INGLESE? AL CONTRARIO - European...

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23 Gennaio 2003 Comitato di redazione: C. Breddy, C. Cona, R. Gallus, C. M. Gambari, G. Gigante, C. Gracci, D. Murillo, E. Ranucci Fischer, D. Vitali Partecipazione: F. Oddone (Docente presso l’Università degli studi di Genova) Fotografia: C. M. Gambari Grafica: A. A. Beaufay-D’Amico (Anna-Angela.Beaufay-D'[email protected]) trimestrale transardennese dei traduttori italiani Servizio di traduzione – Commissione europea http://europa.eu.int/comm/translation/reading/periodicals/interalia/index_it.htm SOMMARIO PAG . BELLA O FEDELE STORIE DI TRADUZIONI: Inglese? Al contrario (Cristina Cona) 2 SEGNALIBRO: Montedidio di Erri De Luca (Giulia Gigante) 4 CONTRIBUTI: La traduzione poetica, un’arte in crisi: il contributo di Efim Etkind (Francesca Oddone) (Docente presso l’Università degli studi di Genova) 6 CULTURALIA: Cartoline dalla Polonia – seconda puntata – (Giulia Gigante) 8 VARIE: Nubi all’orizzonte per Inter@lia? (I redattori di Inter@lia) 10 CIBERSPAZIO : Ciberspazio (Daniela Murillo-Perdomo) 12 A tutti Buone feste

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23 Gennaio

2003

Comitato di redazione: C. Breddy, C. Cona, R. Gallus, C. M. Gambari, G. Gigante, C. Gracci, D. Murillo, E. Ranucci Fischer, D. Vitali Partecipazione: F. Oddone (Docente presso l’Università degli studi di Genova) Fotografia: C. M. Gambari Grafica: A. A. Beaufay-D’Amico (Anna-Angela.Beaufay-D'[email protected])

trimestrale transardennese dei traduttori italiani Servizio di traduzione – Commissione europea http://europa.eu.int/comm/translation/reading/periodicals/interalia/index_it.htm

SOMMARIO PAG .

BELLA O FEDELE STORIE DI TRADUZIONI: Inglese? Al contrario (Cristina Cona) 2 SEGNALIBRO: Montedidio di Erri De Luca (Giulia Gigante) 4 CONTRIBUTI: La traduzione poetica, un’arte in crisi: il contributo di Efim Etkind (Francesca Oddone) (Docente presso l’Università degli studi di Genova) 6 CULTURALIA: Cartoline dalla Polonia – seconda puntata – (Giulia Gigante) 8 VARIE: Nubi all’orizzonte per Inter@lia? (I redattori di Inter@lia) 10 CIBERSPAZIO : Ciberspazio (Daniela Murillo-Perdomo) 12

A tutti Buone feste

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Irlandese, ma vissuto a Parigi per quasi tutta la sua vita di adulto, Samuel Beckett è uno dei pochi autori che, veramente bilingui, hanno scelto non solo di scrivere sovente nella lingua acquisita, ma anche di tradursi nella propria lingua madre. E' questo il caso della sua opera teatrale più famosa, En attendant Godot, presentata per la prima volta al pubblico in francese nel 1953 e da lui tradotta in inglese (Waiting for Godot) alcuni anni dopo. Il primo interrogativo che il lettore/spettatore si pone è, indubbiamente, perché a partire dal 1945 Beckett abbia deciso di utilizzare il francese anziché l'inglese (lingua materna oltreché dei suoi primi libri) come mezzo di espressione letteraria. Alle origini di questa scelta fu tra l'altro la sua esperienza di traduttore (di scrittori sia italiani che francesi), iniziata già negli anni Trenta, servita in qualche sorta da apprendistato e che nel 1937 lo aveva portato a tradurre da sé in francese il suo romanzo Murphy (e in Watt, scritto in inglese durante la guerra quando l'autore viveva nel Vaucluse e non aveva con-tatti con altri anglofoni, si riscontrano numerosi calchi dal francese, clamoroso fra tutti il ripetuto uso di "to support" nel senso di "supporter"). Le ragioni "vere" restano comunque di difficile individuazione: lo stesso Beckett ha fornito varie spiegazioni lapidarie che i critici non hanno trovato molto convincenti, da "I just felt like it", a "en français, c'est plus facile d'écrire sans style", dall'aver temuto di scrivere in inglese perché "you couldn't help writing poetry in [English]", alla dichiarazione più esauriente, rilasciata nel 1962 al critico statunitense Laurence Harvey: " ... for him, an Irishman, French represented a form of weakness by comparison with his

