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1 INFORMAZIONI NON FINANZIARIE E GESTIONE DELLE DIVERSITÀ LA PARITÀ DI GENERE ENTRA NEI BILANCI CREANDONE UNA CULTURA

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INFORMAZIONI NON FINANZIARIE E GESTIONE DELLE DIVERSITÀ

LA PARITÀ DI GENERE ENTRA NEI BILANCI CREANDONE UNA CULTURA

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INTRODUZIONE

IL COMITATO PARI OPPORTUNITÀ DELL’ORDINE DEI DOTTORI COMMERCIALISTI E DEGLI ESPERTI CONTABILI DI TORINO

Il Comitato Pari Opportunità dell’Ordine dei Dottori Commercialisti ed Esperti Contabili di Torino ha redatto e presentato diversi approfondimenti in tema di go-vernance di società private e pubbliche, crisi di impresa ed internazionalizzazione.

La nascita del Comitato Pari Opportunità (maggio/giugno 2012), da me fortemente desiderato e condiviso dalla collega Spaini, è stata sostenuta da subito dal Pre-sidente dell'Ordine dei Dottori Commercialisti di Torino e dal Consiglio dell'Ordine, tutti (me compresa) certamente spronati anche da una norma che avrebbe dovuto entrare in vigore a pochi mesi (agosto 2012) dalla nascita del Comitato.

Abbiamo inizialmente commentato l'introduzione della Legge 120/2011 (più nota come “Legge sulle quote rosa negli organi di amministrazione e di controllo delle società quotate in borsa e delle società pubbliche”) ed all'uopo è stato creato anche un Comitato Scientifico.

Questi gli obiettivi che ci eravamo poste a giugno 2012 (e che tuttora sosteniamo) sostenere la parità di genere e mirare a:

1. rimarcare quante professioniste iscritte al nostro Ordine sono disponibili a ricoprire i ruoli previsti dalle norma. Solo a Torino le colleghe iscritte all'Or-dine, sono circa 1.400 e rappresentano circa il 40% degli iscritti. Il 70% dei neo-iscritti sono donne e l’80% delle iscritte ha più di 5 anni di esperienza professionale (la maggiore parte delle iscritte hanno tra i 10 ed i 20 anni di esperienza);

2. informare e formare le professioniste stesse e creare un clima collaborativo tra colleghi (indipendentemente dal genere cui appartengono);

3. evidenziare problematiche e proporre soluzioni; 4. valutare nuove proposte ed idee collaborative da sottoporre all’attenzione

dell’Ordine.

La mia idea del Comitato Pari Opportunità era ed è tutt'ora inscindibilmente lega-to al concetto di talento.

La categoria dei Dottori Commercialisti, indipendentemente dal genere cui appar-tengono, con il grande background formativo e la loro evidente esperienza (la pa-role “commercialista” sta indicare proprio l'esperto in “diritto commerciale”) pos-sono ricoprire i ruoli di consigliere di amministrazione e di sindaco effettivo rispettivamente negli organi di amministrazione e di controllo delle società quota-

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te in borsa e nelle società pubbliche in modo calzante rispetto ai requisiti profes-sionali richiesti dalle normative e best practice vigenti, apportando un valore ag-giunto notevole.

Le quote di genere innalzano la qualità “professionale” delle persone (che non vengono scelte come genere meno “qualificato” ma “protetto”) innescando circoli virtuosi.

In effetti nei Consigli di amministrazione e nei Collegi sindacali delle società pub-bliche o quotate attualmente le donne presenti si contano sulle dita di una mano.

Le quote di genere permettono dunque a molte professioniste “qualificate” di poter essere utili alle imprese ed indirettamente all’economia.

Con il tempo è stato riconosciuto il nostro “unico” modo di operare in squadra come Comitato Pari Opportunità: la prima realtà di Dottori Commercialisti tutta al femminile in Italia che si è formata ed ha prodotto fattivamente convegni e documenti credendo nella valorizzazione del talento e nell’importanza della for-mazione professionale, perseguendo anche l’obiettivo (anche qui primo ed unico in Italia) di sapere fare squadra con altre realtà femminili importanti e valenti (quali Federmanager Minerva, Aidda, Apid e Gammadonna).

Abbiamo invitato le due donne (Onorevoli Golfo e Mosca) che hanno prodotto la norma sulla parità di genere in Italia ed in generale donne che hanno apportato preziosi contributi ai nostri convegni.

Quest’anno abbiamo organizzato un convegno sulle informazioni non finanziarie da inserire nei bilanci aziendali grazie a nuovi interventi cogenti normativi. La ge-stione delle diversità (professionali, internazionali e di genere) come più avanti spiegata, le informazioni relative all’ambiente e sociali diventano anche per noi importanti strumenti di controllo per l’azienda, utili anche nella corretta valuta-zione dei rischi e nell’implementazione degli obiettivi strategici.

Il presente contributo dunque va a ricordare i principale argomenti che andremo a discutere proprio nel nostro convegno. Abbiamo ritenuto opportuno informare sulla nuova normativa apportando qualche prima utile indicazione a quelli che dovranno essere i nuovi modelli organizzativi aziendali rivisitati dall’attuazione delle politiche richieste e delle rischiosità da valutare, per un’impresa più consapevole ma anche più trasparente verso il mercato. Le “diversità” spiegate nel paragrafo “La gestione delle diversità” del presente e-book, evidenziano inoltre il fine educativo ed al con-tempo necessario per un organo di amministrazione trasparente, innovativo e più pronto a rispondere al mercato mondiale in continua evoluzione.

Siamo entrate nella “storia” del nostro Ordine professionale, mettendo a disposi-zione il nostro serio ed approfondito percorso di studio che ha fatto emergere

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quanto sia difficile per tutte noi donne, specialmente per le professioniste, non solo l'affrontare il costante aggiornamento professionale e la vita quotidiana (che ci ve-de interpretare ruoli di “donna” e non solo di “professionista”) ma anche la tangi-bile difficoltà nel trovare, in generale, reali supporti e talvolta anche incomprensi-bili resistenze all'inevitabile cambiamento epocale.

Lavoreremo pertanto ancora meglio, se possibile, per continuare indefessamente a migliorare le nostre performances professionali collettive e far conoscere le nostre colleghe ed in generale le professioniste, le imprenditrici e le managers che collabo-rano attivamente al nostro Comitato.

Grazie di vero cuore a tutte le colleghe, le imprenditrici e le managers che hanno collaborato attivamente per rendere i nostri elaborati, i nostri convegni, e sempli-cemente il nostro morale, sempre al meglio, con sincero spirito costruttivo e so-prattutto al pubblico che, ancora una volta, con il proprio sostegno, ci spronerà a continuare nel nostro impegno.

Paola Zambon Referente Comitato Pari Opportunità - ODCEC-Torino

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INDICE

INTRODUZIONE IL COMITATO PARI OPPORTUNITÀ DELL’ORDINE DEI DOTTORI COMMERCIALISTI E DEGLI ESPERTI CONTABILI DI TORINO 5

PARTE I INFORMAZIONI NON FINANZIARIE E GESTIONE DELLE DIVERSITÀ

1 LA DIRETTIVA 2014/95/UE 15 A cura di Paola Zambon

2 LA NORMATIVA DOMESTICA: AMBITO DI APPLICAZIONE E RECEPIMENTO 23 A cura di Barbara Bucchioni

3 LA STRATEGIA PER LA PARITÀ DI GENERE IN EUROPA E LE AZIONI NON DISCRIMINATORIE CITATE DALLA DIRETTIVA 29 A cura di Paola Zambon

4 L’IMPORTANZA DELLE INFORMAZIONI NON FINANZIARIE 39 A cura di Antonella Roletti

5 TIPO DI INFORMAZIONI NON FINANZIARIE 45 A cura di Luisella Fontanella e Patrizia Sara Flore

6 LA DICHIARAZIONE INDIVIDUALE DI CARATTERE NON FINANZIARIO 53 A cura di Lucia Starola

7 LA DICHIARAZIONE CONSOLIDATA DI CARATTERE NON FINANZIARIO 61 A cura di Maura Campra, Rossella Muià e Paola Zambon

8 LA DICHIARAZIONE VOLONTARIA DI CARATTERE NON FINANZIARIO CONFORME 71 A cura di Stefania Telesca e Federica Balbo

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PARTE II LA COMPOSIZIONE DEGLI ORGANI DI AMMINISTRAZIONE

GESTIONE E CONTROLLO E LA PARITÀ DI GENERE - IL BILANCIO SOCIALE E LE INFORMAZIONI NON FINANZIARIE

1 LA COMPOSIZIONE DEGLI ORGANI DI AMMINISTRAZIONE GESTIONE E CONTROLLO E LA PARITÀ DI GENERE 79 A cura di Anna Maria Mangiapelo

2 STEREOTIPI, PREGIUDIZI E STRATEGIE PER SUPERARLI 83 A cura di Emanuela Barreri

3 IL COINVOLGIMENTO DEGLI UOMINI IN POSIZIONE APICALE NELLA PROMOZIONE DI DONNE IN POSIZIONI DECISIONALI 87 A cura di Maria Alessandra Parigi

4 LE RACCOMANDAZIONI DEL GENDER PAY GAP 95 A cura di Cristina Chiantia

5 GREEN BUSINESS STRATEGY E RESPONSABILITÀ AMBIENTALE 105 A cura di Maurizio Cisi

6 I DOVERI DEGLI AMMINISTRATORI, IL BILANCIO D’ESERCIZIO E L’INFORMATIVA SULL’AMBIENTE NELLE SOCIETÀ DI CAPITALI 115 A cura di Roberto Frascinelli

7 BILANCIO SOCIALE E COMUNICAZIONI NON FINANZIARIE: IL RUOLO DEI COMMERCIALISTI 131 A cura di Giuseppe Chiappero e Maria Luisa D’Addio

8 IL METODO PIEMONTE 155 A cura di Margherita Spaini

PARTE III IL REGIME SANZIONATORIO

1 IL REGIME SANZIONATORIO 165 A cura di Francesca Scarazzai

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APPENDICE NORMATIVA

DECRETO LEGISLATIVO 30.12.2016 N. 254 173

Ogni autore del presente e‐book è responsabile del capitolo a propria firma. È consentita  la sola copia di una 

parte  non  superiore  alle  40  parole  con  l’obbligo  di  citarne  la  fonte.  In  caso  di  dubbi  inviare  una  email  a 

[email protected].  L’elaborazione dei  testi,  anche  se  curata dagli  autori  stessi, non può  com‐

portare specifiche responsabilità per involontari errori o inesattezze. I testi sono aggiornati al 12 febbraio 2017. 

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PARTE I

INFORMAZIONI NON FINANZIARIE E GESTIONE DELLE DIVERSITÀ

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LA DIRETTIVA 2014/95/UE A cura di Paola Zambon - Dottore Commercialista - ODCEC-Torino

1 LA DIRETTIVA 2014/95/UE 16

2 IL CONTENUTO TECNICO 17

3 LA GESTIONE DELLE DIVERSITÀ 19

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INFORMAZIONI NON FINANZIARIE E GESTIONE DELLE DIVERSITÀ

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1 LA DIRETTIVA 2014/95/UE La direttiva 22.10.2014 n. 2014/95/UE (recante modifica della direttiva 2013/34/UE per

quanto riguarda la comunicazione di informazioni di carattere non finanziario e di

informazioni sulla diversità da parte di talune imprese e di taluni gruppi di grandi

dimensioni) introduce le informazioni di carattere non finanziario per permettere agli

investitori ed in generale a tutti gli stakeholders di utilizzarle per valutare al meglio se

le imprese cui fanno riferimento possiedano una capacità realistica di produrre valore

nel lungo termine, rendicontandone gli elementi socio-ambientali.

Negli ultimi quarant’anni i bilanci delle imprese mediamente hanno visto incremen-

tare il valore delle immobilizzazioni immateriali e diminuire notevolmente quelli delle

immobilizzazioni materiali, creando a volte, squilibri anche a livello macro-economico

laddove la loro rappresentazione non sia stata purtroppo sempre veritiera e corretta.

Spesso, inoltre, anche secondo quanto rilevato dalla Commissione europea, le informa-

zioni non risultano essere accurate, equilibrate e tempestive.

Gli elementi aggiuntivi intervengono pertanto sia per garantire una migliore visione

delle realtà aziendale da parte degli stakeholders ma anche per assicurare una compe-

tenza professionale variegata negli organi di amministrazione che per valorizzare le

risorse umane (fornendo informazioni sulla composizione, sull’età e sul genere di ap-

partenenza nonché sul background formativo degli organi stessi, che finora di consueto

risultano simili tra loro), gestendo al meglio, a seconda delle realtà aziendali, anche le

rischiosità ambientali e sociali, ostacolando la corruzione in modo che l’impresa possa

davvero essere in grado nel tempo di risultare forte nel mercato, con risultati economi-

ci interessanti nel tempo.

L’impresa, con la nuova rendicontazione non finanziaria risulta così più votata alla

“responsabilità” anche nei confronti della comunità e dell’ambiente. Mentre tali tipolo-

gie di informazioni spesso sono fornite in ambito bancario, negli altri settori costitui-

scono una prassi volontaristica minoritaria. Tale rendicontazione, laddove comunque

già adottata, anche se non in adempimento alla nuova direttiva, indubbiamente ha

comportato diversi benefici:

integra la strategia e la politica aziendale per il tramite della sostenibilità;

gestisce al meglio i processi, misurandone le performances (es. consumo di ener-

gia, tutela ambiente, ecc.);

grazie alla trasparenza aumenta la sensibilità al rischio reputazionale e sprona

l’azienda a perseguire gli obiettivi dichiarati;

l’esperienza proposta comporta un circolo di virtuosità anche negli stakehol-

ders.

Nella sua comunicazione intitolata “L’Atto per il mercato unico. Dodici leve per stimolare

la crescita e rafforzare la fiducia. Insieme per una nuova crescita”, adottata il 13.4.2011,

la Commissione europea aveva evidenziato la necessità di portare la trasparenza delle in-

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LA DIRETTIVA 2014/95/UE

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formazioni sociali e ambientali fornite dalle imprese di tutti i settori ad un elevato livello

che risultasse comparabile in tutti gli Stati membri. Nell’autunno la Commissione

auspicava la necessità di inserire una norma ad hoc nella comunicazione intitolata “Stra-

tegia rinnovata dell’UE per il periodo 2011-14 in materia di responsabilità sociale delle

imprese”.

Il Parlamento europeo ha a propria volta ritenuto importante l’inserimento di una comu-

nicazione di impresa rivolta a fattori sociali ed ambientali per evidenziare eventuali

rischiosità ai consumatori riportando le proprie conclusioni nelle risoluzioni del 6.2.2013

sulla “Responsabilità sociale delle imprese: comportamento commerciale trasparente e

responsabile e crescita sostenibile” e sulla “Responsabilità sociale delle imprese: promuo-

vere gli interessi della società e un cammino verso una ripresa sostenibile e inclusiva”.

La L. 9.7.2015 n. 114, recante delega al Governo per il recepimento delle direttive europee e

l’attuazione di altri atti dell’Unione europea (legge di delegazione europea 2014), ha dele-

gato il Governo ad adottare, uno o più decreti legislativi per l’attuazione della direttiva

2014/95/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, relativa all’obbligo di fornire infor-

mazioni di carattere non finanziario e sulla diversità da parte di talune imprese e di taluni

gruppi di grandi dimensioni.

La direttiva 2014/95/UE avrebbe dovuto essere recepita nell’ordinamento giuridico degli

Stati membri entro il 6.12.2016, in modo tale che le disposizioni si applicassero alle im-

prese a decorrere dall’esercizio 2017 (dal 1° gennaio o durante l’anno 2017). In Italia è

stata recepita invece dal DLgs. 30.12.2016 n. 254 pubblicato in Gazzetta Ufficiale il

10.1.2017 ed applicabile comunque con riferimento alle dichiarazioni e relazioni relative,

agli esercizi finanziari aventi inizio a partire dall’1.1.2017.

2 IL CONTENUTO TECNICO La direttiva 2014/95/UE applicabile a tutti gli Stati membri prevede in generale che le

imprese di grandi dimensioni che costituiscono enti di interesse pubblico e che, alla data

di chiusura del bilancio, presentano un numero di dipendenti occupati in media durante

l’esercizio pari a 500 includano nella relazione sulla gestione una dichiarazione di

carattere non finanziario contenente almeno informazioni ambientali, sociali, atti-

nenti al personale, al rispetto dei diritti umani, alla lotta contro la corruzione attiva

e passiva in misura necessaria alla comprensione dell’andamento dell’impresa, dei

suoi risultati, della sua situazione e dell’impatto della sua attività, tra cui:

a) una breve descrizione del modello aziendale dell’impresa;

b) una descrizione delle politiche applicate dall’impresa in merito ai predetti aspetti,

comprese le procedure di dovuta diligenza applicate;

c) il risultato di tali politiche;

d) i principali rischi connessi a tali aspetti legati alle attività dell’impresa anche in

riferimento, ove opportuno e proporzionato, ai suoi rapporti, prodotti e servizi

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commerciali che possono avere ripercussioni negative in tali ambiti, nonché le

relative modalità di gestione adottate dall’impresa;

e) gli indicatori fondamentali di prestazione di carattere non finanziario pertinen-

ti per l’attività specifica dell’impresa.

Per le imprese che non applicano politiche in relazione a uno o più dei predetti aspetti,

la dichiarazione di carattere non finanziario fornisce una spiegazione chiara e articola-

ta del perché di questa scelta, e, ove opportuno, riferimenti agli importi registrati nei

bilanci d’esercizio annuali e ulteriori precisazioni in merito. L’approccio previsto dalla

direttiva è quello del “report or explain”. L’azienda è libera di indicare pertanto le in-

formazioni richieste o meno, ma, se non lo fa, dovrebbe dichiararne i motivi.

Gli Stati membri possono consentire l’omissione di informazioni concernenti gli sviluppi

imminenti o le questioni oggetto di negoziazione in casi eccezionali in cui, secondo il

parere debitamente giustificato dei membri degli organi di amministrazione, gestione e

controllo che operano nell’ambito delle competenze a essi attribuite dal diritto nazionale

e ne sono collettivamente responsabili, la divulgazione di tali informazioni potrebbe

compromettere gravemente la posizione commerciale dell’impresa, purché tale

omissione non pregiudichi la comprensione corretta ed equilibrata dell’andamento del-

l’impresa, dei suoi risultati e della sua situazione nonché dell’impatto della sua attività.

La dichiarazione contenente le informazioni di carattere non finanziario dovrà essere

inclusa nella relazione sulla gestione oppure essere inclusa in una relazione distinta.

Nel fornire tali nuove informazioni, le imprese che sono soggette alla direttiva possono

basarsi, secondo quanto riportato dalla stessa nei preamboli, “su standard nazionali, su

standard unionali, quale il sistema di ecogestione e audit (EMAS), o su standard

internazionali, quali il Patto mondiale (Global Compact) delle Nazioni Unite, i principi

guida su imprese e diritti umani delle Nazioni Unite (Guiding Principles on Business and

Human Rights) in attuazione del quadro di riferimento «Proteggere, Rispettare e Rimedia-

re» («Protect, Respect and Remedy» Framework), gli orientamenti dell’OCSE per le im-

prese multinazionali, la norma ISO 26000 dell’Organizzazione internazionale per la nor-

mazione, la dichiarazione tripartita di principi sulle imprese multinazionali e la politica

sociale dell’Organizzazione internazionale del lavoro, la Global Reporting Initiative o

altri standard internazionali riconosciuti”.

Nel richiedere la divulgazione delle informazioni, gli Stati membri provvedono affinché

le imprese possano basarsi su standard nazionali, unionali o internazionali, specifican-

do lo standard seguito.

Un’impresa che è impresa figlia è esentata dall’obbligo di indicare tali nuove informazioni,

se tale impresa e le sue imprese figlie sono incluse nella relazione consolidata sulla gestione

o nella relazione distinta di un’altra impresa e se tali relazioni sono state redatte come

previsto per le relazioni sulla gestione consolidate (ex art. 29 direttiva 2013/34/UE).

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LA DIRETTIVA 2014/95/UE

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Per quanto riguarda le imprese che redigono una relazione distinta per il medesimo

esercizio, a prescindere se sulla base di standard nazionali, unionali o internazionali o

meno e contenente le informazioni figuranti nella dichiarazione di carattere non finan-

ziario, gli Stati membri possono esentare tali imprese dall’obbligo di preparare la dichia-

razione di carattere non finanziario stabilito purché la predetta relazione distinta:

a) sia pubblicata unitamente alla relazione sulla gestione, ai sensi dell’art. 30 della

direttiva 2013/34/UE; oppure

b) sia messa a disposizione del pubblico entro un termine ragionevole, non supe-

riore ai sei mesi successivi alla data del bilancio, nel sito web dell’impresa e sia

menzionato nella relazione sulla gestione.

Gli Stati membri provvedono affinché i revisori legali o le imprese di revisione conta-

bile controllino l’avvenuta presentazione della dichiarazione di carattere non finanzia-

rio o della relazione distinta succitata e possono richiedere che le informazioni figuran-

ti nella dichiarazione di carattere non finanziario o nella relazione distinta siano

verificate da un fornitore indipendente di servizi di verifica.

Gli Stati membri possono consentire l’omissione di informazioni concernenti gli sviluppi

imminenti o le questioni oggetto di negoziazione in casi eccezionali in cui, secondo il

parere debitamente giustificato dei membri degli organi di amministrazione, gestione e

controllo che operano nell’ambito delle competenze a essi attribuite dal diritto nazionale

e ne sono collettivamente responsabili, la divulgazione di tali informazioni potrebbe

compromettere gravemente la posizione commerciale dell’impresa, purché tale omissio-

ne non pregiudichi la comprensione corretta ed equilibrata dell’andamento dell’impresa,

dei suoi risultati e della sua situazione nonché dell’impatto della sua attività.

Dichiarazione consolidata di carattere non finanziario

Gli enti di interesse pubblico che sono imprese madri di un gruppo di grandi dimen-

sioni e che, alla data di chiusura del bilancio, presentano, su base consolidata, un

numero di dipendenti occupati in media durante l’esercizio pari a 500 includono nella

relazione consolidata sulla gestione una dichiarazione consolidata di carattere non

finanziario contenente almeno informazioni ambientali, sociali, attinenti al personale,

al rispetto dei diritti umani, alla lotta contro la corruzione attiva e passiva in misura

necessaria alla comprensione dell’andamento del gruppo, dei suoi risultati, della sua

situazione e dell’impatto della sua attività. Per ulteriori approfondimenti si rimanda

agli appositi capitoli dell’e-book.

3 LA GESTIONE DELLE DIVERSITÀ La direttiva interviene sulla diversità nella composizione degli organi di amministra-

zione, gestione e controllo, al fine di differenziarne le componenti onde combattere il

c.d. “groupthink” o “pensiero di gruppo” a discapito di un autonomo pensiero, indipen-

dente, originale e creativo e professionale onde ritrovarsi nel più tranquillo quieto

consenso collettivo.

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INFORMAZIONI NON FINANZIARIE E GESTIONE DELLE DIVERSITÀ

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Tale comportamento sociale (ed umano) è spiccatamente evidente negli organi di am-

ministrazione in cui i componenti che si conoscono da anni, hanno anche un

background formativo simile e di consueto fanno parte anche dello stesso genere (di

consueto maschile). La mancanza di eterogeneità e di competenze adeguate porta pur-

troppo ad un depauperamento nell’idee innovative, a scoraggiare la critica e di fatto ad

ottenere un controllo non adeguato. La stessa Commissione europea nel 2011, nella Co-

municazione “Piano d’azione: diritto europeo delle società e Governo societario - una

disciplina giuridica moderna a favore di azionisti più impegnati e società sostenibili”

(COM/2012/0740) riteneva che la mancanza di diversità nell’organo amministrativo

“si traduce in scarsità di dibattito, idee e senso critico in seno al consiglio e in un

controllo potenzialmente meno efficace del consiglio di gestione o degli ammini-

stratori esecutivi”.

In tal senso, il Comitato Pari Opportunità dell’Ordine dei Dottori Commercialisti e degli

Esperti Contabili di Torino, che mi onoro presiedere, ritiene che la carenza di diversità

ed eterogeneità in termini generali negli organi di amministrazione (non solo in termi-

ni di equilibrio uomo-donna, di origine sociale e culturale e di istruzione ma anche in

termini di preparazione professionale, di conoscenza e di talento individuale) possa

incidere sull’eccesso di conformismo in modo negativo sugli obiettivi che lo stesso

organo si prefigge di avere. All’uopo, il convegno che abbiamo organizzato, ha proprio

individuato nel proprio titolo la “gestione delle diversità” in quanto nell’impostazione

dei lavori preparatori ci siamo riferite/i a quanto prevede il Libro Verde sul Governo

societario (COM(2011) 164) redatto dalla Commissione europea ovvero una diversità di

tipo professionale tra i membri, di genere ed internazionale, laddove possibile. Il Libro

Verde riporta infatti:

“La composizione del Consiglio di amministrazione deve essere in linea con le attività della

società in questione. I membri del consigli o senza incarichi esecutivi dovrebbero essere

selezionati sulla base di un ampi o ventaglio di criteri, ad es.: merito, qualifiche professiona-

li, esperienze acquisite, qualità personali dei candidati, indipendenza e diversità.

La diversità dei profili e delle esperienze dei membri offre al consiglio una gamma di

valori, di punti di vista e di competenze. Può anche fornire un più ampio ventaglio di

risorse e competenze. La presenza di uomini e donne, esperienze diverse in materia di

leadership e provenienze sia nazionali che regionali possono costituire mezzi efficaci per

prevenire la «mentalità di gruppo» e consentire la nascita di idee nuove. Una maggiore

diversità alimenta il dibattito, favorisce la vigilanza e la messa in discussione di talune

decisioni all’interno del Consiglio di amministrazione e, potenzialmente, migliora la

qualità delle decisioni, anche se a volte il processo decisionale può comportare tempi più

lunghi. In quest’ottica, l’impegno e il sostegno forniti dal presidente sono indispensabili”.

Comprendere le potenzialità dei componenti dell’organo amministrativo aziendale ed

in generale della forza lavoro, permette significa capire meglio l’entità dei impatti po-

tenziali creati dai problemi del lavoro e/o come possano costituire valore aggiunto reale

negli obiettivi aziendali. La disaggregazione dei dati fornisce anche una comprensione

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LA DIRETTIVA 2014/95/UE

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di rappresentanza di genere all’interno di un’organizzazione ed un utilizzo ottimale dei

talenti e delle professionalità presenti.

La composizione dell’organo di amministrazione aziendale ottimale Diversità professionale Diversità di genere Diversità internazionale

La diversità delle esperienze professionali è considerata essenziale, perché consen-te al Consiglio di ammini-strazione di svolgere con ef-ficacia il suo lavoro. Si tratta di una diversità necessaria, in quanto permette all’inter-o consiglio di comprendere, ad esempio, le complessità dei mercati mondiali, gli obiettivi finanziari della so-cietà e l’impatto della sua attività sulle diverse parti interessate, inclusi i dipen-denti. Politiche di selezione che consentono di individu-are le competenze specifi-che richieste dal Consiglio di amministrazione possono contribuire ad aumentarne la capacità di esercitare un controllo efficace sulla so-cietà.

Gli studi comprovano che le donne abbiano uno stile di leadership diverso dagli uo-mini. Frequentano più as-siduamente le riunioni del Consiglio di amministrazione e hanno un impatto positivo sull’intelligenza collettiva del gruppo. Alcuni studi ne com-provano anche la corre-lazione positiva tra la loro presenza ed i positivi risultati d’esercizio.

Nelle società che contano membri stranieri nel Consiglio di amministrazione si riscon-tra una correlazione tra la presenza geografica della società e la provenienza de-gli amministratori internazio-nali. La conoscenza dei mer-cati regionali è spesso citata quale fattore cruciale nella scelta di candidati stranieri per il Consiglio di ammini-strazione.

In Italia, al di là della legge sulle quote rosa (L. 120/2011), sebbene la scelta di introdurre

tali politiche a favore della diversità spetti alle società, il Comitato Pari Opportunità

dell’Ordine dei Dottori Commercialisti e degli Esperti Contabili di Torino, Ivrea e Pinero-

lo, ritiene che, debba essere perlomeno necessario che i consigli di amministrazione

abbiano l’obbligo di prendere in considerazione queste tematiche e rendano pubbliche le

decisioni prese al riguardo, sia in ottemperanza a questa nuova direttiva, sia a quanto

auspicato da anni dalla Commissione europea in tema di buon Governo societario. Va

evidenziato infine che il Comitato sostiene ovviamente la presenza del genere femminile

adeguatamente preparato e formato per assumere ruoli in posizioni apicali, bandendo

per quanto possibile l’assunzione di tali ruoli da parte delle c.d. “parti correlate” troppo

spesso non preparate e comunque non all’altezza della situazione.

Le realtà imprenditoriali più piccole non dovrebbero essere oberate da costi derivanti

dall’attuazione di politiche relative alle tre diversità (professionale, di genere ed inter-

nazionale) bensì in linea generale spronate a raggiungerle come meta del buon Gover-

no societario.

La descrizione della politica in materia di diversità (ed il motivo della sua eventuale

non applicazione) applicata in relazione alla composizione degli organi di amministra-

zione, gestione e controllo dall’impresa relativamente ad aspetti quali, ad esempio,

l’età, il sesso, o il percorso formativo e professionale, gli obiettivi di tale politica sulla

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INFORMAZIONI NON FINANZIARIE E GESTIONE DELLE DIVERSITÀ

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diversità, le modalità di attuazione e i risultati nel periodo di riferimento viene esen-

tata per le società che sono considerate “piccoli e medie imprese” secondo la direttiva

2013/34/UE ovvero:

piccole imprese: le imprese che alla data di chiusura del bilancio non superano

i limiti numerici di almeno due dei tre criteri seguenti:

a) totale dello Stato patrimoniale: 4.000.000,00 euro;

b) ricavi netti delle vendite e delle prestazioni: 8.000.000,00 euro;

c) numero medio dei dipendenti occupati durante l’esercizio: 50.

Gli Stati membri possono stabilire soglie superiori rispetto alle soglie di alle lettere a) e

b). Tuttavia le soglie non sono superiori a 6.000.000,00 euro per il totale dello Stato

patrimoniale e a 12 000 000 EUR per i ricavi netti delle vendite e delle prestazioni.

medie imprese: le imprese che non rientrano nella categoria delle micro

imprese o delle piccole imprese e che alla data di chiusura del bilancio non

superano i limiti numerici di almeno due dei tre criteri seguenti:

a) totale dello Stato patrimoniale: 20.000.000,00 euro;

b) ricavi netti delle vendite e delle prestazioni: 40.000.000.00 euro;

c) numero medio dei dipendenti occupati durante l’esercizio: 250.

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2

LA NORMATIVA DOMESTICA: AMBITO DI APPLICAZIONE E RECEPIMENTO A cura di Barbara Bucchioni - Dottore Commercialista - ODCEC-Torino

1 LA NORMATIVA DOMESTICA 24

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INFORMAZIONI NON FINANZIARIE E GESTIONE DELLE DIVERSITÀ

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1 LA NORMATIVA DOMESTICA Nel 2013 il Parlamento europeo emana la direttiva 2013/34/UE e successivamente, a

parziale modifica della precedente, la direttiva 2014/95/UE sulla comunicazione, in sede

di bilancio, di informazioni di carattere non finanziario e di informazioni sulla diversi-

tà da parte di talune imprese e di taluni gruppi di grandi dimensioni.

Il Parlamento europeo ha ritenuto fondamentale gestire la transizione verso un’econo-

mia globale sostenibile in termini non solo di redditività a lungo termine, ma anche in

termini di giustizia sociale e protezione dell’ambiente: scopo della comunicazione di

informazioni di carattere non finanziario è contribuire a misurare, monitorare e ge-

stire i risultati delle imprese ed il relativo impatto sulla società.

Il Parlamento europeo lascia un’elevata flessibilità di azione ai paesi membri sull’appli-

cazione della direttiva tenendo conto della natura multidimensionale della responsa-

bilità sociale delle imprese (RSI) e della diversità delle politiche in materia, applicate

dalle imprese, garantendo nel contempo un livello sufficiente di comparabilità per ri-

spondere alle esigenze degli investitori e di altri portatori di interesse, nonché alla

necessità di assicurare ai consumatori un facile accesso alle informazioni relative

all’impatto delle imprese sulla società. Ormai l’obiettivo del solo profitto è da ritenersi

insufficiente a legittimare una qualsiasi attività imprenditoriale. Infatti, è ormai

ampiamente diffusa e accettata la teoria secondo cui l’impresa, oltre a quella stretta-

mente economica, ha anche una dimensione etico-sociale, che impatta sul territorio e

sugli stakeholder. Il reddito deve perciò essere considerato componente necessaria, ma

non esclusiva delle performance aziendali.

In Italia, i lavori sono stati svolti da un’apposita Commissione che ha avviato una con-

sultazione pubblica per ottenere valutazioni, commenti e suggerimenti su alcune

tematiche illustrate e corredate da appositi quesiti posti alle parti interessate, in parti-

colare quelle chiamate a redigere l’informativa non finanziaria, da un lato, e quelle che

utilizzano quest’ultima per scopi di varia natura, gli stakeholder, dall’altro. Si è proce-

duto ad una preventiva assunzione di decisioni circa le scelte di fondo che hanno poi

connotato la futura disposizione legislativa: una corretta ed informata metodologia di

policy making, ha reso più agevole la stesura di un articolato posto successivamente

all’approvazione del Consiglio dei Ministri.

Il Consiglio dei Ministri del 4.10.2016 approva in via preliminare lo schema di decreto

legislativo di attuazione nell’ordinamento italiano della direttiva 2014/95/UE sopra de-

scritta e del Consiglio dei Ministri 22.10.2014.

Il definitivo DLgs. 30.12.2016 n. 254, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale 10.1.2017 n. 7,

entra in vigore dal 25.1.2017 e le sue disposizioni si applicano, con riferimento alle

dichiarazioni e relazioni relative, agli esercizi finanziari aventi inizio dall’ 1.1.2017, così

come richiesto dalla direttiva europea.

Esso introduce, per imprese e gruppi di grandi dimensioni, l’obbligo di presentare la

dichiarazione non finanziaria che riguarda le informazioni ambientali e sociali attinenti

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LA NORMATIVA DOMESTICA

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al personale, al rispetto dei diritti umani, alla lotta contro la corruzione. Le imprese di-

ventano pertanto degli attori anche delle politiche pubbliche, occupandosi dell’interesse

generale non più come conseguenza della ricerca di un legittimo profitto, ma come com-

pito primario da condividere con altri soggetti. Un numero sempre crescente di imprese,

nel perseguire i propri fini economici, adotta norme di comportamento ispirate a criteri

etico-sociali; a tale comportamento corrisponde l’assunzione di responsabilità verso tutti

i portatori d’interessi e verso il territorio, al fine di tutelarne i diritti e salvaguardare

l’ambiente. Questo approccio rappresenta, nella sostanza, il fondamento della RSI (Re-

sponsabilità Sociale dell’Impresa), il cui processo permea di nuovi valori etici e sociali

l’intero comparto economico in generale e la gestione d’impresa in particolare.

La Commissione ha verificato che in Italia allo stato attuale, la rendicontazione di so-

stenibilità risulta essere una pratica già diffusa presso le imprese italiane di grandi

dimensioni, i cui report presentano un alto livello di qualità. Da un’indagine del 2013

emerge che l’Italia si colloca tra i paesi che hanno raggiunto i livelli più elevati di

professionalità in termini di sistemi interni ed esterni di accountability e di qualità della

comunicazione. Ma la trasposizione della direttiva nell’ordinamento interno ha compor-

tato, la necessità di operare nei limiti posti dalla normativa nazionale, in virtù della quale

gli atti di recepimento di direttive dell’Unione europea non possono prevedere l’introdu-

zione o il mantenimento di livelli di regolazione superiori a quelli minimi richiesti dalle

direttive stesse, estendere l’ambito soggettivo o oggettivo di applicazione delle disposizioni

rispetto a quanto previsto dalla direttiva, introdurre o mantenere requisiti obblighi e

oneri non strettamente necessari per l’attuazione della direttiva stessa.

Difatti, l’esercizio del recepimento ha dovuto essere effettuato tenendo in considerazio-

ne anche la tematica dell’onere amministrativo derivante dagli obblighi previsti dal-

l’applicazione del Decreto legislativo, in particolare valutando il trade off tra quantità e

qualità dell’informazione da un lato e costi sopportati dalle imprese dall’altro.

Nello specifico, parlando di ambito di applicazione del decreto legislativo, l’art. 2 co. 1,

individua i soggetti tenuti alla dichiarazione individuale di carattere non finan-

ziario, nelle società che hanno i titoli negoziati nei mercati regolamentati, nelle banche e

nelle compagnie assicurative, che nell’ultimo esercizio, abbiano avuto in media più di 500

dipendenti e dai dati dell’ultimo bilancio approvato abbiano superato i seguenti limiti: totale dello stato patrimoniale pari a € 20.000.000,00;

totale netto dei ricavi e delle prestazioni pari ad € 40.000.000,00.

I medesimi soggetti, qualora siano società madri di un gruppo di grandi dimensioni,

così come definito dall’art. 1 co 1 lett. c)1, sono tenuti alla redazione di una dichiara-

zione non finanziaria, però su base consolidata, ed i suddetti limiti sono da considerarsi

come sommatoria dei valori dei singoli componenti del gruppo.

Il Legislatore italiano ha individuato i soggetti interessati, su indicazione della direttiva

1 Società madri: impresa, avente la qualifica di ente di interesse pubblico, tenuta alla redazione del bilancio consolidato ai

sensi del DLgs. 9.4.91 n. 127, o alla redazione del bilancio consolidato secondo i principi contabili internazionali se ricom-

presa nell’ambito di applicazione del DLgs. 28.2.2005 n. 38.

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INFORMAZIONI NON FINANZIARIE E GESTIONE DELLE DIVERSITÀ

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che consente di “… definire la portata dell’obbligo di comunicazione di informazioni di

carattere non finanziario facendo riferimento al numero medio di dipendenti, al totale di

bilancio e al fatturato netto. Le PMI dovrebbero essere esonerate da obblighi supplemen-

tari e l’obbligo di pubblicare la dichiarazione di carattere non finanziario dovrebbe essere

imposto soltanto alle imprese di grandi dimensioni che costituiscono enti di interesse

pubblico e agli enti di interesse pubblico che sono imprese madri di un gruppo di grandi

dimensioni, in ciascun caso aventi in media più di 500 lavoratori, nel caso di un gruppo,

da calcolarsi su base consolidata. Ciò non dovrebbe impedire agli Stati membri di chie-

dere la comunicazione di informazioni di carattere non finanziario a imprese e gruppi

diversi dalle imprese che sono soggette alla presente direttiva” e dal confronto e coor-

dinamento con gli altri Stati membri.

Anche per le aziende non ricadenti nell’obbligo fissato dal DLgs. 254/2016 è ammessa la

possibilità di pubblicare su base volontaria dichiarazioni di carattere non-finanziario

che possono essere dichiarate conformi.

Ed è importante sottolineare che le PMI operanti, anche solo in parte, all’interno della

catena di fornitura di una società che sarà ricompresa negli obblighi di informativa in

oggetto, saranno comunque oggetto di informativa, indirettamente, nell’assolvimento

degli obblighi di trasparenza di quest’ultima, stante la necessità di descrivere le politi-

che applicate, ed i risultati, in merito alle procedure di dovuta diligenza applicate

anche in riferimento ai rapporti commerciali, al fine di individuare, prevenire e at-

tenuare le ripercussioni negative esistenti e potenziali.

Passando ad analizzare il contenuto della dichiarazione di carattere non finanziario,

il decreto riporta che si devono fornire informazioni al fine di assicurare la compren-

sione dell’attività di impresa del suo andamento, dei suoi risultati e dell’impatto dalla

stessa prodotta con riferimento ai temi ambientali, sociali, attinenti al personale

(incluse le azioni poste in essere per garantire la parità di genere), al rispetto dei diritti

umani e alla lotta contro la corruzione attiva e passiva, se rilevanti, tenuto conto delle

attività e delle caratteristiche dell’impresa; devono essere messe in evidenza: il modello

aziendale di gestione ed organizzazione adottato, le politiche applicate ed i risultati

conseguiti, i principali rischi generati o subiti connessi ai suddetti temi. 

La direttiva trae la sua ragion d’essere nella necessità di realizzare un coordinamento ed

un sufficiente grado di armonizzazione tra le legislazioni degli Stati membri, esigenza

accresciuta dalla rilevanza dell’attività transfrontaliera svolta dalle imprese che ricadono

nell’ambito di applicazione. Inoltre, si pone anche come strumento utile per le imprese

ad innescare un processo, su base continua, di riflessione sulle politiche aziendali e auto-

valutazione dei rischi e delle opportunità che ne derivano. A livello strategico, infatti, la

rendicontazione non finanziaria può consentire di ampliare la visione degli impatti

aziendali, valutare maggiormente rischi e di opportunità, legati anche agli aspetti sociali

e ambientali, migliorare l’approccio di prevenzione e mitigazione dei rischi, sia strategici

sia di business, nonché di perfezionare il processo decisionale.

Proprio quest’ultimo tema era già stato uno degli obiettivi dell’UE presentati nel 2011

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LA NORMATIVA DOMESTICA

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nel “Libro Verde” che affrontava argomenti di assoluta centralità in materia di buon

governo societario (si rimanda a quanto già evidenziato sul tema nel paragrafo “La

Direttiva 2014/951/UE”): oggi, un consiglio di amministrazione efficace deve essere in

grado di contestare le decisioni degli amministratori con incarichi esecutivi, deve

essere, quindi, eterogeneo e composto da membri che pur non avendo incarichi esecu-

tivi siano in grado di offrire capacità e punti di vista diversi (anche per esperienze

professionali maturate) e possano farsi portavoce di tematiche sociali, ambientali o di

gestione dei rischi.

Il DLgs. 231/2001 volto a prevenire la responsabilità penale degli enti derivante dalla

commissione o tentata commissione di determinate fattispecie di reato commessi

nell’interesse o a vantaggio degli enti stess, si pone a supporto ed integrazione del

nuovo decreto sull’informativa dei rischi. Il Modello Organizzativo di Gestione e Con-

trollo, il cui compito di vigilanza, funzionamento, osservanza ed aggiornamento è

affidato ad un Organismo di Vigilanza (OdV), composto da tre membri del Comitato

Controllo e Rischi consiglieri non esecutivi indipendenti, e da ulteriori due membri rap-

presentati da esponenti dell’Alta Direzione aziendale responsabili della Funzione di

compliance e della Funzione di auditing, è fondamentale per la stesura e divulgazione

delle informazioni in merito.

La Commissione, nell’elaborazione del decreto legislativo, ha individuato comunque,

tra le altre, due problematiche:

a) la necessità di incrementare la trasparenza delle informazioni di carattere non

finanziario;

b) la mancanza di diversità nella composizione dei consigli.

In seguito all’emanazione del decreto, il legislatore prevede:

1) un miglioramento della trasparenza: la quantità di informazioni disponibili a

livello europeo ed il ricorso a standard internazionali dovrebbero aiutare al mi-

glioramento della qualità e della comparabilità delle informazioni pubblicate;

2) un miglioramento dei risultati delle società: maggiore trasparenza a costi limi-

tati e possibilità di misurare e gestire meglio i rischi e le opportunità di natura

non finanziaria che sono direttamente collegati alla riduzione del costo del capi-

tale, ad una gestione delle risorse (anche umane) più efficiente, alla fedeltà dei

consumatori e ad una dirigenza più opportuna; anche una maggiore diversità

nella composizione dei consigli consentirebbe un’attenzione maggiore sulla

sorveglianza della dirigenza e del processo decisionale;

3) un miglioramento della responsabilità: con la pubblicazione periodica delle

informazioni, la società civile e le comunità locali potrebbero utilizzarle per

valutare l’impatto delle scelte della società ed i rischi ad esse connessi, sul ter-

ritorio per migliorare i risultati in materia di responsabilità sociale o incentiva-

re le società stesse a dotarsi di politiche in materia, incidendo positivamente sul

modo con cui vengono percepite dall’opinione pubblica: il potenziale aumento

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INFORMAZIONI NON FINANZIARIE E GESTIONE DELLE DIVERSITÀ

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della fiducia dei consumatori, potrebbe avere un effetto positivo sul lato della

domanda;

4) un rafforzamento dell’efficienza dei mercati dei capitali: nel breve termine, la

politica proposta risponde alle continue richieste del mercato di disporre di infor-

mazioni più accurate e comparabili, che consentano agli investitori di sviluppare

modelli di valutazione più completi; nel lungo periodo spingerebbe gli investitori

a tenere maggiormente conto di considerazioni attinenti alla sostenibilità e alle

prestazioni globali dell’impresa. Per quanto riguarda la diversità, la politica

proposta, consente agli investitori di prendere decisioni più informate per quanto

riguarda le pratiche di governance della società;

5) impatto limitato sui costi per la comunicazione delle informazioni di carattere

non finanziario, per i limiti di obbligatorietà sulle imprese assicurando al tempo

stesso che gli oneri amministrativi siano commisurati ai benefici arrecati;

6) un impatto sociale: la misura incoraggerebbe i consigli a tenere maggiormente

conto degli aspetti sociali nelle strategie di impresa; la maggiore trasparenza

potrebbe contribuire a migliorare i rapporti di lavoro, a ridurre i rischi ed i co-

sti associati alle controversie sul lavoro, a livello decisionale la diversità nella

composizione del consiglio consentirebbe di rispecchiare meglio la diversità dei

portatori di interesse;

7) un impatto ambientale: migliorare la gestione delle risorse e sensibilizzare la

società al suo interno sul tema della sostenibilità;

8) un impatto positivo sui diritti fondamentali e sulle pari opportunità.

Il “Bilancio di sostenibilità” diventa così, per le grandi imprese, praticamente un obbli-

go: per bilancio di sostenibilità si intende la pubblicazione che un’impresa realizza in

seguito ad un processo di rendicontazione e di coinvolgimento degli stakeholder, per

comunicare in modo trasparente gli impatti positivi e negativi generati sui tre piani

della sostenibilità: economico, ambientale e sociale.

In tale modo il bilancio è sempre più uno strumento di Responsabilità Sociale d’impre-

sa (RSI) poiché rende note le azioni intraprese dall’organizzazione proprio in questo

ambito.

La Commissione europea sorveglierà l’attuazione delle direttive riviste in cooperazione

con gli Stati membri nel corso di tutto il periodo di attuazione. Nel rispetto del principio

di sussidiarietà, le informazioni in materia dovranno essere raccolte in primo luogo

dagli Stati membri attraverso le pertinenti agenzie e autorità di regolamentazione dei

mercati mobiliari Successivamente sarà effettuata una valutazione degli effetti della

politica prescelta per verificare se, l’impatto atteso, si sia verificato o meno.

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LA STRATEGIA PER LA PARITÀ DI GENERE IN EUROPA E LE AZIONI NON DISCRIMINATORIE CITATE DALLA DIRETTIVA A cura di Paola Zambon - Dottore Commercialista - ODCEC-Torino

1 LA STRATEGIA PER LA PARITÀ DI GENERE IN EUROPA 30

2 LE AZIONI NON DISCRIMINATORIE CITATE DALLA DIRETTIVA 34

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INFORMAZIONI NON FINANZIARIE E GESTIONE DELLE DIVERSITÀ

30

1 LA STRATEGIA PER LA PARITÀ DI GENERE IN EUROPA L’Unione europea si fonda sui valori “del rispetto della dignità umana, della libertà, della

democrazia, dell’uguaglianza, dello Stato di diritto e del rispetto dei diritti umani, com-

presi i diritti delle persone appartenenti a minoranze. Questi valori sono comuni agli

Stati membri in una società caratterizzata dal pluralismo, dalla non discriminazione,

dalla tolleranza, dalla giustizia, dalla solidarietà e dalla parità tra donne e uomini”.

Così il concetto di uguaglianza di genere grazie all’art. 2 del Trattato dell’Unione euro-

pea viene eleva a valore fondamentale mentre lo stesso Trattato all’art. 3 viene promos-

so anche come obiettivo “L’Unione combatte l’esclusione sociale e le discriminazioni e

promuove la giustizia e la protezione sociali, la parità tra donne e uomini, la solida-

rietà tra le generazioni e la tutela dei diritti del minore”.

Inoltre come si evince dall’art. 8 del Trattato di funzionamento dell’Unione europea “nelle

sue azioni l’Unione mira ad eliminare le ineguaglianze, nonché a promuovere la parità, tra

uomini e donne” pertanto in tutte le sue attività tale valore viene preso in considerazione.

L’Ocse ritiene che tale concetto possa essere considerato un vero e proprio veicolo di

crescita economica: la disuguaglianza tra i generi comporta minore ricchezza nei Paesi

in cui esiste. La cultura, la formazione e la preparazione in particolare del genere

femminile, laddove è mediamente più elevata, impatta anche sulla conduzione della

famiglia e dell’economia in modo migliore ed evidente. Secondo l’Ocse la parità di gene-

re è un imperativo morale “is a moral imperative” che oltre al benessere sociale può

portare alla felicità mondiale (si veda “Closing the Gender Gap - Act Now”).

Nel proprio impegno strategico a favore della parità di genere a livello europeo la

Commissione europea per gli anni 2016-2019 ha dunque rinnovato l’obiettivo perse-

guito nel quinquennio precedente riassumibile in cinque settori di intervento conside-

rati prioritari:

1) pari indipendenza economica per donne e uomini;

2) pari retribuzione per lavoro di pari valore;

3) parità nel processo decisionale;

4) dignità, integrità e fine della violenza nei confronti delle donne;

5) parità tra donne e uomini nelle azioni esterne.

Nonostante l’evidente progresso avvenuto negli ultimi anni anche grazie ad interventi

normativi nazionali ed europei, che hanno portato all’aumento dell’occupazione femmi-

nile e ad una maggiore partecipazione delle donne nei processi decisionali in ambito

economico, non vi sono stati molti passi avanti in termini di retribuzione e di redditi

percepiti.

“A livello mondiale, le donne continuano a vedere violati i loro diritti fondamentali e sono

vittime di discriminazioni nell’accesso all’istruzione, al lavoro, alla protezione sociale,

alla successione, ai beni economici, alle risorse produttive, nonché alla partecipazione ai

processi decisionali e alla società in senso lato.

