara
di quale fosse la situazione politica al tempo. La scelta di inserire una digressione sulla storia nubiana
e non su quella egiziana è motivata dalla maggiore conoscenza che solitamente si ha di quest’ultima.
Il passo successivo è stato l’analisi dei vari insediamenti, sia egiziani che nubiani, per capire quali
fossero le attestazioni conservate, le informazioni note e, di conseguenza, quanto si conoscesse dei
vari impianti urbanistici. Per la realizzazione di questa parte, che costituisce il nucleo vero e proprio
dell’elaborato, è stato necessario operare una selezione e una scelta in relazione a quali centri
analizzare. Tale decisione è stata presa sulla base di diversi fattori, in particolare l’importanza
rivestita dagli insediamenti nel periodo storico esaminato e la rilevanza delle evidenze archeologiche
rinvenute. Dati questi criteri, per l’area egiziana si è deciso di prendere in considerazione i centri di
Alessandria, che ebbe un ruolo di primo piano nell’epoca considerata, Ermopoli, località significativa
fin dall’epoca faraonica che ha restituito molte informazioni sulla struttura dell’abitato, e Antinoe,
caratterizzata dall’essere una fondazione di epoca romana ispirata al modello greco. A questi si sono
aggiunti alcuni insediamenti nell’oasi del Fayyum, oggetto in epoca tolemaica di una significativa
attività di bonifica e di una conseguente intensa urbanizzazione. Anche per quest’area non è stato
possibile prendere in considerazione tutti gli insediamenti presenti, ma si è resa necessaria una
selezione, operata sempre sulla base dei criteri definiti in precedenza, che ha portato a scegliere i
centri di Karanis, Philadelphia, Tebtynis, Theadelphia, e Dionysias. Per l’area nubiana, sono stati
selezionati i centri di Napata e Meroe, i più importanti nel periodo storico considerato, e i tre centri di
Wad Ben Naqa, Muweis e Mussawarat es-Sufra, collocati nell’area del Butana, la cui rilevanza deriva
dalla loro vicinanza a Meroe e dalle attestazioni significative ivi ritrovate.
Le conoscenze relative agli insediamenti presi in esame differivano molto le une dalle altre. In
particolare, se per gli insediamenti egiziani è stato ricostruito l’intero impianto urbanistico, per gli
insediamenti nubiani le attestazioni riguardavano in prevalenza i complessi palaziali e solo a Meroe
e Muweis è stato possibile reperire informazioni sulle aree di abitato. Per questo motivo, si è attuato
un diverso approccio nell’analisi delle evidenze relative alle due aree: per l’area egizia, l’analisi ha
riguardato gli insediamenti nel complesso, mentre per l’area nubiana è stata data priorità ai
complessi palaziali. Benché in tutti i centri considerati siano state rinvenute anche attestazioni di
edifici templari, si è scelto di non esaminare tali rinvenimenti perché l’inserimento dei luoghi di culto
2
avrebbe comportato la trattazione di argomenti che esulano dalle finalità dell’elaborato. Per le stesse
ragioni, si è deciso di tralasciare anche l’analisi sistematica degli elementi architettonici e decorativi
che, tuttavia, sono stati all’occorrenza sempre citati.
Terminata la descrizione dei singoli insediamenti, si è proceduto nel confronto tra le varie evidenze:
desiderando procedere per gradi, si è deciso di dedicare due distinti capitoli alle riflessioni sugli
insediamenti nelle due aree e di passare poi ad un confronto tra quanto emerso per l’ambito egiziano
e quello sudanese in un terzo capitolo che ha funto anche da conclusione dell’elaborato. In tal modo,
si è potuto avere prima un quadro chiaro di quale potesse essere il modello urbanistico definibile per
le due regioni e, solo successivamente, si sono potute confrontare le due realtà.
Per quanto riguarda l’ambito egiziano, ci si è focalizzati sugli aspetti che definivano maggiormente
gli insediamenti: sono stati presi in esame il ruolo dei viali processionali di tradizione faraonica nella
definizione urbanistica ellenistica, il ruolo dei templi faraonici nel passaggio alla dominazione greca
e romana1 e, infine, il confronto tra gli assetti urbanistici dei vari insediamenti. Per l’area sudanese,
invece, le considerazioni hanno riguardato in primis il confronto tra Napata e Meroe, entrambi centri
importantissimi, ma con caratteristiche profondamente differenti che riflettono una natura totalmente
diversa: Napata può essere definita come un centro cerimoniale mentre Meroe è definibile come un
insediamento vero e proprio. Si è poi realizzato un confronto tra i palazzi analizzati essendo questi,
come si è già detto, le principali attestazioni pervenute in tale area, evidenziando i punti in comune
e, ove presenti, i loro rapporti con gli edifici vicini (templi e strutture di stoccaggio).
In ultima battuta, si è proceduto ad un confronto tra quanto emerso per l’area egiziana e quanto
evidenziato per la zona sudanese. Il risultato è stata un’analisi che comprendesse gli elementi
maggiormente rappresentativi in entrambi gli ambiti, in particolare: il rapporto tra le preesistenze
(soprattutto di epoca faraonica) e le costruzioni di epoca greca e romana, il ruolo dei viali
processionali nella definizione del tessuto urbano e il paragone tra l’idea della “città” in Egitto e
Sudan. Questo confronto conclusivo ha consentito di verificare la presenza di elementi comuni negli
insediamenti delle due realtà, soprattutto di tradizione ellenistica, che rimangono comunque
caratterizzati da una grande diversità e da un costante mantenimento delle loro caratteristiche
identitarie.
I risultati di questo lavoro, lungi dall’essere considerati definitivi, si prestano ad ampliamenti e
approfondimenti futuri e, data la natura in divenire dell’argomento, non si esclude che prossimi studi
e scoperte possano in qualche modo modificare la validità delle conclusioni dedotte.
1 Si precisa che l’inserimento in questo capitolo di una parte dedicata ai templi di epoca faraonica non si scontra con la scelta di non trattare edifici di culto: l’analisi non ha riguardato, infatti, gli edifici in sé, quanto piuttosto il ruolo che questi luoghi hanno avuto in epoca ellenistico-romana, soprattutto nella definizione dell’assetto urbanistico degli insediamenti.
3
2. QUADRO STORICO E CULTURALE: LA NUBIA2 DALL’INIZIO DELLA DOMINAZIONE EGIZIA (XII DINASTIA) ALLA SCOMPARSA DEL REGNO MEROITICO (V SEC. D.C.)
a. La prima dominazione egizia: il Medio Regno3
Le profonde similitudini geografiche tra la Bassa Nubia e l’Alto Egitto hanno contribuito, fin dai tempi
più antichi, ad accentuare la percezione egizia della Bassa Nubia come di una “prosecuzione
naturale” del territorio egiziano4. Infatti, contatti tra Egitto e Nubia sono attestati già a partire
dall’Antico Regno (IV Dinastia) sotto forma di scontri e rivalità per il dominio del territorio nubiano e
il conseguente controllo delle rotte verso l’Africa5. Successivamente, nel Medio Regno, la presenza
egiziana a sud si fece più massiccia: Amenemhat I (XII Dinastia) riuscì ad occupare militarmente la
Bassa Nubia fino alla Seconda Cataratta. Questo evento segnò l’inizio di una dominazione egiziana
poi ampliata da Sesostri III (XII Dinastia), i cui sforzi militari consentirono di estendere le conquiste
oltre la Seconda Cataratta, fino alla zona di Semna. L’intera area di confine venne protetta tramite
la costruzione di una catena di fortezze situate in punti strategici, che dovevano sia scoraggiare
possibili aggressioni da parte del regno di Kerma, una compagine politica nata nei territori dell’Alta
Nubia che stava progressivamente acquisendo potere, sia favorire le possibili nuove conquiste
dell’Egitto verso sud6.
b. Il regno di Kerma7
Il regno di Kerma era una struttura politica con centro nell’insediamento di Kerma, frutto di un
accorpamento di antichi potentati nubiani che solo durante l’Età del Bronzo Medio si erano unificati
a costituire una forma avanzata di stato centralizzato8 la cui economia era basata sullo scambio di
beni9. Tale istituzione, geograficamente molto estesa, era composta da una popolazione molto vasta
e socialmente stratificata in modo comparabile all’Egitto contemporaneo e comprendeva al suo
interno regni in precedenza formalmente indipendenti che sembra abbiano continuato ad esistere
2 Con il termine Nubia si indica una regione storica approssimativamente collocata tra l’area a nord della Prima Cataratta e la Quinta Cataratta del Nilo e attualmente compresa in parte nell'Egitto meridionale (“Bassa Nubia”) e in parte nel Sudan settentrionale (“Alta Nubia”). 3 Per approfondire, cfr. “The end of the Egyptian domination and the emergence of the kingdom of Kush (c. 1188-760 BC)” in Török 1997b, pp. 82-92. 4 Török 1997b, p. 29. 5 Ivi, p. 93. 6 Török 2009, p. 87. 7 Per approfondire, cfr. Bonnet 2019. 8 Török 1997b, p. 99. 9 Bonnet 2019, p. 2.
4
come unità singole nella gerarchia di governo anche dopo l’unificazione10. Analisi approfondite
dell’architettura urbana di Kerma hanno consentito di definire la presenza di influssi provenienti sia
dal mondo nubiano ed africano che da quello egiziano11.
Subito prima dell’inizio del Nuovo Regno, a partire dal 1650 a.C. ca., la Bassa Nubia ritornò sotto il
controllo del regno di Kerma, che si trovò così a dominare le rotte commerciali tra l’Egitto e l’Africa,
stabilendo relazioni diplomatiche sia con gli Hyksos, che nel contempo regnavano sul Basso Egitto,
sia con la XVII Dinastia tebana.
Tuttavia, questo periodo di tranquillità giunse alla fine quando Kamose (XVII Dinastia) e il suo
successore Ahmose (XVIII Dinastia) mossero guerra al regno di Kerma (nelle fonti indicato come
regno di Kush) iniziando un sistematico assoggettamento della Nubia.
c. La seconda dominazione egizia: il Nuovo Regno12
Dopo la sottomissione della Bassa Nubia al controllo egizio e i vani tentativi di Kamose e Ahmose di
estendere il dominio ancora più a sud, i loro eredi Amenhotep I e Thutmosi I riuscirono a conquistare
alcuni importanti centri nella regione della città di Kerma: in seguito alla conquista egiziana, i capi
locali mantennero il proprio potere, venendo incorporati nella nuova amministrazione della Nubia
mentre Thutmosi I divise la regione conquistata in vari distretti, sottoposti a principi vassalli i figli dei
quali vennero educati alla corte egiziana, dove funsero anche da ostaggi per garantire la pace nei
diversi territori. Questa linea di governo, in cui il faraone e le élite dei due Paesi erano inseriti in una
dinamica che prevedeva il reciproco scambio di doni, comportò l’ingresso in Nubia di un numero
ristretto di egiziani, limitato ad alti ufficiali militari e civili e all’alto clero preposto alla gestione dei culti
egiziani, lasciando il più possibile intatta l’originale stratificazione sociale13.
Anche Hatshepsut combatté in Alta Nubia, così come il successore Thutmosi III che, durante il suo
regno, riuscì ad espandere il dominio egiziano fino alla Quarta Cataratta rendendo l’area tra la Quarta
e la Quinta Cataratta una zona cuscinetto per bloccare gli attacchi dei potentati indipendenti
meridionali, che tuttavia continuarono ad avere un ruolo fondamentale nei commerci con l’Africa
centrale, fonte di materie prime esotiche. Per identificare il punto più meridionale del dominio egizio,
Thutmosi III fondò un presidio presso il futuro centro di Napata, ai piedi del Jebel Barkal.
10 Török 1997b, p. 99. 11 Bonnet 2019, p. 33. 12 Per approfondire, cfr. “The end of the Egyptian domination and the emergence of the kingdom of Kush (c. 1188-760 BC)” in Török 1997b, pp. 92-108. 13 Török 1997b, p. 100.
5
L’espansione egizia in Nubia iniziata con Kamose e poi proseguita durante il Nuovo Regno, era
motivata in concreto dal pericolo rappresentato dalle alleanze tra il regno di Kerma e gli Hyksos e
legittimata dal ricordo della dominazione della Bassa Nubia durante il Medio Regno, ma
ideologicamente venne giustificata dal concetto di “dominio universale”, che vedeva come compito
del sovrano quello di estendere il suo dominio per portare l’ordine nei territori dominati dalle potenze
straniere e quindi dal caos14.
Il territorio nubiano, che veniva così a trovarsi sotto controllo egizio (dalla Prima alla Quarta
Cataratta), era interamente sottoposto al controllo di un viceré, il «Sovrintendente delle Regioni
Meridionali», scelto dal sovrano tra i funzionari regali. Egli era responsabile del governo dell’area,
della raccolta e dell’invio di tributi e tasse al governo centrale e del controllo delle miniere aurifere.
Sebbene il controllo delle truppe qui stanziate fosse solitamente sottoposto ad un altro funzionario,
occasionalmente il Sovrintendente poteva ricoprire anche una funzione militare15. Ad un livello
territoriale più ristretto, le due regioni della Nubia egiziana, Bassa e Alta Nubia, erano gestite
ciascuna da un governatore, scelto dal viceré, e, a loro volta, gli insediamenti erano sottoposti
all’autorità di una sorta di sindaco, mentre gli accampamenti militari erano gestiti da ufficiali militari.
La Nubia era quindi a tutti gli effetti parte dello stato egiziano, a livello sia economico che
amministrativo. Per quanto riguarda i luoghi dell’occupazione egizia del Nuovo Regno in Bassa
Nubia, erano gli stessi eretti in seguito alla conquista operata durante il Medio Regno. I centri abitati
erano circondati da coltivazioni, che venivano curate dalla popolazione locale ma erano di proprietà
dei templi, delle élite (sia locali che egiziane), del sovrano e dei membri della famiglia regale. Di
conseguenza, la gestione della produzione e la ridistribuzione delle risorse erano affidate ai luoghi
di culto, che fungevano dunque anche da centri economici16. Data la loro importanza, questi templi
costituivano anche il primo mezzo di penetrazione della cultura egizia nel territorio: durante la XVIII
Dinastia, templi dedicati alle divinità egiziane vennero costruiti in Bassa Nubia in corrispondenza
degli abitati edificati nel Medio Regno. A partire dalla tarda XVIII Dinastia, invece, complessi fortificati
e luoghi di culto furono edificati ex novo in Alta Nubia, soprattutto nell’area tra la Prima e la Terza
Cataratta, come a Faras e Aksha.
Sebbene sia innegabile che, con la conquista e le conseguenti attività edilizie, la cultura egiziana
permeò l’intera area nubiana a vari livelli, l’effettivo grado di penetrazione dell’influsso egizio nella
popolazione locale dipese molto dalla classe sociale di appartenenza: la più coinvolta fu senza
14 Török 1997b, p. 95. 15 Ibidem. 16 Ivi, p. 96.
6
dubbio l’élite, che ricevette un’educazione egiziana e i cui membri adottarono spesso nomi egiziani
e furono sepolti in tombe di tipologia egizia, attestanti quindi l’adozione delle tradizioni funerarie
egizie. Al contrario, le sepolture degli abitanti degli insediamenti minori e delle campagne (quindi
delle classi sociali inferiori) proseguirono le usanze locali, senza essere influenzate dalle
consuetudini mortuarie egiziane. Per quanto riguarda invece la cosiddetta acculturazione materiale,
ossia il rinvenimento di manufatti di tipologia egizia in contesti attribuibili alle classi sociali più
disparate, è possibile affermare che questa derivò soprattutto dall’integrazione della Nubia all’interno
del sistema economico egiziano17. In altre parole, la conquista egiziana della regione e il suo ruolo
di trait d’union tra Egitto e Africa avrebbero fatto giungere qui materiali egiziani il cui ritrovamento
non implicherebbe tuttavia una “egittizzazione” della popolazione e dei suoi costumi a tutti i livelli.
Nonostante l’assimilazione culturale e il mantenimento di posizioni di rilievo, le élite locali non furono
estranee ad episodi di rivolta: tra le concause è probabilmente da inserire anche l’opposizione ad un
controllo totale delle miniere aurifere da parte del governo egizio. Il desiderio di controllare questa
regione fu anche alla base delle attività condotte dall’Egitto nella regione della Quinta e Sesta
Cataratta, miranti a prevenire e/o punire le interferenze delle potenze meridionali nelle questioni della
regione18.
La dominazione egizia della Nubia durò ininterrottamente quasi cinque secoli: da Kamose della XVII
Dinastia a Ramesse XI della XX Dinastia. Durante la XX Dinastia, le evidenze attestano che
l’amministrazione egizia fu molto debole nella zona a sud della Terza Cataratta, mentre a nord il
governo del viceré rimase immutato fino alla fine della dinastia quando, durante il regno di Ramesse
XI, il confine egizio-nubiano si assestò in corrispondenza della Seconda Cataratta. Rimane
comunque poco chiaro se la perdita di controllo dell’Alta Nubia venne accelerata da rivolte locali
oppure se fu piuttosto il risultato di una strategia politica. Ad ogni modo, questa ritirata si inserì in un
momento storico di regressione della politica espansionistica ramesside (aggravata dalle incursioni
dei Popoli del Mare), che coincise anche con la ritirata dalla Palestina19.
Durante il Terzo Periodo Intermedio, la zona tra la Prima e la Seconda Cataratta si trovava sotto il
controllo egizio, mentre l’area più a sud era territorio nubiano, indipendente dal controllo egizio. Al
contempo, il territorio egiziano venne diviso in due aree, controllate da due dinastie distinte: l’alto
clero di Amon, insediato a Tebe, regnava sull’Alto Egitto e l’area tra la Prima e la Seconda Cataratta,
mentre un’altra casata esercitava il controllo sul Basso Egitto dal centro di Tanis.
17 Török 1997b, p. 97. 18 Ivi, p. 103. 19 Ivi, p. 104.
7
Come si è già evidenziato, la conquista della Nubia da parte dell’Egitto e l’imposizione di un viceré
a controllo del territorio non coincise con la creazione di un regime coloniale. Al contrario, la Nubia
venne incorporata all’interno del sistema redistributivo egiziano integrando le strutture politiche locali
preesistenti nella nuova amministrazione politica ed economica della regione. Mentre l’impostazione
del governo venne edificata sulla rete di insediamenti incentrati attorno ai luoghi di culto egizi,
l’organizzazione produttiva e redistributiva sembra essere rimasta quella dei potentati locali. La
sopravvivenza delle organizzazioni originarie è evidente soprattutto dal basso grado di
“egittizzazione” dei costumi funerari della media e bassa classe sociale20 (cfr. supra).
Proprio grazie alla conservazione degli elementi basilari della società preesistente, quando si verificò
il collasso del sistema governativo basato sul viceré e l’abbandono della classe di governo egizia
(un processo che iniziò a sud per poi spostarsi sempre più a nord), gli insediamenti attorno ai templi
egizi persero il loro ruolo all’interno della struttura politica ed economica egizia, ma non furono
abbandonati. Questo si evince chiaramente anche dal fatto che, durante la XXV Dinastia così come
nei periodi successivi, la maggior parte dei centri urbani kushiti sorsero proprio in corrispondenza
degli insediamenti precedentemente edificati attorno ai luoghi di culto egizi, mantenendo anche la
stessa impostazione21.
d. Il secondo regno di Kush22
Con il ritiro degli egiziani dall’area dell’Alta Nubia, la struttura politica ed economica centralizzata
importata con il dominio egizio scomparve e il territorio precedentemente sottoposto al controllo del
viceré si disintegrò in una serie di piccoli potentati, probabilmente simili a quelli che avevano
preceduto l’unificazione della Nubia sotto il governo del viceré. La sopravvivenza delle élite locali al
governo egiziano e il loro inserimento in tale gestione del potere ebbe presumibilmente un ruolo
importante negli sviluppi successivi23.
Tutti questi regni furono oggetto di un processo di aggregazione sicuramente imputabile ad una serie
di concause tra cui, in primo luogo, la necessità dell’intera regione di riconquistare una posizione nel
panorama economico internazionale e il bisogno di colmare il divario tra le varie aree causato dalle
differenti risorse naturali. Da entrambi i punti di vista, la regione di el Kurru, in Alta Nubia, si trovava
in una posizione avvantaggiata, soprattutto grazie al controllo della rotta carovaniera che consentiva
il diretto accesso alle miniere aurifere tra la Quarta e la Quinta Cataratta e a quella che, attraverso il
20 Török 1997b, p. 111. 21 Ibidem. 22 Per approfondire, cfr. “The end of the Egyptian domination and the emergence of the kingdom of Kush (c. 1188-760 BC)” in Török 1997b, pp. 109-130. 23 Török 1997b, p. 111.
8
Butana, conduceva nell’Africa centrale24. Dopo la fine del dominio egiziano sull’area, quindi, il
potentato di el Kurru assunse il dominio dell’Alta Nubia, dando origine al secondo regno di Kush
(dopo quello di Kerma), la cui capitale (così come il luogo di sepoltura dei suoi regnanti) si trovava
ad el Kurru.
L’analisi delle sepolture dei regnanti rinvenute ad el Kurru attestano una certa permanenza delle
tradizioni funerarie egiziane, presumibilmente dovuta ai frequenti contatti con Tebe e il clero di Amon
(che, in questo periodo, regnava anche sulla Bassa Nubia, cfr. supra), la cui motivazione può essere
letta nella volontà di creare una sorta di continuità con i precedenti regnanti per conferire legittimità
al nuovo governo. La presenza di determinati beni all’interno delle sepolture permette di affermare
senza ombra di dubbio che la regione di el Kurru intrattenesse contatti sia con la Bassa Nubia, che
con le regioni più a sud della Quarta Cataratta. Un altro elemento di “egittizzazione” può essere
evidenziato nella ripresa del culto dell’Amon nubiano (a testa di ariete) presso il centro di Napata,
dove il dio veniva già venerato durante la dominazione egiziana25.
Successivamente, il regno di Kush riuscì ad espandersi fino al confine con l’area di pertinenza egizia,
entrando in conflitto con la XXIII Dinastia per il controllo della regione della Seconda Cataratta.
Analogamente, anche le popolazioni meridionali, con cui il regno di Kush aveva intrattenuto fino a
quel momento rapporti pacifici, divennero oggetto di interesse da parte della dinastia di el Kurru, la
cui espansione a sud è testimoniata dal rinvenimento di sepolture elitarie nell’area di Meroe. Le
indagini archeologiche e le analisi topografiche hanno permesso di affermare che l’inizio delle
sepolture nella zona coincise con la fondazione di un nuovo insediamento, Meroe, che avrebbe funto
da centro politico della regione del Butana dopo la sua conquista da parte della dinastia di el Kurru.
L’assoggettamento da parte del regno di Kush comportò l’introduzione nell’area, a fianco delle
pratiche funerarie locali, delle pratiche di tradizione egizia, che vennero portate avanti grazie
all’edificazione di un tempio preposto a tali funzioni e al culto dei morti26.
e. La XXV Dinastia27
La fase successiva del regno di Kush, tra la metà dell’VIII e la metà del VII sec. a.C., può
sostanzialmente essere definita come un periodo in cui i confini del dominio si espansero arrivando
ad inglobare anche una porzione considerevole dell’Egitto. Questo secolo, durante il quale l’Egitto si
trovò sotto controllo nubiano, è solitamente indicato come il periodo della XXV Dinastia in quanto la
24 Török 1997b, p. 112. 25 Ivi, p. 122. 26 Ivi, p. 130. 27 Per approfondire, cfr. “Kush under the Twenty-Fifth Dynasty (c. 760-656 BC)” in Török 1997b, pp. 131-188.
9
dominazione kushita del territorio egiziano fece sì che tale dinastia fosse inserita nell’elenco delle
dinastie regnanti in Egitto. Inoltre, l’elezione della figlia del sovrano di Kush come Divina Adoratrice
di Amon a Tebe (cfr. infra) segnò la legittimazione del sovrano secondo la concezione egizia e, di
conseguenza, la creazione di un sistema di successione regale e di ideologia del potere in cui le
pratiche tradizionali kushite si univano all’idea egizia della regalità28.
In questo momento, i centri più importanti erano Napata, dove riprese il culto di Amon, già praticato
durante la dominazione egizia (cfr. supra), e Meroe. Le necropoli reali erano invece situate a el Kurru,
Meroe e Nuri (in corrispondenza della città di Napata, ma sulla riva opposta del Nilo).
Attorno alla metà dell’VIII sec. a.C. la dinastia di el Kurru regnava dalla regione del Butana a sud fino
alla Bassa Nubia a nord. Contemporaneamente, l’Egitto si trovava in uno stato di estrema
frammentazione politica, come risultato del processo di divisione del regno faraonico iniziato con la
XXI Dinastia (cfr. supra): per più di un secolo, sia i sovrani stanziati a Tanis che l’alto clero di Amon
vennero rappresentati con titolature regali, segnando di fatto un regno diviso che solo sul piano
ideologico era unificato dall’idea della sovranità diretta di Amon29. Tra la XXI Dinastia di Tanis e la
XXII Dinastia, il potere venne apparentemente trasferito pacificamente e legittimato tramite una
politica matrimoniale. Questa dinastia, anche detta libica in quanto discendente da famiglie libiche
stanziate nel Delta, trovò proprio nel suo retaggio le ragioni per il processo di decentralizzazione che
entrò in azione in questo periodo. Infatti, durante il suo regno, nel Basso Egitto iniziarono ad
emergere una serie di dinastie locali accomunate dalla discendenza da famiglie orientali. Questa
frammentazione politica non venne percepita come una degenerazione in una situazione di caos,
bensì come la soluzione al collasso avvenuto alla fine del Nuovo Regno, che vedeva in una politica
economica e di governo frammentata una scelta vincente. Inoltre, la concezione della co-reggenza
tra il dio Amon (che era il vero sovrano), il re e l’alto clero permise di supportare ideologicamente la
coesistenza e l’integrità dinastica dei due centri di potere, Tanis e Tebe. Quest’unità era garantita
anche dall’istituzione della figura della Divina Adoratrice di Amon di Tebe, una sorta di evoluzione
della figura della grande sposa regale. A partire dalla XXI Dinastia, la Divina Adoratrice venne infatti
scelta tra le principesse regali e riconosciuta come sposa del dio: di conseguenza, agiva come capo
del sacerdozio femminile e assicurava il riconoscimento della legittimità della dinastia regale a Tebe
così come un certo controllo sull’area tebana30.
28 Török 1997b, p. 144. 29 Ivi, p. 145. 30 Ivi, p. 147.
10
Un altro passo verso la disgregazione politica dell’Egitto si ebbe con lo scoppio di una guerra civile
che portò all’insediamento della XXIII Dinastia tebana31, che controllava un territorio comprendente
l’area tebana e le città di Ermopoli ed Eracleopoli nel Medio Egitto. La legittimazione di questa nuova
dinastia venne anche confermata dall’elezione della figlia di uno dei sovrani come Divina Adoratrice,
la quale a sua volta adottò la figlia del sovrano kushita Kashta, fondatore della XXV Dinastia, affinché
le succedesse: l’insediamento di una principessa nubiana come Divina Adoratrice di Amon segnò
un momento chiave nel processo di estensione del potere nubiano sul territorio egiziano32.
Non ci sono evidenze di una conquista violenta del territorio egiziano da parte di Kashta; inoltre, il
fatto che i sovrani della XXIII Dinastia tebana continuarono, anche dopo questo passaggio di potere,
a trovarsi in un’alta posizione a Tebe e furono qui sepolti è esemplificativo dei buoni rapporti che si
erano venuti a creare33. Questa sorta di alleanza tra kushiti e alto clero di Amon può presumibilmente
essere spiegata con il profilarsi all’orizzonte tebano di due contemporanee minacce: l’avanzata del
regno di Kush verso la Bassa Nubia e le mire espansionistiche verso l’Alto Egitto di Tefnakht di Sais,
fondatore della XXIV Dinastia. Proprio il trattato con Kashta e la cessione a lui dell’Alto Egitto da
parte del clero avrebbero quindi garantito a quest’ultimo protezione nel caso di un attacco da nord.
L’idea di un trattato pacifico è anche suggerita dal ruolo giocato in questo accordo dalla figura della
Divina Adoratrice di Amon (cfr. supra).
Questo stretto contatto con l’area tebana risultò molto probabilmente in una nuova “egittizzazione”
dell’élite del regno di Kush e forse anche della produzione di alcune classi di materiali così come
nell’adozione di alcune pratiche funerarie di derivazione egizia, attestate nella necropoli di el Kurru.
Per queste ultime, di fondamentale importanza furono i templi di tradizione egizia che, oltre a fungere
da snodi fondamentali per la penetrazione della cultura egizia nel regno di Kush, si rivelarono
successivamente centri fondamentali per la gestione della nuova struttura governativa34.
Kashta, fondatore della XXV Dinastia, venne sepolto nella necropoli di el Kurru e a lui succedette
Piankhi, la cui titolatura, costruita ricalcando puntualmente quella egizia, informa del grado di
“egittizzazione” dell’élite, anche relativamente alle insegne e alla concezione del potere35. Inoltre, il
nome di Horo del sovrano «Toro possente che appare [ossia, che viene incoronato] in Napata»
permette di osservare che, in questo momento, il centro del regno si trovava a Napata, dove veniva
anche incoronato il sovrano di Kush e dell’Alto Egitto.
31 Da non confondere con la XXIII Dinastia che continuò a regnare sul Basso Egitto da Tanis dopo la fine della XXII Dinastia. 32 Török 1997b, p. 148. 33 Ivi, p. 149. 34 Ivi, p. 152. 35 Ivi, p. 153.
11
In questa fase, mentre Tefnakht consolidava il proprio dominio sulla parte occidentale del Delta, le
due grandi aree che costituivano il regno di Piankhi (ossia l’area tebana con i suoi alleati nel Medio
Egitto e il regno di Kush) erano oggetto di un fenomeno di integrazione amministrativa, militare,
economica e culturale. Il successo di questa politica di integrazione può essere dedotto sia dalla
grande stabilità politica del regno durante gli anni di scontro con Tefnakht, sia dalla diffusione
nell’area di Kush della religione egiziana e in particolare della teologia di Amon professata a Tebe,
secondo cui il dio veniva visto come sovrano che agiva tramite il re che fungeva da co-reggente e
che a sua volta veniva legittimato dalla figura della Divina Adoratrice. Queste idee, tuttavia, non
andarono a sostituirsi totalmente alle concezioni locali, ma piuttosto si assistette ad un amalgama
tra precedenti concezioni kushite e la visione egiziana del mondo36.
Come già anticipato, i primi luoghi di “egittizzazione” di Kush, da cui emerse anche la nuova
organizzazione del regno, furono i templi dedicati ad Amon, che in Nubia fungevano anche da centri
amministrativi, economici e religiosi. Le informazioni fino ad ora raccolte consentono di ipotizzare
che l’organizzazione dei centri amministrativi territoriali sia iniziata già con Kashta e la creazione di
templi dedicati ad Amon e residenze regali a Napata e Meroe. L’organizzazione del territorio
proseguì poi sotto il regno di Piankhi.
Nel ventesimo anno del regno di Piankhi, l’espansione di Tefnakht fino all’area menfita e le alleanze
da lui strette con i potentati di Eracleopoli ed Ermopoli spinsero il dinasta kushita ad intervenire. Il
sovrano conquistò rapidamente terreno, annettendo tutto il Medio Egitto e gran parte dell’Alto Egitto,
fino a conquistare anche una buona porzione dell’area del Delta. Tefnahkt, che si era
progressivamente ritirato in seguito all’avanzata di Piankhi, chiese ed ottenne una tregua: la sua
resa fu però solo fittizia. Infatti, non appena Piankhi fece ritorno a Napata, Tefnahkt non esitò a
reclamare la propria indipendenza nel Delta occidentale, assumendo nuovamente la titolatura
regale. Come risultato della sua opera di conquista, Piankhi reinsediò i precedenti governatori nei
territori conquistati, nella forma di governanti vassalli a lui sottoposti. Si era così venuto a creare un
doppio regno, assoggettato al governo del dinasta nubiano, comprendente al proprio interno sia il
territorio di Kush che quello egiziano.
Dopo la conquista dei territori egiziani, Piankhi si ritirò in Alta Nubia e il governo dell’area tebana
venne formalmente affidato alla Divina Adoratrice di Amon. Come era avvenuto in precedenza per
la figlia di Kashta, anche la figlia di Piankhi venne adottata in previsione di una sua successione a
tale carica.
36 Török 1997b, p. 157.
12
Nel mentre, una nuova minaccia si stava avvicinando all’Egitto: l’impero d’Assiria. L’avanzata assira
verso i confini egiziani così come la continua ambizione politica dei sovrani di Sais, portata avanti
dal successore di Tefnakht, Boccori, spinsero il successore di Piankhi, Shabaqo, ad adottare una
politica egittocentrica, spostando la capitale e la residenza regale del regno di Egitto e Kush da
Napata a Menfi37. Nella fase iniziale del suo regno, il sovrano nubiano riuscì a sconfiggere
definitivamente Boccori, annettendo il regno di Sais e stabilendo la linea di confine nel Sinai. Le
dinastie locali ancora una volta non furono destituite, al contrario, continuarono a governare le loro
aree di pertinenza sotto l’autorità del governo centrale. Durante il suo regno, Shabaqo riuscì anche
ad instaurare una relazione amichevole con l’Assiria.
Questi eventi, che consolidarono il potere di Shabaqo e portarono ad una situazione piuttosto
pacifica, permisero una ripresa edilizia per la maggior parte relativa all’erezione di templi in Egitto:
le evidenze dimostrano che l’obbiettivo principale era il consolidamento del potere dinastico kushita
nella metà egizia del regno38. A Tebe, tale potere era rappresentato dalla figlia di Piankhi come
Divina Adoratrice di Amon e dal figlio di Shabaqo posto a capo dell’alto clero di Amon, carica che in
precedenza era stata offuscata dal ruolo della Divina Adoratrice ma che ora venne reintrodotta e
resa ereditaria39. Durante il regno di Shabaqo, anche a Tebe vennero realizzati numerosi lavori di
restauro ed edificazione di edifici templari.
Inoltre, il trasferimento della residenza regale a Menfi diede il via ad una seconda grande fase di
integrazione intellettuale tra Kush e l’Egitto e permise, dal punto di vista politico, l’identificazione
della dinastia regnante sul territorio egiziano e kushita con la dinastia faraonica e la sua tradizione
millenaria40. Tale dinastia viene infatti ricordata nelle fonti egizie come la XXV Dinastia.
Shabaqo morì alla fine dell’VIII sec. a.C. e, nonostante il suo legame con Menfi, venne sepolto nella
tradizionale necropoli di el Kurru. A lui succedette Shebitqo che, durante il suo regno, si scontrò con
la minaccia assira. A capo dell’esercito venne posto Taharqo, cugino del sovrano e suo erede
designato: questa pratica trovava un riscontro nella tradizione egizia in cui, solitamente, all’erede al
trono veniva affidato il ruolo di comandante in capo dell’esercito41. Lo scontro si risolse con la ritirata
del nemico verso l’Assiria e il ritorno dell’esercito guidato da Taharqo in Egitto.
