INDICE 1 Premessa3 2 Profilo faunistico della provincia di ... · le esigenze della conservazione...

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INDICE 1 Premessa .................................................................... 3 2 Profilo faunistico della provincia di Caserta ............................. 7 2.1 Inquadramento territoriale 7 2.2 Orografia 9 2.3 Idrografia 10 2.4 Gli ambienti rurali 14 2.5 Gli ambienti boschivi 18 2.6 Gli ambienti umidi 21 3 Istituti faunistici di protezione .......................................... 26 3.1 Parco regionale del Matese 27 3.2 Parco regionale Roccamonfina e Foce Garigliano 33 3.3 Parco regionale del Partenio 37 3.4 Le Oasi di protezione 39 4 Istituti faunistici di produzione .......................................... 53 4.1 Le Zone di ripopolamento e cattura 53 4.1 La Z.R.C. Carditello 56 4.2 La Z.R.C. M.Alifano 58 4.3 La Z.R.C. Torcino 59 4.4 La Z.R.C. Selvapiana 60 4.5 La Z.R.C. Teanese 61 4.6 La Z.R.C. Vairanese 62 5 I Centri di produzione della fauna selvatica ............................ 64 6 Istituti per la cinofilia .................................................... 65 6.1 Campi addestramento cani senza abbattimento di fauna 65 6.1 Campi addestramento cani con abbattimento di fauna 67 7 Le aziende venatorie ...................................................... 69 8 Le zone in cui sono collocabili gli appostamenti fissi ................... 72 9 I valichi montani interessati dalle rotte di migrazioni ................. 73 10 Il risarcimento dei danni alle produzioni agricole arrecati dalla fauna selvatica e dall’attività venatoria ........................... 74

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INDICE

1 Premessa.................................................................... 3

2 Profilo faunistico della provincia di Caserta ............................. 7

2.1 Inquadramento territoriale 7 2.2 Orografia 9 2.3 Idrografia 10 2.4 Gli ambienti rurali 14 2.5 Gli ambienti boschivi 18 2.6 Gli ambienti umidi 21

3 Istituti faunistici di protezione ..........................................26

3.1 Parco regionale del Matese 27 3.2 Parco regionale Roccamonfina e Foce Garigliano 33 3.3 Parco regionale del Partenio 37 3.4 Le Oasi di protezione 39

4 Istituti faunistici di produzione ..........................................53

4.1 Le Zone di ripopolamento e cattura 53 4.1 La Z.R.C. Carditello 56 4.2 La Z.R.C. M.Alifano 58 4.3 La Z.R.C. Torcino 59 4.4 La Z.R.C. Selvapiana 60 4.5 La Z.R.C. Teanese 61 4.6 La Z.R.C. Vairanese 62

5 I Centri di produzione della fauna selvatica ............................64

6 Istituti per la cinofilia....................................................65

6.1 Campi addestramento cani senza abbattimento di fauna 65 6.1 Campi addestramento cani con abbattimento di fauna 67

7 Le aziende venatorie ......................................................69

8 Le zone in cui sono collocabili gli appostamenti fissi ...................72

9 I valichi montani interessati dalle rotte di migrazioni .................73

10 Il risarcimento dei danni alle produzioni agricole arrecati

dalla fauna selvatica e dall’attività venatoria...........................74

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11 Incentivi per i miglioramenti ambientali a fini faunistici ...............75

11.1 Miglioramenti ambientali 75 11.2 Il ruolo dei produttori agricoli 81 11.3 Lo status giuridico della fauna selvatica 83 11.4 Il ruolo degli amministratori pubblici 85 11.5 Selezione delle aree preferenziali 85 11.6 Il livello delle sovvenzioni 87 11.7 Il ruolo delle associazioni venatorie, ambientaliste e protezionistiche 88

12 Il ripopolamento della fauna selvatica...................................91

12.1 La reintroduzione della starna 95 12.1 I piani di prelievo 96 12.2 Gestione del territorio 97 12.3 Il contenimento delle perdite 98 12.4 Immissioni 99 12.5 Caccia al cinghiale 100

13 Gli Ambiti Territoriali di Caccia (ATC) ................................ 101

13.1 I miglioramenti ambientali nell’ATC 101 13.2 La gestione della fauna nell’ATC 106

14 I nuovi strumenti di controllo territoriale............................. 113

15 Conclusioni ............................................................... 115

Tavole fuori testo:

− cartografie

− documentazione fotografica

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1 Premessa

La Legge 11 febbraio 1992 n. 157, all’art. 1, comma 2, dispone che

“L’esercizio dell’attività venatoria è ammesso purché non contrasti con

le esigenze della conservazione della fauna e non arrechi danno

effettivo alle attività agricole”.

Tali finalità sono perseguite attraverso la pianificazione faunistico-

venatoria, estesa a tutto il territorio Agro-silvo-pastorale ed attuata

attraverso la destinazione differenziata del territorio (art. 10). Lo

strumento della pianificazione è il Piano faunistico venatorio

predisposto dalla Provincia (art. 11 L.R. n. 8 del 10 aprile 1996).

L’attività venatoria è un sistema complesso che non solo coinvolge

diversi soggetti, ma che richiede soprattutto un’adeguata

pianificazione. Le linee maestre di questo nuovo Piano, realizzate

in collaborazione con le associazioni venatorie, ambientaliste,

protezionistiche e agricole del territorio, sono fondamentali per

garantire il rispetto delle diverse esigenze in campo, da quelle

venatorie a quelle di conservazione del territorio rurale, della fauna

selvatica e di protezione di alcune aree di elevato pregio ambientale, a

beneficio di tutti i cittadini del territorio.

