INDICE SEZIONE PRIMA - DIRITTO PENALE · Sottrazione o danneggiamento di cose sottoposte a...

48
I INDICE SEZIONE PRIMA - DIRITTO PENALE Attività di gestione di rifiuti non autorizzata Violazione deposito temporaneo - Prodotto da attività imprenditoriale - Caso fortuito - Criterio differenziale - Esclusione del reato * Trib. Venezia, Comp. Monoc., Sez. Dolo, Sent. 10.11.2005, pag. 12 n. 10 (con nota di P. De Falco) Art. 14 co. 5 ter, prima parte, D. Lvo 286/1998, come sostituito dall’art. 1 c.5 bis L. 12/11/2004 Incongruità della pena - Violazione degli artt. 3 e 27 Cost. - Rilevanza - Giudice a quo d’ufficio: Corte d’Appello di Venezia * Corte Appello Venezia, III Sez, Ord. 4.10.2005, pag. 1 n. 1 (con nota di I. Da Re) Delitti contro l’industria e il commercio Frodi contro le industrie nazionali - Frode nell’esercizio del commercio - Vendita di prodotti industriali con segni mendaci - Fattispecie relativa a sequestro di merci recanti loghi che parafrasano quelli originali - Sussistenza del fumus dei delitti contestati - Esclusione - Ragioni * Trib. Venezia, Sez. Ries., Ord. 22.12.05, pag. 4 n. 3 (con nota di F. Cappelletti) Delitti contro il patrimonio mediante frode Ricettazione - Fattispecie relativa a sequestro di merci recanti loghi che parafrasano quelli originali - Sussistenza del fumus del delitto contestato - Esclusione - Ragioni * Trib. Venezia, Sez. Ries., Ord. 22.12.05, pag. 4 n. 3 (con nota di F. Cappelletti) Diffamazione Comminazione della pena della permanenza domiciliare o del lavoro di pubblica utilità - Termine prescrizionale di tre anni - Applicabilità - Ragioni * Trib. Venezia, Comp. Monoc. Sede Mestre, Sent. 30.1.2006, pag. 4 n. 2 Distruzione o deturpamento di bellezze naturali Installazione in area sottoposta a vincolo paesaggistico di stazione radio base per la telefonia mobile - Collocazione di ripetitore su veicolo gommato ancorato al terreno con staffe - Alterazione dello stato naturale delle cose sottoposte a vincolo - Insufficienza - Distruzione delle bellezze protette - Prova - Necessità * Trib. Venezia, Comp. Monoc. Sez. Portogruaro, Sent. 17.10.2005, pag. 10 n. 7 Disturbo delle occupazioni o del riposo delle persone Attività commerciale - Inquinamento acustico - Rilevamento dell’intensità del rumore - D.M. 16/03/1998 n. 76 allegato A n. 11 e 12 - Prescrizioni metodologiche - Criterio differenziale - Osservanza - Necessità * Trib. Venezia, Comp. Monoc. Sez. Portogruaro, Sent. 18.11.2005, pag. 11 n. 9 Edilizia ed urbanistica Costruzione abusiva (in assenza autorizzazione edilizia) - Violazione vincolo paesaggistico ex L. 1497/39 - Reato edilizio art. 20 lett. c) L. 47/85 - Esclusione per precarietà dell’opera - Reato ambientale art. 163 D.L.vo 490/99 ora 181 D.L.vo 42/04 - Estinzione per intervenuta rimessione in pristino * Trib. Venezia, Comp. Monoc. Sede Mestre, Sent. 12.5.2005, pag. 9 n. 6 (con nota di A. Muffato) Falsità in sigilli o strumenti o segni di autenticazione, certificazione o riconoscimento Introduzione nello stato e commercio di prodotti con segni falsi - Fattispecie relativa a sequestro di merci recanti loghi che parafrasano quelli originali - Sussistenza del fumus del delitto contestato - Esclusione - Ragioni * Trib. Venezia, Sez. Ries., Ord. 22.12.05, pag. 4 n. 3 (con nota di F. Cappelletti) Ricettazione Accertamento del reato presupposto - Prova della commissione del delitto presupposto - Dubbio circa la sussistenza del delitto presupposto * Trib. Venezia, Uff. del G.I.P., Sent. 25.01.2006, pag. 8 n. 5 (con nota di P. De Falco) Sottrazione o danneggiamento di cose sottoposte a sequestro disposto nel corso di un procedimento penale o dall’autorità amministrativa Fatto commesso dal proprietario della cosa non affidata alla sua custodia - Fermo amministrativo di autovettura -Trasferimento a qualsiasi titolo a terzi del bene oggetto del provvedimento dell’autorità

Transcript of INDICE SEZIONE PRIMA - DIRITTO PENALE · Sottrazione o danneggiamento di cose sottoposte a...

Page 1: INDICE SEZIONE PRIMA - DIRITTO PENALE · Sottrazione o danneggiamento di cose sottoposte a sequestro disposto nel corso di un procedimento penale o dall’autorità amministr ativa

I

INDICE

SEZIONE PRIMA - DIRITTO PENALE Attività di gestione di rifiuti non autorizzata Violazione deposito temporaneo - Prodotto da attività imprenditoriale - Caso fortuito - Criterio differenziale - Esclusione del reato * Trib. Venezia, Comp. Monoc., Sez. Dolo, Sent. 10.11.2005, pag. 12 n. 10 (con nota di P. De Falco) Art. 14 co. 5 ter, prima parte, D. Lvo 286/1998, come sostituito dall’art. 1 c.5 bis L. 12/11/2004 Incongruità della pena - Violazione degli artt. 3 e 27 Cost. - Rilevanza - Giudice a quo d’ufficio: Corte d’Appello di Venezia * Corte Appello Venezia, III Sez, Ord. 4.10.2005, pag. 1 n. 1 (con nota di I. Da Re) Delitti contro l’industria e il commercio Frodi contro le industrie nazionali - Frode nell’esercizio del commercio - Vendita di prodotti industriali con segni mendaci - Fattispecie relativa a sequestro di merci recanti loghi che parafrasano quelli originali - Sussistenza del fumus dei delitti contestati - Esclusione - Ragioni * Trib. Venezia, Sez. Ries., Ord. 22.12.05, pag. 4 n. 3 (con nota di F. Cappelletti) Delitti contro il patrimonio mediante frode Ricettazione - Fattispecie relativa a sequestro di merci recanti loghi che parafrasano quelli originali - Sussistenza del fumus del delitto contestato - Esclusione - Ragioni * Trib. Venezia, Sez. Ries., Ord. 22.12.05, pag. 4 n. 3 (con nota di F. Cappelletti) Diffamazione Comminazione della pena della permanenza domiciliare o del lavoro di pubblica utilità - Termine prescrizionale di tre anni - Applicabilità - Ragioni * Trib. Venezia, Comp. Monoc. Sede Mestre, Sent. 30.1.2006, pag. 4 n. 2 Distruzione o deturpamento di bellezze naturali Installazione in area sottoposta a vincolo paesaggistico di stazione radio base per la telefonia mobile - Collocazione di ripetitore su veicolo gommato ancorato al terreno con staffe - Alterazione dello stato naturale delle cose sottoposte a vincolo - Insufficienza - Distruzione delle bellezze protette - Prova - Necessità * Trib. Venezia, Comp. Monoc. Sez. Portogruaro, Sent. 17.10.2005, pag. 10 n. 7 Disturbo delle occupazioni o del riposo delle persone Attività commerciale - Inquinamento acustico - Rilevamento dell’intensità del rumore - D.M. 16/03/1998 n. 76 allegato A n. 11 e 12 - Prescrizioni metodologiche - Criterio differenziale - Osservanza - Necessità * Trib. Venezia, Comp. Monoc. Sez. Portogruaro, Sent. 18.11.2005, pag. 11 n. 9 Edilizia ed urbanistica Costruzione abusiva (in assenza autorizzazione edilizia) - Violazione vincolo paesaggistico ex L. 1497/39 - Reato edilizio art. 20 lett. c) L. 47/85 - Esclusione per precarietà dell’opera - Reato ambientale art. 163 D.L.vo 490/99 ora 181 D.L.vo 42/04 - Estinzione per intervenuta rimessione in pristino * Trib. Venezia, Comp. Monoc. Sede Mestre, Sent. 12.5.2005, pag. 9 n. 6 (con nota di A. Muffato) Falsità in sigilli o strumenti o segni di autenticazione, certificazione o riconoscimento Introduzione nello stato e commercio di prodotti con segni falsi - Fattispecie relativa a sequestro di merci recanti loghi che parafrasano quelli originali - Sussistenza del fumus del delitto contestato - Esclusione - Ragioni * Trib. Venezia, Sez. Ries., Ord. 22.12.05, pag. 4 n. 3 (con nota di F. Cappelletti) Ricettazione Accertamento del reato presupposto - Prova della commissione del delitto presupposto - Dubbio circa la sussistenza del delitto presupposto * Trib. Venezia, Uff. del G.I.P., Sent. 25.01.2006, pag. 8 n. 5 (con nota di P. De Falco) Sottrazione o danneggiamento di cose sottoposte a sequestro disposto nel corso di un procedimento penale o dall’autorità amministrativa Fatto commesso dal proprietario della cosa non affidata alla sua custodia - Fermo amministrativo di autovettura -Trasferimento a qualsiasi titolo a terzi del bene oggetto del provvedimento dell’autorità

Page 2: INDICE SEZIONE PRIMA - DIRITTO PENALE · Sottrazione o danneggiamento di cose sottoposte a sequestro disposto nel corso di un procedimento penale o dall’autorità amministr ativa

II

amministrativa - Prova - Necessità * Trib. Venezia, Comp. Monoc. Sez. Portogruaro, Sent. 17.10.2005, pag. 11 n. 8 Stupefacenti Presunta attività di spaccio - Uso personale - Rilevanza Penale - Esclusione - Condizioni Tribunale Ordinario di Venezia - Sezione del Giudice per le Indagini Preliminari - Sent. n. 546 del 28.6.2005, pag. 7 n. 4 (con nota di A. Muffato)

SEZIONE SECONDA - DIRITTO PROCESSUALE PENALE Ammissibilità della rinuncia all’opposizione al decreto penale di condanna Condanna alla rifusione delle spese della Parte Civile costituita - Ragioni * Trib. Venezia, Comp. Monoc. sede Mestre, Ord. 19.12.2005, pag. 25 n. 14 Cassazione Annullamento senza rinvio della sentenza di “patteggiamento” - Effetto estensivo ex art. 587 c.p.p. a favore del coimputato non ricorrente - Condizioni - Modalità - Contenuto * Corte Appello Venezia; IV Sez., Sent. 16.12.2005, pag. 16 n. 12 (con nota di P. Loprieno) Detenzione domiciliare Nuova previsione ex art. 7 comma 4 L. 251/05 - Immediata applicabilità ai procedimenti di esecuzione in corso - Ragioni * Trib. Sorv. Venezia, Ord. 24.1.2006, pag. 25 n. 15 Efficacia del decreto di irreperibilità emesso contestualmente all’emissione dell’avviso di conclusione delle indagini preliminari nella successiva fase del giudizio Insussistenza dei profili di nullità del decreto di citazione a giudizio per asserita violazione dell’art. 160 c.p.p. * Trib.Venezia, Comp. Monoc., Sede Mestre, Ord. 22.9.2005, pag. 26 n. 16 Giudizio abbreviato Divieto di utilizzazione di documenti prodotti dalla difesa nel corso dell’udienza preliminare - Indagini difensive - Esclusione - Ragioni * Trib. Venezia, Uff. del G.I.P., Ord. 10.01.06, pag. 24 n. 13 Inefficacia del decreto di irreperibilità emesso contestualmente all’emissione dell’avviso di conclusione delle indagini preliminari nella successiva fase del giudizio Violazione del disposto di cui all’art. 160 c.p.p. - Nullità del decreto di citazione a giudizio * Trib. Venezia, Comp. Monoc., Sede Mestre, Ord. 22.12.2005, pag. 26 n. 17 Misure cautelari Concetto di “riscontro individualizzante” - Limiti - Ragioni * Trib. Venezia, Sez. Ries., Ord. 2.3.2006, pag. 14 n. 11

Spontanee dichiarazioni rese dall’indagato in assenza del difensore - Utilizzabilità - Ragioni * Trib. Venezia, Sez. Ries., Ord. 2.3.2006, pag. 14 n. 11

SEZIONE TERZA - DOTTRINA E DOCUMENTI Misure cautelari Personali - Impugnazioni - Appello - In genere - Procedimento per la revoca della misura - Dichiarazioni confessorie rese dall’indagato in sede di udienza cerale - Dovere del tribunale di tenerne conto a i fini della decisione - Sussistenza * Corte Cassazione, II sez., Sent. 17.7.1999, pag. 27 n. 1 (con nota di A. Risi) Impugnazione Parte Civile Sentenza di assoluzione - Art. 10 co. 2 e 3 L. 20.2.2006 n. 46 (c.d. legge Pecorella) - Illegittimità costituzionale per violazione artt. 3, 111 Cost. * Corte Appello Venezia, II Sez., Ord. 15.3.2006, pag. 34 n. 2 (con nota di L. Ravagnan) Ma l’avviso ex art. 415 bis c.p.p. può interrompere il corso della …... storia processuale? (di F. Bassetto e M. Vianello), pag. 41 n.3

Page 3: INDICE SEZIONE PRIMA - DIRITTO PENALE · Sottrazione o danneggiamento di cose sottoposte a sequestro disposto nel corso di un procedimento penale o dall’autorità amministr ativa

1

SEZIONE PRIMA - DIRITTO PENALE

1 Corte d’Appello di Venezia - Sezione Terza Penale - Ord. 4.10.2005 - Pres. Est. Scarpari - Imp. XY Art. 14 co. 5 ter, prima parte, D. L.vo 286/1998, come sostituito dall’art. 1 co. 5 bis L. 12/11/2004 - Incongruità della pena - Violazione degli artt. 3, 27 Cost. - Rilevanza - Giudice a quo d’ufficio: Corte d’Appello di Venezia (Art. 14 co. 5 ter prima parte, D. L.vo 286/1998, come sostituito dall’art. 1 co. 5 bis L. 12/11/2004, art. 3 co. 1 e 27 co. 3 Cost.)

E’ rilevante e non manifestamene infondata, tanto da essere sollevata d’ufficio dalla Corte Territoriale, la questione di legittimità costituzionale, in relazione al parametro costituzionale individuato dagli artt. 3 co. 1 e 27 co. 3 Cost., dell’art. 14 co. 5 ter prima parte, D. L.vo 286/1998, come sostituito dall’art. 1 co. 5 bis L. 12/11/2004 nella parte in cui prevede la pena della reclusione da uno a quattro anni (anteriormente alla modifica apportata dalla Legge 271/2004 il medesimo fatto veniva sanzionato con la pena dell’arresto da sei mesi ad un anno).

L’Ordinanza così motiva: (Omissis) - XY veniva tratto in arresto il 6.4.2005 ai sensi dell’articolo 14 co. 5 ter D.Lvo. 286/98 così come modificato dalla legge 12.11.2004 n. 271, perché, espulso con decreto prefettizio e con intimazione del Questore di lasciare l’Italia entro il termine di cinque giorni, si era trattenuto “senza motivo” nel territorio nazionale; processato con rito abbreviato dal Tribunale Monocratico di Verona, era stato riconosciuto responsabile del delitto ascrittogli e condannato alla pena di mesi otto di reclusione, senza benefici; avverso tale decisione, la difesa aveva proposto rituale impugnazione, ottenendo, nelle more del giudizio di secondo grado, la scarcerazione del prevenuto, incensurato e privo di precedenti di polizia (vedi ordinanza 26/08/2005 della Corte d’Appello di Venezia); la celebrazione del processo veniva poi fissata per l’udienza odierna.

La Corte osserva preliminarmente che il delitto in esame prevede, per lo straniero che si rende inadempiente all’ordine dell’espulsione, la pena della reclusione da 1 a 4 anni, laddove in precedenza, per la stessa violazione, era stabilita quella dell’arresto da sei mesi ad un anno, con la conseguenza che il massimo della pena della precedente ipotesi contravvenzionale corrisponde ora al minimo edittale del nuovo delitto; ritiene pertanto che tale macroscopico inasprimento della sanzione contrasti con i criteri di proporzionalità e ragionevolezza, con il principio di uguaglianza (art. 3 co. 1 Cost.) e con il fine rieducativo della pena (art. 27 co. 3 Cost.), principi cardine del nostro ordinamento e, di conseguenza, solleva, di ufficio, eccezione di legittimità costituzionale della norma in esame sotto questo duplice profilo.

Secondo la giurisprudenza della Corte Costituzionale, infatti, il principio di cui all’art. 3 co. 1 Cost. “esige che la pena sia proporzionata al disvalore del fatto illecito commesso, in modo che il sistema sanzionatorio adempia nel contempo alla funzione della difesa sociale e a quello della tutela delle posizioni individuali” (sentenza 409/89); e proprio rilevando un “bilanciamento irragionevole” tra il bene tutelato dalla norma e quello della libertà personale del soggetto agente, la Corte ha infatti dichiarato “illegittimo”, perché sproporzionato, il minimo edittale previsto dall’art. 341 c.p. in materia di oltraggio a Pubblico Ufficiale (sentenza 341/94).

La stessa Corte ha inoltre affermato che la mancanza di proporzionalità rispetto ai fatti reato vanifica il fine rieducativo della pena sancito dall’art. 27 co. .3 c.p. (ndr cost) (sentenza n. 343/93), poiché necessario che il destinatario della stessa si renda conto del torto commesso e ritenga “giusta” la sanzione stabilita dalla legge; principio questo che è ormai divenuto patrimonio comune

Page 4: INDICE SEZIONE PRIMA - DIRITTO PENALE · Sottrazione o danneggiamento di cose sottoposte a sequestro disposto nel corso di un procedimento penale o dall’autorità amministr ativa

2

della cultura giuridica europea, ora recepito anche formalmente da quella Costituzione (art. II-109, u.p.: “le pene inflitte non devono essere sproporzionate rispetto al reato).

Orbene, il legislatore del 2002 aveva compiuto, al tempo della legge 189/2002, una propria, discrezionale, valutazione del fenomeno dell’immigrazione clandestina, ritenendo che, per svolger un’efficace attività di contrasto, il bilanciamento degli interessi in gioco, esigenze di ordine pubblico da un lato, diritti di libertà personale, dall’altro, trovava il suo punto d’equilibrio introducendo una fattispecie contravvenzionale, che puniva, con l’arresto da sei mesi ad un anno, lo straniero irregolare che violava l’ordine di allontanamento emesso dal Questore nei suoi confronti (vedi art. 13 c. 5 ter legge 189/2002).

Dopo soli due anni, il legislatore è intervenuto nuovamente, con un emendamento approvato in sede di conversione del D.L. 14.09.2004, ed ha trasformato la contravvenzione in un delitto, raddoppiando il minimo edittale della pena e quadruplicandone il massimo: ma né l’autore dell’emendamento, né il relatore della legge hanno fatto riferimento ad un eventuale, vistoso, incremento del fenomeno dell’immigrazione clandestina, unico fatto questo, in grado di fornire una giustificazione razionale al provvedimento in tal modo varato (secondo dati elaborati dalla Commissione Europea il numero delle effettive espulsioni di cittadini extracomunitari dall’Italia nei due anni considerati sarebbe addirittura in costante diminuzione: 25226 nel 2002, 19729 nel 2003, 17200 nel 2004); di contro, proprio l’esame dei lavori delle Camere consente di individuare la “ragione” unica dell’emendamento, esplicitata dallo stesso relatore della legge, che ha spiegato come questo inasprimento di pena si fosse reso necessario per continuare ad arrestare e mantenere in carcere il disobbediente, dopo che “la mannaia della Corte Costituzionale” aveva il 20.07.2004, dichiarato illegittima la precedente normativa elaborata sul punto (v. A.C. 5369, discussione del 2.11.2004).

In tal modo il legislatore non ha solo introdotto nell’ordinamento una pena sproporzionata ed incongrua rispetto a quella prevista per quello stesso fenomeno solamente due anni prima, violando gli art. 3 e 27 Cost., ma ha inserito nell’ordinamento un ulteriore elemento di irragionevolezza, piegando il diritto penale sostanziale alle esigenze di quello processuale e ponendo entrambi al sostegno dell’autorità di polizia, con un inversione dei piani e dei ruoli istituzionali di tutta evidenza.

Ma il principio di cui all’art. 3 Cost. appare violato anche sotto un diverso, ma altrettanto significativo, profilo, quello dell’irragionevole trattamento differenziato che viene in tal modo predisposto per la disciplina di casi sostanzialmente analoghi.

Il comportamento di chi non osserva l’ordine impartito dalla pubblica autorità, nella tradizione giuridica del nostro Paese, è stato a volte sanzionato solo in via amministrativa (la violazione delle ordinanze sindacali: art. 106 co. 2 R.D. n. 383/1934, dopo la depenalizzazione di cui alla legge 706/75), a volte invece in sede penale (in materia appunto di pubblica sicurezza: art. 263 TULPS; ma, in questo caso, sin dai tempi del codice Rocco, questo reato è sempre stato configurato quale fattispecie contravvenzionale, come prevede appunto la principale norma di riferimento in materia, l’art. 650 c.p., che consente di punire anche con la sola ammenda “chiunque” non osservi “un provvedimento legalmente dato dalla pubblica autorità per ragioni…di sicurezza o d’ordine pubblico…”; ed è significativo che perfino il legislatore del 1938, per sanzionare gli stranieri ebrei “inottemperanti” all’ordine di lasciare il paese dopo la promulgazione delle leggi razziali, non si fosse allontanato da questa tradizione, limitandosi a prevedere una nuova ipotesi di contravvenzione, sempre punita con la pena alternativa dell’arresto o dell’ammenda (v. art. 24 co. 2 R.DL. 17/11/1938 n. 1728).

In entrambi i casi, quello disciplinato dall’art 650 c.p. e quello previsto dalla norma che qui si censura, ci si trova di fronte a “reati di inottemperanza”, posti entrambi a tutela di un comando emanato da un autorità amministrativa e caratterizzati per ciò da rilevanti analogie strutturali per quanto riguarda il comportamento sanzionato e il bene protetto.

Proprio per questo, la drastica divaricazione nella quantità e nella qualità delle sanzioni oggi previste tra i due reati, non razionalmente fondata, appare volutamente discriminatoria, nei confronti dello straniero irregolare, che, se riconosciuto colpevole, verrebbe ad essere sanzionato con una pena che già nel limite minimo di un anno, appare sproporzionata rispetto a quella prevista dall’art. 650 c.p., che lo prevede in 5 giorni d’arresto o in 2 euro d’ammenda.

Page 5: INDICE SEZIONE PRIMA - DIRITTO PENALE · Sottrazione o danneggiamento di cose sottoposte a sequestro disposto nel corso di un procedimento penale o dall’autorità amministr ativa

3

Ancora più incongrua, se possibile, appare la disciplina introdotta dalla norma in esame se comparata con il trattamento previsto dagli art. 2 legge 1423/56 e 163 TULPS per coloro che, muniti di foglio di via obbligatorio, abbiano ricevuto l’intimazione di raggiungere il luogo di residenza e non vi abbiano ottemperato nel termine previsto.

Identica è, nelle due ipotesi, la struttura del reato (ordine del Questore, obbligo di allontanamento, inottemperanza), ma in questo secondo caso il provvedimento può colpire solo persone risultate “pericolose per la sicurezza pubblica” (art. 2 L. cit.); mentre l’art. 14 cit. non richiede un analogo accertamento per lo straniero che si vuole allontanare.

Malgrado questo, il residente “pericoloso”, se inadempiente, è punibile con una pena da 1 a sei mesi d’arresto per il reato contravvenzionale, mentre lo straniero “non pericoloso” è punibile, come visto, con la ben maggiore pena da 1 a 4 anni di reclusione per il medesimo comportamento, ora definito delittuoso.

Anche sotto questo ulteriore profilo, la norma in esame, appare in contrasto con gli art., 3 co. 1 e 27 co.3 Cost..

Si solleva pertanto, con riferimento a detti articoli, la questione di legittimità costituzionale dell’art. 14 co. 5 ter, prima parte, D. Lgs. 25.7.98 n. 286, come sostituito dall’art. 1 co. 5 bis L. 12.11.2004, perché non manifestamente infondata e perché rilevante nel caso di specie, dato che la nuova qualificazione del reato ed il drastico irragionevole aumento della sanzione ivi prevista avranno incidenza sulla posizione processuale del prevenuto, nel caso la sua penale responsabilità, affermata in primo grado, dovesse essere anche in questa sede, riconosciuta. (omissis) NOTA

L’ordinanza della Corte d’Appello di Venezia, va ad aggiungersi ad analoghe questioni di illegittimità costituzionale sollevate in diverse parti d’Italia (a titolo d’esempio si veda Tribunale di Genova, ord. 10 dicembre 2004, Tribunale di Torino, ord. 6 dicembre 2005): malgrado ciò, l’accoglimento della relativa eccezione, sollevata dalle difese (con specifico riferimento alle argomentazioni dedotte della Corte d’Appello) non ha trovato, nel territorio veneziano, un riscontro uniforme.

E difatti, allo stato, seppur con diverse argomentazioni, il Tribunale di Venezia, in composizione Monocratica - Sede di Mestre, Sezione distaccata di Chioggia e di Dolo hanno ritenuto di respingere la questione di legittimità costituzionale sollevata dalle difese, ritenendola di fatto infondata.