Dopo la morte e la sepoltura di Shebitqo a el Kurru, Taharqo venne incoronato re di Egitto e Kush a
Menfi. I suoi primi anni di governo furono un periodo di grande prosperità, segnato da un’intensa
attività edilizia sia in Egitto che in Nubia tesa alla monumentalizzazione dei centri amministrativi su
37 Török 1997b, p. 166. 38 Ivi, p. 167. 39 Ivi, p. 168. 40 Ibidem. 41 Ivi, p. 170.
13
tutto il territorio e volta a consolidare il potere centrale42. Durante il suo regno, Taharqo riuscì anche
ad estendere il suo dominio nel Levante, assoggettando Libia, Fenicia e Palestina. Tali conquiste
furono agevolate dai conflitti che in quello stesso momento l’Assiria si trovava ad affrontare con i
babilonesi e il regno di Elam, che non le permisero di schierare tutte le proprie forze in difesa dei
territori occidentali.
Il sovrano intraprese anche opere di monumentalizzazione a Napata, continuando l’ambizioso
programma iniziato da Alara e Kashta prima della metà dell’VIII sec. a.C.43 con l’obbiettivo di creare
un complesso monumentale di santuari attorno al grande tempio di Amon. La volontà di creare una
similitudine a livello concettuale tra Napata e Karnak sembra essere stata centrale nella mente dei
costruttori della XXV Dinastia, ma questo non si tradusse in una mera copia degli edifici più antichi,
né in una replica del contesto all’interno del quale erano inseriti44.
Durante i regni di Piankhi e Taharqo, complessi comprendenti luoghi di culto dedicati ad Amon e
residenze regali vennero eretti anche in altri centri della regione: gli scavi condotti a Meroe nei livelli
della XXV Dinastia e del primo periodo napateo hanno infatti rivelato un insediamento comprendente
un tempio di Amon, una residenza regale e quartieri occupati dalla popolazione e dagli artigiani45. Il
tempio di Amon e la residenza regale furono eretti in corrispondenza di un’area sopraelevata, a
richiamare la collina primordiale, mentre, secondo la ricostruzione degli studiosi, i quartieri abitati
dalla popolazione vennero inizialmente edificati su isole alluvionali separate l’un l’altra da canali. La
struttura del sito, che venne scelto come centro di governo dell’area del Butana, potrebbe essere
stata influenzata dalla planimetria di Menfi nel Nuovo Regno – Terzo Periodo Intermedio, anch’essa
circondata da canali che separavano il distretto templare dall’area abitativa e dalla necropoli46.
L’inizio dell’edificazione dell’insediamento può essere datato al regno di Taharqo e alcune evidenze,
tra cui la forma e la dimensione dei mattoni, sembrano testimoniare che la tecnica costruttiva e i
costruttori furono portati qui dall’area di Napata47.
Con la creazione del doppio regno di Egitto e Kush nella XXV Dinastia e l’inizio di un’attività edilizia
su vasta scala, in Nubia arrivarono architetti, scultori e artigiani egizi così come tecnologie e
manufatti egiziani. Da questi modelli importati, negli anni che vanno dal regno di Piankhi al regno di
Taharqo, gli artigiani kushiti svilupparono una propria identità artistica che può essere definita come
42 Török 1997b, p. 172. 43 È a questa fase che si data la costruzione del B1200. 44 Török 1997b, p. 174. 45 Ivi, p. 253. 46 Ivi, p. 334. 47 Ivi, p. 335.
14
la controparte nubiana dell’arcaismo egizio e che continuò a determinare la produzione artistica
locale, sotto l’intermittente influenza egizia, per almeno due secoli48.
Durante il regno di Taharqo, il processo di “egittizzazione” dell’area di Kush (dal punto di vista
culturale ma anche politico, sociale ed economico) iniziato da Alara e Kashta, raggiunse un punto di
non ritorno, tale per cui nemmeno la successiva separazione delle due metà del regno, in seguito
alle spedizioni assire, avrebbe potuto provocare un ritorno alle condizioni precedenti49. Se già in
questo senso è possibile leggere il progetto edilizio intrapreso a Napata con l’obbiettivo di stabilire
una qualche relazione tra questo centro e Karnak, nel primo quarto del VII sec. a.C. tale processo
raggiunse una fase ottimale con l’organizzazione amministrativa della Nubia tramite la creazione di
centri urbani di amministrazione, produzione e redistribuzione a livello locale che, con ogni
probabilità, dovevano ricoprire un ruolo socioeconomico simile a quello delle città-tempio attestate
in Egitto nel Terzo Periodo Intermedio50. Tali insediamenti erano strutturati attorno a santuari dedicati
ad Amon o, in alcuni casi, ad altre divinità associate alla regalità, a loro volta connessi con altri
santuari e palazzi regali (con funzione residenziale, cerimoniale e di rappresentanza). Le vie
processionali che mettevano in collegamento tali templi con il Nilo, il palazzo (a volte più d’uno) e gli
altri santuari, definivano la struttura topografica di questi centri urbani. La monumentalità di queste
strutture era inoltre esemplificativa a livello simbolico della relazione tra divinità, sovrano e uomini51.
Un confronto tra la distribuzione degli abitati voluti dai suoi predecessori e quelli voluti da Taharqo
in Nubia evidenzia un sistematico riutilizzo e ampliamento dei contesti preesistenti, il reinsediamento
di quelli abbandonati o impoveriti e la creazione di nuove realtà abitative (fa eccezione Meroe,
collocata più a sud dell’antico confine della dominazione egizia in Nubia). La densità della catena di
insediamenti nelle varie aree del regno di Kush venne determinata dall’importanza politica,
economica e strategica di ciascun territorio: templi dedicati ad Amon furono costruiti in complessi
che erano stati indipendenti prima di essere integrati nel regno di el Kurru; altri luoghi di culto
divennero il nucleo di centri urbani situati in unità territoriali principalmente abitate da agricoltori;
infine, attività di costruzione vennero intraprese in luoghi strategici e connessi allo stanziamento di
guarnigioni militari52.
Ideologicamente, le unità territoriali dell’organizzazione governativa vennero istituite come parti di
un dominio percepito come unitario, la cui legittimazione derivava da una forma locale del dio Amon
e in cui il santuario del dio era associato con la residenza regale. Nella pratica, questi templi erano
vere e proprie istituzioni con il compito di amministrare il territorio, la giustizia e redistribuire le risorse.
48 Török 1997b, p. 333. 49 Ivi, p. 177. 50 Ivi, p. 175. 51 Ivi, p. 334. 52 Ivi, p. 175.
15
Come si è già sottolineato (cfr. supra), questo sistema riprendeva una struttura già in uso nelle
cosiddette città-tempio attestate nell’Egitto del Terzo Periodo Intermedio, sebbene nel regno di Kush
questo modello dovette essere riadattato su scala ridotta53.
Sulla base dei documenti rinvenuti, è possibile ipotizzare che la relazione tra tali insediamenti nubiani
e il sovrano fosse alquanto diretta. Questo viene suggerito anche dalla ripetizione della cerimonia di
incoronazione in tutti i centri maggiori: l’incoronazione itinerante suggerisce l’adozione di una
struttura di governo definita sovranità ambulatoriale (in cui la corte nel corso dell’anno si sposta in
continuazione da una residenza all’altra54), che potrebbe spiegare la mancanza di attestazioni
relative a figure che fungessero da intermediari tra il sovrano e i distaccamenti territoriali. Alcuni
documenti testimoniano anche l’insediamento delle spose regali e/o delle principesse come
sacerdotesse di Amon e del culto regale nei templi, ad indicare l’esistenza di un’istituzione che, su
modello della Divina Adoratrice tebana, fungesse da garante ideologica e allo stesso tempo da
delegazione del potere centrale nelle diverse unità territoriali del regno55.
Da quanto presentato fino ad ora si può concludere che l’organizzazione del governo del regno
kushita, come insieme di unità territoriali apparentemente poste sullo stesso piano e incentrate
attorno a complessi comprendenti un tempio dedicato ad Amon e una residenza regale, venne
determinata ideologicamente e praticamente dall’idea che il potere terreno fosse stato affidato al
sovrano, in quanto figlio di Amon, dal suo padre divino. Lo sviluppo di questo concetto in Nubia
venne ampiamente influenzato dalle condizioni politiche durante la XXV Dinastia, che portarono ad
un ritorno di un’ideologia fortemente ispirata a quella tebana del Nuovo Regno (cfr. supra). Altra
grande fonte di ispirazione per queste idee fu indubbiamente l’associazione politica e ideologica con
Tebe: infatti, l’idea di un legame tra i templi di Amon e le residenze regali conserva elementi della
concezione tebana della co-reggenza tra Amon e il sovrano56. Anche il ruolo della Divina Adoratrice,
ripreso dall’ideologia tebana del Nuovo Regno, a cui furono elette a più riprese le figlie dei sovrani
di Kush, giocò un ruolo chiave nella legittimazione del potere nubiano sull’Egitto57.
L’efficienza della struttura di governo attuata da Taharqo in Nubia è evidente dal fatto che l’area
continuò a prosperare anche dopo la conquista assira.
Nel 674 a.C. vi fu un primo tentativo di conquista dell’Egitto ad opera del sovrano d’Assiria
Esarhaddon che, direttosi verso occidente, aveva già conquistato e annesso alcuni territori, tra cui
la Palestina. Una nuova invasione si verificò nel 671 a.C. e questa volta la potenza assira riuscì ad
53 Török 1997b, p. 250. 54 Ivi, p. 233. 55 Ivi, p. 178. 56 Ivi, p. 252. 57 Ivi, p. 253.
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invadere il Paese e a conquistare Menfi, dalla quale Taharqo si ritirò più a sud. Esarhaddon assunse
il titolo di re d’Egitto e, nell’area conquistata, corrispondente al Basso Egitto, installò una nuova
amministrazione in parte assira e in parte locale. Il periodo seguente fu un periodo cupo per l’Egitto,
che si trovò a dover fare i conti con la forza inarrestabile dell’avanzata assira e con l’egoismo e il
cattivo governo dei funzionari insediati dal dominatore straniero58.
Una nuova invasione dell’Egitto venne preparata da Esarhaddon nel 669 a.C., ma il sovrano morì
durante il viaggio. Questo momento di incertezza venne sfruttato da Taharqo per rioccupare il Basso
Egitto, impadronendosi nuovamente anche di Menfi. Tuttavia, il nuovo re assiro Assurbanipal riprese
subito le ostilità, invadendo l’Egitto tra il 667 e il 666 a.C. L’esercito di Taharqo venne sconfitto nel
Delta orientale e il faraone venne inseguito fino a Tebe dall’esercito assiro e costretto a ritirarsi
ancora più a sud. Apparentemente, l’esercito assiro non incontrò una grande resistenza lungo la
Valle del Nilo e, come nel Delta, Assurbanipal ricevette la formale sottomissione di dinasti e dignitari
anche in Medio e Alto Egitto. Tornando a Ninive, Assurbanipal lasciò a presidiare l’Egitto i precedenti
governatori con il ruolo di vassalli posti sotto la supervisione di un contingente armato. Forse a causa
del comportamento delle truppe assire, la dinastia di Sais (supportata anche da altri vassalli) nel 665
a.C. aprì una trattativa con Taharqo, che si era ritirato a Napata. La trattativa venne però scoperta
da Assurbanipal che giustiziò tutti i cospiratori ad eccezione di Neco di Sais, che venne nominato
sovrano vassallo di Sais e Menfi. Il trattamento ricevuto, così come l’elezione di Neco come reggente
assiro a capo di tutti gli altri vassalli, mostra chiaramente l’importanza politica, strategica ed
economica attribuita alla città di Sais59. Durante questi avvenimenti, Taharqo rimase a Napata, dove
morì nel 664 a.C. senza essere stato in grado di riprendere il controllo dei territori egiziani perduti. Il
sovrano venne sepolto nella nuova necropoli regale che egli stesso aveva fatto erigere a Nuri (ad
ovest del Nilo, di fronte alla città regale di Napata) nell’ambito del progetto volto alla creazione di una
topografia sacra che richiamasse il complesso tebano costituito da Karnak e dall’area delle sepolture
regali60 (cfr. supra).
A Taharqo non successe il figlio, bensì il cugino Tanwetamani, più anziano e di conseguenza
probabilmente ritenuto più adatto per governare in un momento così delicato61. La legittimazione di
Tanwetamani come sovrano del regno di Egitto e Kush venne proclamata in entrambi i santuari di
Amon a Napata e Tebe. Proprio da qui, dopo aver visto riconosciuta la propria legittimità al trono, il
sovrano kushita iniziò la riconquista dell’Egitto. Tanwetamani raggiunse Menfi senza incontrare
58 Török 1997b, p. 181. 59 Ivi, p. 183. 60 Ivi, p. 184. 61 Ibidem.
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particolari opposizioni nell’Alto e Medio Egitto, fatto che sembra riflettere l’elevato supporto ricevuto
a Tebe sia dai dignitari kushiti che dalla Divina Adoratrice. La successiva sconfitta e la morte di Neco
annullarono la resistenza di molti dinasti del Delta, mentre alcuni si ritirarono nelle loro fortezze, che
rimasero apparentemente intoccate dal sovrano kushita. Dopo aver ricevuto la loro resa formale, il
sovrano riassegnò ai dinasti i rispettivi territori, a condizione che riconoscessero la sua autorità. La
struttura politica che si venne così a creare preservava ancora in parte la struttura politica che era
stata stabilita da Piankhi alla fine dell’VIII sec. a.C. (cfr. supra). Tuttavia, la mancata sottomissione
in toto dei dignitari del Delta, la fuga in Assiria del figlio di Neco, Psammetico, e la decisione di
governare il doppio impero da sud vanificarono tutti gli sforzi fatti da Tanwetamani per riunificare
Egitto e Nubia. Infatti, la notizia delle imprese del re kushita spinse Assurbanipal a promuovere una
nuova spedizione verso l’Egitto tra il 664 e il 663 a.C. All’arrivo degli assiri al confine egiziano, il
sovrano kushita, che probabilmente aveva giudicato le sue forze armate insufficienti e la sua
posizione nel Delta troppo debole, si ritirò a Tebe e i dinasti del Delta si affrettarono a rinnovare la
propria sottomissione ad Assurbanipal. L’esercito assiro inseguì poi il re kushita a sud e cinse
d’assedio Tebe, da cui Tanwetamani si diresse verso Kush. Tebe venne saccheggiata e incendiata
e questo evento, scioccante per gli egiziani, si rivelò di importanza cruciale per il cambiamento
dell’ideologia egizia e la scomparsa dell’idea della regalità diretta di Amon in Egitto. Infatti, da questo
punto di vista, dopo il saccheggio di Tebe la visione del mondo si sviluppò in modo diverso nella
cultura egizia e kushita: al contrario di quanto avvenne in Egitto, nel regno di Kush Amon-Ra rimase
centrale nell’ideologia dell’ordine terrestre e cosmico62.
Il sistema di governo imposto dagli assiri nei territori conquistati aveva ancora una volta molti
elementi in comune con quello in passato stabilito da Piankhi. Con il loro supporto, Psammetico I
(figlio di Neco e fondatore della XXVI Dinastia) venne riconosciuto come unico re d’Egitto. Sebbene
il suo dominio fosse in origine ristretto solamente all’area del Delta occidentale, negli anni il sovrano
ampliò la propria sfera d’influenza, sottomettendo tutti gli altri dinasti del nord. In seguito, riuscì anche
ad espellere le truppe assire stazionate in Egitto e a far riconoscere sua figlia come futura Divina
Adoratrice di Amon, unificando così il suo regno con il dominio di Amon. Prima di questo
avvenimento, l’Alto Egitto aveva continuato a mantenere la propria alleanza con il sovrano kushita,
la cui legittimazione nel dominio di Amon era preservata dalla continuità dell’ufficio della Divina
Adoratrice. Tuttavia, la posizione della Tebaide cambiò con la sottomissione del Medio Egitto al
regno di Sais e l’installazione di stretti legami politici tra Psammetico e il governatore di Eracleopoli.
La scelta della futura Divina Adoratrice divenne quindi fondamentale, in quanto avrebbe orientato
62 Török 1997b, p. 186.
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politicamente la Tebaide e ne avrebbe di conseguenza segnato il destino. La decisione di supportare
il sovrano di Kush scegliendo una principessa kushita avrebbe senza dubbio suscitato una reazione
da parte di Sais e nessun aiuto militare poteva essere atteso con certezza da Tanwetamani; la scelta
cadde, quindi, sulla figlia di Psammetico I fatto che, come ormai era tradizione, consegnò la Tebaide
e, di conseguenza, la legittimità a governare sull’Egitto, nelle mani del sovrano di Sais. Malgrado
questa decisione abbia segnato la fine di ogni possibilità di rivendicare il trono d’Egitto per i sovrani
di Kush, permise la prosecuzione di stretti contatti tra il clero di Amon e la corte kushita. Infatti, per i
secoli successivi, i documenti attestano non solo la permanenza dell’orientamento egiziano nella
religione e nell’ideologia del potere kushita, ma dimostrano anche il ruolo vitale giocato dall’influsso
intellettuale egiziano nell’articolazione di molte concezioni kushite63.
Psammetico I, così come il suo successore Neco II, incoraggiò le relazioni diplomatiche e i commerci
internazionali, continuando a mantenere rapporti con il regno di Kush, un tramite importante per i
contatti con le regioni meridionali64. Nelle tombe kushite sono stati ritrovati beni che informano di
questi frequenti scambi di doni diplomatici tra Egitto e Nubia.
Nonostante la fase di distacco tra Egitto e Kush, anche in questo periodo è attestata in area nubiana
una considerevole attività edilizia che, sebbene non potesse più usufruire della manodopera
egiziana, continuò a mantenere alti standard qualitativi ed influssi settentrionali. Allo stesso modo
dell’architettura e dell’arte, durante la fase successiva alla separazione del regno di Kush da quello
egiziano, è possibile notare una continuità anche a livello ideologico e di concezione di governo
rispetto a ciò che era stato durante la XXV Dinastia, quando la Nubia era solo una metà del doppio
impero di Egitto e Kush65.
A Neco II successe Psammetico II, che intraprese una spedizione militare per ottenere il controllo
dei traffici commerciali che transitavano in Bassa Nubia66: in seguito alla sua conquista, la regione
tra la Prima e la Seconda Cataratta rimase sotto il controllo egizio fino alla fine del V sec. a.C.
f. Il periodo napateo67
Le evidenze testuali e archeologiche relative ai due diretti successori di Tanwetamani sono
insufficienti per una discussione dettagliata delle condizioni politiche, sociali ed economiche del
regno di Kush nei decenni che seguirono il collasso del doppio regno egizio-nubiano. Tuttavia, le
63 Török 1997b, p. 188. 64 Ivi, p. 359. 65 Ivi, p. 360. 66 Ibidem. 67 Per approfondire, cfr. “The kingdom of Kush between the withdrawal from Egypt and the end of the “Napatan” dynasty (from 656 to the mid-3rd century BC)” in Török 1997b, pp. 342-408.
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informazioni relative ai legami di sangue tra i regnanti permettono di sostenere una successione
politica ininterrotta rispetto alla XXV Dinastia. In questo periodo, si assistette anche allo spostamento
della necropoli regale nuovamente da el Kurru a Nuri, abbandonata durante il regno di Tanwetamani.
Ad una stabilità istituzionale e di governo si accompagnò anche una continuità dal punto di vista
artistico: infatti, l’analisi dei rilievi del tempio B700 iniziato da Atlanersa, successore di Tanwetamani,
ai piedi della Montagna Sacra a Napata permette di affermare la persistenza della tradizione
iconografica e stilistica dei templi della XXV Dinastia e quindi una permanenza anche a livello di
officine produttive.
Con la fine del doppio regno di Egitto e Kush iniziò un processo, che si affermò poi nei decenni
successivi, caratterizzato dalla separazione dei concetti egiziani e dei loro modi di espressione
(introdotti nella doppia realtà del regno di Egitto e Kush e ad essa adattati) dal contesto egiziano e
la loro reinterpretazione e il loro utilizzo per esprimere appieno la struttura politica e ideologica
tradizionale kushita68.
Con Atlanersa e il ritorno della necropoli a Nuri ebbe inizio quello che viene definito come periodo
napateo. Dopo una fase scarsamente documentata in cui il potere venne retto da Atlanersa e dai
suoi successori, verso la fine del VII sec. a.C. il trono venne affidato ad Aspelta, forse contemporaneo
di Psammetico II. Le iscrizioni, la qualità dei monumenti eretti e la ricchezza del corredo funerario
del sovrano attestano che questa fu un’epoca prospera per il regno di Kush69.
A causa dell’incertezza nella definizione della cronologia dei sovrani di Kush per questa particolare
fase, la spedizione di Psammetico II in Nubia del 593 a.C., cui si è già accennato, non può essere
con certezza collocata durante il regno di Aspelta. Le testimonianze note sulla vicenda (la stele
meglio conservata riportante l’accaduto è stata rinvenuta a Shellal70) lasciano pochi dubbi sulla
limitata estensione della campagna verso sud: da queste fonti si può concludere che l’esercito saitico
raggiunse al più la Terza Cataratta. Benché in modo indiretto, gli stessi limiti per la campagna di
Psammetico sono anche indicati dal fatto che i cartigli di Taharqo vennero erasi nel tempio di Buhen
dedicato ad Horus che, secondo le fonti, fu visitato dalle truppe di Psammetico durante il viaggio di
ritorno dalla campagna nubiana71. Nessuna testimonianza di cancellature di nomi della XXV Dinastia
è stata, invece, rinvenuta più a sud. Di conseguenza, la campagna nubiana di Psammetico, le
cancellature di nomi della XXV Dinastia dai monumenti nubiani raggiunti dalla spedizione saitica e
68 Török 1997b, p. 363. 69 Ivi, p. 376. 70 FHN I, 41. 71 Török 1997b, p. 373.
20
l’eliminazione degli stessi nominativi dai monumenti in Egitto (cfr. infra) possono essere considerati
eventi collegati tra loro.
Questa spedizione viene solitamente indicata come un punto di svolta nella storia kushita in quanto
avrebbe raggiunto e distrutto Napata, causando la “svolta meridionale” nel dominio di Kush (cfr.
infra); tuttavia, nessuna fonte menziona la presa e la conseguente distruzione della città di Napata.
Sebbene quindi le reali implicazioni di questa spedizione militare per lo sviluppo della politica kushita
rimangano piuttosto oscure, è innegabile che questo evento si inserisca in una più generale tendenza
che vede un cambiamento radicale di approccio dell’Egitto nei confronti della Nubia, sia in quanto
parte della storia egiziana sia in quanto potenza alleata. Quest’inasprimento dei rapporti è
esemplificato dalla damnatio memoriae attuata in Egitto nei confronti dei sovrani della XXV Dinastia
i cui nomi, titolature e rappresentazioni vennero cancellati dai monumenti: questo atteggiamento
manifesta un completo distacco e una dichiarazione di ostilità nei confronti della potenza
meridionale. Le ragioni di questa ostilità sono forse da leggere nel mancato successo della
spedizione nubiana di Psammetico II, ma, di fatto, le relazioni tra Egitto e Kush rimasero ostili per
alcuni decenni72. Ne seguì un isolamento del regno kushita che risultò anche in una maggiore
indipendenza dell’arte e dell’architettura nubiane rispetto ai modelli egiziani. La situazione cambiò
durante il regno di Amasi (XXVI Dinastia), quando è attestata la ripresa dei contatti tra Egitto e Kush
sotto forma di commerci a lunga distanza. Il sovrano, soprattutto nei confronti del regno di Kush,
riprese molti elementi della politica di Psammetico I.
Durante i circa 150 anni tra i regni di Aspelta e di Irike-Amannote non sono attestate iscrizioni regali
e, fatta eccezione per le sepolture di re e regine a Nuri, fino ad ora non sono stati identificati
monumenti databili a questa fase. Le importazioni di beni egiziani ed egittizzanti deducibili dai corredi
funerari pesantemente saccheggiati non forniscono sufficienti informazioni riguardo la datazione e
l’estensione di un’eventuale ripresa dei traffici commerciali. Durante questo periodo, sono attestati
dieci sovrani, tutti sepolti nella necropoli di Nuri in sepolture a piramide omogenee che mostrano una
grande aderenza ai costumi funerari della prima fase napatea e di conseguenza permettono di
ipotizzare una continuità politica con la XXV Dinastia73.
Ad Amasi successe il figlio Psammetico III, che dovette fronteggiare, senza successo, un nuovo
potente rivale: la Persia. L’uccisione del sovrano egiziano nel 526/525 a.C. segnò la definitiva
annessione dell’Egitto al dominio persiano.
72 Török 1997b, p. 361. 73 Ivi, p. 374.
21
Durante la dominazione persiana (XXVII Dinastia), sono attestati invii di beni in Egitto dal regno di
Kush, a testimonianza dei buoni rapporti tra quest’ultimo e la Persia. Il rinnovato interesse kushita
verso l’Egitto durante questa fase è indicato anche dalla presenza, nella titolatura di sovrani nubiani,
di una variante della titolatura egiziana attribuita a Dario I74. La serie di rivolte contro il dominio
persiano che iniziarono in Egitto nel V sec. a.C. diedero, tuttavia, una nuova direzione a questo
interesse: i conflitti in Egitto vennero visti dai nubiani come la possibilità di riconquistare la regione
della Bassa Nubia tra la Prima e la Seconda Cataratta occupata ed annessa in precedenza al
dominio egiziano (cfr. supra).
Irike-Amannote ascese al trono di Kush ad un’età già avanzata. La sua titolatura si compone di un
nome di Horus modellato su quello assunto da Piankhi dopo la sua campagna egizia e associato
alla concezione di dominio sull’Egitto che, all’epoca, non poteva che essere inteso come una
dichiarazione di intenti75. Le intenzioni espresse nella titolatura furono probabilmente ispirate dalla
rivolta egiziana contro il dominio persiano che scoppiò nel 414/413 a.C. e si concluse nel 404 a.C.
con l’insediamento di un dominio egiziano da parte di Amirteo di Sais. Sebbene la perdita del
controllo egizio della Bassa Nubia tra la Prima e la Seconda Cataratta sia datata proprio a questo
periodo, il ruolo di Irike-Amannote nella ritirata egizia rimane sconosciuto e non si hanno evidenze
di un’azione militare kushita a sud della Prima Cataratta.
Dopo un periodo di chiusura a livello sia politico che culturale, l’ascesa di Irike-Amannote segnò
l’inizio di una nuova e più aggressiva politica del regno di Kush. L’assenza di testi e la scarsità dei
materiali archeologici datati a quest’epoca rendono difficile ricostruire non solo il processo che
condusse alla decisione di muovere guerra contro l’Egitto, ma anche gli sviluppi socioeconomici che
condizionarono la scelta di una politica espansionistica. Solo con il senno di poi il regno di Irike-
Amannote può essere letto come l’inizio di una nuova era nella storia kushita e un preludio di quello
che verrà poi definito rinascimento meroitico76.
Dopo un altro breve regno, il trono che era stato di Irike-Amannote venne occupato da Harsiotef. La
sua titolatura pone l’accento sull’affermazione di una continuità dinastica con i predecessori e con la
XXV Dinastia: infatti, Harsiotef adottò il nome di Horus che era stato di Piankhi e, nella scelta del
nome di Falco d’oro, si identificò come l’erede di Irike-Amannote; da notare, infine, che il nome di
persona del re venne mutuato da un aspetto di Horo: «Horo figlio di suo padre». Harsiotef condusse
74 Török 1997b, p. 377. 75 Ivi, p. 378. 76 Ivi, p. 383.
22
campagne militari dirette verso le popolazioni nomadi del Butana, la Bassa Nubia e la regione di
Kawa.
Ad Harsiotef succedettero Akhratan, Amanibakhi e Nastasen, la cui stele dal grande tempio di Amon
a Napata77 fornisce importanti informazioni sulla storia politica kushita della seconda metà del IV
sec. a.C.: il documento informa della nuova prospera era imperialistica del regno, impegnato
nell’annessione di territori al confine con l’Egitto (ossia la Bassa Nubia). È quindi possibile affermare
che il tentativo di espansione iniziato durante il regno di Irike-Amannote e proseguito sotto Harsiotef,
continuò sotto la guida di Nastasen.
A causa dell’esiguità delle testimonianze, risulta molto arduo ricostruire il corso della storia in questa
fase. La titolatura aggressiva di Irike-Amannote indicava intenzioni politiche scaturite dalle
informazioni che giungevano in Kush relativamente alla situazione di conflitto che si stava verificando
in Egitto tra i dominatori persiani e i ribelli nazionalisti guidati da Amirteo di Sais (404 a.C.). Dopo la
morte di Dario II, Amirteo venne riconosciuto come sovrano in tutto l’Egitto (unico sovrano della
XXVIII Dinastia). La dinastia seguente, ossia la XXIX Dinastia, dovette fare i conti con una continua
lotta per il potere. La XXX Dinastia, invece, si dovette confrontare prima con un’opposizione interna
e, in seguito, con la minaccia di una rioccupazione persiana. L’Egitto riuscì però ad evitare l’invasione
persiana e, a partire dal 373 a.C., iniziò un periodo di rinascita della cultura faraonica, sebbene
continuamente disturbato da problemi interni. Nel 343 a.C. i persiani invasero nuovamente l’Egitto e
l’ultimo re della XXX Dinastia, Nectanebo II, si ritirò in Alto Egitto dove apparentemente riuscì a
mantenere il potere per altri due anni. Da qui probabilmente tentò una riconquista dei territori
settentrionali cercando anche di coinvolgere il regno di Kush nella sua causa78.
Gli avvenimenti che portarono alla seconda occupazione persiana e quelli degli anni seguenti
convinsero Nastasen che i tempi erano maturi per attuare la politica aggressiva iniziata da Irike-
Amannote e Harsiotef che puntava alla completa rioccupazione della Bassa Nubia. Nello stesso
momento, anche l’integrità territoriale del regno di Kush fu messa alla prova: la stele di Nastasen
(cfr. nota 77) registra una lunga serie di scontri che il re dovette affrontare per mantenere unito il
territorio ereditato da Harsiotef e minacciato da ribellioni a nord così come da popolazioni nomadi
che invadevano il regno da sud79. La seconda parte del regno di Nastasen si svolse presumibilmente
in contemporanea con la seconda dominazione persiana e i primi anni della dominazione macedone
in Egitto.
77 FHN II, 84. 78 Török 1997b, p. 391. 79 Ivi, p. 392.
23
Il regno di Kush reagì alla conquista dell’Egitto da parte di Alessandro Magno e alle conseguenti
difficoltà interne rinforzando la sua posizione in Bassa Nubia e con incursioni nell’Alto Egitto, come
sembrano testimoniare le attestazioni di schermaglie alla frontiera tra Egitto e Nubia. Di
conseguenza, già Tolemeo I promosse una spedizione punitiva in Nubia nel 319/318 a.C. e, in
seguito alla spedizione di Tolemeo II del 274 a.C., l’Egitto acquisì il controllo dell’area della Bassa
Nubia tra la Prima e la Seconda Cataratta, denominata nei testi contemporanei Triacontaschoenus
o «Terra delle Trenta Miglia».
Sebbene si possa ipotizzare che la spedizione militare di Tolemeo II verso la Nubia, proclamata nel
274 a.C., puntasse ad impedire che l’Alto Egitto si schierasse con il regno di Kush contro i dominatori
tolemaici, il principale obbiettivo di quest’azione militare dovette essere la necessità di stabilire una
via sicura lungo il Nilo tra Egitto e Kush e ottenere il controllo delle miniere aurifere del Deserto
Orientale. Allo stesso tempo, la pacificazione dell’area di frontiera tra Egitto e Nubia poteva essere
mantenuta al meglio solo annettendo la Bassa Nubia fino alla regione della Seconda Cataratta,
ripristinando quindi la linea di frontiera nella posizione delineata dopo la spedizione di Psammetico
II. Questo cambiamento nei rapporti tra Egitto e Kush, che sembrerebbe vedere il regno nubiano in
una posizione di svantaggio, in realtà fruttò a Kush ricchi traffici commerciali con l’Egitto e influssi
che consentirono una rinascita culturale del Paese80.
Infatti, la ripresa dei contatti con l’Egitto ebbe effetti significativi per Kush: l’occupazione egiziana
della Bassa Nubia e l’organizzazione della tratta commerciale lungo il Nilo promossero lo sviluppo
di una catena di insediamenti nell’area della Valle del Nilo a nord e a sud della Seconda Cataratta,
mentre il commercio di beni, materie prime e animali che dall’Africa del sud giungeva in Egitto
passando per il regno di Kush, favorì uno sviluppo socioeconomico e politico nell’area meridionale
del regno (comprendente la regione del Butana)81.
Nastasen fu l’ultimo sovrano nubiano ad essere sepolto a Nuri. Il suo successore scelse come nuova
necropoli reale un’area a sud della montagna sacra di Napata. L’abbandono della necropoli di Nuri
fu forse motivato dall’esaurirsi di spazi appropriati per le sepolture regali, ma potrebbe essere stato
dovuto anche ad un cambiamento dinastico, aspetto che divenne più marcato con il successivo
trasferimento della necropoli reale a Meroe (cfr. infra).
La struttura di governo nel regno di Kush nel periodo napateo rimase pressoché invariata rispetto ai
periodi precedenti: era basata su centri urbani di uguale livello e funzioni incentrati su un tempio di
Amon e una residenza regale. Questi nuclei insediativi, al di là dei templi e dei palazzi monumentali,
80 Török 1997b, p. 396. 81 Ivi, p. 420.
24
ospitavano anche zone produttive (officine) e quartieri abitativi. Le produzioni manifatturiere erano
presumibilmente sotto il controllo della corona o dei templi e la produzione probabilmente non doveva
soddisfare solo i bisogni locali. Il fatto che la distribuzione e collocazione degli insediamenti sia
rimasta costante nel tempo, anche in quest’ultima fase, indica una particolare attenzione alla scelta
dei luoghi ma anche una continuità nella dinastia al potere82. Oltre a centri con ruoli ben definiti nella
struttura politica e socioeconomica del regno, esistevano anche abitati la cui collocazione era
determinata dalle necessità legate alle tratte su lunga e media distanza tra Egitto e Kush. Questi
erano, almeno in parte, associati con il controllo e la difesa militare della Bassa Nubia: i nuclei
insediativi collocati in epoca ellenistica tra la Prima e la Terza Cataratta in origine erano per la
maggior parte stazioni carovaniere o postazioni militari.
Una menzione particolare merita Mussawarat es-Sufra, il cui Grande recinto (forse una residenza
regale stagionale) venne ricostruito e ampliato a più riprese tra l’inizio del periodo napateo e la fine
del periodo meroitico.
g. Il periodo meroitico83
La successione dei dinasti kushiti dopo la morte di Nastasen risulta ancora una volta poco chiara.
Questo periodo nebuloso terminò con l’ascesa al trono di Ergamene I, definito dalla letteratura come
un sovrano “eretico”: salito al potere tramite un colpo di stato all’inizio del III sec. a.C., privò il clero
di Amon di Napata del suo potere politico trasferendo il centro del regno a Meroe e allontanandolo
così dalla sfera di influenza della classe sacerdotale. Tuttavia, l’idea di una “rottura” è senz’altro
esagerata se si considerano i numerosi elementi di continuità che si possono individuare tra le due
fasi, come il legame ininterrotto tra l’ideologia regale kushita e il culto di Amon di Napata e
l’importanza che Napata continuò ad avere sia durante che dopo il regno di Ergamene. Più
probabilmente, la ragione di questo spostamento non derivò da una rottura con il clero, quanto
piuttosto dall’arrivo di una nuova dinastia al potere; tale cambiamento può quindi, al contrario, essere
letto come un’evoluzione del modello precedente in funzione dell’ascesa della nuova casa regnante.
