Individuo e organizzazione, stili di leadership e dinamiche strutturali
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Università degli studi di Genova
Facoltà di Scienze Politiche
Corso di Laurea Triennale in Amministrazione, Organizzazione e Gestione
delle Risorse Umane
Tesi di Laurea in Sociologia dell'Amministrazione
Individui e Organizzazione: Tipi di leadership e dinamiche strutturali
Relatore Candidato
Chiarissimo Professore Giovanni Capello
Stefano Monti Bragadin
Anno Accademico 2010-2011
2
Indice
Prefazione…………………………………………………………………………
Parte 1…………………………………………………………………………….
L’organizzazione Novecentesca……………………………………….................
Capitolo 1………………………………………………………………………....
Le risorse umane e l’organizzazione…………………………………………......
1.1 Il termine “risorse umane”………………………………………………..
1.2 Il potere e l’autorità, analisi sociologica……………………………….....
1.3 Il conflitto………………………………………………………………....
Capitolo 2…………………………………………………………………..……..
Lo studio della sociologia all’interno dell’organizzazione……………………….
2.1 Sociologia delle organizzazioni: i gruppi organizzati…………………….
2.2 Sociologia delle organizzazioni: la burocrazia……………………………
2.3 Il formalismo burocratico di R.K Merton………………………………...
2.4 I giochi di potere di Michel Crozier………………………………………
2.5 Organigramma e forme d’organizzazione in M.Weber…………………..
2.6 Attori e decisioni………………………………………………………….
Capitolo 3…………………………………………………………………………
Storia del Management, cenni……………………………………………….......
3.1 Evoluzione del management delle risorse umane: cenni storici………….
3.2 Analisi del “caso Ford”…………………………………………………...
3.3 Comportamento organizzativo, motivazioni e ricompense……………….
3.4 Ricerche sul fattore umano (1920)………………………………………..
3.5 Equilibrio tra Persone e Organizzazione: il comportamento cooperativo.
3
3.6 Il comportamento cooperativo: condizionamento sociale………………..
3.7 Economia degli incentivi e persuasione…………………………………..
Capitolo 4…………………………………………………………………………
Studi sulla leadership organizzativa……………………………………………..
4.1 Il governo organizzativo e la funzione di organizzazione, leadership……
4.2 Guru del management (1960): studi sulla direzione , esperimenti sulla
centralità del “capitale umano”…………………………………………..
4.3 Douglas McGregor: Stili di direzione, teoria X e teoria Y…………………
4.4 Douglas McGregor: Applicazione della teoria Y : Il piano Scanlon……..
4.5 Sistema produttivo Giapponese: cenni storici del “Toyotismo”………….
4.6 Rensis Likert: il dilemma del dirigente, capitale umano e gruppi di
lavoro………………………………………………………………………
4.7 Chris Argyris: individuo, organizzazione e meccanismi di difesa………..
Capitolo 5…………………………………………………………………………
Studi di Herbert Simon sull’organizzazione……………………………………...
5.1 I soggetti in rapporto con le organizzazioni………………………………
5.2 Meccanismi di influenza dell’organizzazione (H. Simon)…………….
5.3 Il dirigente: Programmatore e coordinatore di attività…………………...
Capitolo 6…………………………………………………………………..……
6.1 Definizione di “clima”…………………………………………………..
6.2 La formula di K.Lewin………………………………………………….
6.3 Esperimenti sul clima organizzativo…………………………………….
6.4 Dal clima alla cultura, conclusioni………………………………………
Capitolo 7………………………………………………………………………..
La cultura organizzativa………………………………………………………...
7.1 Introduzione alla cultura organizzativa………………………………….
7.2 Che cos’è la cultura organizzativa………………………………………
4
7.3 Cultura e clima, due concetti distinti ma legati tra loro………………....
7.4 J. Pfeffer e A. Pettigrew: La cultura, simboli e significati condivisi……
7.5 La cultura organizzativa: conclusioni……………………………………
Parte 2…………………………………………………………………………..
L’Organizzazione Contemporanea……………………………………………..
Capitolo 8………………………………………………………………………..
L’impresa che ascolta……………………………………………………………
8.1 Il management nella Living & Learning Company……………………….
8.2 Le risorse umane : “persone giuste al posto giusto”……………………..
8.3 Leadership e sviluppo delle risorse umane………………………………
8.4 Nuove metodologie del management nello sviluppo e formazione
dell’individuo…………………………………………………………….
8.5 Empowerment sugli individui……………………………………………
Capitolo 9…………………………………………………………………………
Il leader. ………………………………………………………………………….
9.1 Il leader all’interno dell’organizzazione………………………………….
9.2 Classificazione degli stili di leadership (Lippit & White, 1943)…………
9.3 Classificazione degli stili di leadership (Litwin & Stringer, 1968)………
Capitolo 10……………………………………………………………………….
Leadership innovativa della produttività , studio di un caso:
La Toyota Corporation……………………………………………………………
10.1 Verso la terza rivoluzione industriale……………………………………
10.2 L’avvento del Toyotismo……………………………………………….
10.3 La qualità totale del Toyota production system………………………...
10.4 La leadership all’interno della Toyota Corporation……………………...
10.5 Leadership innova della produttività: caratteristiche…………………….
Capitolo 11……………………………………………………………………
Leadership carismatica, analisi Sociologica…………………………………
5
11.1 La teoria del carisma,: inquadramento storico……………………
11.2 Max Weber e il carisma politico…………………………………….
11.3 Influenza politica e leadership contemporanea……………………..
11.4 Leadership carismatica e i Mass media ……………………………
11.5 La personalizzazione della leadership………………………………
11.6 La leadership carismatica contemporanea…………………………..
Capitolo 12…………………………………………………………………….
12.1 Apple, cenni storici………………………………………………….
12.2 “Captain oh my captain”. Il team vincente e la leadership culturale
di Steve Jobs………………………………………………………….
12.3 Quando il capo è insostituibile…………………………………….
12.4 La semplicità…………………………………………………….
12.5 La ricerca dell’eccellenza, design e funzionalità……………………..
12.6 Elitismo di Steve Jobs, reclutare i migliori……………………………..
12.7 L’avventura della Pixar…Cenni…………………………………………….
12.8 Il lavoro di Steve Jobs…………………………………………………
12.9 La passione per il lavoro……………………………………………….
12.10 Un “grande intimidatore”…………………………………………..
12.11 Leadership autoritaria-arismatica: Caratteristiche della leadership
di Steve Jobs………………………………………………………………
12.12 Leadership autoritaria-carismatica nel caso di Apple inc.: Conclusioni
6
Capitolo 13…………………………………………………………………….
Leadership Democratica / creativa, studio di un caso: Pixar animation studios.
13.1La definizione di una vision chiara…………………………………
13.2 Il clima creativo………………………………………………………
13.3Individui e Team……………………………………………………..
13.4 Personale, automotivazione e controllo………………………………
13.5 Obiettivi a lungo termine, rispetto e fiducia………………………….
13.6 Filosofia del gioco e dell’umore……………………………………...
13.7 Classificazione del dipendente ideale…………………………………
13.8 Leadership democratica-creativa, differenza tra culture, conclusioni...
Capitolo14 ……………………………………………………………………..
Conclusioni……………………………………………………………
Ringraziamenti……………………………………………………………….
Bibliografia……………………………………………………………………..
Sitografia………………………………………………………………………..
7
PREFAZIONE:
Il rapporto tra l'individuo e l'organizzazione è sempre stato molto difficile da
Analizzare, perché richiede di tener conto di una quantità di elementi sempre in
conflitto tra loro. Tra i motivi di conflitto, uno è considerato costante ma insanabile allo
stesso tempo: gli interessi delle singole persone che lavorano sono oggettivamente in
antitesi con gli interessi dell'organizzazione in quanto tale. Questo elemento è solo uno
dei tanti che rende difficile l'analisi del rapporto strutturale tra l'individuo (l'uomo, che
per soddisfare i suoi bisogni e le necessità di sé e della sua famiglia presta la sua opera,
il suo lavoro) e l'organizzazione (l'insieme di persone e risorse che collaborano per
svolgere un obiettivo specificamente definito) .
Tale dinamica delinea un altro problema di gestione del rapporto individuo-
organizzazione: il pericolo di privilegiare Il fare sul capire:
- Fare: applicare delle routine procedurali (definite best practices) consolidate
attraverso esperienze di altre organizzazioni e prese ad esempio all'interno della
struttura organizzativa in analisi;
- capire: è la comprensione sistematica dei comportamenti delle persone, mediante
l'utilizzo di strumenti cognitivi (per es. le interviste) per approfondire le reali
motivazioni che spingono l'individuo a compiere determinate azioni;
Comprendere Il comportamento dell'uomo inscritto nell'organizzazione è necessario per
comprendere l'organizzazione stessa, quale meccanismo composto da innumerevoli
ingranaggi, necessari e mutevoli ma pur sempre persone con aspirazioni, sentimenti e
motivazioni;
8
Per diversi aspetti, studiare le risorse umane significa proprio questo:
considerare le variabili -micro per comprendere la variabile -macro.
Tante persone (-micro) uniformano e condividono valori e motivazioni per coordinare
con gli altri la propria attività di svolgimento degli obiettivi organizzativi (-macro).
Sarà necessario analizzare i diversi codici interpretativi che dirigenti e lavoratori
subordinati utilizzano per dare significato al loro agire.
D. McGregor (1960) analizza questi codici interpretativi concludendo che sono
essenzialmente due angolazioni prospettiche opposte della stessa realtà organizzativa,
due linguaggi speculari che descrivono la stessa cultura dell'organizzazione: un
linguaggio più “autoritario” (quello del dirigente) e un linguaggio più “partecipativo”
(quello del lavoratore subordinato).
L'identità organizzativa sarà influenzata dall'orientamento di questi due linguaggi e
dall'azione di governo (e quindi dalla supremazia) di uno dei due (differenza tra la
teoria X e la teoria Y, D. McGregor 1960).
Scopo di questa tesi sarà comprendere il rapporto tra l’individuo e l'organizzazione
analizzando:
- le varie dinamiche strutturali della dimensione collettiva di lavoro;
- la cultura organizzativa (condivisione di significati, valori, usi e costumi interni
all'organizzazione);
- la figura dell’imprenditore-leader e i suoi stili di leadership (carisma-partecipazione-
autorità);
- i parametri fondamentali dell'organizzazione (efficacia/efficienza);
9
- proponendo inoltre vari esempi e studi effettuati nel secolo scorso da vari sociologi tra
cui i cosiddetti Guru del Management (R. Likert / D. McGregor / C. Argyris) negli anni
Sessanta e altri studiosi in anni più recenti;
Saranno analizzate inoltre le dinamiche strutturali interne di alcune organizzazioni
contemporanee (Toyota Corporation / Apple inc. / Pixar Animation Studios.) che si
sono distinte nella cultura organizzativa contemporanea per il loro stile di management.
10
Parte 1: l'organizzazione novecentesca.
Capitolo 1
Le risorse umane e l'organizzazione.
1.1 il termine “risorse umane”.
Lo studio del comportamento degli individui all'interno delle organizzazioni nasce con
lo scopo di comprendere realmente il potenziale delle persone inquadrate in un contesto
organizzativo ben definito.
Nasce così il termine risorse umane per evidenziare l'aspetto di valore o capitale insito
nel personale, nella sua professionalità e nelle sue competenze, e quindi, il fatto che le
spese per lo sviluppo di tali risorse devono essere considerate investimenti. L'uso
dell'espressione è inteso a sottolineare l'importanza delle risorse umane nell'ambito
organizzativo, il loro essere una fonte di vantaggio competitivo per l'azienda e l'intero
sistema economico. Uno dei modi per marcare questa nuova definizione è stata negli
anni Ottanta la denominazione “management delle risorse umane” che ha sostituito la
più tradizionale “direzione del personale”.
1.2 Il potere e l’autorità, analisi sociologica.
Il potere è, per la sociologia ciò che l'energia è per la fisica; è infatti una specie di
energia sociale, di cui un attore dispone nel condizionare le azioni di un altro. Si tratta
dunque di un fenomeno di relazione: si ha potere nei confronti di un altro al quale si è
legati da una relazione, per ambiti di comportamento più o meno estesi, in situazioni
11
particolari e non necessariamente in altre.
Non esiste un accordo generale sul concetto di potere, ma la più nota definizione è
quella di Max Weber (1922), secondo la quale potere è la possibilità di trovare
obbedienza a un comando che abbia un determinato contenuto.
L'analisi sociologica ha rilevato che a ogni rapporto di potere corrisponde anche un
interesse all'obbedienza da parte del soggetto più debole, non fosse altro perché
comportarsi in modo diverso sarebbe troppo costoso. Assumere questo punto di vista,
che non impedisce di vedere quando o in che misura si tratti di un'imposizione o di una
violenza, è importante perché ci obbliga a tener conto anche delle reazioni e delle
strategie del soggetto più debole. E in generale all'espressione di un potere anche forte
corrisponde una capacità più o meno grande di condizionare gli obiettivi, le modalità e
le conseguenze.
Inteso nei termini specifici della definizione precedente, il potere si distingue da una
generale possibilità di condizionare il comportamento di altri, anche senza azioni dirette
o comandi. Si tratta di forme diverse di energia sociale, che comprendono per esempio, i
condizionamenti di chi, controllando una risorsa utile e rara, di fatto ne limita l'uso ad
altri. In questi casi Weber usava il termine Macht, tradotto in Italiano potenza o potere
di fatto, che consiste nella possibilità di indurre altri a comportarsi secondo il nostro
volere, indipendentemente dai mezzi usati ed a prescindere da ogni espressione della
loro volontà. Un altro tipo di potere che si differenzia dal potere di fatto è il potere
legittimo o autorità. L'autorità riguarda relazioni nelle quali sono previsti diritti di dare
ordini e doveri di obbedire, considerati legittimi da entrambi gli attori. La legittimazione
del potere è un particolare modo di incanalare l'energia per i bisogni del funzionamento
della società. Le relazioni d'autorità sono formalmente previste in tutti i gruppi
12
secondari e si ritrovano egualmente in gruppi primari come la famiglia. I genitori
esercitano autorità sui figli in modo diffuso, perché diffuso è il loro ruolo; il capo
ufficio, invece esercita autorità su un impiegato in modo specifico, solo per ciò che lo
schema organizzativo prevede e non sugli aspetti della sua vita privata. Gli attori di una
relazione possono andare però al di là degli ambiti della legittimazione. Il capo ufficio,
per esempio, può pretendere favori personali da un impiegato: in tal caso non esercita
più autorità, ma solo potere. I soggetti possono poi anche cercare di cambiare i criteri
della legittimazione. In questi casi, l'energia si libera e si aprono conflitti. Ne deriva una
conseguenza importante: se un regolamento organizzativo non può fissare più di tanto il
compito di un impiegato in situazioni mutevoli e non prevedibili in astratto, si apre un
campo di conflitti, adattamenti e contraddizioni tra i soggetti, che sono parte normale
dell'interazione all'interno di ogni gruppo.
1.3 Il conflitto.
Il conflitto riguarda azioni orientate dal proposito di affermare la propria volontà contro
la volontà e la resistenza di altri, sia che tali azioni si svolgano nell'interazione
all'interno di una relazione sociale stabile, come in famiglia o in azienda, sia che
nascano specificatamente come relazione di conflitto.
Il conflitto contribuisce a stabilire e mantenere i confini del gruppo. Attraverso il
conflitto i soggetti di un gruppo acquistano o conservano facilmente la consapevolezza
della loro identità e particolarità, mentre in assenza di conflitto ciò potrebbe anche non
verificarsi o verificarsi debolmente. I gruppi che richiedono un impegno totale della
personalità sono capaci di limitare i conflitti, ma se questi esplodono, tendono a essere
di particolare intensità e anche distruttivi nelle relazioni di gruppo. Se il conflitto si
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innesca, mette in gioco i forti investimenti della personalità e tocca una pluralità di
contenuti. All'interno di un'organizzazione come l'azienda il conflitto usualmente nasce
se il detentore del potere (il leader) esce eccessivamente dagli ambiti della
legittimazione nei confronti dei suoi sottoposti.
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Capitolo 2
Lo studio della sociologia all'interno dell'organizzazione.
2.1 Sociologia delle organizzazioni: i gruppi organizzati .
Uno dei caratteri più evidenti della società moderna è la grande diffusione di
associazioni e organizzazioni. in entrambi i casi si tratta di gruppi progettati per
raggiungere alcuni limitati scopi, basati su regolamenti chiaramente stabiliti, al
contrario dei piccoli gruppi informali come un gruppo di amici. Si tratta dunque di
gruppi secondari formali. I due termini sono stati usati, e continuano a esserlo, con
significati diversi, sino a considerare le organizzazioni come tipo particolare di
associazioni, ma anche viceversa le associazioni con tipo particolare di organizzazioni
(Donati 1992).
Un gruppo di persone che ritiene di avere interessi o ideali simili può dare vita a una
associazione per difenderli o realizzarli insieme. Una volta associate, Le persone in
genere si distribuiscono fra loro alcuni compiti necessari alla vita di associazione, i vari
soci dunque sono incaricati di svolgere ognuno il proprio compito. Con riferimento a
questo aspetto, si dice che l'associazione si è data una sua organizzazione.
Può anche succedere che le necessità dell'associazione richiedano che si costituisca un
ufficio stabile per quei compiti, assumendo persone pagate perché li svolgano, secondo
certe routine procedurali stabilite, con capacità professionali per farlo, rispondendo agli
ordini di un responsabile. Noi chiamiamo questo ufficio un'organizzazione.
Al contrario delle associazioni, nelle organizzazioni partecipare è un lavoro, remunerato
15
usualmente in denaro. Il motivo della partecipazione è dunque strumentale, e solo in
certi casi o in parte può verificarsi anche un'identificazione più o meno sentita con i fini
dell'organizzazione (come già detto nella prefazione, nella maggioranza dei casi, gli
interessi delle singole persone che lavorano sono oggettivamente in antitesi con gli
interessi dell'organizzazione).
Possiamo aggiungere che, in un certo senso, nelle organizzazioni, al contrario delle
associazioni, i ruoli vengono prima e sono più importanti delle singole persone che si
uniscono in gruppo.
Associazioni e organizzazioni hanno comunque in comune il fatto di essere degli attori
artificiali, costruiti per raggiungere obiettivi che le persone reali da sole non potrebbero
raggiungere; in tal senso possono essere considerate una delle più grandi invenzioni
dell'uomo.
Questi attori artificiali, una volta costituiti, cominciano ad avere vita propria: di un'
organizzazione diciamo che ha certi scopi, possiede un patrimonio, ha una sede, prende
una certa decisione. Siccome ci sono delle decisioni che possono essere considerate del
gruppo, questo è anche definito un attore collettivo.
Gli attori collettivi hanno popolato il nostro mondo. In particolare la diffusione delle
organizzazioni è stata ovunque massiccia, al punto che la nostra società è stata definita
una società di organizzazioni (Presthus 1962).
2.2 Sociologia delle organizzazioni: la burocrazia.
Max Weber è uno degli studiosi più importanti per l'analisi sociologica delle
organizzazioni. Il termine che Weber usa per definire la forma moderna di
16
organizzazione è burocrazia. Della burocrazia egli individua le principali
caratteristiche, costruendone un modello teorico (chiamato da Weber ideal-tipo) al
quale le organizzazioni concrete tendono più o meno a corrispondere.
Per Weber, i principali caratteri della burocrazia sono i seguenti:
- una divisione stabile e specializzata di compiti, studiata esclusivamente in vista degli
scopi dell'organizzazione e stabilita da regole che prescrivono come comportarsi a
seconda delle situazioni;
- una precisa struttura gerarchica: chi occupa una posizione ha i poteri per compiere
gli atti che a quella posizione competono, può dare ordini ad altri che da lui dipendono
mentre deve obbedire agli ordini di chi è suo superiore diretto, il quale non può essere
scavalcato da un suo superiore; è però anche strettamente previsto il tipo di ordini che si
possono dare e ricevere, oltre i quali non si può andare (il c.d. ambito di legittimazione);
insieme ai poteri di dare ordini competono anche poteri di controllo sulla loro
esecuzione;
- competenza specializzata per ogni posizione: questa richiede una preparazione
adeguata di chi la posizione occupa, l'esercizio a tempo pieno e continuativo della
professione, un'assegnazione alla posizione per mezzo di un meccanismo di concorso,
come garanzia di competenza, e successivamente di meccanismi di carriera come gli
scatti automatici per anzianità;
- remunerazione in denaro in modi previsti per una certa posizione, pagata
dall'organizzazione e mai dai clienti di questa; nessuna possibilità di appropriarsi del
posto definitivamente, di cederlo ad altri o passarlo in eredità.
«Un'organizzazione di questo genere si è diffusa nel mondo moderno perché si presta
17
"alla più universale applicazione a tutti i compiti". di conseguenza, oggi c'è soltanto la
scelta tra burocratizzazione e dilettantismo» (cit. anonimo)
Il motivo della sua efficienza sta poi fondamentalmente nel fatto che nella burocrazia
potere e controllo sono esercitati sulla base della conoscenza e della competenza. In
questo senso si tratta di un'organizzazione razionale.
Va precisato che Weber non afferma che tutte le moderne organizzazioni debbano
essere burocratizzate, anche perché spesso la burocrazia non è efficace e neppure
efficiente.
I sociologi usano il termine efficacia per indicare la capacità di un'azione di raggiungere
i risultati che si propone, ed efficienza a valutare il dispendio di risorse impiegate per
ottenere i risultati (H. Simon 1957).
2.3 Il formalismo burocratico di R.K Merton.
I sociologi hanno sviluppato diverse interpretazioni del fenomeno organizzativo,
costruendo modelli teorici di spiegazione più o meno complicati. Vediamone due in
forma semplificata. il primo è di R.K. Merton (1949).
La burocrazia richiede regole generali e chiaramente definite : i casi particolari devono
essere classificati secondo categorie astratte previste e trattati tutti nello stesso modo a
seconda di quanto prescritto per una data categoria. "l'impiegato sa esattamente qual'è la
procedura per compiere una determinata operazione e la applicherà con precisione ogni
volta che ne sarà necessario". l'impiegato è addestrato a comportarsi così, sa di essere
valutato positivamente dai suoi superiori se così si comporta, e di essere invece ripreso
o punito se si comporta diversamente. Tutto nell'organizzazione è previsto perché i
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rapporti siano il più impersonali possibili, al fine di eliminare ostilità o favoritismi,
complicazioni affettive, ansietà. Merton sostiene che la struttura burocratica esercita una
pressione costante su un funzionario a affinché sia metodico, prudente, disciplinato.
In tali condizioni chi lavora nell'organizzazione tende a sviluppare una caratteristica
deformazione professionale : i regolamenti, che erano stati concepiti come strumenti per
raggiungere certi scopi, diventano per lui dei fini in sé stessi;
seguire con precisione e con scrupolo le regole diventa più importante e più gratificante
che ottenere i risultati. La conformità al regolamento finisce insomma per dare luogo a
pignoleria e formalismo, vale a dire ad "una aderenza puntigliosa alle regole formali".
Atteggiamenti di questo genere ostacolano in particolare la capacità di adattamento alla
grande varietà di situazioni particolari, che non sono state previste nei regolamenti
generali o non lo sono state in modo chiaro. Di conseguenza conclude Merton: «proprio
le condizioni che normalmente portano all'efficienza in situazioni particolari e
specifiche producono inefficienza».
2.4 I giochi di potere di Michel Crozier.
Un modello diverso e più complesso, è proposto da M. Crozier (1963).
Al centro della sua attenzione sono le relazioni di potere, vale a dire la possibilità di
interferire sul comportamento di altri al di là degli ambiti d'autorità previsti
dall'organizzazione. In un organizzazione perfettamente razionalizzata questo potere
residuo non potrebbe sussistere, perché il comportamento di ognuno sarebbe
perfettamente previsto e visibile. Ma un'organizzazione del genere per Crozier è
impossibile, perché non c'è mai una soluzione unica e perfetta per ogni problema
19
minimamente complicato e perché non è possibile prevedere tutti gli aspetti dello
svolgimento di un compito. Per meglio dire, esistono ruoli nell'organizzazione più e altri
meno prevedibili, e dunque ruoli più o meno regolabili: il ruolo di uno specialista
tecnico che progetta una macchina, può essere regolato in modo dettagliato meno di
quello di un impiegato che fascicola pratiche. Si verifica allora il seguente processo:
ogni incertezza nella regolamentazione di un ruolo organizzativo comporta l'esistenza di
un certo potere discrezionale nelle mani di chi quel ruolo svolge, che può essere da lui
utilizzato per «contrattare» la propria partecipazione nell'organizzazione in vista di
vantaggi particolari; per esempio, un progettista può cercare di ottenere nuovo personale
per il suo reparto, non essendo facile provare che non è indispensabile; oppure può
cercare di imporre i propri ritmi di lavoro a quelli di un altro ufficio affermando che
questo è necessario, senza che altri siano in grado di controllare l'affermazione perché
non hanno la conoscenza tecnica per farlo.