mother tongue. Besides, English because of its very richness holds out the temptation to rhetoric and virtuosity, which are merely words mirroring themselves complacently, Narcissus-like. The relative asceticism of French seemed more appropriate to the expression of being, undeveloped, unsupported somewhere in the depths of the microcosm." Il francese, lingua più scarna e diretta, risultava insomma più adeguato a veicolare l'universo ridotto ai minimi termini che è proprio dell'opera di Beckett. Prova ne sia che nel 1968 dichiarò al suo amico Ludovic Janvier di aver ricominciato a scrivere in francese con il desiderio di "impoverirsi ulteriormente". Fra la versione francese e quella inglese di Godot, pur separate da un arco di tempo brevissimo, si rilevano parecchie differenze di linguaggio e di impostazione. E' stato ad esempio osservato che il testo inglese è più stringato ed espunge quattro brani di dialogo assai lunghi, guadagnando così in agilità e scorrevolezza, oltre a contenere più precise indicazioni sceniche. A fianco di queste modifiche, che riflettono con ogni probabilità l'esperienza acquisita nel frattempo da Beckett nel mondo del teatro dopo la rappresenzione di Godot a Parigi, ve ne sono altre in cui l'autore si avvale di evocazioni e richiami letterari specificamente anglofoni (come la scena in cui i due protagonisti guardano la luna ed Estragon, che nella versione francese si limita a dire: "Je fais comme toi, je regarde la blafarde", in quella inglese cita un brano di Shelley), o viceversa sopprime allusioni e giochi di parole che hanno senso soltanto in francese. A dividere i critici sono però soprattutto problemi di raffronto sistematico e complessivo dei due testi: è l'inglese o il francese ad essere più filosofico, o più pessimista, o più volgare, o più intellettuale? Alcuni vedono significative divergenze, altri ritengono che si tratti sostanzialmente dello stesso testo, e che i cambiamenti siano da considerarsi tutto sommato marginali. E qui avanzerei modestamente l'ipotesi che questo dibattito, per quanto autorevole, sia viziato da una lacuna fondamentale: il non aver prestato sufficiente attenzione al carattere profondamente irlandese della prosa di Beckett. Ignorando quest'aspetto gli studiosi sono incorsi talvolta in veri e propri equivoci, come il considerare meno colloquiali certe battute in

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inglese per via del ricorso ad espressioni ritenute a torto formali, in realtà semplicemente più vicine allo "Hiberno-English" che al "Queen's English" (come la traduzione di "Tu m'as fait peur" in "You gave me a fright", considerata dallo studioso americano L. Graver come appartenente ad un registro "superiore", mentre in realtà si tratta di un'espressione assai corrente in Irlanda). Chi abbia dimestichezza con l'inglese parlato in Irlanda e legga o ascolti Godot non può non notare quanto siano irlandesi l'andamento della frase, molte delle espressioni colloquiali utilizzate, l'umorismo che sottende la disperazione (o viceversa). Non è del resto un caso che nell'intervista sopra citata Beckett abbia dichiarato di ritenere debole il francese rispetto alla sua lingua madre "as an Irishman". Per dare un'idea degli "ibernicismi" (se non addiritture dublinismi) che costellano Godot ricordiamo, fra i tanti, l'uso del verbo "to blather" (con il quale Beckett traduce il francese "bavarder") o dell'aggettivo banjaxed" ("rovinato"); le costruzioni tipicamente irlandesi come " ... ask myself is there anything I can do", "it wasn't you came yesterday", "'Twas my granpa gave it to me", "you won't be wanting the bones", "I'm tired telling you that", o "nice business it'd be if he fell sick on me" (dove "on me" serve a personalizzare le conseguenze della malattia sul parlante, così che si potrebbe tradurre "bella roba se mi facesse lo scherzo di ammalarsi"); espressioni come "what ails him?" (= "what's wrong with him?"), "come here till I embrace you", "he wants to cod me but he won't", o "your man" (forma molto diffusa, equivalente a "that man"). A questi si aggiungono diverse allusioni a luoghi e cose d'Irlanda, come il camogie (uno sport gaelico) o il negozio dublinese di pipe Kapp and Peterson. Parlando di umorismo, infine, la maggiore varietà di registri osservabile nel testo inglese, con il frequente andare e venire dal colloquiale al ricercato, provoca un effetto di discontinuità comica che colloca Beckett nella grande tradizione della letteratura satirica irlandese del ventesimo secolo; in particolare i preziosismi di stile cui ricorrono spesso i personaggi (a proposito dei quali un critico amico di Beckett osservò che i due mendicanti Didi e Gogo, principali protago-nisti,

