Indice - Thomas Hardy's AleE infine c’è l’ambizione. Non lo neghiamo. Ambiziosi lo siamo sempre...

88
Scritto da

Transcript of Indice - Thomas Hardy's AleE infine c’è l’ambizione. Non lo neghiamo. Ambiziosi lo siamo sempre...

Page 1: Indice - Thomas Hardy's AleE infine c’è l’ambizione. Non lo neghiamo. Ambiziosi lo siamo sempre stati. E oggi la nostra ambizione è addirittura duplice. Innanzitutto perché

Scritto da

Page 2: Indice - Thomas Hardy's AleE infine c’è l’ambizione. Non lo neghiamo. Ambiziosi lo siamo sempre stati. E oggi la nostra ambizione è addirittura duplice. Innanzitutto perché

2

Page 3: Indice - Thomas Hardy's AleE infine c’è l’ambizione. Non lo neghiamo. Ambiziosi lo siamo sempre stati. E oggi la nostra ambizione è addirittura duplice. Innanzitutto perché

3

Indice

BOX 1

BOX 2

BOX 3

BOX 4

BOX 5

BOX 6

Pag. 5 Responsabilità, sfida, ambizione

Pag. 6 Introduzione

Pag. 9 Capitolo Primo: Come tutto ebbe inizio

Pag. 21 Capitolo Secondo: Andata e ritorno

Pag. 33 Capitolo Terzo: Ogni fine è un nuovo inizio

Pag. 44 Capitolo Quarto: Primi passi

Pag. 57 Capitolo Quinto: Il futuro è adesso

Pag. 68 Capitolo Sesto: Dicono di leiPag. 79 Capitolo Settimo: Le voci dal web

Pag. 85 Ringraziamenti

Pag. 86 Bibliografia

Pag. 87 L’autore

Thomas Hardy’s Ale: The story, the legend – Versione Web PDF ITA 2017Scritto da Maurizio Maestrelli - Twitter: @birragendaProgetto grafico di Interbrau Spa - www.interbrau.it - [email protected] ©2017 Sandro e Michele Vecchiato - Tutti i diritti riservati

Pag. 16 Thomas Hardy, il cantore dell brughiera

Pag. 18 Barley Wine: il “Vino d’orzo”

Pag. 30 Lettere e numeri...

Pag. 40 Ogni annata un’emozione diversa

Pag. 54 Thomas Hardy’s Ale? Si fa così...

Pag. 65 A tu per tu con Thomas Hardy’s Ale

Page 4: Indice - Thomas Hardy's AleE infine c’è l’ambizione. Non lo neghiamo. Ambiziosi lo siamo sempre stati. E oggi la nostra ambizione è addirittura duplice. Innanzitutto perché

4

Page 5: Indice - Thomas Hardy's AleE infine c’è l’ambizione. Non lo neghiamo. Ambiziosi lo siamo sempre stati. E oggi la nostra ambizione è addirittura duplice. Innanzitutto perché

5

Responsabilità, sfida, ambizione

Che cosa significa Thomas Hardy’s Ale per noi? È da quando siamo nati che viviamo nella birra. Prima attraverso le storie di nostro padre. Poi con le pri-me esperienze lavorative. Crescendoci dentro, anno dopo anno. Sentendo la passione aumentare contestualmente alle responsabilità. Noi parliamo, respi-riamo, viviamo di birra. Siamo onesti, abbiamo avuto grandi soddisfazioni nel nostro lavoro, abbiamo corso dei rischi, superato delle difficoltà, vissuto un’infinità di momenti incredibili in questo mondo che amiamo visceralmen-te. Eppure, forse nulla è paragonabile all’ingresso di Thomas Hardy’s Ale nella nostra famiglia. È un po’ come essersi trovati al cospetto della Storia e rendersi conto che anche noi, oggi, facciamo parte di Essa. E, sì, la sensazione ci mette qualche brivido addosso. Perché prendere in carico una birra come Thomas Hardy’s Ale è prendersi la responsabilità di una birra famosa in tutto il mondo, la responsabilità di non deludere le centinaia di migliaia di appassionati che l’aspettano e la responsabilità di un pezzo, piccolo certamente ma prestigioso, di storia britannica. Ora il brivido è anche emozione, l’emozione del gusto per la sfida che è da sempre, per noi, l’elemento più stimolante del nostro lavoro. E infine c’è l’ambizione. Non lo neghiamo. Ambiziosi lo siamo sempre stati. E oggi la nostra ambizione è addirittura duplice. Innanzitutto perché voglia-

mo restituire Thomas Hardy’s Ale alla gloria che le è propria, rispettosi della sua storia e del suo blasone. Poi perché vogliamo portare Thomas Hardy’s Ale nel futuro, un futuro in cui questa birra leggendaria avrà molte cose da dire agli appassionati di tutto il mondo…

Sandro e Michele Vecchiato

Page 6: Indice - Thomas Hardy's AleE infine c’è l’ambizione. Non lo neghiamo. Ambiziosi lo siamo sempre stati. E oggi la nostra ambizione è addirittura duplice. Innanzitutto perché

6

Introduzione

Lo confesso. Sono rimasto a lungo a fissare la schermata bianca del mio laptop prima di iniziare a scrivere queste righe che ora state leggendo. Ho dovuto anche prendere un paio di lunghi respiri. L’ultima volta mi è capitato una ven-tina d’anni fa, quando ho esordito sulla carta stampata. Ma quella è un’altra storia…Il fatto, vedete, è che qui si tratta di affrontare un monumento. Certo, un mo-numento per chi scrive di birra. Ma è questo ciò che io faccio. E allora scrivere un breve ma, si spera, interessante libro dedicato a una birra come Thomas Hardy’s Ale non è esattamente impresa da tutti i giorni.Di che cosa si tratta? Che cos’è questa Thomas Hardy’s Ale? Per coloro che masticano di birra non c’è bisogno di ulteriori spiegazioni e, volendo, possono pure saltare questa introduzione e passare subito al primo capitolo. Per coloro ai quali invece, legittimamente s’intende, Thomas Hardy’s Ale non dice nul-la… Beh, è forse il caso di fare qualche paragone.Innanzitutto, l’avrete capito, Thomas Hardy’s Ale è una birra. Ma è una birra che sta alle birre come Château Pétrus sta ai vini, come una Rolls Royce o una Bentley stanno alle altre auto, come uno yacht sta a una barca a remi. Una fuoriclasse insomma, sebbene faccia parte, in un certo senso sia addirittura il paradigma, dei barley wine, categoria di birre forti, maturate a lungo, eleganti e complesse, adatte anche a riposare in cantina qualche anno prima di essere consumate.La Thomas Hardy’s Ale è nata nel 1968 a Dorchester, nel sud dell’Inghilterra, per commemorare i quarant’anni della scomparsa di Thomas Hardy, scrittore e poeta celebre in tutto il mondo per Tess dei d’Urberville, Via dalla pazza folla, Jude l’oscuro. Doveva essere una birra celebrativa e poi scomparire ra-pidamente dal mercato. Ma la storia e un successo mondiale hanno voluto il contrario. Le sue vicissitudini sono però degne di un romanzo d’avventura: ha conosciuto momenti di gloria sfolgorante, ma è anche caduta nell’oblio la-sciando solo uno strascico di nostalgia. È volata negli Stati Uniti d’America, restando prodotta comunque in Inghilterra. E infine è arrivata in Italia, nel-

Page 7: Indice - Thomas Hardy's AleE infine c’è l’ambizione. Non lo neghiamo. Ambiziosi lo siamo sempre stati. E oggi la nostra ambizione è addirittura duplice. Innanzitutto perché

7

le mani di Sandro e Michele Vecchiato, due imprenditori padovani da oltre trent’anni sulla cresta dell’onda nel settore delle birre d’eccellenza. I fratelli Vecchiato hanno per decenni selezionato le birre migliori portandole in Italia e costruendo una delle aziende leader di mercato. Non completamente appa-gati dal successo, hanno deciso di fare l’impresa forse più grande della loro carriera: restituire vita alla leggendaria Thomas Hardy’s Ale. Per farlo sono ripartiti da dove la storia si era interrotta, in Inghilterra, perché la Thomas Hardy’s Ale è talmente monumentale che non la si può proprio spostare dalla patria di Shakespeare.Questo libro è per una parte una sorta di romanzo storico e per un’altra parte il racconto di un sogno inseguito e raggiunto. Il fascino di questa birra è tale che è stato facile raccogliere autorevoli interventi sull’argomento da parte di tanti giornalisti e scrittori di birra così come di opinion leader del settore (Ro-ger Protz, Stephen Beaumont, Conrad Seidl, Garrett Oliver, Charlie Papazian, Jeff Evans, Hans-Peter Drexler, Adrian Tierney-Jones, Steven Grossman, Gar-rett Oliver, Ron Pattinson). Ma ciò che più mi ha colpito è come sia bastato lanciare l’annuncio della rinascita della Thomas Hardy’s Ale nel grande mare di Internet per essere sommersi dall’entusiasmo di innumerevoli estimatori di questa birra eccelsa. Entusiasmo da ogni dove, dall’Inghilterra come dagli Stati Uniti, dall’Australia come dalla Svezia.È questo entusiasmo, superiore a qualsiasi aspettativa, che mi ha fatto fissare a lungo lo schermo bianco del mio laptop. Ora potete capire la responsabilità che sento. La stessa che sente chiunque sia coinvolto nella storia della Thomas Hardy’s Ale.

Maurizio Maestrelli

Page 8: Indice - Thomas Hardy's AleE infine c’è l’ambizione. Non lo neghiamo. Ambiziosi lo siamo sempre stati. E oggi la nostra ambizione è addirittura duplice. Innanzitutto perché

8

Page 9: Indice - Thomas Hardy's AleE infine c’è l’ambizione. Non lo neghiamo. Ambiziosi lo siamo sempre stati. E oggi la nostra ambizione è addirittura duplice. Innanzitutto perché

9

Capitolo Primo: Come tutto ebbe inizio

Quella mattina del 28 novembre del 1967 doveva fare freddo. La moglie del sindaco di Dorchester decise di mettere il cappotto e pure il cappello. La luce del giorno aveva rivelato una brina che faceva ancora scricchiolare l’erba calpestata e il cielo aveva quel colore plumbeo che stupisce sempre i turisti che arrivano in Inghilterra dai Paesi con clima più mite. La giornata prevedeva un impegno insolito, ma forse neppure troppo in una nazione affollata di pub a ogni angolo della strada e dove la birra era allo stesso tempo una consolidata abitudine tanto sociale quanto quotidiana e un’attività economicamente di rilievo, in grado di generare ricchezza e dare lavoro a migliaia di persone. Il sindaco, suo marito, portava una collana paramento. Quella delle grandi occasioni ufficiali. E ad attenderli c’erano pure le troupe di due reti nazionali, la storica BBC e la più recente ITV. Non era una giornata qualunque nella città di Dorchester, centro principale della contea del Dorset, a circa centoventi miglia in direzione sud-ovest da Londra. E l’impegno in questione, per il sindaco e la moglie, era una visita al locale birrificio Eldridge Pope.Eldridge Pope aveva mosso i suoi primi passi nel lontano 1837 quando Charles Eldridge e sua moglie Sarah, proprietari del noto hotel del centro cittadino, l’Antelope, avevano acquistato quella che al tempo si chiamava Green Dragon Brewery. Alla morte di Charles, avvenuta nel 1846, Sarah aveva continuato a gestire la produzione insieme al birraio Samuel Mason cambiando il nome dell’azienda in Eldridge, Mason & Co.Sarah Eldridge scomparve dieci anni dopo il marito e le sue quote passarono al genero John Tizard, il quale continuò a mandare avanti l’azienda insieme a Mason fino al 1870. In quell’anno tuttavia, Mason andò in pensione e cedette la sua parte di società ai fratelli Edwin e Alfred Pope. I quali, sembra all’insaputa dello stesso Tizard, si premunirono di inserire nel contratto un’opzione di acquisto per le quote rimanenti, ovvero quelle di Tizard, quando, anche lui, fosse passato a miglior vita. Cosa che accadde per fatalità l’anno successivo. Nel 1871 dunque la società era interamente nelle mani dei Pope che la ribattezzarono in Eldridge, Pope & Co. Non dovettero essere anni semplici

Page 10: Indice - Thomas Hardy's AleE infine c’è l’ambizione. Non lo neghiamo. Ambiziosi lo siamo sempre stati. E oggi la nostra ambizione è addirittura duplice. Innanzitutto perché

10

quelli: la concorrenza era numerosa e crearsi un proprio spazio per sopravvivere e crescere non era così scontato. I fratelli Pope furono comunque molto abili tanto che la nuova sede di produzione, inaugurata nel 1881, divenne ben presto il più significativo luogo di lavoro di tutta Dorchester.Sedici anni più tardi la società si consolidò finanziariamente e aggiunse il termine Limited a Eldridge Pope & Co. e questo sarebbe stato il nome con il quale tutti, da allora in avanti, l’avrebbero conosciuta…. Nel 1921 infine, Clement Pope, figlio di Alfred, creò per il birrificio un logo destinato a diventare famoso: il ritratto di un tipico gentiluomo inglese, in divisa da cacciatore (Huntsman), in carne, con le gote arrossate, il monocolo e un sorriso stampato mentre reggeva un bicchiere colmo di birra.Ed era proprio quello il logo che videro come prima cosa il sindaco di Dorchester e la moglie il 28 novembre del 1967 quando giunsero, dopo un breve tragitto, nella fabbrica di birra. Il fatto è che non si trattava di una semplice visita di cortesia, e del resto la collana paramento del marito aveva messo ben in guardia la signora. Tuttavia rimase un po’ perplessa nel vedere una semplice botte, con il logo del “cacciatore” in evidenza, collocata al centro di una sala. Attorno alla botte, ad aspettarli, c’erano Anthony, Christopher, Cecil e Philip Pope, i proprietari del birrificio e, in un camice bianco immacolato, Denis Holliday. Il capo birraio di Eldridge Pope.La cerimonia non andò per le lunghe. La birra fu travasata nella botte e al sindaco di Dorchester toccò l’onore di chiuderla con un preciso colpo dato con una piccola, ma pesante, mazza di legno. Pochi minuti e poi si passò ai brindisi.In quei pochi minuti era però iniziato il viaggio di una birra che sarebbe passata alla storia, diventando un punto di riferimento stilistico, un’icona, un desiderio agognato per migliaia di persone sparse in tutti i continenti, bevitori appassionati, collezionisti, beer writers, publican… In quei pochi minuti era nata la prima Thomas Hardy’s Ale.La storia andò davvero così, con solo qualche dettaglio lasciato alla fantasia di chi scrive, ma ovviamente aveva mosso i primi passi qualche tempo prima. Del resto, non si fa la birra in un giorno… Eldridge Pope, nel 1967, era una realtà

Page 11: Indice - Thomas Hardy's AleE infine c’è l’ambizione. Non lo neghiamo. Ambiziosi lo siamo sempre stati. E oggi la nostra ambizione è addirittura duplice. Innanzitutto perché

11

consolidata e apprezzata nel Dorset, una delle contee più vecchie del Regno Unito, già parte del regno di Wessex al tempo dei Sassoni. Ma se la contea era famosa per la produzione di birra, lo era certamente molto di più per aver dato i natali a Thomas Hardy, scrittore e poeta nato, vissuto e scomparso a poche miglia da Dorchester. Hardy era morto nel 1928 e il suo corpo riposava ora nell’abbazia di Westminster a Londra, a pochi passi dalla tomba di un altro grande della letteratura inglese: Charles Dickens.Thomas Hardy amò per tutta la vita le campagne e le colline del Dorset, che nei suoi romanzi riprendeva il nome antico di Wessex; la sua stessa vena narrativa era indissolubilmente legata a esso. E nel 1968 si sarebbero celebrati i quarant’anni dalla sua scomparsa. Dorchester lo avrebbe ricordato e così decisero di fare anche alla Eldridge Pope. Nel modo che a loro era più congeniale: ovvero dedicandogli una birra speciale.Per Thomas Hardy la birra di Dorchester era una piacevole compagnia, senza dubbio aveva assaggiato a più riprese quella di Eldridge Pope che dominava la scena cittadina già quando lui era in vita. Alla birra Hardy aveva anche dedicato un passaggio suggestivo nel suo unico racconto storico, ambientato durante le guerre napoleoniche, The Trumpet Major:

“Era del colore più bello che l’occhio di un artista potesse desiderare per una birra: robusta e forte come un vulcano; piccante, senza essere pungente;

luminosa come un tramonto d’autunno; dal sapore uniforme, ma, alla fine, piuttosto inebriante. Il popolo l’adorava, la gente per bene l’amava più del vino”

Quelle parole erano probabilmente conosciute dalla maggioranza della popolazione di Dorchester e sicuramente non erano passate inosservate alla famiglia Pope, che Hardy conosceva molto bene (per una strana coincidenza del caso, lo stabilimento produttivo di Eldridge Pope inaugurato nel 1881 era stato realizzato dall’architetto Crickmay, il quale aveva avuto proprio un giovane Thomas Hardy tra i suoi assistenti quando ancora lo scrittore non aveva compreso quale fosse la sua vera vocazione). Si trattava quindi di dare vita a una birra che fosse come lo scrittore l’aveva descritta: luminosa come un

Page 12: Indice - Thomas Hardy's AleE infine c’è l’ambizione. Non lo neghiamo. Ambiziosi lo siamo sempre stati. E oggi la nostra ambizione è addirittura duplice. Innanzitutto perché

12

tramonto d’autunno, robusta e forte come un vulcano, piccante senza essere pungente…Per fare una birra di tale stoffa, i Pope si rivolsero al loro birraio più esperto: Denis Holliday. Nato nel 1917 a Great Yarmouth, una cittadina costiera nella contea di Norfolk, Holliday iniziò a lavorare in una farmacia, dopo aver terminato gli studi. Ben presto tuttavia scoprì, chiacchierando con un amico di famiglia che lavorava nel birrificio Greene King, che la produzione di birra risultava essere estremamente più affascinante. Ad appena ventuno anni, nel 1938, Holliday entrava così a tempo pieno nel settore come apprendista alla Adnams Brewery di Southwold, poco più a sud, lungo la costa, rispetto alla città natale.Negli anni successivi, lo scoppio della Seconda Guerra Mondiale cambiò la vita di tutti gli europei. Il giovane Holliday si offrì volontario in Marina, ma fu scartato per problemi di vista. «Sarai molto più utile facendo birra per le truppe!», fu il commento dell’ufficiale medico al momento di dargli la notizia. E così Holliday proseguì nel fare birra di giorno, ma non rinunciò comunque a dare un’altra mano alla causa del Regno Unito occupandosi della sorveglianza notturna degli incendi provocati dai bombardamenti nazisti.La guerra infine terminò e arrivo il fatidico 1954. Fatidico perché quello fu l’anno in cui Denis Holliday divenne il birraio della Eldridge Pope dando vita a un sodalizio professionale che sarebbe durato ventotto anni. Il tempo più lungo di permanenza di un birraio alla guida del birrificio di Dorchester.Alla Eldridge Pope al tempo si producevano quattro diverse tipologie di birra: una best bitter, una India pale ale, una mild e una stout. Ma era anche il tempo in cui le vecchie botti di legno lasciavano il passo ai più moderni cask in acciaio e le operazioni manuali venivano gradualmente sostituite dalla meccanizzazione. Holliday si trovò nel giro di pochi anni a supervisionare l’installazione di una nuova linea per l’imbottigliamento, una per l’infustamento e un’unità di produzione per birre di bassa fermentazione. Grazie al talento del nuovo birraio e agli investimenti fatti nelle nuove tecnologie la Eldridge Pope arrivò, nel 1972, a ricevere ben sette riconoscimenti all’International Brewing Awards, uno dei concorsi birrari più prestigiosi.

