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77 Dicembre 2014 [email protected] http://www.caritaspisa.it Caritas Informa – Pastorale Il servizio alla carità nel Piano 2014-18 – Immigrazione Il Dossier Unar: stranieri sempre più toscani – Caritas Parrocchiali “Non fate da soli quello che potreste fare in tre” “Non prendete nulla per il viaggio” (Lc 9,2)

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77Dicembre [email protected]://www.caritaspisa.it

CaritasInforma

– PastoraleIl servizio alla caritànel Piano 2014-18

– ImmigrazioneIl Dossier Unar: stranierisempre più toscani

– Caritas Parrocchiali“Non fate da soli quelloche potreste fare in tre”

“Non prendetenulla per

il viaggio”(Lc 9,2)

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InformaCaritasCaritas Diocesana di Pisa

Indice

Periodico della Caritas Diocesana di PisaAut. Trib. Pisa n.15/2000 del 10/8/2000Redazione: p.za Arcivescovado, 1856100 PISA – tel. 050.560.952 fax [email protected] - http://www.caritaspisa.it

Direttore Responsabile: Francesco PalettiRedazione: Andrea Bernardini, Francesca Bianchi, Federico Russo

Grafica & Impaginazione: DIGITAL 335.5345.660

Foto: Archivio Caritas, P.Del Freo

Finito di stampare: dicembre 2014 su carta riciclata e senza cloroda IGP-Pacini Editore – via A.Gherardesca, 1 56121 PISA

Come contribuire:ccp 11989563, intestato a:Caritas Diocesana di Pisa, p.za Arcivescovado, 18 – 56126 Pisa

ccb IBAN IT 86 L 01030 14010 000000390954intestato a Arcidiocesi di Pisa - Caritas Diocesana

Versamento direttamente in Caritas,il Martedì, Mer/Gio/Ven, dalle 9.00 alle 12.00.

NB. È importante indicare sempre nella causaledel versamento la destinazione delle offerte.

EditorialeUna chiesa con le porte spalancate...in attesa del Dio che viene! ............................................... 3Avvento‘Cibo per tutti’... alla Cittadella della SolidarietàIl monito del presidente di Caritas Italiana monsignor La campagna nazionale sul diritto al cibo, fortemente voluta da Papa Francesco e la struttura del Cep al centro delle microrealizzazioni .............................................................. 4Al via “Fermo Immagine” 2015, la fotografia delle Caritas parrocchiali ......................................................................... 4Pastorale“La Caritas, strumento per cogliere il valore della disciplina della comunione”L’attenzione al servizio della carità nel piano pastorale 2014-2018: “Necessario un sempre maggiore coordinamento per sviluppare il senso di appartenenza alla chiesa” ............... 52017-18: una Caritas in ogni unità pastorale ........................... 6

Speciale convegno ecclesialeVerso Firenze. Questioni aperteQuattro spunti di riflessione dalla relazione del direttore de Il Regno Gianfranco Brunelli al convegno di Firenze del 5 giugno scorso .................................................................................. 7Lo stile cristiano oggi ............................................................. 7“Promotori di reti di prossimità in mezzo alla gente”L’intervento di monsignor Giuseppe Merisi, vescovo di Lodi e presidente di Caritas Italiana e della Commissione episcopale per il serivizio della carità ................................................................ 9Don Soddu: “La carità come criterio fondativo”I segni di profezia lasciati dalla comunità cristiane nelle conclusioni del direttore di Caritas Italiana: “Dall’obiezione di coscienza all’accoglienza degli immigrati” .............................................. 10Caritas parrocchiali“Non fate da soli quello che potreste fare in tre”L’intervento di monsignor Cesare Chialastri, direttore della Caritas di Velletri all’assemblea diocesana davanti a quasi cento persone. ........... 11Il dato di 61 caritas parrocchiali .......................................................... 11La Cittadella della Solidarietà ............................................................... 11“Non imprenditori della carità, ma amministratori limpidi”L’invito dell’arcivescovo Benotto: “Cogliete le proposte formative di Cari-tas e scuola di formazione teologica: oltre al buon cuore, la carità chiede competenze specifiche” ................................................................................................... 12Don Morelli: “incontrati 1.700 giovani di scuole e associazioni” .. 12ImmigrazioneStranieri sempre più “toscani”Sono 422mila, il 10,3% della popolazione residente sul territorio regionale. Presentato il Dossier statistico Unar curato dal centro studi Idos ..................................................... 13Dal + 40 % di Lucca al +53% di Pisa: sulla costa gli incrementi maggioriSi affacciano quasi tutti sul Mar Tirreno i territori della regione che, dal 2008 al 2013 hanno realizzato la crescita più significativa ............................................................................ 14Calano gli iscritti all’Inail: – 2,7% ........................................ 14Omicidio di Zakir Hossain, una targa sul luogo della tragedia per non dimenticareÈ così che Pisa ha voluto “celebrare” la festa della Toscana. Dall’Inail vitalizio di 2.500 euro alla famiglia del cameriere bengalese ucciso nell’aprile scorso .......................................... 14FamigliaFamiglie sospese. Quaderno di riflessione teologico-pastorale sulla famiglia ............................................................ 15

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Una chiesa con le porte spalanca-te. È il titolo del Piano pastora-le diocesano e l’immagine che ci accompagnerà e ci provo-

cherà indicando il cammino alla no-stra chiesa locale per i prossimi cinque anni. Questa immagine mi ha suscita-to alcune riflessioni che condivido vo-lentieri con voi.Una chiesa con le porte spalancate è una chiesa dalla quale si può entrare ed uscire.Gesù nel vangelo di Giovanni (Gv 10,9) si definisce porta “Io sono la porta: se

uno entra attraverso di me, sarà salvo; entrerà e uscirà e troverà pascolo”. Ge-sù è la porta dell’ovile e questo assume due significati: il primo in direzione dei capi, e il secondo in riferimento ai fe-deli. Gesù è la porta per la quale si de-ve passare per essere legittimi pastori. Nessuno può avere autorità sulla Chie-sa se non legittimato da Gesù. E, se-condo, nessuno è discepolo se non pas-sa attraverso Gesù ed entra nella sua comunità. Gesù è al centro, sia dell’au-torità che governa in suo nome, sia dei fedeli che in comunione con Lui pos-sono appartenere veramente al popo-lo di Dio.Una chiesa con le porte spalancate è, al-lora, una chiesa che prende la forma di Gesù di Nazareth che è la porta aperta su dio per l’uomo, e per questo è spazio inclusivo ed accogliente per tutti, capa-ce di annunciare in maniera credibile Gesù Signore, perché decisamente vo-cato all’accoglienza. Ne sanno qualco-sa Maria e Giuseppe che sperimentano la chiusura delle ospitalità a Betlemme “perché non c’era posto per loro nell’al-bergo” (Lc 2,7), loro che invece erano stati radicalmente aperti al progetto sconvolgente di Dio, porta spalancata che ha reso possibile l’incontro di Dio

con l’umano. Maria e Giuseppe ci rac-contano che è aperto il cuore dei picco-li, dei poveri, di coloro che aspettano la salvezza, degli anawim. Come Maria e Giuseppe siamo chiamati ad aprire le porte della nostra vita perché il Signore ci incontri e perché chiunque incontra noi, incontri il Signore della vita.L’immagine della “porta aperta”, poi, ci chiede di essere una comunità che non può e non deve diventare una “nido” e tantomeno una “gabbia” che, se anche dorata, sempre gabbia rimane.Ci ricordiamo che il nido esiste per-

ché i cuccioli vi escano a tempo debito e camminino con le proprie gambe o spicchino il volo con le proprie ali, ma soprattutto che le gabbie, ogni gabbia, ogni prigione, come ogni sepolcro, per-sonale, sociale o pubblico, è, grazie al-la resurrezione di Gesù, destinato a ri-manere vuoto. La tomba vuota e aperta “per sempre” è il segno che la vita vin-ce su ogni chiusura e che Gesù è la por-ta aperta per l’uomo su Dio. Sono i suoi gesti e le sue parole che ci raccontano in maniera autentica chi è Dio e da che parte sta. Ecco la seconda provocazio-ne. Essere una chiesa con le porte spa-lancate significa assumere la respon-sabilità di aprire ogni porta. Non pos-siamo sopportare che ci siano “porte chiuse”. Liberare l’umano da tutto ciò che lo “ingabbia” è allora la nostra pri-ma vocazione. Ci ricordiamo la conse-gna di Gesù ai giudei di fronte a Laz-zaro chiamato fuori dalla tomba aper-ta: “scioglietelo e lasciatelo andare” (Gv 11,44). Come i giudei anche noi siamo chiamati a sciogliere e liberare l’umano da tutto quello che lo ingabbia, che lo imprigiona, che lo rende schiavo, a lot-tare per la giustizia e la pace.La chiesa con le porte spalancate è an-che “terra di confine” che rende pos-

