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INIZIAMO A FAMILIARIZZARE CON LO STRUMENTO. Innanzi tutto, che chitarra scegliere? Classica, acustica, elettrica, solid body, hollow body… Le variabili che ci possono influenzare nella scelta sono molteplici e vanno dal genere che c’interessa alla quantità di lira che vogliamo o possiamo investire nella nuova passione e così via. Premesso che è assodato il fatto che l’approccio tecnico che si usa con una acustica è diverso da quello di una classica con le corde di nylon, così come da quello usato con una elettrica (anche se non è corretto secondo me parlare di strumenti “diversi”), ritengo che una buona scelta sia data, per il neofita, da una chitarra classica con le corde di nylon e con misure regolari, e ciò per due motivi: - 1) le misure del manico e le spaziature dei tasti, più ampi che in una acustica con le corde di metallo (steel guitar), ci costringeranno all’inizio ad “aprire” la mano, favorendo una impostazione molto corretta che assicurerà nel tempo alti benefici; - 2) l’action delle corde di nylon è sicuramente più morbida, consentendo da subito di ottenere qualche suono e di “martoriare” un po’ meno i nostri timidi polpastrelli, nonché di arrivare in breve tempo ad eseguire il famigerato ed odiato “barrè” (ovvero quel movimento con cui l’indice preme simultaneamente tutte o metà delle corde – azione che è la responsabile dell’ 80% degli abbandoni sul campo da parte dei novelli guitar-hero). Non appena saremo in grado di ottenere qualche suono intelligibile ed appresi i primi rudimenti di tecnica, potremo serenamente passare ad altri strumenti quali acustiche “steel strings”, sicuramente più gratificanti come suono in relazione ai generi attuali, od alle elettriche. E COME LA PRENDIAMO IN MANO? Questo è a mio avviso un aspetto tutt’altro che banale, anche se spesso si tende a trascurarlo. E’ opportuno, infatti, acquisire consapevolezza che ogni modo di “prendere in mano” la chitarra ha i suoi vantaggi e svantaggi; ognuno poi potrà scegliere la posizione che in ultima analisi gli risulterà più sciolta e naturale. Vediamo ora come possiamo “indossare” lo strumento. Esaminiamo in primis la posizione classica, che prevede che la chitarra sia appoggiata tra le due gambe, con la fascia inferiore dello strumento appoggiata sulla sinistra, quest’ultima a sua volta sollevata da terra di una quindicina di centimetri (esistono in commercio dei treppiedi appositi). L’avambraccio destro andrà saldamente appoggiato alla fascia superiore, curando che quest’ultima sia rivolta leggerissimamente in avanti (sono sufficienti pochi gradi). In questo modo la mano destra cadrà naturalmente all’altezza della buca, mentre il manico della chitarra sarà rivolto verso l’alto, in modo che diteggiando nelle prime

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INIZIAMO A FAMILIARIZZARE CON LO STRUMENTO.

Innanzi tutto, che chitarra scegliere? Classica, acustica, elettrica, solid body, hollow body…

Le variabili che ci possono influenzare nella scelta sono molteplici e vanno dal

genere che c’interessa alla quantità di lira che vogliamo o possiamo investire nella nuova passione e così via.

Premesso che è assodato il fatto che l’approccio tecnico che si usa con una

acustica è diverso da quello di una classica con le corde di nylon, così come da quello usato con una elettrica (anche se non è corretto secondo me parlare di strumenti “diversi”), ritengo che una buona scelta sia data, per il neofita, da una chitarra classica con le corde di nylon e con misure regolari, e ciò per due motivi:

- 1) le misure del manico e le spaziature dei tasti, più ampi che in una acustica con le corde di metallo (steel guitar), ci costringeranno all’inizio ad “aprire” la mano, favorendo una impostazione molto corretta che assicurerà nel tempo alti benefici;

- 2) l’action delle corde di nylon è sicuramente più morbida, consentendo da subito di ottenere qualche suono e di “martoriare” un po’ meno i nostri timidi polpastrelli, nonché di arrivare in breve tempo ad eseguire il famigerato ed odiato “barrè” (ovvero quel movimento con cui l’indice preme simultaneamente tutte o metà delle corde – azione che è la responsabile dell’ 80% degli abbandoni sul campo da parte dei novelli guitar-hero).

Non appena saremo in grado di ottenere qualche suono intelligibile ed appresi

i primi rudimenti di tecnica, potremo serenamente passare ad altri strumenti quali acustiche “steel strings”, sicuramente più gratificanti come suono in relazione ai generi attuali, od alle elettriche.

E COME LA PRENDIAMO IN MANO?

Questo è a mio avviso un aspetto tutt’altro che banale, anche se spesso si tende a trascurarlo. E’ opportuno, infatti, acquisire consapevolezza che ogni modo di “prendere in mano” la chitarra ha i suoi vantaggi e svantaggi; ognuno poi potrà scegliere la posizione che in ultima analisi gli risulterà più sciolta e naturale. Vediamo ora come possiamo “indossare” lo strumento.

Esaminiamo in primis la posizione classica, che prevede

che la chitarra sia appoggiata tra le due gambe, con la fascia inferiore dello strumento appoggiata sulla sinistra, quest’ultima a sua volta sollevata da terra di una quindicina di centimetri (esistono in commercio dei treppiedi appositi). L’avambraccio destro andrà saldamente appoggiato alla fascia superiore, curando che quest’ultima sia rivolta leggerissimamente in avanti (sono sufficienti pochi gradi).

In questo modo la mano destra cadrà naturalmente all’altezza della buca, mentre il manico della chitarra sarà rivolto verso l’alto, in modo che diteggiando nelle prime

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posizioni (cioè verso il capotasto), la mano sinistra si troverà circa all’altezza della spalla.

Questa impostazione consente grande fluidità di movimento e precisione di

suono. Per contro a volte può condizionare l’esecutore per la sua “seriosità”.

Rispetto alla precedente, risulta senz’altro più naturale la posizione a gambe accavallate, ancorché la posizione del manico sarà per forza meno inclinata verso l’alto e più parallela a terra. Attenzione, accavallare la gamba sinistra sulla destra non è la stessa cosa che il contrario: nel primo caso il manico sarà indirizzato più in alto, essendo un buon compromesso rispetto alla posizione classica; nel secondo il manico sarà più parallelo a terra, favorendo quindi posizioni della mano sinistra meno corrette. Per contro questa è la posizione più comoda e spontanea (non so voi, ma io se devo accavallare le gambe, metto automaticamente la destra sopra la sinistra; se devo fare il contrario ci devo “pensare su”….).

Ultima posizione che consideriamo è quella della chitarra semplicemente

appoggiata sulla gamba destra. E’ sicuramente la più naturale e spontanea ed è usata per questo motivo dalla stragrande maggioranza dei chitarristi; gli svantaggi sono dati dal fatto che la chitarra può tendere a scivolare in avanti; inoltre il braccio sinistro tenderà ad appoggiarsi alla gamba sinistra, il che non è necessariamente un male, ma neppure un bene.

Personalmente preferisco, suonando da seduti, tenere la chitarra sulle gambe

accavallate, scegliendo se appoggiare la chitarra sulla destra o sulla sinistra a seconda del tipo di brano che devo eseguire (dx se un semplice accompagnamento con il prettro, sx se suonando in fingerstyle o brani classici). La posizione classica, sicuramente la migliore per qualità di suono ottenibile, la usa solamente studiando in intimità, o se devo favorire la concentrazione, per esempio per registrare.

Suonando in piedi, il principale parametro è dato

dalla comodità; attenzione quindi all’altezza dello strumento, regolando bene la lunghezza della tracolla; ad ogni modo, attenzione all’inclinazione del manico rispetto a terra (si veda al riguardo questa bella foto di Riccardo Poli, nell’ultima tournee di Vasco Rossi).

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COME METTIAMO LE MANI? Mano sinistra - posizione classica:

Il pollice della sinistra andrà appoggiato al retro del manico in senso perpendicolare (senza pertanto fuoriuscire dal lato superiore), mentre le altre dita (che chiameremo indice = 1; medio = 2; anulare =3; mignolo = 4) saranno piegare a “martello”, mentre la base delle dita rimarrà parallela al manico stesso.

I vantaggi di questa impostazione sono di far

“lavorare” tutte e quattro le dita; di favorire la pulizia e

l’omogeneità di suono ottenibile specialmente eseguendo scale o passaggi a note singole, nonché di consentire di suonare accordi anche complessi su posizioni ampie. Il principale svantaggio è invece correlato al fatto che in partenza la posizione sembrerà innaturale, causando forti dolori al polso; l’impostazione altresì è poco sciolta “prendendo” accordi tradizionali, o per particolari tecniche moderne (bendings) che tratteremo più avanti.

Posizione alternativa (da rocker?):

Il palmo della mano sinistra andrà appoggiato al manico della chitarra, facendo in modo che il pollice fuoriesca dal lato superiore. E’ l’approccio più naturale e riposante, ottimo per suonare accordi nelle prime posizioni, anche perché il pollice può prendere qualche nota sul mi basso. Ottima se non indispensabile quando si tratta di “tirare le corde” (bending) poiché la forza praticata sul manico è molto più dosabile e controllabile. La posizione non è utilizzabile ovviamente per il barrè; tende anche a “chiudere” la mano.

Mano destra - posizione classica:

Il polso va mantenuto alto, mentre il pollice (p), deputato di norma a pizzicare le tre corde gravi (sesta = E; quinta = A; quarta = D) andrà a indirizzarsi verso la tastiera. Le altre tre dita (indice = i; medio = m; anulare = a), di norma deputate ai tre cantini (i = G; m = B; a = E), saranno rivolte il più possibile verso il ponticello. Il vantaggio è dato dal fatto che in questo modo le unghie di i,m,a, potranno pizzicare i cantini in modo perpendicolare, migliorando sensibilmente la qualità del suono prodotto.

Anche in questo caso gli svantaggi sono dati dall’innaturalità della posizione in

partenza (il polso troverà più comodo andare ad appoggiarsi quasi alle corde od al ponticello) e da una minore efficacia in alcune tecniche particolari (es. finger-picking con bassi alternati).

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Un’impostazione alternativa è quella usata appunto da molti “finger pickers”,

dove il palmo della mano viene appoggiato al ponticello, fornendo una solida base per il movimento del pollice sulle corde basse che viene così favorito; per contro i cantini “suoneranno” di meno.

Importante distinzione tra le due tecniche e data dal fatto che nel modo

classico, la lunghezza delle unghie, da tenersi sporgenti di almeno un millimetro dal polpastrello, è decisiva per la pulizia e profondità del suono; nella seconda impostazione si ottengono buoni risultati anche suonando con i polpastrelli. USO DEL PLETTRO

Il plettro è quella stupida cosa di plastica o di celluloide che sparisce sempre quando che ne hai bisogno, ha una innata tendenza ad infilarsi nella buca della chitarra e che serve a pizzicare le corde con un volume senz’altro superiore a quello che si può ottenere con le dita.

N’esistono di varie fogge e colori e di diversi spessori e durezze. Quest’ultimo

è un aspetto importante da considerare perché la durezza del plettro influenza sicuramente il suono e la dinamica: plettri sottili, di norma utilizzati per accompagnamenti a corde piene, forniscono un tappeto sonoro “rotolante”; i plettri più duri, usati per note singole, power chords e non solo, consentono un maggiore controllo della dinamica (= volume d’emissione).

Personalmente opto sicuramente per i plettri duri, anche se devo

accompagnare; ultimamente sull’elettrica ottengo ottimi risultati con monete da 10 o 50 cent di euro, che hanno il bordo zigrinato (Brian May & Billy Gibbons docet…)… Esistono, sommariamente, tre modi di gestire la pennata:

1. di dita: polso appoggiato sul ponte, eventualmente anulare e mignolo appoggiati sulla cassa, il movimento del plettro è assicurato dall’articolazione di pollice ed indice, a volte sostenuti dal medio. Questa impostazione consente grande accuratezza, ma non assicura una grande gestione della dinamica, ed è un po’ scomodo nei cambi di corda;

2. di polso: avambraccio ancorato sulla cassa e dita che rimangono saldamente

ferme, il movimento e’ tutto incentrato sul polso. Buona accuratezza e migliore gestione della dinamica;

3. di avambraccio: in movimento fa fulcro sul gomito, mentre polso e dita

rimangono salde. Tipico dello strumming (accompagnamento a corde piene), è caratterizzato da precisione nulla e immense capacità dinamiche.

Quale scegliere? Che domande! Direi tutti e tre! Ogni tecnica emerge in un

particolare contesto ed è sicuramente vincente saperle gestire tutte al meglio. Alcuni esempi operativi:

- linee melodiche singole: pennata di dita; - fraseggio più o meno virtuosistico: pennata di polso;

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- accompagnamenti leggeri e precisi: penata di polto; - arpeggi : di dita o di polso; - accordi in risalto, ben evidenziati: pennata di avambraccio.

PRIMA DI INIZIARE A SUONARE…

Prima di iniziare a suonare, focalizziamo la nostra attenzione su alcuni aspetti di carattere generale sulla musica, sulle sue regole e sui suoi elementi.

Immaginiamo di progettare o costruire una casa, sia essa una modesta abitazione oppure la villa più pretenziosa. Pensiamo alle fondamenta, alle varie stanze, alle finiture finali. In ogni caso, i nostri muri saranno composti di mattoni, del tutto identici gli uni con gli altri.