"sound as if they had got a Ph.D"; risposta dell'autore: "How do you know they hadn't?") ricordano molto da vicino certe parodie o semiparodie letterarie del più grande fra gli esponenti di questo genere: Flann O'Brien. Interessante in questo senso è la reazione di Roger Blin, il regista teatrale che portò in scena la versione francese di Godot e che alcuni anni dopo, assistendo alla prima della commedia a Dublino, si dichiarò pieno di stupore e di ammirazione per gli attori, che avevano fatto del dialogo una serie di "blagues irlandaises". Del resto non ci si poteva aspet-tare altro da Beckett, autore che, sia pur non essendo nazionalista e pur sentendosi a disagio nell'atmosfera cattolica e conservatrice dello Stato irlandese di recente creazione, non nutriva dubbi sulle proprie origini. Secondo un aneddoto, essendogli stato una volta chiesto se era inglese avrebbe risposto: "au contraire". Se non è vero è ben trovato: l'autore di una battuta come questa non poteva non essere irlandese fine al midollo.

Cristina Cona

Fonti: L. Graver, Samuel Beckett: Waiting for Godot, Cambridge University Press, Cambridge 1989 J. Fletcher, Écrivain bilingue, in: Cahier de l'Herne - Samuel Beckett, L'Herne, Paris 1978 S. Connor, "Traduttore, traditore": Samuel Beckett's translation of Mercier et Camier, http://english.fsu.edu/jobs/num1112/027_CONNOR.PDT

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bella o fedele

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Montedidio di Erri De Luca

(Feltrinelli 2001, 11,88 euro)

Succede sempre più di rado di incontrare una narrazione che incanti. Montedidio è un romanzo di grande poesia che ci apre uno squarcio sulla Napoli del dopoguerra vista attraverso gli occhi di un bambino che diventa uomo quasi senza accorgersene, senza passare attraverso l'adolescenza. Il suo sguardo, libero da qualsiasi stereotipo, reinventa la realtà o meglio la interpreta liberamente e quindi in maniera più vicina all'essenza delle cose, al significato degli eventi. E' un romanzo "alato" in cui il volo non è solo quello metaforico con cui il protagonista passa dall'infanzia all'età adulta, accompagnato, come nelle fiabe, da un mezzo magico, il bumeràn (un boomerang ricevuto in regalo dal padre), ma è anche quello di un personaggio, Rafaniello, cui spuntano le ali per raggiungere Gerusalemme, la mèta dei suoi sogni, «l’unica città del mondo dove la morte si vergogna di esistere». Erri de Luca perde la pretenziosità che aveva accompagnato le sue prime prove letterarie e raggiunge anche lui la maturità artistica con un libro destinato a lasciare il segno. Il ragazzo protagonista del libro (che rimane senza nome per tutta la narrazione) vive in napoletano, ma sceglie di scrivere il proprio diario in italiano perché "l’italiano è zitto e ci posso mettere i fatti del giorno, riposati dal chiasso del napoletano". Le espressioni napoletane fanno eco ai punti più importanti della narrazione, arricchendola, regalandole un'altra dimensione. Finite le elementari, il ragazzo viene mandato a bottega da un falegname, ad imparare il mestiere. Comincia così a trascorrere le sue giornate con mast’Errico, l’”ebanista-pescatore”, impara che le linee del legno « hanno un pelo e un contropelo » e che, come ama ripetere mast’Errico, « ‘A iurnata è nu muorzo » e quindi non si può perdere tempo. Nella falegnameria conosce anche un calzolaio ebreo, esule dal Nord Europa, che ripara le scarpe dei poveri senza farsi pagare.