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LA STRATEGIA PER LA PARITÀ DI GENERE IN EUROPA

31

Le donne svolgono lavori non retribuiti per un tempo dalle due alle dieci volte superiore

rispetto agli uomini, il che costituisce uno dei principali ostacoli all’emancipazione econo-

mica e politica”.

Se si pensa che ancora oggi in alcune parti del mondo una ragazza su nove è costretta a

sposarsi prima dei sedici anni con un partner che non ha scelto e che spesso può avere

anche serie complicazioni di salute per eventuali complicazioni sorte durante le

gravidanze o i parti, oltre al fatto che una donna su tre è stata oggetto durante la

propria vita di violenza o fisica o sessuale, il cammino educativo diventa un must da

parte delle persone che, indipendentemente dal genere cui appartengono, hanno la

cultura e vivono nei valori proposti dall’Unione europea come fondanti per il rispetto

della dignità umana e della libertà. In tal senso, ritengo che, promuovere la parità di

genere e i diritti delle donne in tutto il mondo non è solo un impegno strategico da

parte dell’Unione europea ma anche un dovere morale. Secondo la Commissione euro-

pea la promozione della parità di genere è altresì condizione preliminare indispen-

sabile per la pace e la sicurezza in tutto il mondo e contribuisce a contrastare la

radicalizzazione e l’estremismo, causa di denigrazione delle donne, nonché di violazio-

ne dei loro diritti e della loro dignità.

Impegni strategici 2016/2019 Unione europea per la parità

di genere Sintesi azioni da intraprendere entro il 2019

1. Pari indipendenza econo-mica per donne e uomini

facilitare l’equilibrio nelle responsabilità domestiche e professionali (es. assistenza all’infanzia, congedi e mo-dalità di lavoro flessibili, ecc.);

favorire l’imprenditorialità femminile, agevolare le piat-taforme “Diversity Charter” (carte della diversità) nazio-nali, lancio di una piattaforma elettronica per le im-prenditrici, creazione di una rete europea di business angel donne e la rete di hub di imprenditrici del web;

favorire la parità di genere nella ricerca e l’integrazio-ne nel mercato del lavoro delle donne migranti.

2. Pari retribuzione per lavoro di pari valore

ridurre le disparità nei settori economici e nelle occu-pazioni (es. prevedendo sanzioni);

accrescere le ore lavorative retribuite complessive per le donne;

svolgere attività di sensibilizzazione e mettere effettivamen-te in atto la legislazione in materia di parità delle retribuzioni;

politiche e misure per le persone confrontate a barriere specifiche nell’accesso al mercato del lavoro (es. Don-ne migranti e donne a capo di famiglie monoparentali);

affrontare le cause e le conseguenze del divario pensio-nistico tra donne e uomini in modo che il genere femminile non risulti maggiormente povero (es. impedire che le donne percepiscano pensioni inferiori a motivo di un’aspettativa di vita in media più elevata);

promuovere la parità di genere in ogni livello e tipo di istruzione;

sviluppare competenze digitali promuovere l’occupa-zione femminile nel settore delle TIC.

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INFORMAZIONI NON FINANZIARIE E GESTIONE DELLE DIVERSITÀ

32

Impegni strategici 2016/2019 Unione europea per la parità

di genere Sintesi azioni da intraprendere entro il 2019

3. parità nel processo decisio-nale

migliorare l’equilibrio fra donne e uomini che occupano posizioni di rilievo dell’economia, in particolare garantire una rappresentanza minima del 40% del sesso sottorap-presentato tra gli amministratori con incarichi non ese-cutivi delle imprese quotate in Borsa;

promuovere la parità nel processo decisionale richiede altresì un migliore equilibrio tra donne e uomini nelle po-sizioni di dirigente esecutivo delle maggiori società quo-tate in Borsa e nel vivaio di talenti.

4. dignità, integrità e fine della violenza nei confronti delle donne

combattere la violenza di genere e tutelare e soste-nere le vittime;

provvedere all’adesione dell’UE alla Convenzione del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e la lotta alla vio-lenza contro le donne e la violenza domestica (Con-venzione di Istanbul);

continuare a promuovere i cambiamenti di atteggia-mento e di comportamento, tramite attività di sensibilizza-zione, tra cui specifiche attività per celebrare la giornata internazionale di tolleranza zero delle mutilazioni genitali femminili (MGF) (6 febbraio) e la giornata internazionale dell’eliminazione della violenza contro le donne (25 no-vembre (annualmente);

sviluppare una piattaforma di conoscenza basata sul web relativa alle MGF per i professionisti del settore;

prendere le misure necessarie per dare seguito alla rel-azione di valutazione della conformità degli Stati membri alla direttiva sulla lotta alla tratta degli esseri umani (2016) e garantire che si affronti la dimensione di genere della tratta degli esseri umani.

5. parità tra donne e uomini nelle azioni esterne

proseguire nella protezione e promozione dei diritti delle donne e delle ragazze e la parità di genere come prio-rità politica delle relazioni esterne dell’UE;

attuare il piano “Parità di genere ed emancipazione femminile: cambiare la vita delle donne e delle ragazze grazie alle relazioni esterne dell’UE”;

proseguire l’integrazione di genere inserendo conside-razioni sulla parità di genere nelle valutazioni d’impatto e nelle analisi, in linea con i principi che informano l’iniziativa “Legiferare meglio”.

Per completezza espositiva si riporta il testo della Carta della Diversità proposta in Italia

chiamata “Carta per le pari opportunità ed uguaglianza sul lavoro” (http://www.so-

dalitas.it/fare/lavoro-e-inclusione/carta-per-le-pari-opportunita-e-luguaglianza-sul-lavoro) cui

dal 2009 possono aderire imprese e P.A.:

“Valorizzare il pluralismo e le pratiche inclusive nel mondo del lavoro contribuisce al

successo e alla competitività delle imprese, riflettendone la capacità di rispondere alle

trasformazioni della società e dei mercati. Adottando questa Carta la nostra impresa

intende contribuire alla lotta contro tutte le forme di discriminazione sul luogo di lavoro

– genere, età, disabilità, etnia, fede religiosa, orientamento sessuale – impegnandosi al

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LA STRATEGIA PER LA PARITÀ DI GENERE IN EUROPA

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contempo a valorizzare le diversità all’interno dell’organizzazione aziendale, con parti-

colare riguardo alle pari opportunità tra uomo e donna. In virtù di questa Carta ci impe-

gniamo a contribuire al raggiungimento degli obiettivi sopra condivisi attraverso alcune

azioni concrete:

definire e attuare politiche aziendali che, a partire dal vertice, coinvolgano tutti i

livelli dell’organizzazione nel rispetto del principio della pari dignità e trattamen-

to sul lavoro;

individuare funzioni aziendali alle quali attribuire chiare responsabilità in mate-

ria di pari opportunità;

superare gli stereotipi di genere, attraverso adeguate politiche aziendali, forma-

zione e sensibilizzazione, anche promuovendo i percorsi di carriera;

integrare il principio di parità di trattamento nei processi che regolano tutte le

fasi della vita professionale e della valorizzazione delle risorse umane, affinché le

decisioni relative ad assunzione, formazione e sviluppo di carriera vengano prese

unicamente in base alle competenze, all’esperienza, al potenziale professionale

delle persone;

sensibilizzare e formare adeguatamente tutti i livelli dell’organizzazione sul valo-

re della diversità e sulle modalità di gestione delle stesse;

monitorare periodicamente l’andamento delle pari opportunità e valutarne l’im-

patto delle buone pratiche;

individuare e fornire al personale strumenti interni a garanzia della effettiva tute-

la della parità di trattamento;

fornire strumenti concreti per favorire la conciliazione dei tempi di vita e di lavo-

ro favorendo l’incontro tra domanda e offerta di flessibilità aziendale e delle

persone, anche con adeguate politiche aziendali e contrattuali, in collaborazione

con il territorio e la convenzione con i servizi pubblici e privati integrati; assicu-

rando una formazione adeguata al rientro dei congedi parentali;

comunicare al personale, con le modalità più opportune, l’impegno assunto a fa-

vore di una cultura aziendale della pari opportunità, informandolo sui progetti

intrapresi in tali ambiti e sui risultati pratici conseguiti;

promuovere la visibilità esterna dell’impegno aziendale, dando testimonianza del-

le politiche adottate e dei progressi ottenuti in un’ottica di comunità realmente so-

lidale e responsabile”.

Si ritiene che il contenuto delle Carte della diversità possano essere un utile spunto per

chi, dovendo o volendo erogare informazioni non finanziarie nei propri bilanci, inten-

da descrivere la propria politica di promozione alla parità di genere.

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INFORMAZIONI NON FINANZIARIE E GESTIONE DELLE DIVERSITÀ

34

2 LE AZIONI NON DISCRIMINATORIE CITATE DALLA DIRETTIVA La direttiva 2014/95/UE prevede l’erogazione di informativa aziendale inerente il ri-

spetto dei diritti umani e della parità di genere, in modo che sia evitata la discrimina-

zione. Con riferimento ai diritti umani cita negli iniziali considerando i principi guida

delle Nazioni Unite (Guiding Principles on Business and Human Rights) in attuazione del

quadro di riferimento “Proteggere, Rispettare e Rimediare” (“Protect, Respect and

Remedy” Framework) ma riporta anche l’impegno della norma stessa a rispettare” i di-

ritti fondamentali e osserva i principi riconosciuti segnatamente dalla Carta dei Diritti

fondamentali dell’Unione europea, in particolare la libertà di impresa, il rispetto della

vita privata e la protezione dei dati di carattere personale” imponendo di essere attuata

conformemente a tali diritti e a tali principi.

La Carta dei Diritti fondamentali dell’Unione europea dunque è posta come fondamen-

to base per l’implementazione della direttiva. Tale importante documento congloba

una serie di diritti personali, civili, politici, economici e sociali dei cittadini e dei

residenti dell’Unione, essendo composta da un preambolo introduttivo e da 54 articoli,

suddivisi in sette capi.

Sintesi Principi della “Carta dei Diritti fondamentali dell’Unione europea” Dignità dignità umana, diritto alla vita, diritto all’integrità della persona, proibi-

zione della tortura e delle pene o trattamenti inumani o degradanti, proi-bizione della schiavitù e del lavoro forzato

Libertà diritto alla libertà e alla sicurezza, rispetto della vita privata e della vita familiare, protezione dei dati di carattere personale, diritto di sposarsi e di costituire una famiglia, libertà di pensiero, di coscienza e di religione, libertà di espressione e d’informazione, libertà di riunione e di associazione, libertà delle arti e delle scienze, diritto all’istruzione, libertà professionale e diritto di lavorare, libertà d’impresa, diritto di proprietà, diritto di asilo, protezione in caso di allontanamento, di espulsione e di estradizione

Uguaglianza uguaglianza davanti alla legge, non discriminazione, diversità culturale, religiose e linguistica, parità tra uomini e donne, diritti del bambino, diritti degli anziani, inserimento dei disabili

Solidarietà diritto dei lavoratori all’informazione e alla consultazione nell’ambito dell’impresa, diritto di negoziazione e di azioni collettive, diritto di accesso ai servizi di collocamento, tutela in caso di licenziamento ingiustificato, con-dizioni di lavoro giuste ed eque, divieto del lavoro minorile e protezione dei giovani sul luogo di lavoro, vita familiare e vita professionale, sicurezza so-ciale e assistenza sociale, protezione della salute, accesso ai servizi d’in-teresse economico generale, tutela dell’ambiente, protezione dei consu-matori

Cittadinanza diritto di voto e di eleggibilità alle elezioni del Parlamento europeo e alle elezioni comunali, diritto ad una buona amministrazione, diritto d’accesso ai documenti, Mediatore europeo, diritto di petizione, libertà di circola-zione e di soggiorno, tutela diplomatica e consolare

Giustizia diritto a un ricorso effettivo e a un giudice imparziale, presunzione di innocenza e diritti della difesa, principi della legalità e della proporzio-nalità dei reati e delle pene, diritto di non essere giudicato o punito due volte per lo stesso reato

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LA STRATEGIA PER LA PARITÀ DI GENERE IN EUROPA

35

La parità tra donne e uomini, secondo la Carta “deve essere assicurata in tutti i campi,

compreso in materia di occupazione, di lavoro e di retribuzione. Il principio della parità

non osta al mantenimento o all’adozione di misure che prevedano vantaggi specifici a fa-

vore del sesso sottorappresentato”.

Un esempio di impatto dell’inserimento dei diritti umani in un’azienda del filone ali-

mentare potrebbe essere ad esempio oltre alla tutela del diritto dei lavoratori e del-

l’ambiente (es. utilizzo dell’acqua e della terra, salute dei consumatori) implicita nel co-

strutto di base del principio di solidarietà anche la tutela dei dati personali inserita nel

costrutto di base del principio di libertà.

Nell’implementare i metodi di rendicontazione dichiarati dall’azienda pertanto gli am-

ministratori dovranno anche tenere conto della valutazione di nuove rischiosità dirette

o indirette derivanti dal settore in cui operano onde adottare il corretto modello orga-

nizzativo per il più efficace ed efficiente assetto organizzativo.

Risulta pertanto importante adottare strumenti tecnologici predittivi ed al contempo

della necessità di ottemperare contemporaneamente a nuovi diktat normativi (es. regola-

mento sulla privacy). Per le aziende di grandi dimensioni, ad esempio con il DLgs.

4.7.2014 n. 102 (G.U. Serie Generale 18.7.2014 n. 165) l’Italia ha recepito la direttiva

2012/27/UE sull’Efficienza energetica. L’obbligo di diagnosi energetica è sostanzialmente

previsto per le Grandi imprese e per le Imprese energivore. Tale obbligo non si applica

alle grandi imprese che hanno adottato sistemi di gestione conformi EMAS e alle norme

ISO 50001 o EN ISO 14001, a condizione che il sistema di gestione in questione includa un

audit energetico realizzato in conformità ai dettati di cui all’allegato 2 (art. 8 co. 2). Di fat-

to anche con il DM 12.5.2015 il Ministero dello Sviluppo economico (MiSE) e il Ministero

dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare hanno avviato il programma desti-

nato a stimolare le PMI a rendere più efficiente il proprio consumo di energia, favorendo

l’audit energetico e le norme ISO 50001 anche per le PMI.

L’adozione di strumenti che forniscono la consapevolezza dei consumi energetici e del-

l’impatto ambientale con continuità specialmente per queste aziende (si veda ad esempio

realtà di sistemi di energy management che abbiano interpretato questa esigenza quali

ICT4green http://www.ict4green.it) può rispondere alle due necessità oltre che impattare

favorevolmente sul macro sistema. (Per ulteriori approfondimenti sull’ambiente si

rimanda ai relativi capitoli del presente e-book). Le azioni non discriminatorie e la nuova

informativa non finanziaria dunque dovrebbero essere vissute anche nell’ottica di forni-

re maggiore spunto di cambiamento aziendale e di rinnovamento.

Nel giugno 2011 il Consiglio dei Diritti Umani delle Nazioni Unite (ONU) ha adottato

all’unanimità un documento noto come “i principi guida su Imprese e Diritti Umani”

delle Nazioni Unite (Guiding Principles on Business and Human Rights) che definisce un

insieme di regole di comportamento in materia di diritti umani sia per le imprese sia

per gli Stati che hanno il compito di monitoraggio, in quanto non esisteva a livello inter-

nazionale una norma che proteggesse i diritti dell’uomo all’interno di un’attività im-

prenditoriale, in quanto alle imprese non essendo riconosciuta la piena personalità giu-

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INFORMAZIONI NON FINANZIARIE E GESTIONE DELLE DIVERSITÀ

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ridica internazionale, non potevano essere direttamente recepenti gli obblighi norma-

tivi previsti per la tutela delle persone fisiche. I Principi Guida, nonostante non siano

vincolanti, sono considerati un importante punto di riferimento a livello internaziona-

le. Ora sono stati citati ora dalla direttiva 2014/95/UE e dunque dovranno essere presi in

considerazione per la corretta erogazione dell’informativa non finanziaria.

Pilastri dei “Principi guida su Imprese e Diritti Umani” dell’ONU Dovere di protezione

dello Stato (Pilastro I)

Dovere degli Stati di assicurare la protezione dei diritti umani dall’attività imprenditoriale, per il mezzo di politiche, norme e misure giurisdizionali appropriate

Responsabilità delle imprese al rispetto (dei diritti umani)

(Pilastro II)

La responsabilità delle imprese dovrebbe includere il rispetto dei diritti umani e l’azione tempestiva nel caso in cui la propria attività ne pregiudichi in qualche modo il relativo godimento

Diritto al rimedio effettivo (per i danneggiati)

(Pilastro III)

Necessità di garantire alle vittime degli abusi imprenditoriali l’accesso ad efficaci misure di rimedio

Nel maggio 2011 sono anche state aggiornate le “Linee Guida OCSE per le Imprese Multi-

nazionali”, inserendo un nuovo capitolo sui diritti umani (il capitolo IV) con specifico

riferimento al documento delle Nazioni Unite. Nell’ottobre 2011, la Commissione europea

con la Comunicazione “Strategia rinnovata dell’Unione europea per il periodo 2011-14 in

materia di responsabilità sociale delle imprese” ha raccomandato a tutti gli Stati membri

a predisporre un Piano d’Azione Nazionale per dare attuazione ai Principi Guida. In Italia

i Pilastri I e III sono stati oggetto di studio nel 2013 per renderli operativi in un Piano

d’Azione Nazionale.

In tema di parità di genere, è previsto che lo Stato debba le imprese circa i metodi più

appropriati, “compresa la due diligence sui diritti umani, e su come affrontare efficacemen-

te le questioni di genere e la vulnerabilità e/o l’emarginazione, tenendo in considerazione le

specifiche problematiche dei popoli indigeni, delle donne, delle minoranze nazionali o

etniche, delle minoranze linguistiche e religiose, dei bambini, delle persone con disabilità e

dei lavoratori migranti e le loro famiglie. La comunicazione da parte delle imprese su come

affrontano il loro impatto sui diritti umani può variare da un impegno informale con i

soggetti interessati, ad una comunicazione formale pubblica”.

Per le imprese in Italia è tutelata la parità di genere e vige il principio generale di non di-

scriminazione sostanzialmente a favore del sesso sottorappresentato (si vedano in parti-

colare: art. 2 del Patto sui Diritti Economici Sociali e Culturali; art. 26 del Patto sui Diritti

civili e politici, art. 1 della Convenzione sull’eliminazione di ogni forma di discrimi-

nazione della donna; art. 14 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti del-

l’uomo e delle libertà fondamentali; art. 21 della Carta dei Diritti fondamentali dell’UE).

Oltre all’impegno della Commissione europea per gli anni 2016/2019 già citati, L’OIL rico-

nosce i diritti delle donne lavoratrice e la parità di genere in particolare grazie alle

proprie Convenzioni: Convenzione n. 111 sulla Discriminazione (Impiego e Occupazione),

del 1958; la Convenzione n. 100 sull’eguaglianza di retribuzione (1951); la Convenzione n.

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LA STRATEGIA PER LA PARITÀ DI GENERE IN EUROPA

37

156 sui lavoratori con responsabilità familiari (1981) e la Convenzione n. 183 sulla

protezione della maternità (2000).

In ambito identità di genere ed orientamento sessuale nei luoghi di lavoro vi sono

ancora sporadiche iniziative a favore delle persone LGBT (sigla utilizzata per riferirsi a

persone Lesbiche, Gay, Bisessuali e Transgender). Si segnala la ris. 17/2019 ONU per chi

viola i diritti di tali persone, con parecchi casi giurisprudenziali passati al vaglio della

Corte europea dei Diritti dell’Uomo e della Corte di Giustizia CE specie in ambito lavo-

ristico e di tutela della previdenza sociale.

Senza pretesa di esaustiva sull’argomento si ritiene utile riportare una sintesi della

normativa italiana che ha impatto sulla parità di genere e/o sul principio generale di

non discriminazione affinché le imprese possano trarne spunto, affinchè si applichi la

cultura del “diversity management” con un ambiente di lavoro inclusivo (e non esclusi-

vo o ristretto o in qualche modo discriminatorio).

Sintesi normativa di maggiore rilevanza in tema di parità di genere per le imprese in Italia Art. 3 Costituzione Principio di uguaglianza Art. 51 Costituzione Parità di accesso a cariche elettive e pubblichi uffici

Art. 37.1 Costituzione Parità di diritti nel lavoro e nella retribuzione e protezione della madre e del bambino

Art. 117.7 Costituzione Dovere delle Regioni di rimuovere ostacoli alla parità di genere e di promuovere la parità di accesso alle cariche elettive

L. 903/1977 (recepente Dir. 1976/207/CE) inte-grata nella L. 125/91

Parità per accesso al lavoro, formazione, promozione professio-nale e condizioni di lavoro (norma con diversi sviluppi normativi)

L. 215/92 Comitato per l’imprenditoria femminile, istituito presso il Ministero dell’Industria

L. 236/1993 Prevenzione discriminazione sessuale nei licenziamenti collettivi L. 196/2000 Istituzione delle Consigliere di Parità

DLgs. 198/2006

Codice per le pari opportunità (si vedano in particolare: l’art. 28 sulla parità di retribuzione e l’art. 46 su obbligo di comunicazione sula situazione del personale e l’art. 50-bis sulle misure da inserire nei contratti collettivi)

DLgs. 81/2008 Salute e sicurezza nei luoghi di lavoro - documento valutazione rischi

DLgs. 183/2010 Comitati Unici di garanzia per le pari opportunità

L. 120/2011 Legge sulle quote di genere negli organi di amministrazione e di controllo (impatta sulle società quotate in borsa e società pub-bliche)

L. 92/2012 Parità di trattamento retributivo

DPR 251/2012 Parità di accesso agli organi di amministrazione e controllo nelle società controllate da P.A.

Intesa Conciliazione Conferenza Unificata Dip. Pari Opp. 2012

Conciliazione lavoro e servizi di supporto (es. nidi, aggiorna-menti tecnologici, congedi parentali, ecc.)

Protocollo intesa inter-ministeriale febbraio 2013

Fino al 2018, prevede la promozione dell’imprenditoria femminile

L. 76/2016 Diritti del lavoro e unioni di fatto e convivenze

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INFORMAZIONI NON FINANZIARIE E GESTIONE DELLE DIVERSITÀ

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Sintesi normativa di maggiore rilevanza in tema di parità di genere per le imprese in Italia

Piano Italia 2020 Formare una cultura di genere e delle politiche di genere, soste-gno all’imprenditoria femminile, al rispetto delle differenze

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4

L’IMPORTANZA DELLE INFORMAZIONI NON FINANZIARIE A cura di Antonella Roletti - Dottore Commercialista - ODCEC-Torino

1 LE SFIDE E LE OPPORTUNITÀ DERIVANTI DALLA NUOVA VISIONE

DELLE IMPRESE 40

2 L’IMPORTANZA DELLE INFORMAZIONI NON FINANZIARIE NELLE

GRANDI IMPRESE 40

3 L’IMPORTANZA DELLE INFORMAZIONI NON FINANZIARIE NELLE PMI 43

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INFORMAZIONI NON FINANZIARIE E GESTIONE DELLE DIVERSITÀ

40

1 LE SFIDE E LE OPPORTUNITÀ DERIVANTI DALLA NUOVA VISIONE DELLE IMPRESE Le imprese devono cogliere le sfide e le opportunità in arrivo mettendo in pratica op-

portune strategie a favore della sostenibilità. Devono altresì opportunamente comuni-

care le loro performance sia verso l’interno sia verso l’esterno includendo informazioni

sui fattori ambientali, sociali e sulla governance. A mettere ordine nel mosaico delle

leggi, dei regolamenti, codici, standard, indicazioni, finalmente viene attuata la diret-

tiva 2014/95/UE che ha definito la CSR (Corporate Social Responsability) come “l’insieme

dei processi decisionali volontari, legati a valori etici, al rispetto dell’individuo, della

comunità, dell’ambiente, ed all’osservanza degli strumenti legali, nell’ottica di una gestio-

ne impegnata a contribuire allo sviluppo economico compatibile.”

La CSR rappresenta quattro punti fondamentali

2 L’IMPORTANZA DELLE INFORMAZIONI NON FINANZIARIE NELLE GRANDI IMPRESE La direttiva 2014/95/UE, all’art. 1 punto 1 prevede che la dichiarazione di carattere non

finanziario contenga “almeno informazioni ambientali, sociali, attinenti al personale, al

rispetto dei diritti umani, alla lotta contro la corruzione attiva e passiva in misura

necessaria alla comprensione dell’andamento dell’impresa, dei suoi risultati, della sua

situazione e dell’impatto della sua attività tra cui:

a) una breve descrizione del modello aziendale dell’impresa;

b) una descrizione delle politiche applicate dall’impresa in merito ai predetti aspetti,

comprese le procedure di dovuta diligenza applicate;

c) il risultato di tali politiche;

d) i principali rischi connessi a tali aspetti legati alle attività dell’impresa anche in

riferimento, ove opportuno e proporzionato, ai suoi rapporti, prodotti e servizi

commerciali che possono avere ripercussioni negative in tali ambiti, nonché le re-

lative modalità di gestione adottate dall’impresa;

e) gli indicatori fondamentali di prestazione di carattere non finanziario pertinenti

per l’attività specifica dell’impresa”.

Identifica la responsabilità dell’attività economica verso i valori etici, la

dignità delle persone, il benessere della comunità, la qualità

dell’ambiente

Rappresenta un riferimento di base nello sviluppo delle politiche per il lavoro e rappresenta un principio

e un obbiettivo sociale

Rappresenta l’integrazione volontaria dei problemi socio ambientali delle imprese nell’ambito delle proprie

attività e nelle relazioni con i portatori di interessi

È una strategia che rafforza la stretta connessione esistente tra società ed economia e che pone il focus

del legame tra l’agire economico e quello sociale

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L’IMPORTANZA DELLE INFORMAZIONI NON FINANZIARIE

41

Sul primo punto a) vi sono due standard riconosciuti a livello internazionale quali rife-

rimenti sul tema dell’informativa non finanziaria, il IR International Integrated

Reporting Framework 1.0 stilato dall’International Integrated Reporting Council (IIRC) e

le Sustainability Reporting (SR) Guidelines stilate dalla Global Reporting Iniziative (GRI).

La differenza tra i due standard è la prospettiva sulla quale si basano la prima sulla

creazione di valore la seconda sulla sostenibilità.

Il BM business model del IR si basa sul fatto che l’impresa deve identificare i capitali

rilevanti che vengono incrementati, ridotti e trasformati attraverso le attività e gli

output di un’organizzazione. I capitali si dividono in Finanziario, Produttivo, intellet-

tuale, umano, sociale e relazionale oltre che capitale naturale.

Secondo invece le SR Guidelines G4 del GRI non viene esplicitato il concetto di BM, tut-

tavia quanto previsto dalla direttiva 2014/95/UE, relativamente alla descrizione del

modello di business può trovare riscontro nelle “Strategy and Analisys” e nelle “Organi-

zational Profile”.

Uno dei punti chiave di questo modello di business è la focalizzazione sui principali

rischi e opportunità relativi agli aspetti della sostenibilità e ai loro trend, oltre alla de-

scrizione degli impatti chiave dell’organizzazione relativi alla sostenibilità (impatti eco-

nomici, ambientali e sociali) le relative sfide e opportunità e gli effetti sugli stakeholder,

nella piena considerazione dei loro diritti.

La descrizione delle politiche e delle procedure ha un’importanza fondamentale in

quanto permette agli stakeholder di comprendere l’approccio adottato dalla società con

riguardo ai sei driver indicati e agli impatti ragionevolmente connessi agli stessi. In

questo senso, così come previsti dalle SR Guidelines G4, è opportuno evidenziare nel-

l’informativa, anche la relazione delle iniziative attuate con eventuali disposizioni

normative e se l’impegno della società sia volto ad ottemperare a specifiche dispo-

sizioni di legge o se la società voglia andare oltre gli obblighi legislativi.

La valutazione della probabilità di realizzazione e dell’impatto dei rischi di sostenibilità,

che possono pregiudicare il raggiungimento degli obbiettivi aziendali, è una procedura

fondamentale per la creazione di piani strategici effettivamente realizzabili, calibrati in

base a una scala di priorità individuate dell’azienda.

Una errata valutazione di un rischio o la sua mancata valutazione può compromettere

la redditività aziendale e può generare effetti negativi sull’intera collettività, in consi-

derazione della natura trasversale dei rischi di sostenibilità; i medesimi vanno pon-

derati alla luce della realtà aziendale e dell’ambiente esterno in cui essa opera.

Quindi la valutazione del rischio e l’adozione di provvedimenti che influiscano sulle

variabili al fine di mitigare l’effetto dannoso prodotto dall’event-risk rappresenta una

risposta utile per tutti gli stakeholder.

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INFORMAZIONI NON FINANZIARIE E GESTIONE DELLE DIVERSITÀ

42

Driver rilevanti Sub categoria

Tipologia di rischio

Probabilità di manife-starsi

Impatto interno

Impatto esterno Obbiettivo Politiche e

procedure

AMBIENTE

Water

Emission

Rischio inq.

Rischio inq.

Alta

Bassa

Alto

Bassa

Alto

Alto

Riduz. %

Mantenere liv. adeguati

Invest. in tec.

Monitoraggi e indicatori

SOCIALE

PERSONALE

DIRITTI UMANI

LOTTA ALLA

CORRUZIONE

La tabella sopra riportata è stata estrapolata da una rielaborazione di GRI SR Guide-

lines G4 2013.

Ciò che emerge chiaramente è che a seguito della globalizzazione, delle interdipen-

denza tra le economie e le catene di fornitura, del progresso tecnologico della rapida

crescita della popolazione e dell’aumento del consumo globale, si è avuto un impatto

significativo sulla qualità, sulla disponibilità e sul prezzo delle risorse, come acqua cibo

ed energia esercitando elevate pressioni sugli ecosistemi essenziali alla società e al-

l’economia. Per mantenere la superiorità competitiva le imprese hanno dovuto reagire

a questi cambiamenti sviluppando nuovi modelli di business che rispondono al fabbi-

sogno di innovare e di produrre con meno risorse, trasferendo sia all’interno che

all’esterno l’informativa su questi nodelli di business, sui rischi che il mondo econo-

mico, sociale e ambientale corre e sui rimedi che le imprese adottano per apportare

opportuni miglioramenti.

L’evoluzione dei modelli di rendicontazione tra cui quello previsto dalla direttiva

2014/95/UE costituisce la risposta alle esigenze dei diversi stakeholder di ottenere le

necessarie informazioni in un mondo in continuo cambiamento conferendo all’impresa

la legittimità ad operare.

La considerazione che il valore di un azienda non risieda solo nei suoi asset fisici e

finanziari ma anche negli asset intangibili, che possiamo definire capitale intellettuale,

dato dalle risorse umane e dalle capacità organizzative e di relazione dell’impresa, è

talmente vera da spingere i manager a stabilire in azienda un sistema di contabilità che

fornisca anche quelle informazioni per la valutazione delle azioni di un’impresa a

favore della sostenibilità mediante lo sviluppo di un corporate responsability.

Più della metà delle più grandi imprese al mondo ha già dimostrato che le loro

iniziative sulla CSR hanno aumentato il loro valore finanziario. Secondo un report 2011

di KPMG tra le motivazioni che spingono le imprese a rendicontare sulle loro attività

CSR vi è al primo posto la considerazione sulla reputazione ed il brand. Ciò vale in

particolare per le multinazionali che hanno un impatto ambientale e sociale rilevante.

Al secondo posto vi sono le considerazioni di tipo etico, quali la buona gestione, la so-

stenibilità i diritti umani al terzo e quarto posto le motivazioni dei lavoratori, innova-

zione e apprendimento.

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L’IMPORTANZA DELLE INFORMAZIONI NON FINANZIARIE

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Vi sono altre motivazioni come i requisiti del ciclo degli approvvigionamenti e le rela-

zioni con i fornitori ed il miglioramento dei processi interni.

3 L’IMPORTANZA DELLE INFORMAZIONI NON FINANZIARIE NELLE PMI Oltre a quanto già evidenziato da altre colleghe in tema di gestione delle diversità e di pen-

siero di gruppo, di seguito si riportano anche riflessioni in tema di responsabilità sociale.

La CSR è associata alle grandi imprese, tuttavia il settore delle PMI e così rilevante a

livello mondiale in termini di impatto economico, ambientale e sociale che richiede una

particolare attenzione all’applicazione delle pratiche di responsabilità sociale affinchè

questo settore non sia considerato estraneo alla CSR.

Le PMI possono infatti, giocare un ruolo decisivo nella strategia 2020 dell’Europa il cui

obbiettivo è una crescita “intelligente”, “sostenibile” e “inclusiva”.

È fatto noto che impegnarsi in attività socialmente responsabili non è un compito facile

per PMI, alla luce dei numerosi ostacoli.

Nonostante quindi le numerose barriere che le PMI incontrano, un numero sempre

maggiore di direttori a capo di PMI inizia a dimostrare la volontà di implementare mi-

sure di responsabilità sociale d’impresa, a fronte di una maggiore consapevolezza dei

molti benefici che possono derivare dalla gestione responsabile del proprio business.

Alcuni studi hanno dimostrato che l’implementazione di pratiche CSR migliora la reputa-

zione e l’immagine dell’azienda, come anche le relazioni di lavoro con lo staff, migliorano

i processi produttivi e la qualità, oltre ad una riduzione dei costi e ad un aumento di

efficienza (legati ad esempio ad una riduzione di rifiuti con una diminuzione di spese).

Inoltre una PMI, adottando una CSR, può innovare i propri prodotti traendo vantaggi da

nuovi mercati. La responsabilità sociale di un’impresa può aumentare la motivazione e la

produttività della forza lavoro. In egual misura la consapevolezza e la comprensione delle

sfide e delle problematiche relative alla sostenibilità possono contribuire all’immagine

dell’azienda, scatenando un utile effetto a catena nella comunicazione con gli stakeholder.

A causa dei costi percepiti, della limitata domanda da parte degli stakeholder ed il timore di

attrarre attenzioni negative e non volute da parte della stampa e di altri attori, per il mo-

mento le PMI effettuano le loro comunicazione esterne tramite: siti web, aggiornamento

mailing list e invio regolare di comunicazioni sulle ultime attività svolte, volantini di

disseminazione, organizzazione di eventi per attrarre l’attenzione su iniziative esemplari.

Il reporting all’esterno diverrà nel futuro molto importante per poter ricercare

investimenti in fase di crescita; rispondere ai requisiti richiesti dalle ONG; rispondere

alle richieste dei fornitori e della catene di fornitura in modo da essere presenti nelle

catene delle grandi imprese; differenziarsi dai concorrenti; essere pionieri del settore;

mostrare ad un pubblico più ampio quello che fa una PMI.

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INFORMAZIONI NON FINANZIARIE E GESTIONE DELLE DIVERSITÀ

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5

TIPO DI INFORMAZIONI NON FINANZIARIE A cura di Luisella Fontanella e Patrizia Sara Flore - Dottori Commercialisti - ODCEC-Torino

1 PREMESSA 46

2 ULTERIORI INDICATORI SUGGERITI 49

3 ULTERIORI RIFLESSIONI 49

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INFORMAZIONI NON FINANZIARIE E GESTIONE DELLE DIVERSITÀ

46

1 PREMESSA Il DLgs. 30.12.2016 n. 254, nel recepire la direttiva del Parlamento europeo 2014/95/UE,

elenca quali debbano essere le informazioni di carattere non finanziario che l’impresa

deve fornire per garantire la comprensione della sua attività, nel suo andamento, nei

risultati, nell’impatto che le stesse producono verso l’esterno. Tali informazioni posso-

no riguardare temi ambientali, sociali, inerenti al personale dipendente, il rispetto dei

diritti umani e la lotta alla corruzione, attinenti le caratteristiche dell’impresa stessa.

Al co. 1 la norma indica il contenuto della dichiarazione individuale di carattere non fi-

nanziario, stabilendo che essa debba descrivere quantomeno:

a) il modello aziendale gestionale ed organizzativo delle attività di impresa, com-

presi i modelli di organizzazione e di gestione che gli amministratori hanno even-

tualmente adottato in ottemperanza dell’art. 6 co. 1 lett. a) del DLgs. 231/2001, il

quale stabilisce che l’impresa non è responsabile, qualora l’organo dirigente ab-

bia adottato ed attuato efficacemente, prima che il fatto venisse posto in essere,

dei modelli idonei a prevenire reati della specie di quello verificatosi;

b) le politiche adottate, comprese quelle di dovuta diligenza, i risultati conseguiti

dall’impresa attraverso le stesse ed i connessi indicatori fondamentali di presta-

zione di carattere non finanziario;

c) i rischi principali, inerenti ai temi suddetti, generati ed anche subiti dall’impresa,

nell’esercizio della sua attività di produzione di beni e servizi e di rapporti com-

merciali, incluse, se rilevanti, le catene di fornitura e di subappalto.

Al co. 2 il DLgs. 254/2016 individua dettagliatamente gli aspetti oggetto di rendiconta-

zione ed il loro contenuto minimo, stabilendo che la dichiarazione di cui al co. 1, debba

almeno riguardare informazioni inerenti:

l’utilizzo di risorse energetiche, distinguendo fra quelle prodotte da fonti rin-

novabili e non rinnovabili, compreso l’impiego di risorse idriche;

le emissioni di gas ad effetto serra e le emissioni inquinanti in atmosfera;

l’impatto, ove possibile sulla base di ipotesi o scenari realistici anche a medio

termine, sull’ambiente nonché sulla salute e la sicurezza, associato ai fattori di

rischio di cui al co. 1 lett. c), o ad altri rilevanti fattori di rischio ambientale e

sanitario;

gli aspetti sociali e attinenti alla gestione del personale, incluse le azioni poste in

essere per garantire la parità di genere, le misure volte ad attuare le convenzio-

ni di organizzazioni internazionali e sovranazionali in materia, e le modalità di

realizzazione del dialogo con le parti sociali;

il rispetto dei diritti umani, le misure adottate per prevenirne le violazioni, non-

ché le azioni poste in essere per impedire atteggiamenti ed azioni comunque di-

scriminatori;

la lotta contro la corruzione, sia attiva sia passiva, con l’indicazione degli stru-

menti adottati a tal fine.

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TIPO DI INFORMAZIONI NON FINANZIARIE

47

Al co. 3, la norma indica il metodo di predisposizione del documento indicato nei prece-

denti co. 1 e 2, stabilendo che le informazioni suddette debbano essere prodotte sotto

forma di raffronto con quelle fornite negli esercizi precedenti, nel rispetto delle

metodologie e dei principi previsti dallo standard di rendicontazione adottato dal-

l’impresa, ai sensi dell’art. 1 lett. f) del DLgs. 254/2016, ovvero, qualora questo non fosse

impiegato, sulla base della metodologia di rendicontazione autonoma utilizzata, ai sen-

si dell’art. 1 co. 4 dello stesso decreto.

Per standard di rendicontazione si intendono gli standard e le Linee guida emanati da

autorevoli organismi nazionali ed internazionali, di natura pubblica o privata, aventi la

funzione di adempiere agli obblighi informativi di natura non finanziaria, previsti dal

decreto attuativo della direttiva europea 2014/95, opportunamente corredate, ove op-

portuno, dai riferimenti alle voci e agli importi contenuti nel bilancio.

Qualora l’impresa decida di adottare uno standard di rendicontazione, essa sarà

obbligata ad illustrare le motivazioni della propria scelta, nella relazione sulla gestione,

od eventualmente, in una relazione a latere della stessa, e qualora lo standard di rendi-

contazione impiegato nell’esercizio, dovesse differire da quello adottato negli esercizi

precedenti, è necessario motivare altrettanto adeguatamente la decisione che ha com-

portato tale scelta, al fine della migliore comprensione dei dati di bilancio.

La novità è rappresentata dai tre pilastri in base ai quali si può sviluppare lo standard

di rendicontazione impiegato dall’impresa per misurare le proprie performance. Si di-

stinguono, infatti, i c.d. “fattori ESG”:

ambientali (Enviromental);

sociali (Social);

di corporate Governance.

Attraverso l’analisi dei fattori ESG, vengono studiate le pratiche di business di un’azien-

da e viene misurato il grado di rischiosità delle stesse, sulla base della gestione ambien-

tale da parte dell’impresa, della sua interazione con gli enti locali, regionali o nazionali

con i quali interagisce e della sua corporate governance.

A titolo indicativo, anche se non esaustivo, si elencano i diversi criteri ed indicatori da

fornire nell’ambito dell’applicazione dei fattori indicati nei tre punti suddetti.

In particolare:

gli elementi minimi di carattere ambientale da indicare sono:

emissioni di gas serra, in tonnellate di CO2 equivalente, imputabili alle ope-

razioni dell’impresa o del gruppo (consumi elettrici, termici e trasportistici);

rischio di cambiamenti climatici;

consumi di energia finale e quota coperta da fonti rinnovabili;

produzione di rifiuti e quota inviata a riciclo e riutilizzo;

bilancio dei consumi idrici;

gli elementi minimi di carattere sociale da indicare sono:

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INFORMAZIONI NON FINANZIARIE E GESTIONE DELLE DIVERSITÀ

48

percentuale di incidenza all’interno degli organi di governo dell’impresa

relativi al GENERE - GRUPPO DI ETÀ (meno di 30 anni/tra 30-50 anni/sopra i

50 anni) - MINORANZE;

metodo di determinazione del salario base e della remunerazione delle don-

ne rispetto agli uomini per ciascuna categoria di impiegati e per ciascuna rile-

vante localizzazione delle operazioni;

rispetto dei diritti umani;

relazioni del personale ed inclusione sociale;

salute e sicurezza sul lavoro;

incidenti confermati di corruzione e azioni intraprese;

gli elementi minimi di governance da indicare sono:

criteri ambientali e sociali richiesti alle imprese della catena di fornitura;

integrazione dei target ambientali e sociali nei documenti di strategia del-

l’impresa;

attività di coinvolgimento degli stakeholder e delle comunità locali;

l’adesione ad un codice di comportamento in materia di governo societario;

struttura del board, i meccanismi di funzionamento dell’assemblea degli

azionisti, i suoi principali poteri, i diritti degli azionisti e le modalità del loro

esercizio, se diversi da quelli previsti dalle disposizioni legislative e regola-

mentari applicabili in via suppletiva;

la composizione e il funzionamento degli organi di amministrazione e di

controllo e dei loro comitati;

le politiche in materia di diversità inerenti la composizione degli organi am-

ministrativi e di controllo, comprensive degli obiettivi, delle modalità di at-

tuazione e dei risultati di tali politiche o, nel caso di assenza delle stesse, la

motivazione delle ragioni di tale mancanza.

La sostenibilità a medio e lungo termine di un’impresa si articola in più dimensioni, di

cui la rendicontazione delle informazioni di natura non finanziaria è uno dei tasselli.

Tali informazioni, infatti, potranno aiutare sia il decisore pubblico a definire indirizzi

di politiche pubbliche più efficaci nel perseguire uno sviluppo sostenibile, sia gli inve-

stitori ad orientare i flussi finanziari verso imprese che offrono migliori garanzie di

tenuta nello scenario economico.

Diventa essenziale, pertanto, che l’impresa non valuti solo a posteriori, gli effetti della

propria attività sull’ambiente e sulla società, ma che avvii preventivamente un processo

di valutazione strategica del rischio, per analizzare in che misura il degrado ambientale,

il cambiamento climatico, la perdita di capitale naturale e la scarsità delle risorse,

possano costituire delle serie minacce alla tenuta economica della sua sopravvivenza.

Assume, quindi, sempre maggior rilievo per le imprese, la necessità di attivare processi

di stakeholder engagement e di coinvolgimento delle comunità in cui operano, per la

definizione degli ambiti di reporting nella condivisione dei risultati raggiunti, nel-

l’individuazione dei margini di miglioramento e degli ambiti di intervento futuri.

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TIPO DI INFORMAZIONI NON FINANZIARIE

49

2 ULTERIORI INDICATORI SUGGERITI Con riferimento allo standard della Global Reporting Initiative (GRI) e ai principi di

sostenibilità espressi in numerose pubblicazioni dell’UNEP, dell’OECD e di altre autore-

voli organizzazioni internazionali vengono di seguito indicati anche degli ambiti racco-

mandati rispetto ai quali invitare le imprese ad individuare degli indicatori:

impronta ambientale e impronta di carbonio;

analisi dei flussi di materia con evidenza degli scarti e dei materiali ricicla-

ti/riciclabili;

emissioni inquinanti in atmosfera, suolo e acqua;

logistica di impresa e Mobility Management (split modale sia della logistica sia

degli spostamenti dei dipendenti, performance ambientali dei mezzi di traspor-

to, etc.);

risorse naturali rinnovabili/non-rinnovabili e servizi ecosistemici da cui l’im-

presa dipende per l’esercizio della propria attività;

inclusione sociale;

impegno in innovazione e ricerca applicata al miglioramento delle performance

ambientali e sociali;

salute e sicurezza sul lavoro;

work-life balance;

turnover del personale;

selezione e gestione dei fornitori;

impatto sulle comunità locali.

3 ULTERIORI RIFLESSIONI Il decreto in esame individua, quindi, i contenuti minimi che devono essere forniti dalle

aziende per garantire la comprensione della sua attività e degli impatti da essa prodotti

verso l’esterno.

Mentre esistono metodologie di calcolo consolidate grazie alle quali è possibile misura-

re in maniera appropriata i fattori di tipo ambientale, per quanto riguarda gli aspetti

sociali viene genericamente richiesto di descrivere le azioni poste in essere per garanti-

re la parità di genere.

È sufficiente un report con tabelle di dati desunti sulle differenze di genere in base ad

età anagrafiche, stipendi e inquadramento professionale a far comprendere la reale ge-

stione del personale di quell’azienda?

Quali sono le azioni poste in essere per garantire la parità di genere?

Tante aziende sbandierano la loro responsabilità sociale, ma poi mobbizzano e discri-

minano silenziosamente i propri dipendenti; molte aziende utilizzano criteri vaghi,

piuttosto che misure specifiche di gestione, per valutare le prestazioni dei dipendenti.

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INFORMAZIONI NON FINANZIARIE E GESTIONE DELLE DIVERSITÀ

50

In Italia i diritti legati alla maternità e alla paternità continuano ad essere vissuti come

oneri insostenibili dai datori di lavoro, nonostante la Costituzione, il Testo unico delle

disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità,

aggiornato, da ultimo, con le modifiche apportate dal DLgs. 15.6.2015 n. 80 e, successi-

vamente, dalla L. 7.8.2015 n. 124.

Secondo il contratto a tutele crescenti previsto dal Jobs Act, l’anzianità di servizio va

premiata; le donne sono coloro che più sono soggette a interruzioni e quindi risultano

le più svantaggiate da un sistema che premia la permanenza e l’anzianità aziendale.

Questo si rivela, quindi un altro sistema che penalizza le donne.

Nella redazione delle informazioni di carattere non finanziario, sicuramente importan-

te è l’analisi di indici – quali maternità e interruzione del lavoro; richieste di part

time; differenze di genere nonostante il titolo di studio – che possono far emergere

situazioni di discriminazione.

Un ulteriore aspetto da considerare è se vi sia o meno un pregiudizio di genere (gender

bias) nell’organizzazione del lavoro, e cioè se l’individuazione degli obiettivi, la misura-

zione degli sforzi e la struttura degli incentivi non siano definiti da chi occupa posizioni

di vertice nelle organizzazioni (principalmente uomini) secondo modalità che pre-

miano maggiormente gli uomini, costituendo invece una penalizzazione per le donne.

Ad esempio, cosa succede se il “capo” fissa un’importante riunione la sera tardi, a ridos-

so del termine dell’orario di lavoro? Cosa implica l’affidamento di un compito che ri-

chiede lo svolgimento di straordinari o di trasferte fuori sede e dal quale dipenda una

promozione?

Chi ha maggiori probabilità di percepire un bonus legato al risultato, quando questo

viene misurato in modo da premiare la competitività e l’aggressività invece della

collaborazione e del lavoro di squadra? Ebbene, la risposta implicita è che le donne,

soprattutto quelle con figli, indipendentemente dall’impegno e dalle capacità, saranno

svantaggiate e si sentiranno discriminate sul lavoro se i servizi di sostegno mangiano

una fetta cospicua di stipendio oltre la scarsità di servizi sociali per l’infanzia, se la fles-

sibilità richiesta significa lavorare senza limiti orari e regole certe, se lavorare diventa

incompatibile con la vita personale.

Anche la stessa rappresentazione del nuovo disegno di legge sullo smartworking delle

donne è ancora stereotipato, alle prese con figli e cura della casa, mentre lo smart-

working al maschile è sempre iperprofessionale e business oriented.

In un convegno organizzato dalla Consigliera di Parità della Lombardia presso l’Audito-

rium Testori di Milano nel febbraio 2016 si sono esaminate le denunce pervenute

ufficio della Consigliera di Parità negli anni tra il 2012 e 2015. Le motivazioni sono

state: violenze di genere 2%, vessazioni/molestie/mobbing 12%, mobilità/C.i.g. 2%, licen-

ziamento 10%, normativa/servizi/progetti 6%, discriminazione economica 4%, deman-

sionamento 10%, convalida dimissioni 2%, contrattazione 3%, conciliazione lavoro

famiglia 32%, carriera 2%.

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TIPO DI INFORMAZIONI NON FINANZIARIE

51

Purtroppo ancora troppo ambigua è la norma che riguarda l’onere della prova [Codice

delle pari Opportunità (DLgs. 198/2006), art. 40].

Finché le sanzioni saranno esigue, discriminare converrà ai datori di lavoro. Ci devono

essere sanzioni diverse da quelle pecuniarie e che devono dissuadere dal compiere com-

portamenti discriminatori.

Dover garantire informazioni non finanziarie sulla parità di genere da parte delle

aziende di maggiori dimensione possono aiutare a modificare stereotipi penalizzanti

nei confronti delle donne, favorendone la ricaduta sulle aziende di minori dimensioni.

Molte aziende stanno lavorando in questo senso, tra cui Google Inc., Facebook Inc. e

Dow ChemicalCo., che hanno intensificato gli sforzi per aumentare il numero delle don-

ne nel loro personale.