Analogamente, anche la nostra musica è composta di varie ordinate “file di mattoni”, che tenderanno a ripetersi nel corso della canzone. Queste “cellule” prendono il nome di “Patterns”.

Ma l’analogia con l’architettura non si ferma qui: così come la raffigurazione della nostra casa prevedrà sempre tre dimensioni (larghezza, altezza e profondità), anche la nostra musica deve tenere conto di tre diversi aspetti fondamentali, pur notevolmente interdipendenti tra loro:

�Melodia

�Armonia

�Ritmo.

La melodia può essere definita come “un’emissione di note suonate (cantate)

una alla volta”. Immaginiamo il canto della voce umana, o il suono di un flauto, di un violino, o anche della chitarra solista. Le frasi melodiche trovano origine ed organizzazione nelle “scale”.

E’ assai difficile trovare composizioni musicali che si limitino alla sola melodia. Quasi sempre ad una linea melodica è affiancato un accompagnamento di note che “stanno bene insieme”, potremmo quasi dire che stanno in “armonia”. Queste note, quando sono suonate insieme, prendono il nome di “accordi”; le relative sequenze di accordi che continuano a ripetersi nel corso di un canzone si chiamano “giri armonici”, o “progressioni armoniche”.

Note singole ed accordi significano ben poco se non sono ben ordinate nel tempo; il modo in cui queste sono organizzate si chiama ritmo, che potremmo paragonare alle fondamenta, o all’anima della nostra musica. Senza ritmo, il nostro castello …crolla.

E’ importante, sin dall’inizio, imparare a riconoscere i “patterns”, siano essi “melody patterns”, “harmony patterns” o “rhythmical patterns”. Questo ci aiuterà nella lettura delle partiture, facilitando la memorizzazione delle varie parti. Inoltre il possesso di un vasto vocabolario di patterns sarà indispensabile per consentire un’interpretazione personale dei vari brani o per l’improvvisazione.

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INIZIAMO A “SCOVARE” LE NOTE SULLA TASTIERA

Impariamo immediatamente un paio di cose sensazionali:

La prima corda (la più sottile) emette la nota MI E La seconda corda emette la nota SI B La terza corda emette la nota SOL G La quarta corda emette la nota RE D La quinta corda emette la nota LA A La sesta corda (la più grossa) emette la nota MI E

Se premiamo la corda al primo tasto, aumenteremo l’intonazione della nota

emessa dalla corda a vuoto d’UN SEMITONO. Se premiamo la corda al dodicesimo tasto, osserveremo che otterremo lo

stesso suono della corda a vuoto, solamente più acuto. La notazione tradizionale in uso nell’occidente, prevede che in ogni ottava

(che sarebbe appunto l’intervallo intercorrente tra una nota e la sua medesima più acuta) intercorrano appunto 12 SEMITONI.

La scala naturale prevede invece sette suoni (le famose sette note) cosi’

intervallati: DO – RE due semitoni (= un tono) RE - MI due semitoni (= un tono) MI - FA un semitono FA - SOL due semitoni (= un tono) SOL – LA due semitoni (= un tono) LA - SI due semitoni (= un tono) SI - DO un semitono

Per fornire un esempio visivo, possiamo affermare che queste sette note rappresentano i tasti bianchi del pianoforte. E le note che si trovano a metà strada (i tasti neri)?

Queste si chiamano “note alterate” e prendono il nome della nota immediatamente precedente seguita dal simbolo “DIESIS” (#) o della nota immediatamente successiva seguita dal simbolo “BEMOLLE” (b).

Pertanto la nota tra il DO ed il RE prenderà il nome di DO# o di REb; la nota

tra il RE ed il MI diventerà RE# o Mib e così via.

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A questo punto possiamo impostare una “mappa” dei suoni della chitarra:

O 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 16 17 E F F# G G# A A# B C C# D D# E F F# G G# A B C C# D D# E F F# G G# A A# B C C# D D# E G G# A A# B C C# D D# E F F# G G# A A# B C D D# E F F# G G# A A# B C C# D D# E F F# G A A# B C C# D D# E F F# G G# A A# B C C# D E F F# G G# A A# B C C# D D# E F F# G G# A O 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 16 17

Impostiamo ora la stessa “mappa”, ma evidenziando i bemolle:

O 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 16 17 E F Gb G Ab A Bb B C Db D Eb E F Gb G Ab A B C Db D Eb E F Gb G Ab A Bb B C Db D Eb E G Ab A Bb B C Db D Eb E F Gb G Ab A Bb B C D Eb E F Gb G Ab A Bb B C Db D Eb E F Gb G A Bb B C Db D Eb E F Gb G Ab A Bb B C Db D E F Gb G Ab A Bb B C Db D Eb E F Gb G Ab A O 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 16 17 TONALITA’ e MODI

Ogni scala (consideriamo per il momento unicamente le scale di sette note), può iniziare da una qualsiasi delle dodici note. La nota di partenza definisce la TONALITÀ della scala stessa.

La sequenza di toni e di semitoni che seguirà definisce invece il “MODO” della scala. pertanto, ad esempio se trattiamo una scala in Do maggiore, stiamo parlando di tonalità di Do e modo maggiore.

Il modo maggiore, presenta la seguente sequenza di note: 2 toni, 1 semitono, 3 toni, 1 semitono.

C D E F G A B C TONO TONO SEMITONO TONO TONO TONO SEMITONO

Il modo minore invece è caratterizzato da: 1 tono, 1 semitono, 2 toni, 1 semitono, 2 toni.

A B C D E F G A TONO SEMITONO TONO TONO SEMITONO TONO TONO

Osserviamo ora che le due scale sopra evidenziate utilizzano tutte le stesse

note, ancorché siano sviluppate su “modi” diversi. Tra le due scale esiste, infatti, una forte correlazione, che ci porta a definire che: “a ogni scala maggiore ne corrisponde una minore, che si colloca un tono e mezzo sotto la relativa scala maggiore”.

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Le SCALE dei MODI MAGGIORI Tonalità di Do Maggiore:

C D E F G A B C TONO TONO SEMITONO TONO TONO TONO SEMITONO Proviamo ora a partire dalla nota SOL, usando le note della scala naturale:

G A B C D E F G TONO TONO SEMITONO TONO TONO TONO SEMITONO

Osserviamo che tra le note evidenziate in rosso e gli intervalli evidenziati in blu, esiste una discrepanza: infatti tra E e F l’intervallo esatto è di un semitono, mentra tra F e G l’intervallo è di un tono. A questo punto arriva in nostro soccorso il già citato Diesis (#), che sistema le cose: Tonalità di Sol Maggiore:

G A B C D E F# G TONO TONO SEMITONO TONO TONO TONO SEMITONO

Tra E e F# l’intervallo è, infatti, di un tono, così come tra F# e G l’intervallo è di un semitono. Abbiamo pertanto dimostrato che la tonalità di SOL maggiore è caratterizzata dalla presenza di un diesis (tecnicamente si dice “ha un diesis in chiave”). Ripetiamo l’esercizio partendo dalla nota RE:

D E F# G A B C D TONO TONO SEMITONO TONO TONO TONO SEMITONO

Ritroviamo la stessa situazione vista in precedenza, con un intervallo di un semitono tra sesto e settimo grado della scala (anziché un tono), e di un tono tra settimo ed ottavo (anziché un semitono), Per contro, la presenza dell’alterazione da F a F# nel terzo grado della scala consente una giusta articolazione dei primi quattro gradi. Per sistemare le cose, usiamo lo stesso “stratagemma” della volta precedente, aggiungendo un diesis sul settimo grado della scala: Tonalità di Re Maggiore:

D E F# G A B C# D TONO TONO SEMITONO TONO TONO TONO SEMITONO

Osserviamo così che la tonalità di RE maggiore “ha due diesis in chiave” . Vediamo che cosa succede con “tre diesis in chiave”:

Tonalità di La Maggiore:

A B C# D E F# G# A TONO TONO SEMITONO TONO TONO TONO SEMITONO

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Con “quattro diesis in chiave”: Tonalità di Mi Maggiore:

E F# G# A B C# D# E TONO TONO SEMITONO TONO TONO TONO SEMITONO

Proviamo ora a partire dalla nota FA, usando le note della scala naturale: F G A B C D E F

TONO TONO SEMITONO TONO TONO TONO SEMITONO

Notiamo ora che la discrepanza si trova tra il terzo ed il quarto grado della scala. Infatti, tra A e B l’intervallo è di un tono; tra B e C è di un semitono, mentre dovrebbe essere il contrario. Questa volta interviene in nostro aiuto il Bemolle (b): Tonalità di Fa Maggiore:

F G A Bb C D E F TONO TONO SEMITONO TONO TONO TONO SEMITONO

In questo caso affermeremo che la tonalità di Fa “ha un bemolle in chiave” Vediamo che cosa succede con “due bemolle in chiave”:

Tonalità di Sib Maggiore:

Bb C D Eb F G A Bb TONO TONO SEMITONO TONO TONO TONO SEMITONO

Con “tre bemolle in chiave”: Tonalità di Mib Maggiore:

Eb F G Ab Bb C D Eb TONO TONO SEMITONO TONO TONO TONO SEMITONO Riepilogo delle scale più usate nelle tonalità maggiori: Tonalità C G D A E F Bb Eb Alterazioni in chiave:

1 # 2# 3# 4# 1b 2b 3b

Tono C G D A E F Bb Eb Tono D A E B F# G C F Semitono E B F# C# G# A D G Tono F C G D A Bb Eb Ab Tono G D A E B C F Bb Tono A E B F# C# D G C Semitono B F# C# G# D# E A D C G D A E F B E Ed ora esercitiamoci.

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Le SCALE dei MODI MINORI

Riprendiamo il concetto che “a ogni scala maggiore ne corrisponde una minore, che si colloca un tono e mezzo sotto la relativa scala maggiore”. Vediamo, con facilità che:

Alla tonalità di: corrisponde quella

di: Do Maggiore La minore Sol Maggiore Mi minore Re Maggiore Si minore La Maggiore Fa#minore Mi Maggiore Do#minore Fa Maggiore Re minore Sib Maggiore Sol minore Mib Maggiore Do Minore Riepiloghiamo così le scale nelle tonalità minori: Tonalità Amin Emin Bmin F#min C#min Dmin Gmin Cmin Alterazioni in chiave:

1 # 2# 3# 4# 1b 2b 3b

Tono A E B F# C# D G C Semitono B F# C# G# D# E A D Tono C G D A E F Bb Eb Tono D A E B F# G C F Semitono E B F# C# G# A D G Tono F C G D A Bb Eb Ab Tono G D A E B C F Bb A E B F# C# D G C SCALE MINORI MELODICHE E SCALE MINORI NATURALI

Se proviamo a suonare le scale sopraindicate, noteremo che in senso ascendente lasciano un “sapore” “statico”, contrariamente alle scale in maggiore, che hanno un “sapore” ricco di tensione. Per contro, in senso discendente, la predetta “staticità” delle scale minori conferisce un tocco di rilassatezza. In relazione a quanto precede, sono state introdotte le scale minori “melodiche” che si sviluppano nella prima parte come le scale minori naturali, ma presentano il sesto e settimo grado alterati, in modo da creare la medesima “tensione risolutiva” verso la tonica all’ottava superiore tipica delle scale maggiori. Negli esempi sulla tastiera, le scale minori sono state evidenziate secondo il modo “Minore melodico” in senso ascendete, e minore naturale in senso discendente.

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Riepiloghiamo le scale”minori melodiche” Tonalità Amin Emin Bmin F#min C#min Dmin Gmin Cmin Tono A E B F# C# D G C Semitono B F# C# G# D# E A D Tono C G D A E F Bb Eb Tono D A E B F# G C F Semitono E B F# C# G# A D G Tono F# C# G# D# A# B E A Tono G# D# A# E# B# C# F# B A E B F# C# D G C Esercitiamoci:

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GLI ACCORDI (mettiamo le note insieme)

Nel capitolo precedente abbiamo imparato dove si collocano le note nella

tastiera della chitarra, oltre ai primi principi che regolano i modi più importanti (maggiore e minore) e le tonalità più usate dai chitarristi.

Le scale che abbiamo iniziato a conoscere, e sulle quali mi auguro

continuerete ad esercitarvi, sono l’espressione di un’emissione di note “monofonica”, quindi ad una voce sola, e rappresentano i “fondamentali” per l’esposizione delle “melodie”. Per fare un paragone, un’espressione tipica della melodia, quindi monofonica, è il canto della voce umana.

L’espressione di una emissione di più note, magari diverse, simultanee si

chiama “polifonica”, e, ancorché possa verificarsi in contesti melodici (es. una linea di canto esposta insieme da una voce maschile e da una femminile in simultanea), trova la massima applicazione nell’ “armonia”, che potremmo rappresentare come il vestito, il contorno dell’oggetto principale (appunto il canto, sia esso esposto dalla voce umana piuttosto che da altro strumento monofonico – chitarra, violino, sax, flauto…..).

Il nome stesso di “armonia” ci porta a raffigurare un insieme di note che

“stanno bene insieme”, che ben si accompagnano, che, in pratica, vanno…..”d’accordo”.

Infatti, prende il nome di accordo un insieme di note emesse simultaneamente

(o in breve sequenza tra loro, ed allora parleremo di “arpeggi”) e caratterizzate da “intervalli” ben determinati.