Page 13: Indice - Thomas Hardy's AleE infine c’è l’ambizione. Non lo neghiamo. Ambiziosi lo siamo sempre stati. E oggi la nostra ambizione è addirittura duplice. Innanzitutto perché

13

Era logico dunque che, in quel 1967, la creazione di una birra speciale dedicata a Thomas Hardy fosse affidata a Denis Holliday. È lui la figura chiave di questa parte iniziale della storia. In un’intervista pubblicata nel 2010 sulle pagine del giornale locale The Dorset Magazine, Holliday ricorda così quei giorni: «Produrre una birra di così elevata gradazione alcolica (13% vol, tre volte quella di una Ipa) non è per niente facile. L’alcool uccide il lievito e così se ne deve aggiungere costantemente dell’altro nel periodo di maturazione della birra, che dura sei mesi».Soffermiamoci un attimo sui “sei mesi di maturazione” indicati da Denis Holliday per la Thomas Hardy’s Ale perché altre fonti riportano periodi più brevi, tre mesi (Roger Protz, The Ale Trail, Eric Dobby Publishing, 1995), o più lunghi, nove mesi (Stephen Hannigan, www.thomashardysale.org.uk). Si tratta del primo segnale che getta un certo mistero su una birra destinata a fare la storia, come una nebbia britannica che impedisce di osservare tutti i più piccoli dettagli e contribuisce a creare quell’alone mistico che la Thomas Hardy’s Ale ha guadagnato nel corso della sua vita.In realtà conoscere con assoluta certezza il periodo esatto di maturazione è meno importante del sapere che, comunque, di lunga maturazione si tratta e, almeno per quella prima volta, di maturazione in botti di quercia. Le fonti invece concordano nel sottolineare il fatto che lo stesso birrificio auspicasse un successivo invecchiamento minimo di tre anni nella propria cantina. «La società consiglia di non berla prima di tre, quattro e meglio cinque anni di maturazione. Come se questa richiesta non fosse già abbastanza difficile da rispettare…», ricordava Michael Jackson nel suo primo decisivo lavoro del 1977, The World Guide to Beer. E anche questo è un elemento di grande rilievo: una birra capace di sottoporsi a lunghe maturazioni in cantina e di evolvere nel tempo. “Fino a venticinque anni”, come rivelò la famiglia Pope al sindaco e a sua moglie in quella fredda mattinata di novembre del 1967.Sta di fatto che anche sugli ingredienti originari non mancano i dubbi. I malti furono certamente ricavati da orzo inglese, ma c’è chi parla di Maris Otter e chi di Pipkin, e per la prima versione si usarono anche un malto lager e fiocchi di frumento. Anche la maggior parte dei luppoli arrivarono dalla Gran

Page 14: Indice - Thomas Hardy's AleE infine c’è l’ambizione. Non lo neghiamo. Ambiziosi lo siamo sempre stati. E oggi la nostra ambizione è addirittura duplice. Innanzitutto perché

14

Bretagna, l’East Kent Golding su tutti, ma con qualche aggiunta di derivazione germanica, Hallertau, e slovena, Styrian. Secondo l’autorevole opinione di Ron Pattinson inoltre, sembra che per quella prima produzione di Thomas Hardy’s Ale, e anche per altre successive, si utilizzassero parzialmente anche alcune bitter di Eldridge Pope, ricorrendo a una tecnica chiamata “parti-gyling”.Di certo comunque l’esordio della Thomas Hardy’s Ale, avvenuto nel 1968 in coincidenza del quarantennale dello scrittore di cui portava il nome, non passò inosservato. Al tempo si trattava della più forte birra prodotta su suolo britannico, l’original gravity (la densità del mosto moltiplicata per mille) era di 1110,2 e per questo motivo fu giudicata meritevole di essere iscritta nel Guinness Book of Records. Nell’annata 1981 l’original gravity era comunque salita addirittura a quota 1124,7.Quella prima produzione fu messa in vendita in bottiglie prestigiose: alcune, della capacità pari a una pinta inglese (identificate dal suffisso A) o in quella pari a una mezza pinta inglese (suffisso B), con tanto di tappo in sughero e un piccolo collare di velluto rosso che rendeva ancora di più l’idea dell’esclusività e della rarità della birra; altre, in numero sicuramente maggiore, della capacità di 180 ml (chiamate “nip” e identificate dal suffisso C) con tappo corona ma ricoperto da un foglio argentato e decorato e collare più semplice ma arricchito da un piccolo medaglione color nero e oro…La prima produzione era, negli intenti della Eldridge Pope, commemorativa. E infatti negli anni successivi non ci fu più alcuna Thomas Hardy’s Ale. Oggi definiremmo quell’iniziativa con il termine “one shot”, ma fortunatamente bastò solo qualche anno per ravvedersi.Nel 1974 la produzione di Thomas Hardy’s Ale riprese e da allora, con l’esclusione del 1976, ogni anno aveva la sua Thomas Hardy’s Ale. La leggenda era nata, la fama di questo straordinario barley wine cominciò a uscire dai confini nazionali britannici per affascinare il mondo. Alcuni appassionati si diedero agli invecchiamenti privati e a creare delle vere e proprie collezioni, le quali a loro volta dettero la possibilità di dare vita a degustazioni di diverse annate, delle cosiddette “degustazioni verticali” che permisero di far comprendere quanto a lungo e a che eccezionali livelli la Thomas Hardy’s Ale

Page 15: Indice - Thomas Hardy's AleE infine c’è l’ambizione. Non lo neghiamo. Ambiziosi lo siamo sempre stati. E oggi la nostra ambizione è addirittura duplice. Innanzitutto perché

15

poteva maturare, cambiare, spesso migliorare.Furono gli anni decisivi della costruzione della gloria di questa birra nata a Dorchester per commemorare il suo concittadino più illustre. Poi, improvvisamente nel 1999, l’incantesimo svanì…

La prima pagina di The Huntsman e l’articolo dedicato alla prima produzione di Thomas Hardy’s Ale.

Page 16: Indice - Thomas Hardy's AleE infine c’è l’ambizione. Non lo neghiamo. Ambiziosi lo siamo sempre stati. E oggi la nostra ambizione è addirittura duplice. Innanzitutto perché

16

Thomas Hardy,il cantore della brughiera

Quando leggiamo Tess dei d’Urberville, ci sembra che i tesori di immaginazione visionaria, che da secoli si erano annidati in ogni angolo della campagna inglese, si ridestino clamorosamente. La solenne fantasia architettonica, che aveva creato i pilastri e gli altari di Stonehenge, la fantasia superstiziosa, che serpeggiava nelle foreste druidiche, l’ebbrezza alcolica, che scintillava sulle scene elisabettiane e nelle birrerie del Wessex, le avventure del romanzo settecentesco, da Defoe a Richardson, le più fosche invenzioni romantiche, tutto quanto era esistito di meravigliosamente e assurdamente anglosassone si dà convegno in queste brughiere, in questi campi funestati dall’inverno o intiepiditi dalla dolcezza dell’autunno.

Così si esprime Pietro Citati, uno dei più grandi critici letterari italiani contemporanei a proposito del più celebre romanzo di Thomas Hardy. Hardy nasce il 2 giugno del 1840 a Higher Bockhampton, vicino a Dorchester, nel Dorset. È qui che trascorrerà la sua vita intera, salvo due parentesi londinesi e qualche sporadico viaggio in Cornovaglia, in Germania e in Irlanda. Ed è qui, in una campagna inglese ancora incontaminata dalla modernità arrembante ma già destinata a soccombere a essa, che ambienterà i suoi romanzi e le sue poesie. Tess dei d’Urberville, ovviamente, ma anche Il sindaco di Casterbridge (la sua Dorchester nella realtà), Via dalla pazza folla, Racconti del Wessex e, per ultimo, Jude l’oscuro. L’opera così ferocemente stroncata dalla critica che metterà la parola fine alla sua prosa. È una persona forse fragile Hardy, ma è uno scrittore potente. Capace con l’uso delle parole e con il ritmo della sua narrativa di dipingere autentici quadri, far ammirare paesaggi aperti con

BOX 1

Page 17: Indice - Thomas Hardy's AleE infine c’è l’ambizione. Non lo neghiamo. Ambiziosi lo siamo sempre stati. E oggi la nostra ambizione è addirittura duplice. Innanzitutto perché

17

pennellate maestose come un William Turner e poi illuminare i singoli volti dei suoi protagonisti nel più minimo dettaglio, come un Caravaggio. Ci riesce perché il suo è un talento cristallino, ma ci riesce anche perché Hardy guarda con occhi da innamorato ciò che poi riporta nei suoi libri. Le scene di vita rurale, i viali alberati, le vecchie querce che troneggiano sulle colline, il calore e le luci di una birreria, i gesti e gli sguardi delle persone.Thomas Hardy scompare l’11 gennaio del 1928 a Max Gate, vicino a Dorchester, nella casa che aveva costruito per sé e per la moglie nel 1885. È sepolto tuttavia a Londra, nell’abbazia di Westminster, accanto a un altro grande della letteratura inglese: Charles Dickens.

Una mappa del Wessex, l’antico nome ripreso da Thomas Hardy che identifica l’attuale Dorset.

BOX 1

Page 18: Indice - Thomas Hardy's AleE infine c’è l’ambizione. Non lo neghiamo. Ambiziosi lo siamo sempre stati. E oggi la nostra ambizione è addirittura duplice. Innanzitutto perché

18

Barley wine: il “vino d’orzo”

«Barbaro vino d’orzo», così lo storico Tacito definiva la bevanda alcolica maggiormente diffusa tra le popolazioni non sottomesse a Roma. A dire il vero, era diffusa anche tra molte di quelle sottomesse, e pure tra gli stessi abitanti della capitale dell’Impero perché, va detto, non erano pochi i Romani che amavano concedersi un boccale di birra di tanto in tanto. Sta di fatto che a Tacito dobbiamo la prima menzione di quello che oggi è meglio conosciuto, nella sua traduzione inglese, come per l’appunto come “barley wine”. Il barley wine tuttavia, così come almeno lo conosciamo oggi, è un figlio dei birrai inglesi. La prima citazione ufficiale compare nelle cronache degli inizi del Ventesimo Secolo, nel 1903, ma di certo la sua presenza e il suo consumo erano già cosa quotidiana da secoli. Stile di birra non ben definito, spesso accomunato alle old ale (Michael Jackson, ad esempio, preferisce inserisce Thomas Hardy’s Ale tra le old ale), il barley wine inglese si caratterizza per il processo produttivo di alta fermentazione e per l’elevato grado alcolico. Di solito superiore ai 10% vol, sebbene alcuni birrifici anglosassoni abbiano a lungo avuto l’abitudine di chiamare barley wine la loro birra più forte. A prescindere dal grado alcolico. I primi barley wine erano lasciati a maturare in botti di legno a lungo, anche per due o tre anni, e ancora più a lungo potevano restare a riposare nelle cantine, una volta imbottigliati, evolvendo negli aromi e nel gusto. Il risultato era una birra affascinante nel colore, un’ambra scura, con poca o nessuna schiuma, profumi straordinariamente complessi, ricchi di note maltate e fruttate, ma anche sentori di cuoio e vinosi. In bocca il sapore rivelava altrettanta complessità e profondità, un corpo imponente, una persistenza lunghissima. Il barley wine è stato a lungo considerato la risposta britannica ai vini francesi di Bordeaux o della Borgogna ma è inutile dire che si tratta di due prodotti completamente diversi. Di certo però, il barley wine britannico è quanto di più diverso si possa immaginare dallo stereotipo comune della birra. È un liquido da sorseggiare con attenzione, per carpirne le più nascoste sfumature, è birra celebrativa di una giornata particolarmente intensa, perfetta per fare conversazione con gli amici o in rilassante solitudine. Il primo barley

BOX 2

Page 19: Indice - Thomas Hardy's AleE infine c’è l’ambizione. Non lo neghiamo. Ambiziosi lo siamo sempre stati. E oggi la nostra ambizione è addirittura duplice. Innanzitutto perché

19

wine è come l’inizio di un viaggio d’esplorazione. Non se ne conoscono le tappe e nemmeno la destinazione finale. È una birra che prestandosi agli invecchiamenti permette di effettuare, se se ne ha la prestigiosa occasione, mirabili verticali di diverse annate, cogliendo di ogni singola annata le più diverse sfumature. Il barley wine è il “re saggio” di tutte le birre perché è una delle più alte espressioni della sapienza e della maestria del birraio. Una delle prime arti scoperte dall’uomo.

Una storica pubblicità di Thomas Hardy’s Ale, del 1996,realizzata dall’allora importatore americano Phoenix Imports Ltd.