Infatti, la salita al trono di Ergamene segnò l’avvento di una nuova dinastia venuta dal sud che elesse
Meroe a nuova capitale del regno. Tale cambiamento portò gli studiosi a definire questo periodo
come regno meroitico. Sebbene tale trasferimento abbia enfatizzato i nuovi legami dinastici con
l’area meridionale del regno di Kush e si sia posto all’inizio di una tendenza arcaizzante in cui le
tradizioni della regione del Butana giocarono un ruolo importante, il periodo meroitico iniziato con il
82 Török 1997b, p. 398. 83 Per approfondire, cfr. “The kingdom of Kush between the emergence of the “Meroitic” dynasty and the disintegration of the kingdom (from the middle of the 3rd century BC to the early 5th century AD)” in Török 1997b, pp. 409-531.
25
regno di Ergamene si caratterizzò per uno sviluppo del regno in quanto insieme, quindi per un
progresso che, in modo proporzionato, coinvolse sia l’area meridionale che quella settentrionale. Il
successore di Ergamene, Amanislo, che presumibilmente regnò nei decenni centrali del III sec. a.C.,
condusse dei lavori di monumentalizzazione a Napata, fatto che dimostra come, anche dopo lo
spostamento della capitale, la città abbia continuato a ricoprire un ruolo di primo piano.
Il modo in cui l’Egitto e il regno di Kush si confrontarono dopo la conquista macedone, così come i
processi che seguirono nel regno di Kush sembrano rientrare in uno schema che caratterizzò per
tutta l’antichità i rapporti tra le due potenze: Kush veniva costantemente coinvolta nell’indebolimento
del controllo esercitato dal potere centrale egizio nell’Alto Egitto, sia fornendo supporto ai ribelli
contro le potenze straniere che di volta in volta dominavano l’Egitto, sia provando ad espandere il
proprio controllo sulla regione. In risposta, seguiva tradizionalmente una pacificazione risultante nella
maggior parte dei casi in un’espansione della supremazia egizia verso alcune aree della Bassa
Nubia che in precedenza erano state formalmente sotto il controllo kushita. Ancora più importante,
tali avvenimenti si risolvevano sempre con un periodo più o meno lungo di stagnazione dei contatti
commerciali e culturali tra i due Paesi e con l’inizio di un periodo di sviluppo e prosperità per il regno
di Kush. Il passaggio successivo, ossia la ripresa dei contatti tra Egitto e Kush, solitamente
conduceva ad un influsso egiziano su vari aspetti della cultura, della religione e dell’ideologia nubiana
e ad una riformulazione di concetti locali in chiave arcaizzante84.
In questa particolare fase, i contatti diplomatici con la corte tolemaica produssero anche una
tendenza parallela, consistente nell’adozione nel regno di Meroe di concetti ellenistici relativi a
religione, architettura, iconografia e stile: questi influssi furono profondamente condizionati dalle
evoluzioni nella sfera politica. Al contempo, l’Egitto non rimase impermeabile agli influssi nubiani, in
particolare in seguito alle importazioni di materie prime e beni dalle aree meridionali. Meroe influenzò
direttamente la vita in Egitto anche attraverso i suoi contatti con gli ambienti anti-tolemaici in Alto
Egitto. L’obbiettivo del coinvolgimento kushita in queste rivolte, tramite cui si mettevano a rischio i
benefici forniti dalle tratte commerciali, stava nel desiderio di rioccupare la Bassa Nubia, scopo che
venne raggiunto tra il 207 e il 186 a.C. grazie ad una rivolta scoppiata in Alto Egitto sotto il regno di
Tolemeo IV e sedata da Tolemeo V. Quest’area della Bassa Nubia fino a Maharraqa, definita nelle
fonti contemporanee come Dodecaschoenus, ossia la «Terra delle Dodici Miglia», giocò un ruolo
importante nel veicolare l’influenza culturale e religiosa egizia85. Sebbene la rivolta avesse fornito
l’occasione al regno di Meroe per riconquistare la Bassa Nubia, sembra che non vi fosse alcuna
84 Török 1997b, p. 425. 85 Ivi, p. 426.
26
intenzione di proseguire la conquista più a nord: il confine tra il regno meroitico e il regno dei ribelli
venne definito da una sorta di accordo, che portò anche alla partecipazione delle truppe di Meroe
nei conflitti dei rivoltosi. Tuttavia, la restaurazione del dominio meroitico nell’area fu di breve durata:
la sconfitta degli insorti nel 186 a.C. consentì al regno tolemaico di estendere nuovamente il proprio
dominio nei territori nubiani, fino a comprendere la regione della Triacontaschoenus.
All'epoca di tali rivolte, il regno di Meroe era stato governato prima da Ergamene II e poi da
Adikhalamani, i cui documenti confermano una temporanea riconquista della Bassa Nubia e
forniscono informazioni utili alla comprensione delle relazioni tra Egitto e Nubia in quel periodo. In
particolare, la titolatura di Ergamene suggerisce la volontà di porsi come restauratore dei culti
tradizionali e dell’integrità del Paese contro Tolemeo IV. La sua titolatura suggerisce inoltre che, a
livello politico, l’alleanza tra Kush e i ribelli dell’Alto Egitto venne resa possibile dal mantenuto
approccio positivo della Tebaide nei confronti della Nubia: mentre in Egitto si era venuta a creare
una mentalità ostile a Kush (soprattutto durante la XXVI Dinastia), la Tebaide mantenne sempre un
ricordo positivo dei sovrani nubiani della XXV Dinastia in quanto promotori dei tradizionali culti
egiziani, elemento ancora più importante in questa fase di diffusione dei culti ellenistici e dei loro
stretti legami con la dinastia tolemaica86.
Durante la rioccupazione meroitica della Bassa Nubia tra il 207 e il 186 a.C., gli insediamenti presenti
fin dal IV sec. a.C. nell’area tra la Prima e la Seconda Cataratta e consistenti prevalentemente in
stazioni militari si svilupparono fino a diventare centri urbani veri e propri e fornirono la base per un
programma di reinsediamento portato avanti da Ergamene II e Adikhalamani che portò alla
costituzione di una catena di complessi abitativi circondati da appezzamenti agricoli che rimase tale
fino al V sec d.C.
Dopo la riconquista egizia, nel 150 a.C., la Triacontaschoenus venne fusa insieme alla Tebaide in
un’unica unità amministrativa posta sotto l’autorità di quest’ultima, ma continuò ad essere
direttamente governata da un ufficiale di origini locali. L’integrazione della struttura politica locale
nell’amministrazione egiziana e/o l’impiego di dignitari e ufficiali non egiziani rimase una
caratteristica della dominazione sia tolemaica che romana della Bassa Nubia87.
Tra la fine del II e l’inizio del I sec. a.C. l’Egitto si ritirò gradualmente dalla parte più meridionale della
Triacontaschoenus. Alcuni documenti provenienti da Elefantina permettono di ipotizzare che, alla
fine del II sec. a.C., nemmeno la Dodecaschoenus fosse più sotto il controllo tolemaico. Entro la fine
86 Török 1997b, p. 428. 87 Ivi, p. 431.
27
del I sec. a.C., le rivendicazioni dell’Egitto su qualsiasi area della Bassa Nubia oltre Dabod rimasero
solo nominali.
L’inserimento di Kush nelle tratte commerciali internazionali del mondo ellenistico in quanto
esportatore di oro ed altri beni sfociò in una importazione di beni, idee e artigiani nella regione
nubiana: questi traffici probabilmente favorirono la ripresa di alleanze con i vicini meridionali e
l’aumento dell’attività edilizia in tutto il regno (sviluppo degli insediamenti preesistenti e fondazione
di nuovi). Sembra che anche l’emergere di una nuova dinastia originaria della regione di Meroe nella
fase successiva alla spedizione nubiana di Tolemeo II possa essere individuata come un prodotto di
questo processo. Tralasciando il fatto che il cambio dinastico avvenne in modo violento, la storia di
questo cambiamento rimane sconosciuta88. È evidente, tuttavia, che tale passaggio di potere non fu
seguito da una totale distruzione della memoria della dinastia precedente: attività edilizie su vasta
scala realizzate in uno stile affine a quello dell’architettura tolemaica egiziana iniziarono già dalla
metà del III sec. a.C. a Napata, Meroe e Mussawarat es-Sufra. In particolare, in questo sito, sono
stati rinvenuti cartigli frammentari riportanti il nome di Arnekhamani (predecessore di Ergamene II
che regnò all’epoca di Tolemeo III e Tolemeo IV) che hanno consentito di ipotizzare la datazione
della parte centrale del Grande recinto alla seconda metà del III sec. a.C.89.
In questa fase si assistette anche all’emergere del culto egiziano di Arensnufi, connotato secondo la
tradizione kushita e affiancato da culti di divinità kushite, così come ad un cambiamento nell’ideologia
del potere: gli sviluppi nelle concezioni religiose e regali indicano una tendenza arcaizzante, forse
causata dalla necessità di legittimare la nuova dinastia. Analogamente, l’accentuazione di alcuni
aspetti guerrieri nella connotazione di alcune figure divine come Amon di Napata, ma anche lo stesso
Arensnufi, e la loro associazione con l’ideologia del potere sembrano essere state influenzate dalle
tradizioni della regione del Butana, da cui proveniva la nuova famiglia regale90. A questo periodo
deve risalire anche l’invenzione del geroglifico meroitico e della scrittura corsiva.
Gli eventi dei decenni successivi ai regni di Ergamene II e Adikhalamani rimangono pressoché
sconosciuti, tuttavia l’architettura funeraria attesta la continuità dei contatti tra Egitto e Nubia e il
mantenimento di un alto livello nella produzione architettonica e scultorea91.
Alla fine del II sec. a.C. si data il regno della prima regina nota per il regno di Meroe: Shanakdakheto.
La datazione è stata formulata sulla base dello stile e dell’iconografia dei monumenti da lei eretti,
88 Török 1997b, p. 436. 89 Ivi, p. 437. 90 Ivi, p. 438. 91 Ivi, p. 431.
28
nonché dello studio della sua tomba. A lei successe Tanyidamani ed è proprio al suo regno che
risalgono le più antiche iscrizioni monumentali regali note in lingua meroitica e scrittura corsiva92.
Lo sviluppo urbano della città di Meroe tra il II e il I sec. a.C. testimonia il mantenimento della struttura
socioeconomica e del livello della manodopera raggiunto nella prima metà del III sec. a.C. L’attività
edilizia, la statuaria, i rilievi e la ceramica decorata che si sono conservati indicano inoltre la
continuità dei contatti con l’Egitto a vari livelli (diplomatico e di scambio di doni tra le due corti,
religioso e di contatti con i santuari, commerciale), risultanti nell’adozione nel regno di Kush di
tecnologie e stili decorativi egiziani93.
La conquista romana dell’Egitto nel 30 a.C. diede il via ad una serie di rivolte antiromane che
scoppiarono in Alto Egitto e coinvolsero anche il regno di Meroe: l’aiuto ai rivoltosi sembrò forse
ancora una volta il giusto pretesto per inserirsi in una situazione egiziana travagliata, tentando di
espandere i propri domini. Tuttavia, le sommosse vennero rapidamente sedate da Cornelio Gallo,
primo prefetto d’Egitto, la cui armata raggiunse anche la Bassa Nubia. Questo diede a Gallo
l’opportunità di portare avanti il progetto di ricostituire la Triacontaschoenus come unità
amministrativa speciale legata alla Tebaide (com’era stato dopo la riconquista tolemaica della Bassa
Nubia nel 186 a.C.), così da poter bloccare un’eventuale avanzata meroitica e tagliare ogni possibile
legame tra l’Alto Egitto e il regno di Meroe, potenziali alleati contro il dominio di Roma. Come
l’accorpamento della Triacontaschoenus alla Tebaide seguiva una linea già adottata in epoca
tolemaica, anche la scelta della forma di governo da adottare in questa regione ricalcò decisioni già
prese in passato: il governo della Triacontaschoenus venne infatti affidato ad un capo locale, che a
sua volta era soggetto all’autorità del governatore di Tebe, che quindi, come in passato, controllava
formalmente entrambe le regioni.
La formale annessione di questa regione come regno vassallo doveva probabilmente rappresentare
il primo passo verso la creazione di un regno cliente di Roma e la totale annessione del regno di
Meroe all’Impero romano. Tuttavia, la forte opposizione del regno di Meroe impedì la realizzazione
di questo progetto politico e ogni intento di annettere il regno venne abbandonato alla fine del I sec.
a.C. quando Roma, dopo il fallimento delle campagne promosse in Arabia e Nubia, decise di adottare
una diversa linea di politica estera.
Infatti, prima che i preparativi per la spedizione nubiana venissero completati, Meroe, informata del
considerevole ritiro di forze armate romane dall’Egitto (dirette in Arabia per la sopracitata campagna),
decise di agire, oltrepassando la Prima Cataratta e attaccando File, Aswan ed Elefantina (25/24
92 Török 1997b, p. 446. 93 Ivi, p. 448.
29
a.C.). Questo attacco, guidato da re Teriteqas e, dopo la sua morte, dalla regina Amanirenas,
provocò una controffensiva romana che penetrò in Bassa Nubia raggiungendo Qasr Ibrim e
installandovi una guarnigione per controllare la ristabilita Triacontaschoenus. Tuttavia, nel 22 a.C. la
regina Amanirenas marciò contro la fortezza di Qasr Ibrim, assediandola: iniziarono così le trattative
di pace, che si conclusero nel 21/20 a.C. sull’Isola di Samo, stabilendo l’annessione della
Dodecaschoenus all’Impero romano e ponendo il confine meridionale del territorio egizio in
corrispondenza della moderna Maharraqa. Questa delimitazione dei confini aveva come obbiettivo
principale quello di impedire ogni possibile futuro attacco nubiano al territorio egizio, stabilendo una
vera e propria linea di frontiera. La Dodecaschoenus venne adibita principalmente a zona militare,
la cui amministrazione civile fu solo formalmente legata a quella egiziana, ma di fatto venne lasciata
nelle mani delle élite locali94.
Ad Amanirenas successe un’altra regina, Amanishakheto. La prosperità del suo regno è indicata
dall’attività edilizia, in particolare a Wad Ben Naqa e dal suo eccezionale corredo funerario,
comprendente manufatti romani o importati dall’Egitto romano95. Dopo Amanishakheto, il trono
venne nuovamente occupato da una regina: Nawidemak. Il regno di tre regine in successione e il
continuo cambio del luogo di sepoltura regale potrebbero indicare alcuni problemi dinastici, mentre
l’analisi della distribuzione dei monumenti inscritti con il nome del regnante successivo, il re
Amanikhabale, permette di individuare attività di costruzione e restauro dei templi sia nella regione
del Butana che nelle aree settentrionali96.
A partire dalla metà del I sec. d.C. per Meroe iniziò un periodo di prosperità paragonabile, non solo
per la quantità e la qualità dell’attività edilizia, ma anche per il livello intellettuale, artistico e di cultura
materiale raggiunto, ai precedenti incontri con l’Egitto verificatisi nell’VIII-VII sec. a.C. e nel III sec.
a.C.
Il regno di Natakamani e Amanitore nei decenni centrali del I sec. d.C. fu, a giudicare dai monumenti
ad essi associati, uno dei periodi più prosperi della storia meroitica97. I regnanti promossero un
programma di ricostruzione architettonica monumentale dei quartieri templari e residenziali delle
antiche capitali, Napata e Meroe. Inoltre, gli scavi condotti a Meroe hanno individuato, in questa fase,
uno sviluppo urbano rapido e di grande complessità, chiaro indicatore di un’evoluzione significativa
nella sfera sociale, economica e culturale del regno. Al contempo si registrarono anche cambiamenti
94 Il modello riconoscibile in questo approccio romano è quello della cosiddetta Pax Augusta. 95 Török 1997b, p. 456. 96 Ivi, p. 461. 97 Ibidem.
30
nelle dottrine religiose, nell’ideologia del potere e a livello intellettuale, da attribuire in parte agli
sviluppi interni al Paese e in parte alla commistione con concetti, idee e modi di espressione
dell’Egitto romano98.
Il regno di Natakamani e Amanitore segnò il compimento di un processo iniziato alcuni decenni prima
con la pace di Samo: lo stile, l’esecuzione e le caratteristiche iconografiche dei rilievi fatti realizzare
a Meroe, Napata e Naqa riflettono una profonda influenza dell’Egitto romano e la partecipazione di
maestranze egiziane nell’attività di costruzione e decorazione. Tuttavia, le idee non furono adottate
acriticamente, al contrario si assistette ad una sintesi armoniosa di concetti meroitici ed egiziani99.
A Natakamani e Amanitore successe Shorakaror, ricordato in una rappresentazione rupestre al
Jebel Qeili (nei pressi di Khartum) che lo raffigura con tutte le insegne del potere insieme ad una
divinità solare non ben identificata. Quest’opera viene interpretata come un documento attestante la
pacificazione della regione meridionale della cosiddetta Isola di Meroe, in un momento in cui
mantenere i contatti commerciali con l’Africa centrale era di vitale importanza. Se la
rappresentazione della divinità mostra chiari influssi ellenistici, la rappresentazione dei nemici
sconfitti può essere ricollegata invece, tramite l’arte napatea e della XXV Dinastia, ai modelli egiziani
del Nuovo Regno. Il monumento, datato alla seconda metà del I sec. d.C., può quindi essere visto
come una raffigurazione in cui l’apertura ai nuovi elementi ellenistici si affianca ad un’aderenza ai
modelli arcaicizzanti forniti dai monumenti dei grandi regnanti del passato100.
Nel periodo compreso tra il tardo I sec d.C. e la metà del III sec. d.C., le evidenze archeologiche
attestano che la maggior parte degli insediamenti meroitici subirono un’evoluzione da piccoli villaggi
e stazioni militari o carovaniere in prospere comunità agricole o piccoli e medi centri con
caratteristiche urbane.
In questa fase, la distribuzione geografica e la qualità dei monumenti regali indicano l’esistenza di
un potere centrale forte. La monumentalità e la cura nella realizzazione delle architetture connesse
alle élite, come le aree palaziali nella città di Meroe, attestano però anche la crescita in numero e
importanza delle élite sacerdotale e amministrativa di collegamento tra il sovrano e i governatori
provinciali101.
Nella regione del Butana, il controllo del governo centrale sulla popolazione nomade e semi-nomade
venne esercitato tramite la predisposizione di punti di approvvigionamento idrico (hafir) in luoghi
precisi e strategici, spesso associati con strutture templari. In questo modo, oltre a controllare i
98 Török 1997b, p. 462. 99 Ivi, p. 463. 100 Ivi, p. 467. 101 Ivi, p. 470.
31
percorsi della transumanza e quindi i loro spostamenti, il governo centrale poteva anche provvedere
all’acculturazione di questi gruppi. Allo stesso tempo, queste costruzioni erano anche un segno della
presenza del governo centrale sul territorio e, data la manodopera richiesta per la loro realizzazione,
possono anche essere letti come un indicatore del buon funzionamento della struttura statale102.
L’effettivo controllo dell’autorità centrale è attestato anche in Bassa Nubia, tramite la mediazione dei
viceré e delle élite provinciali: da quanto si evince dai testi, quest’amministrazione era direttamente
subordinata al sovrano. Allo stesso modo, l’amministrazione economica e civile della
Dodecaschoenus continuò ad essere controllata dalle élite locali anche dopo l’annessione al
territorio dell’Egitto romano. In particolare, fonti datate tra il II e il IV sec. d.C. attestano l’emergere in
Bassa Nubia di una famiglia dell’élite che, all’inizio del III a.C. ca., funse da tramite per la
penetrazione dell’autorità regale meroitica negli affari della regione, culminata nello stabilirsi del
controllo meroitico nell’area attorno alla metà del III sec. d.C.
La supremazia meroitica nella Dodecaschoenus è suggerita dall’assenza di evidenze dell’esistenza
di guarnigioni romane nell’area dopo il 217/218 d.C. La ritirata delle forze militari romane fu
probabilmente influenzata dalla grande peste del 200 d.C., ma il fattore decisivo fu senza dubbio lo
spostamento della linea di difesa dalla Bassa Nubia alla regione di Aswan, in considerazione sia dei
costi di una difesa approfondita sia della sistemazione politica favorevole che era stata realizzata dal
clero locale. In questo processo, la ritirata romana e l’avanzata meroitica furono quindi due processi
complementari103.
L’avanzata meroitica a nord venne anche favorita dalle difficoltà interne del governo romano, che
provocarono una diminuzione delle difese nella regione e, di conseguenza, consentirono l’aumento
delle incursioni delle tribù nomadi del Deserto Orientale. In seguito alla riconquista della
Dodecaschoenus, Meroe dovette quindi predisporre una solida linea di difesa in questa regione di
frontiera.
Contemporaneamente, un’altra minaccia si stava delineando a sud del regno meroitico, il regno di
Aksum, e fu forse anche questo a spingere Meroe a guardare a nord, cercando di ampliare il suo
dominio verso i territori della Dodecaschoenus. Questa realtà, il cui centro in origine si trovava ad
Aksum, uno snodo strategico fondamentale per i traffici commerciali tra la Valle del Nilo e il Mar
Rosso e tra la regione della Prima Cataratta e l’Africa centrale, emerse nel I sec. d.C. come
accorpamento di unità tribali precedenti sotto un governo centrale. Nel II o III sec. d.C., il re di Aksum
intraprese una campagna verso nord che raggiunse anche i territori del regno di Meroe, riuscendo
ad installare una pista carovaniera che collegasse Aksum direttamente all’Egitto senza passare dalla
102 Török 1997b, p. 470. 103 Ivi, p. 475.
32
Valle del Nilo. All’inizio del III sec a.C. il regno di Aksum era abbastanza potente da sviluppare
contatti politici ed economici attraverso il Mar Rosso, così come nel Mediterraneo e alla fine del
secolo era diventato un degno rivale del regno di Meroe nel commercio di beni provenienti dall’Africa
centrale.
Le fonti consentono di ricostruire per il regno di Meroe una complessa amministrazione civile ed
economica basata su unità territoriali con struttura simile, poste sotto il controllo del potere centrale.
Dal punto di vista dell’unità tra amministrazione templare e civile e del carattere clericale della classe
dirigente, i documenti datati tra il I e il IV sec. d.C. indicano la conservazione della struttura statale
napatea, in cui l’amministrazione territoriale era legata al clero e incentrata sui templi di Amon e sulle
residenze regali104.
L’area della Bassa Nubia compresa tra la frontiera romana e la Seconda Cataratta era sottoposta,
come indicato dalle fonti per il I sec. d.C. in avanti, all’autorità di un viceré, scelto tra il clero e gli alti
ufficiali provenienti da famiglie non appartenenti all’ambito regale. Tale funzionario era politicamente
sottomesso al sovrano di Meroe ed incaricato di intrattenere relazioni commerciali e diplomatiche
con l’Egitto per suo conto. Il viceré controllava la regione sia dal punto di vista amministrativo ed
economico (gestendo le risorse in entrata e in uscita) che dal punto di vista giuridico. La gestione
delle singole città e dei villaggi era però affidata al personale del tempio e i luoghi di culto fungevano
anche da uffici di registrazione e punti di raccolta, stoccaggio e redistribuzione delle produzioni (non
solo agricole). L’area compresa tra la Seconda e la Terza Cataratta era invece posta sotto il controllo
di un ufficiale, scelto tra le schiere del clero impegnate nell’amministrazione territoriale, a cui erano
a loro volta subordinati altri funzionari. A causa della scarsità di evidenze, la struttura governativa
del regno a sud della Terza Cataratta risulta di difficile ricostruzione; è tuttavia possibile ipotizzarne
la somiglianza con l’amministrazione descritta per la Bassa Nubia. In questa regione, a fianco di
centri di notevoli dimensioni come Napata e Meroe si trovava anche un numero consistente di
agglomerati urbani di medie dimensioni e piccoli villaggi, oltre agli insediamenti delle popolazioni
seminomadi nella regione del Butana.
Verso la metà del III sec. d.C., in contemporanea con la crisi dell’Impero romano e il declino della
struttura di governo e dell’economia in Egitto (che portarono alla riorganizzazione della provincia
iniziata con Diocleziano), Meroe dovette affrontare serie difficoltà politiche ed economiche causate
dalla minaccia rappresentata dal regno di Aksum a sud, dalle tribù dei Blemmi a est e dalle tribù dei
Noba a sud-ovest. Tali complicanze provocarono una sproporzione nello sviluppo tra i territori a nord
104 Török 1997b, p. 489.
33
e quelli a sud della Terza Cataratta. Infatti, l’arrivo su larga scala dei Noba e la crescente pressione
del regno di Aksum produssero la disgregazione della struttura socioeconomica della parte
meridionale del regno di Meroe, mentre la tradizionale struttura sociale, economica e governativa
della parte settentrionale (che in questo momento comprendeva anche la Dodecaschoenus, cfr.
supra), molto meno minacciata da fattori esterni, venne mantenuta per un periodo più lungo.
Tra la fine del III e l’inizio del IV sec. d.C. il trono di Meroe venne retto da Yesebokheamani e fu
proprio durante il suo regno, nel 298 d.C., che il confine tra Meroe e l’Egitto romano venne
ufficialmente spostato da Maharraqa ad Aswan. Questo cambiamento fu motivato in primo luogo
dalla crescente aggressività delle tribù dei Blemmi che vivevano in Bassa Nubia, nell’area compresa
tra il Nilo e il Mar Rosso, elemento che rese necessario lo stabilirsi di guarnigioni di difesa, collocate
nell’area di Kalabsha e di Maharraqa105.
Proprio in questa fase, tali tribù si unirono in unità più grandi e iniziarono ad acquisire maggiore
potere. La crescente forza dei Blemmi rappresentò una minaccia costante per gli insediamenti
dell’Alto Egitto e della Bassa Nubia anche perché le tribù riuscirono ad impadronirsi delle tratte
commerciali del Deserto Orientale. Sia con i Blemmi a nord che con i Noba a sud, Meroe seguì la
stessa politica che i Romani avevano tentato di attuare in precedenza, cercando di inglobare come
alleati le popolazioni che vivevano sui confini e che quindi potevano rappresentare un pericolo,
convincendoli a supportare le difese di questi confini in cambio di sussidi o di un loro ingresso
nell’Impero romano106.
Gli ultimi decenni del regno di Meroe (IV sec.) sono scarsamente documentati. Come si è già
accennato, in questa fase all’interno del regno di Meroe potevano essere individuate due aree,
diverse per sviluppo e vicende, la cui frontiera poteva essere riconosciuta nella Terza Cataratta.
Mentre nell’area a nord, a fianco di una contrazione dei centri abitati e delle necropoli si verificarono
anche casi di continuità insediativa (come a Qasr Ibrim), a sud la situazione fu dominata dal declino
e poi dalla fine della città di Meroe così come di altri insediamenti urbani e dalla sostituzione della
gerarchia sociale meroitica con una società dalla forte componente tribale e semi-nomadica (i Noba),
la cui classe dirigente subì con il tempo un processo di “meroitizzazione” senza tuttavia adottare le
istituzioni politiche e culturali del regno107. Il collasso della struttura governativa e sociale meroitica
e delle istituzioni ad essa associate e la conseguente scomparsa della relativa cultura materiale
possono essere attribuite sia all’impossibilità di integrare socialmente e culturalmente la popolazione
105 Török 1997b, p. 480. 106 Ivi, p. 479. 107 Ivi, p. 485.
34
dei Noba nel contesto meroitico tardo sia all’impatto che ebbero le invasioni ad opera del regno di
Aksum, le quali contribuirono inoltre alla perdita del ruolo di Meroe nei commerci internazionali108.
Già nel II e all’inizio del III sec. d.C. sono attestate aggressioni dei territori kushiti da parte del regno
di Aksum. Sebbene non sia chiaro se queste invasioni sfociarono in una temporanea sottomissione
di Meroe al regno di Aksum in quanto stato vassallo, senza dubbio ebbero effetti negativi sul regno,
contribuendo al declino della città di Meroe e preparando la strada all’invasione dei Noba e alla
successiva spedizione del sovrano di Aksum, Ezana, contro i Noba e quanto rimaneva del regno
meroitico (metà IV sec. d.C.). La dinastia meroitica probabilmente non sopravvisse a quest’ultima
invasione; tuttavia, la fine della dinastia regnante non significò anche la fine del regno stesso, che
continuò ad esistere per alcuni decenni. L’unità politica di questo stato post-meroitico, che si
estendeva dal Butana alla Bassa Nubia, si concluse all’inizio del V sec. d.C., quando il territorio
comprendente ciò che rimaneva dell’antico regno di Meroe e il regno dei Noba venne disintegrato e
suddiviso in tre diverse regioni governate da tre potenze distinte.
108 Török 1997b, p. 485.
35
3. INSEDIAMENTI IN EGITTO
Con l’avvento al potere dei Tolemei e la fondazione di nuove città, in Egitto si dovette cercare un
modo per far convivere due concezioni urbanistiche diverse: quella tradizionale egiziana e quella
greca, importata dalla nuova classe dominante.
Da un lato, l’impianto degli abitati di epoca faraonica era contraddistinto dalla stretta connessione
tra santuario, viale processionale e palazzo, che rifletteva il potere politico e religioso del faraone e
della classe sacerdotale. Dall’altro, l’impianto delle poleis greche era caratterizzato dalla centralità
dell’agorà e della boulé, dove si svolgevano le assemblee popolari109. L’avvento della nuova classe
dominante costrinse a trovare un modo per far convivere queste due concezioni della città: il risultato
fu la creazione di una sorta di bipolarismo, che condizionò non solo l’impianto dei nuovi centri abitati,
ma anche le scelte architettoniche al loro interno110, evidente soprattutto nella compresenza del
tempio di tradizione faraonica e dell’area pubblica di stampo greco e nel loro reciproco
posizionamento.
a. Alessandria
La città di Alessandria, fondata da Alessandro Magno, assunse un ruolo di primo piano durante il
regno di Tolemeo I quando venne scelta, al posto di Menfi, come nuova residenza regale e capitale
del regno d’Egitto. L’insediamento sorgeva in un punto strategico, affacciato sul Mediterraneo ma al
contempo vicino al ramo canopico del Delta del Nilo: la sua posizione ne favorì l’importanza dal
punto di vista commerciale111. Dell’insediamento di età greca non rimangono molte evidenze,
tuttavia, poiché le fonti informano che l’urbanistica dell’abitato non subì significativi cambiamenti nel
passaggio all’epoca romana, è possibile tentare di ricostruirne l’assetto in età tolemaica dalle
evidenze successive. La fondazione greca incorporò al suo interno anche il preesistente villaggio
egiziano che, sebbene non occupasse una posizione preminente e primaria, collocato nella parte
sud-occidentale della città, nel quartiere di Rakotis, venne valorizzato dall’edificazione di un nuovo
santuario, il Serapeo: tale agglomerato, caratterizzato da un impianto urbanistico di tradizione
egiziana orientato lungo l’asse nord-sud, veniva quasi a costituire una città nella città112. La nuova
109 Pensabene 1998, p. 325. 110 Ibidem. 111 Pensabene 1993, p. 43. 112 Pensabene 1998, p. 325.
36
fondazione fu dotata di un impianto di tipo ortogonale, con ampie vie principali tra loro perpendicolari
e strade minori di separazione degli isolati (Figura 1). In questo nuovo assetto, due nuovi punti di
aggregazione sostituirono, nella sua funzione urbanistica, il santuario di tradizione faraonica: l’agorà
e il palazzo regale (Basileia), collocato in posizione dominante nella parte settentrionale
dell’insediamento. Questi due poli erano uniti al resto dell’abitato dalla Grande trasversale (R1) che
costituiva appunto la principale via d’accesso ai Basileia. Le indagini archeologiche hanno stabilito
che, per la prima età tolemaica, un orientamento stradale nord-sud (“solare” o tradizionale egizio)
coesistette con quello nord-ovest/sud-est della nuova fondazione; tuttavia, sembra che già dalla fine
del II sec. a.C. il reticolo viario si sia uniformato all’orientamento nord-ovest/sud-est. Non si può
nemmeno escludere che, prima di questo momento, gli assi viari principali costituissero solo una
sorta di cornice entro la quale, in un primo tempo, gli isolati si disposero in modo abbastanza libero,
in parte seguendo l’orientamento tradizionale egizio113. In età romana, si assistette alla
monumentalizzazione degli assi principali ellenistici, che vennero ampliati e trasformati in vie
colonnate, e si ampliò e arricchì di edifici il complesso del ginnasio, collocato all’incrocio degli assi
viari principali (L1 e R1), che venne a costituire il nuovo centro cittadino114. Tuttavia, stando alle fonti,
la grande via longitudinale L1, detta anche Via Canopica, ai cui lati si dislocavano gli edifici pubblici,
113 Pensabene 1998, p. 327. 114 Ivi, p. 328.
Figura 1. Pianta di Alessandria
37
era già almeno in parte colonnata in età tolemaica115. Quest’arteria, delimitata alle estremità dalle
porte del Sole e della Luna, per mezzo degli incroci formati con la R1 e con le altre vie trasversali,
segnalati da tetrastili116, metteva in comunicazione i vari settori che costituivano la città. Gli isolati
erano infatti raggruppati in quartieri, ciascuno caratterizzato da funzioni proprie: commerciale (zona
portuale), residenziale (quartiere regale), abitativa (i cinque principali quartieri cittadini), di carattere
pubblico (le fasce ai lati della Via Canopica comprendenti gli edifici pubblici) e religiosa (area sacra
del Serapeo nell’antico quartiere indigeno).
Così come nel passaggio dalla fase greca a quella romana, elementi di continuità possono essere
individuati anche con la tradizione faraonica e sono evidenti nell’inserimento del Serapeo (complesso
templare di età ellenistica edificato su un santuario preesistente, conservante elementi di tradizione
egizia) e dell’originale villaggio indigeno nel nuovo impianto urbanistico, sebbene in posizione
defilata117.
Una menzione particolare merita il quartiere regale dei Basileia, collocato nella parte settentrionale
dell’insediamento (cfr. Figura 1). Questo spazio, completato probabilmente durante il regno di
Tolemeo I ampliando una struttura edificata da Alessandro Magno, occupava un’area molto vasta e
comprendeva edifici eterogenei e fra loro autonomi, collegati da portici, giardini e canali. All’interno
del quartiere erano ubicate le varie residenze regali con i relativi quartieri di servizio, alcuni templi,
edifici per le attività culturali (biblioteca e teatro), un’area riservata al culto dinastico con le tombe dei
sovrani e, forse, anche edifici destinati all’amministrazione pubblica118. Dalle informazioni note, è
stato ipotizzato che nei Basileia, probabilmente delimitati da un muro di cinta, potesse trovarsi, in
posizione sopraelevata, anche una sorta di acropoli, che in caso di necessità potesse fungere da
fortezza difensiva119. L’esatta estensione del quartiere palaziale non è ancora stata chiarita: si
ipotizza che l’area fosse delimitata a sud dalla Via Canopica, mentre la Grande trasversale, oltre ad
essere la principale via d’accesso all’area, avrebbe funto da separazione tra la zona destinata al
culto dinastico e gli altri settori120. Non si hanno informazioni certe nemmeno sulla struttura stradale
all’interno dei Basileia: alcune evidenze sembrano suggerire un impianto viario con orientamento
nord-sud, mentre altre informazioni propenderebbero per un impianto in asse con il resto dell’abitato.