La Microsoft ad esempio, ora richiede a tutti i dipendenti di prendere parte ad un pro-

gramma di formazione annuale per educarli sugli stereotipi di genere. Negli ultimi due

anni, l’azienda VMware invece, ricorda ai responsabili degli uffici, di evitare di descri-

vere le performance positive delle donne come il risultato di eventi favorevoli esterni o

come frutto della semplice fortuna.

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INFORMAZIONI NON FINANZIARIE E GESTIONE DELLE DIVERSITÀ

52

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53

6

LA DICHIARAZIONE INDIVIDUALE DI CARATTERE NON FINANZIARIO A cura di Lucia Starola - Dottore Commercialista - ODCEC-Torino

1 AMBITO DI APPLICAZIONE 54

2 LE INFORMAZIONI DI CARATTERE NON FINANZIARIO 55

3 STANDARD DI RENDICONTAZIONE E METODOLOGIE AUTONOME 56

4 GLI INDICATORI DI PRESTAZIONE 57

5 COMPLY OR EXPLAIN 58

6 RESPONSABILITÀ DI REDAZIONE E PUBBLICAZIONE - COLLOCAZIONE

DELL’INFORMATIVA NON FINANZIARIA 58

7 VERIFICA DELLE DICHIARAZIONI DI CARATTERE NON FINANZIARIO 58

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INFORMAZIONI NON FINANZIARIE E GESTIONE DELLE DIVERSITÀ

54

Il recepimento della direttiva 22.10.2014 n. 2014/95/UE1, nell’ottica di un processo di

sviluppo sostenibile in linea con la cosiddetta Corporate Sociale Responsability (CSR) -

Responsabilità sociale dell’Impresa, richiede agli enti di interesse pubblico, che supe-

rano determinati parametri e limiti dimensionali, di fornire informazioni su sostenibi-

lità ambientale, sostenibilità sociali, sul personale e sul rispetto dei diritti umani, gestio-

ne delle diversità e gestione dei rischi, salvo fornire spiegazioni secondo il principio

complay or explain.

La previsione di una dichiarazione finalizzata a comunicare le informazioni di carattere

non finanziario, che integri quelle di carattere finanziario, risponde ad un’esigenza delle

imprese, dell’intero paese e della società civile2. Il terzo considerando della direttiva

2014/95/UE afferma: “In effetti, la comunicazione di informazioni di carattere non

finanziario è fondamentale per gestire la transizione verso un’economia globale sostenibile

coniugando redditività a lungo termine, giustizia sociale e protezione dell’ambiente”.

Le linee guida dell’OCSE per le imprese multinazionali, dichiarano: “Un’informazione

chiara ed esauriente sulle imprese è di notevole importanza per un gran numero di utenti,

dagli azionisti e dalla comunità finanziaria fino ai lavoratori, alle comunità locali, ai

gruppi con interessi specifici, ai governi e alla società nel suo insieme. Perché si abbia una

miglior conoscenza pubblica delle imprese e della loro interazione con la società e l’am-

biente, è necessario che le imprese operino in modo trasparente e che rispondano alle

richieste d’informazione di un pubblico sempre più esigente”3.

Le informazioni di carattere non finanziario4 sono in grado di fornire agli investitori

elementi aggiuntivi di valutazione sulla capacità delle imprese di generare valore nel

lungo termine. Assicurare diversità di vedute e competenze professionali qualificate

nell’ambito degli organi di governance, la valorizzazione e lo sviluppo delle risorse

umane, la buona gestione dei rischi sociali e ambientali nelle attività di finanziamento

come nella catena di fornitura e le politiche contro la corruzione sono caratteristiche di

una sana gestione d’impresa che può assicurare agli investitori performance e risultati

economici costanti nel tempo5.

1 AMBITO DI APPLICAZIONE Il legislatore italiano6 ha previsto un ambito di applicazione coincidente con quello

minimo indicato dalla direttiva (art. 2 del DLgs. 30.12.2016 n. 254), unitamente alla

possibilità di apporre una dicitura di conformità alla norma, per i soggetti al di fuori

dell’ambito obbligatorio che presenteranno, su base volontaria, dichiarazioni non fi-

nanziarie che soddisfino le prescrizioni previste (art. 7).

1 Per una analisi della direttiva, in questo Volume, Zambon P. “La direttiva 2014/95/UE”. 2 Farneti G. “Osservazioni allo schema di decreto legislativo recante attuazione della direttiva 2014/95/UE”. 3 Si veda, in questo Volume, Roletti A. “L’importanza delle informazioni non finanziarie”. 4 Si veda, in questo Volume, Fontanella L. “Tipo di informazioni non finanziarie”. 5 ABI, Position paper in “Consultazione pubblica per l’attuazione della direttiva 2014/95/UE (3/5/2016)”. 6 Per una disanima dell’iter di recepimento della direttiva, si veda in questo Volume, Bucchioni B. “La normativa domestica:

ambito di applicazione e recepimento”.

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LA DICHIARAZIONE INDIVIDUALE DI CARATTERE NON FINANZIARIO

55

L’inserimento di tale opzione è stata sostanzialmente condivisa dai soggetti che hanno

partecipato alla Consultazione pubblica preliminare ed a quella sullo schema di decreto.

In particolare, Assonime aveva suggerito di valutare attentamente gli effetti di un even-

tuale ampliamento obbligatorio delle società interessate, tenuto conto che la nuova di-

sciplina, pur incentrata su obblighi di natura informativa, richiedendo una descrizione

delle politiche adottate dall’azienda nell’ambito dei predetti ambiti, impone implicita-

mente l’adozione di un modello di organizzazione aziendale che incorpori le suddette

politiche.

La dichiarazione individuale di carattere non finanziario di cui all’art. 3 del decreto, dovrà

pertanto essere redatta, per gli esercizi finanziari aventi inizio a partire dall’1.1.2017, dagli

enti di interesse pubblico7, qualora abbiano avuto in media durante l’esercizio finanziario

un numero di dipendenti superiore a cinquecento e abbiano superato almeno uno dei due

seguenti limiti dimensionali:

a) totale dello Stato patrimoniale: 20.000.000,00 di euro

b) totale dei ricavi netti delle vendite o delle prestazioni: 40.000.000,00 di euro

2 LE INFORMAZIONI DI CARATTERE NON FINANZIARIO Nelle osservazioni alla Consultazione pubblica preliminare, il Dipartimento di Scienze del-

l’Economia e della gestione aziendale dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano,

aveva segnalato la necessità di modificare la terminologia utilizzata per la traduzione in

lingua italiana dell’espressione “non financial information”, utilizzata dalla direttiva

2014/95/UE nel testo in lingua inglese, tradotta con “informazioni di carattere non

finanziario”, ed aveva suggerito di utilizzare invece l’espressione “informazioni di carattere

non contabile” ovvero “informazioni non contabili”, ritenuta lessicalmente più corretta.

Alla maggioranza dei soggetti che hanno inviato osservazioni, gli ambiti di rendiconta-

zione richiesti dalla direttiva sono parsi coprire gli aspetti più rilevanti della gestione

della responsabilità d’impresa nei confronti della comunità e dell’ambiente, anche se

non sono mancati suggerimenti di estensione dell’informazione ad altri ambiti specifici

di interesse, specie per il sistema industriale.

Quanto al contenuto della dichiarazione individuale, l’art. 3 del decreto legislativo indi-

ca ai co. 1 e 2:

obiettivi: “nella misura necessaria ad assicurare la comprensione dell’attività di

impresa, del suo andamento, dei sui risultati e dell’impatto dalla stessa prodotta”;

temi: “ambientali, sociali, attinenti al personale, al rispetto dei diritti umani, alla

lotta contro la corruzione attiva e passiva”, comprendendo almeno informazio-

ni riguardanti:

7 La definizione di EIP, nel quadro regolamentare europeo, è quella recata dalla direttiva 2006/43/CE (Revisione legale dei

conti) e 2013/34/UE (Bilanci annuali e consolidati) in forza della quale sono comprese le società i cui titoli siano negoziati in

mercati regolamentati, le banche e compagnie di assicurazione assoggettate ad obblighi particolarmente stringenti.

L’art. 16 co. 1 del DLgs. 27.1.2010 n. 39, così come modificato dal DLgs.17.7.2016 n.135, elenca gli enti di interesse pubblico.

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INFORMAZIONI NON FINANZIARIE E GESTIONE DELLE DIVERSITÀ

56

l’utilizzo di risorse energetiche, da fonti rinnovabili o meno, e di risorse

idriche;

l’emissione di gas ad effetto serra ed emissioni inquinanti in atmosfera;

l’impatto sull’ambiente nonché sulla salute e la sicurezza;

gli aspetti attinenti la gestione del personale e le azioni poste in essere per

garantire la parità di genere;

le misure adottate per prevenire le violazioni dei diritti umani ed impedire

azioni discriminatorie;

gli strumenti adottati per la lotta alla corruzione;

descrizioni essenziali:

a) modello aziendale di gestione ed organizzazione delle attività, con riferi-

mento alla gestione dei suddetti temi;

b) politiche praticate, risultati conseguiti e relativi indicatori;

c) rischi connessi, generati o subiti, che derivano dall’attività, dai prodotti, ser-

vizi o rapporti commerciali.

3 STANDARD DI RENDICONTAZIONE E METODOLOGIE AUTONOME Le definizioni di “standard di rendicontazione“ e di “metodologia autonoma di rendi-

contazione” la troviamo nell’art. 1 “Definizioni”. Gli stessi individuano i diversi insiemi

di regole, principi e linee guida, emanati da organismi sovranazionali, internazionali o

nazionali, di natura pubblica e privata, generalmente accettati e non cogenti dal punto

di vista legislativo, nonché l’insieme di standard di rendicontazione e criteri, principi

ed indicatori di prestazione integrativi agli standard e funzionali ad adempiere agli

obblighi di informativa non finanziaria, che possono costituire un modello di

riferimento per le imprese, a cui uniformarsi per predisporre l’informativa non

finanziaria.

L’art. 3 del decreto (co. 3 e 4) prevede che le informazioni siano fornite secondo uno

standard di rendicontazione utilizzato quale riferimento, esplicitato espressamente, ov-

vero secondo una metodologia autonoma di rendicontazione, descritta in modo chiaro

ed articolato.

Il legislatore ha previsto un’ampia flessibilità nella scelta dello standard o della metodo-

logia, ritenendo esaustivo l’elenco degli standard elencati nella direttiva senza la neces-

sità di una elencazione puntuale.

Da parte dei soggetti che hanno partecipato alla Consultazione è stato osservato che, fra

gli standard citati nella direttiva, le linee guida Global Reporting Initiative - GRI sono le

più diffuse nel settore a livello nazionale e internazionale8, e presentano la metodologia

più completa, anche perché comprensiva degli indicatori per ogni ambito. Analoga-

mente il Framework dell’International Integrated Reporting Council – IIRC - ad esso

8 Lo scorso 19 ottobre sono stati lanciati i nuovi GRI Standards per la rendicontazione della performance di sostenibilità di

una organizzazione d’impresa.

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LA DICHIARAZIONE INDIVIDUALE DI CARATTERE NON FINANZIARIO

57

complementare9. Tra gli standard di riferimento nazionali, si richiamano gli standard

predisposti dal Gruppo per il Bilancio Sociale (G.B.S.) raccolti in una guida operativa

contenente indicazioni utili per il bilancio sociale.

Appare condivisibile la scelta di lasciare alle imprese l’individuazione dello standard di

rendicontazione, considerata l’evoluzione continua degli standard stessi per adeguarsi

al cambiamento delle richieste degli stakeholders sulle informazioni non contabili e la

possibile esigenza di peculiari rendicontazioni per talune attività d’impresa.

Qualora l’ente faccia ricorso ad una metodologia di rendicontazione autonoma, all’in-

terno della dichiarazione non finanziaria devono essere indicate le motivazioni della

sua adozione. Da taluni è stata indicata10 come non utile la previsione di metodologie

autonome, che possono trasformarsi in un gap competitivo, rendendo difficile se non

impossibile la comparazione con le informazioni delle altre imprese, che costituisce

uno degli obiettivi principali della direttiva.

4 GLI INDICATORI DI PRESTAZIONE Nella descrizione delle politiche praticate e dei risultati conseguiti l’impresa è chiamata

a comunicare i relativi indicatori chiave di prestazione utilizzati, (c.d. “Key performance

indicators” - KPIs) previsti dallo standard di rendicontazione adottato. Se questi non

sono adeguati o sufficienti a rappresentare con coerenza l’attività svolta ed i suoi im-

patti, ovvero se si è fatto ricorso ad una metodologia autonoma di rendicontazione,

l’impresa deve selezionare indicatori adatti, motivando le ragioni di tale scelta.

Gli indicatori di riferimento permettono di garantire qualità e rilevanza delle informazio-

ni, definendo il legame tra obiettivi e risultati, consentendo la comparabilità nel tempo e

tra diverse aziende.

In coerenza con la flessibilità di scelta delle modalità di rendicontazione, è stata lasciata

altrettanta flessibilità nell’utilizzare gli indicatori di prestazione ritenuti più appropriati.

La direttiva prevede il riferimento, se necessario, agli importi registrati nei bilanci d’eser-

cizio e quindi assume importanza il concetto di “rilevanza” dell’informazione fornita ris-

petto all’attività dell’impresa.

Il principio di rilevanza è un concetto noto in ambito contabile dove, data la possibilità

che il bilancio contenga errori, il bilancio stesso viene ritenuto attendibile se gli errori

sono irrilevanti per la significatività del bilancio, cioè non “materiali”. Tuttavia questi

concetti sono inadeguati per le informazioni non contabili e quindi il legislatore ha

ritenuto che debba essere l’impresa stessa a condurre una propria analisi di materia-

lità, individuando gli elementi informativi necessari in relazione al suo profilo di

business, al contesto ed alle sue strategie.

9 Lo scopo del Framework consiste nel definire i principi guida e gli elementi che determinano il contenuto generale di un

report integrato, con l’intento di valutare la capacità dell’organizzazione di creare valore. 10 Agenzia per la Coesione Territoriale “Contributo alla Consultazione pubblica sullo schema di decreto legislativo”.

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INFORMAZIONI NON FINANZIARIE E GESTIONE DELLE DIVERSITÀ

58

5 COMPLY OR EXPLAIN La regola “comply or explain” permea tutta la norma. In particolare la possibilità di non

fornire talune informazioni è prevista al co. 6 dell’art. 3, con riferimento a politiche che

non siano praticate in relazione ad uno o più degli ambiti indicati ma, in tale caso, è

necessario indicare le ragioni di tale assenza, in maniera chiara ed articolata.

Allo stesso modo, possono essere omesse (art. 3 co. 8), in casi eccezionali, le informa-

zioni relative a sviluppi imminenti ed operazioni in corso di negoziazione, in quanto

tale divulgazione potrebbe compromettere la posizione commerciale dell’impresa. In

questo caso le informazioni possono essere omesse, previa deliberazione assunta dal-

l’organo amministrativo, sentito l’organo di controllo.

È stata valutata positivamente la previsione di questo meccanismo di sicurezza.

6 RESPONSABILITÀ DI REDAZIONE E PUBBLICAZIONE - COLLOCA-ZIONE DELL’INFORMATIVA NON FINANZIARIA Come previsto al co. 7 dell’art. 3, la responsabilità della redazione e pubblicazione della

relazione in modo conforme alle norme compete agli amministratori, chiamati ad agire

secondo criteri di professionalità e diligenza. L’organo di controllo vigila sull’osservan-

za delle disposizioni e ne riferisce all’assemblea.

L’art. 5 prevede che la dichiarazione individuale possa essere:

a) parte integrante della relazione sulla gestione, costituendone una specifica se-

zione;

b) costituire una relazione distinta, approvata dall’organo di amministrazione,

messa a disposizione del soggetto incaricato dell’attività di controllo e pubblica-

ta al Registro delle imprese.

Il legislatore italiano ha quindi utilizzato l’opzione prevista nella direttiva di permet-

tere la redazione di una relazione distinta, conferendo in tal modo maggiore flessibilità

all’impresa. Tale scelta pare condivisibile, sia perché rappresenta una prassi già in uso

nel mercato, sia perché ha il pregio di avere più visibilità a raggiungere un maggior

numero di stakeholder.

La nuova disciplina si inserisce, inoltre, nella legislazione vigente modificando l’art.

123 bis del DLgs. 24.2.98 n. 58, con la lett. d-bis inserita nel co. 2, ove si richiede agli

emittenti tenuti alla redazione della relazione sul governo societario e gli assetti

proprietari, escluse le PMI, di fornire informazioni in merito alle politiche di diversità.

7 VERIFICA DELLE DICHIARAZIONI DI CARATTERE NON FINANZIA-RIO La direttiva delinea un sistema minimo di controlli, limitato alla verifica dell’effettiva

realizzazione delle relazioni e divulgazione delle informazioni, consentendo però agli

Stati membri di richiedere che le informazioni contenute nella dichiarazione di carat-

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LA DICHIARAZIONE INDIVIDUALE DI CARATTERE NON FINANZIARIO

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tere non finanziario (e nell’eventuale relazione ritenuta equivalente) siano verificate

da un fornitore indipendente di servizi di verifica, non necessariamente coincidente

con quello incaricato di svolgere la revisione legale dei conti.

Al co. 10 dell’art. 3 del decreto di recepimento è previsto che le dichiarazioni finanzia-

rie siano sottoposte a verifica esterna da parte di un soggetto abilitato allo svolgimento

della revisione legale dei conti, per accertarne:

la conformità alle prescrizioni del decreto;

la coerenza con lo standard di rendicontazione adottato ovvero con la metodo-

logia di rendicontazione autonoma utilizzata.

La verifica avviene da parte del soggetto incaricato di effettuare la revisione legale del

bilancio, ovvero da parte di un altro soggetto abilitato allo svolgimento della revisione

legale dei conti, esprimendo con apposita relazione l’attestazione di quanto sopra. Le

conclusioni sono espresse sulla base della conoscenza e della comprensione che il sog-

getto ha dell’ente, dell’adeguatezza dei sistemi, dei processi e delle procedure utilizzate.

Trattandosi di informazioni non finanziarie e di una attività di assurance diversa dalla

revisione legale, lo standard di riferimento dovrebbe essere individuato nell’Internatio-

nal Standard on Assurance Engagement 3000, ISAE 3000, emesso dalla IIASB.

È previsto che il soggetto che effettua la verifica sia comunque abilitato alla revisione

legale dei conti, ma ben avrebbe potuto essere indicato con riferimento ai dottori com-

mercialisti, purché indipendenti e con appropriate competenze.

È stato osservato11 che tale controllo debba fornire una limitata garanzia che attesti

l’assenza di errori od omissioni nella dichiarazione, senza coinvolgere la qualità dell’in-

formazione fornita, anche in considerazione del fatto che il soggetto chiamato ad

effettuare tale verifica potrebbe non avere le competenze specifiche necessarie ad ef-

fettuare controlli “di merito”. Infatti, viste le specificità della rendicontazione non

finanziaria, la sua valutazione difficilmente può essere assimilata a quella amministra-

tiva e contabile, realizzata sul bilancio di esercizio dai soggetti abilitati allo svolgimento

della revisione legale. Inoltre, tali soggetti potrebbero non avere le competenze ade-

guate a valutare informazioni inerenti, ad esempio, gli aspetti energetico-ambientali.

È stato altresì osservato12 che non risulta giustificata la scelta di limitare i soggetti

legittimati a svolgere l’attività di verifica della conformità ai soli revisori legali, anzitut-

to in quanto non conforme al dettato comunitario. Essa non è sostenibile neppure sotto

il profilo della professionalità dei revisori legali in materia; l’attività di revisione legale

è anzi un’attività di natura assolutamente diversa da quella di verifica delle informa-

zioni non finanziarie, sia sotto il profilo dei dati oggetto di analisi sia sotto il profilo

delle procedure di verifica. La scelta comunitaria di individuare nei “fornitori indipen-

denti di servizi” i soggetti legittimati ad effettuare questa forma di verifica era stata

invece il frutto di una precisa scelta di politica legislativa, che tiene conto delle espe-

rienze internazionali in materia.

11 ABI “Osservazioni sullo schema di decreto legislativo”. 12 Assonime “Osservazioni sullo schema di decreto legislativo”.

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INFORMAZIONI NON FINANZIARIE E GESTIONE DELLE DIVERSITÀ

60

L’art. 9 del DLgs. 30.12.2016 n. 254 prevede che la CONSOB disciplini con regolamento,

tra l’altro, i principi di comportamento e le modalità di svolgimento da parte dei revi-

sori dell’incarico di verifica della conformità delle dichiarazioni. La stessa CONSOB,

inoltre, vigila sull’attività specifica dei revisori legali che hanno incarichi in enti di inte-

resse pubblico ed ha il compito di vigilare sulla correttezza delle informazioni a sensi

dell’art. 115 del DLgs. 24.2.98 n. 58, nei confronti dei soggetti obbligati a fornire le infor-

mazioni non finanziarie, nonché dei soggetti che le forniscono in forma volontaria.

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LA DICHIARAZIONE CONSOLIDATA DI CARATTERE NON FINANZIARIO A cura di Maura Campra, Rossella Muià e Paola Zambon - Dottori Commercialisti - ODCEC-Torino

1 IL BILANCIO CONSOLIDATO E LA DICHIARAZIONE CONSOLIDATA DI

CARATTERE NON FINANZIARIO 62

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INFORMAZIONI NON FINANZIARIE E GESTIONE DELLE DIVERSITÀ

62

1 IL BILANCIO CONSOLIDATO E LA DICHIARAZIONE CONSOLIDATA DI CARATTERE NON FINANZIARIO Il bilancio consolidato deve essere corredato da una relazione degli amministratori

contenente un’“analisi fedele, equilibrata ed esauriente” della situazione dell’insieme

delle imprese incluse nel consolidamento e dell’andamento e del risultato della

gestione nel suo insieme e nei vari settori, con particolare riguardo ai costi, ai ricavi e

agli investimenti, nonché una descrizione dei principali rischi e incertezze cui le

imprese incluse nel consolidamento sono esposte. Tale analisi dovrebbe prendere in

considerazione in modo coerente sia l’entità che la complessità degli affari dell’insieme

delle imprese incluse nel bilancio consolidato e contenere, nella misura necessaria alla

comprensione della situazione dell’insieme delle imprese incluse nel consolidamento e

dell’andamento e del risultato della loro gestione, gli indicatori di risultato finanziari e,

se del caso, la normativa attualmente in vigore (DLgs. 127/91 in versione aggiornata)

prevedeva anche l’inserimento di quelli non finanziari pertinenti alle attività specifiche

delle imprese, comprese le informazioni attinenti all’ambiente e al personale.

Inoltre vi sono anche le società che redigono il bilancio consolidato in conformità ai

principi contabili internazionali, a partire dall’esercizio chiuso o in corso al 31.12.2005,

poiché obbligate (o in regime volontario) dal DLgs. 38/2005.

Dalla relazione finora dovevano in ogni caso risultare:

a) le attività di ricerca e di sviluppo;

b) i fatti di rilievo avvenuti dopo la data di riferimento del bilancio consolidato;

c) l’evoluzione prevedibile della gestione;

d) il numero e il valore nominale delle azioni o quote dell’impresa controllante pos-

sedute da essa o da imprese controllate, anche per il tramite di società fiduciarie o

per interposta persona, con l’indicazione della quota di capitale corrispondente.

d-bis) in relazione all’uso da parte delle imprese incluse nel bilancio consolidato di

strumenti finanziari e se rilevanti per la valutazione della situazione

patrimoniale e finanziaria e del risultato economico dell’esercizio complessivi:

1) gli obiettivi e le politiche delle imprese in materia di gestione del rischio fi-

nanziario, comprese le loro politiche di copertura per ciascuna principale

categoria di operazioni previste;

2) l’esposizione delle imprese al rischio di prezzo, al rischio di credito, al ri-schio di liquidità e al rischio di variazione dei flussi finanziari.

Non occorre rispettare gli obblighi in tema di rilevazione, valutazione, presentazione, informativa e consolidamento quando la loro osservanza abbia effetti irrilevanti al fine di dare una rappresentazione veritiera e corretta. Rimangono fermi gli obblighi in tema di regolare tenuta delle scritture contabili. Le società illustrano nella nota integrativa i criteri con i quali redigono il bilancio consolidato.

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LA DICHIARAZIONE CONSOLIDATA DI CARATTERE NON FINANZIARIO

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Le imprese controllate sono obbligate a trasmettere tempestivamente all’impresa

controllante le informazioni da questa richieste ai fini della redazione del bilan-

cio consolidato.

Tale relazione e la relazione sulla gestione possono essere presentate in un unico

documento, dando maggiore rilievo, ove opportuno, alle questioni che sono rilevanti

per il complesso delle imprese incluse nel consolidamento.

La direttiva 2014/95/UE del 22.10.2014 (recante modifica della direttiva 2013/34/UE per

quanto riguarda la comunicazione di informazioni di carattere non finanziario e di

informazioni sulla diversità da parte di talune imprese e di taluni gruppi di grandi

dimensioni) prevede ora che gli enti di interesse pubblico che sono imprese madri

di un gruppo di grandi dimensioni e che, alla data di chiusura del bilancio,

presentano, su base consolidata, un numero di dipendenti occupati in media

durante l’esercizio pari a 500 includano nella relazione consolidata sulla gestione

una dichiarazione consolidata di carattere non finanziario contenente almeno

informazioni ambientali, sociali, attinenti al personale, al rispetto dei diritti

umani, alla lotta contro la corruzione attiva e passiva in misura necessaria alla

comprensione dell’andamento del gruppo, dei suoi risultati, della sua situazione e

dell’impatto della sua attività, tra cui:

una breve descrizione del modello aziendale del gruppo;

una descrizione delle politiche applicate dal gruppo in merito ai predetti aspetti,

comprese le procedure di dovuta diligenza applicate;

il risultato di tali politiche;

i principali rischi connessi a tali aspetti legati alle attività del gruppo anche in

riferimento, ove opportuno e proporzionato, ai suoi rapporti, prodotti e servizi

commerciali che possono avere ripercussioni negative in tali ambiti, nonché le

relative modalità di gestione adottate dal gruppo;

gli indicatori fondamentali di prestazione di carattere non finanziario perti-

nenti per l’attività specifica del gruppo.

Ove il gruppo non applichi politiche in relazione a uno o più dei predetti aspetti, la

dichiarazione consolidata di carattere non finanziario deve comunque sottostare al

principio del report or explain fornendo una spiegazione chiara e articolata del perché

di questa scelta e laddove opportuno, inserendo riferimenti agli importi registrati nei

bilanci d’esercizio consolidati e ulteriori precisazioni in merito. Il decreto di

recepimento italiano ribadisce ora che le informazioni da riportare nella dichiarazione

consolidata solo le stesse previste per quella individuale.

È utile pertanto ricordare quale sia il perimetro di applicabilità della norma in merito

alle informazioni da erogare nella relazione sulla gestione (sia essa inserita all’interno

che come documento a sé stante).

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INFORMAZIONI NON FINANZIARIE E GESTIONE DELLE DIVERSITÀ

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Imprese considerabili società madri ai fini della relazione sulle informazioni non finanziarie Ai sensi del DLgs. 9.4.91 n. 127 (se ricompresa nell’area di consolidamento)

Le società per azioni, in accomandita per azioni, e a responsabilità limitata, nonché gli enti di cui all’art. 2201 c.c., le società coopera-tive e le mutue assicuratrici che controllano una società per azioni, in accomandita per azioni o a responsabilità limitata, che control-lano un’impresa, debbono redigere il bilancio consolidato con re-lativa relazione sulla gestione. Sono considerate imprese controllate a tal fine quelle indicate nei numeri 1) e 2) del primo comma dell’art. 2359c.c. Agli stessi effetti sono in ogni caso considerate controllate:

le imprese su cui un’altra ha il diritto, in virtù di un contratto o di una clausola statutaria, di esercitare un’influenza domi-nante, quando la legge applicabile consenta tali contratti o clausole;

le imprese in cui un’altra, in base ad accordi con altri soci, controlla da sola la maggioranza dei diritti di voto.

Si considerano anche i diritti spettanti a società controllate, a so-cietà fiduciarie e a persone interposte; non si considerano quelli spettanti per conto di terzi.

Sono esentate da tale obbligo: le imprese controllanti che, unitamente alle imprese controllate, non abbiano superato, per due esercizi consecutivi, due dei se-guenti limiti:

20.000.000 euro nel totale degli attivi degli stati patrimoniali; 40.000.000 euro nel totale dei ricavi delle vendite e delle pre-

stazioni; 250 dipendenti occupati in media durante l’esercizio. L’eso-

nero previsto tuttavia non si applica se l’impresa controllante o una delle imprese controllate è un ente di interesse pubbli-co come definito anche dal decreto sulle informazioni non finanziarie che rimanda all’art. 16 DLgs. 39/2010 ovvero se è un ente sottoposto a regime intermedio ai sensi dell’art. 19-ter DLgs. 39/2010.

Non sono inoltre soggette all’obbligo: le imprese a loro volta controllate quando la controllante sia

titolare di oltre il 95 % delle azioni o quote dell’impresa con-trollata ovvero, in difetto di tale condizione, quando la redazione del bilancio consolidato non sia richiesta almeno sei mesi prima della fine dell’esercizio da tanti soci che rappresentino almeno il 5% del capitale. In tal caso l’esonero è però subordinato alle seguenti condizioni: che l’impresa controllante, soggetta al diritto di uno Stato

membro dell’Unione europea, rediga e sottoponga a con-trollo il bilancio consolidato secondo il DLgs. 127/91 ovvero secondo il diritto di altro Stato membro dell’Unione euro-pea o in conformità ai principi contabili internazionali adottati dall’Unione europea. In tal caso oltre ad indicare le ragioni dell’esonero, la nota integrativa deve altresì in-dicare la denominazione e la sede della società control-lante che redige il bilancio consolidato; copia dello stesso, della relazione sulla gestione e di quella dell’organo di controllo, redatti in lingua italiana o nella lingua comune-

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LA DICHIARAZIONE CONSOLIDATA DI CARATTERE NON FINANZIARIO

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Imprese considerabili società madri ai fini della relazione sulle informazioni non finanziarie mente utilizzata negli ambienti della finanza internazionale, devono essere depositati presso l’ufficio del registro delle imprese del luogo ove è la sede dell’impresa controllata;

che l’impresa controllata non abbia emesso valori mobiliari ammessi alla negoziazione in mercati regolamentati italiani o dell’Unione europea;

le imprese che controllano solo imprese che, individualmente e nel loro insieme, sono irrilevanti ai fini della chiarezza, veri-dicità e correttezza del bilancio, nonché

le imprese che controllano solo imprese che possono essere escluse dal consolidamento ovvero quelle imprese controllate quando: la loro inclusione sarebbe irrilevante ai fini della chiarezza,

veridicità e correttezza del bilancio sempre che il comples-so di tali esclusioni non contrasti con i fini suddetti;

l’esercizio effettivo dei diritti della controllante è soggetto a gravi e durature restrizioni;

in casi eccezionali, non sia possibile ottenere tempestivamen-te, o senza spese sproporzionate, le necessarie informazioni;

le loro azioni o quote sono possedute esclusivamente allo sco-po della successiva alienazione.

Le ragioni dell’esonero devono essere indicate nella nota integra-tiva al bilancio di esercizio.

Ricomprese nell’ambito del DLgs. 28.2.2005 n. 38 (se tenuta alla redazione del bilancio consolidato applicando i principi contabili internazionali)

Le società seguenti redigono il bilancio consolidato in conformità ai principi contabili internazionali, a partire dall’esercizio chiuso o in corso al 31 dicembre 2005:

le società emittenti strumenti finanziari ammessi alla negozia-zione in mercati regolamentati di qualsiasi Stato membro dell’Unione europea, diverse da quelle di cui alla lettera d);

le società aventi strumenti finanziari diffusi tra il pubblico di cui all’art. 116 testo unico delle disposizioni in materia di interme-diazione finanziaria, di cui al DLgs. 24.2.98 n. 58, e successive modificazioni, diverse da quelle di cui alla lettera d);

le banche italiane di cui all’art. 1 DLgs. 1.9.93 n. 385; le società finanziarie italiane di cui all’art. 59 co. 1, lett. b) del DLgs. 1.9.93 n. 385, che controllano banche o gruppi bancari iscritti nell’albo di cui all’art. 64 del DLgs. 1.9.93 n. 385, ad eccezione delle imprese di cui alla lett. d); le società di partecipazione finanziaria mista italiane di cui all’art. 59 co. 1 lett. b-bis), del DLgs. 1.9.93 n. 385, che controllano una o più banche o società finanziarie ovunque costituite qualora il settore di maggiore dimensione all’interno del conglomerato finanziario sia quello bancario determinato ai sensi del DLgs. 30.5.2005 n. 142; le società di intermediazione mobiliare di cui all’art. 1 co. 1 lett. e) DLgs. 24.2.98 n. 58 (SIM); le società finanziarie italiane che controllano SIM o gruppi di SIM iscritti nell’albo di cui all’art. 11, co. 1-bis del DLgs. 24.2.98 n. 58; le società di gestione del risparmio di cui all’art. 1 co. 1 lett. o), del DLgs. 24.2.98 n. 58; le società finanziarie iscritte nell’albo di cui all’art. 106 DLgs. 1.9.93 n. 385; le società finanziarie che controllano società finanziarie iscritte nell’albo di cui all’art. 106 DLgs. 1.9.93 n. 385, o gruppi finanziari iscritti nell’albo di

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INFORMAZIONI NON FINANZIARIE E GESTIONE DELLE DIVERSITÀ

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Imprese considerabili società madri ai fini della relazione sulle informazioni non finanziarie cui all’art. 110 del DLgs. 1.9.93 n. 385; le agenzie di prestito su pegno di cui all’art. 112 del DLgs. 1.9.93 n. 385; gli istituti di moneta elettronica di cui al titolo V-bis del DLgs. 1.9.93 n. 385; gli istituti di pagamento di cui al titolo V-ter del DLgs. 1.9.93 n. 385;

le società che esercitano le imprese incluse nell’ambito di applicazione dell’art. 88 co. 1 e 2, e quelle di cui all’art. 95 co. 2 e 2-bis del codice delle assicurazioni private.

Le società seguenti hanno la facoltà di redigere il bilancio con-solidato in conformità ai principi contabili internazionali, a partire dall’esercizio chiuso o in corso al 31.12.2005:

le società incluse, secondo i metodi di consolidamento inte-grale, proporzionale e del patrimonio netto, nel bilancio consolidato redatto dalle società indicate alle lettere da a) a d), diverse da quelle che possono redigere il bilancio in forma abbreviata, ai sensi dell’art. 2435-bis c.c., e diverse da quelle indicate alle lettere da a) a d);

le società diverse da quelle indicate alle lettere da a) ad e) e diverse da quelle che possono redigere il bilancio in forma abbreviata, ai sensi dell’art. 2435-bis c.c., che redigono il bilancio consolidato.

Gli Stati membri, secondo la direttiva, possono consentire l’omissione di informazioni

concernenti gli sviluppi imminenti o le questioni oggetto di negoziazione in casi

eccezionali in cui, secondo il parere debitamente giustificato dei membri degli organi di

amministrazione, gestione e controllo che operano nell’ambito delle competenze a essi

attribuite dal diritto nazionale e sono collettivamente responsabili di tale parere, la

divulgazione di tali informazioni potrebbe compromettere gravemente la posizione

commerciale del gruppo, purché tale omissione non pregiudichi la comprensione

corretta ed equilibrata dell’andamento del gruppo, dei suoi risultati e della sua

situazione, e dell’impatto della sua attività.

Per quanto riguarda il recepimento italiano (art. 4 del DLgs. 254/2016) prevede che la

dichiarazione consolidata comprensiva dei dati della società madre e delle società figlie

integralmente consolidate, possa riferirsi in termini di contenuti a quanto previsto per

la dichiarazione individuale aziendale (si rimanda all’apposito capitolo dell’e-book).

Nella misura necessaria ad assicurare la comprensione dell’attività del gruppo, del suo

andamento, dei suoi risultati e dell’impatto dalla stessa prodotta, la dichiarazione

consolidata comprende i dati della società madre, delle sue società figlie consolidate

integralmente e copre i temi previsti per la dichiarazione individuale.

Qualora tale informativa venga inserita nella relazione sulla gestione dei propri bilanci

consolidati per ciò che riguarda gli obblighi da assolvere in ottemperanza alla direttiva

2014/95/UE gli stessi, limitatamente alle analisi delle informazioni di carattere non

finanziario si intendono assolti.

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LA DICHIARAZIONE CONSOLIDATA DI CARATTERE NON FINANZIARIO

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Definizioni da utilizzare ai fini della dichiarazione consolidata Gruppo di grandi

dimensioni Il gruppo costituito da una società madre e una o più società figlie che, complessivamente, abbiano avuto su base consolidata, in media, durante l’esercizio finanziario un numero di dipendenti superiore a 500 ed il cui bilancio consolidato soddisfi almeno uno dei due seguenti criteri:

1) totale dell’attivo dello stato patrimoniale superiore a 20.000.000 di euro;

2) totale dei ricavi netti delle vendite e delle prestazioni superiore a 40.000.000 di euro

Società madre L’impresa, avente la qualifica di ente di interesse pubblico, tenuta alla redazione del bilancio consolidato ai sensi del DLgs. 9.4.91 n.127, o alla redazione del bilancio consolidato secondo i principi contabili internazionali se ricompresa nell’ambito di applicazione del DLgs. 28.2.2005 n. 38

Società figlia L’impresa inclusa nel perimetro di consolidamento di un’altra impresa ai sensi del decreto legislativo 9 aprile 1991, n.127, o nel perimetro di consolidamento di un’impresa tenuta alla redazione del bilancio consolidato secondo i principi contabili internazionali in quanto ricompresa nell’ambito di applicazione del DLgs. 28.2.2005 n. 38

Società madre europea

Impresa soggetta al diritto di un altro Stato membro dell’Unione euro-pea e tenuta alla redazione del bilancio consolidato ai sensi della direttiva 2013/34/UE

La dichiarazione consolidata di carattere non finanziario pertanto potrà essere inclusa

o meno della relazione della gestione oppure costituire relazione distinta contrassegna-

ta da apposita dicitura. In ogni caso occorre che tali informazioni siano comunque

contenute in una apposita sezione. Siano esse dichiarazione consolidate redatte in mo-

do autonomo che inserite nella relazione sulla gestione o in altre relazioni previste da

norme di legge, le stesse dovranno comunque essere pubblicate nel Registro Imprese

nei termini previsti per la data di pubblicazione del bilancio cui si riferiscono. Inoltre è

altresì obbligatorio effettuare la loro pubblicazione anche sul sito internet della società

madre o del soggetto che ha predisposto i documenti evidenziando all’interno della

relazione sulla gestione consolidata o individuale la sezione del sito internet che contie-

ne tali dichiarazioni.

Metodi per presentare la dichiarazione consolidata Nella “Relazione

sulla gestione consolidata”

Inserimento all’interno della relazione sulla gestione di cui in tal caso costituisce una specifica sezione come tale contrassegnata

In una “Relazione distinta sulle informazioni

non finanziarie”

In tal caso, una volta approvata dall’organo di amministrazione, la relazione distinta è messa a disposizione dell’organo di controllo e del soggetto incaricato di svolgere i compiti di effettuare la revisione legale del bilancio e che verifica l’avvenuta predisposizione da parte degli amministratori della dichiarazione di carattere non finanziario, entro gli stessi termini previsti dalle norme di legge per la presentazione del progetto di bilancio consolidato, ed è oggetto di pubblicazione, sul

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INFORMAZIONI NON FINANZIARIE E GESTIONE DELLE DIVERSITÀ

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registro delle imprese, a cura degli amministratori stessi, congiuntamente alla relazione consolidata sulla gestione. La relazione distinta, ha comun-que l’obbligo di essere contrassegnata come tale da apposita dicitura

La specifica sezione della relazione sulla gestione consolidata contiene le informazioni richieste oppure può indicare le altre sezioni della relazione sulla gestione, ovvero le altre relazioni previste da norme di legge, ivi compresa la relazione “Relazione distinta sulle infor-mazioni non finanziarie”, dove reperire le informazioni richieste, indicando altresì la sezione del sito internet dell’ente di interesse pubblico dove queste sono pubblicate.

Se la società madre redige la dichiarazione consolidata di carattere non finanziario le

società figlie possono essere esonerate dalla redazione della dichiarazione individuale

di carattere non finanziario.

Se l’ente è di interesse pubblico ed anche società madre di un gruppo di grandi dimen-

sioni ma a propria volta è stato ricompreso nella dichiarazione consolidata di carattere

non finanziario resa da un’altra società madre soggetta agli stessi obblighi o da una

società madre europea (ex art. 19-bis e 29-bis direttive 2013/34/CE) allora l’ente può

risultare esentato dall’obbligo di redazione della dichiarazione consolidata di carattere

non finanziario. Così infatti riporta il decreto di recepimento in Italia della direttiva:

“Un ente di interesse pubblico che è società madre di un gruppo di grandi dimensioni non

è soggetto all’obbligo di redigere la dichiarazione di cui all’articolo 4 qualora tale ente di

interesse pubblico è anche una società figlia ricompresa nella dichiarazione consolidata

di carattere non finanziario resa da:

a) una società madre soggetta ai medesimi obblighi o

b) una società madre europea che redige tali dichiarazione ai sensi e conformemente

agli articoli 19-bis e 29-bis della direttiva 2013/34/UE”.

Infine la dichiarazione consolidata di carattere non finanziario può essere anche

predisposta e pubblicata in modo volontario ma in tal caso deve essere assoggettata

al preventivo monitoraggio da parte di soggetti abilitati alla revisione legale dei conti

(anche nei casi in cui la revisione legale venga svolta dal collegio sindacale).

Qualora redatta la dichiarazione consolidata volontaria di carattere non finanziario

deve essere redatta con gli stessi criteri previsti per quella obbligatoria , tenendo conto

delle “dimensioni in termini di numero di dipendenti, di valori di bilancio e dello

svolgimento o meno di attività transfrontaliera, secondo criteri di proporzionalità, in

modo che non sia comunque compromessa la corretta comprensione dell’attività svolta,

del suo andamento, dei suoi risultati e dell’impatto prodotto”. È possibile però effettuare

una deroga alle disposizioni sull’attività di controllo in merito alla revisione legale della

conformità delle informazioni fornite dagli amministratori nella loro dichiarazione di

carattere non finanziario rispetto a quanto richiesto dalla norma e rispetto ai principi,

alle metodologie e alle modalità in essa prevista (si rimanda in particolare all’art. 3

DLgs. 254/2016), riportandone però l’informazione nella dicitura di dichiarazione di

conformità al decreto purché:

la dichiarazione indichi chiaramente, sia nell’intestazione e sia al suo interno, il

mancato assoggettamento della stessa alla citata attività di controllo;

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LA DICHIARAZIONE CONSOLIDATA DI CARATTERE NON FINANZIARIO

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alla data di chiusura dell’esercizio di riferimento siano soddisfatti almeno due

dei seguenti limiti dimensionali:

numero di dipendenti durante l’esercizio inferiore a duecentocinquanta;

totale dello stato patrimoniale inferiore a 20.000.000,00 di euro;

totale dei ricavi netti delle vendite e delle prestazioni inferiore a 40.000.000,00

di euro.

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INFORMAZIONI NON FINANZIARIE E GESTIONE DELLE DIVERSITÀ

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LA DICHIARAZIONE VOLONTARIA DI CARATTERE NON FINANZIARIO CONFORME A cura di Stefania Telesca e Federica Balbo - Dottori Commercialisti - ODCEC-Torino

1 L’AMBITO DI APPLICAZIONE DELLA DICHIARAZIONE VOLONTARIA DI

CARATTERE NON FINANZIARIO 72

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INFORMAZIONI NON FINANZIARIE E GESTIONE DELLE DIVERSITÀ

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1 L’AMBITO DI APPLICAZIONE DELLA DICHIARAZIONE VOLONTARIA DI CARATTERE NON FINANZIARIO

L’art. 7 del DLgs. 254/2016 (pubblicato in Gazzetta Ufficiale il 10.1.2017) consente, ai

soggetti che non sono enti di interesse pubblico e che non superano determinati limiti

dimensionali, di predisporre e pubblicare dichiarazioni individuali o consolidate non

finanziarie su base volontaria

I suddetti limiti sono quelli dettati dall’art. 2 del medesimo decreto e sono nello specifico:

un numero di dipendenti in media, durante l’esercizio finanziario non superio-

re a 500 e,

alla data di chiusura del bilancio non abbiano superato almeno uno dei due se-

guenti limiti dimensionali:

totale dello stato patrimoniale: 20.000.000,00 euro;

totale dei ricavi netti delle vendite e delle prestazioni: 40.000.000,00 euro.

Il co. 1 consente che soggetti diversi da quelli ricompresi dall’ambito di applicazione pos-

sono apporre sulle dichiarazioni non finanziarie da essi predisposte su base volontaria la

dicitura di conformità alle norme in esame, qualora siano presenti i requisiti di legge. Il co.

2 prevede inoltre che, ai fini della redazione delle dichiarazioni non finanziarie considerate

conformi alla normativa, si applichino criteri di proporzionalità, che considerino le

dimensioni in termini di numero di occupati, di valori di bilancio e di svolgimento o meno

di attività transfrontaliera da parte del soggetto che predispone la dichiarazione, purché il

ridotto contenuto non comprometta comunque la comprensione dell’attività svolta, del suo

andamento, dei suoi risultati e dell’impatto prodotto. Il co. 3 consente altresì di derogare

alle disposizioni sui controlli relativi alle dichiarazioni non finanziarie su base volontaria,

redatte in ossequio alle norme di legge, comunque apponendo la dicitura di conformità.

Si evidenzia come l’applicazione obbligatoria della direttiva 2014/95/UE e del decreto

che ne ha recepito i contenuti riguardi unicamente le grandi imprese, ovvero quelle en-

tità economiche che, oltre a disporre di un numero di dipendenti pari almeno alle 500

unità, presentino il requisito di “Ente di interesse pubblico”.

Ricordiamo che sono enti di interesse pubblico le società appartenenti ad alcune cate-

gorie, indicate espressamente dalla legge, per le quali, in considerazione della partico-

lare visibilità e importanza economica, la revisione legale viene assoggettata a obblighi

più rigorosi. A tal fine si rimanda all’art. 1 del DLgs. 254/2016 il cui testo è riportato in

appendice alla presente opera.

Con l’introduzione della possibilità di redigere, anche se in forma volontaria, la dichiara-

zione di carattere non finanziario, si ravvisa l’opportunità che anche le PMI guardino con

estremo interesse alla direttiva 2014/95/UE, in quanto innumerevoli risultano i benefici

che un’impresa può ottenere adottando un approccio orientato alla responsabilità sociale

e, conseguentemente, comunicando all’esterno informazioni di sostenibilità.

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LA DICHIARAZIONE VOLONTARIA DI CARATTERE NON FINANZIARIO CONFORME

73

L’Italia, con 5,3 milioni di imprese attive al 31.12.2013, è il Paese che vanta il maggior

numero di microimprese e di PMI nell’Unione europea, superando di gran lunga anche

Paesi più popolosi come la Germania e la Francia.

La maggior parte delle aziende attive in Italia ha una veste giuridica che ben si adatta

ad aziende familiari o di dimensione microscopica: si contano infatti 3,3 milioni di im-

prese individuali e oltre 900.000 società di persone attive. Sono invece poco più di 1 mi-

lione le società di capitale, che hanno autonomia patrimoniale perfetta (il patrimonio

dei soci è separato da quello della società) e maggiori obblighi informativi, tra cui quel-

lo di depositare il bilancio presso la Camera di commercio.

Tra i grandi attori dell’economia globale, le PMI contribuiscono per i due terzi del-

l’esternalità ambientali globali (oltre 4.000 miliardi di dollari dei costi esterni nel 2008).

I dati quantitativi relativi al numero di PMI e al loro contributo produttivo nei singoli

contesti territoriali evidenziano il peso preponderane che le stesse rivestono nella ge-

nerazione degli impatti economici e sociali a livello planetario, circostanza, questa, per

la quale l’Unione europea e i singoli Paesi membri proseguono la propria azione sul

fronte dello sviluppo di politiche energetiche e di salvaguardia ambientale specifica-

mente rivolte alle PMI.

Si ha la sensazione che da più parti sia oggi avvertita la necessità di diffondere anche tra

le PMI la cultura della responsabilità sociale verso tutti gli stakeholder. Per le PMI è

emersa la necessità di adottare comportamenti socialmente responsabili proprio in virtù

del forte legame che queste aziende hanno con il sistema locale. La capacità di creare

consenso e sviluppare fiducia attorno al progetto imprenditoriale sono elementi essenzia-

li per tali imprese, come pure la capacità di creare relazioni, anche in considerazione

della presenza di molte PMI nei distretti industriali.

Tutto ciò impone di reinterpretare la CSR per tali realtà.

Nelle PMI, in particolare, si ravvisa spesso una relazione positiva tra adesione alla cul-

tura della sostenibilità ed evoluzione dei sistemi di governance.

L’orientamento alla CSR da parte delle PMI è spesso legata a fenomeni di legittimazione

esterna favoriti dalla presenza di fattori quali:

le motivazioni, i valori e le convinzioni personali dell’imprenditore;

il legame ad un territorio di riferimento (che naturalmente spinge le PMI al-

l’acquisizione e al mantenimento di un consenso da parte della comunità locale

di riferimento.

I benefici su riportati, se riferiti alle PMI, entrano in stretta relazione con alcuni temi spe-

cifici che, nel corso dell’ultimo ventennio, sono stati oggetto di autorevoli studi inter-

nazionali sulla sostenibilità di tali imprese.

Tali studi hanno evidenziato alcune peculiarità, tra le quali, a mero titolo esemplificati-

vo, si segnalano le seguenti:

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INFORMAZIONI NON FINANZIARIE E GESTIONE DELLE DIVERSITÀ

74

le politiche di CSR sono sovente di tipo tacito e non codificato, pertanto, nelle

PMI la misurazione e la rendicontazione dei relativi fenomeni e dinamiche ri-

sulta difficoltosa;

la motivazione personale nell’implementare politiche socialmente responsabili

prevale su quella strategica, di marketing e relazionale;

le PMI costituiscono parte integrante della comunità locale in cui operano e so-

no direttamente coinvolte nel suo sviluppo;

l’importanza che la reputazione delle PMI assume nello sviluppo di relazioni

informali nell’ambito del contesto sociale in cui operano vincola le stesse ad agi-

re con onestà e integrità;

l’elevata importanza che assumono le risorse umane nel loro operare porta le

PMI a sviluppare molteplici politiche di gestione delle stesse, anche in forme non

codificate;

il settore di appartenenza è di estrema importanza per le PMI, in quanto ne in-

fluenza la cultura in tema di implementazione delle politiche di sostenibilità.