BOX 2

Page 20: Indice - Thomas Hardy's AleE infine c’è l’ambizione. Non lo neghiamo. Ambiziosi lo siamo sempre stati. E oggi la nostra ambizione è addirittura duplice. Innanzitutto perché

20

Page 21: Indice - Thomas Hardy's AleE infine c’è l’ambizione. Non lo neghiamo. Ambiziosi lo siamo sempre stati. E oggi la nostra ambizione è addirittura duplice. Innanzitutto perché

21

Capitolo Secondo: Andata e Ritorno

Scrivere di Thomas Hardy’s Ale è un po’ come addentrarsi in una giungla fitta e solo parzialmente esplorata. Facilissimo perdere l’orientamento, quasi scontato procedere come si farebbe nell’intrico appunto di una foresta pluviale, tentando di aprirsi un varco con il machete tra liane e piante che sembrano precluderti il percorso. Il che tuttavia comporta un duplice risultato: il primo è che sembra di vivere dentro un entusiasmante romanzo d’avventura. Ogni volta che riesci a fare un passo avanti scopri elementi nuovi e aneddoti interessanti. Il secondo però è il timore costante di finire fuori strada, entrare in un vicolo cieco, trovarsi frequentemente di fronte a fonti che, per quanto tutte autorevoli, non mancano a volte di contraddirsi a vicenda.Tutto ciò, a pensarci bene, contribuisce ad aumentare il fascino misterioso e l’alone leggendario di questa birra; inizialmente pensata però, e a volte è il caso di ribadirlo, con la semplice idea di commemorare il quarantennale della scomparsa di Thomas Hardy dedicandogli una birra particolare. Una volta sola, e poi basta. Un aneddoto riportato da Michael Jackson contribuisce a dare la dimensione di come siano andate le cose in quell’ormai lontano novembre del 1967. Jackson scrive infatti nel suo The World Guide to Beer che «negli Anni Sessanta la Eldridge Pope scoprì per caso duemila bottiglie vuote di epoca vittoriana e si chiese con che cosa avrebbe potuto riempirle. Fortunatamente a Dorchester si stava organizzando un festival in onore di Thomas Hardy e sembrò giusto produrre una birra speciale in omaggio allo scrittore». Insomma, messa giù così sembrerebbe che questa birra sia nata per una duplice

Page 22: Indice - Thomas Hardy's AleE infine c’è l’ambizione. Non lo neghiamo. Ambiziosi lo siamo sempre stati. E oggi la nostra ambizione è addirittura duplice. Innanzitutto perché

22

coincidenza: delle bottiglie vuote, per quanto prestigiose potessero essere, e il festival in onore del cittadino più celebre di Dorchester. Fosse davvero andata in questo modo, e non abbiamo motivo di dubitarne, la cosa francamente renderebbe Thomas Hardy’s Ale e Eldridge Pope più simpatici e più umani.Fu solo quindi grazie ai consensi ottenuti dalla prima produzione che in Eldridge Pope decisero di riprovarci. Ma ci misero evidentemente qualche anno a decidersi, visto che la seconda Thomas Hardy’s Ale recava in etichetta l’anno 1974. È più giusto dire quindi che solo da quell’anno la costruzione della gloria di Thomas Hardy’s Ale abbia cominciato a prendere forma. Mattone dopo mattone o meglio, annata dopo annata (con l’eccezione del 1976, anno nel quale non fu prodotta). Nel novembre del 1967 furono “solo” messe le fondamenta. Ma, come dicevamo, la storia di Thomas Hardy’s Ale sembra essere un romanzo d’avventura ricco di colpi di scena, particolari svelati ad anni di distanza, cortine fumogene disseminate lungo il racconto… Perché, ad esempio, dopo aver ripreso la produzione con l’annata 1974 e quella 1975 si decise di saltare il 1976?Dall’anno successivo comunque le produzioni di Thomas Hardy’s Ale si fecero regolari. La birra era di norma prodotta una sola volta l’anno e in quantità limitate, ma il successo lentamente cresceva e le schiere di appassionati s’infittivano sempre di più. C’erano comunque degli elementi di fragilità già presenti allora. Da un lato il messaggio del birrificio, ovvero quello di bere la Thomas Hardy’s Ale dopo tre o quattro anni dall’imbottigliamento, nutriva schiere sempre più consistenti di collezionisti; ma dall’altro la maggior parte della birra, che circolava nei pub di proprietà della

Page 23: Indice - Thomas Hardy's AleE infine c’è l’ambizione. Non lo neghiamo. Ambiziosi lo siamo sempre stati. E oggi la nostra ambizione è addirittura duplice. Innanzitutto perché

23

Eldridge Pope, era consumata ben prima del tempo necessario alla sua maturazione. Così si concretizzava un duplice effetto: in un certo numero le Thomas Hardy’s Ale finivano, e qualche volta venivano dimenticate, nelle cantine private, in un numero certamente maggiore la birra non era consumata all’apice della sua perfezione. In aggiunta a questo va sottolineato che produrre Thomas Hardy’s Ale era decisamente più costoso per Eldridge Pope rispetto a qualsiasi altra birra della casa. I tempi lunghi necessari al raggiungimento del momento in cui si poteva immettere Thomas Hardy’s Ale sul mercato costituivano un investimento oneroso sebbene l’apertura di nuovi mercati, in modo particolare quello statunitense, sembravano garantire ottime chance alla produzione annuale di Thomas Hardy’s Ale.Tuttavia la crisi che infine colpì Eldridge Pope non va ricercata nei costi importanti di produzione della Thomas Hardy’s Ale, nel fatto che fosse collezionata da un lato o consumata troppo “giovane” dall’altro. Verso la metà degli Anni Novanta la proprietà dello storico birrificio di Dorchester prese alcune decisioni strategiche che presto si sarebbero rivelate fatali. La prima di queste fu di separare la proprietà del birrificio da quella della catena di pub a esso collegati. Il venir meno di questo legame significò per Thomas Hardy’s Ale, ma anche per le altre birre prodotte da Eldridge Pope, il venir meno del loro mercato fondamentale. Secondo alcuni autori, Eldridge Pope smise per sempre di essere un birrificio nel 1996, ma nel volume Intervention in the Modern UK Brewing Industry la chiusura ufficiale dello stabilimento è spostata al 2003.Il dato di fatto però per noi più importante è che l’ultima annata di Thomas Hardy’s Ale porti in etichetta il 1999. Una spiegazione del

Page 24: Indice - Thomas Hardy's AleE infine c’è l’ambizione. Non lo neghiamo. Ambiziosi lo siamo sempre stati. E oggi la nostra ambizione è addirittura duplice. Innanzitutto perché

24

perché Thomas Hardy’s Ale abbia potuto eventualmente continuare a essere prodotta dopo il 1996 la si può trovare sul popolare sito Ratebeer che afferma una temporanea e finale produzione di Thomas Hardy’s Ale da parte del birrificio Thomas Hardy di Burtonwood, nel Cheshire.Quando comunque Thomas Hardy’s Ale scomparve definitivamente lasciò un vuoto enorme tra le migliaia di estimatori che, anno dopo anno, si era guadagnata. Per assurdo tuttavia, ma fino a un certo punto a pensarci bene, la fine contribuì ulteriormente ad accrescere la sua fama, a creare definitivamente quell’alone di leggenda che l’avrebbe accompagnata durante tutta la sua rocambolesca vita.Tra gli estimatori più addolorati della scomparsa di Thomas Hardy’s Ale c’era un americano di nome George Saxon. Saxon era, dal 1986, l’importatore esclusivo di Thomas Hardy’s Ale negli Stati Uniti. La sua società, la Phoenix Imports Ltd. di Ellicott City, nel Maryland, aveva contribuito in maniera decisiva al successo della birra di Eldridge Pope tanto che quello degli Stati Uniti costituiva un mercato fondamentale per Thomas Hardy’s Ale che raggiungeva la sponda al di là dell’Atlantico in bottiglia da 33 cl, diversamente dal mercato inglese ed europeo dove invece “viaggiava” in quello da 25 cl. È lo stesso Saxon a ricordare oggi come andarono le cose. «Dopo aver creato la nostra società d’importazione nel 1985 - scrive dalla Florida dove si è trasferito qualche anno fa - scoprimmo l’esistenza di Thomas Hardy’s Ale nel libro di Michael Jackson Pocket Guide to Beer e decidemmo subito che questa leggendaria ale avremmo dovuto renderla disponibile agli appassionati americani prima possibile. Di conseguenza, contattammo Martin Cree, al tempo direttore commerciale di Eldridge Pope, e organizzammo con

Page 25: Indice - Thomas Hardy's AleE infine c’è l’ambizione. Non lo neghiamo. Ambiziosi lo siamo sempre stati. E oggi la nostra ambizione è addirittura duplice. Innanzitutto perché

25

Page 26: Indice - Thomas Hardy's AleE infine c’è l’ambizione. Non lo neghiamo. Ambiziosi lo siamo sempre stati. E oggi la nostra ambizione è addirittura duplice. Innanzitutto perché

26

lui un incontro alla convention della National Beer Wholesalers Association che si teneva quell’anno a San Francisco. L’idea era che la nostra società, la Phoenix Imports Ltd., potesse diventare il distributore esclusivo di Thomas Hardy’s Ale negli Stati Uniti. Quell’incontro fu anche la prima volta in cui potemmo assaggiare la birra. Rimanemmo stupefatti dall’aroma e dal gusto ricco e profondo, e soprattutto dal fatto che Thomas Hardy’s Ale potesse invecchiare bene in cantina come un vino, fino a venticinque anni. Era una birra unica, completamente diversa da tutte quelle che avevamo assaggiato fino ad allora».Per George Saxon quello verso Thomas Hardy’s Ale fu il classico colpo di fulmine. «Negoziammo i diritti esclusivi di distribuzione in America e ricevemmo la nostra prima spedizione nell’autunno di quello stesso anno. Era l’annata 1986. – sottolinea - Decidemmo quindi di organizzare, per l’occasione, una degustazione speciale per la stampa con il nostro distributore di New York al North Star Pub di South Street Seaport. A guidare il tasting avevamo chiamato Michael Jackson e lo stesso Martin Cree. Gli invitati poterono provare l’annata 1986, la prima produzione storica del 1968 e una speciale Coronation Brew del 1937, prodotta per celebrare l’incoronazione di re Giorgio VI, il futuro padre dell’attuale regina Elisabetta II. Fu una degustazione di buon auspicio per quella che sarebbe diventata la nostra missione per i successivi venticinque anni: procurare agli appassionati americani di birra un prodotto eccezionale».Le parole di George Saxon fanno facilmente intuire quale poté essere la sua reazione all’indomani della notizia che Eldridge Pope avrebbe fermato la produzione e che di Thomas Hardy’s Ale, negli

Page 27: Indice - Thomas Hardy's AleE infine c’è l’ambizione. Non lo neghiamo. Ambiziosi lo siamo sempre stati. E oggi la nostra ambizione è addirittura duplice. Innanzitutto perché

27

Stati Uniti come da qualsiasi altra parte del pianeta, non ne sarebbe più arrivata.Fortunatamente l’importatore americano non era il tipo che si arrendeva alla prima difficoltà. Così, dopo aver smaltito il colpo, non ci mise molto a decidere che Thomas Hardy’s Ale sarebbe dovuta risorgere il prima possibile. Come un’araba fenice dalle sue ceneri. Il fatto poi che la sua stessa società si chiamasse proprio Phoenix sembrava beneaugurante. Di certo era un segno del destino…George Saxon ebbe fin dall’inizio le idee molto chiare. La prima cosa da fare era ovviamente acquisire la proprietà del marchio, della ricetta e di tutto quello che fosse strettamente collegato a Thomas Hardy’s Ale. Assolutamente indiscutibile era, inoltre, il fatto che la birra dovesse avere un produttore britannico. Compiuto il primo passaggio Saxon si mise alla ricerca del birrificio in grado di garantirgli la stessa qualità della Thomas Hardy’s Ale nella sua originaria versione firmata Eldridge Pope.Non fu facile, ma alla fine la scelta cadde su un piccolo e giovane birrificio in Cornovaglia. Il cui nome era O’Hanlon. John O’Hanlon, il fondatore e il titolare, aveva aperto nel 1995 un brewpub a Londra, nei paraggi di Vauxhall Station, con largo anticipo rispetto all’ondata di microbirrifici che oggi popolano la capitale britannica. Cinque anni dopo, nel 2000, decise di spostare la produzione a Great Barton Farm, nel Devon. Nel team di O’Hanlon, come birrai, entrarono a far parte Alex Bell e Richard Mayne.Fu grazie all’incontro tra George Saxon e John O’Hanlon che Thomas Hardy’s Ale poté tornare in vita. Per usare le parole dello stesso O’Hanlon, accettare di produrre la “nuova” Thomas Hardy’s Ale “fu una vera sfida che cambiò letteralmente la pelle del

Page 28: Indice - Thomas Hardy's AleE infine c’è l’ambizione. Non lo neghiamo. Ambiziosi lo siamo sempre stati. E oggi la nostra ambizione è addirittura duplice. Innanzitutto perché

28

birrificio”. Così, dopo tre anni di assenza, un bel giorno del 2003 la prima Thomas Hardy’s Ale firmata O’Hanlon tornò sulla scena mondiale.E tornò in gran spolvero, mantenendo intatto il formato da 33 cl che aveva ottenuto così larga diffusione nel mercato americano e conservando minuziosamente la grafica elegante e suggestiva dell’etichetta. Il profilo orientato verso destra di Thomas Hardy nel tondo, la celebre frase ricavata dal suo The Trumpet Major, l’annata e perfino il prefisso della lettera e il numero identificativo di una tiratura volutamente limitata. Il tappo e il collo della bottiglia erano ricoperti da una lamina dorata e un piccolo medaglione anch’esso dorato e con il nero profilo dello scrittore del Dorset ornavano ogni singola bottiglia. George Saxon aveva restituito alla comunità mondiale degli estimatori la stessa Thomas Hardy’s Ale che sembrava essere persa per sempre dopo il 1999.Intanto, se per Thomas Hardy’s Ale si apriva una seconda vita per quella di Eldridge Pope il destino appariva ormai segnato. I romanzi d’avventura del resto offrono sempre qualche risvolto triste e la storia di questo storico e nobile birrificio di Dorchester è uno di questi risvolti. Nel 2004 Eldridge Pope, ormai una compagnia che si occupava esclusivamente di pub e ospitalità, fu acquisita da un businessman di nome Michael Cannon il quale a sua volta la rivendette, nel 2007, al gruppo birrario Marston’s. Il sito produttivo costruito in stile vittoriano ed eduardiano da Edwin e Alfred Pope nel 1881, il luogo dove, la mattina del 28 novembre 1967, la prima botte di Thomas Hardy’s Ale era stata colmata alla presenza del sindaco di Dorchester, restò a lungo abbandonato. Fino a quando attirò l’attenzione di alcuni immobiliaristi che

Page 29: Indice - Thomas Hardy's AleE infine c’è l’ambizione. Non lo neghiamo. Ambiziosi lo siamo sempre stati. E oggi la nostra ambizione è addirittura duplice. Innanzitutto perché

29

iniziarono lentamente a trasformarlo in un grande complesso abitativo e commerciale denominato, in omaggio alla sua lunga storia, Brewery Square. Le nuove strutture sono state completate nel 2013: osservandole dall’alto sono tuttavia ancora intuibili le vestigia del glorioso passato. Quel passato che, ora, era nelle mani di George Saxon e di John O’Hanlon…

Ecco come si presentava lo storico birrificio Eldridge Pope a Dorchester fino a qualche anno fa.

Page 30: Indice - Thomas Hardy's AleE infine c’è l’ambizione. Non lo neghiamo. Ambiziosi lo siamo sempre stati. E oggi la nostra ambizione è addirittura duplice. Innanzitutto perché

30

Lettere e numeri…

Chi ha avuto, ha o avrà la fortuna di avere delle vecchie bottiglie di Thomas Hardy’s Ale in casa si sarà accorto che, in molti casi, ma non in tutti, l’etichetta riporta una lettera scritta in stampatello (detta “suffisso”) e un numero. La cosa risale alla primissima edizione di Thomas Hardy’s Ale, ovvero quella messa in botte nel novembre del 1967 e rilasciata sul mercato nel 1968. In quella occasione si decise, come abbiamo detto, di imbottigliare la birra in tre formati diversi (pinta, mezza pinta e “nip”). Ogni bottiglia fu numerata e il formato venne distinto grazie a una lettera: A per le pinte, B per le mezze pinte e C per i nip.A partire invece dal 1974 ogni singola annata, oltre al numero progressivo per ciascuna singola bottiglia, era identificata con una sola lettera: il 1974 portava la D, il 1975 la E e il 1977 la F. Nel 1979 si produssero due diverse cotte di Thomas Hardy’s Ale e si ebbero pertanto due suffissi: H e J. Nel corso degli Anni Ottanta la situazione si complicò maggiormente perché le Thomas Hardy’s Ale destinate al mercato americano portavano un suffisso diverso da quelle per il mercato inglese. Non solo, ma nel 1983 uscì un’edizione speciale di Thomas Hardy’s Ale numerata ma senza suffisso. Infine, se nel 1993 il suffisso era la lettera T (anche le lettere andavano in progressione), dal 1994 al 1999 il prefisso scomparve del tutto. Nel frattempo ci furono altre edizioni speciali, nel 1984 ricomparve il profilo di Thomas Hardy in etichetta come nella prima, mitica edizione del 1968 (con la differenza che questa volta lo scrittore guardava a destra anziché a sinistra), mentre nel 1991 scomparve il medaglione appeso al collo della bottiglia.Dettagli forse, direte voi. E, onestamente, potremmo pure essere d’accordo. Ma sono dettagli che hanno contribuito a entusiasmare i collezionisti di tutto il mondo e irradiare la leggenda di Thomas Hardy’s Ale dovunque.delle più alte espressioni della sapienza e della maestria del birraio. Una delle prime arti scoperte dall’uomo.

BOX 3

Page 31: Indice - Thomas Hardy's AleE infine c’è l’ambizione. Non lo neghiamo. Ambiziosi lo siamo sempre stati. E oggi la nostra ambizione è addirittura duplice. Innanzitutto perché

31BOX 3

La leggendaria prima bottiglia di ThomasHardy’s Ale. Si riconoscono il suffisso, il numero,

il mese e l’anno d’imbottigliamento.