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A Napoli lo chiamano Rafaniello perchè rosso di pelo e con la gobba, ma il suo vero nome è Rav Daniel. Sfuggito al massacro degli Ebrei e rimasto solo al mondo, approda a Napoli per sbaglio mentre viaggia alla volta di Gersusalemme. Un angelo gli profetizza che andrà a Gersusalemme con le proprie ali, custodite nella sua gobba. Da Rafaniello il ragazzo impara a non temere la nostalgia : « quando ti viene una nostalgia, non è mancanza, è presenza, è una visita, arrivano persone, paesi, da lontano e ti tengono un poco di compagnia ». Nel percorso iniziatico che si svolge nel giro dei sei mesi della narrazione il protagonista conosce l’amore e la morte e prende coscienza di sé : «Maria dice che io ci sto e così ecco qua me n’accorgo pur’io che ci sto. Mi chiedo solo: non me ne potevo accorgere per conto mio di esserci? Pare di no. Pare che ci vuole un’altra persona che avvisa». Insomma è l’amore, o meglio "l'ammore" (con due emme perché esprime meglio la forza dei sentimenti, “è più tosto”) di e per Maria a dargli l’impulso decisivo, a farlo crescere. Una Maria fra-gile come una bambina ma anche forte come una donna adulta, che gli dice, dolce nella sua essenziali-t à , « M’importa di te », una frase che risulta molto più forte di tante altre arzigogolate dichiarazioni d’amore e a cui a lungo l’io narrante cerca una risposta, analoga nel contenuto, ma diversa nella forma, convinto che « i fidanzati fanno mosse pari ». In quello che « Le Monde » ha definito il miglior lavoro di De Luca, il quartiere di Montedidio prende vita sotto i nostri occhi e ci trasporta in una dimensione che è al tempo stesso quella della realtà e quella del sogno.

Giulia Gigante

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Montedidio

contributi Storie di traduzioni

La traduzione poetica, un’arte in crisi: il contributo di Efim Etkind

Il contributo di Efim Etkind alla teoria della traduzione ha sollevato critiche e riserve. Tuttavia, l’attenzione portata alla traduzione poe-tica, nonché la riflessione sulle maggiori opere poetiche russe ed europee, meritano senz’altro un’indagine approfondita. La concezione di Etkind affonda le proprie radici nella tradizione traduttologica sovietica. Egli ha infatti conseguito una formazione letteraria presso l’università di Lenigrado, dove nel 1965 discute una tesi di stato intitolata La stilistica comparata come fondamento della teoria della traduzione. Professore all’Istituto Herzen di Leningrado e membro dell’Unione degli Scrittori Sovietici dal 1956, Efim Etkind viene sospeso dalle sue funzioni ed espulso dall’Istituto il 25 aprile 1974, in quanto ebreo ed antisovietico. Lo stesso giorno viene contemporaneamente privato dei titoli universitari ed escluso dall’Unione degli Scrittori. I suoi libri - tutti sulla poesia o sulla stilistica - vengono ritirati dalle biblioteche. Costretto ad abbandonare l’Unione Sovietica, il 16 ottobre 1974 Etkind è nominato professore di letteratura russa presso l’università di Paris X - Nanterre. Nel giugno del 1975 discute una nuova tesi di stato all’Università della Sorbona. I primi contributi di Efim Etkind in ambito critico-letterario risalgono agli anni Sessanta, ad opera di alcune case editrici sovietiche; egli scrive sulla versificazione e sulla traduzione, citiamo Poezija i perevod [Poesia e traduzione], 1963, Masterstvo perevoda [L’arte della traduzione], 1970; all’estero Etkind pubblica, sempre in russo, Forma kak soderžanie [La forma come contenu-to], 1977 e Materija sticha [La materia del ver-so], 1978. Nel 1982 l’Age d’Homme di Losanna pubblica Un Art en crise, essai de poétique de la traduction poétique. Quest’ultimo saggio di poetica nasce dall'amara constatazione che il disinteresse nei confronti della letteratura e della poesia straniera, in particolare in Francia, è il risultato della crisi che investe l'attività traduttiva. Avendo individuato i sintomi di tale crisi, l'autore analizza i presuppo-s t i e l a metodologia della traduzione poetica degli ultimi decenni, tentando di confutare l’idea che la crisi della traduzione poetica sia ineluttabile.