Il gioco, che si svolge in genere a livelli di gruppo,si svolge tra i «privilegiati» e
«danneggiati». La direzione deve gestire i conflitti ed è costretta così a dare molta
importanza ai problemi interni di salvaguardia dell'equilibrio tra le diverse parti
dell'organizzazione, a scapito anche della propria efficienza. I gruppi non privilegiati
premeranno per una maggiore regolamentazione che tolga incertezza e dunque vantaggi
agli altri; ma in generale, anche i mezzi a disposizione dell'autorità di vertice di un
sistema burocratico, quando più questo corrisponde al modello puro, tanto più si
limitano a precisare e ad aumentare le regole. In questo modo l'organizzazione finisce
per cadere in un circolo vizioso, perché rendendo più minuziose e severe le regole,
diminuisce la capacità di adattamento alla varietà imprevedibile con cui i problemi si
presentano.
Dunque, ha ragione Merton che considera la personalità acquistata dai burocrati, o ha
20
ragione Crozier che analizza i giochi di potere? la risposta è che dipende dal contesto di
applicazione, ed uno dei due modelli può essere più o meno utile a capire il
funzionamento di una data organizzazione.
2.5 Organigramma e forme di organizzazione in Weber.
La burocrazia di Weber si basa su un principio fondamentale: la prevedibilità dei
comportamenti ottenuta attraverso la loro standardizzazione. Per ottenere un
determinato risultato (produrre automobili, rilasciare certificati, e così via) è possibile
individuare una serie di operazioni successive, ognuna delle quali è standardizzata, vale
a dire è fissata nei dettagli una volta per tutte; potrà e dovrà allora essere ripetuta senza
errori da una persona alla quale compete secondo lo schema organizzativo (ovvero
secondo il cosiddetto organigramma).
Questo principio si scontra con due difficoltà fondamentali: anzitutto gli individui non
si comportano come macchine, ma interagiscono con l' organizzazione mettendo in
gioco propri fini anche in concorrenza con quelli dell'organizzazione. In altre parole, le
persone non sono mai completamente prevedibili. In secondo luogo, è possibile
progettare uno schema di comportamenti standardizzati se i problemi che
l'organizzazione incontra nel realizzare i suoi compiti sono semplici e si presentano
senza grandi variazioni da un momento all'altro, o a seconda dei clienti; standardizzare i
comportamenti è tanto meno facile quanto più l' organizzazione opera in un «ambiente
instabile». Proprio per tali motivi, il principio fondamentale di Weber è rispettato solo
fino a un certo punto, molti consulenti aziendali e studiosi delle organizzazioni arrivano
anche a suggerire soluzioni molto lontane dai caratteri della burocrazia descritti da
Weber. Un esempio è la «direzione per obiettivi» raccomandata da Peter Drucker
21
(1964). In questo schema, più che alle regole bisogna fare attenzione agli obiettivi,
fissati a grandi linee e non nei dettagli; gli obiettivi sono in certa misura contrattati fra
superiori e inferiori, ciò che implica un'ampia possibilità di discuterli senza tenere
troppo conto della gerarchia nel valutare le proposte; in successive riunioni gli obiettivi
possono essere ridefiniti e ricontrattati;
I rapporti sono più personalizzati, la carriera per anzianità è prevista, ma si deve
soprattutto tener conto dei risultati che una persona ottiene e dei contributi che essa dà
alla soluzione dei problemi. Secondo Drucker, un' organizzazione basata su questi
principi motiva maggiormente le persone a impegnarsi, porta alla luce le zone di
inefficienza e i giochi di potere consentendo di affrontarli, è più capace di adattarsi a un
ambiente poco prevedibile.
In realtà le cose sono più complicate. Un sistema di direzione per obiettivi non è facile
da realizzare, si adatta meglio alle funzioni dei dirigenti che al resto dell'organizzazione,
dal momento che sviluppa competizione tra gli individui crea anche nuove tensioni:
«I problemi del funzionamento delle organizzazioni non si lasciano facilmente a ridurre
ad una ricetta schematica» (Bonazzi 1989).
In effetti, gli studi teorici sono andati nel senso di distinguere l'esistenza di forme
diverse di organizzazioni a seconda delle condizioni in cui esse operano, a seconda in
particolare del grado di stabilità dell'ambiente. Uno dei tentativi più interessanti a questo
riguardo è la teoria delle cinque configurazioni organizzative di Henry Mintzberg
(1983). Lo schema interpretativo si basa sulle differenze nel modo in cui le diverse
attività sono coordinate tra loro. Per ottenere maggiore efficienza, il modo di
coordinamento cambia a seconda delle dimensioni dell'organizzazione, del tipo di
tecnologia impiegata nella produzione di beni o servizi e della prevedibilità
22
dell'ambiente. Si definiscono in questo modo cinque configurazioni tipiche:
- struttura semplice: dove il controllo è esercitato direttamente dal vertice, il quale
accentra tutte le funzioni di direzione. Una piccola azienda artigiana è il tipico esempio;
- burocrazia meccanica: coordinata attraverso la standardizzazione dei compiti e la
gerarchia. È in sostanza la burocrazia di Weber, che diventa efficiente se l'ambiente è
stabile, se si tratta di produrre beni o servizi in grande serie, automobili o certificati
anagrafici per esempio, con una tecnologia che permetta di standardizzare le attività,
come la catena di montaggio;
- burocrazia professionale: coordina invece dipendenti con un lungo tirocinio di
formazione esterno all'organizzazione; una volta assunti, verificata la loro capacità
professionale, questi hanno ampia discrezionalità nello svolgimento del loro lavoro,
sono poco controllati e spesso lo sono più dagli utenti che dall'organizzazione perché
operano a stretto contatto con il pubblico: è il caso dell'insegnante di una scuola, del
professore d'università e del medico di un ospedale.
- struttura divisionale: si avvicina alla direzione per obiettivi di Peter Drucker (1964);
il coordinamento si ottiene, in questo caso, fissando obiettivi generali e compatibili tra
loro a settori con funzioni diverse (le divisioni), che poi sono indipendenti nelle loro
scelte sul come raggiungerli.
In questo modo una grande organizzazione complessa si adatta meglio all'ambiente,
perché ogni divisione (acquisti, produzione, studi e ricerche, e così via) può tenere
conto del suo proprio ambiente e della tecnologia che si presta a essere adoperata per la
sua funzione, contattando con le altre quantità e qualità dei prodotti, ritmi di produzione
ecc.
23
- adhocrazia: il termine è stato inventato con riferimento all'espressione latina ad hoc
che significa «espressamente per questo»; esso serve per indicare gruppi di lavoro con
compiti specifici, formati da persone che si conoscono bene e lavorano insieme
fidandosi delle rispettive competenze, senza vincoli di gerarchia e regole precisate, ai
quali sono assegnati compiti che richiedono alta professionalità, ma anche capacità di
inventarsi procedure e regole, perché si tratta di battere strade nuove;
ne è un esempio un gruppo di scienziati costituito ad hoc per studiare un fenomeno
ancora sconosciuto: le frontiere della scienza sono un ambiente molto incerto, i
ricercatori non sanno in partenza dove la loro ricerca li porterà o di quali mezzi tecnici
avranno bisogno.
I tipi di Mintzberg mostrano forme diverse di organizzazione relativamente più efficaci
a seconda dell'ambiente (anche la tecnologia disponibile può essere considerata un dato
dell'ambiente). I diversi tipi sollecitano forme diverse di motivazione a partecipare e
sembrano in genere favorirla più della burocrazia tradizionale, ma questo non significa
che ogni forma non presenti specifici problemi di adattamento delle persone ai fini
dell'organizzazione. Inoltre secondo Mintzberg, rimangono funzioni per le quali
continuano a essere più efficienti strutture burocratiche (di burocrazia meccanica nei
suoi termini), nonostante i limiti e i problemi che sono stati visti precedentemente.
Con lo schema presentato abbiamo incontrato una proprietà formale delle
organizzazioni, che avremmo peraltro potuto trovare facendo riferimento a qualsiasi
altro studioso contemporaneo di organizzazione:
«Non esiste un unico modo migliore (one best way) per progettare un'organizzazione».
«Per essere efficiente, un'organizzazione deve essere in grado di ricomporre un insieme
integrato di forme diverse». (Anonimo)
24
2.6 Attori e decisioni
Analizzando gli obiettivi dell'organizzazione è facilmente comprensibile che esistano
poche persone che decidono, e altre (usualmente la maggioranza) che sottostanno a tali
decisioni. Prendere delle decisioni significa perseguire degli obiettivi. Decisione e
obiettivi sono dunque collegati e la domanda «quali sono degli obiettivi di
un'organizzazione?» Può essere utilmente trasformata in: «chi con le sue decisioni
influenza gli obiettivi delle organizzazioni? » (Scott 1981)
Abbiamo imparato a guardarci dall'idea di un'organizzazione descritta come una
macchina che funziona esattamente secondo le previsioni dei piani di costruzione,
rispondendo ai comandi di un operatore che la mette in moto. Sappiamo che questa è
un'immagine ingenua, ma non bisogna neppure sostituirla con un'altra idea di
organizzazione che assomiglia a una guerra tra bande. Una volta stabilita una struttura
organizzativa con certi fini dichiarati nel suo statuto, una linea gerarchica, certe regole
per prendere le decisioni, un sistema di macchine per la produzione, incentivi al lavoro
e così via, questa impone dei vincoli molto forti alle scelte e al comportamento delle
persone, coordinando in modo sistematico le loro attività.
Nelle organizzazioni le persone fondamentalmente cooperano; ciò non toglie che
nell'ambito dei vincoli imposti dalla struttura, esse interagiscano tenendo conto di loro
obiettivi, proprio per influire sulle decisioni e quindi sugli obiettivi dell'organizzazione.
Il problema di distinguere obiettivi dell'organizzazione e obiettivi delle persone non si
pone o è meno importante nel caso delle associazioni, alle quali si partecipa perché se
ne condividono i fini (aiutare i malati, giocare a calcio, organizzare eventi culturali),
soddisfatti per il fatto stesso di partecipare. Si pone invece per le organizzazioni, alle
25
quali le persone partecipano strumentalmente per vantaggi che ne ricavano, più o meno
indifferenti ai fini dall'organizzazione in quanto tali. Questi possono essere più
importanti per alcuni membri di un'organizzazione, o all'interno di certe organizzazioni.
Da notare comunque che i fini personali sono diversi e complessi: alcuni sono materiali,
come lo stipendio o la sicurezza del posto, altri morali, come la soddisfazione nel
compiere il lavoro, come la sensazione di esprimere le proprie capacità, oppure lavorare
in un gruppo a contatto con altre persone con le quali si sta bene insieme.
Se è ingenuo pensare che gli obiettivi dipendono solo dalle decisioni di una leadership
al vertice, (l'imprenditore, il manager), e se in genere non siamo nella situazione in cui
tutti hanno gli stessi obiettivi, forse un modo utile di rispondere alle domande fatte
all'inizio è affermare che gli obiettivi dell'organizzazione sono definiti da coalizioni,
vale dire da gruppi di persone con interessi comuni che si alleano con altri gruppi con
interessi diversi dai loro contattando certe decisioni cruciali (Cyert & March 1963).
Per esempio, i dirigenti di una grande impresa possono contrattare con gli azionisti la
distribuzione di un certo ammontare di dividendi, tale però da lasciare abbastanza
margini per buoni investimenti necessari a ingrandire l'organizzazione, un obiettivo che
sembra interessare in genere i dirigenti, e un certo aumento di stipendio a gruppi di
tecnici e impiegati impegnati in un settore dell'organizzazione che deve essere coinvolto
nei piani di espansione. Altri gruppi che non sono entrati nella coalizione dominante
saranno sacrificati o meno avvantaggiati. In questo modo l'organizzazione assume la
decisione se come destinare il profitto realizzato, e i suoi obiettivi si ridefiniscono con
lo sviluppo di un nuovo settore. Giochi di questo genere, comunque, devono tenere
conto dell'insieme delle regole e dei vincoli che una determinata organizzazione pone,
come il fatto che un'impresa deve continuare a produrre e vendere per ottenere un
profitto altrimenti non sopravviverà.
26
Capitolo 3
Storia del Management, cenni
3.1 Evoluzione del management delle risorse umane: cenni storici
Nel 1911 F.W Taylor fu un iniziatore della ricerca sui metodi per il miglioramento
dell'efficienza nella produzione industriale. Egli attraverso lo studio scientifico del
lavoro descrisse Il fenomeno che verrà successivamente chiamato“ Taylorismo“.
Tale fenomeno presupponeva un metodo preciso: lo studio dei singoli movimenti del
lavoratore (operaio) per poter ottimizzare il tempo di lavoro, mediante la scomposizione
di un attività in tanti subcompiti definiti come altri ruoli o posizioni. Ogni posizione
verrà progettata accuratamente per creare una sequenza di attività lavorative che
operano in sincronia tra loro.
Analizzare, scomporre e programmare le azioni e selezionare, addestrare e retribuire
l'operaio (definito: “l'uomo giusto al posto giusto”);
Tale programma definisce una spersonalizzazione evidente delle mansioni, non esiste
più il problema di gestire il comportamento del personale, ridotto ormai a poche
operazioni elementari. Si delinea una situazione in cui gli operai non danno una risposta
comportamentale poiché sono considerati meri esecutori di azioni progettate da
qualcun'altro.
Il ruolo degli operai nella fabbrica moderna con tale Sistema di produzione (che
caratterizzerà l'economia occidentale) è un ruolo del tutto Subordinato. In questo
ambito il comportamento organizzativo (inteso come il risultato di decisioni
27
“relativamente” autonome da parte di chi occupa questo ruolo) è considerato totalmente
irrilevante. La Subordinazione è comprensibile dal momento in cui viene Spiegato “il
Caso Ford”.
3.2 Analisi del “caso Ford”.
Nei primi anni del 1900 la maggior parte dell'industria automobilistica era concentrata a
Detroit (Michigan,U.s.a). Una mobilità notevole del lavoro creava un immenso turnover
di Operai e le imprese si accaparravano la manodopera per un aumento di pochi
centesimi di dollaro.
Henry Ford (fondatore della Ford Motor Company) un giorno decise di offrire un
salario più alto di ben cinque dollari al giorno, con un incremento di più del doppio di
quello offerto da altre imprese.
Offrendo un salario più alto del mercato del lavoro, non si può negoziare.
H. Ford con questo colpo trasformò la relazione tra lavoratore e impresa, da un libero
gioco di mercato (domanda di lavoro per offerta di salario) ad un autentico rapporto di
subordinazione. Ford lo fece per evitare comportamenti opportunistici degli “scansa
fatiche” perché offrendo un salario più elevato poteva giustificare la natura gerarchica
della sua impresa, chiedendo più impegno agli operai e automaticamente incrementando
la produttività (del 50 %).
Henry Ford viene ricordato per aver trapiantato negli anni Trenta le teorie di Frederik
Taylor all'interno dell'organizzazione del lavoro mediante l'automazione delle
operazioni e la razionalizzazione del ciclo produttivo. (c.d: fenomeno del “Fordismo”)
Tale disciplina organizzativa quasi maniacale e tale regime alienante con un salario più
28
generoso saranno duramente criticati.
3.3 Comportamento organizzativo,motivazioni e Ricompense
L'attenzione al comportamento organizzativo e alle caratteristiche psicologiche dei
singoli individui emergerà grazie al contributo dei “motivazionisti” come A. H. Maslow
(1954) e F. Herzberg (1966).
Secondo Maslow le motivazioni al lavoro che derivano dalla necessità di soddisfare
bisogni materiali sono solo i gradi più bassi di una scala di bisogni che ogni individuo
tende a risalire, grado per grado, una volta che il bisogno inferiore sia stato soddisfatto.
Così ogni individuo avvertirà la necessità di appagare motivazioni di ordine sociale
(il bisogno di socializzazione), e i bisogni di autorealizzazione nel lavoro, solo dopo che
saranno stati soddisfatti i bisogni fisiologici primari e di sicurezza.
Un altro studio inerente al comportamento è offerto da J.R Galbraith (1977) che offre
una rappresentazione sistematica tra leve motivazionali e tipi di comportamenti
organizzativi, suggerendo di scegliere gli incentivi adeguati per attivare il
comportamento di cui l'organizzazione ha bisogno.
J.R. Galbraith (1977) distingue cinque Possibili tipi di comportamento organizzativo:
- comportamento Associativo : Il semplice atto di entrare a fare parte di
un'organizzazione, senza particolare riferimento alle azioni che effettivamente si
svolgono;
- comportamento conforme a un ruolo prescritto : La richiesta di attenersi a delle
procedure descritte in modo preciso da colui che ha progettato il lavoro;
- comportamento basato sullo sforzo al di sopra del livello minimo : viene richiesto di
29
massimizzare per quanto possibile, l'erogazione della propria prestazione lavorativa;
- comportamento spontaneo e impegnato : vi sono situazioni lavorative non sempre
strutturate, si chiede a chi offre la prestazione di impegnarsi, volta per volta a risolvere i
problemi e a perseguire gli obiettivi organizzativi;
- comportamento cooperativo : il lavoratore si adegua perfettamente alla logica di
cooperazione che le organizzazioni richiedono;
Galbraith ritiene possibile individuare sei diverse leve motivazionali di cui il
management può disporre per suscitare o incentivare i diversi tipi di comportamento
sopra descritti.
Le leve motivazionali sono:
- conformità alle regole : l'organizzazione garantisce il rispetto delle norme stabilite e
la presenza di un autorità che sia garante di questa conformità;
- ricompense del sistema : sono le ricompense che le singole organizzazioni sono in
grado di offrire a tutti i loro membri in quanto tali, in virtù di certe agevolazioni che
hanno procurato e consolidato nel tempo;
- ricompense di gruppo : sono Quelle con cui vengono premiati alcuni membri
del'organizzazione non in relazione a loro prestazioni individuali, ma in rapporto a
prestazioni erogate dal gruppo di cui fanno parte;
- ricompense individuali : Sono quelle attribuite ai singoli dipendenti,quando sia
possibile isolare il risultato raggiunto come frutto del singolo apporto lavorativo;
- coinvolgimento nel compito : Motivazione definita “intrinseca” in quanto legata allo
svolgimento dell' attività. Vi sono alcune attività lavorative che offrono a chi le svolge
30
motivo di soddisfazione legato al fatto stesso di svolgerle e di farlo in modo
appropriato.
- identificazione con i risultati : Altra motivazione “intrinseca”. La soddisfazione deriva
dall'aver assunto come propri i fini organizzativi, l'individuo è motivato quando agisce
in relazione a quegli obiettivi, soprattutto quando riesce a conseguirli;
Galbraith parte dall'assunto che sia possibile stabilire un legame tra la forma di
ricompensa e tipo di comportamento. Si può così definire una matrice comportamenti-
ricompense in cui gli incroci delle righe (che elencano le ricompense) e delle colonne
(che elencano i comportamenti) indicano se quella ricompensa è adatta a incentivare
quel comportamento o se rischia di provocare effetti opposti.
Con questa matrice Galbraith offre un’efficace guida alla gestione dei comportamenti
organizzativi, suggerisce le leve motivazionali su cui agire per stimolarli.
3.4 Ricerche sul Fattore Umano (1920).
Intorno alla fine degli anni Venti nasce il movimento delle relazioni umane, un gruppo
di studiosi che mediante ricerche sul campo analizzano la componente più importante
della realtà produttiva: l'individuo.
Grazie agli studi compiuti alla Western Electric (Hawtorne,Chicago,U.s.a) questi
ricercatori cercano di comprendere:
- le relazioni emotive che legano le persone che lavorano insieme;
- il loro comportamento organizzativo;
- l'influenza che la gestione del personale ha sulla performance dei lavoratori;
31
E. Mayo (1920) e la sua equipe di ricerca analizzano i parametri del cosiddetto “fattore
Umano” traendo varie conclusioni sulla qualità della vita di fabbrica degli operai
(mediante il metodo dell'intervista personale e dell'osservazione partecipante).
Il contributo Apportato dal movimento delle relazioni umane è stato notevole per
quanto riguarda il linguaggio dell'organizzazione: E. Mayo sostiene che per coordinare
le attività e per svilupparle attraverso processo di cooperazione occorre parlare lo stesso
linguaggio.
Il linguaggio si caratterizza dunque come collante Organizzativo e sociale tra Il
manager (titolare della Leadership) e il personale. (E.Mayo, 1920)
Se un organizzazione sviluppa un codice (il criterio di interpretazione dei significati) i
comportamenti hanno più probabilità di essere tra loro integrati e coordinati.
3.5 Equilibrio tra Persone e Organizzazione: Il comportamento cooperativo.
Il comportamento cooperativo è stato a lungo considerato negli studi di C.J Barnard, che
negli anni Trenta ha scritto un vero e proprio trattato sulla funzione primaria del
dirigente all'interno dell'organizzazione.
Dirigere significa, secondo Barnard, garantire l'equilibrio tra le condizioni ambientali e
i processi che si svolgono nelle organizzazioni. Altri autori (H.Simon / O.E Williamson)
riconoscono a Barnard di aver delineato le caratteristiche di una nuova “Scienza
dell'organizzazione”, e di aver individuato gli aspetti fondamentali su cui si basa il
governo organizzativo: la cooperazione e il coordinamento.
32
Secondo Barnard le organizzazioni sono sistemi cooperativi, la loro sopravvivenza
dipende dalla cooperazione. Non basta considerare i comportamenti come fenomeni
singolari, individuali, isolati, riconducendoli alle motivazioni e alle preferenze
personali. Occorre guardarli anche dal punto di vista dell'intero, del sistema
cooperativo; Barnard Traccia una teoria in cui trova ampio spazio una concezione delle
persone e della gestione del personale non marginale e subordinata.
Governare l'organizzazione non è solo sinonimo di definire obiettivi e garantire risorse
economiche, ma significa sopratutto promuovere la cooperazione di tutte le persone che
operano nell'organizzazione.
3.6 Il comportamento Cooperativo: Condizionamento Sociale.
Un' organizzazione ha due caratteristiche: fini e limiti:
- I Fini sono gli obiettivi da raggiungere, lo scopo dell'organizzazione.
- I limiti sono degli ostacoli che per qualche motivo, non rendono immediatamente
(o automaticamente raggiungibili) quei determinati fini.
Ricordando che i fini dell'organizzazione raramente coincidono con i fini dell'individuo
inscritto in essa, la cooperazione non può essere pensata come il risultato dell' agire
razionale e spontaneo dell'individuo, ma come una sorta di condizionamento sociale a
cui l'individuo si sottopone per ottenere i suoi obiettivi (usualmente definiti intorno alla
definizione di salario). Da qui la peculiarità della funzione del dirigente, che ha il ruolo
di facilitatore e stimolatore, per promuovere la cooperazione e quindi garantire la
sopravvivenza dell'organizzazione.
33
3.7 L'economia degli incentivi e Persuasione
Per un corretto funzionamento, un’organizzazione ha bisogno dei contributi degli
individui, da cui riceve energia. I contributi personali sono offerti in cambio degli
incentivi ricevuti (ricordiamo “Il caso Ford” nel cap.3.2 e l'aumento dell'offerta dei
salari in cambio di subordinazione). L'individuo, deve essere indotto a cooperare, e per
questo Barnard identifica un ampia gamma di incentivi oggettivi : come i beni materiali
tra cui il denaro è sicuramente il più tipico e generale e altri incentivi non materiali
come il prestigio e il potere personale, o il senso di comunità e di integrazione sociale.
Barnard non formula un modello sistematico di incentivi, ma sostiene che tali incentivi
agiscono in modo diverso sulle persone, che peraltro sono caratterizzate da una certa
instabilità nei loro desideri. Dobbiamo considerare l'assetto soggettivo degli incentivi ,
che riguarda gli stati d'animo e gli atteggiamenti. Barnard chiama “Metodo della
persuasione” i processi che tendono ad influenzare gli atteggiamenti.
Persuasione: Vasta gamma di azioni tese ad influenzare i comportamenti, che vanno
dalla coercizione alla razionalizzazione.
La coercizione si configura nelle organizzazioni di lavoro come obbligatorietà di azione
da parte di una persona, che se non adempie rischia il licenziamento.
Il compenso in denaro (Incentivo oggettivo) invece non ha solo carattere materiale, è
anche indice di stato sociale, di evoluzione personale, quindi ha anche rilevanza
simbolica. I contributi così incentivati sono la condizione per ottenere l'energia
sufficiente al funzionamento delle organizzazioni. L'energia deriva dall'impegno e dalla
disponibilità a cooperare dei suoi individui.