Resta, inoltre, aperta la possibilità che entrambi questi assetti viari potessero coesistere, uniformati
e armonizzati tramite l’inserimento di aree verdi. Non è nemmeno chiaro in quale misura gli assi viari
115 Pensabene 1993, p. 44. 116 Colonne poste agli angoli di un incrocio tra vie monumentali. 117 Pensabene 1998, p. 329. 118 Pensabene 2007, p. 175. 119 Ivi, p. 177. 120 Ivi, p. 175.
38
caratterizzassero l’area: è stato ipotizzato che potessero costituire solo una sorta di cornice di
delimitazione dei vari settori, entro cui gli edifici erano liberamente disposti121.
b. Ermopoli
Fin dall’epoca faraonica, l’insediamento di
Ermopoli era caratterizzato da un’organizzazione
peculiare, essendo diviso in due aree principali
(Figura 2): il cosiddetto Dominio sacro a nord
(comprendente gli edifici templari dedicati a Thot-
Hermes e ad Amon e le abitazioni dei sacerdoti
e del personale templare) e l’area destinata alle
abitazioni e agli edifici pubblici a sud. Secondo gli
studiosi, le proporzioni regolari dell’impianto
abitativo di epoca faraonica avrebbero favorito la
trasformazione della città secondo i canoni
urbanistici greco-romani, consentendo un facile
inserimento del Dominio sacro all’interno del
nuovo reticolo stradale122. Infatti, il lato
meridionale del grande recinto che racchiudeva
tale area, risalente alla XXX Dinastia, venne
fiancheggiato da un tratto della Via Antinoitica (o Via di Antinoe), la grande strada colonnata che
attraversava la città da est ad ovest; questa era tagliata da una strada perpendicolare, con direzione
nord-sud, coincidente con il viale processionale del tempio di Thot-Hermes, il santuario principale
dell’abitato: l’incrocio delle due strade era evidenziato da un tetrastilo e da un komasterion, un edificio
connesso allo svolgimento di attività cultuali (Figura 3). Lungo la Via Antinoitica sorgevano gli edifici
principali, civili e religiosi, della città, tra cui l’agorà, circondata da colonne e con ingresso
monumentale, mentre i
prolungamenti di tale strada
conducevano rispettivamente
ad est verso la riva del Nilo e,
al di là di questo, ad Antinoe
(da qui il nome della strada), e
121 Pensabene 2007, p. 179. 122 Pensabene 1993, p. 45.
Figura 2. Pianta di Ermopoli
Figura 3. Ricostruzione del komasterion di Ermopoli
39
ad ovest verso la necropoli di Tuna el-Jebel; alle estremità della Via Antinoitica erano collocate due
porte urbiche, denominate della Luna e del Sole, in analogia ad Alessandria (cfr. supra). La Via
Antinoitica, che dovette con ogni probabilità subire una ristrutturazione in età adrianea (come
suggerisce il nome), doveva essere stata eretta in corrispondenza di un’arteria di età ellenistica, a
sua volta sorta sul tracciato di una via più antica, quasi certamente colonnata123. In età romana, i
papiri attestano una divisione dell’insediamento in quartieri, che probabilmente esisteva già durante
il regno dei Tolemei124 e una monumentalizzazione di strade ed edifici preesistenti125.
Ad Ermopoli, quindi, le indagini mostrano una forte continuità urbanistica nell’passaggio dall’epoca
greca a quella romana; inoltre, in questa fase l’insediamento sembra essere stato organizzato in
modo tale da favorire l’inclusione al suo interno delle strutture più antiche, l’organizzazione razionale
dello spazio urbano, l’inserimento di edifici pubblici di tipo classico e il mantenimento di una
distinzione tra la parte sacra e quella abitativa, seppur integrate tra loro126.
c. Antinoe
Antinoe, fondata dall’imperatore
Adriano nel 130 d.C. per
commemorare la morte del
“favorito” Antinoo, è tra le poche
poleis greche d’Egitto (Figura
4). La città presenta una
struttura urbanistica regolare, di
chiara ispirazione greca, con
una strada principale orientata
lungo l’asse nord-ovest/sud-est,
affiancata da colonnati e con
alle estremità due porte
monumentali, intersecata da due strade principali perpendicolari, con orientamento nord-est/sud-
ovest, ugualmente colonnate, e da altre minori sempre parallele. I punti di intersezione tra le strade
maggiori erano evidenziati da tetrastili. Il tempio di Ramesse II, di epoca faraonica, venne inserito
nel nuovo insediamento relegandolo in una posizione decentrata nel settore ovest della città e
123 Pensabene 1993, p. 45. 124 Pensabene 1998, p. 351. 125 Pensabene 1995, p. 214. 126 Pensabene 1998, p. 351.
Figura 4. Pianta di Antinoe
40
collegandolo al reticolo stradale, strettamente ortogonale, tramite una strada obliqua che non
seguiva l’orientamento generale dell’impianto viario.
L’impianto di Antinoe mostra forti similitudini con quello di Alessandria, in particolare per lo schema
a scacchiera regolare con quartieri suddivisi in insulae, la presenza di due direttrici stradali
perpendicolari e colonnate e il decentramento del luogo di culto faraonico127. Bisogna tuttavia notare
che, mentre una delle vie trasversali (asse nord-est/sud-ovest) collegava il porto sul Nilo alla viabilità
extraurbana (la cosiddetta Via Adriana), la via longitudinale (asse nord-ovest/sud-est) non sembra
avere avuto una funzione di attraversamento dell’abitato in quanto, pur entrando dalla porta nord, si
concludeva, con un propileo monumentale di accesso, in una piazza rettangolare forse da
identificare con l’agorà, che doveva quindi costituire un punto focale della città128.
d. Fayyum
In epoca tolemaica, l’oasi del Fayyum (Figura 5) subì una serie di interventi volti ad ampliare l’area
coltivabile e conseguentemente ad accrescere l’urbanizzazione della regione. Già sotto Tolemeo I,
l’affluente che collegava l’oasi al Delta del Nilo (l’odierno Bahr Yussuf), venne interrotto da una diga:
questo controllo artificiale dell’apporto idrico permise una riduzione dei livelli di acqua del Lago
127 Pensabene 1998, p. 352. 128 Ivi, p. 354.
Figura 5. Mappa del Fayyum. In rosso, i siti analizzati
41
Moeris (l’odierno Birket Qarun), collocato nella parte settentrionale dell’oasi, e la riduzione
dell’estensione del lago, con un conseguente aumento significativo della superficie di terreno
coltivabile. Nuovi insediamenti vennero fondati nell’area prima occupata dal bacino, destinati ai
veterani greci129 a cui Tolemeo II affidò lotti di terra come ricompensa per aver prestato servizio
militare130. L’occupazione dell’oasi era un elemento di primaria importanza per i nuovi dominatori
anche perché fungeva da baluardo di difesa contro le possibili incursioni dei nomadi provenienti dal
deserto occidentale131. Sempre durante il regno di Tolemeo II, grazie al contributo della comunità
greche insediate nell’area, l’irrigazione venne portata fino al limite con il deserto, ampliando
ulteriormente l’area coltivabile. Inoltre, venne creato un lago artificiale nella regione meridionale
dell’oasi, che permetteva una migliore irrigazione dei campi e quindi un secondo raccolto in
primavera. Ricerche ed esperimenti vennero anche promossi dal sovrano per cercare di migliorare
la resa agricola del terreno. In tal modo, in epoca tolemaica il Fayyum si arricchì di molti nuovi
insediamenti di ampiezza significativa sorti in aree prima inabitabili e divenne un’area di produzione
agricola tra le più importanti del Paese132.
i. Karanis
L’insediamento di Karanis era un centro
interamente grecizzato, in cui le uniche
tracce della cultura egiziana
consistevano nell’architettura di
tradizione faraonica dei templi133. Come
in altre città del Fayyum, in età tolemaica,
la pianta dell’abitato si incentrava sul
tempio principale e sul suo viale
processionale (Figura 6): l’edificio,
orientato lungo l’asse est-ovest e
dedicato agli dei-coccodrillo Pnepheros
e Petesouchos, era racchiuso all’interno
di un temenos insieme ad altri edifici
connessi con il culto e con l’economia
129 Carpentiero – Tessaro 2016, p. 803. 130 Hölbl 2001, p. 61. 131 Bowman 1996, p. 12. 132 Hölbl 2001, p. 63. 133 Pensabene 1998, p. 342.
Figura 6. Pianta parziale di Karanis. In evidenza, l’area del tempio
42
templare. L’edificio templare venne ricostruito a metà del I sec. d.C. seguendo la tipologia egizia
antica e dedicato a Nerone, mentre gli isolati di abitazioni che lo circondavano vennero inclusi nella
cinta e l’asse viario che lo collegava con la parte ovest della città venne allargato. A nord del recinto
sacro si trovava un’area aperta, identificata con un mercato, delimitata ad ovest da costruzioni ora
perdute. Tra il II e il III sec. d.C. il viale venne sostituito da una corte porticata, accessibile tramite
una scalinata. Più a nord di questo complesso, in epoca tolemaica venne edificato un altro edificio
templare in stile egiziano, orientato lungo l’asse nord-ovest/sud-est: il tempio, dedicato a Soxis,
venne realizzato in pietra e presentava, come l’altro, somiglianze con i santuari di Theadelphia e
Dionysias, a testimonianza di una koiné culturale che interessava l’intera area dell’oasi134. I due
templi, non allineati tra loro, costituirono dei poli di attrazione per l’urbanistica di Karanis già nelle
prime fasi: inizialmente l’insediamento aveva un’estensione ridotta, con edifici allineati lungo assi
pressoché ortogonali e raggruppati in insuale o blocchi abitativi orientati quasi ortogonalmente ai
viali dei templi, che tuttavia in questo momento non avevano ancora assunto la loro forma definitiva
(Figura 7). In epoca romana, i quartieri abitativi si ampliarono ed espansero, mantenendo comunque
forme e dimensioni irregolari, mentre l’insediamento venne dotato di due assi viari maggiori paralleli
che lo attraversavano da nord a sud; sembra mancassero invece strade di lunga percorrenza con
134 Pensabene 1998, p. 344.
Figura 7. Pianta di Karanis in epoca romana
43
orientamento est-ovest: queste vie, tra loro parallele e perpendicolari ai due assi principali, erano
sempre interrotte da edifici o murature135. Sebbene la planimetria di Karanis non possa per nessuna
fase essere definita regolare a causa delle dimensioni variabili di strade e isolati, l’insediamento,
dotato di un orientamento nord-sud che rimase sempre costante, presentava un’organizzazione non
casuale e caotica, ma sempre rispettosa di una certa regolarità, evidente nell’accorparsi degli edifici
in insulae e nell’ortogonalità delle strade. Queste, tuttavia, risultano di grandezze diverse e non
rispondono ad una pianificazione di tipo gerarchico: il loro sviluppo sembra piuttosto dipendere dalla
struttura dei singoli blocchi abitativi. Inoltre, le strade sembrano essere state realizzate tutte in terra
battuta, eccetto il viale processionale del tempio a sud, pavimentato con lastre di pietra136.
ii. Philadelphia
L’abitato di Philadelphia, fondato da Tolemeo II
(detto Filadelfo), risulta aver assunto una certa
importanza in età romana come anello di
congiunzione tra la valle del Nilo e la regione del
Fayyum. Senza dubbio ebbe un ruolo di rilievo
anche all’interno dell’oasi stessa, in quanto fu per
lungo tempo un prospero centro commerciale e
un’importante base militare. Sono state
individuate chiare attestazioni di una struttura
urbanistica ortogonale di tipo ellenistico, analoga
a quella che caratterizzò la coeva fondazione di
Dionysias (cfr. infra), che non sembra aver subito
particolari mutamenti nel corso del tempo137. Il
piano urbanistico (Figura 8) consisteva in strade
ortogonali gerarchicamente organizzate e
orientate secondo i punti cardinali a comporre un
reticolo di insulae regolari di forma rettangolare,
comprendenti case in mattoni crudi a più piani, molto simili tra loro nella pianta e nella dimensione138.
Nel settore meridionale si trovava il tempio principale, consacrato al dio coccodrillo del Fayyum:
l’edificio era collocato ad ovest della direttrice principale che percorreva l’abitato da nord a sud. Le
135 Davoli 1998, p. 91. 136 Ivi, p. 92. 137 Ivi, p. 142. 138 Ivi, p. 143.
Figura 8. Pianta di Philadelphia
44
informazioni sul complesso sacro sono limitate, in quanto gli scavi riguardarono solamente l’edificio
templare vero e proprio e non l’intera area racchiusa dal temenos, al cui interno dovevano
probabilmente trovarsi anche le abitazioni dei sacerdoti addetti al culto139. Proprio a causa di questa
mancanza di dati, non è possibile determinare nemmeno in che modo il viale del tempio si inserisse
nel tracciato viario dell’insediamento.
iii. Tebtynis
Una struttura urbanistica abbastanza
regolare si riscontra anche
nell’insediamento di Tebtynis (Figura
9). In questo caso si tratta
dell’ampliamento di un nucleo più
antico, risalente alla XII Dinastia, che
si verificò in seguito alla politica di
intervento dei Tolemei nel Fayyum. Il
nucleo faraonico della città
risulterebbe caratterizzato da un
fascio di strade nord-sud, che
seguivano la direzione del traffico
principale e di cui l’asse centrale era
la cosiddetta Via del Bivio,
parallelamente alla quale si
sviluppavano le altre arterie; sembra
invece che fossero rare le
comunicazioni traversali e che tale
disposizione dipendesse in parte dal
regime dei venti. Con l’ampliamento iniziato a partire dal III sec. a.C. venne creato ad ovest del
nucleo urbano più antico un mercato che comunicava con l’oasi settentrionale, da cui proveniva il
traffico principale. Venne poi costruito ad ovest del mercato un nuovo quartiere secondo un piano
organico, con strade perpendicolari e precisamente orientate secondo gli assi cardinali, che
componevano insulae rettangolari; con gli stessi criteri venne impiantato un grande quartiere anche
ad est del villaggio originario. Per collegare questi due nuovi nuclei tra loro e con il mercato venne
139 Davoli 1998, p. 141.
Figura 9. Pianta di Tebtynis
45
realizzata un’ampia arteria trasversale est-ovest, che fiancheggiava il margine nord del mercato e ai
cui lati vennero eretti alcuni edifici140. In armonia con questo sviluppo razionale della città, i Tolemei
posero mano anche alla costruzione di un nuovo santuario di Sekhnebtynis, in sostituzione di quello
più antico, collocato nella parte ovest del villaggio di età faraonica141. Il tempio era caratterizzato da
un imponente viale processionale di accesso, anch’esso con orientamento nord-sud, fiancheggiato
da sfingi e leoni e caratterizzato da due chioschi connessi alle processioni, da identificare come
komasteria142, e datati a due epoche diverse: il primo venne eretto in epoca tolemaica, mentre il
secondo, risalente all’epoca romana, si caratterizzava per la presenza di due leoni accovacciati
fronteggianti l’ingresso ed era collocato nei pressi dell’incrocio con la grande via trasversale, forse
marcato da un tetrastilo143. Tebtynis rappresenta dunque la testimonianza di come sia stato possibile
inserire il nucleo preesistente, probabilmente ancora abitato, in un nuovo assetto urbanistico: i due
nuovi quartieri ed il mercato consentirono di sopperire alle esigenze determinate dall’aumentato
traffico commerciale di età tolemaica, che non poteva più essere sostenuto dalla vecchia rete viaria,
modificata solo dal passaggio della grande via trasversale in direzione est-ovest144. Le abitazioni di
epoca tolemaica sembrano essere state costruite in modo da risultare separate da vie o ampi spazi,
mentre a partire dall’epoca romana si riscontra il raggruppamento degli edifici in insulae: in questa
fase, gli assi viari maggiori preesistenti vennero mantenuti, mentre cambiò sensibilmente la
situazione delle vie e dei vicoli minori, che separavano le singole abitazioni e che spesso
scomparvero per lasciare posto a nuovi edifici o cortili. La formazione di queste nuove insulae, anche
se di forma e dimensioni diseguali, non sembra aver compromesso la generale ortogonalità del
sistema viario145. L’aggiunta di elementi romani ad un assetto di età ellenistica praticamente
immutato permette di individuare una certa continuità urbanistica tra le due fasi dell’insediamento.
iv. Theadelphia146
La colonia di Theadelphia, fondata nella regione del Fayyum probabilmente durante il regno di
Tolemeo II, era un villaggio basato sull’attività agricola. Al centro del sito, come a Karanis, si trovava
il tempio del dio coccodrillo Pnepheros, circondato dal proprio recinto sacro. Il tempio era orientato
verso sud ed era collegato all’abitato tramite un viale processionale lastricato in pietra, che correva
da nord a sud incrociando la strada che attraversava il villaggio in senso est-ovest. Per quanto
140 Pensabene 1993, p. 47. 141 Pensabene 1998, p. 347. 142 Pensabene 1995, p. 205. 143 Ivi, p. 210. 144 Pensabene 1993, p. 47. 145 Davoli 1998, p. 199. 146 Per questo insediamento, la bibliografia è risultata completamente sprovvista di immagini.
46
riguarda le case che circondavano il tempio, sono stati osservati sia resti di abitazioni a più piani,
che case ampie sviluppate attorno ad una corte centrale. Tra gli edifici pubblici, è stato scavato un
impianto termale romano, mente due costruzioni separate da una strada all’estremità nord-est del
villaggio dovevano essere destinate ad archivio e sede di funzionari regi147. L’architettura e la
topografia del sito, seppur lacunosi, permettono di individuare chiare analogie con altri centri coevi
sorti nelle vicinanze: la centralità del tempio del dio coccodrillo e la scelta, così come la sistemazione,
degli elementi che lo compongono richiamano i templi di Karanis, mentre la disposizione ortogonale
degli assi principali, con il tempio posto al termine dell’asse nord-sud, trova similitudini nel centro di
Ermopoli e consente di ipotizzare che, almeno in età imperiale, l’intero villaggio presentasse una
disposizione analoga degli edifici148.
v. Dionysias
All’epoca tolemaica risale anche la fondazione di Dionysias, collocata all’estremità occidentale del
Fayyum, subito prima del deserto, in origine a ridosso delle rive del Lago Moeris. Indubbiamente, un
grosso ruolo nella fondazione dovette avere l’esistenza di miniere di rame nelle sue vicinanze: ad
esse conduceva una strada che giungeva fino all’oasi di Baharia e che costituiva l’asse principale
dell’insediamento (Figura 10). La città possedeva un impianto ortogonale con tre grandi strade
147 Pensabene 1998, p. 344. 148 Ivi, p. 345.
Figura 10. Pianta di Dionysias
47
parallele in direzione nord-ovest/sud-est e due minori perpendicolari: la mediana trasversale, sopra
menzionata, attraversava tutto l’abitato, mentre la strada più a sud conduceva ad un complesso di
edifici pubblici non ben identificati. La strada più a nord, invece, conduceva al tempio del dio Sobek,
di cui costituiva il grande viale processionale, che risultava quindi perfettamente integrato nel reticolo
viario ortogonale pur conservando una sua autonomia determinata dagli edifici alle sue estremità: il
komasterion, da cui partivano le processioni, e il tempio stesso149. Lungo il viale è stato rinvenuto il
busto di un leone coricato, a cui un altro doveva probabilmente corrispondere sul lato opposto della
strada150. Vi erano infine anche strade perpendicolari a quelle menzionate: ciò testimonia che il sito
era diviso in isolati quadrati, in modo analogo a Philadelphia, e con distanza uniforme tra una via e
l’altra151. Sembra che l’agglomerato urbano si sia sviluppato fin dall’inizio attorno al tempio del dio
coccodrillo, che costituiva quindi il punto di riferimento per lo sviluppo dell’insediamento. Infine, in
epoca romana, l'abitato venne arricchito di nuovi edifici ufficiali e pubblici, pertinenti alla nuova
dominazione152.
Com’è stato evidenziato nelle pagine precedenti, le indagini archeologiche condotte nei vari
insediamenti hanno consentito di risalire all’esistenza di schemi viari regolari, inseriti in nuclei urbani
più antichi o su assi più antichi senza stravolgere la realtà precedente, bensì rispettandola, per
giungere comunque ad una nuova sistemazione urbanistica. Inoltre, per quanto riguarda Antinoe,
Philadephia e Dionysias, i resti archeologici hanno dimostrato l’esistenza anche di una struttura
urbanistica a reticolato, in analogia a quanto inizialmente osservato per Alessandria.
e. Considerazioni
i. Le vie processionali di tradizione faraonica nella definizione urbanistica di età ellenistica
Le vie processionali153, di cui si è detto nelle descrizioni degli insediamenti alle pagine precedenti,
trovano un riferimento puntuale nel confronto con i viali processionali attestati per l’epoca faraonica
che, con ogni probabilità, fornirono un modello per le realizzazioni di epoca tolemaica. Posto che,
per tale periodo, non esistono esempi riferibili a veri e propri contesti di abitato (fatta eccezione per
149 Pensabene 1995, p. 205. 150 Ivi, p. 212. 151 Pensabene 1993, p. 47. 152 Pensabene 1998, p. 347. 153 È necessario operare una distinzione tra viale processionale e dromos: il primo è un percorso, solitamente fiancheggiato da sfingi, che funge da collegamento e viene tendenzialmente utilizzato in uscita (ad esempio, in occasione dell’uscita del dio dal tempio). Il dromos, invece, è più una sorta di piazza, uno spazio aperto di accoglienza per chi arriva (ad esempio, i fedeli). Appare evidente, quindi, come le vie monumentali delle città tolemaiche non possano essere definite dromoi, quanto piuttosto viali processionali.
48
il contesto di Deir el-Medina, cfr. infra), i paragoni più pertinenti possono essere condotti con l’area
tebana e il complesso del santuario di File.
o Deir el-Medina
Per l’ambito insediativo, l’unico confronto
potrebbe essere tentato con il villaggio di
Deir el-Medina (Figura 11) che tuttavia,
allo stato attuale, non sembra aver
restituito attestazioni di un viale
processionale154. Tutt’al più, la
pertinenza potrebbe essere rilevata nella
collocazione al di fuori dell’abitato del
tempio dedicato ad Hathor, riedificato in
epoca tolemaica: tale ubicazione trova
infatti analogie con la scelta di collocare
in posizione defilata alcuni degli edifici templari presenti negli abitati analizzati nelle pagine
precedenti. Tuttavia, quest’analogia apparente viene complicata da alcune considerazioni. In primo
luogo, benché questo insediamento sia a tutti gli effetti un contesto abitativo, bisogna considerarne
l’estrema particolarità, in quanto riservato ad una particolare categoria di lavoratori (gli artigiani al
lavoro nella Valle dei Re) e quindi non puntualmente confrontabile con contesti insediativi quali quelli
descritti in precedenza, in cui la composizione della popolazione risulta eterogenea. Inoltre, bisogna
anche tenere conto del fatto che la datazione dell’abitato (in uso solo durante il Nuovo Regno) si
scontra significativamente con quella dell’area templare (oggetto di rimaneggiamenti ancora in epoca
tolemaico-romana) per cui un vero confronto tra la posizione dell’abitato e quella del luogo di culto
non è possibile per l’epoca tolemaica, elemento che inficia, di conseguenza, il paragone tra questa
realtà e le altre precedentemente analizzate. D’altro canto, si può certamente affermare che,
essendo l’edificio di epoca greca sorto in corrispondenza del tempio precedente, anche in epoca
faraonica l’area templare sorgesse in questo stesso punto, individuando, quindi, non tanto una
corrispondenza, quanto piuttosto una somiglianza tra la posizione del tempio nel villaggio di Deir el-
Medina e quella dei templi in alcuni insediamenti egiziani tolemaici; tuttavia, vedere in questa
analogia un vero e proprio richiamo appare quantomeno forzato, considerato che Deir el-Medina non
sembra aver rivestito un ruolo centrale in epoca tolemaico-romana (seppure il suo tempio continuò
154 Per quanto riguarda i viali processionali in ambito urbano, un altro riferimento potrebbe essere Amarna, anche se bisogna tenere ben presente la particolarità dell’insediamento.
Figura 11. Pianta di Deir el-Medina
49
ad essere in uso). È piuttosto probabile che la scelta di collocare il tempio al di fuori del contesto
urbano vero e proprio possa avere spiegazioni diverse che si giustificano nelle distinte epoche di
costruzione degli insediamenti: a Deir el-Medina con la necessità di tenere separati l’insediamento
e il tempio, costruiti in contemporanea, istituendo una sorta di area di rispetto per l’edificio sacro;
negli insediamenti tolemaici, con la necessità di inserire templi faraonici nei nuovi contesti urbani che
rispettassero tale preesistenza senza necessariamente renderla il focus del nuovo contesto
abitativo.
o Tebe
L’esame dei viali processionali dell’area tebana (Figura 12), per la natura eccezionale ed esemplare
dell’area (la cui frequentazione prosegue senza soluzione di continuità dal Medio Regno), permette
collegamenti anche con i casi di epoca tolemaica analizzati. I viali processionali, attestati e indagati
nell’area archeologica tebana, sono numerosi e si caratterizzano per una notevole diversità (che non
verrà analizzata, esulando dall’obbiettivo di questo scritto), giustificata da usi specifici, legati alle
varie divinità che venivano qui venerate155. Ovviamente, com’è già stato sottolineato per i palazzi
meroitici, nemmeno per i templi egiziani e, di conseguenza per i loro viali processionali, esiste un
modello standardizzato che venga riproposto senza variazioni in più contesti: il fatto che un modello
di riferimento esista è indubbio, ma tale riferimento venne di volta in volta variato in base ad esigenze
specifiche, così come accadde per le decorazioni che accompagnavano questi viali, che risultano
alquanto variegate (sfingi con diverse caratteristiche e vegetazione di vario tipo). Allo stesso tempo,
bisogna anche tenere a mente che, costituendo le vie processionali una manifestazione concreta di
determinati percorsi religiosi, non era il rituale ad adeguarsi al percorso, bensì il contrario: di
155 Cabrol 2001, p. 1.
Figura 12. Viali processionali tebani
50
conseguenza, per ogni modifica della liturgia che lo abbia richiesto, si è sempre provveduto ad una
variazione del percorso del relativo viale e anche questo fattore potrebbe spiegare la varietà attestata
in area tebana. Benché le origini dell’area sacra di Tebe siano molto antiche, ancora in epoca
tolemaica e poi romana, i sovrani continuarono ad apportare il proprio contributo alla
monumentalizzazione dei viali processionali, sebbene con una diminuzione di interesse e impegno
economico rispetto alle epoche precedenti156.
Per definizione, lo scopo principale del viale processionale, dedicato alla medesima figura a cui era
intitolato il tempio a cui conduceva, era manifestare un percorso divino, in particolare quello che
permetteva alla divinità nel tempio di palesarsi al suo esterno. Tale funzione determinava sia le scelte
architettoniche e decorative, ossia la presenza di un muro di delimitazione o di particolari statue e
rilievi, che la scelta di inserire spazi appositi per particolari rituali quali altari e tribune157.
Inoltre, va ricordato che il viale processionale non era strettamente riservato allo svolgimento di
attività liturgiche ufficiali: in area tebana, veniva utilizzato anche da altri che non fossero la divinità o
il clero facente le sue veci, per scopi diversi da quelli rituali158. Infatti, oltre ad avere una funzione
cerimoniale, i viali processionali potevano anche avere un ruolo in alcune dimostrazioni di potere:
erano sia luoghi di svolgimento di processioni officiate dal clero e a cui, talvolta, poteva prendere
parte anche il sovrano, che luoghi in cui si esprimeva il potere regale tramite lo svolgimento di
cerimonie connesse con la regalità159 (che vedevano il sovrano come protagonista e che
annoveravano la partecipazione del clero in quanto rappresentante del dio) e l’esercizio del potere
nella misura di processi ed esecuzioni di pene (che si svolgevano davanti alle porte dei templi). Allo
stesso tempo, il viale processionale poteva essere frequentato (a differenza del tempio) anche dal
popolo sia per lo svolgimento di pratiche di culto popolare sia perché qui venivano ospitate attività
economiche. Tutta la società era dunque coinvolta, con un impiego del viale processionale diverso
e di volta in volta specifico160. Questa centralità del viale processionale in molti ambiti della società
faraonica venne probabilmente confermata in epoca tolemaica, fatto che spiegherebbe perché gli
insediamenti di quel periodo mantengano, in molti casi, un viale processionale come asse centrale
dell’impianto urbano (come a Karanis e Dionysias).
Lungo i viali processionali tebani erano anche collocati altari e tribune161 che possono forse essere
paragonati ai tetrastili e komasteria attestati lungo i viali processionali di molte delle città ellenistiche
analizzate. Queste strutture potrebbero a loro volta essere messe in relazione con quelle rinvenute
156 Cabrol 2001, p. 775. 157 Ivi, p. 1. 158 Ibidem. 159 Ivi, p. 731. 160 Ivi, p. 711. 161 Per approfondire, cfr. Cabrol 2001, p. 565 e seg. e p. 617 e seg.
51
in ambito meroitico (cfr. Capitolo 4.a.vi). Tuttavia, lo stato attuale delle conoscenze (unito alla
situazione molto variegata in ambito sudanese) non permette di realizzare un’analisi completa e
approfondita della questione.
Infine, anche il dromos rivestiva un’importanza significativa in quanto costituiva il punto d’inizio del
viale processionale, essendo collocato nelle immediate vicinanze del santuario, e una sua parte
intrinseca, dal momento che in questo punto venivano svolte le medesime azioni ospitate nel viale
processionale o azioni complementari, che trovavano proprio nella vicinanza della piazza all’ingresso
del tempio la ragione per la loro collocazione in tale spazio162.
o File163
Anche il santuario di File offre spunti interessanti per la riflessione sui viali processionali di epoca
faraonica e sugli influssi che questi hanno avuto nell’impiego di strutture analoghe per la definizione
urbanistica degli insediamenti descritti nelle pagine precedenti. Infatti, se l’area tebana rappresenta
un buon metro di paragone per la grandissima rilevanza che questo luogo rivestì, senza soluzione
di continuità, nel corso di tutta la storia egiziana, File risulta di pari importanza per il ruolo di primo
piano che indubbiamente ricoprì in epoca ellenistico-romana.
A File più che di un viale processionale è possibile parlare di un dromos, in quanto strutturato come
un grande piazzale antistante al tempio (Figura 13). Tale scelta (su cui può aver influito anche la
162 Cabrol 2001, p. 4. 163 Per approfondire, cfr. Haeny 1985.
Figura 13. Pianta di File
52
conformazione dell’isola) può essere spiegata con l’esigenza di accogliere un’ingente quantità di
fedeli: fu così che il viale processionale tradizionale venne qui ripensato, adattandolo alle esigenze
specifiche del luogo. Questo spazio aperto venne inoltre delimitato da due file di colonne, alle cui
spalle si sviluppavano diversi edifici che trovarono proprio nel colonnato un elemento uniformante.
In questo senso, il dromos assunse quindi non solo una funzione cerimoniale, ma anche una
funzione che potrebbe essere definita “urbanistica”, in quanto elemento unificante di strutture
altrimenti separate. Anche la conformazione di questo cortile risulta peculiare: il focus prospettico,
che indirizza lo spettatore verso l’ingresso del complesso templare o, per essere più precisi, verso il
passaggio che dal primo pilone conduce direttamente al mammisi, è, in realtà, frutto dell’attento
orientamento dei colonnati che lo delimitano e che, per ottenere questo effetto, sono stati costruiti
con lunghezze e inclinazioni molto diverse. Un effetto prospettico analogo venne ripreso anche nello
spazio tra il primo e il secondo pilone dove, al colonnato orientale, faceva da contraltare il colonnato
del mammisi, creando un gioco prospettico che, ancora una volta, convergeva verso l’ingresso del
santuario. Tuttavia, mentre il cortile più esterno era accessibile ai fedeli e necessitava per questo di
molto spazio, il secondo cortile apparteneva già all’area sacra, il cui accesso era riservato a una
cerchia molto ristretta. Da quanto detto, è quindi possibile evidenziare come a File la struttura del
dromos non svolgesse solo una funzione legata ad un contesto cerimoniale, come si è già visto
anche per Tebe, ma si ponesse anche come un elemento di gestione dello spazio, essendo la sua
conformazione dettata da necessità concrete di accoglienza dei fedeli e armonizzazione delle
strutture. In altre parole, a File una struttura di evidente tradizione faraonica venne impiegata per
una gestione dello spazio in senso urbanistico di chiara derivazione ellenistica.
L’idea dell’integrazione tra strutture faraoniche preesistenti e strutture di fondazione ellenistica
descritta per File trova un parallelo interessante nella gestione del tempio di Ramesse II operata ad
Antinoe, dove si è tentata la migliore integrazione tra la preesistenza e il nuovo insediamento,
collegando l’edificio alla rete viaria urbana tramite l’inserimento di un percorso obliquo, che
interrompeva l’ortogonalità della rete stradale ma permetteva al tempio di inserirsi appieno nel
contesto del centro di epoca greco-romana.
Quanto visto fino ad ora consente di affermare che le vie processionali analizzate negli insediamenti
di epoca tolemaica in Egitto mantennero funzioni ed assetti che richiamano fedelmente quelli di
epoca faraonica. A questi sembra però aggiungersi un nuovo aspetto, legato alla gestione
urbanistica dello spazio: infatti, i viali processionali negli insediamenti tolemaici assunsero anche un
ruolo urbanistico, già visto nel caso di File, che non sembra emergere nell’analisi delle evidenze
tebane.
53
ii. I templi faraonici nel passaggio alla dominazione ellenistica e romana
Negli insediamenti egiziani di epoca tolemaica, l’incontro della tradizione urbanistica e templare
egiziana con quella greco-romana diede vita a centri in cui la visione importata dalla nuova classe
dirigente venne appunto a fondersi con un’organizzazione spaziale che, in molti casi, continuò a
vedere nel tempio di tradizione faraonica e nel suo viale processionale due importanti foci urbani164
(eccezioni significative sono costituite da Alessandria e Antinoe, in cui i templi di tradizione faraonica
si collocano in posizione defilata).
Essendo il discorso incentrato sul ruolo dei templi di tradizione egiziana in epoca greco-romana e su
quanto questa loro continua importanza religiosa e sociale abbia influito sul loro inserimento nei
centri di epoca tolemaica, non sarà affrontato il tema degli edifici religiosi di tradizione greca e
romana (ugualmente presenti) e del loro ruolo rispetto a quelli di tradizione faraonica.
Durante il periodo tolemaico e imperiale, le attività non solo religiose, ma anche sociali ed
economiche che continuarono a svolgersi nei templi faraonici assicurarono a queste strutture e alla
loro classe sacerdotale una continua centralità, ben evidente nella loro posizione all’interno dei centri
urbani tolemaici precedentemente analizzati. Se questo è vero, va tuttavia sottolineato che, in età
imperiale, i cambiamenti introdotti da Augusto causarono un ridimensionamento del ruolo economico
del clero egiziano. Infatti, in età tolemaica, i templi faraonici continuarono a godere di considerevoli
rendite grazie all’affitto delle terre sacre e alla proprietà di piccole imprese industriali come torchi,
mulini o tintorie, mentre, in età imperiale, le terre sacre passarono sotto l’amministrazione diretta
dello stato, che si assunse il compito di mantenere il culto pubblico e i sacerdoti, i quali continuarono
però a rimanere indipendenti non solo nelle loro attività religiose, ma anche in altre attività a carattere
economico165.