sibile incontri inaspettati e per que-sto belli, ma non è “terra di nessuno” perché è abitata dai discepoli di Ge-sù con il sogno di portare quel margi-ne al centro della nostra esperienza co-munitaria. La “soglia” rende possibile un incontro, una relazione e per que-sto la Caritas è “chiesa sulla soglia”, che ascolta, accoglie, ama.E questo siamo chiamati a farlo nella concretezza della vita delle nostre co-munità parrocchiali.Le porte aperte definiscono la chie-sa come un luogo dinamico che gene-ra movimento, decisamente orienta-to verso il mondo, la strada, come se la strada fosse la “parrocchia” di Ge-sù. Non dimentichiamoci che al ta-le che gli disse con passione “ti segui-rò dovunque tu vada” Gesù rispose: “Le volpi hanno le loro tane e gli uccelli del cielo i loro nidi, ma il Figlio dell’uomo non ha dove posare il capo” (Lc 9,58). La strada ci chiama, il mondo ci chiama. Una chiesa con le porte spalancate sa-rà sicuramente meno ordinata e preci-sa, meno devota e strutturata e più ca-pace di assumere il sapore, il colore e l’odore della vita della gente. Ed è pro-babilmente di questa chiesa che la gen-te ha bisogno.Essere una chiesa con le porte spalan-cate è fare davvero natale.Si, perché il natale di Gesù è la festa che ci provoca a spalancare le porte del no-stro cuore e della nostra vita all’acco-glienza del Dio che viene timidamen-te e con rispetto, in punta di piedi, per abitare la nostra umanità con i segni del servizio e dell’amore. Ci ricordia-mo della parola che dice: “Il ladro non viene se non per rubare, uccidere e di-struggere; io sono venuto perché abbia-no la vita e l’abbiano in abbondanza” (Gv 10,10). Il natale di Gesù è la festa che ci chiede di spalancare le porte del-le nostre comunità all’incontro con l’altro, con coloro che non conoscia-mo, che sono lontani e distanti da noi per condividere con tutti la gioia di un incontro ritrovato, la bellezza della re-lazione ricostruita, quella tra noi e Dio. Un incontro che cambia radicalmente entrambi.Da Natale dio non è più inaccessibile ma è diventato a portata di sguardo, di mano, di cuore e l’uomo non è più solo, isolato ma sperimenta la compagnia di Dio. Per tutto questo buon natale!

Editoriale

Una chiesacon le porte spalancate...

in attesa del Dio che viene!don Emanuele Morelli – direttore Caritas Diocesana di Pisa

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Avvento

‘Cibo per tutti’... alla Cittadella della SolidarietàLa campagna nazionale sul diritto al cibo, fortemente voluta da Papa Francesco

e la struttura del Cep al centro delle microrealizzazioni.

Cibo giusto per tutti, una finan-za al servizio dell’uomo, rela-zioni di pace. Sono i tre filo-ni tematici in cui si articola la

campagna nazionale dal titolo “Una sola famiglia umana, cibo per tutti: è compito nostro” elaborata dagli orga-nismi, dalle associazioni e dai movi-menti cattolici italiani per sensibiliz-zare e formare i giovani e l’opinione pubblica al diritto al cibo. Il cibo, co-me l’acqua e l’aria, è un bene essen-ziale per la vita, un diritto per tutti e per ciascuno. La campagna è la ver-sione italiana dell’omonima mobilita-zione “One Human Family. Food for

All” lanciata a livello internazionale dal Papa e da Caritas Internationalis nel dicembre scorso e che fungerà an-che da filo rosso della riflessione e del-le microrealizzazione d’Avvento a livel-lo diocesano. Al centro, infatti, ci sarà la “Cittadella della Solidarietà”, l’opera segno della chiesa pisana in occasione dell’850esimo anniversario dalla mor-te di San Ranieri, realizzata ristruttu-rando l’ex cinema “20+1” nel comples-so della parrocchia di San Ranieri al Cep. La struttura accoglie un emporio i generi alimentari e d’indumenti usa-ti e spazi polifunzionali e polivalenti e sta diventando sede di molteplici atti-

vità, tutte a sfondo sociale, con desti-natarie le fasce più fragili della popo-lazione, ma è soprattutto una proposta formativa attraverso attività di educa-zione ai nuovi stili di vita, alla solida-rietà e al dono di sé. Con riferimen-to anche agli obiettivi della campagna “cibo per tutti”, al richiesta è “sicura-mente di non dimenticarsi dei poveri quando si va a fare la spesa acquistan-do generi alimentari di prima necessi-tà da destinare alla Cittadella – si legge nel documento delle microrealizzazio-ni d’Avvento -, ma anche di far cono-scere l’esperienza ai giovani della par-rocchia, organizzando momenti d’in-contro e di educazione ai nuovi stili di vita, condividere un po’ di tempo svol-gendo un turno settimanale e sensibi-lizzare ditte o negozi che abbiano ecce-denze perchè possano essere redistri-buite nel circuito della solidarietà”.La campagna “cibo per tutti” è pro-mossa da Caritas Italiana, Focsiv, Cts, Pax Christi, Cem, Cvx, Ucid, Cam-pagna Amica, Azione Cattolica, Mcl, Cgs, Papa Giovanni XXIII, Masci, Agesci, Salesiani per il sociale, Banco Alimentare, Missio e Earth Day.

Al via “Fermo Immagine” 2015, la fotografia delle Caritas parrocchiali

Al via il “fermo immagine” 2015, ossia la mappatura condivisa e ra-

gionata delle Caritas parrocchiali e dei servizi ai poveri presenti nelle di-verse comunità parrocchiali. Fra di-cembre e gennaio, quindi, gli opera-tori della Caritas diocesana contatte-ranno ciascuna parrocchia per chie-dere un appuntamento dedicato pro-prio alla raccolta d’informazioni e al-lo scambio d’idee e riflessioni sulla testimonianza di carità in ciascuna specifica comunità e a livello diocesa-no. Scopi e obiettivi sono chiaramen-te spiegati nella lettera firmata dal di-rettore della Caritas diocesana don

Emanuele Morelli e inviata a tutte le parrocchie: «Periodicamente sentia-mo il bisogno di percorrere le strade della nostra diocesi per incontrarvi, nelle vostre realtà si legge -: un mo-do per dirvi che ci siamo, che condi-vidiamo il vostro servizio, a volte fati-coso, alla comunità parrocchiale della quale siete espressione ed esperienza, e ai poveri. Racconta anche il nostro bisogno di metterci in ascolto, per ca-pire come sta cambiando l’esercizio e la pastorale della carità nelle parroc-chie, nelle unità pastorali e nei vica-riati della nostra diocesi. Ma soprat-tutto desideriamo incontrarvi per

chiedervi come possiamo esservi uti-li, come Caritas diocesana, nel vostro servizio di animazione e di testimo-nianza della carità. Da sempre siamo a disposizione per accompagnare i cammini, anche quando fossero lenti e faticosi, di tutte le comunità che vo-gliono fare la loro parte per essere se-gno di comunione tra gli uomini, so-prattutto per i poveri ma abbiamo bi-sogno di confronto per capire se i mo-di e le forme che offriamo rispondono sempre ai vostri bisogni e se e come dobbiamo cambiare e trasformare le nostre proposte.