L’Amministrazione Provinciale di Caserta, vista la Legge n. 157/92

"Norme per la protezione della fauna selvatica omeoterma e per il

prelievo venatorio", vista la L.R. n. 8/96 "Norme per la protezione della

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fauna selvatica e disciplina dell'attività venatoria in Campania", letto

l'articolo 11, visti i decreti di perimetrazione dei Parchi regionali e

delle Riserve naturali, sentito il C.T.F.V.P., predispone il presente Piano

faunistico-venatorio provinciale che sostituisce tutte le precedenti

pianificazioni e contiene le indicazioni e le perimetrazioni di massima

dei siti ove è possibile identificare:

oasi di protezione, destinate al rifugio, alla sosta ed alla

riproduzione della fauna selvatica (art. 10 L. n. 157/92; art. 12

L.R. n. 8/96);

zone di ripopolamento e cattura, destinate alla riproduzione

della fauna selvatica allo stato naturale, alla cattura della stessa

per l'immissione sul territorio in tempi e condizioni utili

all'ambientamento e fino alla ricostruzione ed alla stabilizzazione

della densità faunistica ottimale per il territorio (art. 10

L. n. 157/92; art. 12 L.R. n. 8/96);

centri pubblici di produzione della fauna selvatica allo stato

naturale o intensivo (art. 10 L. n. 157/92; art. 13 L.R. n. 8/96);

centri privati di produzione della fauna selvatica allo stato

naturale, organizzati in forma di azienda agricola, singola,

consortile o cooperativa, ove è vietato l'esercizio dell'attività

venatoria (art. 10 L. n. 157/92; art. 14 L.R. n. 8/96);

zone e relativi periodi per l'addestramento, l'allenamento e le gare

di cani su fauna selvatica naturale senza l'abbattimento del

selvatico (art. 10 L. n. 157/92; art. 12 L.R. n. 8/96);

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zone e periodi per l'addestramento, l'allenamento e le gare di cani

con l'abbattimento esclusivo di fauna di allevamento appartenente

a specie cacciabili (art. 10 L. n. 157/92; art. 12 L.R. n. 8/96);

zone in cui sono collocabili gli appostamenti fissi (art. 10

L. n. 157/92; art. 6 L.R. n. 8/96);

valichi montani interessati dalle rotte di migrazione (art. 11

L.R. n. 8/96).

Sono inoltre previsti:

i criteri per la determinazione del risarcimento in favore dei

conduttori di fondi rustici per i danni arrecati dalla fauna selvatica

alle produzioni agricole e le forme di collaborazione ed

incentivazione per la migliore gestione delle strutture di cui

ai punti a), b) e c) ai fini del ripristino degli habitat naturali

e all'incremento della fauna (art. 10 L. n. 157/92; art. 26 L.R.

n. 8/96) ;

i piani di ripopolamento della fauna selvatica anche tramite la

cattura di soggetti, geneticamente compatibili, presenti in

soprannumero in altri ambiti faunistici (art. 10 L. n. 157/92; art. 11 L.R. n.

8/96);

regolamento per la caccia al cinghiale.

Viene infine identificato un unico Ambito Territoriale di Caccia (ATC)

in conformità all’art. 14 L. n. 157/92 e all'art.10 della L.R. 8/96

fissandone alcuni indirizzi di gestione.

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Il lavoro corredato di cartografia IGM in scala 1:25000, inizia con una

breve descrizione del panorama geografico e faunistico della Provincia

di Caserta e successivamente si articola in una vera e propria

pianificazione secondo il disposto dell'art. 11 della L.R. 8/96.

In appendice, vengono infine riportati i dati utilizzati per la

composizione delle estensioni territoriali indicate all'art. 10 della

stessa L.R. 8/96.

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2 Profilo faunistico della provincia di Caserta

2.1 Inquadramento territoriale

La Provincia di Caserta è una provincia della Campania. Confina con il

Lazio (Provincia di Latina e Provincia di Frosinone) a nord-ovest, con il

Molise (Provincia di Isernia e Provincia di Campobasso) a nord, con la

provincia di Benevento a est, con la provincia di Napoli a sud e con il

Mar Tirreno a sud-ovest.

Cartografia della provincia di Caserta

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Il territorio della Provincia di Caserta, ampio 2.639 km2, racchiude in

sé tutti gli elementi che rendono un territorio ricco dal punto di vista

naturalistico e paesaggistico. L’area si estende dalla zona litoranea fino

a quella montuosa del Matese, situato nel cuore della Regione

Campania.

Se vero è che la Campania, per la varietà di condizioni ambientali,

rappresenta una riproduzione in miniatura dell’intero mondo,

sicuramente l’area del Casertano concorre fortemente a questa realtà.

La varietà del territorio porta con sé una diversità di flora che va dalla

macchia mediterranea alle erbe officinali, robina, querce, castagneti,

lecci, acero e carpino. Tutta l’area è ricca di ampie zone coltivate a

frutteti, vigneti, oliveti. Per quanto riguarda la fauna, infine, si va da

quella tipica marina mediterranea, fluviale e lacustre fino a quella

montana che vede la presenza di uccelli rapaci, lepri, faine, cinghiali.

Aquila reale

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2.2 Orografia

Nel complesso le aree montuose ricoprono l'8,7% del territorio, quelle

collinari il 56,3% e quelle pianeggianti il 35,0%. L’altimetria del

territorio varia dalla quota marina ai circa 1.500 m.s.m. del massiccio

del Matese. Procedendo da nord verso sud, esso è caratterizzato dalla

presenza di numerosi rilievi montuosi, sia nella parte orientale (Monti

del Matese, Monte Gallo) che in quella occidentale (Monte Sammucro,

Monte Leonardo, Monte Cesima).

Il Matese

Procedendo verso sud, nella parte orientale i rilievi degradano

dolcemente nella la piana di Alife-Alvignano-Caiazzo che termina in

prossimità dai rilievi di Monte Maggiore e Monte Maiulo; nella parte

occidentale il territorio permane accidentato, a causa della presenza

del massiccio di Roccamonfina e del Monte Massico, che giunge quasi

ad affacciarsi sul mar Tirreno. Muovendosi ancora verso sud il

paesaggio muta drasticamente: la presenza di rilievi montuosi risulta

confinata nella sola parte più orientale (Monte Durazzano, Monte

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Tifata, collina di Cancello); mentre la restante parte del territorio

appare pianeggiante (Piana del Basso Voltuno).

Il territorio risulta delimitato ad ovest dal mare: una estesa costa che

comprende le spiagge del litoraneo Domiziano per giungere fino

all’inizio del Golfo di Gaeta per una lunghezza totale di circa 94 km.

2.3 Idrografia

La rete idrografica è organizzata su cinque arterie principali;

Il fiume Volturno (corso d’acqua di livello nazionale) il cui bacino

idrografico si sviluppa prevalentemente nelle Regioni Campania e

Molise, ed in minima parte, in Abruzzo, Puglia e Lazio. Ha un’estensione

totale di circa 6.340 km2 e si divide in due sub bacini:

• il primo, relativo all’asta principale del Volturno (175 km di

lunghezza)

• il secondo relativo al fiume Calore (132 km).

Il fiume Volturno nasce alle falde del monte Rocchetta (m 972) nella

provincia di Isernia.

Le acque del corso d'acqua più importante dell'Italia meridionale

scaturiscono improvvise e fresche formando un limpido laghetto,

ritrovo di anitre e altri pennuti lacustri. Un sinuoso e sottile nastro

d'acqua congiunge le sorgenti all'abbazia di San Vincenzo. Le rive

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contornate da giunchi e salici sono continuamente setacciate da piccoli

limicoli.