Come già accennato, i templi di tradizione faraonica in età tolemaica non svolsero solo funzioni
religiose ma continuarono ad essere luoghi di svolgimento anche di pratiche economiche,
conservando ancora la proprietà della terra: fungevano da banche, ospitavano attività commerciali
e produttive. Anche in età romana continuarono ad ospitare attività manifatturiere (non solo limitate
alle esigenze del tempio), commerciali, bancarie e amministrative: erano, infatti, luoghi di
registrazione e archiviazione di atti166. Queste pratiche in molti casi si svolgevano proprio all’interno
del temenos, che era quindi sede di attività non solo religiose ma anche commerciali (arrivando in
alcuni casi ad ospitare, addirittura, botteghe e abitazioni di commercianti e artigiani, come sembrano
confermare attestazioni papiracee). Anche il viale processionale, come si è già detto, era sede di
164 Pensabene 1995, p. 205. 165 Ibidem. 166 Ivi, p. 207.
54
variegate attività, non solo legate all’ambito religioso (cfr. supra), e, nei centri di epoca tolemaica, su
di esso spesso affacciavano (o erano collocati nelle sue immediate vicinanze) i principali edifici della
città (come a Karanis). Attestazioni scritte rivelano che anche gli stessi komasteria fossero talvolta
utilizzati con funzioni diverse da quelle religiose. Per tutte queste ragioni è dunque facile
comprendere perché, anche in età tolemaica e romana, i santuari egiziani e gli annessi viali
processionali continuassero a mantenere una centralità non solo religiosa e sociale ma anche
urbanistica all’interno degli insediamenti egiziani167.
In epoca tolemaica e romana, i templi faraonici divennero anche luoghi di celebrazione del culto
dinastico, a fianco di templi di tipologia greco-romana appositamente costruiti. Anche in questa fase,
fu il clero tradizionale a gestire la rappresentazione del potere imperiale e lo fece in modo conforme
alla tradizione, ossia identificando il sovrano come un dio e venerandolo come diretto successore
dei più antichi faraoni. Accanto a queste forme di venerazione esistevano sicuramente altre tipologie
greco-romane di culto imperiale, promosse da funzionari di origine non egizia, o comunque
ellenizzati, e portate avanti sia all’interno degli stessi templi faraonici che in appositi edifici di
tradizione greco-romana (si vedano, a questo proposito, il Tempio di Augusto a File e il tempio
dedicato al culto imperiale collocato in prossimità del primo pilone del Tempio di Amon a Karnak,
lungo il viale processionale)168. La collocazione di questi edifici di culto in diretta prossimità o
all’interno dei grandi santuari egiziani evidenzia chiaramente la loro importanza169.
La continuità d’uso e l’importanza dell’edificio templare sembrano, dunque, essere alla base della
sua continua centralità in epoca tolemaica e romana. Questo giustificherebbe, inoltre, la quasi totale
assenza, nei centri analizzati, di cambiamenti urbanistici nel passaggio da un’epoca all’altra.
iii. Confronto tra insediamenti
Poiché, da quanto visto nelle pagine precedenti, è possibile individuare una continuità a livello
urbanistico negli insediamenti egiziani analizzati tra l’epoca ellenistica e quella romana, ossia, in
altre parole, gli abitati sembrano mantenere il medesimo impianto nel passaggio da un’epoca
all’altra170, si procederà ora ad un confronto tra i vari insediamenti che non terrà conto dei loro sviluppi
in senso diacronico. È infatti possibile riscontrare una totale continuità tra un'epoca e l'altra e i modelli
che valgono per l'età ellenistica sembrano valere anche per l’epoca romana.
167 Pensabene 1995, p. 208. 168 Ibidem. 169 Ivi, p. 209. 170 Una significativa eccezione è rappresentata dal quartiere regale dei Basileia di Alessandria, centro del potere in epoca tolemaica abbandonato in epoca romana.
55
Inoltre, poiché il Fayyum costituisce una situazione particolare e privilegiata, essendo stato, in epoca
tolemaica, oggetto di una grande bonifica e, successivamente, di una grande opera di
urbanizzazione, nel confrontare i vari insediamenti si è scelto di porre l’attenzione principalmente su
quest’area, senza tuttavia tralasciare, ove presenti, richiami e collegamenti anche con Alessandria,
Ermopoli o Antinoe.
Da quanto osservato in precedenza, è possibile affermare che le planimetrie dei siti del Fayyum
risultano molto diverse tra loro; la ragione di questa particolarità può essere individuata (oltre che, in
alcuni casi, nelle possibili preesistenze insediative) principalmente nella mancata pianificazione di
un progetto unitario e standardizzato per questi centri di epoca tolemaica. Ogni insediamento
presenta, infatti, caratteristiche diverse nella suddivisione degli spazi e nella strutturazione della rete
viaria, che risulta tuttavia ovunque di tipo ortogonale. Se da un lato, quindi, è evidente una certa
libertà nella scelta delle soluzioni adottate, compatibile anche con le esigenze più strettamente locali,
dall’altro è altrettanto manifesto il rispetto di alcune norme urbanistiche di base, se non addirittura di
una pianificazione locale di massima: l’ortogonalità delle strade, anche se non sempre rispettata in
modo rigoroso (si pensi a Karanis), è tuttavia una delle caratteristiche salienti e costanti nei centri
tolemaici del Fayyum. Ciò non significa, però, che questi insediamenti abbiano risentito di una vera
e propria impostazione ippodamea: più semplicemente, si può ritenere che si siano sviluppati
secondo un impianto razionale, per certi aspetti pianificato e talora regolare, che trova richiami anche
nella tradizione urbanistica egiziana di epoca dinastica (cfr. Figura 11). Non sempre si assiste, infatti,
ad una divisione dell’abitato in insulae e, quando ciò si verifica, quasi mai si tratta di blocchi abitativi
di forma regolare e uguali dimensioni171.
In questi centri, un ruolo di primo piano è ricoperto dai templi egiziani con relativi viali processionali,
che, tuttavia, non sembrano inserirsi nei vari tessuti urbani in maniera uniforme172. A Dionysias sono
collocati al centro del sito173, con il viale che, pur essendo parallelo alla via principale
dell’insediamento, quindi perfettamente integrato nella rete stradale, non ricopre alcuna funzione
urbanistica in quanto, iniziando con il komasterion e terminando con il tempio, risulta svolgere solo
una funzione cultuale. A Tebtynis, invece, il tempio di Soknebtynis si trova in posizione decentrata
rispetto ai nuclei insediativi di epoca tolemaica174, in analogia a quanto si può osservare ad
Alessandria e Antinoe, dove il tempio faraonico risulta comunque connesso all’insediamento
tolemaico tramite il viale processionale, ma occupa una posizione fortemente decentrata. Tuttavia,
171 Davoli 1998, p. 350. 172 Ivi, p. 351. 173 Ibidem. 174 Ivi, p. 352.
56
a Tebtynis, nonostante la posizione defilata del santuario, il viale sembra comunque avere una certa
rilevanza nel contesto urbano, intersecando la strada principale, su cui si sviluppano gli edifici più
importanti dell’insediamento. Ad Ermopoli, se la situazione del viale processionale, che interseca la
Via Antinoitica (arteria principale dell’insediamento, su cui si affacciano gli edifici più importanti), può
risultare analoga, molto diversa è la situazione del santuario: l’edificio, racchiuso nel suo temenos (il
cui lato meridionale costeggia la Via di Antinoe), costituisce uno spazio totalmente a sé rispetto al
contesto abitato. Ancora simile è la situazione a Theadelphia, dove il viale interseca a sua volta la
strada su cui si affacciano gli edifici principali, mentre ben diversa è la posizione occupata dal tempio,
che qui si colloca nella parte centrale dell’insediamento così come accade a Karanis, dove la via
processionale è anche il percorso principale dell’abitato. Infine, quasi nulla può essere detto
dell’insediamento di Philadelphia, dove non si hanno informazioni sul viale processionale ma che,
per la posizione occupata dal tempio, si può ipotizzare collocato in prossimità della via principale.
Anche per la funzione e l’uso di questi viali processionali come percorsi urbani e/o monumentali si
notano alcune differenze tra gli insediamenti, deducibili in primo luogo dalla posizione che occupano
nella struttura urbana. A Tebtynis, Theadelphia, Ermopoli e Karanis, questi percorsi fungevano
anche da assi viari degli insediamenti, venendo utilizzati come vere e proprie vie processionali
probabilmente solo nel tratto più vicino al tempio. A Dionysias, invece, nonostante il viale fosse
parallelo alla strada principale (in una posizione quindi apparentemente simile a quella riscontrata
negli insediamenti appena citati), non aveva alcuna funzione urbanistica in quanto la sua
delimitazione alle estremità mediante il komasterion e il tempio stesso sembra suggerire un impiego
relativo solamente a funzioni cultuali. Inoltre, sebbene l’abitato dovesse presentare sicuramente
anche assi viari perpendicolari (formanti quindi un vero e proprio reticolo viario), nessuna di queste
strade sembra essere identificabile come via monumentale175: non è quindi possibile riconoscere a
Dionysias una pianta ad incrocio di assi, intendendo con questo termine le vie colonnate
monumentali che si possono riscontrare nei sopracitati casi di Tebtynis, Theadelphia, Karanis ed
Ermopoli. Per quanto riguarda Philadelphia, invece, benché sia rilevabile una gerarchizzazione tra
gli assi viari, non è possibile stabilire in che relazione il viale processionale si ponesse con questo
schema a causa della mancanza di indagini ad esso relative. Infine, nei casi di Alessandria ed
Antinoe risulta evidente che l’impianto stradale non venne condizionato dalla presenza dei percorsi
processionali, che rimasero in posizione defilata e non ricoprirono un ruolo di primo piano tra le vie
dell’abitato; tuttavia, la pianificazione urbanistica dovette senza dubbio tener conto dell’esistenza dei
templi di età faraonica, visto che si cercò di inserirli nel nuovo impianto dell’abitato176, addirittura, nel
175 Pensabene 1998, p. 353. 176 Ivi, p. 354.
57
caso di Antinoe, tramite la creazione di un percorso ad hoc incurante dell’impianto ortogonale del
reticolo viario.
Da quanto analizzato fino ad ora si può quindi confermare che, negli insediamenti di età ellenistica,
i viali processionali continuarono a svolgere un ruolo di primo piano, sia in quanto luoghi di
svolgimento di processioni sacre, sia come aree di ritrovo per la popolazione, sia, infine, come strade
di congiunzione e collegamento tra i vari settori dell’abitato (come a Tebtynis e, in senso lato, ad
Ermopoli, dove connetteva abitato e temenos).
L’importanza dei viali processionali in età tolemaica trova un’analogia con quanto detto in
precedenza a proposito del ruolo di primo piano giocato dagli edifici templari faraonici ancora in età
greca e romana. Sembra quindi evidente che quello che era il nucleo degli abitati in età faraonica,
ossia il complesso tempio-viale processionale, continuò a rivestire un ruolo primario anche nelle
epoche successive, seppur affiancato da edifici che riflettevano la nuova organizzazione politica data
all’Egitto dalla dominazione greco-romana.
58
4. INSEDIAMENTI IN SUDAN
a. Napata
La città di Napata sorge in corrispondenza della Quarta Cataratta del
Nilo (Figura 14), a ridosso del Jebel Barkal, la montagna sacra
ritenuta sede del dio Amon di Napata a testa d’ariete già dalla XVIII
Dinastia. Il sito, che rappresenta il limite massimo della penetrazione
egiziana in Nubia, ha restituito testimonianze archeologiche che, a
partire dall’epoca faraonica e in particolare dal Nuovo Regno,
giungono fino al periodo napateo e meroitico177.
I primi scavi sistematici vennero condotti agli inizi del Novecento da
George Reisner, che ideò il sistema di identificazione delle strutture
archeologiche tuttora in vigore, consistente nell’attribuzione di un
numero basato sulle centinaia preceduto dalla lettera “B” stante per
“Barkal”178.
La maggior parte del sito archeologico si sviluppa attorno alla
“Montagna Pura” (Figura 15): ad ovest vi è la necropoli; a sud, alle pendici del pinnacolo, si colloca
l’area templare, organizzata attorno al Grande Tempio di Amon (B500), probabilmente fondato da
177 Gottardo 2019, p. 14. 178 Ibidem.
Figura 14. Mappa della Nubia. In rosso,
l’ubicazione di Napata
Figura 15. Pianta di Napata
59
Thutmosi III con ampliamenti successivi: attorno all’edificio sono infatti stati eretti altri santuari
parzialmente scavati nella montagna (B200, B300 e B700) e strutture palatine (B1200 e B100)
topograficamente collegate al B500. Il settore nord-orientale del sito è infine occupato da una serie
di edifici con connotazioni di carattere amministrativo o cerimoniale, sui quali spiccano per
importanza il palazzo attribuito a Natakamani (B1500) e l’edificio B2400179.
Per lo scopo di questo elaborato, verranno analizzati solamente gli edifici palaziali, comprendenti, in
ordine cronologico, il B1200, fondato durante la XXV Dinastia e abbandonato attorno al II sec. a.C.,
il B100 (II sec. a.C.), il B2400 (periodo meroitico) e, infine, il B1500, attribuibile al regno di
Natakamani e Amanitore (I d.C.).
i. Il B1200
L’edificazione del palazzo B1200, che
rimase in uso fino al II secolo a.C. è
da attribuire a Kashta, fondatore della
XXV Dinastia (o al suo predecessore
Alara)180.
Il palazzo (Figura 16) venne per la
prima volta indagato da Reisner, che
fin dal principio si accorse della
massiccia stratificazione che caratterizzava l’area: si possono individuare otto fasi costruttive,
corrispondenti ad edifici distinti, diversi per planimetria, che vennero di volta in volta edificati al di
sopra dei precedenti. Il rinvenimento di blocchi con il nome di Ramesse II suggerisce che la prima
costruzione possa essere datata all’epoca ramesside, fatto che non è tuttavia confermato (potrebbe
piuttosto trattarsi di elementi di riuso). Le altre fasi si collocano, invece, nel periodo napateo, a partire
dall’inizio dell’VIII sec. a.C., mentre l’ultimo rifacimento risale all’inizio del periodo meroitico.
L’edificio, collocato ad est del tempio B500, secondo la tradizione egiziana, sembra essere stato
abbandonato come luogo di residenza regale attorno alla metà del II sec. a.C.181, quando il settore
regale si spostò e di fronte all’angolo sud-orientale del B1200 venne edificato un nuovo complesso
palaziale, il B100, che continuò a mantenere la medesima relazione con il santuario dedicato ad
Amon182.
179 Gottardo 2019, p. 14. 180 Török 1997b, p. 136. 181 Kendall 2016, p. 122. 182 Ciampini 2019a, p. 45.
Figura 16. Pianta del B1200
60
Nonostante il B1200 fosse in gran parte sepolto dai detriti, le ricognizioni permisero di individuarne
la pianta quadrata, tratto distintivo dei palazzi meroitici significativamente ripreso negli edifici
successivamente eretti nel settore nord del complesso archeologico183. Ulteriori indagini rivelarono
che nei decenni centrali del III sec. a.C., la via processionale che metteva in relazione il B1200 e il
B500 venne arricchita dal sovrano meroitico Amanislo con leoni di granito datati al regno di
Amenhotep III e trasferiti qui dalla località di Soleb184.
Poco meno di un metro al di sotto del livello delle murature visibili in superficie (corrispondenti al
B1200), Reisner rinvenne i resti di un edificio più antico, con una pianta diversa e iscrizioni
menzionanti i sovrani napatei Senkamanisken, Anlamani e Aspelta, collocabili tra la metà del VII e
gli inizi del VI sec. a.C. Le indagini rivelarono che questa struttura era stata violentemente distrutta
in seguito ad un incendio e poi sepolta sotto uno strato di terreno che fornì il piano di appoggio per
la costruzione successiva, databile al tardo VI sec. a.C.185. Negli anni Duemila, indagini condotte su
questo edificio incendiato e distrutto rivelarono la presenza di una sala del trono ben conservata,
con colonne abbattute riportanti il nome di Aspelta, che presumibilmente doveva essere il centro di
questo complesso palaziale più antico denominato, per distinguerlo dal palazzo rinvenuto a livello
del suolo, B1200ASP186.
Nel pavimento della sala del trono, a
ridosso del lato corto nord-orientale,
erano incassati quattro zoccoli in arenaria
a formare un rettangolo, i quali dovevano
probabilmente fungere da sostegno per
altrettante colonne lignee, su cui
poggiava il baldacchino regale, sotto al
quale il faraone sedeva in trono (Figura
17). Al centro della parete opposta
doveva trovarsi l’ingresso principale alla
sala, attraverso cui sarebbero entrati visitatori e funzionari per conferire con il sovrano187. Tale
entrata non costituiva, tuttavia, l’unico accesso all’ambiente: all’estremità meridionale della parete
sud-orientale si trovava un’apertura più piccola che, probabilmente, dava accesso agli appartamenti
regali e veniva usata in prevalenza dai membri della famiglia regale e dal personale di palazzo188.
183 Ciampini 2019a, p. 45. 184 Török 1997b, p. 423. 185 Kendall 2016, p. 123. 186 Kendall – Wolf 2007, p. 83. 187 Kendall 2016, p. 126. 188 Kendall – Wolf 2007, p. 85.
Figura 17. Ricostruzione della sala del trono del B1200
61
ii. Il B100
Il palazzo B100 fu il primo edificio
indagato da Raisner al Jebel Barkal189.
La struttura si compone di una pianta
quadrata con entrate sui quattro lati, di
cui quelle sui lati est e ovest non sono
allineate (Figura 18). Gli ingressi danno
accesso a due aree principali, costituite
da due grandi sale in cui sono state
rinvenute basi di colonne disposte su
due file da tre colonne l’una. Queste
camere ricordano quelle situate a
ridosso dell’ingresso settentrionale nel
palazzo B1500 di Natakamani (cfr.
infra). La più centrale delle due sale colonnate si apre su una serie di camere perlopiù rettangolari,
a cui si affiancano anche ambienti privi di accesso, tra cui due camere a forma di L. Dalla sala ipostila
centrale, due scalinate permettevano di accedere ad un piano superiore, che doveva probabilmente
ospitare la zona residenziale. Le camere prive di accesso suggeriscono invece l’uso del piano
inferiore come livello di fondazione a supporto dei piani superiori190. La disposizione delle sale
ipostile permette di individuare come asse principiale della struttura quello che dal lato occidentale
conduce, curvando a gomito, a quello settentrionale; tale asse interseca perpendicolarmente la
direttrice di ingresso al Grande Tempio di Amon191: in altre parole, il palazzo B100 risulta ruotato di
90° rispetto all’asse del tempio, caratteristica che trova paralleli negli orientamenti dei palazzi
egiziani192.
iii. Il B2400
Altra struttura palaziale, ubicata all’estremità orientale dell’area archeologica, è il B2400. A causa
dei danni subiti dalla rimozione voluta dell’alzato, dal passaggio di un’antica strada lastricata
cerimoniale (forse contemporanea alla riorganizzazione dell’area promossa da Natakamani, cfr.
infra), che ne ha distrutto il lato sud-orientale, e dalla costruzione, in tempi moderni, di un muro di
189 Kendall 2016, p. 10. 190 Maillot 2016, p. 57. 191 Kendall 2016, p. 10. 192 Per approfondire, cfr. O’Connor 1989.
Figura 18. Pianta del B100
62
recinzione per l’area archeologica, la struttura si trova
in pessime condizioni, conservando solo i livelli di
fondazione (Figura 19). Nonostante le poche
evidenze, è comunque possibile affermare che
l’edificio presenta tutte le caratteristiche di un palazzo
regale di tradizione meroitica: pianta quadrata, entrate
su tutti i lati ed elementi architettonici di pregio; aspetti
che si ritroveranno anche nel B1500193. Il B2400,
come si vedrà in seguito per il palazzo di Natakamani,
risulta a sua volta edificato su una piattaforma di
fondazione sopraelevata194, di forma quadrangolare e
caratterizzata da una struttura a casematte195.
Il palazzo è dotato di una pianta rettangolare e presenta tre ingressi monumentali, di cui quello ad
ovest è il più imponente, conservando ancora una parte della rampa d’accesso e della terrazza
anteriore dalla forma pressoché quadrata196. Dall’ingresso, una successione di tre ambienti
rettangolari conduce ad uno spazio aperto, probabilmente a peristilio, situato al centro della struttura,
che a sua volta si apre su una serie di stanze di dimensioni contenute197. Questa architettura
colonnata mostra chiari influssi ellenistici sia nella struttura che negli elementi decorativi, tra cui sono
da menzionare capitelli con volute e fregi dentellati di chiara ispirazione ionica198 (Figura 20). Sul suo
lato meridionale, un passaggio conduce ad un’altra corte a peristilio, posizionata su un asse
ortogonale a quello d’ingresso e adiacente al muro perimetrale
meridionale. Lo scavo di questa porzione di muratura non ha rivelato
alcun passaggio, se ne deduce quindi che il cortile a peristilio fosse
accessibile solamente dall’interno del complesso. La sua struttura e la
sua decorazione (anche in quest’area sono stati rinvenuti capitelli
chiaramente ispirati allo stile ionico) suggeriscono che attorno a questa
sala fossero dislocate aree di rappresentanza199. La presenza di
frammenti ceramici conferma l’appartenenza dell’edificio al periodo
meroitico200.
193 Gottardo 2019, p. 15. 194 Maillot 2016, p. 66. 195 Tecnica costruttiva che prevede la realizzazione di una piattaforma di fondazione suddivisa internamente in vari compartimenti, utili a distribuire il peso dei livelli superiori della struttura che su di essa si imposta. 196 Sist 2006, p. 480. 197 Maillot 2016, p. 65. 198 Sist 2006, p. 480. 199 Ivi, p. 481. 200 Maillot 2016, p. 66.
Figura 19. Pianta del B2400
Figura 20. Capitello ionico dal B2400
63
iv. Il B1500
Com’è già stato accennato, le strutture sopra descritte avrebbero funto da prototipo per la
realizzazione del B1500, il palazzo attribuito al regno di Natakamani, la cui pianta e il cui sistema di
fondazioni (unici resti conservati) trovano puntuali riscontri con quelli sopra descritti per il B2400201.
La scelta di impostare l’edificio su una piattaforma di fondazione sopraelevata con struttura a
casematte (cfr. nota 195) rispondeva a molteplici esigenze: rialzare la struttura per
monumentalizzarla e renderla più visibile (finalità raggiunte anche grazie all’imponente muro
perimetrale), proteggerla dalle inondazioni e fornire una base solida su cui impostare i livelli superiori
del palazzo che necessitavano di un sistema di distribuzione del peso delle murature202. L’edificio
non fungeva solo da struttura palaziale, ma era anche il nucleo e il centro della nuova città regale
(cfr. infra), le cui costruzioni più importanti dovevano probabilmente trovarsi, come sembra suggerire
la scelta di posizionare su questo lato l’ingresso principale al palazzo, a nord dell’edificio (dove è
stato anche rinvenuto il B2400)203.
Il palazzo B1500 (Figura 21) si compone di
una pianta quadrata con ingressi su tutti i
lati, dei quali il settentrionale è il più
monumentale e dà accesso ad una sala e
ad un cortile colonnati (due file da tre
colonne ciascuna), che conducono ad un
ambiente centrale su due livelli,
fiancheggiato da una scalinata che dà
accesso al
piano superiore204. L’analisi condotta sugli elementi architettonici ritrovati
al centro del palazzo ha consentito di ricostruire una corte a peristilio con
colonne campaniformi ugualmente distribuite sui due livelli205: cinque sui
lati corti e sei sui lati lunghi (Figura 22). Il fatto che la sala ipostila si trovi
esattamente al centro dell’edificio, mentre gli altri ambienti colonnati e gli
ingressi risultano leggermente spostati verso ovest, potrebbe indicare
che questo elemento centrale sia stato il primo ad essere edificato sulla
piattaforma206, oppure suggerire una scelta voluta, che riprenderebbe
201 Sist 2011, p. 159. 202 Callegher 2019, p. 20. 203 Sist 2011, p. 159. 204 Maillot 2016, p. 60. 205 Ciampini 2019b, p. 47. 206 Maillot 2016, p. 62.
Figura 21. Pianta del B1500
Figura 22. Ricostruzione della corte a peristilio al centro del B1500
64
modelli di ispirazione ellenistica: in questa tradizione architettonica è, infatti, frequente che le
strutture palaziali presentino una sala ipostila e/o un peristilio al centro, da cui si articolano tutti gli
altri ambienti.
L’impianto quadrato dell’edificio si articolava in
diverse unità, che riflettevano le varie funzioni dei
distinti settori. Grazie a indicatori quali la frequenza
di ritrovamento di determinati materiali (cretule,
tokens e ceramiche da stoccaggio per le aree
amministrative e di immagazzinamento) e le
caratteristiche strutturali (come la monumentalità
della corte a peristilio e del settore che porta
all’ingresso nord) è stato possibile identificare due
aree distinte207 (Figura 23): un settore amministrativo a ovest (A), dedito anche alla produzione e al
confezionamento del cibo (come dimostra l’interpretazione di un ambiente a ridosso dell’ingresso
occidentale come cucina208) e uno monumentale a nord (B), comprendente anche il peristilio centrale
che, tuttavia, in questa organizzazione spaziale, funge anche da elemento di raccordo tra il settore
amministrativo a ovest e una probabile area di rappresentanza e cerimoniale a sud-est209. Data
l’organizzazione appena descritta, è quindi possibile collegare la struttura palaziale ad un sistema di
gestione delle risorse centralizzato, che vedeva nel palazzo il luogo di accentramento e
ridistribuzione dei beni e che trova corrispondenze sia nel regno di Meroe che nell’Egitto faraonico210.
Il palazzo doveva essere circondato da un imponente
muro perimetrale (Figura 24), che lo differenziava e
separava dal resto dell’area sacra, e accompagnato da
almeno due strutture minori, erette in funzione del suo
uso: una piccola piattaforma in muratura accessibile
tramite scale andate perdute e collocata a ridosso della facciata ovest, in corrispondenza della rampa
di accesso, e una piattaforma eretta sulla facciata nord, forse usata per l’apparizione del re in
particolari cerimonie211. L’accesso ovest del palazzo (lato Jebel), a differenza degli altri tre, mostra
la scalinata di accesso tangente al muro perimetrale, in direzione sud212.
207 Ciampini 2019b, p. 47. 208 Roccati 2019, p. 31. 209 Ciampini 2019b, p. 47. 210 Maillot 2016, p. 63. 211 Ciampini 2019b, p. 48. 212 Roccati 2019, p. 31.
Figura 23. Distinzione tra settore amministrativo (A) e monumentale (B) nel B1500
Figura 24. Ricostruzione della facciata settentrionale del B1500
65
L’edificio presenta sia a livello architettonico che a livello decorativo forti commistioni tra la cultura
locale, faraonica ed ellenistica. Di ispirazione locale risultano il già citato impiego della tecnica
costruttiva basata sul principio delle casematte, l’impianto quadrato della struttura e la presenza di
quattro accessi, uno per lato213. Queste caratteristiche, insieme al massiccio muro perimetrale, si
ritrovano in altri palazzi meroitici: la loro ampia diffusione conferma l’esistenza di un’architettura
palaziale monumentale meroitica con propri standard e pattern in ripetizione214.
L’influenza ellenistica, invece, è evidente nel settore nord, composto da peristilio centrale e ingresso
monumentale, che richiama un sistema tipico dei palazzi regali ellenistici215 e nell’uso, ancora una
volta tipicamente ellenistico, di uno schema architettonico “modulare”216 che trova forti richiami nella
struttura del quartiere regale dei Basileia di Alessandria (cfr. Capitolo 3.a), in cui i vari edifici si
sviluppano in maniera indipendente pur conservando un sostrato unitario reso evidente dalle
connessioni stradali e dalla probabile delimitazione tramite muro di cinta217.
A Napata la presenza del peristilio determina tutto lo sviluppo del palazzo, o quantomeno del settore
monumentale a nord, i cui ambienti sono strutturati con un linguaggio architettonico originale (cfr.
Figura 21): l’ingresso monumentale è collegato a due sale colonnate che conducono all’ambiente
centrale, caratterizzato dalla fusione del modello architettonico ellenistico con quello decorativo
egizio-nubiano evidente nello stile delle colonne. La stessa commistione si ritrova anche nella sala
colonnata e nel cortile del settore nord, strutture che rispettano un modello egiziano ben conosciuto
nell’architettura templare: questo insieme di ambienti compone infatti una sorta di percorso regale di
accesso, che doveva connettere l’ingresso monumentale, il peristilio centrale e un’ipotetica sala del
trono (forse ad est del peristilio). Dall’analisi condotta risulta particolarmente significativa l’unione
della concezione ellenistica del palazzo regale, interpretata in modo originale e dominata dal
peristilio (significativo elemento ellenistico), con strutture tipiche della tradizione egizio-nubiana, tra
cui la sala colonnata e il cortile; il completamento di questa commistione è dato dalla presenza, nella
struttura annessa al monumentale ingresso settentrionale, delle statue leonine, di tradizione
tipicamente nubiana218. Nella progettazione dell’edificio, gli elementi ellenistici sembrano quindi
integrarsi con consolidate tradizioni locali.
Anche la decorazione è caratterizzata da una commistione di elementi di varia provenienza: le
facciate esterne presentavano un fondo bianco (dato dall’intonaco), rappresentativo della regalità e
di richiamo alla corona bianca dell’Alto Egitto (si ricordi anche che l’antico nome di Menfi può essere
213 Callegher 2019, p. 23. 214 Ciampini 2018, p. 404. 215 Ciampini 2019b, p. 47. 216 Callegher 2019, p. 20. 217 Ciampini 2018, p. 404. 218 Ivi, p. 405.
66
tradotto con «il Muro Bianco»); su questo sfondo, si impostavano tondi invetriati decorati con volti
dai tratti dionisiaci di matrice ellenistica (testimonianti una ricezione di modelli tolemaici) e
colonne/lesene policrome nei toni del rosso, blu e giallo, tipici della cultura meroitica219. La stessa
decorazione parietale (intonaco bianco, terrecotte, colori meroitici) può essere ipotizzata anche per
il peristilio centrale220. Analoga testimonianza della commistione culturale che si può registrare in
epoca meroitica nel sito di Napata è data dalla presenza di numerose varietà di capitelli, elemento
tipico dei templi tolemaici (Figura 25). Tra questi, si registrano capitelli campaniformi e palmiformi,
tipici dell’Egitto faraonico,
ma anche capitelli ionici e
corinzi, tipici invece della
cultura greca221.
Per quanto fino ad ora evidenziato, è possibile definire il palazzo di Natakamani come uno degli
esempi migliori e più riusciti di commistione tra elementi settentrionali (ellenistici ed egizi) e locali222.
La spiegazione di questi apporti va ritrovata nell’intensificarsi dei commerci, in questo periodo, con
l’Egitto ellenistico-romano; si noti tuttavia che gli influssi provenienti da nord non vennero mai
incorporati in maniera acritica, ma sempre riformulati attraverso un processo di revisione per adattarli
alle esigenze locali223.
v. Il B3200
Nell’area che separa il B1500 dal B2400 è stato
rinvenuto un terzo edificio, identificato come
B3200. La struttura presenta una pianta
pressoché quadrata, organizzata secondo un
asse nord-sud e articolata attorno ad una cella
centrale (Figura 26). Questa stanza, di forma
quadrata, è accessibile da tre ingressi, posti al
centro dei muri settentrionale, meridionale e
occidentale, e al suo interno è stato rinvenuto un
capitello corinzio di chiara influenza ellenistica. Tale struttura centrale è delimitata da due corridoi
concentrici: il primo, più interno, presenta un singolo ingresso sul lato est e tre ingressi sul lato nord
219 Callegher 2019, p. 20. 220 Pancin 2019, p. 72. 221 Iannarilli 2019, p. 68. 222 Ciampini 2018, p. 405. 223 Callegher 2019, p. 23.
Figura 25. Tipologie di capitelli rinvenute a Napata
Figura 26. Pianta del B3200
67
e sud, di cui l’entrata centrale più grande rispetto alle laterali e allineata agli ingressi nord e sud della
cella; il secondo corridoio, più esterno, comprende ingressi le cui posizioni ricalcano quelle delle
aperture dell’altro corridoio, ma organizzati in maniera differente: a sud l’ingresso è singolo, mentre
ad est è triplo; alle estremità meridionale e settentrionale, questo secondo corridoio è chiuso da due
piccole stanze. L’area occidentale non è ancora stata indagata, ma la pianta quadrata e la simmetria
degli elementi architettonici tra il lato nord e il lato sud inducono ad ipotizzare che possa presentare
caratteristiche simili alla porzione già scavata224.
L’edificio aveva senza dubbio un collegamento con l’area regale, suggerito anche dalla sua
collocazione e dal suo orientamento: doveva essere una sorta di padiglione riccamente decorato225,
un trait d’union tra il B2400 e il settore centrale dell’insediamento, in cui il fulcro era costituito dal
B1500226.
vi. Assetto urbanistico
Quando, durante la XXV Dinastia, venne edificata a Napata la prima residenza regale (B1200) si
scelse come luogo l’area a sud del Grande Tempio di Amon: questa decisione non fu casuale, in
quanto tradizionalmente il palazzo veniva collocato a ridosso del santuario, per testimoniare il
profondo legame tra la divinità e il potere centrale (cfr. nota 192). La posizione del B1200 si legava
anche alla Montagna Pura, trovandosi in corrispondenza del pinnacolo, interpretato dalla tradizione
locale come il cobra della corona regale: questa vicinanza, che sembra essere stata alla base del
posizionamento del palazzo in questo settore specifico, ribadiva e confermava ulteriormente il
legame con la regalità227. Anche la scelta del luogo in cui edificare il B100 si inseriva in questa
tradizione: l’edificio venne infatti posizionato subito a sud del B1200, ancora una volta alla destra del
Grande tempio di Amon.
Tuttavia, proprio in corrispondenza della fase di B100, può essere datato un cambiamento che sarà
poi significativo per la storia del sito: sebbene in questa fase il palazzo continuasse a rimanere
spazialmente legato al tempio, ripetendo un modello di rapporto tempio-palazzo conosciuto anche
in Egitto, nel corso del II sec. a.C. iniziò un programma architettonico in un’area a nord del tempio
maggiore e ad esso slegata, in cui successivamente Natakamani avrebbe realizzato il suo
impressionante complesso palaziale. L’area era già stata occupata da edifici, forse di servizio, nel
tardo periodo napateo (IV sec. a.C.), cui si aggiunse in epoca meroitica una prima fondazione regale,
il B2400 che, nonostante le ridotte dimensioni, nell’insieme anticipava gli elementi che avrebbero poi
224 Sist 2011, p. 162. 225 Ibidem. 226 Gottardo 2019, p. 17. 227 Ciampini 2019a, p. 45.
68
caratterizzato il B1500228. Un’indagine condotta nell’area ha rivelato che i resti delle strutture
monumentali antecedenti vennero poi reimpiegate come fondazioni per gli edifici del I sec. d.C.
L’impianto generale delle murature rinvenute può essere definito prossimo a quello delle strutture
erette da Natakamani, tuttavia per queste strutture non è stato ancora possibile delineare una pianta
organica229.