Etkind argomenta i propri principi attraverso il confronto critico delle traduzioni. Nella prefazione all’opera l’autore definisce lo scopo della traduzione dei versi, affermando che «Un texte poétique est toujours un système de conflits . Définir la spécificité d’un texte revient à décrire les conflits essentiels qui le caractérisent, parmi lesquels il en est un qui est le conflit dominant. Une traduction adéquate suppose la reproduction fidèle de chacun des ensembles conflictuels donnés.» . Etkind distingue, sempre nella prefazione, sei diversi tipi di traduzione poetica, basandosi sulle strategie illustrate dai traduttori stessi nelle prefazioni alle maggiori traduzioni di poesia esistenti in commercio. La prima è la Traduzione-Informazione. Ha lo scopo di dare al lettore un’idea generale dell’originale. Possiamo affermare di norma che tale tipo di traduzione è in prosa e resterebbe priva di ogni pretesa artistica. La seconda è la Traduzione-Interpretazione. Combina la traduzione con la parafrasi e l’analisi ed è il compendio degli studi storici ed estetici. Madame de Staël ne offre un modello nella sua opera De l’Allemagne, che ha conservato la sua efficacia fino ai giorni nostri; a questo genere appartiene la traduzione di Baudelaire di The Raven di Edgar Allan Poe, unione di prosa e commento. Segue la Traduzione-Allusione. Questa si propone soltanto di svegliare l’immaginazione del lettore. Il traduttore richiede al lettore di collaborare, conferendo al testo l’eventuale tristezza tragica oppure la melanconia, lo splendore della forma, le associazioni grazie alle quali potrebbe configurarsi un equivalente degno dell’originale, in sé intraducibile. Non di rado accade così che i traduttori facciano rimare solo i primi quattro o i primi otto versi conformemente all’originale, come per orienta-re lo spirito del lettore nella giusta direzione. Fare ricorso all’immaginazione del lettore è in sé una cosa ammissibile, ma supporre che que-sta possa sostituire il lavoro del traduttore signi-fica dar prova di mancanza di realismo. Il letto-re infatti passerà oltre la strofa iniziale e prove-rà una sensazione simile a quella suscitata dal procedimento della «delusione dell’attesa», mentre l’uso di tale procedimento non rientrava né nei fini dell’autore né in quelli del traduttore.

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Si parla invece di Traduzione-Approssimazione quando l’autore del testo d’arrivo giunge alla conclusione, ancor prima di mettersi al lavoro, che non è in grado di tradurre. Di solito, in un’introduzione più o meno lunga, egli presenta al lettore le proprie scuse, quindi si accontenta di fornire soluzioni approssimative. Il quinto tipo di traduzione prende il nome di Traduzione-Imitazione. La critica ha da tempo operato una netta distinzione fra traduzione, imitazione e adattamento, sulla quale non possiamo soffermarci in questa sede. L’ultimo tipo di traduzione preso in esame è la Traduzione-Riproduzione o Ricreazione. Essa ricrea un insieme, conservando la struttura dell’originale; garantisce il rispetto dei contenuti, nonché del-l’idea propria del modello sistemico di partenza. Le differenze fondamentali tra la ricreazione e l’imitazione sono numerose: la prima conserva la struttura dell’originale mentre la seconda ne assume una nuova, che non è in alcun caso equivalente a quella originale; essa riproduce il sistema di immagini dell’originale, la seconda lo trasforma per adattarlo al proprio registro, senza preoccuparsi della veridicità storica ed estetica di tale sistema nel contesto. La Traduzione-riproduzione dà origine a un tutto adeguato al testo di partenza; la Traduzione-imitazione produce un tutto nuovo, che risponde a regole diverse e perfino a un’idea diversa. Etkind proclama l’unione indissolubile di contenuto e metamorfosi creatrice, di fondo e forma. Egli analizza le caratteristiche della forma, che dipendono dall’intenzionalità del poeta e dal contesto estetico in cui nasce l’opera. Etkind non ritiene possibile l’esistenza di corrispondenze fisse tra le forme sonore delle diverse lingue e afferma che ogni elemento della poesia detiene una propria funzione. La coesistenza degli elementi della poesia è dettata dalla legge della necessità, non esistono quindi rime o ritmi casuali. Funzione è il termine che caratterizza il tutto di Etkind: la funzione del testo poetico non è di essere informativo, né esplicativo, ma di racchiudere in sé gli elementi che lo rendono poesia, nell’unica maniera possibile, cioè quella che rispetta l’armonia di forma e pensiero. Tradurre i versi in prosa significherebbe quindi defunzionalizzare l’opera.