Si è, pertanto, voluto introdurre un primo passo per una maggiore diffusione della ren-

dicontazione non finanziaria.

Chiaramente tali dichiarazioni verranno redatte sulla base di quanto previsto dal

decreto “tenendo conto delle dimensioni in termini di numero di occupati, di valori di

bilancio e dello svolgimento o meno di attività transfrontaliera, secondo criteri di propor-

zionalità, in modo che non sia comunque compromessa la corretta comprensione dell’at-

tività svolta, del suo andamento, dei suoi risultati e dell’impatto prodotto”.

Troviamo interessante per le PMI, escluse dall’ambito di applicazione del decreto

legislativo, la possibilità di presentare una Dichiarazione volontaria di carattere non

finanziario conforme al decreto legislativo se risulteranno adempiute le prescrizioni in

esso previste; riteniamo che particolare attenzione debba essere posta alla definizione

dei principali rischi, generati o subiti, che copre i temi ambientali, sociali, attinenti al per-

sonale e alle differenze di genere, al rispetto dei diritti umani e alla lotta contro la cor-

ruzione attiva e passiva che derivano dalle attività dell’impresa, dai suoi prodotti, servizi

o rapporti commerciali, incluse, ove rilevanti, le catene di fornitura e subappalto.

In considerazione delle peculiarità della realtà imprenditoriale in Italia una prima

criticità riguarda la dimensione aziendale: l’ambito applicativo delle disposizioni previste

dalla direttiva europea nella logica di un approccio top-down limita l’applicazione alle

PMI. Poiché tali aziende rappresentano la parte preponderante del sistema economico e

sociale non soltanto a livello italiano ma anche nel resto del mondo si ritiene necessario

valutare l’opportunità di una graduale estensione dell’operatività del decreto legislativo.

L’impatto delle attività di business svolte da aziende di piccole e medie dimensioni non

può quindi essere trascurato e costituisce senza dubbio una valida motivazione affinché

le PMI diventino un “interlocutore privilegiato” oltre che in ambito sociale, del lavoro e

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LA DICHIARAZIONE VOLONTARIA DI CARATTERE NON FINANZIARIO CONFORME

75

della gestione delle diversità anche in ambito di politiche energetiche e di salvaguardia

dell’ambiente.

L’esclusione di tali realtà produttive dagli adempimenti previsti e la possibilità di redi-

gere una dichiarazione volontaria di carattere non finanziario con la dicitura “conforme”

al decreto legislativo rende necessaria una adeguata valutazione dello stato attuale in

ambito di rendicontazione di sostenibilità da parte di tali aziende, che essendo più sem-

plice e diretta rispetto a quella redatta e pubblicata dai grandi enti di interesse pubblico

potrebbe rendere più agevole la comunicazione dei temi previsti dal decreto legislativo

anche da parte delle PMI.

Il tema dell’analisi di contesto, l’individuazione dei rischi specifici “cui la società è

esposta” e delle incertezze, valutazione e definizione delle azioni mitigatrici attuate o da

attuare da parte dell’organo di governo di una società non deve limitarsi ad una mera

enunciazione ma, al contrario, compiendo un’indagine puntuale ed obiettiva della realtà

dell’impresa, “coerente con l’entità e la complessità degli affari” di questa e quindi cali-

brandola funzionalmente in considerazione delle esigenze informative degli stakeholder.

Tra queste ancora limitate sono le informazioni di carattere non finanziario che

vengono fornite sui fattori esterni a valenza strategica quali, ad esempio, l’attenzione

agli impatti dei processi, dei prodotti e dei servizi sulle risorse naturali nell’ottica della

salvaguardia del patrimonio ambientale e quelli inerenti la sicurezza e salute sul lavo-

ro, il rispetto dei diritti umani, le differenze di genere, la partecipazione alla comunità

di riferimento ed i sistemi di corporate governance.

Tali informazioni sempre più sono richieste dagli investitori i quali prendono in consi-

derazione anche le metriche ambientali, sociali e di corporate governance (ESG) per

misurare, oltre alle performance finanziarie delle aziende, anche la sostenibilità e in ge-

nerale la Corporate Social Responsibility (CSR) divenuta un elemento indispensabile di

competitività aziendale.

Uno degli aspetti più delicati riguarda le conseguenze in termini di gestione dei rischi

finanziari e di accesso al credito. La comunicazione di informazioni di carattere non fi-

nanziario consente anche alle PMI di evidenziare alcune tipologie di rischi che nella

reportistica tradizionale verrebbero trascurati: di conseguenza ciò comporta un indubbio

miglioramento del processo di risk assessment e dell’equilibrio finanziario anche nel

breve termine.

La decisione di comunicare informazioni di carattere non finanziario può generare

effetti positivi in termini di miglioramento della stessa gestione delle risorse umane:

un’immagine e una reputazione aziendale testimoniata dall’adozione di credibili politi-

che di sostenibilità può costituire una valida attrattiva per i dipendenti sia in termini di

facilità del reperimento di risorse umane qualificate sia in termini di mantenimento

del personale in considerazione delle politiche sociali a favore della comunità di riferi-

mento in cui i dipendenti vivono.

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INFORMAZIONI NON FINANZIARIE E GESTIONE DELLE DIVERSITÀ

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Un positivo impatto si ha in termini di supply chain, ovvero in relazione al miglioramento

delle relazioni con tutta la catena produttiva. L’adozione di comportamenti socialmente

responsabili potrebbe influenzare positivamente anche la condotta delle altre parti della

filiera produttiva e le stesse PMI dovrebbero quindi operare un’attenta selezione di

fornitori e clienti in modo da disincentivare azioni contrarie ai valori etici, sociali e am-

bientali e potrebbero apporre ad una propria dichiarazione volontaria di carattere non

finanziario la dicitura di conformità al decreto legislativo qualora risultino adempiute le

prescrizioni in esso previste

Il processo di verifica esterna (assurance) da parte di un organismo indipendente contri-

buisce infine a supportare l’affidabilità delle informazioni di carattere non finanziario

evitando l’autoreferenzialità e dovrebbe comportare una serie di attività tra le quali:

analisi delle modalità di funzionamento dei processi che sottendono alla genera-

zione, rilevazione e gestione delle informazioni di carattere non finanziario attra-

verso interviste e discussioni con la Direzione e il personale dell’ente di interesse

pubblico al fine di raccogliere indicazioni circa il sistema informativo, contabile e

di reporting in essere e la verifica a campione della documentazione di supporto

alla predisposizione della dichiarazione di carattere non finanziario;

analisi della conformità delle informazioni qualitative a quanto previsto dagli

standard di rendicontazione utilizzati e della loro coerenza interna, con partico-

lare riferimento alla strategia, alle politiche di sostenibilità e all’identificazione

degli aspetti significativi per ciascuna categoria di stakeholder;

analisi del processo di coinvolgimento degli stakeholder;

ottenimento di una lettera di attestazione, sottoscritta dall’amministratore del-

l’ente di interesse pubblico che assicura che la dichiarazione di carattere non fi-

nanziario è stata redatta e pubblicata in conformità a quanto previsto dalla Diret-

tiva 2014/95/UE nonché garantisce l’attendibilità e completezza delle informazioni

e dei dati contenuti.

Le PMI possono pertanto rappresentare un punto di osservazione privilegiato nel diffon-

dere e coniugare nel sistema economico e sociale strategie e iniziative di sostenibilità cali-

brate sui vari attori che ne fanno parte, beneficiando tutti dei relativi ritorni in termini di

performance (non solo economiche) di lungo periodo e di impatti sulla qualità della vita.

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PARTE II

LA COMPOSIZIONE DEGLI ORGANI DI AMMINISTRAZIONE GESTIONE E CONTROLLO E LA PARITÀ DI GENERE

IL BILANCIO SOCIALE E LE INFORMAZIONI NON FINANZIARIE

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1

LA COMPOSIZIONE DEGLI ORGANI DI AMMINISTRAZIONE GESTIONE E CONTROLLO E LA PARITÀ DI GENERE A cura di Anna Maria Mangiapelo - Ragioniere Commercialista - ODCEC-Torino

1 LA PRESENZA FEMMINILE IN POSIZIONE APICALE 80

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INFORMAZIONI NON FINANZIARIE E GESTIONE DELLE DIVERSITÀ

80

1 LA PRESENZA FEMMINILE IN POSIZIONE APICALE La presenza di donne in posizioni dirigenziali è stata molto bassa in Italia, fino

all’entrata in vigore della L. 120/2011 che ha introdotto, come noto, quote obbligatorie

nei Consigli di amministrazione delle società quotate e delle società appartenenti alla

Pubblica Amministrazione.

A cinque anni dall’applicazione della L. 120/2011, secondo un’analisi, condotta da Euro-

stat di concerto con la CONSOB, le società quotate che hanno rinnovato i propri organi

di amministrazione hanno rispettato il limite imposto dalla legge, previsto nel 30%, co-

me si evince dal seguente prospetto:

DONNE NEI CONSIGLI DI AMMINISTRAZIONE SOCIETÀ QUOTATE

(quota percentuale sulla composizione)

2008 2009 2010 2011 2012 2013 2014 2015 5,9% 6,3% 6,8% 7,4% 11,6% 17,8% 22,7% 27,6%

Nei “Corporate Board” le donne che ricoprono il ruolo di consigliere hanno avuto un

incremento pari al 16%.

Nelle società “Diverse Board” i componenti donna nei consigli di amministrazione sono

raddoppiati rispetto al 2010, come si evince dallo schema elaborato dal Centro Studi CNI

su dati CONSOB:

2008 2009 2010 2011 2012 2013 2014 2015 43,8% 46,4% 49,6% 51,7% 66,8% 83,5% 91,9% 98,7%

Nella quasi totalità delle società, almeno una donna siede nel board. La maggioranza

riveste il ruolo di amministratore indipendente, sono solo 16 le donne che ricoprono il

ruolo di amministratore delegato.

RUOLO DELLE DONNE NEI CONSIGLI DI AMMINISTRAZIONE

(rilevazione anno 2015)

Indipendent directors

Minority directors

Executive directors

Charimen/ honorary chairmen

CEO Altro ruolo

68% 7% 6% 3% 3% 14%

I dati riscontrano un effettivo aumento del numero delle donne nei consiglio di ammi-

nistrazione delle società quotate, ma la gran parte dei componenti non esercita ruoli

decisionali (categoria executive).

A livello europeo le donne che siedono nei boards sono il 23.30% nell’Europa a 28, con

un incremento dello 0,6% rispetto alla precedente rilevazione del 2015.

I paesi europei che vedono il maggior numero di donne nei corporate boards sono:

Francia 37,1%

Svezia 36,1%

Italia 30,0%

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LA COMPOSIZIONE DEGLI ORGANI DI AMMINISTRAZIONE GESTIONE E CONTROLLO E LA PARITÀ DI GENERE

81

Finlandia 29,85%

Paesi Bassi 28,1%

Il paese con la percentuale inferiore risulta essere Malta (5,0%). In Italia sarà necessario procedere su due strade parallele:

continuo incremento numerico delle donne;

effettiva valorizzazione del ruolo ricoperto dalle donne.

Il dato raggiunto dall’Italia (27,6%) è superiore rispetto alla media dell’Europa a 28 mem-

bri, che si attesta al 21,2%.

Analizzando inoltre il rapporto R&S Mediobanca diffuso nel 2016, si evince un ulteriore

dato, questa volta relativo alla differenza dei compensi fra uomo e donna, componenti

di board delle società quotate:

I compensi annui (anno di riferimento 2014) per le donne ammontano a € 238 mila, ri-

spetto a € 843 mila percepiti dai colleghi uomini.

Relativamente alle società appartenenti alla Pubblica Amministrazione non quotate, co-

me si evince dalla relazione triennale sullo stato di applicazione della normativa, che

prende in esame il periodo 12/2/2013 - 12/2/2016, la situazione risulta essere la seguente:

Organismi Anno 2014 Anno 2016 CDA 14,8% 21,4%

SINDACI EFFETTIVI 18,2% 27,5% SINDACI SUPPLENTI 24,7% 35,2%

Inoltre, per questo tipo di società, si evidenzia una tendenza alla nomina di Ammini-

stratori unici (circa il 30%). Solo nel 3% dei casi l’organo monocratico è di genere

femminile.

La suddetta relazione, prende in esame i procedimenti aperti nei confronti delle società

che non hanno adempiuto all’obbligo legislativo:

sono stati aperti 197 procedimenti.

sono stati presentati 2 ricorsi dalle società, di cui uno chiuso per cessata materia

del contendere ed il secondo ancora in pendenza di giudizio.

dei suddetti procedimenti, 2 sono stati annullati in quanto le società hanno

presentato documentazione integrativa.

relativamente alla decadenza degli organi, sono state emesse 6 diffide (5 per la

composizione del Collegio sindacale e 1 per la composizione del Consiglio di

Amministrazione). Per le prime 5 è stato ricostituito l’organo, per la sesta, la società

ha nominato un Amministratore unico al posto del Consiglio di amministrazione.

Relativamente alle comunicazioni pervenute al Dipartimento Pari Opportunità, queste

sono state 640, provenienti da 430 società, in merito alla composizione degli organi so-

ciali in seguito al loro rinnovo o parziale modifica. Alla data di chiusura dell’esame

(12.2.2016) le donne sono il 37% dei componenti gli organi collegiali.

A seguito di dette comunicazioni sono stati avviati 44 procedimenti di cui 37 con prima

diffida.

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INFORMAZIONI NON FINANZIARIE E GESTIONE DELLE DIVERSITÀ

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Il risultato viene riassunto nella seguente tabella:

Situazione del provvedimento Numero Società adeguate dopo avvio procedimento 7 Società adeguate dopo 1° provvedimento di diffida 15 Società adeguate dopo 2° provvedimento di diffida 18 Società non adeguate nei termini 1 Società con termini non ancora scaduti 3 TOTALE 44

La circ. Assonime 18.7.2015 n. 23 ricorda che spetta al Collegio sindacale il ruolo di vigi-

lanza sulla corretta composizione di genere negli organismi societari, mediante l’attiva-

zione di meccanismi di correzione previsti dalla normativa.

La L. 120/2011 va ad integrarsi con la politica relativa al processo decisionale previsto

dall’impegno strategico della Commissione europea a favore della parità di genere.

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2

STEREOTIPI, PREGIUDIZI E STRATEGIE PER SUPERARLI A cura di Emanuela Barreri - Dottore Commercialista - ODCEC-Torino e Psicologo del Lavoro

1 IL SIGNIFICATO DI STEREOTIPO E L’INTEGRAZIONE TRA GENERI 84

2 COME SUPERARE STEREOTIPI E PREGIUDIZI? 85

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INFORMAZIONI NON FINANZIARIE E GESTIONE DELLE DIVERSITÀ

84

1 IL SIGNIFICATO DI STEREOTIPO E L’INTEGRAZIONE TRA GENERI Nell’affrontare il tema dell’importanza del genere maschile nell’integrazione del genere

femminile in azienda può essere utilizzato un approccio culturale, biologico, sociale,

filosofico, politico o psicologico, in quanto in tutti questi ambiti la problematica della

differenza di genere è stata ampiamente dibattuta e affrontata.

Sotto l’aspetto psicologico, in particolare nell’ambito della psicologia sociale, grande im-

portanza hanno i concetti di stereotipo e pregiudizio.

Lo stereotipo è una rappresentazione semplificata della realtà che in ambito sociale

viene associata ad un gruppo di persone, alle quali vengono attribuite le stesse caratte-

ristiche, ad esempio: le donne sono più sensibili degli uomini.

Queste credenze si basano non su una conoscenza diretta ma su mappe cognitive che

la persona ha interiorizzato in base alla propria cultura ed educazione in quanto gli ste-

reotipi si apprendono precocemente durante l’infanzia, in famiglia o a scuola, attraver-

so i messaggi dei mass media espliciti ed impliciti, e sono insiti nelle norme sociali con-

divise di comportamento.

Questo fa sì che i nostri comportamenti siano inconsapevolmente condizionati, per cui

– ad esempio – le donne tendono a scegliere professioni legate alla cura delle persone

e gli uomini scelgono professioni più tecniche.

L’attivazione spontanea dello stereotipo è stata studiata in un esperimento del 1989

condotto da Devine che ha dimostrato che l’attivazione dello stereotipo non differisce

tra individui con alto o basso grado di pregiudizio, cioè che lo stereotipo scatta automa-

ticamente indipendentemente da cosa dichiariamo a livello cognitivo.

È evidente che non si può generalizzare e ogni individuo fa storia a sé, però l’automati-

smo dello stereotipo fa sì che inconsapevolmente ci si indirizzi verso determinati com-

portamenti o che vi siano delle credenze condivise su quale comportamento sia o meno

adatto all’uomo o alla donna, come ad esempio arrabbiarsi od alzare la voce.

Perché utilizziamo lo stereotipo? Lo stereotipo viene utilizzato in quanto ognuno di noi

dispone di risorse limitate nell’elaborare le informazioni sociali e quindi tendiamo ad

utilizzare delle “scorciatoie” di pensiero (euristiche) che ci consentono semplificare i

processi cognitivi, facendoci risparmiare tempo ed energie.

Attraverso processi di categorizzazione riduciamo la quantità di informazioni dalle

quali siamo bombardati andando a collocarle in schemi mentali predefiniti, che inevi-

tabilmente però ci fanno perdere una parte di conoscenza.

Queste strategie cognitive ci consentono infatti di economizzare le risorse ma allo stes-

so tempo ci portano a distorsioni di pensiero e ad errori (bias) di giudizio, che sono di

ostacolo per l’efficienza di un gruppo di lavoro, in quanto non consentono di valorizza-

re le peculiarità e le potenzialità di ciascun membro.

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STEREOTIPI, PREGIUDIZI E STRATEGIE PER SUPERARLI

85

Inoltre attraverso l’appartenenza ad un gruppo le persone costruiscono la propria iden-

tità sociale e difendono i propri sistemi di valori, in quanto l’appartenenza migliora la

rappresentazione di sé (Tajfel 1979, “Teoria dell’identità sociale”).

Vi è quindi una vera e propria resistenza al cambiamento degli stereotipi, in quanto la

valorizzazione del proprio gruppo (ingroup), contrapposta all’altro gruppo (outgroup) è

appunto legata all’immagine di sé, per cui è del tutto naturale – oltre che dimostrato

scientificamente – che si tenda a favorire il proprio gruppo e a “sfavorire” l’altro

gruppo.

Questo legame con l’immagine di sé porta ad un rafforzamento delle proprie credenze

e alla messa in atto di comportamenti che a loro volta inducono nelle altre persone

comportamenti congruenti al comportamento messo in atto, in un rapporto circolare

verificato sperimentalmente che viene definito profezia che si autoavvera, attraverso

la quale lo stereotipo si realizza concretamente.

Infatti siamo spesso noi donne che ci “adattiamo” allo stereotipo che ci viene accollato,

facendo così sì che automaticamente si realizzi.

Quando poi lo stereotipo è connotato negativamente diventa pregiudizio, atteggiamen-

to attraverso il quale si tende a giudicare negativamente coloro che appartengono ad

un altro gruppo sociale.

2 COME SUPERARE STEREOTIPI E PREGIUDIZI? Secondo Allport (1954) lo stereotipo può essere superato attraverso il far entrare in

contatto i membri dei diversi gruppi, in quanto far entrare in relazione le persone por-

ta ad una maggiore conoscenza. L’efficacia aumenta se l’interazione è prolungata e non

casuale, mentre la competizione tra gli individui è limitante.

Un’altra strategia è l’introduzione di uno scopo sovraordinato, cioè la condivisione di

un progetto comune (Sheriff 1966), attraverso il quale è possibile superare la conflittua-

lità intergruppo e ridurre la naturale preferenza per gli appartenenti al proprio

gruppo.

The European Network of Woman in Decision-Making in Politics and Economy indivi-

dua tre strumenti per migliorare l’equilibrio di genere nelle posizioni apicali, e precisa-

mente il potenziamento dei modelli di ruolo, l’introduzione e lo sviluppo di pratiche

mentoring e il networking.

In psicologia sociale il ruolo è l’insieme delle aspettative condivise circa il comporta-

mento che dovrebbe avere un individuo all’interno di un gruppo, per cui focalizzare

l’attenzione e la visibilità di modelli di ruolo femminili che hanno raggiunto posizioni

apicali consente il progressivo superamento dello stereotipo, in quanto legittima il ruo-

lo stesso attraverso la conferma delle aspettative.

Il ricorso a pratiche di mentoring, attraverso cioè la relazione tra un professionista

“senior” e un allievo “junior” nell’ambito di un programma formativo di medio-lungo

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INFORMAZIONI NON FINANZIARIE E GESTIONE DELLE DIVERSITÀ

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periodo, consente di trasmettere conoscenza e favorire l’apprendimento, con un ap-

proccio di accompagnamento al superamento dello stereotipo di tipo culturale.

Il potenziamento del networking, cioè delle reti e dei contatti intragruppo e intergrup-

po, consente nel primo caso di migliorare la coesione del gruppo e nel secondo di

realizzare quel “contatto” che dovrebbe portare al superamento dello stereotipo.

In ogni caso, al di là delle azioni pratiche che possono essere attivate, la via per il supe-

ramento degli stereotipi e dei pregiudizi passa sempre attraverso la presa di consape-

volezza della loro esistenza e lo studio delle loro modalità di funzionamento, sia a livel-

lo di attivazione che di applicazione concreta nelle diverse situazioni di vita e

lavorative, per poter sviluppare e non comprimere le potenzialità di ciascuno.

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3

IL COINVOLGIMENTO DI UOMINI IN POSIZIONE APICALE NELLA PROMOZIONE DI DONNE IN POSIZIONI DECISIONALI A cura di Maria Alessandra Parigi - Ragioniere Commercialista - ODCEC-Torino

1 UOMINI SENIOR COME CUSTODI 90

2 BUONE PRATICHE NELLE ORGANIZZAZIONI EUROPEE 91

2.1 DANONE 91

2.2 DEUTSCHE TELEKOM 93

3 CONCLUSIONI 94

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INFORMAZIONI NON FINANZIARIE E GESTIONE DELLE DIVERSITÀ

88

La promozione della parità di genere è un compito fondamentale dell’UE. Essa rap-

presenta un valore fondamentale e quindi uno degli obiettivi anche di crescita economi-

ca. La strategia per la parità tra donne e uomini 2010-2015 della Commissione europea

individuava 5 settori di intervento prioritari:

pari indipendenza economica per donne e uomini;

pari retribuzione per lavoro di pari tipologia;

parità nel processo decisionale;

dignità, integrità e fine della violenza nei confronti delle donne;

parità tra donne e uomini nelle azioni esterne.

Anche per il programma di lavoro 2016-2019 è intendimento dell’UE di proseguire con

iniziative concrete volte a promuovere la parità di genere continuando a porre l’accen-

to su tutti e cinque i settori prioritari.

Tra tutti gli interventi descritti sopra in questo capitolo interessa esaminare le azioni

chiave a livello europeo volte alla parità di genere nel processo decisionale.

Viene confermato l’obiettivo di migliorare l’equilibrio fra donne e uomini che occupano

posizioni di rilievo nell’economia, in particolare garantire una rappresentanza minima

del 40% del sesso sottorappresentato tra gli amministratori con incarichi non esecutivi

delle imprese quotate in Borsa.

Promuovere la parità nel processo decisionale richiede altresì un migliore equilibrio

tra donne e uomini nelle posizioni di dirigente esecutivo delle maggiori società quotate

in Borsa e nel vivaio di talenti. Tali iniziative devono essere integrate dalla raccolta di

dati, da un’azione per far fronte alla sovrarappresentazione degli uomini nelle posizio-

ni decisionali negli enti di ricerca e nella vita pubblica, incluso lo sport.

La Commissione europea si è prefissata un obiettivo del 40% di donne a livello di alti

dirigenti e quadri intermedi entro la fine del 2019.

La Commissione europea per promuovere le donne nel processo decisionale in politica

e nell’economia ha istituito una rete nel 2008 che serve come piattaforma per facilitare

la cooperazione a livello europeo, scambiare informazioni e condividere le buone prati-

che con le parti interessate, i membri, i partner e la società nel suo complesso.

Il 22.6.2011, la rete europea ha discusso l’argomento: come coinvolgere gli uomini di alto

livello per promuovere le donne alle posizioni decisionali e apicali nelle loro organiz-

zazioni.

Nonostante il fatto che molte aziende internazionali abbiano adottato e attuato politiche

per la diversità (in Italia ricordiamo la L. 120/2011), le donne sono ancora pesantemente

sottorappresentate nel ruoli decisionali. Meno del 14% delle posizioni da tavolo nelle più

grandi società quotate in Europa sono occupate da donne (gennaio 2012). Le ragioni di

questo sono molteplici e comprendono gli stereotipi di genere e pregiudizi nei confronti

delle donne in posizioni di potere, la mancanza di modelli femminili di successo,

l’esclusione delle donne dalle reti formali e informali, i pregiudizi di genere nei processi

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IL COINVOLGIMENTO DI UOMINI IN POSIZIONE APICALE NELLA PROMOZIONE DI DONNE IN POSIZIONI DECISIONALI

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di reclutamento, selezione e promozione, la mancanza di sponsor e mentori, le scelte di

carriera, i problemi di bilanciamento vita-lavoro e l’ambizione personale (per un appro-

fondimento si rimanda al contributo “La composizione degli organi di amministrazione

gestione e controllo e la parità di genere”).

Uno dei fattori chiave di successo per migliorare la sottorappresentazione delle donne

in posizioni di potere è l’impegno della leadership di alto livello a guidare i cambiamen-

ti necessari. Dopo tutto, gli uomini senior sono i soggetti più importanti e potenti e sono

strumentali a creare un’atmosfera inclusive o viceversa un’atmosfera di esclusione at-

traverso i loro comportamenti e le loro azioni. La mancanza di progressi potrebbe

indicare che i programmi di diversità finora si sono concentrati troppo su come cam-

biare i comportamenti delle donne e basandosi sulle donne solo per cambiare la

cultura aziendale. Sempre più organizzazioni si stanno rendendo conto che la sottorap-

presentazione delle donne in posizioni apicale non è un problema delle donne, ma un

problema generale, e che entrambi – donne e uomini – hanno bisogno di lavorare

insieme come alleati per affrontare i divari di genere nelle organizzazioni aziendali

(per un approfondimento rimanda al contributo “La strategia per la parità di genere in

Europa e le azioni non discriminatorie citate dalla Direttiva”).

Il 22.6.2011 sono state formulate le seguenti domande come linee guida per la discus-

sione tematica:

1. È stato detto che gli uomini, in generale, sono una risorsa non sfruttata in inizia-

tive di genere nelle organizzazioni aziendali. Questo è anche vero per le posizio-

ni apicali?

2. Quali barriere possono impedire agli uomini di nominare le donne a ruoli diri-

genziali e posizioni apicali nella politica, e come si fa a superare questo con suc-

cesso? Quali sono i problemi più importanti e le motivazioni necessarie per

coinvolgere gli uomini nel processo di cambiamento?

3. Quali sono le buone pratiche nelle organizzazioni in cui un cambiamento signi-

ficativo nella rappresentanza delle donne in posizioni di rilievo è stata guidata

principalmente da uomini, o in cui il fattore chiave di successo è stato il coinvol-

gimento attivo degli uomini senior?

4. Quale può essere il ruolo della società civile in questo processo? Quali sono i fat-

tori importanti che la società civile deve affrontare al fine di svolgere un ruolo

fondamentale per il cambiamento nel processo di coinvolgere uomini in posi-

zioni apicali?

5. Qual è o dovrebbe essere il ruolo del consiglio di sorveglianza o di amministra-

tori non esecutivi, o di altre parti interessate (come gli investitori, gli azionisti,

governo) per stimolare la dirigenza ad impegnarsi in questo processo di

cambiamento?

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INFORMAZIONI NON FINANZIARIE E GESTIONE DELLE DIVERSITÀ

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1 UOMINI SENIOR COME CUSTODI Nelle organizzazioni a prevalenza maschile gli uomini sono i “guardiani” delle posizioni di

potere; gli uomini controllano le porte delle posizioni apicali. L’impegno di alti dirigenti

maschi, pertanto è una delle forze motrici del cambiamento. Coinvolgere gli uomini è

stato parte delle politiche di diversità per lungo tempo e leader maschi di aziende di alto

profilo oggi non vogliono essere visti come coloro che non promuovono le donne. I nume-

ri, però, raccontano una storia diversa. Alcuni esperti del settore hanno commentato che

l’impegno degli uomini senior di guidare il cambiamento non è sempre vero e proprio, ma

spinto da pressioni dal mondo esterno (stakeholders, stampa, Borsa, governo) e potrebbe

essere visto come “correttezza politica”.

BARRIERE PER GLI UOMINI Una ricerca di Catalyst tra le aziende negli Stati Uniti ha dimostrato che ci sono tre bar-

riere per gli uomini ad impegnarsi in iniziative in merito alla diversità di genere:

l’apatia o la mancanza di preoccupazione per il tema;

la paura per la perdita del loro status e opportunità;

l’ignoranza, sia percepita che reale.

Il primo passo per diventare uomini fautori e sostenitori attivi della promozione delle

donne a posizioni di rilievo è che gli stessi abbiano preso coscienza dei pregiudizi di

genere nelle loro organizzazioni aziendali. Secondo una ricerca, i promotori attivi della

diversità condividono tre caratteristiche:

sfidano le norme tipiche maschili su “vincente” è essere un uomo;

hanno avuto un mentore femminile;

possiedono un forte senso di fair play nella società.

LE LEZIONI DAGLI STATI UNITI La ricerca di Corporate Women Directors International negli Stati Uniti ha mostrato che

diversi fattori sono importanti per fare progressi nel migliorare la sottorappresentazione

delle donne in posizioni decisionali. Prima di tutto, è l’impegno del CEO, con le parole e le

azioni, sulla diversità di genere che crea slancio verso l’utilizzo di programmi e metriche

e alza la barra per tutti i dipendenti di sesso maschile a partecipare. Il CEO ha bisogno di

trasmettere e ripetere un messaggio chiaro sulla logica di business della diversità come

chiave per la redditività della società. Inoltre, è necessaria una buona infrastruttura per

fare progressi. Ciò comporta la nomina di un agente di diversità di genere a livello di

Senior Vice President (alle dipendenze dell’Amministratore delegato), incentivi monetari

per i manager per la conformità con gli obiettivi di diversità, la creazione di un Consiglio

esecutivo che tenga conto delle diversità e rendendo i benefici della vita/lavoro come di-

sponibili per gli uomini quanto per le donne.

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IL COINVOLGIMENTO DI UOMINI IN POSIZIONE APICALE NELLA PROMOZIONE DI DONNE IN POSIZIONI DECISIONALI

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GLI UOMINI CHE PORTANO IL CAMBIAMENTO Ci sono molti modi per l’alta dirigenza maschile per sostenere l’ascensione delle donne

ai ruoli decisionali:

guidare al cambiamento culturale necessario per rimuovere le barriere per le don-

ne nella cultura aziendale; questo include di prendere l’iniziativa per affrontare le

violazioni, i comportamenti inadeguati e i pregiudizi impliciti nella la squadra dei

senior leader anche attraverso l’applicazione di sanzioni, oltre a come affrontare

pubblicamente le questioni garantendo la trasparenza nei casi ufficiali di reclami;

guidare il cambiamento nelle procedure: vale a dire la trasformazione dei proces-

si di reclutamento, selezione e promozione (HR) per evitare pregiudizi di genere;

la creazione di metriche garantendo il monitoraggio e la revisione delle politiche

e dei risultati;

guidare la narrazione strategica necessaria per convincere gli altri (maschi) im-

prenditori che nominare donne in posizioni di potere è vantaggioso per l’organiz-

zazione aziendale;

dare il buon esempio assicurando l’equilibrio di genere nelle nomine e le squadre

nella propria gerarchia. Impedire di reclutare per una propria immagine e scorag-

giare altri a farlo;

guidare la comunicazione e i processi delle pubbliche relazioni sul tema pro-

muovendo attivamente la politica dell’organizzazione nella stampa;

guidare il sistema di sviluppo e di supporto (come la formazione, networking, ini-

ziative delle donne) per incoraggiare le donne a crescere ed eccellere. Evidenziare

la volontà ad imparare dalle reti di riunioni e conferenze delle donne in merito al

valore delle questioni femminili. Attivare il mentoring per le donne per prepararle

meglio ai ruoli di alto livello. Introdurre le donne nelle reti informali onde

diventare collegate e visibili.

2 BUONE PRATICHE NELLE ORGANIZZAZIONI EUROPEE Due società sono state identificate per aver messo in atto politiche di promozione efficace

per le donne a raggiungere posizioni di senior management, vale a dire Danone e Deutsche

Telekom. Le aziende sono state invitate a presentare le loro azioni rispettivamente alla

riunione 22 giugno (Danone) e all’uguaglianza tra donne e uomini’ della Conferenza CE

del 19-20.9.2011 (Deutsche Telekom).

2.1 DANONE Nel 2010 Danone Belgio, ha vinto la AXA Wo_Men @ Work Award 2010 per il suo

impegno per la politica della diversità e di pari opportunità per uomini e donne all’inter-

no della gestione della società. Danone Belgio, con 800 dipendenti, aveva raggiunto

l’uguaglianza a livello gestionale, con il 50% di donne manager. Nelle donne il top mana-

gement è rappresentato per il 30%.

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INFORMAZIONI NON FINANZIARIE E GESTIONE DELLE DIVERSITÀ

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Il CEO del Gruppo Danone, Franck Riboud, ha guidato il processo di cambiamento,

comunicando quali benefici di business porta la diversità: “L’innovazione deriva dalla

diversità delle persone di talento”. Il primo passo per coinvolgere gli uomini nel processo

è stato la creazione di consapevolezza; uomini e donne sono stati intervistati circa le bar-

riere al progresso di carriera e le differenze di risposta sono state analizzate e utilizzate

per definire le politiche. Danone Group ha sviluppato e implementato il Piano d’azione

donna con lo sviluppo di capacità per le donne, come la formazione, il tutoraggio, ma

anche strumenti per i processi HR e attuazione di carriera, modularità e flessibilità del

lavoro. Sono state organizzate conferenze delle donne che hanno visto un obiettivo del

20-30% per i partecipanti di sesso maschile, dando agli uomini la possibilità di vivere, es-

sendo una minoranza e per creare spazio per loro al di fuori del modello tradizionale di

capofamiglia. Il progresso è monitorato attraverso operazioni metriche e strumenti glo-

bali resi disponibili per tutte le unità locali.

I punti chiave di apprendimento dell’esperienza di Danone erano:

non solo le parole del CEO di iniziare il processo di cambiamento nell’organizza-

zione, ma il coinvolgimento personale dello stesso con verifiche di backup e

consentendo all’organizzazione di intraprendere attività specifiche per le donne

e personalmente impegnarsi in conversazioni con le donne attraverso un pro-

cesso che ha richiesto forma;

prendere in considerazione l’organizzazione di incontri individuali con gli

uomini senior, invece di incontri di gruppo; spesso gli uomini in un gruppo si

comportano in modo diverso e si può verificare meno sensibilità verso il proble-

ma di quando si hanno conversazioni one-to-one;

creare opportunità per uomini e donne di lavorare insieme su argomenti correla-

ti, invece di avere le donne con funzioni solo su di loro. Per esempio, il tema della

flessibilità del lavoro riguarda entrambi i gruppi e coinvolgendo uomini attiva-

mente al processo diventando sostenitori per il cambiamento;

stare lontano da attività o modi di comunicazione che sono tipici degli “uomini che

vogliono incolpare”. La creazione di un clima positivo, dimostrando gli aspetti positi-

vi anche per gli uomini, e divertirsi nel farlo, è stato dimostrato molto più produttivo;

assicurarsi che la logica del business è al centro della comunicazione. Attraverso i

benefici, come ad esempio il mirroring dei mercati e la creazione di prodotti

migliori per la metà dei clienti della società, vale a dire le donne, il problema della

diversità di genere diventa incorporato nella strategia dell’azienda;

applicare misure pratiche che riguardano la definizione di obiettivi chiari per

garantire che in posizioni esecutive vi sia un numero sufficiente di donne candi-

date per posizioni di alto livello;

riempire le graduatorie per la promozione a posizioni di alto livello è molto impor-

tante. Accanto alla revisione delle procedure HR un piano speciale è stato sviluppato

per assumere di nuovo le donne che hanno lasciato l’azienda ad un certo punto.

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IL COINVOLGIMENTO DI UOMINI IN POSIZIONE APICALE NELLA PROMOZIONE DI DONNE IN POSIZIONI DECISIONALI

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Tuttavia, l’impegno del CEO e del top management non è sufficiente. Le misure struttu-

rali sono necessarie al fine di garantire la continuità di impegno da parte degli uomini

di nominare le donne a posizioni apicali.

LA DIVERSITÀ NON È “UN PROBLEMA” Il CEO di Danone Belgio, Albert Ragon, ha spiegato il suo approccio di successo con la

seguente filosofia: “Una società è un gruppo di persone di una buona azienda, è un gruppo

di persone di talento. Spesso la gente vede la diversità come un problema, e comincia ad

affrontarla come una carenza. In questo caso le soluzioni non risolvono le cause alla

radice del problema, ma sono solo soluzioni rapide. Cercare il talento in un piccolo gruppo

di persone (uomini) significa che si perde il talento di altri (donne). Includendo le donne si

ha una migliore possibilità di avere le persone migliori nella vostra azienda. Invece di

sviluppare un piano d’azione specifico delle donne, un piano è stato sviluppato sulla ge-

stione delle persone; la gestione dei talenti e la gestione della diversità sono la stessa cosa.

Danone ha successo nella gestione della diversità in quanto il processo permette di indivi-

duare percorsi di carriera per tutti i dipendenti siano essi donne o uomini”.

LA DIVERSITÀ È PARTE DEL BUSINESS Il centro della politica di Danone è come l’azienda può consentire ai dipendenti di

fare un migliore piano di carriera in modo che possano svilupparsi. “Se la società nel

percorso di carriera è «dentro o fuori» si perderanno le donne e si dimenticherà di

adattare il percorso di carriera per le stesse”. È indispensabile conoscere i dipendenti

personalmente e gestire rigorosamente il processo del piano di sviluppo individuale.

Mr. Ragon ha deciso di promuovere le capacità di leadership su competenze tecniche

quando ha nominato una donna come nuovo leader della fabbrica di 300 dipendenti.

Ha condiviso le sue intuizioni: “Non c’è pari opportunità tra donne e uomini; le donne

soffrono più ostacoli. Ma solo se si indirizza l’analisi uno per uno si ottengono risultati.

La diversità non è parte di CSR (Corporate Social Responsibility), ma parte del lato del

business, come centro delle attività”.

2.2 DEUTSCHE TELEKOM Nel 2010 il board tutto maschile di Deutsche Telekom ha deciso di introdurre un

requisito di quota del 30% per le donne in posizioni dirigenziali, da raggiungere entro

la fine del 2015. Il CEO, René Oberman, ha spiegato la decisione del Consiglio: “Avere un

maggior numero di donne ai vertici ci consentirà di operare meglio”. Agli uomini del top

management sono stati indicati una serie di argomenti su cui impegnarsi quali

imprenditori del business case per l’attuazione dei requisiti di quota:

economici: con i mercati in contrazione e l’aumentare della competitività di

nuovi modelli di business e l’innovazione sono necessari; la diversità di genere è

la chiave per questo processo;

demografici: con i cambiamenti della popolazione è necessario utilizzare tutti i

talenti, tra cui donne;

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INFORMAZIONI NON FINANZIARIE E GESTIONE DELLE DIVERSITÀ

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azionisti: 10% delle azioni di DT sono detenute da investitori di sostenibilità che

apprezzano le pari opportunità;

valori: il rispetto e l’integrità sono valori fondamentali nel funzionamento della

società; nelle prestazioni sul lavoro è importante il genere;

responsabilità sociale: consentire ai dipendenti di avere una (famiglia/lavoro)

vita equilibrata;

cultura: creare una cultura aziendale aperta in cui sono valutate tutte le differenze.

INDAGARE SULLE BARRIERE Il board deve analizzare le decisioni nel decennio di politiche meno riuscite, basan-

dosi sul mentoring e la formazione come strumenti, ma con definizione di obiettivi

chiari, scadenze e monitoraggio. La ricerca interna ha dimostrato che la barriera

chiave per le donne per raggiungere posizioni di vertice è stata la cultura della

società “face-time”, in cui la partecipazione è valutata in modo superiore rispetto alle

prestazioni. Inoltre hanno presentato barriere, il fenomeno che gli uomini sono

propensi al reclutamento ed a promuovere altri uomini e le credenze tradizionali

prevalenti circa le attività delle donne a casa. Di conseguenza, le donne riflettono più

criticità per fare il passo successivo verso l’alto nella loro carriera.

IMPLEMENTARE LE SANZIONI Le quote rosa sono fissate a tutti i livelli, dai laureati, alla gestione dei talenti, ai pro-

grammi di sviluppo della leadership, alle liste per le promozioni, al reclutamento, alla

ricerca svolta di cacciatori di teste, alle assegnazioni ecc. Le sanzioni si applicano anche

per esempio ad un corso di formazione che non ha il 30% delle donne partecipanti alla

formazione in quanto sarà annullato. Le quote per le donne nel senior management

non era l’unica misura adottata. Le quote sono considerate non un obiettivo in sé, ma

uno strumento; si tratta di motivante decisione per i leader coinvolti che mostrano

impegno pubblico a cambiare; è necessario l’impegno pieno e attivo del consiglio di ge-

stione per avere successo. Tuttavia, è anche importante rendersi conto che il cambia-

mento della cultura aziendale richiede tempo.

Il monitoraggio dei risultati, anche se il programma è in corso è positivo. La percen-

tuale di donne in posizioni di gestione è salito dal 19% (febbraio 2010) al 23% (settem-

bre 2011) e l’indice delle donne leader è cresciuto dal 3% all’8%.

3 CONCLUSIONI Le donne e gli uomini devono lavorare insieme come alleati per affrontare questo

importante divario di genere nelle organizzazioni.

L’impegno della dirigenza, in parole e azioni, per il processo di cambiamento non è suffi-

ciente. Le misure strutturali sono necessarie al fine di garantire l’impegno costante di tut-

ti gli uomini di nominare le donne a posizioni di rilievo al fine di superare gli stereotipi e

i preconcetti di ruoli e competenze che vincolano i talenti femminili ancora oggi mancan-

ti di idonei modelli di leadership.

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4

LE RACCOMANDAZIONI DEL GENDER PAY GAP A cura di Cristina Chiantia - Dottore Commercialista - ODCEC Torino

1 FATTORI DI GAP RETRIBUTIVO DI GENERE 97

2 SUL PRINCIPIO DELLA PARITÀ DI RETRIBUZIONE 99

3 FATTORI CHE CAUSANO LA DISPARITÀ DI RETRIBUZIONE 100

4 IL GENDER GAP IN ITALIA 101

5 LE RACCOMANDAZIONI 102

6 CONCLUSIONI 103

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INFORMAZIONI NON FINANZIARIE E GESTIONE DELLE DIVERSITÀ

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Nell’Unione europea uno dei capisaldi è la parità di genere. Sin dal 1957 la parità retri-

butiva è sancita dai trattati e trova attuazione nella direttiva 2006/54/CE sulla parità di

trattamento fra uomini e donne in tema di occupazione e impiego.

Le ultime informazioni raccolte, indicano per il 2012, un differenziale retributivo me-

dio del 16,4% nell’Unione europea (IP/14/190) e sanciscono una stagnazione dopo la lieve

tendenza al ribasso degli ultimi anni rispetto al 17% e oltre degli anni precedenti. la crisi

economica ha ricondotto a una lieve tendenza al ribasso degli ultimi anni, che ha deter-

minato un calo degli stipendi degli uomini, in particolare in alcuni settori a prevalente

manodopera maschile come l’edilizia e l’ingegneria, anziché un aumento della retribu-

zione femminile.

In una delle relazioni del 2013 sull’attuazione delle norme UE sulla parità di trattamen-

to di uomini e donne in materia di impiego (direttiva 2006/54/CE), la Commissione ha

osservato che la parità retributiva è ostacolata da una serie di fattori, tra i quali sistemi

retributivi poco trasparenti (IP/13/1227).

Non sussistono informazioni adeguate sui livelli salariali in un’organizzazione, è dif-

ficile per una lavoratrice, che percepisce uno stipendio inferiore rispetto alla contro-

parte di sesso opposto, rivendicare i propri diritti, se non impossibile.

Secondo questa relazione, una maggiore trasparenza dei sistemi retributivi migliore-

rebbe la situazione delle vittime di discriminazioni salariali in quanto si potrebbero con-

frontare più facilmente con i lavoratori dell’altro sesso.

La Commissione è intervenuta costantemente su tutti i fronti per colmare il divario re-

tributivo; tra gli interventi si annoverano:

1) l’iniziativa “Equality Pays Off” (L’uguaglianza paga) portata avanti nel 2012 e

nel 2013, che ha sostenuto i datori di lavoro impegnati a ridurre il divario retri-

butivo di genere con l’organizzazione di seminari e formazioni;

2) le raccomandazioni specifiche per paese formulate ogni anno nel quadro del

semestre europeo, che richiamano l’attenzione degli Stati membri sulla necessi-

tà di affrontare il problema del divario retributivo (vedi IP/13/463);

3) le giornate europee per la parità retributiva (IP/14/190);

4) lo scambio di buone prassi;

5) il finanziamento di iniziative degli Stati membri attraverso i fondi strutturali;

6) le azioni della società civile.

Nell’Unione europea uomini e donne sono formalmente uguali: “questo è uno dei valori

fondamentali ma nel 2016 rappresenta ancora un miraggio sul mercato dell’occupazione”.

Uomini e donne continuano a non avere stesse pari opportunità nel lavoro. Nonostante

vi siano più laureate che laureati persiste ancora il “soffitto di cristallo”.

Le donne rappresentano, secondo Eurostat, solo il 5% dei dirigenti d’azienda in Europa

oltre che le donne sono impegnate generalmente in settori produttivi con retribuzioni

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LE RACCOMANDAZIONI DEL GENDER PAY GAP

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più basse. Queste differenze pesano nella retribuzione oraria delle donne: il 16,7% in

meno rispetto a quella dei loro colleghi.

Si stima che solo nel 2086 si raggiungeranno le pari retribuzioni in quanto il gap retri-

butivo di genere diminuisce a un ritmo troppo lento.

Di fronte a questa realtà, la Commissione europea sta lavorando per colmare il divario:

conciliare meglio lavoro e vita privata per realizzare la piena occupazione senza rinun-

ciare a una migliore vita familiare.

Nel 2017 la Commissione presenterà una proposta per rafforzare una maggiore parità

nell’uso e nella scelta dei regimi di congedo parentale, modalità di lavoro flessibili e

strutture per l’infanzia a prezzi più accessibili. Gli uomini al pari delle donne, devono

potersi occupare delle famiglie e le imprese devono promuovere le donne qualificate

di cui l’Europa ha bisogno.

La Commissione europea, in occasione della giornata europea per la parità retributiva,

s’impegna a offrire alle donne e agli uomini le stesse opportunità sul mercato del lavoro,

la stessa retribuzione per lo stesso lavoro che è un valore fondamentale dell’Europa.

Essere competitivi significa permettere al talento femminile di esprimersi nell’interesse

di tutti. Le cause del divario sono complesse e correlate.

Il gap retributivo-differenza nella retribuzione oraria lorda tra uomini e donne è tra-

sversale e abbraccia vari settori dell’economia.

In Italia, il divario si colloca a valori del 6,1% mentre nell’UE è del 16,7% e ruota su tre

variabili:

la retribuzione oraria inferiore;

meno ore di lavoro retribuito;

minore tasso di occupazione per interruzioni di carriera dovuto alla cura dei fi-

gli o dei familiari.

1 FATTORI DI GAP RETRIBUTIVO DI GENERE Le responsabilità familiari non sono ripartite in maniera equa e le donne subiscono

interruzioni di carriera più frequenti e spesso non riescono a rientrare a lavorare a

tempo pieno. Guadagnano in media il 16% in meno all’ora rispetto agli uomini; su base

annua il divario raggiunge drammaticamente il 31%, considerando che il part time è

molto più diffuso tra le donne.

Sono in prevalenza maschili le posizioni lavorative di rilievo e supervisione. Gli uomini

ricevono più promozioni in tutti i settori, di conseguenza sono pagati di più. Questa ten-

denza raggiunge l’apice a livelli più alti della gerarchia lavorativa: meno del 4% dei

dirigenti è una donna.

I lavoratori uomini dedicano in media 9 ore a settimana ad attività non retribuite come

la cura dei figli, familiari o lavori di casa, mentre le lavoratrici dedicano a tali attività

26 ore, circa 4 ore il giorno.

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INFORMAZIONI NON FINANZIARIE E GESTIONE DELLE DIVERSITÀ

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Sul mercato del lavoro, tale differenza si traduce nel fatto che 1 donna su 3 riduce le

ore di lavoro retribuite per chiedere un part-time, mentre solo 1 uomo su 10 fa lo stesso,

potendo beneficiare della copertura oraria femminile.

Le donne trascorrono più tempo fuori dal mercato del lavoro rispetto agli uomini. Queste

interruzioni di carriera influenzano non solo la retribuzione oraria, ma hanno un forte

impatto sui guadagni futuri e sulla pensione.

Segregazione nell’istruzione e nel mercato del lavoro: questo significa che in alcuni set-

tori e occupazioni, le donne sono sovra-rappresentate, mentre in altri sono sovra-rap-

presentati gli uomini. In diversi paesi, alcune occupazioni sono in prevalenza svolte dalle

donne, ad esempio l’insegnante o l’addetta alle vendite. Tali posizioni offrono salari

inferiori rispetto a occupazioni svolte da uomini a parità di esperienza e qualifica.