Segnatamente, il giudice di Dolo nel rigettare l’eccezione ha precisato che “il giudice pur riconoscendo l’interesse della questione sollevata, atteso che questo stesso Tribunale in precedenti giudizi di analoga natura, seppur risalenti a qualche mese fa, ha ritenuto di sollevare analoga questione avanti la Corte delle leggi, tuttavia ‘res melius perpensa’ ritenuta che la valutazione circa la natura e l’entità delle pene attribuite ad un determinato fatto considerato reato in considerazione del disvalore sociale dello stesso rientri nella tipica esplicazione dell’autonomia del potere legislativo, le cui politiche di repressione dei fatti considerati reati possono anche variare nel tempo, anche ravvicinato, in considerazione dell’importanza contingente del bene tutelato, ritenuto che l’equiparazione con l’art. 650 c.p., seppure effettivamente soggettiva ed interessante, non può trovare accoglimento attesa la sostanziale differenza tra le ipotesi di reato in considerazione con particolare riguardo ai destinatari delle norme stesse ed al rilievo sociale del bene in senso lato che essi tendono a tutelare e conservare……PQM rigetta l’eccezione”:

Per contro, l’eccezione è stata accolta dal Tribunale di Verona - in Composizione Monocratica, e dal Tribunale di Venezia in Composizione Monocratica Sezione Distaccata di San Donà.

Nello specifico, il Giudice veronese, oltre ad aderire pienamente alle pregevoli osservazioni svolte dalla Corte d’Appello di Venezia, ha aggiunto che: “La norma di cui all’art. 14 co. 5 ter D.L.vo 286/98, inoltre, introduce un classico reato ostacolo (ponendo

Page 6: INDICE SEZIONE PRIMA - DIRITTO PENALE · Sottrazione o danneggiamento di cose sottoposte a sequestro disposto nel corso di un procedimento penale o dall’autorità amministr ativa

4

chi non abbandona il territorio dello Stato, per pericolo che ivi commetta reati per lo più contro il patrimonio) con pena superiore a quella prevista per la maggior parte dei delitti contro il patrimonio non aggravati (furto, truffa, appropriazione indebita semplici); ed anche per tale verso appare porsi in violazione dell’art. 3 cost., non apparendo conforme ad eguaglianza punire l’autore del delitto ostacolo con pena maggiore di quella prevista per l’autore del delitto che si vuole ostacolare e che si pone in termini di immediata e concreta violazione dei beni interessi protetti dalla norma penale”.

Ugualmente il Giudice di San Donà, nel ritenere la questione rilevante e non manifestamente infondata (sospendendo di fatto il relativo giudizio in attesa della pronuncia della Corte Costituzionale) ha altresì rilevato che “il fatto di aver rialzato la pena e di aver riqualificato il fatto come delitto impedisce l’applicazione di quell’art. 16 della stessa legge (ndr che prevede l’espulsione a titolo di sanzione sostitutiva o alternativa alla detenzione): dispone, difatti, l’art.16 co. 3 che l’espulsione non possa essere disposta per il delitti previsti dal presente testo unico, puniti con pena edittale superiore nel massimo a due anni, così di fatto rendendo inapplicabile tale sanzione sostitutiva al reato de quo.

Non resta, pertanto, che attendere l’autorevole pronuncia della Corte in merito a questa ed alle altre questioni sollevate con riferimento al D.L.vo 25 luglio 1998 n. 286 e successive modifiche. [Isabella Da Re]

2 Tribunale Ordinario di Venezia - Comp. Monoc. Sede di Mestre - Sent. n. 136 del 30.1.2006 - Est. Lancieri - Imp. XY Diffamazione - Comminazione della pena della permanenza domiciliare o del lavoro di pubblica utilità - Termine prescrizionale di tre anni - Applicabilità - Ragioni (Art. 595 c.p.; art. 157 c.p. novellato dalla L. 251/05) Nel caso di reato di diffamazione, in applicazione dell’art. 2 comma 3 c.p.p., si deve applicare la pena della detenzione domiciliare o del lavoro di pubblica utilità; trattandosi quindi di pene diverse da quella detentiva e da quella pecuniaria, dovrà trovare applicazione il nuovo termine prescrizionale di tre anni previsto dall’art. 6 comma 4 della L. 251/05 che ha modificato l’art. 157 c.p.

3 Tribunale Ordinario di Venezia - Sezione Riesame - Ord. 22.12.05 - Pres. Est. Caparelli - Imp. XY Falsità in sigilli o strumenti o segni di autenticazione, certificazione o riconoscimento - Introduzione nello stato e commercio di prodotti con segni falsi - Fattispecie relativa a sequestro di merci recanti loghi che parafrasano quelli originali - Sussistenza del fumus del delitto contestato - Esclusione - Ragioni (Art. 474 c.p.; art. 355 c.p.p.) Delitti contro l’industria e il commercio - Frodi contro le industrie nazionali - Frode nell’esercizio del commercio - Vendita di prodotti industriali con segni mendaci -

Page 7: INDICE SEZIONE PRIMA - DIRITTO PENALE · Sottrazione o danneggiamento di cose sottoposte a sequestro disposto nel corso di un procedimento penale o dall’autorità amministr ativa

5

Fattispecie relativa a sequestro di merci recanti loghi che parafrasano quelli originali - Sussistenza del fumus dei delitti contestati - Esclusione - Ragioni (Artt. 514, 515 e 517 c.p.; art. 355 c.p.p.) Delitti contro il patrimonio mediante frode - Ricettazione - Fattispecie relativa a sequestro di merci recanti loghi che parafrasano quelli originali - Sussistenza del fumus del delitto contestato - Esclusione - Ragioni (Art. 648 c.p.; art. 355 c.p.p.)

Nel caso in cui siano attinte da provvedimento di sequestro merci recanti loghi che si limitino a parafrasare l’aspetto di quelli originali, differenziandosi, tuttavia, da questi in modo evidente e presentando, altresì, una diversità macroscopica con riguardo ai materiali utilizzati, ai tessuti ed alle finiture, con particolare riferimento alla minuteria metallica ed alla mancanza del marchio nella veste denominativa, non può essere ravvisata lesione alcuna della fede pubblica, e con essa, la sussistenza del fumus del delitto previsto e punito dall’art. 474 c.p.. Del pari, non sono ipotizzabili neppure i delitti di cui agli artt. 514, 515, 517 e 648 c.p., difettandone l’elemento materiale, e, segnatamente, ritenuta per il primo l’insussistenza sia della contraffazione che del nocumento all’industria nazionale, che dev’essere grave, per il secondo la configurabilità della vendita ‘aliud pro alio’, che presuppone la consegna di una cosa diversa rispetto a quella richiesta, esclusa, nello specifico, dal fatto che la merce era posta in vendita in un negozio modesto, la cui titolare non si presentava come licenziataria delle griffes interessate dalla presunta contraffazione, a prezzi assolutamente esigui, per il terzo l’inidoneità dei prodotti, in ragione delle macroscopiche differenze rilevate rispetto agli originali, a trarre in inganno il consumatore sull’origine, per l’ultimo il reato presupposto.

(Fattispecie in cui veniva sequestrato presso un bazar un ingente quantitativo di merci recanti in luogo delle lettere “LV” sovrapposte di Louis Vuitton, le lettere “LX”, in luogo della doppia “G” contrapposta di Gucci, il numero “69”, in luogo della doppia “F” maiuscola contrapposta di Fendi, le lettere “FL”). NOTA

Il Tribunale del Riesame di Venezia, con l’ordinanza in commento, nel confermare il proprio consolidato orientamento circa l’insussistenza del fumus dei delitti di cui agli artt. 473, 474, 517 e 648 c.p.1, ha esteso tale convincimento anche alle ulteriori fattispecie di reato previste dagli artt. 514 e 515 c.p., siccome cumulativamente contestate dal Pubblico Ministero nel caso di specie, afferente il sequestro presso un bazar del centro storico veneziano di circa 5.700 capi, fra borse, portafogli, cinture e cappelli recanti al posto delle lettere “LV” sovrapposte della tela monogram di Louis Vuitton, le lettere “LX”, invece della doppia “G” contrapposta di Gucci, il numero “69”, in luogo della doppia “F” maiuscola contrapposta di Fendi, le lettere “FL”, sul presupposto che dal verbale redatto dalla P.G. appariva evidente l’avvenuta contraffazione di marchi registrati attraverso modifiche degli stessi quasi impercettibili ed idonee a generare confusione o inganno dei consumatori.

Nello specifico, quanto al reato di cui all’art. 474 c.p., relativo alla detenzione per la vendita di prodotti industriali con marchi o segni distintivi contraffatti o alterati, la Difesa ha evidenziato - anche attraverso la produzione di documentazione fotografica riproducente

1 Cfr., ex multis, Tribunale di Venezia, Sezione del Riesame, Ord. 05.07.05, Pres. Risi, Est. Poirè; Ord.

01.06.05, Pres. Marra, Est. Valgimigli, relative alla vendita ambulante di merci recanti contrassegni simili a quelli del caso che qui occupa.

Page 8: INDICE SEZIONE PRIMA - DIRITTO PENALE · Sottrazione o danneggiamento di cose sottoposte a sequestro disposto nel corso di un procedimento penale o dall’autorità amministr ativa

6

i beni avvinti dal vincolo probatorio, nonché mediante l’esibizione di campioni di merce identici a quelli appresi e campioni degli originali - come le merci in sequestro fossero completamente diverse da quelle commercializzate dalle griffes i cui prodotti l’Accusa pretendeva essere stati contraffatti e ciò con riguardo ai materiali utilizzati, ai tessuti, alle trame, ai colori, alle finiture, all’assenza di qualsiasi riferimento al marchio nella veste denominativa, e, massime, alla macroscopica differenza fra i loghi da queste portati.

Un tanto ha assunto ed assume carattere determinante atteso che la consolidata giurisprudenza della Suprema Corte in materia - nel ribadire come il delitto previsto dall’art. 474 c.p. sia volto a tutelare non la libera determinazione dell’acquirente, ma la pubblica fede, intesa come affidamento dei consumatori nei marchi, quali segni distintivi della particolare qualità e originalità dei prodotti messi in circolazione - ritiene che possa parlarsi di reato impossibile per grossolanità della contraffazione, tale da escludere la possibilità di confusione con gli originali, non tanto ove questa sia riconoscibile dall’acquirente in ragione delle modalità di vendita, ma in relazione alla visione degli oggetti nella loro successiva utilizzazione2, consacrando, così , l’attualità dell’insigne e risalente osservazione del Carnelutti, secondo il quale “senza possibilità d’inganno non esiste contraffazione”3.

Del pari, non può nemmeno ipotizzarsi il delitto di cui all’art. 514 c.p., che punisce chi cagioni un nocumento all’industria nazionale ponendo in vendita, o mettendo altrimenti in circolazione sui mercati nazionali od esteri, prodotti industriali con nomi, marchi o segni distintivi nazionali alterati o contraffatti, difettando tanto la contraffazione - siccome precedentemente osservato - quanto il nocumento all’industria nazionale, elemento costitutivo essenziale del reato de quo4, che dev’essere grave, dovendo esso valutarsi in relazione all’industria nazionale, e non alla singola impresa, come autorevolmente sostenuto in Dottrina da chi, per unanime riconoscimento, insieme ad Arturo Rocco, diede forma e sostanza al Codice del 19305. In ogni caso, mai potrà contestarsi con riguardo alle merci contrassegnate da marchi identificativi di imprese estere.

Quanto al delitto di cui all’art. 515 c.p., che punisce chiunque, nell’esercizio di un’attività commerciale, ovvero in uno spaccio aperto al pubblico, consegna all’acquirente una cosa mobile per un’altra, ovvero una cosa mobile, per origine, provenienza, qualità e quantità, diversa da quella dichiarata o pattuita, premesso che l’oggetto specifico della norma in esame è l’interesse concernente l’ordine economico, che viene alterato dalla frode, la quale costituisce una violazione della probità commerciale6 è stato documentato come l’offerta in vendita di merce analoga a quella in sequestro - peraltro comunemente venduta a Venezia in moltissimi negozi, bancarelle e dalle miriadi di ambulanti - avvenga in un bazar, non in un elegante boutique, la cui titolare non è, né si presenta, come licenziataria delle griffes interessate dalla presunta contraffazione, a prezzi proporzionati alla qualità degli articoli medesimi, di tal che, sulla scorta della valutazione congiunta di tutti questi elementi, non possono ritenersi fondatamente sussistenti le premesse di una vendita aliud pro alio, che presuppone la consegna di una cosa diversa da quella richiesta: chi compera merci come quelle offerte al pubblico e che l’Accusa pretendeva essere contraffatte, infatti, intende comperare proprio quelle, non altre.

2 Cfr., ex multis, Cass., Sez. II, 02/10/01, in Giust. Pen., 2002, II, 477; Cass., Sez. V, 26/01/’00, in Riv. Pen.,

2001, 273. 3 Ibidem, Teoria del Falso, CEDAM, 1935, pag. 48. 4 Ibidem, Relazione ministeriale sul progetto del codice penale, II, 279, in V. Manzini, Trattato di Diritto

Penale Italiano, UTET, 1963, VII, pag. 204, nota 2. 5 Ibidem, V. Manzini, op. cit., VII, pag. 205. 6 Cfr., Cass., 23/01/’76, in Giust. pen., 1976, II, 577.

Page 9: INDICE SEZIONE PRIMA - DIRITTO PENALE · Sottrazione o danneggiamento di cose sottoposte a sequestro disposto nel corso di un procedimento penale o dall’autorità amministr ativa

7

Nemmeno potrà essere ravvisabile, poi, la fattispecie delittuosa di cui all’art. 517 c.p., che sanziona il comportamento di chi ponga in vendita o metta altrimenti in circolazione opere dell’ingegno o prodotti industriali con nomi, marchi o segni distintivi nazionali o esteri atti ad indurre in inganno il compratore sulla origine, provenienza o qualità dell’opera o del prodotto, posto che gli estremi della condotta illecita tipizzata dalla norma in parola si ravvisano nella imitazione, anche generica, purché idonea a determinare l’effetto tipico in tale norma previsto, consistente nella idoneità a trarre in inganno il compratore sull’origine, provenienza o qualità del prodotto7. Le caratteristiche oggettive delle merci sequestrate, le più sopra sottolineate modalità di vendita ed il prezzo praticato, irrisorio in confronto a quello con cui vengono commercializzati i prodotti dalle maisons interessate, sono indici che valgono ad escludere l’idoneità delle stesse a trarre in inganno il potenziale acquirente ed ad ingenerare in quest’ultimo il rischio di confusione tra i prodotti acquistati e quelli originali.

Al giudizio di insussistenza del fumus dei prefati delitti, consegue, da ultimo, come logico corollario, la caducazione della fattispecie di cui all’art. 648 c.p., essendo venuti meno i reati presupposti. [Federico Cappelletti]

4 Tribunale Ordinario di Venezia - Sezione Giudice per le Indagini Preliminari - Sent. n. 546 del 28.6.2005 - Est. Santoro - Imp. XY Stupefacenti - Presunta attività di spaccio - Uso personale - Rilevanza Penale - Esclusione - Condizioni. (artt. 73, 75 D.P.R. 309/90)

Vanno assolti gli imputati perché il fatto non sussiste, allorquando sia del tutto carente la prova di quella finalità di spaccio che configura l’indefettibile elemento costitutivo del reato ex art. 73 DPR 309/90 NOTA

Il procedimento trae origine a seguito di perquisizione effettuata da personale operante della Squadra Mobile Veneziana, Unità Antidroga, in una abitazione di alcuni studenti universitari, in quanto, a dire delle Forze dell’Ordine, si notava nei pressi di tale abitazione un via vai sospetto di ragazzi trasandati.

A seguito di tale perquisizione venivano rinvenuti e posti sotto sequestro diversi tipi di sostanza stupefacente appartenenti a tre persone lì residenti, e precisamente: nella disponibilità di uno venivano rinvenuti 31 grammi circa di sostanze stupefacenti (hashish e marijuana); nella disponibilità del secondo venivano rinvenuti circa 4 grammi delle medesime sostanze ed infine al terzo soggetto ne venivano sequestrati circa 16 grammi.

I tre venivano tratti a giudizio con l’imputazione di cui agli artt. 110 c.p., 73 D.P.R. 309/90 perché in concorso tra loro detenevano fuori dall’ipotesi di cui all’art. 75 DPR 309/90 le varie sostanze stupefacenti.

La sentenza in oggetto offre certamente una condivisibile conferma di quello che è l’orientamento giurisprudenziale oramai pressoché costante (fino ad oggi) sulla questione del trattamento sanzionatorio da applicarsi ai casi nei quali il dato quantitativo di sostanza

7 Cfr., ex plurimis, Cass., 23/09/’94, in Cass. pen., 1996, 1842.

Page 10: INDICE SEZIONE PRIMA - DIRITTO PENALE · Sottrazione o danneggiamento di cose sottoposte a sequestro disposto nel corso di un procedimento penale o dall’autorità amministr ativa

8

stupefacente rinvenuta non sia poi così elevato, e soprattutto sia il solo aspetto probatorio rilevante.

Il provvedimento conferma che la dimostrazione della sussistenza della finalità di spaccio è onere probatorio gravante sull’accusa. La dimostrazione di tale finalità, in buona sostanza, è elemento indispensabile per attribuire alla mera condotta di detenzione il carattere di rilevanza penale.

Altro elemento che emerge nel caso di specie è relativo all’ipotesi concorsuale che è stata ritenuta insussistente in quanto in realtà non è emerso elemento alcuno in grado di provare l’esistenza di un accordo per la comune detenzione dei vari quantitativi.

La sentenza in epigrafe conferma poi l’assoluta necessità, ai fini della configurabilità del reato in contestazione, di quelli che sono i così detti indici sintomatici della finalità di spaccio, ovvero: oltre al dato quantitativo, quello qualitativo, la presenza di strumentazione tipica per il confezionamento, la suddivisione delle sostanze in singole dosi, la presenza di liquidità di somme di danaro.

Tutto ciò fino ad oggi; infatti, l’aggiornamento (o secondo alcuni stravolgimento) del D.P.R. 309/90, avvenuto con la L. 49/06, entrata in vigore il 28.2.2006, rischia di mettere in crisi tutti i suddetti criteri di valutazione che avevano oramai trovato nella giurisprudenza una loro linea costante ed univoca.

Si sono infatti introdotte profonde modifiche che riguardano la disciplina penale degli stupefacenti, e, da tale modifica, è interessato in particolar modo proprio l’art. 73 che, evidentemente, è il punto di riferimento e la base della legislazione sugli stupefacenti.

Il timore da più parti diffuso è che l’unificazione del trattamento sanzionatorio fra droghe pesanti e droghe leggere potrà comportare l’inflizione di pene pesanti anche in casi (quale quello sopra esaminato) sino ad oggi considerati di effettiva modesta gravità.

Da più parti si è poi lamentata una sorta di reintroduzione di fatto di quella dose media giornaliera che il referendum del ’93 aveva abolito, ciò in quanto con la nuova normativa si pone, quale parametro per valutare la rilevanza penale dei vari comportamenti, un mero criterio quantitativo.

Questi sono evidentemente solo alcuni aspetti della nuova disciplina; interessante sarà osservare come la materia si evolverà e come in concreto tali nuovi criteri di valutazione troveranno applicazione nella quotidianità delle aule di giustizia. [Alvise Muffato]

5 Tribunale Ordinario di Venezia - Sezione Giudice per le Indagini Preliminari - Sent. del 25.01.2006 - Est. Liguori - Imp. XY Ricettazione - Accertamento del reato presupposto - Prova della commissione del delitto presupposto - Dubbio circa la sussistenza del delitto presupposto. (Art. 648 c.p.)

L’insufficienza della prova circa la provenienza della cosa ricettata riguarda un presupposto del reato di cui all’art. 648 c.p. e non un elemento costitutivo dello stesso: essa comporta l’assoluzione perché il fatto non sussiste. NOTA

Dalla sentenza in esame si evince come per la configurabilità del reato previsto dall’art. 648 c.p. non sia necessario un accertamento giudiziale in merito alla sussistenza del reato

Page 11: INDICE SEZIONE PRIMA - DIRITTO PENALE · Sottrazione o danneggiamento di cose sottoposte a sequestro disposto nel corso di un procedimento penale o dall’autorità amministr ativa

9

presupposto: il Giudice chiamato a conoscere della ricettazione può fare ricorso anche soltanto a delle prove logiche per sostenerne l’avvenuta consumazione.

Potrà quindi il Giudice fare ricorso a presunzioni gravi e concordanti in base alle quali ritenere con certezza che le cose acquistate o comunque ricevute provengano da un delitto consumato o tentato.

La Cassazione infatti ha indicato come “ai fini della configurazione del delitto di ricettazione non rileva il mancato accertamento giudiziale dei delitti presupposti, ma è sufficiente che, anche in base a prove logiche, il fatto dell’illecita provenienza delle cose acquistate o ricevute risulti positivamente al Giudice chiamato a conoscere della ricettazione” (cfr. Cass. Pen. 21.03.1990 n. 4077, CED Cass., 183811; Cass. Pen. 7.11.1985, CED Cass., 170975; Cass. Pen. 18.10.1977, GP, 1978, II, 366).

La giurisprudenza ha quindi affermato che per provare l’esistenza del delitto presupposto nel giudizio per ricettazione sia sufficiente anche l’acquisizione della denuncia sporta dalla persona offesa: “In tema di ricettazione, la prova del verificarsi del delitto che costituisce antecedente necessario di quello di ricettazione, non presuppone un giudiziale accertamento né l’individuazione del responsabile, bastando che il fatto risulti positivamente al Giudice chiamato a conoscere del reato di cui all’art. 648 c.p.”.

In tal senso la denuncia di furto di un bene oggetto della successiva ricettazione può essere considerata idonea prova documentale di una dichiarazione di scienza in merito all’avvenuta consumazione del reato presupposto che non attiene invece alla responsabilità del soggetto che è accusato della ricettazione.

L’agente, nel momento in cui pone in essere la condotta criminosa, cioè quando entra in possesso delle cose, deve essere consapevole della loro illecita provenienza (cfr. Cass. Pen. 23.10.1984, CED Cass., 166289).

Nell’ipotesi in cui il giudice non ritenga sufficiente la prova circa la provenienza delittuosa delle cose, si impone l’emissione di assoluzione dell’imputato, perché il fatto non sussiste, in quanto viene a mancare la prova in ordine ad un presupposto del reato di ricettazione.

Sotto il vigore del codice di procedura penale del 1930 ci si domandava se in tale ipotesi l’assoluzione dovesse avvenire con la formula piena o con quella dubitativa.

Il problema ha perso di attualità con l’abolizione della formula dubitativa in seguito all’entrata in vigore del codice di procedura penale del 1998.

In ogni caso può dirsi che nell’ipotesi in esame il dubbio verteva sull’esistenza del reato presupposto e non sul reato oggetto di giudizio.

Ciò comporta in ogni caso che la formula di proscioglimento deve essere la più ampia prevista. [Pascale De Falco]

6 Tribunale Ordinario di Venezia - Comp. Monoc. Sede di Mestre - Sent. n. 782 del 12.5.2005 - Est. Moretti - Imp. XY. Edilizia ed urbanistica - Costruzione abusiva (in assenza autorizzazione edilizia) - Violazione vincolo paesaggistico ex L. 1497/39 - Reato edilizio art. 20 lett. c) L. 47/85 - Esclusione per precarietà dell’opera - Reato ambientale art. 163 D.L.vo 490/99 ora 181 D.L.vo 42/04 - Estinzione per intervenuta rimessione in pristino. (L. 1497/39; art. 20 lett. c) L. 47/85; art. 181 D.L.vo 42/04)

Page 12: INDICE SEZIONE PRIMA - DIRITTO PENALE · Sottrazione o danneggiamento di cose sottoposte a sequestro disposto nel corso di un procedimento penale o dall’autorità amministr ativa

10

Vanno assolti gli imputati perché il fatto non sussiste in relazione al reato di cui all’art. 20 lett. c) L. 47/85 data la natura sostanzialmente precaria dell’opera e quindi l’irrilevanza dell’abuso sotto il profilo urbanistico e conseguentemente penalistico. Vanno prosciolti gli imputati quanto all’ipotesi di violazione del vincolo paesaggistico ai sensi del disposto di cui all’art. 181 comma 1 quinquies D.Lgs 42/04 perché il reato è estinto per intervenuta rimessione in pristino dell’area. NOTA

Si sottolinea la sentenza in esame per il duplice aspetto relativo da un lato al c.d. reato edilizio dall’altro a quello c.d. ambientale che spesso accompagna il primo in imputazione.

Per ciò che attiene al reato di cui all’art. 20 lett. c) L. 47/85 la sentenza sopra richiamata costituisce conferma dei principi più volte affermati dalla giurisprudenza, ovvero: la precarietà dell’opera eseguita, la facilità di rimozione della stessa, l’esiguità dei lavori posti in essere, il carattere dell’intervento assimilabile ad ordinaria manutenzione, sono elementi tutti che vanno necessariamente tenuti in considerazione ai fini della decisione e possono portare ad escludere la rilevanza della condotta sotto il profilo penalistico.