Page 32: Indice - Thomas Hardy's AleE infine c’è l’ambizione. Non lo neghiamo. Ambiziosi lo siamo sempre stati. E oggi la nostra ambizione è addirittura duplice. Innanzitutto perché

32

Page 33: Indice - Thomas Hardy's AleE infine c’è l’ambizione. Non lo neghiamo. Ambiziosi lo siamo sempre stati. E oggi la nostra ambizione è addirittura duplice. Innanzitutto perché

33

Capitolo Terzo: Ogni fine è un nuovo inizio

Il mese di luglio a Creta offre una bella continuità di giornate di sole cocente e cielo terso. Quello che può cambiare è l’aria. Nel senso che talvolta è talmente immobile che le tue percezioni sembrano dilatarsi e come rallentare. A volte tuttavia capita che un vento insidioso flagelli le spiagge, alzando la sabbia in raffiche taglienti. Quel giorno di luglio 2012 però era tutto tranquillo: il mare cristallino come nei depliant dell’agenzia, la sabbia screziata di rosa, pochi turisti intorno. Solo un’inquietante assenza di punti ombreggiati m’innervosiva un po’. Onestamente non so dire se quello fu il motivo che mi convinse ad accendere il cellulare, uno dei miei personali tabù quando sono in vacanza, ma lo feci. Tempo nemmeno un minuto ed eccolo squillare aggressivo. Quando si dice la nemesi…La persona che mi chiamava mentre me ne stavo con i piedi nell’acqua era Sandro Vecchiato. Un amico di lunga data, conosciuto praticamente appena un paio di mesi dopo la mia decisione di passare dal giornalismo tradizionale alla scrittura birraria tout court. Conosciuto in fretta, penserete. Sono d’accordo. Ma Vecchiato, oltre a essere alla guida, insieme al fratello Michele, di Interbrau, storica società leader nel campo della distribuzione e importazione di birra in Italia, ha la rara peculiarità di essere persona dotata di fortissima energia centripeta. Risulta quindi abbastanza difficile non essere in qualche modo coinvolti dal suo entusiasmo e dalla sua carica vitale che, applicati al mondo della birra, si concretizzano in un’inesauribile passione a viaggiare per i cinque continenti, presenziare a fiere di settore in quasi ogni angolo del globo, andando costantemente a caccia di birrifici e birre di valore con un talento incredibile. Una persona che sembra non conoscere il significato della parola “appagamento” e che, proprio per questo motivo, sembra essere sempre un passo avanti a tutti. Ergo, una volta messo timidamente piede nel mondo della birra, ci voleva davvero poco a incontrare e conoscere i fratelli Vecchiato.Quel giorno la voce arrivava nitida, nemmeno si trovasse a Creta pure lui. Cosa anche possibilissima, conoscendolo. A scanso di equivoci mi guardai rapidamente intorno. Non era a Creta e nemmeno in Italia. Pertanto gli

Page 34: Indice - Thomas Hardy's AleE infine c’è l’ambizione. Non lo neghiamo. Ambiziosi lo siamo sempre stati. E oggi la nostra ambizione è addirittura duplice. Innanzitutto perché

34

chiesi, più per cortesia lo ammetto che per altro, dove fosse. «A Miami. - fu la fulminante risposta - Sai, abbiamo appena acquistato Thomas Hardy’s Ale. Il brand, la ricetta, i diritti, tutto quanto insomma… Abbiamo concluso la trattativa con George Saxon qualche ora fa».Così andarono le cose. Così appresi, in una calda giornata di luglio e di fronte a un meraviglioso angolo di mare Mediterraneo, che non solo Thomas Hardy’s Ale sarebbe ricomparsa ancora una volta sulla scena, ma che questa volta il merito sarebbe andato a due imprenditori italiani. Che non ci avevano pensato due volte a volare a Miami per portarsela a casa.Lo ammetto, lì per lì mi chiesi come diavolo avessero fatto…Ma, perdonatemi, ho anticipato un po’ i tempi e l’aneddoto è in realtà un flashforward perché vi avevo lasciato al termine del secondo capitolo con Thomas Hardy’s Ale nelle mani di George Saxon e di John O’Hanlon. Dopo tre anni di assenza e innumerevoli estimatori abbandonati alla nostalgia, la grande birra creata da Eldridge Pope era tornata. Al piccolo birrificio del Devon furono tributate molte lodi per aver accettato la sfida di confrontarsi con una birra ormai diventata un’icona, con tutto il comprensibile carico di responsabilità che questa sfida comportava.La prima Thomas Hardy’s Ale firmata O’Hanlon uscì nel 2003 nel solco della tradizione e della storia portata avanti per oltre due decenni da Eldridge Pope. Nel 2006 arrivò anche un importante riconoscimento internazionale: il titolo di Overall Supreme Champion all’International Beer Challenge, concorso che si tiene annualmente a Londra. Thomas Hardy’s Ale, come sottolineava il comunicato stampa di Phoenix Imports Ltd., aveva non solo trionfato nella sua categoria, quella delle “birre forti”, ma aveva poi sbaragliato la ristretta cerchia delle altre settanta vincitrici di categoria. Un risultato di cui George Saxon e John O’Hanlon potevano certamente andare fieri. Di quel comunicato del 2006 è anche interessante mettere in evidenza due dettagli non di poco conto: da un lato Thomas Hardy’s Ale aveva un grado alcolico dichiarato di 11,7% vol. e viaggiava esclusivamente in bottiglie numerate da 25cl.; dall’altro la birra era esportata non solo negli Stati Uniti e in Europa, ma anche in Giappone e, interessante precisazione, in Cile! Dettagli che fanno capire a loro volta

Page 35: Indice - Thomas Hardy's AleE infine c’è l’ambizione. Non lo neghiamo. Ambiziosi lo siamo sempre stati. E oggi la nostra ambizione è addirittura duplice. Innanzitutto perché

35

due cose: ovvero di come la produzione di Thomas Hardy’s Ale si fosse “stabilizzata” su alcuni punti fermi, grado alcolico e formato, e di come la birra fosse ormai presente su diversi mercati internazionali (incluso, per l’appunto, un insospettabile Cile).Quello che successe nel 2009 fu dunque un colpo inatteso. Quell’anno infatti il birrificio O’Hanlon annunciò che avrebbe sospeso la produzione di Thomas Hardy’s Ale e che il 2008 sarebbe quindi stato l’ultimo millesimo firmato dall’azienda del Devon. Da un articolo apparso sul Toronto Star, quotidiano canadese, uscito nel giugno del 2009 ricaviamo una prima dichiarazione di Liz O’Hanlon, sales manager dell’azienda: «Non è stata davvero una decisione facile da prendere. Ma, alla resa dei conti, semplicemente non ne valeva più la pena». Il sottinteso è che non ne valesse più la pena da un punto di vista economico, perché dopo aver sottolineato il “dolore” della decisione, O’Hanlon’s chiarisce il punto: produrre Thomas Hardy’s Ale è troppo costoso e ci vuole troppo tempo. «Per le altre nostre birre è questione di settimane - spiegava nell’articolo la manager - Per Thomas Hardy’s Ale iniziamo la produzione a gennaio e possiamo imbottigliare solo a settembre. Una gradazione alcolica che sfiora i 12% vol. comporta anche una

Page 36: Indice - Thomas Hardy's AleE infine c’è l’ambizione. Non lo neghiamo. Ambiziosi lo siamo sempre stati. E oggi la nostra ambizione è addirittura duplice. Innanzitutto perché

36

maggiore quantità di materie prime e in più c’è il packaging. Ogni bottiglia ha un collarino con medaglione che va messo manualmente…». Insomma, troppo tempo, troppi costi, troppa fatica. Un trittico insostenibile per O’Hanlon, tra l’altro in un momento in cui le altre birre dell’azienda crescono a ritmo sostenuto e per il management del birrificio s’impone la necessità di aumentare la produzione di questi prodotti per restare al passo con la domanda di mercato. E, purtroppo, il modo più facile ed economico per farlo è proprio quello di “tagliare” Thomas Hardy’s Ale.Il dado è tratto dunque. La “fenice” ha le ali tagliate e non vola più. Il quotidiano canadese prova anche a sondare il terreno con altri due birrifici inglesi come Marston’s e Fuller’s. Interrogati su un eventuale interesse a prendere in mano la produzione di Thomas Hardy’s Ale entrambi i birrifici si tirano indietro. George Saxon, da parte sua, non rilascia al Toronto Star nessuna dichiarazione.Insomma, sembra proprio che la gloriosa Thomas Hardy’s Ale sia arrivata al capolinea, pronta a uscire definitivamente dalla famiglia delle birre “world classic” ma comunque reperibili sul mercato per entrare nel cassetto dei ricordi e, per i più previdenti o fortunati, nel mondo delle birre gelosamente custodite in cantina, pronte al massimo per essere immolate in occasioni speciali o destinate a essere trasferite alle generazioni future.Un finale glorioso, niente da dire, a metà tra la tragedia greca classica e la scena conclusiva del Sentieri Selvaggi (The Searchers) di John Ford. Ma, ne siamo convinti, gli appassionati di tutto il mondo avrebbero preferito una conclusione diversa. Avrebbero preferito, semplicemente, continuare a trovare la loro Thomas Hardy’s Ale. Un anno dopo l’altro.E questo, infine, ci riporta a quel giorno di luglio del 2012. Al sole di Creta, al mare greco… e alla telefonata di Sandro Vecchiato da Miami.Lo ammetto, mi ci volle qualche minuto per riprendermi dalla notizia. Nella lunga storia birraria italiana era capitato spesso che aziende straniere comprassero aziende italiane. Per farla breve, oggi come oggi, quasi tutti i principali brand tricolori sono saldamente in mano a delle multinazionali. Ma non si era mai vista un’operazione “al contrario”: ovvero che un’azienda italiana acquisisse un brand straniero. E un brand del prestigio, della storia

Page 37: Indice - Thomas Hardy's AleE infine c’è l’ambizione. Non lo neghiamo. Ambiziosi lo siamo sempre stati. E oggi la nostra ambizione è addirittura duplice. Innanzitutto perché

37

e dell’alone leggendario come Thomas Hardy’s Ale. Non avevo dubbi che Thomas Hardy’s Ale emanasse un’aurea tale da renderlo appetibile a chiunque ma, conoscendone la storia, intuivo almeno in parte le problematiche che portava con sé e che avevano alla fine costretto O’Hanlon a gettare la spugna. Quindi tra me e me pensavo quale arcano motivo poteva aver spinto Sandro e Michele Vecchiato, con trent’anni di carriera alle spalle, innumerevoli successi imprenditoriali, un’azienda solida e un carnet di birre d’eccellenza, a volersi misurare con il più famoso barley wine del mondo la cui rocambolesca avventura aveva affascinato legioni di appassionati e intimorito diversi birrifici.Con la rinuncia di O’Hanlon, Thomas Hardy’s Ale sembra essere destinata a riposare per sempre nel cassetto dei ricordi. George Saxon, titolare del brand e di tutti i diritti, si era nel frattempo ritirato dagli affari per andare a godersi il sole e il tempo libero a Tampa Bay, in Florida.Il destino invece aveva in serbo ancora una sorpresa.Ora, ci piacerebbe molto raccontare di quanto a lungo i fratelli Vecchiato fossero andati a caccia della Thomas Hardy’s Ale, trasformata per l’occasione in una sorta di Santo Graal birrario. Ci piacerebbe sul serio. Tuttavia per quanto l’avventura della Thomas Hardy’s Ale abbia molte sfumature del romanzo storico, ci è stato chiesto e ci siamo imposti di dire la verità. E la verità è che, naturalmente, tutto il percorso fatto da Thomas Hardy’s Ale dal 1968 al 2009 era ben noto ai Vecchiato, ma il loro ruolo era più quello degli spettatori consapevoli che dei “predatori” interessati. Tuttavia, nello stesso anno in cui le strade di O’Hanlon e di Thomas Hardy’s Ale si separavano per sempre, Sandro Vecchiato si trovava a Copenhagen per seguire il Copenhagen Beer Festival, evento birrario clou in Danimarca e palcoscenico privilegiato per molti birrifici scandinavi. E non solo.A Copenhagen per la prima volta le strade di Vecchiato e di Thomas Hardy’s Ale s’incrociarono. «Una sera in pub mi fu possibile assaggiare l’ultima annata di Thomas Hardy’s Ale. - ricorda ora l’imprenditore italiano - La conoscevo di fama, sapevo della sua storia e della sua leggenda ma, per un motivo o per l’altro, soprattutto per la sua difficile reperibilità sul mercato, non era mai entrata a far parte della famiglia di birre che la mia azienda importa e

Page 38: Indice - Thomas Hardy's AleE infine c’è l’ambizione. Non lo neghiamo. Ambiziosi lo siamo sempre stati. E oggi la nostra ambizione è addirittura duplice. Innanzitutto perché

38

distribuisce in Italia. L’avevo anche già incontrata ma mi era sempre capitata una bottiglia con sette o dieci anni di vita sulle spalle e al tempo pensavo che mi sarebbe stato impossibile valutarla come avrebbe meritato. – sorride - Solo dopo ho capito di essermi perso qualcosa di prezioso».Comunque quella sera a Copenhagen l’incontro tra la birra inglese e l’imprenditore italiano è un colpo di fulmine, una passione condita solo da un pizzico di rammarico perché, per l’appunto, il 2008 era l’ultima produzione di Thomas Hardy’s Ale. Insomma, sembrava una liason fuori tempo massimo perché di quella favolosa birra assaggiata in un locale della capitale danese ormai non ne restavano che poche bottiglie sparpagliate in mezzo mondo.Passò un anno da quel primo incontro e si può intuire come può passare per una persona che deve guidare, insieme al fratello Michele, una grossa azienda. Velocemente. Ma Thomas Hardy’s Ale diventa un tarlo nella mente di Vecchiato, un pensiero ricorrente che lo coglie nei momenti di relax… «Mi conosco abbastanza bene per sapere che quando una birra mi torna spesso in mente presto o tardi avverto nella mia testa una sorta di campanello. Il campanello della ricerca. È capitato per tante altre birre ed è capitato con Thomas Hardy’s Ale. A un certo punto ho capito che dovevo mettermi in moto…».Ed è così che inizia la terza fase della lunga storia di Thomas Hardy’s Ale. Vecchiato inizia a parlarne con degli amici che vivono in Inghilterra e dopo qualche settimana riceve il “biglietto d’ingresso” per entrare in scena. È il contatto di George Saxon.Iniziano così i primi scambi di mail, con Saxon che si dichiara disponibile a “ricollocare” il marchio Thomas Hardy’s Ale ma chiede anche di potersi fare un’idea di chi siano questi fratelli Vecchiato che gli scrivono dall’Italia. Una, forse, iniziale ma anche giustificata diffidenza, che conferma quanto ancora fosse viscerale il legame dell’imprenditore statunitense nei confronti di Thomas Hardy’s Ale. Diffidenza che scompare nel giro di qualche giorno fino a quando dalla calda Tampa Bay arriva il via libera. Saxon dice che “si sente tranquillo di lasciare Thomas Hardy’s Ale in buone mani” e a Sandro Vecchiato non rimane che prendere il volo intercontinentale per gli Stati Uniti.

Page 39: Indice - Thomas Hardy's AleE infine c’è l’ambizione. Non lo neghiamo. Ambiziosi lo siamo sempre stati. E oggi la nostra ambizione è addirittura duplice. Innanzitutto perché

39

È allora una umida giornata di luglio quella in cui si compie il destino di Thomas Hardy’s Ale. In estate i temporali sono frequenti e Tampa Bay è conosciuta come la “capitale statunitense dei fulmini”, un buon viatico per chi, con Thomas Hardy’s Ale, ha avuto un vero e proprio colpo di fulmine, seguito da un sogno che ora si appresta a diventare realtà. George Saxon si presenta all’appuntamento con una bella camicia hawaiana e un’invidiabile abbronzatura, tutte le formalità legali sono state sbrigate e l’incontro si risolve in un paio di firme, una foto celebrativa e una giornata di conversazioni amichevoli…Detta così sembrerebbe quasi una giornata come molte altre. Ma non lo è. Nel mondo della birra è una detonazione, una notizia che in pochissimo tempo fa il giro del mondo sollevando plausi e risvegliando aspettative che si pensava fossero sopite per sempre. Una delle più storiche glorie birrarie d’Inghilterra si prepara a rimettersi in marcia, la sfida con il blasone della Thomas Hardy’s Ale e con l’attesa dei suoi innumerevoli fan è stata raccolta da due imprenditori italiani che hanno fatto della birra non solo il proprio lavoro, ma praticamente tutta la propria vita… È una bella partita, quella che si apprestano a giocare i fratelli Vecchiato, ma è anche una bella responsabilità.E sono molto probabilmente queste due emozioni, quelle che Sandro Vecchiato vive durante il volo sull’Oceano Atlantico che lo riporta in Italia…

Sandro Vecchiato, Ceo di Interbrau, insieme a George Saxon, titolare della Phoenix Imports Ltd, a Tampa Bay

Page 40: Indice - Thomas Hardy's AleE infine c’è l’ambizione. Non lo neghiamo. Ambiziosi lo siamo sempre stati. E oggi la nostra ambizione è addirittura duplice. Innanzitutto perché

40BOX 4

Page 41: Indice - Thomas Hardy's AleE infine c’è l’ambizione. Non lo neghiamo. Ambiziosi lo siamo sempre stati. E oggi la nostra ambizione è addirittura duplice. Innanzitutto perché

41

Ogni annata un’emozione diversa

Uno dei principali aspetti distintivi di Thomas Hardy’s Ale, al di là della particolare e lunga tecnica di produzione e maturazione, è ovviamente il fatto di poter durare, una volta imbottigliata, nel tempo. Anche venticinque anni, come affermava Eldridge Pope. Il fatto poi di riportare in etichetta l’anno di produzione aprì ben presto possibilità affascinanti di effettuare delle degustazioni “verticali” di Thomas Hardy’s Ale esattamente come si fa con i vini più prestigiosi. Le degustazioni verticali di Thomas Hardy’s Ale sono sempre state numerose nel mondo, del resto bastava aver avuto l’accortezza di acquistare qualche bottiglia ogni anno, dimenticarsele in cantina per qualche tempo e poi mettere a segno la propria personale degustazione. Ma nel 1994, negli Stati Uniti, fu organizzata dalla rivista Malt Advocate una degustazione di diverse annate di Thomas Hardy’s Ale alla presenza di John Hansell, editore della rivista, George Saxon, presidente della Phoenix Imports Ltd. nonché importatore esclusivo di Thomas Hardy’s Ale per gli Stati Uniti, Stephen Beaumont, beerwriter canadese di fama internazionale, Bart Springer, presidente di Chateaux Selections e grande esperto di vino, e Nick Funnell, birraio della Dock Street Brewery di Filadelfia. Nell’occasione furono assaggiati sei diversi millesimi di Thomas Hardy’s Ale, inclusa quella del 1968, e le note vennero pubblicate sulla rivista stessa. Per il loro valore assoluto e per il fatto che costituiscano la prova scritta di una delle degustazioni di Thomas Hardy’s Ale più articolate penso abbia un senso riproporvi in queste pagine un estratto di quattro delle sei annate assaggiate quel giorno. Precisando che “quel giorno” cadeva nel 1994. Le stesse annate, assaggiate oggi, potrebbero risultare differenti. È il bello di Thomas Hardy’s Ale in fondo…

BOX 4

Page 42: Indice - Thomas Hardy's AleE infine c’è l’ambizione. Non lo neghiamo. Ambiziosi lo siamo sempre stati. E oggi la nostra ambizione è addirittura duplice. Innanzitutto perché

42

1993La prima Thomas Hardy’s Ale assaggiata era la più recente, ma anche quella celebrativa dei primi venticinque anni di produzione. Il colore si presentava di un bell’ambrato carico. I profumi, complessi e articolati, rivelavano note dolci di frutta, mandorle e caramello. Al palato tornavano le sensazioni dolci di malto, ma anche una nota di tostatura, entrambe integrate in una sottolineatura alcolica calda, piacevole e persistente.