Continuando nel suo lento fluire verso il mare, il Volturno muta

repentinamente il suo corso impegnandosi nella spettacolare gola della

cartiera di San Vincenzo dove potenti macigni staccatisi dalle irti

pareti interrompono in alcuni punti il rapido fluire delle acque, creando

notevoli vasche nei cui anfratti trovano riparo trote, barbi e cavedani.

Il Volturno

Nel comune di Capriati al Volturno, prosegue tra i gruppi del Matese e

del Monte Maggiore e riceve le acque del Calore, suo principale

affluente, nel comune di Castel Campagnano. A valle di tale confluenza

il Volturno defluisce verso Sud Ovest e, superate le strette dei monti

Tifatini, sbocca nella pianura costiera, attraversa il comune di Capua e

scorre costeggiando i centri abitati di S. Maria La Fossa, Grazzanise e

Cancello ed Arnone.

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Il Fiume Calore

Gli spartiacque di questo tratto terminale del fiume si restringono

repentinamente allineandosi al tracciato fluviale e configurando un

angusto tratto bacinale, caratterizzato da argini costruiti negli anni

50. All’altezza di Castel Volturno il fiume sfocia a mare.

Il fiume Liri-Garigliano ha un’asta principale lunga 164 km, di cui

40 Km in provincia di Caserta, per un bacino idrografico complessivo di

circa 4.990 km2. E’ alimentato da un gruppo di sorgenti che si trovano

sul massiccio dei Monti Simbruini, catena calcarea tra l’Abruzzo e

Lazio, presso l’abitato di Cappadocia (AQ). L’alto bacino è costituito

dalla cosiddetta valle Roveto, e riceve gli emissari artificiali del Fucino

a circa 13 km dalle sorgenti, e più a valle il torrente Schioppo. Il fiume

quindi, attraversata la Piana della Conca di Sora, riceve le acque degli

affluenti Fiberno, Sacco e Melfa.

Nei pressi dell’abitato di Cassino il fiume riceve in sinistra le acque del

Rapido–Gari, incrementate dalle sorgenti Gari e, dopo la confluenza, il

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Liri cambia il suo nome in Garigliano. Riceve poi ancore le acque del

Peccia, entra nel territorio del comune di Rocca d’Evandro, ne segue i

confini fino a giungere nel Mar Tirreno sul confine tra Minturno e

Sessa Aurunca.

Il Garigliano prima della foce

Il canale Agnena, in passato affluente in destra del fiume Volturno,

nasce nel comune di Vitulazio, e sul litorale di Mondragone-Castel

Volturno sfocia nel Mar Tirreno dopo aver percorso circa 28 km. Si

sviluppa completamente in territorio pianeggiante, ricevendo immissari

rappresentati principalmente dai canali di bonifica.

Il fiume Savone nasce sul versante Nord Est dell’edificio vulcanico di

Roccamonfina; l’asta principale è lunga circa 42 km ed attraversa i

comuni di Roccamonfina,Teano Francolise, Carinola, Sessa Aurunca e

Modragone.

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Il corso d’acqua è canalizzato a partire dal comune di Francolise e

sfocia nel Mar Tirreno in corrispondenza del comune di Mondragone.

Il bacino dei Regi Lagni copre una vasta superficie delle aree

provinciali di Napoli e Caserta, pari a circa 1300 kmq ed è costituito da

un sistema di canali ed invasi realizzati in gran parte in epoca vicereale

e borbonica che allo stato attuale versano in uno stato di abbandono

ma soprattutto di profondo degrado in quanto utilizzati per lo più come

fogne a cielo aperto.

2.4 Gli ambienti rurali

Il territorio provinciale casertano è caratterizzato dall'agricoltura

per il 59,4%.

L'ambiente agricolo, inteso come grandi estensioni di monocolture, non

presenta in genere sostanziali differenze al suo interno. Tuttavia i

mosaici agricoli in cui si alternano colture diverse, colture seminative

ed arboree, rappresentano uno scenario che contrariamente per come

appare all'uomo, non è omogeneo per le specie animali.

Basti pensare che ogni elemento dei mosaici agricoli ha infatti

caratteristiche peculiari dovute al frutto prodotto ed al periodo della

sua maturazione. In particolare, alle stagioni e condizioni climatiche di

questi tasselli sono legate le migrazioni delle popolazioni animali.

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Una tipica campagna alberata raccoglie un numero assai ampio di specie

di uccelli, alcune tipiche degli spazi aperti, altre tipiche dei boschi ed

adattatesi ad ambienti marginali: pioppeti, filari e piccoli boschi

golenali.

In questi contesti si osservano gazze e cornacchie grigie, rondini,

merli, tordi, storni, passere mattugia e passeri domestici, fringuelli,

verzellini, strillozzi, cardellini, ballerine bianche, pettirossi, fanelli,

upupe, unitamente all'avifauna di interesse venatorio: pavoncelle,

allodole, quaglie, fagiani, beccaccini, soprattutto nei prati umidi, e più

raramente starne.

Starna

Quest’ultima specie merita una particolare attenzione in quanto allo

stato attuale può considerarsi assente dal territorio provinciale,

almeno per quanto riguarda popolazioni autosufficienti e stabili anche

perché non nidifica più in provincia di Caserta e gli unici esemplari

osservabili sono quelli immessi a scopo venatorio.

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Il declino della Starna (Perdix perdix) è in ogni caso un fenomeno

europeo, legato ai mutamenti del paesaggio rurale classico e delle

pratiche agricole tradizionali. In Italia ha raggiunto livelli drammatici

in coincidenza dell'aumento negli anni '70 della pressione venatoria, cui

la specie si è dimostrata alquanto sensibile. Scomparsa dall'Italia

meridionale, rarissima nell'Italia centrale, ha presenze sempre più

sporadiche e modeste in Nord Italia: non è fuori luogo sottolineare

come i popolamenti relitti non si trovino quasi mai in territori a caccia

libera, ma in ambiti protetti o a gestione privata.

Originaria delle praterie, era particolarmente diffusa nelle aree

coltivate a cereali con appezzamenti piccoli e bordi erbosi e

cespugliati, sia in pianura sia in collina; frequentava anche frutteti,

vigneti e zone incolte (campi abbandonati). Prevalentemente

vegetariana da adulta, nelle prime due settimane di vita si nutre quasi

soltanto d’insetti.

Il fagiano (Phasianus colchicus), specie d’origine esotica, è stato

introdotto ed è naturalizzato da tempo, già a partire dall'epoca

romana, forse dal Medioevo.