Natakamani operò vari interventi nell’area, il più impressionante dei quali fu sicuramente lo sviluppo
di un nuovo settore dedicato alla regalità (Figura 27): in questo spazio non solo venne edificato un
nuovo palazzo (B1500), ma fu creato un sistema organico di edifici che rappresentarono un insieme
più complesso di quelli attestati per l’epoca napatea e meroitica iniziale230. Come si è infatti già
accennato, la costruzione di edifici in quest’area precedette il regno di Natakamani, ma il sovrano vi
operò un’azione significativa realizzando numerosi nuovi edifici, edificati sulle fondamenta dei
precedenti231. Questi interventi furono caratterizzati da uno stile eclettico ormai consolidato in cui,
cioè, elementi ellenistici ed egiziani si fusero con la tradizione nubiana232: questo risultò evidente
soprattutto nelle decorazioni architettoniche, come i capitelli, in cui elementi nubiani, faraonici ed
ellenistici venivano giustapposti, e le cornici, in cui a fregi di matrice egizia si contrapponevano fregi
228 Ciampini 2019a, p. 46. 229 Ciampini 2019b, p. 49. 230 Ivi, p. 47. 231 Ciampini 2018, p. 404. 232 Si vedano ad esempio le colonne del B1500, che combinano il capitello campaniforme a modelli ellenistici e quelle del chiosco B2300, che costituiscono un insieme di stili diversi.
Figura 27. Pianta parziale di Napata. In evidenza, il nuovo settore regale
69
denticolati ellenistici (cfr. B2400)233. Le opere realizzate a Napata si inserirono, inoltre, in un più
ampio programma architettonico, che toccò i vari centri del regno (tra cui Meroe e Mussawarat es-
Sufra). La separazione fisica del palazzo B1500 dall’area sacra, tuttavia, non lo privò di legami con
essa. Non a caso, a Natakamani sono attribuiti diversi interventi nel settore sacro, tra cui l’erezione
di un padiglione nella corte del Grande Tempio di Amon e di un mammisi nel dromos dello stesso
tempio. A questo programma architettonico appartengono anche i due santuari eretti ad est del
palazzo (B1300 e B1400)234.
All’interno della città regale di Natakamani, ricorrenti sono i chioschi monumentali: al momento, ne
sono stati riconosciuti tre (B2100, B2300 e forse B1800) e la loro presenza, che risulta coerente con
l’ampio uso di queste strutture attestato in epoca napatea e meroitica, può forse essere messa in
relazione con esigenze cerimoniali, legate alla natura sacra dell’area235. Il chiosco B2300, collocato
alle pendici del Jebel Barkal, presenta dimensioni contenute e una forma quadrata caratterizzata da
una planimetria basata su un sistema concentrico con file di colonne disposte attorno ad una sala
colonnata centrale. Passando all’edificio B2100, di questa struttura con accesso rivolto a nord è stato
indagato solamente il perimetro, di forma quadrata e costituito da basi quadrate per colonne, e il
pavimento interno di mattoni. Particolarmente significativo è il rapporto che tale chiosco mostra con
l’Edificio dei Bacini (B2200), collocato a poca distanza; quest’ultimo, una costruzione dal perimetro
non ancora definito, ospita presso il muro perimetrale sud un piccolo ambiente, in cui sono collocati
due bacini in arenaria, che probabilmente veniva utilizzato per lo svolgimento di cerimonie che
prevedevano un’abluzione del re236. Più a sud, al confine con l’area dei templi, vi era il terzo chiosco:
il B1800. L’edificio ha subito una forte distruzione a causa dell’erosione e, allo stato attuale, si può
ipotizzare una pianta quadrata o rettangolare con un fronte rivolto verso il tempio di Amon e
caratterizzato da colonne su base quadrata. La grande vicinanza di tale costruzione con il B1700,
identificato (per struttura e ubicazione237) come la residenza del sommo sacerdote di Amon, ha fatto
ipotizzare che il B1800 potesse essere una costruzione a supporto di quest’ultimo oppure,
addirittura, che le due strutture fossero parte di un unico grande edifico238.
Analogo ai chioschi sembra essere il B3200 (cfr. supra), un altro piccolo edificio parzialmente
scavato a nord del palazzo regale: l’edificio presenta una struttura quadrata e murature concentriche
che delimitano e isolano lo spazio centrale. La disposizione degli ingressi ha fatto ipotizzare
un’interpretazione come padiglione di transito.
233 Ciampini 2019b, p. 51. 234 Ivi, p. 48. 235 Ivi, p. 49. 236 Ivi, p. 50. 237 Kendall 2016, pp. 127-128. 238 Gottardo 2019, p. 18.
70
L’analisi di Napata ha senza dubbio evidenziato l’importanza dell’operato di Natakamani, che portò
alla nascita di un nuovo settore cerimoniale, ospitante molteplici edifici dalle caratteristiche variegate,
in una località che già dal Nuovo Regno rivestiva un ruolo cultuale di primo piano.
Se indubbi sono i legami con la tradizione nubiana e meroitica, un ruolo importante nell’operato del
sovrano venne senz’altro svolto dagli influssi provenienti dall’Egitto e in particolare dalla tradizione
ellenistica, che permearono le strutture realizzate sia a livello architettonico che decorativo.
b. Meroe
Sebbene indagini recenti abbiano confermato che le più antiche
testimonianze insediative nell’area si datano al IX sec. a.C.239, fu
senza dubbio nel III sec. a.C. che la città di Meroe (Figura 28)
assunse un ruolo di primo piano, con il trasferimento prima della
necropoli reale e poi della capitale dell’ultima fase del regno di Kush,
per questo denominata regno
di Meroe. Di conseguenza, la
città in quel momento subì un
cambiamento radicale,
databile tra il III sec a.C. e il I
sec. d.C.240 (Figura 29).
In questa fase, l’insediamento
venne completamente
ricostruito. Il primo notevole
cambiamento, collocabile alla
239 Török 2011, p. 119. 240 Maillot 2016, p. 67.
Figura 28. Mappa della Nubia. In rosso, l’ubicazione
di Meroe
Figura 29. Pianta di Meroe con le varie strutture cromaticamente distinte
71
metà del III sec., fu senza dubbio la creazione di un muro di cinta che racchiudesse una parte
dell’abitato. Questo recinto, denominato Città regale, più che come struttura difensiva serviva
probabilmente a rinforzare l’area contro le erosioni operate dal fiume Nilo, oltre a conferire
monumentalità alla zona delimitata241 (Figura 30). Tra gli edifici racchiusi in questo spazio vanno
menzionati l’antica residenza regale (M294-295), il primo tempio di Amon242, il complesso M194-195
e le abitazioni del clero (collocate nella parte settentrionale). Dall’edificio M194-195, orientato in
direzione nord-sud, partiva un viale processionale che, passando dalla porta nord-occidentale del
241 Török 1997b, p. 517. 242 I cui resti sono stati rinvenuti al di sotto dell’edificio M294.
Figura 30. Pianta di Meroe
72
muro di recinzione, giungeva fino al Tempio di Iside (M600), collocato in posizione isolata a nord
della Città regale; tale viale costituiva anche uno degli assi viari principali del settore nord dell’area
recintata.
In contemporanea all’erezione del muro di cinta, iniziò anche la costruzione del nuovo tempio di
Amon (M260), con orientamento est-ovest, collocato all’esterno del recinto, a ridosso del suo lato
orientale. L’edificio fu accompagnato dall’erezione di un nuovo viale processionale, sviluppato
all’esterno del recinto, che prendeva il via dal nuovo tempio ed era definito dal suo asse principale.
Questo viale nel I sec. d.C. venne affiancato sui due lati da piccoli santuari orientati verso il viale
stesso, dimostrando l’esistenza di uno schema religioso e architettonico monumentale, in cui la
struttura spaziale dell’ambiente urbano era definita dall’organizzazione delle festività che qui si
celebravano, in modo tale che la disposizione geografica delle strutture ricalcasse in modo chiaro la
descrizione del contesto rituale243.
L’estensione del tempio M260 e lo sviluppo del viale processionale che da esso partiva sottrassero
importanza all’area recintata, che divenne una sorta di annesso al tempio, sebbene monumentale.
Il muro divisorio continuò a separare i templi e le abitazioni palaziali del clero dal resto
dell’insediamento, ma non più la residenza regale: al di fuori della recinzione, tra la fine del I e l’inizio
del II sec. d.C., venne infatti edificato un nuovo palazzo (M750), collocato in prossimità del tempio
M260 e orientato, in modo tradizionale, verso il suo viale processionale. Il palazzo venne così a
costituire, insieme al nuovo tempio di Amon e alla
struttura di stoccaggio ad esso pertinente (M740),
un complesso monumentale che univa, sia dal
punto di vista funzionale che ideologico, il culto
divino, l’immagine del potere regale e la
redistribuzione di beni, presentando un’immagine
concreta della struttura statale244.
i. La Città regale e il complesso M294-295
Come si è già accennato, la parte nord della Città
regale (Figura 31) comprendeva grandi dimore
private, complessi residenziali per l’élite e il clero
(la maggior parte delle quali molto grandi e
sviluppate su più piani) e strutture amministrative
243 Török 1997b, p. 517. 244 Ivi, p. 518.
Figura 31. Pianta della Città regale
73
dotate di magazzini. Questi edifici fiancheggiavano
due vie orientate lungo un asse nord-sud, una delle
quali costituiva il viale processionale che metteva in
comunicazione la struttura M194-195 con il tempio
M600. La parte meridionale della Città regale era
invece occupata da due edifici rettangolari
costituenti un complesso palaziale denominato
M294-295 e caratterizzati da alcune somiglianze con
i palazzi di Wad Ben Naqa (OBN100) e Napata
(B1500): i due edifici, adiacenti e orientati in modo
simile, si conservano solamente a livello di
fondazioni, sorgevano su una piattaforma rialzata e
presentavano una pianta quadrangolare (Figura 32).
Le loro dimensioni imponenti hanno spinto gli
studiosi ad identificarli come importanti edifici ufficiali245, la cui datazione non dovrebbe differire in
maniera significativa: si ipotizza che tra la fine del I e l’inizio del II sec. d.C. la residenza regale venne
spostata dall’edificio M294 all’edificio M295, di conseguenza il palazzo M294 si daterebbe tra il I sec.
a.C. e la fine I sec. d.C., mentre l’M295 sarebbe di poco più recente246. Le indagini condotte hanno
portato alla luce due strutture caratterizzate dall’apparente assenza di porte nel muro esterno; tale
caratteristica è stata spiegata ipotizzando l’identificazione di questo primo livello come una sorta di
piattaforma di fondazione, che sosteneva il livello principale del palazzo. Di conseguenza, questo
livello sarebbe stato costituito da ambienti chiusi, per la maggior parte pieni e solo forse in alcuni
casi impiegati come magazzini accessibili dal pavimento del livello superiore. All’interno di una
stanza stretta e lunga simile ad un corridoio e orientata in direzione est-ovest è stata rinvenuta una
cisterna accessibile tramite una scalinata collocata sul lato occidentale e in asse sud-nord: il fondo
e i lati della stanza, così come le scale, le pareti e il pavimento dell’ambiente adiacente, erano
imbiancati a calce, elemento che ha avvalorato l’interpretazione della struttura come cisterna. La
forma e l’orientamento di tale cisterna trovano confronti molto vicini con una struttura collocata nel
complesso M194-195, denominato Bagni regali247 (cfr. infra). Entrambi gli edifici erano situati a
destra del viale processionale che partendo dalla facciata nord del complesso M194-195 conduceva
alla porta nord-ovest del grande recinto, fino al tempio M600, anche noto come Tempio di Iside,
245 Maillot 2016, p. 69. 246 Ivi, p. 71. 247 Ibidem.
Figura 32. Pianta di M294-295
74
riprendendo uno schema tradizionale egiziano che si può
osservare anche tra M260 e M750 e tra M250 e M251-
253248 (cfr. infra).
Come si è accennato, altra struttura di rilievo all’interno
della Città regale è costituita dai Bagni regali (M194-195),
la cui prima edificazione si data all’inizio dell’epoca
meroitica e che venne successivamente rielaborata a più
riprese249. Al centro dell’edificio era collocato un giardino
con un grande bacino, accessibile da una scala, circondato
su tre lati da portici e delimitato a sud da un muro di cinta
(Figura 33). Questo bacino era inserito in un contesto più
ampio comprendente un cortile e un muro di recinzione a
cui era associata un'altra struttura particolare: un’esedra
con posti a sedere. Le caratteristiche architettoniche
dell’edificio non hanno fino ad ora fornito riscontri nell’architettura meroitica che aiutassero a
comprenderne la funzione, tuttavia, la sua vicinanza al complesso palatino M294-295 ha fatto
propendere per un collegamento con la sfera regale che, unita al ritrovamento della vasca centrale,
gli ha conferito la denominazione di Bagni regali. Non è stato però ancora possibile giungere ad
un’interpretazione definitiva del complesso e della sua funzione, anche se due ipotesi, molto diverse
fra loro, sembrano prevalere: la prima, vedrebbe questa struttura come un complesso termale,
mentre la seconda tenderebbe ad interpretarlo come un santuario legato al culto del Nilo e della
potenza rigeneratrice delle sue acque250. Quest’ultima ipotesi è supportata anche dalla vicinanza del
santuario e, in generale, di questa parte della città, con la riva del Nilo, un tempo collocata subito a
ridosso del lato occidentale del muro di cinta (a cui il complesso si appoggia251). Indubbiamente, a
prescindere dall’interpretazione che se ne dia, rimane innegabile l’influsso che la cultura ellenistica
sembra aver esercitato nella realizzazione dell’edificio252, che presenta indubbie commistioni sia dal
punto di vista dell’architettura (struttura ad esedra) che della decorazione. Infatti, il complesso risulta
decorato sia con pitture e sculture che presentano un’iconografia locale (statue di leoni) ma anche
e soprattutto con elementi architettonici di chiara influenza ellenistica: tra questi, sono da menzionare
statue di musicisti con strumenti di tradizione greca e terrecotte invetriate con soggetti ellenistici che
trovano un parallelo con i rinvenimenti napatei (cfr. supra). Relativamente a questi ultimi, bisogna
248 Maillot 2016, p. 71. 249 Török 2011, p. 147. 250 Wolf – Onasch 2010, p. 45. 251 Ivi, p. 47. 252 Ivi, p. 46.
Figura 33. Pianta di M194-195
75
tuttavia sottolineare che alcuni soggetti, qui come a Napata, presentano un’influenza meglio
definibile come egizia (nodo sa e segno ankh)253. In conclusione, il complesso dei Bagni regali, al
pari di altri edifici di area sudanese, risulta un chiaro esempio di commistione tra influenze
settentrionali (egiziane ed ellenistiche) ed elementi di tradizione locale.
Il complesso venne probabilmente
abbandonato nel corso del I sec d.C. e al
suo posto venne eretto un nuovo edificio,
denominato M191, probabilmente con
funzione di stoccaggio, come sembra
suggerire il suo impianto, costituito da
sette stanze rettangolari distribuite lungo
un corridoio lungo e stretto254 (Figura 34).
Tale costruzione, datata tra il I e II sec.
d.C., si ergeva in parte al di sopra della struttura muraria presente in quel punto, che doveva quindi
essere caduta in disuso in precedenza255.
Subito al di sopra del lato settentrionale dell’edificio M191 sono stati anche rinvenuti i resti di un altro
complesso, denominato M291, databile tra la fine del I e l’inizio del II sec d.C. La sua struttura e i
frammenti di decorazione hanno fatto propendere per una sua identificazione come edificio
templare256.
ii. L’M251-253
Il complesso palatino M251-253, datato tra il I sec. a.C.
e il I sec. d.C., si trova nelle immediate vicinanze del
cosiddetto Tempio del Sole (M250), all’interno del suo
temenos (Figura 35). La struttura, dislocata a grande
distanza dal resto dell’abitato, circa un chilometro a
sud-est del primo pilone del tempio M260, è
probabilmente da identificare come il luogo in cui il re
soggiornava in occasione di particolari cerimonie e per
questo si trova in una stretta relazione non solo
ideologica ma anche urbanistica con il santuario. Il
253 Wolf – Onasch 2010, p. 49. 254 Maillot 2015a, p. 290. 255 Török 1997a, p. 62. 256 Ivi, p. 140.
Figura 34. Pianta di M191
Figura 35. Pianta di M251-253 e M250
76
sovrano, quindi, non risiedeva
stabilmente nell’edificio e questo,
sebbene strettamente legato al
tempio, non si trovava a diretto
contatto con esso: tale particolare
lo distingue dagli edifici egiziani con
stessa funzione, tipicamente eretti
a diretto contatto con la struttura
templare a cui erano associati257. Il
palazzo presentava una pianta
quadrata con due ingressi posti a
nord e ad est, che davano accesso
alla sala quadrata posta al centro
dell’edificio (Figura 36). Questo
spazio (4), che ospitava otto
colonne a sostegno del tetto, può
essere identificato come un cortile
porticato, la cui presenza è molto frequente negli edifici ufficiali di epoca meroitica. Alla stanza si
accedeva da nord attraverso un corridoio (1) e da est attraverso un vestibolo (9). L’ingresso nord
dell’edificio affacciava direttamente sul lato sud del tempio M250 e sembra essere stato in diretta
comunicazione con esso. Dal vestibolo orientale, una scala (10) permetteva di accedere al secondo
piano o forse al tetto dell’edificio. Due ambienti longitudinali (3) con asse ovest-est che si aprivano
dal corridoio settentrionale probabilmente indicavano la presenza di una seconda scala. Come già
anticipato, per il suo orientamento e la sua vicinanza al tempio M250, l’edificio è stato identificato
come un palazzo cerimoniale utilizzato in occasione di festività celebrate alla presenza del sovrano:
anche la presenza dell’ingresso orientato verso il viale processionale tenderebbe a supportare tale
interpretazione258.
iii. L’M750
Tra la fine del I e l’inizio del II sec. d.C., un altro complesso palaziale, denominato M750, venne
edificato nei pressi del nuovo tempio di Amon (M260) e orientato lungo l’asse nord-sud verso il viale
processionale che conduceva al tempio, secondo la consolidata tradizione egiziana. Insieme al
257 Maillot 2016, p. 72. 258 Ivi, p. 73.
Figura 36. Pianta di M251-253
77
tempio M260 e al complesso di
stoccaggio M740 collocato
all’interno del temenos, il palazzo
M750 costituiva un insieme
monumentale che sottolineava
tutti gli elementi cardine della
struttura statale259 (Figura 37).
L’edificio presentava una forma
innovativa a L, ottenuta
dall’unione di una pianta
rettangolare e di una quadrata,
con ambienti di dimensioni
differenti (Figura 38): per questo,
sembrano riconoscibili due aree
distinte, collegate al centro da un androne trasversale o cortile. La parte settentrionale, con un
ingresso monumentale orientato verso il viale processionale, ospitava stanze disposte
simmetricamente lungo i lati di un cortile colonnato
posto sull’asse principale. Il lato meridionale di
questo cortile era a contatto con l’ambiente
trasversale che fungeva da collegamento tra le due
zone dell’edificio, dando accesso alla parte
meridionale del palazzo. Nel settore sud, le stanze
si disponevano attorno ad un cortile centrale
colonnato e a due vani scale, indicanti la presenza
di un secondo piano. Le due aree erano
probabilmente adibite a funzioni diverse: la parte
settentrionale era forse un’area di rappresentanza
mentre l’area meridionale può essere interpretata
come una zona residenziale. Si ipotizza la
presenza, oltre all’ingresso monumentale a nord,
anche di un ingresso di dimensioni contenute sul
lato orientale, da cui si accedeva direttamente alla
259 Maillot 2016, p. 68.
Figura 37. Pianta parziale di Meroe con le varie strutture cromaticamente distinte (per la legenda, cfr. Figura 29)
Figura 38. Pianta di M750
78
sala trasversale di collegamento tra le due aree del palazzo260.
Come già anticipato, all’interno del temenos del tempio M260 è stata
rinvenuta la struttura M740 (Figura 39), identificata come un granaio
contemporaneo al palazzo M750: questo elemento è di notevole
importanza, in quanto riflette una gestione economica centralizzata.
Analoga composizione con tempio, palazzo e silo si riscontra anche
presso il sito di Wad Ben Naqa (cfr. infra).
iv. Assetto urbanistico
I dati disponibili per l’area archeologica di Meroe non consentono una riflessione dettagliata
sull’urbanistica dell’insediamento (cfr. Figura 29). Le uniche informazioni riguardano la parte
settentrionale della Città regale, in cui sembrano essere presenti due assi viari principali, che,
tuttavia, non paiono determinare una disposizione regolare degli edifici né, tantomeno, una loro
programmazione urbanistica, tanto più se si considera che, per l’epoca in esame, in quest’area
sembrano coesistere edifici preesistenti all’erezione del muro di cinta ed edifici di nuova
realizzazione261. Per quanto riguarda l’area esterna, invece, le uniche riflessioni possono essere
condotte sul settore del viale processionale, che sembra essere determinante nella disposizione dei
templi minori così come del nuovo complesso palaziale, collocato alla sua destra secondo la
tradizionale usanza egiziana.
L’analisi dei vari complessi palaziali sembra invece suggerire un continuo spostamento della sede
regale: dall’edificio M251-253, utilizzato in occasione di particolari cerimonie, al palazzo M294-295
e infine all’M750. Mentre il complesso M294-295 si trova all’interno della Città regale, la scelta di
erigere l’M750 a ridosso dell’area recintata è emblematica del nuovo assetto urbano, con la
ridefinizione dell’importanza della Città regale e la supremazia del nuovo tempio di Amon.
Per quanto riguarda, infine, le aree di abitato, le evidenze consentono di ipotizzare che fossero
collocate in corrispondenza della Collina Settentrionale e della Collina Meridionale, i due rilievi che
circondano la zona della Città regale e l’area templare; alcuni ritrovamenti hanno inoltre consentito
di indentificare sulla Collina Settentrionale un’area di botteghe e produzione artigiana (M284-287)262.
260 Maillot 2016, p. 75. 261 Török 2011, pp. 126-127. 262 Török 1997a, p. 38.
Figura 39. Pianta di M740
79
c. Butana o Isola di Meroe
La regione del Butana
(Figura 40), detta anche
Isola di Meroe in quanto
delimitata da corsi
fluviali (il Nilo a ovest, il
Nilo azzurro a sud e
l’Atbara ad est) e
controllata dalla città da
cui prende il nome,
venne annessa al regno
di Kush fin dalla metà
dell’VIII sec. a.C.,
assicurando così un
controllo delle rotte
commerciali che dalla
Valle del Nilo
raggiungevano l’Africa
centrale263. L’area,
abitata prevalentemente
da una popolazione
nomade e semi-
nomade, ha restituito
evidenze di palazzi e
strutture monumentali
che hanno confermato il controllo diretto del territorio da parte del governo e una forte
centralizzazione delle risorse. Infatti, sono stati individuati grandi complessi monumentali e
istituzionali, controllati dal potere centrale, che assicurava anche la sopravvivenza della popolazione
stanziata nelle vicinanze tramite l’accentramento e la redistribuzione delle risorse264. Altro elemento
che contribuiva al controllo della popolazione e dei suoi spostamenti nella regione era la
predisposizione, da parte del governo, di punti di approvvigionamento idrico (hafir) in luoghi
263 Török 2011, p. 115. 264 Maillot 2016, p. 77.
Figura 40. Mappa del Butana. In rosso, i siti analizzati
80
strategici, spesso associati alle strutture monumentali precedentemente citate265: tali strutture, la cui
manutenzione era affidata allo stato, erano un segno della presenza del potere centrale sul territorio
al pari degli edifici palaziali (cfr. Capitolo 2.g).
i. Wad Ben Naqa
Uno dei migliori esempi del controllo e dell’accentramento di risorse si ha a Wad Ben Naqa (Figura
41), dove una struttura monumentale identificata come un palazzo meroitico (OBN100) presenta
un’ampia area dedicata a magazzini e si accompagna ad un luogo di stoccaggio circolare altrettanto
imponente (il cosiddetto silo OBN51) che rivela il ruolo di primo piano giocato dal palazzo nella
gestione delle risorse (immagazzinamento e redistribuzione). Questo sito si colloca in una posizione
strategica molto importante, in quanto anticamente attraversato dallo Wadi Kirbekan che metteva in
collegamento il Nilo con il Nilo Azzurro, permettendo un più rapido collegamento tra il centro dello
stato meroitico e le regioni meridionali. Lo sfruttamento dell’area è stato anche favorito dalla fertilità
265 Török 1997b, p. 470.
Figura 41. Pianta di Wad Ben Naqa con gli edifici principali
81
del terreno, maggiore rispetto ad altri siti come Mussawarat es-Sufra. L’insediamento si sviluppava
su più colline (kôm) dove sono stati riportati alla luce numerosi templi, un palazzo e la sopracitata
struttura di immagazzinamento (OBN51, kôm F) che costituisce un unicum nel panorama
meroitico266. Allo stato attuale delle indagini, non si hanno informazioni sull’eventuale presenza di
aree abitative o artigianali all’interno dell’insediamento.
Sul kôm B è stato scavato
l’imponente palazzo OBN100
(Figura 42). L’edificio si
caratterizza per una pianta
quadrata e presenta ingressi su tre
lati (sud, est, ovest), di cui il
principale è a sud e conduce ad
una sala ipostila rettangolare (A)
dotata di sei colonne in arenaria. A
destra e a sinistra di questa sala
erano situati magazzini
rettangolari (D-I, O-Q, X, Y) al cui
interno sono state rinvenute grandi
quantità di vasellame e piccoli
oggetti in terracotta. La sala
ipostila si apre su un lungo vestibolo (B), che dà su un ambiente (C) in cui sono stati rinvenuti molti
capitelli compositi appartenenti ad un colonnato, forse in origine collocato al piano superiore. La
presenza di una sala colonnata al piano superiore sembra essere confermata dalla presenza di una
rampa (R), che dall’angolo sud-ovest della sala C conduceva al piano superiore e dalla presenza
nella sala C di due piloni centrali, che avrebbero fornito il sostegno al colonnato soprastante secondo
la tradizionale tecnica costruttiva egizia267 (fenomeno che si ritrova anche a Muweis, cfr. infra). La
rampa R è accessibile anche dal lato nord-occidentale della sala A, mentre una seconda rampa di
scale (U) si trova nella parte occidentale del palazzo. Numerose camere erano adibite allo stoccaggio
di svariati materiali tra cui avorio ed ebano (materie prime da commerciare o da utilizzare per
decorare il palazzo), legname e oggetti in terracotta (vasellame e statuine). La maggior parte di
queste stanze non era tra loro comunicante, per questo motivo si ipotizza un accesso dal piano
superiore. Sul lato est dell’edificio, due accessi conducevano ad altrettante sale (W e N) con basi di
266 Maillot 2016, p. 78. 267 Ivi, p. 79.
Figura 42. Pianta di OBN100 realizzata nel 1962
82
pilastri. Un altro ingresso si
trovava sul lato occidentale
e portava alle sale a pilastri
S e Z. Esattamente al
centro del complesso, a
nord della stanza C’, era
invece collocata una sorta
di lucernario centrale
(OBN118), che permetteva
l’illuminazione della rampa
R e della sopracitata stanza
C’. Tale stanza, di grandi
dimensioni, trova riscontri in altre architetture meroitiche, in cui talvolta viene rielaborata in un cortile
a peristilio di influenza ellenistica (come nel B1500 a Napata)268. Gli studiosi non sono ancora
concordi nell’affermare che il livello indagato costituisse la struttura di fondazione o il piano terra
dell’edificio (Figura 43). Probabilmente, l’edificio aveva sia un ruolo residenziale che un ruolo
amministrativo in rappresentanza del potere centrale, suggerito sia dalla presenza di magazzini e
sale di stoccaggio, che dalla posizione, vicina ad edifici templari e al corso d’acqua, che ne avrebbe
permesso un più facile accesso269. Il ritrovamento di numerosi frammenti di foglia d’oro attesta la
ricca decorazione del palazzo270. Un frammento di decorazione recante un cartiglio con il nome della
regina Amanishakheto ha permesso di datare il palazzo tra il I sec. a.C. e il I sec. d.C.
La sopracitata struttura circolare OBN51 (Figura 44) si trova al
limite meridionale del sito, a pochi metri dal ramo meridionale
dell’antico wadi. L'edificio presenta una pianta circolare e lo
spessore delle pareti tende a far ipotizzare una copertura a cupola
o con tetto conico (una sorta di falsa cupola), che lo renderebbe,
allo stato attuale delle conoscenze, un unicum per il periodo
meroitico271. L'ingresso è accessibile da una rampa, edificata su
una scalinata precedente, che si sviluppa sulla facciata occidentale
dell’edificio. La rampa si apre su un passaggio coperto costruito in
muratura che a sua volta conduce ad una doppia scalinata
268 Maillot 2016, p. 81. 269 Ivi, p. 83. 270 Analoghi frammenti sono stati rinvenuti anche durante gli scavi del B1500 a Napata. 271 Maillot 2015a, p. 287.
Figura 43. Pianta di OBN100 realizzata nel 2002
Figura 44. Pianta di OBN51
83
addossata al muro interno, inquadrante la porta da entrambi i lati. La scala scendeva al livello del
suolo dell'edificio, diviso in settori da sottili pareti in mattoni di fango. La struttura sembra lasciare
pochi dubbi sull’interpretazione dell’edificio come silo, mentre l'orientamento della rampa d'accesso
verso il tempio vicino (OBN300) induce a metterlo in relazione con l’edificio di culto piuttosto che con
la struttura palaziale. Questa impressione è rafforzata anche dal rinvenimento, alla base del
monumento, di una serie di magazzini rettangolari che alcuni studiosi collegano con il tempio
OBN300, mentre altri li mettono in relazione con i resti di 12 magazzini di stoccaggio indagati nella
struttura OBN600272. Per questo silo, che rappresenta un elemento importante per definire
l’ampiezza e l’importanza del sito di Wad Ben Naqa, l’unica datazione fino ad ora ipotizzata è
all’epoca di Natakamani e Amanitore. Interessante anche la probabile copertura a cupola della
struttura, il cui prototipo è probabilmente da riconoscere in strutture egiziane di Epoca Tarda con
funzioni analoghe, poiché volte e cupole chiuse costituiscono una categoria molto rara di tetti in
mattoni di fango nei contesti meroitici studiati: ad eccezione di casi specifici di silos seminterrati, si
incontrano solo in spazi particolari che necessitino dell’impiego di questa tecnica costruttiva273.
ii. Muweis
A Muweis l’impiego di metodi di
scavo tradizionali abbinati
all’uso delle nuove tecnologie
ha permesso di identificare
diverse aree all’interno
dell’insediamento (Figura 45): a
nord doveva situarsi un
quartiere artigianale,
individuato grazie ai resti di
fornaci e scorie. Subito al di
sotto e in modo tale da
circondare, in un certo senso, il
quartiere templare, sono state
individuate svariate aree di
abitato, collocate in posizione
sopraelevata su alture. Al
272 Maillot 2015a, p. 288. 273 Ivi, p. 290.
Figura 45. Pianta di Muweis
84
centro dell’insediamento, nella depressione tra questi rilievi, doveva invece svilupparsi l’area sacra,
con il tempio principale (M) ed edifici sacri minori, collocati ai lati del viale processionale
(fiancheggiato da arieti) che dal tempio principale prendeva il via e che doveva rivestire una certa
importanza nell’urbanistica cittadina. Tra i templi secondari, una menzione particolare merita il
tempio J, che ha restituito un’iscrizione menzionante Arakakhatator, figlio di Natakamani e
Amanitore, e può quindi essere puntualmente datato274. Nella parte meridionale di questo settore è
stato individuato anche un grande edificio non ben interpretato, connesso tramite un viale alla
struttura palaziale (A), scavata nella parte sud-orientale dell’insediamento e ubicata, secondo la
consolidata tradizione egiziana, ad est del sopracitato viale.
Il palazzo sorge su un rilievo del terreno i cui
lati nord-orientale e sud-occidentale, così
come quelli dell’edificio, sono stati erosi nel
corso del tempo. Nonostante le gravi lacune
che si possono riscontrare nella pianta
dell’edificio, è possibile ipotizzare che la
struttura presentasse un impianto quadrato
(Figura 46). La pianta dell’edificio è simile a
quella di OBN100 (similitudine che ha
consentito di identificare l’edificio come
palazzo), con una parte centrale
comprendente lunghi corridoi, stanze
allungate e stanze più ampie. L’edificio è
organizzato attorno ad uno spesso muro
interno, che corre da est ad ovest (F17) e divide l’intera struttura in due parti, una settentrionale e
una meridionale275.
Nella parte settentrionale, si possono individuare tre gruppi di stanze: A, B e C. Nel gruppo A le
stanze 29-33, lunghe e strette, sono orientate lungo l’asse est-ovest e sono affiancate sul lato ovest
da quattro camere più piccole (25-28). L’intero gruppo è affiancato, nella parte meridionale, da un
lungo corridoio orientato lungo l’asse est-ovest (24), che conduce al centro dell’edificio. L’insieme A
è composto da stanze che non risultano comunicanti tra loro, il che porta ad ipotizzarne una funzione
di sostegno per la struttura soprastante (le cosiddette casematte di fondazione). In particolare, le
stanze 29 e 30 presentano una pianta che trova una stretta corrispondenza con le stanze ubicate
274 Baud 2010, p. 19. 275 Maillot 2016, p. 84.
Figura 46. Pianta del palazzo di Muweis
85
nella medesima posizione nella struttura
palaziale di Wad Ben Naqa (cfr. Figura 49).
La sorprendente somiglianza spingerebbe
ad interpretare queste stanze come impianti
di stoccaggio alla pari di quelle di OBN100,
anche se non vi sono prove della loro
funzione come magazzini. L’insieme B si
compone, sul lato orientale, di un ampio
ambiente (40) quasi certamente suddiviso in
antico da pareti interne ora scomparse; sul
lato nord si trova l’ambiente 39, che ancora
una volta non presenta tracce di aperture
verso gli spazi circostanti. Sul lato
occidentale di questo blocco, tre piccole sale
(34-36) sono collegate a due ambienti più
grandi (37 e 38) che a loro volta si collegano
al muro settentrionale. L’unità C, situata al limite nord-orientale della struttura, risulta piuttosto difficile
da descrivere perché corrisponde alla parte maggiormente disturbata dell’edificio. I livelli relativi alla
struttura palaziale sono infatti completamente distrutti ad eccezione del muro perimetrale e di alcune
tracce della disposizione interna; le uniche evidenze
rinvenute sono antecedenti alla fondazione del palazzo
e attestano la presenza di un’area artigianale/di
officine276 (Figura 47 e Figura 48).
La parte meridionale dell’edificio è la più grande e si
compone di tre aree (D, E ed F) di larghezza diseguale.