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“Da alcuni anni, nel rito dell’immissione in par-rocchia dei nuovi parro-ci è stata aggiunta nella

nostra diocesi la consegna del grem-biule da usarsi il Giovedi santo nella lavanda dei piedi, un segno esplicito del servizio di carità al quale è chia-mato colui che presiede la comunità cristiana: un segno che, però, deve accompagnare tutto il percorso di vita del singolo cristiano e dell’inte-ra comunità ecclesiale”. Parte da qui la riflessione dedicata alla pastorale della carità del nuovo piano pasto-rale, il filo conduttore della comu-nità cristiana diocesana dal 2014 al 2018 la cui elaborazione ha tenuto impegnata la chiesa pisana per cir-ca due anni. “Il servizio della cari-tà è inquietante per tutti, le richie-ste di aiuto crescono a dismisura, le emergenze sono diventate normali-tà, i mezzi a disposizione sono sem-pre più misurati, non si può rima-nere tranquilli anche quando, come

servi inutili, abbiamo fatto quanto dovevamo fare, perché c’è sempre da chiederci se abbiamo fatto pro-prio tutto quello che era possibile e se il nostro agire è stato davvero teso al dono più pieno di noi stessi, prima ancora che delle nostre cose – prosegue il testo presentato pubbli-camente alla comunità diocesana in occasione della festa dell’Assunzio-ne del 15 agosto scorso -: la nostra chiesa si è mossa in questi anni con lo stile della realizzazione di alcune “opere segno” a servizio dei più bi-sognosi, come le docce per i poveri, l’Emporio o Cittadella della Solida-rietà al Cep nel ricordo di San Ra-nieri, senza contare le mense della carità che da decenni servono i po-veri del nostro territorio e gli allog-gi per coloro che si trovano improv-visamente senza un tetto che li ac-colga. Si tratta di “segni” che certa-mente non sono in grado di esaurire le richieste o i bisogni che emergo-no in forme sempre nuove, ma che

sono propositivi ed educativi per far crescere e maturare nella comunità cristiana l’esercizio diffuso della ca-rità”.Quindi le indicazioni operative di prassi pastorale: “Dobbiamo rin-graziare il Signore per tutte le ini-ziative che con grande fervore na-scono qua e là in nome della cari-tà: tutte sono segno del grande cuo-re che persone singole e intere co-munità esprimono per venire in-contro ai bisogni dei poveri – sot-tolinea nel documento l’arcivesco-vo monsignor Giovanni Paolo Be-notto -. Non sempre però, queste attività, sono collegate tra di loro e succede anche che l’una sia doppio-ne dell’altra e che alla fine si rivol-gano alle stesse persone povere che a questo modo non vengono aiuta-te a fare dei percorsi di riscatto dalla loro condizione di fragilità. Da qui la necessità di un sempre maggio-re coordinamento fra le varie ini-ziative, per un più proficuo utilizzo

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Pastorale

“La Caritas, strumento per cogliere il valore della disciplina della comunione”

L’attenzione al servizio della carità nel piano pastorale 2014-2018: “Necessario un sempre maggiore coordinamento per svi-

luppare il senso di appartenenza alla chiesa”.

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delle scarse risorse, ma soprattut-to perché abbia a svilupparsi il sen-so dell’appartenenza all’unica Chie-sa che attraverso la Caritas diocesa-na vuole aiutare tutti a dare il me-glio di sé nella comunione dell’uni-ca famiglia dei figli di Dio. Indica-re nella Caritas diocesana il referen-te primo di percorsi più condivisi e quindi anche più efficaci, non signi-fica voler mortificare la freschezza e la genuinità delle singole iniziati-ve, bensì attingere ad una esperien-za ormai consolidata che non può che aiutare a fare meglio quel bene che ciascuno è chiamato a seminare a piene mani – evidenzia al riguar-

do il piano pastorale -: il riferimen-to alla Caritas diocesana è poi fon-damentale per fare cogliere il valo-re dell’appartenenza alla chiesa par-ticolare e di quella “disciplina della comunione” che ci rende capaci di imparare gli uni dagli altri e di es-sere pronti a darsi una mano gli uni

con gli altri, ben sapendo che la ca-rità non è mai “concorrenza”, ben-sì condivisione nel sentire e nell’a-gire con il cuore di Cristo nel grem-bo della Chiesa. In questa prospet-tiva un obiettivo da perseguire sa-rà quello che la Caritas diocesana sia propulsiva di un coordinamento fra le associazioni ecclesiali che ope-rano nel mondo delle povertà, del-la socialità e dei servizi alla persona, perché possano essere messe in rete le varie energie e soprattutto possa manifestarsi sempre più il volto ma-terno della Chiesa che si impegna a curare e per quanto possibile a sa-nare le ferite di chi soffre”.

Il piano pastorale è simbolicamente col-legato alla Cattedrale, di cui nel 2018

ricorrerà il novecentesimo anniversa-rio della dedicazione, e agli altri mo-numenti della Piazza dei Miracoli. Per l’anno pastorale 2014-15 l’icona sarà il Battistero, una chiesa aperta ai quat-tro punti cardinali: sarà l’occasione per rileggere e riproporre la Nota pastorale sulla preparazione e accompagnamen-to dei genitori al battesimo dei figli e ini-ziare una riflessione per dare attuazio-

ne agli Orientamenti della Cei su an-nuncio e catechesi. L’anno successivo, invece, sarà la volta del campanile, “se-gno di una chiesa chiamata a significare la presenza di Dio nel mondo”, durante il quale sarà posta al centro dell’attività pastorale la Parola di Dio.Nel 2016-17 il simbolo sarà l’antico Ospedale di Santo Spirito, detto anche di Santa Chiara, quale “segno di una chiesa chiamata a curvarsi sulle ferite dell’uomo sofferente”: la nascita di “una

Caritas in tutte le unità pastorali e ne vicaricati sarà l’obiettivo da raggiunge-re”. Infine nel 2017-18 il riferimento sim-bolico sarà la Cattedrale e l’immagine della Madonna di Sotto gli Organi che sarà portata in pellegrinaggio in tutta la diocesi. E nel 2018-19 il Camposanto Monumentale, “l’occasione per riflette-re con una fede più matura sul miste-ro della vita eterna e sulle verità ultime circa la sorte di chi ha terminato que-sta vita”.

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L’impegnoIl coordinamentodelle associazioni

ecclesiali cheoperano con i poveri

2017-18: una Caritas in ogni unità pastorale

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Speciale convegno ecclesiale

Verso Firenze. Questioni aperteQuattro spunti di riflessione dalla relazione del direttore de Il Regno Gianfranco Brunelli al convegno

di Firenze del 5 giugno scorso.

“In Gesù Cristo il nuovo uma-nesimo” è il tema che la Chie-sa italiana si è data per l’appun-tamento del V Convegno ec-

clesiale nazionale. Tema scelto sotto il precedente pontificato e che ora, con i nuovi orientamenti di papa France-sco, va ridefinito. Ne potrebbe scatu-rire per la prima volta un nulla di fat-to. O, all’opposto, un ruolo innovati-vo dell’episcopato italiano anche nei confronti del pontificato. Si posso-no avanzare solo poche, schematiche considerazioni.La crisi del sistema politicoUna prima questione è quella del-la crisi di legittimazione della nostra democrazia. Firenze si svolgerà in un tempo nel quale sono venuti meno tutti i riferimenti politici della Chie-sa e in un contesto nel quale non esi-ste più il cattolicesimo politico. Senza la consapevolezza del contesto e della nuova soggettualità politica si rischia l’insignificanza su questi temi. Può la Chiesa ignorare il nuovo contesto dopo che per quarant’anni ne ha fat-to uno dei centri della sua attenzione? Rimangono aperti, soprattutto con la perdurante e irrisolta crisi del sistema politico italiano, ulteriormente aggra-vata dal duplice fallimento del berlu-sconismo a centro-destra e dall’evolu-zione ancora incompiuta della creazio-ne di un partito democratico nel cen-tro-sinistra, i nodi mai adeguatamen-te affrontati del funzionamento e del-lo sviluppo della democrazia in Italia.Quale sarà in questo quadro la pre-senza di cattolici? La crisi attuale della democrazia ha molti nomi. Crisi della democrazia nel senso di crisi di legit-timazione che sta diventando crisi di legittimità: la somma tra crisi econo-mica e sociale; e nel senso di crisi del modello istituzionale. Crisi della de-mocrazia come irrisolto problema del rapporto stato/società, tra pubblico e privato in Italia (è qui dentro che van-no ricompresi i temi della scuola, dei corpi intermedi, del volontariato e del

terzo settore, della sanità). Crisi della democrazia come crisi dello sviluppo demografico: l’immigrazione come dato compensativo non basta, le man-cate politiche familiari hanno infragi-

lito la tenuta sociale, mentre in questo paese invecchiato è all’opera un du-rissimo cambio generazionale al livel-lo delle classi dirigenti.Credo che si debba tornare a sottoli-neare maggiormente il tema dell’al-terità di Dio rispetto alla sempli-ce riproposizione della nostra identi-tà. Qui è la radice della vera differen-za del cristianesimo e della laicità del cristiano. Non possiamo accettare un cattolicesimo senza cristianesimo, un puro dato socio-culturale, magari da usare strumentalmente in favore di una cultura laica che vuole protegge-re se stessa.Solo l’escatologia cristiana è in grado di affermare che solo Dio è Dio; solo l’escatologia cristiana è in grado di ri-conoscere e denunciare gli idoli vec-chi e nuovi; solo l’escatologia cristiana fonda una corretta visione laica che consente di disubbidire a ogni religio-ne politica, sia essa fondamentalista o secolarizzatrice.Si apre qui positivamente l’occasione per la Chiesa di affermare la propria differenza amante rispetto alla cit-tà democratica, archiviando definiti-vamente quelle sue malattie infanti-li che furono e sono l’integrismo e il progressismo. Quell’alterità esige una rinnovata capacità di intervento edu-