Diffusa in tutta Europa, dove vive fino ai 900 m. di altezza in un

grande varietà di ambienti (ai margini dei boschi e dei parchi, in

terreni coltivati, nei cespuglieti e tra le canne), la specie risulta

presente in pressoché tutta la provincia, dalla pianura alla media

montagna, sia pure con densità assai disomogenee, quasi ovunque in

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totale dipendenza dell'attuale prassi venatoria basata sui

ripopolamenti. In molte aree libere alla caccia non si può parlare di

vere e proprie popolazioni, trovandoci in presenza di nuclei non

autosufficienti e costanti nel tempo ma ricostituiti artificialmente

anno dopo anno tramite le immissioni.

Fagiano

Il successo del fagiano si deve alla sua sostanziale rusticità, che gli ha

permesso di adattarsi anche alle forti trasformazioni subite negli

ultimi decenni dagli agrosistemi; predilige territori di pianura e collina

dotati di buona diversificazione ambientale, con colture cerealicole

alternate a foraggere e a vegetazione naturale (boschi d’estensione

limitata, cespuglieti e incolti erbacei). Gli adulti si nutrono soprattutto

di parti verdi e semi di piante erbacee, mentre i giovani necessitano

nelle prime settimane di vita di notevoli quantità d’insetti: l'uso di

pesticidi e diserbanti è quindi deleterio.

Anche per questa specie l'acqua è un elemento fondamentale di

sopravvivenza: un elemento di cui tenere conto nella distribuzione dei

ripopolamenti. Gli individui osservabili derivano principalmente dal

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ripopolamento e pochi nascono in natura da soggetti adattati agli

ambienti provinciali.

In questi ambienti sono ben rappresentati anche i rapaci. Sono

abbastanza diffuse le poiane ed i gheppi. Nelle aree coltivate a

graminacee è piuttosto comune il barbagianni mentre la civetta è

diffusa nelle campagne e nelle colline in presenza di ruderi o di alberi,

anche isolati.

Pochi i dati sui mammiferi, classe dominata numericamente dai ricci,

dai topolini domestici, dai topi selvatici e dalle volpi le quali risultano

in costante crescita numerica rappresentando un problema per la fauna

immessa. Vengono inoltre segnalate donnole, faine, martore, nutrie e

toporagni.

2.5 Gli ambienti boschivi

In provincia di Caserta la presenza dei boschi è sostanzialmente

limitata alle fasce altitudinali più elevate. Famosi i castagneti da

frutto del complesso vulcanico di Roccamonfina, le faggete del

massiccio del Matese, i querceti dei rilievi collinari a nord del Medio

Volturno.

Una esemplificazione generalmente valida dell'avifauna degli ambienti

boschivi casertani si rinviene presso la lecceta di San Silvestro a

ridosso del capoluogo provinciale.

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Qui svernano ballerine bianche e gialle, passere scopaiole, luì piccolo,

lucherini, torcicolli e pettirossi; è possibile osservare nell’arco

dell'anno ghiandaie, tortore, upupe, averle piccole, codibugnoli, zigoli

neri, usignoli, rigogoli, cuculi, picchi muratori, picchi verdi, picchi rossi

maggiori, capinere, cinciarelle e cinciallegre, ed ancora, cardellini,

scriccioli e verdoni.

Querceto collinare

Tra i rapaci, è possibile osservare gheppi e poiane e, più elusivi, i gufi

comuni, gli allocchi, i barbagianni, le civette, mentre tra i piccoli

mammiferi abbonda il moscardino.

Più in generale nella fascia montana dei boschi provinciali sono diffuse

beccacce e colombacci mentre non manca il rarissimo gufo reale sul

massiccio del Matese e nella perimetrazione del Parco regionale

omonimo.

L'areale di caccia dei falconiformi è il territorio d'elezione della

coturnice meridionale. Un terreno elevato e pietroso al limite

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superiore del bosco dove la coturnice meridionale potrebbe nidificare

tra le rocce.

Purtroppo non è possibile stimare la consistenza numerica delle

popolazioni di coturnice meridionale, una specie in costante declino,

che può aver ricevuto seri danni genetici dalle passate introduzioni di

coturnice orientale. Anche in questo caso, come per la starna, è

auspicabile un intervento diretto alla conservazione della specie.

Di particolare interesse faunistico è il versante settentrionale dei Colli

Tifatini, custode di una quindicina di sorgenti alcune delle quali sedi di

specie assai interessanti della cosiddetta fauna minore. L'aspetto

vegetazionale tipico delle fonti si compone nel piano erbaceo e

arbustivo di equiseto, Orchis italica, ginestra, biancospino, Smilax

aspera e felci, il tutto immerso tra le roverelle, i lecci, i carpini e le

farnie del piano dominante.

Le specie animali più importanti si riassumono nella salamandrina

dagli occhiali (Salamandra terdigitata), nel tritone italiano (Triturus

italicus) e nel granchio d'acqua dolce (Potamon fluviatile). La

salamandrina dagli occhiali ed il tritone italiano sono specie esclusive

della parte peninsulare del nostro Paese; la salamandrina, in

particolare, è esclusiva del solo versante tirrenico. Tanto basti a

sottolineare l'importanza di azioni volte alla salvaguardia di questo

raro patrimonio genetico.

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Gli ambienti boschivi sono peraltro assai interessanti dal punto di vista

venatorio per la presenza, talvolta sovrabbondante, del cinghiale e per

la possibilità di reintroduzione del daino e del capriolo.

2.6 Gli ambienti umidi

La pianura casertana è una terra di bonifica. Delle sue origini umide

rimangono tracce caratterizzate da un'alta valenza faunistica ed

ambientale.

L'elenco, che riprende integralmente la suddivisione in unità di

rilevamento dell'avifauna acquatica suggerita dall'I.N.F.S., comprende:

• il sistema dei laghi naturali ed artificiali del Medio Volturno: il lago

di Capriati, il lago di Presenzano, il lago di Vairano, la traversa di

Ailano, la traversa di Capua;

• tutto il litorale tirrenico suddiviso nei tratti: (a) dall'idrovora

Minturno a Torre di San Limato, esclusa; (b) da Torre di San

Limato al Canale Agnena, escluso; (c) dal canale Agnena alla foce

dei Regi Lagni, esclusa, compreso il tratto del fiume Volturno tra il

ponte di Castelvolturno della S.S. 7 alla foce ed i pantani dei

Variconi; (d) dalla foce dei Regi Lagni ad Ischitella Lido, compreso

il porto del Villaggio Coppola;

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• tutto il Basso Volturno suddiviso nei tratti dal ponte di Grazzanise

al ponte di Arnone e dal ponte di Arnone al ponte di Castelvolturno

sulla S.S. 7;

• il Canale dei Regi Lagni dal ponte della ferrovia di Villa Literno fino

alla foce, esclusa;

• la Bonifica del Canale di Vena incluse le cave ed i chiari da caccia;

• il Lago di Falciano del Massico;

• il gruppo dei laghi matesini: il lago del Matese, il lago di Gallo ed il

lago di Letino.