Come rilevato in sentenza ed emerso al dibattimento, nel caso di specie trattavasi di semplice tettoia in ondulato plastico che fungeva da parziale copertura di area - cortile interno ad un locale pubblico.

La stessa copertura era poi parzialmente infissa da un solo lato, mentre dall’altro era semplicemente appoggiata; anche le caratteristiche strutturali quindi sono state tenute nella doverosa considerazione ai fini della valutazione sull’irrilevanza penalistica dell’abuso.

Per ciò che attiene alla contestazione di cui all’art. 163 D.L.vo 490/99 ora art. 181 D.L.vo 42/04 (c.d. reato ambientale) la sentenza in oggetto costituisce una delle prime applicazioni della riforma introdotta in materia dalla L. 308/04 che ha modificato la norma in argomento introducendo, tra gli altri, il comma 1 quinquies all’art. 181, il quale prevede una particolare forma di estinzione del reato in caso di rimessione in pristino ove questa sia effettuata prima che vi sia sentenza di condanna e prima che venga disposta d’ufficio dall’autorità amministrativa.

Nel caso di specie l’istruttoria dibattimentale ha provato che la tettoia in oggetto era stata rimossa poco dopo la sua posa in opera a cura degli stessi imputati. [Alvise Muffato]

7 Tribunale Ordinario di Venezia - Comp. Monoc. Sez. Portogruaro - Sent. n. 156 del 17.10.2005 - Est. Martinez - Imp. XY Distruzione o deturpamento di bellezze naturali - Installazione in area sottoposta a vincolo paesaggistico di stazione radio base per la telefonia mobile - Collocazione di ripetitore su veicolo gommato ancorato al terreno con staffe - Alterazione dello stato naturale delle cose sottoposte a vincolo - Insufficienza - Distruzione delle bellezze protette - Prova - Necessità (art. 734 c.p.)

Non è sufficiente a integrare gli estremi del reato di distruzione o deturpamento di bellezze naturali l’installazione in zona sottoposta a vincolo paesaggistico di un ripetitore per la telefonia mobile poggiante su un veicolo gommato ancorato al terreno da staffe, quindi rimovibile, né l’esecuzione di detta opera né la semplice alterazione dello stato naturale delle cose sottoposte a vincolo, ma occorre che tale alterazione abbia determinato

Page 13: INDICE SEZIONE PRIMA - DIRITTO PENALE · Sottrazione o danneggiamento di cose sottoposte a sequestro disposto nel corso di un procedimento penale o dall’autorità amministr ativa

11

in concreto la distruzione delle bellezze in esame. (Fattispecie nella quale è stata esclusa la responsabilità dell’imputato -con la formula dell’insussistenza del fatto- in relazione alla contestata esecuzione abusiva in zona sottoposta a vincolo paesaggistico -località turistica di Bibione - di lavori si costruzione ed installazione di un impianto ripetitore radiomobile per telefonia cellulare composto da basamento, centralina ed antenna delle dimensioni di m. 22 circa, determinante alterazione della bellezza naturale del luogo.)

8 Tribunale Ordinario di Venezia - Comp. Monoc. Sez. Portogruaro - Sent. n. 155 del 17.10.2005 - Est. Martinez - Imp. XY Sottrazione o danneggiamento di cose sottoposte a sequestro disposto nel corso di un procedimento penale o dall’autorità amministrativa - Fatto commesso dal proprietario della cosa non affidata alla sua custodia - Fermo amministrativo di autovettura -Trasferimento a qualsiasi titolo a terzi del bene oggetto del provvedimento dell’autorità amministrativa - Prova - Necessità (art. 334 co. 1 e 3 c.p.).

Alla sottrazione del bene sequestrato può essere chiamato a rispondere, sempre che il fatto sia da lui commesso, il proprietario del bene anche se la cosa non è affidata alla sua custodia, allorquando ponga in essere un’azione diretta ad eludere il vincolo imposto sulla “res”, necessitando, a tal fine, secondo il Giudice la prova che l’imputato abbia trasferito a qualsiasi titolo a terzi il bene oggetto del provvedimento dell’autorità amministrativa, in aperta violazione del vincolo apposto sul bene. (Fattispecie nella quale è stata esclusa la responsabilità dell’imputato con la formula dell’insussistenza del fatto, in relazione alla contestata sottrazione di un’autovettura sottoposta a fermo amministrativo per un credito dell’amministrazione nei confronti dell’imputato in difetto di prova della materiale ricezione dell’autovettura da parte di terzi).

9 Tribunale Ordinario di Venezia - Comp. Monoc. Sez. Portogruaro - Sent. n. 216 del 18.11.2005 - Est. Pasqual - Imp. XY Disturbo delle occupazioni o del riposo delle persone - Attività commerciale - Inquinamento acustico - Rilevamento dell’intensità del rumore - D.M. 16.03.1998 n. 76 allegato A n. 11 e 12 - Prescrizioni metodologiche - Criterio differenziale - Osservanza - Necessità (Art. 659 c.p.)

In assenza di esecuzione di misurazioni del rumore ambientale e del rumore residuo nel rispetto delle metodiche previste dal D.M. 16.03.1998 n. 76 allegato A n. 11 e 12, e, quindi, in difetto di attività di accertamento dell’intensità del rumore al fine di verificare il superamento dei limiti consentiti dall’ordinamento attraverso la valutazione del criterio differenziale come imposto dalla normativa richiamata (determinato dalla sottrazione del rumore residuo al rumore ambientale) oltre che di operazioni di misurazione dell’inquinamento acustico conseguenti e distinte, da ritenersi corrette e probanti della

Page 14: INDICE SEZIONE PRIMA - DIRITTO PENALE · Sottrazione o danneggiamento di cose sottoposte a sequestro disposto nel corso di un procedimento penale o dall’autorità amministr ativa

12

condotta illecita, alla luce di diversificate condizioni di tempo e di luogo, difetta in capo all'’agente l’esegesi di una condotta atta ad arrecare disturbo alle persone. (Fattispecie nella quale è stata esclusa la responsabilità dell’imputato - con la formula della non commissione del fatto - in relazione alla contestata emissione, mediante abuso di strumenti sonori, anche in ore notturne, di suoni atti per la loro intensità ad arrecare disturbo alle occupazioni e al riposo delle persone turbando così la pubblica quiete).

10 Tribunale Ordinario di Venezia - Comp. Monoc. Sezione di Dolo - Sent. n 239 del 10.11.2005, - Est. Lancieri - imp. T. e C. Attività di gestione di rifiuti non autorizzata - Violazione deposito temporaneo - Prodotto da attività imprenditoriale - Caso fortuito - Criterio differenziale - Esclusione del reato.

Il prodotto finito di una impresa danneggiato a seguito di caso fortuito (esplosione-incendio) non costituisce rifiuto derivante dall’esercizio dell’attività di impresa NOTA

La Procura della Repubblica presso il Tribunale Ordinario di Venezia accertava che il Sig. Tizio, nella qualità di legale responsabile della società X, ed il sig. Caio, nella qualità di legale responsabile della società Y, detenevano in due containers un ingente quantitativo di rifiuti (circa 55 metri cubi) costituiti da capi in pelle gravemente danneggiati a seguito di un incendio e versanti in stato di putrefazione, e che conseguentemente cagionavano immissioni incontrollate nella condotta comunale delle acque piovane di rifiuto liquido putrescibile derivante dal dilavamento del contenuto di detti containers.

Con decreto del 21.04.2005 i predetti signori venivano citati in giudizio per rispondere della contravvenzione di cui all’art.51 II comma del D.Lvo n. 22/1997.

All’udienza dibattimentale la difesa degli imputati depositava memoria ex art.121 c.p.p., con la quale chiedeva al Giudice di pronunciare - ex art.129 c.p.p - sentenza di non doversi procedere nei confronti dei prevenuti.

Detta richiesta veniva giustificata sulla base delle seguenti circostanze di fatto che risultavano dal capo d’imputazione: • l’immobile dove gli imputati svolgevano la loro attività d’impresa veniva distrutto in

data 31.08.2002 da una esplosione e da un conseguente successivo incendio; • detta esplosione e detto incendio determinavano la cessazione dell’esercizio

dell’attività d’impresa da parte degli imputati, dal momento che questi ultimi venivano privati dei beni strumentali che servivano loro per la continuazione della stessa;

• non solo, ma determinavano anche il grave danneggiamento dei capi d’abbigliamento giacenti nel summenzionato immobile, che, per non essere più utilizzabili e vendibili, venivano raccolti dagli imputati in due containers e che nel corso del tempo marcivano.

Rebus sic stantibus, la difesa degli imputati osservava che i rifiuti non venivano raccolti nell’ambito dell’esercizio di impresa, andata distrutta dall’esplosione e dall’incendio di cui sopra, e che di conseguenza agli imputati andava contestato l’illecito amministrativo di cui all’art. 50 I comma del D.Lvo n. 22/1997 e non l’illecito penale di cui all’art. 51 II comma del D.Lvo n. 22/1997, in quanto non titolari di attività di impresa specifica e qualificata. In accoglimento della istanza formulata dalla difesa degli imputati il Giudice li mandava assolti dal reato loro ascritto, “perché il fatto non è previsto dalla legge come reato”.

Page 15: INDICE SEZIONE PRIMA - DIRITTO PENALE · Sottrazione o danneggiamento di cose sottoposte a sequestro disposto nel corso di un procedimento penale o dall’autorità amministr ativa

13

Detta sentenza impone talune considerazioni di carattere generale in tema di attività di gestione di rifiuti non autorizzata e di abbandono di rifiuti.

La fattispecie di cui all’art. 50 II comma del D.Lvo n. 22/1997 attribuisce rilevanza penale alla realizzazione, da parte di soggetti titolari di imprese o responsabili di enti, di condotte che si concretizzano nell’abbandono o deposito incontrollato di rifiuti od immissione degli stessi in acque superficiali o sotterranee in violazione del divieto posto dall’art.14 I e II comma del D.Lvo n. 22/1997.

L’illecito risulta, dunque, strutturato come reato proprio, rappresentando il completamento ideale della fattispecie sanzionata in via amministrativa dall’art. 50 I comma, il cui spettro applicativo abbraccia, invece, tutte le ipotesi in cui le medesime condotte delineate dall’art. 51 II comma siano poste in essere da un qualunque soggetto privato.

Si comprende quindi come le peculiari qualifiche soggettive previste dall’art. 51 II comma rivestano nell’ambito della fattispecie in esame il ruolo di elemento specializzante rispetto all’ipotesi di cui all’art. 50 I comma, il quale peraltro si apre proprio con la clausola di riserva “fatti salvo quanto disposto dall’art. 51 secondo comma”.

Di talché, ove la condotta tipizzata venga posta in essere dal soggetto qualificato, il giudice dovrà procedere, in virtù del principio generale di cui all’art. 9 della legge n. 689 del 1981, all’applicazione della norma penale, avente carattere di specialità rispetto a quella che prevede l’illecito amministrativo.

La dottrina ritiene che il maggiore rigore sanzionatorio che caratterizza la previsione dell’art. 51 II comma, rispetto a quello di cui all’art. 50 I comma, trovi fondamento proprio nel succitato connotato soggettivo della titolarità d’impresa e nel conseguente rapporto di connessione tra la condotta realizzata e l’esercizio dell’attività imprenditoriale medesima.

In altri termini, le ragioni della diversificazione del trattamento sanzionatorio dovrebbero essere ricercate, in linea di principio, in una diversa dimensione offensiva del fatto, e cioè nella maggiore pericolosità della condotta di abbandono laddove la stessa sia posta in essere da un imprenditore o dal responsabile di un ente.[Pascale De Falco]

Page 16: INDICE SEZIONE PRIMA - DIRITTO PENALE · Sottrazione o danneggiamento di cose sottoposte a sequestro disposto nel corso di un procedimento penale o dall’autorità amministr ativa

14

SEZIONE SECONDA - DIRITTO PROCESSUALE PENALE

11 Tribunale Ordinario di Venezia - Sezione Riesame - Ord. 2.3.2006 - Pres. Est. Risi - Imp XY Misure cautelari - Spontanee dichiarazioni rese dall’indagato in assenza del difensore - Utilizzabilità - Ragioni (Artt. 63 co. 2, 350 co. 7 c.p.p.) Misure cautelari - Concetto di “riscontro individualizzante” - Limiti - Ragioni (Artt. 273 co. 1 bis, 192 co. 3 e 4 c.p.p.)

Devono ritenersi pienamente utilizzabili, anche ai fini cautelari, le spontanee dichiarazioni emesse dall’imputato o dalla persona sottoposta alle indagini, avvertito sin dall’inizio di tale sua qualità, rese in assenza del difensore; non trova infatti applicazione il disposto di cui all’art. 63 comma 2 c.p.p., bensì quello di cui all’art. 350 comma 7 c.p.p. , che prevede che tali dichiarazioni, sebbene non utilizzabili nel dibattimento, salvo quanto previsto dall’art. 503 comma 3 c.p.p., possano comunque essere apprezzate nella fase delle indagini preliminari o nella valutazione dei gravi indizi di colpevolezza per l’adozione di un provvedimento cautelare.

Il concetto di “riscontro individualizzante” assume in sede cautelare un significato diverso da quello pretendibile nella fase dibattimentale: infatti, mentre nella seconda sede tale riscontro deve essere pieno e totale, coerentemente con il concetto di prova, indispensabile per l’affermazione di responsabilità, nella fase cautelare deve ritenersi sufficiente, in conformità alla natura probabilistica del giudizio richiesto a fini cautelari, una individualizzazione “parziale” o “tendenziale”, compatibile quindi esclusivamente con il concetto di “indizio”, sia pur grave, come richiesto dalla legge per l’adozione della misura.

L’ordinanza così motiva: (Omissis) - Prima di dare conto delle ragioni per le quali il Collegio ha ritenuto necessario confermare integralmente il provvedimento oggi riesaminato appare necessario anticipare i principi interpretativi cui esso si è ispirato nel decidere.

E questo perché la difesa ha avanzato due rilievi di carattere giuridico che, se fondati, avrebbero determinato in tutto o in parte una caduta del quadro indiziario.

In effetti nel corso dell'udienza il difensore ha fatto notare che le dichiarazioni accusatorie rese in sede di collaborazione con la PG da parte dell'indagato di reato connesso ZJ, erano state raccolte con la forma delle spontanee dichiarazioni in assenza di un difensore e, comunque, prive dell'avvertimento previsto dall'articolo 64 commi 3 e 3 bis del c.p.p. con conseguente inutilizzabilità anche solo a fini cautelari degli elementi ivi rappresentati.

Nulla eccepiva in ordine, invece, alle modalità formali di assunzione delle dichiarazioni accusatorie rese dal KI assistito dal suo difensore ed in presenza dei dovuti avvisi ma, in tal caso, lamentava la violazione dell'articolo 273 comma 1 bis c.p.p. con riferimento agli articoli 192 commi 3 e 4 cpp nel senso che tali dichiarazioni non avrebbero trovato alcuna forma di riscontro individualizzante.

Per quanto attiene alla prima osservazione essa non trova conforto nella giurisprudenza della corte di cassazione che, anche recentemente, si è espressa in modo totalmente difforme affermando che: “Nei casi in cui un soggetto, dovendo essere sentito in qualità di imputato o di persona

Page 17: INDICE SEZIONE PRIMA - DIRITTO PENALE · Sottrazione o danneggiamento di cose sottoposte a sequestro disposto nel corso di un procedimento penale o dall’autorità amministr ativa

15

sottoposta ad indagini, sia stato avvertito di tale sua qualità , ed abbia reso in assenza del difensore dichiarazioni spontanee alla polizia giudiziaria, non è applicabile la disciplina del secondo comma dell'art. 63 c.p.p.. (con conseguente inutilizzabilità delle dichiarazioni nei confronti degli imputati di reato connesso o collegato), bensì la regola di cui al comma settimo dell'art. 350 stesso codice, di talchè le sue dichiarazioni, sebbene non utilizzabili nel dibattimento salvo quanto previsto dal terzo comma dell'art. 503, possono essere apprezzate nella fase delle indagini preliminari o nella valutazione dei gravi indizi di colpevolezza per l'adozione di un provvedimento cautelare”. (Sez. 6 sent. 04152 del 04/02/2005 rv. 231304). Tale orientamento era già stato espresso in precedenza con una decisione del tutto analoga: “Il dovere imposto all'autorità giudiziaria ed alla polizia giudiziaria dall'art. 63, comma 2 c.p.p., di non procedere all'esame quale testimone o persona informata sui fatti di colui che debba essere sentito fin dall'inizio in qualità di indagato o imputato, non trova applicazione nell'ipotesi in cui il soggetto sia stato avvertito di tale sua qualità e rilasci dichiarazioni spontanee, le quali, se assunte senza la presenza del difensore, rientrano nella disciplina di cui all'art. 350, comma 7, c.p.p. e dunque, pur non essendo utilizzabili ai fini del giudizio salvo quanto previsto dall'art. 503, comma 3, c.p.p., possono essere utilizzate nella fase delle indagini preliminari ed apprezzate ai fini della sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza richiesti per l'applicazione di una misura cautelare, anche nei confronti di terzi. (Fattispecie relativa a dichiarazioni spontanee rilasciate alla polizia giudiziaria dal soggetto passivo di un'estorsione immediatamente dopo la contestazione del reato di favoreggiamento degli estorsori e di invito a nominare un difensore di fiducia).” (Sez. 2 Sent. 02539 del 25/05/2000 rv. 216298)

Nel caso concreto ZJ al momento della esternazione delle sue spontanee dichiarazioni (ore 22) non era certo inconsapevole della sua situazione di indagato posto che in precedenza (ore 20,40), egli era stato oggetto di una perquisizione personale che aveva portato al rinvenimento e sequestro di 11 grammi di cocaina e di 4 grammi di hashish.

Tali dichiarazioni sono quindi perfettamente utilizzabili a fini cautelari e sono state riscontrate anche in modo - se si vuole - individualizzante attraverso il riconoscimento fotografico da lui operato, dalla circostanza che il medesimo abbia utilizzato per i contatti con i due ricorrenti l'utenza cellulare 0000000000, effettivamente rinvenuta nel possesso dei due odierni indagati al momento dell'arresto, che al momento del simulato acquisto i carabinieri abbiano effettivamente constatato la presenza sul luogo dello scambio dei due indagati sebbene essi siano sfuggiti, in quella sede, all'arresto.

Per quanto riguarda la seconda questione deve rilevarsi che il concetto di “riscontro individualizzante” assume in sede cautelare un significato diverso da quello pretendibile nella fase dibattimentale; e non potrebbe essere diversamente perché, ferma rimanendo l'esigenza di un compendio connotato da gravità, esso è pur sempre un quadro indiziario e non probatorio. “In tema di misure cautelari, la previsione di cui all'art. 11, comma primo, della legge n. 63 del 2001 che ha introdotto nell'art. 273 del codice di rito il comma primo bis - per il quale "nella valutazione dei gravi indizi di colpevolezza si applicano le disposizioni degli articoli 192, commi terzo e quarto, 195, comma settimo, 203 e 271, comma primo" - esige che l'accertamento del giudice sia in grado, attraverso l'uso di criteri di inferenza puntualmente indicati, di collocare la condotta del chiamato in quello specifico fatto che forma oggetto della imputazione provvisoriamente elevata, considerato il peculiare momento della fase delle indagini in cui il procedimento ‘de libertate’ si inscrive nonchè le finalità cui risulta preordinato, i quali condizionano il carattere dell'individualizzazione del riscontro, nel senso che essa deve essere piena e totale nella fase dibattimentale, coerentemente con il concetto di prova, indispensabile per l'affermazione della responsabilità , ma non può che essere parziale, in coerenza con il concetto di indizio, ancorchè grave, necessario e sufficiente ai fini dell'adozione del provvedimento cautelare, nella fase delle indagini in cui l'accertamento è, per definizione, sommario e incompleto”. (Sez. 6 Sent. 10114 del 15/03/2005 rv. 231180). “In tema di misure cautelari e con riguardo al requisito dei gravi indizi di colpevolezza, il richiamo operato dall'art. 273, comma primo bis, c.p.p. all'art. 192, commi terzo e quarto, stesso codice, pur comportando il superamento del precedente orientamento giurisprudenziale secondo cui, ai fini cautelari, gli elementi di riscontro alla chiamata in correità potevano essere limitati al fatto, non implica, tuttavia, l'esigenza di un loro carattere pienamente e totalmente individualizzante (quale

Page 18: INDICE SEZIONE PRIMA - DIRITTO PENALE · Sottrazione o danneggiamento di cose sottoposte a sequestro disposto nel corso di un procedimento penale o dall’autorità amministr ativa

16

richiesto ai fini del giudizio di responsabilità ), dovendosi invece ritenere sufficiente, in conformità con la natura probabilistica del giudizio richiesto ai fini cautelari, una individualizzazione "parziale" o "tendenziale", compatibile, cioè, con il concetto di "indizio", sia pur "grave", richiesto dalla legge per l'adozione della misura”. (Sez. 6 Sent. 10115 del 15/03/2005 rv. 230923)

Per quanto attiene quindi alle dichiarazioni certamente utilizzabili del KI, queste sono riscontrate in modo individualizzante nei confronti del WW in forza di quanto constatato direttamente dagli operanti che hanno assistito ad una cessione da questi al dichiarante nonché in modo se si vuole parziale ma comunque rilevante in capo allo XY sulla base della circostanza che egli abbia indicato quale numero di cellulare e utile ai contatti con i suoi fornitori l'utenza 000000000, come già detto, rinvenuta nella codetenzione di entrambi i due fermati al momento dell’irruzione nella loro camera d'albergo.

Una lettura complessiva e coordinata (e non atomistica come ha suggerito la difesa) di tutti gli elementi indiziari, porta a ritenere come ragionevole e fondata l'ipotesi di un sodalizio fra il WW e XY avente ad oggetto lo spaccio di cocaina in quantitativi continui e in un arco temporale notevole.

Tale osservazione introduce, dal punto di vista logico, l'esame sulla esistenza delle esigenze cautelari poiché il dato che pare emergere è quello di una sostanziale continuità nel tempo di questa attività di spaccio con la possibilità di procurare e cedere quantitativi anche non modesti (8,10 grammi alla volta) con un minimo preavviso a dimostrazione dell'esistenza di un flusso di rifornimento affidabile e conferma l'esistenza di un ruolo non occasionale nel traffico degli stupefacenti e quindi l'esistenza di un qualificato pericolo di reiterazione.

Nel caso di specie sussiste anche il pericolo di fuga poiché, come correttamente osservato dal Gip che ha convalidato il fermo la presenza nell'autoveicolo di valigie ed altri effetti personali in uno con la disponibilità di una notevole somma di danaro in contante (3 mila 725 euro) pare suggestiva di una concreta intenzione di allontanarsi dal territorio nazionale una volta scoperto di essere al centro dell'attenzione della polizia giudiziaria .

Tutto ciò vanifica la precedente incensuratezza. Le affermazioni che precedono comportano delle conseguenze sulla proporzionalità e

adeguatezza della misura cautelare da adottarsi nel concreto poiché in presenza di un pericolo di fuga gli arresti domiciliari non sembrano logicamente percorribili e, comunque, non è dato in questo momento registrare quello che è il primo presupposto per la concessione degli arresti domiciliari e cioè un affievolimento degli esigenze cautelari che, viceversa, sono particolarmente pregnanti visto che solo l'applicazione della misura cautelare ha interrotto i traffici in corso fino a poche ore prima. (omissis)

12 Corte d’Appello di Venezia - Sezione Quarta Penale - Sent. 16.12.2005 - Pres. Zampetti - Est. Citterio - Imp. XY Cassazione - Annullamento senza rinvio della sentenza di “patteggiamento” - Effetto estensivo ex art. 587 c.p.p. a favore del coimputato non ricorrente - Condizioni - Modalità - Contenuto (art. 587 I co. c.p.p.)

Nel caso in cui due coimputati nei medesimi fatti reato abbiano definito la rispettiva posizione processuale con applicazione della pena ed uno solo di loro abbia poi proposto ricorso per Cassazione per profili non soggettivi e non processuali, ottenendo l’annullamento senza rinvio della sentenza di “patteggiamento”, l’effetto estensivo, previsto dall’art. 587 c.p.p. per il coimputato non ricorrente, si verifica solo con il passaggio in giudicato della sentenza che definisce il successivo iter procedimentale dell’imputato diligente; e solo in quel momento si determina anche il contenuto dell’effetto estensivo.

Page 19: INDICE SEZIONE PRIMA - DIRITTO PENALE · Sottrazione o danneggiamento di cose sottoposte a sequestro disposto nel corso di un procedimento penale o dall’autorità amministr ativa

17

La sentenza così motiva: (Omissis). - L’appello di XY è infondato. L’improcedibilità deliberata dal primo giudice va confermata e l’appellante va condannato al pagamento delle spese del grado.

La questione preliminare, ed assorbente, che si pone nei confronti della sua posizione processuale può essere sintetizzata nel quesito di quali siano il contenuto dell’effetto estensivo, previsto dall’art. 587 c.p.p., ed il momento procedurale in cui esso si verifica, nel caso in cui due coimputati nei medesimi fatti reato abbiano definito la rispettiva posizione processuale con applicazione della pena ed uno solo di loro abbia poi proposto ricorso per cassazione per profili non soggettivi e non processuali, ottenendo l’annullamento della sentenza ‘di patteggiamento’.