Ancora una volta Le variabili -Micro Completano La variabile -Macro.
34
Capitolo 4
Studi sulla leadership organizzativa.
4.1 Il Governo Organizzativo e la funzione di direzione. Leadership.
Le funzioni direttive evidenziate dagli studi di Barnard sono essenzialmente tre:
- Facilitare la comunicazione: l'ordine di questi tre punti è rigorosamente immutabile,
in quanto la comunicazione è essenziale per promuovere i due punti successivi. La
centralità della comunicazione all'interno dell'organizzazione è determinata dal fatto che
«senza comunicazione l'organizzazione non avrebbe conoscenza di sé»;
- promuovere le attività essenziali: per quanto riguarda la promozione delle attività
essenziali, il dirigente deve promuovere la cooperazione e stimolare il contributo dei
dipendenti mediante la persuasione, gli stimoli e gli incentivi. Deve inoltre assicurarsi
lealtà, fedeltà, entusiasmo e rendimento del personale;
- Formulare e definire il fine dell'organizzazione: quanto alla terza funzione, la
formulazione del fine e degli obiettivi, il dirigente formula i fini mediante la
comunicazione e l'assegnazione della responsabilità; (Processo di coordinamento)
Le tre funzioni fondamentali non devono essere considerate separatamente, ma come tre
ingranaggi che insieme costituiscono in meccanismo unitario e ben funzionante. Il
malfunzionamento di uno, pregiudica il funzionamento generale del meccanismo.
Barnard mette in luce sia gli aspetti economici dell'agire organizzativo, quanto la
dimensione sociale generale. Il punto nodale della questione è la funzione del dirigente
in quanto garante della sopravvivenza dell'organizzazione, sia nella gestione economica
35
quanto nella valorizzazione delle risorse a lungo termine, in una prospettiva sociale.
Il dirigente ha l'esigenza di effettuare due tipi di controllo:
- Controllo di carattere distributivo : che consente di garantire l'equilibrio di uscite ed
entrate;
- Controllo di carattere creativo : basato sulla cooperazione e coordinamento;
Barnard è uno dei primi studiosi che si occupa della leadership: che riguarda (oltre alle
capacità tecniche) le capacità e le abilità personali che determinano la qualità dell'azione
direttiva. Il concetto di responsabilità che ruota intorno alla definizione di leadership
determina la capacità di essere fortemente guidati da codici morali in modo da generare
in altri membri dell'organizzazione un forte senso di fiducia.
Un altro elemento importante,insito nella leadership è la capacità di creare codici morali
(dei valori), delle regole di condotta percepite e accettate dal personale. La cooperazione
all’interno di un'organizzazione di lavoro, dice Barnard, crea un forte senso di
appartenenza, la condivisione di Valori e codici morali appunto, che formano (come
vedremo successivamente) la cultura organizzativa.
4.2 Guru del Management (1960): Studi sulla direzione, esperimenti sulla
centralità del “Capitale umano”.
Saltiamo adesso dagli anni Trenta agli anni Sessanta. Il nostro scopo sarà analizzare tre
autori (di formazione prevalentemente psicologica) che hanno contribuito ad
individuare alcuni aspetti rilevanti per la comprensione del comportamento degli
individui e del loro rapporto con le dinamiche organizzative.
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Questi tre Studiosi di management sono D. McGregor, R. Likert e C. Argyris.
4.3 Douglas McGregor: Gli Stili di Direzione,Teoria X e teoria Y.
D. McGregor concentra prevalentemente i suoi studi e le sue ricerche sulla figura dei
dirigenti dell'organizzazione, creando delle teorie che guidano le loro decisioni e azioni.
Queste teorie si riducono a due modelli contrapposti:
la teoria X (Il modello autoritario) e la teoria Y (Il modello Partecipativo).
La teoria X esprime che l'uomo medio ha un'evidente ripugnanza verso il lavoro, egli
preferisce essere guidato ed evitare responsabilità. occorre dunque costringere e
controllare le persone, affinché producano gli sforzi adeguati agli obiettivi
organizzativi.
La teoria Y spinge invece a considerare l'enorme potenziale di collaborazione che può
derivare dalle persone. Tale teoria consiste nel valorizzare l'integrazione,
l'autovalutazione e l'autocontrollo, che consentono di creare, in condizioni favorevoli,
opportunità per le persone di influire sulle decisioni che le riguardano.
Sarà Il dirigente che avrà la responsabilità di scegliere lo stile di direzione e il
conseguente stile di leadership più appropriato per la propria organizzazione.
La tesi di McGregor è categorica: uno stile di direzione influenza in modo decisivo il
funzionamento di un' organizzazione, in quanto si manifesta in ogni atto dei dirigenti e
segna con il suo “marchio” ogni loro decisione.
Lo stile di direzione è efficace nell'esercizio del controllo: nei sistemi di controllo
umano è molto rilevante l'aspetto emotivo: se il controllo è percepito come una
37
minaccia, esso suscita comportamenti difensivi, non collaborativi e ogni forma di
impegno e di creatività è orientata all'autodifesa. Inoltre secondo McGregor, quando gli
obiettivi sono imposti, si può ottenere accettazione, ma non impegno; mentre un diverso
approccio (magari più costruttivo) può realmente incrementare l' impegno delle risorse
umane. Il controllo si può esercitare mediante compensi e punizioni, mediante
l'identificazione (tipica della teoria Y) o mediante la comunicazione persuasiva.
L'identificazione è una forma di controllo indiretto, che comporta un' aumento
dell'autorità legittima del dirigente e genera meccanismi di autocontrollo.
La comunicazione è essenziale per il controllo e per le motivazioni.
4.4 Douglas McGregor: Applicazione Della teoria Y: Il piano Scanlon.
McGregor fornisce come esempio di applicazione della sovracitata teoria Y, la
descrizione del piano Scanlon. Joseph Scanlon ha creato un metodo di gestione del
personale che ha colpito particolarmente McGregor, al punto che lo ha definito: “vera e
propria Filosofia di direzione”.
Il piano Scanlon ha due caratteristiche:
- un sistema di gestione delle retribuzioni;
- un sistema di gestione delle innovazioni;
Il valore innovativo di tale teoria sta nella stretta connessione tra questi due elementi.
Il primo aspetto (retribuzioni) consiste nell'incentivare la riduzione dei costi aziendali
attraverso un sistema retributivo che coinvolge tutto il personale. Si misura l'apporto di
tutti mediante un indice calcolato come rapporto tra due valori, il costo totale per il
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personale, da un lato, e il fatturato totale.
La determinazione di questo indice non è un fatto puramente meccanico: essa richiede
una profonda conoscenza della storia dell'azienda e delle sue caratteristiche, l'obiettivo è
migliorare il rapporto retribuzioni-fatturato: ciò si traduce in guadagno economico per
l'azienda e in percentuali di incremento retributivo mensile per il personale.
Il secondo aspetto del metodo, che lo distingue da altri sistemi di incentivi retributivi, è
dato dal fatto di perseguire i risultati mediante il contributo migliorativo di tutti i
dipendenti. Il meccanismo proposto da Scanlon è stato quello dei comitati, ovvero
gruppi di discussione dove i membri possono interagire secondo una logica di
partecipazione che dà il massimo spazio allo scambio di opinioni e informazioni
finalizzate al miglioramento dell'azienda e alla risoluzioni di problemi (problem
solving).
L'applicazione del piano Scanlon ha dimostrato due punti di forza:
- l'azione concreta dei dipendenti contribuisce a risolvere i problemi e a migliorare i
risultati;
- il riscontro dei risultati nella retribuzione mensile, che è traducibile in “benessere
dell'impresa” e ulteriore motivazione del personale.
La situazione descritta da McGregor è quella dell'azienda americana degli anni
Cinquanta, Molte caratteristiche del piano Scanlon (relative alla partecipazione del
personale) sono diventate parte integrante di quella che è stata definita la rivoluzione
organizzativa attuata negli stessi anni, nel sistema produttivo Giapponese. (che vedremo
accuratamente nel cap. 10)
39
4.5 Sistema Produttivo Giapponese:Cenni Storici del “Toyotismo”.
Il sistema produttivo giapponese prevede come parte qualificante la gestione in termini
di miglioramento continuo (C.d Kaizen) con la partecipazione attiva di tutti i lavoratori.
La letteratura evidenzia molti successi derivanti dalla rivoluzione organizzativa
Giapponese, sicuramente rappresentata dalla prima azienda che ne è stata promotrice, la
Toyota Corporation, che ha raggiunto posizioni di vertice mondiale nel settore
automobilistico.
La definizione Del Termine “Toyotismo” è ovviamente messa in contrasto ad un altro
Fenomeno già analizzato in precedenza: Il Fordismo.
I due fenomeni sono Specularmente opposti tra loro, elenchiamo le differenze
principali:
Approccio Manageriale,Leadership del Fordismo:
- separazione tra lavoro intellettuale e lavoro manuale;
- capacità intellettuali sottoutilizzate;
- responsabilità accentrata;
- cultura organizzativa Imposta e autoritaria;
- Leadership Incentrata sul controllo e sull'inibizione della creatività
delle risorse umane;
Approccio Manageriale,Leadership del Toyotismo:
- decentramento delle responsabilità verso il Personale;
40
- assegnazione di compiti intellettuali anche ai lavoratori dei livelli più bassi;
- cultura Organizzativa Forte,Identità Organizzativa Personale Elevata;
- Leadership incentrata sullo stimolo della creatività delle risorse umane sul
miglioramento costante;
Lo stile di leadership è ancora una volta determinante alla sopravvivenza e al successo
dell'organizzazione.
4.6 Rensis Likert: il dilemma del dirigente, capitale umano e gruppi di lavoro.
R.Likert conduce molti studi ed esperimenti dove le principali variabili sono la
produttività, la soddisfazione per il lavoro, i costi, e specialmente la motivazione dei
dipendenti e dei dirigenti. I risultati più significativi sono secondo Likert, la scoperta di
fattori quali lo stile di leadership, i processi di gruppo e la comunicazione efficace.
- Stile di leadership: Likert conclude che l'eccesso di sorveglianza e la pressione
esercitata per aumentare la produttività non migliorano realmente i risultati, mentre
ottengono risultati migliori i comportamenti direttivi basati sul sostegno e quelli di capi
che esercitano un controllo non fiscale, ma incoraggiano e istruiscono i loro
collaboratori.
- Processi di gruppo: Likert analizza la lealtà e coesione (solidarietà e unione) di gruppi
di persone sui risultati di lavoro: se il gruppo, i cui membri esprimono un elevato grado
di lealtà e coesione, condivide gli obiettivi, la sua produttività sarà di conseguenza
molto elevata; se invece all'interno del gruppo non si condividono gli stessi valori, e non
si crea senso di appartenenza, la produttività e l'orientamento al risultato saranno bassi.
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- Comunicazione efficace: le rilevazioni empiriche condotte da Likert mostrano quanto
sia diffusa la scarsa conoscenza, di coloro che occupano livelli gerarchici elevati, delle
opinioni e informazioni di chi sta alla base della piramide organizzativa. Un'efficace
comunicazione organizzativa contribuisce al miglioramento dell'organizzazione.
Likert Introduce all'interno dell'equazione: Organizzazione-Produzione-profitto una
nuova variabile, il capitale umano. Secondo Likert, uno stile di direzione gerarchico
può condurre a sostanziali e immediati incrementi della produttività, ma ciò avviene a
spese del capitale umano dell'organizzazione. Ne risulta un'ostilità alla collaborazione,
meno motivazione a produrre e viceversa più motivazione a limitare la produzione.
Si delinea così la situazione che L'autore definisce “Dilemma del dirigente”: se egli
diventa “artista delle direzione gerarchica” otterrà risultati a breve, vantaggi retributivi
per sé e una buona reputazione. D'altra parte però, intaccherà il capitale umano,
procurando ad esso un danno a lungo termine. Il dilemma del dirigente spiega il
persistere di modelli direzionali basati sulla pressione gerarchica, su schemi Taylor-
Fordisti, sul motivo che il dirigente sa che per migliorare un'organizzazione occorre
molto tempo e rischia di non essere ripagato, la via della direzione gerarchica sembra
quindi più breve e meno tortuosa.
Grazie alle sue indagini empiriche, Likert si è reso conto dell'importanza di alcuni
aspetti della realtà organizzativa, e si è reso promotore di modelli partecipativi, basati su
una struttura innovativa, Il gruppo di lavoro.
Il concetto base è quello del lavoro di gruppo, partendo dal basso, avviene la
costruzione di strutture organizzative autonome, (chiamati “perni connettori”) dei
diversi gruppi operativi con a capo dei supervisori. A loro volta i supervisori di più
gruppi costituiranno un gruppo di supervisori e così via fino ad arrivare al gruppo
42
direzionale del top management. In tal modo, secondo Likert, viene
contemporaneamente salvaguardato il principio della gerarchia organizzativa
(essenziale per il coordinamento) e il principio del lavoro di gruppo,con la sua capacità
di creare comportamenti Collaborativi, motivati e solidali.
L'idea dei “perni connettori” si basa sul principio che un supervisore sia in grado di
attuare la sua leadership con successo, operando mediante i perni connettori, i processi
decisionali partono molto spesso dal basso, e ottenendo consensi dai gruppi di lavoro,
arrivano alla cima della piramide organizzativa che sono già “condivisi”.
4.7 Chris Argyris: individuo, organizzazione,meccanismi di difesa.
Il tema della leadership è sviluppato da C. Argyris in parallelo con le tesi di D.
McGregor. Uno dei suoi primi lavori è dedicato allo studio di un particolare caso: il
rapporto tra un dirigente e i suoi collaboratori, da cui trae spunto per studiare il sistema
di relazioni che derivano da uno stile di leadership autoritario (fondato sulla teoria X) .
Questa particolare analisi rileva l'influenza del leader autoritario sui comportamenti
delle altre persone all'interno dell'organizzazione. Argyris studia quindi il rapporto tra
individuo e organizzazione (1957) dove sostiene che le organizzazioni, per raggiungere
i loro obiettivi si danno una struttura basata su vari principi tra cui: la gerarchia, la
specializzazione, l'unità di comando, producendo però un conflitto tra l'individuo e
l'organizzazione stessa.
Argyris si addentra nella psicologia, affermando che l'uomo è un sistema in equilibrio,
fra le sue componenti e l'ambiente esterno. Se l'ambiente esterno minaccia l'individuo,
egli reagisce mediante i meccanismi di difesa, quei particolari meccanismi psichici che
spingono l'uomo a proteggere la propria integrità personale da fonti esterne.
43
All'interno dell'organizzazione, un dirigente troppo autoritario puo' creare nei
collaboratori ansie, frustrazioni e fallimenti, che a loro volta attivano i meccanismi di
difesa quali apatia, rifiuto, aggressività, disinteresse, e tali reazioni difensive possono
essere individuali o di gruppo, scaturendo veri e propri conflitti tra persone e
organizzazione e azioni formali di natura sindacale.
Argyris Analizza la possibilità di un cambiamento nello stile di leadership, perché solo
questa peculiarità organizzativa è in grado di favorire lo sviluppo e la maturazione delle
risorse umane e consentire loro il soddisfare delle proprie esigenze e motivazioni.
Nel campo della leadership Argyris si avvicina molto alle teorie di McGregor sulla
centralità dello stile di leadership all'interno dell'efficienza organizzativa, in questo caso
entrambi gli autori si soffermano sulla necessità di sostituire stili di comando e di
controllo autoritari (teoria X) con stili più partecipativi e motivazionali (teoria Y) :
sarebbe un modo diverso di vedere la realtà organizzativa e di valorizzare la natura delle
risorse umane.
Idee analoghe sono suggerite da R. Likert riguardo la primaria necessità di valorizzare il
capitale umano all'interno della realtà organizzativa.
In conclusione, Argyris si muove sulla stessa linea di pensiero di questi due autori,per
essi è comune l'esigenza di orientare la leadership alla valorizzazione e motivazione
delle risorse umane per ottenere la stabilità organizzativa.
44
Capitolo 5
Studi di Herbert Simon sull'organizzazione.
5.1 I soggetti in rapporto con le organizzazioni.
Herbert Simon negli anni Quaranta cerca di capire quali ragioni inducono un individuo
ad accettare i vincoli che derivano dal rapporto con le organizzazioni di lavoro.
L'organizzazione deve offrire secondo lui, delle retribuzioni in denaro e ricompense
indirette come quelle collegate allo sviluppo dell'organizzazione. Identità di scopi,
ricompense indirette di carattere materiale, e ricompense collegate allo sviluppo
dell'organizzazione sono tre differenti motivi, ciascuno dei quali è sufficiente per
spiegare la disponibilità a prendere parte all'attività dell'organizzazione.
Il contributo degli individui è quindi legato a un rapporto di scambio con
l'organizzazione, che offre loro “allettamenti” di varia natura. Specularmente,
l'organizzazione è in grado di fornire ricompense solo in quanto altri gruppi di soggetti,
con i loro contributi, generano le risorse necessarie. Con questa riflessione Simon
classifica i soggetti che sono in rapporto di scambio con l'organizzazione:
- gli imprenditori: fondano l'organizzazione offrendo impegno e attività, per ricevere in
cambio prestigio e ricompense materiali, sotto forma di profitto;
- i clienti: Offrono risorse (usualmente in denaro) in cambio di prodotti o servizi;
- i dipendenti: offrono il loro tempo e la loro energia in cambio di un salario;
i dipendenti non offrono un servizio specifico, ma la possibilità, per chi dirige, di
utilizzare a discrezione la loro opera e il loro tempo. Alla base della relazione tra
45
individuo e organizzazione vi è un contratto, con cui si definisce un rapporto
continuato d'autorità tra l'organizzazione e il dipendente. La natura peculiare del
contratto di lavoro subordinato è stata evidenziata da Simon e caratterizzata in ragione
della sua continuità: l'organizzazione offre sostentamento (con continuità) in cambio di
accettazione dell'autorità, entro un “ambito di accettazione” (che Barnard definiva zona
di indifferenza”). Per Simon resta tuttavia importante analizzare l'area di accettazione
entro ci il dipendente è disposto ad assecondare l'autorità organizzativa.
5.2 I meccanismi di influenza dell'organizzazione (H.Simon).
Un'organizzazione cerca di influenzare le decisioni degli individui che la compongono.
Simon ritiene che l'autorità sia soltanto una delle forme attraverso cui esercita influenza
sulle decisioni e sulle azioni e considera accanto a questa, altre forme di influenza come
la comunicazione, il criterio di efficienza, l'identificazione con i fini organizzativi.
Meccanismi di influenza (H.Simon) :
- l'autorità: è la forma più diretta di influenza sulle premesse decisionali. Essa è inoltre
una forma di potere, il “potere di emettere decisioni che influenzano l'azione altrui”
(M.Weber). L'origine di questo stato di subordinazione va cercata nel contratto di
lavoro, in base al quale il prestatore d'opera accetta un rapporto continuo di autorità.
Nonostante il contratto di lavoro, la disponibilità all'obbedienza non è senza vincoli, ma
è definita, sia pure in termini generali, dai confini del ruolo occupato dal lavoratore
all'interno dell'organizzazione;
- la comunicazione: è lo strumento più tipico per il trasferimento delle premesse
decisionali, non solo lungo la piramide organizzativa, ma in ogni direzione della rete
46
che lega tra loro tutti i membri di un'organizzazione. Il processo di trasferimento di
informazioni, conoscenze, suggerimenti e ordini non può privilegiare il percorso dal
vertice verso il basso, è dunque fondamentale far defluire le informazioni in modo
adeguato mediante un percorso di comunicazione a due sensi che permetta un dinamico
scambio di informazioni lungo tutto il sistema organizzativo. Poiché la comunicazione
organizzativa è un meccanismo d'influenza delle premesse decisionali, risulta prioritaria
l'efficacia della ricezione: occorre dunque che i messaggi siano ricevuti e interpretati
correttamente, in modo corrispondente alle intenzioni di chi li ha emessi. La
comunicazione di ritorno, il feedback, è una delle condizioni basilari di efficacia
organizzativa perchè consente di sintonizzare le decisioni e valutare il grado di
comprensione reciproca;
- Il criterio di efficienza: oltre alla comunicazione e all'autorità vi sono altre forme di
influenza che agiscono dall'interno dell'individuo. Simon attribuisce questa proprietà a
due meccanismi: l'efficienza e l'identificazione dell'individuo (che vedremo
successivamente) . Il criterio di efficienza è un criterio razionale, con molti punti di
contatto con il concetto di massimizzazione dell'utilità della teoria economica. Dove
non è possibile quantificare in termini monetari l'efficienza di un'organizzazione, Simon
rileva l'esigenza di trovare alcuni sostituti del denaro per definire i valori della
produzione.
Il concetto di Indice di valore è di grande interesse dal punto di vista della pratica
amministrativa: si diffonde sempre di più all'intero delle organizzazioni pubbliche e
private l'orientamento a definire obiettivi che i singoli processi amministrativi
perseguono in termini di indici, con cui possono valutare i risultati dell'azione
amministrativa. Non sempre questi indici hanno un valore monetario, anche
nell'impresa privata; vi sono alcuni valori, come ad esempio la qualità dell'ambiente in
47
cui si opera, o la sicurezza dei lavoratori, che non vengono tradotti in valori monetari,
ma ciò non significa che possano essere trascurati dall'azione imprenditoriale e che non
possano essere quantificati. La ricerca di indici con cui valutare i risultati raggiunti e
commisurarli ai costi è un'esigenza organizzativa che favorisce il diffondersi
dell'orientamento all'efficienza;
- l'identificazione: come abbiamo già detto, difficilmente gli obiettivi dell'individuo
coincidono con quelli dell'organizzazione. La personalità organizzativa vista come
l'insieme degli obiettivi dell'impresa è percepita solamente dai soggetti che si
rapportano ai fini dell'impresa stessa, come i clienti o gli imprenditori. La maggior parte
dei dipendenti avrà difficoltà nel percepire i fini organizzativi come propri fini. Per
Simon l'identificazione è un particolare vincolo emotivo che fa sentire i suoi effetti sulle
decisioni individuali ed è un meccanismo importante per la costruzione dell'ambiente
della decisione; gli aspetti emotivi hanno dunque il loro peso sul comportamento
organizzativo, e non soltanto, come avevano messo in evidenza vari studiosi, per la
necessità di salvaguardare la sfera personale del lavoratore, che è appunto una sfera
emotiva lontana dala sfera materiale e razionale di chi dirige un'azienda. Qui la sfera
emotiva viene introdotta per segnalare un meccanismo grazie al quale i valori
dell'organizzazione e la sua razionalità si impongono sui valori individuali, così che i
confini della razionalità individuale si allargano e i suoi limiti si riducono.
5.3 Il dirigente: Programmatore e Coordinatore di attività.
H.Simon Focalizza la sua attenzione sulla questione del coordinamento, che considera
la componente fondamentale del processo amministrativo.
Il processo amministrativo è riconducibile alla formula:
48
Programmazione – Esecuzione - Controllo.
Poiché l'esecuzione è il centro focale di ogni organizzazione, l'attenzione si rivolge alle
due attività che, rispettivamente, precedono e seguono l'esecuzione, ma soprattutto la
integrano in un insieme coordinato. La programmazione e il controllo sono due tecniche
amministrative di primaria importanza nel processo decisionale di un'organizzazione:
- la programmazione è una tecnica per effetto del quale l'esperienza di più persone
viene portata su un problema prima di effettuare la decisione;
- il processo di controllo consente ai dirigenti di determinare effettivamente ciò che
fanno realmente i subordinati, e può essere di tre tipi:
- controllo dei risultati dell'attività svolta dai subalterni;
- controllo dei prodotti materialmente lavorati;
- la sorveglianza diretta sul lavoro;
Se il controllo è finalizzato a correggere le decisioni individuali dei subordinati, allora si
è in presenza di una tendenza all'accentramento. Se invece il controllo è finalizzato a
scoprire l'insufficienza dei mezzi del subordinato, e dunque di quali risorse possa aver
bisogno per migliorare le sue capacità decisionali, allora saremo di fronte ad una
tendenza al decentramento decisionale. La questione della scelta tra accentramento e
decentramento ricade sempre sul dirigente; non esiste una ragione sufficiente che possa
fare prevalere una delle due opzioni. Nel valutare il giusto equilibrio tra accentramento
e decentramento, la decisione amministrativa del dirigente deve essere pensata come
scomposta in una serie di componenti collegate tra loro, il peso di ognuna può essere
diverso, ma nessuna va trascurata, perché qualunque fase della decisione
amministrativa, anche la più banale, può compromettere il risultato organizzativo. Ogni
49
decisione si completa con tutte quelle che la precedono e la seguono. Decidere di
produrre tanti pezzi in un giorno può essere il risultato di un insieme di decisioni più
semplici, dalla richiesta del cliente all'assenso del venditore, ala valutazione della
programmazione, dei tempi e dei materiali; tutte le parti coinvolte apportano la loro
competenza, ed ogni competenza è il tassello del mosaico decisionale. Nasce l'idea
secondo cui il compito del dirigente e dell'amministrazione non sia solo imporre ordini
ai sottoposti, ma progettare secondo le capacità dei sottoposti, un ambiente
Organizzativo in cui ha luogo il processo di formazione delle decisioni, in modo che il
soggetto riesca ad avvicinarsi il più possibile alla razionalità organizzativa. Questo è
essenzialmente il compito dell'amministratore: progettare un organizzazione dove si
possa fornire a ciascuna persona un ambiente di decisione tale da permettere che il
comportamento razionale dal punto di vista soggettivo lo sia anche dal punto di vista del
gruppo, in modo tale che sia l'ambiente a influire sul processo decisionale e non il
contrario.