1990La nota spiega che quest’annata è stata assaggiata più volte nel corso degli ultimi quattro anni, risultando ogni volta migliore della precedente. La si descrive un po’ più scura in colore dell’annata 1993 e con un bouquet più asciutto e articolato, che rivela una complessità di sensazioni fruttate e speziate (vaniglia, fumo, mele e cannella). Al palato appare più bilanciata e complessa della precedente, con una dolcezza meno dominante che sfuma verso note finali di caffè, toffee e malto tostato.

BOX 4

Page 43: Indice - Thomas Hardy's AleE infine c’è l’ambizione. Non lo neghiamo. Ambiziosi lo siamo sempre stati. E oggi la nostra ambizione è addirittura duplice. Innanzitutto perché

43

1987L’annata in questione colpisce gli assaggiatori per essere quella di più facile approccio rispetto alle versioni più giovani. Il colore è un ambrato che vira al marrone e al naso si possono cogliere note di brandy, di cioccolato, caramello. Dopo qualche secondo emergono sensazioni di fiori secchi. Al palato è semplicemente sontuosa e bilanciata con una complessità fruttata, datteri e fichi, e un finale dove ritorna il cioccolato e il caramello.

1968La prima annata in assoluto di Thomas Hardy’s Ale è una sorta di Santo Graal nel mondo della birra. Anche i partecipanti alla degustazione organizzata da Malt Advocate lo sanno e approcciano la birra con il massimo rispetto. Ma le note raccontano di volti sorridenti e di una birra che potrebbe avere ancora parecchi anni di vita davanti. L’aroma è raccontato ricorrendo alla creme brulé, un fruttato articolato in sfumature di mele, albicocche e ribes, con una nota che ricorda il Porto. Dopo un po’ iniziano a emergere note di cioccolato e, più leggere, di caffè. In bocca la prima Thomas Hardy’s Ale della storia è setosa, con calde sensazioni di toffee (butterscotch), di liquore all’albicocca e, ancora, vinose di Porto. Una birra molto elegante e sofisticata. Memorabile.

BOX 4

Page 44: Indice - Thomas Hardy's AleE infine c’è l’ambizione. Non lo neghiamo. Ambiziosi lo siamo sempre stati. E oggi la nostra ambizione è addirittura duplice. Innanzitutto perché

44

Capitolo Quarto: Primi passi

«Mi sento come uno che ha trovato dei dobloni d’oro ma che non ha un posto dove custodirli». La frase è di Sandro Vecchiato, lasciata cadere nel bel mezzo di una conversazione dove in realtà si parlava d’altro, ma il riferimento era chiaro e immediato. D’altro canto, da quella telefonata a Creta, capivo benissimo come Thomas Hardy’s Ale fosse il suo pensiero fisso, in un’alternanza di entusiasmo e preoccupazione. E la metafora, del resto, calzava a pennello per descrivere una situazione dove, sì, Thomas Hardy’s Ale era ormai saldamente nelle sue mani ma, allo stato attuale delle cose, si trattava semplicemente di un nome, di un marchio e di una ricetta.“Dobloni d’oro” senza dubbio, ne converrete anche voi che ci avete seguito fin qui, ma senza il “posto dove custodirli”, di valore meramente virtuale. Il “posto” in questione era ed è, ovviamente, un birrificio dove tornare a produrre. «Una birra senza un birrificio è come una famiglia senza una casa», riflette Vecchiato e il paragone è senza dubbio molto calzante. Ergo, se il primo passo era quello di acquisire la proprietà del marchio con tutto quello che ne consegue, il secondo era quello di mettersi al lavoro per trovare il luogo dove dare vita alla birra.Le prime settimane dopo il rientro in Italia servono comunque ad assimilare l’entità dell’operazione e a razionalizzare l’entusiasmo. Si festeggia certamente, ma si mettono a punto anche tutti i dettagli necessari per il passaggio alla fase operativa. George Saxon, in questo frangente, collabora attivamente a sistemare tutti quei particolari che sono essenziali anche per poter tutelare un marchio così storico e così prestigioso. «Quando sono rientrato dagli Stati

Page 45: Indice - Thomas Hardy's AleE infine c’è l’ambizione. Non lo neghiamo. Ambiziosi lo siamo sempre stati. E oggi la nostra ambizione è addirittura duplice. Innanzitutto perché

45

Uniti ammetto di aver impiegato un po’ di tempo a comprendere esattamente cosa fosse successo - racconta Sandro Vecchiato - tutta l’operazione era durata appena un mese, il che era indubbiamente fantastico, ma la rapidità con la quale si erano svolte le cose mi aveva come fatto vivere in una specie di film. Dove allo stesso tempo recitavo una parte e facevo da spettatore. Con mio fratello Michele vivevamo una sorta di brivido, come se l’acquisizione di Thomas Hardy’s Ale fosse una specie di coronamento alla nostra carriera, in un mix emotivo di gioia e di preoccupazione». Sensazioni che inoltre trovavano terreno fertile nella risposta spontanea di centinaia, se non migliaia, di fan della Thomas Hardy’s Ale non appena la notizia aveva cominciato a circolare. Il sito Internet messo on line dopo pochissimo tempo (www.thomashardysale.com) era già subissato di mail che chiedevano maggiori informazioni sul ritorno della birra leggendaria, che si complimentavano, che raccontavano le loro esperienze con il celeberrimo barley wine in uno stile a volte divertente a volte quasi commovente.E tutto ciò non faceva che aumentare la pressione sui fratelli Vecchiato, da un lato confermando loro la sicura bontà dell’operazione, ma dall’altro confermando pure lo straordinario clima di attesa che si registrava in più parti del mondo. D’altro canto, l’ingresso di Thomas Hardy’s Ale nella loro famiglia non era come mettersi semplicemente un trofeo di caccia sopra il caminetto. Da bravi imprenditori, sapevano entrambi quanto la passione sincera per la buona birra doveva andare di pari passo con una fattiva concretezza.In poche parole: ora si trattava di produrla e di farla tornare sul

Page 46: Indice - Thomas Hardy's AleE infine c’è l’ambizione. Non lo neghiamo. Ambiziosi lo siamo sempre stati. E oggi la nostra ambizione è addirittura duplice. Innanzitutto perché

46

mercato mondiale.“Avevamo comprato, ora si doveva costruire”. Già, perché Thomas Hardy’s Ale il sito produttivo non l’aveva più, O’Hanlon aveva passato la mano e non aveva nessuna intenzione di riprendere a produrre, nemmeno per un nuovo proprietario del marchio. Ora, permettete la digressione, fare birra non è esattamente come fare vino. Nel vino, almeno nella quasi totalità dei casi, il rispetto del territorio è strettamente vincolato non tanto alle scelte di chi produce ma al disciplinare di produzione. Saremo più chiari: se volete chiamare il vostro vino Barolo, dovete per forza di cose possedere un vigneto nelle zone preventivamente indicate come vocate alla sua produzione. O almeno far arrivare le uve, che devono essere solo ed esclusivamente del vitigno Nebbiolo, da quelle zone. Dovrete poi anche rispettare tutti gli altri passaggi previsti sempre dallo stesso disciplinare, come la maturazione e l’affinamento, altrimenti e letteralmente siete fuori. Così è e non si discute.Ora nella birra la questione è molto diversa. La maggior parte delle birrerie moderne prende le materie prime dove meglio gli pare e sono numerosi i marchi che magari suonano inglesi o belgi e che tuttavia sono prodotti in altre nazioni. Sono davvero pochi gli stili birrari tutelati e che quindi possono essere definiti tali solo se prodotti in una specifica area geografica. Il barley wine non è tra questi.Tuttavia, quando si parla di una birra dal blasone così importante e anche, va detto, “pesante” come Thomas Hardy’s Ale è difficile poter godere di tutta questa libertà. «Non difficile, impossibile», taglia corto Sandro Vecchiato. Ergo l’idea di conferire una

Page 47: Indice - Thomas Hardy's AleE infine c’è l’ambizione. Non lo neghiamo. Ambiziosi lo siamo sempre stati. E oggi la nostra ambizione è addirittura duplice. Innanzitutto perché

47

supplementare italianità alla gloriosa Thomas Hardy’s Ale producendola nella Penisola non lo ha nemmeno sfiorato. E da nessun’altra parte al mondo, se è per questo…Thomas Hardy’s Ale è infatti inglese quanto il Big Ben o i Beatles e tale sarebbe dovuta rimanere. Il che in buona sostanza significava preparare armi e bagagli e volare in Inghilterra.«La prima cosa che ho fatto - ricorda Sandro Vecchiato - è stata quella di precipitarmi da O’Hanlon per capire se ci fosse qualcosa che si poteva salvare. Ma fu tutto inutile, la proprietà aveva deciso di chiudere con il birrificio, cosa che fecero sul serio nel giro di qualche mese, e perfino le vecchie maestranze che avevano lavorato sulla Thomas Hardy’s Ale non c’erano più. La cosa confesso mi prese in contropiede e quello fu il momento più difficile di questa storia, ci sembrò di trovarci in mezzo a un guado». Fu un comprensibile momento di scoramento, che tuttavia durò davvero poco. Del resto, per come si erano messe fino a quel momento le cose, tornare indietro non era davvero possibile. Nemmeno qualora fosse stato contemplato, e non lo era proprio, nella filosofia aziendale dei fratelli Vecchiato.«Mi fu dato un contatto di una persona che, vent’anni prima, lavorava in Eldridge Pope come apprendista birraio e che quindi aveva seguito almeno in parte il processo produttivo della Thomas Hardy’s Ale - ricorda Sandro Vecchiato - Ebbi un incontro con lui ma non fu soddisfacente, diciamo che non mi sembrò la persona più adatta a garantire quella tranquillità che a noi serviva per un progetto così importante. Qualche giorno dopo incontrai un’altra persona che aveva anch’essa lavorato in Eldridge Pope e che ora svolgeva il ruolo di birraio in un piccolissimo birrificio inglese. Era

Page 48: Indice - Thomas Hardy's AleE infine c’è l’ambizione. Non lo neghiamo. Ambiziosi lo siamo sempre stati. E oggi la nostra ambizione è addirittura duplice. Innanzitutto perché

48

certamente in gamba e mi fece conoscere il titolare del birrificio dove lavorava. L’idea era quella di produrre Thomas Hardy’s Ale da loro. Anche questa volta, mi recai sul posto ma, in questo caso, fu il birrificio stesso a non darmi quelle garanzie che a me servivano. Insomma, le cose non si stavano mettendo per niente bene…».Le strade intraprese assomigliavano dunque a dei vicoli ciechi. Del resto, se decidi di acquistare una Formula Uno difficilmente accetti di farla guidare a qualcuno che non sia almeno un pilota professionista. Non avrebbe molto senso perché il rischio sarebbe quello di uscire di pista alla prima curva se non addirittura non lasciare nemmeno la linea di partenza. A quel punto allora serviva prendere una decisione draconiana: lasciar perdere il percorso all’indietro volto a tentare di recuperare una persona che avesse avuto a che fare nella sua carriera con il “monumento” Thomas Hardy’s Ale e provare a percorrere strade diverse.«Decisi di prendere il toro per le corna e di provare a sondare il terreno con alcuni birrifici inglesi che conoscevo e stimavo da tempo. Dentro di me confesso che confidavo nella risposta positiva da parte di uno di questi piuttosto che degli altri e la fortuna, finalmente, mi arrise. Proprio il birrificio in cui speravo fu il più veloce a dimostrarsi interessato a partecipare alla sfida di Thomas Hardy’s Ale».Ecco, adesso è giunto il momento. Ovvero svelare il nome del birrificio. Se siete giunti con la lettura fino a qui, credo ve lo siate meritato. Certo, nel mondo della birra capita spesso che il luogo di produzione, quando il marchio non è di proprietà dello stesso birrificio ovviamente, venga tenuto segreto. Una prassi

Page 49: Indice - Thomas Hardy's AleE infine c’è l’ambizione. Non lo neghiamo. Ambiziosi lo siamo sempre stati. E oggi la nostra ambizione è addirittura duplice. Innanzitutto perché

49

senza senso. In primo luogo perché, presto o tardi, il luogo viene scoperto abbastanza facilmente ma soprattutto perché, se non c’è nulla di cui vergognarsi, non ha davvero senso tenere nascosta la cosa. Chiarito il punto fondamentale ossia produrre Thomas Hardy’s Ale in Inghilterra, il secondo aspetto era trovare un birrificio che da un lato condividesse l’entusiasmo e la passione per questa prova certamente difficile ma sicuramente stimolante, dall’altro che il birrificio in questione fosse guidato con mano abile e sicura e desse le più ampie garanzie di qualità e di eccellenza che Thomas Hardy’s Ale aveva ampiamente dimostrato di possedere nel passato.Così, un paio di settimane dopo e probabilmente qualche ondata di frustrazione ormai superata, Sandro Vecchiato tornava a prendere un volo per Londra. Dal centro della città poi si mosse per raggiungere Greenwich, sobborgo noto ai più per il famoso meridiano che indica la longitudine Zero ma se proprio vogliamo anche per ospitare il celebre Cutty Sark, clipper che navigò sulla rotta verso l’India, e per aver dato i natali a un paio di reali britannici della fama di Enrico VIII ed Elisabetta I. Onestamente tutte notizie marginali, per quanto ci riguarda e sia chiaro detto con tutto rispetto. Già perché la cosa più importante di Greenwich per Sandro Vecchiato e per Thomas Hardy’s Ale era che quella era la località dove si trovava il birrificio prescelto: Meantime Brewing Company.

Page 50: Indice - Thomas Hardy's AleE infine c’è l’ambizione. Non lo neghiamo. Ambiziosi lo siamo sempre stati. E oggi la nostra ambizione è addirittura duplice. Innanzitutto perché

50

Meantime Brewing Company è un nome molto noto a tutti gli appassionati ma merita qualche cenno in più per chi di birra mastica un po’ meno. Il birrificio è stato fondato nel 1999, agli albori di quella che sarebbe poi diventata una vera e propria rivoluzione della scena brassicola londinese, che da una quasi tabula rasa agli inizi degli Anni Novanta (in città resisteva ormai solo lo storico Fuller’s) aveva conosciuto una vera e propria esplosione di nuove attività. Meantime era uno dei protagonisti ad aver aperto la strada grazie anche al suo brewmaster, un uomo di lunga esperienza, che aveva studiato e pure lavorato all’estero, appassionato e professionale allo stesso tempo. Quest’uomo si chiama Alastair Hook ed è una delle figure di riferimento nel neonato movimento della birra artigianale nel Regno Unito, amico di lunga data di Michael Jackson (che proprio a Meantime e ad Alastair Hook ha lasciato la sua straordinaria collezione personale di bottiglie

Sandro e Michele Vecchiato degustano differenti campioni di Thomas Hardy’s Ale.

Page 51: Indice - Thomas Hardy's AleE infine c’è l’ambizione. Non lo neghiamo. Ambiziosi lo siamo sempre stati. E oggi la nostra ambizione è addirittura duplice. Innanzitutto perché

51

di birra). Chiacchierare con lui, come ho avuto l’opportunità di fare, è come entrare a piedi pari nella storia e nell’attualità della birra in Inghilterra. Si potrebbe stare delle ore ad ascoltarlo. Parlo seriamente.L’incontro tra Sandro Vecchiato e Alastair Hook va molto bene. I due entrano immediatamente in sintonia. E non ci vuole molto tempo affinché il dado sia tratto. È in quelle ore seduti l’uno di fronte all’altro che questa storia dedicata alla Thomas Hardy’s Ale raggiunge il suo secondo climax, dopo la giornata di Tampa Bay. Hook non solo accetta di produrre Thomas Hardy’s Ale presso l’impianto Meantime ma suggerisce anche a Sandro Vecchiato una figura strategica in questa fase e nel futuro, ovvero quella di una persona che possedesse una forte preparazione tecnica ma che si

Parte della collezione personale di bottiglie di birra che il famoso beerwriter Michael Jacksonha voluto lasciare ad Alastair Hook e che oggi si trovano alla Meantime Brewery.