Gli accordi possono essere “perfetti” o “consonanti”, se piacevoli all’udito, o

“imperfetti” o “dissonanti” se il loro ascolto risulta sgradevole. L’armonia tonale, che caratterizza buona parte della musica dal 1600 sino ai

giorni nostri, prevede perlopiù l’uso d’ accordi consonanti, ancorché alcuni accordi dissonanti siano talvolta usati per introdurre cambi di tonalità o particolari momenti di tensione nei brani.

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Gli intervalli

Per analizzare la struttura degli accordi, è indispensabile fornire qualche cenno sugli intervalli.

Esaminiamo il nostro ormai familiare diagramma della scala maggiore e

scriviamo sotto l’intervallo che intercorre tra ogni nota e la tonica: C D E F G A B C

TONO TONO SEMITONO TONO TONO TONO SEMITONO Seconda

Terza

Maggiore Quarta

Quinta Giusta

Sesta Settima Maggiore

Ottava

Analogo ragionamento per la scala minore:

A B C D E F G A TONO SEMITONO TONO TONO SEMITONO TONO TONO Seconda Terza

Minore Quarta Quinta

Giusta Sesta Settima

Minore Ottava

BICORDI – TRIADI – TETRADI

Abbiamo detto che gli accordi altro non sono che “insiemi di note”, legate tra di loro da intervalli ben precisi. Assumono il nome di:

�“bicordi” – quando sono formati da due note, generalmente nota fondamentale e relativa terza, oppure nota fondamentale e relativa quinta;

�“triadi” – formati da tre note: fondamentale, terza e quinta:

�“tetradi” – formati da quattro note: fondamentale, terza, quinta e settima.

Ci occuperemo approfonditamente dei bicordi nel capitolo dedicato ai “power chords”, ambito in cui trovano la loro principale applicazione. Ora analizziamo le triadi e le tetradi.

Innanzi tutto, osservando anche i due diagrammi sopra riportati, appare subito

evidente il ruolo decisivo giocato dalle terze nella formazione degli accordi. Infatti, l’uso della terza maggiore piuttosto che della terza minore arriva a cambiare radicalmente il carattere degli accordi stessi, che sarà aperto e brillante nel caso degli accordi con la terza maggiore (accordi maggiori) quanto cupo e chiuso nel caso degli accordi con la terza minore (accordi minori).

Vediamo ora che tipo di triadi si riesce ad ottenere usando le sette note della scala naturale.

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Tonalità di DO

C D E F G A B C D E F G A B C Do Maggiore

(N.F. – Terza Magg. – quinta)

C D E F G A B C D E F G A B C Re Minore

(N.F. – Terza Minore – quinta)

C D E F G A B C D E F G A B C Mi Minore

(N.F. – Terza Minore – quinta)

C D E F G A B C D E F G A B C Fa Maggiore

(N.F. – Terza Magg. – quinta)

C D E F G A B C D E F G A B C Sol Maggiore

(N.F. – Terza Magg. – quinta)

C D E F G A B C D E F G A B C La Minore

(N.F. – Terza Minore – quinta)

C D E F G A B C D E F G A B C Si ° (semidiminuito)

(N.F. – Terza Min – quinta dim.)

Osserviamo che le triadi costruite sulla scala naturale (ovviamente le

medesime triadi formate sulla scala di Do maggiore sono le stesse che ricaveremo da quella di La minore naturale) sono essenzialmente di tre tipi: �

maggiori (Do magg, Fa magg, Sol magg) �minori (Re min, Mi min, La min) �semidiminuite (Si°)

Quest’ultimo accordo differisce da un qualsiasi accordo minore per l’intervallo

di quinta, che dista tre toni dalla nota fondamentale (di seguito n.f.) (quinta diminuita) anziché tre toni e mezzo, tipici di accordi minori e maggiori (quinta giusta). Analizziamo ora le tetradi:

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Tonalità di DO

C D E F G A B C D E F G A B C Do Maj 7

(N.F. – Terza Magg. – quinta - settima)

C D E F G A B C D E F G A B C Re Minore 7

(N.F. – Terza Minore – quinta – settima min.)

C D E F G A B C D E F G A B C Mi Minore 7

(N.F. – Terza Minore – quinta – settima min.)

C D E F G A B C D E F G A B C Fa Maj 7

(N.F. – Terza Magg. – quinta - settima)

C D E F G A B C D E F G A B C Sol Maggiore 7

(N.F. – Terza Magg. – quinta – settima min.)

C D E F G A B C D E F G A B C La Minore 7

(N.F. – Terza Minore – quinta – settima min.)

C D E F G A B C D E F G A B C Si ° (semidiminuito)

(N.F. – Terza Min – quinta dim. – settima min.)

In questo caso è da rilevare che: �

Gli accordi minori (Re min, Mi min, La min) e l’accordo semidiminuito (Si°) si completano con la settima minore (cinque toni vs. n.f. o, più semplicemente, un tono dall’ottava). �Gli accordi di Do maggiore e Fa maggiore si completano con la settima maggiore (cinque toni e mezzo vs. n.f. o, più semplicemente, un semitono dall’ottava). �L’accordo di Sol Maggiore si completa con la settima minore (cinque toni vs. n.f. o, più semplicemente, un tono dall’ottava). Questo è un aspetto da prendere in attenta considerazione sin dall’inizio. Infatti, l’accordo di settima costruito sul quinto grado della scala (nota di Sol in una scala di Do maggiore), o dominante, prende il nome di “accordo di settima di dominante” ed ha influenzato in modo esagerato la musica degli ultimi quarant’anni……

A questo punto i più pazienti di voi potranno esercitarsi a ricavare tutti gli accordi che interessano le altre tonalità. I meno pazienti, se mi assicurano che i concetti espressi sono stati assimilati, potranno invece consultare direttamente le seguenti tabelle:

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Tonalità di Sol maggiore / Mi minore – triadi Nome accordo: G Amin Bmin C D Emin F#° Root (*) G A B C D E F# Terza B C D E F# G A Quinta D E F# G A B C (*) Root = Nota Fondamentale (N.F.) – dall’inglese “radice”. Tonalità di Sol maggiore / Mi minore – tetradi Nome accordo: Gmaj7 Amin7 Bmin7 Cmaj7 D7 Emin7 F#° Root (*) G A B C D E F# Terza B C D E F# G A Quinta D E F# G A B C Settima F# G A B C D E Tonalità di Re maggiore / Si minore – tetradi Nome accordo: Dmaj7 Emin7 F#min7 Gmaj7 A7 Bmin7 C#° Root (*) D E F# G A B C# Terza F# G A B C# D E Quinta A B C# D E F# G Settima C# D E F# G A B Tonalità di La maggiore / Fa# minore – tetradi Nome accordo: Amaj7 Bmin7 C#min7 Dmaj7 E7 F#min7 G#° Root (*) A B C# D E F# G# Terza C# D E F# G# A B Quinta E F# G# A B C# D Settima G# A B C# D E F# Tonalità di Mi maggiore / Do# minore – tetradi Nome accordo: Emaj7 F#min7 G#min7 Amaj7 B7 C#min7 D#° Root (*) E F# G# A B C# D# Terza G# A B C# D# E F# Quinta B C# D# E F# G# A Settima D# E F# G# A B C# Tonalità di Fa maggiore / Re minore – tetradi Nome accordo: Fmaj7 Gmin7 Amin7 Bbmaj7 C7 Dmin7 E° Root (*) F G A Bb C D E Terza A Bb C D E F G Quinta C D E F G A Bb Settima E F G A Bb C D Tonalità di Sib maggiore / Sol minore – tetradi Nome accordo: Bbmaj7 Cmin7 Dmin7 Ebmaj7 F7 Gmin7 A° Root (*) Bb C D Eb F G A Terza D Eb F G A Bb C Quinta F G A Bb C D Eb Settima A Bb C D Eb F G

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Tonalità di Mib / Do minore – tetradi Nome accordo: Ebmaj7 Fmin7 Gmin7 Abmaj7 Bb7 Cmin7 D° Root (*) Eb F G Ab Bb C D Terza G Ab Bb C D Eb F Quinta Bb C D Eb F G Ab Settima D Eb F G Ab Bb C

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LE DITEGGIATURE DEGLI ACCORDI PIU’ USATI

C • • • •

C

III • • • • • •

C

VIII • • • • • •

C • • • •

Dmin x • • •

Dmin

V • • • • • •

Dmin

X • • • • • •

Dmin x • • • •

Emin • •

Emin

VII • • • • • •

Emin x

III • • • •

Emin x

II • • • •

F • • • • • •

F x • • • • •

F

VIII • • • • • •

F x

V • • • • •

G • • (•) •

G • • • • • •

G • • • • • •

G x

VII • • • • •

Amin • • •

Amin

V • • • • • •

Amin

VIII • • • •

Amin

VII • • • •

B° x x • • • •

B° x x

IX • • • •

B° x x • • • •

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Dall’esame degli accordi sopra riportati, vediamo la presenza ricorrente di tre posizioni per il modo maggiore e tre per il modo minore, che differiscono per ogni accordo unicamente per la “posizione di partenza”, determinata dal differente capotasto da cui si “snoda l’accordo”. Nello schema riportato nella pagina precedente, questi accordi sono evidenziati con il colore rosso. Pertanto l’accordo di Fa maggiore indicato a lato, spostato di due semitoni verso il ponticello, diventerà Sol Maggiore; spostato di un ulteriore semitono diventerà Sol# Maggiore (o Lab maggiore), spostato di altri due semitoni diventerà Sib Maggiore e così via. Abbiamo presto capito che in questo modo possiamo trovare

F • • • • • •

qualsiasi accordo maggiore o minore, spostando adeguatamente la mano lungo la tastiera partendo da una delle tre posizioni principali. Di seguito, completiamo l’evidenza degli accordi più’ usati, in particolare in prima posizione, oltre ai principali accordi di settima (tetradi).

D • • •

Eb

III • • • • •

E • • •

F# • • • • • •

G • • •

A • • •

Bb • • • • • •

B • • • • • •

Cmin

III • • • • • •

Fmin • • • • • •

Gmin

III • • • • • •

Bmin • • • • • •

F#min • • • • • •

Bbmin • • • • • •

Ebmin x x • • • •

Bbmin

VI • • • • • •

Cmaj7 • • •

Cmaj7

II • • • •

C7 • • • •

C7

III • • • • • •

Dmaj7 • • •

D7 • • •

E7 • • •

E7 • •

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Fmaj7

• • • •

F7 • • • • • (•)

Gmaj7 • • • (•)

Gmaj7 x x

III • • • •

G7 • • •

A7 • •

A7 • • • •

D7 x x • • • •

Bbmaj7 • • • • • •

B7 • • • • • •

D7 x • • • •

A7

III • • • •

G7 x x x

III • • •

Gmaj7 x x

III • • • •

Gmin7 x x

III • • • •

Dmin7 x x

III • • • •

Bmin7

x x • • •

Amin7 • • • •

D7

III • • •

Amaj7

III • • • •

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UN SEMPLICE E DIVERTENTE GIOCHINO SUGLI ACCORDI:

Mettiamo sul lettore Cd una canzone qualsiasi, di quelle con una melodia che tende a ripetersi.

Concentriamoci su un punto preciso della canzone, che ne so, l’inizio della

prima strofa (ma consideriamo proprio solo la prima misura, in altre parole il primo “un-due-tre-quattro).

Proviamo a capire il “sapore” di quel particolare punto: è arioso ed aperto,

oppure è triste e cupo? Perché nel primo caso è assai probabile che ci troviamo di fronte ad un accordo maggiore; nel secondo caso avremo quasi sicuramente un accordo minore. Mettiamo che sia un momento gioioso, quindi avremo un accordo maggiore.

Prendiamo ora in mano la chitarra e cerchiamo sulla prima corda una nota che

possa trovarsi a suo agio in quella situazione. Facciamo finta d’averla trovata nel la suonato al quinto tasto.

Come abbiamo accennato poco sopra, per quella nota passano di sicuro tre tipi di accordo maggiore:

D

V • • • • • •

A

V • • • • • •

F x

VIII • • • • •

Sicuramente troveremo che uno di questi tre accordi ben si adatta al nostro

contesto musicale. Supponiamo, sempre al fine del nostro gioco, che l’accordo corrisponda al La

maggiore (A). Prendiamo ora la misura successiva (un altro un-due-tre-quattro) e ripetiamo il

giochino: com’è il “flavor” di questa misura? Supponiamo che sia un po’ cupo, quindi minore.

Troviamo anche qui una nota sulla prima corda che si adatti bene al contesto,

ad esempio un Fa# al secondo tasto. Per questa nota passano tre tipi di accordo minore:

Bmin II • • • • • •

F#min II • • • • • •

D#min x x • • • •

Troviamo anche qui l’accordo giusto, es. il F#min.

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Riepiloghiamo: A / / / F#min / / /

Complimenti, abbiamo gettato i primi semi per la trascrizione del nostro primo giro armonico……. ANDIAMO A FARE UN GIRO (ARMONICO).

Nell’iniziare a parlare dei giri armonici, la memoria non può non ritornare, con

un pizzico di rimpianto, ai tempi di scuola, quando, con fare colpevole, ci passavamo tra i banchi non solo qualche dritta sui compiti in classe, ma soprattutto fogliettini spiegazzati con sopra indicate le sigle degli accordi delle canzoni più in voga del momento. …

Questo ricordo, che sicuramente avrà fatto sorridere qualcuno di voi, ci porta ora ad azzardare una definizione di giro armonico:

“Il giro armonico è una sequenza di accordi che si ripete nel corso della

canzone o del brano”. Da quest’affermazione emergono subito un paio di osservazioni:

�Quali accordi compongono questi giri?