Deduce la difesa di XY che tale annullamento si sarebbe concretizzato nel far venir meno la sentenza ex art. 444 c.p.p. e che quel risultato gioverebbe da subito anche a questo già coimputato, pure per lui risultando ‘travolta’ la sentenza di patteggiamento, ed in particolare essendole ora consentito di partecipare al ‘nuovo’ giudizio senza più alcuna preclusione connessa all’accordo intercorso tra lei ed il pubblico ministero.

XY potrebbe pertanto affrontare ogni questione, a partire dal punto della responsabilità ed anche per ragioni autonome rispetto a quelle sul medesimo punto dedotte dal coimputato YZ (nel caso concreto, in effetti, la difesa di merito risulta all’evidenza in parte comune - non sussiste oggettivamente alcuna truffa - ed in parte contrapposta - entrambi addebitano all’altro la volontà e conoscenza dei fatti -). Da qui i suoi motivi di appello che trattano anche quel punto, oltre alla rivisitazione del complessivo trattamento sanzionatorio.

Il fatto che, prima, il GUP abbia citato per l’udienza preliminare e quindi rinviato a giudizio anche XY e, poi, il pubblico ministero abbia chiesto la condanna di XY tenendo conto dell’effetto estensivo (la verbalizzazione è sul punto troppo sintetica, ma parrebbe che il p.m. abbia chiesto l’eliminazione dell’aumento di pena per il 323 c.p.), di fatto offrono anche una seconda risposta al quesito evidenziato: l’effetto estensivo si limita alla ridefinizione del trattamento sanzionatorio e può essere il giudice del merito a concretizzarlo, nonostante la posizione processuale del coimputato non sia definita da quella contestuale prima sentenza di merito.

Come si è prima esposto, il Tribunale ha invece giudicato, ed è una terza risposta al quesito, che la sentenza di annullamento della Corte di cassazione avrebbe “travolto solo il delitto di abuso d’ufficio”, che l’effetto estensivo in favore di XY sarebbe circoscritto all’eliminazione dell’aumento di pena per la continuazione esterna e che la concreta rideterminazione della pena avrebbe sede propria davanti al giudice dell’esecuzione.

Premesso che il caso risulta nuovo nel quadro della giurisprudenza edita, questa Corte distrettuale serenissima giudica che la soluzione del Tribunale sia quella corretta, ancorché con ricostruzione sistematica e per ragioni in parte diverse.

3.2. Sezioni Unite n. 9 del 24.3.1995, in proc. Cacciapuoti, che si caratterizza per una brillante e puntuale ricostruzione ‘storica’ dell’istituto, conclude che “il fenomeno processuale dell’estensione dell’impugnazione in favore del coimputato non impugnante, di cui all’art. 587 c.p.p., si risolve nella prospettazione di un evento (quale il riconoscimento, in sede di giudizio conclusivo sull’impugnazione, della fondatezza del motivo non esclusivamente personale dedotto dall’impugnante diligente), al verificarsi del quale, operando di diritto come rimedio straordinario capace di revocare il giudicato in favore del non impugnante, rende questi partecipe del beneficio conseguito dal coimputato”. Ancora, l’effetto dell’estensione dell’impugnazione va teoricamente definito come “rimedio straordinario condizionato al verificarsi dell’evento di accoglimento del motivo non esclusivamente personale” (dal che la Suprema Corte ha concluso per l’ininfluenza del fenomeno, sino al momento del suo positivo verificarsi, sulla definitività e, quindi, esecutorietà della sentenza a riguardo del rapporto processuale individuo, concernente il non impugnante o equiparato). L’effetto estensivo conseguente all’altrui impugnazione si risolve allora nella “prospettazione di una ‘speranza’ di dissoluzione del giudicato che nell’attualità è da darsi per formato ed operante” e caratterizza il fenomeno giuridico di un evento, variamente predicato, capace di condurre a revoca del giudicato per una ragione estranea all’attività del soggetto beneficiato, valorizzato dal legislatore per scongiurare la stortura di contraddittorietà di giudicati in causa unica e, quindi, per ragioni di equità, unità e logicità della giurisdizione, di ordine pubblico in senso lato e, pertanto, superiori all’interesse del singolo.

Page 20: INDICE SEZIONE PRIMA - DIRITTO PENALE · Sottrazione o danneggiamento di cose sottoposte a sequestro disposto nel corso di un procedimento penale o dall’autorità amministr ativa

18

In altri termini, ‘ratio´ dell’istituto è, in questo caso, l’evitare il contrasto di giudicati tra coimputati per lo stesso fatto, anche processati separatamente. Non c’è invece alcun aspetto di ‘restituzione in termini’, di ‘recupero di opzioni tralasciate o perse’ anche per sola negligenza. Si spiega, si dissolve il giudicato solo per esigenze di superiore giustizia di parità di trattamento, estendendo ciò che altri ha coltivato e ‘meritato’, ma nei limiti di quanto l’altro ha fatto e dell’occasionale oggettiva comunanza dei motivi. La propria posizione perde autonomia: prendo ciò che mi viene dalla diligenza altrui, nei limiti in cui c’è motivo comune.

L’estensione dell’effetto favorevole dell’attività del coimputato diligente può avvenire con due modalità diverse:

- partecipando alla fase processuale introdotta all’impugnazione dell’altro, dopo il primo giudicato;

- dopo il giudicato dell’altro. Contenuto ed estensione degli effetti sono però i medesimi nell’uno e nell’altro caso, e questa è

sostanzialmente la ragione per cui è irrilevante l’omessa citazione del non impugnante (Sez. 6, 9.6.1992, Masala). Tali due modalità spiegano la distinzione concettuale tra effetto estensivo dell’impugnazione ed estensione degli effetti del giudicato altrui più favorevole per effetto dell’accoglimento del motivo comune (Sez. 6, sent. 6558 del 30.3.-4.6.1998 in proc. Scepi).

Il codice di rito disciplina espressamente la partecipazione del non impugnante alla fase di impugnazione in tre casi: art. 601.1 (appello), art. 627.5 (giudizio di rinvio dopo annullamento), art. 636.1 (giudizio di revisione, attraverso il richiamo esplicito all’art. 601). Qualitativamente diversa è la soluzione adottata per i decreti penali di condanna (l’art. 463 prevede la sospensione ex lege dell’esecutività per i non impugnanti, fino all’irrevocabilità della sentenza che chiude il giudizio promosso dagli opponenti), mentre costituisce solo applicazione del principio generale la previsione del secondo capoverso dell’art. 595 c.p.p. (evidentemente relativa al caso di un appello incidentale del p.m. che sia proposto in favor rei).

In particolare non è prevista la possibilità di partecipare al giudizio di cassazione se non quando, dopo aver già partecipato al giudizio di appello (ex art. 601.1) e dopo che sia stato accolto il motivo comune, non si sia contestualmente fatto luogo alla declaratoria dell’effetto estensivo della sentenza nei propri riguardi (Sez. 6, 17.5.1993, Khalifi); è stata invece esclusa la possibilità di un ricorso autonomo del già non impugnante in appello, per far valere il motivo comune disatteso dal giudice di secondo grado (Sez. 6, sent. 2767 del 19.12.1994 - 16.3.1995 in proc. Di Tuccio).

Manca infatti una norma specifica, come il 601.1, che oltretutto mai è richiamato direttamente o indirettamente nel giudizio di cassazione. E’ insegnata dalla giurisprudenza di legittimità anche la ragione sistematica dell’esclusione: la cassazione non è competente ad esprimere gli apprezzamenti di merito relativi all’ambito di estensione del motivo, quindi al grado di ‘comunanza’ tra e per le diverse posizioni processuali (Sez. 5, sent. 17650 del 11.2. - 16.4.04 in proc. Tresca).

Deve quindi concludersi che l’art. 587 c.p.p. detta il principio generale dell’estensione degli effetti positivi per ragioni comuni, ma per sé non consente, né tantomeno impone, la partecipazione del non impugnante a tutto il successivo iter procedimentale del coimputato diligente.

Le previsioni degli artt. 601.1., 627.5 e 636 c.p.p. vanno allora ritenute tassative. Non solo per la natura sicuramente eccezionale dell’effetto estensivo dell’impugnazione altrui (formalmente contrario alle regole sistematiche ordinarie), ma anche perché deve constatarsi come solo in quei casi l’inserimento del coimputato non impugnante nell’iter procedimentale ancora aperto trova ‘automaticamente’, quindi per espressa e specifica disciplina e senza necessità o possibilità di integrazione interpretativa alcuna, ‘paletti’ incontrovertibili: l’inserimento è all’interno della cognizione e devoluzione altrui e nei limiti dei motivi comuni, e l’inserito può agire solo per dare sostegno a quei motivi (una sorta di intervento adesivo).

3.3. Tutto ciò premesso ed argomentato, nel caso di XY abbiamo un annullamento della sentenza di patteggiamento del coimputato, che nella decisione la stessa Corte di cassazione qualifica espressamente essere senza rinvio (e quindi in applicazione dell’art. 620 e non dell’art. 625 c.p.p.). Contestualmente, però, la Cassazione ha disposto la trasmissione degli atti perché si procedesse ‘a nuovo giudizio’ per il solo reato di truffa aggravata.

A fronte di un ricorso proposto (oltre che per una qui non rilevante questione sulle spese di una custodia) esclusivamente per la questione di diritto sulla sussistenza o meno del concorso formale

Page 21: INDICE SEZIONE PRIMA - DIRITTO PENALE · Sottrazione o danneggiamento di cose sottoposte a sequestro disposto nel corso di un procedimento penale o dall’autorità amministr ativa

19

tra i due reati, l’annullamento introduce nel prosieguo dell’iter procedimentale il principio di diritto vincolante dell’assorbimento dell’abuso d’ufficio nella truffa aggravata.

Come conseguenza pratica dell’annullamento si dissolve la sentenza ex art. 444 c.p.p. per il coimputato diligente e, solo per lui, si riapre la strada della scelta tra un nuovo ‘patteggiamento’ per il solo delitto di truffa o il giudizio (dibattimentale o abbreviato, in ipotesi), rimane comunque un avvenuto esercizio dell’azione penale, che a questo punto, per l’intervento della Cassazione, riguarda il solo delitto di truffa aggravata continuata, esercizio che deve avere il suo sbocco in una sentenza definitiva.

Pertanto, la sentenza della Cassazione non ha definito in via esaustiva (quindi con un giudizio conclusivo) la posizione processuale di YZ, ma si è limitata a definire l’ambito di imputazione del nuovo giudizio sul punto che il primo reato assorbe il secondo, già invece contestato autonomamente.

In particolare, a giudizio di questa Corte veneta, la fase davanti al Tribunale scaligero non può essere considerata una fase di impugnazione (come l’appello - art. 601.1 - o il giudizio di rinvio - art. 627.5 -): chiusa la via di quel ‘patteggiamento’ si riaprono tutte le strade procedimentali rispetto alla ridotta imputazione.

La decisione della Corte di legittimità non è allora una decisione sul rito (quindi su un motivo afferente la legge processuale ed una sua violazione, ex art. 587.2 c.p.p.), ma è una decisione sul merito dell’imputazione. Certo è una decisione sul merito che, per le peculiarità dell’istituto e del rito di patteggiamento, ha conseguenze di fatto anche sul rito, nel senso di determinare una sorta di restituzione dell’imputato ricorrente in una fase procedimentale in cui, come detto, si riapre la possibilità di scelte processuali diverse. Ma è situazione del tutto differente da un annullamento per ragioni processuali comuni, contesto che solo potrebbe - supponendo ad esempio una nullità assoluta afferente la capacità del giudice o il numero dei giudici necessario per costituire un collegio ed investendo quindi direttamente il fatto stesso dell’avvenuto giudizio - riaprire per tutti, anche per i non impugnanti, ogni possibilità di diverse scelte e strategie procedimentali.

Questo Giudice di appello è consapevole della possibile obiezione secondo cui a questa situazione peculiare si potrebbe applicare analogicamente, o comunque in via estensiva, la disciplina prevista dall’art. 627.5 c.p.p., sull’assunto che in definitiva l’effetto della decisione della Corte parrebbe del tutto simile (annullamento, e restituzione degli atti per l’ulteriore corso).

L’obiezione è in realtà solo suggestiva. La sua infondatezza discende non solo dal dato letterale, già determinante alla luce della ricordata natura eccezionale della previsione degli effetti estensivi, ma ancor più dal dato sistematico.

Infatti, nel caso concreto questo singolare connubio tra decisione sul merito e conseguenza (anche) sul rito, dovuto alle peculiarità dell’istituto del patteggiamento, è certamente un’anomalia rispetto ai principi generali per cui il rinvio è disposto o per motivi di merito o per motivi di rito o per entrambi, ma sempre nell’ambito dell’ulteriore corso (il giudizio di rinvio) è connesso alla natura del motivo accolto (rito, o merito, o entrambi). E proprio tale anomalia spiega la decisione della Cassazione che (si noti, pur sollecitata dal ricorrente ad una decisione di annullamento con rinvio) separa consapevolmente i due momenti - annullamento senza rinvio e restituzione degli atti - confermando che in questo caso la situazione procedimentale è diversa rispetto a quella propria dell’annullamento con rinvio che, sola, giustificherebbe la citazione del coimputato non impugnante per l’ulteriore corso.

3.4 Ed allora, traendo le conclusioni: - la sentenza della Corte di cassazione non crea giudicato perché non definisce in via

definitiva la posizione del coimputato YZ (arg. anche ex Sez. 5, sent. 15446 del 17.2 - 1.4.2004 in proc. Koshi);

- è, per mutuare un istituto del processo civile (e che pur ha avuto qualche riconoscimento giurisprudenziale anche nel settore penale) una ‘sentenza parziale’, che non dà origine ad una fase in qualche modo propria dell’iter di impugnazione che sia sussumibile (o almeno assimilabile) all’appello, al giudizio di rinvio ex art. 627 c.p.p., al giudizio di revisione;

- quindi, non vi sono allo stato le condizioni perché si produca alcun effetto estensivo, né dell’impugnazione, né del giudicato (i solo casi possibili);

Page 22: INDICE SEZIONE PRIMA - DIRITTO PENALE · Sottrazione o danneggiamento di cose sottoposte a sequestro disposto nel corso di un procedimento penale o dall’autorità amministr ativa

20

- XY non avrebbe perciò dovuto essere citata dal GUP, e bene ha fatto il Tribunale a definire allo stato la sua posizione con una decisione di improcedibilità ex art. 649 c.p.p.;

- XY dovrà attendere il passaggio in giudicato della decisione definitiva relativa all’accusa rivolta al coimputato YZ, all’esito del suo complessivo iter processuale, e solo allora sorgerà l’effetto estensivo e si delimiterà il suo ambito (in astratto è ancora sub sudice il punto della sussistenza stessa del fatto);

- Attualmente, atteso il già intercorso annullamento, la condannata XY sa che in ogni caso avrà una riduzione di pena corrispondente all’aumento determinato per il concorrente delitto ex art. 323 c.p., assorbito; non può tuttavia attivarla ora (e neppure davanti al giudice dell’esecuzione, a giudizio di questa Corte espresso solo per completezza espositiva posto che la competenza della relativa valutazione è eventualmente di altra autorità giudiziaria), perché manca il giudicato sulla posizione YZ ed il processo dibattimentale di primo grado (e questo di appello) non configura una fase di impugnazione in cui YZ possa legittimamente inserirsi. (omissis)

NOTA

Con la sentenza in commento, la Corte d’Appello di Venezia affronta una questione procedurale che si caratterizza per la sua particolare tematica e per la mancanza di precedenti pronunce sul punto.

Infatti, con essa viene affrontato il tema del contenuto dell’effetto estensivo dell’impugnazione, previsto dall’art. 587 c.p.p., ed il momento procedurale in cui esso si verifica a fronte (e qui sta un ulteriore elemento di particolarità) di una sentenza di patteggiamento.

Per la complessità della vicenda, ci si permette schematizzare brevemente l’iter che ha preceduto la pronuncia della Corte in commento.

- Due coimputati (Z e XY) in concorso in truffa pluriaggravata ed abuso di ufficio vengono giudicati dal GUP con sentenza ex art. 444 c.p.p.; solo Z promuove ricorso avanti la Corte di Cassazione, deducendo che il delitto di cui all’art. 323 c.p. dovesse essere assorbito in quello di truffa pluriaggravata. La Corte di legittimità si pronuncia per l’accoglimento del motivo dedotto con sentenza di annullamento senza rinvio e con contestuale trasmissione degli atti per l’ulteriore corso del procedimento relativamente al reato di truffa aggravata. Si celebrava pertanto nuova udienza preliminare, alla quale veniva citato ex art. 587 c.p.p. anche XY non impugnante: rinviati entrambi a giudizio, il Tribunale si pronunciava nei confronti di XY per non doversi procedere ex art. 649 c.p.p., in quanto lo stesso era già stato giudicato con sentenza ex art. 444 c.p.p., divenuta ormai irrevocabile. Per il Tribunale, la sentenza della Corte di Cassazione, emessa su ricorso del solo Z, ma per motivi non personali, avrebbe dovuto sì spiegare i suoi effetti anche nei confronti di XY, ma solo in punto di assorbimento; in tal modo, la parte di aumento per la continuazione esterna, si sarebbe ben potuta rideterminare in sede esecutiva. Impugna allora XY avanti la Corte veneta, la quale si pronuncia con la sentenza in commento, statuendo che XY non aveva alcun diritto di essere citato nel nuovo giudizio di primo grado e che, poiché la sentenza della Cassazione si presenta come non definitiva, essa per influire sulla posizione di XY sarebbe dovuta divenire definitiva e quindi il non impugnante avrebbe dovuto attendere la conclusione di tutto il successivo iter processuale di Z.

La Corte veneta stabilisce infatti come la decisione sopra esposta della Corte di legittimità non attenga al rito, bensì al merito dell’imputazione, ma che, per la peculiarità propria dell’istituto e del rito del patteggiamento, la stessa abbia conseguenze inevitabili anche sul rito, permettendo all’imputato impugnante di riaprire scelte processuali diverse; situazione però diversa dall’annullamento per ragioni processuali comuni che, solo,

Page 23: INDICE SEZIONE PRIMA - DIRITTO PENALE · Sottrazione o danneggiamento di cose sottoposte a sequestro disposto nel corso di un procedimento penale o dall’autorità amministr ativa

21

potrebbe permettere anche agli imputati non impugnanti nuove possibilità di scelte e strategie procedimentali.

Quindi, sostiene la Corte veneta che: 1) XY non doveva essere citato nel nuovo giudizio di Z (approvando quindi la

decisione del collegio di non procedere nel rispetto dell’art. 649 c.p.p.); 2) non potranno aprirsi per il non impugnante nuove strade processuali, poiché di

fatto non si produce alcun effetto estensivo né dell’impugnazione né del giudicato, e XY dovrà attendere pertanto la definizione di tutto l’iter processuale dell’imputato impugnante per beneficiare anch’egli della decisione definitiva adottata in quella sede.

Nel delineare tale ostica problematica, la sentenza affronta meticolosamente tutti i vari passaggi tanto metodologici quanto processuali che hanno sorretto la decisione, evidenziando con particolare acume le differenze tra effetto estensivo dell’impugnazione ed effetto estensivo del giudicato altrui più favorevole per effetto dell’accoglimento del motivo comune.

Ripercorrendo le tematiche affrontate dai Giudici della Corte d’Appello di Venezia, questi chiariscono innanzitutto quale sia il contenuto dell’effetto estensivo previsto dall’art. 587 c.p.p., definendolo (così Cass., Sezioni Unite, n. 9/95) come un “rimedio straordinario capace di revocare il giudicato in favore del non impugnante”, che opera di diritto e che rende quest’ultimo “partecipe del beneficio conseguito dal coimputato”. L’effetto estensivo allora sarebbe “capace di condurre a revoca del giudicato per una ragione estranea all’attività del soggetto beneficiato, valorizzato dal legislatore per scongiurare la stortura di contraddittorietà di giudicati in causa unica e, quindi, per ragioni di equità, unità e logicità della giurisdizione, di ordine pubblico in senso lato e, pertanto, superiori all’interesse del singolo”.

La Corte d’Appello di Venezia ritiene che tale “beneficio” potrà estendersi a favore dell’imputato non impugnante solo a seguito di tutto il successivo iter della posizione processuale di Z, posto che la Cassazione, annullando senza rinvio la sentenza di patteggiamento di questi, e statuendo il principio di diritto dell’assorbimento del delitto di abuso di ufficio in quello di truffa aggravata, non ha definito in via esaustiva (quindi con giudizio conclusivo) la posizione processuale di Z, ma si è limitata a definire l’ambito dell’imputazione nel nuovo giudizio.

Alla luce di quanto linearmente esposto dalla Corte, non si nasconde il sorgere di numerose difficoltà e perplessità che, con umiltà e nel riconoscimento dei propri limiti, ci si permette avanzare in questa sede.

Innanzitutto, considerato che il principio di diritto sancito dalla Cassazione è e resterà tale per tutto il successivo iter procedimentale dell’imputato impugnante, e considerato che qualsivoglia sarà l’iter processuale dello stesso, tale principio di diritto resterà immutabile, ci si domanda perché XY debba attendere tutta la fine di questo iter per poter anch’egli beneficiare della pronuncia della Cassazione in punto di assorbimento del reato di abuso in quello di truffa.

È vero, infatti, che trattasi di sentenza “parziale”, ma tale “parzialità” è data dal fatto che una parte della stessa è fissa (principio di diritto) e non potrà essere modificata dal successivo iter processuale dell’imputato, il quale, solo, presenta un carattere di incertezza.

Se è vero come è vero (vedasi soprammenzionata Cass., Sez. Un., 9/95) che l’art. 587 c.p.p. permette al non impugnante di fruire del beneficio conseguito dall’impugnante, nel caso di specie si dovrà guardare in cosa consista il beneficio soprammenzionato: ebbene esso coincide (a parere di chi scrive) con il contenuto stesso del provvedimento della Cassazione e quindi consiste nell’annullamento della sentenza (errata in punto di diritto) e nella “rimessa in corsa” a partire dal procedimento di primo grado.

Page 24: INDICE SEZIONE PRIMA - DIRITTO PENALE · Sottrazione o danneggiamento di cose sottoposte a sequestro disposto nel corso di un procedimento penale o dall’autorità amministr ativa

22

Del resto, è la stessa Corte di Cassazione a Sezioni Unite (nella sentenza appena citata e richiamata dalla Corte d’Appello di Venezia) a indicare come sia il “giudizio conclusivo sul gravame” (e non il giudizio conclusivo sulla posizione di Z) il momento in cui il “rimedio straordinario” di cui all’art. 587 c.p.p. possa spiegare i suoi effetti anche sulla posizione processuale del non impugnante, tale da “revocare il giudicato” in favore dello stesso.

Perché XY, coimputato in concorso nello stesso reato di Z, dovrebbe ottenere un beneficio diverso rispetto a quello di Z stesso, ovvero limitato all’annullamento e non anche alla riapertura del processo? E perché questo (pur limitato) beneficio si dovrebbe dispiegare solo all’esito di tutto il successivo percorso processuale di Z?

Così facendo, pare non possa trovare applicazione alcun effetto estensivo dell’impugnazione, ma solo un tardivo (e parziale) effetto estensivo del giudicato altrui più favorevole.

La Corte d’Appello di Venezia ha, nella sua attenta ricostruzione, indirettamente risposto a tali quesiti, con diverse motivazioni.

Innanzitutto, la Corte veneta ritiene che non si possa “rimettere in gioco” la posizione di XY poiché egli non sarebbe mai legittimato ad intervenire nell’iter processuale di Z.

Nega dapprincipio che possa intervenire nel giudizio di Cassazione (e quindi esclude il verificarsi dell’effetto estensivo dell’impugnazione ex art. 587 c.p.p. innanzi al Giudice di legittimità), poiché non vi sarebbe alcuna norma che consenta un tal tipo di intervento.

La Corte distrettuale indica talune norme che prevedono espressamente un intervento di tal fatta nel giudizio di impugnazione: trattasi dell’art. 601 c.p.p. (appello), dell’art. 627 comma V c.p.p. (giudizio di rinvio dopo l’annullamento) e dell’art. 636 comma I c.p.p. (giudizio di revisione). Da qui, secondo la Corte Serenissima, il coimputato non impugnante non potrebbe intervenire in Cassazione, e quindi non può farsi ingresso alle comuni pretese, non personali, del coimputato impugnante (ritenendo che “la Cassazione non è competente ad esprimere gli apprezzamenti di merito relativi all’ambito di estensione del motivo, quindi al grado di ‘comunanza’ tra e per le diverse posizioni processuali”).

Taluna parte della dottrina ravvede al contrario la possibilità di un effetto estensivo dell’impugnazione nel giudizio di Cassazione e, su questa linea e conseguentemente, si ravvede una sorta di asistematicità legislativa.

Innanzitutto, non pare si possa escludere l’impossibilità di una partecipazione del coimputato nel giudizio di impugnazione in Cassazione e ciò soprattutto per ragioni di ordine sistematico, posto che l’art. 587 c.p.p., inserito nel Titolo I del Libro IX, relativo alle Disposizioni Generali in tema di impugnazioni, prevede espressamente che l’impugnazione proposta da uno degli imputati possa giovare anche agli altri. È chiaro che se il Legislatore ha voluto inserire una norma nella parte relativa alla disciplina generale, ha altresì voluto che tale norma trovasse applicazione per tutti i tipi di impugnazione poi, nello specifico, delineati nel codice di rito; la stessa posizione all’interno del codice di rito indica, altresì , il connotato tutt’affatto eccezionale di tale previsione.