L’area D presenta nella parte orientale un gruppo di
ambienti identificati come magazzini per la loro forma
allungata (10-13), al di sopra dei quali si trova un
ambiente più ampio (9). Le stanze rimanenti (15-18)
risultano di difficile interpretazione a causa del cattivo
276 Maillot 2016, p. 86.
Figura 47. Collocazione dei livelli sottostanti nel palazzo di Muweis
Figura 48. Dettaglio dei livelli sottostanti nel palazzo di Muweis
86
stato di conservazione277. L’area E presenta una struttura tripartita: un grande ambiente
settentrionale (1) delimita l’area sul lato nord, un lungo corridoio (che con l’ambiente 14 forma una
struttura ad L) la delimita ad ovest (3) e ad est si trova un’area rettangolare divisa in cinque ambienti
(2, 5-8). Di questi, due stanze sono orientate sull’asse est-ovest (2 e 8) e tre su quello nord-sud (5-
7). L’asse nord-sud del palazzo può essere approssimativamente individuato al centro di questo
complesso di stanze. L’area F, la più occidentale, è composta da camere rettangolari prive di
comunicazione verificabile. La parte sud-occidentale è in gran parte incompleta e la struttura muraria
è stata molto danneggiata dall’erosione del rilievo, provocata dal passaggio dell’antico wadi278. Gli
ambienti 22 e 23, privi di aperture, sono stati interpretati come casematte di fondazione per un’ampia
sala al piano superiore. Questa disposizione è unica per il sito di Muweis, in quanto il palazzo di Wad
Ben Naqa presenta, nello stesso punto, l’ingresso occidentale all’edificio: ciò testimonia che,
nonostante la pianta molto simile, il palazzo di Muweis e il palazzo OBN100 presentano differenze
significative279 (Figura 49). Per quanto riguarda la parte centrale dell’edificio (area E, ambiente 1),
non è stata riconosciuta alcuna porta, benché alcune murature si conservino per un notevole tratto
in alzato (anche due metri); inoltre, nessuna delle strutture murarie presenta tracce di alcun tipo di
rivestimento o abbellimento. Tutto ciò suggerisce un’interpretazione, non solo per questa zona
centrale ma per l’intero piano, come struttura di fondazione a casematte di sostegno al piano
superiore280. Il palazzo si sviluppa quindi su una struttura a cassoni alta almeno due metri, al di sopra
della quale doveva impostarsi il primo piano dell’edificio, equivalente al piano terra del palazzo di
277 Maillot 2016, p. 86. 278 Ivi, p. 87. 279 Infatti, in Sudan come in Egitto non si può parlare di strutture “copie” di altri edifici: possono esserci similitudini, ma non vi sono mai due edifici perfettamente coincidenti. 280 Maillot 2016, p. 87.
Figura 49. Confronto tra i palazzi di Muweis e Wad Ben Naqa (OBN100) con le aree simili cromaticamente distinte
87
Wad Ben Naqa. In questo livello di fondazione, tuttavia, rimane attestata la presenza di magazzini
(area D, ambienti 9-12), che andrebbero quindi ad affiancarsi a strutture di fondazione, come gli
ambienti 5-7 dell’area E, probabili ambienti di sostegno per una grande sala al piano superiore281. Il
corridoio adiacente a questo gruppo di ambienti (3) risulta di dubbia interpretazione: doveva forse
permettere il collegamento tra questo livello e quello superiore, consentendo forse al contempo
l’accesso agli ambienti adiacenti282.
L’analisi della ceramica rinvenuta permette di datare la struttura palaziale tra la fine del I sec. a.C. e
l’inizio del I sec. d.C., datazione confermata anche dalla grande somiglianza tra le piante dell’edificio
in questione e di quello di Wad Ben Naqa. Inoltre, il rinvenimento di tracce di intonaco bianco, spesso
dipinto con i tipici colori giallo, rosso e blu e di elementi architettonici come capitelli a volute conferma
ulteriormente la datazione proposta e permette di inserire il palazzo di Muweis nella fitta rete di edifici
palaziali meroitici rinvenuti non solo nella regione del Butana, ma anche a Napata283.
iii. Mussawarat es-Sufra
La principale attestazione
rinvenuta nell’insediamento
di Mussawarat es-Sufra è la
struttura comunemente
definita come Grande
recinto (Figura 50), la cui
interpretazione risulta
ancora problematica. Senza
dubbio, il complesso è uno
dei monumenti più
imponenti del regno
meroitico nonché uno dei
più enigmatici: nel tempo,
diversi studiosi ne hanno
fornito svariate
interpretazioni, tra cui quella
di luogo di culto con
281 Maillot 2016, p. 88. 282 Ivi, p. 89. 283 Baud 2010, p. 18.
Figura 50. Pianta del Grande recinto
88
ambienti di ricovero per pellegrini e complesso palaziale dedicato alla cerimonia di incoronazione
del sovrano. Le indagini archeologiche hanno rivelato che la struttura è stata edificata e ampliata in
momenti successivi, tuttavia la fase a cui sono attribuite la maggior parte delle vestigia attualmente
visibili è la cosiddetta Fase 6, la cui datazione sembra suggerita dal rinvenimento di un’iscrizione
riportante il nome di incoronazione del sovrano Arnekhamani, che la collocherebbe alla fine del III
sec. a.C.284.
Il Grande recinto copre una superficie molto vasta e si struttura in quattro aree principali (MUS100,
MUS200, MUS300 e MUS400), erette su terrazze artificiali e collegate tra loro da rampe, corridoi e
altri passaggi, tutti circondati da cortili chiusi. Il nucleo del Grande recinto è costituito dal complesso
MUS100 (articolato attorno all’edificio M101-102), ubicato sul terrazzamento centrale. Il complesso
MUS200, connesso al precedente da un lungo corridoio, è situato nella parte settentrionale del
Grande recinto e si sviluppa attorno all’edificio MUS201-203. Il complesso MUS300, collocato ad est
del MUS100, si articola attorno all’edificio MUS301-302 che è stato interpretato come un luogo di
culto. Infine, il complesso MUS400, collocato nella parte meridionale e accessibile dal complesso
centrale tramite un lungo passaggio, sembra essere identificabile come un settore
domestico/amministrativo. Non è stata ancora individuata l’entrata principale del Grande recinto, ma
un’ipotesi la colloca sul lato orientale, in prossimità del complesso MUS300285.
L’edificio MUS100 (Figura 51) si compone di una struttura rettangolare con una sala ipostila al centro
dotata di quattro colonne, circondata da un portico e accessibile tramite rampe da tutti e quattro i lati
(MUS101-102). La sala ipostila presenta sei ingressi
(uno per ogni lato corto e due su ciascuno dei lati lunghi)
e una profonda nicchia nel muro di fronte all’ingresso
principale, raffigurante scene di incoronazione. Questo
complesso (che presenta una pianta simile a quella della
struttura MUS200), inizialmente interpretato come luogo
di culto, potrebbe invece essere una struttura palaziale,
in quanto la sua sala ipostila viene ora identificata dagli
studiosi come la sala del trono. Il palazzo sarebbe
costituito da diversi cortili attorno ai quali si
distribuirebbero i vari ambienti. Seguendo questa
interpretazione, le numerose ricostruzioni attestate della
sala ipostila, sempre con un orientamento leggermente
284 Maillot 2016, p. 91. 285 Török 2011, p. 193.
Figura 51. Pianta di MUS100
89
differente, potrebbero essere lette come un richiamo alla tradizione egizia, secondo la quale ogni
sovrano dopo l’incoronazione modificava la struttura del palazzo reale per distinguersi dal
predecessore286. Tale ipotesi è, inoltre, rafforzata dalla presenza di un lungo corridoio che, sul lato
ovest del salone centrale, conduce ad un atrio simile ad una cappella (516-517) con un’apertura
affacciata su un cortile ad ovest, interpretata come una finestra delle apparizioni287: uno degli
elementi più significativi delle strutture palaziali dell’Egitto faraonico, forse presente anche nel
palazzo B2400 di Napata.
Allo stato attuale, il complesso MUS300 è stato invece identificato come tempio: si compone di un
edificio colonnato preceduto da un portico (MUS301-302) e accessibile da una rampa (MUS303) e
di locali accessori letti come strutture legate ad attività cultuali e alla presenza del re durante
cerimonie religiose; tuttavia, l’assenza di decorazioni significative non consente di identificare la
divinità a cui il santuario era dedicato. Per il complesso MUS400, invece, è generalmente accettata
l’interpretazione che lo identificherebbe come un settore ad uso domestico/amministrativo. Tuttavia,
l’essenza di queste interpretazioni poggia su indizi indiretti, non privi di obiezioni.
Lavori recenti hanno portato alla luce, ad est dell’edificio MUS100, resti di un giardino con
piantagioni, laghetti e una cisterna sotterranea, mentre a nord dell’edificio MUS200 è stata rinvenuta
una discarica associata ad un laboratorio di vasai. Questi rinvenimenti confermano la complessità
della natura del Grande recinto, e risultano allo stesso tempo compatibili sia con una sua
interpretazione come struttura palaziale che come complesso religioso: tali installazioni, spesso
rimaneggiate, potrebbero essere state utilizzate per attività cerimoniali inserite all’interno di una
cornice architettonica unitaria288.
Se è valida l’identificazione degli ambienti centrali di MUS100 e MUS200 come sale del trono (e non
come luoghi di culto come si pensava in precedenza), il grande muro di cinta attorno a queste
installazioni potrebbe essere interpretato come il muro perimetrale del palazzo reale, collegato al
tempio MUS300. Secondo questa interpretazione, il Grande recinto di Mussawarat es-Sufra sembra
essere fortemente legato, da un punto di vista ideologico, alla concezione del palazzo faraonico.
Tuttavia, la pianta degli edifici MUS101-102 e MUS201-203 e lo stile architettonico e decorativo
adottato (capitelli con fiore di loto) dimostrano al contempo un chiaro influsso ellenistico sulla
tradizione locale289. La struttura combinerebbe così forme tradizionali egiziane e kushite ed elementi
ellenistici, riflettendo in tal modo la realtà di molti edifici del medesimo periodo290.
286 Maillot 2016, p. 93. 287 Török 1997b, p. 521. 288 Maillot 2016, p. 92. 289 Török 2011, p. 215. 290 Maillot 2016, p. 94.
90
L’originalità del Grande recinto risiede, oltre che nella pianta dei vari
complessi che lo compongono, nella serie di cortili e corridoi labirintici che
collegano le varie aree e nell’onnipresenza di una struttura di fondazione
sopraelevata, che rende gli edifici accessibili mediante rampe. L’impianto
decorativo del complesso differisce per molti aspetti da quello di altri
edifici nubiani del medesimo periodo, in particolare per la presenza di
dettagli architettonici come i parapetti terminanti con la figura di un
elefante e basi di colonne a forma di elefante che non compaiono in altri
siti291 (Figura 52). Un’interpretazione interessante vede nell’uso
dell’immagine dell’elefante un richiamo al commercio dell’avorio che
proprio in epoca tolemaica ebbe una particolare fioritura, assicurando un introito significativo alla
regione meroitica292.
Gli scavi hanno restituito evidenze
di altri due complessi a
Mussawarat es-Sufra, entrambi di
natura templare (Figura 53): il
Tempio Orientale, collocato a sud
del Grande recinto, e il Tempio di
Apedemak, situato in un’area
isolata ad est del Grande recinto ed
attribuito, grazie ad un’iscrizione,
allo stesso Arnekhamani a cui si
data la Fase 6 di tale struttura293.
Le tracce di abitazioni e sepolture risultano invece molto limitate e piuttosto difficili da datare. La loro
scarsità sembra precludere ogni possibilità di individuare un’occupazione permanente del sito
durante il periodo meroitico (o in ogni altro periodo). L’area era sicuramente frequentata da
popolazioni nomadi, la cui presenza non può tuttavia essere confermata dalle evidenze
archeologiche294.
Gli insediamenti presentati, collocati a breve distanza, hanno restituito prevalentemente attestazioni
di strutture monumentali che (forse con l’eccezione del Grande recinto di Mussawarat es-Sufra, la
291 Török 1997b, p. 521. 292 Török 2011, p. 230. 293 Näser 2010, p. 24. 294 Ivi, p. 25.
Figura 52. Elefante scolpito
Figura 53. Il Tempio Orientale e il Tempio di Apedemak
91
cui pianta risulta davvero eccezionale e ne rende ardua l’interpretazione) possono essere
interpretate come la testimonianza di una gestione dell’area tramite governatori locali in
rappresentanza del potere centrale, con una politica di accentramento dei beni comuni e di lusso
prodotti295. Tuttavia, nonostante la loro vicinanza, è possibile cogliere una differenza sostanziale: se
infatti Wad Ben Naqa e Mussawarat es-Sufra non hanno restituito alcuna evidenza di zone di abitato,
il sito di Muweis, con le sue attestazioni di abitazioni e di un quartiere artigianale, sembra delineare
un quadro alquanto diverso. Infatti, questo insediamento è l’unico a presentare una pianta articolata
che permetta di definirlo come un insediamento vero e proprio, mentre per gli altri due centri,
mancando in entrambi i casi qualunque attestazione di ambiti domestici o, in generale, di strutture
che non siano palazzi o templi, risulta difficile una definizione in senso insediativo. Ci si può chiedere,
dunque, se questo abitato rappresenti un caso particolare nel panorama dell’Isola di Meroe,
caratterizzata da insediamenti ospitanti solamente strutture palaziali e di stoccaggio accompagnate
da templi, in cui la popolazione, per la maggior parte nomade, avrebbe vissuto nel circondario senza
mai adottare forme di insediamento stabili, o se, piuttosto, siano gli altri insediamenti a non aver
restituito attestazioni delle aree insediative un tempo presenti.
d. Considerazioni
i. Distinzione tra “città” e “centro cerimoniale”
Nelle pagine che precedono, un’attenzione particolare è stata riservata all’analisi di due importanti
centri che, nella storia del regno di Kush, rivestirono un ruolo primario: Napata e Meroe. Tuttavia,
nonostante i due insediamenti abbiano avuto parimenti grande importanza, differenze significative
nell’assetto urbanistico e nella loro conformazione lasciano intravedere e ipotizzare una sostanziale
diversità, che consentirebbe una differente definizione dei due centri.
A Napata le prime attestazioni coincisero con l’edificazione, in età faraonica, del santuario voluto da
Thutmosi III e dedicato ad Amon di Napata a testa d’ariete (B500). Al contrario, a Meroe, le prime
attestazioni corrispondono a testimonianze insediative indicanti una frequentazione del sito a partire
al più tardi dal IX sec. a.C.296, mentre il primo tempio dedicato ad Amon venne edificato solo durante
la XXV Dinastia o all’inizio del periodo napateo297. L’antica e consolidata tradizione templare
influenzò l’organizzazione di Napata che, per gran parte della sua storia, ruotò sempre attorno al
Grande Tempio di Amon (cfr. Figura 15). Completamente diversa fu la situazione a Meroe (cfr. Figura
37): il fatto che la costruzione del primo grande tempio di Amon coincise, a grandi linee, con il
295 Maillot 2016, p. 90. 296 Török 2011, p. 119. 297 Ivi, p. 117.
92
costituirsi di un insediamento di dimensioni significative, consentì una progettazione più libera dello
stesso, in cui il tempio venne anche successivamente riedificato (M260), in occasione di importanti
lavori edilizi, addirittura in una nuova collocazione (il tempio antico era collocato, pressappoco, in
corrispondenza del successivo edificio M294-295). A Napata questo non avvenne mai: il tempio di
Amon di Napata, benché affiancato da altri edifici di culto di importanza e dimensioni minori, rimase
sempre nella posizione in origine occupata dal santuario voluto da Thutmosi III298 (resti risalenti alla
XVIII Dinastia sono infatti stati rinvenuti in corrispondenza delle fondazioni della struttura ancora oggi
visibile) e, nel corso del tempo, venne arricchito ed ampliato, anche con l’aggiunta di cappelle e
annessi.
La ragione di questo assetto urbanistico può essere spiegata considerando anche un’altra evidenza:
mentre per Meroe, come si è già accennato, evidenze di insediamento sono attestate già a partire
almeno dal IX sec. a.C. e poi, in maniera più consistente, dal III sec. a.C., quando la città assunse
una rilevanza significativa nella regione, per il centro di Napata, allo stato attuale delle ricerche, non
sono state rinvenute attestazioni della presenza di un centro abitato, in nessun momento storico.
Anche se, indubbiamente, il personale dedito alla cura e supervisione del tempio e delle altre
strutture presenti doveva risiedere in prossimità delle stesse, l’assenza di evidenze insediative, unita
alla mancanza di rinvenimenti che attestino la presenza di un quartiere produttivo o di botteghe come
quello rinvenuto a Meroe, spinge ad avvalorare l’ipotesi che il centro di Napata non possa essere
considerato, a differenza di Meroe, un insediamento vero e proprio quanto piuttosto un centro
cerimoniale. In questo senso, un ruolo fondamentale venne con ogni probabilità giocato anche dalla
presenza della Montagna Sacra, come si dirà in seguito.
Alla luce di quanto evidenziato, può essere delineata una differenza sostanziale tra Meroe e Napata:
mentre la prima può essere definita come un centro abitato vero e proprio, che nel corso del tempo
subì variazioni e monumentalizzazioni più o meno significative, ma in cui una componente abitativa
fu sempre presente e in maniera consistente (accompagnata da un quartiere templare e palaziale),
a Napata non solo non si hanno attestazioni di una continuità insediativa che affondi le sue radici in
un periodo antico, ma nemmeno per la fase napatea, la più significativa di sviluppo del centro, le
evidenze sembrano supportare o quanto meno lasciare ipotizzare l’esistenza di un nucleo insediativo
consolidato che possa permettere una definizione del centro come insediamento.
Ulteriori differenze sostanziali emergono dall’analisi delle piante dei due insediamenti: mentre a
Meroe anche in epoca più avanzata il rapporto spaziale tempio-palazzo rimase inalterato, con
298 Fa eccezione solo un breve periodo in cui, durante il restauro del B500, venne eretto nelle immediate vicinanze un nuovo tempio dedicato ad Amon (il B800) per consentire una prosecuzione del culto senza interruzioni.
93
l’edificio M750 collocato alla destra del viale processionale del tempio M260, a Napata questa
sistemazione, che venne applicata nel posizionamento dei palazzi B1200 e B100, non fu più
mantenuta nella realizzazione del B2400 e poi del B1500, contemporaneo al complesso palaziale
M750 di Meroe299. La scelta di edificare questi due complessi palaziali in un’area alquanto distante
dagli edifici templari può forse essere spiegata con la volontà di distaccarsi dalla tradizione faraonica,
che vedrebbe il palazzo sempre a destra del viale processionale del tempio. Tuttavia, è lecito anche
ipotizzare che l’associazione tra i palazzi e i chioschi presenti nella nuova area cerimoniale creata
da Natakamani (si pensi alla relazione tra i palazzi B1500 e B2400 e il chiosco B3200) possa essere
in un certo senso sostituiva del rapporto tempio-palazzo delle epoche precedenti.
Indubbiamente, nell’analisi della pianta dell’insediamento un ruolo primario fu svolto anche
dall’ambiente in cui i due centri vennero a svilupparsi: mentre Meroe nacque in un contesto
geografico che non presentava particolari simbologie, il fatto che il centro di Napata sia sorto a
ridosso di una montagna considerata sacra fin dall’epoca faraonica ha senza dubbio contribuito ad
orientare le scelte edilizie, facendole convergere verso una dimensione di sacro e, almeno fino ad
un certo punto, di rispetto per la tradizione. Proprio il fatto che Napata sorgesse in corrispondenza
di un luogo simile potrebbe anche spiegare come mai non vi siano attestazioni di un vero e proprio
insediamento, mai creatosi per preservare la sacralità del luogo. Se questo è vero, rimane da
chiedersi come mai a partire dall’epoca meroitica, e poi soprattutto durante il regno di Natakamani,
si scelse di erigere imponenti strutture come il B1500 in un’area più discosta rispetto ai santuari e,
di conseguenza, dal pinnacolo della montagna (Figura 54), punto sacro per eccellenza al di sotto o
in prossimità del quale erano stati edificati tutti i luoghi di culto. Una possibile spiegazione per questa
scelta potrebbe dipendere dal fatto che la zona del B1200 non fosse più praticabile a causa dello
sfruttamento intensivo dell’area. Al
contempo, bisogna anche ricordare che,
come si è già visto, l’erezione del B1500
non fu l’unico intervento edilizio voluto da
Natakamani: interventi che portano il suo
nome sono attestati nell’area del tempio
di Amon e, al medesimo periodo, si
datano le varie strutture annesse al
palazzo B1500 e i due santuari B1300 e
B1400. È quindi possibile ipotizzare, data
299 A Meroe, anche il palazzo M294-295 era probabilmente collegato ad un edificio templare, ovvero al complesso M194-195. Tuttavia, gli studiosi non sono ancora concordi nel definire questa struttura come luogo sacro.
Figura 54. Il Jebel Barkal
94
la presenza consistente di strutture datate al regno di Natakamani, che B1500 e B500 fossero in
origine raccordati da altri elementi che creavano un tessuto connettivo tra questi due edifici: la
posizione del B1500 dipenderebbe dunque dalla presenza nell’area di altre costruzioni. Inoltre, il
palazzo non rappresentava l’ultima propaggine dell’area cerimoniale: scavi spagnoli hanno rivelato
strutture a nord-est del B1500, che confermerebbero ulteriormente la presenza di una vasta area
cerimoniale che comprendeva il palazzo e che, per quanto si è detto, probabilmente era in qualche
modo collegata al tempio di Amon e all’area sacra in prossimità del pinnacolo.
ii. Confronto tra palazzi
Come si è già anticipato, il contesto sudanese ha restituito un numero significativo di palazzi, che, in
taluni casi, costituiscono anche l’unica evidenza della presenza insediativa in un sito. Questa grande
varietà di edifici palaziali permette un confronto tra le strutture, per individuare eventuali analogie e
differenze. Fatta eccezione per gli edifici B1200 (XXV Dinastia), MUS100 (III sec. a.C.), B100 (II sec.
a.C.) e M750 (fine I sec. d.C. – inizio II sec. d.C.), tutte le strutture analizzate risultano
contemporanee, collocandosi tra il I sec. a.C. e il I sec. d.C. Questa vicinanza cronologica, oltre a
permettere una riflessione sulle analogie individuabili, ha consentito di ipotizzare l'esistenza di un
modello architettonico comune300 in cui le soluzioni architettoniche scelte, sebbene possano essere
indicate come standardizzate, furono applicate in modo diverso a seconda del contesto in cui i vari
edifici vennero a trovarsi301. Inoltre, la contemporanea presenza di strutture palaziali a distanza così
ravvicinata è stata spiegata ipotizzando che i sovrani meroitici facessero erigere più palazzi in diversi
centri, da utilizzare nel corso di particolari cerimonie oppure a beneficio dei governatori a cui era
delegato a livello locale l’esercizio del potere regale302.
Come già accennato, queste strutture presentano una planimetria molto simile, basata sulla classica
forma quadrata su più piani sviluppati attorno a uno spazio centrale, con luoghi di stoccaggio al piano
terra e ambienti di rappresentanza ai piani superiori. I palazzi si caratterizzavano anche per il fatto
di essere edificati su un’alta piattaforma, che ne accentuava ulteriormente la monumentalità e che
spesso è stata l’unico livello ad essere indagato perché l’unico conservato, e per la presenza di una
sorta di area di rispetto, che faceva sì che non risultassero mai addossati ad altri edifici (per questo
aspetto, l’edificio M251-253 di Meroe, realizzato quasi a contatto con il tempio M250, costituisce
un’eccezione). Altro elemento comune è la presenza di ingressi su più lati, con percorsi di accesso
organizzati secondo schemi prestabiliti: fa eccezione l’edificio M294-295, per il quale, tuttavia,
300 Di cui il B100 risulta un precursore con molte analogie. 301 Maillot 2015a, p. 267. 302 Maillot 2015b, p. 80.
95
l’assenza di ingressi è stata spiegata ipotizzando che il livello indagato corrisponda in realtà alle
fondamenta dell’edificio.
Sebbene il modello descritto risulti valido, come si è già detto, per la maggior parte degli edifici
palaziali fino ad ora analizzati, una somiglianza ancora più puntuale emerge dal confronto di tre
palazzi in particolare, ossia OBN100, B1500 e il palazzo di Muweis che, a loro volta, condividono
alcuni particolari con le strutture di B100 (che, per molti aspetti, appare come un precursore di tale
modello) e B2400, soprattutto per quanto riguarda la decorazione ellenistica del cortile centrale303.
A partire dal I sec. d.C., invece, questo schema architettonico sembra tendere a svilupparsi
progressivamente in modelli autonomi, come nell’edificio M750 di Meroe, in cui una struttura
quadrata simile a quella degli altri palazzi venne giustapposta ad un complesso dalla forma
rettangolare (cfr. Figura 38).
Oltre alle somiglianze già individuate a livello generale per tutte le strutture palaziali, gli edifici B1500,
OBN100 e il palazzo di Muweis presentano, in particolare, una serie comune di ambienti con
elementi peculiari (Figura 55):
l’ingresso principale,
costituito da un’entrata
monumentale con rampa,
conduce ad una stanza
rettangolare intermedia,
interpretata come una sorta di
vestibolo, e poi ad una grande
sala centrale (lucernario o
corte), talvolta scandita da
colonne; il tutto è affiancato, a
sinistra e a destra
dell'ingresso, da ambienti
stretti e allungati, identificabili
come depositi e magazzini. Il
vestibolo del palazzo
OBN100, con pilastri
rettangolari, è molto simile,
nella struttura e nella
posizione, a quello individuato
303 Maillot 2016, p. 259.
Figura 55. Confronto tra palazzi meroitici
96
nell’edificio B1500, con sei colonne per lato allineate in due file sovrapposte. La somiglianza tra le
due sale è rafforzata dalla presenza di una rampa che porta al primo piano. Anche le parti centrali
dei palazzi di Wad Ben Naqa e Muweis presentano molte somiglianze: la presenza comune di un
lucernario centrale, a differenza del cortile a peristilio del palazzo B1500 (probabilmente una
monumentalizzazione dell’originale lucernario), rafforza l’idea di una standardizzazione del
modello304.
Completamente slegati da questo modello risultano, invece, l’edificio B1200, la cui struttura non trova
particolari somiglianze con quelle degli altri edifici palaziali di Napata e il complesso del Grande
recinto di Mussawarat es-Sufra, la cui struttura risulta inedita in area nubiana e la cui interpretazione
è ancora dubbia.
Al contrario, la struttura B100 (Figura 56),
sebbene di poco anteriore al periodo
considerato (si data al II sec. a.C.), sembra
condividere molte caratteristiche con i più
tardi edifici palaziali, tra cui la pianta
quadrata, la presenza di una piattaforma
sopraelevata, gli ingressi su più lati e,
addirittura, la corte colonnata al centro
affiancata da rampe per l’accesso al livello
superiore.
Anche il palazzo meroitico M750 si distacca
notevolmente dal modello, essendo
composto dall’apparente unione di due strutture separate, benché una di esse condivida con gli altri
edifici la pianta quadrata e l’organizzazione delle camere allungate attorno ad uno spazio centrale.
Tra gli edifici datati al periodo preso in esame, invece, di difficile analisi risulta la disposizione interna
degli edifici del complesso M294-295, soprattutto a causa della scarsità delle attestazioni.
Come si è già accennato, questo modello con pianta quadrata, più piani e ingressi su ogni lato, tra
cui un'entrata monumentale che si apre sulla successione di corridoio, vestibolo e spazio centrale,
trova la sua espressione più alta nel palazzo B1500 (cfr. Figura 21). Questo edificio costituisce una
pietra miliare nello sviluppo di tale modello per due caratteristiche principali. La prima è costituita
dalla piattaforma centrale di fondazione, che indica la progettazione fin dall'inizio di uno spazio aperto
nel cuore dell'edificio, consistente non in un semplice lucernario bensì in un vero e proprio spazio
304 Maillot 2015b, p. 81.
Figura 56. Il B100
97
colonnato, un fenomeno particolarmente innovativo per il periodo meroitico305. Il secondo
corrisponde alla presenza del cortile centrale a peristilio su due livelli (cfr. Figura 22): gli studi condotti
hanno reso possibile ricostruire la presenza di un parapetto sormontante la trabeazione del portico
inferiore e di un colonnato sostenente la galleria superiore. Questo elemento, di derivazione
ellenistica, risulta modulato secondo tecniche costruttive locali, come l’impiego della malta come
giunzione tra le basi delle colonne superiori e la balaustra, permettendo il doppio livello di
colonnato306, in una commistione di influenze tipica del periodo.
È quindi possibile supporre che il palazzo B1500 attribuito a Natakamani inauguri un nuovo prototipo
di architettura palaziale, con nuove dimensioni e planimetria, in cui sono riuniti elementi ellenistici
mediati dall’Egitto. Le somiglianze nella pianta con gli altri palazzi datati all’inizio del I sec. a.C.
testimoniano un modello comune ma flessibile secondo le necessità dei singoli edifici307, di cui,
proprio per la presenza di determinate innovazioni, il B1500 può essere interpretato come l’esempio
più evoluto.
Un altro elemento che questi palazzi hanno in comune è l’uso della tecnica di fondazione a
casematte, il cui impiego sembra essere comune nell’architettura monumentale del periodo
meroitico. L’edificio OBN100, con un primo livello ospitante casematte affiancate da strutture di
immagazzinamento, è uno di questi, così come il palazzo di Muweis, dove la struttura del piano
conservato ha suggerito un’interpretazione come piano di fondazione. Analoghe osservazioni sono
state condotte per le strutture M294-295 e M750 nella città di Meroe, in cui i vari ambienti del livello
indagato (interpretato come il piano di fondazione) non sono collegati tra di loro. Anche i palazzi
napatei analizzati si ergono su una piattaforma di fondazione sopraelevata costituita da spazi non
comunicanti. Ciò vale anche per la struttura palaziale di Wad Ben Naqa, dove la piattaforma di
fondazione a casematte sosteneva il primo piano
dell’edificio e forse anche un secondo livello308.
La scelta di erigere queste strutture su una fondazione a
casematte non può essere ricollegata solo a modelli
ellenistici. Questa tecnica costruttiva è infatti
particolarmente attestata già dagli inizi del Nuovo Regno
nell’area del Delta, in particolare nei palazzi di Avaris (od.
Tell el-Dab’a) (Figura 57). Mentre le origini di
305 Maillot 2015b, p. 81. 306 Ibidem. 307 Maillot 2015a, p. 272. 308 Maillot 2015b, p. 82.
Figura 57. I palazzi F e G di Avaris
98
quest’architettura rimangono ancora poco chiare, l’alternativa più probabile è data da un’influenza
levantina derivante dal dominio degli Hyksos, essendo le strutture più antiche del sito datate alla fine
del loro dominio (XVII Dinastia). Ad ogni modo, a prescindere dalle ipotesi sulle sue origini, questo
tipo di costruzione è considerata particolarmente diffusa anche nell’Egitto greco-romano, quando si
rileva regolarmente nelle installazioni monumentali, soprattutto nei siti del Delta. Questi edifici,
particolarmente ampi e caratterizzati da una fondazione a casematte erano spesso corredati da una
rampa d’accesso collegata all’ingresso monumentale che si affacciava su un corridoio che fungeva
da asse centrale, collegando vestibolo e sala centrale ma anche gli altri ambienti del piano. Anche
la distribuzione delle casematte era solitamente simmetrica rispetto ad un asse centrale e
l’organizzazione di questi spazi rispecchiava quella degli ambienti sovrastanti: per questo motivo,
l’analisi delle fondamenta di queste strutture, spesso unico livello conservato, ha fornito una
proiezione relativamente accurata dell’organizzazione degli spazi al piano superiore e ha permesso
una ricostruzione attendibile della struttura del piano soprastante (analogamente a quanto è stato
fatto per i palazzi sudanesi). Quindi, sebbene questo tipo di costruzioni sembri già attestato in Egitto
anche in epoche precedenti, soprattutto per strutture palaziali, fu durante l’epoca greco-romana che
questo modello architettonico si diffuse maggiormente, venendo impiegato anche per le abitazioni
comuni309.
Come si è visto per la Nubia, anche in Egitto i sovrani erano soliti erigere diversi palazzi in centri
strategici, in particolare nelle capitali, ricche di imponenti edifici monumentali. Poiché tali strutture
possono essere distinte in base alla loro funzione (nonché alle loro caratteristiche architettoniche),
si è supposto che anche per i palazzi meroitici contemporanei si potessero attuare le stesse
distinzioni. Il modello faraonico prevede, infatti, una distinzione tra palazzi con funzione cerimoniale
fisicamente attaccati al tempio (solitamente collocati alla sua destra) e strutture completamente
indipendenti con funzione residenziale e amministrativa. Tuttavia, ad un primo confronto, risulta
evidente che la maggior parte degli edifici palaziali indagati in area meroitica non possa essere
inserita in una sola delle due categorie poiché comprendente sia una funzione cerimoniale
(probabilmente ricoperta solo per un breve periodo di tempo durante l’anno, in occasione di
particolari cerimonie) che una funzione residenziale/amministrativa (in quanto luogo di residenza del
sovrano o del governatore locale). Infatti, sebbene in area meroitica non siano attestati palazzi
edificati a ridosso di edifici templari, la maggior parte delle strutture palaziali venne eretta nelle
vicinanze del tempio e risultava quindi in collegamento con esso: il caso più emblematico è quello
del palazzo M251-253 di Meroe, situato nel recinto sacro del tempio M250, in prossimità del tempio
309 Maillot 2015b, p. 83.
99
stesso (cfr. Figura 35). Allo stesso tempo, la costruzione palaziale con funzione
amministrativo/residenziale attestata in Egitto presenta una organizzazione che trova riscontro nei
palazzi di area meroitica, basata sulla divisione strutturale tra settore pubblico e privato, evidenziata
dalla simmetria interna, in cui i settori pubblici sono direttamente collegati all’area residenziale, che
solitamente ospita ambienti ipostili e una sala del trono (cfr. Figura 23). Questa tipologia di edifici è
ben rappresentata dal complesso B1500 di Napata, in cui sono chiaramente distinguibili l’area
cerimoniale, quella residenziale e l’amministrativa, e dal grande edificio M750 di Meroe, composto
dall’unione di due strutture a pianta quadrangolare che dovrebbero costituire i due distinti settori
dell’edificio (area di rappresentanza nella parte settentrionale e zona residenziale nel settore
meridionale). Anche l’ubicazione dell’M750 al di fuori del recinto sacro potrebbe rafforzare l’ipotesi
di un uso parzialmente residenziale dell'edificio; tuttavia, la sua collocazione sul lato destro del
tempio suggerirebbe al contempo una chiara connessione tra i due edifici310. Analogamente, gli altri
edifici palaziali di Napata furono probabilmente concepiti per molteplici usi: quasi certamente
avevano una funzione residenziale, ma il loro stretto legame con templi o complessi cerimoniali (si
pensi ai chioschi B2100, B2300, B1800) dimostra indubbiamente un loro legame con la componente
cerimoniale311.
Quanto visto fino ad ora permette di concludere, come già anticipato, che nessuno dei due modelli
di palazzi egiziani si riflette fedelmente nelle strutture palaziali del periodo meroitico, quando tali
edifici non sono mai fisicamente attaccati ai templi né totalmente separati da essi e, nella maggior
parte dei casi, ricoprono simultaneamente una funzione cerimoniale, residenziale e
amministrativa312. In questo contesto, un’eccezione è costituita dall’edificio M251-253 che, proprio
per la sua posizione così a ridosso del tempio M250, è stato interpretato come un complesso
palaziale in uso solo in occasione di particolari cerimonie che vedevano la partecipazione del
sovrano e può quindi essere inserito nella categoria delle strutture palaziali con funzione prettamente
cerimoniale.