�Per quanto tempo devo suonare ogni accordo? Ci occuperemo ora di dare risposte al primo interrogativo, rimandando il

secondo, che non è di minore importanza, ai prossimi capitoli, quando tratteremo la ritmica e l’accompagnamento.

Riprendiamo ora un attimo la nostra amata scala maggiore naturale che

abbiamo visto in precedenza.

C D E F G A B C TONO TONO SEMITONO TONO TONO TONO SEMITONO

Ogni grado della scala, sul quale possiamo costruire i relativi accordi, assume le seguenti definizioni: C Primo grado Tonica I D Secondo grado Sopratonica ii E Terzo grado Mediante o Caratteristica iii F Quarto grado Sottodominante IV G Quinto grado Dominante V A Sesto grado Sopradominante vi B Settimo grado Sensibile vii°

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Le sigle esposte nell’ultima colonna, che ci troveremo ad usare spesso, vanno così interpretate:

Numero romano maiuscolo: accordo maggiore �

Numero romano minuscolo: accordo minore �

Numero romano seguito dal simbolo “°”: accordo semidiminuito.

Da quanto abbiamo sopra esposto, possiamo intuire immediatamente che “gli accordi che possono formare i nostri giri armonici sono quelli formati sulle note della scala naturale”.

Quest’affermazione trova riscontro nell’analisi di buona parte della musica

colta ed extra colta, dal folk al pop, dalle canzoni più semplici a composizioni anche complesse (attenzione: ho detto buona parte, non tutta!).

Ovviamente ciascun accordo ha un suo carattere ben preciso, che è

importante arrivare a conoscere: in pratica riusciamo a capire come suona ogni accordo? Ci dà una sensazione di stabilità oppure ci fornisce un senso di movimento, di tensione?

Proviamo a suonare una singola sequenza di tre accordi:

C / / / G / / / F / / /

Il campione d’esame è sicuramente completo, tenuto conto che questi tre accordi contengono al loro interno tutte le note della scala (C,E,G – G,B,D - F,A,C). Analizziamo:

�Primo grado - Do maggiore: notiamo subito che quest’accordo ci conferisce un senso di stabilità, di arrivo (come essere in porto). Lo chiameremo “regione di tonica”.

�Quinto grado – Sol maggiore: la sensazione emanata è di forte instabilità; sembra quasi reclamare con urgenza la risoluzione sulla tonica. Lo chiameremo “regione di dominante”.

�Quarto grado – Fa maggiore: accordo di movimento, o di transizione. Anche questo reclama una risoluzione, anche se con meno enfasi del precedente, perlopiù verso la dominante, ma non solo. Lo chiameremo “regione di sottodominante”.

E’ impressionante comprendere quante canzoni sono state composte usando

questi semplici giri armonici: DO – SOL (filastrocche, ninne nanne, marcette etc) DO – FA – SOL (La bamba, Twist and shout, Wild Thing, Blowing in the wind.)

E gli altri accordi della scala? Abbiamo almeno altri tre minori e un semidiminuito che attendono di essere usati! Anche questi hanno un loro carattere e possono essere pertanto inseriti in una delle predette “regioni”:

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Regione di tonica Stabilità I (C), vi (Amin), iii (E min) Regione di sottodominante Movimento IV (F), ii (Dmin) Regione di dominante Tensione V (G), vii° (B°)

Alcuni giri d’uso comune: I-vi-IV-V: (“Every Breath You Take”, “One”) I-vi-ii-V: (“Il cielo in una stanza”, “Sapore di sale”).

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ACCOMPAGNAMOCI!

Nei capitoli precedenti abbiamo preso confidenza con la posizione delle note sulla tastiera, fattore indispensabile per iniziare a riprodurre qualche melodia, e conosciuto i primi fondamenti che regolano l’emissione simultanea di più note, ovvero gli accordi, aspetto che è alla base della non meno importante materia dell’armonia.

Ci appare subito evidente che una conoscenza anche approfondita di scale ed accordi non è sufficiente per ottenere risultati apprezzabili su ciò che effettivamente ci interessa: FARE MUSICA.

Ci manca la tessera finale del puzzle; ci manca la definizione di “quando” e

“quanto a lungo” dobbiamo far suonare queste note. Ci manca il RITMO. Per capire che cos’è il ritmo e quale sia la sua importanza nella musica,

facciamo un breve paragone con la nostra vita di tutti i giorni. Il ritmo è il nostro respiro, calmo e rilassato se siamo sereni, veloce se siamo eccitati, breve ed affannato se siamo arrabbiati o preoccupati. Il ritmo è il nostro passo, come quando camminiamo o iniziamo a correre, dipende dove vogliamo andare, e perché. Il ritmo è il dondolio del treno, che ci porta lontano dai problemi e verso nuove speranze. Il ritmo è la vita che pulsa intorno a noi; il ritmo è il battito stesso del nostro cuore. APOLOGIA DELLA “CHITARRA RITMICA”

Parliamo ora della tanto bistrattata chitarra ritmica, o d’accompagnamento. Personalmente non amo molto queste definizioni, che qui utilizzo unicamente per introdurre l’argomento, preferendo sempre e in ogni caso considerare la tecnica strumentale come un tutt’uno, al servizio della musica.

Se torno con la memoria ai primi approcci nel mondo della musica moderna,

sia come neo chitarrista sia come ascoltatore, mi affiorano chiaramente le contrastanti sensazioni provate nel leggere avidamente i crediti degli amati vinili.

Allora si parlava di “Lead Guitar” (pollice alto) oppure di “Rhithm Guitar”

(pollice verso). Analogamente nei nostri primi sfigatissimi gruppi musicali c’era il “chitarrista solista” (la star del gruppo) ed il “chitarrista ritmico” (poco più d’un essere sub-normale; l’unica sua possibilità per trovare un po’ di considerazione era che sapesse almeno cantare…). “Lead” o “solista” erano il sinonimo d’abilità e perizia strumentale; “ritmica” di sgraziate zappate e subdoli pensieri “… almeno teniamogli il volume basso”.

E’ vero, al cuor non si comanda, e tutti noi c’eccitavamo di più a sentire i lirismi

di Carlos Santana, piuttosto che i riffs di Keith Richards; ma un ascolto più attento e maturo ci porta a riconsiderare e a rivalutare l’opera dei grandi accompagnatori. Pensateci bene, il Rock‘n’roll sarebbe stato forse lo stesso senza i vari Keith Richards, Pete Townshed o senza gli intrecci della coppia “Lennon/Harrison”?

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ALLA RICERCA DEL “TEMPO” PERDUTO

Proviamo a ricordare la prima volta che siamo andati in discoteca. Al di là dell’emozione dettata dall’ambiente nuovo, dell’invidia provata per quegli amici della nostra compagnia che già al primo tentativo sembravano ballerini provetti (in quanto in possesso del senso ritmico innato), certamente ricorderemo l’impaccio provato nel tentare di muovere i nostri piedi seguendo il tempo della musica (e soprattutto tentando di celare quanto eravamo imbranati…). Poi qualche anima pia, commossa dal nostro disagio, ci prendeva per mano, e con sorriso a metà tra lo scherno e il compiacimento ci faceva notare:“….Ascolta il battito e prova a seguirlo: uno,due, tre e quattro – uno, due, tre e quattro” (e così via…)

Quest’esempio ci introduce un concetto importantissimo: “in molte canzoni,

ogni frase è divisa in cellule (tecnicamente misure o battute) contenenti ciascuna quattro beats (battiti)”.

Ci riferiamo al famoso “u-no, du-e, tre-e, quat-tro”. In questo caso affermeremo che la canzone ha un tempo di “quattro-quarti”. Possiamo incontrare il caso di canzoni le cui misure contengono tre beats ciascuna. In questo caso ci troveremo di fronte ad un tempo di “tre-quarti” (“un-due-tre / un-due-tre); altre le cui misure contengono due battiti (un-due / un - due), ed allora parleremo di tempo in “due quarti”.

Per assimilare bene questi concetti, che sono basilari, facciamo un piccolo

esercizio “metaforico”: �

Proviamo a dire di seguito le seguenti parole di due sillabe ciascuna: Ca-ne / gat-to / to-po / lu –po.

Possiamo identificare ogni parola con una misura di due/quarti; e le relative sillabe con note di un quarto ciascuna.

Ripetiamo l’esempio con alcune parole di tre sillabe ciascuna: Bron-to-lo / Mam–mo–lo / E–o–lo / Pi–so–lo.

Abbiamo figurato alcune misure di tre/quarti.

Vediamo ora alcune parole di quattro sillabe ciascuna: To –po –li –no / Pa – pe – ri –no / Cla – ra – bel – la / Ba – set –to –ni.

Ecco infine il tempo di quattro/quarti.

Il tempo di due/quarti, con il suo carattere saltellante, è molto usato nelle marce, nel fox-trot, nella polka. Il tempo ternario identifica invece molta musica da ballo, mazurke e valzer; lo ritroveremo anche (nella versione 6/8 o 12/8) in alcune canzoni di derivazione blues e soul. Infine il quattro/quarti è il tempo sicuramente più diffuso nella musica moderna.

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TECNICHE DI ACCOMPAGNAMENTO CON IL PLETTRO LO STRUMMING

E’ la tradizionale tecnica di accompagnamento a corde piene, suonata con il

plettro, utilizzata con la chitarra acustica (non è che non si possa usare anche l’elettrica; ma facciamolo con cautela e tarando bene timbri e volume….).

A dispetto della sua presunta semplicità, dovuta all’approccio senz’altro molto

naturale, questa tecnica può fornire alle nostre canzoni un “drive” invidiabile, che ci farà alzare il c… dalla sedia e ballare con passione…

All’inizio del mio percorso di chitarrista, quando studiavo esclusivamente

chitarra classica, tendevo a snobbare questa tecnica (e relativi esecutori) ritenendola grezza e poco elegante. Accadeva poi che quando qualche altro giovane chitarrista (altrettanto grezzo e poco elegante) suonava di fronte ad altre persone (magari anche qualche fanciulla) riscontrava gradimento ed interesse; quando suonava il sottoscritto (colto e raffinato), gli ascoltatori, e soprattutto le fanciulle, si dileguavano.

E’ una certezza: un ottimo strumming di chitarra acustica conferisce carattere,

grinta e sostanza a qualsiasi nostra canzone. Riascoltiamoci, a conferma di ciò, alcuni nomi a caso: Beatles, Rolling Stones, Who, Bruce Springsteen, U2, o magari rivediamoci il recente concerto di Vasco Rossi a Catania, soffermando l’attenzione sul lavoro dell’ottimo Riccardo Poli (è sufficiente?).

Nel tentare di recuperare il tempo perduto, mi scontrai poi con una terribile

realtà: “il senso del ritmo, così come quello melodico (il famoso “orecchio”), è una qualità innata”. Pertanto esistono persone che senza alcun problema possono “strummare” da subito con grand’efficacia; altre purtroppo che di primo acchito ottengono unicamente risultati simili al suono della grattugia.

In considerazione del fatto che appartengo anch’io alla seconda categoria, mi

unisco alla schiera dei “rhythm-dummies” per rivedere alcuni consigli che ci possono aiutare a migliorare la qualità del nostro accompagnamento.

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Cominciamo a suonare una canzone molto semplice, ad esempio “La

Canzone del Sole” di Lucio Battisti, con i suoi classici tre accordi:

A / / / E / / / D / / / E / / / Dimentichiamoci immediatamente l’applicazione di figure ritmiche strane,

controtempi, raddoppi etc., che ci confondono solamente (è come per un cestista palleggiare dietro la schiena o sotto le gambe….all’inizio può solamente perdere la palla). Appelliamoci invece al “less is more” e iniziamo a suonare “marcando” semplicemente i quarti d’ogni singola misura. La concezione ritmica tradizionale, tipica della musica “bianca”, prevede che gli accenti (ovvero le nota suonate con maggiore enfasi) cadano sul primo beat d’ogni misura, ed eventualmente sul terzo: A / / / E / / / D / / / E / / /

U-no Du-e Tre-e Quat-tro

U-no Du-e Tre-e Quat-tro

U-no Du-e Tre-e Quat-tro

U-no Du-e Tre-e Quat-tro

>>

- > - >> - > - >> - > - >> - > -

Proviamo un po’ a suonare in questo modo, cercando di tenere un tempo

regolare (l’ideale sarebbe avvalersi di un metronomo o meglio ancora una piccola batteria elettronica; altrimenti procuriamoci il Cd o la cassetta e cerchiamo di seguirla).

Osserveremo dopo un po’ che il nostro “playing” avrà un andamento piuttosto

statico, ed in verità un po’ noioso, come se fosse “ingabbiato”. Per tentare di conferire un po’ di movimento al nostro brano, mutuando

un’idea tipica dalla musica “nera” (rhithm’n’blues, soul, etc), proviamo allora a spostare gli accenti sul secondo e sul quarto beat:

A / / / E / / / D / / / E / / /

U-no Du-e Tre-e Quat-tro

U-no Du-e Tre-e Quat-tro

U-no Du-e Tre-e Quat-tro

U-no Du-e Tre-e Quat-tro

-

>> - > - >> - > - >> - > - >> - >

Per ottenere qualcosa d’ascoltabile secondo questo “pronuncia”, consiglio di

evitare durante i primi approcci di suonare sui quarti “forti” (il primo ed il terzo), “pennando” invece in senso discendente solo sul secondo ed il quarto.