50
Capitolo 6
Il clima organizzativo.
6.1 Una definizione di clima
Studiando l'organizzazione, i vari autori che abbiamo incontrato hanno fatto un'analisi
scientifica della realtà interna all'organizzazione stessa, mediante l'osservazione e
l'esperimento, formulando ipotesi e teorie. Il concetto di Clima che stiamo per
introdurre richiama l'attenzione sul carattere di un ambiente organizzativo che influenza
i comportamenti delle persone, il clima è realmente lo “spazio vitale” che circonda più
individui, è ciò che si respira all'interno del luogo di lavoro.
Dal punto di vista della direzione delle risorse umane, l'attenzione ai “fenomeni
climatici” è essenziale per verificare il grado di consenso diffuso all'interno dell'
azienda, per comprendere lo stato di salute dei meccanismi interni all'organizzazione.
Cosa vuol dire, sviluppare un'analisi di clima? Quali informazioni può darci tale analisi?
La definizione di clima atmosferico calza perfettamente con lo studio “scientifico”
dell'organizzazione, in quanto il clima è l'insieme delle condizioni atmosferiche medie
(determinate da vari fattori) che caratterizzano una determinata regione geografica.
Per analogia, il clima organizzativo è l'insieme dei fattori che agiscono sui
comportamenti collettivi e che caratterizzano l'ambiente sociale dell'organizzazione.
51
6.2 La formula di K.Lewin.
Uno dei primi studiosi del clima organizzativo è stato Kurt Lewin, che mediante i suoi
studi è ricordato per una formula da lui descritta, capace di interpretare il rapporto tra
l'individuo e l'organizzazione.
-Formula di Lewin : C = f ( PA ) ;
C è il comportamento degli individui, P è la persona, l'insieme dei tratti individuali che
spingono la persona ad agire secondo i propri motivi, orientamenti, ed A è l'ambiente
circostante, che a sua volta contribuisce a determinare e influenzare questi orientamenti.
Lo studio del clima organizzativo consiste nella messa a fuoco della variabile A della
formula, l'ambiente circostante.
Quindi il comportamento di un individuo è funzione regolata da fattori interdipendenti
costituiti dalla sua personalità P e dall'ambiente A che lo circonda. Persona e ambiente
sono considerati da K. Lewin come un sistema interconnesso che va a formare
“lo spazio vitale” (Il clima) cioè l'insieme di stimoli che nascono nel rapporto tra
l'individuo e l'organizzazione.
Lewin compie vari esperimenti su dei gruppi sociali, mediante l'osservazione
partecipante (analisi sul campo, interviste, questionari) cerca di intervenire su alcune
variabili rilevanti, come per esempio lo stile di leadership, per verificare gli effetti reali
sui gruppi e i cambiamenti che ne scaturiscono. Analizza le forze capaci di
destabilizzare il gruppo sociale, e studia come il comportamento individuale di un
soggetto sia fortemente influenzato dal gruppo e dall'atmosfera dominante all'interno di
tale gruppo.
52
6.3 Esperimenti sul clima organizzativo
Un esperimento a cui K. Lewin si richiama è quello descritto da Lippit & White (1943)
sull'aggressività tra i membri dello stesso gruppo di ragazzi, indotta da comportamenti
di leadership dell'insegnante. Lo studio empirico del livello di aggressività nelle
atmosfere autocratiche e democratiche, mostra che lo stesso gruppo di ragazzi reagisce
in modo diverso quando cambiano le atmosfere interne: il mutamento è attribuito così al
diverso clima sociale, nel caso in analisi al diverso stile di comando. Analizzando i
risultati dello studio, emerge un livello di aggressività tra i membri del gruppo molto
alto o molto basso quando lo stile di comando era orientato a determinare un clima
autocratico, mentre in un clima democratico l'aggressività si manteneva a un livello
intermedio. In seguito Lewin considera L'influenza dell'atmosfera sull'individuo, e
nell'esperimento con due gruppi separati, caratterizzati da due atmosfere diverse, fa
trasferire due individui rispettivamente, ciascuno nell'altro gruppo: dopo poco tempo
ciascuno dei due si comportava come l'altro, prima che avvenisse il mutamento. Esempi
come questo, inducono a pensare che Il comportamento Individuale della persona è
fortemente influenzato dall'atmosfera dominante del gruppo sociale in cui è inserito,e
questo ragionamento vale ovviamente anche all'interno dell'organizzazione.
L'approccio sperimentale tipico di Lewin è stato ripreso da un altro esperimento degno
di nota, che è stato compiuto da Litwin & Stringer (1968) dove si sono proposti di
testare le ipotesi circa l'influenza dello stile di leadership sul clima organizzativo e di
quest'ultimo hanno analizzato le motivazioni e i comportamenti delle persone. Con
questo esperimento si misurarono le reazioni indotte da tre stili di leadership all'interno
di tre organizzazioni simulate, ciascuna formata da quindici persone, più un presidente.
L'esperimento durò tre settimane, dove vennero analizzate minuziosamente tutte le
variabili considerate significative, come gli obiettivi perseguiti, le caratteristiche dei
53
volontari, e la tecnologia simulata. Alla fine del periodo di osservazione, fu
somministrato un questionario a coloro che avevano partecipato all'esperimento, per
misurare le variabili di clima.
Va segnalata la somiglianza con gli esperimenti di Lewin perché anche in questo caso
vengono analizzati gli stili di leadership, che hanno le seguenti caratteristiche:
− uno stile di leadership basato su una rigida struttura formale (autoritario-
formale);
− uno stile di leadership basato su una struttura informale con comportamenti
amichevoli (democratico-informale);
− uno stile di leadership orientato a stimolare la produttività e l'innovazione
(innovativo-permissivo-orientato al risultato);
Gli effetti studiati, come variabili dipendenti, sono le motivazioni e i risultati produttivi.
Il principale risultato dell'esperimento è che i tre stili di leadership crearono tre ambienti
sociali diversi, tre climi diversi e motivazioni personali diverse. L’esperimento
conferma dunque, l’esistenza di una relazione significativa fra stile di leadership, tipo
di clima instaurato e tipo di motivazioni stimolate presso i partecipanti.
Gli esperimenti condotti da Litwin & Stringer (1968) segnano il definitivo
consolidamento del concetto di clima come strumento di analisi del comportamento
organizzativo. Il clima è dunque proposto come un elemento fondamentale di un
organizzazione ed è presentato (come afferma Litwin) come “uno strumento di lettura
dei fattori che determinano il comportamento in situazioni sociali reali e complesse”.
Lewin lo definisce come “un fenomeno percettivo, dunque soggettivo, ma anche
54
attributo del sistema”.
6.4 Dal clima alla cultura,conclusioni
Abbiamo detto che il clima organizzativo è ciò che si "respira" all'interno del luogo di
lavoro, è ciò che regola gli umori, i rapporti tra le persone. Il clima influenza tutto
quello che avviene nell'organizzazione, dallo svolgimento delle proprie mansioni ai
rapporti Verticali (con i superiori) e orrizzontali (con i colleghi). Un buon clima
permette all'organizzazione di raggiungere più facilmente i suoi obiettivi ed ottenere dei
buoni risultati in termini di efficienza (prestazione-costi), oltre che in termini di armonia
interna. Il clima di un'organizzazione è stato riconosciuto come indicatore della qualità
delle relazioni interne.
Una delle definizioni attualmente più accreditate interpreta il clima in relazione alla
cultura di un'organizzazione, ovvero riconoscono il clima come percezione, da parte
delle persone, della cultura di cui essa è portatrice.
55
Capitolo 7
La cultura organizzativa.
7.1 Introduzione alla cultura Organizzativa
Nell'ambito degli studi organizzativi il tema della cultura era da tempo emerso come
possibile chiave di accesso per la comprensione dei comportamenti all'interno
dell'organizzazione; la sua massima affermazione si è diffusa tra gli anni Settanta e gli
anni Ottanta ed ebbe una sorta di impulso per la letteratura manageriale del periodo.
Alcuni libri, pubblicati in quegli anni spostavano l'attenzione verso la spiegazione, in
chiave culturale di quel fenomeno economico mondiale che era il sistema produttivo
Giapponese.
Sono molteplici le ricerche condotte per comprendere realmente le peculiarità di questo
sistema produttivo, il prevalere giapponese sull'elettronica, sull'automobilistica,
sull'industria fotografica e sulla cantieristica navale era davvero imponente. Le
pubblicazioni e le ricerche conducevano tutte ad un unico quesito: perché i Giapponesi
sono così bravi?
La risposta più plausibile, poi confermata da vari studi, era una ragione di ordine
culturale.
W.G Ouchi (1981) è stato uno dei primi ad analizzare le differenze tra il metodo
americano di gestire le aziende (chiamata da lui Teoria A, American) basato sulla teoria
classica dell'organizzazione, sulla gerarchia burocratica, su processi decisionali
individuali, sulla responsabilità individuale, sulla leadership verticale, sulle valutazioni
56
formali e sul turn-over dei lavoratori (ricorda molto la teoria X di McGregor) e il
metodo Giapponese (chiamata Teoria J, Japanese) caratterizzato invece da processi
decisionali collettivi, responsabilità collettiva, leadership collaborativa che valorizza
l'individuo, valutazioni informali e rapporti d'impiego a tempi lunghi.
Per emulare i risultati organizzativi Giapponesi, alcune aziende americane hanno
adottato in quegli anni, sistemi di gestione simili a quelli giapponesi, ma con alcuni
tratti differenti (Ouchi ha chiamato questa “Via i mezzo“ Teoria Z ) e la differenza più
importante tra le aziende giapponesi e quelle americane è la responsabilizzazione delle
decisioni, collettiva nelle giapponesi, e ovviamente Individuale in quelle americane.
La differenza tra queste teorie riguarda soprattutto i modi di gestire il personale, che
danno luogo, nel caso della teoria Z a rapporti basati sulla fiducia e sull'impegno
reciproco, e non sul conflitto e sul confronto: e ciò genera secondo Ouchi un efficace
coordinamento tra le diverse componenti organizzative. Il libro di Ouchi è diventato
negli anni Ottanta un best-seller, e ha contribuito ala fama del modello produttivo
Giapponese.
Un altro best-seller fu quello di Peters & Waterman (1982). I due autori, due consulenti
in una delle più note società di management in America, crearono una classifica delle
aziende americane meglio guidate, secondo una varietà di criteri, con cui isolarono 43
aziende (per citarne alcune: 3M, Hawlett-Packard, IBM ) e per spiegare le performance
di questa aziende individuarono 8 Peculiarità, 8 tratti comuni che gli autori proponevano
come modello da seguire a chi volesse emularne i risultati:
Gli 8 Principi dell'eccellenza di Peters & Waterman (1982):
- propensione all'azione;
57
- orientamento al cliente;
- incoraggiamento all'autonomia e all'imprenditorialità;
- coinvolgimento del personale;
- enfasi su un valore chiave;
- concentrazione dell'attività sulle aree note;
- struttura semplice e staff ridotto;
- flessibilità dei controlli;
Alcuni di questi principi enunciati come condizioni di eccellenza, portavano l'attenzione
proprio sulla dimensione culturale e su linee guida basate sulla valorizzazione del
fattore umano.
Nasce negli anni Ottanta la consapevolezza che i tratti culturali consentono di capire la
realtà profonda delle organizzazioni e di andare al di là dell'apparenza superficiale. Tra
i principi dell'eccellenza di Peters & Waterman troviamo “l'enfasi su un valore chiave”,
i valori sono considerati i veri portatori di quel cemento culturale che dà forza e crea
unità all'interno dell'organizzazione.
La nozione di cultura è secondo Smircich (1983) una metafora che impone di ripensare
radicalmente le organizzazioni, non più come oggetti fisici da utilizzare come strumenti,
ma come forme espressive e simboliche, come fenomeni sociali, di cui la cultura
costituisce l'essere.
Descrivere la cultura organizzativa aiuta a cogliere aspetti fondamentali della realtà
organizzativa, a comprendere molte condizioni del suo funzionamento, e a valutarne
caratteristiche che altrimenti sarebbero ignorate.
58
7.2 Che cos'è la cultura Organizzativa?
Definire un’organizzazione tenendo presenti i meccanismi, le regole, gli scambi e le
relazioni che troviamo al suo interno, non è semplice. Esistono, infatti, molti tentativi e
descrizioni sicuramente validi ma spesso, se presi singolarmente, non sufficienti a
descrivere “l' azienda”. Ogni azienda è caratterizzata da norme e strutture ma è formata
anche da emozioni, valori, percezioni e aspettative, che influenzano notevolmente
l’andamento dell’organizzazione stessa , aiutandola o ostacolandola nel raggiungimento
degli obiettivi stabiliti.
Intervenire o fare un’analisi di un’azienda significa, quindi, studiare e osservare queste
dinamiche effettuando un’analisi del clima organizzativo e uno studio della cultura
aziendale alla base della formazione del clima stesso.
Conoscere la cultura di un’organizzazione è fondamentale per la comprensione dei
meccanismi, degli atteggiamenti e degli scambi tra gli individui che la compongono.
La cultura esistente in un’organizzazione influenza i comportamenti e le relazioni al suo
interno favorendo in alcuni casi il buon esito del lavoro per il conseguimento degli
obiettivi aziendali, mentre a volte può essere la causa di disfunzioni che ostacolano la
crescita e il cambiamento della stessa. La cultura, infatti, può contribuire a creare e
consolidare il senso d’identità, a facilitare l’impegno collettivo e il lavoro di gruppo, a
fungere da meccanismo di controllo e a definire degli schemi di riferimento su cui si
basa l’interpretazione della realtà, ed è per questo motivo che uno degli interessi primari
del buon dirigente deve essere il controllo ed ovviamente il rispetto della cultura
dell'organizzazione in cui opera.
59
7.3 Cultura e clima, due concetti distinti ma legati tra loro
il clima organizzativo è una caratteristica delle organizzazioni che si riflette nelle
descrizioni che i membri fanno delle politiche, delle pratiche e delle condizioni esistenti
nell’ambiente di lavoro e, oltre ad essere direttamente influenzato dalle interazioni tra
gli individui, che trasformano le percezioni individuali delle caratteristiche
organizzative, esso è anche influenzato dalla cultura che, a sua volta, modera le
percezioni individuali e i processi intersoggettivi.
Clima e cultura organizzativa sono appunto due concetti distinti ma legati tra loro a
causa dell’influenza che la cultura esercita sul clima, ed è per questo necessario
analizzare le relazioni e le differenze fra i due concetti.
Per quanto riguarda le origini, mentre il clima affonda le sue radici nella psicologia
sociale, la cultura nasce nell’ambito dell’antropologia. La psicologia sociale pone
l’attenzione sugli individui, sulle risposte cognitive, sulle reazioni affettive e sui
processi percettivi attraverso i quali l’individuo apprende e discrimina le caratteristiche
dell’ambiente interno di un’organizzazione, tipici della formazione del clima.
La cultura, invece, per il suo legame con l’antropologia, analizza le strutture sottostanti i
miti, i simboli e i rituali che rendono manifesti i valori, le norme e i significati condivisi
in un gruppo e, in questo caso, in un’organizzazione. Di conseguenza, mentre gli
antropologi esaminano alcuni aspetti della cultura (ad es. miti, leggende e simboli), che
esprimono valori condivisi, gli psicologi sociali studiano le modalità attraverso cui
questi valori vengono condivisi.
L’importanza della condivisione dei significati e delle aspettative è riconosciuta da
entrambi come indispensabile al processo organizzativo, ma gli psicologi si interessano
al significato sociale che si riflette sugli individui mentre gli antropologi si occupano
60
delle analogie collettive.
Clima e cultura si sovrappongono nelle componenti delle dimensioni espressive e
comunicative delle organizzazioni:
- il clima si riferisce a quelle caratteristiche comportamentali e agli atteggiamenti degli
individui che sono maggiormente accessibili ad un osservatore esterno;
- la cultura invece rappresenta quegli aspetti di un’organizzazione più impliciti e più
difficili da interpretare in modo immediato dall’esterno e racchiude quei valori collettivi
propri dei membri che si manifestano attraverso valori, norme e ideologie condivise.
7.4 J. Pfeffer e A. Pettigrew: la cultura, Simboli e significati condivisi.
Jeffrey Pfeffer (1981) segnala la particolare importanza della condivisione di significati
e dell'istituzionalizzazione delle azioni degli individui interni ad un organizzazione, e
della sua necessaria prevalenza rispetto alla standardizzazione delle azioni basata su
procedure imposte e sanzionate: secondo lui, la conformità dei comportamenti è un
risultato che non rientra nella logica delle azioni fisiche ma in quella delle azioni
simboliche. Per questo l'attività amministrativa e il lavoro manageriale deve “gestire i
miti, simboli e valori” interni alla cultura, ovvero (secondo una formulazione di K.E
Weick e poi ripresa da Pfeffer) l'attività del manager deve assomigliare di più a quella
dell'evangelista che a quella del contabile, o ancora come ha affermato Pondy (1978) :
uno dei compiti del dirigente è dare una definizione e una spiegazione dell'attività
dell'organizzazione, verso l'interno, per ottenere un'azione collettiva organizzata e verso
l'esterno per legittimare l'organizzazione stessa e la sua attività.
Lo studio di Pfeffer descrive i comportamenti manageriali come comportamenti atti alla
61
creazione di significati, alla razionalizzazione, legittimazione e interpretazione
dell'azione organizzativa per influenzare altri attori sociali. Questo, dice Pfeffer, è il
vero terreno d'azione del management, il terreno delle risorse simboliche.
Una delle definizioni più generali e chiare di cultura organizzativa è proposta da A.
Pettigrew (1979) che afferma:
“La cultura organizzativa è il sistema dei significati pubblicamente e collettivamente
accettati, operante per un gruppo determinato in un momento determinato”.
Gli studi sociologici ed antropologici hanno mostrato come la cultura si forma
all'interno di un gruppo sociale, dal momento che i valori diventano comuni al gruppo,
vengono accettati e condivisi. L'esito della condivisione di significati e valori porta al
concetto di istituzionalizzazione, cioè la comprensione e socializzazione reale di quei
particolari valori, che diventano propri della cultura dell'organizzazione.
Quando si dice che “l'organizzazione ha sviluppato una propria cultura” si intende che
al suo interno si sono sviluppati sistemi di significato non solo tecnico-scientifici
(competenze tecnico-professionali), non solo linguistici (il linguaggio che si impara
“vivendo l'organizzazione”), ma anche mitici. Per questo si può riconoscere l'esistenza
di miti organizzativi, non solo in quanto fatti e storie riguardanti le origini, la
trasformazione, i successi, i momenti critici, gli eroi, ma in quanto l'organizzazione ha
prodotto, nella sua storia, veri e propri sistemi di simboli portatori dei valori
organizzativi.
7.5 La cultura organizzativa: conclusioni.
Gli studi sulla cultura dell'organizzazione hanno dato un contributo molto importante
62
alla comprensione dei comportamenti, perché aiutano a considerare le organizzazioni
come sistemi articolati. La questione della condivisione dei significati è essenziale: per
integrare le azioni degli individui occorre comunicare, ma per comunicare occorre usare
lo stesso linguaggio e gli stessi codici comunicativi.
La gestione delle risorse umane impone al dirigente di rivolgere particolare attenzione
alla cultura della propria organizzazione, per comprendere i codici vigenti, quali culture
(e quali sub-culture) siano operanti, quale sia il grado di “omogeneità culturale” e quali
siano i valori più condivisi all'interno dell'organizzazione. Il passaggio dalla
comprensione all'intervento (da parte del dirigente) nel tentativo di influenzare la
cultura è un passaggio molto delicato, e particolarmente condizionato dall'assetto
culturale consolidato (non incline al cambiamento). Le organizzazioni consolidano
routine e modelli di comportamento, che possiamo interpretare come sistemi di
equilibrio fra le forze sociali. Cambiare è difficile perché in questi equilibri trovano
spazio (almeno in parte) gli interessi di tutti. Varie ragioni psicologiche, di potere, di
convenienza e di inerzia rendono molto difficile creare cambiamenti.
L’innovazione implica coinvolgimento, ma le basi del coinvolgimento sono da cercare
nei codici organizzativi. Non basta dunque introdurre nuove pratiche, ma occorre
sceglierle fra quelle che producono coinvolgimento e implementarle con coerenza.
Il manager che vorrà fare questa impresa dovrà fare i conti con i valori più profondi
dell'organizzazione, andare dritto al cuore dei significati e mediante il coinvolgimento
di tutti i meccanismi, cambiare alcuni di questi codici e sostituirli con altri. Modificare
la cultura di un' organizzazione è un impresa che porterà via molto tempo e molte
energie, senza la certezza che i meccanismi “antichi” dell'organizzazione si adattino al
cambiamento.
63
Parte due: L'organizzazione contemporanea.
Nella prima parte abbiamo analizzato l'evoluzione del pensiero dei maggiori studiosi di
management per quanto riguarda le dinamiche strutturali essenziali dell'organizzazione
“novecentesca”; abbiamo scoperto l'importanza delle risorse umane all'interno
dell'impresa, la nascita dell'idea di “clima” e di “cultura”, abbiamo introdotto la figura
del manager, direttore delle risorse umane da un lato, e motivatore ed evangelista
dall'altro. Passa il tempo e le organizzazioni crescono, alcune a livello mondiale ed altre
rimangono per lo più piccole imprese. La Sociologia si è presa questo compito,
analizzare il singolo individuo come piccolo ingranaggio all'interno di un meccanismo
organizzativo gigantesco e sempre in continuo cambiamento. È arrivata l'ora di
comprendere la vera importanza delle risorse umane all'interno dell'impresa del
duemila, insieme a tutto quei meccanismi che creano l'esoscheletro organizzativo. Il
raggiungimento dell'eccellenza di un organizzazione è una meta che richiede il
fondamentale apporto degli individui che la compongono.
64
Capitolo 8
L'impresa che ascolta
8.0 il management nella living & learning company
Il mondo economico sta vivendo una fase di rivoluzione come raramente si sono
registrate nel corso della storia. Le organizzazioni sono attrezzate per affrontare i
cambiamenti? Forse non sempre lo sono, anche perché le imprese a volte vivono il
cambiamento più come una dolorosa necessità che come un’opportunità.
Da questo punto di vista esistono due tipi di imprese:
- le imprese che devono cambiare per sopravvivere;
- le imprese che vogliono cambiare per eccellere;
Le imprese che cambiano per sopravvivere hanno un orizzonte limitato: introducono
cambiamenti solo in chiave difensiva e solo quando questo diventa necessario per non
entrare in collasso. Le imprese che cambiano per eccellere, invece, non vivono cicli di
cambiamento per il semplice fatto che l’innovazione è parte integrante della loro
strategia ed è un processo continuo. È difficile che le imprese che cambiano per
eccellere abbiano all’ordine del giorno di questa o quella riunione argomenti
esplicitamente legati al cambiamento, perché la tendenza al cambiamento è lo stato
permanente. Le imprese di questo tipo hanno un management dalle antenne in continuo
ascolto, al cui vertice sta un imprenditore-manager che possiede una visione di
eccellenza. Sono imprese sempre pronte a mettersi in discussione e che non hanno
65
complessi di superiorità che le blocchino: sono living and learning company. Il
cambiamento sta nel loro Dna, ed è parte integrante delle loro strategie;
hanno un personale responsabilizzato e motivato ed hanno un occhio attento alle
esigenze del cliente. Ma, soprattutto, il cambiamento è istituzionalizzato in una cultura
di impresa che persegue e valorizza il miglioramento continuo. Ancora una volta,
l’ennesima, in queste imprese è evidente il ruolo delle risorse umane: sono le persone
che crescono, imparano, maturano; è l’aggregato di queste risorse living and learning
che porta l’impresa ad essere, a sua volta, living and learning.