Sebbene sia importante considerare queste strutture palaziali nella loro individualità, sembra
impossibile definirne le caratteristiche senza osservare i loro collegamenti con altri edifici del tessuto
urbano. Un ruolo decisivo è infatti giocato anche dal rapporto urbanistico (posizione e orientamento)
che intercorre tra il palazzo e il tempio principale, costituendo questi due edifici una sorta di spina
dorsale della struttura dell’insediamento.
310 Maillot 2015a, p. 275. 311 Maillot 2016, p. 266. 312 Maillot 2015a, p. 278.
100
Infatti, la struttura di alcuni di questi centri sembra essere stata definita dalle connessioni funzionali
e spaziali presenti tra il tempio di Amon (ed eventualmente di altri templi minori) e la residenza regale
(a volte più d’una, come a Napata e Meroe), evidenti nella creazione di percorsi monumentali lungo
i quali si svolgevano solenni attività religiose e di manifestazioni della regalità e che trovano rimandi
negli impianti delle vie colonnate egiziane (cfr. Capitolo 3.e.i). Tuttavia, come si evince dalla struttura
della città di Napata (e da quelle di Mussawarat es-Sufra e Wad Ben Naqa), le connessioni tra i vari
elementi di questo “paesaggio sacro” non definivano necessariamente chiare strutture
architettoniche313: se questo vale soprattutto per il periodo della XXV Dinastia e per quello napateo,
gli impianti urbani realizzati nel periodo successivo sembrano invece indicare un progresso
significativo, evidente soprattutto a Meroe.
Il palazzo è generalmente posizionato perpendicolarmente al tempio, come nel caso del palazzo
M750 e del tempio M260 in Meroe (cfr. Figura 37). Seguendo il modello faraonico, a Meroe il palazzo
reale si trova alla destra del viale processionale che si diparte dal tempio ed è fiancheggiato da templi
minori; questa stessa disposizione del palazzo rispetto al tempio si ritrova anche a Napata per il
B1200 e il B100, dove tuttavia non si hanno attestazioni di un vero e proprio viale processionale.
Situazione un po’ diversa si registra nel sito di Muweis (cfr. Figura 45), dove sono stati individuati
due assi viari significativi: il primo è stato identificato come un viale processionale dotato di statue
criocefale che si dipartiva dal tempio principale (M) ed era affiancato da templi minori (tra cui il
Tempio J), mentre il secondo asse viario collegava una struttura non ben definita ubicata al centro
dell’insediamento con l’area palaziale (A). Questo viale, che corre parallelamente alla facciata nord
del palazzo (collocato sul lato destro di tale via), per la sua posizione può essere definito come l’asse
principale dell’insediamento nel I sec. d.C. Conseguentemente, non stupisce neppure che il palazzo
presenti una rampa di accesso sul lato nord, comunicante direttamente con il piano di
rappresentanza (primo piano) dell'edificio. La presenza di questi edifici (palazzo reale, viale
processionale, area templare), datati all’inizio del I sec d.C., sebbene collegati in modo alquanto
diverso da quanto evidenziato per Meroe e Napata, permette di definire Muweis come un importante
insediamento integrato in una rete regionale di centri analoghi e coevi, forse da attribuire al
medesimo programma architettonico portato avanti su vasta scala da Natakamani e Amanitore314.
313 Török 1997b, p. 516. 314 Maillot 2015a, p. 282.
101
In alcuni di questi centri, il rapporto
tempio/palazzo è inoltre rafforzato dalla
presenza di granai/magazzini
indipendenti (Figura 58), come l’M740 di
Meroe, situato all’interno del recinto del
tempio M260 e contemporaneo al palazzo
M750 oppure come l’edificio M191, la cui
datazione suggerirebbe una connessione
con il tempio M291 e il palazzo M295315 e
permetterebbe di ipotizzare un
accentramento e una redistribuzione delle
risorse ancora gestita dal potere centrale
anche in questa fase più tarda. Queste
strutture andavano così a costituire un
complesso monumentale che univa, sia
dal punto di vista funzionale che
ideologico, il culto divino, l’immagine del
potere regale e la struttura amministrativa
(preposta all’accentramento e alla redistribuzione di beni), presentando un’immagine completa della
struttura statale. Altro complesso analogo può essere individuato a Wad Ben Naqa, dove la struttura
circolare OBN51 potrebbe aver avuto una funzione simile, data la presenza di una serie di magazzini
allungati e stretti nelle sue vicinanze e la sua posizione nei pressi del palazzo OBN100 (cfr. Figura
41). È probabile che questa tipologia di strutture fosse presente in tutti i principali insediamenti, anche
se non sempre si è conservata. In effetti, la presenza, in un insediamento meroitico, di una struttura
di stoccaggio indipendente collocata nelle vicinanze di tempio e palazzo è di notevole importanza in
quanto riflette una politica economica ben determinata (e analoga a quella faraonica), in cui i luoghi
di stoccaggio costituivano un elemento chiave nella gestione delle risorse del regno316. Tuttavia,
questa idea deve essere trattata con cautela e non essere impiegata come fattore determinante nel
considerare un insediamento come sede del potere centrale, o di un organo di governo facente le
sue veci, in quanto strutture di stoccaggio significative sono attestate anche in contesti minori317.
315 Maillot 2015a, p. 290. 316 Ivi, p. 287. 317 Maillot 2015b, p. 85.
Figura 58. Pianta di M740, M191 e OBN51 (da sinistra, in alto)
102
La presenza di un numero così significativo di strutture palaziali in area sudanese è stata spiegata
richiamando la cerimonia di incoronazione che, secondo la tradizione locale, doveva essere
compiuta in modo itinerante, con il sovrano che, partendo da Napata o Meroe, si recava a rendere
omaggio al dio Amon nei maggiori templi del territorio. Di conseguenza, in ogni centro doveva essere
edificata una residenza che potesse ospitare il sovrano per la cerimonia e anche fare da sfondo ad
alcuni eventi che si svolgevano in questa occasione (da qui la funzione sia residenziale che
cerimoniale che questi edifici sembrano aver ricoperto318, cfr. supra): dopo l’incoronazione, che si
svolgeva a Napata o a Meroe, il re doveva far visita ai principali santuari del regno per affermare il
suo potere e, idealmente, ristabilire la pace dopo il periodo di caos iniziato alla morte del suo
predecessore (la cerimonia di incoronazione poteva però ripetersi anche in altri contesti, come la
Festa del Nuovo Anno). Tali edifici erano collocati in località che non venivano scelte casualmente,
bensì coincidevano, molto probabilmente, con i più importanti insediamenti degli antichi reami la cui
unione aveva dato vita al secondo regno di Kush319. Tra questi, vanno sicuramente ricordati Pnubs
e Kawa che, insieme a Napata e Meroe, avrebbero appunto costituito le “capitali” dei regni
indipendenti poi unificati nel secondo regno di Kush320. Gli insediamenti di Pnubs e Kawa, con i loro
templi di Amon, si caratterizzavano per un’antica tradizione e il mantenimento di un ruolo di primo
piano per un lungo periodo di tempo: Kawa venne infatti arricchita già da Taharqa (che ricostruì o
abbellì il tempio di Amon) e continuò a rivestire un ruolo di primo piano anche dopo la XXV
Dinastia321. Pnubs, invece, aveva origini ancora più antiche: il sito era il centro di un culto locale
legato all’acqua già prima dell’arrivo degli egiziani nella XVIII Dinastia e fu oggetto, al pari di Kawa,
di interventi significativi durante la XXV Dinastia.
Questa spiegazione, che giustifica la presenza in epoca meroitica di un grande santuario ancora
attivo a Napata, non può tuttavia chiarire il gran numero di insediamenti caratterizzati da strutture
templari e palaziali individuati nella regione del Butana, a pochissima distanza gli uni dagli altri. In
quest’area, appare molto improbabile che ad ogni insediamento corrispondesse una diversa tappa
della cerimonia di incoronazione del sovrano. Per questa regione, dunque, si è suggerita una diversa
spiegazione: queste strutture in posizione ravvicinata costituirebbero, piuttosto, i palazzi dei
governatori locali, emanazione del potere centrale. Anche il fatto che in questa regione le piante
degli edifici palaziali siano simili a quelle di Napata o Meroe ma con finiture meno di pregio (si pensi
al lucernario centrale al posto della corte a peristilio) avvalorerebbe tale ipotesi322.
318 Maillot 2016, p. 274. 319 Ivi, p. 277. 320 Török 1997b, p. 123. 321 Ivi, p. 250. 322 Maillot 2016, p. 291.
103
Tra quelli analizzati, gli edifici più tardi come B1500, OBN100 e il palazzo di Muweis condividono
alcuni importanti elementi con i più antichi B100 e B2400, in particolare per l'influenza ellenistica,
evidente soprattutto nella realizzazione e decorazione del cortile centrale323. Questa caratteristica
non riguarda però solo l’apparato decorativo, ma coinvolge anche l’aspetto architettonico. Infatti,
l’architettura tipica dei palazzi tradizionali, con luoghi di stoccaggio o cassoni di fondazione al piano
terra e una sala ipostila, ma anche gli appartamenti privati, al primo piano, mostra una forte influenza
tardo-ellenistica. In particolare, nel cortile peristilio del palazzo B1500 a Napata (cfr. Figura 22), sia
la struttura che i frammenti di decorazione parietale, così come i capitelli compositi e le terrecotte
invetriate rinvenuti, mostrano chiari influssi ellenistici324.
Tali commistioni, indicanti in alcuni casi la diretta influenza dell’architettura di Alessandria così come
la partecipazione di maestranze provenienti dall’Egitto tolemaico, risultano predominanti anche
nell’architettura palaziale del settore nord dell’area recintata della città di Meroe (Figura 59). Ad
esempio, la struttura degli edifici 990 e 998 corrisponde ad una tipologia di architettura domestica
sconosciuta in Egitto che indica contatti con la corte tolemaica325.
Nel periodo preso in esame è quindi possibile evidenziare un’influenza culturale esercitata dal
mondo ellenistico, che trova nell’Egitto dell’epoca il suo tramite, confermando l’importante ruolo che
323 Maillot 2015a, p. 272. 324 Maillot 2016, p. 94. 325 Török 1997b, p. 522.
Figura 59. Pianta della porzione settentrionale della Città regale
104
i contatti e le continue relazioni (a volte non sempre pacifiche) tra Egitto e Kush ebbero nel fornire
spunti che vennero poi rielaborati dal regno meroitico in un’evoluzione della propria arte e
architettura.
Come si è già avuto modo di osservare, molti dei palazzi meroitici analizzati sono contemporanei
oppure presentano datazioni molto vicine tra loro (tra il I sec a.C. e il I sec. d.C.) e presentano
strutture analoghe o quantomeno schemi architettonici comuni. Benché questi elementi vengano
ripresi e adattati localmente a seconda delle esigenze del singolo edificio (si pensi ad esempio alla
monumentalizzazione del lucernario centrale in una corte con peristilio su due livelli nel B1500), la
presenza regolare dello spazio centrale e l’uso di una piattaforma sopraelevata a casematte sono
esemplificativi della volontà di standardizzazione che permea questi palazzi meroitici. Inoltre, alla
luce di quanto detto sino ad ora, il palazzo in area meroitica può essere considerato come una sorta
di entità polivalente che funge da scenario per cerimonie e rituali, ma al contempo ospita spazi
residenziali e aree di stoccaggio326.
Per concludere è quindi possibile affermare che i palazzi presi in considerazione si caratterizzano
per uno schema funzionale modulare, che nei grandi centri viene applicato in maniera più fedele
(B1500 e M750), mentre nei centri più piccoli fornisce lo spunto per realizzazioni a costi più contenuti.
Allo stesso tempo, questi palazzi possono avere avuto funzioni diverse e molteplici, focalizzandosi
maggiormente su aspetti diversi, quali lo svolgimento di particolari cerimonie (M251-253) o una
funzione più prettamente residenziale e di deposito (OBN100), oppure sviluppandosi in funzione
dell’evoluzione del paesaggio urbano che li circonda (B100 e B1500) o ancora costituendo un punto
di snodo importante per le attività produttive del tempo (palazzo di Muweis)327.
I confronti e i paragoni tra queste strutture palaziali risultano tuttavia possibili solo in quanto tutti
questi edifici presentano una datazione analoga, compresa tra il I sec. a.C. e il I sec. d.C., con il
B100 che costituisce un precedente di poco anteriore328.
326 Maillot 2015b, p. 86. 327 Maillot 2016, p. 292. 328 Ibidem.
105
5. CONCLUSIONI: CONFRONTO TRA LA REALTÀ EGIZIANA E SUDANESE
a. L’integrazione degli spazi preesistenti
Sia in ambito egiziano che in contesto meroitico, l’analisi delle evidenze ha chiaramente individuato
che, qualora vi sia una preesistenza, sia essa insediativa o semplicemente cultuale, la tendenza è
sempre e comunque alla conservazione.
Per il contesto sudanese, le attestazioni di preesistenze più forti si individuano a Napata, dove il
tempio di Amon, eretto nel Nuovo Regno (B500), rimase sempre il punto focale dello sviluppo
dell’area sacra: anche quando, in epoca meroitica, il quartiere palaziale venne spostato verso nord-
est, i sovrani continuarono a valorizzare il tempio con aggiunte e abbellimenti. Per Meroe, invece,
sebbene siano state rinvenute preesistenze databili alla XXV Dinastia e al primo periodo napateo329,
il cui rapporto con gli interventi realizzati a partire dal III sec. a.C. non è tuttavia ancora chiarito, allo
stato attuale delle indagini non sembra siano state individuate attestazioni di epoca faraonica. Gli
insediamenti del Butana, infine, non paiono fornire dati su eventuali preesistenze.
Analoghe osservazioni possono essere fatte anche per il contesto egiziano, in cui si possono
individuare delle preesistenze abbastanza diffuse e verso cui l’atteggiamento fu quasi sempre di tipo
conservativo.
Partendo dalla particolare situazione di Alessandria si può notare come il villaggio di età faraonica
di Rakotis venne inglobato nell’insediamento ellenistico, diventando un quartiere egiziano nell’area
sud-occidentale della città. Il villaggio conservò comunque una certa indipendenza, evidente nella
presenza di un impianto stradale autonomo, e anche una certa importanza, di cui chiara
dimostrazione è la costruzione del Serapeo. Altro contesto è quello di Ermopoli, in cui la distinzione
tra i due grandi poli dell’insediamento (l’area sacra a nord e il contesto abitativo a sud), già presente
in epoca faraonica, venne mantenuta anche in epoca ellenistica. Anche per l’insediamento di
Antinoe, nonostante sia stato eretto ex novo in età adrianea, è possibile individuare una
preesistenza: il tempio di Ramesse II venne infatti inglobato nella nuova fondazione, e, sebbene
relegato in una posizione defilata nel settore ovest della città (come il quartiere di Rakotis ad
Alessandria), si decise di realizzare un percorso apposito per collegarlo alla rete viaria
dell’insediamento, costruendo una strada che, per il suo andamento obliquo, risultò completamente
estranea all’orientamento generale dell’impianto viario.
Infine, per quanto riguarda l’area del Fayyum, le uniche preesistenze insediative sembrano
individuabili nell’insediamento di Tebtynis. Questo non sorprende se si considera che la maggior
329 Resti di un tempio di Amon sono stati rinvenuti al di sotto dell’edificio M294 e alcune strutture nella parte nord della Città regale sembrano precedere l’erezione del muro di cinta.
106
parte degli insediamenti analizzati furono edificati ex novo in epoca tolemaica, dopo una significativa
bonifica che ampliò enormemente la possibilità insediativa nell’oasi. A Tebtynis, gli interventi di
epoca ellenistica si concentrarono sull’ampliamento di un nucleo abitativo precedente, risalente alla
XII Dinastia, che non solo fu conservato, ma divenne il centro geografico del nuovo agglomerato
urbano, che venne a svilupparsi sia ad est che ad ovest del villaggio originario. Inoltre, il nucleo di
epoca faraonica ospitava, nella parte ovest, il tempio dedicato a Sekhnebtynis, che con il suo viale
processionale rimase un importante luogo di aggregazione anche in epoca ellenistica e romana,
subendo anche una significativa ricostruzione in età tolemaica.
Quanto detto permette di osservare che, allo stato attuale delle indagini, nel contesto meroitico le
informazioni disponibili in relazione alle preesistenze e alla loro gestione (che derivano soprattutto
dal contesto di Napata) evidenziano una particolare attenzione al mantenimento e alla prosecuzione
della tradizione. La stessa tendenza si riscontra anche nei centri egiziani, dove sembra che le
preesistenze siano state sempre gestite con profondo rispetto, preservandole e inglobandole
all’interno delle nuove fondazioni. Di conseguenza, è possibile concludere che, sia in Egitto che in
Sudan, si coglie una tendenza generale volta alla preservazione delle attestazioni di epoca
faraonica, che tendono ad essere conservate e integrate nelle nuove fondazioni o comunque nelle
rielaborazioni successive dei centri.
Un ultimo ma significativo appunto può essere fatto in relazione alle due capitali, Alessandria e
Meroe, che, allo stato attuale delle conoscenze, non sembrano presentare un forte sostrato
faraonico. Questo fattore risulta particolarmente rilevante soprattutto in considerazione
dell’importanza che la tradizione e il richiamo al passato sembrano aver avuto nel tentativo di
legittimazione operato dalla classe dirigente tolemaica prima e romana poi.
b. Il ruolo dei viali processionali nel tessuto urbano
Come si è visto in precedenza, in area egiziana il viale processionale continuò ad occupare un ruolo
centrale nella definizione urbanistica dei centri anche in epoca tolemaica. Infatti, tale elemento, che
sembra aver segnato l’organizzazione topografica dei principali santuari di epoca faraonica, continuò
ad essere presente in maniera costante anche negli insediamenti di epoca tolemaica330. Nei centri
dell’area del Fayyum presi in esame come Tebtynis, Karanis e Theadelphia, ma anche nel sito di
330 Il confronto è stato realizzato tra insediamenti di età tolemaica e santuari di epoca faraonica poiché, per questa fase della storia egiziana, non sono state rinvenute (ad oggi) attestazioni di abitati che permettano un’analisi dei viali processionali al loro interno (cfr. Capitolo 3.e.i).
107
Ermopoli, il viale processionale rivestì infatti un ruolo centrale nell’impianto dell’abitato in quanto
asse viario di collegamento tra l’area sacra e i principali edifici pubblici.
In area sudanese, invece, le uniche evidenze di percorsi viari definibili come viali processionali sono
state restituite dai centri di Meroe e Muweis, che, allo stato attuale delle conoscenze, non consentono
riflessioni in termini di continuità per questi elementi urbanistici. Nell’abitato di Meroe sono state
identificate addirittura due vie processionali (cfr. Figura 30): la prima e più antica si trovava all’interno
della Città regale e, partendo dalla facciata nord del santuario M194-195, attraversava la porta nord-
ovest del recinto murario e conduceva fino al Tempio di Iside (M600). L’altra coincideva, invece, con
il viale processionale del tempio M260 e ai suoi lati si disponevano santuari minori e l’edificio
palaziale (M750). Basandosi sui percorsi di questi due assi viari, è quindi possibile affermare che,
mentre il primo, oltre ad avere probabilmente un ruolo processionale, svolgeva anche una funzione
a livello urbanistico, costituendo uno degli assi viari della Città regale, il secondo svolgeva più
probabilmente una funzione puramente rappresentativa, essendo collocato in un’area priva di
abitazioni ed essendo fiancheggiato da edifici religiosi (templi minori) e di rappresentanza (il palazzo
M750). Le caratteristiche evidenziate per i viali processionali dei centri egiziani, sembrerebbero
quindi riscontrabili anche nei percorsi analizzati nella città di Meroe, sebbene suddivise tra due
distinti viali processionali.
Analoga situazione si riscontra a Muweis (cfr. Figura 45), dove sono altresì individuabili due assi viari
principali, di cui solo il primo, tuttavia, sembra identificabile come viale processionale: questo
percorso, infatti, partiva dal tempio principale (M) ed era fiancheggiato da templi minori. Un altro
asse viario significativo, la cui natura non è del tutto chiarita, probabilmente si originava da un
complesso monumentale non meglio definito collocato all’interno dell’insediamento e identificato
tramite indagini archeologiche e magnetometria; tale percorso doveva probabilmente collegare
questo edificio con la struttura palaziale, che mostra lo stesso orientamento del sopracitato
complesso. È possibile che il viale costituisse l’asse principale dell’insediamento, tuttavia, allo stato
attuale delle conoscenze, non sembra possibile stabilire se questo percorso conducesse anche
all’area templare o se, al contrario, il viale processionale fosse in collegamento anche con il palazzo
regale. Rimane altresì ignoto se queste due vie si incontrassero all’interno del tracciato urbano.
Sembra quindi che a Muweis non vi fosse alcun viale processionale che mettesse in relazione i due
poli maggiori dell’insediamento, ossia l’area templare e il palazzo regale, ma che, al contrario, questi
fossero in relazione con altri edifici tramite assi viari significativi.
Quanto osservato evidenzia come, ad una tendenza di area egiziana in cui il viale processionale
sembra ricoprire, nella maggior parte casi, un ruolo centrale all’interno della pianificazione urbana,
108
si contrapponga una diversa tendenza, di area sudanese, secondo cui i vari centri paiono sviluppare
assetti urbanistici profondamente diversi e in cui il viale processionale non sempre è presente. Infatti,
l’uso dei viali processionali è attestato solo a Meroe e Muweis e con alcune differenze sostanziali
rispetto al modello egiziano: a Meroe sono stati individuati due viali processionali, mentre a Muweis
è attestato un unico viale processionale che, tuttavia, non sembra nemmeno collegare il tempio al
palazzo regale.
Tra le ragioni a cui tali discrepanze possono essere ricondotte, la prima e sicuramente più
significativa consiste nella diversa natura degli insediamenti: mentre i centri di area meroitica sono
identificabili come luoghi di residenza del potere regale o di una sua emanazione, in cui la relazione
cruciale che si viene a stabilire è tra palazzo e tempio, gli insediamenti egiziani dipendono da un
sistema di gestione del territorio diverso, che si riflette nel fatto che i viali processionali, pur
occupando, anche qui, un ruolo centrale, non mettano più in collegamento l’edificio templare con il
palazzo regale, bensì lo connettano con gli edifici principali dell’urbanistica locale (come l’agorà, il
ginnasio o la piazza del mercato).
Altra motivazione consiste nel diverso approccio all’insediamento che si riscontra nelle due aree (cfr.
infra): mentre in Egitto gli insediamenti presentano in maniera costante una parte riservata all’abitato,
in contesto meroitico, non tutti i centri analizzati hanno restituito evidenze insediative e, anche
quando ciò è avvenuto, i dati sembrano suggerire un popolamento di tipo semi-nomadico. Tale
discrepanza si riflette anche sulla diversa funzione dei viali processionali in ambito urbanistico: negli
insediamenti meroitici fungono quasi esclusivamente da collegamento tra i centri del potere, mentre,
negli abitati egiziani, questi viali hanno contemporaneamente un ruolo aggregativo per gli edifici,
ospitando ai lati le costruzioni più importanti dell’abitato, ma anche per la popolazione, definendosi
come il punto focale dell’abitato.
In conclusione, sebbene la situazione in area egiziana e quella in area meroitica differiscano
notevolmente, è possibile evidenziare senza ombra di dubbio la presenza di un sostrato comune che
viene declinato a seconda delle esigenze locali: l’uso del viale processionale nei contesti urbani è
infatti attestato sia in Egitto che in Sudan331 con un ruolo rappresentativo, ossia di collegamento tra
elementi significativi ed emblematici come aree templari, strutture palaziali o edifici pubblici, mentre
quel che sembra variare è il suo impiego nella definizione del contesto urbano che, se in Egitto è
possibile per la struttura urbanistica che qui si riscontra, non lo è nei centri di area meroitica.
331 Come si è già evidenziato, in Sudan, l’uso dei viali processionali è attestato solamente nei centri in cui sia effettivamente riscontrabile la presenza di un contesto abitato definibile come urbano, ossia Meroe e Muweis.
109
c. L’idea della “città”
Come già anticipato, Egitto e Sudan si fanno portatori di due modi diversi di concepire la città. Il
modello egiziano risponde alla specifica necessità di trovare un punto di incontro tra la tradizione
locale e il modello d’importazione greca giunto in loco con la nuova dominazione: questo sincretismo
è evidente nell’analisi dei centri, soprattutto considerando il ruolo giocato in tali insediamenti sia dai
templi di tradizione faraonica (sempre connessi con il centro dell’impianto urbano, sebbene in alcuni
casi ubicati in posizione defilata) sia dai viali processionali che a questi conducono e che, come nelle
città greche accade per le plateiai, diventano un punto di aggregazione per gli edifici pubblici più
importanti dell’insediamento.
Al contrario, le evidenze per l’area meroitica mostrano significative differenze. Innanzitutto, non tutti
i centri presi in esame hanno restituito evidenze di aree di abitato: tali evidenze sono limitate ai centri
di Meroe e Muweis. Quest’osservazione può essere ricondotta alle discrepanze evidenziate tra i
centri di Napata e Meroe (cfr. Capitolo 4.d.i): la distinzione tra centri cerimoniali come Napata, in cui,
di conseguenza, è possibile ipotizzare non fossero presenti aree di abitato, e veri e propri
insediamenti come Meroe (forse con funzione di controllo), può essere affiancata da un’ulteriore
osservazione, che vedrebbe nell’assenza di aree di abitato un segno della cultura semi-nomade
attestata per l’area.
Posto che non sia quindi possibile definire sotto un comune denominatore i centri egiziani e sudanesi
analizzati, è comunque possibile rilevare delle analogie, consistenti nell’attenzione costantemente
dedicata agli ambienti cerimoniali. In altre parole, se per le aree di abitato e l’organizzazione
insediativa di questi centri si notano discrepanze significative tra Egitto e Sudan (che derivano da
una diversa concezione abitativa: popolazione stanziale in Egitto, popolazione semi-nomade in
Sudan), entrambe le realtà sembrano accomunate da una grande attenzione alla resa degli spazi
pubblici, che assumono sempre caratteri monumentali e significativi.
d. Epilogo
Quanto visto nel corso dell’elaborato consente di concludere affermando che non sia possibile
individuare un modello comune tra Egitto e Sudan: sebbene, come già evidenziato, sia possibile
individuare delle significative somiglianze (centralità del tempio e del viale processionale in relazione
allo sviluppo urbano e ai contesti pubblico/sacrali), gli insediamenti che si sviluppano nelle due aree
sono profondamente diversi.
Tali diversità, come si è già anticipato, sono evidenti soprattutto in relazione ai contesti abitativi: fatta
eccezione per Meroe e Muweis, in Sudan non ci sono attestazioni di aree di abitato, e anche in
110
queste due realtà, le aree insediative destinate alla popolazione (si esclude l’area della Città regale
di Meroe, le cui abitazioni erano destinate a sacerdoti ed élite) non sembrano aver restituito
attestazioni di un’attenta e durevole realizzazione e pianificazione. Al contrario, in Egitto, tutti gli
insediamenti hanno restituito evidenze di quartieri abitativi attentamente programmati e realizzati,
con costruzioni in muratura. Tale discrepanza è perfettamente comprensibile in quanto riflette un
tipo diverso di stanziamento: stabile in Egitto, semi-nomadico in Sudan. Se le differenze appaiono
significative per le aree di abitato, sembra invece possibile notare una gestione analoga degli spazi
pubblici e sacri e del modo in cui questi si legano tra loro tramite viali processionali.
Altra differenza significativa riguarda le preesistenze insediative, che in Egitto risultano molto forti ed
evidenti grazie al fatto che nella maggior parte degli insediamenti considerati (fanno eccezione gli
abitati collocati nell’area del Fayyum bonificata in epoca tolemaica) almeno un elemento faraonico
sia conservato e inserito nel nuovo tessuto urbano. In Sudan, al contrario, non si nota una presenza
così assidua di preesistenze: le uniche sono state individuate a Napata, che in quanto centro
cerimoniale mostra un legame privilegiato con la tradizione faraonica, e a Meroe, sebbene
scarsamente attestate.
Inoltre, la preesistenza faraonica in Egitto si lega ad un marcato influsso ellenistico. Diversa è la
situazione in area sudanese, dove la forte ripresa di elementi faraonici in epoca meroitica non si
accompagna ad una altrettanto significativa adozione di elementi ellenistici. Tale discrepanza trova
una giustificazione nel diverso rapporto che le due realtà sembrano avere con il mondo greco: l’Egitto
si trova a sperimentare una dominazione ellenistica diretta, di conseguenza le commistioni si fanno
più marcate e onnipresenti sia a livello urbanistico che a livello decorativo/architettonico. In Sudan,
invece, sebbene vi siano stati esempi di sovrani fortemente influenzati dalla cultura greca (Ergamene
I), la mancanza di una diretta dominazione ellenistica rese le commistioni meno marcate ed evidenti
soprattutto a livello decorativo (cfr. Figura 25).
In conclusione, è quindi possibile vedere come in luoghi geograficamente vicini e cronologicamente
contemporanei, si sviluppino tradizioni insediative molto diverse tra loro, in cui è percepibile la
presenza di elementi comuni (siano essi faraonici o ellenistici) che però non snaturano mai l’essenza
della realtà in cui si inseriscono, ma vengono sempre impiegati adattandoli al contesto locale.
111
6. ELENCO DELLE ILLUSTRAZIONI CON RELATIVA BIBLIOGRAFIA
Figura 1. Pianta di Alessandria – Pensabene 2007, p. 176, fig. 3
Figura 2. Pianta di Ermopoli – Abdelwahed 2015, p. 32, fig. 31
Figura 3. Ricostruzione del komasterion di Ermopoli – Davoli 2010, p. 363, fig. 19.4
Figura 4. Pianta di Antinoe – Pensabene 1995, p. 219, fig. 4
Figura 5. Mappa del Fayyum. In rosso, i siti analizzati – Rielaborazione da Davoli 1998, p. 33, fig. 1
Figura 6. Pianta parziale di Karanis. In evidenza, l’area del tempio – Rielaborazione da Davoli 1998,
p. 102, fig. 32
Figura 7. Pianta di Karanis in epoca romana - Davoli 2011, p. 80, fig. 12
Figura 8. Pianta di Philadelphia – Davoli 2011, p. 74, fig 4
Figura 9. Pianta di Tebtynis – Davoli 2011, p. 78, fig. 9
Figura 10. Pianta di Dionysias – Carpentiero – Tessaro 2016, p. 807, fig. 5
Figura 11. Pianta di Deir el-Medina – Toivari-Viitala 2011, p. 5, fig. 5
Figura 12. Viali processionali tebani – Cabrol 2001, pl. 2
Figura 13. Pianta di File – Haeny 1985, p. 229, fig. 5
Figura 14. Mappa della Nubia. In rosso, l’ubicazione di Napata – Rielaborazione da un’immagine
tratta da internet
Figura 15. Pianta di Napata – Immagine tratta da internet
Figura 16. Pianta del B1200 – Kendall – Wolf 2007, p. 82, fig. 1
Figura 17. Ricostruzione della sala del trono del B1200 – Kendall 2016, p. 126, fig. 6
Figura 18. Pianta del B100 – Kendall 2016, p. 10, fig. 1
Figura 19. Pianta del B2400 – Maillot 2016, p. 17, pl. II-6
Figura 20. Capitello ionico dal B2400 – Sist 2006, p. 479, fig. 19
Figura 21. Pianta del B1500 – Ciampini 2018b, p. 11, fig. 1
Figura 22. Ricostruzione della corte a peristilio al centro del B1500 – Callegher 2019, p. 22, fig. 4
Figura 23. Distinzione tra settore amministrativo (A) e monumentale (B) nel B1500 – Ciampini 2019b,
p. 48, fig. 2
Figura 24. Ricostruzione della facciata settentrionale del B1500 – Ciampini 2019b, p. 48, fig. 3
Figura 25. Tipologie di capitelli rinvenute a Napata - Iannarilli 2019, p. 69, fig. 1
Figura 26. Pianta del B3200 – Sist 2011, p. 165, fig. 6
Figura 27. Pianta parziale di Napata. In evidenza, il nuovo settore regale – Gottardo 2019, p. 15, fig.
2
112
Figura 28. Mappa della Nubia. In rosso, l’ubicazione di Meroe – Rielaborazione da un’immagine
tratta da internet
Figura 29. Pianta di Meroe con le varie strutture cromaticamente distinte – Maillot 2016, p. 160, c.
11
Figura 30. Pianta di Meroe – Török 1997a, fig. 1
Figura 31. Pianta della Città regale – Maillot 2016, p. 20, pl. II-10
Figura 32. Pianta di M294-295 – Maillot 2016, p. 21, pl. II-11
Figura 33. Pianta di M194-195 – Wolf – Onasch 2010, p. 45
Figura 34. Pianta di M191 – Rielaborazione da Török 1997a, fig. 2
Figura 35. Pianta di M251-253 e M250 – Maillot 2016, p. 22, pl. II-12
Figura 36. Pianta di M251-253 – Maillot 2016, p. 23, pl. II-13
Figura 37. Pianta parziale di Meroe con le varie strutture cromaticamente distinte (per la legenda,
cfr. Figura 29) – Maillot 2016, p. 160, c. 12
Figura 38. Pianta di M750 - Maillot 2016, p. 25, pl. II-15
Figura 39. Pianta di M740 – Rielaborazione da Maillot 2016, p. 77, pl. IV-7
Figura 40. Mappa del Butana. In rosso, i siti analizzati – Rielaborazione da Maillot 2016, p. 155, c. 2
Figura 41. Pianta di Wad Ben Naqa con gli edifici principali – Maillot 2016, p. 161, c. 13
Figura 42. Pianta di OBN100 realizzata nel 1962 – Maillot 2016, p. 27, pl. II-17
Figura 43. Pianta di OBN100 realizzata nel 2002 – Maillot 2016, p. 28, pl. II-18
Figura 44. Pianta di OBN51 – Maillot 2015a, p. 288, fig. 12
Figura 45. Pianta di Muweis – Maillot 2016, p. 163, c. 15
Figura 46. Pianta del palazzo di Muweis – Maillot 2016, p. 30, pl. II-20
Figura 47. Collocazione dei livelli sottostanti nel palazzo di Muweis – Maillot 2016, p. 31, pl. II-20A
Figura 48. Dettaglio dei livelli sottostanti nel palazzo di Muweis – Maillot 2016, p. 32, pl. II-20B
Figura 49. Confronto tra i palazzi di Muweis e Wad Ben Naqa (OBN100) con le aree simili
cromaticamente distinte – Maillot 2016, p. 34, pl. II-23
Figura 50. Pianta del Grande recinto – Maillot 2016, p. 37, pl. II-26
Figura 51. Pianta di MUS100 – Maillot 2016, p. 38, pl. II-27
Figura 52. Elefante scolpito – Maillot 2016, p. 246, fig. II-141
Figura 53. Il Tempio Orientale e il Tempio di Apedemak – Immagine tratta da internet
Figura 54. Il Jebel Barkal – Immagine tratta da internet
Figura 55. Confronto tra palazzi meroitici – Maillot 2016, p. 35, pl. II-24
Figura 56. Il B100 – Maillot 2016, p. 13, pl. II-2
Figura 57. I palazzi F e G di Avaris – Bietak – von Rüden 2018, p. 21, fig. 9
113
Figura 58. Pianta di M740, M191 e OBN51 (da sinistra, in alto) – Maillot 2016, p. 77, pl. IV-7
Figura 59. Pianta della porzione settentrionale della Città regale – Török 1997a, fig. 3
114
7. BIBLIOGRAFIA
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