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Un successivo accorgimento per focalizzare meglio questo discorso, è di

ascoltare il suono della batteria in una qualsiasi canzone con tempo pari (il già citato quattro/quarti). Di norma sui beats forti suona la grancassa (pum), mentre sui tempi deboli suona il rullante (cià):

A / / / E / / / D / / / E / / / Pum Cià Pum Cià Pum Cià Pum Cià Pum Cià Pum Cià Pum Cià Pum Cià

Proviamo ora a suonare solamente su ogni colpo di rullante (sul “cià”). Quando abbiamo acquisito scioltezza, aggiungiamo le pennate sul battito di grancassa, sempre in senso discendente, ma è ammesso anche il senso ascendente (dal basso all’alto), curando comunque che il volume (la forza impressa nella pennata) sia inferiore a quello espresso suonando “sul rullante”.

Ci risulterà presto evidente che gli accenti sui quarti “deboli” conferiscono un

movimento completamente diverso al brano, come se ogni accento, specie quello sul quarto beat, introducesse, o letteralmente ci “mettesse in mano” la nota o la misura successiva, in un contesto molto dinamico. Un ottimo brano da ascoltare con attenzione, con un superbo strumming di chitarra acustica, è “Anymore”, di Vasco Rossi, dall’album “Buoni o cattivi”.

Man mano che aumenterà la nostra sicurezza, proviamo a controllare anche il volume complessivo delle singole frasi, frenando la potenza della pennata nei momenti calmi del brano (.. o mare nero o mare nero ….), e “picchiando” con maggiore libertà, ma sempre ponendo grande attenzione agli accenti, nei momenti più mossi (…e ti ricordi…). Forse cominceremo a dimenticare l’effetto “grattugia” che tanto ci demoralizzava…

Ed ora il tocco finale: curiamo la qualità della nostra pennata. L’approccio istintivo ci porta a colpire le corde in senso perpendicolare (flush stroke – colpo pieno):

Questa è un’ottima modalità d’esecuzione se necessitiamo di particolare precisione o controllo dinamico, ad esempio suonando note singole o power chords.

Per contro è interessante nello strumming colpire le corde in senso obliquo,

vale a dire con un’azione dal manico verso il ponte, o viceversa (brush stroke – colpo di spazzola).

Alternando i due movimenti, e con loro l’angolo di pennata, otterremo delle variazioni timbriche, lievi ma non trascurabili, che conferiscono carattere al nostro accompagnamento.

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Esercitiamoci ora a colpire le note obliquamente, limitandoci per il momento

unicamente a pennate in senso discendente. Curiamo che il movimento dal ponte al manico evidenzi i beats forti della misura (1-3) e che l’azione contraria (manico-ponte) marchi i beats deboli (2-4), magari accentandoli. Otterremo, graficamente, il seguente movimento:

Non appena metabolizzata quest’azione, che a prima vista è piuttosto innaturale, riscontreremo risultati notevoli, per fluidità d’esecuzione e definizione timbrica. Il nostro “drive” sarà inarrestabile… sembreremo un treno in corsa….

Acquisita un po’ sicurezza, proviamo ad inserire anche le pennate ascendenti (“di ritorno”), oppure a modificare gli accenti.

Infine, ma questo solo quando saremo diventati veramente imbattibili,

sperimenteremo la raffinatezza definitiva del nostro accompagnamento: “suonare intorno al beat”, con impercettibili anticipi (“tirando indietro”) o impercettibili posticipi (“tirando avanti” o “suonando in relax”).

Riepilogando:

“per un grande strumming curiamo nell’ordine: gli accenti, la dinamica, la qualità della pennata”.

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FLATPICKING

Continuiamo la nostra analisi sulle tecniche di accompagnamento introducendo questo stile, che è tipico della musica folk nord-americana, ma che sta trovando negli ultimi anni grande seguito, anche per opera di alcuni illuminati chitarristi, primo tra tutti il mitico Beppe Gambetta., nel vecchio continente, sia in contesti mediterranei che nella musica celtica.

Dicevamo che questo stile trae origine dalla musica folk nord-americana,

country e bluegrass e rappresenta un primo tentativo di porre in evidenza lo strumento chitarra, fino ad allora relegato in una veste di puro e semplice accompagnamento, rispetto agli altri strumenti delle “stings-orchestre” quali mandolino, banjo e violino, ai quali era deputato lo sviluppo delle linee melodiche.

Primi esponenti furono i membri della “Carter-family”, “inventori” della tecnica

delle note singole sui bassi contrappuntate da accordi pieni. Il vero turning point si riscontra nell’opera di Doc Watson, il primo a tradurre sulla chitarra le “fiddle-tunes” con tutti i loro virtuosismi.

La tecnica, è sempre imperniata sull’uso del plettro (“flat”) e prevede che le corde non siano suonate tutte assieme, come nello strumming, ma siano “colte”, o “scelte” dal movimento del plettro stesso, sapientemente guidato dalla mano destra (“picking”). Pertanto le progressioni d’accordi, o le frasi a note singole sono scelte attentamente dall’esecutore momento per momento, sul “climax” del brano. Ad esempio, il “primordiale” Carter-Style prevede l’alternanza di una nota singola sul basso che “marca” il tempo forte, seguita da un accordo intero sul tempo debole (es. 1); oppure consideriamo l’esposizione di una misura di accordi introdotta da una linea di bassi o con l’alternanza di note basse ed acute, con le prime in movimento (walking bass – es - 2), o la realizzazione di velocissimi arpeggi tra più corde (tecnica mutuata dal banjo che assume il nome di “cross-picking” – es. 3) e così via.

E’ veramente impensabile che cosa si può realizzare con il semplice uso del plettro. L’unica cosa da fare è ascoltare, rimanendo piacevolmente stupiti, le invenzioni di qualche grande maestro (il già citato Gambetta, oppure Tony Rice, Dan Cry, o lo stesso Doc Watson).

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“Carter Style”

Neil Young – Tell me Why (accordatura one step down dgcfad)

Una raffinatezza in “Cross Picking”: l’intro di “Mediterran Sundance” di Al Di Meola e Paco De Lucia”

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POWER CHORDS e “RIFFS”

Scaldiamo i motori e teniamoci pronti, perché l’argomento è di quelli elettrizzanti. Non può esistere amante della musica leggera degli ultimi trent’anni che non si sia emozionato o gasato sulla scia di quei potenti accordi di chitarra elettrica distorta, che evocano immagini di corse in moto e vento nei capelli……

Tecnicamente, le forme usate sono essenzialmente due: i “Power chords” (accordi “potenti”) ed i Riffs (difficile da tradurre; proviamo, anche se è brutto, con “ostinati” od “obbligati”).

I primi differiscono dalle triadi e tetradi che abbiamo già esaminato nei

precedenti capitoli poiché sono di norma composti di due note (fondamentale e quinta) e sono suonati sulle sole corde gravi, in dichiarato appoggio allo stesso basso elettrico. Altra caratteristica è il timbro, che deve essere appunto potente. Pensate ai seguenti aggettivi: grasso, gonfio, largo, tanto, profondo, ciccione. Con questi in mente, smanettate sulla vostra chitarra o sul vostro ampli finchè otterrete un suono che ricordi dette qualità. Per aiutarvi provate:

- Chitarra con due pick up humbucker; - Magnete al manico, oppure entrambi i magneti assieme; - Volume della chitarra 8-10, toni se vogliamo un po’ attenutati (4 – 6); - Se avete una strato o una tele aiutate il segnale in uscita con un pedalino

overdrive; - Ampli: canale distorto (o anche quello pulito se usate un overdrive/distorsore

esterno), gain 7-10, master regolato sulla scorta dell’ambiente e dell’ampli utilizzato (fermiamoci un momento prima del dolore fisico), bassi 4-8; medi 3-6; acuti 5-9. Riverbero vedete un po’ voi, io non ne faccio uso.

Vediamo ora come sono composti questi “power chords”: Prenderei in considerazione tre posizioni: FONDAMENTALE

QUINTA

CMagg

III • •

FONDAMENTALE

QUINTA OTTAVA

CMagg

III • • •

GMagg

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QUINTA OTTAVA

III • •

La prima osservazione che ci viene spontanea è che questi accordi non

prevedono la terza (che come abbiamo già visto, determina il “modo” dell’accordo. Questi accordi non sono, infatti, né maggiori, né minori, bensì sono “sospesi”, e questa caratteristica, unita alla timbrica di cui abbiamo accennato prima, ben si adatta a contesti “potenti”. Vedremo anzi che l’indeterminatezza del modo (maggiore o minore) giocherà un ruolo determinante in particolari situazioni musicali (blues).

Non è detto che non possano esistere power chords muniti della terza, e

quindi ben definiti nel modo; altro che non sono consigliati in contesti “energetici”, se non usati con parsimonia e gusto, pena il decadimento del senso di “potenza” tipico di questo modo di suonare. Le tre figure di accordo sopra riportate, ancorché siano nella sostanza decisamente fungibili, trovano applicazione diversa a seconda dei contesti: la prima quando i cambi d’accordo sono piuttosto mossi; la seconda quando necessitiamo di maggiore potenza; la terza….riascoltiamoci l’intro di “Smoke in the water” dei Deep Purple…..

Per quanto attiene la mano destra, vediamo alcune considerazioni interessanti: Mentre nello strumming abbiamo focalizzato l’opportunità di evidenziare i battiti “deboli” d’ogni misura (secondo e quarto), nei power chords il discorso cambia: gli accordi vanno suonati sicuramente sui quarti forti (il primo ed il terzo), spesso se non all’unisono, comunque d’intesa con il basso. Anzi, se ascoltate alcune recenti produzioni, noterete che spesso i power chords vengono suonati sul primo beats lasciando il compito di riempire la misura ad altri strumenti (perché non un ottimo strumming con l’acustica? – cfr. “Hai mai” dal disco “Buoni o Cattivi” di Vasco Rossi). Ciò amplifica la sensazione di forza e d’autorevolezza conferita dai battiti della grancassa e del basso.

Alternativamente, i power chords vengono spesso usati per “marcare” ogni ottavo della misura, contribuendo in questo caso a tenere alto il “tiro” del brano. In questo caso può essere interessante smorzare il suono delle corde con il palmo della mano destra (palm-muting), magari alternando sapientemente note suonate “piene” con altre “in sordina”. (cfr. “C’è chi dice no”, sempre Vasco Rossi, nella versione riarrangiata del Live “Rewind”).

Un’altra particolarità, che proverei a definire Chuck Berry-Style, vede uno sviluppo della misura con coppie d’ottavi che alternano chords formati di fondamentale e quinta, con chords di fondamentale e sesta (ricordate Johnny be Goode?).

Vediamo un paio d’esempi:

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N. due misure suonate ad “ottavi”

“Johnny Be Goode” – Style

I riffs invece sono delle piccole cellule melodiche, suonate di norma sui registri

gravi dello strumento, che tendono a ripetersi al’infinito, fornendo “groove”, grinta e carattere alle nostre canzoni.

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La prima caratteristica di un buon riff deve essere la facilità con cui ti entra in testa (provate a canticchiare le prime note di “Satisfaction”). Poi deve essere breve, e deve trasmettere una sensazione di potenza e di dinamica (altrimenti come può essere la colonna sonora delle nostre corse in motocicletta “vento nei capelli”? – attenzione, e con il casco come la mettiamo?).

Qui non servono molte parole, solo tanto esercizio. Fondamentale provare i

riffs con un metronomo o batteria elettronica, ma molto meglio se c’esercitiamo sul disco (ops, sul CD).

Avanti quindi con gli esempi.

Led Zeppelin: Black Dog

Led Zeppelin: Heartbreaker

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Led Zeppelin – Living loving maid

The Beatles – Day Tripper

Gary Moore – Walking by myself

The Beatles – Come together

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TECNICHE DI ACCOMPAGNAMENTO CON LE DITA Ebbene sì! Se vogliamo conferire al nostro playing un tocco di raffinata

eleganza, non possiamo prescindere dall’uso delle dita nell’accompagnamento. Pensiamo ai sognanti brani acustici di Pat Metheny, oppure ascoltiamo qualche finger-picker di razza (John Renbourne, Leo Kottke etc.) per capire che cosa intendo. L’uso della chitarra pieno e polifonico, come se fosse un pianoforte, ha un fascino sicuramente inimitabile.

Esistono, a mio modo di vedere due approcci al finger-style, che partono da

matrici completamente diverse, una classica, o Europea, ed una mutuata dalla musica popolare nord-americana.

Nel primo caso gli accompagnamenti si snodano in arpeggi, vale a dire

accordi suonati una nota alla volta, dall’andamento melodico e lineare, ad ogni modo sempre con funzioni d’accompagnamento ritmico.

Questa tecnica, molto semplice e dai risultati affascinanti, prevede

sommariamente due tipi di pattern:

Il primo prevede la nota bassa sonata con il pollice, a marcare il tempo forte, seguita dalle altre note dell’accordo suonate una per volta da indice, medio e anulare in senso ascendente o discendente. In questo caso il consiglio è di mantenere figure e diteggiature le più possibili regolari, evitando di andare a seguire la melodia della canzone, per il rischio di perdere efficacia ritmica. Il secondo invece, molto usato nella musica sudamericana, prevede che il pollice suoni la nota bassa, alternando sul levare accordi sulle tre corde più acute suonate simultaneamente da indice, medio, anulare, strappati verso l’alto. Vediamo un paio d’esempi.