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Lo stile cristiano oggi

Un seminario, firmato Caritas Italia-na e rivista il Regno, per avviare una

riflessione usi temi e le sfide del prossi-mo convegno ecclesiale nazionale, che si terrà a Firenze dal 9 al 13 novebre 2015. È quello che si è svolto a Firenze il 5 giu-gno scorso e a cui sono intervenuti, ol-tre al direttore della testa dei dehoniani Gianfranco Brunelli, anche suor Chiara Curzel, docente al Centro di scienze reli-giose di Trento, monsignor Piero Coda, preside dell’Istituto universitario Sophia di Incisa e Figline Valdarno, il professor Angelo Tantazzi, già consigliere econo-mico della Presidenza del Consiglio dal ‘96 al ‘98 e presidente della Borsa italia-na dal 2000 al 2011, monsignor Giusep-pe Merisi, vescovo di Lodi e presidente della Comissione episcopale per il servi-zio alla carità e Francesco Soddu, diret-tore di Caritas Italiana. Ad esso si ri-feriscono anche i contributi pubblicati nell’inserto centrale di InformaCaritas 77. Gli atti del seminario, invece, posso-no essere consultati su www.ilregno.it.

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cativo sul piano dell’edificazione del-la coscienza del singolo; una rinno-vata capacità di riflessione teologica e di cura della fede; una permanente contemplazione della carità. In que-sto senso gli orientamenti della CEI per questo decennio offrono spunti interessanti. A una differenza amante della Chiesa deve corrispondere una partecipazione critica e autonoma del laico cristiano. La rievangelizzazione del sacroUn secondo aspetto attiene a quella che abbiamo chiamato l’eclissi della secolarizzazione. Secondo diversi stu-diosi, in Italia, a differenza degli altri paesi, si sarebbe arrestato o addirittu-ra invertito il processo di secolarizza-zione.I dati di ricerche comparate pubblica-te recentemente e la stessa ricerca da noi promossa nel 2010 (e curata da chi scrive e dal prof. P. Segatti; cf. Chie-sa in Italia ed. 2011, annale de Il Re-gno) mostrano uno scenario diver-so. Più problematico. Soprattutto se si guarda la generazione dei figli attuali, quelli nati dopo il 1989. Vi è qui una ripresa del processo di secolarizzazio-ne. Più che un eclissi del sacro, desti-nato poi, dopo una breve oscurità a rivelarsi nuovamente, assistiamo for-se a un’eclissi della secolarizzazione.Cosa accadrà quando la generazione dei figli sarà la generazione dei padri e delle madri? Se è vero che si mantiene un riferimento al religioso, esso risul-ta più vago, indeterminato.Il suo permanere non coincide con una ripresa dell’elemento ecclesiale. I cattolici cessano di essere una mag-gioranza (quantità) e il loro cattoli-cesimo si fa più evanescente (qualità). Siamo di fronte a uno scenario me-no connotato dal cattolicesimo e più genericamente cristiano. Ma questo aspetto di fondo andrebbe posto in relazione anche con il perdurare, il so-vrapporsi e il modificarsi della cosid-detta religiosità popolare. Essa affon-da le proprie radici nelle forme di tipo devozionistico, con un debole tasso di ecclesiasticità, a bassa tensione cultu-rale e oggi a sfondo fortemente indi-vidualistico.Essa non è stata intaccata né dal rifor-mismo conciliare (troppo elitario), né

dalle proposte pastorali della CEI. È una religiosità del sottosuolo che og-gi è emersa anche grazie alla canoniz-zazione di padre Pio da Pietrelcina, a strumenti di comunicazione come Radio Maria, a pellegrinaggi religio-si sui luoghi delle apparizioni maria-ne, Medjugorie sopra tutti. È un pro-blema di fondo. C’è da operare in Ita-lia una necessaria rievangelizzazione del religioso e del sacro. Il cambiamento culturaleUn terzo elemento attiene al cam-biamento dei modelli culturali. Cer-tamente su questo punto il “progetto culturale” ha fatto fare qualche pas-so in avanti alla consapevolezza dif-fusa della Chiesa italiana circa la sfida di un cambio di paradigma epocale. Ma il cambio di mentalità prende non solo i “valori non negoziabili”, ben-sì l’intero habitus mentale della post-modernità.Riprendo alcune caratteristiche cita-te dal card. Martini nel suo discorso fatto ai diocesani di Milano durante il pellegrinaggio a Gerusalemme, nel 2008: “Il pensare postmoderno è lon-tano dal precedente modo cristiano platonico di giudicare la realtà, in cui erano dati per scontati la suprema-zia della verità e dei valori sui senti-menti, dell’intelligenza sulla volontà, dello spirito sulla carne, dell’unità sul pluralismo, dell’ascetismo sulla vita-lità, dell’eternità sulla temporalità”. Il nuovo paradigma può essere dunque così sintetizzato: io, qui, ora.“Questo è un mondo nel quale – pro-segue Martini – prevale la sensibilità, l’emozione, l’attimo. L’esistenza uma-na diventa un luogo e uno spazio nel quale tutto il possibile è immediata-mente tutto reale. E tutto è legittimo. È una reazione contro una mentali-tà eccessivamente razionale. La let-teratura, la musica, e le nuove scien-ze umane rivelano come molte per-sone non credono più di vivere in un mondo guidato da leggi razionali, do-ve la civiltà occidentale è un modello da imitare”.La saldatura tra l’autorealizzazione di sé o del sé il superamento di ogni li-mite come prova della libertà: io so-no sempre, comunque il mio esperi-mento, ecco la cifra dell’umanesimo

attuale, o meglio la sua torsione nichi-lista.Un sistema della libertà senza l’erme-neutica della libertà. A questo ha con-dotto anche la crisi della ragione. Per questo sarà difficile riproporre a Fi-renze semplicemente un nuovo uma-nesimo cristiano senza tenere conto di quanto è avvenuto nel Novecento filosofico e scientifico.Il laico come laico comuneUn quarto tema riguarda finalmen-te il tema del laico come laico comu-ne. Se il Convegno ecclesiale di Vero-na aveva ragione, se l’intento è quello di promuovere nella vita della Chiesa una misura alta della vita cristiana or-dinaria, allora la categoria di “popo-lo di Dio” è più ampia, più esigente e più consona su un piano ecclesiale di quella di “cattolicesimo popolare”. È emerso in questi anni il rischio ri-corrente di identificare ed esaurire il laicato nei movimenti e nei livelli or-ganizzativi. Pure importanti, le sue espressioni organizzative ne sono una parte.Così come la categoria di cattolicesi-mo popolare, che segnala una com-ponente importante del nostro cat-tolicesimo, è categoria limitativa ri-spetto a quella più ampia e pertinente di “popolo di Dio”. Per comunicare il messaggio cristiano servono le paro-le e le opere, da uomo a uomo, di tut-ti i battezzati. Occorre una chiamata nei confronti di ogni battezzato. Ab-biamo bisogno di comunità che par-lino. Che parlino un linguaggio co-mune, che annuncino fuori da un lin-guaggio ecclesiasticistico. Un annun-cio che abbia dentro il fuoco del Van-gelo, che metta nuovamente al centro la Parola secondo il nuovo paradigma di papa Francesco. Tutto il suo pon-tificato è forse riassumibile nell’affer-mazione estrema che il Vangelo è an-cora possibile. Così il suo impulso per una Chiesa in uscita da sé, dalla pro-pria “ossessiva riconferma”, dal pro-prio narcisismo è a un tempo la mi-sura della sfida e la misura della pos-sibilità.Questa sfida è in capo a tutto il popo-lo di Dio.