Storie di traduzioni La traduzione poetica, un’arte in crisi: il contributo di Efim Etkind

contributi

La traduzione deve riprodurre la funzione del genere originale, l’unità globale della composizione, in quanto sistema di elementi. Gli elementi formali, come la rima, sarebbero principi compositivi indispensabili. Il saggio cui si fa riferimento non si propone di essere un trattato teorico. La critica di tipo contrastivo che l’autore porta avanti (la scelta dei frammenti poetici che Etkind propone non è casuale, si tratta di opere molto ritmate, nelle quali la rima ha un ruolo di primo piano, quali le canzoni di Galič, la produzione sperimentale di Chlebnikov, ecc.) è volta a dimostrare che tradurre i versi in prosa non significa solo rinunciare ai progressi fatti dalla traduttologia sovietica in questo secolo e all’importanza del contributo degli studiosi di “immigrazione” nel dibattito culturale francese; annullare il significato della forma nella traduzione poetica equivarrebbe ad annientare le sfumature culturali e espressive delle opere, che risultano così decontestualizzate, nonché a negare l’inscindibilità di forma e fondo come principio poetico. Etkind auspica che i traduttori di poesia siano disposti a una continua ricerca formale, che preceda la traduzione dei contenuti. Tradurre i versi è possibile secondo l’autore, perché i versi sono una sorta di veste provvisoria, sotto la quale si cela il messaggio poetico. Tradurre la poesia equivale a riproporre lo stesso messaggio sotto un’altra veste. Il fatto che in molti casi ciò non avvenga, in particolare nella pratica traduttiva francese, sarebbe dovuto non alla povertà della lingua o alla monotonia dei suoi versi bensì al sentimento di inadaptation de la forme au fond che affliggerebbe i traduttori contemporanei e all’incapacità di affrontare ciò che già Paul Valéry, già Roman Jakobson, definivano trasposizione creatrice.

Francesca Oddone

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culturalia CARTOLINE DALLA POLONIA

(seconda puntata)

Sulla via dell'ambra

Sotto Sandomierz, una cittadina arroccata sulla Vistola, c'è un'altra città, parallela, che si snoda nei sotterranei, a testimonianza non solo di un ricco passato mercantile sulla "via dell'ambra", da Kiev a Cracovia, in cui le merci venivano stipate in magazzini sotto terra, ma anche e soprattutto di un passato di incursioni nemiche in cui l'unico, effimero scampo era rappresentato dalle viscere della terra. Secondo la leggenda, Halina, una ragazza assurta a simbolo eroico di Sandomierz, a costo della propria vita, vi attirò con un tranello i Tatari che vi rimasero intrappolati e perirono e così la città, almeno per quella volta, fu salva. Il passaggio segreto, ricco di graffiti, nicchie e nascondigli termina esattamente al centro della città, sotto il Ratusz.

Le sorprese del sottosuolo Anche a Chelm, uno degli ultimi avamposti della Polonia - una città che si estende con una serie di cerchi concentrici intorno alla collina su cui si trova una maestosa chiesa bianca immersa in un parco circondato da fortificazioni, in un territorio tormentato a lungo conteso tra l’impero austroungarico, la Russia e la Polonia - il sottosuolo offre un percorso inusitato, questa volta in una cava di gesso, l’unica sotterranea del mondo, un labirinto a più livelli di una quindicina di chilometri.

Gli abitanti di Chelm sembrano essere particolarmente devoti e la vita sembra ruotare intorno alle chiese cattoliche forse per contrasto o contraddizione con gli ortodossi o gli uniati ormai a pochi passi. Tale professione palese di fede, benché piuttosto diffusa in tutto il paese, qui assume una tonalità fastidiosa, in contrasto stridente con la storia della popolosissima comunità ebraica della città che è stata annientata senza lasciare tracce visibili. A Lublino, invece, l’antica taverna Pod Fortuna nasconde nelle cantine un vero e proprio museo privato con sale affrescate di epoca rinascimentale con iscrizioni antiche in latino e tedesco inneggianti alla vita e al ruolo della fortuna.