La discriminazione retributiva, sebbene vietata, continua a contribuire al divario re-

tributivo di genere di conseguenza tra gli anziani vi sono più donne in stato di povertà

rispetto agli uomini.

In anticipo rispetto alla giornata internazionale della donna (l’8 marzo), la Commissio-

ne europea ha adottato oggi una raccomandazione che invita gli Stati membri a miglio-

rare la trasparenza retributiva di uomini e donne, nell’intento di colmare il divario di

genere in questo campo.

Il differenziale retributivo, ossia la differenza media tra la retribuzione oraria di uomi-

ni e donne nell’intera economia, è rimasto quasi immutato negli ultimi anni ed è fermo

al 16,4% in tutta l’Unione europea (IP/14/190).

Una maggiore trasparenza salariale contribuisce sensibilmente a combattere il divario,

nella misura in cui può rivelare pregiudizi e discriminazioni di genere nelle strutture

retributive all’interno di un’organizzazione, e consente quindi a dipendenti, datori di

lavoro e parti sociali di intervenire adeguatamente per assicurare l’attuazione del princi-

pio della parità retributiva. La Commissione raccomanda agli Stati membri di aumentare

la trasparenza attraverso una gamma di misure: diritto dei lavoratori di accedere alle

informazioni salariali, relazioni aziendali, audit salariali nelle grandi imprese, parità

retributiva in sede di contrattazione collettiva.

“L’Europa ha promosso la parità di genere fin dal 1957. Dal principio della parità delle

retribuzioni sancito dal trattato fino ai diritti sul luogo di lavoro, possiamo essere fieri dei

progressi realizzati in Europa negli ultimi decenni. Ma non possiamo fermarci qui. In

Europa la parità delle retribuzioni non è ancora una realtà per le donne, per questo

chiediamo oggi una maggiore trasparenza salariale. Se le imprese rispettano davvero il

principio di pari retribuzione a pari lavoro, non dovrebbero aver nulla da nascondere”,

ha dichiarato la vicepresidente Viviane Reding, Commissaria europea per la Giustizia.

“È inaccettabile che le donne siano retribuite meno, semplicemente perché sono tenute

all’oscuro di quanto guadagnano i colleghi maschi. La trasparenza contribuirà a colmare

il divario retributivo di genere. Spero che gli Stati membri raccoglieranno la sfida e si

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LE RACCOMANDAZIONI DEL GENDER PAY GAP

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adopreranno per far sì che le donne non vengano più truffate. Insieme possiamo realiz-

zare la parità di genere, non solo in occasione della giornata internazionale della donna,

ma tutto l’anno e una volta per tutte”.

La raccomandazione agli Stati membri che la Commissione ha licenziato oggi definisce

un’ampia gamma di misure che interessano specificamente la trasparenza retributiva,

tra le quali:

il diritto dei lavoratori di accedere a informazioni sui livelli retributivi (com-

presi elementi complementari o variabili come bonus e pagamenti in natura),

ripartite per genere;

presentazioni periodiche di relazioni, da parte dei datori di lavoro, sulle retri-

buzioni ripartite per genere e suddivise per categoria di dipendenti e posizioni

(applicabili solo alle grandi e medie imprese);

conduzione di audit salariali nelle grandi aziende (PMI escluse) da mettere a

disposizione dei rappresentanti dei lavoratori e delle parti sociali su richiesta;

discussione delle questioni inerenti alla parità retributiva, compresi gli audit

salariali, nella contrattazione collettiva.

Gli Stati membri dovrebbero attuare almeno una delle suddette misure, in funzione

della situazione a livello nazionale.

Tra le altre misure proposte figurano: la raccolta di statistiche più precise e aggiornate

sul divario retributivo di genere, una definizione precisa del concetto di “lavoro di pari

valore” e la promozione di sistemi di valutazione e classificazione del lavoro neutri, il

rafforzamento del ruolo delle autorità nazionali per le pari opportunità nella lotta alla

discriminazione retributiva di genere, il monitoraggio e l’attuazione del principio della

parità delle retribuzioni e attività di sensibilizzazione.

Prossime tappe: gli Stati membri hanno tempo fino al 31 dicembre 2015 per informare

la Commissione sulle iniziative adottate per attuare la raccomandazione, dopodiché la

Commissione valuterà i progressi realizzati e l’eventuale necessità di ulteriori provve-

dimenti.

2 SUL PRINCIPIO DELLA PARITÀ DI RETRIBUZIONE Il principio della parità di retribuzione per uno stesso lavoro e lavoro di pari

valore ha uno scopo economico e sociale, laddove l’obiettivo economico se-

condario rispetto a quello sociale.

La nozione di retribuzione di cui all’art. 157 del TFUE è ampia e comprende

piani occupazionali, sociali e di sicurezza.

La discriminazione salariale tra uomini e donne è vietata, qualunque sia il siste-

ma che dà luogo a disparità di retribuzione (ad esempio, una classificazione

professionale o di un sistema pensionistico).

La trasparenza richiede che il principio di parità di retribuzione venga osserva-

to nel rispetto di ciascuno degli elementi di remunerazione.

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INFORMAZIONI NON FINANZIARIE E GESTIONE DELLE DIVERSITÀ

100

La raccomandazione della Commissione sul rafforzamento del principio della pa-

rità di retribuzione tra uomini e donne attraverso la trasparenza fornisce un ap-

proccio utile per promuovere la trasparenza dei salari e questo merita un’ampia

diffusione e attenzione.

Il principio della parità di retribuzione tra uomini e donne non si applica se

le differenze di retribuzione non possono essere ricondotte a un unico datore

di lavoro. Questa limitazione è problematica in caso di esternalizzazione.

3 FATTORI CHE CAUSANO LA DISPARITÀ DI RETRIBUZIONE Sia il gender pay gap (GPG) e che il divario di genere in materia di pensioni (GGP) sono

diminuiti nel periodo 2006-2012 nei paesi in cui è stata applicata la direttiva.

l’impatto dell’introduzione della direttiva deve essere valutato tenendo conto

degli elementi strutturali dei mercati del lavoro nazionali che influenzano

l’evoluzione delle disparità di retribuzione nel tempo (scelta del percorso for-

mativo, la segregazione orizzontale e verticale, la paternità e le responsabilità di

assistenza agli anziani, le carriere interrotte, ecc);

l’aumento della percentuale di lavoratrici con un più elevato livello di

istruzione porta a un ridimensionamento del divario retributivo di genere

(la differenza tra il salario orario medio lordo degli uomini e quello delle donne);

la struttura occupazionale settoriale ha un effetto importante sulle differenze

pensionistiche, infatti se aumentano le quote di uomini in settori tipicamente

femminili come l’istruzione, la sanità e la P.A. si nota un decremento dei diffe-

renziali pensionistici uomo-donna. Un numero maggiore di donne nei servizi

porta invece a un incremento delle disparità nelle pensioni;

i fattori istituzionali sono importanti. Le principali differenze salariali sono

rilevate in quei Paesi caratterizzati da una segregazione più elevata in

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LE RACCOMANDAZIONI DEL GENDER PAY GAP

101

termini di attività di cura, che si riflette anche in termini di differenze

pensionistiche. L’incremento del pay gap emerge nei Paesi che vedono poche

donne al comando delle aziende quotate o nelle banche. Sì, lo so, la legge Golfo-

Mosca ha incrementato i numeri, ma si deve ancora migliorare, il rischio di

tornare indietro è sempre attuale;

sistemi retributivi poco trasparenti.

4 IL GENDER GAP IN ITALIA Lo scorso anno ci eravamo illusi di poter risalire la china. Eravamo arrivati ad occupare

il 41esimo posto della classifica, dopo anni di posizionamenti verso il fondo. Potevamo

sperare che la svolta fosse arrivata. E invece il Gender Gap Report 2016 del World Eco-

nomic Forum, che da 10 anni misura il progresso di 142 paesi del mondo nella direzione

della parità tra uomini e donne, ci dice che l’Italia ha ancora molta strada da fare. Lo fa

valutando la parità di genere su quattro indicatori: la salute (l’Italia è 72°), l’istruzione

(siamo 56°), la presenza politica (siamo 25°) e infine il dato su cui ogni anno peggioriamo

drammaticamente: la partecipazione socio economica.

Basti sapere che dal 2015 al 2016 l’Italia è passata, appunto, in termini assoluti dalla 41°

alla 50° posizione, e possiamo immaginare che il dato riguardante la partecipazione delle

donne italiane alla società e all’economia faccia paura. Così è: l’Italia risulta nel 2016 in

117° posizione su 142 paesi per questo parametro, e ha perso sei posizioni dal 2015, e ben

venti dal 2014. Basti pensare che l’occupazione femminile in Italia è inchiodata ai livelli

pre-crisi economica, 47,2%, contro un’occupazione maschile che viaggia sopra al 60%.

Come mai? Che cosa spiega il fatto che in un paese in cui fanno impresa, guidano l’auto,

aprono conti in banca e votano da 70 anni, le donne non sono presenti nell’economia e

nella società? E come mai, visto che il World Economic Forum ha dimostrato da anni

che questo indicatore è anche un indicatore dello stato di salute di un’economia, nessu-

no se ne sta (pre)occupando?

Se guardiamo da vicino quali parametri misura questo indicatore, vediamo che l’Italia

è 79° per presenza di donne in posizioni manageriali 87° (Altra cosa sono le donne nei

cda, la cui presenza al 30% è garantita dalla legge Golfo-Mosca, almeno per i prossimi 3

anni), per la presenza di figure tecniche e professionali, 89° per tasso di occupazione;

98° per reddito da lavoro e infine 127° per “parità di salario per occupazione simile” (e

questa definizione taglia la testa al toro sul tema di cosa sia il “pay gap”).

Il World Economic Forum lancia l’allarme: la condizione delle donne negli ultimi tre anni è

peggiorata quasi ovunque nel mondo. Sul sito si trova un “gender gap calculator” che

invita a inserire la propria data di nascita e ti dice quanti anni avrai quando verrà rag-

giunta la parità di genere. Il numero di anni che mancano al traguardo, se manteniamo

questo passo, è 170 in qualità di professionista ne avrò “solo” 214 quando succederà.

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INFORMAZIONI NON FINANZIARIE E GESTIONE DELLE DIVERSITÀ

102

5 LE RACCOMANDAZIONI Occorre verificare in che modo la direttiva rispetti i trattati internazionali che sono stati

ratificati dai membri europei (trattati delle Nazioni Unite, le convenzioni ILO). È preferibi-

le rendere più omogenei e coerenti tra loro gli strumenti legislativi europei. Manca per

esempio un riferimento all’art. 8 del TFEU per l’eliminazione delle disuguaglianze e per

promuovere l’uguaglianza uomo-donna in ogni attività (vedi anche l’art. 10 del TFEU). Si

fa riferimento a discriminazioni di tipo multiplo, come nel caso di persone transgender. Si

spera che l’integrazione delle raccomandazioni della Commissione: del 7.3.2014 sul

rafforzamento del principio di pari retribuzione uomo-donna attraverso la regola della

trasparenza (2014/124/EU).

Si chiede di risolvere il problema del gap salariale in caso di lavoro in outsourcing.

Inoltre si dovrebbero rafforzare le misure per consentire la conoscenza delle procedu-

re di selezione per chi sostiene un colloquio di lavoro (sappiamo che anche in questi

frangenti pesa la differenza di genere, n.d.r.). Monitorare e prevenire le discrimina-

zioni, e in caso di molestie e di violenze sessuali. È necessario implementare misure

preventive per informare in merito a pregiudizi o stereotipi negativi e su come

contrastarli. In tal senso sono importanti i progetti nazionali che vanno in questa

direzione (in linea con l’art. 5 CEDAW).

Article 5 - Stereotyping and cultural prejudices:

States shall take appropriate measures to eliminate stereotyping, prejudices and

discriminatory cultural practices. States shall also ensure that family education includes

a proper understanding of maternity as a social function and the recognition of the roles

of men and women in the upbringing of their children.

La necessità di agire sulla disparità di retribuzione è importante per le donne

come individui per ragioni di equità, per il benessere economico dei loro figli e

delle famiglie, ma anche per la società in generale, in quanto un miglioramento

della posizione delle donne nel mercato del lavoro – compresa la parità di retri-

buzione – è cruciale per la crescita economica.

Combattere la disparità retributiva è necessariamente un obiettivo a lungo termine che

richiede:

la combinazione di una varietà di strategie e politiche;

il coinvolgimento di diversi attori e delle parti interessate a diversi livelli. Un

ruolo chiave per l’Unione europea è quello di mettere insieme questa varietà di

iniziative e i molteplici attori coinvolti nella promozione della parità del merca-

to del lavoro.

Il lavoro per la rimozione di disparità di retribuzione deve essere portato avanti

simultaneamente e in stretta collaborazione a livello europeo, nazionale, settoria-

le e organizzativo.

Si parla anche di un ruolo decisivo del Parlamento europeo per dare maggiore impulso

alle politiche nazionali in termini di divario pensionistico. Una parziale copertura dei

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LE RACCOMANDAZIONI DEL GENDER PAY GAP

103

lavoratori autonomi è assicurata dalla direttiva 2010/41/EU sul lavoro autonomo e la

direttiva 2004/113/EC su beni e servizi, ma andrebbe migliorata.

Il monitoraggio da parte della Commissione europea in questo settore è uno strumen-

to per garantire tale indipendenza, ma gli stati hanno anche una responsabilità specifica

in questo senso.

Gli organismi di parità come già detto, svolgono un ruolo cruciale nell’applica-

zione della direttiva. Essi dovrebbero essere indipendenti e dovrebbero ricevere

un budget che permetta loro di adempiere ai compiti richiesti.

Nel breve periodo, si può e si deve cercare di migliorare l’efficacia della direttiva attra-

verso una cooperazione tra tutti gli attori coinvolti, tuttavia è necessaria la volontà.

Per offrire un accesso migliore al mondo femminile nel lavoro, possono essere creati dei

processi di selezione gender-neutral, nelle descrizioni delle mansioni lavorative, nella

valutazione/classificazione per le fasi del processo di ricerca e selezione del personale:

formulazione di annunci di lavoro gender-neutral;

creazione di valutazioni gender-neutral per i partecipanti.

Nel prossimo futuro, ma neppure troppo lontano, dovremmo eliminare definitivamente

quei questionari che ti fanno la radiografia del tuo stato di famiglia, chiedendoti anche se

intendi pianificare di avere prole e marito. Vorrei che ai colloqui il tuo essere madre, in

coppia o single non facesse alcuna differenza, vorrei non sentire più “abbiamo optato per

un uomo, sa com’è...” Oppure quando una donna, capo del personale, ti consiglia di non

far emergere il fatto che sei sposata e hai figli, perché al colloquio tecnico potrebbe

nuocermi. Ma scusa, mi assumi per le mie capacità oppure in base alla mia vita privata?

Si è certi che una scelta migliore fondata sulle competenze professionali degli at-

tori possa dare un beneficio a livello globale.

Per ridurre il divario retributivo di genere, si dovrebbe incrementare la trasparen-

za sui salari di partenza e la rilevanza del genere nella retribuzione dovrebbe essere ri-

dotta. I principi di neutralità di genere per la valutazione del lavoro dovrebbero essere

adoperati anche sui premi produzione.

La nozione di “parità di retribuzione per lavoro di pari valore” deve includere il

concetto di “parità di retribuzione a parità di performance”.

Si suggerisce anche di avviare indagini e interviste a coloro che sostengono colloqui di la-

voro su questo tipo di elementi. Inoltre dovrebbe essere cura degli Stati membri avviare

analisi periodiche sui fattori sopra descritti che causano disparità di trattamento.

6 CONCLUSIONI Perché le donne dovrebbero essere più numerose nelle sedi decisionali?

“Perché una rappresentanza equilibrata di donne e uomini è un’esigenza di giustizia

evidente di per sé” (Consiglio d’Europa, raccomandazione marzo 2003).

Ad oggi, i progressi nella riduzione del divario retributivo di genere sono ancora estre-

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INFORMAZIONI NON FINANZIARIE E GESTIONE DELLE DIVERSITÀ

104

mamente lenti. La forbice di genere sulle pensioni tende addirittura ad incrementarsi

(soprattutto nel caso di carriere lavorative non continuative o che si interrompono in

una età in cui è più complicato reinserirsi nel mercato del lavoro).

Nel concreto tutto ciò mette a rischio la giustizia sociale e di fatto rende alcune parti

della società maggiormente esposte alla soglia della povertà.

Pertanto, le misure per garantire la parità di genere in materia di occupazione e

impiego, e in particolare per ridurre il divario retributivo di genere e il divario di

genere nelle pensioni, dovrebbero essere perseguite con determinazione.

Il concetto sopraesposto vale più che mai dopo la valutazione d’impatto della Commis-

sione del marzo 2014 sui costi e sui benefici delle misure per migliorare la trasparenza

delle retribuzioni, che ha mostrato che alcune misure vincolanti in forma di diretti-

ve sono molto più efficaci di una semplice misura “volontaria” per la riduzione

del GPG. L’altra buona notizia della valutazione d’impatto è stata che tali misure

hanno anche un forte effetto positivo sull’economia nel suo complesso.

Pertanto, la raccomandazione della Commissione del marzo 2014 è stata solo un passo

nella giusta direzione, ma non è riuscita a lanciare la procedura legislativa per misure

più incisive.

La Commissione può ancora farlo e dovrebbe farlo (http://ec.europa.eu/priorities/docs/

pg_en.pdf), questo non sarebbe solo a favore della parità di genere sul posto di lavoro, ma

porterebbe benefici per l’intera economia europea. Ciò sarebbe in linea con l’art. 157 del

TFUE, con le numerose risoluzioni del Parlamento europeo e con l’attuale relazione della

commissione FEMM sull’applicazione della direttiva 2006/54/CE.

Le premesse per poter collaborare sinergicamente non mancano ,esistono ottimi spunti

di lavoro, soprattutto volti alla cooperazione tra le parti a più livelli, senza scartare

nessun corpo intermedio, perché ogni tassello è importante per riuscire a ricucire le

distanze uomo-donna nel lavoro e non solo. Tuttavia, è necessario monitorare costante-

mente il panorama nazionale, lavorare a livello culturale per rimuovere stereotipi e

abitudini nocive.

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105

5

GREEN BUSINESS STRATEGY E RESPONSABILITÀ AMBIENTALE A cura di Maurizio Cisi - Dottore Commercialista ODCEC Torino - Professore Dipartimento di Management dell’Università di Torino

1 INTRODUZIONE: L’ATTIVITÀ DI IMPRESA E L’AMBIENTE 106

2 RUOLO DELL’AZIENDA NELLO SVILUPPO SOSTENIBILE E STRATEGIA

AMBIENTALE 108

3 IL REPORTING AMBIENTALE E LA VALUTAZIONE DELLA PERFORMANCE

DELLA STRATEGIA AMBIENTALE 109

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INFORMAZIONI NON FINANZIARIE E GESTIONE DELLE DIVERSITÀ

106

1 INTRODUZIONE: L’ATTIVITÀ DI IMPRESA E L’AMBIENTE Le discussioni sull’agire dell’impresa hanno sempre considerato la compatibilità tra la

ricerca delle condizioni di “ottimo” economico e l’attenzione al bene comune come un

tema centrale nella teoria economico aziendale.

Si può dire che l’impresa nell’espletare in modo economico le sue funzioni (che sono

identificabili in generale come “sociali” poiché rivolte al soddisfacimento di bisogni

dell’uomo e dunque della società) non può permettersi di avere conseguenze “antiso-

ciali” derivanti dal suo comportamento, né sul piano dei rapporti esterni, né su quello

dei rapporti interni. In questo senso si rende concreto il ruolo sociale dell’azienda e si

traccia una sua responsabilità verso la collettività derivante dalle scelte operate dal

management.

Chi governa un’azienda è chiamato a operare delle scelte e a prendere delle decisioni, de-

ve decidere cosa ritiene sia giusto e cosa sbagliato. Ma non bisogna dimenticare che tutti

coloro che operano con responsabilità nell’azienda prendono delle decisioni sulla base

del principio della massimizzazione del risultato economico in applicazione dei principi

di efficienza e di efficacia. Dunque, occorre considerare che sono primariamente le quali-

tà “morali” dei decisori aziendali (manager o imprenditore) che definiscono l’atteggia-

mento dell’azienda nei confronti dell’assunzione di responsabilità nei confronti della col-

lettività e di tutti i suoi interlocutori e che specificano le strade da percorrere e il ruolo da

detenere nell’ambito delle tematiche “sensibili” prima richiamate.

Data la natura “aperta” e “economica” del sistema aziendale non si può non considerare i

continui rapporti d’interscambio con l’ambiente esterno dal quale trae input e al quale

conferisce i suoi output in un contesto di scambi economici. Non può sfuggire, tuttavia,

che alcune relazioni che sono esterne all’impresa e dirette verso l’ambiente non transita-

no per scambi di mercato (e dunque non riconducibili al sistema economico in senso

stretto). Ad esempio, le conseguenze dell’attività di un’impresa sulla comunità locale

circostante possono risultare dei vantaggi se si pensa alle ricadute economiche che da

essa derivano, ma possono avere natura di condizionamenti in relazione ai danni am-

bientali da essa prodotti. Queste ricadute esterne di natura positiva o negativa s’identifi-

cano come esternalità e generalmente sfuggono dalla possibilità di essere valutate sotto il

profilo economico (in termini di ricavi o di costi) poiché non transitano dal sistema degli

scambi di mercato.

All’agire dell’azienda sono dati dei limiti di azione e delle responsabilità in quanto sog-

getto che agisce in qualità di parte attiva della “società” (si parla, infatti, di corporate

citizenship, ossia di appartenenza dell’azienda alla società in quanto soggetto che la

compone e che ne rispetta le regole). In altri termini, si può dire che l’azienda, in quan-

to sistema operante in un più ampio contesto ambientale di natura collettiva, ha degli

obblighi nei confronti di tutti gli altri soggetti che vivono ed operano in esso. Non a caso

si attribuisce all’istituto aziendale una specifica “responsabilità sociale” che si esplica

sia nei confronti delle persone che ne rendono possibile il funzionamento (responsabi-

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GREEN BUSINESS STRATEGY E RESPONSABILITÀ AMBIENTALE

107

lità verso l’interno), sia verso tutti gli altri soggetti (persone, altre imprese, istituzioni,

ecc.) che compongono genericamente il tessuto sociale di riferimento (responsabilità

verso l’esterno).

L’agire responsabile si esplica in molti ambiti dell’attività dell’impresa che si possono

ricondurre alle problematiche ecologiche/ambientali ed in quelle, più in generale, legate

alla sfera sociale. Si parla, in questo senso, di Corporate Social Responsibility (CSR) per de-

finire l’attitudine dell’impresa a considerare nei processi decisionali (strategici e operati-

vi) ogni aspetto dei potenziali influssi sull’ambiente circostante1.

In particolare, la responsabilità di un’organizzazione per gli impatti delle sue decisioni

e attività sulla società e sull’ambiente, si realizza attraverso un comportamento traspa-

rente ed etico, che:

contribuisce allo sviluppo sostenibile, compresa la salute e il benessere della società;

tiene conto delle aspettative degli stakeholder;

è in conformità con le leggi vigenti e coerente con le norme internazionali di com-

portamento;

è integrata in tutta l’organizzazione e praticata nelle relazioni.

Tav. 1 - Comportamento aziendale, stakeholder, responsabilità sociale

1 Si veda, tra gli altri, Sacconi L. (a cura di) “Guida critica alla responsabilità sociale e al governo d’impresa”, Bancaria

Editrice, 2005.

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INFORMAZIONI NON FINANZIARIE E GESTIONE DELLE DIVERSITÀ

108

2 RUOLO DELL’AZIENDA NELLO SVILUPPO SOSTENIBILE E STRATE-GIA AMBIENTALE Una definizione ampiamente accettata di sviluppo sostenibile è stata presentata dalla

Commissione mondiale sulla Sviluppo Ambientale (1987): “Lo sviluppo che soddisfa i

bisogni del presente senza compromettere la capacità delle generazioni future di sod-

disfare i propri bisogni”. Questa definizione incorpora la necessità di superare una serie

di sfide ecologiche – ma anche sociali ed economiche – sostanziali, con particolare

riguardo al rispetto dei limiti ecologici del pianeta in funzione delle esigenze delle

generazioni future.

Sulla base di questa definizione varie organizzazioni internazionali hanno riconsidera-

to il contributo delle imprese allo sviluppo sostenibile (ad esempio, l’Organizzazione

delle Nazioni Unite per lo sviluppo industriale, 2013; World Business Council per lo

Sviluppo Sostenibile, 2012). Nessuno sviluppo sostenibile è possibile senza uno sviluppo

sostenibile delle imprese (Schaltegger, Florian Lüdeke-Freund, 2012, 2016). Sul piano

manageriale, la visione di uno sviluppo sostenibile ha portato a concetti quali la “gestio-

ne della sostenibilità”, la corporate sustainability (Dyllick & Hockerts, 2002; Schaltegger

& Burritt 2005), l’innovazione sostenibile e imprenditorialità sostenibile (Schaltegger &

Wagner, 2011), e l’inclusive business (Yunus, Moingeon, e Lehmann-Ortega 2010,

Jenkins, Ishikawa, Geaneotes, Baptista, e Masuoka, 2011).

La Corporate Social Responsibility è stata definita come un atteggiamento di governo

dell’impresa improntato a responsabilità che vanno oltre l’osservanza dei doveri fidu-

ciari del management nei riguardi della proprietà, spingendosi a considerare analoghi

doveri nei riguardi di tutti gli stakeholder in generale. In questo senso, si parla di “un

modello di governance allargata” adattabile ad ogni tipo di impresa al di là della sua

struttura di proprietà e controllo.

La gestione della sostenibilità si riferisce dunque ad approcci che si occupano di questio-

ni sociali, ambientali ed economici in modo integrato per trasformare le organizzazioni

in modo che essi contribuiscono allo sviluppo sostenibile dell’economia e della società,

nei limiti dell’ecosistema (ad esempio, Schaltegger & Burritt, 2005; Whiteman, Walker, e

Perego, 2013). Le aziende svolgono un ruolo cruciale nel trasformare i mercati e la socie-

tà, e l’imprenditorialità sostenibile come un processo mission-driven che mira a una tra-

sformazione sostenibilità dei mercati e della società può essere perseguito sia da grandi

imprese, sia da piccoli pionieri (Hockerts & Wüstenhagen, 2010).

Schaltegger descrive un modello di business per la sostenibilità come “un modello di

business che:

si basa su una proposta di valore sostenibile per i propri clienti e per tutti gli altri

soggetti interessati;

definisce chiaramente come si crea e come si somministra questo valore;

chiarisce come si acquisisce valore economico, mantenendo o rigenerando il

capitale naturale oltre i confini organizzativi dell’impresa stessa”. (Schaltegger,

Hansen, e Lüdeke-Freund, 2016)

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GREEN BUSINESS STRATEGY E RESPONSABILITÀ AMBIENTALE

109

Un altro modo di intendere la sostenibilità aziendale e quello che si riferisce ai modelli

di business e decisioni di gestione che creano valore nel breve, medio e lungo termine,

in base alle interazioni reciprocamente vantaggiose tra la catena del valore della socie-

tà e dei sistemi sociali e ambientali da cui dipende.

Nonostante che uno studio di Accenture abbia rilevato che il 93 per cento dei CEO creda

che temi della sostenibilità siano fondamentale per il successo della loro attività2, i com-

portamenti reali delle aziende non sono sempre così vicini alla piena considerazione

delle variabili ambientali e di sostenibilità all’interno dei business ed appaiono diversi tra

loro. Un tentativo di schematizzazione degli approcci alla sostenibilità è quello realizzato

da Benn (si veda la Tav. 2).

Tav. 2 - Gli approcci alla sostenibilità in azienda (Benn et al. 2014)

I comportamenti proattivi in ambito ambientale sono quelli aperti a soluzioni più radi-

cali e sono orientati alla piena capacità delle aziende di allineare la loro ricerca di pro-

fitti con il progresso sociale e ambientale.

I modelli di business fondati sulla sostenibilità come componente chiave tipicamente

prevedono la rivisitazione dei processi tecnologici e l’innovazione di prodotto. Essi

sono orientati a sviluppare soluzioni integrative e competitive sia riducendo l’effetto

negativo, sia creando effetti esterni positivi per l’ambiente naturale e la società.

Si assiste, parallelamente, alla nascita di imprenditori sociali e di nuovi modelli di

business – che affidano alle imprese il ruolo di veicoli per affrontare le questioni

sociali e ambientali. Questi modi di fare business, radicalmente nuovi, spesso condu-

cono alla nascita organizzazioni di carattere “ibrido” (Florin & Schmidt, 2011). Queste

sono definite come organizzazioni che fondono elementi quali sistemi di valori e logi-

che di azione dei vari settori della società nei loro modelli di business, spesso esiben-

do qualità di entrambi i modelli non-profit e for profit.

3 IL REPORTING AMBIENTALE E LA VALUTAZIONE DELLA PERFOR-MANCE DELLA STRATEGIA AMBIENTALE L’obiettivo della rendicontazione finanziaria e non finanziaria è quello di fornire agli

azionisti e agli altri stakeholder una visione completa della situazione e delle per-

formance delle aziende.

2 Lacy, P., Cooper, T., Hayward, R. and Neuberger, L. “A New Era of Sustainability,” U.N. Global Compact and Accenture,

June 2010.

REATTIVA PROATTIVA

non fa nulla vorrebbe ma non fa nulla

fa ciò che è richiesto

dalla legge

fa perché ne trae un profitto a

breve termine

fa perché ne potrebbe derivare

un beneficio a lungo termine

fa perché è la cosa giusta fare

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INFORMAZIONI NON FINANZIARIE E GESTIONE DELLE DIVERSITÀ

110

La valutazione delle performance delle organizzazioni in rapporto alla società in cui opera-

no e al loro impatto sull’ambiente è diventata una parte fondamentale della misurazione

delle prestazioni complessive e della loro capacità di continuare ad operare in modo ef-

ficace.

La percezione e la realtà delle prestazioni di un’organizzazione sulla responsabilità so-

ciale e ambientale possono influenzare, tra le altre cose:

il suo vantaggio competitivo;

la sua reputazione;

la sua capacità di attrarre e trattenere lavoratori o dei soci, clienti, clienti o utenti;

la valutazione degli investitori, dei proprietari, dei donatori, degli sponsor e della

comunità finanziaria;

il suo rapporto con le aziende, i governi, i media, i fornitori, i clienti e la comu-

nità in cui opera.

La rendicontazione ci carattere ambientale è da sempre a carattere volontaristico. Vi è

una notevole flessibilità per le aziende nel comunicare informazioni rilevanti (compre-

sa la rendicontazione in una relazione separata), così come esse possono contare su

linee guida a carattere internazionale, europee o nazionali (ad esempio UN Global Com-

pact, OECD Guidelines for Multinational Enterprises, ISO 26000, ecc.).

Tuttavia, alcune condizioni soggettive la rendono obbligatoria. In particolare, agli enti

d’interesse pubblico con più di 500 dipendenti è richiesto di indicare nella loro relazio-

ne sulla gestione le informazioni pertinenti e utili inerenti le loro politiche, i principali

rischi e gli esiti relativi alla materia ambientale3.

Non essendo possibile definire schemi e modelli utilizzabili dall’universalità delle im-

prese, ogni organizzazione è chiamata a identificare quali problemi sono per lei rile-

vanti e significativi. È tuttavia consolidato uno schema che prevede per le imprese una

logica di analisi basata sui seguenti macro-ambiti in campo ambientale:

prevenzione dell’inquinamento;

uso sostenibile delle risorse;

mitigazione dei cambiamenti climatici e adattamento;

protezione dell’ambiente, biodiversità e ripristino degli habitat naturali.

Uno dei riferimenti a livello internazionale per la rendicontazione per la sostenibilità è

il GRI (Global Reporting Initiative). Si tratta di è un’iniziativa multi-stakeholder, creata

per sviluppare e diffondere linee guida di rendicontazione a carattere internazionale.

3 La direttiva sulla divulgazione di informazioni non finanziarie (2014/95/UE) è entrata in vigore nel dicembre 2014. Questa

legislazione ambiziosa richiede a circa 6.000 grandi società quotate in mercati europei, o che operano nei settori bancario

e assicurativo, di divulgare rilevanti informazioni ambientali e sociali nella relazione sulla gestione, a partire dal 2018

(sull’esercizio 2017). Essa richiede inoltre informazioni relativamente a: aspetti sociali e dei dipendenti,

il rispetto dei diritti umani,

problemi di anti-corruzione e la corruzione, e

la diversità nel loro consiglio di amministrazione.

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GREEN BUSINESS STRATEGY E RESPONSABILITÀ AMBIENTALE

111

L’obiettivo principale della GRI è fornire un sistema di reporting di sostenibilità utiliz-

zabile da qualsiasi organizzazione e in grado di agevolare la comunicazione con gli

stakeholder.

Le tre dimensioni della Triple Bottom Line (economica, ambientale e sociale) devono es-

sere inserite all’interno del report, portando l’informazione di sostenibilità sullo stesso

piano di quella economico-finanziaria.

La stesura del report proposto dal GRI si articola in 4 fasi:

identificazione dei temi rilevanti, cioè quelli che hanno impatti economici, am-

bientali e sociali o che influenzano le decisioni degli stakeholder;

determinazione delle priorità: tra i temi rilevanti identificati si stabilisce quali

saranno inseriti nel report e il livello di dettaglio che sarà loro riservato;

convalida: valutazione degli aspetti in base al principio della completezza (le

informazioni devono consentire agli stakeholder di misurare le performance del-

l’organizzazione nel periodo di riferimento);

revisione: dopo che il report è stato redatto e pubblicato, l’azienda deve proce-

dere con il riesame, al fine di guidare il processo di reporting successivo.

Le informazioni che devono essere inserite sono di due tipi: generali e specifiche. Le

indicazioni generali sono richieste a tutte le entità che vogliono redigere un report di

sostenibilità e riguardano: le strategie, il profilo dell’organizzazione, il perimetro di ren-

dicontazione, gli stakeholder coinvolti, i chiarimenti sulla reportistica, la governance e

altri aspetti etici.

Le informazioni specifiche riguardano la dimensione economica, ambientale e sociale.

In particolare gli indicatori economici della sostenibilità misurano: la performance

economica (costi e ricavi di gestione, investimenti, sussidi finanziari ricevuti, ecc.), la

presenza sul mercato (% di spesa sui fornitori locali, procedure di assunzione del perso-

nale residente nelle sedi più significative), gli impatti economici indiretti (impatti sia

positivi che negativi sulle comunità e economie locali), le procedure di procurement (%

di prodotti e servizi acquistati localmente).

Con riferimento specifico alle spese per la protezione ambientale, in particolare si

può fare riferimento ai componenti economici relativi a:

smaltimento dei rifiuti, trattamento delle emissioni, e di bonifica dei costi basati

sulle spese che comprendono, il trattamento e lo smaltimento dei rifiuti e il trat-

tamento delle emissioni (ad esempio, le spese per i filtri, agenti);

le spese per l’acquisto e l’utilizzo di certificati di emissione;

le spese per attrezzature, manutenzione, e dei materiali operativi e di servizi, e

dei relativi costi del personale;

costi di pulizia, compresi i costi per la bonifica di sversamenti;

costi di prevenzione e di gestione ambientale basate sulle spese che comprendo-

no, i costi di educazione e formazione ambientale;

servizi esterni per la gestione ambientale;

certificazione esterna dei sistemi di gestione;

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INFORMAZIONI NON FINANZIARIE E GESTIONE DELLE DIVERSITÀ

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ricerca e sviluppo;

spese extra per l’installazione di tecnologie più pulite (come il costo aggiuntivo

oltre tecnologie standard);

spese extra sugli acquisti verdi;

altri costi di gestione ambientale.

Gli indicatori ambientali si riferiscono ai seguenti aspetti:

materiali;

energia;

acqua;

biodiversità;

emissioni;

effluenti e rifiuti;

prodotti e servizi;

compliance;

trasporti;

aspetti generali;

assessment ambientale dei fornitori;

meccanismi di reclamo.

Esempi di indicatori ambientali Materie prime utilizzate per peso o volume.

1) percentuale di materiali utilizzati che rappresentano input riciclati

§ materiali non rinnovabili; § materiali rinnovabili.

Acqua: Prelievo totale di acqua per fonte Fonti idriche significativamente interessate dal prelievo di acqua Percentuale e volume totale dell’acqua riciclata e riutilizzata: volume totale di acqua riciclata e riuti-

lizzata dall’organizzazione; volume totale di acqua riciclata e riutil-

izzata come percentuale del prelievo totale di acqua.

Biodiversità: sedi operative di proprietà, affittate o

gestite in o adiacenti ad aree protette e aree ad elevata biodiversità esterne alle aree protette;

Energia: 1) Il consumo di energia all’interno del-

l’organizzazione § energie non rinnovabili § energie rinnovabili

2) Il consumo di energia al di fuori dell’or-ganizzazione

3) Intensità energetica4 4) Riduzione del consumo energetico 5) Riduzioni del fabbisogno energetico di

prodotti e servizi In particolare, il consumo di energia all’inter-no dell’organizzazione si distingue in: a) consumo totale di carburante da fonti

non rinnovabili in joule o suoi multipli, compresi i tipi di carburante utilizzati;

b) consumo totale di carburante da fonti di energia rinnovabili in joule o suoi multipli, compresi i tipi di carburante utilizzati.

c) Consumi in joule, Kwatt-ora o multipli re-lativi al consumo elettrico

4 L’intensità energetica esprime l’energia necessaria per unità di attività, di output, o di qualsiasi altro parametro specifico

dell’organizzazione. I rapporti di intensità possono includere: intensità del prodotto (come l’energia consumata per unità di prodotto);

intensità di servizio (come l’energia consumata per funzione o per servizio);

intensità vendite.

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GREEN BUSINESS STRATEGY E RESPONSABILITÀ AMBIENTALE

113

impatti di attività, prodotti e servizi sulla biodiversità di aree protette o aree ad elevata biodiversità esterne alle aree protette.

Emissioni: indicatori sul gas a effetto serra

(GHG), così come le sostanze che riducono l’ozono, NOx, SOx, e altre emissioni significative;

emissioni dirette da operazioni che so-no di proprietà o controllate dall’orga-nizzazione;

emissioni indirette di energia derivanti dalla generazione di energia elettrica acquistata.

Altre emissioni indirette che si verificano al di fuori dell’organizzazione, tra cui le emissioni a monte e a valle; intensità (GHG) Emissioni di gas serra; riduzione delle emissioni di gas a effet-

to serra (GHG); emissioni di sostanze nocive per l’ozono

(ODS); NOX, SOX e altre emissioni significative; acqua totale scaricata per qualità e

destinazione; peso totale dei rifiuti per tipologia e

per metodi di smaltimento; numero totale e volume di sversamenti

significativi; peso trasportati, importati, esportati o

rifiuti trattati come pericolosi; dimensione, stato di salvaguardia e

valore della biodiversità dei corpi idrici e relativi habitat colpiti in maniera significativa dagli scarichi dell’organiz-zazione di acqua e deflusso.

d) valori in joule, Kwatt-ora o multipli, il to-tale dell’energia elettrica venduta

e) il consumo totale di energia in joule o suoi multipli.

Rifiuti: Peso totale dei rifiuti pericolosi e non perico-losi, con i seguenti metodi di smaltimento: riutilizzo; raccolta differenziata; compostaggio; recupero, compreso il recupero di ener-

gia; incenerimento (burn di massa); iniezione pozzo profondo (deep weel

injection); discarica stoccaggio in-sito; altro.

Rifiuti pericolosi: a) peso totale per ciascuna delle seguenti: rifiuti pericolosi trasportati; rifiuti pericolosi importati; rifiuti pericolosi esportati; rifiuti pericolosi trattati.

b) percentuale di rifiuti pericolosi spediti a livello internazionale.

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6

I DOVERI DEGLI AMMINISTRATORI, IL BILANCIO D’ESERCIZIO E L’INFORMATIVA SULL’AMBIENTE NELLE SOCIETÀ DI CAPITALI A cura di Roberto Frascinelli - Dottore Commercialista - ODCEC Torino

1 AMMINISTRAZIONE E RISCHIOSITÀ AMBIENTALE 116

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INFORMAZIONI NON FINANZIARIE E GESTIONE DELLE DIVERSITÀ

116

1 AMMINISTRAZIONE E RISCHIOSITÀ AMBIENTALE Gli obiettivi dell’impresa commerciale, imprescindibili e comuni indipendentemente

dalla sua dimensione, possono così sintetizzarsi:

economicità: inteso come mantenimento/perseguimento delle condizioni di ef-

ficacia ed efficienza della gestione dell’impresa con lo scopo di permettere la

sua permanenza nel tempo, così da poter remunerare regolarmente i fattori che

partecipano alla produzione;

correttezza ed attendibilità delle informazioni: inteso come flusso informati-

vo verso soci e terzi di informazioni attendibili e tempestive sulla situazione

della società dove il bilancio rappresenta il documento fondamentale; inoltre

sono da considerarsi a tutti gli effetti “informazioni” tutti i processi di raccolta

dati, della loro elaborazione e della divulgazione;

conformità: inteso come corretta osservanza delle norme e dei regolamenti che

disciplinano l’attività dell’azienda e l’ambiente in cui essa opera.

È acclarato (e costituisce un assunto fondamentale) che qualunque attività d’impresa,

indipendentemente dal suo settore di appartenenza o dalla sua natura pubblica o priva-

ta, si svolge in una situazione di continua incertezza in quanto sottoposta a “condizioni di

rischio”. Compito della direzione aziendale è quello di porre in atto i sistemi, i processi, le

procedure ed i comportamenti che permettano la tempestiva identificazione di quegli

eventi (opportunità o minacce) che, se si manifestassero, potrebbero comunque influen-

zare l’attività di impresa.

A livello generale il rischio va inteso come la probabilità di non conseguire un obietti-

vo; ne consegue che solo con l’assunzione di una precisa identificazione degli obiettivi è

possibile individuare le principali aree di rischio che gravano sulla gestione aziendale

considerata nel suo complesso.

Con riferimento ai rischi aziendali, gli obblighi di tutela dell’integrità del valore/pa-

trimonio aziendale a garanzia dei creditori e dei terzi1 posti a carico degli amministra-

tori, impongono che i rischi, che possono manifestarsi sotto molteplici aspetti, siano

adeguatamente ed efficacemente fronteggiati, interpretati e prevenuti.

La gestione dell’impresa si confronta in modo sistematico con l’ambiente esterno (merca-

ti, clienti, concorrenti, legislazione, assetti politici, assetti sociali, ecc.) ed è proiettata nel

suo divenire nel tempo (l’azienda va interpretata come un’iniziativa dinamica); pertanto

se l’azienda è considerata come un continuo susseguirsi di operazioni ciò comporta, di

conseguenza, condizioni di rischio e di incertezza che devono, necessariamente, essere

presidiate con continuità. La gestione aziendale deve quindi essere attuata sulla base di

indirizzi strategici e con un coerente ed adeguato assetto organizzativo sulla base di al-

1 A norma dell’art. 2394 c.c. “Gli amministratori rispondono verso i creditori sociali per l'inosservanza degli obblighi inerenti

alla conservazione dell'integrità del patrimonio sociale.

L'azione può essere proposta dai creditori quando il patrimonio sociale risulta insufficiente al soddisfacimento dei loro crediti”.

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I DOVERI DEGLI AMMINISTRATORI, IL BILANCIO D’ESERCIZIO E L’INFORMATIVA SULL’AMBIENTE

117

trettanti adeguati flussi informativi sui quali far affidamento per assumere le decisioni e

operare in modo corretto ed economico. Infatti il continuo cambiamento delle condizioni

dell’ambiente esterno comporta inevitabilmente il sorgere di una pluralità di rischi che

richiedono una costante opera preventiva di gestione dei rischi stessi: il sistema sarà

ritenuto adeguato quando i rischi potranno considerarsi ridotti ad un livello accettabile.

Ne consegue che agli amministratori compete il dovere di tutela dell’integrità del valore

del patrimonio aziendale posto a garanzia dei creditori sociali, comportando una costan-

te valutazione dell’adeguatezza della struttura, preceduta da una scrupolosa analisi dei

rischi che sono presenti nella gestione aziendale e che impone una particolare attenzione

alle aree presidiate da specifiche normative tecniche.

La capacità di valutare, gestire in modo efficiente e limitare i rischi costituisce quindi una

condizione fondamentale per lo sviluppo e per il mantenimento nel tempo dell’impresa.

Conseguentemente compete all’organo amministrativo il dovere di dotare la società di un

adeguato sistema di “controllo di gestione” inteso come un insieme di procedure e di

controlli che caratterizza la gestione finalizzata al conseguimento degli obiettivi, questi

ultimi determinati con specifiche strategie di pianificazione operativa: il business plan o

piano gestionale rappresenta infatti lo strumento di sintesi prospettica economico-finan-

ziaria e patrimoniale dell’impresa, che proprio con il supporto del controllo di gestione

ne permette l’analisi, il monitoraggio e l’aggiornamento in quanto l’effettiva utilità del

“piano” non può prescindere da un rigoroso processo di verifica per tutto il periodo

temporale nel quale questo si articola.

In tal modo vengono individuate le aree di rischio, approntando i necessari strumenti

di prevenzione, controllo e gestione dei rischi, permettendo nel contempo la rilevazio-

ne degli scostamenti tra i predefiniti obiettivi e i risultati conseguiti, intervenendo di

conseguenza per porre in essere le opportune azioni correttive.

In conclusione, la creazione di un sistema di gestione dei rischi comporta l’identifica-

zione degli eventi che, in una certa misura, possono condizionare l’attività di impresa.

La peculiarità dell’impresa, il settore merceologico in cui la stessa opera nonché le

relazioni con l’ambiente esterno definiscono ex ante le aree più significative di maggio-

re impatto circa il grado di incertezza che caratterizza le performance aziendali.

La direttiva 2014/95/UE ha individuato nelle seguenti aree (che a loro volta dovranno

poi essere scomposte in varie categorie) quelle ritenute più critiche:

ambientale;

sociale;

personale;

diritti umani;

lotta contro la corruzione.

Con riferimento alla specifica area “ambientale” – che rappresenta un vero e proprio

valore economico e sociale, disciplinato e tutelato da una normativa complessa e non

sempre di facile interpretazione – necessita richiamare sia i doveri che competono agli

amministratori e agli organi di controllo sia la “rappresentazione” del rischio ambientale

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INFORMAZIONI NON FINANZIARIE E GESTIONE DELLE DIVERSITÀ

118

nel bilancio di esercizio. Infatti fino a tempi recenti la pianificazione dell’azienda era

commisurata sulla prospettiva esclusivamente economico-aziendale. Successivamente

con l’accadimento di veri e propri disastri ambientali si è imposto all’attenzione dei giuri-

sti, degli investitori, dei risparmiatori, dei sindacati e dell’opinione pubblica la necessità

indispensabile di disciplinare l’operatività in tale settore.

Nel sistema italiano, la disciplina ambientale si è sviluppata nell’ambito di una specifica

normativa comunitaria che ne ha dettato i principi cardine.

Questi principi sono stati poi recepiti dal legislatore nazionale con l’emanazione di appo-

siti provvedimenti normativi che in breve tempo hanno rivoluzionato il sistema delle

responsabilità degli enti e dei loro organi di gestione e controllo, facendo assumere un

ruolo determinante al controllo di gestione, che da strumento di misura e garanzia

dell’efficienza dell’impresa è divenuto il parametro fondamentale per l’accertamento e la

misura della responsabilità delle imprese e dei soggetti che le gestiscono e le controllano.

L’evoluzione normativa del sistema delle responsabilità degli enti e dei loro organi di

gestione e di controllo trova nel DLgs. 231/2001 il punto normativo di riferimento aven-

do concentrato l’attenzione sulla rilevanza esterna dell’assetto organizzativo degli

enti, sanzionando le carenze organizzative suscettibili di agevolare il compimento di

comportamenti illeciti da parte dei vertici aziendali, con l’obiettivo di disincentivare

tali comportamenti.

Infatti il DLgs. 231/2001 pone a carico degli enti l’obbligo (fortemente sanzionato) di

dotarsi di un adeguato assetto organizzativo idoneo ad evitare la commissione di viola-

zioni di legge da parte dei loro amministratori e sottoposti; detto decreto ha consentito

al legislatore di costruire un’ipotesi di “colpa di organizzazione” che risponde ad una

triplice funzione che permette:

a) di estendere la responsabilità all’ente che non ha adottato un assetto organizza-

tivo ed un sistema di procedure adeguati ed idonei a prevenire la commissione

dell’illecito;

b) di agevolare l’accertamento delle responsabilità, invertendo l’onere della prova

della colpevolezza, e cioè addossando all’ente l’onere di dimostrare di essersi dili-

gentemente attivato (dotandosi quindi di una struttura organizzativa adeguata)

per evitare la commissione di comportamenti illeciti;

c) di attribuire la responsabilità agli amministratori per i danni cagionati dalla man-

cata adozione di adeguati sistemi di pianificazione e gestione dei rischi e dalla

mancata verifica della loro idoneità ed adeguatezza.

Successivamente per le società non di interesse pubblico2, con l’introduzione nel nostro

ordinamento giuridico del DLgs. 6/2003 (riforma del diritto societario), ne è conseguita la

riformulazione degli artt. 2381 e 2403 c.c. assegnando un ruolo centrale alla rilevanza

2 Per società di interesse pubblico si intendono le società le cui azioni sono quotate nei mercati regolamentati, ai sensi degli artt.

155 ss. del DLgs. 24.2.98 n. 58 (“TUF”), le società controllate di quotate assoggettate a revisione contabile ai sensi dell’art. 165

del TUF e tutte le altre società che in forza di specifiche disposizioni legislative abbiano l’obbligo di assoggettare il proprio

bilancio al controllo contabile svolto da una società di revisione iscritta all’albo speciale Consob di cui all’art. 161 del TUF.

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I DOVERI DEGLI AMMINISTRATORI, IL BILANCIO D’ESERCIZIO E L’INFORMATIVA SULL’AMBIENTE

119

interna dell’organizzazione dell’ente, imponendo agli amministratori di adottare gli as-

setti organizzativi più adeguati in relazione alle dimensioni e alla natura dell’attività

svolta dalla società ed affidando al Collegio sindacale il dovere di verificare l’adeguatezza

di tali assetti e di vigilare sulla loro attuazione.