Gianfranco Brunellidirettore de Il Regno

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Caritas italiana e Il Regno, in-sieme al Coordinamento na-zionale delle comunità di ac-coglienza (CNCA) e al Grup-

po Abele, hanno avviato una serie di iniziative comuni negli anni Novanta, nella ferma convinzione che la Chiesa è chiamata a offrire quanto di più pro-fondo esige l’uomo moderno, senza glissare su questioni e risposte, a vol-te sicure, a volte problematiche. Tre i convegni/seminari celebrati a Firenze: “Annunciare la carità, pensare la so-lidarietà” (ottobre 1995), “Annuncia-re la carità, vivere la speranza“ (otto-bre 1996) e “Cercare la verità e ama-re la giustizia” (ottobre 1997). È stato il tentativo di “dare patria”, si legge in un documento di quegli anni, “agli in-croci pericolosi che, a partire dalle sto-rie della marginalità e sofferenza vis-suti dalle persone che quotidianamen-te incontriamo, suscitano il bisogno di sguardi politici, etici, ecclesiali”. Un percorso comune e condivisoInoltre, in vista del Convegno ecclesia-le di Verona, Caritas italiana ha orga-nizzato una serie di seminari-conve-gni, una sorta di percorso “verso Vero-na”, con cui ha cercato di agevolare le Caritas diocesane a una partecipazio-ne attiva ai percorsi diocesani e regio-nali di preparazione al Convegno ec-clesiale. Gli obiettivi erano: informa-re attraverso un documento di “com-mento” alla traccia di preparazione al Convegno di Verona, formare attra-verso momenti preparatori di quali-ficato approfondimento, elaborare un “contributo Caritas” in vista del Con-vegno ecclesiale. Anche in questo caso ci sono stati tre seminari, due dei qua-li in collaborazione con Il Regno: “In cammino, tra memoria e speranza” (Milano, 17-19 febbraio 2006 - Caritas italiana, CNCA, Fed. Servizi civili e sociali salesiani, Jesuit Social Network, Missionari Comboniani, Aggiorna-menti Sociali, Il Regno, Jesus); “Le Ca-ritas diocesane verso il IV Convegno

ecclesiale nazionale” (Fiuggi, 6-8 mar-zo 2006 – Caritas italiana); “Fedele al-la sua Parola - Testimonianza e liber-tà del cristiano comune” (Firenze, 8-9 settembre 2006 – Caritas italiana e Il Regno). L’idea e la proposta di un nuo-vo seminario di studi nascono da un confronto con Gianfranco Brunelli, direttore de Il Regno. Si tratta di un se-minario che, alla luce del pontificato di papa Francesco e in vista del pros-simo Convegno ecclesiale della Chiesa italiana, intende affrontare il duplice tema della testimonianza cristiana og-gi di fronte alle nuove, gravi, emergen-ze sociali dettate dalla crisi economi-co-finanziaria, recuperando nello sti-le evangelico i luoghi attuali della soli-darietà. Nel cammino verso il Conve-gno di Firenze siamo dunque chiama-ti a dar corpo a una Chiesa che pren-de l’iniziativa, che sia capace di coin-volgersi, accompagnare, coordinare, portare frutti ed esprimere la gioia del servizio. È questa la Chiesa tratteggia-ta da papa Francesco nell’enciclica Lu-men fidei e nell’esortazione apostolica Evangelii gaudium.Con Francesco, con i poveriIn questi testi il magistero papale met-te infatti sempre più in evidenza l’in-tima connessione tra fede e carità e – in continuità con l’Intima Ecclesiae natura di Benedetto XVI – sottolinea come la scelta di fede diventi impegno di carità e immersione nelle periferie dell’umanità che a sua volta è continua riscoperta della fede. Per tutti, e in par-ticolare per le Caritas, è uno sprone a proseguire nell’impegno quotidiano accanto ai più sofferenti, disponen-do il nostro cuore e le nostre comuni-tà all’accoglienza del Signore che viene e che cambia la nostra vita e, attraver-so di noi, può trasformare la vita degli altri. “Siamo chiamati a scoprire Cri-sto [nei poveri], a prestare a essi la no-stra voce nelle loro cause, ma anche a essere loro amici, ad ascoltarli, a com-prenderli e ad accogliere la misteriosa

sapienza che Dio vuole comunicarci attraverso di loro”. Il nostro impegno però “non consiste esclusivamente in azioni e programmi di promozione e assistenza; quello che lo Spirito met-te in moto non è un eccesso di attivi-smo, ma prima di tutto un’attenzione rivolta all’altro “considerandolo come un’unica cosa con se stesso” (Tomma-so d’Aquino)” (Evangelii gaudium, nn. 198-199; Regno-doc. 21, 2013, 679). Così si potrà accompagnare ogni po-vero nel cammino della sua liberazio-ne attraverso un processo di inclusio-ne; questo renderà possibile che egli si senta a casa sua nella comunità cri-stiana. In ciò consiste il “nuovo” di cui ci parla il Convegno. La fede diventa credibile testimonianza della gioia del Vangelo quando si fa concretamente carico della vita e dei problemi di chi è nel bisogno. Oltre che qualificare sem-pre più i servizi, dobbiamo essere pri-ma di tutto capaci di accoglienza, dia-logo, relazioni cariche di condivisione e amore. Dobbiamo promuovere re-ti di prossimità, essere tra la gente, ri-spondere ai bisogni e al tempo stesso far sì che la carità diventi l’anima trai-nante della comunità e di ogni comu-nità. Tutto questo vuol dire proporre e sostenere sempre più iniziative di tipo educativo per aiutare la formazione e la retta abitudine a pensare agli altri, e a vivere sempre la prossimità evange-lica, a partire dai poveri, dagli ultimi, dagli emarginati. Il carattere profetico del nostro cammino ecclesiale si de-ve nutrire di condivisione, di giustizia, di sobrietà personale e comunitaria, e di partecipazione di tutta la comuni-tà alle scelte di fondo a favore degli ul-timi perché questi possano essere non oggetto di aiuto compassionevole, ma protagonisti di uno sviluppo integralee inclusivo.

+ Giuseppe MerisiVescovo emerito di Lodi

Speciale convegno ecclesiale

“Promotori di reti di prossimità in mezzo alla gente”L’intervento di monsignor Giuseppe Merisi, vescovo di Lodi e presidente di Caritas Italiana e della Commissione

episcopale per il serivizio della carità.

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Il seminario intendeva, alla luce del magistero di papa Francesco e in vi-sta del prossimo Convegno ecclesia-le della Chiesa italiana, affrontare il

duplice tema della testimonianza cri-stiana oggi di fronte alle nuove, gra-vi, emergenze sociali dettate dalla cri-si economico-finanziaria, recuperan-do nello stile evangelico i luoghi at-tuali della solidarietà. I contributi del presidente monsignor Merisi e dei di-versi relatori come suor Chiara Cur-zel, monsignor Piero Coda, il presiden-te Angelo Tantazzi e Gianfranco Bru-nelli, hanno offerto questioni di fon-do, che hanno illuminato la prospetti-va scelta, ossia quella della costruzione di un umanesimo, che è il frutto di un radicamento nel Vangelo e nella tradi-zione, contestualmente alle forme per-sonali e sociali che questo radicamen-to esprime. La testimonianza di cari-tà, come sappiamo, è una componen-te dello stile cristiano, proprio perché su di essa si fondono insieme la consa-pevolezza del proprio compito nel tem-po e le forme espressive, le relazioni di prossimità, la costruzione di segni di giustizia. Questa declinazione del nuo-vo umanesimo – che non è oblio del-le radici, ma esplicitazione coerente di una fede che diviene stile dell’abitare il tempo e lo spazio vitale di ogni genera-zione – ci mette nelle condizioni di ad-densare le esperienze diverse di servi-zio, le forme di testimonianza di carità, i percorsi plurali di educazione, intor-no a una categoria interpretativa meno soggetta alle perplessità circa un duali-smo tra dimensione veritativa e prassi caritativa. Le prassi non sono un me-ro inveramento, quanto piuttosto l’e-spressione dell’esperienza cristiana nel tempo: rileggere così gli anni che ab-biamo alle spalle e il nostro presente, ci mette nelle condizioni di comprendere quale profezia concreta hanno indicato le nostre comunità al loro tempo. Pen-so all’obiezione di coscienza dei giova-ni al servizio militare, nel tempo della violenza e del terrorismo; penso al te-