Le zone più interessanti ricadono sicuramente sul litorale tirrenico,

confine d'ingresso sul continente europeo dell'avifauna migratrice del

Paleartico occidentale. Qui l'avifauna si presenta ricca ed abbondante

e si concentra gran parte della caccia praticata ai migratori.

Nel tratto compreso tra il lago Patria e la foce del Volturno,

nelle immediate vicinanze della superstrada 7 quater che corre

parallelamente al mare, si contano almeno un centinaio di invasi

artificiali. La loro estensione varia dalle poche centinaia di metri

quadrati alle decine di ettari e la loro profondità è compresa tra pochi

centimetri ed alcuni metri. La loro utilizzazione è legata all'irrigazione

e all'estrazione di sabbia ma lo scopo è anche venatorio. A stagione

venatoria terminata quest'area diviene un'importante zona di sosta

per Ardeidi e Caradriformi.

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Il livello d'acqua salmastra presente nei bacini artificiali si mantiene

sufficientemente costante durante tutto il periodo della migrazione

primaverile; ciò consente, dove l'acqua si mantiene pulita, la presenza

di piccoli crostacei, e di numerose larve di ditteri che si concentrano in

innumerevoli piccole pozze, rappresentando un'importante fonte di

cibo. Spesso sono stati osservati stormi di 2.000-3.000 limicoli (per lo

più piovanelli, gambecchi e combattenti) alimentarsi, anche durante le

ore diurne, in vasche di modesta estensione.

In questa zona spicca lo stagno salmastro dei Variconi sulla riva

sinistra della foce del fiume Volturno. L'area palustre, oggi compresa

nella riserva regionale Foce Volturno e Costa di Licola, non è molto

vasta ma si presenta assai ricca di uccelli in ogni stagione dell'anno.

Sono sempre numerose le folaghe, i gabbiani ed alcuni silvidi di palude

come il beccamoschino e l'usignolo di fiume. In inverno negli specchi

d'acqua salmastra retrodunali sostano diverse anatre, tuffetti e

gabbianelli mentre, nel canneto, sono numerosi i migliarini di palude e i

luì piccolo; interessante è la piccola popolazione svernante di

pettazzurri. Sul mare si osservano facilmente, oltre ai numerosi

gabbiani reali e comuni, zafferani, cormorani e sule. In primavera ed

autunno transitano rondini di mare, beccapesci, mignattini, aironi rossi

e cenerini, garzette, sgarze ciuffetto, falchi di palude, chiurli,

cavalieri d'Italia. Nidificano gallinelle d'acqua, folaghe, porciglioni,

cannareccioni, ballerine bianche, verzellini e molti altri piccoli uccelli.

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Naturalmente le profonde trasformazioni ambientali successive alla

bonifica hanno notevolmente ridotto le possibilità di sosta per molte

specie migratrici, ma ciò non significa che l'area non venga più

attraversata da forti flussi migratori; le rotte migratorie sono

geneticamente determinate e la costa tirrenica viene utilizzata come

linea guida nei movimenti da e verso l'Africa settentrionale. Pertanto

ogni ambiente idoneo lungo questo itinerario viene sfruttato dagli

uccelli in migrazione.

Lungo il Basso corso del Volturno, fiume principale dell'Italia

meridionale ed esso stesso rotta di migrazione, a partire dal sito più

occidentale, la traversa di Capua, si osservano di passo i cormorani, i

falchi di palude ed i falchi pescatori.

Qui è facilissimo osservare le garzette, i tarabusini, i martin

pescatore, gli svassi maggiori ed i loro piccoli, gli aironi cenerini ed i

più rari aironi rossi. Né mancano i mignattini, le folaghe, i piro piro

piccoli, la nitticora e la pittima reale.

Talora la fortunata coesistenza degli ambienti umidi e di quelli boschivi

fornisce l'ecotipo adatto alla vita dei nibbi bruni.

Il Lago del Matese è invece il maggiore del sistema lacustre degli

altipiani. Si tratta di un bacino di origine carsica posto a 1.011 metri di

quota che si estende per circa 5 kmq.

Qui in inverno la presenza dell'avifauna è piuttosto scarsa, ma si

possono quasi sempre osservare tuffetti, alzavole ed altre anatre;

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in primavera e in estate arrivano invece gli svassi maggiori, le

gallinelle d'acqua, cannareccioni, fanelli, averle piccole, quaglie,

cutrettole, zigoli gialli e strillozzi.

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3 Istituti faunistici di protezione

Negli ultimi anni si è andato delineando un ruolo sempre più importante

dei Parchi Naturali Regionali nel sistema delle aree protette della

Provincia e di tutto il resto del suo territorio: oggi i Parchi hanno

assunto l’aspetto di una vera e propria rete organica.

Rispetto ad altre zone di protezione, indubbiamente i Parchi, per la

loro natura, per le loro dimensioni medio-grandi e grazie agli strumenti

di regolamentazione che disciplinano le molteplici attività che

all’interno di ogni singola area protetta si svolgono, riescono a

garantire una forma di tutela ambientale più completa nei confronti

degli habitat naturali e delle comunità vegetali e animali, oltre ad

offrire forme di fruizione più ampie.

La Regione Campania ha istituito sul territorio provinciale tre parchi e

due riserve naturali regionali che interessano estensioni più o meno

vaste della Provincia di Caserta, per un totale di Ha 36.753,40 così

individuati:

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Denominazione Superficie Area di rispetto

* Parco regionale del Matese Ha 25.061,59 Ha 693,00

* Parco regionale di Roccamonfina - foce Garigliano

Ha 8.704,83 Ha 1.538,00

* Parco regionale del Partenio Ha 1.914,98 Ha 231,00

* Riserva naturale della Foce Volturno e costa di Licola

Ha 960,00

* Riserva naturale del Lago di Falciano e la Riserva naturale della foce Volturno

Ha 112,00

3.1 Parco regionale del Matese

Il territorio

L'area del Parco è stata suddivisa in tre zone denominate "A", "B" e

"C". La zona "A" è area di riserva integrale, la zona "B" è area di

riserva generale, la zona "C" area di riserva controllata.