L’effetto estensivo di cui all’art. 587 c.p.p. altro non significa che la possibilità per l’imputato non impugnante di “partecipare al procedimento di impugnazione promosso da altro coimputato e di giovarsi della impugnazione di lui” (vedasi Cass. Pen., Sez. VI, sent. 2767 del 19.12.1994 - 16.3.1995 in proc. Di Tuccio, richiamata dalla stessa Corte veneta) ed è del resto anche la dottrina a chiarire come “nel giudizio di Cassazione il non impugnante non ha diritto ad alcuna citazione, ma può intervenire volontariamente, non apparendo ciò in contrasto con alcuna particolare disposizione” (“Nuovo manuale pratico del processo penale”, CEDAM, 2002, Fortuna, Dragone, Fassone, Giustozzi, pag. 1235).

Già qui ci si trova innanzi ad una dissintonia, in quanto si ha una norma che facoltizza (art. 587 c.p.p.), ma nessuna che impone, con evidenti conseguenze sul piano concreto. È

Page 25: INDICE SEZIONE PRIMA - DIRITTO PENALE · Sottrazione o danneggiamento di cose sottoposte a sequestro disposto nel corso di un procedimento penale o dall’autorità amministr ativa

23

evidente infatti che se taluno decide di intervenire, la decisione della Corte (nella specie, annullamento senza rinvio) spiegherà i suoi effetti anche nei suoi confronti, mentre in caso contrario nessuna conseguenza si avrà nei confronti del non impugnante. Nulla quaestio sul fatto che siano lasciate alle parti le iniziative processuali a difesa dei propri interessi, ma ciò lascia perplessi allorquando ci si imbatta nella tutela del supremo interesse della unicità ed univocità dei giudicati.

Diversamente, nel caso di annullamento con rinvio, comunque la posizione del non impugnante troverà tutela, in quanto l’art. 627 comma V c.p.p. estende gli effetti favorevoli dell’annullamento anche al non impugnante (tanto poi che “l’imputato che può giovarsi di tale effetto estensivo deve essere citato e ha facoltà di intervenire nel giudizio di rinvio”).

Appare allora piuttosto plausibile che, posto che la legge facoltizza l’intervento del non impugnante in Cassazione (e non lo vieta), in ogni caso il non impugnante dovrà giovarsi di quanto stabilito dalla Cassazione, e questo anche in caso di annullamento senza rinvio; infatti, anche la sentenza di annullamento con rinvio si presenta “parziale” e, essendo quest’ultima in grado di spiegare i suoi effetti anche nei confronti del non impugnante (art. 627 comma V c.p.p.), non si vede perché una sentenza altresì “parziale”, come quella di annullamento senza rinvio, non possa avere effetti nei confronti del non impugnante.

Del resto, si può altresì sostenere che la sentenza di annullamento senza rinvio abbia un connotato di maggior “definitezza”rispetto a quella di annullamento con rinvio, verificandosi la prima in tutte quelle ipotesi in cui non appare necessario un nuovo giudizio e consistendo nella cassazione della sentenza, nella sua totalità o in talune sue parti, con definizione del processo, salva l’eventualità di taluni adempimenti. Di fatto la sentenza impugnata da Z è “demolita” dalla Cassazione, e non si vede perché di tale “abbattimento” non possa giovarsi sin dall’inizio XY. Se infatti la ratio dell’art. 587 c.p.p. è quella dell’unicità e concordanza dei giudicati, e quelle dell’art. 620 c.p.p. è quella di semplificazione e celerità, non si vede perché una sentenza (già in nuce difettosa) debba aspettare tutto il successivo iter processuale (che può presentarsi molto lungo, anche con tre gradi di giudizio) per poter venir modificata anch’essa.

È quindi vero che la sentenza della Cassazione non crea giudicato perché non definisce in via definitiva la posizione del coimputato Z, ma è vero che fissa un punto fermo che vale tanto per Z (impugnante) quanto per XY (coimputato non impugnante).

Del resto, la considerazione sul mancato dovere della Cassazione di valutare posizioni personali simili non appare corretta, posto che una tale valutazione viene da essa compiuta nel caso di annullamento con rinvio previsto dall’art. 627 comma 5 c.p.p.

Si deve poi considerare anche la particolarità del rito dell’applicazione pena su richiesta delle parti, che non consente il giudizio in appello, unica sede in cui, ad avviso della Corte Veneta, potrebbe farsi luogo all’applicazione dell’art. 587 c.p.p. in questo caso, infatti, l’imputato non ricorrente non potrebbe mai giovarsi degli effetti estensivi dell’impugnazione del ricorrente, con conseguente evidente disparità di trattamento.

Anche considerazioni di giustizia sostanziale militano in tal senso: non è corretto che partendo da una situazione giuridicamente e sostanzialmente identica (fattispecie concreta - assorbimento del delitto di abuso di ufficio in quello di truffa pluriaggravata) che investe entrambe le sentenze, un imputato possa vedersi aprire nuove strade processuali, mentre l’altro sia destinato a fruire solo parzialmente, e comunque tardivamente, degli effetti favorevoli della decisione sull’impugnazione (per ragioni comuni e visibilmente estensibili) dell’altra.

Ad avviso di chi scrive, pertanto, correttamente XY era stato citato dal nuovo Giudice di primo grado per inserirsi in un nuovo iter processuale, sì da fruire, sin dall’inizio, degli effetti favorevoli dell’impugnazione di Z.

Page 26: INDICE SEZIONE PRIMA - DIRITTO PENALE · Sottrazione o danneggiamento di cose sottoposte a sequestro disposto nel corso di un procedimento penale o dall’autorità amministr ativa

24

Si badi, effetti favorevoli dell’impugnazione e non, come correttamente osservato dalla Corte, estensione degli effetti favorevoli del giudicato, posto che, tecnicamente, un giudicato non si è ancora formato.

Ci pare infine di poter azzardare come molte delle perplessità sopraesposte siano sorte anche e proprio in virtù della scelta decisoria della Corte di Cassazione la quale, inevitabilmente, ha coinvolto le decisioni dei Giudici a seguire.

Per quanto la scelta dell’annullamento senza rinvio sia stata “voluta” dalla Corte di Cassazione (posto che, come indicato dalla Corte Veneta, ha rigettato la richiesta di annullamento con rinvio), resta, a parere di chi scrive, che essa avrebbe dovuto più propriamente pronunciare una sentenza di annullamento con rinvio, dato che non ha esaurito il procedimento di Z né definito la posizione dello stesso e ha rinviato gli atti per l’ulteriore corso del procedimento; conseguentemente, avrebbe dovuto dare spazio agli adempimenti di cui all’art. 627 comma 5 c.p.p. per tutelare la posizione di XY.

Non pare altresì che il fatto che trattasi di sentenza di patteggiamento possa in qualche modo ostacolare una tale ricostruzione, poiché, in ogni caso, l’annullamento della sentenza è avvenuto per ragioni sostanziali (assorbimento del delitto di abuso di ufficio in quello di truffa) che, indipendentemente dal tipo di scelta processuale adottata in concreto dagli imputati, dovranno trovare pieno riconoscimento in entrambi i giudizi. [Paola Loprieno]

13 Tribunale Ordinario di Venezia - Sezione Giudice per le Indagini Preliminari - Ord. del 10.01.06 - Est. Manduzio - Imp. XY Giudizio abbreviato - Divieto di utilizzazione di documenti prodotti dalla difesa nel corso dell’udienza preliminare - Indagini difensive - Esclusione - Ragioni (Artt. 438, 391 bis, 391 octies c.p.p.)

Sono utilizzabili in sede di giudizio abbreviato le dichiarazioni ricevute dalla Difesa ex art. 391 bis c.p.p. se depositate prima della richiesta di ammissione al rito; dispone, infatti, l’art. 438 c.p.p. che la richiesta di giudizio abbreviato possa essere formulata sino al momento della presentazione delle conclusioni ai sensi degli artt. 422, 423 c.p.p., così facendo salva l’utilizzabilità della documentazione depositata nel corso dell’udienza preliminare. L’ordinanza così motiva:

(Omissis) - Quanto alle deduzioni del P.M. in ordine alla non assumibilità agli atti delle dichiarazioni ricevute dalla difesa ai sensi dell’art. 391 bis c.p.p., le stesse non possono essere accolte. Infatti, ai sensi del preciso testo normativo di cui al co. I dell’art. 391 octies c.p.p., risulta pacifico che il difensore possa presentare direttamente al giudice gli elementi di prova a favore del proprio assistito, nell’udienza preliminare, ai fini della decisione che il giudice deve adottare. Ora, nella fattispecie in esame, il difensore ha presentato al giudice gli elementi probatori, cioè dichiarazione e documenti, nel corso dell’udienza preliminare ed ai fini della decisione che il giudice deve adottare in tale fase del procedimento. Si tratta, dunque, della decisione di cui all’art. 424 c.p.p., che definisce l’udienza preliminare. Pertanto, le dichiarazioni ricevute dalla difesa sono state legittimamente e tempestivamente presentate al giudice.

Inoltre poiché, ai sensi del co. II dell’art. 438 c.p.p., può essere formulata la richiesta di rito abbreviato fino al momento in cui vengano presentate le conclusioni di cui agli artt. 422 e 423 c.p.p., appare evidente che le dichiarazioni assunte dal difensore, le quali entrano a far parte del fascicolo del P.M. ai sensi dell’art. 391 octies co. III ultima parte c.p.p., debbano essere ritenute legittimamente ricomprese tra gli atti valutabili dal giudice ai fini della decisione nel giudizio

Page 27: INDICE SEZIONE PRIMA - DIRITTO PENALE · Sottrazione o danneggiamento di cose sottoposte a sequestro disposto nel corso di un procedimento penale o dall’autorità amministr ativa

25

abbreviato. Ovviamente, qualora il giudice ritenga, ai sensi dell’art. 441 co. V c.p.p. ed anche eventualmente in ragione della produzione difensiva suddetta, di non poter decidere allo stato degli atti, potrà comunque disporre un’integrazione istruttoria.

14 Tribunale Ordinario di Venezia - Comp. Monoc. sede di Mestre - Ord. 19.12.2005 - Est. Lancieri - Imp. XY Ammissibilità della rinuncia all’opposizione al decreto penale di condanna - Condanna alla rifusione delle spese della Parte Civile costituita - Ragioni (Artt. 464, 591 lett. d) c.p.p.)

Trattandosi di una forma di impugnazione, l’opposizione al decreto penale di condanna è sempre rinunciabile, in conformità a quanto disposto dall’art. 591 comma I lett d) c.p.p.; ne deriva la legittimità della pretesa della parte civile, che non sia rimasta inerte, al rimborso delle spese sostenute nel processo, quando la mancata pronuncia sull’oggetto principale del giudizio civile non sia a lei addebitabile. (Il Giudice così motiva citando la sentenza della Cassazione, Sezioni Unite, 28 gennaio 2004, Gallo, che afferma il principio di carattere generale secondo cui la condanna al pagamento delle spese processuali sostenute dalla parte civile “deve ritenersi valido non solo rispetto alle cause di inammissibilità proprie del giudizio di Cassazione ma anche rispetto a quelle formali elencate dal comma primo dell’art. 591”, tra le quali viene infatti annoverata la rinuncia all’impugnazione).

15 Tribunale di Sorveglianza di Venezia - Ord. 24.1.2006 - Pres. Tamburino - Imp. XY Detenzione domiciliare - Nuova previsione ex art. 7 comma 4 L. 251/05 - Immediata applicabilità ai procedimenti di esecuzione in corso - Ragioni (Art. 47 ter comma 1 - bis così come modificato dalla L. 251/05)

Deve ritenersi immediatamente applicabile ai procedimenti di esecuzione in corso la nuova disciplina della c.d. detenzione domiciliare generica, sia perchè le norme relative alla esecuzione della pena e della concessione di benefici penitenziari e di misure alternative non sono annoverabili tra quelle penali sostanziali (non trovando pertanto applicazione il principio di irretroattività della legge più sfavorevole né quello di ultrattività di quella, se pure abrogata, più favorevole), sia perché comunque l’art. 2 comma 3 c.p. esclude l’ultrattività della norma più favorevole allorquando sia stata pronunciata sentenza irrevocabile.

Page 28: INDICE SEZIONE PRIMA - DIRITTO PENALE · Sottrazione o danneggiamento di cose sottoposte a sequestro disposto nel corso di un procedimento penale o dall’autorità amministr ativa

26

16

Tribunale Ordinario di Venezia - Comp. Monoc. Sede di Mestre - Ord. 22.9.2005 - Est. Valeggia - Imp. XY Efficacia del decreto di irreperibilità emesso contestualmente all’emissione dell’avviso di conclusione delle indagini preliminari nella successiva fase del giudizio - Insussistenza dei profili di nullità del decreto di citazione a giudizio per asserita violazione dell’art. 160 c.p.p. (Artt. 160, 415 bis c.p.p.)

Laddove il decreto di irreperibilità venga emesso contestualmente all’emissione dell‘avviso dell’avviso di conclusioni delle indagini preliminari non può ritenersi violata la disposizione di cui all’art. 160 c.p.p. laddove la stessa stabilisce che il suddetto decreto, emesso nel corso delle indagini preliminari, cessa di avere efficacia, tra l’altro, con la chiusura delle indagini stesse. Il necessario coordinamento tra le disposizioni di cui all’art. 415 bis c.p.p. e 160 c.p.p. consente infatti di ritenere pienamente valido ed efficace ai fini della successiva fase di giudizio il decreto di irreperibilità emesso contestualmente all’emissione dell’avviso di conclusione delle indagini preliminari - momento, quest’ultimo, pacificamente successivo alla conclusione delle indagini stesse -, nonché la conseguente notifica dello stesso al difensore d’ufficio in quella sede nominato.

17 Tribunale Ordinario di Venezia - Comp. Monoc. Sede di Mestre - Ord. 22.12.2005 - Est. Valeggia - Imp. XY Inefficacia del decreto di irreperibilità emesso contestualmente all’emissione dell’avviso di conclusione delle indagini preliminari nella successiva fase del giudizio - Violazione del disposto di cui all’art. 160 c.p.p. - Nullità del decreto di citazione a giudizio. (Art. 160 c.p.p.)

Non può ritenersi efficace ai fini della successiva fase del giudizio il decreto di irreperibilità emesso contestualmente all’emissione dell’avviso di conclusione delle indagini preliminari di cui all’art. 415 bis c.p.p.. l’emissione di detto atto avviene infatti in un momento prodromico alla chiusura delle indagini stesse, ragion per cui è necessario che la fase del giudizio sia preceduta, nel rispetto del dettato di cui all’art. 160 c.p.p., dall’effettuazione di nuove ricerche nonché, conseguentemente, dalla emissione di nuovo decreto di irreperibilità, valevole sino alla pronuncia della sentenza di primo grado. Si deve dunque concludere nel senso della nullità del decreto di citazione a giudizio non preceduto dall’emissione di nuovo decreto di irreperibilità rispetto a quello emesso contestualmente all’emissione dell’avviso di conclusione delle indagini preliminari ex art. 415 bis c.p.p..

Page 29: INDICE SEZIONE PRIMA - DIRITTO PENALE · Sottrazione o danneggiamento di cose sottoposte a sequestro disposto nel corso di un procedimento penale o dall’autorità amministr ativa

27

SEZIONE TERZA- DOCUMENTI

1 Corte di Cassazione sez. II - Sent. 17.7.1999 n. 1676 (Pres. Zingale - Rel. Morelli - Pm Toscani - Imp XY (214259)) Misure cautelari - Personali - Impugnazione - Appello - In genere - Procedimento per la revoca della misura - Dichiarazioni confessorie rese dall’indagato in sede di udienza camerale - Dovere del tribunale di tenerne conto ai fini della decisione - Sussistenza. (Artt. 299, 310 c.p.p.)

In tema di procedimento d’appello “de libertate”, il giudice investito ai sensi dell’art.

310 c.p.p. dell’impugnazione avverso il rigetto di un’istanza di revoca della misura della custodia in carcere nella quale siano stati dedotti cessazione o affievolimento delle esigenze cautelari, deve tenere conto, per il rilievo che esse possano assumere ai fini della valutazione sul “thema decidendum”, delle dichiarazioni rese dall’indagato in sede di udienza camerale. (In applicazione di tale principio la Corte ha annullato l’ordinanza con cui il tribunale, avanti al quale l’indagato aveva reso confessione ed effettuato una chiamata in correità, aveva ritenuto di non poter prendere in considerazione tali dichiarazioni, ai fini del giudizio sulla permanenza delle esigenze cautelari, perché estranee al “devolutum”, non essendo state sottoposte alla valutazione del g.i.p.) La sentenza così motiva: (Omissis) - Con ordinanza in data 28 ottobre 1998 il Tribunale di Bari confermava quella del GIP dello stesso Tribunale del 2 ottobre che aveva rigettato l'istanza di revoca o di sostituzione della misura cautelare della custodia in carcere disposta nei confronti di XY, indagato per il reato di concorso in rapina aggravata ai danni di una gioielleria.

Il Tribunale riteneva permanere le esigenze cautelari di prevenzione nonostante il tempo trascorso dal fatto, avuto riguardo alla gravità di esso e al precedente penale di xy in materia di armi, e, in virtù del principio "tantum devolutum quantum appellatum" escludeva di poter prendere in considerazione la disparità di trattamento rispetto al coimputato ww e la confessione dell'appellante in sede camerale, in quanto l'una e l'altra non sottoposte alla valutazione del GIP.

Con il ricorso per cassazione si denuncia violazione di legge e vizio di motivazione per avere il Tribunale esclusa la decisiva rilevanza del decorso del tempo, dovendosi presumere che la custodia cautelare abbia svolto una qualche funzione rieducatrice, per avere inoltre omesso di valutare adeguatamente la circostanza che a minacciare con l'arma la vittima non era stato il ricorrente e infine per avere erroneamente ritenuto che circostanze nuove conosciute dall'indagato dopo la pronuncia del GIP, o sopravvenute ad essa non possano essere valutate in sede di appello.

Osserva la Corte che certamente non ha fondamento la doglianza del ricorrente nella parte in cui sostiene che il solo trascorrere del tempo in stato di custodia in carcere lascia presumere che l'indagato abbia subito l'effetto di rieducazione proprio della detenzione intramuraria, posto che l'effettiva resipiscenza e conseguente cessazione della pericolosità abbisognano di dimostrazione sia pure a livello indiziario.

Né d'altra parte può prendersi in considerazione in questa sede la circostanza del minor ruolo svolto dal ricorrente nell'esecuzione della rapina non essendo a lui ascrivibile la minaccia con arma, trattandosi di una valutazione di merito su un punto della vicenda che è stato oggetto di approfondimento adeguato e di congrua motivazione da parte del Tribunale.

Fondata è invece la censura per quanto attiene all'omessa valutazione delle nuove circostanze emerse in sede di udienza camerale, in particolare la confessione di XY e la chiamata in correità del terzo partecipe.

Page 30: INDICE SEZIONE PRIMA - DIRITTO PENALE · Sottrazione o danneggiamento di cose sottoposte a sequestro disposto nel corso di un procedimento penale o dall’autorità amministr ativa

28

Non vi è dubbio infatti che nell'ambito dei motivi dedotti con l'atto di appello e quindi nel pieno rispetto del principio devolutivo, il giudice possa e anzi debba tener conto degli elementi emergenti dalle dichiarazioni spontanee dell'imputato sia ai fini dell'eventuale rinnovazione del dibattimento ai sensi dell'art. 603 comma 3 c.p.p., quando tali elementi la fanno apparire assolutamente necessaria, sia ai fini della valutazione del fatto e della personalità del giudicabile per la determinazione dell'eventuale sanzione.

Tale principio, riguardante il giudizio di appello sia nel procedimento principale che in quello incidentale de libertate, disciplinato, per quanto attiene agli aspetti peculiari, dall'art. 310 c.p.p., deve trovare applicazione in tale ultima sede quando le dichiarazioni rese dall'indagato nella procedura di appello avverso rigetto di istanza di revoca o sostituzione della misura cautelare della custodia in carcere, nella quale sia stata dedotta la cessazione o l'affievolimento delle esigenze cautelari, possano comunque per il loro contenuto assumere una rilevanza ai fini del vaglio sul thema decidemdum, costituito da tali esigenze.

In applicazione di tale principio nel caso di specie la confessione e la chiamata di correo in sede di udienza camerale da parte del ricorrente non potevano essere ritenute estranee al procedimento incidentale instaurato con l'appello e demandate ad un nuovo giudizio da parte del GIP, come erroneamente ritenuto dal Tribunale, ma dovevano essere prese in esame da quest'ultimo per stabilire se potevano avere una incidenza, tenuto conto di tutti gli altri fattori rilevanti, sul giudizio, devoluto con l'atto di appello, da formulare in ordine alla permanenza delle esigenze cautelari.

L'impugnata ordinanza deve pertanto essere annullata con rinvio allo stesso Tribunale di Bari che procederà a nuovo esame dell'appello attenendosi al principio dianzi esposto. (omissis) Brevi riflessioni sulla rilevanza giuridica delle dichiarazioni rese dall'indagato nel rito camerale previsto dagli articoli 309 e 310 c.p.p.

Per quanto attiene alla presenza dell'indagato e, va da sé, al criterio di valutazione delle eventuali dichiarazioni che egli ritenga di rendere in sede di riesame dell'ordinanza che dispone nei suoi confronti la misura coercitiva, ovvero, in sede d'appello, contro le "altre" ordinanze in materia cautelare personale, i riferimenti normativi sono rispettivamente costituiti dalla previsione dell'ottavo comma dell'articolo 309 c.p.p. e dal secondo comma dell'articolo 310 c.p.p. che, con identica formulazione, prevedono che il procedimento davanti al Tribunale si svolga in camera di consiglio nelle forme previste dall'articolo 127 c.p.p..

A sua volta l'articolo 127 terzo comma del codice di rito prevede che il Pubblico Ministero e gli altri destinatari dell'avviso previsto dall’art. 127 comma I° c.p.p. (quello di fissazione dell’udienza, che deve essere comunicato alle parti, alle altre persone interessate ed ai difensori), sono sentiti se compaiono.

Ne deriva che, ferma rimanendo la necessità di una regolare notifica dell’avviso di fissazione dell'udienza, tale formalità sia presidiata da una nullità ex articolo 179 lett. C) c.p.p. assoluta ed insanabile allorché riguardi il difensore mentre essa, per quel che concerne l’indagato-imputato1, o il secondo difensore2, assume le caratteristiche di

1 Sez. 1 sent. 03212 del 12/09/1992 (cc. 03/07/1992) rv. 191739. In tema di misure cautelari personali,

l'ordinanza del tribunale del riesame deve ritenersi nulla nel caso in cui all'imputato non sia stata data notizia dell'udienza fissata per la deliberazione, atteso che, giusto il disposto del comma quinto dell'art. 127 c.p.p.., l'osservanza della norma che prevede l'obbligo della notifica della data fissata per la deliberazione in camera di consiglio ai sensi del comma primo dello stesso articolo, è prescritta a pena di nullità. Peraltro poiché alla locuzione "nullità" non viene aggiunta la qualifica di "assoluta", deve escludersi per quanto dispone l'art. 179 c.p.p., che si tratti di una siffatta nullità. Ne consegue che la stessa deve ritenersi appartenere alla categoria delle "altre nullità di ordine generale". (Sulla scorta del principio di cui in massima la Cassazione ha escluso che il ricorrente potesse più far valere la predetta nullità, posto che all'udienza fissata per la deliberazione del tribunale il suo difensore non l'aveva eccepita).

2 Sez. 1 sent. 01930 del 08/06/1993 (cc. 30/04/1993) rv. 194249. Nel caso di riesame di un provvedimento che dispone una misura cautelare personale, l'omesso avviso all'indagato della data fissata per l'udienza in camera di consiglio è causa di una nullità che, in quanto non definita assoluta dall'art. 127 comma quinto

Page 31: INDICE SEZIONE PRIMA - DIRITTO PENALE · Sottrazione o danneggiamento di cose sottoposte a sequestro disposto nel corso di un procedimento penale o dall’autorità amministr ativa

29

relatività ai sensi dell’art. 182 c.p.p. fatta salva, ovviamente, l’ipotesi in cui l’interessato abbia fatto espressa richiesta di essere sentito, poiché, in tal caso, la nullità è certamente e nuovamente assoluta3.

L’udienza può, quindi, indifferentemente svolgersi o alla presenza del solo Pubblico Ministero, o alla presenza del solo indagato, assistito (o meno), da un difensore, ovvero alla presenza del solo difensore - se l'indagato non ha chiesto espressamente di comparire in udienza - oltre al caso, ormai solo di scuola, di una presenza contemporanea di tutti i soggetti che ne abbiano diritto.

Quel che invece il Legislatore non ha ritenuto di regolare espressamente è quale sia la rilevanza che deve essere riconosciuta alle dichiarazioni rese dall’indagato che, comparso, chieda espressamente di essere sentito posto che, i giudizi previsti dagli articoli 309 e 310 c.p.p., hanno caratteristiche del tutto diverse da quelli per i quali l'istituto previsto dall'articolo 127 c.p.p., sembrerebbe essere stato pensato e previsto.