ma della povertà – accolta e denuncia-ta – nel tempo dell’opulenza dimenti-ca di un paese abbagliato dal mito del-la crescita economica; penso all’appel-lo all’accoglienza dei fratelli immigra-ti vissuto e proclamato negli ultimi an-ni di fronte all’ideologia della sicurez-za e dell’ostilità verso lo straniero; tutto questo non erano meri gesti, ma Paro-la di verità, carità e giustizia proclama-ta e resa credibile da coloro che la testi-moniavano in parole e opere. Dinanzi al comune desiderio emerso anche nel Convegno nazionale Caritas a Caglia-ri di trovare percorsi innovativi ed ef-ficaci in ordine al cambiamento, conti-nuiamo a interrogarci sul come indivi-duarli e, all’interno della pedagogia dei fatti, come veicolare in essi una sempre più crescente pedagogia dello stile. A tale riguardo Benedetto XVI e France-sco ci invitano, all’unisono, a conside-rare che la carità “è il principio non so-lo delle micro- relazioni: rapporti ami-cali, familiari, di piccolo gruppo, ma anche delle macro-relazioni: rapporti sociali, economici, politici” (Caritas in veritate, n. 2, ripreso da Evangelii gau-dium, n. 205).Lo stile dell’agirePerciò sarebbe utile in questo cammi-no verso Firenze continuare a verifica-re le forme del nostro agire: dallo sti-le del coordinamento, alla congruen-za delle forme giuridiche delle nostre opere; dalla percezione delle nostre co-munità di fronte alle nostre proposte, al modo con cui veniamo interpretati dai diversi mondi che vivono con noi i nostri territori. In tutto questo occorre apertura e volontà di ascolto e, soprat-tutto, dobbiamo sempre tenere presen-

te lo stile della povertà. Non essere tan-to erogatori di beni materiali, quanto piuttosto comunità e famiglia che con-dividono relazioni, per suscitare comu-nione. Quindi, se da un lato dobbiamo sempre più sollecitare le istituzioni af-finché siano attivati impegni e piani specifici sulle povertà estreme e azio-ni di sistema nei confronti dell’inclu-sione sociale dei poveri, dall’altra dob-biamo valorizzare sempre più la risorsa della relazione nelle nostre comunità. Per concludere possiamo dire che, pur sempre più pressati in questo tempo di crisi da urgenze ed emergenze, siamo stimolati a cercare proposte che siano, come raccomandato da papa France-sco, “a lunga scadenza, senza l’osses-sione dei risultati immediati” e volte a “iniziare processi” più che a “posse-dere spazi” (cf. Evangelii gaudium, nn. 222ss; Regno-doc. 21,2013,682). Rima-niamo disponibili a verificare l’esisten-te, prefigurando e sperimentando mo-dalità nuove di evangelizzazione del sociale, anche con alleanze inedite o rilanciate con tutti coloro che – come tutti i partecipanti a questa giornata di confronto e riflessione – vogliono vive-re questa sfida di una carità che divie-ne criterio fondativo, “testata d’angolo” di ogni percorso di vita, di ogni comu-nità. Questo seminario voleva dunque – e spero ci sia riuscito – offrire stimoli che si aggiungono ai necessari e fonda-mentali cammini diocesani, rispetto ai quali ciascuno di noi sarà chiamato a contribuire, a partire da una condivisa prospettiva, che ci metta in grado di ri-leggere l’esperienza di animazione del-le Caritas, nelle nostre comunità. Ri-leggere insieme, alla luce di questa sen-sibilità, può aiutarci a offrire un appor-to al Convegno ecclesiale, che è insie-me lettura sapienziale del vissuto del nostro servizio e contributo metodo-logico e interpretativo. Non esperienze tra le tante, ma una chiave interpretati-va delle esperienze.

Francesco Soddu

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Speciale il convegno ecclesiale

Don Soddu: “La carità come criterio fondativo”I segni di profezia lasciati dalla comunità cristiane nelle conclusioni del direttore di Caritas Italiana: “Dall’obiezio-

ne di coscienza all’accoglienza degli immigrati”.

Lo stileNon erogatori di beni,

ma comunità checondividono relazioni

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“Non fate da soli quello che potreste fare in tre”. È ri-corso anche ad una bat-tuta monsignor Cesare

Chialastri, vicario generale e direttore della Caritas diocesana di Velletri, per spiegare una delle “vie di coraggio” al centro dell’assemblea delle caritas par-rocchiali di sabato 22 novembre, a cui hanno preso parte quasi un centinaio di volontari in rappresentanza di buo-na parte delle comunità parrochiali della diocesi. “L’annuncio – ha prose-guito il sacerdote chiamato a sviluppa-re la riflessione che ha ispirato i gruppi

di lavoro - prima ancora che di parole, è questione di stile: ecco, perchè, quin-di, è molto più importante volersi be-ne e andare d’accordo che fare le cose”. L’immagine evangelica è quella dell’in-vio dei 72 discepoli del Vangelo di Lu-ca, “che andavano a due a due proprio la coppia è l’embrione della comunità perchè per quanto riguarda il servi-zio ai poveri, la nostra strada di corag-gio, è certo quella di mettersi dalla loro parte, ma soprattutto far crescere nel-le nostre realtà scelte e comportamenti sempre più improntati alla condivisio-

ne e alla sobrietà”. Fondamentale nella riflessione di monsignor Chialastri an-che il tema della cosiddetta “chiesa po-vera”, “un questione centrale in tutta la Bibbia-- ha sottolineato - ma che nel-la riflessione ecclesiale ha assunto rile-vanza solo con il Concilio Vaticano II e, soprattutto, con il pontificato di Pa-pa Francesco: la povertà evangelica – ha evidenziato - è affidarsi totalmente alla logica di Dio e, conseguentemente, rinunciare a quelle del potere terreno e, per il cristiano, è anche la via principa-le per raggiungere la pace”.

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Caritas parrocchiali

“Non fate da soli quello che potreste fare in tre”L’intervento di monsignor Cesare Chialastri, delegato regionale delle Caritas del Lazio all’assemblea diocesana

davanti a quasi cento persone.

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“Dove si prega, là si accolga” è sta-to uno degli slogan più efficaci,

lanciato nel ‘97 nel corso del conve-gno “Cercare la verità, amare la giu-stizia”, promosso a Firenze da Cari-tas Italiana, Cnca e Gruppo Abele e riferito soprattutto all’allora immi-nente Giubileo del 2000. Che, pe-rò, faceva sua una delle conclusio-ni del convegno ecclesiale di Paler-mo (1995) il quale auspicò che “in ogni grande parrocchia, o in ogni gruppo significativo di parrocchie, accanto agli edifici destinati al cul-to e alla catechesi, ci sia anche una casa d’accoglienza per i soggetti in difficoltà”. È soprattutto da questi

stimoli che, tanto a livello nazionale che diocesano, presero avvio i pro-grammi di promozione delle Cari-tas parrocchiali. Da allora un po’ di strada è stata, fatta almeno a Pisa, se è vero che più di un terzo (36,5%) delle 167 parrocchie della diocesi ha un gruppo Caritas al suo inter-no. In valore assoluto, infatti, fan-no 61 Caritas parrocchiali operative nei diversi vicariati, numero fra l’al-tro che è sottostimato dato che mol-te parrocchie, ormai, per Unità Pa-storali, ossia aggregazioni di più co-munità fra loro vicine o confinanti le quali, ovviamente sono seguite da un solo gruppo Caritas.

La Cittadella dellaSolidarietà

Venticinque enti e 215 famiglie in dif-ficoltà aiutate da primavera ad oggi,

ossia da quando la struttura ha comin-ciato a funzionare a pieno regime. Sono i numeri della “Cittadella della Solidarie-tà” della chiesa di San Ranieri al Cep, l’o-pera voluta dalla chiesa pisana per ricor-dare l’850esimo anniversario della mor-te del patrono di Pisa e ha ospitato anche l’assemblea delle caritas parrocchiali. Il 30-35% di queste famiglie ha tutti i com-ponenti adulti disoccupati, il 15% un red-dito annuo inferiore ai 2000 euro e il 30% uno compreso tra i 2000 e i 4000 euro.