Il territorio del Matese è costituito da una catena di monti

prevalentemente calcarei situati tra Molise e Campania. E’ un territorio

ricco di luoghi selvaggi, popolati da Lupi e Aquile reali, paesaggi dolci,

con laghi dalle acque azzurre in cui si specchiano le cime delle

montagne, centri storici originali e ottimamente conservati, tanta

storia, fatta anche dei rapporti sempre tesi tra Romani e Sanniti,

prodotti tipici genuini, unici e saporiti.

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Il Parco occupa un’area di 33.326,53 ettari, di cui 25.061,59 ettari

ricadenti nella provincia di Caserta, lungo un’asse Nordest-Sudovest,

che dalle valli dei fiumi Lete e Sava, corre per circa 50 km fino alla

valle del Fiume Tammaro, in provincia di Benevento.

I comuni casertani ricadenti nel parco sono: Ailano, Alife, Capriati

al Volturno, Castello del Matese, Fontegreca, Gallo Matese, Gioia

Sannitica, Letino, Piedimonte Matese, Prata Sannita, Raviscanina,

Sant’ Angelo d'Alife, San Gregorio Matese, San Potito Sannitico, Valle

Agricola.

Questo allineamento è seguito anche dalle principali montagne: i Monti

Miletto, Gallinola e Mutria. Ciò influisce sulle caratteristiche

climatiche del territorio, che, nelle zone in quota, rappresenta l’ultimo

baluardo del clima continentale, mentre le zone più basse, esposte ai

venti caldi che giungono dalle coste mediterranee della Campania, si

caratterizzano per la presenza di paesaggi mediterranei, fatti di

uliveti, leccete, cipressete e macchia mediterranea. Questa vicinanza

geografica di due aree climatiche diverse ne fa uno dei luoghi più ricchi

di biodiversità dell'Appennino meridionale. La ricchezza dei pascoli, in

particolare, ha permesso un notevole sviluppo della pastorizia che,

insieme all’agricoltura ed allo sfruttamento dei boschi, ha

rappresentato nel passato la principale fonte di reddito delle

popolazioni dell’area.

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Il Lago del Matese

La catena dei Monti del Matese rappresenta il primo fronte

dell'Appennino meridionale, con la cima del M. Miletto, situato nel

versante molisano, quale vetta più alta con i suoi 2.050 metri sul livello

del mare. Ma la catena montuosa è costellata da tante altre vette, di

minore altezza (Gallinola, Monte Mutria, Monte Pranzaturo, ecc.),

conche e laghi carsici quali il Lago del Matese posto a 1.011 metri sul

livello del mare, che è il lago carsico più alto d’Italia. Numerosi gli

invasi artificiali: le Mortine, sul Volturno, il Lago di Gallo, il Lago di

Letino.

La Flora

Il patrimonio forestale del Matese è di notevole entità ed in buona

parte di antica origine. Il versante campano è caratterizzato

soprattutto dalla presenza di faggi: il Fagus italica è l'essenza tipica

oltre i 900-1000 metri. Le faggete del Matese campano rappresentano

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il 16% delle faggete della intera Regione Campania. Nella fascia sub-

montana, le essenze arboree più diffuse sono: Cerro (quercus cerrus),

Farnia (quercus farnia), Roverella (quercus pubescens), acero (acer

campestre), Carpino nero (Ostrya Carpinifolia). Abbastanza comune

nelle quote alte, associato al faggio, è l'agrifoglio (ilex aquifolium), più

raro il Tasso (taxus baccata). Sui prati e nelle radure di trova una

cospicua flora, nella quale sono rappresentate tutte le specie tipiche

dell'Appennino: tra le composite, spiccano per quantità e varietà i più

disparati generi di cardo, tra i quali è caratteristico, sui pascoli

montani, la Carlina acantifolia, che potrebbe ben assurgere a simbolo

del Parco. Tra le essenze note per proprietà farmacologiche, la

Digitalis nelle varietà Ferruginea e Lutea, la genziana cruciata,

l'Atropa belladonna, l'Achillea millefolia, l'Arnica. Tra le orchideacee

spontanea, varie specie dei generi Dactyloriza, Orchis, ophris,

platanthera; nelle faggete, da segnalare la Cephalantera rubra e le

poco comuni Epipactis Helleborine ed Epipactis longifolia.

La Gallinola

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La Fauna

Benché siano purtroppo scomparse specie tipiche dell'areale appeninico

quali l'orso (del quale vi è ricordo in numerosi toponimi), ricca e varia è

la presenza di fauna, grazie alla ricchezza degli habitat, costituiti da

zone rocciose, estesissime aree di vegetazione arborea, zone umide

quali laghi e torrenti. Tra i mammiferi va senz'altro compreso il Lupo,

con presenze costantemente accertate. La comune fauna appenninica è

rappresentata in particolare da martora, lepre, ghiro, tasso, scoiattolo,

donnola; è segnalato il gatto selvatico.

Lupo (Canis lupus)

Segnalata ma non accertata la presenza della lontra nell'alto corso di

alcuni torrenti. Frutto di ripopolamenti, si sono diffusi il cinghiale, il

capriolo ed è presente in alcune località il daino. Tra i rettili

l'orbettino, la biscia d'acqua, il biacco, la vipera aspis. Tra gli anfibi

l'ululone da ventre giallo, il tritone crestato. L'avifauna vede nella zona

del Matese concentrato il numero più elevato di osservazioni riguardo

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la presenza di uccelli nidificanti nella Campania. E' certa la presenza di

almeno una coppia nidificante di Aquila reale. Numerosi i rapaci, tra i

quali spiccano perché meno comuni il Nibbio reale e il Gufo reale. Nei

torrenti è presente tuttora una fauna acquatica autoctona

rappresentata soprattutto dalla trota e da alcune varietà di crostacei.

Una straordinaria varietà entomologica comprende tra l'altro un

nutrito elenco di lepidotteri, emitteri, coleotteri che popolano i vari

habitat. Gli artropodi comprendono tra l'altro ragni abitatori di grotte,

di raro ritrovamento.

Nei boschi è particolarmente frequente il Picchio rosso minore

(Dendrocopos minor). La presenza degli specchi d'acqua fa sì che il

birdwatching possa essere molto fruttuoso per la presenza di

nidificanti come Svasso maggiore (Podiceps cristatus), Tarabusino

(Ixobrychus minutus), Moretta tabaccata (Aythya niroca) e Germano

reale (Anas platyrhinchos). Durante i passi si avvistano anche Airone

bianco maggiore (Casmerodius albus), Cicogna bianca e Cicogna nera

(Ciconia ciconia, C.nigra), Falco di palude (Circus aeruginosus),

Combattente (Philomacus pugnax) e Marzaiola (Anas querquedula). In

inverno diverse specie di anatre cercano rifugio tra i chiari nei canneti.