Occorre, credo, tenere ben distinta l’ipotesi di dichiarazioni rese dall’indagato nel corso del riesame, da quelle rese in sede di appello.

Vale precisare che, al riguardo, non si rinviene alcuna decisione da parte della Corte di Cassazione fatta salva quella sopra riportata, vertente in materia d’appello, e su cui si avrà occasione di tornare di qui a fra poco con commenti più che critici.

L'assenza di un criterio predeterminato di valorizzazione di tali dichiarazioni assume un senso non meramente teorico ove si consideri che lì dove l'indagato voglia rendere delle dichiarazioni queste sono destinate, per forza di cose, a confrontarsi se non altro in termini di coerenza e costanza della propalazione, con quelle eventualmente diverse, già rese dal ristretto nella ben diversa sede dell'interrogatorio di garanzia ovvero, il che è ancora più problematico, nel caso in cui egli si sia, nella più opportuna sede, avvalso della facoltà di non rispondere.

In altre parole, non vi è alcun dubbio che l'indagato abbia la facoltà di rendere tutte le dichiarazioni che desidera nell'ambito ed al fine di influire nell’iter logico della decisione sempre ispirata, anche in questa sede, al principio del libero convincimento che trova la sua applicazione anche al giudizio cautelare ma esse avranno - intuitivamente - una ben diversa portata rispetto a quelle rese nel corso dell’interrogatorio di merito alla presenza (eventuale), del PM ed obbligatoria del difensore allorquando il Giudice contesta in forma chiara e precisa l’accusa (art. 65 c.p.p.).

c.p.p. e non attinente ad una ipotesi in cui è obbligatoria la presenza del difensore, soggiace alla disciplina di cui agli artt. 180, 181 e 182 c.p.p.. Ne consegue che la omessa eccezione da parte del difensore della detta nullità di fronte al tribunale del riesame produce la non deducibilità dell'eccezione stessa innanzi alla Cassazione. (Conf. Sez. I, cc. 30 aprile 1993, Ponzio, non massimata sul punto). Sez. 2 sent. 47155 del 03/12/2004 (ud. 23/09/2004) rv. 230616. Nel procedimento camerale l'omissione dell'avviso d'udienza per uno dei due difensori dell'imputato comporta una nullità relativa, la quale, nel caso in cui neppure il difensore avvisato prenda parte all'adempimento (che altrimenti, per il secondo comma dell'art. 182 c.p.p., sussisterebbe l'onere di eccepire il vizio prima o immediatamente dopo il compimento dell'atto nullo), può essere dedotta anche in sede di impugnazione del provvedimento conclusivo del procedimento. (Fattispecie relativa a giudizio di appello con rito abbreviato. In motivazione la Corte premesso come l'avviso ad uno dei due difensori escluda che si determini mancata assistenza dell'interessato a norma dell'art. 178 lett. c), e dunque nullità insanabile ha osservato che nel procedimento camerale manca una fase assimilabile alle formalità di apertura del dibattimento, e che non può dunque valere la soglia preclusiva di cui al terzo comma dell'art. 181 c.p.p., dovendosi di conseguenza applicare la disposizione del quarto comma della stessa norma).

3 Sez. Unite sent. 00040 del 07/03/1996 (cc. 22/11/1995) rv. 203771. La mancata traduzione, perchè non disposta o non eseguita, dell'imputato, indagato o condannato che ne abbia fatto richiesta, all'udienza di riesame determina la nullità assoluta e insanabile, a norma dell'art. 179 c.p.p., dell'udienza camerale e della successiva pronuncia del Tribunale sull'istanza di riesame.

Page 32: INDICE SEZIONE PRIMA - DIRITTO PENALE · Sottrazione o danneggiamento di cose sottoposte a sequestro disposto nel corso di un procedimento penale o dall’autorità amministr ativa

30

Il richiamo, per analogia, all’istituto previsto dall’art. 494 c.p.p. sembra quasi scontato nel senso che quanto dichiarato in camera di consiglio sta al procedimento di riesame quanto le spontanee dichiarazioni rese ex art. 494 c.p.p. stanno al dibattimento poiché anch’esse sono rese al di fuori della sede prevista dall’art. 294 c.p.p. e, quindi, al di fuori di qualunque dialettica o confronto processuale, mancando una qualunque forma di contraddittorio.

La efficacia di tali dichiarazioni sarà quindi fortemente diminuita soprattutto ove si addivenga all’opinione in forza della quale la costituzionalizzazione del principio del contraddittorio nella formazione della prova voluto dall’art. 111 Costituzione debba avere un suo riflesso anche in sede cautelare.

In effetti se l’indagato si è avvalso della facoltà di non rispondere, il Giudice della cautela con ciò stesso è già stato sollevato dall’obbligo di motivazione previsto dall’art. 292 c) bis c.p.p. prima parte e cioè di dar conto del perché egli ha considerato non rilevanti gli elementi forniti dalla difesa, dato che se l’indagato (o il suo difensore) rinunciano ad evidenziare una qualunque linea difensiva nulla può, in tal senso e su questo specifico punto, pretendersi dal GIP in sede di emissione dell’ordinanza cautelare genetica.

Cosa accadrà, quindi, se l’indagato giunto davanti al Tribunale del riesame nel contestare il quadro indiziario già ritenuto grave ex art. 273 c.p.p. dal GIP, renda dichiarazioni a sua discolpa?

Certo il Tribunale del riesame ha sempre il potere di integrare la motivazione eventualmente carente (ma non è questo il caso poiché si tratta di una esigenza sopravvenuta), avendo gli stessi identici poteri del Giudice di prime cure e quindi non incontrando, almeno in linea teorica, alcuna preclusione nell’esame della tesi difensiva esposta dall’indagato per la prima volta e senza alcun contraddittore nel corso dell’udienza in camera di consiglio.

Ma il punto è il Collegio potrà o dovrà assumere posizione sulle dichiarazioni rese avanti a sé in tale forma?

Ritengo che nella decidere il Collegio riunitosi ai sensi dell’art. 309 c.p.p. non possa sottrarsi ad una “nuova” valutazione, proprio ex art. 292 c.p.p., delle sopravvenute emergenze processuali anche quando esse compaiano sulla scena cautelare in tale forma; ma è altrettanto vero che il giudizio sulla credibilità di tali dichiarazioni sarà condizionato in senso non favorevole all’indagato dal fatto che esse siano state rese in una sede impropria, in assenza di qualunque contraddittorio e dopo essersi lui volontariamente sottratto all’esame nell’occasione in cui, presente il rappresentante dell’ufficio dell’accusa, ogni possibile e compiuta verifica sulla veridicità di quanto egli ha affermato gli sia stata (sia pure per sua libera scelta) preclusa.

E che dire dell’ipotesi - concretamente verificatasi - in cui l’indagato decida di rinunciare al silenzio fino a quel momenti serbato accusando il coindagato presente, ovvero accusi dei terzi chiamandoli in reità o correità?

Si dovrà procedere ai sensi dell’art. 64 c.p.p. con i prescritti avvertimenti? Io propendo per una soluzione negativa: vuoi per un dato letterale, visto che l’art. 64

c.p.p. trova applicazione solo in sede di “interrogatorio” (e le dichiarazioni rese ex art. 127 c.p.p. certo tali non sono); vuoi per una ragione sistematica, poiché tali dichiarazioni, potendo essere eventualmente utilizzate ai sensi dell’art. 513 c.p.p. ai fini della contestazioni, devono rientrare nella tassativa elencazione ivi prevista. Esse, benché rese avanti ad un’autorità giudiziaria, non rientrano in nessuna delle categorie previste dal I° comma dell’art. 513 c.p.p. perché non rese né al PM, né alla PG delegata, e neppure nel corso delle indagini preliminari o nell’udienza preliminare.

Page 33: INDICE SEZIONE PRIMA - DIRITTO PENALE · Sottrazione o danneggiamento di cose sottoposte a sequestro disposto nel corso di un procedimento penale o dall’autorità amministr ativa

31

Al riguardo è noto che il giudizio di riesame è un giudizio meramente incidentale a sé stante, posto in essere solo a seguito di una richiesta di gravame e che quindi in nessun caso può essere considerato parte delle indagini preliminari.4

Rimane la possibilità di segnalare un tale atteggiamento al PM procedente al fine di stimolare le determinazioni che gli competono provvedendo lui a raccogliere, nelle forme opportune, le dichiarazioni dell’indagato.

*** Molte di queste osservazioni “possono” essere utilmente richiamate per quel che

concerne il giudizio d’appello ex art. 310 c.p.p. ma, con una valenza solo generica, perché qui l’elemento dirimente è costituito dalla natura devolutiva del gravame nel senso che le dichiarazioni dell’indagato per avere una qualche incidenza non potranno essere genericamente tese a contestare l’accusa ma dovranno, necessariamente, attenere alle questioni sollevate con l’originaria richiesta proposta in base all’art. 299 c.p.p. e quindi sottostare alla duplice condizione di essere connesse sia con il “petitum” originario, cioè con quello posto alla base dell’istanza ex art. 299 c.p.p., sia con quello (non necessariamente e totalmente coincidente) dei motivi oggetto dell’appello.

E ciò perché la Corte di Cassazione ha sempre affermato il principio in forza del quale nessuna questione può essere posta all’attenzione del giudice dell’appello ex art 310 c.p.p. per la prima volta perché l’accettazione di un diverso principio avrebbe comportato “ un salto” del primo giudice e la negazione di un doppio controllo nel merito5.

La Corte di legittimità invece, con la sentenza che precede, non solo riconosce valenza ad un elemento del tutto nuovo, quale quello di una chiamata in correità avanzata per la prima volta nel corso della camera di consiglio dell’appello che aveva ad oggetto questioni evidentemente diverse, anche se sempre rientranti nell’alveo della richiesta di revoca o affievolimento di una misura cautelare, (ma questo alla fine è l’elemento costante di tutte le

4 Certo si potrebbe ipotizzare una utilizzazione di tali dichiarazioni ex art. 197 bis , 500 cpp nei confronti di

un soggetto che abbia già definito la sua posizione, ma il richiamo contenuto al I° comma, alle dichiarazioni rese dal testimone e contenute nel fascicolo del PM (e quello del riesame non è il fascicolo del PM ), oltre a ragioni sistematiche, impedisce tale soluzione.

5 Sez. 6 sent. 00335 del 08/05/1998 (cc. 29/01/1998) rv. 210494. In tema di impugnazioni di provvedimento impositivo di misura cautelare personale, il giudizio di appello è delimitato da due elementi nel senso che opera anzitutto l'effetto devolutivo, in ragione del quale la cognizione del giudice non può estendersi di là dei motivi dedotti con l'impugnazione, e che la stessa facoltà devolutiva è delimitata dalla natura e dal contenuto del provvedimento impugnato, non essendo ammissibile dedurre questioni che non siano state prospettate con l'istanza successivamente decisa con il provvedimento impugnato, e dovendosi osservare la duplice cognizione prevista per il giudizio di merito. Sez. 1 sent. 01309 del 11/05/1993 (cc. 26/03/1993) rv. 193976. Allorchè l'appello riguarda un'ordinanza di rigetto di istanza di revoca ex art. 299 c.p.p., la decisione del Tribunale è vincolata, oltre che all'effetto evolutivo, per cui la sua cognizione non può estendersi al di là dei limiti segnati dai motivi, anche dalla natura del provvedimento di rigetto della richiesta di revoca, che è del tutto autonomo rispetto all'ordinanza di applicazione della misura cautelare. Ne consegue che il Tribunale della libertà non è tenuto a riesaminare la questione della sussistenza delle condizioni di applicabilità della misura cautelare, ma solo a stabilire se l'ordinanza di rigetto dell'istanza di revoca della misura sia immune da violazioni di legge e incensurabile sotto il profilo della completezza e logicità della motivazione. Sez. 1 sent. 01137 del 04/05/1993 (cc. 17/03/1993) rv. 193948. L'art. 310 c.p.p., che prevede l'appello relativo a provvedimenti in materia di libertà, richiama i commi 1, 2, 3, 4 e 7 dell'art. 309, ma non anche il comma 9 del citato articolo, secondo il quale in tema di riesame "il Tribunale può annullare il provvedimento impugnato o riformarlo in senso favorevole all'imputato anche per motivi diversi da quelli enunciati ovvero può confermarlo per ragioni diverse da quelle indicate nella motivazione del provvedimento stesso". Ne consegue che deve ritenersi che il legislatore abbia voluto attribuire all'appello avverso provvedimenti in materia di libertà i caratteri propri delle impugnazioni, con la conseguente applicabilità del principio “tantum devolutum quantum appellatum”, previsto dall'art. 597 c.p.p. (da intendersi implicitamente richiamato), che attribuisce al giudice di appello la cognizione del procedimento limitatamente ai punti della decisione ai quali si riferiscono i motivi proposti.

Page 34: INDICE SEZIONE PRIMA - DIRITTO PENALE · Sottrazione o danneggiamento di cose sottoposte a sequestro disposto nel corso di un procedimento penale o dall’autorità amministr ativa

32

richieste ex art. 299 c.p.p. e conseguente appello ex art. 310 c.p.p.), su cui, per forza di cose, il GIP non poteva essersi mai pronunciato.

Ma ancora di più attribuisce tale valenza non ad una questione di ordine generale, in qualche modo afferente alla natura stessa della misura cautelare, ovvero ad uno dei suoi presupposti, di tal che la sua affermazione avrebbe potuto anche essere condivisibile in un’ottica sostanzialista, ma bensì , ad un elemento veramente estraneo a quanto fino ad allora valutato e deciso.6

Non si vede poi quali strumenti di verifica potrebbe avere un collegio costituito ex art. 310 c.p.p. nel valutare questa sopravvenienza.

La decisione assunta dalla Corte di legittimità di riconoscere efficacia ad un elemento certamente sopravvenuto viene, nella parte motiva, ancorato ai principi previsti all’art. 603 II° e III° comma c.p.p., ma si tratta di un’operazione di equilibrismo giuridico di ben difficile attuazione poiché il principio devolutivo, in forza del quale il contraddittorio processuale può accendersi con esclusivo riferimento alle sole questione già proposte, non può non porsi in contrasto con quello della possibilità di acquisizione di elementi diversi e successivi, su cui il Giudice di prime cure non ha affatto avuto occasione di pronunciarsi.

Ed ecco quindi che la Corte, nel tentativo di comporre tale insanabile contrasto, ha individuato dei “correttori” finalizzati al contenimento del rischio di un eccessivo ampliamento delle questioni da decidere per la prima volta, insistendo sul fatto che questi elementi probatori "nuovi", preesistenti o sopravvenuti, dovevano comunque rimanere entro i confini segnati dal “devoluto”, salvo assicurare il contraddittorio fra le parti nel procedimento camerale, anche mediante la concessione di un congruo termine a difesa.7 Altre volte ha ritenuto di far discendere la possibilità di valutare elementi nuovi in forza del principio implicitamente contenuto dall'articolo 299 c.p.p. relativo alla necessità di una continua e costante verifica sulla permanenza delle condizioni che giustificano un trattamento cautelare 8. 6 Sez. 6 sent. 00030 del 22/02/1999 (cc. 11/01/1999) rv. 212715. In tema di misure cautelari personali,

l'appello attribuisce al giudice “ad quem” tutti i poteri originariamente rientranti nella competenza funzionale del primo giudice e comporta la rimessione dell'imputato, nel giudizio di appello, nella stessa situazione processuale della fase iniziale del procedimento, sicché egli é esposto all'esercizio dei poteri dispositivi e coercitivi propri dell'autorità che procede. (Nella specie la S.C. ha ritenuto che non violi il principio del “tantum devolutum” il giudice che annullando un provvedimento di proroga della custodia cautelare, disponga con la scarcerazione l'applicazione di altra misura cautelare di cui ricorrano i presupposti; anche indipendentemente da specifiche richieste del P.M. perchè implicitamente insite in quelle originarie). Sez. 5 sent. 03638 del 25/08/1997 (cc. 14/07/1997) rv. 208321. Rientra nei poteri del giudice chiamato a decidere in sede di appello ex art. 310 c.p.p. al pari di ogni altro giudice accertare la ricorrenza, nell'ambito della concreta fattispecie, degli elementi previsti dalla legge per l'applicabilità di una determinata norma, indipendentemente dal fatto che una tale doverosa indagine sia stata trascurata nel precedente grado o, più semplicemente, che il rigetto dell'istanza abbia trovato altra motivata giustificazione sì da rendere superfluo l'approfondimento di altri aspetti normativi.

7 Sez. Un. sent. 18339 del 20/04/2004 (cc. 31/03/2004) rv. 227357. Nel procedimento conseguente all'appello proposto dal P.M. contro l'ordinanza reiettiva della richiesta di misura cautelare personale, è legittima la produzione di documentazione relativa ad elementi probatori "nuovi", pre-esistenti o sopravvenuti, sempre che, nell'ambito dei confini segnati dal “devolutum”, quelli prodotti dal P.M. riguardino lo stesso fatto contestato con l'originaria richiesta cautelare e in ordine ad essi sia assicurato nel procedimento camerale il contraddittorio delle parti, anche mediante la concessione di un congruo termine a difesa, e quelli prodotti dall'indagato, acquisiti anche all'esito di investigazioni difensive, siano idonei a contrastare i motivi di gravame del P.M. ovvero a dimostrare che non sussistono le condizioni e i presupposti di applicabilità della misura cautelare richiesta.

8 Sez. 6 sent. 00931 del 21/04/1998 (cc. 12/03/1998) rv. 211140. In considerazione della “ratio” sottesa all'art. 299 c.p.p., volta a garantire la permanente attualità delle condizioni legittimanti la misura cautelare, si deve riconoscere al giudice dell'appello avverso ordinanza “de libertate” il potere di decidere, pur nell'ambito dei motivi prospettati e, quindi, dell'ossequio del principio devolutivo, anche su elementi diversi e successivi rispetto a quelli utilizzati dall'ordinanza impugnata, applicandosi anche a tale procedimento

Page 35: INDICE SEZIONE PRIMA - DIRITTO PENALE · Sottrazione o danneggiamento di cose sottoposte a sequestro disposto nel corso di un procedimento penale o dall’autorità amministr ativa

33

In altre occasioni, ancora, ha fatto riferimento alla possibilità di ampliare l’oggetto della decisione con riferimento ai fatti notori (Cassazione, sezione sesta, sentenza n. 931 del 21.4.21998 rv 211140).

In realtà è proprio in radice che il procedimento logico-giuridico fatto proprio dalla Corte si palesa errato poiché essa ritiene di poter superare un dato testuale - quale quella del mancato richiamo dell'articolo 310 c.p.p. al nono comma dell'articolo 309 c.p.p. che consente una decisione anche per motivi diversi da quelli enunciati anche quando sopravvenuti dopo l'adozione del provvedimento coercitivo - attraverso l'applicazione analogica dell'articolo 603 c.p.p.; norma questa, all'evidenza, dettata invece per la rinnovazione dell'istruzione dibattimentale da parte del Giudice d'appello, la cui concreta applicabilità, in sede di giudizio ex 310 c.p.p., appare più che discutibile.

La Corte di Cassazione estremamente gelosa delle sue prerogative di legittimità tanto da limitare fortemente il potere di annullamento del Tribunale distrettuale, potere invece chiaramente previsto dall’art. 292 comma II° c.p.p. (l’ordinanza che dispone la misura cautelare contiene a pena di nullità rilevabile anche d’ufficio….), ha affermato che “ in tema di misure cautelari personali, al giudizio di appello ex art. 310 c.p.p. si applicano le regole generali di tale mezzo di gravame previste dagli artt. 593 - 605 c.p.p. per il giudizio di cognizione. Ne consegue che se manchi di motivazione l'ordinanza oggetto di appello con riferimento agli elementi di cui all'art. 292, secondo comma, lett. c), c.p.p. il tribunale del riesame può colmare i vuoti motivazionali riscontrabili nel provvedimento impugnato senza possibilità di annullarlo, posto che il potere di annullamento per vizio di motivazione compete esclusivamente alla Corte di cassazione”. (Sez. 6 sent. 03088 del 06/09/2000 (cc.04/07/2000) rv. 217715) .9

Ma, nella fattispecie in esame, quel consesso non è stato con la stessa coerenza, rispettoso dei principi della sottrazione al Giudice di legittimità di tutte le questioni attinenti al merito, lì dove sono congruamente e logicamente motivate, e tale era certamente la decisione del Tribunale che aveva ritenuto di non poter prendere in considerazione un elemento sopravvenuto in sede d’appello mai valutato dal Giudice che aveva emesso il provvedimento oggetto di gravame.

Così decidendo la Corte ha trasformato un problema di merito in una questione di legittimità violando essa, per prima, le regole che si era data.

Sotto il profilo sostanziale non può a questo punto sottacersi che la difesa, in tali casi può tranquillamente adire nuovamente ex art. 299 c.p.p. il giudice della cautela e dopo aver ottenuto da lui una decisione in ipotesi non favorevole allora e solo allora servirsi dello strumento previsto dall’art. 310 c.p.p.; questa volta nel pieno rispetto delle regole processuali. [Angelo Risi Magistrato di Cassazione con funzioni di Giudice del Tribunale di Venezia]

l'art. 603, secondo e terzo comma, c.p.p. (Fattispecie relativa all'utilizzabilità dei risultati acquisiti attraverso le indagini suppletive espletate dal P.M. ai sensi dell'art. 419, comma 3, c.p.p.).

9 Non è mancata una voce discorde: Sez. 4 sent. 02017 del 03/10/1996 (cc. 20/08/1996) rv. 206309. In materia di misure cautelari, coercitive e interdittive, il potere-dovere, espressamente previsto dalla legge, di dichiarare la nullità del provvedimento applicativo, tutte le volte in cui venga rilevato il vizio contemplato dall'art. 292, secondo comma, lett. c), c.p.p., sussiste anche per il giudice di appello, al quale é inibito qualsivoglia intervento di tipo integrativo allorché accerti di ufficio la nullità e “a fortiori”, allorché il vizio venga dedotto dall'interessato.

Page 36: INDICE SEZIONE PRIMA - DIRITTO PENALE · Sottrazione o danneggiamento di cose sottoposte a sequestro disposto nel corso di un procedimento penale o dall’autorità amministr ativa

34

2

Corte d’Appello di Venezia - Sezione Prima Penale – Ord. Del 15.3.2006 – Pres. Dodero – Imp. XY Impugnazione Parte Civile – Sentenza di assoluzione – Art. 10 co. 2 e 3 L. 20.2.2006 n. 46 (c.d. legge Pecorella) – Illegittimità costituzionale per violazione artt. 3, 111 Cost. (Art. 10 L. 46/06; artt. 3, 111 Cost.) Deve ritenersi non manifestamente infondata la questione di illegittimità costituzionale dell’art. 10 co. 2 e 3 L. 46/06 in relazione agli artt. 3 e 111 Cost., in quanto il suddetto articolo non prevede anche per la Parte Civile il termine di 45 giorni (dalla notifica dell’ordinanza di inammissibilità dell’appello proposto dal PM e dall’imputato) entro cui promuovere ricorso per Cassazione. L’ordinanza così motiva: (Omissis). - che con sentenza dell’8.10.2004 n. 105/04 Reg. Sent., depositata in data 4.1.2005 X, Y e Z

sono stati assolti dal Tribunale di Venezia dai reati loro rispettivamente ascritti ai capi A – truffa e appropriazione indebita), B – estorsione), D – falso in bilancio), ed E – appropriazione indebita) dell’imputazione perché il fatto non sussiste, nonché, dal reato di falso di cui al capo C), perché il fatto non costituisce reato;

- che la difesa della parte civile costituita sig.ra P ha proposto rituale appello nei confronti di tutti tali imputati, limitando successivamente il gravame all’imputato X con richiesta di riconoscimento, solo agli effetti civili, della sussistenza dei fatti-reati e conseguente condanna dello X stesso al risarcimento dei danni in favore della parte civile costituita;

- che, successivamente alla proposizione dell’appello è entrata in vigore la legge 20.2.06 n. 46 in tema di inappellabilità delle sentenze di proscioglimento;

- che la parte civile ha depositato una memoria nella quale sostiene che la possibilità di appello della parte civile contro le sentenze di assoluzione non sarebbe né esclusa né limitata dalla legge in oggetto;

- che tale interpretazione (che, comunque, non potrebbe sottrarsi a seri dubbi di incostituzionalità per violazione degli artt. 3 e 111 della Costituzione determinando un’ingiustificata attribuzione di maggiori poteri di appello alla parte in difesa dei propri interessi patrimoniali rispetto a quelli riconosciuti al P.M. a tutela di un interesse pubblico) deve ritenersi infondata dovendosi affermare che, sulla base dei testo della legge, la parte civile non ha più possibilità di proporre appello avverso le sentenze di assoluzione dell’imputato in quanto: a) l’art. 568 codice di procedura penale stabilisce in via generale il principio della tassatività

delle impugnazioni nel senso che un provvedimento del giudice può essere impugnato soltanto dai soggetti espressamente indicati e col mezzo espressamente stabilito;

b) l’art. 576 codice di procedura penale, nella sua attuale formulazione, attribuendo alla parte civile la possibilità di proporre “impugnazione” ai soli fini civili, avverso la sentenza di proscioglimento pronunciata nel giudizio non fa riferimento ad uno specifico mezzo d’impugnazione essendo venuto meno il richiamo, precedentemente contenuto nella norma e che legittimava l’appello della parte civile, ai mezzi previsti per il pubblico ministero. Tale mezzo dovrà, perciò, essere individuato sulla base delle specifiche norme in tema di appello e di ricorso per Cassazione;

c) l’art. 593 codice di procedura penale indica unicamente nel P.M. e nell’imputato i soggetti legittimati a proporre appello avverso le sentenze di condanna o di proscioglimento e, contrariamente a quanto sostenuto dalla parte civile nella memoria depositata, tale elencazione per quanto detto al punto a) deve ritenersi tassativa e non meramente elencativi;

Page 37: INDICE SEZIONE PRIMA - DIRITTO PENALE · Sottrazione o danneggiamento di cose sottoposte a sequestro disposto nel corso di un procedimento penale o dall’autorità amministr ativa

35

d) appare ininfluente il richiamo all’art. 575 codice di procedura penale posto che l’appellabilità da parte del responsabile civile delle sentenze di assoluzione (espressamente prevista) può essere esercitata solo nei limiti oggi previsti per l’imputato contro le sentenze di assoluzione;

e) egualmente ininfluente appare il richiamo all’art. 595 codice di procedura penale posto che l’appello incidentale può essere proposto solo dalla parte legittimata a proporre appello principale ed egualmente quello all’art. 600 codice di procedura penale che riguarda l’appello della parte civile in caso di sentenza di condanna.