Il dato, 61 caritas parrocchiali

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“Una chiesa che serve nella carità è certamente una comunità con le porte aperte ed è tale di sicuro

per accogliere tutti coloro che si af-facciano sulla soglia, ma anche per uscire e andare incontro a chi ri-mane fuori”. È la consegna che l’ar-civescovo Giovanni Paolo Benot-to ha lasciato sabato pomeriggio ai cento rappresentanti di una buona parte delle caritas parrocchiali del-la diocesi che hanno preso parte alla all’assemblea diocesana ospitata nei locali della “Cittadella della Solida-

rietà” del Cep, l’opera segno volu-ta dalla diocesi per celebrare l’850e-simo anniversario dalla morte di San Ranieri. E proprio dalla strut-tura inaugurata nel giugno 2013 è partita la riflessione di monsignor Benotto sulla dimensione della po-vertà in Chiesa: “Qualche volta ci accusano di avere troppo, ma co-me avremmo fatto a mettere in pie-di un centro di questo tipo se non avessimo avuto gli spazi e qualche risorsa? La differenza – ha sottoli-neato il presule – la fanno sempre lo stile e soprattutto la trasparenza:

è vero, infatti, che gli imprenditori della carità non servono, ma abbia-mo, invece, bisogno di amministra-tori fedeli e trasparenti perchè serve una carità assolutamente limpida, capace di dar conto, non solo fino all’ultimo centesimo speso, ma an-che e soprattutto dei criteri che han-no orientato verso determinate scel-te e investimenti. In tal senso dob-biamo crescere e fare molto di più nel dare conto alla nostra comuni-tà e alle tante persone di buona vo-lontà che continuano a darci la loro fiducia”. Da qui un invito a coglie-re anche le proposte formative “of-ferte dalla Caritas diocesana e dalla scuola di formazione teologica, per-chè oltre alla predisposizione d’ani-mo e al buon cuore, la testimonian-za della carità richiede anche com-petenze specifiche e quella discipli-na della comunione che per cresce-re ha bisogno anche di conoscenza: le povertà, infatti – ha evidenziato l’arcivescovo – non solo aumentano, ma tendono anche a diversificarsi e, quindi, prima ancora di rimboccar-si le maniche e darsi da fare, è ne-cessario fermarsi a riflettere su qua-le sia la modalità migliore di agire nei confronti di fenomeni spesso nuovi e sempre mutevoli”.

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Caritas parrocchiali

“Non imprenditori della carità, ma amministra-tori limpidi”

L’invito dell’arcivescovo Benotto: “Cogliete le proposte formative di Caritas e scuola di formazione teologica:oltre al buon cuore, la carità chiede competenze specifiche”.

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La relazione con la comunità ec-clesiale e la società civile è ri-

suonata anche nel saluto conclusi-vo del direttore della Caritas dioce-sana don Emanuele Morelli che da un lato ha espresso preoccupazione per i numeri delle povertà: “I nume-ri della crisi, anche per quel che ri-guarda i nostri servizi, non posso-no lasciare tranquilli dato che ne-

gli ultimi dodici mesi sono state più di 1.500 le persone che hanno chie-sto il nostro aiuto, numeri impor-tanti e purtroppo crescenti rispet-to al passato”. Dall’altra parte, pe-rò, ha evidenziato anche importanti segnali di maggiore attenzione ver-so il cosiddetto “mondo della mar-ginaltà”: “Sempre nell’ultimo an-no, infatti, abbiamo incontrato an-

che oltre 1.700 giovani e giovaniss-simi, tra studenti delle scuole supe-riori del territorio, scout e volonta-ri di altre realtà dell’associazioni-smo giovanile – ha detto - : finchè ci sono ragazzi e ragazze che hanno la voglia d’interessarsi a chi gli sta ac-canto, soprattutto se povero e in dif-ficoltà, c’è la possibilità di costruire un futuro diverso per tutti”.

Don Morelli: “incontrati 1.700 giovani di scuole e associazioni”

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Immigrazione

Stranieri sempre più “toscani”Sono 422mila, il 10,3% della popolazione residente sul territorio regionale.

Presentato il Dossier statistico Unar curato dal centro studi Idos.

Circa 422mila alla fine del 2013, l’1,6% in più rispetto ai 415mi-la dell’anno precedente. Sia pure di poco continuano a

crescere i numeri dell’immigrazione regolare in Toscana, stando ai dati del Dossier statistico immigrazione rea-lizzato dal Centro studi Idos per con-to dell’Ufficio nazionale antidiscrimi-nazioni della presidenza del consiglio, presentati pubblicamente mercoledi scorso a Firenze nella bella cornice di “Villa Aurora”, che ospita l’Istituto av-ventista di cultura biblica, in contem-poranea con la presentazione naziona-le di Roma. Nonostante l’impatto della crisi, che pure in Toscana ha fatto pe-santamente sentire i suoi effetti (-1,7% del Pil regionale nel 2013), prosegue, dunque, l’incremento della popolazio-ne straniera regolarmente soggiornan-te sul territorio, diversamente da quan-to ipotizzato da alcuni studiosi e com-mentatori all’inizio della perdurante fase di stagnazione dell’economia. I numeri, al riguardo, sono più che elo-quenti: fra il 2007, primo anno della crisi, e il 2013, gli “immigrati toscani” hanno segnato un aumento del 37%, passando da 310mila a 422mila stra-nieri regolarmente presenti, una per-centuale di crescita sostanzialmente si-mile a quella nazionale (+35%) e netta-mente superiore a quella dell’Unione Europea (+10%).Guai, però, pensare che la crisi non ab-bia avuto alcun impatto: “In realtà so-no completamente cambiate le ragio-ni della crescita quantitativa degli im-migrati – spiega Federico Russo, uno dei due responsabili della redazione toscana di Idos -: se fino a prima del-la crisi, infatti, l’aumento era principal-mente attribuibile alla capacità attrat-tiva costituita dalle opportunità occu-pazionali offerte dai principali distretti produttivi della regione, adesso l’incre-mento è giustificato soprattutto dal-la ricomposizione in loco dei nuclei fa-miliari, attraverso i ricongiungimenti,

e da quel fenomeno del tutto partico-lare degli immigrati nati in Italia, ossia dei dei figli dei genitori stranieri nati in Toscana che nel 2013 sono stati 5.857, pari al 20% di tutti i bambini che han-no visto la luce nei dodici mesi”.Lo scenario, quindi, racconta di un ter-ritorio in cui, ormai da tempo, l’immi-grazione è diventata un una caratteri-stica strutturale della società regionale, con un’incidenza sulla popolazione re-sidente pari a circa il 10,3%, percentua-le significativamente maggiore sia del-la media italiana (8,1%) che soprattut-to di quella Ue (6,8%). Particolarmen-te evidente nelle classi della regione da-to che nell’anno scolastico 2013-14 gli alunni stranieri sono stati 64.355, pari

al 12,7% della popolazione studentesca (che arrivanno al 14% nelle province di Arezzo, Firenze e Siena e addirittura al 19,7% in quella di Prato). E fra le nuo-ve generazioni, considerato che oltre la metà (52,2%) di tutti gli studenti immi-grati toscani, è nato e cresciuto in Italia (cosidetta “seconda generazione”) pur mantenendo la cittadinanza del paese dei genitori esclusivamente per motivi legati agli obblighi imposti dalla nor-mativa italiana, un’incidenza che sale al 65,4% alle elementari e, addirittura, all’85,7% alle scuole delle’infanzia per calare alle medie (40,9%) e sopratutto alle superiori (16,9%), un grado scola-stico dove, complessivamente, rima-ne più marcata la preferenza degli stu-denti immigrati per gli istituti profes-sionali (40,7%) e tecnici (35%), “anche se – sottolinea Russo – almeno in alcu-ni contesti territoriali, rispetto a qual-che anno fa, è nettamente in crescita l’attrattività dei licei, scelti dal circa un quarto degli studenti stranieri alle su-periori delle province di Prato e Pisa”.

A scuolaSono 64.355.

La metàè nato in Italia

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Immigrazione

Dal + 40 % di Lucca al +53% di Pisa:sulla costa gli incrementi maggiori

Si affacciano quasi tutti sul Mar Tirreno i territori della regione che, dal 2008 al 2013hanno realizzato la crescita più significativa.