Ed ancora va ricordata la presenza nel Parco della Salmandrina dagli

occhiali (Salamandrina terdigitata).

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3.2 Parco regionale Roccamonfina e Foce Garigliano

Il territorio

Il Parco ha una estensione di 8.704,83 ettari ed interessa i comuni di

Sessa Aurunca, nella zona collinare e costiera, Teano e cinque comuni

facenti parte della Comunità montana di Monte Santa Croce:

Roccamonfina, per l'intero territorio, parzialmente Marzano Appio,

Conca della Campania, Galluccio e Tora e Piccilli.

Ubicazione del Parco

L'area del Parco è stata suddivisa in tre zone denominate "A", "B" e

"C". La zona "A" (area di riserva integrale) è a tutela integrale, la zona

"B" (area di riserva generale) è orientata alla protezione, la zona "C"

(area di riserva controllata) prevede la riqualificazione dei centri

urbani e la loro promozione economica e sociale.

L'intera area è dominata dal vulcano spento di Roccamonfina ed ha

come limite geografico il fiume Garigliano. Il corso del fiume ha

scavato il suo alveo fluviale tra i terreni vulcanici del Roccamonfina ed

i terreni calcarei dei Monti Aurunci.

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Il Vulcano di Roccamonfina è il più antico apparato vulcanico della

Campania, con le attuali dimensioni di 450 kmq, in planimetria, è il

quarto vulcano d'Italia ed il quinto per altitudine (1.006 m.).

Strutturalmente assomiglia molto al Vesuvio, ma ne è molto superiore

per dimensioni avendo un diametro di oltre 15 km, e possiede una

cerchia craterica esterna di circa 6 km di diametro al cui interno si

trovano i coni vulcanici del Monte Santa Croce e del Monte Làttani,

formatisi in epoche successive.

Il Vulcano di Roccamonfina

Flora

La vegetazione dell'area in cui si estende il Parco, a partire da circa

400 m., è caratterizzata dalla presenza massiccia di "frutteti da

castagno" (Castanea sativa) e da boschi cedui. Sulla sommità del Monte

La Frascara (933 m), fustaie di castagno ricoprono una zona di

notevole valore archeologico denominata "Orto della Regina". Il bosco

di castagno associato spesso a cerro (Quercus cerris) ed acero (Acer

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acer), riveste le pendici del Monte Santa Croce e l'intera zona del

Parco fino a Conca della Campania ed in direzione di Marzano Appio

fino a Teano.

Se la flora arborea è piuttosto omogenea, il sottobosco diviene,

durante il periodo primaverile, una esplosione di colori con crochi

(Crocus vernus), bucaneve (Galanthus nivalis), primule (Primula

primula), anemoni (Anemone virnalis), viole (Viola viola) e, sul finire

della stagione primaverile, le orchidee (Orchis orchis).

Particolare menzione merita la presenza di funghi, soprattutto porcini

(Boletus edulis) ed ovoli (Amanita caesarea), che, nonostante la

limitazione imposta dal comune di Roccamonfina, vengono raccolti

senza riserve.

A quote meno elevate, fino a circa 400 m. le associazioni vegetali del

bosco di leccio (Quercus ilicis) hanno ormai, a causa della forte

pressione antropica, lasciato il posto alla tipica alleanza delle

coltivazioni a oliveti (Olea europaea) ed a vigneti (Vitis vinifera).

La macchia mediterranea è presente con forme arbustive come il

corbezzolo (Arbutus unedo), il mirto (Myrtus communis), l'erica

arborea (Erica arborea) ed al limite della zona di macchia e boschetto

misto, costituito da roverella (Quercus pubescentis) e cerro (Quercus

cerris), è presente il sorbo (Sorbus sorbus) molto diffuso in queste

zone.

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L'intera zona, dove il terreno è privo di coltivazioni, è ricoperta da

arbusti di ginestra (Cytisus scoparius) e da cisto (Cistus sp.). Solitario

si staglia qualche pino (Pinus marittima) mentre riuniti in piccoli

boschetti spuntano i pioppi (Populus sp.).

Fauna

I principali aspetti della fauna locale sono comuni a molte zone collinari

e di bosco sub-montano della Campania. I monti di Roccamonfina,

caratterizzati da zone boschive, presentano come tipici esponenti

dell'avifauna: il cuculo (Cuculus canorus), il picchio (Dendrocopus sp.),

la poiana (Buteo sp.), il gheppio (Falco tinniculus), la civetta (Athene

noctua), l'allocco (Strix aluco), il gufo comune (Asia otus).

Nelle zone collinari sono presenti: il merlo (Turdus merula), il corvo

(Corvus frugilegus), la gazza (Pica pica), il tordo (Turdus ericetorum) e

molte specie di passeriformi.

Tra i mammiferi troviamo: il riccio (Erinaceus europaeus), la lepre

(Lepus europaeus), il tasso (Meles meles), il toporagno (Sorex sorex),

la volpe (Vulpes vulpes), la faina (Martes foina), la donnola (Mustela

nivalis). Tra i rettili è molto diffusa la vipera comune (Vipera aspis), la

vipera dell'Orsini (Vipera ursinii), l'orbettino (Anguis fragilis), il

pasturavacche (Elaphe quatuorlineata).

Tra gli invertebrati si nota la massiccia presenza di Ortotteri,

Coleotteri e di Imenotteri.

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3.3 Parco regionale del Partenio

Il territorio

Il Parco ha una estensione di 1.914,98 ettari ed interessa i comuni di

Arienzo, nella zona collinare, e San Felice a Cancello.

Con lo stesso criterio adottato per gli altri due parchi, anche l’area del

Parco regionale del Partenio è stata suddivisa in tre zone denominate

"A", "B" e "C". La zona "A" (area di riserva integrale) è a tutela

integrale, la zona "B" (area di riserva generale) è orientata alla

protezione, la zona "C" (area di riserva controllata) prevede la

riqualificazione dei centri urbani e la loro promozione economica e

sociale.

Ubicazione del Parco

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Il massiccio del Partenio occupa una posizione centrale nell'ambito

della Campania, rappresentando un interessante prolungamento verso

occidente dell'Appennino meridionale nel cuore della "Campania felix

dei romani".