Pertanto sulla base della disciplina dettata dall’art. 2381 c.c. si può così’ riassumere il

complesso dei doveri e dei controlli gestori in capo agli amministratori:

gli organi delegati “curano che l’assetto organizzativo, amministrativo e contabile

sia adeguato alla natura e alle dimensioni dell’impresa” (art. 2381 co. 5 c.c.);

il Consiglio di amministrazione “valuta l’adeguatezza dell’assetto organizzativo,

amministrativo e contabile della società”;

il Consiglio di amministrazione, “quando elaborati, esamina i piani strategici,

industriali e finanziari della società; valuta, sulla base della relazione degli or-

gani delegati, il generale andamento della gestione (art. 2381 co. 3 c.c.).

Analoghe funzioni sono poi previste a carico del Collegio sindacale in quanto l’art.

2403 c.c. sancisce che il Collegio sindacale “vigila sull’osservanza della legge e dello

statuto, sul rispetto dei principi di corretta amministrazione ed in particolare sull’ade-

guatezza dell’assetto organizzativo, amministrativo e contabile adottato dalla società e

sul suo concreto funzionamento”.

La nuova formulazione degli artt. 2381 e 2403 c.c. ha inciso profondamente sul sistema

delle responsabilità degli amministratori e dei Sindaci in quanto introduce un nuovo con-

cetto sia in tema di corretta e prudente amministrazione, che risulta quindi incentrato

sul controllo interno, sia riguardo i nuovi doveri di controllo sull’adeguatezza ed attua-

zione dell’assetto organizzativo della società. Conseguentemente è ora richiesto che l’atti-

vità di impresa sia esercitata secondo modalità organizzative ed in base a procedure di

rilevazione, gestione e controllo dei rischi, idonee a garantire il rispetto di principi di

corretta e prudente amministrazione e ad evitare che dalla violazione (dolosa o colposa)

delle norme che governano l’attività di impresa possano derivare conseguenze pregiudi-

zievoli in capo ai soggetti a vario titolo portatori di interessi.

Ne consegue che l’inadeguatezza delle procedure interne o la carenza della pianifica-

zione possono costituire precisi elementi probatori idonei a imputare agli amministra-

tori delegati (ed eventualmente all’intero Consiglio, nonché al Collegio sindacale, in

considerazione degli obblighi di vigilanza loro attribuiti) la responsabilità per le perdite

derivate alla società da iniziative intraprese senza adeguata programmazione, o in pre-

senza di un’inadeguata verifica dei profili di rischio e in mancanza di adozione delle

misure correttive volte a contenere tali rischi entro margini accettabili da un punto di

vista patrimoniale, finanziario ed economico.

Nel quadro normativo3 sopra richiamato si è poi inserito il DLgs. 32/2007 che ha modifi-

cato l’art. 2428 c.c. stabilendo che la relazione sulla gestione di accompagnamento al

3 Per le società di interesse pubblico l’organizzazione amministrativa e contabile e i controlli interni sono soggetti ad appositi con-

trolli e regolamenti attribuiti a Banca d’Italia, Consob, IVASS, con regolamentazione che ha nel TUF/TUB il punto di riferimento.

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INFORMAZIONI NON FINANZIARIE E GESTIONE DELLE DIVERSITÀ

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bilancio di esercizio debba contenere “una descrizione dei principali rischi e incertezze

cui la società è esposta”.

Questa disposizione ha in sostanza affiancato all’obbligo di gestire al meglio i rischi

aziendali un obbligo di disclosure di tali rischi, volto a consentire ai terzi che entrano in

rapporto con la società di fare le più opportune valutazioni in ordine all’affidabilità ed al-

l’efficienza dell’organizzazione aziendale.

Sino all’entrata in vigore del DLgs. 32/2007, il problema del risk reporting era rimasto

un problema essenzialmente interno, attinente alla comunicazione tra i vari organi

societari, essendo rimessa alla discrezionalità degli amministratori la valutazione in

ordine all’opportunità di dare o non dare menzione, nei documenti di bilancio, di quei

rischi che non integrassero ancora i requisiti di specificità e determinatezza tali da ren-

derne necessaria la menzione nei conti d’ordine4. Con quest’ultimo intervento normati-

vo si sono invece dettati i presupposti “per un ampliamento dell’informativa a tutti i fat-

tori di rischio ed alle condizioni di incertezza che caratterizzano la gestione dell’azienda

nella sua globalità e che possono produrre un effetto negativo sui risultati economici,

finanziari e patrimoniali futuri della combinazione produttiva”.

Sempre in tema della rilevanza che assume – nella governance e conduzione

dell’impresa – l’adozione di un adeguato sistema di processi di accertamento, valuta-

zione e gestione dei rischi, devono essere richiamate le nuove “Norme di comportamen-

to del Collegio sindacale” emanate da parte del Consiglio Nazionale dei Commercialisti e

degli Esperti Contabili che individuano nel “risk approach” uno dei parametri fonda-

mentali per la valutazione del grado di diligenza professionale secondo cui devono ope-

rare i componenti del Collegio sindacale.

Con riferimento alla gestione del “rischio ambientale”5, essendo acclarato che la qualità

dell’ambiente è ormai considerata una caratteristica peculiare della “qualità della vita”,

essa rappresenta una condizione essenziale dello sviluppo economico: ne consegue che le

attività svolte dal sistema produttivo nel suo complesso devono svolgersi nei limiti

accettabili e comunque tali da non compromettere (in via irrimediabile) l’equilibrio

biofisico e nel contempo devono permettere lo sviluppo economico sostenibile. In sostan-

za l’obiettivo di un’attività di impresa “eco-sostenibile” potrebbe essere rappresentato in

funzione di una produzione del tasso di inquinamento e di sfruttamento delle risorse

naturali ed ambientali, da manifestarsi attraverso una provata capacità di assorbimento

sostenibile dall’ambiente e dalla correlata capacità di rigenerazione di tali risorse.

L’aumentata sensibilità della opinione pubblica e la continua produzione legislativa

sulle problematiche ambientali comportano, per le imprese, la necessità di comunicare

all’esterno le politiche ambientali che l’azienda adotta o si propone di adottare. Infatti

la responsabilità sociale dell’impresa costituisce uno dei temi più rilevanti tra quelli

4 A far data dall’1.1.2016 la redazione del bilancio d’esercizio ordinario dovrà avvenire secondo i riformulati principi conta-

bili nazionali: conseguentemente i conti d’ordine sono stati eliminati (abrogazione dell’art. 2424 co. 3 c.c.) e ai sensi

dell’art. 2427 co. 1 n. 9 c.c. sarà la Nota integrativa che dovrà indicare “gli impegni non risultanti dallo Stato Patrimoniale” 5 Sulla tematica vedasi Baudino A., Frascinelli R. “I doveri degli Amministratori, il bilancio di esercizio e l’informativa sul-

l’ambiente nelle PMI”, Rivista 231, 3, 2015.

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I DOVERI DEGLI AMMINISTRATORI, IL BILANCIO D’ESERCIZIO E L’INFORMATIVA SULL’AMBIENTE

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ricompresi nel più ampio processo del cosiddetto “sviluppo sostenibile” richiamato nel

V Programma d’azione avviato già nel 1992 dalla Comunità europea, fondato sull’esi-

genza di rendere compatibile lo sviluppo economico con quello sociale, senza alterare

le risorse naturali dell’ambiente.

Con l’introduzione dei reati ambientali nel novero dei reati presupposto della responsabi-

lità amministrativa degli enti ad opera del DLgs. 121/2011 e, specialmente, con la recente

estensione intervenuta con la disciplina dei c.d. “ecoreati” di cui alla L. 68/2015, si

richiede ancor più alla società di valutare l’adeguatezza della struttura aziendale in rela-

zione alla gestione e al controllo dell’area attinente all’ambiente, delegando gli appositi

poteri alle funzioni che concretamente si occupano delle problematiche ecologiche.

Qualora l’azienda abbia adottato un modello di organizzazione e gestione, dovrà innan-

zitutto contemplare nel codice etico i valori e i principi che assicurino la tutela ambien-

tale, oltre che prevedere il puntuale rispetto della normativa di settore e delle eventuali

autorizzazioni.

Occorrerà poi valutare l’opportunità di predisporre ed adottare protocolli atti ad evitare

la commissione di reati ambientali. In merito va sottolineata la rilevanza delle nuove fat-

tispecie introdotte nell’art. 25-undecies DLgs. 231/2001 in connessione:

all’art. 452-bis c.p. (inquinamento ambientale) che sancisce: “È punito con la

reclusione da due a sei anni e con la multa da euro 10.000 a euro 100.000 chiun-

que abusivamente cagiona una compromissione o un deterioramento significativi

e misurabili:

1. delle acque o dell’aria, o di porzioni estese o significative del suolo o del sotto-

suolo;

2. di un ecosistema, della biodiversità, anche agraria, della flora o della fauna.

Quando l’inquinamento è prodotto in un’area naturale protetta o sottoposta a

vincolo paesaggistico, ambientale, storico, artistico, architettonico o archeologico,

ovvero di specie animali o vegetali protette, la pena è aumentata”.

all’art. 452-quater (disastro ambientale) che sancisce: “Fuori dai casi previsti

dall’art. 434, chiunque abusivamente cagiona un disastro ambientale è punito con

la reclusione da cinque a quindici anni. Costituiscono disastro ambientale alternativamente: 1. l’alterazione irreversibile dell’equilibrio di un ecosistema;

2. l’alterazione dell’equilibrio di un ecosistema la cui eliminazione risulti

particolarmente onerosa e conseguibile solo con provvedimenti eccezionali;

3. l’offesa alla pubblica incolumità in ragione della rilevanza del fatto per

l’estensione della compromissione o dei suoi effetti lesivi ovvero per il numero

delle persone offese esposte a pericolo.

Quando il disastro è prodotto in un’area naturale protetta o sottoposta a vincolo

paesaggistico ambientale, storico, artistico, architettonico o archeologico, ovvero

in danno di specie animali o vegetali protette, la pena è aumentata”;

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INFORMAZIONI NON FINANZIARIE E GESTIONE DELLE DIVERSITÀ

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ciò al fine di garantire da un lato l’adeguatezza della struttura organizzativa della socie-

tà per affrontare correttamente le problematiche ambientali e, dall’altro, di assicurare

un adeguato sistema di controllo per poter fruire dell’esimente dalla responsabilità ex

DLgs. 231/2001.�

L’analisi dei rischi aziendali, ai fini della valutazione relativamente alla adeguatezza

della struttura, specie con riferimento ai reati ambientali, dovrà intanto svilupparsi at-

traverso le seguenti fasi:

corretta individuazione dei soggetti responsabili e verifica dell’adeguatezza

dei poteri attribuiti per assicurare il rispetto degli adempimenti di legge e delle

prescrizioni derivanti dai provvedimenti autorizzativi in essere (disamina di

procure e/o deleghe di funzioni);

analisi delle aree a rischio e verifica dei sistemi di controllo preventivi già

esistenti.

Il riscontro in ordine ad un corretto approccio da parte dell’impresa con riferimento al

tema “ambiente” pare, pertanto, potersi individuare anche nella corretta redazione del

bilancio d’esercizio.

Nelle società di capitali l’andamento della gestione viene verificato al termine di ogni

esercizio sociale di regola annuale anche non coincidente con l’anno solare; detto

andamento trova la sua espressione nel bilancio d’esercizio6 che costituisce il principa-

le strumento di informazione sulla gestione dell’impresa.

Il bilancio “deve essere redatto con chiarezza e deve rappresentare in modo veritiero e

corretto la situazione patrimoniale e finanziaria della società ed il risultato economico

dell’esercizio” ed è costituito dallo Stato patrimoniale, dal Conto economico, dal Rendi-

conto finanziario e dalla Nota integrativa; gli amministratori devono anche redigere la

Relazione sulla gestione nonché il Rendiconto finanziario secondo lo schema previsto

dall’art. 2425-ter c.c. e dell’OIC n. 10. Inoltre per la formazione del bilancio gli ammini-

stratori hanno una serie di vincoli quali gli schemi del Conto economico, dello Stato patri-

moniale dei criteri di valutazione: in tal modo le norme dettate per la redazione del

bilancio tendono a ridurre al minimo la discrezionalità, in modo tale che il redattore del

bilancio non debba per quanto possibile discostarsi dalle informazioni stabilite per legge.

Il bilancio in un’ottica informativa e comunicativa costituisce quindi la primaria forma

di comunicazione istituzionale ed assume varie funzioni quali, in sintesi:

6 Per le società di interesse pubblico ai sensi dell’art. 16 del DLgs. 39/2010 la redazione del bilancio è regolata da specifiche norme

(per enti creditizi e finanziari, società di factoring, SIM, SGR la normativa è contenuta nel DLgs. 87/92, per gli enti e le imprese di

assicurazione la normativa è contenuta nel DLgs. 173/97, e conformemente ai principi contabili internazionali-IAS/IFRS).

Per le società non di interesse pubblico le norme che il codice civile detta per la redazione del bilancio – applicabili alle

spa, srl, sapa e cooperative – sono fissate dall’art. 2423 sino all’art. 2435-bis.

Per le società di persone (e per le ditte individuali) è prevista la redazione di un Rendiconto della gestione (previsto dagli

artt. 2261 e 2262 c.c.), che deve utilizzare i criteri di valutazione sanciti dal codice civile (vedasi nota Ministero della

Giustizia n. 1624-13/1 - U.L. del 19.3.93) mentre per i documenti che compongono il Rendiconto, il loro contenuto, forma-

zione e pubblicazione non è prevista alcuna prescrizione, conseguentemente può essere strutturato in forma libera.

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I DOVERI DEGLI AMMINISTRATORI, IL BILANCIO D’ESERCIZIO E L’INFORMATIVA SULL’AMBIENTE

123

determinare, alla data di chiusura dell’esercizio, sia la posizione del risultato

della gestione dell’impresa in termini di reddito prodotto sia la posizione del ca-

pitale netto;

costituire lo strumento principale per valutare la capacità dell’impresa di creare

nuovo valore economico e per rilevare le performance aziendali;

informare sugli aspetti qualitativi della gestione in quanto documento rivolto ai

terzi, comunemente qualificati come stakeholders (soci, dipendenti, erario,

fornitori, finanziatori, investitori ecc.);

evidenziare, nella maniera più attendibile, la effettiva condizione in cui si trova

l’impresa sotto l’aspetto economico, finanziario e patrimoniale: in sostanza, pur

non trasmettendo certezze ma indicazioni quantitative da interpretarsi in manie-

ra appropriata ha la finalità di informare i terzi sull’andamento della gestione.

Un rilevante aspetto che caratterizza il bilancio di esercizio è dato dalla rappresentazione

della “tematica ambientale” anche sul presupposto della dimensione “sociale” e “pub-

blica” che riveste l’impresa.

La Relazione sulla gestione ex art. 2428 c.c. richiede infatti una specifica informa-

tiva sull’ambiente come integrata dal DLgs. 32/2007, che ha introdotto un significativo

ampliamento circa le informazioni che il bilancio deve fornire riguardo all’ambiente ed

al personale, sottolineando che per alcuni aspetti fondamentali (le condizioni dei lavo-

ratori, la salute e la sicurezza e la tutela dell’ecosistema) si rende necessaria una corret-

ta e specifica informativa a prescindere dalle dimensioni dell’impresa.

In proposito il CNDCEC con apposito documento7 si sofferma sulle “classificazioni del-

le informazioni” e, con riferimento alla tematica ambientale per quanto riguarda le in-

formazioni da fornire sull’ambiente, precisa che:

a) sono da ritenersi obbligatorie le informazioni riguardanti:

i danni causati all’ambiente per cui la società è stata dichiarata colpevole in

via definitiva;

le sanzioni o pene definitive inflitte all’impresa per reati o danni ambientali;

le emissioni di gas ad effetto serra ex l. 316/2004 (informazioni obbligatorie

per gli impianti soggetti ad Emissions Trading Scheme (ETS) ed opzionali

per le altre società);

b) sono da ritenersi importanti ma volontarie le informazioni riguardanti:

investimenti ambientali e costi ambientali (ai sensi della Racc. 2001/453/CE,

ovvero investimenti e costi che migliorano l’impatto ambientale, distinguen-

doli da quelli invece necessari per rispettare i parametri fissati dalla legge);

politiche di smaltimento e riciclaggio dei rifiuti, se rilevanti;

certificazioni (SA 8000, EMAS, ISO 14.000; Dm SaS);

7 La Relazione sulla gestione - art. 2428 c.c. “la relazione sulla gestione dei bilanci d’esercizio alla luce delle novità introdotte

dal DLgs. 32/2007 - informativa sull’ambiente e sul personale” 11.3.2009

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INFORMAZIONI NON FINANZIARIE E GESTIONE DELLE DIVERSITÀ

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emissioni gas ad effetto serra ex L. 316/2004 ed eventuali certificazioni ver-

di, se la società non rientra in un settore per il quale tale informativa è ob-

bligatoria.

Ai fini di affrontare in modo completo il problema dell’informativa societaria relativa

all’ambiente occorre richiamare la raccomandazione della Commissione europea del

30.5.2001 (2001/453/CE) relativa alla rilevazione, alla valutazione e alla divulgazione di

informazioni ambientali nei conti annuali e nelle relazioni sulla gestione delle società.

La raccomandazione europea 2001/453/CE, Allegato, punto 4 “Divulgazioni delle infor-

mazioni”, § 2, al fine di fornire indicazioni funzionali ad una ricognizione delle infor-

mazioni ambientali non obbligatorie, riporta cinque punti che “se rilevanti per i risulta-

ti finanziari o la situazione finanziaria dell’impresa” dovranno rientrare nell’informati-

va obbligatoria:

a) la strategia ed i programmi adottati dall’impresa nei confronti delle misure di

protezione dell’ambiente, in particolare per quanto riguarda la prevenzione del-

l’inquinamento. Gli utenti della Relazione sulla gestione devono poter stabilire in

che misura la protezione dell’ambiente è parte integrante delle politiche e delle

attività dell’impresa. Laddove possibile, tali informazioni dovrebbero far rife-

rimento all’adozione di un sistema di protezione ambientale nonché all’ob-

bligazione di conformarsi ad un dato insieme di norme e certificazioni in merito.

b) I miglioramenti apportati nei settori chiave della protezione dell’ambiente. Tali

informazioni sono particolarmente utili se forniscono, in un modo oggettivo e

trasparente, una rappresentazione contabile dei risultati dell’impresa rispetto

ad un prefissato obiettivo qualificato (per esempio, emissioni negli ultimi cin-

que anni) e se illustrano chiaramente i motivi degli eventuali scostamenti signi-

ficativi rispetto a tale obiettivo.

c) Il grado di attuazione delle misure di protezione ambientale già adottate o che

stanno per essere adottate al fine di conformarsi alla vigente legislazione e per

anticipare futuri requisiti di legge che sono già stati sostanzialmente approvati.

d) Se opportune e pertinenti alla luce della natura e del volume delle attività

dell’impresa e della natura della sua incidenza ambientale, informazioni sul

grado di efficienza ambientale dell’impresa, per esempio in termini di utilizzo

dell’energia, dei materiali e dell’acqua, di emissioni e di smaltimento dei rifiuti.

Queste informazioni potrebbero essere utilmente fornite tramite indici quanti-

tativi di eco-efficienza e, ove opportuno, distinte per le singole attività del-

l’impresa. È particolarmente importante fornire dati quantitativi, in termini

assoluti, per le emissioni e per il consumo di energia, materiali e acqua nel pe-

riodo di riferimento, nonché dati comparativi per il periodo di riferimento prece-

dente. Tali cifre dovrebbero essere preferibilmente espresse in unità fisiche e non

in termini monetari; inoltre, ai fini di una maggiore comprensione della loro

importanza e relativa evoluzione, gli importi monetari potrebbero invece essere

collegati alle voci iscritte nello Stato patrimoniale o nel conto profitti e perdite.

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I DOVERI DEGLI AMMINISTRATORI, IL BILANCIO D’ESERCIZIO E L’INFORMATIVA SULL’AMBIENTE

125

e) Se l’impresa è pubblica, una relazione ambientale separata contenente informa-

zioni ambientali, quantitative o qualitative, supplementari o più dettagliate, un

richiamo a tale relazione. Se la relazione ambientale contiene le informazioni

menzionate alla lett. d), si potranno anche riportare una sintetica descrizione del-

la questione e l’indicazione che ulteriori informazioni in materia si trovano nella

relazione ambientale. Le informazioni fornite in una separata relazione ambien-

tale devono essere coerenti con qualsiasi altra informazione contenuta nella Rela-

zione sulla gestione e nei conti annuali dell’impresa. Se la relazione ambientale è

stata sottoposta a verifica esterna, questo fatto va dichiarato nella relazione an-

nuale. È infatti importante che gli utenti della Relazione sulla gestione siano

informati se i dati contenuti nella relazione ambientale sono oggettivi e verifica-

bili da terzi.

Va quindi richiamato che il DLgs. 30.12.2016 n. 254 “Attuazione della Direttiva 2014/95/UE”

recante la modifica alla direttiva 2013/34/UE (pubblicata sul GURI n.7 del 10.01.2017) in

vigore dal 24.01.2017, impone per le imprese e Gruppi di rilevanti dimensioni8 l’obbligo di

presentare una “dichiarazione non finanziaria” riguardante le informazioni ambientali e

sociali relative al personale dipendente, al rispetto dei diritti umani e alla lotta contro la

corruzione; il procedimento sanzionatorio -in caso di dichiarazioni non esaustive o non

corrette- compete alla Consob.

Con riferimento alle spese relative all’ambiente sostenute per prevenire, controllare e

ridurre i rischi ambientali o per ripristinare funzioni ambientali andate perdute o com-

promesse, esse possono ricondursi9:

alla protezione dell’aria e del clima;

alla gestione delle acque di scarico;

al trattamento dei rifiuti;

alla protezione del suolo, sottosuolo e falde acquifere;

all’abbattimento dei rumori e vibrazioni;

alla protezione del paesaggio e della natura, al recupero di corsi idrici superfi-

ciali inquinanti;

alle spese di ricerca e sviluppo ambientale;

ad altre attività di protezione ambientale.

Il concetto di “costo ambientale” nell’ottica di gestione dell’impresa deve tener conto

della distinzione tra costi esterni e costi interni: i primi sono i costi provocati dall’attività

di una impresa ma che devono essere sopportati da altri soggetti; i secondi sono i costi

riconducibili all’impresa, che li deve sostenere per prevenire o ridurre gli effetti ambien-

tali nocivi derivanti dalla sua attività produttiva.

8 Sono tenute alla “dichiarazione” le società di “interesse pubblico” (banche, assicurazioni, società quotate) che abbiano in forza

più di 500 addetti e che abbiano superato i parametri fissati dalla direttiva (Attivo superiori a € 20 milioni o ricavi superiori a € 40 milioni).

9 Metodologia tratta dal manuale SERIEE (Sistema Europeo per la Raccolta di Informazione economica sull’Ambiente).

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Con riferimento al bilancio di esercizio, la qualificazione di “costo ambientale” è sottratta

ai poteri di discrezionalità propria degli amministratori al fine di non violare i principi

della chiarezza e della comparabilità; le indicazioni dovranno pervenire dalla prassi con-

tabile, ossia dai principi e criteri elaborati dagli organismi professionali ai quali è ricono-

sciuta particolare qualificazione ed autorevolezza.

In merito l’Organismo Italiano di Contabilità (OIC)10, 11 rappresenta il punto di riferi-

mento regolante i rapporti fra prassi contabile e norme del codice civile supportando

quanto disposto dal codice civile in tema di redazione del bilancio. Conseguentemente i

principi contabili OIC12 assumono una duplice funzione:

interpretativa in chiave tecnica delle norme di legge;

integrativa di tali norme laddove si ravvisi una carenza.

Va sottolineato che l’analisi volta alla rilevazione e alla misurazione dei rischi am-

bientali è parte essenziale della comunicazione dell’azienda e costituisce il necessario

presupposto per l’informativa ai terzi circa la situazione sullo “stato ambientale”, con

riferimento sia alla data di chiusura dell’esercizio sociale sia, in chiave prospettica, in

tema di prevedibile andamento della gestione.

Detta analisi deve riguardare quantomeno:

l’ubicazione degli impianti produttivi e le eventuali correlate cause di danno o

di compromissione dell’ambiente; la valutazione della opportunità di effettuare

investimenti in tecnologie a ridotto impatto ambientale;

le eventuali ripercussioni del processo produttivo sull’ambiente sia con riferi-

mento alla normativa in vigore sia in vista di conclamate evoluzioni della speci-

10 L’Organismo Italiano di Contabilità (OIC) si è costituito, nella veste giuridica di fondazione, il 27.11.2001; predispone i prin-

cipi contabili per la redazione dei bilanci di esercizio e consolidati delle imprese. Svolge anche un’opera di assistenza al

Legislatore nazionale nella emanazione delle norme in materia contabile e connesse per l’adeguamento della disciplina in-

terna di bilancio, delle direttive europee e ai principi contabili internazionali omologati dalla Commissione europea.

La L. 11.8.2014 n. 116 di conversione del DL 91/2014, riconosce il ruolo e le funzioni dell’OIC. La legge integra il DLgs. 38/2005

con gli artt. 9-bis e 9-ter, mantenendo invariate le modalità di finanziamento dell’OIC già previste dalla L. 244/2007.

Art. 9-bis - Ruolo e funzioni dell’Organismo Italiano di Contabilità

1. L’Organismo Italiano di Contabilità, istituto nazionale per i principi contabili: a) emana i principi contabili nazionali, ispirati alla migliore prassi operativa, per la redazione dei bilanci secondo le

disposizioni del codice civile;

b) fornisce supporto all’attività del Parlamento e degli Organi Governativi in materia di normativa contabile ed esprime pareri, quando ciò è previsto da specifiche disposizioni di legge o dietro richiesta di altre istituzioni pubbliche;

c) partecipa al processo di elaborazione dei principi contabili internazionali adottati in Europa, intrattenendo rapporti con l’International Accounting Standards Board (IASB), con l’European Financial Reporting Advisory Group (EFRAG) e con gli organismi contabili di altri paesi.

Con riferimento alle attività di cui alle a), b) e c), si coordina con le Autorità nazionali che hanno competenze in materia contabile.

2. Nell’esercizio delle proprie funzioni l’Organismo Italiano di Contabilità persegue finalità di interesse pubblico, agisce in

modo indipendente e adegua il proprio statuto ai canoni di efficienza e di economicità. Esso riferisce annualmente al

Ministero dell’economia e delle finanze sull’attività svolta. 11 Accanto alla prassi nazionale rappresentata dagli OIC si è da tempo affermata una prassi internazionale dovuta alla “glo-

balizzazione dell’economia” e per le imprese che operano su mercati internazionali vi è il ricorso ai principi contabili

internazionali rappresentati dallo International Accounting Standards Boards (IASB). 12 I principi di riferimento sono da ricercarsi nel n. 9, 12, 31 a cui si aggiungono l’OIC 7 - Certificati Verdi e l’OIC 8 - Le quote

di emissione di gas ad effetto serra.

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127

fica normativa, con l’individuazione degli elementi di criticità correlata alla attivi-

tà svolta e alle azioni da intraprendersi per il miglioramento dell’ambiente;

le strategie e i programmi di protezione ambientale, specie con riferimento alla

prevenzione dell’inquinamento.

Con riferimento alla redazione del bilancio di esercizio, l’informativa ambientale assu-

me poi la forma di valutazione e rappresentazione dell’impatto economico-finanziario

sul reddito prodotto e sul patrimonio sociale, anche in chiave prospettica.

Il “costo ambientale” rappresenta in sintesi l’incidenza economica delle misure assunte

dall’impresa per prevenire, ridurre o riparare i danni ambientali causati dall’attività

produttiva o per ripristinare le risorse rinnovabili.

Una prima classificazione potrebbe prevedere la distinzione tra costi/spese che produ-

cono:

in via diretta i loro benefici nell’esercizio corrente;

in via indiretta i loro benefici nell’esercizio corrente;

e costi che non producono utilità futura e che dovranno essere spesati nel-

l’esercizio;

mentre:

per quanto attiene agli investimenti e ai costi ambientali che migliorano l’impatto

ambientale, essi andranno distinti da quelli che invece sono ritenuti necessari per

rispettare i parametri fissati dalla legge.

Le spese ambientali possono poi essere ulteriormente classificate come:

spese a difesa dell’ambiente poste in essere quale difesa del degrado ambientale;

spese a protezione dell’ambiente impiegate per ridurre o eliminare la produzione

di residui che minano le funzioni ambientali; possono così considerarsi come:

i. spese di prevenzione finalizzate per l’adozione di processi produttivi inno-

vativi ovvero per attuare il riciclaggio dei residui;

ii. spese di riparazione al fine di riattivare o ripristinare funzioni ambientali

compromesse;

spese compensative sostenute a difesa del degrado ambientale.

Nel caso specifico in cui la società sia tenuta a ripristinare danni all’ambiente o al territo-

rio, essa è tenuta a valutare l’accantonamento in un apposito fondo del passivo a fronte

dei relativi ipotizzati costi.

Il “fondo recupero ambientale” potrebbe essere iscritto, ad esempio, a seguito di con-

tenziosi per violazione di norme o regolamenti in materia ambientale.

La stima dell’ammontare del fondo è effettuata considerando i costi che si presume di

sostenere in relazione alla situazione esistente, tenendo anche conto degli eventuali svi-

luppi tecnici e legislativi futuri di cui si ha conoscenza alla data del bilancio.

Il sostenimento dei costi indicati si presume ragionevolmente certo quando la violazio-

ne delle norme abbia già dato luogo a provvedimenti amministrativi o procedimenti

giudiziari, salvo i casi in cui le contestazioni si ritengano infondate o il relativo esito ne-

gativo è ritenuto improbabile.

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INFORMAZIONI NON FINANZIARIE E GESTIONE DELLE DIVERSITÀ

128

Un ulteriore esempio di “fondo recupero ambientale” è quello relativo all’utilizzo delle

discariche, che richiede di effettuare l’accantonamento all’apposito fondo in via graduale.

Le imprese che utilizzano discariche sono tenute, ai sensi delle convenzioni siglate con gli

enti concedenti o delle autorizzazioni amministrative e/o commissariali ottenute, al ri-

pristino delle condizioni iniziali dei terreni utilizzati; ne consegue per l’impresa un’ob-

bligazione per il recupero ambientale. Ciò comporta oneri di ripristino, come ad esempio

la ricopertura con terreno, la piantumazione, il monitoraggio delle formazioni di gas, lo

smaltimento di percolato, le analisi ambientali e altri oneri di chiusura e post-gestione

delle discariche che interessano l’economia dell’azienda anche svariati anni dopo l’esau-

rimento della capacità di contenimento di una discarica.

Sul presupposto che la gestione dei “rischi aziendali” rappresenti l’attività primaria e

fondamentale per garantire, attraverso un adeguato presidio dei rischi, la salvaguardia

del patrimonio aziendale, l’art. 2428 c.c. – nella versione che recepisce la direttiva

2003/51/CE – impone che l’analisi per la predisposizione della “relazione sulla gestio-

ne” deve riguardare i “principali rischi e incertezze cui la società è esposta”; ne consegue

che l’organo gestorio della società è tenuto ad analizzare correttamente la situazione

della società e la sua gestione in una visione non solo attuale ma anche (e soprattutto)

prospettica, evidenziando i rischi e le incertezze con una analisi oggettiva della realtà

fattuale dell’impresa, tenuto in considerazione le dimensioni, la complessità e le altre

caratteristiche anche organizzative, specifiche della società.

Il citato documento emanato dal CNDCEC ritiene che i rischi da descrivere siano solo

quelli che presentano un impatto rilevante sotto il profilo informativo e un’alta

probabilità di accadimento (ovvero quelli “principali”); ulteriori rischi possono essere

descritti se il loro inserimento fornisce informazioni utili al lettore del bilancio.

Devono, inoltre, essere oggetto di analisi soltanto eventuali rischi specifici “cui la società è

esposta” e pertanto diversi da tutti quei fenomeni connessi con la sua generica natura

d’impresa: in sostanza, non si devono descrivere i rischi che corrono tutte le società in

quanto tali ma solo quelli specifici relativi al particolare settore in cui la società opera.

È opportuno, quindi, che il contenuto sia finalizzato ad evidenziare tanto le variabili di

successo quanto quelle di rischio e sia i risultati storici sia quelli prospettici, nella misura

in cui risultino idonei ad assicurare la corretta percezione della situazione aziendale.

Come sopra evidenziato, l’analisi di tali fattori sarà più o meno estesa a seconda delle

dimensioni aziendali (società o gruppi societari quotati o non quotati sui mercati regola-

mentati, società grandi, medie o piccole) e delle tipologie di attività svolte.

La descrizione da inserire nel documento si articola attraverso una procedura attuata so-

stanzialmente in quattro fasi: l’analisi del contesto, l’individuazione dei rischi ed incertez-

ze, la loro valutazione e le azioni mitigatrici attuate (o da attuare) da parte della società.

Sempre richiamando il documento del CNDCEC13 e con riferimento agli indicatori

concernenti l’informativa sulla sostenibilità ambientale, occorre evidenziare che la UE

13 CNDCEC “La relazione sulla gestione” art. 2428 c.c. – 11 marzo 2009 pag. 19-25

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ha supportato l’adozione di alcuni specifici “set di indicatori” che, pur non ritenuti

esaustivi e vincolanti, possono essere distinti in:

indicatori di scenario o di contesto, che forniscono informazioni sulla realtà

socioeconomica in cui opera la società;

indicatori di input, che quantificano le risorse umane, naturali ed energetiche

impiegate nell’attività e nei processi aziendali;

indicatori di attività o di processo (quantitativi o qualitativi) che riflettono gli

aspetti operativi di gestione ritenuti prioritari e possono essere applicati per

monitorare il grado di avanzamento degli interventi;

indicatori di efficienza, che forniscono elementi per la valutazione della qualità

e quantità dei processi attivati per il miglioramento dell’efficienza ambientale e

sociale dell’impresa;

indicatori di efficacia, quali ad esempio gli indicatori di performance ambien-

tale, cioè i risultati misurabili della gestione delle variabili ambientali dell’im-

presa, confrontati con le sue politiche ambientali, i suoi obiettivi e i suoi target;

indicatori di output, che quantificano e misurano gli impatti fisici in uscita pro-

dotti dalle attività e dai processi aziendali;

indicatori di outcome, variabili che tendono a misurare oltre all’output fisico, il

suo effetto o impatto diretto o indiretto sul contesto di riferimento o su parte di

esso (comunità locale, ambiente, clientela etc.).

Dal quadro sopra seppur in sintesi delineato emerge chiaramente come la gestione del ri-

schio e delle informazioni relative all’ambiente abbia assunto, nella conduzione dell’im-

presa, una rilevanza di primo piano, non solo per l’importanza sociale del tema ma

anche per le conseguenze derivanti sotto il profilo delle responsabilità legate alla viola-

zione delle norme che disciplinano la materia: e non da ultime le responsabilità am-

ministrative derivanti dalla commissione dei reati presupposto in materia ambientale,

contemplati dall’art. 25-undecies DLgs. 231/2001.

In questo quadro, la corretta rappresentazione nella redazione del bilancio delle

problematiche ambientali, così come affrontate dall’azienda, costituisce un preciso

indicatore della serietà e della sensibilità che la stessa dimostra nell’affrontare e mitigare i

rischi connessi al tema in esame. La dimostrazione della congruità delle risorse destinate

ad assicurare gli adempimenti di legge ed eventuali provvedimenti di ripristino/bonifica

fornisce pertanto un decisivo elemento per la valutazione e verifica dell’adeguatezza

dell’assetto organizzativo, come potrà evincersi dal contenuto della relazione al bilancio.

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INFORMAZIONI NON FINANZIARIE E GESTIONE DELLE DIVERSITÀ

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7

BILANCIO SOCIALE E COMUNICAZIONI NON FINANZIARIE: IL RUOLO DEI COMMERCIALISTI A cura di Giuseppe Chiappero e Maria Luisa D’Addio - Dottori Commercialisti - ODCEC Torino

1 IL BILANCIO SOCIALE E LE COMUNICAZIONI NON FINANZIARIE 132

1.1 L’ISTANZA DELLA RESPONSABILITÀ SOCIALE 132

1.2 L’ISTANZA DELLA SOSTENIBILITÀ E QUALITÀ DEI PROCESSI 136

1.3 L’ISTANZA DELLA COMUNICAZIONE STRATEGICA E INTEGRATA 137

1.4 L’ISTANZA DELLA GESTIONE DEL CAMBIAMENTO 143

2 IL RUOLO DEI COMMERCIALISTI 145

2.1 DIFFUSIONE DELLA CULTURA DELLA RESPONSABILITÀ SOCIALE 145

2.2 SUPPORTO OPERATIVO 147

2.3 COMUNICAZIONE 147

2.4 REPORTING 148

2.5 LA VALIDAZIONE PROFESSIONALE DI PROCESSO 150

2.6 LA REVISIONE E ASSEVERAZIONE DEI BILANCI DI SOSTENIBILITÀ 152

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INFORMAZIONI NON FINANZIARIE E GESTIONE DELLE DIVERSITÀ

132

1 IL BILANCIO SOCIALE E LE COMUNICAZIONI NON FINANZIARIE Il bilancio sociale è un ambito della gestione d’impresa nel quale confluiscono quattro

istanze che hanno origini e natura diversificate ma che si sono rivelate convergenti:

a) l’istanza di responsabilità sociale dell’impresa;

b) l’istanza di sostenibilità e qualità dei processi;

c) l’istanza di comunicazione strategica e integrata;

d) l’istanza di gestione del cambiamento.

1.1 L’ISTANZA DELLA RESPONSABILITÀ SOCIALE Alla base dei processi di Corporate Social Responsibility (CSR) nell’ambito delle organiz-

zazioni vi sono i principi di responsabilità sociale cui le stesse aderiscono quale riferi-

mento valoriale della propria missione e delle proprie strategie.

Una rappresentazione efficace dei principi di responsabilità, adattabile ad ogni forma e

dimensione organizzativa, è fornita da ISO 26000 che individua sette aree in cui è possi-

bile misurare il comportamento socialmente responsabile delle imprese1.

1 Le linee guida UNI ISO 26000:2010, pubblicate l’1.11.2010 e recentemente confermate dopo un primo periodo di sperimen-

tazione, che rappresentano il risultato del più ampio consenso internazionale raggiunto tra gli esperti e i principali sog-

getti interessati, elaborate con l’intento di incoraggiare l’adozione in tutto il mondo delle migliori pratiche in tema di

Responsabilità Sociale delle Organizzazioni (www.iso.org/iso/home/standards/iso26000).

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BILANCIO SOCIALE E COMUNICAZIONI NON FINANZIARIE

133

Le imprese che fanno propri, integrandoli nel sistema organizzativo, i principi della re-

sponsabilità sociale:

costruiscono rapporti saldi con i propri interlocutori interni ed esterni, fondati

sulla condivisione di valori;

creano un clima favorevole per la ricerca di soluzioni alla crisi economica e/o

alle sfide del cambiamento;

incrementano il profilo di affidabilità nei confronti del sistema bancario;

rafforzano la credibilità e qualità del Sistema Paese;

si presentano con un profilo in regola per attrarre fondi strutturali;

investono sulla qualità dell’organizzazione;

adottano un sistema di rendicontazione efficace e trasparente;

diventano portavoce di una diversa mentalità aziendale, acquisendo “diritto di

cittadinanza” nello scenario economico di riferimento.

L’azienda socialmente responsabile costituisce un bene comune da tutelare e trasferire

alle future generazioni.

La responsabilità sociale delle imprese viene profondamente innovata dalla riforma

del terzo settore e dalla disciplina delle società benefit.

La riforma del terzo settore comporta una radicale rivisitazione del rapporto tra profit e

non profit, portando a classificare in un unico ambito le aziende che svolgono prevalente-

mente finalità civiche, solidaristiche e di utilità sociale (il c.d. nuovo Terzo Settore). A que-

ste si affiancano le aziende pubbliche, le aziende con prevalenti finalità privatistiche, e

ancora le aziende che svolgono sia attività di lucro sia finalità sociali (società benefit).

Si prescinde quindi dalla forma giuridica, superando la visione formalistica del rapporto

fra profit e non profit. La responsabilità sociale dell’impresa si addice a ciascun gruppo di

aziende: in quelle pubbliche è insita nelle finalità istituzionali dell’ente; in quelle che

operano in ambito privatistico, si esplica soprattutto attraverso le politiche che

informano il rapporto con gli stakeholder interni ed esterni; in quelle in cui le finalità

sociali e lucrative si contemperano, l’impegno alla responsabilità sociale entra nelle

finalità statutarie.

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INFORMAZIONI NON FINANZIARIE E GESTIONE DELLE DIVERSITÀ

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LA RESPONSABILITÀ SOCIALE E LE SOCIETÀ BENEFIT Di estremo interesse è la nuova disciplina delle società benefit (co. 376-382 L. 208/2015),

che ha introdotto un nuovo modo di fare impresa, in cui l’attività economica e le finali-

tà sociali non sono più viste in contrapposizione, ma costituiscono l’essenza stessa del-

l’impresa.

Si tratta dunque di una nuova filosofia aziendale, che impatta necessariamente sugli as-

setti organizzativi e di governance e che sancisce il committment dell’impresa, nel per-

seguimento di una o più finalità di beneficio comune, ad operare in modo responsabile,

sostenibile e trasparente nei confronti dei propri stakeholder.

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BILANCIO SOCIALE E COMUNICAZIONI NON FINANZIARIE

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La società benefit, secondo il principio della trasparenza, devono allegare al bilancio

una relazione comprovante le azioni svolte per il perseguimento di tale beneficio.

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INFORMAZIONI NON FINANZIARIE E GESTIONE DELLE DIVERSITÀ

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1.2 L’ISTANZA DELLA SOSTENIBILITÀ E QUALITÀ DEI PROCESSI Le imprese di ogni dimensione si dotano di un assetto organizzativo che in modo più o

meno strutturato, a seconda della dimensione dell’azienda, si pone quattro principali o-

biettivi:

la salvaguardia del patrimonio sociale;

l’efficienza e l’efficacia delle operazioni aziendali;

l’affidabilità/trasparenza dell’informazione finanziaria e gestionale;

il rispetto di leggi e regolamenti (compliance normativa).

Il bilancio sociale, inteso come processo, è dunque uno dei tasselli che compongono il

sistema dei controlli interni che, integrandosi con il sistema della qualità, mette in rela-

zione, declinandole nei fatti gestionali, le finalità strategiche dell’organizzazione con le

legittime aspettative degli stakeholder.

In questa visuale complessiva della gestione aziendale, il bilancio sociale proietta dun-

que la propria funzione ben oltre i confini della responsabilità giuridica, per assurgere

a tassello fondante della responsabilità sociale delle organizzazioni nei confronti degli

stakeholder.

Il modello di responsabilità sociale di cui all’istanza precedente può quindi essere riletto

ed avvalorato in termini di qualità delle relazioni con gli stakeholder interni ed esterni.

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BILANCIO SOCIALE E COMUNICAZIONI NON FINANZIARIE

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1.3 L’ISTANZA DELLA COMUNICAZIONE STRATEGICA E INTEGRATA È obbligo morale prima ancora che giuridico degli amministratori rendicontare i risul-

tati di gestione di un determinato periodo amministrativo.

Nell’impresa in continuità e in assenza di operazioni straordinarie tale periodo coincide

con l’esercizio sociale e nella stragrande maggioranza dei casi con l’anno solare.

I driver della rendicontazione possono essere:

di compliance civilistica o comunque normativa;

di risposta alle aspettative degli interlocutori.

Sono due forme di comunicazione che tendono a contemperarsi.

L’impresa responsabile si proietta oltre il mero rispetto normativo, per articolare il pro-

cesso di comunicazione strategica in modo che risponda alle effettive esigenze dei suoi

destinatari2.

2 Ad esempio, l’informativa di un bilancio predisposto secondo gli schemi del bilancio abbreviato non assolve i requisiti

minimi di una “buona” informativa nei confronti degli stakeholder. Ugualmente, la contabilità semplificata è consentita ai

fini fiscali, ma non assolve il compito di garantire adeguato supporto al bilancio, tanto che nelle crisi d’impresa gli organi

giudiziali possono ritenere che non sussista il requisito della corretta tenuta della contabilità sotto il profilo della responsa-

bilità imputabile agli amministratori. Peraltro la stessa legge di bilancio 2017 (L. 232/2016), nell’introdurre nuove dispo-

sizioni fiscali per i contribuenti cd “minori”, ha previsto espressamente, attraverso la modifica all’art. 18 co. 8 del DPR

600/73, la possibilità per tali soggetti di esercitare l’opzione per adottare il regime contabile ordinario, anche per comporta-

mento concludente.

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INFORMAZIONI NON FINANZIARIE E GESTIONE DELLE DIVERSITÀ

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Le norme civilistiche tendono comunque sempre più a favorire l’adozione da parte del-

l’impresa di forma di comunicazione responsabile e strategica.

Nel 2010, ad esempio, in recepimento di una direttiva comunitaria, si è assistito ad un

primo e significativo ampliamento dell’informativa della relazione sulla gestione, attra-

verso la riformulazione dell’art. 2428 c.c. in cui venne inserito l’obbligo di fornire infor-

mazioni sul personale e sull’ambiente3.

Recentemente, la direttiva sull’informativa non finanziaria e di genere, oggetto del pre-

sente e-book e di un’approfondita analisi da parte della Commissione Sostenibilità e Cor-

porate Reporting del CNDCEC4, si spinge ben oltre, prevedendo una natura più ampia di

informativa che sarà oggetto di una vera e propria dichiarazione da allegare al bilancio,

con la possibilità di presentarla in forma di addendum alla relazione sulla gestione.

Come sopra evidenziato, la nuova direttiva interviene sul precedente assetto di diritto co-

munitario e in particolare sulla Direttiva 2003/51/CE, recepita nel nostro Paese con il DLgs

32/2007, che modificò le direttive sui conti annuali e consolidati:

78/660/CE cd. IV direttiva;

83/349/CE cd. VII direttiva;

86/635/CE e 91/674/CE.

3 Rif. DLgs. 32/2007, in attuazione direttiva 2003/51/CE. 4 Cfr. Documento di ricerca CNDCEC: “Direttiva2014/95/UE sulla disclosure non finanziaria e sulla diversità nella compo-

sizione degli organi di amministrazione, gestione e controllo - Approccio operativo, prassi aziendali e ruolo dei professioni-

sti”, 15.6.2016

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BILANCIO SOCIALE E COMUNICAZIONI NON FINANZIARIE

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Le nuove regole si applicano alle grandi società quotate e non quotate che soddisfino

contemporaneamente i seguenti requisiti:

personale formato da più di 500 dipendenti

totale bilancio > 20 mio di euro

fatturato > 40 mio di euro

Ambito stimato di applicazione a livello europeo: circa 18.000 società.

Le previsioni della nuova direttiva devono essere viste come opportunità e non come

complicazione burocratica.

La direttiva costituisce innovazione rilevante in quanto:

integra l’impianto societario nel diritto comunitario;

integra i principi di redazione del bilancio;

mira ad accrescere la trasparenza delle gestione aziendale (disclosure).

La principale novità riguarda l’inclusione nell’annual report di una dichiarazione di

carattere non finanziario contenente almeno informazioni sui diritti sociali, ambienta-

li, umani, lotta alla corruzione attiva e passiva, nonché sulle politiche di diversità nella

composizione degli organi direttivi e di controllo (modifica art. 46 Dir. 78/660/CEE (“IV

DIR: CEE”, traslata nella 2013/34/UE).

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INFORMAZIONI NON FINANZIARIE E GESTIONE DELLE DIVERSITÀ

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Il recepimento nell’ordinamento nazionale doveva avvenire entro il 6.12.2016, termine

poi prorogato di un mese dopo il consueto iter parlamentare5.

Il decreto legislativo di recepimento6 è stato quindi approvato nella sua versione defini-

tiva nella seduta del Consiglio dei Ministri del 23.12.2016, e pubblicato nella Gazzetta

Ufficiale 10.1.2017 n. 7, ed entrato quindi in vigore il 25.01.2017. In particolare, quanto

alle imprese tenute alla sua applicazione obbligatoria, sono confermati i limiti dei 500

dipendenti annuali e, in aggiunta, uno dei due parametri dimensionali (da superare)

dei 20 milioni di attivo dello Stato patrimoniale e di 40 milioni di ricavi netti.

Con la nuova direttiva gli ambiti della comunicazione non finanziaria si estendono ulte-

riormente, secondo il principio del “comply or explain” che responsabilizza le aziende sul-

le scelte da effettuare in merito all’informativa da includere, perché rilevante, oppure da

omettere.

5 Sul relativo schema di decreto legislativo (Atto di Governo n. 347) il nostro Consiglio nazionale, su input della Commissione

Sostenibilità e Corporate Reporting, ha presentato una serie di emendamenti rivolti alla valorizzazione del ruolo del

commercialista nelle funzioni di controllo e asseverazione della dichiarazione individuale di carattere non finanziario.

Anche se non tutti gli emendamenti sono stati accolti, la norma mantiene tutto il potenziale per lo sviluppo di consistenti

opportunità professionali per la nostra categoria. 6 DLgs. 30.12.2016 n. 254 “Attuazione della direttiva 2104/95/UE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 22 ottobre 2014,

recante modifica alla direttiva 2013/34/UE per quanto riguarda la comunicazione di informazioni di carattere non

finanziario e di informazioni sulla diversità da parte di talune imprese e di taluni gruppi di grandi dimensioni”.

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BILANCIO SOCIALE E COMUNICAZIONI NON FINANZIARIE

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Secondo il principio della rilevanza (già presente nella direttiva 2013/34/UE e recepito

da tutte le linee guida del settore), vanno incluse le sole informative rilevanti ai fini del-

la valorizzazione economica dell’impresa, ovvero capaci di influenzare i processi deci-

sionali degli stakeholder.

Il fatto, poi, che il Legislatore nazionale abbia scelto di renderla applicabile, su base vo-

lontaria, anche alle imprese di minori dimensioni, dimostra la volontà del nostro legisla-

tore di andare sempre più nella direzione di stimolare le imprese verso forme di comu-

nicazione responsabile.