Arpeggio in 4/4 (il movimento del pollice sul quarto beat introduce la misura successiva)

Arpeggio in 6/8

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Arpeggio in ¾ (Fabrizio de’ Andrè – La città vecchia – 1° verse)

Trova invece lontane radici nel folklore nord-americano e nel blues un ulteriore approccio all’accompagnamento con le dita, il “Finger Picking”. Il verbo “to finger pick” significa appunto “raccogliere con le dita” e esprime compiutamente la tipica esposizione di questo stile, che prevede che il pollice vada a cogliere i bassi su corde diverse, mentre le altre dita si occupano di accordi e melodia sul registro acuto. Questo continuo pulsare del basso alternato suonato con regolarità dal pollice, in origine andava ad imitare il movimento di basso suonato con la mano sinistra nel pianoforte “Rag-time”.

Un utile accorgimento per suonare un convincente finger-picking è di

appoggiare il mignolo o l’anulare della mano destra sulla tavola armonica. In questo modo si riesce a gestire meglio il movimento del pollice e a dosare con efficacia gli accenti.

Vediamo di seguito un esempio della tecnica in finger-picking. La trascrizione

espone il primo verse dello standard jazz “Autumn Leaves”, nel raffinato arrangiamento di Chet Atkins.

Notiamo il movimento del pollice sui bassi (cfr. note con il “gambo” verso il basso).

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CHET ATKINS – AUTUMN LEAVES:

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…….ON LEAD GUITAR: MR VILORENZ!!!!

Finalmente è arrivato il gran momento: ora parliamo di chitarra solista! Oppure, se preferiamo, di lead guitar! Non credo esista appassionato di musica di taglia “over forty”(come me) che a suo tempo sia rimasto immune dal fascino magnetico di certe foto di copertina dei dischi (rigorosamente vinili) e dai relativi crediti che dicevano: “Jimi Hendrix: lead guitar”; “Eric Clapton: lead guitar”; “Duane Allman & Dickey Betts: lead guitar”; “Franco Mussida: chitarra solista, classica, acustica, mandolino, mandoloncello…(ma questa è un’altra storia). E che dire degli anni successivi, con sugli scudi un certo Eddy Van Halen, o tale Randy Rhoads? E poi Steve Vai, Joe Satriani, Yngwie Malmsteen? O per rimanere in Italia i Sigg. Maurizio Solieri, Andrea Braido o Steve Burns (che ormai consideriamo italiano acquisito!)?

C’è poco da dire. E’ impossibile rimanere indifferenti di fronte a una linea

melodica suonata con gusto e trasporto, magari da uno strumento che urla al punto giusto. E se la passione per la chitarra ci ha portato fin qui…allora è giunto il momento di saperne qualcosa di più.

Se torno con la mente ai primi approcci con la chitarra solista, ricordo che tendevamo a dividere i chitarristi in due insiemi, completamente opposti: chitarristi puliti, e chitarristi sporchi. Tra i primi potevamo annoverare, ad esempio, Carlos Santana, oppure David Gilmour; tra i secondi Richie Blackmoore e Jimmy Page. Era una divisione arbitraria e che ora fa sorridere per la sua ingenuità. Infatti chi ha dimestichezza con pick ups ed amplificatori, ben sa che per ottenere il suono di Santana i settaggi sono tutt’altro che puliti; analogamente, un approfondito studio dell’opera del grande Jimmy Page rivelava una raffinatezza tutt’altro che “sporca”. Sicuramente la divisione tendeva a sottolineare nel primo caso più che il timbro della chitarra, l’intelligibilità, o la facilità di comprensione delle linee melodiche, mentre nel secondo caso, la definizione andava a riferirsi al contesto sonoro tipico dell’hard rock, dove le forti distorsioni e l’uso di pattern ossessivi (power chords e riff) potevano giustificare l’impietoso aggettivo.

Ho desiderato esporre questa lunga premessa per focalizzare immediatamente alcuni aspetti molto importanti nell’approccio alla chitarra solista:

�La cura dell’intelligibilità delle note suonate ovvero la pulizia del tocco, a prescindere dal timbro utilizzato se suoniamo una chitarra elettrica;

�La cura della qualità del suono, sia esso pulito o molto distorto.

Va sottolineato infatti che anche un suono “sporco” (sempre secondo i criteri

sopra accennati) può a prima vista sembrare semplice da ottenere, con risultati roboanti; è sufficiente utilizzare volume e distorsione. Ma il vero approccio qualitativo a generi con alto tasso d’energia, partendo cioè dal Blues elettrico per finire al Metal, passando per il Rock più o meno Hard, richiede invece capacità tecniche non indifferenti ed altrettanta attenzione al tocco ed al suono (altrimenti è solo rumore).

I chitarristi che ho nominato nell’esempio sopra riportato, sono tutti molto interessanti da ascoltare per iniziare a suonare qualche linea solistica, ancorché personalmente io sia più portato a suggerire inizialmente di concentrarsi su Santana e Gilmour, lasciando gli altrettanto validi Blackmoore e Page per lo studio di giri armonici e riffs (attenzione: anche i soli di questi due signori sono da manuale; ma

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consiglio di avvicinarli in un secondo momento, non appena approfondita l’esposizione sulle scale e sulle tecniche della mano sinistra che seguirà più avanti).

Bene! Iniziamo. Ascoltiamo più volte qualche semplice frase (un esempio per

tutte le stagioni: Sampa Pa Ti, del buon Carletto), cerchiamo di memorizzarla mentalmente, e poi proviamo a “tirare fuori” le note dalla chitarra.

D’accordo – mi direte voi – ma come si fa? Esistono due modi. Il primo, molto

semplice ed usato da tutti, spesso con superbi risultati, prevede di trovare le note “ad orecchio”, confrontando in pratica ogni singola nota suonata, con ogni nota della canzone, magari canticchiando quest’ultima mentalmente (da qui la necessità di memorizzare “il canto” delle frasi che vogliamo imparare).

Il secondo è un po’ più complicato, ma ci può portare lontano, perché ci

regala “consapevolezza”: innanzi tutto, troviamo il giro armonico della canzone, magari sfruttando i consigli esposti sul capitolo dedicato agli accordi, e scopriamo così la tonalità del nostro brano (l’accordo statico, in altre parole dove di norma la frase termina, “si riposa”). Suoniamo ora una semplice scala maggiore (o la relativa minore se tale è il “sapore” del brano), identificando bene le note che la compongono. Ebbene, le note della frase melodica che vogliamo imitare saranno, di norma, quelle che compongono la predetta scala. Esempio: SAMBA PA TI Giro armonico: Am / / / G / / / Bm / / / Em / / /

Osserviamo, dall’ascolto, che in questa frase ci sono ben due momenti di

riposo, la seconda misura, in Sol, e la quarta, in Mi minore (che guarda caso sono accordi “fratelli”). Riesponiamo allora per un istante la scala di Sol maggiore:

G A B C D E F# G TONO TONO SEMITONO TONO TONO TONO SEMITONO Confrontiamola con la canzone:

ABCDEG D F# E ABCDEG D F# E Notiamo che le note della frase della canzone sono tutte comprese nella scala di Sol maggiore.

Mentre nei nostri primi tentativi ritmici il risultato sonoro emulava la grattugia,

ora è assai probabile che il timbro da noi ottenuto suoni pressappoco così: “stic, stic,stic…”, cioè con note piuttosto sorde e slegate tra di loro. E’ un problema di “dinamica” e di “tocco”.

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Per quanto attiene la dinamica, iniziamo anche in questo caso a porre

attenzione al volume (inteso come forza impressa alla pennata suonando) ed agli accenti, sperimentando varie soluzioni. Per quanto concerne invece il tocco, iniziamo innanzi tutto a curare il modo in cui premiamo le corde con le dita della mano sinistra: prestiamo attenzione di premere la corda immediatamente prima del tasto, non “sul” tasto e neppure “nel bel mezzo” tra i due tasti. Il suono che esce dovrà essere bello chiaro e privo di ogni smorzamento.

Una volta ottenuto questo semplice ma non banale risultato, possiamo

introdurre alcune tecniche che ci aiuteranno a rendere più espressivo il lavoro della mano sinistra.

IL VIBRATO.

E’ un’azione tipica della mano sinistra, copiata pari dai violinisti, e si esplica,

ferma la posizione del polpastrello prima del tasto, nel movimento della mano parallelo al manico (avanti ed indietro), oppure perpendicolare (su e giù). Il risultato è duplice: da un lato l’azione di progressiva pressione e rilascio che si attua sulla corda, nel punto in cui è premuta, si traduce in un prolungamento naturale del suono, che decade più lentamente (sustain); dall’altro, dette vibrazioni conferiscono un “colore” al suono ricco e appunto “vibrante”.

Si può attivare l’effetto lentamente, con movimenti ampi e regolari, o velocemente, in modo secco e nervoso. Il risultato sarà ovviamente caratterizzato da sfumature diverse, ma tutte assai efficaci.

Consiglio un uso estensivo della tecnica di vibrato quando fraseggiamo a note

singole. In particolare deve (ho scritto “deve”, non “può”), ripeto deve essere usata ogniqualvolta ci troviamo di fronte a note appena prolungate (diciamo dal quarto – semiminima – in su).

Entrare in possesso di un’ottima padronanza del vibrato ci farà aumentare in

modo esponenziale la nostra espressività sullo strumento. HAMMER ON e PULL OFF

Ovvero legati ascendenti e discendenti. Ricordo ancora il panico e la

frustrazione provata da giovane studente di chitarra classica quando iniziai a studiare il legato ascendente. Non sapevo ancora che mi trovavo di fronte ad una tecnica che portava a risultati veramente gratificanti, soprattutto una volta trasposta sulla chitarra elettrica.

Innanzi tutto premiamo un tasto con l’indice della mano destra; poi, prima che

la nota decada del tutto, percuotiamo a martelletto (da qui il nome di “hammer-on”) la nota successiva, senza suonarla con la mano destra. Otterremo un suono (attenzione, non al primo tentativo!) che sarà la diretta prosecuzione del precedente, come se fosse appunto “legato”. Per fare un esempio, il risultato fonico sarà simile a pronunciare “Va-o”, anziché “va-do”. Nel primo caso abbiamo una singola emissione vocale, nel secondo una doppia.

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Proviamo l’hammer-on prima su due tasti adiacenti, tenendo di base l’indice e percuotendo con il medio. Poi proviamo su due note distanti un tono, fermo ancora l’indice e giù con l’anulare. Poi su due note distanti un tono e mezzo (tre tasti) con un movimento indice – mignolo (questo è difficile). Proviamo anche la distanza di mezzo tono e di un tono tenendo come base il dito medio e percuotendo rispettivamente con anulare e mignolo.

In questi esercizi va curata l’impostazione complessiva della mano sinistra,

che consiglio vivamente di tenere in modo classico (pollice dietro il manico, base delle dita parallele al manico stesso, dita con l’ultima falange piegata “a martelletto”).

Per quanto concerne il legato discendente, il procedimento è sostanzialmente

il medesimo, ripetuto al contrario. Per un’ottima esecuzione conviene tenere premute le dita di entrambi i tasti interessati, ad esempio indice e medio, pizzicare o pennare la nota di cui al medio, “strappare” la corda con lo stesso, facendo in questo modo risuonare la nota di cui all’indice. Vediamo qualche esercizio:

Acquisita una certa scioltezza, diventa interessante provare a suonare i legati

su tre note per corda. L’azione richiede sicuramente molta coordinazione tra le due mani, ma il risultato è eccellente. Proviamo insieme questo lick in stile “neoclassico”:

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L’ACCIACCATURA

Negli esempi sopra riportati, la nota legata viene suonata come un’entità ben distinta dalla precedente. Esiste un altro tipo di legatura, di pura derivazione classica e che prende il nome di “acciaccatura” o “appoggiatura”, che, pur tecnicamente uguale nell’esecuzione (“martellata ascendente” o “strappo discendente”) è completamente diversa nell’intenzione. In questo caso la nota legata sembra quasi la nota principale, mentre la nota pizzicata, suonata pertanto immediatamente prima, assume un sapore di pura introduzione. Vediamo che cosa succede, ad esempio nell’intro di “Samba Pa Ti”

In questo caso l’hammer on tra il la ed il si e tra il si ed il do sulla terza corda (prima battuta), serve ad introdurre appunto la nota successiva (rispettivamente il si ed il do) come se fosse una nota sola. I benefici in termini di espressività sono evidenti.

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LO STRISCIATO (o GLISSATO)

Tecnica concettualmente assimilabile alle precedenti per il risultato finale, che vede la produzione di più note con un solo tocco della mano destra, si realizza spostando il dito da un tasto all’altro immediatamente dopo la pennata. Il movimento può essere ascendente o discendente, o anche l’uno seguito immediatamente dall’altro, e può interessare uno come più tasti. Questa tecnica è spesso usata da Pat Metheny. IL BENDING

Arriviamo infine al principe degli effetti suonati con la mano sinistra, il più usato ed abusato, il più frizzante ed emozionante: il “bending” (letteralmente “tirare le corde”).

L’effetto si ottiene in pratica tirando appunto la corda verso l’alto o verso il

basso immediatamente dopo la pennata o pizzicata. In questo modo si ottiene una variazione d’intonazione della nota suonata, che può essere minima (microtonale) o più ampia, arrivando a coprire un semitono od un tono e più.