Page 52: Indice - Thomas Hardy's AleE infine c’è l’ambizione. Non lo neghiamo. Ambiziosi lo siamo sempre stati. E oggi la nostra ambizione è addirittura duplice. Innanzitutto perché

52

ponesse quasi come una parte terza tra loro due. Una specie di arbitro insomma, un consulente presente sul posto con il ruolo di quotidiano osservatore e suggeritore. Con l’unico scopo di rendere al meglio la birra leggendaria.Questa figura si chiama Derek Prentice. La sua biografia racconta i suoi tanti anni passati nella produzione di birrifici importanti come Young’s e Fuller’s, il suo sguardo e le sue parole raccontano di una passione che non vuole assolutamente mai assopirsi. Alla squadra che così si sta formando si affianca anche il giovane Ciaran Giblin, che in Meantime svolge il ruolo di Quality Innovation manager e allora non resta che mettersi al lavoro perché il tempo degli indugi è terminato. Adesso arriva quello delle ricerche da compiere, e delle decisioni da prendere…

Sandro Vecchiato, Derek Prentice e Ciaran Giblin.Con loro, secondo da sinistra, Alastair Hook, fondatore di Meantime Brewery.

Page 53: Indice - Thomas Hardy's AleE infine c’è l’ambizione. Non lo neghiamo. Ambiziosi lo siamo sempre stati. E oggi la nostra ambizione è addirittura duplice. Innanzitutto perché

53

Già perché produrre Thomas Hardy’s Ale non è esattamente una passeggiata. A prescindere dai lunghi tempi di lavorazione, si deve innanzitutto compiere un accurato lavoro di studio sugli appunti che risalgono a quel famoso 1967. Un quasi inestricabile guazzabuglio di termini e di dati, di malti e di luppoli, di temperature e di tempi. Nel corso degli anni Thomas Hardy’s Ale ha subito ritocchi qui e là, non solo tra il periodo Eldridge Pope e quello O’Hanlon, ma proprio anche all’interno dello stesso periodo Eldridge Pope. È un dato di fatto, carte alla mano, ma è un dato di fatto più che comprensibile perché è chiaro, e mi sembra anche di averlo già ricordato, che all’inizio l’impresa fu quella semplicemente di fare una birra commemorativa. La leggenda maturò successivamente, costruendosi piano piano con il lavoro e l’abnegazione. E ovviamente con i risultati e con il clamoroso consenso del pubblico.In quella sorta di ginepraio si avventurano quindi in prima persona Prentice e Giblin, ma a ruota li seguono pure Vecchiato e Hook. Si procede anche per tentativi, per prime cotte che servono a capire se la strada è quella giusta oppure se si sta procedendo in una direzione sbagliata. Fino al momento magico in cui si assaggia una Thomas Hardy’s Ale talmente giovane che sembra quasi irrispettoso farlo. Ma è un assaggio che convince tutti. Non è certo quella che si vorrà trovare nella bottiglia, d’accordo è ancora troppo presto, ma è come assistere all’apparizione di un mostro. Ma nel senso latino del termine ovvero in quello di “fatto prodigioso”, che stupisce e riempie di meraviglia gli spettatori. Ecco, la Formula Uno ha appena lasciato rombando la linea di partenza. Non uscirà di pista in curva. Taglierà il traguardo. È solo questione di tempo, di pazienza e di quotidiana attenzione. E infine…

Page 54: Indice - Thomas Hardy's AleE infine c’è l’ambizione. Non lo neghiamo. Ambiziosi lo siamo sempre stati. E oggi la nostra ambizione è addirittura duplice. Innanzitutto perché

54

Thomas Hardy’s Ale? Si fa così…

Su, non scherziamo. Non penserete sul serio di leggere tra queste righe la ricetta della Thomas Hardy’s Ale? Tuttavia qualcosa la posso dire. Iniziando con un ricordo magari.

Tra me e lo sguardo azzurro ironico di Derek Prentice c’erano un paio di pinte di birra inglese. D’altro canto mi trovavo a Londra e Derek è “uomo della birra” di lungo corso e di spessore, avendo lavorato per anni come brewing manager in Young’s e, successivamente, in Fuller’s. Aziende con quattro quarti di nobiltà, autentici pilastri della birra nella capitale britannica, per decenni ultimi baluardi della produzione locale prima del rinascimento artigianal-birrario che, a partire dagli anni Novanta, ha risollevato l’immagine spumeggiante di Londra, tanto che la città conosciuta nei ruggenti anni Sessanta come “swingin’ London” ora potrebbe essere nota come “brewin’ London”. Sebbene si fosse ritirato in pensione, per Mr. Prentice la birra non era semplicemente la pinta che andava sorseggiando quel giorno. La sua enorme esperienza e il suo talento erano servizi richiesti che faceva sempre fatica a rifiutare. In qualche caso poi, a rifiutare non ci pensava nemmeno.«Thomas Hardy’s Ale non è una birra facile da fare. Contiene le sue belle sfide», furono le sue prime parole non appena accesi il

BOX 5

Page 55: Indice - Thomas Hardy's AleE infine c’è l’ambizione. Non lo neghiamo. Ambiziosi lo siamo sempre stati. E oggi la nostra ambizione è addirittura duplice. Innanzitutto perché

55

registratore. Lapidario e diretto. Derek Prentice è un uomo chiave nella ripartenza di Thomas Hardy’s Ale, un uomo che Sandro Vecchiato ha voluto al suo fianco in questa sfida tanto avvincente quanto avventurosa. Una pinta dopo l’altra è con lui allora che mi sono confrontato per capire quali segreti si nascondessero nella Thomas Hardy’s Ale.Dirvi che me li ha svelati tutti sarebbe falso. Dirvi che, qualora l’avesse fatto, ve li rivelerei… Beh, sarebbe falso comunque. «Posso dirti che dobbiamo utilizzare la moderna tecnologia in una maniera antica - fu la sua seconda, amletica, frase - Di certo, essendo una birra di un’altra epoca e che ha avuto diverse vicissitudini interpretative nel corso degli anni, a nostra volta siamo stati costretti a interpretarla. Ma, e di questo puoi esserne certo, lo abbiamo fatto rispettando al massimo la tradizione, tenendo vivo lo spirito e il cuore della Thomas Hardy’s Ale».Il che, più concretamente, significa gli stessi ingredienti usati nel 1967, i malti ad esempio arrivano dalla stessa zona d’Inghilterra dove se li procurava Eldridge Pope, e le tecniche tradizionali con il rispetto dei lunghi tempi di produzione. “Il lievito è stata la parte più complicata di tutta l’operazione, ma siamo convinti di aver fatto un buon lavoro”, ha concluso Derek Prentice sorridendo.Adesso che, mentre scrivo, ci penso, era un sorriso un po’ vago e misterioso come di uno che ha detto solo quello che voleva dire. Non una parola di più né una parola di meno. Però, ne sono assolutamente certo, era un sorriso sincero.

BOX 5

Page 56: Indice - Thomas Hardy's AleE infine c’è l’ambizione. Non lo neghiamo. Ambiziosi lo siamo sempre stati. E oggi la nostra ambizione è addirittura duplice. Innanzitutto perché

56

Page 57: Indice - Thomas Hardy's AleE infine c’è l’ambizione. Non lo neghiamo. Ambiziosi lo siamo sempre stati. E oggi la nostra ambizione è addirittura duplice. Innanzitutto perché

57

Capitolo Quinto: Il futuro è adesso

Sono trascorsi poco più di due anni da quella giornata a Tampa Bay nella quale il destino della Thomas Hardy’s Ale ha conosciuto la sua svolta decisiva. E un anno circa da quando la prima Thomas Hardy’s Ale è stata prodotta nell’impianto londinese della Meantime Brewing Company. Tempi lunghi potrebbe sembrare. Ma non è così in questo caso. Il tempo del resto non scorre per tutti allo stesso modo. Per chi ha vissuto in prima persona tutte le più recenti fasi dell’avventura è ad esempio trascorso molto rapidamente, in un susseguirsi di emozioni contrastanti, tra entusiasmo e preoccupazione, tra gioia e frustrazione. Ma per chi, non appena avuta la notizia, ha cominciato ad aspettare il ritorno di Thomas Hardy’s Ale, l’attesa è probabilmente durata anche troppo.Il problema, che non è davvero tale sia chiaro, è che certi tempi sono imposti proprio dalla protagonista di questa storia iniziata nella cittadina inglese di Dorchester, una fredda mattinata di novembre. Thomas Hardy’s Ale pretende molto. In termini di tempo, ma anche di materie prime e di cura. Tuttavia restituisce molto di più di quello che chiede. Pertanto vale la pena rispettarla. E aspettarla.Per onestà intellettuale va detto però che Thomas Hardy’s Ale pretende anche in termini di sostenibilità economica. È abbastanza inutile girarci intorno. Quando nel 2009 O’Hanlon decise di interrompere la produzione le motivazioni addotte erano state molto chiare: da un lato i tempi troppo lunghi che sacrificavano le altre produzioni del birrificio, dall’altro i costi che materie prime e

Page 58: Indice - Thomas Hardy's AleE infine c’è l’ambizione. Non lo neghiamo. Ambiziosi lo siamo sempre stati. E oggi la nostra ambizione è addirittura duplice. Innanzitutto perché

58

tempi comportavano. Il rischio che Thomas Hardy’s Ale ha sempre portato con sé, come una dote non desiderata, era infatti proprio quello.Nessuna discussione sul valore della birra in sé e nemmeno sul suo alone quasi mistico ed esclusivo. Tuttavia proprio in questo suo alone e in questa sua esclusività si nascondeva il suo tallone d’Achille. Impossibile stravolgere la ricetta, impossibile accorciare i tempi di produzione e nemmeno portarla a una produzione di massa. Qualsiasi mossa in questa direzione sarebbe apparsa al vasto pubblico di estimatori come una blasfemia e un tradimento. Esattamente come produrla in un altro luogo che non fosse l’Inghilterra.Tutte queste cose apparivano molto chiare anche a Sandro e Michele Vecchiato. Anzi, a loro per primi. Il rischio insito nella Thomas Hardy’s Ale e reso evidente dalle dichiarazioni di Liz O’Hanlon nel 2009 si erano affacciate nella loro mente già al rientro dagli Stati Uniti. Nonostante ciò alcune considerazioni li avevano persuasi che il progetto aveva delle notevoli probabilità di diventare una realtà di successo e dal futuro certo.In primo luogo c’era una ragione di cuore. Da quando si erano messi sulle tracce della leggendaria birra, il fascino di Thomas Hardy’s Ale era lentamente penetrato sotto pelle. La consapevolezza di essere entrati a far parte di un pezzo importante e prestigioso di storia della birra li aveva catturati e legati ogni giorno di più. Ma poi c’era una ragione forse ancora più importante.Fermato il punto che una prima parte del progetto fosse quella di restituire agli appassionati la Thomas Hardy’s Ale così come era sempre stata, a costo di ricerche dettagliate e di innumerevoli

Page 59: Indice - Thomas Hardy's AleE infine c’è l’ambizione. Non lo neghiamo. Ambiziosi lo siamo sempre stati. E oggi la nostra ambizione è addirittura duplice. Innanzitutto perché

59

prove “sul campo”, la seconda parte era quella di traghettare un marchio storico nel futuro. Il concetto cardine di questa seconda parte si basa sul fatto di come Thomas Hardy’s Ale sia diventata nel corso degli anni una sorta di parametro di riferimento per uno stile, quale quello dei barley wine, che oggi conta su un numero elevato di interpretazioni differenti. Pertanto il “gioco” al quale ci si poteva prestare era quello di dare vita a tutta una serie di differenti

Una bottiglia di Thomas Hardy’s Ale della prima annata e una della Preview Edition a confronto.

Page 60: Indice - Thomas Hardy's AleE infine c’è l’ambizione. Non lo neghiamo. Ambiziosi lo siamo sempre stati. E oggi la nostra ambizione è addirittura duplice. Innanzitutto perché

60

Thomas Hardy’s Ale che da un lato non compromettessero il ruolo iconico della birra ma dall’altro le facessero vivere una sorta di seconda giovinezza.Una seconda giovinezza ottenuta tra l’altro recuperando anche il passato più lontano, quando cioè Eldridge Pope faceva maturare quella birra in botti di legno. Ecco perché, oltre a salutare il rientro in pista della Thomas Hardy’s Ale così come è sempre stata conosciuta, il futuro di questa birra è ancora più entusiasmante ed esaltante. Perché la possibilità infatti di riportare la Thomas Hardy’s Ale in legno non è solo un omaggio all’alba della sua storia ma anche l’inizio di nuovi sentieri tutti da esplorare. Come infatti potrebbe essere una Thomas Hardy’s Ale lasciata maturare alcuni mesi in botti che hanno contenuto bourbon? E cosa potrebbe diventare una Thomas Hardy’s Ale che ha riposato in botti che hanno precedentemente ospitato sherry oppure rum o ancora grandi vini rossi italiani o francesi?Domande alle quali non posso ovviamente ora dare una risposta, ma domande che appaiono stimolanti sia per chi si occuperà nel concreto di queste nuove Thomas Hardy’s Ale sia per gli appassionati. Le ragioni di una scelta del genere, piuttosto impegnativa sotto tanti punti di vista va detto, si concentrano sul riconoscimento di Thomas Hardy’s Ale come un simbolo che va salvaguardato ma che può anche essere raccontato con stili narrativi diversi.La possibilità di utilizzare differenti botti di legno per esplorare le infinite possibilità evolutive di Thomas Hardy’s Ale non può non affascinare chi già apprezza la versione classica di questa birra, così come non manca di fascino un possibile percorso

Page 61: Indice - Thomas Hardy's AleE infine c’è l’ambizione. Non lo neghiamo. Ambiziosi lo siamo sempre stati. E oggi la nostra ambizione è addirittura duplice. Innanzitutto perché

61

volto a coinvolgere alcuni tra i più talentuosi birrai del pianeta chiamati a esprimere la loro visione personale di Thomas Hardy’s Ale. Questo non è un sacrilegio, ma piuttosto un omaggio al mito attualizzandolo in chiave moderna ma soprattutto, creativa.In buona sostanza Thomas Hardy’s Ale ha rappresentato una sfida ai luoghi comuni sulla birra fin dalla sua nascita. Ma, da quando è nata, il mondo della birra ha conosciuto grandi stravolgimenti. Alcuni certo hanno riguardato l’enorme processo di concentrazione di marchi birrari all’interno di altrettanto enormi multinazionali, ma gli stessi, e per reazione, hanno provocato e fatto sviluppare migliaia di attività di produzione birraria dove la creatività espressiva dei singoli birrai è stato il tratto più saliente e vincente. Ed è di quella creatività che Thomas Hardy’s Ale ha bisogno per poter affrontare le sfide che l’aspetteranno in futuro.Certo, il cammino che hanno di fronte Sandro e Michele Vecchiato è di quelli di cui non s’intravede la fine. Il progetto già di per sé richiede tempi lunghissimi e, come è normale per progetti a così lunga gittata, costante attenzione e necessità d’intervento. Ma il futuro di Thomas Hardy’s Ale è strettamente legato a una parola: differenziazione. Ovvero Thomas Hardy’s Ale resterà una ma diventerà anche tante. Quello che forse potrebbe apparire quasi come un controsenso, riflettendoci bene, non lo è. Perché il rispetto dovuto, e da più parti quasi reclamato, per la ricetta tradizionale e per tutto ciò che Thomas Hardy’s Ale ha rappresentato in passato resta inalterato, protetto gelosamente e indiscutibile per sempre. Ma sarebbe davvero un peccato di miopia non investire sul futuro di questa birra non permettendole di esprimersi in tutte le sue possibili sfaccettature.