L’impresa apprenderà dal suo stesso comportamento a condizione che sia capace di
esaminarsi criticamente e di riconoscere gli errori fatti; è nel comportamento quotidiano
di imprenditore e management che devono ritrovarsi gli elementi che favoriscono il
cambiamento e rinforzano gli atteggiamenti di propensione al cambiamento.
“Se un organizzazione continua ad imparare, significa che è viva; se rifiuta di farlo, sia
perché non ne vede la necessità, sia perché ritiene di sapere già tutto, rischia la fine”.
8.2 Le risorse umane: “persone giuste al posto giusto”.
Diversi sono gli studi compiuti negli anni Novanta che hanno analizzato la potenzialità
delle risorse umane all'interno del meccanismo organizzativo; uno di questi è lo studio
Della A.T Kearney del 1998 (intitolato: alle origini del successo: i campioni della
media impresa italiana) dove a proposito delle risorse umane (presenti in imprese
italiane) viene affermato: “ visitando queste imprese, si ha un'immediata sensazione di
omogeneità delle risorse: ai vari livelli si trova la stessa aspirazione alla qualità , la
considerazione del servizio, l'orientamento al cliente. Il fattore risorse umane va inteso
insieme all'organizzazione , poiché le risorse delle imprese top sono inserite in strutture
66
semplici, con pochi livelli, dove i processi sono molto corti, ben definiti e certi. Ciò
consente ai flussi di informazione di circolare più liberamente e rapidamente,
rafforzando quindi lo spirito di gruppo attraverso le conoscenze e la comunicazione,
integrando nell'impresa la visione del mercato e del cliente” .
Questo studio è importante in quanto dimostra che i due fattori che hanno contribuito al
successo di alcune imprese italiane sui mercati esteri sono stati:
- la creatività e voglia di innovare;
- la disponibilità di adeguate Risorse Umane;
Non sorprende che il fattore “risorse umane” sia un fattore indispensabile per la
realizzazione del successo dell'organizzazione. L'impresa vive di sfide continue, le
strategie corrette e l'organizzazione snella e ottimale non portano al risultato, se non ci
sono delle persone preparate all'interno della struttura organizzativa.
Un altro studio importante, condotto dalla rivista Fortune ha riassunto quali sono i
“fattori chiave” necessari all'efficacia aziendale, e tra i diversi fattori ha assunto
notevole importanza la qualità delle risorse umane e del management.
«l'immagine esterna delle aziende si sviluppa quando esiste un management in grado di
utilizzare strumenti avanzati per gestire le risorse umane: la chiave del successo è
naturalmente l'uomo, vince chi riesce a selezionare le persone più dotate, chi è in grado
di promuovere l'individuo e le sue peculiarità, vince chi considera i piani di carriera
come il miglior investimento». (Aldo Canonici,Il Sole 24 Ore, 1997).
Soffermiamoci su alcune parti di questo brillante discorso:
- «La chiave del successo è l'uomo»: ciò significa che le attrezzature e i macchinari
67
possono essere sostituiti, l'individuo no. Le imprese sono fatte di persone, che devono
essere motivate e gestite da una guida che sia in grado di valorizzarle nell'ottica
dell'obiettivo comune dell'organizzazione;
- «vince chi riesce a selezionare le persone più dotate»: il processo di selezione del
personale è importantissimo, ed è facile incappare in errori;
- «Management in grado di gestire le risorse umane»: intendiamo questa peculiarità
come la capacità che il vertice dell'impresa deve avere nell'indirizzare gli individui e
sviluppare le loro caratteristiche, perché sono quelle di cui l'impresa ha bisogno per
sopravvivere;
- «vince chi considera i piani di carriera come il miglior investimento»: la strategia
d'impresa deve considerare la centralità delle risorse umane, la buona formazione e lo
sviluppo degli individui è fondamentale per il successo.
Oggetto di questo discorso sono le medie imprese top, ma dobbiamo ricordarci che sono
tutte sorte avendo carattere familiare e si sono ingrandite fino alla dimensione attuale,
anche grazie alla qualità delle risorse umane di cui hanno saputo circondarsi, e hanno
poi saputo sfruttare per raggiungere i livelli più elevati di prestigio.
Anche al livello dell'impresa familiare locale, è fondamentale che il manager sappia
valorizzare le capacità dei suoi dipendenti, perché è da loro che scaturisce la vitalità
dell'organizzazione.
8.3 Leadership e sviluppo delle risorse umane.
Uno dei compiti fondamentali del management delle risorse umane è permettere lo
68
sviluppo delle capacità degli individui all'interno dell'organizzazione in cui operano.
Sono diversi i problemi che l'impresa deve affrontare:
- verificare i potenziali delle risorse umane presenti all'interno dell'organizzazione;
- adottare politiche di gestione atte a far crescere i potenziali “incerti” ;
- procedere ad “assunzioni mirate” dall'ambiente esterno e trovare individui con un
potenziale elevato;
- avviare tempestivamente una decisa politica di formazione e sviluppo per “far
crescere” la nuova generazione di risorse umane con un potenziale elevato.
Vi sono diverse modalità per arricchire la crescita professionale degli individui
all'interno dell'organizzazione, e uno di questi è il training on the job (che letteralmente
vuol dire: “sviluppo sul posto di lavoro”).
Il training on the job è un percorso ideale di crescita personale e professionale, lungo il
quale l'individuo ha l'onere di progredire per arricchire le proprie potenzialità ed
esperienze, e superando le difficoltà incontrate lungo il percorso, può dimostrare il
proprio valore. Questo istituto è molto utile al manager delle risorse umane per
analizzare percorsi di carriera (chiamati anche “sentieri di carriera”) e poter valutare il
potenziale delle persone.
Il sentiero di carriera si può delineare grazie a vari strumenti:
- job rotation;
- job enrichment;
- job enlargement;
69
- Exposure;
Ciascuno di questi strumenti è in grado di agevolare la crescita professionale
dell'individuo, perché grazie a questi meccanismi, la persona può comprendere le
proprie possibilità e i propri limiti.
Analizziamo le diverse metodologie di training on the job:
- Job rotation:
il job rotation consiste nel dare alla persona la possibilità di “ruotare” in un determinato
periodo di tempo, attraverso diverse posizioni lavorative, anche di uguale livello, in
modo da consentirgli di conoscere più settori di lavoro ed allargare il proprio Know -
How (bagaglio di conoscenze ed esperienze professionali). Questa forma di sviluppo
certe volte non è vista di buon occhio dai diversi capi reparto perché si sentono privati
di importanti collaboratori, però può essere utile per delineare nuove capacità
dell'individuo (basti pensare a una persona che viene trasferita in un diverso settore, e
successivamente si scopre un suo nuovo potenziale all'interno di quel settore specifico).
- Job enrichment:
Il job enrichment consiste nell'arricchire il contenuto dell'attuale posizione lavorativa,
inserendo nuove responsabilità e nuove funzioni. La persona sottoposta a questa
disciplina dovrà affrontare un arco di attività più ampio e potrà aumentare il proprio
patrimonio di conoscenze e competenze. Il lavoratore dunque assume nuovi compiti che
prevedono un livello di responsabilità superiore rispetto a quelli precedentemente svolti.
La peculiarità del job enrichment è che prevede una mobilità in senso verticale del
lavoratore (assunzione di maggiori responsabilità).
- job enlargement:
70
Mediante il job enlargement, l'attuale lavoro viene “allargato” con l'aggiunta di nuove
mansioni , che possono toccare trasversalmente funzioni diverse da quella attuale.
Il job enlargement consiste nell'estendere il contenuto del proprio lavoro integrandolo
con altre mansioni, ma non prevede mobilità verticale. Si accorpano all'interno di un
ruolo anche mansioni che stanno a monte o a valle nel processo e che precedentemente
erano affidate a soggetti diversi. Si opera dunque un'aggregazione orrizzontale.
- Exposure:
Per la formazione e lo sviluppo delle risorse umane, e per la determinazione di un
adeguato sentiero di carriera, è fondamentale individuare il giusto livello di “exposure”
(esposizione) che la persona può affrontare senza eccessivi rischi. La proporzionale
esposizione ad un percorso di carriera comporta comunque un rischio, che deve essere
calcolato in base alle capacità dell'individuo. Sbagliare a valutare il potenziale di un
individuo significa esporre tale individuo ad un sentiero di carriera troppo ripido per le
sue reali competenze e capacità, quindi il management delle risorse umane deve prestare
particolare attenzione alla valutazione del personale, e considerare il giusto rapporto
potenziale individuale-difficoltà del sentiero di carriera.
In conclusione, un sentiero di carriera per essere adeguato dovrebbe essere delineato
proporzionalmente alla potenzialità dell'individuo, dovrebbe svolgersi con costanza ed
impegno e dovrebbe terminare con un riconoscimento di carriera. Il sentiero di carriera
creato dal management del personale ha in effetti questo scopo: formare e sviluppare le
persone, accrescendo il loro livello di conoscenze, per far progredire le loro potenzialità
e accrescere il know how globale dell'organizzazione.
71
8.4 Nuove metodologie del management nello sviluppo e formazione dell'individuo.
Nel rapporto individuo-organizzazione, il management delle risorse umane ha la
primaria funzione di formare e accrescere lo sviluppo gli individui che compongono la
detta organizzazione. I soggetti fondamentali della politica di formazione e sviluppo di
un'organizzazione sono:
- il manager delle risorse umane;
- l'individuo;
- il settore formazione;
Vediamo adesso quali sono le fasi che precedono e avviano il processo di formazione e
di sviluppo all'interno di una classica organizzazione:
- analisi delle esigenze organizzative: il manager è incaricato di individuare le
differenze tra le competenze richieste per una mansione e le competenze realmente
verificate. Sempre il manager delinea le caratteristiche e competenze necessarie per
occupare la determinata posizione lavorativa;
- Individuazione degli interventi: il manager e il settore formazione stabiliscono le
priorità e delineano gli interventi formativi più urgenti;
- pianificazione degli interventi: vengono pianificate le caratteristiche degli interventi
formativi, la durata, le modalità e ovviamente i costi (inseriti nel c.d. budget di
formazione);
- attuazione degli interventi: la sinergia del settore formazione e del manager si realizza
nell'organizzazione e nell'attuazione degli interventi di formazione e sviluppo.
- valutazione dell'intervento: quando viene completata la fase di formazione-sviluppo, è
72
ovviamente importante valutare il miglioramento conseguito dall'individuo (oltre a
valutare il classico rapporto costi/benefici).
Queste cinque fasi definiscono a grandi linee un classico intervento formativo dove la
direzione del personale gestisce insieme al settore formazione, l'intero processo. E
ovviamente ci stiamo riferendo a quei casi in cui l'intervento formativo non scaturisce
da una scelta dell'individuo, ma dalla necessità dell'organizzazione.
Analizziamo adesso una nuova metodologia di formazione e sviluppo conosciuta come
“open resources”, la definiamo come un sistema aperto che consente a tutti gli
individui di aspirare alle posizioni disponibili all'interno dell'organigramma aziendale.
Le posizioni aziendali che si rendono via via libere sono rese pubbliche, e le persone
che si sentono “capaci” possono mettersi alla prova, scegliendo da sole il loro sentiero
di carriera, candidandosi a quella particolare posizione.
Analizziamo separatamente le fasi della metodologia di formazione open resources:
- pubblicazione delle posizioni disponibili: il settore formazione ha il compito di
pubblicare periodicamente e aggiornare tutte le posizioni vacanti all'interno
dell'impresa, vengono espresse nella pubblicazione le informazioni relative alla durata
dell'incarico, le mansioni, le competenze richieste, e la retribuzione;
- domanda da parte dei candidati: una delle peculiarità del metodo open resources è
che chiunque può concorrere alla posizione disponibile, quindi è l'individuo che
singolarmente (senza l'assistenza del settore formazione) delinea il proprio sentiero di
carriera ideale, tenendo conto delle proprie capacità e professionalità. Questo è il punto
focale dell'open resources, perché l'individuo prepara un proprio piano di formazione e
sviluppo senza interferenze. Viene dato massimo spazio all'individuo e alle sue
aspirazioni;
73
- la selezione: il settore formazione assiste il manager delle risorse umane nella
selezione delle candidature presentate, valutando le carriere degli individui con
trasparenza;
- offerta: il manager e il settore formazione valutano il candidato più idoneo e gli
offrono la posizione lavorativa (che può naturalmente essere rifiutata). Segue la
comunicazione del risultato non favorevole a tutti gli alti candidati.
Il metodo open resources è molto importante in quanto consente all'individuo di
valutare il proprio potenziale, sarà poi l'impresa a valutare e ridimensionare le ambizioni
personali dell'individuo.
In conclusione, la formazione e lo sviluppo sono fondamentali per creare quelle
dinamiche strutturali che poi uniranno l'individuo all'organizzazione, sia che si parli di
formazione tradizionale (corsi di formazione interni ed esterni all'impresa, percorsi di
studio universitari, Master, Seminari) o di formazione Innovativa (Training on the job:
job enrichment, job enlargement, exposure, job rotation- Open Resources).
La necessità dell'impresa è sempre quella di avere delle persone addestrate al suo
interno, per essere competitive sui mercati, ma anche per crescere ed evolversi. Lo
abbiamo già detto e adesso lo ribadiamo:
“il know how dell'organizzazione deriva dal know how degli individui che la
compongono” .
Da questa semplice affermazione scaturisce la fondamentale funzione della formazione,
una leadership che non valuta il livello delle competenze del proprio team, non è una
leadership efficace, disegnare grandi strategie non serve a nulla, se non si può disporre
di individui correttamente formati.
74
8.5 Empowerment sugli individui
il meccanismo dell'empowerment (trad. “dare più potere”) si fonda sulla trasmissione di
potere (di decisione-di azione) da parte del management ai livelli più bassi di quelli che
ne sono stati investiti fino ad oggi. Dare più potere si traduce in delegare più
responsabilità a persone che non l'avevano precedentemente, con lo scopo di
responsabilizzare e formare gli individui attraverso l'esposizione a compiti con
maggiore peso, allo scopo di valutare il loro potenziale.
L'empowerment è un meccanismo con delle peculiarità positive e negative:
conseguenze positive dell'empowerment:
− l'uomo ha uno spazio di autonomia più vasto e può dimostrare il suo reale
potenziale di fronte alla direzione;
− l'organizzazione arricchisce le capacità dell'individuo sottoponendolo a delle
prove e può valutarne le performance;
− essendo realmente vicino alle problematiche operative, l'individuo saprà
risolverle con più efficacia rispetto a colui che sta in alto nella struttura:
conseguenze negative dell'empowerment:
− l'empowerment potrebbe assegnare troppe responsabilità all'individuo rispetto
alla sua esperienza e metterlo in una condizione di pressione e stress troppo
pesanti da sopportare;
− l'empowerment a volte può non essere gradito, certe persone preferiscono non
avere un “sovraccarico” di potere, per non avere delle responsabilità in più,
preferiscono evitarlo, oppure sono spaventate dal nuovo ruolo e dai compiti
75
lavorativi.
L'empowerment è parte integrante delle attuali esigenze dell'impresa di dotarsi di
un'organizzazione piatta e snella, dove la responsabilità è spalmata su più livelli e dove
vengono coinvolte più persone nel processo decisionale. Il meccanismo di
empowerment è perfettamente integrato nella filosofia del sistema produttivo
Giapponese di cui abbiamo già accennato precedentemente, dove gli operai della catena
di montaggio sono considerati i veri conoscitori delle problematiche operative primarie
(e non i dirigenti “che stanno seduti in ufficio”) e meritano dunque (almeno in parte) di
partecipare al processo decisionale dell'organizzazione.
76
Capitolo 9
Il leader
9.1 il leader all'interno dell'organizzazione,cenni.
Gli anni Novanta sono stati anni prolifici per le pubblicazioni inerenti all’impresa del
nuovo millennio, molti studiosi di management, molti sociologi e psicologi hanno
provato a delineare le caratteristiche necessarie per sopravvivere in un mercato in
continua espansione, con il fenomeno della globalizzazione alle porte, l’idea comune è
che sopravvive l’impresa che riesce a trasmettere i propri valori a chi ne fa parte, e a
tenerli vivi con l’esempio e il comportamento di tutti, Avendo già ribadito più volte
l’importanza della più importante delle risorse, il personale.
Come sempre, la gestione del personale, quale risorsa fondamentale è un problema che
coinvolge il vertice dell’impresa e i diversi stili di management che possono essere
intrapresi dalla leadership per la direzione dell’organizzazione .
Definire il concetto di leadership all’interno dell’organizzazione risulta a questo punto
fondamentale: in un gruppo sociale la leadership è il ruolo, svolto dal leader, di guida
degli altri membri verso il raggiungimento dello scopo del gruppo. Quando si parla di
capacità di leadership dei manager si fa riferimento alla definizione degli obiettivi
aziendali e di guida della gestione aziendale verso il perseguimento di tali obiettivi,
attraverso l'assunzione di decisioni sull'impiego delle risorse disponibili.
77
9.2 Classificazione degli stili di leadership (Lippit & White, 1943).
L'espressione leader trae origine dal verbo inglese to lead, ovvero condurre, dirigere,
guidare. Lo stile di leadership è il modo in cui il capo, il leader per l'appunto, conduce i
suoi subalterni, come li guida, li dirige, li coordina. La dottrina ha fornito varie
classificazioni dei diversi stili di leadership, e una delle più note è quella elaborata da
Lippit & White (due autori a cui abbiamo già accennato negli esperimenti sul clima
organizzativo cap. 6.3). La peculiarità di questa classificazione è la straordinaria
semplicità con cui i diversi stili di leadership si differenziano tra loro, scaturendo in tre
differenti climi organizzativi, quindi in tre differenti atmosfere di interazione tra
individuo e organizzazione.
Classificazione degli stili di leadership di Lippit & White (1943)
− lo stile autoritario;
− lo stile democratico;
− lo stile permissivo (detto anche “di delega” o “Lassez faire”);
Lo stile autoritario è caratterizzato da un leader che assume tutte le decisioni: cosa fare,
come farlo, in che modo, in che tempi. La decisione è il frutto dell'intuizione o
comunque della volontà del capo che non fornisce spiegazioni ai membri del gruppo
sulle ragioni delle scelte adottate. Queste vengono comunicate ai subalterni tra i quali
viene distribuito il lavoro. Il rispetto delle decisioni prese dal top management è
ottenuto attraverso la coercizione (sanzioni, punizioni). Le comunicazioni sono
78
centralizzate. Questo stile di leadership permette di ottenere, in genere, una buona
produttività, ma inevitabilmente comporta una forte dipendenza dal leader, forme di
aggressività tra i membri del gruppo che si sentono scarsamente motivati in quanto il
capo manifesta una limitata fiducia nei loro confronti.
In generale si ritiene che non esista uno stile di leadership migliore in assoluto; al
contrario, esistono stili più appropriati in funzione delle varie situazioni. Così nelle
situazioni di emergenza o di conflitto con altri gruppi, si mostra opportuno uno stile
autoritario, più adeguato per decidere rapidamente.
Lo stile democratico è caratterizzato dalla figura di un leader che chiede al gruppo di
partecipare alle decisioni: tende a discuterle con gli altri membri o addirittura a
delegargliele, mostra fiducia e incoraggiamento nei confronti dei dipendenti. Questo
modo di operare favorisce la partecipazione di tutti ai processi decisionali: il gruppo,
quindi, si sente maggiormente coinvolto nelle scelte e, sentendosi parte attiva del
gruppo, risulta essere più motivato. In questo caso il capo costituisce una presenza attiva
nel gruppo e collabora con esso come tutti gli altri membri. Attraverso questo stile di
conduzione, il leader esprime fiducia nei confronti dei membri del gruppo, li sostiene
nell'esercizio delle loro attività, ma rimane comunque il responsabile ultimo delle scelte.
Lo stile di leadership democratico favorisce una discreta produttività, una buona
motivazione dei membri del gruppo, forme di comunicazione tra di essi, una capacità di
autogestione e un ambiente di lavoro sereno e comunicativo.
I gruppi guidati da leader democratici mostrano di solito una bassa produttività iniziale
che tende però a crescere in modo costante; inoltre il gruppo lavora anche in assenza del
leader e il clima emozionale tende ad essere piacevole;
79
Laddove si debba affrontare un problema complesso ma i tempi per decidere non sono
stringenti, uno stile democratico potrebbe essere più appropriato, riuscendo ad ottenere
l'apporto di tutti i membri del gruppo nella decisione.
Lo stile permissivo, detto anche di delega o del laissez-faire, prevede un'ampia
autonomia dei membri del gruppo che sanno esattamente quali sono i loro compiti e
come questi vanno svolti. La partecipazione del leader è ridotta al minimo anche se egli
rimane il responsabile delle decisioni assunte. Di fronte ad un problema, al gruppo
vengono fornite le informazioni necessarie per la sua soluzione, e il capo interviene
solamente se sollecitato. Il leader non si preoccupa di decidere la distribuzione dei
compiti tra i membri del gruppo. Lo stile permissivo può comportare una produttività
bassa, un clima caotico e convulsivo.
Lo stile di leadership può essere influenzato dalla variabile umana, cioè dalle
caratteristiche delle persone che operano nell’azienda. Tuttavia è bene che lo stile
personale del leader si adatti allo stile di leadership prescelto dall’azienda e ritenuto più
valido in base alle esigenze aziendali.
9.3 Classificazione degli stili di leadership (Litwin & Stringer, 1968)
Per meglio adattare lo studio degli stili di leadership agli studi di casi reali che andremo
a proporre, sarà conveniente usare una classificazione sensibilmente diversa da quella di
Lippit & White (1943). Ricordiamo la classificazione utilizzata in un esperimento da
parte di due studiosi che abbiamo analizzato precedentemente: Litwin & Stringer (1968)
che si sono proposti di testare le ipotesi circa l'influenza dello stile di leadership sul
80
clima organizzativo e di quest'ultimo hanno analizzato le motivazioni e i comportamenti
delle persone. Con questo esperimento si misurarono le reazioni indotte da tre stili di
leadership all'interno di tre organizzazioni simulate. Scopo dell’esperimento è dunque,
analizzare l’esistenza di una relazione significativa fra stile di leadership, tipo di clima
instaurato e tipo di motivazioni stimolate presso i partecipanti.
Classificazione delle Leadership di Litwin & Stringer (1968).
- leadership autoritaria: rigida struttura formale, forte dipendenza dal carisma del
leader, comunicazione centralizzata, controllo, intimidazione.
- leadership democratica: struttura flessibile e informale, comportamenti
collaborativi e amichevoli. Lavoro e motivazione di gruppo.
- leadership innovativa della produttività (dell’obiettivo-missione) : Struttura
responsabilizzante orientata a stimolare la produttività e l’innovazione.
Obiettivo-missione-cultura della qualità totale e del miglioramento continuo del
gruppo.
Questa classificazione è più idonea all’analisi dei casi che sono stati proposti in questa
tesi, come è stato anticipato nell’introduzione, verranno analizzate delle esperienze reali
(chiamate best practices) , delle routine procedurali consolidate di queste organizzazioni
contemporanee che si sono distinte per il loro stile di management.
L’analisi dei casi sarà classificata cronologicamente:
1. La leadership innovativa della produttività sarà rappresentata nel caso reale della
81
Toyota Corporation (1950), dove la mission del miglioramento continuo è stata
fondamentale nell’evoluzione dalla catena di montaggio fordista (produzione di massa)
alla produzione flessibile mediante il costante orientamento al cliente.
2. La leadership autoritaria-carismatica sarà descritta dal caso Apple Inc. (1970) e dal
suo leader indiscusso Steve Jobs. Tale analisi verte sul culto del leader considerato
“insostituibile”, sulla passione maniacale per i dettagli e sul controllo intimidatorio nei
confronti dei lavoratori.
3. La leadership democratica-creativa: sarà infine analizzata grazie alla Pixar
Animation Studios (1980), che ha creato una “nuova frontiera” di leadership grazie
all’inossidabile spirito di cooperazione tra i lavoratori e manager, in un clima creativo e
informale.
82
Capitolo 10
Leadership innovativa della produttività, Studio di un caso:
La Toyota Corporation.
10.1 Verso la terza rivoluzione industriale (C. Martorella) Inquadramento storico.
Ad individuare nel 1974 la data saliente della terza rivoluzione industriale è stato
Cristiano Martorella (2002), specialista dell’economia Giapponese.
Nella storia economica si indicano due rivoluzioni industriali avvenute in Europa. La
prima avvenuta intorno al 1760 vide il passaggio dall’industria domestica alla fabbrica
attraverso l’introduzione di nuovi macchinari (filatoio meccanico, macchina a vapore,
laminatoio, etc.) e maturò nel periodo dal 1815 al 1840 grazie allo sfruttamento
dell’energia termica ricavata dal carbone.