Questo non significa che il bilancio sociale diventerà un obbligo di legge: anzi, credia-

mo che la buona impresa sia quella che sa dotarsi di adeguati assetti organizzativi, rela-

zionali e di processo, indipendentemente dalla compliance normativa che è parte della

propria responsabilità sociale, ma non la esaurisce.

Ciò premesso, ci proponiamo nel seguito di questo capitolo di tenere conto dei più re-

centi sviluppi nelle linee guida per il reporting di sostenibilità

LINEE GUIDA IRRC PER IL REPORTING INTEGRATO Modello di business proposto dall’IIRC - International Integrated Reporting Council,

coalizione globale di enti regolatori, investitori, imprese, organismi pubblici, professio-

ni contabili e organizzazioni non governative.

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INFORMAZIONI NON FINANZIARIE E GESTIONE DELLE DIVERSITÀ

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Il sistema proposto da IRRC, mettendo in relazione inputs, business activities, outputs e

outcomes7, mira alla creazione di valore nel breve, medio, e lungo termine

LINEE GUIDA GRI La pubblicazione, nel maggio 2013, della nuova versione GRI - G4 (Generation 4) in

vigore dai report di sostenibilità riferiti all’anno 2013, ha originato un significativo am-

pliamento dell’insieme delle informazioni di sostenibilità a tutti i processi aziendali.

Caratteristiche:

materialità

governance

attenzione alla supply chain integrity

NORMATIVA EUROPEA Relativamente all’evoluzione della normativa europea nell’ambito del processo di revi-

sione delle direttive contabili che ha di fatto esteso la comunicazione obbligatoria d’im-

presa al campo della sostenibilità, sebbene per il momento al solo ambito delle imprese di

maggiori dimensioni, si rinvia a quanto prima riportato sulla nuova direttiva 2014/95/UE.

BORSA ITALIANA Le società italiane adottano su base volontaria un codice di autodisciplina che sempre

più recepisce i principi della sostenibilità.

In particolare, la sostenibilità entra sempre di più entra nel tessuto organizzativo delle

imprese quotate e deve essere dimostrata attraverso un’effettiva integrazione nei

sistemi di governance e di controllo, che alimenti nei confronti degli stakeholder

politiche diversificate di partecipazione e coinvolgimento.

Questo in sintesi il messaggio di novità contenuto nell’ultima edizione del Codice di Auto-

disciplina delle società quotate pubblicato dal Comitato per la Corporate Governance della

Borsa italiana nel luglio 20158.

Tale ultima revisione del codice di autodisciplina ha introdotto alcune novità in mate-

ria di CSR. In particolare, la “sostenibilità” compare nella revisione dell’art. 1 (Ruolo del

Cda), dove viene inserita tra le chiavi di lettura dei rischi aziendali di cui il board deve

tener conto: “Il Comitato – si legge nel commento all’art. 1 – sottolinea il fondamen-

tale ruolo del consiglio di amministrazione nella valutazione dell’effettivo funzionamento

del sistema dei controlli interni e della gestione dei rischi che possono assumere rilievo

nell’ottica della sostenibilità nel medio-lungo periodo dell’attività dell’emittente”.

Altra modifica è relativa all’art. 4 (Istituzione e funzionamento dei comitati interni al

Consiglio di amministrazione); non viene mutato l’articolo, ma nel commento si prende

una posizione piuttosto importante in ordine a una istituzionalizzazione della CSR ai

vertici dell’azienda: “Nelle società appartenenti all’indice Ftse-Mib il consiglio di ammini-

7 Outcome: conseguenze interne/esterne, positive e negative, sui capitali quale risultato delle attività di business e degli

output di un’organizzazione. 8 Le modifiche introdotte sono volte essenzialmente a recepire principi e orientamenti in materia di CSR emersi nel contesto

internazionale ed europeo.

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BILANCIO SOCIALE E COMUNICAZIONI NON FINANZIARIE

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strazione valuta l’opportunità di costituire un apposito comitato dedicato alla super-

visione delle questioni di sostenibilità connesse all’esercizio dell’attività dell’impresa e

alle sue dinamiche di interazione con tutti gli stakeholder; in alternativa, il consiglio valu-

ta di raggruppare o distribuire tali funzioni tra gli altri comitati”.

Nella revisione del codice trova spazio un’altra novità in termini di trasparenza e di

coinvolgimento degli stakeholder (in questo caso, i dipendenti). L’ambito è l’art. 7 (Siste-

ma di controllo interno e di gestione dei rischi), nel cui commento il Comitato scrive di

ritenere “che almeno nelle società emittenti appartenenti all’indice Ftse-Mib un adeguato

sistema di controllo interno e di gestione dei rischi debba essere dotato di un sistema

interno di segnalazione da parte dei dipendenti di eventuali irregolarità o violazioni della

normativa applicabile e delle procedure interne in linea con le best practices esistenti in

ambito nazionale e internazionale, che garantiscano un canale informativo specifico e

riservato nonché l’anonimato del segnalante”.

EVOLUZIONE DEI SISTEMI CONTABILI Infine un’annotazione: anche i sistemi contabili vanno ormai nella direzione di assicu-

rare la massima circolazione e fruibilità delle informazioni. Di qui la nuova tassonomia

XBRL in vigore dal 2015 per il deposito dei bilanci chiusi al 31/12/2014, secondo un’impo-

stazione che riflette l’evoluzione dei principi contabili OIC e include la Nota Integrativa.

Il nuovo sistema XBRL rende dunque disponibile, per tutti gli stakeholder, un sistema di

informazioni immediatamente elaborabile, con effettivi benefici in termini di fruibili-

tà, trasparenza e comparabilità dei bilanci.

1.4 L’ISTANZA DELLA GESTIONE DEL CAMBIAMENTO Il bilancio sociale presuppone scelte di governance che pongono in primo piano l’obiet-

tivo di utilizzare le politiche di CSR per la gestione del cambiamento, che caratterizza

tutte le fasi di vita dell’impresa.

I principi della responsabilità sociale informano la mission aziendale e la qualità dei pro-

cessi strategici, operativi e di supporto, costituiscono il vero DNA della gestione aziendale.

Il bilancio coniuga l’istanza del cambiamento con quella della valutazione, facendo emer-

gere, accanto al valore economico, il capitale sociale dell’organizzazione, ovvero i capitali

intangibili su cui si fonda il valore aziendale9.

Il bilancio sociale è dunque uno strumento di valutazione, utilizzabile per misurare/valu-

tare l’efficacia delle strategie societarie e l’adeguatezza del sistema di governance.

9 Si invita a tale riguardo a consultare il bilancio di sostenibilità di SAGAT - Aeroporto di Torino S.p.A., che ha scelto di

improntare il sistema di rendicontazione sociale sul miglioramento dei processi e sulla valutazione della capacità

dell’organizzazione di fare emergere il patrimonio intangibile su cui si fonda l’azienda aeroportuale, stimolando l’uso della

CSR per misurare/valutare l’efficacia delle strategie societarie. Di questa esperienza si vedano le slide presentate in

occasione del CSR Update del 13 ottobre 2015 (http://www.odcec.torino.it/programmazione_e_convegni/convegni/

Gruppo_di_Lavoro_Bilancio_Sociale_-Le_buone_pratiche__presentazione_del_bilancio_sociale_2014_del_Gruppo_SAGAT/

07EE07ED07EE07E107EC07E9)

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BILANCIO SOCIALE E COMUNICAZIONI NON FINANZIARIE

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2 IL RUOLO DEI COMMERCIALISTI Sono molteplici gli ambiti di coinvolgimento del commercialista nell’affiancamento del-

le imprese nel campo del bilancio sociale, che costituisce quindi un’indubbia area di

sviluppo della nostra professione, atteso che rientra a pieno titolo nelle competenze as-

segnate al commercialista da parte del nostro ordinamento professionale.

Questi gli ambiti di coinvolgimento che abbiamo individuato:

diffusione della cultura della responsabilità sociale;

supporto per la definizione dell’architettura di processo;

supporto nella costruzione del modello reporting integrato (schema metodologico);

supporto nell’individuazione degli strumenti di comunicazione strategica;

validazione professionale di processo;

revisione e asseverazione dei report di sostenibilità.

2.1 DIFFUSIONE DELLA CULTURA DELLA RESPONSABILITÀ SOCIALE Il primo ruolo del professionista nel campo della CSR è quello di allargare gli orizzonti

culturali delle imprese, accompagnandole e supportandole nel percorso verso la comple-

ta integrazione dei principi di sostenibilità nel modello culturale di appartenenza.

Un ruolo incentrato sulla responsabilità del commercialista stesso e sull’evoluzione di

un sistema che sta cercando da troppo tempo di uscire da una crisi che è di cultura e di

valori prima ancora che economica in senso stretto.

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INFORMAZIONI NON FINANZIARIE E GESTIONE DELLE DIVERSITÀ

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Tale percorso risulta più strutturato nelle imprese di grandi dimensioni caratterizzate da

una maggiore complessità organizzativa, in cui si trova spesso una funzione dedicata di-

retta da un “CSR manager”, nuova figura apicale che costituisce anch’essa un’interessante

sbocco professionale per i commercialisti specializzati nella CSR nel momento in cui entra-

no a far parte dell’organizzazione aziendale.

Nelle PMI, invece, occorre un’opera più capillare di sensibilizzazione dell’imprenditore,

che deve per primo recepire i principi di sostenibilità e di responsabilità sociale, per

poi declinarli nella realtà aziendale.

L’approccio culturale del professionista nei confronti delle aziende che intendono avviarsi

nel percorso della sostenibilità è, in entrambi i casi assai diversificato; in particolare, il

professionista può agire nei confronti dei propri interlocutori su piani diversi, ad esempio:

a) introducendo riflessioni sui valori e sui principi che guidano la realtà aziendale

mission, storia, valori di riferimento;

b) portando l’analisi e la valutazione degli aspetti di sostenibilità e di CSR all’in-

terno delle scelte strategiche e di programmazione;

c) trasmettendo la consapevolezza dei rischi correlati e, quindi, la necessaria at-

tenzione alla loro gestione, nella logica del miglioramento continuo basato

sull’analisi dei rischi di processo;

d) promuovendo all’interno delle imprese la cultura di processo anche nell’ambito

della CSR e la diffusione di un modello di business che consenta di rappresentare

in modo sistematico ed equilibrato gli input, le diverse forme quantitative e

qualitative di capitali/risorse (capitale economico, umano, intellettuale, organiz-

zativo) che alimentano i processi dell’impresa, individuando fra gli outcame le

ricadute sul piano economico, sociale e ambientale delle attività aziendali svolte,

in sintonia con i principi della responsabilità allargata e della sostenibilità;

e) assistendo il management nell’implementazione di modelli di reporting azienda-

le ispirati al principio del global reporting, o reporting integrato.

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BILANCIO SOCIALE E COMUNICAZIONI NON FINANZIARIE

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2.2 SUPPORTO OPERATIVO Sul piano operativo il professionista può aiutare il management, soprattutto nella PMI,

a coordinare fra loro le iniziative già attuate o progettate che possono rientrare nel pro-

cesso di gestione della responsabilità sociale, mettendo in evidenza il collegamento fra

processi decisionali, impatti operativi e declinazione degli stessi nei principi che, nel

loro complesso, connotano l’impresa socialmente responsabile.

2.3 COMUNICAZIONE Il professionista può rappresentare una figura importante nella valorizzazione degli

elementi innovativi di gestione aziendale contenuti negli strumenti manageriali che

caratterizzano l’approccio sostenibile e responsabile al business, supportando l’integra-

zione di tali strumenti nella strategia di comunicazione aziendale.

In particolare, il commercialista può supportare l’impresa nella progettazione di politiche

di comunicazione organizzativa fondate su tecniche diversificate di ascolto e

coinvolgimento degli stakeholder secondo un approccio di reciproci impegni e attese, che

tende a mettere in relazione il portatore di interessi (legittimi) nei confronti

dell’organizzazione, con l’impegno di quest’ultima a indirizzare verso lo stakeholder

un’informativa ampia, trasparente, rilevante, nel presupposto ovviamente che tale

informativa sia alimentata da una sistema di accountability valido ed efficace.

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INFORMAZIONI NON FINANZIARIE E GESTIONE DELLE DIVERSITÀ

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Il vantaggio del commercialista è quello di poter suggerire alle imprese tutta una serie

di accorgimenti che in realtà similari si sono rivelati efficaci nell’indirizzare politiche di

sostenibilità e che nel loro insieme, anche se singolarmente di limitata portata, possono

cambiare completamente l’impronta della comunicazione aziendale, orientandola

decisamente alla sostenibilità.

Ad esempio:

la creazione di un’area specifica del sito internet aziendale dedicata alla

sostenibilità, in cui proporre un modello di living report in cui potere accogliere

aggiornamenti quasi quotidiani sui risultati delle politiche di CSR attuate

dall’impresa;

la pubblicazione del report di sostenibilità in formato “sfogliabile”, utilizzando i

particolari software oggi a disposizione delle imprese;

la messa in relazione fra loro di eventi in corso d’anno che hanno visto la

partecipazione dell’impresa e dei propri stakeholder, utili a diffondere un

messaggio di adesione dell’impresa ai principi della sostenibilità, considerato

che spesso tali eventi sono stati oggetto di comunicazioni specifiche non

coordinate fra loro;

il richiamo al report di sostenibilità in tutte le forme di comunicazione

aziendale, a partire dalle mail, in modo da aumentare l’impronta di impresa

socialmente responsabile e sostenibile nei confronti del maggior numero

possibile di interlocutori.

2.4 REPORTING Le competenze del commercialista sono essenziali nell’elaborazione del report di soste-

nibilità/bilancio di sostenibilità.

Per la redazione del bilancio di sostenibilità non esistevano sino a poco tempo fa

indicazioni normative, solo di recente la legislazione europea ha emanato la già citata

direttiva 2013/94/UE che modificando le precedenti deliberazioni sui bilanci ha reso

obbligatorio, previo recepimento nelle legislazioni statuali, un set di informativa non

finanziaria e sulle politiche di diversità, per il momento rivolta alla grandi imprese ma

adottabile su base volontaria anche dalle imprese di minori dimensioni.

Molto si è discusso nelle fasi di istruttoria della direttiva se occorresse sin d’ora

estenderne l’applicazione a una schiera più vasta di organizzazioni: è prevalso por il

momento il principio del “think small first” secondo cui si vuole evitare di appesantire

con eccessivi obblighi burocratici la vita amministrativa delle piccole e medie imprese,

dimensioni che caratterizzano larga parta delle economie di alcuni Paesi, in primis

l’Italia, nelle quali si intende al contrario favorire politiche di crescita e di espansione.

Ci sentiamo, nel principio di non condividere tale impostazione, cionondimeno,

restiamo convinti che l’adozione di politiche efficaci di responsabilità sociale e di

sostenibilità non possa che rientrare prima di tutto nell’adesione a un modello etico

d’impresa e non certo nella logica della compliance ovvero del puro adempimento.

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BILANCIO SOCIALE E COMUNICAZIONI NON FINANZIARIE

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L’approccio proposto dai commercialisti per la diffusione dei principi di sostenibilità

nelle imprese deve infatti essere un approccio endogeno che valorizza la dimensione di

processo, che si svolge su un campo in cui il commercialista può potenziare appieno le

proprie capacità professionali a supporto delle imprese10.

L’approccio del commercialista alla CSR punta quindi molto sulla creazione di

competenze e sul senso di appartenenza degli attori di processo, a differenza di altri

approcci che vedono nel bilancio sociale uno strumento prettamente di comunicazione,

ideabile e realizzabile da professionisti/tecnici del settore.

Secondo questa filosofia, il percorso di responsabilità sociale deve partire dall’individua-

zione dei responsabili di processo, dalla definizione degli strumenti operativi, nonché

dalla costituzione di un comitato scientifico di cui fanno normalmente parte rappresen-

tanti degli enti, istituzioni e categorie che presiedono alla pianificazione di processo se-

condo corretti standard metodologici e riferimenti scientifici.

I tipici strumenti di un approccio responsabile alla rendicontazione sociale sono quindi:

l’indice programmatico o metodologico che individua, per ciascuna sezione del

bilancio di sostenibilità quale esito di processo, i relativi responsabili e gli ele-

menti qualificanti del processo di rendicontazione sociale;

il cronoprogramma operativo, che scandisce le fasi temporali di svolgimento

delle procedure preposte alla predisposizione del bilancio di sostenibilità, se-

condo l’impostazione tipica del project management;

le schede di valutazione di processo, di cui si avvale il gruppo di validazione,

formato da commercialisti, per l’espletamento delle sue funzioni.

Il ruolo del commercialista si svolge dunque lungo tutto l’arco del processo, interagen-

do sia con il comitato scientifico sia con i responsabili di processo.

In particolare, è compito del commercialista assistere il comitato scientifico nella corretta

pianificazione di processo e individuazione dei riferimenti metodologici, nonché suppor-

tare il gruppo di lavoro interno nell’implementazione della schema metodologico e defi-

nizione delle scadenze operative. Il commercialista interagisce altresì con i responsabili

di processo, individuati dallo schema metodologico/indice programmatico, ai fini di un

continuo confronto professionale finalizzato al giudizio di conformità procedurale.

Il ruolo del commercialista può dunque trovare varie sfumature nel processo di rendi-

contazione sociale, in quanto professionista che affianca/supporta la direzione azienda-

le sin dalla fase delle decisioni strategiche in merito all’opportunità di dotare l’azienda

di un sistema organizzativo adeguato. In effetti, proprio nelle esperienze sul campo, co-

me si illustrerà più oltre, sono emerse molte di queste valenze di possibili apporti del

commercialista, in diverse fasi del processo, che vanno indubbiamente nella direzione

di valorizzare la nostra professione.

10 Cfr. “Bilancio sociale e valutazione” in Di Russo, Falduto (a cura di) “Governo, controllo e valutazione delle società parteci-

pate dagli enti locali”, MAP, 2009.

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INFORMAZIONI NON FINANZIARIE E GESTIONE DELLE DIVERSITÀ

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Cionondimeno, elemento caratterizzante del ruolo del commercialista è riscontrabile

nel ruolo di accreditamento scientifico e metodologico di processo finalizzato alla vali-

dazione professionale.

2.5 LA VALIDAZIONE PROFESSIONALE DI PROCESSO In tale contesto, il ruolo del commercialista, quale professionista dotato di particolari

competenze nell’analisi di gestione dei processi aziendali, si esplica:

a) nella diffusione dei principi di responsabilità sociale nelle organizzazioni;

b) nell’assistenza alla direzione aziendale nel processo decisionale strategico di

implementazione di strumenti di responsabilità sociale;

c) nell’assistenza alla definizione di adeguati strumenti e protocolli nell’ambito dei

processi;

d) nell’affiancamento al gruppo di lavoro per condivisione delle esperienze acquisi-

te e sperimentazione sul campo, in ottica anche di auto-formazione, dei principi

di rendicontazione sociale;

e) nell’elaborazione di uno schema metodologico contenente la struttura ragionata

del bilancio sociale con definizione dei contenuti da sviluppare e assegnazione

delle responsabilità nell’ambito del gruppo di lavoro;

f) nella verifica in progress della coerenza delle attività di processo ai principi dichia-

rati nella nota metodologica, ai fini del dovuto riscontro scientifico e rigore di ap-

proccio tipici dei processi di gestione e rendicontazione della responsabilità sociale.

Il commercialista svolge quindi un ruolo di garanzia e di accreditamento rispetto alle

esigenze, tipiche dei processi di CSR, di trasparenza, correttezza metodologica e rigore

d’approccio.

Tale approccio, che ben si adatta al profilo professionale del commercialista, può essere

definito come ruolo di validazione professionale del bilancio di sostenibilità11.

La codificazione di tale ruolo è stato oggetto di attività e comportamenti sperimentati

sul campo e finalizzati alla validazione professionale quale elemento innovativo di mi-

glioramento del processo di realizzazione della rendicontazione sociale, attuato tramite

il costante confronto tra principi metodologici verifica di processo12.

La validazione professionale comporta la formulazione di un giudizio di conformità

procedurale che attesta la rispondenza del processo agli assunti dichiarati nella Nota

metodologica, nonché ai requisiti di correttezza metodologica che rappresentano gli

elementi qualificanti specifici di ciascuna fase del processo di amministrazione razio-

nale (pianificazione, gestione, controllo, implementazione)13.

11 Cfr. “Validazione professionale di processo” in AA.VV. “Manuale del Non Profit”, Eutekne, Collana Piero Piccati, 2014. 12 Cfr. rivista PRESS, novembre 2014, p. 18 ss. 13 Nel Metodo Piemonte per il Bilancio Sociale il giudizio di conformità procedurale si basa su apposite “schede di valutazio-

ne del processo di rendicontazione sociale”, sulla cui base il commercialista formula le proprie valutazioni in merito alla

rispondenza del processo a ciascun elemento di analisi; tali valutazioni si traducono quindi in range numerici a loro volta

collegati, in forma di giudizio sintetico, a espressioni di maggiore o minore qualità di processo rispetto allo scenario otti-

male.

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BILANCIO SOCIALE E COMUNICAZIONI NON FINANZIARIE

151

La validazione professionale di processo può quindi essere vista come una modalità di

coinvolgimento dei commercialisti assai efficace in quanto coniuga la dimensione di

processo delle politiche di rendicontazione sociale con l’esigenza attenuare l’autorefe-

renzialità del procedimento che conduce, quale esito di processo, alla redazione del

report di sostenibilità.

VALIDAZIONE PROFESSIONALE DI PROCESSO

Tale funzione accredita il processo, di cui fa parte integrante, dimostrandone in ogni

sua fase la coerenza o meno ai principi di riferimento, e facendone risaltare, per

esprimerli sotto forma di aree di miglioramento, gli aspetti ancora non perfettamente

allineati ai requisiti metodologici.

Questo ruolo di controllo intrinseco al processo richiede, in posizione di osservatore,

l’apprezzamento da parte del gruppo di validazione degli orientamenti strategici del

processo di bilancio sociale, verificando in particolare la capacità dell’organizzazione di

declinare con coerenza sul piano del project management i principi metodologici adottati.

È di tutta evidenza che siffatto ruolo di verifica procedurale spetti ad un soggetto dotato,

da un lato, di un approccio professionale tipico dell’attività di revisione, sebbene adattato

a un diverso contesto, e, dall’altro, di una conoscenza approfondita delle metodologie e

dei principi di rendicontazione sociale.

La forma di controllo meglio integrata nella filosofia operativa del bilancio sociale e mag-

giormente idonea ad accrescere l’attendibilità del bilancio sociale stesso è dunque ricon-

ducibile in questo ruolo di accompagnamento e di supervisione scientifica svolto dai

commercialisti attraverso la validazione professionale di processo.

In quest’ottica è stato elaborato da ODCEC Torino uno specifico approccio derivante dal

costante confronto scientifico con il Dipartimento di Management dell’Università di To-

rino. Tale impostazione ha seguito un percorso iterativo di enunciazione dei principi e

di raccolta delle evidenze empiriche attraverso esperienze sul campo che hanno coin-

volto diversi enti sperimentatori pubblici e privati.

Ogni esperienza operativa è stata caratterizzata da proprie specificità che hanno contri-

buito a implementare il metodo che ha trovato una sintesi nel documento elaborato in

collaborazione con la Regione Piemonte14.

Dal punto di vista operativo l’applicazione di tale metodo ha comportato:

il coordinamento con i principi guida delle migliori prassi nazionali e interna-

zionali in materia di bilancio sociale che nell’ambito del Metodo Piemonte ven-

gono contestualizzati nella dimensione dell’analisi di processo e declinati alle

specifiche realtà aziendali;

l’esplicitazione del ruolo del commercialista quale attore nel processo di ricerca

scientifica finalizzata all’innovazione del pensiero organizzativo nell’ambito di

progetti istituzionali in partnership con il Dipartimento di Management del-

l’Università di Torino;

14 Cfr. “Manuale Metodo Piemonte per il Bilancio Sociale”, versione 2011, scaricabile nell’area dedicata al bilancio sociale del sito

istituzionale della Regione Piemonte (http://www.regione.piemonte.it/bilanciosociale/dwd/manuale_metodo_piemonte.pdf).

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INFORMAZIONI NON FINANZIARIE E GESTIONE DELLE DIVERSITÀ

152

la “codificazione” di attività e comportamenti sperimentati “sul campo” e finalizza-

ti alla validazione professionale quale elemento innovativo di miglioramento del

processo di realizzazione della rendicontazione sociale, attuato tramite il costante

confronto tra i principi metodologici e la verifica di processo.

La validazione professionale è dunque uno strumento a disposizione dei Commerciali-

sti per implementare l’innovazione nell’ambito dell’organizzazione aziendale e per

continuare a ricercare nuovi strumenti gestionali utili alla sostenibilità del sistema eco-

nomico pubblico e privato.

La validazione professionale non è pertanto in conflitto, ma propedeutica, alla revisio-

ne vera e propria del bilancio di sostenibilità, che dovrà necessariamente seguire le

tecniche di assurance proprie della revisione aziendale.

2.6 LA REVISIONE E ASSEVERAZIONE DEI BILANCI DI SOSTENIBILITÀ Le principali linee guida per il reporting di sostenibilità, a partire da GRI, prevedono a

supporto della credibilità del report la funzione di asseverazione.

Per tale attività è richiesta una adeguata esperienza in materia di audit che potrà es-

sere esplicata con modalità diverse a seconda della dimensione del perimetro organiz-

zativo cui il report di sostenibilità si riferisce.

Per le grandi imprese è necessario un team di professionisti, sia per la numerosità e

significatività delle informazioni da verificare, sia per le competenze professionali

necessarie – si pensi ad esempio alla verifica delle informazioni di tipo ambientale.

Maggiore quindi nell’ambito delle grandi imprese il ricorso a specialisti esterni secondo

le modalità previste dai principi di revisione.

Per le PMI l’attività di asseverazione, a parte specifici contenuti che potrebbero richie-

dere un supporto specialistico, può essere svolta anche da un singolo professionista.

L’attività di asseverazione dovrebbe fare emergere la capacità/competenza del com-

mercialista a svolgere, nel contesto dei processi di amministrazione razionale, un ruolo

di confronto dialettico e di supervisione scientifica e metodologica in tutte le fasi del

processo, in piena sintonia, come già detto, con i requisiti dell’ordinamento che

riconosce al ruolo professionale del commercialista competenza tecnica per “la reda-

zione e la asseverazione delle informative ambientali, sociali e di sostenibilità delle im-

prese e degli enti pubblici e privati (art. 1 co. 3 lett. o) del DLgs. 139/2005).

La funzione di asseverazione, come già detto, ove riconducibile non tanto al processo

quanto ai contenuti del bilancio, è normalmente attribuita a un revisore legale inteso co-

me singolo professionista piuttosto che come società di revisione (di solito quella che già

“certifica” il bilancio d’esercizio).

In particolare, una recente ricerca della Fondazione Nazionale dei Commercialisti15 ha

messo in evidenza i risultati di un approfondito ciclo di studi, espressi in termini di (i)

15 Cfr. “Rendicontazione non finanziaria asseverazione dei report di corporate responsibility nelle società quotate”,

Fondazione Nazionale dei Commercialisti (FNC).

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BILANCIO SOCIALE E COMUNICAZIONI NON FINANZIARIE

153

diffusione delle tecniche di asseverazione; (ii) standard di asseverazione a livello

nazionale e internazionale; provider delle attività di asseverazione.

In premessa il documento sottolinea che l’asseverazione di terze parti, indipendentemente

dal modo in cui viene definita (asseverazione esterna, verifica, audit, certificazione, attesta-

zione, controllo, parere terzo …), costituisce “uno strumento essenziale nello sviluppo

pratico del sistema e nella propagazione dei benefici insiti nel sustainability reporting”16

A livello internazionale, soprattutto nelle grandi imprese, le prassi di asseverazione ester-

na sono già piuttosto diffuse, anche perché le grandi corporation pubblicano un annual

report che incorpora in se i principi della rendicontazione allargata ovvero ispirata al

principio della triple bottom line (TBL)17 (economico-finanziaria, sociale, ambientale), che

sono poi i cosiddetti pilastri della sostenibilità aziendale.

A livello nazionale, è significativo il fatto che l’asseverazione è diffusa soltanto nel campo

delle società quotate ed è, di regola, effettuata secondo i principi di revisione della limited

assurance.

Gli standard di asseverazione più diffusi a livello sia internazionale sia nazionale sono

ISAE 300018 e AA1000AS19, con assoluta predominanza del primo nel nostro Paese.

L’approccio del revisore deve essere in questi la conoscenza delle tecniche di revisione

in generale e, in particolare, delle peculiarità che la revisione riveste ove l’oggetto della

revisione sia rappresentato, prevalentemente, da informazioni di tipo non finanziario.

Invalsa, infatti, la prassi delle maggiori società di revisione di dotarsi di manuali

specifici per il non financial audit.

Tra i provider di attività di asseverazione i commercialisti rivestono un ruolo di assolu-

to rilievo, anche se la quota dei professionisti viene via via erosa dalle grandi società di

revisione, mentre la quota detenuta dagli enti di certificazione rimane inalterata. Per

contrastare questa tendenza è necessaria una sempre maggiore preparazione dei com-

mercialisti che potrebbero in tal modo anche nelle realtà aziendali medio grandi rico-

prire il ruolo di revisori dei report di sostenibilità altrimenti detti report CR , dotandosi

ovviamente di adeguata struttura organizzativa.

In sintesi, il tema dell’asseverazione esterna dei report CR rappresenta un orizzonte di

crescita per la nostra professione, che deve assecondare il crescente bisogno dei

mercati di disporre di informazioni ESG (environmental, social, governance) sempre più

credibili e attendibili.

Tale bisogno è sicuramente presente nelle grandi imprese ma non solo.

16 FNC, op. cit., p. 32. 17 Termine coniato nella seconda metà degli anni ’90 da John Elkington – esperto di fama internazionale di corporate social

responsibility – per segnalare alle aziende la necessità di fornire un rendiconto sulle tre principali dimensioni della

propria performance – economica, sociale e ambientale – attraverso un unico documento destinato ad investitori,

clienti e stakeholder in genere. 18 International Accounting Standard on Assurance Engagement (ISAE) 3000, emanato dall’International Auditing and

Assurance Standard Board (IAASB) dell’International Federation of Accountant (IFAC) 19 Account Ability Assurance Standard (AS), emanato da ISEA (Institute of Social and Ethical Accountability) nell’ambito dei

documenti di ricerca denominati Account Ability 1000 Series (AA1000S).

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INFORMAZIONI NON FINANZIARIE E GESTIONE DELLE DIVERSITÀ

154

Anche nelle PMI, infatti, cresce l’importanza dei fattori di produzione non di proprietà

dell’azienda quali il personale e l’ambiente, che rappresentano al tempo stesso i tasselli

di quel patrimonio intangibile che spesso risulta determinante per affermare la

sostenibilità dell’impresa.

C’è dunque spazio per chi voglia acquisire professionalità nell’asseverazione delle

informazioni attinenti a tali aspetti della gestione aziendale, facendosi trovare pronto

nei confronti delle imprese che lentamente stanno maturando una maggiore sensibilità

e responsabilità sociale nei confronti di tutti gli interlocutori.

* * *

È evidente che una lettura estensiva di questo tipo sui profili di responsabilità sociale

delle imprese non può non richiedere un approccio proattivo della professione che non

si può fare trovare impreparata.

È quindi necessario un cambiamento di mentalità, dobbiamo essere noi i primi artefici

del cambiamento, praticare noi per primi nelle relazioni coi clienti i principi della

responsabilità sociale, creando in tal modo i presupposti della sostenibilità.

Sentiamoci dunque noi per primi responsabili e protagonisti della diffusione di una

nuova cultura d’impresa.

In fondo sappiamo che …

“… la capacità e le motivazioni delle persone sono la più grande fonte di energia

rinnovabile a disposizione del pianeta” (Elio Borgonovi, Milano, 9.5.2016).

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8

IL METODO PIEMONTE A cura di Margherita Spaini - Dottore Commercialista - ODCEC Torino

1 PREMESSA 156

2 PRINCIPI ISPIRATORI, OPERATIVITÀ, CARATTERISTICHE 157

3 IL MODELLO DI RIFERIMENTO 157

4 IL RUOLO DEI COMMERCIALISTI :IL PROCESSO DI VALIDAZIONE 159

5 CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE 161

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INFORMAZIONI NON FINANZIARIE E GESTIONE DELLE DIVERSITÀ

156

1 PREMESSA Il bilancio sociale rappresenta un’integrazione dell’informativa aziendale volta ad una

platea allargata di interlocutori e comprende l’analisi e la concettualizzazione sotto for-

ma di ricaduta sociale di elementi non tipici della comunicazione d’impresa.

In altre parole, il bilancio sociale può essere inteso quale massima espressione di comu-

nicazione sociale non meramente finanziaria in quanto presenta ai propri portatori

d’interesse l’ambito delle attività svolte ed i risultati conseguiti.

Il bilancio sociale riesce a raggiungere il proprio obiettivo quando non si limita a mere

elencazioni di attività corredate da dati e statistiche che autoreferenzialmente presenta-

no una situazione cristallizzata ma quando riesce a “rappresentare in un quadro unitario

il rapporto tra visione strategica, obiettivi, risorse e risultati”.

Insomma, deve compendiare in un documento non ridondante ma al tempo stesso anali-

tico, l’essenza della realtà aziendale quale risultato dell’impiego di risorse finalizzate al

raggiungimento di determinati obiettivi misurabili in relazione ai livelli attesi con impatti

sociali.

Da questa sommaria introduzione emerge che la predisposizione di un siffatto docu-

mento caratterizzato da dinamicità, interconnessione e significatività non può che es-

sere il risultato di un processo che collega strategia e gestione e, nello stesso tempo,

analizza tutti i settori di attività, scomponendo il valore aggiunto in termini di ricaduta

sociale coerente con le dinamiche di pianificazione.

Risulta necessariamente coinvolta la struttura direzionale e risultano coinvolte le aree ope-

rative in un processo di progressiva acquisizione di consapevolezza in ordine sia ad obiet-

tivi, finalità e filosofia aziendale (mission), sia al collegamento tra la mission e l’attività

svolta (relazione socialeed infine alla destinazione del valore aggiunto (rendiconto).

Gli esiti (output) e gli effetti (outcome) del bilancio sociale dipendono, conseguentemente,

sia dalle scelte strategiche di impostazione, sia dalle modalità di gestione del processo di

redazione. Qualora il documento fluisca come sintesi di un processo pianificato e coin-

volgente, volto alla comprensione del significato sia economico ma anche sociale del-

l’attività svolta, l’outcome del processo fornirà informazioni importanti e significative.

La letteratura in tema di bilancio sociale identifica classicamente due modelli di rendi-

contazione, il modello valoriale e il modello della responsabilità allargata. La prima visio-

ne è incentrata sul collegamento tra i principi ispiratori e le attività in concreto svolte,

mentre la seconda visione, più ampia, tende a trasformare l’informativa economico

finanziaria in informativa sociale fino a configurare il documento quale bilancio di soste-

nibilità ovvero documento che evidenzia l’interconnessione e la sinergia tra responsabi-

lità sociale, responsabilità ambientale e responsabilità economico finanziaria connessa al

corretto impiego delle risorse.

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IL METODO PIEMONTE

157

2 PRINCIPI ISPIRATORI, OPERATIVITÀ, CARATTERISTICHE Dalla proficua collaborazione tra Università di Torino, Ordine dei Dottori Commercialisti

e Regione Piemonte nasce il “Metodo Piemonte” per la redazione del bilancio sociale,

esperimento scientifico in evoluzione che identifica, univocamente e al contempo,

principi ispiratori, modello di riferimento, modalità operative, fasi di processo, significato

del documento e risultati attesi, peculiari e caratterizzanti rispetto alla fattispecie.

I principi ispiratori sono coerenti con lo standard internazionale sulla responsabilità so-

ciale, relativo ad ogni forma di organizzazione pubblica o privata (ISO/DIS 2600 “Guidan-

ce on social responsability”) e si declinano in:

trasparenza e accountability;

comportamento etico;

coinvolgimento dei portatori di interesse.

3 IL MODELLO DI RIFERIMENTO Tenuto conto degli schemi contenuti nei principi metodologici adottati, è stata proposta

una macro-struttura di bilancio sociale, riscontrabile nelle principali esperienze di ren-

dicontazione sociale in ambito non profit, articolata in tre sezioni principali: l’identità

aziendale, il rendiconto, la relazione sociale. Tali sezioni sono poi precedute da una

premessa metodologica e seguite dalla validazione professionale.

PREMESSA METODOLOGICA

Riveste un ruolo fondamentale affinché il bilancio sociale segua le migliori pratiche e definisca con ragionevole precisione i riferimenti me-todologici adottati, ai fini di un progressivo accreditamento metodo-logico di processo. La chiara definizione di questi aspetti costituisce il presupposto per una corretta rendicontazione, e soprattutto la base per la verifica, nel corso del processo, dell’effettiva aderenza dello stesso agli indirizzi metodo-logici dichiarati in premessa, il cui esito è rappresentato dalla validazione professionale.

IDENTITÀ Rappresenta il profilo dell’ente ed è così articolata: storia; scenario globale e locale di riferimento; definizione del sistema di governo; assetto istituzionale e organizzativo; identificazione degli stakeholder interni ed esterni; principi e valori di riferimento e conseguenti rappresentazioni: mis-

sion e logo. Dall’insieme di questi aspetti emergono il quadro completo dell’organiz-zazione e, soprattutto, i riferimenti culturali e valoriali che costituiscono il collante per ottenere sia un’efficace coerenza interna sia un colle-gamento funzionale fra le diverse parti del bilancio sociale.

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INFORMAZIONI NON FINANZIARIE E GESTIONE DELLE DIVERSITÀ

158

RENDICONTO Si articola nei seguenti prospetti complementari e bilancianti, opportuna-mente adattati alla specifica realtà di riferimento: determinazione del valore aggiunto; ripartizione del valore aggiunto ai diversi gruppi di stakeholder titolari

di legittime aspettative nei confronti dell’organizzazione. Tali prospetti, integrati dalla movimentazione dei flussi di raccolta e delle erogazioni, fanno quindi emergere, andando oltre la mera rappresentazione contabile, il valore creato dall’ente e la sua ricaduta sui progetti attraverso le erogazioni alle missioni.

RELAZIONE SOCIALE

È la parte meno numerica e più qualitativa del bilancio sociale. Richiede lo studio di un sistema di indicatori in grado esprimere la capacità dell’ente di creare con gli stakeholder rapporti qualificati e duraturi, incentrati sui principi della sostenibilità e sui valori che informano la cultura dell’organizzazione. Ogni parte della relazione sociale è dedicata ad una specifica area di intervento, descrive compiutamente le attività, i progetti e i costi di ogni singolo intervento, ponendo l’accento sui benefici a favore dei territori e dei soggetti interessati, nonché sugli obiettivi finalizzati alla programmazione dei futuri interventi.

VALIDAZIONE PROFESSIONALE DI PROCESSO

È l’ultima e fondamentale sezione del bilancio sociale che rappresenta, secondo il “Metodo Piemonte per il Bilancio Sociale”, l’esito della funzione di controllo assegnata ai commercialisti nell’ambito del processo di rendi-contazione sociale. Tale funzione accredita il processo, dimostrandone in ogni sua fase la coerenza o meno ai principi di riferimento e facendone risaltare, per esprimerli sotto forma di aree di miglioramento, gli aspetti ancora non perfettamente allineati ai requisiti metodologici. Questo ruolo di controllo intrinseco al processo ha quindi richiesto, in posizione di osservatore, l’apprezzamento da parte del gruppo di validazione degli orientamenti strategici del processo di bilancio sociale, verificando in parti-colare la capacità dell’ente di declinare con coerenza sul piano del project management i principi metodologici adottati. È di tutta evidenza che siffatto ruolo di verifica procedurale spetti ad un soggetto dotato, da un lato, di un approccio professionale tipico dell’at-tività di revisione, sebbene adattato a un diverso contesto, e, dall’altro, di una conoscenza approfondita delle metodologie e dei principi di rendi-contazione sociale e applicazione degli stessi nell’ambito delle organiz-zazioni non lucrative. La forma di controllo meglio integrata nella filosofia operativa del bilancio sociale e maggiormente idonea ad accrescere l’attendibilità del bilancio sociale stesso è dunque riconducibile in questo ruolo di accompagnamento e di supervisione scientifica svolto dai com-mercialisti attraverso la validazione professionale di processo.

Da quanto esposto in premessa emerge che l’approccio non può che essere endogeno

con gestione del processo e della redazione del documento affidati alla struttura in-

terna. Il bilancio sociale in questo modo, attraverso il processo di consapevolezza in-

nescato, supera la dimensione di strumento di comunicazione per assumere la valen-

za di strumento di governance e condivisione.

Le fasi operative del Metodo Piemonte passano attraverso la pianificazione, la raccolta

e l’elaborazione dei dati, la relativa pubblicazione diffusione. Viene stilato un crono

programma che vede l’avanzamento delle singole fasi in evoluzione condivisa. Una vol-

ta terminata la stesura, il documento viene validato.

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IL METODO PIEMONTE

159

Dalla sintetica disamina condotta emerge con tutta evidenza il carattere analitico del

documento che sviluppa un percorso, seguendo fasi concatenate logicamente tra di loro

e volte ad ottenere da un lato un documento informativo preciso e finalizzato e dal-

l’altro il raggiungimento di consapevolezza e senso di appartenenza delle persone coin-

volte e dei portatori d’interesse.

4 IL RUOLO DEI COMMERCIALISTI :IL PROCESSO DI VALIDAZIONE Elemento Importante e qualificante del metodo consiste nella scelta di affidare il ruolo

di validazione a professionalità esterne, al fine di convalidare l’intero iter a garanzia

del fondamento scientifico del medesimo e della correttezza dei passaggi logici ed

operativi.

I commercialisti – nella fattispecie specifica professionisti appartenenti al Gruppo di

lavoro in materia di Bilancio Sociale presso l’Ordine dei Dottori Commercialisti e degli

Esperti Contabili, di Ivrea, Pinerolo, Torino – nel processo di elaborazione di un

bilancio sociale – esplicano un ruolo rilevante nei seguenti ambiti di azione:

partecipazione al gruppo di lavoro per condivisione delle esperienze acquisite e

sperimentazione sul campo, in ottica anche di auto-formazione, dei principi di

rendicontazione sociale in ambito non profit;

elaborazione di uno schema metodologico contente la struttura ragionata del bi-

lancio sociale con definizione dei contenuti da sviluppare e assegnazione delle

responsabilità nell’ambito del gruppo di lavoro;

verifica in progress della coerenza delle attività di processo ai principi dichiarati

nella nota metodologica, ai fini del dovuto riscontro scientifico e rigore di approccio

tipici dei processi di gestione e rendicontazione della responsabilità sociale.

Il metodo di validazione di processo del bilancio sociale detto “Metodo Piemonte” assu-

me che i sopra descritti aspetti possano essere oggetto di valutazione in funzione di cri-

teri qualitativi definiti in fase strategica quali elementi distintivi di processo.

Il processo di valutazione, sotto il profilo metodologico, trae i propri riferimenti scien-

tifici dall’economia classica in relazione all’utilità razionale delle decisioni dall’econo-

mia comportamentale per le possibilità di scelta e dalla psicologia cognitiva circa la cor-

rettezza del processo decisionale.

Ciascuna fase di processo è caratterizzata da elementi qualitativi specifici che si tra-

ducono nelle seguenti azioni :

Pianificare - la pianificazione permette di individuare gli obiettivi, i responsa-

bili, il perimetro di analisi, gli stakeholder, i principi procedurali, le metodolo-

gie di processo, le strategie di comunicazione e di rappresentazione ed infine

le tempistiche.

Gestire - la gestione realizza le fasi di processo e in particolare l’integrazione

con le sessioni operative, l’analisi del sistema informativo, la scelta degli stru-

menti di analisi e di gestione, il coordinamento dei sottoprocessi, delle attività e

dei compiti specifici, l’attribuzione delle responsabilità, il coinvolgimento degli

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INFORMAZIONI NON FINANZIARIE E GESTIONE DELLE DIVERSITÀ

160

stakeholder interni ed esterni, la gestione delle informazioni, la redazione del

documento attraverso la creazione di gruppi di lavoro e di condivisione, l’

analisi tecnica, la sintesi dei dati, la scelta degli indicatori, la misurazione dei

risultati, la rappresentazione degli esiti del processo ed infine la scelta delle

modalità di comunicazione del documento.

Controllare - il controllo realizza la verifica concomitante sulla qualità di

esecuzione del progetto e sulla coerenza metodologica nonché l’analisi degli sco-

stamenti dal programma operativo.

In questo ambito, la verifica concomitante, tesa alla realizzazione di una dialet-

tica di controllo collaborativo fra responsabili di processo e professionisti incari-

cati della validazione, assume particolare rilevanza. La fase di validazione garan-

tisce infatti la coerenza di processo con i principi e i valori della “governance”,

nonché la correttezza dell’azione operativa in funzione alle metodiche di rendi-

contazione sociale stabilite in fase di programmazione e dichiarate nella nota

metodologica del documento.

Dirigere - la direzione permette la verifica critica e condivisa dei risultati rag-

giunti e il miglioramento continuo che assurge a principio ispiratore della qualità

aziendale.

La verifica di processo si realizza mediante un esame di conformità del medesimo

rispetto ai requisiti qualitativi definiti nella fase di pianificazione propedeutica all’emis-

sione di un giudizio in ordine alla coerenza interna ed esterna del processo di redazione

del bilancio sociale.

Ai sensi del DLgs. 139/2005, la verifica di processo finalizzata alla validazione può essere

affidata a professionisti esterni (in genere commercialisti) che esercitano la funzione di

controllo collaborativo mediante atteggiamento di confronto dialettico improntato ad un

approccio strategico integrato.

Questa particolare metodica volta all’analisi di processo è stata formalizzata nel

“Metodo Piemonte per la redazione del Bilancio sociale” con il contributo scientifico del

Gruppo di Studio “Bilancio Sociale” presso l’ODCEC di Torino, Ivrea e Pinerolo.

Il giudizio sulla qualità del processo di rendicontazione emerge, da un lato, quale esito

della verifica professionale e, dall’altro, quale risultanza del confronto concomitante

nella gestione di procedimento. Tale giudizio è espresso nella relazione di validazione

allegata al documento. La formulazione del giudizio risulta da una valutazione qualita-

tiva mentre ciascuna fase gestionale viene analizzata e valutata tramite una misurazio-

ne quantitativa delle attività analizzate.

La sommatoria delle valutazioni di fase concorre alla valutazione complessiva che si

articola nelle seguenti tipologie di giudizio:

negativo con valutazione di inesistenza del processo di amministrazione

razionale. In tale caso non è dato riscontrare alcun approccio sistematico evi-

dente e i risultati conseguiti saranno assenti, scarsi o imprevedibili;

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IL METODO PIEMONTE

161

negativo con valutazione embrionale del processo di amministrazione

razionale. In tale caso il processo è sostanzialmente basato sulla risoluzione o

correzione di problemi operativi. La gestione dei dati è casuale, non sistematica

e non c’è possibilità di controllo, implementazione e miglioramento del sistema;

positivo con valutazione di adeguatezza. Esiste un adeguato processo di

gestione basato su un approccio razionale di pianificazione e gestione; risultano

da migliorare le fasi di controllo e di implementazione. L’impianto gestionale

presenta una struttura elementare. I dati sulla conformità agli obiettivi sono

disponibili e c’è evidenza di tendenza al miglioramento;

positivo con valutazione di sistema evoluto. Il processo di gestione è evoluto

in quanto basato su approccio razionale di pianificazione, gestione, controllo e

implementazione che risultano adeguati alla complessità del sistema;

positivo con valutazione ottimale. Il processo di gestione è evoluto in quanto

basato su approccio razionale di pianificazione, gestione, controllo e

implementazione che risultano adeguati alla complessità del sistema; il processo

di miglioramento è fortemente integrato in quanto ricorre all’ utilizzo di sistemi

evoluti di gestione e analisi aziendale.

5 CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE La fase di validazione assume estrema importanza in quanto definisce il livello di

attendibilità dell’informativa riportata sul documento . La medesima è a sua volta un

work in progress, in quanto verifica ed attesta l’evoluzione del documento da un anno

all’altro. L’obiettivo consiste nell’eliminare autoreferenzialità e staticità, conferendo al-

le informazioni un sempre maggior livello di analiticità.

Altra peculiarità estremamente rilevante del Metodo Piemonte è insita nella procedura

partecipata di definizione delle politiche e nella valutazione risultati in riferimento agli

obiettivi.

L’intero documento, soprattutto se allargato all’accezione di bilancio di sostenibilità e

se sviluppato secondo i canoni partecipativi sopra descritti, rappresenta, nella sua glo-

balità l’informativa non finanziaria complementare e sinergica alla comprensione del

bilancio d’esercizio nella sua globalità.

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INFORMAZIONI NON FINANZIARIE E GESTIONE DELLE DIVERSITÀ

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PARTE II

IL REGIME SANZIONATORIO

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IL REGIME SANZIONATORIO A cura di Francesca Scarazzai - Dottore Commmercialista - ODCEC Torino

1 PREMESSE 166

2 SANZIONI 167

3 ENTE EROGATORE 168

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INFORMAZIONI NON FINANZIARIE E GESTIONE DELLE DIVERSITÀ

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1 PREMESSE Con la direttiva 2014/95/UE, pubblicata su Gazzetta Ufficiale il 15.11.2014, il Parlamento

europeo ed il Consiglio dell’Unione europea hanno riconosciuto l’importanza della re-

sponsabilità sociale ed ambientale delle imprese quali doveri fondamentali, unitamente

al corretto comportamento commerciale, per garantire un cammino di sviluppo tra-

sparente e sostenibile all’economia globale.

La direttiva ha previsto in capo a gruppi di grandi dimensioni ed enti di interesse

pubblico una apposita dichiarazione di carattere non finanziario, da fornire nel ri-

spetto di una elevata flessibilità di azione da parte delle imprese stesse e di una elevata

comparabilità delle informazioni a favore dei consumatori ed utilizzatori, tenendo

conto sia della multidimensionalità e diversità delle politiche in materia di responsa-

bilità sociale delle imprese che delle necessità informative del pubblico e delle autorità.