Page 62: Indice - Thomas Hardy's AleE infine c’è l’ambizione. Non lo neghiamo. Ambiziosi lo siamo sempre stati. E oggi la nostra ambizione è addirittura duplice. Innanzitutto perché

62

Il requisito irrinunciabile di queste possibili sfaccettature sarà ovviamente quello di mantenere inalterato il blasone della birra ma, fissata questa linea di partenza i possibili traguardi potranno essere del tutto nuovi. E sorprendenti.Perché in ultima analisi la passione per la birra, quella autentica, è come una fiamma che va costantemente alimentata. La preview edition, la prima Thomas Hardy’s Ale del nuovo corso, una produzione a tiratura forzatamente limitata e che oggi pochi fortunati possono assaggiare, è solo il primo passo di un nuovo cammino. L’attestato della fedeltà alla sua storia. I passi successivi saranno invece la dimostrazione che Thomas Hardy’s Ale non è semplicemente quella birra famosissima che tanti appassionati amano e rispettano, ma una gemma grezza che può essere lavorata diversamente mantenendone inalterato il valore. Donandole tuttavia forme e riflessi diversi. Esattamente come si fa con i diamanti più puri.Ecco perché mi sento di dire che Thomas Hardy’s Ale non solo è tornata per restare, ma è pronta per stupire ancora una volta gli appassionati con l’esplorazione di tutte le sue potenzialità. È un viaggio che personalmente non vedo l’ora di fare come osservatore. E sono sicuro che sarò in bella e affollata compagnia…

Page 63: Indice - Thomas Hardy's AleE infine c’è l’ambizione. Non lo neghiamo. Ambiziosi lo siamo sempre stati. E oggi la nostra ambizione è addirittura duplice. Innanzitutto perché

63

Page 64: Indice - Thomas Hardy's AleE infine c’è l’ambizione. Non lo neghiamo. Ambiziosi lo siamo sempre stati. E oggi la nostra ambizione è addirittura duplice. Innanzitutto perché

64

Page 65: Indice - Thomas Hardy's AleE infine c’è l’ambizione. Non lo neghiamo. Ambiziosi lo siamo sempre stati. E oggi la nostra ambizione è addirittura duplice. Innanzitutto perché

65

A tu per tu con Thomas Hardy’s Ale

Eccomi qui, ormai giunto alla fine di questa storia e di questo libro, in una mattina di freddo sole invernale. Di fronte a me c’è la protagonista assoluta della storia. Una bottiglia di Thomas Hardy’s Ale. È custodita in un’elegante confezione di cartone. Su un lato della confezione alcune righe raccontano le origini di questa birra leggendaria, ne raccomandano il potenziale lungo affinamento in bottiglia, suggeriscono la possibilità di lasciarla riposare in cantina, al buio e in posizione verticale anche per qualche anno, indicano la temperatura di servizio, il calice da usare, i possibili abbinamenti con il cibo. Non dimenticando di ricordare che Thomas Hardy’s Ale è consigliata nel miglior abbinamento possibile: quello con se stessi.Sotto il profilo severo dello scrittore del Dorset del quale porta il nome due parole evidenziate in rosso: preview edition. È la prima Thomas Hardy’s Ale del nuovo corso e confesso che ho provato un certo brivido quando ho deciso di assaggiarla. La sua tiratura limitata mi fa anche sospettare che difficilmente avrò una seconda possibilità.Estraggo la bottiglia da 33 cl, è la numero 732 e porta la data di produzione: gennaio 2014. Bottiglia di vetro scuro, pesante e dalla forma austera e antica. Le “spalle” larghe annunciano un collo lungo che termina con un cappuccio in ceralacca rossa con sopra impresso ancora il profilo di Thomas Hardy. Devo incidere la ceralacca. Poi occuparmi del tappo a corona e infine versare nel bicchiere.Ne osservo dapprincipio la schiuma, davvero molto contenuta

BOX 6

Page 66: Indice - Thomas Hardy's AleE infine c’è l’ambizione. Non lo neghiamo. Ambiziosi lo siamo sempre stati. E oggi la nostra ambizione è addirittura duplice. Innanzitutto perché

66

e primo segnale dell’alcolicità della birra (11,7% vol.), il colore è proprio quello descritto dallo stesso Thomas Hardy nel suo The Trumpet Major: “luminoso come un tramonto di autunno”. Ovvero, più tecnicamente, un ambrato carico con dei riflessi color bronzo. Cerco di essere poetico come lo scrittore inglese e penso ai “lampi” che dovevano lanciare gli scudi di bronzo degli Achei sulla piana di Troia. Non sono convinto di essere all’altezza di Hardy e quindi vado avanti. Accostata al naso il bouquet è subito impattante, intenso e complesso. Ci sono note di frutta candita e sotto spirito, di mallo di noce e di fichi secchi, di tabacco fresco e di cioccolato, la sensazione del caramello è come la tela di un dipinto. Si percepisce ovviamente ma resta sullo sfondo, come a legare tutti i “colori” impiegati. Potrei respirarla per ore tanto è intrigante e avvincente.Quasi con riluttanza l’accosto alle labbra e prendo un primo sorso. Piccolo, solo per entrare appena nel suo mondo. Poi un altro, più significativo. La prima sensazione è d’incredibile densità e morbidezza, la carbonazione è quasi impercettibile, la persistenza lunghissima. Il sapore della Thomas Hardy’s Ale invade tutto il palato, lo ammanta come un vestito, caldo e setoso. Provo ricordi di marmellata d’arancia amara, frutta secca, miele di castagno. Ma questo è l’inizio perché poi emerge una vena acidula e rinfrescante che impedisce brillantemente alla birra di sedersi e diventare stucchevole, un amaro appena accennato che le conferisce armonia ed equilibrio e fa quasi dimenticare il grado.Mi godo il momento, lo ammetto. La birra è sontuosa e promettente allo stesso tempo. Sontuosa per intensità, eleganza e potenza, promettente perché non posso fare a meno di chiedermi come

BOX 6

Page 67: Indice - Thomas Hardy's AleE infine c’è l’ambizione. Non lo neghiamo. Ambiziosi lo siamo sempre stati. E oggi la nostra ambizione è addirittura duplice. Innanzitutto perché

67

potrebbe diventare tra due, tre o cinque anni. Di certo la sua evoluzione sarà sorprendente. Non mi resta che mettere le mani su un’altra preview edition e nasconderla per qualche anno nello scaffale più buio della mia cantina. Non sarà facile, lo so, ma qualora dovesse succedere sarà ancora meno facile riuscire a lasciarla tranquilla al suo posto per un tempo così lungo.

BOX 6

Page 68: Indice - Thomas Hardy's AleE infine c’è l’ambizione. Non lo neghiamo. Ambiziosi lo siamo sempre stati. E oggi la nostra ambizione è addirittura duplice. Innanzitutto perché

68

Capitolo Sesto: Dicono di lei

Quando il progetto di questo libro dedicato a Thomas Hardy’s Ale ha iniziato a prendere forma una delle prime domande che mi sono posto è stata quella relativa a come avrebbero affrontato l’argomento alcuni miei autorevoli colleghi stranieri. Da questa riflessione è scaturita l’idea di provare a interpellare alcuni di loro chiedendogli che tipo di rapporto avessero avuto con Thomas Hardy’s Ale e che cosa pensavano di questa birra. Un ricordo, un aneddoto, un pensiero… Ne è venuta fuori una serie di considerazioni che adesso riportiamo qui sotto. Contenuti a parte, la cosa che mi ha colpito maggiormente è stata la tempestiva risposta da parte di ciascuno di essi. Nomi che nel mondo birrario sono delle celebrities non hanno esitato a dedicare un po’ del loro tempo per scrivere di questa grande birra. È ovvio che sono loro personalmente grato per questo, ma sono convinto che, il merito, sia in buona parte attribuibile a Thomas Hardy’s Ale…

«La prima volta che ho avuto a che fare con Thomas Hardy’s Ale ero un giovane bevitore senza troppa esperienza. Al tempo le birre che preferivo erano le classiche bitter inglesi e quindi non sapevo bene cosa aspettarmi da questa birra in bottiglia dalle note alcoliche e vinose. Crescendo, comunque, ho imparato ad amarla e ne ho seguito le vicissitudini sin dal momento in cui ho cominciato a scrivere la Good Bottled Beer Guide per il Camra. Il problema è che risultava sempre molto difficile trovarla in vendita nel mercato britannico. La Thomas Hardy’s Ale è sempre stata più popolare all’estero.

Page 69: Indice - Thomas Hardy's AleE infine c’è l’ambizione. Non lo neghiamo. Ambiziosi lo siamo sempre stati. E oggi la nostra ambizione è addirittura duplice. Innanzitutto perché

69

Ricordo anche come fui sorpreso quando ne vedevo delle quantità in vendita in Italia mentre io, che in Inghilterra abitavo a nemmeno cento miglia dal birrificio, non riuscivo quasi mai a trovarla. Tuttavia uno degli incontri più emozionanti che abbia mai avuto con Thomas Hardy’s Ale fu quando visitai Eldridge Pope poco dopo essere diventata un birrificio “conto terzi”. Fu fantastico poter vedere la prima bottiglia mai prodotta di Thomas Hardy’s Ale ma mi fu chiaro che tutto il cuore e l’anima erano scomparsi dal vecchio birrificio e che si respirava davvero poco interesse per la gloria passata. Pensai questo quando, durante la visita, mi capitò di attraversare una sala che conteneva un numero notevole di vecchie annate di Thomas Hardy’s Ale. La persona che mi accompagnava mi disse di servirmi pure da solo e di prendere quello che volevo, facendomi in qualche modo capire che loro avrebbero probabilmente buttato via tutto. Ricordo bene di essere uscito con alcune etichette a partire dal 1983. Alcune le conservo ancora oggi».

Jeff Evans. Britannico, ha iniziato a scrivere professionalmente di birra nel 1980. Collabora con diverse riviste di settore (All About Beer, What’s Brewing, Morning Advertiser) e ha firmato un grande numero di libri (Good Beer Guide, Good Bottled Guide, Beer Lover’s Britain, A Beer a Day).***

«Thomas Hardy’s Ale aveva già ottenuto fama leggendaria quando io ho iniziato a scrivere di birra nel 1990 ma fu solo qualche anno dopo che, per me, divenne davvero un’icona. L’occasione fu una degustazione verticale di otto differenti annate di Thomas Hardy’s Ale

Page 70: Indice - Thomas Hardy's AleE infine c’è l’ambizione. Non lo neghiamo. Ambiziosi lo siamo sempre stati. E oggi la nostra ambizione è addirittura duplice. Innanzitutto perché

70

inclusa la prima del 1968. Venni invitato a Emmaus, Pennsylvania, da John Hansell, fondatore della rivista Malt Advocate che oggi si chiama Whisky Advocate. Io ero lì per scrivere un reportage per Saveur, insieme ad altri degustatori, incluso George Saxon che, al tempo, era l’importatore negli Stati Uniti della Thomas Hardy’s Ale.Durante quella verticale si riscontrarono alti e bassi, ricordo un’annata della fine degli Anni Settanta che non mi colpì favorevolmente. Ma nessuno ebbe da recriminare quando, infine, arrivammo ad assaggiare il 1968. Ricordo di aver accostato al naso quel liquido color ambra e di aver iniziato a riempire di note il taccuino…. Aveva aromi che ricordavano il cuoio e la frutta secca, spezie e antichi legni. Presi altre note dopo uno o due sorsi. Era davvero una birra incredibile, con circa venticinque anni di vita sulle spalle e ancora al suo meglio…».

Stephen Beaumont. Canadese, giudice in diversi concorsi internazionali, autore di The World Atlas of Beer e Pocket Beer Guide. I suoi articoli sono stati pubblicati da The Celebrator, Ale Street News, The International Herald Tribune, Whisky Advocate…***

«Ho bevuto per la prima volta Thomas Hardy’s Ale negli anni Ottanta. Credeteci o no era in vendita in un supermercato. Pensai che fosse una birra tremenda per essere onesti ma, quando mi capitò di riassaggiarla all’inizio degli Anni Novanta, dovetti ricredermi e iniziai ad amarla. La paragonavo per struttura a un buon bicchiere di Porto o anche di Madeira. Mi affascinò, e mi affascina ancora, la possibilità di far maturare a lungo le birre in cantina. Nel 1998,

Page 71: Indice - Thomas Hardy's AleE infine c’è l’ambizione. Non lo neghiamo. Ambiziosi lo siamo sempre stati. E oggi la nostra ambizione è addirittura duplice. Innanzitutto perché

71

quando nacque mio figlio, acquistai una cassa di vino e una di Thomas Hardy’s Ale di quell’anno. Ricordo di essere riuscito a berne un paio di bottiglie fino al momento in cui fui scoperto da mia moglie che mi costrinse a sigillare la cassa… Ora consegnerò le bottiglie a mio figlio quando compirà diciotto anni. Confido che non gli piacciano e così me le restituisca ma, conoscendolo, è più facile che decida di vendermele nuovamente…Quello che mi aspetto dalla “nuova” Thomas Hardy’s Ale è una stupefacente riedizione di ciò che fu un tempo e che lasci a bocca aperta i consumatori… Inoltre mi piace l’etichetta. Quante altre bottiglie hanno della letteratura su di esse?».

Adrian Tierney-Jones. Britannico, giornalista con collaborazioni per The Daily Telegraph, All About Beer, Sunday Times Travel Magazine… Autore di British Pubs e The Big Book of Beer; ha coordinato la redazione di 1001 Beers To Try Before You Die.***

«La prima volta che ebbi a che fare con Thomas Hardy’s Ale fu grazie a Barrie Pepper, allora a capo della British Guild of Beer Writers. Ovviamente Thomas Hardy, il poeta, era morto da più di sessant’anni; ma “viveva” in quella stranamente insolita birra. A dire il vero non conoscevo il poeta e men che meno The Trumpet Major, cosa che sorprese il mio ospite il quale era convinto che tutti avessero letto qualcosa di Thomas Hardy nella propria vita. Beh, io non ero tra questi.Però avevo letto di Thomas Hardy’s Ale in libri che parlavano di birre rifermentate in bottiglia e così non mi sorpresi troppo

Page 72: Indice - Thomas Hardy's AleE infine c’è l’ambizione. Non lo neghiamo. Ambiziosi lo siamo sempre stati. E oggi la nostra ambizione è addirittura duplice. Innanzitutto perché

72

quando Barrie mi presentò un bicchiere che conteneva un liquido color rubino, molto forte e dolce, ma straordinariamente bevibile. Ne rimasi molto impressionato, era una birra introvabile in Austria anche se successivamente riuscii a comprarne alcune bottiglie in un negozio di Zurigo. Alcune sono ancora oggi nella mia cantina. Ho assaggiato recentemente l’annata 1995: ha un colore rosso che vira al marrone, un aroma di cuoio integrato a quello del the e tanto caramello. All’inizio è molto dolce, quasi una torta di frutta, ma poi lascia nel palato sensazioni vinose, unite a una bassissima carbonazione e un amaro sorprendentemente asciutto nel finale. Mi piacerebbe molto poter comprare qualche nuova bottiglia e, a Dio piacendo, avere il tempo di lasciarla maturare per un altro ventennio…Che cosa mi aspetto dalla “nuova” Thomas Hardy’s Ale? Beh, che sia “old-fashioned”. Dolce e forte. Non una birra da consumo quotidiano e non per il consumatore medio di birra, nemmeno per coloro che amano le birre semplicemente forti. Io stesso amo berne una solo ogni tanto, magari in compagnia di un buon sigaro…».

Conrad Seidl. Austriaco, il suo Bierkatechismus è stato pubblicato in tedesco, portoghese e italiano. Collabora regolarmente con Falstaff e Getränkefachgroßhandel, ma i suoi articoli sono stati pubblicati anche da All About Beer, Penthouse e Brewer’s Guardian. Pubblica annualmente la Conrad Seidl’s Bierguide.***

«Sandro Vecchiato mi ha raccontato la storia più recente di Thomas Hardy’s Ale. È stato molto interessante anche perché in realtà le

Page 73: Indice - Thomas Hardy's AleE infine c’è l’ambizione. Non lo neghiamo. Ambiziosi lo siamo sempre stati. E oggi la nostra ambizione è addirittura duplice. Innanzitutto perché

73

origini del nome mi erano sempre state oscure. Tuttavia avevo incontrato già Thomas Hardy’s Ale. Nel dicembre del 2008, in un piccolo birrificio austriaco. Fu circa un anno dopo aver creato, in collaborazione con Garrett Oliver, la Hopfenweisse. Al tempo questo nuovo stile, una weizenbock con dry hopping, sembrava particolarmente strano per i tradizionali consumatori tedeschi e austriaci. Il titolare di quel piccolo birrificio decise di portarmi nella sua cantina e mi fece vedere che lui aveva già alcune bottiglie di Hopfenweisse. La cosa mi sorprese positivamente, ma il mio sguardo cadde su alcune bottiglie di Thomas Hardy’s Ale collocate vicino alle mie Hopfenweisse. «È troppo preziosa per aprirla ora», mi disse il titolare. So che questa storia non è abbastanza spettacolare, ma da quel momento presto sempre particolare attenzione quando sento parlare di Thomas Hardy’s Ale. Conosco ormai molte cose su di lei, anche se purtroppo non sono mai riuscito ad assaggiarla…Io credo che la “nuova” Thomas Hardy’s Ale non debba essere un semplice, perfetto revival dell’originale. La vera sfida dei birrai che la produrranno è quella di interpretare la Thomas Hardy’s Ale portandola all’obiettivo che si sono prefissi e certamente allo spirito, nonché all’idea, di ciò che rappresenta Thomas Hardy’s Ale».

Hans-Peter Drexler. Tedesco, brewmaster per oltre venticinque anni alla Schneider Weisse Brewery e autorità mondiale in materia di weizen.***

«La prima volta che ho incontrato Thomas Hardy’s Ale ero a un Great British Beer Festival a Londra verso la fine degli Anni Settanta.