La seconda rivoluzione industriale incominciò intorno al 1890 e fu favorita da una serie
di innovazioni tecnologiche (il motore a combustione interna, il motore elettrico, ecc.) e
lo sfruttamento dell’energia elettrica e dell’energia termica ricavata dagli idrocarburi,
indispensabili anche nella chimica. L’industria subì un’ulteriore trasformazione con
l’introduzione della produzione a catena di montaggio di tipo fordista. Fin qui abbiamo
tracciato il quadro descritto nei libri di storia, ma esiste una storia che non è ancora
ufficiale nonostante sia stata registrata da molti studiosi: la rivoluzione industriale
giapponese.
10.2 L'avvento del Toyotismo.
La terza rivoluzione industriale avvenne intorno al 1974 con l’introduzione della
produzione just in time e della qualità totale di tipo Toyota (che analizzeremo
successivamente), e maturò grazie allo sfruttamento dell’informatica e delle tecnologie
83
dei semiconduttori. Le rivoluzioni industriali avvengono per rispondere ai gravi periodi
di crisi economica. La terza può essere interpretata come la risposta alla crisi petrolifera
del 1973. Dunque, il tentativo di superare il vecchio modello produttivo coinvolge più
aspetti, da quello energetico a quello tecnologico, per arrivare infine alla totale
riorganizzazione dell’impresa.
La ristrutturazione rapida e radicale del sistema di produzione Giapponese si deve al
fatto che il Sol Levante risentì maggiormente della crisi energetica, rispetto a Stati Uniti
e Unione Sovietica, per l’assoluta mancanza di risorse petrolifere. Il modello americano
sul tipo di Henry Ford deve quindi essere abbandonato a favore del modello giapponese
di Toyoda Kiichirou che implica il rovesciamento della logica del marketing e la
trasformazione dell’industria in un sistema informatico. La logica del marketing si
rovescia perché, al fine di eliminare resi e scorte di magazzino, l’azienda non cerca più
di convincere i potenziali clienti ad acquistare un prodotto finito, progettato a monte in
tutti i dettagli (processo tipico della produzione di massa del Fordismo), ma chiede ai
potenziali clienti quale prodotto desiderano e lo produce on demand, su ordinazione e su
misura.
Tutto ciò richiede una trasformazione radicale dei processi produttivi che riguardano la
qualità degli uomini, delle macchine, dell’organizzazione, dei prodotti. I sociologi
hanno colto meglio il significato della rivoluzione industriale giapponese che era
soprattutto concentrata nell’organizzazione del lavoro, e perciò sensibilmente trascurata
dagli economisti attenti ai dati macroeconomici e dagli storici interessati alla cronaca.
La comprensione riguardava piuttosto la psicologia sociale e le scienze sociali. I
sociologi hanno dunque indicato quei cambiamenti nel lavoro che essi definiscono come
avvento del postfordismo (chiamato da molti sociologi Toyotismo, dal nome
dell’azienda giapponese Toyota che lo introdusse per prima).
84
10.3 La Qualità totale del Toyota production system.
La qualità totale (in inglese Total quality management, Tqm.) è un modello
organizzativo nato in Giappone e successivamente diffuso negli Stati Uniti verso gli
anni Cinquanta. Il Total quality management è un modello organizzativo che prevede il
coinvolgimento di tutta l'impresa nel raggiungimento dell'obiettivo (mission).
Ciò comporta anche il coinvolgimento e la mobilitazione dei dipendenti e la riduzione
degli sprechi in un'ottica di ottimizzazione degli sforzi. La qualità totale è uno degli
elementi più importanti del Toyota production system (Tps) o Toyotismo, cioè un
metodo di organizzazione della produzione derivato da una filosofia diversa e per alcuni
aspetti alternativa alla produzione di massa, ovvero alla produzione in serie e spesso su
larga scala basata sulla catena di montaggio di Henry Ford.
Il Toyota production system è stato inventato negli anni cinquanta presso la Toyota da
Toyoda Sakichi, Toyoda Kiichirou e dal giovane ingegnere Taiichi Ohno. Alla base del
Tps si trova la filosofia di "fare di più con meno", cioè di utilizzare le (poche) risorse
disponibili nel modo più produttivo possibile con l'obiettivo di incrementare la
produttività della fabbrica (ricordiamo che la Toyota, nell'immediato dopoguerra si
trovava in condizioni gravissime di mancanza di risorse). Il Toyota production system si
basa su vari principi, puntando su un concetto apparentemente semplice: l'eliminazione
di qualunque tipo di spreco (Trad. Giapp. Muda) che inevitabilmente accompagna ogni
fase di un processo produttivo.
Pilastri del sistema produttivo Giapponese:
- identificare il valore per il cliente;
- produrre solo quando è necessario; (Just in time)
- ricercare la perfezione attraverso il miglioramento continuo; (Kaizen)
85
- Controllo autonomo dei difetti da parte degli operai (Jikoda)
Sprechi:
- sovra-lavorazione: compiere più lavorazioni di quelle richieste dal cliente;
- sovra-produzione: produrre più unita' di quelle richieste dal cliente;
- ri-lavorazione: compiere più volte un processo o parte di esso per eliminare errori a
monte;
- giacenza: gli stock e le rimanenze di magazzino sono considerate come spreco;
- intelletto: non utilizzare-esprimere idee migliorative-capacita' degli operatori
- trasporto: spostamento di materiale inutile;
- movimento: spostamento-movimento inutile compiuto dall' operatore;
- attesa;
Per perseguire l'eliminazione degli sprechi si opera su tutti aspetti del processo
produttivo con un approccio basato sulla logica del miglioramento continuo e a piccoli
passi detto Kaizen. Gli straordinari risultati ottenuti utilizzando questa nuova filosofia
produttiva hanno portato all'affermazione planetaria del Tps, ribattezzato anche
produzione snella (lean production) per evidenziare l'aspetto di eliminazione di tutto ciò
86
che essendo superfluo appesantisce il sistema generando costi anziché valore. Un
aspetto fondamentale del Tps, finalizzato all'eliminazione degli stock e delle giacenze di
magazzino in fabbrica, è il Just in time, ovvero un sistema di governo del flusso
logistico basato sul concetto di produrre solo quando serve, vale dire quando si
manifesta la domanda del cliente.
10.4 La leadership all' interno della Toyota corporation.
La leadership nei confronti degli individui è innovativa rispetto alla leadership della
produzione di massa che abbiamo incontrato nel periodo del Fordismo, dove l'individuo
non aveva una reale capacità di controllo sul processo produttivo, era subordinato del
tutto al capo reparto e addirittura al macchinario a cui lavorava.
La produzione di massa basata sulla catena di montaggio è sostituita dalla “qualità
totale” e dalla produzione snella, dove gli individui hanno la reale possibilità di
controllare il processo produttivo, anzi ne sono addirittura spronati dai loro leader,
mediante le isole di produzione e circoli di qualità (Quality circles). Tutto avviene in
base al principio di "Jidoka" che stabilisce il diritto-dovere degli operai di interrompere
il flusso produttivo ogni volta che scoprono dei difetti o delle anomalie, per effettuare
immediatamente la correzione necessaria. In questo caso la partecipazione dei
dipendenti è immediata e applicata al flusso produttivo al fine di migliorare la qualità
finale del prodotto. All'interno dei gruppi di lavoro, nascono discussioni di gruppo
(i cosiddetti “circoli di qualità”) motivate dai capi reparto e stimolate da suggerimenti
individuali, dove si apportano continui cambiamenti nel modo di produzione. Nel
Toyotismo, a differenza che nel Ford-Taylorismo, c’è un alto livello di autogestione,
non c’è rigida distinzione tra controllori e controllati. L’azienda funziona come una rete,
più che come una piramide (cit. C.Martorella 2002). Il vantaggio è un miglioramento
87
della qualità del prodotto e quindi una minore probabilità di reclamo o di ritorno di
prodotti difettosi.
Lo scopo del Toyota production system è attuare la filosofia del già citato Kaizen (il
miglioramento continuo). Il Kaizen avviene attraverso il coinvolgimento e la
partecipazione di tutta la comunità aziendale (dalla celebre citazione: "l'azienda come
una comunità"), in un clima di collaborazione, e i suoi risultati sono in continuo
divenire, mai statici e definitivi. In conclusione come ha affermato Martorella:
«la rivoluzione industriale giapponese ha così trasformato la fabbrica in un sistema
informatico ed ha liberato l’uomo dal lavoro meccanico, trasformandolo in un
supervisore dei processi produttivi».
Ciò avviene in un periodo storico che vede il passaggio dalla società industriale alla
società post-industriale.
10.5 Leadership innovativa della produttività: caratteristiche
- l’azienda è vista come una rete, non come una piramide;
- cultura incentrata sul miglioramento continuo grazie al contributo di tutti
(il c.d : Kaizen);
- risorse umane: Il controllo reale del processo produttivo è affidato agli operai (Jikoda),
con un lavoro diversificato (nella catena di montaggio invece i lavoratori erano
specializzati in poche ed elementari mansioni);
- isole di produzione: lavoro di gruppo (innovativo rispetto al lavoro individuale nella
catena di montaggio);
- circoli di qualità: la leadership collabora con gli operai alle discussioni di gruppo dove
88
vengono proposti miglioramenti al ciclo produttivo;
- produzione snella: Produzione just in time , On demand. Orientamento al cliente.
- Elevato livello di autogestione;
Per concludere, possiamo dire che il Toyota Production System è stato
straordinariamente innovativo per la sua leadership nei confronti degli individui,
considerati parte indispensabile e insostituibile della comunità aziendale. La filosofia
del migliormento continuo o Kaizen ha contribuito finalmente a valorizzare Il capitale
umano all'interno del processo produttivo.
89
Capitolo 11
Leadership carismatica, analisi Sociologica.
11.1 La teoria del carisma: inquadramento storico
Il termine “leadership” ha una serie di significati utili a chi studia le società degli
uomini. Il più generale è “la capacità di guidare gli altri”. Poi, “l' azione o l' influenza
necessaria per dirigere o organizzare lo sforzo (comune) in un' intrapresa di carattere
collettivo”. Una relazione sociale del genere compare quasi in tutti i gruppi umani, ed
anche in quelli animali, tra i primati, in specie. Per questo se ne parla anche come di una
“funzione” sociale del gruppo organizzato per la lotta per la vita, nel più ampio senso.
Naturalmente gli uomini hanno riflettuto su tutto ciò. Storici, biografi, filosofi, hanno
proposto analisi ancora preziose ma solo verso la fine del XIX secolo comincia lo studio
della leadership con intenti propriamente scientifici.
Soltanto dopo il primo conflitto mondiale, tuttavia, sono giunti con Max Weber (il
«carisma») e Freud contributi di carattere più propriamente scientifico, che
rappresentano tuttora un riferimento importante.
Con le nuove prospettive aperte dalla «teoria del carisma» e dalla biografia
psicanalitica, la ricerca più fruttuosa si è svolta sulla leadership politica. E in quattro
direzioni. Primo, la formazione del leader e, in particolare, il costituirsi della
motivazione alla scelta della vita politica e della spinta intima che lo ha portato al
successo, sorta spesso dal rapporto con i genitori, ma anche da traumatiche esperienze
di vita. Secondo, l' individuazione delle qualità che più hanno contribuito al successo,
tra le quali certo spicca l' essere sicuro di se stesso, che ci riporta al rapporto con i
genitori e con la madre specialmente, ma anche, non di rado, alla convinzione d' avere
una missione. Terzo, l' individuazione delle attese popolari che si rivolgono al leader in
90
una posizione decisiva d' autorità, e degli effetti che egli può produrre. Rassicurazione.
Protezione. Motivazione alle condotte richieste dalle sue politiche. Attese che
divengono impellenti in tempi di crisi e di pericolo. Ma va citata l' eventualità forse più
alta: impersonare la speranza collettiva, la “causa”, come hanno saputo fare grandi
leader nell' ultima guerra mondiale.Quarto punto, lo studio della “politica simbolica”.
La politica è teatro. Con molteplici manifestazioni: cerimonie, feste, meeting, di cui il
leader si pone al centro per imporre la sua immagine pubblica e la sua linea politica.
Deve essere in grado di impersonare la speranza collettiva, la causa, soprattutto in tempi
di crisi; sennonché lo sviluppo tecnologico, in particolare con la televisione, ha
contemporaneamente allargato e ravvicinato il vasto pubblico che guarda al leader. Con
ciò le caratteristiche personali, come l' aspetto fisico, la naturale simpatia e, soprattutto,
“l' effetto personalità”, hanno acquisito grande peso. Questo ha indotto il leader ad
attingere, anche su questo punto, alla conoscenza accumulata dalle scienze sociali, da un
lato, e all' esperienza dei professionisti dello spettacolo, dall' altro, preparando, come un
attore, ogni comparsa pubblica. Il “carisma della parola” può ancora far prevalere il
leader autentico.
11.2 Max Weber e il carisma politico, cenni.
Max Weber analizza il carisma Politico del leader, e identifica con "carisma" la
capacità di esercitare una forte influenza su altre persone. Il concetto di carisma fonda la
rappresentazione di un rapporto diretto di dominio del leader sulle masse dei seguaci.
Tra i suoi presupposti, importanti sono quelli psicologico-sociali: alla massa si
attribuiscono caratteri di emotività ed irrazionalità, ed una tendenza ad abbandonarsi a
un leader, che diventa irresistibile nelle crisi.
In modo meno evidente e continuo, Weber presuppone anche una categoria di
91
personalità effettivamente straordinarie, “nature di leader”, cui sembra in particolare
attribuire assoluta convinzione nella propria funzione, e, in corrispondenza, grande
capacità di persuasione e perfino di suggestione.
Weber interpretava i fenomeni di leadership personalizzata che emergevano con forza
crescente nella democrazia contemporanea di massa, e che, secondo lui, si erano
manifestati nei secoli ogni qualvolta le masse avevano invaso il proscenio della storia, a
cominciare dalla città-stato di Atene. Si strutturava a suo giudizio un tipo particolare di
democrazia che egli chiamava “democrazia plebiscitaria”.
Weber riteneva che la democrazia in genere rappresentasse un momento evolutivo di un
rapporto inizialmente carismatico e che la “democrazia plebiscitaria fosse ancora, allo
stato puro, dominazione carismatica, se pure celata sotto “una legittimità che si
suppone derivare dalla volontà dei governati e sussistere soltanto in forza di quella”.
L’elezione del leader era solo formalmente un’ elezione; sotto la forma, si nascondeva l’
acclamazione che originariamente esprimeva il riconoscimento di un capo carismatico.
Il capo della “democrazia plebiscitaria”, oggi, non viene ricollegato alla dimensione del
soprannaturale, ma, certo, può venire considerato dalle masse un essere straordinario,
eccezionale, e diventare per esse oggetto di attaccamento emotivo.
Il leader della “democrazia plebiscitaria” contemporanea era pur sempre, secondo
Weber, un uomo dotato di grande personalità demagogica, di grandi e affinate capacità
demagogiche.
Weber includeva nella categoria di “democrazia plebiscitaria” sia i casi storici di
leadership autenticamente plebiscitaria, sia casi di dittatori e perfino di tiranni: la
tirrania della città-stato antica, la dittatura militare di Cromwell, il potere imperiale dei
due Bonaparte, per esempio.
Il sociologo fondava la sua categoria su due criteri generici: il leader gode, formalmente
92
o informalmente, di un potere che gli consente di prevalere sugli organi costituzionali
collegiali, o di prescinderne; il leader ha ottenuto o affermato tale potere grazie all’
appoggio fiducioso delle masse, o di parte di esse. Si parla invece di “democrazia
plebiscitaria” quando l’ ascesa e la permanenza al potere di un leader sostenuto da parte
almeno delle masse avviene nel rispetto delle istituzioni e delle procedure democratiche;
e quindi la reale dialettica fra performance del leader e fiducia popolare è misurata da
periodiche, libere elezioni che al leader confermano o tolgono il potere.
Il capo carismatico è, come si è detto, portatore di un senso di missione (M. Weber)
11.3 Influenza politica e leadership contemporanea.
Concetti come “potere” o “autorità” sono da sempre un costante oggetto di dibattito, e
quasi ogni generazione di studiosi ha tentato di ridefinirne il senso e ne ha messo in luce
nuove dimensioni e sfaccettature. Questo accade perché il mutamento sociale dei
rapporti e l’emergere di nuove determinazioni storiche e politiche spingono
periodicamente a ripensare gli strumenti di comprensione della realtà.
Che cosa intendiamo quando si dice che un leader politico ha influenza sui propri
seguaci o in generale sull’ opinione pubblica? O quando si osserva che i media hanno
una potente influenza sul pubblico?
Per rispondere a queste domande occorre ripensare in chiave nuova il rapporto fra
dimensioni diverse del potere come l’ “autorità”, l’ “influenza” e la ” forza”.
È noto come la definizione weberiana di leadership carismatica implichi la possibilità
da parte di un leader di parlare direttamente alle masse, scavalcando le oligarchie e gli
apparati di intermediazione politica.
A conferma della possibilità di una leadership carismatica nelle democrazie
contemporanee, vari autori hanno ricordato, sin dagli anni Trenta, il ruolo che i mezzi di
93
comunicazione di massa moderni possono svolgere, come canale che consente al leader
di scavalcare ogni apparato di intermediazione politica, e di avere direttamente accesso
al pubblico. A conferma di ciò si possono ricordare gli esempi di Roosevelt e Reagan.
Va però ricordato che per Max Weber erano innanzitutto le political machines che
rappresentavano il canale di accesso diretto del leader alle masse e che gli offrivano la
chance di far giungere loro la sua parola. Il “cesarismo di piazza”, così come Weber lo
intendeva, in relazione al tipo di “democrazia plebiscitaria” elettoralistica da lui
costruito in base ad elementi storici sia dell’ esperienza inglese che di quella americana,
implica appunto che i partiti politici si trasformino in meri raggruppamenti elettorali in
“organizzazioni” basate su un tipo nuovo di professionismo politico, in cui emergono
giovani che si oppongono ai vecchi notabili e che, dovendo vivere di politica e non di
rendite o di prebende esterne, hanno tutta la convenienza a selezionare dei “capi”
energici e autorevoli. Ma a partire dagli anni Quaranta, la political machine cambia di
funzione e diventa un caso esemplare di trasposizione degli scopi, trasformando sempre
più la propria natura da canale di aggregazione del consenso elettorale e di accesso di
massa alla leadership, ad apparato intermediario fra interessi e politica, non privo di
connections con i mercati illegali e l’ interscambio sommerso.
È opinione che qualcosa di molto simile a quel che è accaduto alla political machine
americana negli anni Quaranta, sia accaduto poi ai media negli anni Sessanta e Settanta:
i media si sono trasformati nella maggioranza dei casi in un apparato intermediario di
nuovo tipo, in un network, un sistema di interscambio dei flussi di prestigio e di
influenza che condiziona vari mercati, materiali e simbolici.
94
11.4 Leadership carismatica e i mass media.
Se avere influenza significa innanzitutto farsi valere nella comunicazione ed avere una
chance quando si prende la parola di venire ascoltati con attenzione e considerati
rilevanti, questo processo nelle società contemporanee è socialmente regolato dai media
e dal giornalismo. Ed i media non sono semplicemente un canale a cui il pubblico ha
accesso. Al contrario essi sono la “fabbrica delle notizie”, e piuttosto che come canale,
funzionano quasi sempre come la fonte medesima dell’ influenza.
Una risposta al problema costituito dai media, è stato dato da Reagan, con la strategia
della “politica spettacolo”. Con questa espressione si intende genericamente la
necessità, da parte di un uomo politico, di curare la propria immagine sui media ed in
particolare di comportarsi in televisione un po’ come un attore. O si intende anche il
fatto che i media, quando parlano di politica, tendono a metterla in scena e fare di essa
uno spettacolo. Ma per “politica spettacolo” si dovrebbe intendere una strategia che
cerca di condizionare “a monte” i media, attraverso la produzione di gesti clamorosi e di
atti che per la rilevanza che assumono in una data congiuntura economica o politica,
non possono essere ignorati e di cui pertanto i media devono dare notizia. Il problema è
per l’uomo politico quello di saper fare notizia con le proprie azioni e
indipendentemente dall’ immagine buona o cattiva che i media tentano di cucirgli
addosso, riuscire comunque a far parlare di sé. In questo modo, anche un leader che
abbia contro di sé gli ambienti giornalistici può tuttavia riuscire ad usare le
comunicazioni di massa come fonte di influenza, per rafforzare la propria presa sul
pubblico.
È all’ incirca nello stesso periodo, verso la metà degli anni Settanta, che i politici
iniziano sempre più frequentemente a fare uso delle “politiche simboliche”. Esse
consistono nel mettere all’ ordine del giorno, con grande clamore ed in maniera
95
esibitoria, temi e problemi di cui poi non ci si vuole veramente occupare o per i quali
non si dispone di risorse e mezzi adeguati ad affrontarli. Si può anzi arrivare sino a
prendere dei provvedimenti che hanno tutta l’ apparenza di essere rilevanti e decisivi,
mentre in realtà sono soltanto simbolici.
11.5 La personalizzazione della leadership.
Di fronte alle tendenze centrifughe della società civile rispetto alla autorità politica, al
venire meno della funzione di aggregazione delle domande e all’espansione dei compiti
dello Stato si è sviluppato di fatto un processo di personalizzazione della leadership, che
ha spostato l’ attenzione dalla carica, dall’ufficio alle singole personalità e che ha
individuato in soggetti specifici il recupero di capacità decisionali.
La ricerca del leader diventa soprattutto una questione di immagine da proporre al
cittadino al fine di riappacificarlo con la politica superando il suo senso di alienazione,
reso più grave in quei contesti caratterizzati dal progressivo affievolirsi dell’
identificazione politica. Quanto più si allontana per il cittadino la possibilità di
comprendere e di influenzare la politica tanto più si cerca sicurezza, conforto alla
coscienza della propria immagine in soggetti che vengono considerati all’altezza del
compito che sono chiamati a svolgere, e a cui in ogni caso è imputabile la responsabilità
delle decisioni prese, in quanto si tratta di un interlocutore concreto.
Nelle recenti tendenze alla personalizzazione della leadership che sono state individuate
in figure quali Reagan. La figura di Reagan rappresenta l’esempio di massima
identificazione con il leader in una cultura politica che ha sempre dato ampio spazio alla
personalizzazione della politica e dove la spinta all’ omogeneità ideologica, al consenso
al sistema, al di sopra delle differenze specifiche e settoriali, è stata sempre molto forte
ed è riuscita ad emarginare il dissenso.
96
11.6 La leadership carismatica contemporanea.
La politica è stata il campo di analisi della sociologia sull'origine della leadership
carismatica. Non è detto però che sia l'unico campo a cui il carisma possa essere
applicato. All'interno della società americana, già dagli anni Settanta si sono verificati
degli eventi che hanno creato dei leader carismatici, essi hanno giustificato il loro
"potere" non nei confronti della politica, ma nei confronti dell'impresa per cui operano.
Il mondo organizzativo aziendale è dunque un nuovo campo di applicazione per la
leadership carismatica. Un esempio in particolare viene citato dai mass media, almeno
due volte l'anno. Mi riferisco a Steve Jobs e alla sua Apple (nota azienda informatica
statunitense di cui è fondatore, presidente e amministratore delegato), che ha saputo
creare un vero e proprio "culto" nei confronti della sua personalità, grazie alla sua
straordinaria comunicazione durante le presentazioni semestrali dei nuovi prodotti
Apple (i cosiddetti Keynotes, dei veri e propri eventi mediatici che vengono seguiti e
trasmessi dai telegiornali di tutto il mondo). La spettacolarità di un informatico in jeans
e maglione su un palco che parla di computers è paragonabile al carisma di un
presidente che parla alla nazione. La “politica spettacolo” viene applicata all’impresa ed
ancora una volta il carisma dell'individuo ha dato dimostrazione della sua efficacia.
Analizziamo dunque un caso concreto di leadership autoritaria e carismatica del nuovo
millennio mediante il caso di Apple Inc. e di Steve Jobs. Una critica che viene rivolta a
Steve Jobs è la sua guida eccessivamente personale in cui viene accusato di eccessiva
personalizzazione della società e di accentramento delle funzioni di comando.
97
Capitolo 12
Leadership autoritaria-carismatica, Studio di un caso:
Apple inc.
12.1 Apple, cenni storici.
Apple Inc. è un'azienda informatica statunitense che produce sistemi operativi,
computer e dispositivi multimediali con sede in California. Fondata nel 1976 e
conosciuta in tutto il mondo dai primi anni Ottanta grazie alla vasta gamma di personal
computer Macintosh, è famosa per aver introdotto per la prima volta il computer nelle
case della gente comune. Apple venne fondata da Steve Jobs e Steve Wozniak nel 1976
a Cupertino, nel cuore della Silicon Valley in California.