I risultati espressivi sono importanti: si parte dall’imitazione della voce umana

(il lamento o l’urlo) per arrivare agli strumenti a fiato (pensate al suono di una tromba); può essere suonato in modo nervoso e veloce, oppure lirico e disteso, come l’acuto di un tenore. Qualsiasi assolo, senza la giusta dose di note tirate, è a mio avviso qualcosa di monco, di orfano.

Per ottenere un buon bending, non ci sono scorciatoie; bisogna solamente

esercitarsi a lungo e con convinzione. Tecnicamente, le corde vanno tirate di norma con il dito anulare, magari

sostenuto da indice e medio, mentre il pollice si pone sopra il bordo superiore del manico, fungendo da fulcro per l’intera azione.

E’ indispensabile curare bene l’intonazione delle note ottenute tirando le

corde, che specie nei primi tempi tenderà ad essere calante (effetto che potrebbe essere peraltro voluto, se abbiamo nel frattempo maturato un’anima da vero “bluesman”).

Un ottimo consiglio è di esercitarsi nel bending con la chitarra acustica. Se raggiungeremo risultati decenti con l’acustica, tireremo le corde meravigliosamente con l’elettrica. E, soprattutto, ascoltiamo a lungo, tra gli altri, i seguenti chitarristi: Eric Clapton, Carlos Santana, Gary Moore, Peter Green, Steve Lukater, Jeff Beck, Duane Allman, Paul Kossof (forse uno dei più emozionanti; ascoltate peraltro come unisce ai bendings più lirici una buona dose di vibrato) ed infine …Lorenzo Masenel lo!!??? Esercizio per casa:

Scegliamo una scala naturale a caso, poniamo il Sol maggiore, ed iniziamo a suonare la prima nota, tirandola alla seconda, la seconda alla terza e così via fino all’ottava. Facciamo anche l’esercizio di tirare la corda dal sol al la tornando al sol

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(“reverse bending”), poi dal la al si e ritorno, si e do e ritorno. Okkio sempre all’intonazione. Non appena vi faranno male le dita, rallegratevi, perché siete sulla buona strada. Smettete solo quando il dolore fisico diventerà insopportabile (forse anche un po’ prima). Il blues è sofferenza, ed un vero bluesman si riconosce da come “tira” le corde…

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IF YOU LOVE THESE BLUES PLAY ‘EM AS YOU PLEASE.

Pretendere di parlare di chitarra e relative tecniche senza un accenno al BLUES, è come invitare qualcuno ad un giro in motocicletta, senza mettere benzina nel serbatoio (dove vogliamo andare?).

L’influenza della “musica per neri”, con tutti i suoi derivati (boogie-woogie, rag-time, rhythm & blues) nel rock’n’roll ed in tutte le derivazioni che sono giunte sino ad oggi (hard, metal, punk, grunge ….) è qualcosa di ingombrante ed imprescindibile. Basti pensare, per rimanere in un ambito chitarristico, al significato del lavoro dei vari Clapton, Green, Taylor, Beck, Page etc e quanto abbiano attinto a questa fonte intere generazioni di chitarristi. Vediamo subito il famoso “Giro di Blues”.

La progressione armonica tipica del blues si sviluppa generalmente su dodici battute, così ripartite:

A7 / / / A7 / / / A7 / / / A7 / / / D7 / / / D7 / / / A7 / / / A7 / / / E7 / / / D7 / / / A7 / (D7) / A7 / E7 /

E’ frequente imbattersi anche nella seguente variazione:

A7 / / / D7 / / / A7 / / / A7 / / / D7 / / / D7 / / / A7 / / / A7 / / / E7 / / / D7 / / / A7 / (D7) / A7 / E7 /

Notiamo che sono usati in pratica solamente tre accordi di settima di

dominante: �

PRIMO GRADO �QUARTO GRADO �QUINTO GRADO

(impariamo subito questo concetto che tutto sarà più semplice).

L’uso dell’accordo di settima di dominante (per intenderci con la settima bemolle), conferisce da subito un carattere di tensione, d’instabilità. Questa sensazione è confermata dalla “pronuncia ritmica”: se ascoltiamo qualsiasi brano blues, noteremo che la scansione ritmica non è regolare, con i quattro quarti ben delineati e tutti della stessa durata; in questo caso noteremo un andamento saltellante, con i beat sul secondo e quarto movimento che perdono decisamente la predetta simmetria. Vediamo in profondità quest’aspetto:

Prendiamo un classico movimento in quattro quarti: Uno Due Tre Quattro

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Scomponiamolo ulteriormente in ottavi:

Bene, nel blues, così come nel jazz, il secondo ottavo della battuta tende ad avvicinarsi al beat successivo, creando quel tipico movimento incalzante (swing o shuffle).

Esercitandoci un po’ con le divisioni, potremmo affermare che in ogni quarto il pimo beat dura 3/16 ed il secondo dura 1/16. Oppure, dividendo ogni quarto in tre note (tempo di 12/8), il primo beat dura 2/8 (= una semiminima), il secondo 1/8.

Vediamo due esempi sul pentagramma:

Nei due esempi la prima misura è indicata “straight”, mentre le successive tre tentano di rappresentare lo “swing”. Nel primo caso il secondo battito ritarda un po’ di più rispetto al secondo. Nella pratica, salvo qualche brano che presenta una metrica rigorosamente terminata (cioè in 6/8 o in 12/8), il confine tra il primo approccio ed il secondo è assolutamente indeterminato e difficile da trascrivere.

Per questo motivo, spesso lo shuffle non viene proprio trascritto sulle partiture, preferendo una semplice indicazione in testa alla parte da eseguire con questa intenzione (appunto “shuffle”, oppure “swing”, oppure � � = � . � ). Il compito di

interpretare adeguatamente la ritmica del brano viene in questo modo lasciato alla sensibilità dell’esecutore.

1 cià 2 cià 3 cià 4 cià

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IMPROVVISIAMO SULLE DODICI BATTUTE LA SCALA PENTATONICA MINORE.

Proviamo ora a suonare qualche frase melodica utilizzando le scale maggiori e minori che già conosciamo. Notiamo subito che “qualche cosa non quadra”. Infatti, anche se il giro armonico presenta accordi maggiori (esistono anche blues “in minore”, es. sugli accordi Cmin7, Fmin7, Gmin7, ma in una quantità marginale), la scala maggiore naturale presenta qualche dissonanza con la ns. intenzione. Il blues presenta, infatti, un linguaggio tutto suo, con delle scale tutte sue.

La scala principale del Blues è basata sulla “Pentatonica” minore, arricchita di una nota “di passaggio” tra il IV ed il V grado: A C D (D#) E G A I Iii IV Vb V Vii VIII

Proviamo a suonarla. La prima volta che feci quest’esperienza, ancorché conoscessi già discretamente le scale naturali per lo studio della chitarra classica, rimasi folgorato. Era la scala che caratterizzava gran parte dei soli e dei riff della musica rock e blues che tanto amavo!

Analizzando un attimo gli intervalli della scala. Notiamo subito alcune particolarità rispetto all’accordo di settima di dominante (I,III,V,Vii) alla base del brano: - “innanzi tutto, nella scala, il secondo step è costruito su una terza minore, mentre

sull’accordo è su una terza maggiore”. Qui affrontiamo uno degli aspetti più caratteristici del blues: l’indeterminatezza tonale di alcuni gradi della scala. Nel blues il secondo step della scala (la terza) non sarebbe né maggiore, né minore, ma si trova “circa “ alla metà (la famosa “Blue note”). Proviamo a suonare una semplice sequenza A-C (intervallo di terza minore), suonando prima la nota straight, poi una sequenza A-C# (terza maggiore), infine suonando nuovamente A-C ma esercitando un piccolo bending, tirando in su o in giù leggermente la corda, sul C. Capirete subito che cosa intendo dire.

- “notiamo la presenza dell’intervallo di settima minore”.

La settima minore è presente anche nell’accordo, e conferisce grande carattere sin dalla prima misura di un brano. In un normale contesto tonale, l’accordo di tonica presenterebbe invece, al limite, una settima naturale (Amaj7), conferendo un “gusto” del tutto diverso. Ciò viene confermato fraseggiando note singole; la

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settima minore conferisce appunto un sapore “crudo” alle linee melodiche decisamente irrinunciabile (e che sarà ripreso pienamente in ambiti rock). Proviamo questo semplice lick (su un accordo di A7):

- “la “nota di passaggio (intervallo di quarta aumentata o quinta diminuita) non c’entra niente con gli accordi sottostanti”. Certamente vero, ma osserviamo la sua valenza dinamica in questo riff:

Vediamo ora alcune diteggiature sulla tastiera:

Pentatonica di La minore

• • •

• • V • • • • • •

Pentatonica di La minore • V • • • • • • • • • •

Pentatonica di La minore V • • • • • • • • • • • • •

Pentatonica di La minore • XII • • • • • • • • • •

Bene, questo per la pentatonica minore di La. E per le altre tonalità? Ripassiamo un po’ i concetti appresi all’inizio: spostiamo il box avanti di un tono (due tasti) ed otterremo la posizione per la scala di Si; di un tono indietro (sempre due tasti) ed avremo il Sol; tre tasti in avanti (un tono e mezzo) ed ecco il Do e così via. (Nei box ho volutamente omesso le note di passaggio).

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LA SCALA PENTATONICA MAGGIORE

Prendiamo la scala pentatonica minore di La vista in precedenza (omettiamo la nota di passaggio). Pentatonica minore di La: A C D E G A I Iii IV V Vii VIII

Come ben sappiamo, ogni scala minore ha la sua relativa maggiore: Pentatonica maggiore di Do: C D E G A C I II III V VI VIII

Osserviamo, infatti, che le due scale impiegano le stesse note. La pentatonica maggiore è molto utilizzata anche in normali contesti tonali, per la sua semplicità. In ambito blues viene talvolta usata alternata alla pentatonica minore, per sottolineare diversamente alcuni passaggi, specie in uscita dal giro. In ciò sono maestri Robben Ford e Dickey Betts della Allman Brothers Band.

Godiamoci ad esempio questo bel lick, tratto dal finale di “Revival”, appunto

della ABB:

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Riepilogo delle scale pentatoniche minori più usate. Tonalità Am Em Bm F# C# Dm Gb Cm Alterazioni in chiave:

1 # 2# 3# 4# 1b 2b 3b

I A E B F# C# D G C Iii C G D A E F Bb Eb IV D A E B F# G C F V E B F# C# G# A D G Vii G D A E B C F Bb A E B F# C# D G C Riepilogo delle scale pentatoniche maggiori più usate. Tonalità C G D A E F Bb Eb Alterazioni in chiave:

1 # 2# 3# 4# 1b 2b 3b

I C G D A E F Bb Eb II D A E B F# G C F III E B F# C# G# A D G V G D A E B C F Bb VI A E B F# C# D G C C G D A E F Bb Eb

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DAL BLUES AL ROCK (…E RITORNO?)

Ho già avuto modo di accennare che tutta la musica moderna è fortemente debitrice dell’influenza “nera”, che trova appunto radici nel blues.

La progressiva contaminazione di questi elementi con la tipica “forma

canzone” di derivazione folk, con i suoi giri armonici classici squisitamente tonali (I, IV, V oppure I, vi, ii,V), sfocia a partire dagli anni ’60 in nuove sonorità (Pop) dove la componente ritmica diventa elemento trainante di tutto il messaggio musicale. Pensiamo a Beatles e Rolling Stones, ma anche a Who, Yardbirds, mentre nell’ “università del blues” di John Mayall con i suoi Bluesbreakers si scaldano le polveri per un’esplosione di energia che deflagrerà di li a poco, con i Cream di Eric Clapton, mentre attraversa l’Atlantico un tizio mezzo nero e mezzo indiano di nome Jimi…

Musicalmente il linguaggio rock (il roll lo abbiamo perso per strada), inizia a

indurirsi e a raffinarsi, proliferando in numerosi filoni diversi, a partire dall’Hard per finire al jazz rock, attraverso psichedelica, progressive, fino all’epitaffio del punk.

In questa sede, è interessante approfondire come gli stilemi tipici del blues

che abbiamo già esaminato arrivano a connotare fortemente il rock’n’roll, soprattutto nei suoi aspetti più duri e grintosi.

Innanzi tutto l’aspetto armonico tende a semplificarsi sia nello sviluppo delle

progressioni, che quasi invadono zone “modali”, sia nella struttura stessa degli accordi, che si focalizzano nella forma del bicordo (power chord), quest’ultimo privo della terza con relativa indeterminatezza del modo. La struttura delle canzoni s’incentra pertanto nei riffs, che diventano il vero fulcro del linguaggio.

Quando possiamo ancora parlare di giri armonici, oltre alle classiche 12

battute blues, troviamo spesso un paio di strutture che vale la pena di analizzare: Tonica Settima minore Quarta E D A (es. Satisfaction – Rolling Stones) Tonica Terza minore Quarta E G A (es. Highway Star- Deep Purple) Seconda minore Quinta Amin D (es. Oye Como Va / Evil Ways – Santana)

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Sotto l’aspetto melodico, in entrambi i casi il linguaggio parte dalle

pentatoniche ma si arricchisce anche di altre componenti, che comunque sempre mettono in evidenza la presenza della settima minore, con il suo carattere “ruvido”.

Approfondendo quest’aspetto, analizziamo di seguito un tipo di scala

maggiore, (modo misolidio), ed uno di scala minore (modo dorico). Ipotizziamo di improvvisare su uno dei giri di accordi sopra evidenziati, che

sono comunque incentrati su una tonalità (se possiamo definirla tale) maggiore; che ne so, il finale di Freebird dei Lynyrd Skynyrd – G – Bb – C.