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culturalia Skansen

Appena fuori Lublino, in un parco estremamente ben curato che scende lungo una scarpata verso il fiume, sono raccolte (ricostruite dai pezzi originari) le abitazioni in legno della Polonia antica con le capanne, le stalle, i magazzini, le fattorie, le cantine, i mulini a vento, le cascine, i frantoi e le chiese, cattoliche e ortodosse. Nel parco, il tempo sembra essersi fermato e non è difficile immaginare come scorresse la vita di una volta. Da un passato molto più recente emerge Stefan Aleksandrovicz, custode di una delle due chiese e scrittore di versi e commedie. Un personaggio dallo sguardo ispirato che sembra uscito da un romanzo di Dostoevskij che racconta della vita grama in Polonia al tempo dei comunisti che chiama "diavoli", di un viaggio mitico nell'Europa occidentale, compiuto nel 1974 con soli 10 dollari e uno zaino pieno di cibarie, della miseria che c'è ancora in Ucraina e in Bielorussia, dove la Polonia rappresenta ancora un vero e proprio "Paradiso" e, soprattutto, della forza del destino a cui è impossibile sfuggire.

Il castello di Ksjaz Su una collina, a strapiombo su una foresta fitta e un po' mis te r iosa, s i e rge , c i rcondato dai suoi bastioni e da sette giardini pensili, Ksjaz, un castello su cui una storia complessa, che ha visto succedersi popoli, dinastie e culture diverse, ha lasciato tracce tangibili in un'incredibile sovrapposizione di stili che lo rendono disarmonico e vagamente kitch (soprattutto per colpa di una serie di mostre disneyane ad uso e consumo dei turisti occidentali). Fuori dai saloni stuccati, però, il silenzio racconta storie antiche, parla di violenze e di delitti, ma anche di ideali e di amore, di valori in cui credere e di sogni in cui sperare.

Zgorzelec-Goerlitz

Solo un ponte separa le due città. La parte polacca è uno dei luoghi più torvi della Polonia: Zgorzelec è una città grigia, sporca, di una bruttezza anonima che scoraggia qualsiasi desiderio di varcare il confine. Ma la controparte tedesca, al di là del ponte, nonostante la bellezza dei palazzi finemente decorati, è pervasa dalla stessa atmosfera mesta, con un silenzio che più di mistero sa di vuoto e di assenza. Sui due lati del ponte, uno scultore italiano ha costruito una bizzarra installazione, una sorta di enorme imbuto fatto di rami d'albero intrecciati dal quale guardare verso l'altra sponda. Due costruzioni speculari, lugubri come due uccelli notturni, che rimandano immagini diverse ma accomunate da un'unica angoscia ...

Giulia Gigante 9

Nubi all'orizzonte per Inter@alia?

Il 18 novembre 2002 Cornelis van der Horst, capo dell'unità "Informazione e comunicazione", ha presentato al Consiglio di direzione un documento in cui vengono brevemente descritte le pubblicazioni del Servizio di traduzione e formulate alcune proposte per il futuro. Nella sua rassegna figura naturalmente anche Inter@lia, una delle sette riviste pubblicate per iniziativa di una sezione linguistica (per la cronaca, le altre sono Nyhedsbrev, Language Matters, Verba Volant, Puntoycoma, A Folha e Suomen Kielen Käyttöohjeita). Van der Horst, pur riconoscendo che queste riviste a) non costano praticamente nulla al Servizio di Traduzione; b) non incidono sulla produttività del servizio, in quanto devono la loro esistenza all'entusiasmo e all'impegno personale di colleghi che si dedicano all'attività di redazione per lo più nel loro tempo libero; c) svolgono una funzione utile di informazione e rafforzano la motivazione e lo spirito di corpo del personale; d) rispondono ad una comprensibile esigenza di libertà espressiva e di diversificazione culturale, raccomanda sostanzialmente di abolirle nella loro forma attuale, perché: - la rete pullula di siti in cui i lettori possono andarsi a cercare autonomamente tutte le informazioni che desiderano; - la pur lodata libertà espressiva e volontà di diversificazione culturale producono prodotti troppo poco omogenei, in cui è difficile riconoscere la matrice comune, rappresentata dall'appartenenza allo stesso servizio. La soluzione proposta è quella di pubblicare tre volte all'anno sul server Europa un'unica grande ri-vista on-line, in cui si fonderebbero tutte le pubblicazioni attualmente esistenti: insieme alle sette sorelle sopra citate, Terminologie & Traduction, Free Lance Bulletin, SdTinfo (ex-Feuille d'Information), HotSpot e Lingo. Questa nuova superivista sarebbe costituita da una sezione generale in inglese o in francese (una versione ridotta di Terminologie & Traduction) e da sezioni specifiche, che corrisponderebbero più o meno alle altre pubblicazioni attuali (Free Lance Bulletin, SdTinfo, HotSpot e Lingo e riviste delle singole comunità linguistiche, presenti e future). La rivista sarebbe edita dall'unità "Informazione e comunicazione", che si impegnerebbe a garantire la massima autonomia a ciascuna sezione. Il 6 dicembre il Consiglio di direzione ha approvato la proposta di Van der Horst. È previsto un primo periodo di sperimentazione di sei mesi, dall'inizio del 2003, al termine del quale, alla luce dei risultati raggiunti, si prenderà una decisione definitiva. Invitiamo i colleghi che volessero saperne di più a leggere l'intero documento (consultabile all'indirizzo: http://www.cc.cec/SDT/cdd/docref/02/cdd_052.pdf) e a comunicarci la loro opinione.