12.2 “Captain oh my captain”. Il team vincente e la leadership culturale di Steve Jobs.
Un uomo, un'azienda. Una leggenda, una storia. Un carisma.
Steve Jobs è la dimostrazione che una persona può fare la differenza; cofondatore e
amministratore delegato di Apple Inc., è stato proprietario di NeXT Computer (poi
acquisita da Apple al momento del suo ritorno dopo quasi 12 anni), nonché
amministratore delegato di Pixar prima dell'acquisto da parte della Disney.
La figura di Steve Jobs è stata indispensabile per il rilancio di Apple nel 2001. Colpita
da profonda crisi d'identità e finanziaria, l'impresa è riuscita a reinventare il business
98
della musica con l'IPod, a ridefinire il telefono con l'IPhone, a far sognare un possibile
futuro dell'editoria con l'iPad. Per comprendere il successo degli ultimi dieci anni di
Apple occorre comprendere lo stile di leadership di Steve Jobs, la sua ottica di
"eccellenza".
La riflessione di Jobs sui percorsi della tecnologia, la sua ricerca del senso complessivo
delle innovazioni, la verifica che puntualmente viene fatta delle sue ipotesi, sono
finestre aperte su un metodo di lavoro che è diventato parte di una cultura aziendale:
una sorta di scienza delle conseguenze, di fronte alla quale "l'irascibile carattere
dell'inventore si trasforma nell'atteggiamento umile del ricercatore". C'è qualcosa in
questo tratto culturale di Jobs, che sembra potersi riconoscere nei suoi collaboratori. E
che in qualche modo potrebbe essere il motivo della fiducia che i consumatori
ripongono nella Apple. Jobs ha saputo infondere nei suoi collaboratori una "missione",
la più nobile delle culture aziendali, un'obiettivo supremo che va oltre la classica ricerca
dell'eccellenza; Dare il massimo è il vero obiettivo della sua leadership carismatica e
Verticale.
12.3 Quando il capo è insostituibile.
Nonostante le critiche mosse all'interno dell'azienda nei confronti della sua leadership
eccessivamente verticale, Steve Jobs è considerato insostituibile. Ci sono amministratori
delegati più amministratori delegati degli altri, loro a differenza di altri costituiscono
l'essenza stessa dell'azienda. si tratta di veri e propri leader e non semplicemente di
manager.
Nel mondo dell' hi-tech a stelle e strisce, di questi leader se ne scovano diversi.
99
Soprattutto, se si guarda al secolo precedente. Fino a quando è stato in sella, Bill Gates
rientrava a pieno titolo nella categoria: la sua Microsoft, nel periodo di crescita più
tumultuosa, avrebbe reagito male a un eventuale abbandono, anche se Bill Gates era più
un leader operativo, non un "visionario" come Steve Jobs. Gates è stato bravo a
posizionare sul mercato il suo gruppo, a gestire il business; ma non era nel cuore dello
sviluppo tecnologico».
Ma basta questo per essere leader? «Ovviamente no, sussistono altre caratteristiche.
L'essere il fondatore dell'impresa, per esempio, aiuta; così come è essenziale la capacità
di scegliere i tempi e i linguaggi più giusti. Bisogna avere l'abilità di diventare
popolari». Senza dimenticare, infine, la caratteristica «propria dei leader di riuscire, allo
stesso tempo, a rassicurare e sorprendere. E questo sia all'interno che all'esterno
dell'azienda». Jobs invece è il simbolo della sua azienda, nelle sue apparizioni pubbliche
e nelle presentazioni dei nuovi prodotti, è capace di creare un rapporto di fiducia con i
consumatori, riscuotendo standing ovation da stadio e applausi per ogni sua carismatica
frase, o battuta sarcastica sui prodotti della concorrenza. Steve Jobs è la bandiera di
Apple, la sua personalità è insostituibile.
12.4 La semplicità
A Steve Jobs non è mai interessata la tecnologia fine a se stessa, non appesantisce un
prodotto con appariscenti ma inutili funzioni. Tutto il contrario. Jobs pretende dai suoi
collaboratori che venga ridotta la complessità dei suoi prodotti fino a che non diventano
il più possibile semplici e facili da utilizzare. Apple punta alla progettazione di prodotti
secondo il punto di vista "dell'esperienza utente". (in qualche modo riconducibile al già
citato “orientamento al cliente” della Toyota Corporation. cap. 10.3)
100
12.5 La ricerca dell'eccellenza, design e funzionalità
Steve Jobs è ossessionato dai dettagli. Tale filosofia senza compromessi ha saputo
ispirare alla Apple un modello di approccio unico nello sviluppo dei prodotti. Sotto la
sua costante guida, lo sviluppo passa attraverso una serie infinita di modelli e prototipi
costantemente corretti e modificati, sia per l'hardware sia per il software. I prodotti
fanno ripetutamente avanti e indietro tra le mani di sviluppatori, programmatori,
ingegneri e manager. Non si tratta di un lavoro in serie. Jobs organizza continue riunioni
e brainstorming, dove si apportano continue modifiche, prestando particolare attenzione
alla semplificazione a mano a mano che il progetto evolve.
Si tratta di un processo dinamico e circolare, che talvolta richiede di ritornare al tavolo
da disegno o addirittura di abbandonare del tutto il prodotto.
In ogni occasione la leadership di Steve Jobs manifesta una straordinaria cura per i
dettagli, che permette alla Apple di sfornare prodotti di raffinata fattura degni di un
artigiano. Grazie a questa ricerca dell'eccellenza, nella semplicità, nel design, persino
nell'imballo del prodotto, i prodotti Apple suscitano nei clienti un attaccamento che
rasenta la mania.
L'aspirazione di Jobs all'eccellenza è il segreto del grande design della Apple; per lui, il
"design" non significa aspetto esteriore, non riguarda il colore o il dettaglio di stile.
Per lui "design" significa come il prodotto funziona, significa funzionalità, non aspetto.
Il primo Computer Macintosh richiese tre anni di sviluppo. Tre anni di durissimo
lavoro. Non fu prodotto seguendo la frenetica tabella di marcia tipica di molti prodotti
tecnologici. Il progetto fu sottoposto a diverse modifiche, ogni dettaglio del design, del
colore e persino i simboli sulla tastiera, furono valutati nei minimi particolari e
considerati più e più volte finché tutto non sembrò soddisfacente (agli occhi di Jobs
101
Ovviamente).
«Quando si prende in considerazione un problema e questo sembra estremamente facile
da risolvere, vuol dire che non si è capita veramente la sua complessità»
(Steve Jobs, 1983.)
12.6 Elitismo Di Steve Jobs, Reclutare i migliori.
Steve Jobs si è fatto la fama di capo insopportabile, un tiranno intimidatorio che ai
subordinati si rivolge sempre urlando, e che licenzia a caso i malcapitati dipendenti.
Tuttavia nel corso della sua carriera, ha realizzato una lunga serie di efficaci
partnership, sia personali sia aziendali. Il suo successo è dipeso in gran parte dalla sua
spiccata capacità di convincere persone straordinarie a fare straordinari lavori per lui. Si
è sempre circondato di collaboratori eccezionali. Jobs è riuscito a stabilire con successo
una relazione lavorativa con alcune tra le persone più creative del settore, e a stringere
alleanze con alcuni dei più importanti marchi al mondo, come Disney e Pepsi. Non
soltanto sceglie ottimi partner creativi ma sa anche valorizzarli e tirare fuori il meglio da
loro. Usando con maestria la tecnica del bastone e della carota, Jobs è riuscito a tenere
legati a sè e a motivare molti talenti. È quel che si definisce un'Elitista, convinto che un
piccolo team d'eccellenza sia molto più efficace di schiere di ingegneri e designer. Al
contrario di quel che avviene in molte organizzazioni, che a mano a mano che
aumentano di dimensioni cominciano ad assumere sempre più personale, Jobs ha
mantenuto il nucleo della Apple relativamente ristretto, in modo particolare per quanto
riguarda il team chiave di designer, programmatori e dirigenti scelti. La sua strategia
consiste nel reclutare le risorse umane più in gamba disponibili sul mercato, poi fa in
modo che rimangano fedeli promuovendo l'identità dei piccoli gruppi di lavoro.
102
Lavorare per lui non è facile, ma quelli che riescono a resistere tendono ad essergli leali.
12.7 L'avventura della Pixar. cenni.
l'impegno di Steve Jobs nel creare dei team d'eccezione trova la sua migliore
esemplificazione nella Pixar. Nel 1986 Steve Jobs acquistò la Pixar dalla LucasFilms,
una casa di produzione cinematografica con l'ambizione di realizzare unicamente
animazioni computerizzate.
Nel 1995 la Pixar realizzò Toy Story, il primo lungometraggio d'animazione disegnato
al computer nonché il film di maggior successo commerciale di quell'anno, vincitore di
un Premio Oscar. Fu dunque Steve Jobs a rilanciare la Pixar, che allora era una piccola
casa di produzione, e ad avviarla al successo.
La sede centrale della Pixar occupa una serie di edifici in acciaio e vetro circondati dal
verde presso Emeryville, una vecchia cittadina portuale affacciata sulla baia di San
Francisco. All'interno vi si respira un'atmosfera rilassata e collaborativa. La fantasia la
fa da padrona: Statue a grandezza naturale dei personaggi dei cartoni animati, porte a
forma di armadio girevole che sembrano condurre a un passaggio segreto, una reception
che vende giocattoli. Gli animatori non lavorano i banali box ufficio, ma dispongono di
bungalow personali, ciascuno decorato secondo lo stile del suo inquilino: una capanna
in stile tropicale, può essere affiancata da un castello medievale circondato da un finto
fossato.
Se alla Apple Steve Jobs si occupa di ogni minimo dettaglio, alla Pixar preferisce
osservare da lontano, affidando la gestione quotidiana alle mani capaci di Ed Catmull e
john Lasseter (ne riparleremo successivamente).
Per anni il suo ruolo è stato quello di un generoso benefattore che firmava accordi e
staccava assegni. Questo esempio della Pixar è opposto alla Apple, uno stile di
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leadership collaborativa è in contrasto con lo stile aggressivo e autocratico di Steve
Jobs.
12.8 Il Lavoro di Steve Jobs.
Il ruolo di Steve Jobs è unico. Anche se non progetta circuiti nè compila codici,
imprime saldamente il proprio marchio sul lavoro svolto dal suo team.
Egli è il leader capace di fornire una visione, di guidare lo sviluppo e di prendere molte
delle decisioni chiare.
«Concretamente non ha fatto nulla, ma in realtà ha fatto tutto», scrive l'ex CEO John
Sculley riguardo al contributo offerto da Jobs alla realizzazione del primo computer
Macintosh. Il suo è un atteggiamento da regista del gruppo, da giudice che accetta o
respinge il lavoro svolto dai suoi soci creativi, guidandoli mentre sono alla ricerca di
una soluzione.
Nel linguaggio tecnico Steve Jobs è il product picker, colui che individua il prodotto
chiave all'interno di una start up, un'azienda che si lancia sul mercato e lo sviluppa.
Il primo prodotto deve per forza avere successo, in caso contrario fallisce. Alla Apple
Jobs ha saputo scegliere un prodotto di successo e guidarne lo sviluppo ogni due o tre
anni: l'iMac, l'iPod, il MacBook, l'iPhone.
Lungo buona parte del secolo scorso le imprese guidate da tali "guru del prodotto" sono
state molte, dalla IBM di Thomas Watson alla Disney del suo fondatore. Ma in anni più
recenti il numero delle aziende di successo come al posto di comando una personalità
del genere, si è notevolmente assottigliato.
"Molte Aziende Americane sono oggi guidate dai consigli d'amministrazione, che sanno
solo contare i soldi e non da leader carismatici e appassionati come Steve Jobs".
(Geoffrey Moore, venture capitalist e consulente tecnologico).
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12.9 La Passione per il lavoro
Ad ogni svolta della propria carriera, Steve Jobs ha saputo ispirare i dipendenti,
convincere gli sviluppatori software e accalappiare i consumatori richiamandosi a una
visione superiore. Secondo lui i programmatori non lavorano per creare un software
facile da utilizzare, ma lottano per cambiare il mondo.
«Questo è quello che stiamo facendo per rendere il mondo un posto migliore»
(Steve Jobs, 1997)
Tutto quello che Steve Jobs fa assume contorni di una missione. E come ogni vero
"credente", ci mette passione del proprio lavoro,i dipendenti ammirano la sua passione.
Il team responsabile del primo computer Macintosh era motivato da Jobs sul fatto che
stavano lavorando a qualcosa di rivoluzionario, che avrebbe trasformato l'informatica.
Per la prima volta i computer sarebbero stati accessibili anche a un'utenza di non addetti
ai lavori. Il membri del gruppo lavorarono come schiavi per tre anni e nonostante le
continue critiche Jobs riuscì a instillare il loro la convinzione che il loro lavoro
rispondesse a una visione più grande. Steve Jobs li motivava dicendo loro che erano
degli artisti che stavano fornendo tecnologia e cultura, li persuase che avevano
l'opportunità unica di cambiare il volto dell'informatica, e di renderla un bene
accessibile a tutti.
Il Mac rappresenta davvero una svolta rivoluzionaria nel mondo dei computer, una
svolta ottenuta grazie a una passione per il lavoro che ha saputo trasmettere ai
dipendenti, perché il Mac era il loro prodotto: erano la loro creatività e il loro lavoro che
gli stava dando vita. Li aveva convinti che avrebbero lasciato un segno. Alla Apple la
105
tecnologia è uno sport di squadra. Il team del Mac lavorò così duramente da meritarsi
un riconoscimento: tutti ricevettero una maglietta con la scritta:
“come lavorare 90 ore a settimana ed esserne felici”.
Quale motivazionista saprebbe fare di meglio?
12.10 Un "grande intimidatore"
Steve Jobs appartiene alla categoria dei "grandi intimidatori", quel genere di leader che
incutono paura descritti da Roderick Kramer, docente di psicologia sociale
all'Università di Stanford. Si tratta di persone che sanno ispirare gli altri attraverso la
paura e l'intimidazione, ma non sono dei semplici prepotenti. Il grande intimidatore
assomiglia piuttosto a un padre severo, cui i figli obbediscono mossi dal timore e dal
desiderio di compiacerlo. Solitamente sono presenti in settori caratterizzati dai grandi
rischi e grandi soddisfazioni: l'industria hollywoodiana, la tecnologia, la finanza e la
politica. Negli ultimi venticinque anni molti esperti di management hanno rivolto la
propria attenzione a questioni quali empatia e compassione e i manuali incoraggiano la
costruzione di gruppi di lavoro attraverso affabilità e disponibilità, mentre non
suggeriscono di spaventare a morte i dipendenti per ottenere risultati migliori.
Come altri grandi intimidatori, Steve Jobs è una persona energica. Sa essere brutale e
crudele, ma sa anche incoraggiare e motivare. Questo stile di leadership è molto efficace
nelle situazioni di crisi, per esempio quando un'azienda sta attraversando una fase di
trasformazione ed è necessario che qualcuno prenda in mano le redini per attuare dei
cambiamenti radicali.
Larry Tessler, ex scienziato capo alla Apple afferma : " Tutti, per un motivo o per un
altro erano terrorizzati da lui, ma son convinto che allo stesso tempo tutti lo rispettavano
enormemente". Tessler ricorda ancore che quando Jobs lasciò la Apple nel 1985 tutti
106
erano preoccupati di quello che sarebbe potuto accadere alla Apple senza il suo
visionario e carismatico fondatore.
Steve Jobs è inoltre un fanatico del controllo. Controlla il software, l'hardware e il
design dei prodotti Apple, così come il marketing e i servizi Online.
Controlla ogni aspetto, da quello che i dipendenti mangiano a quello che possono non
possono raccontare alle loro famiglie riguardo all'loro lavoro (Jobs è anche un fanatico
della segretezza).
12.11 Leadership autoritaria-arismatica:
Caratteristiche della leadership di Steve Jobs
- tirannia: Steve Jobs è considerato un tiranno, è uno sporco lavoro ma qualcuno deve
pur farlo. Egli è l'unico componente del gruppo di discussione della Apple, ossia: Lui
prende tutte le decisioni, in tutti gli aspetti;
- lavorare con i fuoriclasse e liquidare gli incompetenti: I collaboratori di talento sono
un vantaggio concorrenziale potente e deve essere sfruttato. Al suo ritorno in Apple nel
1997 Steve Jobs ha licenziato molte persone e si è tenuto le più competenti, cancellando
numerosi progetti in corso;
- intimidazione: Ispirare timore per far reagire le persone;
- fino al limite: Jobs pretende il 110 % dal suo team, che lavora anche più di 10 ore al
giorno; é una missione in cui tutti si devono sacrificare, per ottenere un risultato;
- controllo: Steve Jobs è un fanatico del controllo, oltre che un perfezionista, un fautore
107
dell'elitismo e "un negriero nei confronti dei dipendenti" (cit.);
- alternative: Steve Jobs insiste per avere più possibilità di scelta, vuole che i suoi
collaboratori progettino più alternative, successivamente verrà scelta la migliore.
- semplificare: Semplificare significa rendere l'utente in grado di utilizzare il prodotto in
qualunque dei suoi aspetti "senza essere laureato in programmazione" (critica ai prodotti
Windows);
- clienti: Steve Jobs afferma che in parte i clienti non sanno che cosa vogliono
realmente, per questo egli pretende che il suo team sia in grado di proporre nuovi
prodotti che sappiano semplificare la vita alle persone.
(un esempio è la creazione del Genius Bar: sono degli spazi interni agli Apple Store
dove gli utenti chiedono consulenza e aiuto tecnico sui prodotti Apple, la peculiarità è
che nei Genius Bar si ascolta quali sono i suggerimenti che i clienti danno direttamente
alla casa produttrice.)
- design: design significa funzionalità, non apparenza. Per Jobs il design ha a che fare
con il modo in cui il prodotto funziona;
- coinvolgimento: per capire come un prodotto possa funzionare nascono brainstorming
e riunioni tra tutti i reparti dell'organizzazione: design, programmatori, venditori ecc.
- no agli yes-man: discussioni e dibattiti favoriscono la creatività, Jobs vuole lavorare
con persone che mettano alla prova le sue idee, non con persone che acconsentano
108
sempre alle sue affermazioni;
- festeggiamenti: come in Pixar (che vedremo successivamente) i risultati vengono
festeggiati in grande stile.
12.12 Leadership autoritaria-carismatica nel caso di Apple inc.: conclusioni.
Dagli anni Settanta ad oggi Steve Jobs ha rivoluzionato l'informatica, il cinema
d'animazione e la musica digitale con creazioni come l'iMac, l'iPod e l'iPhone che non
sono solo campioni di vendite, ma veri e propri oggetti di culto. Non c'è quindi da
stupirsi se molti lo venerano come un Dio. Oltre che per le geniali intuizioni, Steve Jobs
è famoso per la sua personalità difficile, è egocentrico, fanatico del controllo e
sociopatico, è pessimo nel gestire i rapporti umani, eppure riesce sempre a circondarsi
dei migliori collaboratori di caratura internazionale.
Da questa contraddizione Jobs ha tratto una filosofia di business che, negli ultimi anni
ha portato la sua azienda a conquistare impensabile traguardi i nuovi mercati. La sua
leadership autoritaria e verticale è descritta nei manuali di management come una
leadership che dovrebbe scaturire una profonda avversione delle risorse umane nei suoi
confronti, un odio sistematico e non una profonda accettazione di questa logica di
efficienza. Qui nasce un paradosso. Le persone sono trattate malamente da Steve Jobs, e
vengono spronate a fare meglio, ammirano la sua passione e si sentono partecipi della
missione che hanno in comune con lui: migliorare e semplificare il mondo. Questa è la
vera forza della Apple.
109
Capitolo 13
Leadership democratica-creativa, studio di un caso:
Pixar Animation studios
Per descrivere un modello di leadership democratica-creativa utilizzeremo l'esempio
della Pixar animation studios, una delle più importanti case cinematografiche
specializzata in produzione di cortometraggi computerizzati. Specialisti in tecnologie
grafiche innovative, gli sviluppatori della Pixar hanno creato dei film d'animazione
computerizzata che hanno riscosso un successo globale.
Descriveremo adesso il clima organizzativo all'interno della Pixar con il paragone
rispetto al gioco "segui il capo": il capo inizia a fare qualcosa, camminare, correre,
ballare e il resto dei giocatori lo segue, facendo esattamente la stessa cosa. Chiunque
non inviti alla perfezione il capo viene escluso dal gioco, che termina quando rimane
solo una persona a seguire. Naturalmente l'obiettivo del capo è mettere in difficoltà gli
altri giocatori affinché vengano eliminati.
Questo paragone spiega l'inclinazione di troppi manager aziendali Americani che,
invece di promuovere un ambiente pieno di pensatori creativi capaci di automotivarsi,
fanno sì che i dipendenti anneghino in un mare di regole, norme e processi burocratici.
La leadership della Pixar imbriglia tutte le energie creative presenti nella sua struttura,
forma e gestisce un clima creativo in cui gli individui si automotivano in vista del
conseguimento di obiettivi di lungo termine all'interno di un ambiente caratterizzato dal
rispetto e dalla fiducia reciproci.
110
13.1 La definizione di una vision chiara.
Il presidente della Pixar Ed Catmull ha dotato la Pixar di una vision chiara fin dalla
fondazione e comunicandola ai dipendenti. I migliori leader sono eccellenti
comunicatori, coinvolgono il loro team fornendo tutti gli strumenti e le informazioni
necessarie per raggiungere gli obiettivi. famosa è la frase di Alvy Ray Smith (co
fondatore) :
"si può creare un'azienda sulla paura, oppure avere una gerarchia definita in base a
una serie di scelte", si possono prendere decisioni arbitrarie o consultare l'intera
struttura collegiale e quando tutti pensano che sia la decisione giusta da prendere, la
prendi".
Definire una vision chiara, è fondamentale per l’assimilazione degli obiettivi
dell’organizzazione.
13.2 Il clima creativo.
Gestire un clima creativo e democratico non significa soltanto fare in modo che una
serie di persone svolgano determinate attività. Un clima creativo ha bisogno di una
leadership e di uno stile direzionale che aiuti il personale a crescere e a maturare, e nel
frattempo, che gli consenta di divertirsi (ricordiamo che la Pixar produce film
d'animazione per la famiglia e specialmente lungometraggi per bambini che con il
tempo sono stati apprezzati anche dai grandi). Esaminiamo i concetti di "crescita" e di
"divertimento". Pixar promuove chiaramente la crescita professionale dei dipendenti e
fa di tutto per fornire loro le opportunità e il supporto di cui hanno bisogno, di
conseguenza capita assai raramente che un dipendente della pixar consideri l'eventualità
di lasciare la casa di produzione (caratteristica riscontrata anche nel sistema produttivo
giapponese Toyota).
111
Il modello di azienda qui considerato rappresenta la perfetta antitesi di quello
"Hollywoodiano", basato sulla figura dei "collaboratori a contratto", all'interno
dell'azienda viene respinta palesemente la mentalità diffusa all'interno del settore, basata
sulle assunzioni di breve termine:
“invece di investire solo nelle idee all'interno di Pixar si investe nelle persone, mediante
una cultura basata sull'apprendimento e popolata da persone che imparano per tutta la
vita". (J.Lasseter, direttore creativo Pixar)
In effetti, tutti i dipendenti della casa di produzione, amministrativi, tecnici, manager,
portieri e addetti alla sicurezza, vengono incoraggiati a svolgere attività di
apprendimento tramite la Pixar University, un programma interno di formazione del
personale. È stato dimostrato che l'ambiente concreto svolge un ruolo fondamentale per
il benessere, la felicità e la creatività dell'individuo. Questa leadership creativa delinea
un'atmosfera accogliente nei confronti degli artisti e degli impiegati che non è
minimamente paragonabile all'atmosfera della tipica Corporation. Anche il design della
struttura dell'azienda è stato studiato per ispirare le persone, un ampio open space che
funge da "piazza cittadina" per le riunioni improvvisate, i festeggiamenti aziendali e le
semplici occasioni di svago. Da queste parti non si trovano sterili corridoi pieni di
impiegati dall'aria impassibile che parlano in tono sommesso e agitato di ciò che è
accaduto durante la riunione del lunedì mattina, al contrario si trovano i colleghi che
passeggiano intorno al campus universitario, che giocano a football durante la pausa o
fanno riunioni di lavoro all'aperto.