Fondamentale è stata l’integrazione delle disposizioni in essa previste con quelle di

rilevanza economica contenute nella direttiva 2013/34/UE che, abrogando la quarta e la

settima direttiva comunitaria relative, rispettivamente, a bilanci di esercizio e bilanci

consolidati, interviene sul contenuto e sui criteri di formazione dei bilanci d’esercizio,

dei bilanci consolidati e sulle relative relazioni di talune tipologie di imprese, documen-

ti ai quali, alla luce delle suddette modifiche, si aggiunge ora la dichiarazione di caratte-

re non finanziario individuale e consolidata.

Giova qui ricordare che la direttiva 2013/34/UE, oltre a prevedere in capo ai membri de-

gli organi di amministrazione, gestione e controllo la responsabilità di garantire che il

bilancio d’esercizio, la relazione sulla gestione, la dichiarazione sul governo societario

e, ora, anche la dichiarazione di carattere non finanziario, anche in ambito consolidato,

siano redatti e pubblicati in osservanza alle disposizioni della direttiva stessa1, già

prima delle integrazioni modificative a carico della direttiva 2014/95/UE poneva in capo

agli Stati membri il compito di adottare misure sanzionatorie “efficaci, proporzionate e

dissuasive”2 volte ad assicurarne la corretta applicazione.

Il citato regime sanzionatorio previsto dalla direttiva 2013/34/UE non ha subito integra-

zioni né modifiche a seguito della direttiva 2014/95/UE pertanto il Legislatore nazionale

ha previsto, come vedremo, specifiche sanzioni in caso di violazione ai principi di reda-

zione e pubblicità della dichiarazione di carattere non finanziario e degli adempimenti

ad essa connessi così come già fatto in caso di violazioni relative agli altri documenti

dalla direttiva disciplinati.

Con il DLgs. 18.8.2015 n. 136, pubblicato su Gazzetta Ufficiale l’1.9.2015, il legislatore na-

zionale ha già recepito i contenuti della direttiva 2013/34/UE, limitatamente al testo pre-

cedente le integrazioni e modifiche di cui alla direttiva 2014/95/UE, e previsto all’art. 44

specifiche sanzioni amministrative pecuniarie.

1 Vedere art. 33 direttiva 2013/34/UE post modifiche della direttiva 2014/95/UE. 2 Vedere art. 51 direttiva 2013/34/UE.

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IL REGIME SANZIONATORIO

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Con il DLgs. 30.12.2016 n. 254, pubblicato su Gazzetta Ufficiale il 10.1.2017, il Legislatore

nazionale ha ora recepito anche le modifiche ed integrazioni previste dalla direttiva

2014/95/UE.

Il suddetto decreto, attuando la previsione di cui all’art. 33 paragrafo 1 della direttiva

2013/34/UE, modificato dalla direttiva 2014/95/UE, che pone a capo dei membri degli or-

gani di amministrazione, gestione e controllo dell’impresa la responsabilità di garantire

la corretta redazione e pubblicità della dichiarazione di carattere non finanziario, preve-

de, all’art. 8, uno specifico regime sanzionatorio a carico dei suddetti soggetti.

2 SANZIONI Esaminiamo qui di seguito nel dettaglio le previsioni sanzionatorie del suddetto decreto

legislativo.

L’omesso deposito della dichiarazione di carattere non finanziario (individuale o

consolidata) da parte dell’organo amministrativo dell’ente di interesse pubblico3, nei

termini previsti dall’art. 5 del decreto, comporta a carico dello stesso una sanzione am-

ministrativa pecuniaria da € 20.000 ad € 100.000. Sanzione che viene ridotta ad un terzo

nel caso di deposito tardivo effettuato nei trenta giorni successivi alla scadenza, ai sensi

del co. 1 dell’art. 8.

L’omesso deposito, unitamente alla dichiarazione di carattere non finanziario, dell’atte-

stazione di conformità prevista dall’art. 3 co. 10 del decreto (ovvero dell’attestazione di

conformità della dichiarazione di carattere non finanziario con riferimento alle infor-

mazioni fornite nella stessa rispetto a quanto previsto dal decreto ed al rispetto dei

principi, delle metodologie e delle modalità in esso previste, da redigere a cura del

soggetto incaricato di effettuare la revisione legale del bilancio – che già è tenuto a

verificarne l’avvenuta predisposizione – o di altro soggetto abilitato alla revisione le-

gale che sia stato a ciò appositamente designato) comporta a carico dell’organo ammi-

nistrativo dell’ente di interesse pubblico una sanzione amministrativa pecuniaria da €

20.000 ad € 100.000.

L’omesso deposito dell’attestazione da parte dei soggetti di cui all’art. 7, ovvero da parte

degli enti che redigono volontariamente la dichiarazione di carattere non finanziario

senza poter derogare all’attività di controllo e che, quindi, sono parimenti tenuti a far

predisporre l’attestazione di conformità prevista dall’art. 3 co. 10 e, altresì, a provve-

derne al deposito, comporta a carico degli amministratori una sanzione amministrativa

pecuniaria da € 10.000 ad € 50.000.

Giova qui ricordare che i sopracitati enti possono derogare all’attività di controllo sud-

detta solo qualora alla data di chiusura dell’esercizio di riferimento non abbiano supe-

3 Ente di interesse pubblico come definito dall’art. 16 co. 1, DLgs. 27.1.2010 n. 39 che sia in possesso dei requisiti di cui

all’art. 2 del DLgs. 254/2016 (con numero medio di dipendenti superiore a 500 nel corso dell’esercizio finanziario e che alla

data di chiusura del bilancio abbia superato almeno uno dei due limiti dimensionali: totale stato patrimoniale > euro

20.000.000, ricavi netti > euro 40.000.000).

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INFORMAZIONI NON FINANZIARIE E GESTIONE DELLE DIVERSITÀ

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rato almeno due dei tre limiti previsti all’art. 2 e nella dichiarazione abbiamo chiara-

mente indicato il mancato assoggettamento della stessa all’attività di controllo.

Qualora il deposito dell’attestazione avvenga nei trenta giorni successivi alla scadenza,

la sanzione viene ridotta ad un terzo, ai sensi del co. 2 dell’art. 8.

Gli amministratori sono soggetti a medesima sanzione amministrativa pecuniaria da €

20.000 ad € 100.000 qualora la dichiarazione di carattere non finanziario (individuale o

consolidata), regolarmente depositata, non risulti conforme alle disposizioni dell’art. 3

e 4 del decreto.

L’organo di controllo che, in violazione dei propri obblighi di vigilanza e referto di cui

all’art. 3 co. 7, ometta di riferire in merito alla non conformità della dichiarazione di

carattere non finanziario rispetto alle previsioni di cui agli articoli 3 e 4 del decreto,

nella relazione annuale all’assemblea, è altresì soggetto alla medesima sanzione ammi-

nistrativa pecuniaria da € 20.000 ad € 100.000.

Gli amministratori e l’organo di controllo dei soggetti di cui all’art. 7, che redigono vo-

lontariamente la dichiarazione di carattere non finanziario senza poter derogare

all’attività di controllo, in caso di dichiarazione, regolarmente depositata, non confor-

me alle disposizioni del decreto sono soggetti alla medesima suddetta sanzione ridotta

alla metà e, quindi da euro 10.000 ad euro 50.000.

Il soggetto incaricato di effettuare la revisione legale del bilancio che omette di verifica-

re l’avvenuta predisposizione della dichiarazione è soggetto ad una sanzione ammini-

strativa pecuniaria da € 20.000 ad € 50.000.

Lo stesso suddetto soggetto o altro soggetto abilitato allo svolgimento della revisione le-

gale che sia stato appositamente designato per attestare la conformità della dichiara-

zione di carattere non finanziario (individuale o consolidata) ai sensi dell’art. 3 co. 10,

secondo periodo, che ometta di effettuare l’attestazione o che attesti la conformità della

stessa qualora questa non sia stata redatta in conformità alle disposizioni del decreto è

soggetto ad una sanzione amministrativa pecuniaria da € 20.000 ad € 100.00.

Il decreto prevede, infine, in capo agli amministratori ed ai componenti dell’organo di

controllo dell’ente di interesse pubblico, una sanzione amministrativa pecuniaria da

€ 50.000 ad € 150.000, salvo che il fatto costituisca reato, qualora la dichiarazione di carattere

non finanziario, individuale o consolidata, depositata presso il registro delle imprese, con-

tenga fatti rilevanti non rispondenti al vero o ometta fatti rilevanti previsti dagli artt. 3 e 4.

Qualora suddette errate informazioni e omissioni siano effettuate nella dichiarazione,

individuale o consolidata, dei soggetti di cui all’art. 7, che redigono volontariamente la

dichiarazione di carattere non finanziario senza poter derogare all’attività di controllo,

è prevista in capo agli amministratori ed ai componenti dell’organo di controllo una

sanzioni amministrativa pecuniaria da € 25.000 ad € 75.000.

3 ENTE EROGATORE Il decreto prevede, all’art. 8 co. 6, che i poteri di accertamento delle omissioni ed irrego-

larità e quello di erogazione delle relative sanzioni amministrative pecuniarie spetti

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IL REGIME SANZIONATORIO

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alla Consob nel rispetto delle disposizioni previste dal DLgs. 24.2.98 n. 58 (Testo unico

delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria) agli artt. 194-bis, 195, 195-

bis, 196-bis4.

4 Cit.: “Art. 194 bis: 1. Nella determinazione del tipo, della durata e dell'ammontare delle sanzioni previste dal presente decreto,

la Banca d'Italia o la Consob considerano ogni circostanza rilevante e, in particolare, tenuto conto del fatto che il destinatario

della sanzione sia persona fisica o giuridica, le seguenti, ove pertinenti:

a) gravità e durata della violazione;

b) grado di responsabilità;

c) capacità finanziaria del responsabile della violazione;

d) entità del vantaggio ottenuto o delle perdite evitate attraverso la violazione, nella misura in cui essa sia determinabile;

e) pregiudizi cagionati a terzi attraverso la violazione, nella misura in cui il loro ammontare sia determinabile;

f) livello di cooperazione del responsabile della violazione con la Banca d'Italia o la Consob;

g) precedenti violazioni in materia bancaria o finanziaria commesse da parte del medesimo soggetto;

h) potenziali conseguenze sistemiche della violazione;

h-bis) misure adottate dal responsabile della violazione, successivamente alla violazione stessa, al fine di evitare, in futuro, il

suo ripetersi.

Art. 195: 1. Le sanzioni amministrative previste nel presente titolo sono applicate dalla Banca d'Italia o dalla Consob, secondo

le rispettive competenze, con provvedimento motivato, previa contestazione degli addebiti agli interessati, da effettuarsi entro

centottanta giorni dall'accertamento ovvero entro trecentosessanta giorni se l'interessato risiede o ha la sede all'estero. I

soggetti interessati possono, entro trenta giorni dalla contestazione, presentare deduzioni e chiedere un'audizione personale

in sede di istruttoria, cui possono partecipare anche con l'assistenza di un avvocato.

2. Il procedimento sanzionatorio è retto dai principi del contraddittorio, della conoscenza degli atti istruttori, della

verbalizzazione nonché della distinzione tra funzioni istruttorie e funzioni decisorie.

3. (Comma abrogato, a decorrere dal 27 giugno 2015, dall'art. 5, comma 15, lett. b) decreto legislativo 12 maggio 2015 n. 72).

4. Avverso il provvedimento che applica la sanzione è ammesso ricorso alla corte d'appello del luogo in cui ha sede la società

o l'ente cui appartiene l'autore della violazione ovvero, nei casi in cui tale criterio non sia applicabile, del luogo in cui la

violazione è stata commessa. Il ricorso è notificato, a pena di decadenza, all'Autorità che ha emesso il provvedimento nel

termine di trenta giorni dalla comunicazione del provvedimento impugnato, ovvero sessanta giorni se il ricorrente risiede

all'estero, ed è depositato in cancelleria, unitamente ai documenti offerti in comunicazione, nel termine perentorio di trenta

giorni dalla notifica.

5. L'opposizione non sospende l'esecuzione del provvedimento. La corte d'appello, se ricorrono gravi motivi, può disporre la

sospensione con ordinanza non impugnabile.

6. Il Presidente della corte d'appello designa il giudice relatore e fissa con decreto l'udienza pubblica per la discussione

dell'opposizione. Il decreto è notificato alle parti a cura della cancelleria almeno sessanta giorni prima dell'udienza.

L’Autorità deposita memorie e documenti nel termine di dieci giorni prima dell'udienza. Se alla prima udienza l'opponente

non si presenta senza addurre alcun legittimo impedimento, il giudice, con ordinanza ricorribile per Cassazione, dichiara il

ricorso improcedibile, ponendo a carico dell'opponente le spese del procedimento.

7. All'udienza la corte d'appello dispone, anche d'ufficio, i mezzi di prova che ritiene necessari, nonché l'audizione personale

delle parti che ne abbiano fatto richiesta. Successivamente le parti procedono alla discussione orale della causa. La sentenza è

depositata in cancelleria entro sessanta giorni. Quando almeno una delle parti manifesta l'interesse alla pubblicazione

anticipata del dispositivo rispetto alla sentenza, il dispositivo è pubblicato mediante deposito in cancelleria non oltre sette

giorni dall'udienza di discussione.

7-bis. Con la sentenza la corte d'appello può rigettare l'opposizione, ponendo a carico dell'opponente le spese del

procedimento o accoglierla, annullando in tutto o in parte il provvedimento o riducendo l'ammontare o la durata della

sanzione.

8. Copia della sentenza è trasmessa, a cura della cancelleria della corte d'appello, all’Autorità che ha emesso il

provvedimento, anche ai fini della pubblicazione prevista dall'articolo 195-bis.

9. (Comma abrogato, a decorrere dal 27 giugno 2015, dall'art. 5, comma 15, lett. i) decreto legislativo 12 maggio 2015 n. 72).

Art. 195 bis: 1. Il provvedimento di applicazione delle sanzioni previste dal presente decreto è pubblicato senza ritardo e per

estratto nel sito internet della Banca d'Italia o della Consob, in conformità alla normativa europea di riferimento. Nel caso in

cui avverso il provvedimento di applicazione della sanzione sia adita l’autorità giudiziaria, la Banca d'Italia o la Consob

menzionano l'avvio dell'azione giudiziaria e l'esito della stessa a margine della pubblicazione. La Banca d'Italia o la Consob,

tenuto conto della natura della violazione e degli interessi coinvolti, possono stabilire modalità ulteriori per dare pubblicità al

provvedimento, ponendo le relative spese a carico dell'autore della violazione.

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INFORMAZIONI NON FINANZIARIE E GESTIONE DELLE DIVERSITÀ

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Si riepilogano, infine, in forma tabellare, le sanzioni applicabili:

ADEMPIMENTO IRREGOLARITÀ SOGGETTI SANZIONATI SANZIONE AMMINISTRATIVA

PECUNIARIA Deposito

della dichiarazione (individuale/consolidata)

Omessa Amministratori

dell’ente di interesse pubblico

da euro 20.000 a euro 100.000

Deposito della attesta-zione di conformità della

dichiarazione Omessa

Organo amministrativo

dell’ente di interesse pubblico

da euro 20.000 a euro 100.000

Deposito della attestazione di

conformità della dichiarazione volontaria

Omessa Amministratori dell’ente che non può usufruire della deroga

al controllo

da euro 10.000 a euro 50.000

Deposito della dichiarazione

(individuale/consolidata)

Tardiva (nei 30 gg) Amministratori da euro 20.000 a euro 100.000

Ridotta a 1/3 Deposito della attestazione di

conformità della dichiarazione

obbligatoria

Tardiva (nei 30 gg) Amministratori da euro 20.000 a euro 100.000

Ridotta a 1/3

Deposito della attestazio-ne di conformità della

dichiarazione volontaria

Tardiva (nei 30 gg) Amministratori dell’ente che non può usufruire della deroga al controllo

da euro 10.000 a euro 50.000 Ridotta a 1/3

Dichiarazione (individuale/consolidata)

Non conformità Amministratori e organo di controllo

dell’ente di interesse pubblico

da euro 20.000 a euro 100.000

Dichiarazione (individuale/consolidata)

Omesso referto della non

conformità nella relazione annuale

all’assemblea

Organo di controllo dell’ente di interesse

pubblico

da euro 20.000 a euro 100.000

Dichiarazione Non conformità Amministratori e da euro 20.000

2. Nel provvedimento di applicazione della sanzione, la Banca d'Italia o la Consob dispongono la pubblicazione in forma

anonima del provvedimento sanzionatorio quando quella ordinaria:

a) abbia ad oggetto dati personali ai sensi del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, la cui pubblicazione appaia

sproporzionata rispetto alla violazione sanzionata;

b) possa comportare rischi per la stabilità dei mercati finanziari o pregiudicare lo svolgimento di un'indagine penale in corso;

c) possa causare un danno sproporzionato ai soggetti coinvolti, purché tale danno sia determinabile.

3. Se le situazioni descritte nel comma 2 hanno carattere temporaneo, la pubblicazione può essere rimandata ed effettuata

quando dette esigenze sono venute meno.

3-bis. La Banca d'Italia o la Consob possono escludere la pubblicità del provvedimento sanzionatorio, se consentito dal diritto

dell'Unione europea, nel caso in cui le opzioni stabilite dai commi 2 e 3 siano ritenute insufficienti ad assicurare:

a) che la stabilità dei mercati finanziari non sia messa a rischio;

b) la proporzionalità della pubblicazione delle decisioni rispetto all'irrogazione della sanzione prevista dall'articolo 194-

quater.

Art. 196 bis: 1. La Consob e la Banca d'Italia, secondo le rispettive competenze, emanano disposizioni di attuazione del pre-

sente titolo.”

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IL REGIME SANZIONATORIO

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ADEMPIMENTO IRREGOLARITÀ SOGGETTI SANZIONATI SANZIONE AMMINISTRATIVA

PECUNIARIA (individuale/consolidata)

volontaria organo di controllo dell’ente che non può usufruire della deroga al controllo

a euro 100.000 Ridotta a 1/2

Dichiarazione (individuale/consolidata)

Omessa verifica di sussistenza

Soggetto incaricato alla revisione legale

del bilancio

da euro 20.000 a euro 50.000

Attestazione di conformità della

dichiarazione (individuale/consolidata)

Omessa o errata Soggetto incaricato alla revisione legale del bilancio /altro

designato

da euro 20.000 a euro 100.000

Dichiarazione (individuale/consolidata)

Omessi fatti rilevanti / Presenza di fatti non rispondenti al

vero

Amministratori e organo di controllo

dell’ente di interesse pubblico

da euro 50.000 a euro 150.000

Dichiarazione (individuale/consolidata)

volontaria

Omessi fatti rilevanti / Presenza di fatti non rispondenti al

vero

Amministratori e organo di controllo dell’ente che non può usufruire della deroga al controllo

da euro 50.000 a euro 150.000

Ridotta a 1/2

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INFORMAZIONI NON FINANZIARIE E GESTIONE DELLE DIVERSITÀ

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APPENDICE NORMATIVA

DECRETO LEGISLATIVO 30.12.2016 N. 254

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INFORMAZIONI NON FINANZIARIE E GESTIONE DELLE DIVERSITÀ

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DECRETO LEGISLATIVO 30.12.2016 N. 254

ATTUAZIONE DELLA DIRETTIVA 2014/95/UE DEL PARLAMENTO EUROPEO E DEL CONSIGLIO DEL 22 OTTOBRE 2014, RECANTE MODIFICA ALLA DIRETTIVA 2013/34/UE PER QUANTO RIGUAR-DA LA COMUNICAZIONE DI INFORMAZIONI DI CARATTERE NON FINANZIARIO E DI INFORMAZIONI SULLA DIVERSITÀ DA PARTE DI TALUNE IMPRESE E DI TALUNI GRUPPI DI GRANDI DIMENSIONI1

Il presente provvedimento è in vigore dal 25.1.2017

Preambolo

IL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA

Visti gli articoli 76, 87, quinto comma, e 117, secondo comma, della Costituzione;

Vista la direttiva 2014/95/UE del Parlamento europeo e del Consiglio del 22 ottobre

2014, recante modifica della direttiva 2013/34/UE per quanto riguarda la comunicazio-

ne di informazioni di carattere non finanziario e di informazioni sulla diversità da par-

te di talune imprese e di taluni gruppi di grandi dimensioni;

Vista la legge 9 luglio 2015, n. 114, recante delega al Governo per il recepimento delle

direttive europee e l’attuazione di altri atti dell’Unione europea (legge di delegazione

europea 2014), in particolare l’articolo 1, commi 1 e 3, e l’allegato B;

Vista la legge 24 dicembre 2012, n. 234, recante norme generali sulla partecipazione

dell’Italia alla formazione e all’attuazione della normativa e delle politiche dell’Unione

europea;

Visto il decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58, recante il Testo unico delle disposi-

zioni in materia di intermediazione finanziaria, ai sensi degli articoli 8 e 21 della legge

6 febbraio 1996, n. 52;

Vista la preliminare deliberazione del Consiglio dei ministri, adottata nella riunione del

4 ottobre 2016;

Acquisiti i pareri delle competenti Commissioni parlamentari della Camera dei deputati

e del Senato della Repubblica;

Vista la deliberazione del Consiglio dei ministri, adottata nella riunione del 23 dicembre

2016;

Sulla proposta del Presidente del Consiglio dei ministri e del Ministro dell’economia e

delle finanze, di concerto con i Ministri degli affari esteri e della cooperazione interna-

zionale, dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, della giustizia, del lavoro

e delle politiche sociali e dello sviluppo economico;

1 Pubblicato nella G.U. 10.1.2017 n. 7.

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DLGS. 30.12.2016 N. 254

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Emana

il seguente decreto legislativo:

Art. 1 - Definizioni

1. Ai soli fini del presente decreto legislativo si intendono per:

a) «enti di interesse pubblico»: gli enti indicati all’articolo 16, comma 1, del decreto

legislativo 27 gennaio 2010, n. 39;2

b) «gruppo di grandi dimensioni»: il gruppo costituito da una società madre e una o

più società figlie che, complessivamente, abbiano avuto su base consolidata, in me-

dia, durante l’esercizio finanziario un numero di dipendenti superiore a cinque-

cento ed il cui bilancio consolidato soddisfi almeno uno dei due seguenti criteri:

1) totale dell’attivo dello stato patrimoniale superiore a 20.000.000 di euro;

2) totale dei ricavi netti delle vendite e delle prestazioni superiore a 40.000.000

di euro;

c) «società madre»: l’impresa, avente la qualifica di ente di interesse pubblico, tenu-

ta alla redazione del bilancio consolidato ai sensi del decreto legislativo 9 aprile

1991, n. 127, o alla redazione del bilancio consolidato secondo i principi contabili

internazionali se ricompresa nell’ambito di applicazione del decreto legislativo 28

febbraio 2005, n. 38;

d) «società figlia»: l’impresa inclusa nel perimetro di consolidamento di un’altra

impresa ai sensi del decreto legislativo 9 aprile 1991, n.127, o nel perimetro di

consolidamento di un’impresa tenuta alla redazione del bilancio consolidato se-

condo i principi contabili internazionali in quanto ricompresa nell’ambito di ap-

plicazione del decreto legislativo 28 febbraio 2005, n. 38;

e) «società madre europea»: impresa soggetta al diritto di un altro Stato membro

dell’Unione europea e tenuta alla redazione del bilancio consolidato ai sensi del-

la direttiva 2013/34/UE;

f) «standard di rendicontazione»: gli standard e le linee guida emanati da autorevoli

organismi sovranazionali, internazionali o nazionali, di natura pubblica o priva-

ta, funzionali, in tutto o in parte, ad adempiere agli obblighi di informativa non

finanziaria previsti dal presente decreto legislativo e dalla direttiva 2014/95/UE

del Parlamento europeo e del Consiglio del 22 ottobre 2014;

g) «metodologia autonoma di rendicontazione»: l’insieme composito, costituito da uno

o più standard di rendicontazione, come definiti alla lettera f), e dagli ulteriori

2 Art. 16 DLgs. 27.1.2010 n. 39 - Enti di interesse pubblico

Le disposizioni del presente capo si applicano agli enti di interesse pubblico e ai revisori legali e alle società di revisione

legale incaricati della revisione legale presso enti di interesse pubblico. Sono enti di interesse pubblico: a) le società italiane emittenti valori mobiliari ammessi alla negoziazione su mercati regolamentati italiani e

dell'Unione europea; b) le banche; c) le imprese di assicurazione di cui all' articolo 1, comma 1, lettera u), del codice delle assicurazioni private; d) le imprese di riassicurazione di cui all' articolo 1, comma 1, lettera cc), del codice delle assicurazioni private, con sede

legale in Italia, e le sedi secondarie in Italia delle imprese di riassicurazione extracomunitarie di cui all'articolo 1, comma 1, lettera cc-ter), del codice delle assicurazioni private.

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INFORMAZIONI NON FINANZIARIE E GESTIONE DELLE DIVERSITÀ

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principi, criteri ed indicatori di prestazione, autonomamente individuati ed integra-

tivi rispetto a quelli previsti dagli standard di rendicontazione adottati, che risulti

funzionale ad adempiere agli obblighi di informativa non finanziaria previsti dal

presente decreto legislativo e dalla direttiva 2014/95/UE del Parlamento europeo e

del Consiglio del 22 ottobre 2014.

Art. 2 - Ambito di applicazione

1. Gli enti di interesse pubblico redigono per ogni esercizio finanziario una dichiarazione

conforme a quanto previsto dall’articolo 3, qualora abbiano avuto, in media, durante

l’esercizio finanziario un numero di dipendenti superiore a cinquecento e, alla data di

chiusura del bilancio, abbiano superato almeno uno dei due seguenti limiti dimensionali:

a) totale dello stato patrimoniale: 20.000.000 di euro;

b) totale dei ricavi netti delle vendite e delle prestazioni: 40.000.000 di euro.

2. Gli enti di interesse pubblico che siano società madri di un gruppo di grandi dimen-

sioni redigono per ogni esercizio finanziario una dichiarazione conforme a quanto pre-

visto dall’articolo 4.

Art. 3 - Dichiarazione individuale di carattere non finanziario

1. La dichiarazione individuale di carattere non finanziario, nella misura necessaria ad

assicurare la comprensione dell’attività di impresa, del suo andamento, dei suoi risul-

tati e dell’impatto dalla stessa prodotta, copre i temi ambientali, sociali, attinenti al per-

sonale, al rispetto dei diritti umani, alla lotta contro la corruzione attiva e passiva, che

sono rilevanti tenuto conto delle attività e delle caratteristiche dell’impresa, descriven-

do almeno:

a) il modello aziendale di gestione ed organizzazione delle attività dell’impresa, ivi

inclusi i modelli di organizzazione e di gestione eventualmente adottati ai sensi

dell’articolo 6, comma 1, lettera a), del decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231,

anche con riferimento alla gestione dei suddetti temi;

b) le politiche praticate dall’impresa, comprese quelle di dovuta diligenza, i

risultati conseguiti tramite di esse ed i relativi indicatori fondamentali di presta-

zione di carattere non finanziario;

c) i principali rischi, generati o subiti, connessi ai suddetti temi e che derivano dal-

le attività dell’impresa, dai suoi prodotti, servizi o rapporti commerciali, incluse,

ove rilevanti, le catene di fornitura e subappalto.

2. In merito agli ambiti di cui al comma 1, la dichiarazione di carattere non finanziario

contiene almeno informazioni riguardanti:

a) l’utilizzo di risorse energetiche, distinguendo fra quelle prodotte da fonti rin-

novabili e non rinnovabili, e l’impiego di risorse idriche;

b) le emissioni di gas ad effetto serra e le emissioni inquinanti in atmosfera;

c) l’impatto, ove possibile sulla base di ipotesi o scenari realistici anche a medio

termine, sull’ambiente nonchè sulla salute e la sicurezza, associato ai fattori di

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rischio di cui al comma 1, lettera c), o ad altri rilevanti fattori di rischio ambien-

tale e sanitario;

d) aspetti sociali e attinenti alla gestione del personale, incluse le azioni poste in

essere per garantire la parità di genere, le misure volte ad attuare le convenzio-

ni di organizzazioni internazionali e sovranazionali in materia, e le modalità

con cui è realizzato il dialogo con le parti sociali;

e) rispetto dei diritti umani, le misure adottate per prevenirne le violazioni, non-

chè le azioni poste in essere per impedire atteggiamenti ed azioni comunque

discriminatori;

f) lotta contro la corruzione sia attiva sia passiva, con indicazione degli strumenti

a tal fine adottati.

3. Le informazioni di cui ai commi 1 e 2 sono fornite con un raffronto in relazione a

quelle fornite negli esercizi precedenti, secondo le metodologie ed i principi previsti dallo

standard di rendicontazione utilizzato quale riferimento o dalla metodologia di rendicon-

tazione autonoma utilizzata ai fini della redazione della dichiarazione e, ove opportuno,

sono corredate da riferimenti alle voci ed agli importi contenuti nel bilancio. Nella rela-

zione è fatta esplicita menzione dello standard di rendicontazione adottato e nel caso in

cui lo standard di rendicontazione utilizzato differisca da quello a cui è stato fatto riferi-

mento per la redazione della dichiarazione riferita al precedente esercizio, ne è illustrata

la motivazione.

4. Qualora si faccia ricorso ad una metodologia di rendicontazione autonoma è fornita

una chiara ed articolata descrizione della stessa e delle motivazioni per la sua adozione

all’interno della dichiarazione non finanziaria. Parimenti, sono descritti gli eventuali

cambiamenti intervenuti rispetto agli esercizi precedenti, con la relativa motivazione.

5. Ai fini della rendicontazione, gli indicatori di prestazione utilizzati, di cui al comma

1, lettera b), sono quelli previsti dallo standard di rendicontazione adottato e sono

rappresentativi dei diversi ambiti, nonchè coerenti con l’attività svolta e gli impatti da

essa prodotti. Nel caso in cui si faccia ricorso ad una metodologia autonoma di rendi-

contazione, ovvero nel caso in cui gli indicatori di prestazione previsti dallo standard di

rendicontazione adottato non siano del tutto adeguati o sufficienti a rappresentare con

coerenza l’attività svolta e gli impatti da essa prodotti, l’impresa seleziona gli indicatori

più adatti a tale scopo, fornendo in maniera chiara e articolata le ragioni sottese a tale

scelta. La scelta degli indicatori di prestazione è effettuata anche tenendo conto, ove

opportuno, degli orientamenti emanati dalla Commissione europea in forza di quanto

previsto dalla direttiva 2014/95/UE.

6. Gli enti di interesse pubblico soggetti all’obbligo di redigere la dichiarazione di

carattere non finanziario che non praticano politiche in relazione a uno o più degli am-

biti di cui al comma 1, forniscono all’interno della medesima dichiarazione, per ciascu-

no di tali ambiti, le motivazioni di tale scelta, indicandone le ragioni in maniera chiara

e articolata.

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7. La responsabilità di garantire che la relazione sia redatta e pubblicata in conformità a

quanto previsto dal presente decreto legislativo compete agli amministratori dell’ente di

interesse pubblico. Nell’adempimento dei loro obblighi costoro agiscono secondo criteri

di professionalità e diligenza. L’organo di controllo, nell’ambito dello svolgimento delle

funzioni ad esso attribuite dall’ordinamento, vigila sull’osservanza delle disposizioni

stabilite nel presente decreto e ne riferisce nella relazione annuale all’assemblea.

8. Fermi restando gli obblighi discendenti dalla ammissione o dalla richiesta di ammissione

di valori mobiliari alla negoziazione in un mercato regolamentato, previa deliberazione

motivata dell’organo di amministrazione, sentito l’organo di controllo, nella dichiarazione

di carattere non finanziario possono essere omesse, in casi eccezionali, le informazioni con-

cernenti sviluppi imminenti ed operazioni in corso di negoziazione, qualora la loro

divulgazione possa compromettere gravemente la posizione commerciale dell’impresa.

Qualora si avvalga di questa facoltà, l’ente di interesse pubblico ne fa menzione nella di-

chiarazione non finanziaria con esplicito rimando al presente comma. L’omissione non è

comunque consentita quando ciò possa pregiudicare una comprensione corretta ed equili-

brata dell’andamento dell’impresa, dei suoi risultati e della sua situazione, nonchè degli im-

patti prodotti dalla sua attività in relazione agli ambiti di cui al comma 1.

9. Per i soggetti che adempiano agli obblighi del presente articolo presentando la dichiara-

zione di carattere non finanziario nella relazione sulla gestione ai sensi dell’articolo 5,

comma 1, lettera a), si considerano assolti gli obblighi di cui al primo e secondo comma

dell’articolo 2428 del codice civile, all’articolo 41, comma 2, del decreto legislativo 18 agosto

2015, n. 136, e di cui all’articolo 94, al comma 1-bis, del decreto legislativo 7 settembre 2005,

n. 209, limitatamente all’analisi delle informazioni di carattere non finanziario.

10. Il soggetto incaricato di effettuare la revisione legale del bilancio verifica l’avvenuta

predisposizione da parte degli amministratori della dichiarazione di carattere non

finanziario. Lo stesso soggetto, o altro soggetto abilitato allo svolgimento della revisione

legale appositamente designato, esprime, con apposita relazione distinta da quella di

cui all’articolo 14 del decreto legislativo 27 gennaio 2010, n. 39, un’attestazione circa la

conformità delle informazioni fornite rispetto a quanto richiesto dal presente decreto

legislativo e rispetto ai principi, alle metodologie e alle modalità previste dal comma 3.

Le conclusioni sono espresse sulla base della conoscenza e della comprensione che il

soggetto incaricato di effettuare l’attività di controllo sulla dichiarazione non finanzia-

ria ha dell’ente di interesse pubblico, dell’adeguatezza dei sistemi, dei processi e delle

procedure utilizzate ai fini della preparazione della dichiarazione di carattere non

finanziario. Nel caso in cui la dichiarazione di carattere non finanziario sia contenuta

nella relazione sulla gestione ai sensi dell’articolo 5, comma 1, lettera a), il giudizio di

cui all’articolo 14, comma 2, lettera e), del decreto legislativo 27 gennaio 2010, n. 39,

non comprende detta dichiarazione, che rimane oggetto dell’obbligo di attestazione di

cui al presente comma. La relazione, datata e sottoscritta dal soggetto allo scopo

designato, è allegata alla dichiarazione di carattere non finanziario e pubblicata

congiuntamente ad essa secondo le modalità di cui all’articolo 5.

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Art. 4 - Dichiarazione consolidata di carattere non finanziario

1. Nella misura necessaria ad assicurare la comprensione dell’attività del gruppo, del

suo andamento, dei suoi risultati e dell’impatto dalla stessa prodotta, la dichiarazione

consolidata comprende i dati della società madre, delle sue società figlie consolidate

integralmente e copre i temi di cui all’articolo 3, comma 1.

2. Si applicano integralmente, in quanto compatibili, le disposizioni di cui all’articolo 3.

3. Per le società madri che adempiano agli obblighi del presente articolo presentando la

dichiarazione consolidata di carattere non finanziario nella relazione sulla gestione ai

sensi dell’articolo 5, comma 1, lettera a), si considerano assolti gli obblighi di cui

comma 1-bis dell’articolo 40 del decreto legislativo 9 aprile 1991, n. 127, all’articolo 41,

comma 2, del decreto legislativo 18 agosto 2015, n. 136, e di cui all’ articolo 100, comma

1-bis, del decreto legislativo 7 settembre 2005, n. 209, limitatamente all’analisi delle

informazioni di carattere non finanziario.

Art. 5 - Collocazione della dichiarazione e regime di pubblicità

1. La dichiarazione individuale di carattere non finanziario può:

a) essere contenuta a seconda dei casi, nella relazione sulla gestione di cui all’arti-

colo 2428 del codice civile, all’articolo 41 del decreto legislativo 18 agosto 2015,

n. 136, all’articolo 94 del decreto legislativo 7 settembre 2005, n. 209, di cui in tal

caso costituisce una specifica sezione come tale contrassegnata;

b) costituire una relazione distinta, fermo restando l’obbligo di essere contrassegna-

ta comunque da analoga dicitura. Una volta approvata dall’organo di ammini-

strazione, la relazione distinta è messa a disposizione dell’organo di controllo e

del soggetto incaricato di svolgere i compiti di cui all’articolo 3, comma 10 entro

gli stessi termini previsti per la presentazione del progetto di bilancio, ed è ogget-

to di pubblicazione sul registro delle imprese, a cura degli amministratori stessi,

congiuntamente alla relazione sulla gestione.

2. La specifica sezione della relazione sulla gestione individuale contiene le informazioni

richieste oppure può indicare le altre sezioni della relazione sulla gestione, ovvero le

altre relazioni previste da norme di legge, ivi compresa la relazione distinta di cui al com-

ma 1, lettera b), dove reperire le informazioni richieste, indicando altresì la sezione del

sito internet dell’ente di interesse pubblico dove queste sono pubblicate.

3. La dichiarazione consolidata di carattere non finanziario può:

a) essere contenuta, a seconda dei casi, nella relazione sulla gestione di cui al-

l’articolo 40 del decreto legislativo 9 aprile 1991, n. 127, all’articolo 41 del decre-

to legislativo 18 agosto 2015, n. 136, all’articolo 100 del decreto legislativo 7 set-

tembre 2005, n. 209, di cui in tal caso costituisce una specifica sezione come tale

contrassegnata;

b) costituire una relazione distinta, fermo restando l’obbligo di essere contrassegnata

comunque da analoga dicitura. Una volta approvata dall’organo di amministra-

zione, la relazione distinta è messa a disposizione dell’organo di controllo e del sog-

getto incaricato di svolgere i compiti di cui all’articolo 3, comma 10 entro gli stessi

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termini previsti dalle norme di legge per la presentazione del progetto di bilancio

consolidato, ed è oggetto di pubblicazione, sul registro delle imprese, a cura degli

amministratori stessi, congiuntamente alla relazione consolidata sulla gestione.

4. La specifica sezione della relazione sulla gestione consolidata contiene le informazioni

richieste oppure può indicare le altre sezioni della relazione sulla gestione, ovvero le

altre relazioni previste da norme di legge, ivi compresa la relazione distinta di cui al

comma 3, lettera b), dove reperire le informazioni richieste, indicando altresì la sezione

del sito internet dell’ente di interesse pubblico dove queste sono pubblicate.

Art. 6 - Esonero e casi di equivalenza

1. Un ente di interesse pubblico ricompreso nell’ambito di applicazione del presente

decreto legislativo non è soggetto all’obbligo di redigere la dichiarazione di cui all’articolo

3 qualora tale ente di interesse pubblico rediga una dichiarazione consolidata di caratte-

re non finanziario ai sensi dell’articolo 4, oppure tale ente e le sue eventuali società figlie

sono ricomprese nella dichiarazione di carattere non finanziario consolidata resa:

a) da un’altra società madre soggetta ai medesimi obblighi o

b) da una società madre europea che redige tali dichiarazioni ai sensi e conforme-

mente agli articoli 19-bis e 29-bis della direttiva 2013/34/UE.

2. Un ente di interesse pubblico che è società madre di un gruppo di grandi dimensioni

non è soggetto all’obbligo di redigere la dichiarazione di cui all’articolo 4 qualora tale

ente di interesse pubblico è anche una società figlia ricompresa nella dichiarazione

consolidata di carattere non finanziario resa da:

a) una società madre soggetta ai medesimi obblighi o

b) una società madre europea che redige tali dichiarazione ai sensi e conforme-

mente agli articoli 19-bis e 29-bis della direttiva 2013/34/UE.

Art. 7 - Dichiarazioni volontarie di carattere non finanziario conformi

1. I soggetti diversi da quelli ricompresi nell’ambito di applicazione di cui all’articolo 2

che, su base volontaria, redigono e pubblicano dichiarazioni individuali o consolidate

non finanziarie e che si attengono a quanto disposto dal presente decreto legislativo,

possono apporre su dette dichiarazioni la dicitura di conformità allo stesso. Nel caso in

cui la revisione legale sia svolta dal collegio sindacale, l’attività di controllo di cui all’ar-

ticolo 3, comma 10, è svolta da un altro soggetto abilitato allo svolgimento della revisio-

ne legale dei conti.

2. Le dichiarazioni volontarie di carattere non finanziario conformi al presente decreto

legislativo sono redatte sulla base di quanto previsto dagli articoli 3, se su base indivi-

duale, e 4, se su base consolidata, tenendo conto delle dimensioni in termini di numero

di dipendenti, di valori di bilancio e dello svolgimento o meno di attività transfrontalie-

ra, secondo criteri di proporzionalità, in modo che non sia comunque compromessa la

corretta comprensione dell’attività svolta, del suo andamento, dei suoi risultati e

dell’impatto prodotto.

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3. I soggetti di cui al comma 1 che redigono dichiarazioni volontarie di carattere non finan-

ziario, su base individuale o consolidata, conformi a quanto previsto dai commi 1 e 2,

possono derogare alle disposizioni sull’attività di controllo di cui all’articolo 3, comma 10, e

comunque riportare la dicitura di conformità al presente decreto legislativo purchè:

a) la dichiarazione indichi chiaramente, sia nell’intestazione e sia al suo interno, il

mancato assoggettamento della stessa alla citata attività di controllo;

b) alla data di chiusura dell’esercizio di riferimento siano soddisfatti almeno due

dei seguenti limiti dimensionali:

1) numero di dipendenti durante l’esercizio inferiore a duecentocinquanta;

2) totale dello stato patrimoniale inferiore a 20.000.000 di euro;

3) totale dei ricavi netti delle vendite e delle prestazioni inferiore a 40.000.000

di euro.

Art. 8 - Sanzioni

1. Agli amministratori dell’ente di interesse pubblico, obbligato a norma del presente

decreto, i quali omettono di depositare, nei termini prescritti, presso il registro delle im-

prese la dichiarazione individuale o consolidata di carattere non finanziario, si applica

una sanzione amministrativa pecuniaria da euro 20.000 ad euro 100.000. Se il deposito

avviene nei trenta giorni successivi alla scadenza dei termini prescritti, la sanzione

amministrativa pecuniaria è ridotta ad un terzo.

2. La sanzione di cui al comma 1 si applica agli amministratori dell’ente di interesse

pubblico ovvero, ridotta della metà, agli amministratori del soggetto di cui all’articolo 7

che non può derogare all’attività di controllo di cui all’articolo 3, comma 10, che omet-

tono di allegare alla dichiarazione individuale o consolidata di carattere non finanzia-

rio, depositata presso il registro delle imprese, l’attestazione di cui al citato comma 10

dell’articolo 3.

3. Salvo che il fatto non integri l’illecito amministrativo di cui al comma 4, quando la

dichiarazione individuale o consolidata di carattere non finanziario depositata presso il

registro delle imprese non è redatta in conformità a quanto prescritto dagli articoli 3 e 4,

agli amministratori si applica una sanzione amministrativa pecuniaria da euro 20.000 ad

euro 100.000. La medesima sanzione si applica ai componenti dell’organo di controllo

che, in violazione dei propri doveri di vigilanza e di referto previsti dall’articolo 3,

comma 7, omettono di riferire all’assemblea che la dichiarazione individuale o conso-

lidata di carattere non finanziario non è redatta in conformità a quanto prescritto dagli

articoli 3 e 4. La sanzione di cui al presente comma, ridotta della metà, si applica agli

amministratori e ai componenti dell’organo di controllo, se presente, dei soggetti di cui

all’articolo 7, comma 1, che hanno attestato la conformità al presente decreto di una

dichiarazione individuale o consolidata di carattere non finanziario, depositata presso il

registro delle imprese, non redatta secondo quanto disposto dagli articoli 3 e 4.

4. Salvo che il fatto costituisca reato, quando la dichiarazione individuale o consolidata

di carattere non finanziario depositata presso il registro delle imprese contiene fatti

materiali rilevanti non rispondenti al vero ovvero omette fatti materiali rilevanti la cui

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informazione è prevista ai sensi degli articoli 3 e 4 del presente decreto, agli ammini-

stratori e ai componenti dell’organo di controllo dell’ente di interesse pubblico si appli-

ca una sanzione amministrativa pecuniaria da euro 50.000 ad euro 150.000. La sanzio-

ne di cui al presente comma, ridotta della metà, si applica agli amministratori e ai com-

ponenti dell’organo di controllo, se presente, dei soggetti di cui all’articolo 7, comma 1,

quando presso il registro delle imprese è depositata una dichiarazione individuale o

consolidata di carattere non finanziario, di cui è attestata la conformità ai sensi del-

l’articolo 7, comma 1, contenente fatti materiali rilevanti non rispondenti al vero ovve-

ro nella quale risultano omessi fatti materiali rilevanti la cui informazione è imposta

dagli articoli 3 e 4 del presente decreto.

5. Al soggetto di cui all’articolo 3, comma 10, primo periodo, che omette di verificare

l’avvenuta predisposizione della dichiarazione di carattere non finanziario si applica

una sanzione amministrativa pecuniaria da euro 20.000 ad euro 50.000. Al soggetto di

cui all’articolo 3, comma 10, secondo periodo, che omette di effettuare l’attestazione di

conformità di cui alla medesima disposizione, si applica una sanzione amministrativa

pecuniaria da euro 20.000 ad euro 100.000. Al medesimo soggetto si applica la sanzione

di cui al periodo precedente quando, in violazione dei principi di comportamento e

delle modalità di svolgimento dell’incarico di verifica di cui all’articolo 9, comma 1,

lettera c), attesta la conformità al presente decreto, a norma dell’articolo 3, comma 10,

di una dichiarazione individuale o consolidata di carattere non finanziario, depositata

presso il registro delle imprese, non redatta in conformità agli articoli 3 e 4.

6. Per l’accertamento e l’irrogazione delle sanzioni amministrative pecuniarie di cui al

presente articolo è competente la Consob e si osservano le disposizioni previste dagli arti-

coli 194-bis, 195, 195-bis e 196-bis, del decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58. Le somme

derivanti dal pagamento delle sanzioni sono versate all’entrata del bilancio dello Stato.

Art. 9 - Poteri e coordinamento tra le Autorità

1. Fermo restando quanto previsto all’articolo 4 del decreto legislativo 24 febbraio 1998,

n. 58, la Consob, sentite Banca d’Italia e IVASS, per i profili di competenza con riferi-

mento ai soggetti da esse vigilati, disciplina con regolamento:

a) le modalità di trasmissione diretta alla Consob della dichiarazione di carattere

non finanziario da parte dei soggetti di cui agli articoli 2 e 7 del presente decreto,

e, fermo restando quanto stabilito dall’articolo 5 del presente decreto, le eventuali

ulteriori modalità di pubblicazione della dichiarazione nonchè delle informazioni

richieste dalla Consob ai sensi del comma 2 del presente articolo;

b) le modalità e i termini per il controllo dalla stessa effettuato sulle dichiarazioni

di carattere non finanziario, anche con riferimento ai poteri conferiti ai sensi

del comma 3, lettera b) del presente articolo;

c) i principi di comportamento e le modalità di svolgimento dell’incarico di

verifica della conformità delle informazioni da parte dei revisori.

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2. In caso di dichiarazione incompleta o non conforme agli articoli 3 e 4, la Consob ri-

chiede ai soggetti di cui agli articoli 2 e 7 le necessarie modifiche o integrazioni e fissa il

termine per l’adeguamento. In caso di mancato adeguamento, si applica l’articolo 8.

3. La Consob può altresì esercitare:

a) nei confronti dei revisori incaricati dei compiti di cui all’articolo 3, comma 10, i po-

teri di cui all’articolo 22, comma 2, del decreto legislativo 27 gennaio 2010, n. 39;

b) limitatamente all’assolvimento dei compiti di cui al presente decreto legislativo, i

poteri di cui all’articolo 115, comma 1, lettere. a), b) e c), del decreto legislativo 24

febbraio 1998, n. 58, nei confronti degli enti di cui all’articolo 2 del presente decreto

e dei soggetti diversi che pubblichino informazioni non finanziarie ai sensi del-

l’articolo 7 del presente decreto nonchè dei componenti dei loro organi sociali.

Art. 10 - Modifiche al decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58

1. All’articolo 123-bis del decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58, sono apportate le

seguenti modificazioni:

a) al comma 2, dopo la lettera d), è aggiunta la seguente: «d-bis) una descrizione

delle politiche in materia di diversità applicate in relazione alla composizione

degli organi di amministrazione, gestione e controllo relativamente ad aspetti

quali l’età, la composizione di genere e il percorso formativo e professionale,

nonchè una descrizione degli obiettivi, delle modalità di attuazione e dei

risultati di tali politiche. Nel caso in cui nessuna politica sia applicata, la società

motiva in maniera chiara e articolata le ragioni di tale scelta.»;

b) al comma 4, le parole: «di cui all’articolo 156, comma 4-bis, lettera d)» sono

sostituite dalle seguenti: «di cui all’articolo 14, comma 2, lettera e), del decreto

legislativo 27 gennaio 2010, n. 39», e le parole: «sia stata elaborata una relazione

sul governo societario e gli assetti proprietari» sono sostituite dalle seguenti:

«siano state fornite le informazioni di cui al comma 2, lettere a), c), d) e d-bis), del

presente articolo»;

c) dopo il comma 5 è aggiunto il seguente: «5-bis. Possono omettere la pubblicazione

delle informazioni di cui al comma 2, lettera d-bis), le società che alla data di chiu-

sura dell’esercizio di riferimento non superino almeno due dei seguenti parametri:

a) totale dello stato patrimoniale: 20.000.000 di euro;

b) totale dei ricavi netti delle vendite e delle prestazioni: 40.000.000 di euro;

c) numero medio di dipendenti durante l’esercizio finanziario pari a duecen-

tocinquanta.».

Art. 11 - Clausola di invarianza finanziaria

1. Dall’attuazione del presente decreto legislativo non devono derivare nuovi o maggio-

ri oneri a carico della finanza pubblica.

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Art. 12 - Entrata in vigore

1. Le disposizioni del presente decreto si applicano, con riferimento alle dichiarazioni e

relazioni relative, agli esercizi finanziari aventi inizio a partire dal 1° gennaio 2017.

2. In sede di prima applicazione della disciplina, gli enti di interesse pubblico di cui al-

l’articolo 2 ed all’articolo 7 del presente decreto possono fornire un raffronto solo som-

mario e qualitativo rispetto agli esercizi precedenti.

Il presente decreto, munito del sigillo dello Stato, sarà inserito nella Raccolta ufficiale

degli atti normativi della Repubblica italiana. È fatto obbligo a chiunque spetti di osser-

varlo e di farlo osservare.