Proviamo innanzi tutto con delle belle pentatoniche, sia maggiori che minori e

vediamo come “stanno agli accordi”: Pentatonica maggiore: G A B D E

Composizione della triade: G Bb C

Pentatonica minore: G Bb C D F

G/B/D Bb/D/F C/E/G

Possiamo notare che entrambe le scale siano comodamente utilizzabili in

questa situazione, in quanto non esistono note particolarmente dissonanti (attenzione, l’uso di una scala piuttosto che un’altra avrà comunque un “sapore” diverso): infatti il B contenuto nella scala maggiore è il terzo grado dell’accordo di tonica, mentre il Bb della scala minore è la fondamentale del secondo accordo, che presenta come dominante il F (la nostra imprescindibile settima minore). Vediamo che cosa succede se usiamo le scale naturali di sette note: Scala maggiore naturale: G A B C D E F#

Composizione della triade: G Bb C

Scala minore naturale: G A Bb C D Eb F

G/B/D Bb/D/F C/E/G

La scala maggiore presenta la sensibile (settimo grado della scala) dissonante

rispetto alla dominante (quinta) del secondo accordo (il famoso FA). Quella minore presenta un problema simile sul sesto grado, dove il Eb risulta dissonante rispetto alla caratteristica (terza) del terzo accordo (il E). Accettiamo invece in entrambe le scale le terze (B piuttosto che Bb) analogamente a quanto visto per la pentatonica.

Con l’aiuto di qualche alterazione, proviamo a “correggere” le scale: Scala misolidia: G A B C D E F

Composizione della triade: G Bb C

Scala dorica: G A Bb C D E F

G/B/D Bb/D/F C/E/G

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In buona sostanza, la scala misolidia è simile alla scala maggiore, con l’unica

differenza della presenza della settima minore; la scala dorica è invece simile a quella minore naturale, con il sesto grado alterato di un semitono verso l’alto (sesta eccedente).

Entrambe trovano ottima applicazione qualora desideriamo improvvisare sulle

progressioni anzidette, quando le pentatoniche “iniziano a starci strette”…. Proviamo ora ad utilizzare la scala dorica sulla tipica progressione di Carletto

Santana (Amin/D)…

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ARRANGIAMOCI…

Dopo un po’ di tempo che si suona, scopriremo che gli accordi studiati negli scorsi capitoli, sono , di per sè, piuttosto statici, o poveri musicalmente. Le cose migliorano se impariamo ad usare correttamente le tetradi, cioè aggiungendo ad ogni accordo la settima.

Esistono alcuni altri tipi d’accordo che, se usati propriamente, aiutano ad arricchire notevolmente la resa armonica del nostro discorso musicale, conferendo qualità ed autorevolezza al nostro accompagnamento.

Accordi di quarta “sospesi”:

Sono formati da tonica, quarta e quinta (eventualmente settima). Si chiamano “sospesi” perché manca la terza, nota che, come già sappiamo, è fondamentale per definire il modo di un brano. E’ un accordo dal sapore “interlocutorio”, spesso usato intercalato all’accordo di tonica (classico Dsus4 - D). Vediamo la sua posizione nella tastiera, nelle tonalità più usate (poi al solito basta trasporre).

Dsus4

• • •

Asus4 • • •

Esus4 • • •

Bsus/4 II • • • • • •

Dsus7/4 • • •

Asus7/4 • •

Esus7/4 • •

Bsus 7/4 II • • • • • •

Csus4 x x • • •

Csus7/4 x x • • • •

Gsus4 x • • •

Gsus7/4 X • • • •

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Accordi di nona:

Per ricavare gli accordi di nona, è sufficiente aggiungere alle tetradi che abbiamo imparato la nota che troviamo sull’intervallo di nona (attenzione, che secondo la posizione sulla scala naturale, possiamo avere una nona maggiore o minore). Vediamo lo schema sotto riportato: Tonalità di DO

C D E F G A B C D E F G A B C Do Maj 7/9

(N.F. – Terza Magg. – quinta – settima - nona)

C D E F G A B C D E F G A B C Re Minore 7/9

(N.F. – Terza Minore – quinta – settima min. - nona)

C D E F G A B C D E F G A B C Mi Minore 7/9b

(N.F. – Terza Minore – quinta – settima min – nona min)

C D E F G A B C D E F G A B C Fa Maj 7/9

(N.F. – Terza Magg. – quinta – settima - nona)

C D E F G A B C D E F G A B C Sol Maggiore 7/9

(N.F. – Terza Magg. – quinta – settima min. - nona)

C D E F G A B C D E F G A B C La Minore 7/9

(N.F. – Terza Minore – quinta – settima min.- nona)

L’aggiunta della nona su qualsiasi accordo della scala maggiore (escluso

l’accordo sulla sensibile, che comunque può benissimo essere sostituito dall’accordo di dominante), ha la caratteristica di “aprire” l’accordo stesso, e risulta molto utile per introdurre, con gran dinamica, l’accordo successivo in qualsiasi progressione tonale.

In ambito blues, l’accordo di nona è molto usato sull’accordo di settima di

dominante (es. A7 - D7/9 – A7 – E7 – D7/9 – A7 – E7/9#). Ma che cos’è quello strano accordo che chiude il giro sopra esposto? Un accordo di settima/nona aumentata?

E’ una figura molto usata nel blues sull’accordo di dominante, per il suo

sapore dissonante (infatti, la nona aumentata, altro non è che una terza minore; per contro l’accordo aveva già “in corpo” una terza maggiore; la nona aumentata, in questo caso un G, trova giustificazione essendo il settimo grado dell’accordo di tonica). L’accordo è chiamato anche “alla Hendrix”, dal nome di chi l’ha introdotto…

Vediamo alcune posizioni:

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C7/9

• • • •

Cmaj 7/9 • • • •

A9 • • •

Amin9 • • •

Emin9 • •

Emin7/9 • • • •

Bb9 • • • • • •

G7/9

IV • • • •

Gmaj7/9

III • • • •

A9 • • • • • •

D9 • • • • • •

E7/9# •

VII • • •

Divertiamoci ora con le prime battute di una canzone che prevede un uso

estensivo di accordi di nona: Police – “Every breath you take”

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Accordi diminuiti

E’ una famiglia di accordi un po’ strana, in quanto ogni nota è distanziata dalla precedente di un tono e mezzo. E’ l’accordo instabile per eccellenza, ed è ottimo per introdurre/sostituire qualsiasi accordo formato sulla tonica un semitono sopra o un semitono sotto.

Assume anche il nome di “accordo simmetrico”, in quanto ben quattro

posizioni sulla scala hanno le stesse note sull’accordo. Vediamo com’è composto:

Cdim Ebdim Gbdim Adim I C Eb Gb A Iii Eb Gb A C Vdim Gb A C Eb VI A C Eb Gb C#dim Edim Gdim Bbdim I C# E G Bb Iii E G Bb C# Vdim G Bb C# E VI Bb C# E G Ddim Fdim Abdim Bdim I D F Ab B iii F Ab B D Vdim Ab B D F VI B D F Ab

Cdim x x • • • •

Cdim x x

IV • • • •

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...UN TOCCO DI RAFFINATEZZA IN PIÙ.

Ora che abbiamo imparato un gran numero di posizioni sulla tastiera, e, mi

auguro, appreso il metodo per ricavare le giuste note per qualsiasi accordo, cominceremo a trovare un po’ “pesante” il suonare linee di accordi pieni in “strumming”, magari normalissime triadi. Ciò soprattutto se ci cimentiamo alla chitarra elettrica, in gruppo con basso/batteria, e, al caso, con un tastierista.

Se lo strumming, infatti, trova una sua ampia giustificazione in determinate situazioni, soprattutto in chiave ritmica, succede per contro che suonando in un ensemble con altri musicisti, le frequenze prodotte dalla nostra chitarra si possono scontrare con quelle prodotte da altri musicisti.

Ipotizziamo di suonare una qualsiasi canzone in Mi maggiore, in un normale

tempo di 4/4. Il basso andrà sicuramente ad appoggiare le toniche degli accordi, magari sui

tempi forti (1 e 3); coadiuvato dalla cassa della batteria (ulteriori frequenze basse). Se noi suoniamo il tradizionale Mi maggiore in prima posizione, aggiungeremo al mix le seguenti note: mi,si,mi,sol#,si,mi.

E • • •

Giacché le toniche saranno già ben tracciate, in modo perentorio, dal basso, non vi sembra un poco eccessivo aggiungerne ulteriori tre, in altrettante ottave diverse? Con un po’ d’esperienza, scopriremo invece che per noi chitarristi diventa invece interessante, accompagnando, “coprire i buchi” lasciati da questi ingombranti strumenti

ritmici, suonando sui movimenti deboli (in levare) ed evitando così gli accordi pieni, che possono essere sostituiti da qualche movimento di note singole (non necessariamente riffs distorti ma anche semplici figure suonate con un timbro pulito), oppure accordi giocati sui tre cantini. Interessante a questo punto omettere la tonica dagli accordi, evidenziando invece la caratteristica, ossia la terza (visto che la tonica è suonata dal basso, qualcuno deve pur fare capire in che “modo” ci si sta movendo..) ed altre note di arricchimento, appunto quarte (se vogliamo conferire un senso di “sospensione”), oppure none (per aprire gli accordi ed introdurre i successivi).

Provare per credere…

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ACCORDATURE APERTE ED ALTERNATIVE

Esaminiamo ora le possibilità che si possono usufruire accordando la chitarra in modo diverso dal tradizionale EADGBE.

Innanzi tutto esistono alcune accordature che, una volta impostate, formano

un accordo preciso, maggiore o minore che sia, suonando tutte le corde a vuoto. Le più usate sono SOL aperto (DGDGBD) – ottenuta, partendo dall’accordatura standard, abbassando la sesta, quinta e prima corda di un tono; e RE aperto (DADF#AD), che potrà essere ottenuta abbassando la sesta e la prima e la seconda corda di un tono, e la terza di mezzo tono.

L’uso di queste accordature trova radici in diverse espressioni della musica

popolare, anche se forse uno dei motivi più importanti è dato dal fatto che le stesse si prestano particolarmente bene ad essere usate nel blues con la tecnica del “bottleneck slide”, il famigerato tubo di vetro o metallo usato per simulare il suono della chitarra “lap steel” o “hawayiana”. Un maestro di questa tecnica è senz’altro il compianto Duane Allman, che accordava la chitarra in Mi aperto (EBEG#BE, in pratica un re aperto impostato un tono sopra), utilizzava lo slide infilato nell’anulare (una bottiglietta vuota di Coricidin), pizzicando in fingerpicking con pollice, indice e medio muniti di thumb-pick (speciali plettri metallici).

Sono molto usate anche nel country e nel folk europeo, musica celtica ed

altro. Si ascoltino al riguardo la canadese Joni Mitchell (Circe Game) oppure John Renbourne (English dance) o, perché no, i Led Zeppelin in “That’s the way” o in “Going to California” (tutti questi brani sono in “open G”, anche se talvolta trasposto con un capotasto mobile o abbassando di mezzo tono o più). Un bell’esempio di open E è l’acustica Little Martha, suonata da Duane Allman e Dicky Betts nel mitico “Eat a Peach” della Allman Brothers Band.

Trovo molto interessante provare e sperimentare in queste accordature,

perché si trovano facilmente combinazioni diverse dalle tradizionali, in cui le corde a vuoto, “sintonizzate” su ben determinati gradi della scala, conferiscono colori molto musicali.

Passando alle accordature alternative, queste, pur non formando un accordo

completo quando suonate libere, consentono per contro di muoversi con una certa agilità su posizioni standard sfruttando nello stesso tempo le note basse a mo’ di bordone.

E’ il caso della “Dropped D”, in pratica una standard con il mi basso portato a

re, accordatura usatissima e fortemente consigliata quando dobbiamo accompagnare brani appunto nella tonalità di Re (interessante, con un po’ di attenzione, anche in Sol); oppure la “Double Dropped D”, (DADGBD), meravigliosa per suonare in Re in un contesto di accordi sospesi o indeterminati (Cfr. “Don’t let me bring you down” di Neil Young o la mitica “Black Queen” di Steve Stills).

Merita un discorso più approfondito l’accordatura DADGAD, che ho scoperto

essere molto diffusa presso i flat & fingerpickers. Per quanto ho avuto modo di sperimentare, questa consente interessanti combinazioni tenuto conto che consente di suonare “bordoni” su corde a vuoto in tutte le note fondamentali del giro di blues

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(D,G,A); inoltre, la posizione “stretta “ tra la terza e la seconda corda, che distano solo di un tono, aiutano la formazione facile di accordi di nona, che come già detto, “aprono” l’accordo. Un bell’esempio dell’uso di questa accordatura è “Black Mountain Side” dei Led Zeppelin, dal loro primo album.

Il discorso sulle accordature alternative è praticamente appena cominciato; le

possibilità sono praticamente infinite, si pensi che circola una leggenda secondo la quale Joni Mitchell, nella sua lunga ed onorata carriera, ha usato una cinquantina di accordature diverse; per non parlare di David Crosby, o di Nick Drake o, per rimanere vicino a noi, a Roberto Dalla Vecchia, che nel suo ultimo “Sit Back” ha dato un vero saggio dell’uso di accordature alternative, con risultati eccellenti (visitate il suo sito internet www.robertodallavecchia.com per saggiare qualche Mp3 o qualche sua trascrizione).

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