Page 74: Indice - Thomas Hardy's AleE infine c’è l’ambizione. Non lo neghiamo. Ambiziosi lo siamo sempre stati. E oggi la nostra ambizione è addirittura duplice. Innanzitutto perché

74

In uno stand vendevano birre in bottiglia e capitò che un signore si avvicinasse lamentandosi che al festival non c’erano abbastanza birre forti disponibili. Gli fu offerta allora una Thomas Hardy’s Ale e gli fu detto che quella birra faceva 12% vol. «Fantastico», rispose lui, «me la potete stappare?». Quando gli risposero che la birra avrebbe dovuto riposare ancora per tre anni prima di essere consumata non sembrò rimanere particolarmente impressionato…Quando invece capitò a me di assaggiarla sì. Rimasi subito colpito dalla sua profonda complessità. Era una sorta di vino luppolato. C’erano note fresche di cuoio e tabacco e cenni leggeri di luppoli speziati, la frutta candita e la ricchezza dei malti dominava il palato, seguiva poi un lungo finale ricco di note di liquirizia, cuoio, sherry e l’amaro dei luppoli.Io credo che il ritorno di Thomas Hardy’s Ale dovrebbe avvenire in una bottiglia retrò e con un’etichetta che enfatizzi la sua età, la sua storia e la sua tradizione…».

Roger Protz. Britannico, “decano” tra i beer writer ha scritto più di venti libri sull’argomento birra. Tra questi The World Guide to Beer, The Ultimate Encyclopedia of Beer e 300 More Beer to Try Before You Die. Suoi articoli sono pubblicati su Beer, What’s Brewing, Beer&Brewer, l’Independent e il Guardian.***

«Ricordo di aver bevuto le mie prime Thomas Hardy’s Ale diversi decenni fa. Erano delle ottime birre. Purtroppo non rammento molto altro se non che fossero davvero impressionanti quando erano prodotte dal birrificio originale».

Page 75: Indice - Thomas Hardy's AleE infine c’è l’ambizione. Non lo neghiamo. Ambiziosi lo siamo sempre stati. E oggi la nostra ambizione è addirittura duplice. Innanzitutto perché

75

Charlie Papazian. Statunitense, è uno dei “padri” del rinascimento birrario americano. Fondatore e attuale presidente della Brewers Association, ha contribuito anche a creare il Great American Beer Festival. Tra i suoi scritti: The Complete Joy of Home Brewing.***

«La prima volta che l’ho assaggiata eravamo alla fine degli Anni Ottanta. Avevo svolto delle ricerche sullo stile barley wine e consideravo Thomas Hardy’s Ale come la più autentica espressione di questo stile creato dalle grandi, aristocratiche, birrerie d’Inghilterra. Negli anni, ho assaggiato diverse grandi bottiglie e, quando Brooklyn Brewery era un anche distributore, eravamo noi a vendere Thomas Hardy’s Ale a New York. Un giorno, diversi anni fa, ebbi modo di partecipare a una degustazione verticale di tutte le Thomas Hardy’s Ale, a partire dal 1968. Fu una cosa incredibile…Ho ancora delle bottiglie degli anni Ottanta e degli inizi dei Novanta. La mia preferita resta quella che ho bevuto insieme a Michael Jackson, nella sua casa di Londra. Al tempo non lo conoscevo molto bene ma più tardi, quando i nostri bicchieri erano ormai vuoti, eravamo diventati amici.Per me, Thomas Hardy’s Ale è, in primo luogo e soprattutto, una “ale storica”. Così, da questo punto di vista, il primo obiettivo deve essere quello di ricreare ciò che era un tempo. Da questo primo traguardo si può poi guardare oltre, introdurre delle varianti come sono solite fare tutte le grandi case birrarie dal 1800 in poi. Ad esempio, penso che una maturazione speciale in botti da sherry costituisca una naturale evoluzione. Ma prima, ritengo che la nuova versione debba dare prova di sé ed essere come quella di

Page 76: Indice - Thomas Hardy's AleE infine c’è l’ambizione. Non lo neghiamo. Ambiziosi lo siamo sempre stati. E oggi la nostra ambizione è addirittura duplice. Innanzitutto perché

76

un tempo. E non sarà una cosa facile. Non stiamo parlando di una birra facile da bere quando è ancora giovane: la versione originale era sempre più vecchia di almeno un paio d’anni rispetto a quando avresti voluto berla… In effetti sì, credo che l’attesa sia la parte più difficile del lavoro…».

Garrett Oliver. Statunitense, brewmaster alla Brooklyn Brewery di New York. Autore di The Brewmaster’s Table e coordinatore di The Oxford Companion to Beer. Collabora con diverse riviste e giornali ed è spesso ospite in trasmissioni televisive.***

«Ricordo di aver bevuto per la prima volta Thomas Hardy’s Ale all’incirca nel 1970 a fu una autentica rivelazione. Non avevo mai provato una birra con così tanto gusto, corpo e intensità! Mi spalancò gli occhi e il palato sulle diversità degli stili che il birraio può raggiungere quando spinge sui limiti… Thomas Hardy’s Ale fu il riferimento stilistico per la Anchor Old Foghorn e per la nostra Sierra Nevada Bigfoot che arrivarono sul mercato negli anni successivi…Credo che la “nuova” Thomas Hardy’s Ale, almeno per una o due annate, debba essere una fedele riproduzione della ricetta originale. Etichetta inclusa. Solo dopo aver ripristinato la storia sarà interessante assaggiare un’edizione speciale magari con dei nuovi luppoli o malti. E ovviamente con una confezione che la distingua dalla versione classica».

Steve Grossman. Statunitense, nel 1980 ha fondato insieme al

Page 77: Indice - Thomas Hardy's AleE infine c’è l’ambizione. Non lo neghiamo. Ambiziosi lo siamo sempre stati. E oggi la nostra ambizione è addirittura duplice. Innanzitutto perché

77

fratello Ken Sierra Nevada, una delle più importanti realtà birrarie artigianali degli Usa. In Sierra Nevada ricopre il ruolo di Brewery Ambassador.***

«Confesso di non avere tutta questa confidenza con Thomas Hardy’s Ale. Almeno come bevitore. Ricordo di averne comprato una agli inizi degli Anni Ottanta e di come rimasi sorpreso dal fatto che il consumo fosse raccomandato con almeno 10 anni di invecchiamento. Al tempo il fatto di lasciar invecchiare una birra in bottiglia era quantomeno insolito. Putroppo, quello non era il modo abituale di consumarla. La maggior parte della Thomas Hardy’s Ale era bevuta nei locali di proprietà di Eldridge Pope senza la necessaria maturazione. Quando poi il birrificio e la proprietà dei locali a esso collegato si divisero, il mercato principale della Thomas Hardy’s Ale venne a mancare e questo, a mio avviso, fu ciò che affondò la Thomas Hardy’s Ale la prima volta…Una delle cose più interessanti tuttavia della produzione di Thomas Hardy’s Ale fatta da Eldridge Pope era che fosse prodotta, parzialmente, con alcune delle loro bitter. E la prima produzione assoluta, che era meno forte rispetto a quelle successive, prevedeva nella ricetta sia malto lager sia fiocchi di frumento. La birra stessa era in realtà un chiaro sviluppo del loro, meno alcolico, Goldie Barley Wine».

Ron Pattinson. Britannico, storico della birra. Autore del blog Shut up about Barclay Perkins.

Page 78: Indice - Thomas Hardy's AleE infine c’è l’ambizione. Non lo neghiamo. Ambiziosi lo siamo sempre stati. E oggi la nostra ambizione è addirittura duplice. Innanzitutto perché

78

Page 79: Indice - Thomas Hardy's AleE infine c’è l’ambizione. Non lo neghiamo. Ambiziosi lo siamo sempre stati. E oggi la nostra ambizione è addirittura duplice. Innanzitutto perché

79

Capitolo Settimo: Le voci del Web

Come concludere dunque questo libro? Ci ho pensato un po’ ma la scelta alla fine è stata facile. Da quando ha cominciato a girare la voce che Thomas Hardy’s Ale sarebbe tornata, Sandro e Michele Vecchiato hanno iniziato ad avvertire una sorta di vibrazione positiva, un misto di felicità e di attesa che arrivava non solo da importatori, distributori e publican ma anche da semplici appassionati, da ogni parte del pianeta. Quando poi, nell’autunno del 2012, è stato lanciato il nuovo sito ufficiale di Thomas Hardy’s Ale (www.thomashardysale.com) sono cominciati ad arrivare i messaggi degli appassionati. Questi messaggi sono il segno più tangibile di che cosa significhi Thomas Hardy’s Ale nel mondo della birra. E hanno stupito ed entusiasmato chi li ha letti.È per questo che ho voluto chiudere queste pagine dedicate all’avventura di Thomas Hardy’s Ale con le voci delle persone più importanti. Ovvero quelli che hanno amato questa birra e che l’amano ancora oggi, persone che custodiscono vecchie annate nelle loro cantine, gente che conservava l’ultima preziosa bottiglia e non sapeva quando aprirla proprio perché pensava fosse davvero l’ultima, amici di Thomas Hardy’s Ale che ora rivolgono complimenti e auguri a Sandro e Michele Vecchiato e li spronano ad andare avanti.Potete leggere qui di seguito una selezione di messaggi di queste persone sconosciute, ma appassionate ed entusiaste.

Questo libro è dedicato a loro.

Page 80: Indice - Thomas Hardy's AleE infine c’è l’ambizione. Non lo neghiamo. Ambiziosi lo siamo sempre stati. E oggi la nostra ambizione è addirittura duplice. Innanzitutto perché

80

Stuart McCance says: December 27, 2012 at 10:05 pmWhen & where will we be able to purchase the beautiful elixir please?

Stefaan Van Hoogenbemt says:January 3, 2013 at 3:39 pmCongratulations. I am looking forward to it. Please keep a few bottles for a poor Belgian home brewer ;-) . But will it be with that same yeast strain giving it the “pineapple” taste?

Håkan Torsson says:January 26, 2013 at 2:43 amGreetings from Sweden!Thank you for trying to bring Thomas Hardy’s back from the dead. This was my favourite beer and I still have 5 bottles of the old brew but they won’t last forever.I’m eagerly looking forward to seeing it on the shelves again.Good luck!

Adam McDermott says:February 19, 2013 at 7:00 pmI just wanted to say thank you so very much for the resurrection of this wonderful Ale. This was literally the

first beer that I had ever tried and enjoyed.

Robert Kraft says:March 17, 2013 at 4:39 pmI just opened one of the 25-30 bottles that I have hoarded for the past 5 years, then decided to see if there was any new news. I am so happy to see that I won’t have to spread these bottles out over the rest of my life, I may go pop another!!!! Can’t wait to try the new batch.

Josh says:March 28, 2013 at 6:28 pmIt’s exciting to see that this beer may come back into production. I’m glad that it’s being done for the right reason: love of quality beer. I hope this makes it to Canada when the first batches roll off the line. Looking forward to it, and wishing you the best of luck!

Kevin says:November 18, 2013 at 2:35 pmHow is the progress coming? I saw the “Raw Materials” post in October. It got me excited. Is there any talk of a brew date or a release date yet?

Page 81: Indice - Thomas Hardy's AleE infine c’è l’ambizione. Non lo neghiamo. Ambiziosi lo siamo sempre stati. E oggi la nostra ambizione è addirittura duplice. Innanzitutto perché

81

Respectfully,+ Kevin

Alan Medley says:December 7, 2013 at 10:11 pmHaving just found your website I look forward to tasting what I consider the nectar of the gods again. I hope it will be produced and sold in bottles, not in tins. I hope it will be produced in nips, 180ml bottles.

JimTK says:December 23, 2013 at 8:16 amThe best beer in the world, ever!Believe me this ale is awesome…Even the astonishing and excellent Brewdog’s and DeMolen’s ones are not so great than the Thomas Hardy’s Ale ! I’ve only one 1999 bottle left and live only for the day I will drink a Thomas Hardy again :)

Andrew Alden says:March 9, 2014 at 10:57 pmI have been nursing a set of bottles of the 1994 and 1995 vintages. Today I opened one of the 1994s and find it an extraordinary experience. I would not describe it as sherry- or even port-like. It’s like one of those

dark chocolates filled with liquid toffee, infusing my entire head with its flavor. I am so fortunate to have held on to these. Why, I must have been gifted with great foresight! I can only hope I’ve retained as much perspicacity as this ale has retained virtue.

Glen Groudle says:August 3, 2014 at 7:10 pmWhat great news, Thomas Hardy’s Ale is my most favourite of all time. Do not rush, it will last years, when you finally open it, slowly pour into a jug in one slow pour avoiding the sediment, then leave it to stand for an hour or two before pouring into glass, it will improve the flavour.Last year 2013 I had my oldest bottle 1988, it had a slight ‘cellar must’ initially but drunk the afore mentioned way was fine.

Page 82: Indice - Thomas Hardy's AleE infine c’è l’ambizione. Non lo neghiamo. Ambiziosi lo siamo sempre stati. E oggi la nostra ambizione è addirittura duplice. Innanzitutto perché

82

Page 83: Indice - Thomas Hardy's AleE infine c’è l’ambizione. Non lo neghiamo. Ambiziosi lo siamo sempre stati. E oggi la nostra ambizione è addirittura duplice. Innanzitutto perché

83Thomas Hardy’s Ale vintage 2016

Page 84: Indice - Thomas Hardy's AleE infine c’è l’ambizione. Non lo neghiamo. Ambiziosi lo siamo sempre stati. E oggi la nostra ambizione è addirittura duplice. Innanzitutto perché

84Thomas Hardy The Historical Ale 2016,maturata per sei mesi in botti di Cognac Hine

Page 85: Indice - Thomas Hardy's AleE infine c’è l’ambizione. Non lo neghiamo. Ambiziosi lo siamo sempre stati. E oggi la nostra ambizione è addirittura duplice. Innanzitutto perché

85

Ringraziamenti

Le persone da ringraziare sono davvero tante e sono sicuro che mi dimenticherò di qualcuno. Ma innanzitutto è ovvio e doveroso ringraziare Sandro e Michele Vecchiato: per aver avuto il coraggio di accettare la sfida di Thomas Hardy’s Ale e di chiedere a me questo lavoro. Un ringraziamento va anche a tutti coloro, birrai e beerwriters di tutto il mondo, che hanno dedicato un po’ del loro tempo per regalarmi le loro riflessioni su Thomas Hardy’s Ale, affascinati come sono io dalla storia di questa birra così leggendaria. Ringraziamenti particolari vanno infine a Derek Prentice, che ha provato spero con successo a trasferirmi uno spicchio della sua grande esperienza, ad Alastair Hook, della cui cultura birraria sono debitore, a Ciaran Giblin, per alcune spiegazioni tecniche e a Matteo Zamboni, insostituibile coordinatore di questo libro.Infine un grazie di cuore a mia moglie Valentina per aver letto in anteprima il testo e avermi spronato nei momenti di difficoltà.

Page 86: Indice - Thomas Hardy's AleE infine c’è l’ambizione. Non lo neghiamo. Ambiziosi lo siamo sempre stati. E oggi la nostra ambizione è addirittura duplice. Innanzitutto perché

86

Bibliografia

- P.R. Kelly, The Huntsman, Spring 1968- John Hansell, A Vintage Tasting of Thomas Hardy’s Ale, The

Malt Advocate 1994- Michael Jackson, The World Guide to Beer, Quarto

Publishing 1977- Roger Protz, The Ale Trail, Eric Dobby Publishing 1995- Jeff Evans, Hardy’s back, What’s Brewing 2004- Michel Hooper-Immins, Dorset Lives – A glass half-full,

The Dorset Magazine 2010- Garrett Oliver, The Brewmaster’s Table, HarperCollins 2003- Garrett Oliver, The Oxford Companion to Beer, Oxford

University Press 2012- Adrian Tierney-Jones, 1001 Beers You Must Taste Before

You Die, Quintessence 2010- Martyn Cornell, Amber Gold & Black – The History of

Britain’s Great Beers, The History Press 2010- Stephen Hannigan, www.thomashardysale.org.uk- Ron Pattinson, www.barclayperkins.blogspot.nl

Page 87: Indice - Thomas Hardy's AleE infine c’è l’ambizione. Non lo neghiamo. Ambiziosi lo siamo sempre stati. E oggi la nostra ambizione è addirittura duplice. Innanzitutto perché

87

L’autore

Veneziano di nascita, milanese di adozione Maurizio Maestrelli è un giornalista professionista formatosi nella cronaca locale a Venezia e successivamente a Parma. Nel 1997 la passione per le birre lo porta a

collaborare con la rivista di settore Il Mondo della Birra. Da allora i suoi articoli sono apparsi su svariate riviste (Gambero Rosso, Barbusiness, Civiltà del Bere, Origine, Panorama Economy, i magazine dell’Associazione Italiana Sommelier …) e siti online. Ha scritto diversi libri birrari, partecipato come giudice a numerosi concorsi birrari internazionali e si occupa anche di consulenza per aziende e organizzazioni del settore. Nel 2014 ha ideato e organizzato la prima edizione della Milano Beer Week. Twitter @birragenda

Page 88: Indice - Thomas Hardy's AleE infine c’è l’ambizione. Non lo neghiamo. Ambiziosi lo siamo sempre stati. E oggi la nostra ambizione è addirittura duplice. Innanzitutto perché

88

In “The Trumpet Major” Thomas Hardy descrisse così la Strong Ale di Dorchester: “Era del colore più bello che l'occhio di un artista potesse desiderareper una birra: robusta e forte come un vulcano; piccante, senza essere pungente;

luminosa come un tramonto d’autunno; dal sapore uniforme, ma, alla fine,piuttosto inebriante. Il popolo l'adorava, la gente per bene l'amava più del vino”.