I redattori di Inter@lia

varie

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Danish - Glædelig Jul og godt nytår

Dutch - Vrolijk Kerstfeest en een Gelukkig Nieuwjaar!

English -Merry Christmas & Happy New Year

Finnish - Hyvää Joulua or Hauskaa Joulua - 0nnellista uutta vuotta

French - Joyeux Noël et Bonne Année!

Greek - Kala Christougenna Ki'eftihismenos O Kenourios Chronos

Σας ευχοµεθα Καλα Χριστουγεννα

Italian - Buon Natale e Felice Anno Nuovo

Irish - Nollaig Shona Dhuit

Luxembourgeois -Schéi Krëschtdeeg an e Schéint Néi Joer

Portuguese -Boas Festas e um feliz Ano Novo

Spanish - Feliz Navidad y Próspero Año Nuevo

Swedish - God Jul och Gott Nytt År

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CIBERSPAZIO

Il sito www.liberodiscrivere.it è una biblioteca on line aperta alle opere d'aspiranti scrittori, nata nel novembre 2000 da un'idea di Antonello Cassan. Lo scopo è quello di offrire visibilità agli autori inediti ed emergenti fornendo consigli pratici per l'autoproduzione di un libro e garantendo l'opportunità di presentare, promuovere e vendere il proprio prodotto letterario. Il motto di Liberodiscrivere è "il libro si libera". Altro sito utile: “Il rifugio degli esordienti” (http://spazioinwind.libero.it/ilrifugio/rifugio.htm), uno spazio ricchissimo di idee e indirizzi interessanti Per chi poi volesse imparare a scrivere per lanciarsi in attività letterarie esistono corsi di scrittura on line. Eccone alcuni: SCUOLA DI SCRITTURA.COM http://www.scuoladiscrittura.com E’ uno spazio esclusivamente virtuale. I corsi si tengono via e-mail e possono iniziare in ogni momento dell'anno. Si prende spunto dai lavori degli iscritti, discutendoli insieme a loro e sottoponendoli ad un'analisi approfondita per far nascere poi idee, suggerimenti, modifiche, approfondimenti. Si tratta di corsi individuali e personalizzati elaborando, per ogni iscritto, un itinerario particolare e individuale, in modo da permettergli di sviluppare al meglio le sue potenzialità. PICCOLA SCUOLA DI SCRITTURA CREATIVA con sede a Padova e con un sito internet: http://www.lanternamagica.org Propone l'introduzione agli elementi fondamentali della narrazione e ed alla scrittura fantastica. Vi sono lezioni, esercitazioni, discussioni di testi, analisi di racconti e giochi narrativi che permetteranno ai partecipanti di prendere dimestichezza con gli aspetti “pratici” della realizzazione dei racconti. LABORATORIO DI SCRITTURA CREATIVA - SCUOLA DI SCRITTURA A DISTANZA con sede a Potenza e un sito: http://www.paroladidonna.net/laboratorio.htm che si propone di dare la parola alle donne, per incoraggiarle ad esprimersi e a farsi conoscere. I laboratori sono strutturati per generi: racconto, romanzo, fiaba, teatro, scrittura multimediale. E`prevista una parte teorica e una parte di scrittura e revisione dei testi. I corsi a distanza sono in questa fase proposti attraverso e-mail. INTERRETE (http://www.interrete.it/), ancora un laboratorio di scrittura che organizza corsi, incontri, seminari.

Daniela Murillo

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Breve rassegna dedicata alla libertà d'espressione poetica e letteraria in rete