Alla domanda: "perché è importante che le persone che fanno film per bambini, per
guadagnarsi da vivere si divertano?" John Lasseter ha risposto che la quantità di
divertimento vissuto dalla troupe durante la realizzazione del film si traduce nella
quantità di divertimento che esso esso suscita negli spettatori. come ha detto Lasseter:
112
«Il gioco, dunque rientra nel nostro lavoro».
13.3 Individui e team
È evidente che per dare vita ad una cultura basata su una leadership creativa-
democratica bisogna fare molto di più che erigere un bel parco giochi. La creatività è un
processo mentale e sociale che ha tanto bisogno dei singoli individui quanto dell'intero
team. Viene sottolineata l'importanza di predisporre le persone al raggiungimento degli
obiettivi fornendo tutte le informazioni di cui hanno bisogno per svolgere correttamente
il loro compito senza dir loro come farlo. Ogni persona coinvolta nella lavorazione del
film deve godere di una indipendenza creativa, anche nel caso delle attività meno
importanti.
Pixar valorizza moltissimo il lavoro di gruppo, i team di produzione definiscono
autonomamente il loro programma di lavoro e monitorano tutti i diversi aspetti del
processo di realizzazione del film, compreso il loro stesso budget. Naturalmente la
pressione per la produzione di storie originali ed entusiasmanti è enorme: il passaggio
da un progetto alla realizzazione effettiva sul grande schermo richiede quattro anni. Il
livello di cooperazione all'interno dell'impresa è sorprendente, il "Brain trust" (gruppo
di cervelli) analizza e valuta mediante il processo di feedback ogni aspetto della
produzione, tale processo non è una prerogativa circoscritta ai registi e ai produttori,
nella maggioranza delle case di produzioni cinematografiche l'esame quotidiano del
materiale in corso di lavorazione è riservato a un piccolo gruppo di figure di alto livello,
mentre all'interno di Pixar ogni giorno l'intero team mostra i progressi della produzione
a chiunque abbiamo voglia di partecipare.
Ed Catmull ritiene che questo modo di procedere abbia diversi vantaggi: Gli individui
sono ispirati all'autocritica costruttiva e alla collaborazione costante tra di loro; è
113
impossibile raggiungere un simile livello di autonomia e di responsabilizzazione in una
cultura aziendale basata sulla paura.
13.4 il personale, automotivazione e controllo
I grandi leader sanno che la capacità di automotivazione dei dipendenti è essenziale per
lo sviluppo di una cultura aziendale creativa. il guru del management Peter Drucker
scrisse:
"il novanta per cento di ciò che chiamiamo management consiste nel rendere difficile
per le persone svolgere il proprio lavoro". "Se mettiamo il personale in condizioni di
comprendere a fondo la cultura organizzativa attraverso un processo di orientamento
che spieghi la vision e i valori dell'azienda, e se offriamo opportunità di formazione
sistematica sul posto di lavoro e apprendimento continuo per tutti i dipendenti, perché
mai dovremmo se avere bisogno di sottoporli al management?" (inteso come controllo
sull’operato dei dipendenti).
Questo è vero, se analizziamo altre organizzazioni contemporanee di successo come
Google, tali organizzazioni prevedono un ambito di controllo superiore "a 20 a uno"
(20:1) ovvero un manager per più di 20 dipendenti. Nella maggioranza delle aziende
americane l'ambito di controllo è inferiore a 8:1. Nel caso di Pixar è difficile calcolare
l'ambito di controllo, tanto per cominciare non viene consultato alcun organigramma
quando c'è un problema da risolvere e soprattutto, ognuno opera all'interno di un
ambiente totalmente aperto.
13.5 Obiettivi di lungo termine, rispetto e fiducia.
I membri di Pixar devono mantenere il focus sugli obiettivi di lungo termine. Produrre
un film come abbiamo già detto è un'operazione che dura almeno quattro anni. Lavorare
114
fianco a fianco per questo arco di tempo richiede rispetto e fiducia reciproci e una
leadership collaborativa che sappia valorizzare un ambiente di lavoro di gruppo.
I grandi leader cercano persone che siano disposte a lavorare con loro, non per loro, e
per questo fine ci vogliono fiducia e rispetto, e devono essere conquistati con il tempo.
I dipendenti si prendono cura gli uni degli altri. Lo spirito di collaborazione che anima
Pixar produce un ambiente che non gioca a "segui il capo", la leadership funge da
catalizzatore per la valorizzazione democratica e l'autovalutazione di questa tempesta di
idee che è la Pixar.
13.6 Filosofia del gioco e dell'umore aziendale.
All'interno di Pixar la filosofia del gioco e dell'umore è presente nelle relazioni sociali
di lavoro tra individui. Come afferma George Zimmer (fondatore e CEO di Men's
Wearhouse, azienda Americana leader nell'abbigliamento maschile, considerata best
practice) : "la maggior parte delle imprese americane reprime la nostra tendenza
innata a divertirci e a socializzare, il concetto di base è che per lavorare al meglio
dobbiamo provare entusiasmo per ciò che facciamo. Basta ricordare una cosa: uno dei
migliori effetti collaterali che hanno luogo quando si incoraggiano i dipendenti a
divertirsi sul lavoro è il fatto che questi ne traggono ispirazione per pensare fuori dagli
schemi ed essere più innovativi, e questo non è certamente uno spreco di tempo o di
energia. dice ancora George Zimmer: " Possiamo davvero permetterci di lasciare che la
nostra risorsa più preziosa, ovvero il personale, si senta represso, non apprezzato e
sfibrato?".
Le domande successive fanno parte di un test che è stato sottoposto all'interno di una
moltitudine di imprese americane per comprendere quanto spazio l'organizzazione per
cui lavoriamo, lascia al gioco e all'umore (stiamo ovviamente parlando di “umore”
115
intendendo una situazione trasparente di lavoro emotivamente non pressante, dove le
persone sono libere di esprimere le loro sensazioni, e non caratterizzata da forte
pressione)
Le domande del test sono:
- capita normalmente di sentire ridere vostri dipendenti?
- Le risate si fermano o si affievoliscono quando c'è in giro un manager?
- L'umorismo esercitato dell'ambiente di lavoro è fatto di prese in giro amabili e
costruttive invece che di critiche sarcastiche e distruttive?
- Quando qualcosa va storto, il membri del team sono capaci di astrarsi dalla situazione
e di ridere degli errori che hanno commesso?
- Effettuate festeggiamenti divertenti con regolarità?
- Da un punto di vista materiale, di per sè, l'ambiente di lavoro porta a divertirsi?
- Coinvolgente i vostri clienti nel vostro clima divertente?
Se avere risposto negativamente a due o più di queste domande, può essere che la
Vostra organizzazione sia affetta dalla "sindrome della sobrietà" (astinenza
dall'umorismo) in stadio “terminale”.
Sempre in questo studio è stato calcolato che il dipendente medio lavora per 40 ore alla
settimana, ossia 1920 ore all'anno, per un totale di 86400 ore nell'l'intero arco della vita
116
lavorativa media. Ciò rappresenta oltre un terzo delle sue ore di veglia.
La filosofia di Pixar è che la vita è semplicemente troppo breve per non divertirsi sul
lavoro.
Per vivacizzare l'ambiente di lavoro, e per migliorare nel suo processo di innovazione
costante la Pixar ha adottando le seguenti iniziative:
- ha creato una Struttura unica nel suo genere, un open space che permette alla gente di
interagire spontaneamente, sapendo che quando le persone interagiscono e si divertono,
succedono cose positive e avviene uno scambio di idee costruttive;
- ha consentito la personalizzazione degli spazi di lavoro: incoraggia i dipendenti a
mettere in mostra la loro creatività ornando l'ufficio, la scrivania o l'area in cui lavorano.
A nessuno piacciono gli uffici tetri e i cubicoli monotoni, tipici delle corporation
Americane;
- festeggiamenti: grandi sogni richiedono grandi celebrazioni. Ritagliare del tempo per
festeggiare i passaggi importanti della vita, come un compleanno, un anniversario, una
laurea. Si devono festeggiare i talenti e i successi (e il raggiungimento dei milestone) del
team di lavoro, e anche analizzare insieme le caratteristiche degli insuccessi.
I festeggiamenti valorizzano e fanno socializzare gli individui tra loro;
- festeggiare anche l'insuccesso del mese: la leadership deve tenere conto
dell'insuccesso, perche è dall'insuccesso che si impara a ottenere il successo (il caro e
inflazionato detto: "sbagliando si impara" ). l'ironia è fondamentale per lo spirito del
team;
117
- creare un modello di riferimento interno di per rispetto e fiducia reciproci: il livello
di rispetto e fiducia nell'ambiente di lavoro è direttamente proporzionale all'importanza
del gioco e del divertimento nell'atteggiamento dei dipendenti. Se l'ambiente lavorativo
è dominato dalla paura possono sorgere emozioni come l'apatia e lo sdegno, tutti i
sentimenti controproducenti per la creazione di un clima valorizzante e collaborativo.
- fare pratica di autoironia: il leader che si mostra capace di ridere di se stesso agevola
la creazione di un ambiente lavorativo improntatto alla fiducia, alla cooperazione e
all'identificazione con il risultato. Se il leader si prende troppo sul serio, crea una
barriera, una distanza emotiva che fa sorgere sentimenti di sfiducia tra i dipendenti e
verso il management. La leadership richiede un legame emotivo e non può essere
aiutata dalla rigidità, dalla paura e dall'intimidazione.
- formazione: Il campus universitario della Pixar è stato creato per essere a disposizione
dei dipendenti. Per contribuire alla realizzazione degli individui Pixar offre più di cento
corsi all'interno della Pixar University. I dipendenti sono incoraggiati a frequentare
quattro ore di corsi di formazione permanente alla settimana durante l'orario lavorativo.
-Decentrare: le unità di business decentrate,autonome e di piccole dimensioni sono
maggiormente vicine al cliente; di conseguenza, il personale stringe rapporti più intimi,
e l'impegno nei confronti dell'innovazione risulta più facile da coltivare;
- l'innovazione parte dalla gestione del personale: il fatto di avere una cultura innovativa
è più importante per l'ufficio di gestione del personale che per quelli di ingegneria, di
118
sviluppo di prodotto o di marketing. Se la direzione del personale assume solo persone
noiose, progetta solo corsi di formazione legati a competenze tecniche (Le cosiddette
"hard skills") e conduce sessioni di orientamento strettamente basate sulla politica
aziendale, il risultato sarà una cultura monotona e priva di immaginazione. Per
sviluppare una cultura creativa e innovativa che funga realmente da fonte di ispirazione,
è indispensabile avere dipendenti che reagiscano a dei corsi di formazione e stimolanti.
- Gong Show: Pixar ogni trimestre tiene un evento chiamato "Gong show" dove ogni
dipendente ha l'opportunutà di proporre idee relative a nuovi film da produrre.
13.7 Classificazione del dipendente ideale
Una recente indagine condotta dall'istituto di ricerche Gallup negli Stati Uniti ha
identificato tre tipi di dipendenti:
- Dipendenti partecipi: (dipendenti ideali) si sentono soddisfatti e appassionati della
propria attività professionale, nonché profondamente legati ai valori dell'azienda.
Sono il motore dell'innovazione, hanno un atteggiamento autocritico e costruttivo.
- Dipendenti non partecipi: hanno "timbrato il cartellino in uscita" e sembrano
attraversare le giornate in uno stato di sonnambulismo, lavorando senza energia nel
passione.
- Dipendenti distaccati: sono insoddisfatti profondamente e mostrano apertamente il
proprio scontento.
119
La buona notizia è che la ricerca di Gallup evidenzia che "i dipendenti partecipi sono
più produttivi, redditizi, sicuri, creano un rapporto più saldo con i clienti e rimangono
più a lungo dei dipendenti meno partecipi nella stessa azienda" e che "il coinvolgimento
sul posto di lavoro è un fattore incisivo per stimolare la capacità di pensare fuori dagli
schemi, allo scopo di migliorare i processi di management e di business.
La cattiva notizia è che dell'intero campione di mille dipendenti, solo il 29% si
considerava "partecipe", mentre il 56% si è detto "partecipe" e il 15% "attivamente
distaccato".
Il leader deve fare un passo avanti per aumentare la percentuale di dipendenti attenti ai
valori dell'impresa, dando un'impronta all'organizzazione e promuovendo la
cooperazione, la condivisione di valori e la risoluzione attiva dei problemi interni
all'organizzazione stessa.
13.8 Leadership democratica-creativa, differenza tra culture, conclusioni.
Dopo aver analizzato alcune tra le caratteristiche più rilevanti della leadership creativa-
democratica andiamo a definire le differenze tra due culture contrapposte, quella
derivante appunto da una leadership democratica e quella derivante al contrario da una
leadership autoritaria: (Studio dell’istituto di ricerca Americano Gallup)
1-Caratteristiche della cultura aziendale autoritaria:
- vita di azienda monotona,gerarchica e priva di immaginazione;
- dipendenti che seguono la gerarchia;
120
- idee calate dall'alto, accettazione silenziosa dei dipendenti;
- trasmissione di Hard skills;
- accettazione unicamente della realtà oggettiva;
- decisioni basate unicamente sulla razionalità e poca eterogeneità;
- il lavoro implica necessariamente sofferenza;
2-Caratteristiche della cultura aziendale democratica:
-vita d’azienda entusiasmante,collaborativa e ricca d'immaginazione:
- dipendenti che interagiscono liberamente;
- ricerca di idee attraverso la collaborazione;
-conferire autonomia agli altri: delega di responsabilità;
- trasmissione di Hard e Soft Skills;
-decisioni basate sull'intuito e sull'ascolto;
- flessibilità e rapidità d'azione;
121
- forte diversificazione;
- il lavoro diventa più divertente.
"L'innovazione non si può raggiungere i cinque minuti, richiede una leadership
scrupolosa e una cultura collaborativa" . "Solo con il coinvolgimento di tutte le risorse
dell'organizzazione si potrà arrivare al successo".
(Bill Capodagli, esperto consulente d'impresa americano).
La particolare cultura della Pixar, incentrata non su un rigido reticolo gerarchico, ma
sulla collaborazione orrizzontale di tutte le risorse dell’azienda, è considerata una best
practice ovvero un impresa che si è distinta per il suo stile di Management, ed è presa
ad esempio dalle altre organizzazioni che vogliono innovare e rivoluzionare la loro
cultura interna.
122
Cap.14
Conclusioni
Studiare il rapporto tra individuo e organizzazione mediante l'analisi delle dinamiche
strutturali e lo stile di leadership, è un'impresa che deve tenere conto di molti aspetti.
Partendo dall'assunto che gli interessi dell'individuo difficilmente corrispondono con gli
interessi dell'organizzazione per la quale operano, sarà necessario comprenderli per
entrare in profondità nella struttura organizzativa. Occorre dunque considerare le
variabili -micro (gli individui) per comprendere le variabili –macro (l’organizzazione).
L’azione organizzativa, il grado d’impegno verso gli obiettivi, il coordinamento
operativo, la cooperazione dipendono dal significato che i membri dell’organizzazione
attribuiscono alla situazione da loro vissuta, Barnard individua appunto nella
cooperazione la condizione necessaria al funzionamento dell’organizzazione stessa, essa
dipende ovviamente dal significato attribuito alla situazione in cui si opera e la funzione
del leader (manager) è secondo Barnard quella di motivare ed incentivare la
disponibilità a cooperare mediante un efficace uso della buona comunicazione e della
persuasione.
Nel Novecento, diversi sociologi e studiosi manifestano la volontà di comprendere il
comportamento delle persone inquadrate nell'organizzazione e iniziano a intraprendere
una serie di studi per analizzare quali dinamiche strutturali possano essere modificate
per migliorare la qualità dell'azione dell'impresa. Nasce la consapevolezza del
potenziale dell'individuo, tanto da definirlo "risorsa umana" per evidenziare l'aspetto di
valore e capitale insito nel personale, le sue competenze e la conseguente fonte di
vantaggio per l'impresa. Nasce l'idea che l'impresa debba investire sull'individuo, quale
elemento vitale dell'organizzazione stessa. La sociologia, fin dagli anni Venti, ha
123
studiato il concetto di potere e autorità all’interno del cosiddetto “attore artificiale”
(l’organizzazione), costruito per raggiungere un obiettivo che le persone reali in quanto
tali non riuscirebbero a raggiungere. Max Weber (1922) ha analizzato il potere come
possibilità di esercitare un comando all’interno di un’organizzazione, dove il potere del
leader è esercitato sul personale, il quale si organizza a sua volta in gruppi
(associazioni) che tutelano i suoi interessi.
L’obiettivo dell’organizzazione è il conseguimento dei fini e obiettivi definiti
precedentemente, e uno dei modi secondo Weber, è la burocratizzazione dell’impresa
(metodo in cui il potere ed il controllo sono esercitati secondo conoscenza e
competenza) in cui le mansioni sono definite dalla divisione del lavoro e la
razionalizzazione dei compiti rende in parte metodici e impersonali gli individui e le
loro occupazioni (critica effettuata da R.K Merton ne “il formalismo burocratico”
Cap.2.3 ) .
La standardizzazione dei comportamenti auspicata da Weber potrebbe dunque essere
eccessiva: diciamo che può variare in base ai casi di analisi (in casi di crisi però,
l’organizzazione, mediante una leadership autoritaria e una rigida standardizzazione dei
compiti, può effettivamente risolvere le situazioni di crisi).
Il Novecento è stato il secolo dove è nato l’interesse verso il management delle risorse
umane da parte della sociologia. Molti sono i sociologi che hanno studiato il rapporto
dell’uomo con l’organizzazione. Taylor e Ford hanno radicalmente cambiato il rapporto
che l’uomo aveva con il lavoro stesso, mediante una subordinazione radicale del
lavoratore al prodotto che costruisce (Cap. 3.2 analisi del caso “Ford”) , con
l’introduzione della produzione in serie (razionalizzazione del ciclo produttivo: catena
di montaggio) e l’automazione delle mansioni.
124
Il fenomeno del Taylorismo-Fordismo dilaga nel mondo occidentale, l’uomo diventa
“una mera appendice della macchina” che produce il bene. Dal 1920 aumentano le
ricerche sul “fattore umano” (Cap. 3.4) per comprendere il comportamento degli
individui all’interno di gruppi organizzati; E. Mayo (1920) analizza oggettivamente il
comportamento organizzativo tra leader e dipendente, mentre C.Barnard sostiene la
necessità di cooperazione per raggiungere l’efficacia organizzativa.
Un altro punto importante degli studi di C. Barnard è la leadership all’interno
dell’organizzazione che, oltre alla definizione dei fini e al controllo, deve anche
provvedere a mantenere un clima di collaborazione mediante una comunicazione
bidirezionale tra centro del potere e periferia.
Questi studi sono il punto di partenza per molti studiosi nell’analisi dell’uomo
all’interno dell’ “attore artificiale”, A.H Maslow (1954) e F. Herzberg (1966)
analizzano il comportamento delle persone soffermandosi sulle motivazioni, sui
sentimenti degli individui e i bisogni di autorealizzazione personale sul lavoro.
Negli anni Sessanta i cosiddetti “Guru del management” compiono vari studi ed
esperimenti sull’individuo immerso nella realtà organizzativa. D. McGregor (1960)
analizza gli stili di direzione secondo la classificazione da lui elaborata di due teorie: la
teoria X (modello autoritario di direzione del personale) e la teoria Y (modello
partecipativo di direzione del personale); ne trae diverse conclusioni sull’importanza
della collaborazione e della comunicazione (mediante l’esperimento del “piano
Scanlon” cap.4.4). R. Likert analizza l’importanza del lavoro di gruppo all’interno della
realtà organizzativa e C. Argyris analizza i meccanismi di difesa degli individui che si
attivano in un ambiente ostile (in un ambiente autoritario possono infatti scaturire negli
individui ansie, frustrazioni e fallimenti).
125
Tutti e tre concludono che la collaborazione è vitale per orientare la leadership alla
valorizzazione delle risorse umane ed ottenere la stabilità organizzativa.
Studiando l’organizzazione abbiamo osservato le dinamiche culturali dell’impresa,
quelle norme, percezioni e aspettative che la caratterizzano; cultura e clima
organizzativo (percezione della cultura) sono due concetti distinti ma legati tra loro a
causa dell’influenza che la prima esercita sulla seconda. Analizzare questo rapporto è
essenziale per comprendere le dinamiche strutturali di un’organizzazione.
Saltando ai giorni nostri, è stata elaborata l’idea di un’impresa più sensibile alle
necessità dell’individuo che opera al suo interno, nasce la living & learning company,
che si propone di ascoltare i problemi al suo interno e, che grazie alla sua filosofia del
miglioramento continuo, è in continua evoluzione.
Vengono adottati nuovi metodi di valorizzazione delle risorse umane, come il “training
on the job (cap. 8.3) e “l’empowerment” individuale (cap 8.5).
L’individuo diventa il centro dell’organizzazione.
Mediante la classificazione degli stili di leadership di Litwin & Stringer (1968) sono
state isolate tre leadership differenti: uno stile di leadership autoritaria, uno stile di
leadership democratica e uno stile di leadership innovativa (dell’obiettivo e della
produttività).
Questa classificazione è stata basilare in quanto ad ogni stile di leadership sono
affiancati casi di esperienza reale (best practices, routine procedurali consolidate che si
sono distinte per il loro stile di management).
L’esame del comportamento organizzativo può essere appunto compiuto mediante l’uso
di tali best practices, ricordando però che non sempre tali “prassi” aderiscono
perfettamente ai meccanismi precedenti e consolidati, ovvero non sempre tali pratiche
possono essere attivate nell’organizzazione in analisi; certe volte una diversa decodifica
126
e interpretazione da parte delle risorse umane può portare a una situazione di
conflittualità, in questo modo la pratica non è assimilata e l’organizzazione non evolve
nella direzione sperata.
Per compiere questo passo il leader deve collaborare con le risorse umane e rendere
questo questo intervento il più graduale possibile.
Mediante l’analisi di queste best practices, abbiamo rappresentato tre diverse realtà
aziendali, diverse culture e diversi modi di gestire l’individuo all’interno
dell’organizzazione.
La leadership innovativa dell’obiettivo e della produttività è esemplificata con il caso
reale della Toyota Corporation, dove il miglioramento continuo di tutti gli individui nei
confronti del prodotto e l’orientamento al cliente sono diventati un culto.
La leadership autoritaria-carismatica è rappresentata dalla Apple Inc. e più precisamente
dal Fondatore Steve Jobs, considerato un tiranno nei confronti dei dipendenti ma
egualmente considerato “insostituibile”.
Infine la leadership democratica è rappresentata dalla Pixar Inc. dove il lavoratore
lavora a stretto contatto con il superiore, le decisioni non sono un’esclusiva del leader
ma vengono discusse tramite il confronto con i dipendenti.
Un’organizzazione è composta da individui, e come disse Seneca, l’uomo è un animale
sociale, le persone non sono state fatte per vivere da sole.
L’organizzazione circoscrive e subordina la condizione dell’uomo mediante varie
dinamiche strutturali quale la leadership e la comunicazione. Non esiste ovviamente un
metodo universale per gestire gli individui, una regola fissa che permetta di produrre
efficacia e raggiungere gli obiettivi prefissati; è dunque azzardato pensare
l’organizzazione come un sistema artificiale che può essere solo “progettato”.
Comunicazione e cooperazione dovrebbero integrare il calcolo e la progettazione, e
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contribuire a sintonizzare la comunità organizzativa verso uno stesso linguaggio, basato
su codici condivisi sia dall’individuo (anche visto come risorsa umana subordinata) sia
dall’organizzazione stessa.
È necessario elaborare la consapevolezza che l’individuo può essere posto al centro di
tale comunità, in quanto capitale inestimabile di valori e conoscenze, e come tale
valorizzato in un contesto che sappia armonizzare le sue caratteristiche e le necessità
dell’organizzazione.
Ringraziamenti
Desidero ringraziare in primis l’università degli studi di Genova ed il magnifico rettore
per l’opportunità di apprendimento che ho avuto.
Ringrazio il mio relatore, il chiarissimo professor Monti Bragadin per l’impegno che ha
preso con me e che insieme siamo riusciti a portare a temine.
Ringrazio i miei amici e i miei compagni di corso e soprattutto Stefania Boccoleri e
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Matteo Noceti, un percorso universitario vissuto insieme vale più di un’amicizia.
Ringrazio i miei genitori e i miei nonni, per la pazienza e la costanza che hanno avuto
nello svegliarmi la mattina per farmi studiare, per la grande dedizione che hanno avuto e
lo sforzo che hanno fatto per comprendere cosa in realtà stessi studiando. Vorrei
doppiamente ringraziare i miei nonni, che avranno capito poco di quello che ho detto
durante l’esposizione della mia tesi. Sono il primo della famiglia a laurearsi, dunque per
questa volta, l’emozione sostituirà la comprensione.
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