Circa un terzo degli immigra-ti (31,8%) vive nella provin-cia di Firenze, il 10,3% a Pra-to, il 10,1% a Pisa e il 9,7% ad

Arezzo. Complessivamente, quindi, oltre i due terzi (68,7%) della popo-lazione straniera regolare risiede nel-la cosiddetta “Toscana dell’Arno”, la tradizionale area forte dell’economia regionale che va da Arezzo a Pisa e che ha il cuore nel distretto fiorentino pratese. Attenzione, però: “La geogra-fia toscana delle presenza straniere – sottolineano i redattori del Dossier – non corrisponde a quella dei territo-ri che, negli ultimi anni, hanno fatto registrare gli incrementi maggiori da-to che le aree con gli aumenti più si-gnificativi si concentrano quasi tutte

nella Toscana costiera”. Eccezion fatta per il capoluogo Firenze (52,8%), i ter-ritori provinciali nei quali, nel quin-quennio compreso fra il 2008 e il 2013 la popolazione straniera ha segnato i balzi in avanti percentualmente più rilevanti, infatti, si affacciano tutti sul Mar Tirreno: è il caso di Pisa (53,2%) ma anche di Livorno (52,5%), Grosse-to (51,5%) e della stessa Lucca (40,2%). Incrementi relativi molto più attenua-ti si registrano, infatti, nelle province di di Pistoia (21,6%) e Arezzo (25,7%), ma anche di Siena (31,9%) e della stes-sa Prato (38,4%).“Sembra proseguire, dunque, - si leg-ge nel capitolo dedicato alla Tosca-na - quel processo di redistribuzione sul territorio della popolazione stra-

niera, tipico delle regioni ad immi-grazione matura, che contraddistin-gue la Toscana già da qualche anno e vede le famiglie immigrate spostar-si dai principali centri urbani alle zo-ne più periferiche, man mano che cre-sce la conoscenza del territorio e del-le opportunità che questo è in grado di offrire”. Per quanto riguarda, infi-ne, le aree di provenienza, 57 immi-grati residenti su 100 sono europei, 22 asiatici, 14 africani e 7 americani. Rispetto a ciò che si verifica a livello italiano, la Toscana continua ad evi-denziare una più marcata presenza di cittadini provenienti dall’Asia Orien-tale (14,9% contro l’8,7% nazionale) ma anche dell’Europa centro-orien-tale (27,9% contro 23,9%) e una mino-re incidenza degli stranieri originari dell’Africa settentrionale (9,3% contro il 14,1%). La comunità più numerosa proviene dalla Romania (71.031 re-sidenti), seguita da Albania (64.906), Cina (38.074) e Marocco (25.263).

Sul mercato del lavoro, pe-rò, le difficoltà si sono fatte

sempre più evidenti e acute an-che per gli stranieri: nel 2013, infatti, gli occupati immigrati assicurati all’Inail sono passati da 257mila a 250mila, una di-minuzione del 2,7% che eviden-zia come, “nei precedenti dodici mesi il continuo aumento di la-voratori nati all’estero, che già dal 2009 aveva rallentato la sua corsa, per la prima volta si sia interrotto” sottolineano i redat-tori del Dossier nel capitolo de-dicato alla Toscana.Evidenziando pure come, in

Toscana, “la crisi economica non ha risparmiato il mercato del lavoro, neanche quello degli immigrati che in passato aveva-mostrato di mantenere una cer-ta vitalità, conquistata a prezzo della loro maggiore disponbili-tà a muoversi per cercare lavo-ro e ad accettare salari più bas-si e mansioni meno gratifican-ti” anche se “a confronto con le altre regioni del centro (-4,7%) e con l’intero Paese (-3,6%) in To-scana la riduzione degli occu-pati rispetto al 2012 è stata sen-sibile ma inferiore”.

Calano gli iscritti all’Inail: – 2,7%

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Dal febbraio la famiglia di Za-kir Hossain, il cameriere benga-lese ucciso a Pisa nell’aprile scor-so da un passante che gli sferrò

un pugno senza motivo, riceverà un asse-gno mensile di 2500 euro al mese. La cifra esatta è stata precisata dal direttore del-la sede pisana dell’Inail, Giovanni Loren-zini durante il consiglio comunale aperto, per la festa della Toscana, che Pisa ha vo-luto dedicare proprio al bengalese. Il vita-lizio, è stato ricordato, avrà una decorren-za retroattiva e la cosiddetta rendita ai su-perstiti per l’infortunio sul lavoro in itinere sarà calcolato a partire dal maggio scorso. Prima della seduta consiliare, nella cen-tralissima corso Italia, all’angolo con via San Bernardo, è stata scoperta una tar-ga collocata nel punto esatto dove Hos-sain fu colpito e perse i sensi per poi mo-rire 36 ore più tardi. Ad assistere alla ce-rimonia c’erano tanti pisani e tanti espo-nenti della comunità bengalese di Pisa. “Zakir è un nostro concittadino, un pi-sano che, come tanti immigrati che han-no scelto la nostra città per vivere e lavora-re, era impiegato in uno dei locali del cen-tro storico e vogliamo ricordarlo per quello che era, ossia un lavoratore e una persona assolutamente pacifica, esempio di quel-la laboriosità che contraddistingue la stra-

grande maggioranza delle comunità stra-niere pisane – ha detto il sindaco Filippe-schi -: il suo omicidio è stato un episodio gravissimo che ha toccato profondamente tutta la città che è stata capace di una re-azione immediata, sia sotto il profilo del-la solidarietà che per quel che concerne la velocità con cui si sono svolte le indagini tramite le qualiè stato possibile risalire in breve tempo all’identità dei colpevoli. Pi-sa è sempre stata una città dell’accoglien-za che, per essere realmente tale, deve ov-viamente essere guidata e accompagnata da regole certe e precise. Che, però, devo-no valere per tutti: per questo – ha conclu-

so il primo cittadino - non vanno assolu-tamente confuse le legittime richieste di si-curezza, con la colpevolizzazione indiscri-minata di comunità che a Pisa hanno da-to e stanno dando tanto, lavorando nelle nostre famiglie piuttosto che negli alber-ghi o negli esercizi commerciali”. Nell’oc-casione è stata anche rilanciata la raccol-ta fondi a favore della famiglia di Hossain: le donazioni possono essere effettuate tra-mite il conto corrente aperto presso la fi-liale del Banco Popolare, Cassa di Rispar-mio di Lucca Pisa Livorno con codice Iban IT35S0503414011000000004949. La ca-suale e’ ‘Solidarieta’ famiglia Zakir’.

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Immigrazione

Omicidio Zakir, una targa per non dimenticareÈ così che Pisa ha voluto “celebrare” la festa della Toscana. Dall’Inail vitalizio di 2.500 euro alla famiglia

del cameriere bengalese ucciso nell’aprile scorso.

La povertà, un fenomeno da sempre presente in Italia, sta colpendo con

rinnovato vigore il nostro Paese, pur con livelli differenziati di intensità e dif-fusione. La Caritas è un testimone pri-vilegiato dei nuovi fenomeni di povertà: se osserviamo i dati dei Centri di Ascol-to, rispetto al biennio 2011-2012, l’au-mento di utenza è stato pari al 25%. E si tratta di nuovi volti, diversi da quel-li della povertà tradizionale: sempre più italiani, spesso separati o divorziati, che si ritrovano improvvisamente senza oc-

cupazione, dopo una vita di lavoro re-golare. Su 100 persone che si rivolgo-no alla Caritas, il 58,6 % vive in una di-mensione familiare, con o senza figli. La famiglia è quindi pesantemente coin-volta dal disagio sociale e dai contrac-colpi della recente crisi economica. Co-me uscirne?La Chiesa svolge nel merito un ruolo prezioso e insostituibile, anche se la re-sponsabilità ultima di intervento va si-curamente affidata alle istituzioni pub-bliche. Il testo costituisce un contribu-

to per riflettere sul valore della famiglia, sulle sue peculiarità, come modello alto e irrinunciabile per la società. Ciò com-porta cogliere l’importanza dell’allean-za tra politiche sociali e politiche fami-liari, riorganizzando le attuali misure che non si dimostrano sempre all’altez-za della nuova situazione di emergenza e, nel contempo, educare la famiglia al-la partecipazione allo sviluppo sociale e alla testimonianza della carità.Può essere acquistato in libreria o on li-ne su www.dehonianalibri.it

Famiglia

Famiglie sospese. Quaderno di riflessione teologico-pastorale sulla famiglia

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