Palesemente infondata è la questione di illegittimità costituzionale prospettata per violazione

degli artt. 3 e 24 Cost., non potendosi qualificare come ingiustificata disparità di trattamento l’ipotesi di costituzione della parte civile nel processo penale (in cui l’appello non è ammesso) e l’ipotesi dell’azione risarcitoria esercitata in sede civile (in cui la parte può proporre appello) trattandosi di situazioni non omogenee.

Quanto agli appelli già proposti prima dell’entrata in vigore della legge in oggetto non può trovare applicazione il principio “tempus regit actum” di cui all’art. 11 delle Disposizioni della legge in generale (secondo cui la legge non dispone che per l’avvenire e non ha affetto retroattivo), che la Corte di Cassazione ha a suo tempo ritenuto applicabile, “in assenza di norme transitorie che prevedano ipotesi di più o meno limitata retroattívità” nel caso della modifica dell’art. 593 C.P.P. che disponeva l’inappellabilità delle sentenze di condanna a pena pecuniaria anziché alla sola ammenda.

Infatti nel caso di specie la norma transitoria esiste ed è quella dell’art. 10 primo comma della legge, il quale stabilendo che la stessa si applica ai procedimenti in corso alla data della sua entrata in vigore, non può avere altro senso che quello di estendere l’efficacia della legge agli appelli già proposti.

E poiché la norma transitoria dell’art. 10, 211 e 30 comma si applica solo agli appelli già proposti dal P.M. e dall’imputato per quanto concerne la parte civile deve trovare applicazione la disposizione dell’ultimo comma dell’art. 568 C.P.P. con conversione in ricorso per Cassazione dell’appello.

Una tale interpretazione, che è l’unica consentita dal testo della legge in esame (a nulla rilevando quale fosse la volontà dei parlamentari che l’hanno approvata), comporta, peraltro, una conseguenza che la stessa Corte di Cassazione, nelle sentenze sopra ricordate, ha definito inaccettabile in quanto un appello basato esclusivamente, così come del tutto legittimo, su argomentazioni di merito dovrebbe, una volta convertito in ricorso, dichiararsi perciò inammissibile; e diverrebbe automaticamente inammissibile un appello sottoscritto da un difensore non abilitato al patrocinio in cassazione. Tale interpretazione della legge di riforma, ha dichiarato la S.C., espone la stessa a più che fondati dubbi di legittimità costituzionale. E’ vero infatti che il doppio grado del giudizio di merito non è un principio costituzionalmente garantito, ma è anche vero che, se il secondo giudizio di merito era stato richiesto nel momento in cui esso era previsto dalla legge, le conseguenze della sua soppressione non possono retroagire senza che ciò si traduca in una sostanziale espropriazione dei diritto di difesa dell’appellante, sul quale ricadrebbero le conseguenze negative della forzata conversione del mezzo di impugnazione.

Nel caso di specie il legislatore ha provveduto ad impedire tale conseguenza soltanto per quanto riguarda il pubblico ministero e l’imputato prevedendo in loro favore una sostanziale restituzione in termini per proporre ricorso per Cassazione secondo il meccanismo previsto dai commi 2 e 3 dell’art. 10 mentre nulla è detto a proposito della parte civile.

Né sarebbe consentito, per il principio della tassatività dei mezzi d’impugnazione, interpretare estensivamente tale disciplina in modo da applicarla anche alla parte civile.

Ciò comporta un’evidente disparità di trattamento tra P.M. ed imputato da un lato e parte civile dall’altro, disparità che non trova alcuna ragionevole giustificazione trattandosi in tutti e tre i casi di parti nello stesso procedimento. Disparità che costituisce, perciò, palese violazione del principio di eguaglianza di cui all’art. 3 della Costituzione (che impone eguale trattamento di situazioni eguali) e dei principio della parità delle parti sancito dall’art. 111 della Costituzione.

Page 38: INDICE SEZIONE PRIMA - DIRITTO PENALE · Sottrazione o danneggiamento di cose sottoposte a sequestro disposto nel corso di un procedimento penale o dall’autorità amministr ativa

36

Si tratta di una questione rilevante nel presente processo in quanto dalla sua soluzione dipende il tipo di statuizione che dovrà prendere questa Corte d’Appello (conversione dell’appello della parte civile in ricorso per Cassazione con l’attuale normativa o dichiarazione di inammissibilità dell’appello con diritto della parte civile di proporre ricorso per Cassazione entro 45 giorni dalla notifica dei provvedimento nel caso che la questione di costituzionalità proposta fosse ritenuta fondata). (omissis) Nuova legge sull’inappellabilità delle sentenze di proscioglimento nonché sul giudizio di Cassazione

Con il presente scritto si intende svolgere un primo esame della recente normativa in tema di inappellabilità delle sentenze di condanna e di riforma del giudizio di Cassazione (Legge n. 46/2006), con particolare attenzione ai suoi profili applicativi in un ambito tributario e societario.

Per svolgere tale rapida analisi considereremo prima la riforma nel suo complesso e, quindi, il suo rilievo quanto agli aspetti transitori espressamente normati dalla stessa.

Prima però di iniziare l’analisi, da un punto di vista prettamente pratico, è necessario non dimenticare la recentissima Novella in tema di abbreviazione dei termini prescrizionali (cosiddetta ex Cirielli), che tanto inciderà sui reati societari e fiscali; basti pensare che, ai fini prescrizionali, pressoché tutte le condotte illecite penali tributarie punite a titolo di delitto avranno d’ora in poi termine prescrizionale massimo di 6, anni aumentato di ¼ in presenza di fatti interruttivi e sempre che non sia già iniziato il processo per la loro cognizione.

Tale rilievo è importante e non è fuori tema, sol che si pensi che a seguito della nuova norma sull’inappellabilità delle sentenze di assoluzione di cui si tratta, vi sarà un sicuro allungamento dei tempi per eventualmente veder affermata la responsabilità degli imputati di delitti societari commessi ai danni dei soci (ad es. art. 2622 c.c.) in quanto, avverso una sentenza di assoluzione, il PM potrà adire unicamente la Corte Suprema di Cassazione per l’annullamento di quella decisione, con consequenziale possibile rinvio ad un Giudice Collegiale di primo grado per un nuovo giudizio, con buona pace per gli interessi delle Persone Offese da quegli stessi reati, ma di ciò si tratterà più oltre.

In concreto è accaduto che, in forza della nuova normativa, il PM ha del tutto perduto la facoltà di appellare le sentenze di proscioglimento dell’imputato, salvo che non sia intervenuta una “nuova prova d’accusa” a carico dell’imputato medesimo, la quale sia rilevante secondo il concetto di rilevanza dettata dalla norma dell’art. 603 comma 2 c.p.p.(rinnovazione del dibattimento d’appello).

In quest’ultimo caso tuttavia, ove la Corte di Appello o comunque il Giudice dell’appello non disponga in via preliminare l’assunzione di quella stessa prova, dovrà dichiarare l’appello proposto inammissibile, concedendo alle “parti” del processo di proporre ricorso in Cassazione entro 45 giorni dalla notifica del provvedimento di inammissibilità.

Questo è l’innovativo contenuto dell’art. 1 della Legge che ha radicalmente mutato nel senso anzidetto l’art. 593 c.p.p. (casi di appello).

Analoga disciplina, almeno in parte, riguarda altresì le sentenze di non luogo procedere pronunciate dal GIP ex art. 425 c.p.p..

La nuova norma infatti prevede che il PM possa proporre contro quelle sentenze esclusivamente il ricorso per Cassazione,riservando alla Persona Offesa la facoltà di ricorso unicamente in ipotesi di nullità di cui all’art. 419 comma 7 c.p.p. ovvero unicamente nei casi di omessa citazione, mentre la Parte Civile può proporre ricorso in Cassazione ex art. 606 c.p.p..

Page 39: INDICE SEZIONE PRIMA - DIRITTO PENALE · Sottrazione o danneggiamento di cose sottoposte a sequestro disposto nel corso di un procedimento penale o dall’autorità amministr ativa

37

Vi è stata altresì la modifica (art.5) dell’art. 533 c.p.p. (sentenza di condanna) dove al primo comma è espresso il principio secondo cui la condanna dell’imputato può essere irrogata solo se la responsabilità del medesimo è accertata “al di là di ogni ragionevole dubbio”.

Il principio è già presente nell’ordinamento il quale prevede come regola di giudizio che in ipotesi di incertezza o insufficienza della prova d’accusa l’imputato deve essere prosciolto, ovvero deve dichiararsi di non doversi procedere nei suoi confronti; tuttavia la sottolineatura voluta dal Legislatore, non è superflua in quanto legittima nel giudicante una maggiore ampiezza, anche argomentativa, in favore dell’accusato, tanto più in materia quale quella tributaria, dove il principio della presunzione è tutt’altro che secondario anzi, a volte esso è addirittura fondante oggettivamente l’accusa.

Punto rilevante della nuova norma e poi quello conseguente alla riforma dell’art. 576 c.p.p. (art. 6) nella parte in cui svincola la facoltà di impugnazione della Parte Civile dalle potestà del PM di impugnare con determinati mezzi le sentenze, cosicché la Parte Civile stessa non subisce le limitazioni poste dalla legge per il PM medesimo, in ipotesi di sentenza di proscioglimento dell’imputato, per le quali invece il PM non può più proporre appello.

Va ricordato come tale specifica previsione normativa si sia imposta dopo il rinvio alle Camere dell’originario provvedimento legislativo da parte del Capo dello Stato, il quale ne aveva ravvisato la patente illegittimità costituzionale anche nella parte in cui il testo originario non consentiva alla Parte Civile di appellare le sentenze di proscioglimento degli imputati.

La modifica della norma in questione presenta tuttavia degli aspetti problematici poiché, lo si sottolinea, all’apparenza vi sarebbe uno scollamento, o meglio un mancato coordinamento tra la norma dell’art. 576 c.p.p, che disciplina in generale l’impugnazione della Parte Civile, e la nuova norma dell’art. 593 c.p.p. che stabilisce i casi, e soprattutto, i soggetti che possono proporre appello, tra i quali non vi è citata la Parte Civile.

Su questo primo punto potrebbe pertanto sorgere una delicata questione interpretativa, così come la risoluzione a quella problematica potrà portare a nuovi problemi interpretativi anche con riguardo al principio posto dall’art. 580 c.p.p. solo marginalmente riformato, il quale prevede la conversione in appello del ricorso proposto da una Parte quando contro la medesima sentenza vengano proposti più mezzi di impugnazione diversi.

Così , ad esempio, potrebbe accadere nel caso di proscioglimento dell’imputato per il reato di cui all’art. 2622 c.c., quando il PM dovrà proporre, ove voglia impugnare, il ricorso per Cassazione avverso quella sentenza, mentre, vuoi la Parte Civile, ovvero il Responsabile Civile nel caso di cui all’art. 575 c.p.p. (non toccato dalla riforma e riguardante il Responsabile Civile e la Persona Civilmente Obbligata per la pena pecuniaria), proporranno l’appello trasformando così quel ricorso del PM, in appello.

Qualora invece sia solo la Parte Civile a proporre appello avverso una sentenza di assoluzione dell’imputato quanto ai soli interessi civili deve osservarsi quanto segue:

1) Innanzitutto, non vi è una normativa transitoria specifica prevista dalla legge in questione, se non quella di cui all’art. 10 della legge stessa, che peraltro non affronta né coinvolge espressamente la posizione della Parte Civile; pertanto è necessario, in via interpretativa, valutare quale sia l’attuale posizione della Parte Civile che abbia proposto l’appello o, meglio, impugnazione nella forma dell’appello (ovviamente) per i soli interessi civili, avverso la sentenza di proscioglimento dell’imputato e che si trovi ad essere la sola parte impugnante la sentenza che ha prosciolto l’imputato la quale così diventa definitiva quanto alle statuizioni penali;

2) Sul punto è peraltro rilevante osservare come la norma transitoria suddetta (art. 10), non nominando espressamente la Parte Civile, non la coinvolge nell’inammissibilità dettata

Page 40: INDICE SEZIONE PRIMA - DIRITTO PENALE · Sottrazione o danneggiamento di cose sottoposte a sequestro disposto nel corso di un procedimento penale o dall’autorità amministr ativa

38

invece, espressamente per i casi d’appello proposto dall’imputato e dal PM ovvero la sentenza di proscioglimento. Ciò evidenzia, ancor di più, che la “voluntas legis”così come appare oggettivamente espressa, esclude dall’inammissibilità l’appello proposto dalla Parte Civile avverso una sentenza di proscioglimento prima dell’entrata in vigore della Legge n. 46/06, cosicché quell’appello resta valido ed assolutamente procedibile.

3) A prescindere poi dalla fase transitoria testè trattata deve prendersi comunque atto che il nuovo regime processuale dell’impugnazione della Parte Civile è radicalmente mutato, nel senso che il nuovo testo dell’art. 576 c.p.p. svincola completamente l’impugnazione della Parte Civile stessa, sia avverso le sentenze di proscioglimento pronunciate nel giudizio di primo grado, che avverso quelle di condanna, dalla facoltà e dai mezzi di impugnazione previsti per il PM, mezzi che sono stati radicalmente riformati dalla Novella citata;

4) Accade così che, da un punto di vista oggettivo, ci si trovi ora dinanzi, da un lato al principio di cui all’art. 593 c.p.p. novellato, per il quale titolari del diritto all’appello sono indicati esclusivamente l’imputato ed il PM e, dall’altro, come sopra detto, al novellato art. 576 c.p.p. che parla di diritto alla impugnazione della Parte Civile, senza specificare quale tipo di impugnazione (se appello o ricorso) possa proporre la medesima Parte Civile, visto il tenore all’apparenza inequivoco dell’art. 593 c.p.p. (come sopra ricordato) il quale non ricomprende espressamente la Parte Civile fra i soggetti legittimati a proporre appello.

Date le oluti se premesse deve comunque trarsi la seguente definitiva conclusione: la Parte Civile ha riconosciuta e garantita da parte della Novella in questione, la più

ampia facoltà di impugnare, con appello o con ricorso a sua insindacabile scelta, le sentenze di condanna e di proscioglimento pronunciate in primo grado, che comunque abbiano inciso sugli effetti della responsabilità civile dell’imputato e, conseguentemente, sul diritto al risarcimento del danno derivante dal reato.

Per giungere alla conclusione che precede debbono formularsi in sintesi le seguenti ulteriori brevi osservazioni:

a) Secondo l’interpretazione letterale, e seguendo il principio in base al quale ubi lex oluti dixit, la facoltà di impugnazione riconosciuta alla Parte Civile dall’art. 576 c.p.p. è

ribadita senza alcuna limitazione, essendo la stessa “genericamente” indicata; con il che si intende specificare che la facoltà stessa deve riconoscersi come la più ampia riservatale (sia quindi l’appello che il ricorso), tanto quanto deve invece affermarsi la profonda incisione e limitazione, voluta dalla nuova normativa, per la facoltà di appellare del PM;

b) l’interpretazione sistematica appare a questo punto significativa e decisiva, nel sostenere il principio sopraenunciato di impugnabilità con l’appello delle sentenze di proscioglimento pronunciate in seguito al dibattimento di primo grado da parte della Parte Civile costituita. Innanzitutto è sufficiente osservare come la posizione della norma in questione di cui all’art. 576 c.p.p., come sopra novellata, sia ricompresa nel titolo primo del libro IX (delle “Impugnazioni”) del codice di rito, che disciplina proprio le Disposizioni Generali sulle impugnazioni stesse.

Ora, poiché le disposizioni generali trattano sia dell’appello che del ricorso per Cassazione, è evidente che una indicazione generica, quale la non meglio precisata “facoltà di impugnare” riconosciuta alla Parte Civile dalle disposizioni generali sulle impugnazioni all’art. 576 c.p.p. novellato, sta ad indicare che qualunque strumento di impugnazione, sia esso l’appello ovvero il ricorso per Cassazione, deve necessariamente ritenersi strumento utilizzabile dalla Parte Civile stessa per tutelare il suo diritto al risarcimento.

Ma anche esaminando specificatamente il titolo II del medesimo libro IX del codice di rito, titolo che regola espressamente l’appello, non può che aversi riguardo, per fugare ogni dubbio, al testo dall’art. 600 c.p.p, non modificato dal legislatore del 2006, che riconosce quale ulteriore specifico interesse della Parte Civile, cui consegue un suo preciso diritto,

Page 41: INDICE SEZIONE PRIMA - DIRITTO PENALE · Sottrazione o danneggiamento di cose sottoposte a sequestro disposto nel corso di un procedimento penale o dall’autorità amministr ativa

39

quello ad appellare (non ricorrere) la sentenza che abbia rigettato la richiesta di provvisionale, con ciò stabilendo che, pur mancando una espressa previsione dell’art. 593 c.p.p. per ciò che attiene la Parte Civile, quale parte facoltizzata a proporre l’appello, la stessa Parte Civile ha facoltà di proporlo appello, anche solo per vedere riconosciuta la provvisionale; conseguentemente, ben più quella stessa parte processuale potrà appellare la sentenza ove quest’ultima, addirittura, neghi in radice il suo diritto al risarcimento.

Pertanto la evidente dimenticanza del legislatore del 2006 quando non ha ricompreso la Parte Civile nell’elencazione dell’art. 593 c.p.p., non modifica in nulla il sostanziale diritto di appellare da parte della medesima Parte Civile, poiché quel suo diritto le è riconosciuto in via generale dalla legge processuale per le ragioni anzidette, nonché per l’interpretazione autentica del legislatore , dopo il rigetto del Capo dello Stato.

A questo punto altresì , a ben guardare l’intera disciplina delle impugnazioni a seguito della Novella in questione, dobbiamo peraltro concludere come l’elencazione dell’art. 593 c.p.p. sia meramente indicativa e non tassativa, trovandosi altrimenti in aperta contraddizione con altre norme dello stesso titolo.

È infatti singolare che, ad esempio, la norma di cui all’art. 595 c.p.p. (appello incidentale - anch’essa non modificata dal legislatore del 2006!) parli esclusivamente di PM e di “parti”, senza distinguere imputato od altre parti processuali, con ciò ricomprendendo anche la Parte Civile, il Responsabile Civile e la Persona Civilmente Obbligata per la pena pecuniaria (art. 575 c.p.p.). tra i soggetti processuali legittimati all’appello, anche se non indicati espressamente dall’art. 593 c.p.p..

Pertanto ove si pensi che, a mente della norma stessa di cui all’art. 575 c.p.p., è data facoltà al responsabile civile di impugnare la sentenza con lo stesso “mezzo” che la legge attribuisce all’imputato - cioè anche l’appello! -, e che il responsabile civile trova la sua giustificazione e legittimazione ad essere parte processuale solo in quanto venga chiamato nel processo dalla Parte Civile o perché intervenga essendoci la presenza di una Parte Civile costituita contro l’imputato, deve necessariamente affermarsi che quando il “nuovo” art. 576 c.p.p. riconosce la facoltà di impugnazione “tout court” alla Parte Civile, le riconosce altresì direttamente, in base alla suddetta ineludibile ed obbiettiva (poiché testuale) interpretazione sistematica, la facoltà di impugnare anche con l’appello le sentenze di condanna e/o di assoluzione dell’imputato pronunciate dal Giudice di primo grado, le quali rilevino in qualsiasi modo agli effetti della responsabilità civile del medesimo imputato;

Analoga interpretazione sistematica è necessitata con riferimento al principio dettato dall’art. 568 c.p.p. quanto alla tassatività dei mezzi di impugnazione, in quanto ove, come accade all’art. 576 c.p.p., non sia indicata una specifica forma di impugnazione cui è abilitata una parte processuale, ma sia indicato un generico diritto ad impugnare riconosciutole, ciò significa che qualunque strumento di impugnazione (appello o ricorso) è fruibile da quella stessa parte sol che quello stesso strumento processuale sia previsto dall’ordinamento; stesso ragionamento deve valere con riguardo agli artt. 607 e 608 c.p.p. che hanno evidente natura enumerativa e non tassativa, altrimenti, diversamente opinando, si verrebbe a disconoscere alla Parte Civile anche il diritto di ricorrere in Cassazione, a seguito delle modificazioni dell’art. 576 c.p.p. che l’ha svincolata dal PM come sopra specificato.

Pessima tecnica legislativa, non certo perdita della capacità di impugnare (con l’appello o con il ricorso), atteso l’inequivoco dettato normativo dell’art. 576 c.p.p..

Ove non si ritenesse di accedere comunque alla suddetta tesi interpretativa, assimilandosi (perché? Sulla base di quali norme?) la Parte Civile al PM e quindi ritenendo impossibile per quest’ultima, come per il secondo, l’impugnazione con l’appello avverso la sentenza di proscioglimento, ci si verrebbe a trovare all’evidenza innanzi alla violazione

Page 42: INDICE SEZIONE PRIMA - DIRITTO PENALE · Sottrazione o danneggiamento di cose sottoposte a sequestro disposto nel corso di un procedimento penale o dall’autorità amministr ativa

40

del precetto costituzionale di cui agli artt. 3, 24 della Costituzione da parte di una siffatta norma, inspiegabilmente ed irragionevolmente limitatrice nei confronti della Parte Civile;

Sia detto subito e con chiarezza, per sgomberare ogni dubbio interpretativo, che non è possibile assimilare sul piano giuridico la posizione della Parte Civile a quella del PM, ancorché parzialmente ed eventualmente le loro posizioni possano coincidere nell’iter del processo, magari per un certo tratto di esso (ad esempio nel corso dell’esame testimoniale); sta di fatto che l’Ordinamento processuale stesso ne evidenzia la loro sostanziale differenza, sia oggettiva che soggettiva, nel senso di risultare parti portatrici di autonome e spesso diversificate istanze autonomamente giuridicamente tutelate.

Un altro significativo esempio: basti pensare, e non è semplicistica sintesi, che la Parte Civile ben può chiedere la condanna dell’imputato dopo che il PM ne ha chiesto la piena assoluzione, per capire che quelle due distinte parti trovano un’assimilazione nel testo dell’art. 576 c.p.p. previgente - e di conseguenza anche nell’art. 593 c.p.p. - solo per comodità e buona tecnica normativa (di altri tempi!), non certo per accomunarle in un unitario, quanto inesistente, ruolo sostanziale e processuale.

Ove quindi si ritenesse, al contrario, che la Parte Civile avesse la stessa posizione del PM quanto all’appello, la stessa si troverebbe ingiustificatamente e immediatamente privata di un secondo grado di giurisdizione nel merito, in ipotesi fosse pronunciata in primo grado una sentenza che proprio quel merito civilistico pregiudicasse a suo danno con l’assoluzione dell’imputato.

È eclatante osservare infatti come, ove si seguisse il suddetto criterio interpretativo, vi sarebbero due situazioni assolutamente identiche che riguardano l’azione risarcitoria svolta dal soggetto danneggiato dal reato, disciplinate in modo irragionevolmente ed inspiegabilmente difforme e deteriore a seconda della “sede” nella quale venga fatta valere - nel merito e nella quantificazione - quella medesima pretesa risarcitoria.

La stessa azione infatti, ove venisse esercitata in sede civile, consentirebbe, sempre, a termine del codice di procedura civile, il rimedio dell’appello avverso una sentenza sfavorevole di primo grado, rimedio che invece non sarebbe consentito in ipotesi che quella stessa azione risarcitoria fosse stata proposta in sede penale, qualora l’imputato fosse assolto in primo grado.

È chiaro quindi che, ove una simile disparità sussistesse, si presenterebbe come non manifestatamene infondata e rilevante la questione di legittimità costituzionale dell’art. 593 c.p.p. in rapporto alle due norme costituzionali richiamate, nella parte in cui non prevede esplicitamente che anche la Parte Civile, non più vincolata al PM dal nuovo art. 576 c.p.p, può impugnare con l’appello la sentenza di proscioglimento pronunciata nei confronti dell’imputato dal giudice di primo grado.

Ulteriore importante modifica al regime dell’appello, per altro introdotto solo nel corso del riesame della Legge a seguito della restituzione alle Camere del precedente testo ad opera del Capo dello Stato (così come avvenuto per l’art. 576 c.p.p.), è l’abolizione dell’ art. 577 c.p.p., riguardante l’appello anche agli affetti penali da parte della Persona Offesa costituita Parte Civile nel caso dei reati di ingiuria e diffamazione; anche tale tardiva abolizione dimostra la pericolosa approssimazione dell’intera normativa in esame.

Quanto poi al ricorso per Cassazione, lo stesso è stato ampiamente modificato dalla Novella, in quanto è venuta meno la precedente limitazione, di cui alla lettera e) dell’art. 606 c.p.p., che prevedeva che la contraddittorietà di motivazione emergesse dallo stesso provvedimento impugnato.

Anzi, a seguito di rinvio da parte del Capo dello Stato alle Camere, il testo originario della riforma, che consentiva il più ampio esame della contraddittorietà ed illogicità della sentenza alla Corte Suprema tanto che se ne è denunciata l’attitudine a trasformare il giudizio innanzi alla Corte di Cassazione stessa in un terzo grado di merito, è stato

Page 43: INDICE SEZIONE PRIMA - DIRITTO PENALE · Sottrazione o danneggiamento di cose sottoposte a sequestro disposto nel corso di un procedimento penale o dall’autorità amministr ativa

41

modificato nel senso che il vizio di illogicità o contraddittorietà della motivazione potrà risultare sia dal testo del provvedimento impugnato“, ovvero da altri atti del processo specificatamente indicati nei motivi di gravame”!

In tal modo, a nostro avviso, la riforma inciderà poco sul giudizio di Cassazione, dovendosi ritenere marginali i casi di “atti” i quali da soli possono far emergere il vizio motivazionale di cui alla norma finale novellata, che in parte riproduce, in un certo senso anticipandolo il rimedio di cui all’art. 625 bis c.p.p. (correzione di errori materiali dopo la deliberazione della sentenza).

Venendo quindi alle disposizioni transitorie la Novella stabilisce che divengono inammissibili tutti gli appelli proposti dal PM o dall’imputato contro una sentenza di proscioglimento (art. 10 della Legge).

In tali casi potrà essere proposto ricorso per Cassazione entro 45 giorni dalla notifica del provvedimento di inammissibilità.

Questo, in prima sintesi, è il risultato dell’analisi della Legge n. 46/06 che appare rilevante soprattutto con riguardo ai nuovi reati societari dove l’iniziativa delle Parti Civili - Persone Offese - attraverso la disciplina dettata dall’art. 580 c.p.p. potrebbe determinare una decisiva modificazione del ricorso proposto dal PM, che diverrà appello ove quelle stesse Parti Civili impugnino una medesima sentenza assolutoria con l’appello.

Situazione che ben difficilmente si proporrà in campo penale tributario, non essendovi solitamente una Parte Civile costituita che possa proporre appello.

Verificheremo comunque nel prosieguo gli aspetti della nuova normativa anche all’esito degli inevitabili interventi della Consulta, già ampiamente annunciati a seguito delle eccezioni di costituzionalità che stanno per essere proposte dagli organi del PM. [Luigi Ravagnan]

3 Ma l’avviso ex art. 415 bis c.p.p. può interrompere il corso della …... storia processuale?

Quando si accede alla facoltà di giurisprudenza almeno due concetti vengono impressi fortemente nelle menti degli studenti: il principio di legalità (articolo 25 Cost. e art. 2 cod. pen.) e la certezza del diritto1. Inutile dire che tanto più vale il concetto nella materia penale e segnatamente nell’ambito del diritto sostanziale.

L’ingresso in uno studio professionale per incominciare la pratica spesso è accompagnato da una sorta di disillusione da parte del dominus, il quale cerca di avvisare il neo laureato che vi sono delle, seppur modeste, eccezioni anche ai principi più aulici.

1 Si riporta, anche se noto, la definizione da Enciclopedia del Diritto: certezza del diritto:

uno dei princì pi cardini a cui si ispira il nostro ordinamento; risponde all'esigenza di certezza dei destinatari della norma, i quali devono poter contare sulla disciplina legale in vigore per sapere quali sono gli effetti giuridici dei loro atti. Per tale ragione la norma deve essere formulata chiaramente e in modo tale da prestarsi a un'interpretazione univoca. A garantire la certezza del diritto vige anche il principio di non retroattività della legge, in base al quale la legge si applica successivamente alla sua entrata in vigore (v. conflitto di norme). Infine, un'ulteriore garanzia è costituita dalla obbligatorietà della pubblicazione delle leggi sulla «Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana». Solo dopo un periodo, che normalmente è di 15 giorni dopo la pubblicazione, c.d. "vacatio legis"(v.), la legge entra in vigore. La pubblicazione assolve al compito di rendere la legge conoscibile ai destinatari, i quali compiranno determinati atti in relazione ai suoi effetti.

Page 44: INDICE SEZIONE PRIMA - DIRITTO PENALE · Sottrazione o danneggiamento di cose sottoposte a sequestro disposto nel corso di un procedimento penale o dall’autorità amministr ativa

42

Nel toccar con mano i processi in prima persona il giovane procuratore legale (oggi avvocato) avverte presto che l’anziano riferiva il vero: la giurisprudenza talvolta riesce a interpretare al di là di ogni aspettativa.

Ma a noi piace immaginare il legislatore come un uomo barbuto, un saggio con la fronte corrugata da pensieri che tendono idealmente a coordinare tutte le norme dell’ordinamento, coniugandole con i principi generali del nostro diritto. E’ con quest’immagine impressa nella mente che ci siamo avvicinati all’esame di alcune decisioni apparentemente dirompenti in tema di cause interruttive della prescrizione.

Tutti sanno che l’art. 160 c.p. elenca tassativamente gli eventi che interrompono il corso della prescrizione. La norma è stata modificata dal legislatore prima nel 19892, successivamente estesa nel 20003 ed infine recentissimamente rivista l’anno scorso4 con un intervento di ampio respiro, tanto esteso quanto le dimensioni del dibattito entro e fuori delle aule.

Facciamo iniziare convenzionalmente la questione della idoneità dell’avviso ex art. 415 bis c.p.p. a interrompere la prescrizione con la sentenza di Cassazione, sezioni unite penali, 11 luglio 2001 (dep. 11 settembre 2001) n. 33543.

Nell'occasione le Sezioni Unite della Corte di Cassazione venivano chiamate a dirimere il contrasto sorto in merito all'idoneità dell'interrogatorio dell'indagato compiuto dalla polizia giudiziaria su delega del pubblico ministero ad interrompere il corso della prescrizione.

Mentre, da un lato, alcuni giudici, in un ottica meno garantista, sostenevano l'equiparazione tra interrogatorio del pubblico ministero e interrogatorio delegato, in virtù di un'interpretazione non propriamente analogica ma “solo” adeguatrice della norma rispetto al sistema5, ritenendola comunque conforme al dettato costituzionale, laddove esso prevede che situazioni sostanzialmente identiche siano regolate da un'identica disciplina, dall'altro, un diverso orientamento, maggiormente sensibile all'osservanza dei principi cardine del nostro diritto penale, continuava ad affermare la tassatività degli atti interruttivi richiamati dall'art. 160 c.p., negando nel modo più assoluto la possibilità di un'interpretazione analogica in malam partem che avrebbe, nel caso concreto, attribuito alla norma in oggetto un significato diverso rispetto alla volontà del legislatore, ribadita anche attraverso il mancato adeguamento dell'art. 160 c.p. alla modifica dell'art. 370, comma 1 c.p.p., ad opera del D.L. 8 giugno 1992, n. 306. c.p.p.6.

Le Sezioni Unite, con la decisione qui esaminata, dopo una lucida ricognizione dei principi regolatori della materia, concludevano per l'assoluta tassatività degli atti interruttivi richiamati dall'art. 160 c.p. e dalle leggi speciali7. In ciò conforta anche l’orientamento assolutamente costante della Corte delle Leggi, che con varie decisioni, tutte del medesimo segno, ha affermato il principio della tassatività degli atti interruttivi, rifiutando recisamente e reiteratamente di pronunciare sentenze additive in malam partem8.

Il problema della tassatività degli atti interruttivi della prescrizione è tornato ad essere d'attualità durante il primo semestre dello scorso anno allorché, in un succedersi quasi schizofrenico di decisioni contrastanti, la Corte di Cassazione, sezione quinta, ha posto

2 Il comma 2 è stato modificato dall’art. 239 delle disp. attuaz. c.p.p. 3 Con l’art. 61 del D. Lvo 274/2000 si è adeguata la norma al rito riguardante i reati di competenza del

Giudice di Pace 4 Art. 10, commi 2 e 3 della L. 5 dicembre 2005 n. 251, in vigore dall’8 dicembre 2005 (cd. “ex Cirielli”) 5 Cfr Cass.,Sez. VI, 12.01.1999, P.M. in proc. Dogali; Sez. V, 06.02.2001, P.G. in proc. Leidi. 6 Cfr. Cass., Sez. II, 11.01.2001, P.M. in proc. Bertelli; Sez. V, 30.05.2000, Di Simone. 7 Cfr art. 61 D.L.vo 28 agosto 2000, n. 274 e art. 17 d.lgs. 10.03.2000 n. 74. 8 Cfr. C. Cost. ordinanze nn. 71/1983, 114/1983, 144/1994, 315/1996, 178/1997, 412/1998, 245/1999,

Page 45: INDICE SEZIONE PRIMA - DIRITTO PENALE · Sottrazione o danneggiamento di cose sottoposte a sequestro disposto nel corso di un procedimento penale o dall’autorità amministr ativa

43

nuovamente in discussione il principio, affermando che l'avviso di conclusione delle indagini preliminari, contenendo l'invito a presentarsi per rendere interrogatorio, costituirebbe in sé atto interruttivo della prescrizione.

Non può sfuggire l'aspetto curioso per cui a pronunciarsi per tre volte in poco più di sei mesi in modo non univoco è stata sempre la Sezione quinta della Suprema Corte di Cassazione in composizione tale per cui tre magistrati su cinque hanno presenziato a tutte le citate udienze e relative decisioni.

Con le sentenze 16.03.2005 (ud. 17.02.2005), n. 10395 e 04.08.2005 (ud. 16.06.2005), n. 29505, i giudici della stessa sezione hanno dichiarato l'avviso di chiusura delle indagini, emesso ai sensi dell'art. 415 bis c.p.p., atto interruttivo della prescrizione così mutando radicalmente l'orientamento sposato solo qualche mese prima allorché all'udienza del giorno 11.11.2004, con decisione depositata il 29.04.2005, la n. 16197, gli stessi giudici, chiamati a esprimersi su identica questione, avevano dichiarato l'art. 160 c.p. non suscettibile di interpretazione analogica, che nel caso concreto avrebbe costituito analogia in malam partem vietata dal codice penale.

Con la sentenza 16.03.2005 la Corte di Cassazione osserva che l'art. 160 c.p., laddove individua tra gli atti interruttivi della prescrizione l'invito a presentarsi al pubblico ministero per rendere interrogatorio, utilizza la medesima locuzione contenuta nell'art. 416 c.p.p. prima delle modifiche introdotte con le leggi 234/97 e 479/99, con ciò giungendo a sostenere che dopo le modifiche introdotte “alla previsione sostanziale corrisponde sia l'avviso di cui all'art. 375 c.p.p. che l'avviso, da notificare all'indagato ed al suo difensore alla conclusione delle indagini preliminari, disciplinato dall'art. 415 bis /3 nella parte in cui detta che deve contenere l'avvertimento che l'indagato ha facoltà ….. di chiedere di essere sottoposto ad interrogatorio”. Sottolinea ancora la Corte che, dovendosi notificare l'avviso ex art. 415 bis nel caso in cui il Pubblico Ministero non debba formulare richiesta di archiviazione, tale avviso racchiude in sé la volontà di esercizio dell'azione penale al pari degli altri atti richiamati dall'art. 160 c.p..

Tali motivazioni hanno indotto i primi commentatori9 della citata decisione a rispolverare la distinzione propria di quella giurisprudenza che già prima delle Sezioni Unite del 2001 mirava ad ampliare l'elenco degli atti interruttivi operando un distinguo tra analogia in malam partem, pacificamente vietata, ed interpretazione estensiva, la quale mira “a fare esattamente coincidere la norma con il pensiero e la volontà del legislatore, essendo doveroso per l'interprete, al fine di rispettare la ratio legis, applicare la norma più ampiamente di quanto la dizione letterale comporterebbe ancorché sia palese che il legislatore minus dixit quam voluit”10.

In verità la Corte di Cassazione con la sentenza del 4 agosto 2005 (ud. 16.06.2005) ha ulteriormente precisato la questione; pur riprendendo il principio esposto nella decisione depositata il 16 marzo 2005, secondo cui l'enunciato normativo di cui all'art. 160 c.p. relativamente all'invito del pubblico ministero a presentarsi per rendere interrogatorio, dopo la modifica dell'art. 416 c.p.p. ad opera della legge 479/99, andrebbe riferito anche alla norma processuale di cui all'art. 415 bis c.p.p., richiamata unitamente a quella di cui all'art. 375 c.p.p. dal nuovo testo dell'art. 416 c.p.p., la Corte sembra volersi allontanare non solo dal concetto di analogia in malam partem, senza dubbio estranea ai principi del nostro diritto, ma anche dal richiamo all'interpretazione estensiva, precisando che l'indirizzo accolto dalla Sezione quinta “prescinde dall'utilizzazione del concetto di 'atto equipollente', riconducibile cioè alla eadem ratio di quelli analiticamente enumerati nell'art. 160 c.p., nel

9 Sergio Beltrani, “Prescrizioni, lo stop arriva per estensione”, in Diritto e Giustizia, n.42/200, p. 76 s. 10 Cfr. Cass. Pen., 25 marzo 1963, in Giust. Pen. 1964, I, 73.

Page 46: INDICE SEZIONE PRIMA - DIRITTO PENALE · Sottrazione o danneggiamento di cose sottoposte a sequestro disposto nel corso di un procedimento penale o dall’autorità amministr ativa

44

mentre individua nell'avvertimento contenuto nell'avviso ex art. 415 bis c.p.p. quell'invito a presentarsi previsto dall'art. 160 c.p.p. e, originariamente soltanto dall'art. 375 c.p.p.”.

Ciò quasi a sostenere che nemmeno v'è bisogno di ricorrere ad interpretazioni estensive in quanto l'invito a rendere interrogatorio previsto dall'art. 375 c.p.p. e necessario ad interrompere il corso della prescrizione già esiste, ed è perfetto, contenuto all'interno dell'avviso ex art. 415 bis c.p.p..

La Suprema Corte sottolinea ancora che una diversa interpretazione condurrebbe a rimettere alla volontà dell'indagato l'efficacia di un atto interruttivo della prescrizione cosicché, ricevuto l'avviso di chiusura delle indagini, l'indagato potrebbe decidere se essere interrogato, nella consapevolezza che ciò comporterebbe l'emissione da parte della Procura di un atto interruttivo della prescrizione oppure omettere ogni richiesta contando su un'eventuale estinzione del reato. Tale ordine di ragionamento induce i giudici di legittimità a concludere osservando che, seguendo l'interpretazione adottata dalle Sezioni Unite del 2001 si finisce per attribuire effetto interruttivo della prescrizione ad un atto che costituisce esercizio del diritto di difesa.

L'interpretazione offerta dalla quinta sezione della Corte di Cassazione (nella sua versione “maggioritaria”) deve, ad avviso di chi scrive, essere censurata sotto diversi profili. Innanzitutto, pur vero che l'avviso di chiusura delle indagini deve essere emesso solo laddove il pubblico ministero ritenga di non formulare richiesta di archiviazione, non possiamo trascurare che esso costituisce un dovere del pubblico ministero, ma non un atto di esercizio dell'azione penale. Introdotto a garanzia dell'indagato al fine di anticipare il potere di intervento del medesimo nel corso delle indagini preliminari, esso non può essere interpretato alla stregua di un'iniziativa del pubblico ministero volta a riaffermare la pretesa punitiva dello Stato. L'interpretazione della Suprema Corte appare viziata da quella che è una prassi piuttosto diffusa secondo cui il pubblico ministero, nonostante le eventuali istanze, memorie o scritti difensivi presentati dall'indagato, raramente si determina a richiedere l'archiviazione dopo aver notificato l'avviso di chiusura delle indagini preliminari.

A ben valutare, anche il richiamo all'art. 416 c.p.p. (con il relativo confronto col dettato precedente le modifiche del 1999) desta qualche perplessità.

La legge 479/99, introducendo l'avviso di chiusura delle indagini, ha anticipato l'intervento dell'indagato nel corso delle indagini preliminari; in precedenza tale intervento era assicurato dall'interrogatorio ex art. 375 c.p.p. che, tuttavia, poteva essere effettuato in qualunque momento, purché prima dell'emissione della richiesta di rinvio a giudizio. Nelle intenzioni del legislatore l'art. 415 bis avrebbe dovuto anticipare tale intervento allo scadere dei termini di cui all'art. 405 comma 2 c.p.p., nell'ottica di una maggiore garanzia per l'indagato; se, dunque, si riconosce - com'è innegabile - la natura garantista dell'avviso contemplato dall'art. 415 bis c.p.p., è impensabile che esso possa essere utilizzato, in sfavore del “reo”, al fine di introdurre un nuovo atto interruttivo della prescrizione.

Prima dell'entrata in vigore della legge cd. Carotti, allorché l'unico momento conoscitivo dell'indagine era rappresentato dall'invito a rendere interrogatorio, l'omissione di quest'ultimo costituiva una causa di nullità della richiesta di rinvio a giudizio, in quanto tale omissione rappresentava il rischio che l'imputato non fosse stato tempestivamente reso edotto dell'indagine pendente a suo carico.

Il legislatore del '99, proprio con l'introduzione dell'art. 415 bis, ha operato due interventi: ha inserito il dovere per il pubblico ministero di informare l'indagato circa l'esistenza di un'indagine nei suoi confronti, anticipando tale “discovery” allo scadere del termine naturale delle indagini e allo stesso tempo l'ha esonerato dall'obbligo, precedentemente sanzionato a pena di nullità della richiesta di rinvio a giudizio, di procedere all'interrogatorio dell'imputato, restituendo a tale incombente la natura di atto di

Page 47: INDICE SEZIONE PRIMA - DIRITTO PENALE · Sottrazione o danneggiamento di cose sottoposte a sequestro disposto nel corso di un procedimento penale o dall’autorità amministr ativa

45

indagine, la cui omissione diviene censurabile solo ove esso sia richiesto dall'indagato, dopo la notifica dell'avviso di chiusura delle indagini.

Per comprendere pienamente la differenza tra l'invito a rendere interrogatorio contemplato dall'art. 160 c.p. e l'avviso di cui all'art. 415 bis è opportuna altresì un'ulteriore considerazione: l'inserimento dell'invito ex art. 375 c.p.p. tra gli atti interruttivi della prescrizione trova la sua ragione in una necessità pratica. Originariamente, infatti, l'art. 160 c.p. contemplava tra gli atti interruttivi solamente l'interrogatorio reso avanti l'Autorità Giudiziaria; ciò, ovviamente, comportava che qualora l'indagato si fosse intenzionalmente sottratto all'interrogatorio, avrebbe potuto modificare il corso della sua storia processuale impedendo il compiersi di un atto interruttivo della prescrizione. Per evitare, dunque, che la scaltrezza dell'indagato potesse conseguire effetti vantaggiosi, con il D. L.vo 28 luglio 1989, n. 271, recante le norme di attuazione e di coordinamento del codice di procedura penale, fu inserito tra gli atti che interrompono la prescrizione l'invito a presentarsi a rendere interrogatorio; una sorta di tutela anticipata che fa sì che l'interruzione della prescrizione consegua non al verificarsi dell'interrogatorio, ma all'invito, ritualmente notificato, a sottoporsi al medesimo.

Completamente diversa è la ratio che governa l'avviso ex art. 415 bis, il quale non presuppone, al contrario, alcun obbligo di sottoporsi all'interrogatorio, che evidentemente, al momento della notifica o è già stato effettuato oppure non è stato richiesto, bensì avverte l'indagato che è sua facoltà chiedere di essere interrogato dal pubblico ministero. Non dunque, un atto di iniziativa della Procura, ma un atto dovuto, adempimento necessario a scongiurare la nullità di una futura richiesta di rinvio a giudizio.

Peraltro, contrariamente a quanto accade per la giurisprudenza, soggetta al mutare degli orientamenti, lo spirito del legislatore in tema di atti interruttivi della prescrizione è sempre lo stesso e ne sono testimonianza le recenti modifiche legislative.

Nella Relazione al Re illustrativa dei lavori preparatori del codice del 1930, in tema di atti interruttivi della prescrizione si legge: “La giurisprudenza sul Codice del 1889 ha smisuratamente allargata la cerchia di tali atti, fino a comprendervi, con evidente esagerazione, in base al secondo capoverso dell'articolo 93, persino la formazione materiale del fascicolo processuale da parte del cancelliere. Ho ristretta perciò la cerchia degli atti del procedimento penale, idonei ad interrompere la prescrizione, a quelli veramente fondamentali del procedimento stesso, che, in considerazione del loro carattere obiettivo, per sé, dimostrano la persistenza dell'interesse dello Stato a punire.

Questa modificazione offre anche il vantaggio di conferire, in così delicata materia, la certezza di univoche applicazioni”11 (la sottolineatura è nostra).

E' probabilmente con questo spirito che il legislatore, che pure recentemente ha apportate importanti modifiche in tema di prescrizione12, non ha ritenuto di dover intervenire in materia di interruzione del corso della medesima.

Le recenti pronunce della Sezione quinta, mediante la proposta “interpretazione estensiva” si sono, dunque, fatte portatrici di una presunta volontà che il legislatore, chiamato ad esprimersi in merito, non ha inteso fare propria.

Allo stato attuale, mentre alcuni Giudici hanno abbracciato l'orientamento della quinta sezione, altri, maggiormente garantisti, hanno ribadito l'opinione espressa dalle Sezioni Unite del 2001; in particolare in termini maggiormente attenti ai diritti inviolabili dell'indagato si sono espressi, per quanto concerne il Tribunale di Venezia, che ci riguarda più da vicino, il dott. Michele Medici, Giudice Monocratico presso la Sezione Distaccata di San Donà di Piave e l'ufficio del Giudice per le indagini Preliminari, nella persona del

11 Cfr. Relazione al Re in Gazzetta Ufficiale del 26 ottobre 1930 - VIII - n. 251 12 Cfr art. 159 c.p. sostituito dall'art. 6, comma 3, della L. 5 dicembre 2005, n. 251

Page 48: INDICE SEZIONE PRIMA - DIRITTO PENALE · Sottrazione o danneggiamento di cose sottoposte a sequestro disposto nel corso di un procedimento penale o dall’autorità amministr ativa

46

Giudice Dott.ssa Maria Carla Majolino13; quest'ultima, in particolare, dopo aver evidenziato la funzione dell'art. 415 bis c.p.p. quale “avviso della mera facoltà attribuita all'indagato di chiedere di essere interrogato” precisa che la doverosità dell'interrogatorio, in presenza di una richiesta dell'indagato, non ne consente una valutazione ai fini della volontà dell'esercizio dell'azione penale da parte della Procura; ciò anche in considerazione del fatto che, proprio a seguito dell'interrogatorio e degli scritti difensivi presentati dall'indagato, il pubblico ministero potrebbe determinarsi a richiedere l'archiviazione. Peraltro, precisa ancora il Giudice veneziano, “salvi gli atti che sono certa espressione della volontà di esercitare l'azione penale ....la estensione della categoria degli atti interruttivi a tipologie di atti non espressamente previste dal legislatore rimasto silente sul tema anche con la recente l. 251/05 sembra contrastare con il divieto di analogia in malam partem”.

Non dunque interpretazione estensiva, ma ancora analogia in malam partem. La motivazione sostenuta dalla quinta Sezione, secondo cui l'interpretazione delle

Sezioni Unite rimetterebbe alla volontà dell'indagato la facoltà di sollecitare o meno, mediante la richiesta di interrogatorio, l'atto interruttivo della prescrizione, così impedendo all’accusato, che pure sia in buona fede, di rendere le proprie dichiarazioni senza con ciò attivare il meccanismo interruttivo, ove condivisa, spalancherebbe le porte a una lunga serie di interrogativi.

Cosa succederebbe, per esempio, se l'indagato, a seguito dell'avviso ex art. 415 bis, chiedesse di rendere spontanee dichiarazioni? L'invito a presentarsi notificato a tal fine interrompe oppure no il corso della prescrizione? E in presenza di una richiesta di rendere dichiarazioni potrebbe il pubblico ministero rispondere con un invito a rendere interrogatorio?

E ancora, posto che l'art. 375 c.p.p. fa parte del Titolo V del Libro V, denominato “attività del pubblico ministero”, e considerato altresì che l'interrogatorio richiesto dall'indagato non è atto d'iniziativa del pubblico ministero, non sarebbe forse più corretto invitare l'indagato a rendere l'interrogatorio da lui richiesto mediante un avviso ex art 415 bis, comma 3 c.p.p. che, certamente e ragionevolmente, non potrebbe considerarsi atto interruttivo della prescrizione? [Federica Bassetto - Marco Vianello]

13 Cfr. sent. 401/05 Sezione Distaccata di San Donà di Piave e sent. 1132/05 G.I.P. Venezia.