La vegetazione e la flora

Alle quote basse il massiccio è caratterizzato dalle colture della vite,

dell'olivo e del nocciolo. A monte delle aree agricole si estendono, fino

a 900 m slm, i boschi cedui di castagno. Al di sopra, fino alle vette,

dominano le faggete (con sporadica presenza di aceri, ontani

napoletani, carpini) interrotte solo dai pianori carsici. Nel sottobosco

sono presenti tassi ed agrifogli.

Il Massiccio del Partenio

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La fauna

Nonostante l'elevata antropizzazione la fauna del Partenio è ancora

ricca: la salamandrina dagli occhiali, la salamandra pezzata gigliolii, il

tritone italico ed il tritone crestato, la testuggine palustre europea.

Tra gli uccelli importanti sono i rapaci, come il minacciatissimo falco

pellegrino, e gli strigiformi rappresentati dal sempre più raro gufo

reale. La martora ed il tasso sono tra i mammiferi maggiormente

presenti. Segnalazioni sono state registrate attestanti la presenza del

lupo appenninico.

3.4 Le Oasi di protezione

La legge nazionale n. 157/92 all'articolo 10 destina le oasi "al rifugio,

alla riproduzione e alla sosta della fauna selvatica"; la L.R. n. 8/96

(art.12) sottolinea il loro ruolo anche ai fini di una più generale

"sopravvivenza di specie faunistiche in diminuzione e a garanzia

dell’integrità ambientale dei territori di particolare valore

naturalistico".

Le oasi hanno sempre avuto un ruolo importante nella tutela di

particolari emergenze faunistiche (specie o popolazioni in declino

numerico, con areale in contrazione o frammentato). In passato sono

state propedeutiche alla realizzazione di altri istituti di protezione

quali parchi e riserve naturali, facendosi carico di situazioni ambientali

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e faunistiche bisognose di immediati provvedimenti di salvaguardia

anche parziale.

Il criterio guida nella scelta, oggi, deve essere essenzialmente

rappresentato dal valore faunistico dell'area. Nel caso soprattutto di

uccelli migratori in zone umide ed eventualmente in aree di passo, le

oasi possono essere anche di dimensioni limitate. E' importante che

tutto il sistema di zone protette risponda ad un unico globale disegno

di tutela, con una distribuzione strategica delle oasi e degli altri

istituti di protezione all'interno dei comprensori a formare una rete

organica.

E' del tutto evidente che il regime di protezione accordato ad un'area

in virtù di alcune emergenze faunistiche, si ripercuote positivamente

sull'intero ecosistema.

L'entrata in vigore dei Parchi e delle Riserve regionali ha rivoluzionato

la precedente geografia delle aree protette in Provincia di Caserta.

L'Oasi del Lago di Gallo rientra integralmente nel Parco regionale del

Matese mentre la zona naturalisticamente più interessante dell'area

dei Variconi rientra nella Riserva naturale regionale della costa di

Licola e della foce del Volturno unitamente all’Oasi naturale del Lago di

Falciano sempre di istituzione regionale.

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Gruppo dei laghi matesini

Lago del Matese

Lago di Gallo

Lago di Letino

Incastonato in un paesaggio affascinante, in cui si specchiano due tra

le più interessanti vette del Parco, il Monte Miletto e la Gallinola, il Lago

del Matese è assolutamente splendido. Esso si raccoglie nel fondo di

una grande fossa, lunga otto chilometri e larga poco meno di due, ai

piedi delle alte vette circostanti ed è alimentato dalle acque derivanti

dallo scioglimento delle nevi del Miletto e della Gallinola e da sorgenti,

alcune delle quali sono perenni.

Vari inghiottitoi di tipo carsico smaltivano, fino a mezzo secolo fa,

l'eccesso delle sue acque; la costruzione di una diga, realizzata nel

1923 dalla Società Meridionale di Elettricità, ha isolato questi scarichi

naturali, trasformando in un unico bacino gli acquitrini che occupavano

in precedenza la piana e facendo salire il livello del lago di circa tre

metri. In seguito a questa operazione la superficie media dello

specchio d'acqua è passata da tre a cinque chilometri quadrati, mentre

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la profondità massima raggiunge ora i dieci metri. Il bacino è in parte

invaso da vegetazione palustre in cui è facile scorgere marzaiole,

folaghe, oche, germani reali e sono state segnalate anche cicogne e

fenicotteri rosa; tra le specie ittiche si segnalano trote, tinche, carpe,

lucci, persici. Per visitarlo meglio è possibile servirsi dei lontri, tipiche

imbarcazioni di uso locale.

Di notevole importanza e d'altrettanta bellezza naturale sono i laghi di

Gallo e di Letino, realizzati dalla Società Meridionale di Elettricità

sbarrando il corso dei fiumi Lete e Sava e vengono ancora oggi

utilizzati per scopi idroelettrici . Prima che fosse costruita l'alta diga

il fiume Lete si inabissava nel profondo e straordinario inghiottitoio

del Caùto e, durante la primavera, le sue acque formavano un vasto lago

che straripava, come una cascata, nell'erta e sassosa Valle delle Ravi.

Le acque dei due laghi ospitano trote, tinche, persici e anguille. Tutto

l'anno, ma soprattutto nei periodi estivi, sono presenti numerosi uccelli

acquatici, come marzaiole, germani reali, folaghe.

Il territorio, prevalentemente montuoso, è di straordinaria bellezza

con i suoi ampi boschi di faggio, quercia, acero e frassino. Non mancano

inoltre il biancospino, il nocciolo ed il prugnolo oltre a funghi, origano e

camomilla.

Per quanto riguarda la fauna, le specie più diffuse sono la lepre, la

volpe, la quaglia, lo storno, il tordo, la pernice, la beccaccia ed il

cinghiale.

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L’Oasi dei Variconi

Di grande interesse l’Oasi dei Variconi, nei pressi dell'abitato di Castel

Volturno, in riva sinistra della foce del Fiume Volturno, si estende una

delle ultime zone umide costiere della regione Campania. Nel piccolo

stagno salmastro, che misura circa 50 ettari, sono state censite circa

cento specie di uccelli migratori e stanziali che è possibile osservare

nel loro habitat naturale solo in particolari mesi dell'anno.

I Variconi

Dal punto di vista naturalistico l'area rappresenta un patrimonio di

enorme valore che va tutelato. A tal scopo è stata istituita già dal

1985 la riserva naturale Foce Volturno classificata come area di

interesse internazionale.

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Riserva naturale Lago di Falciano

La Riserva Naturale del Lago di Falciano può essere considerata una

zona umida alquanto rara all'interno del nostro paesaggio, se valutiamo

la sua collocazione a nord della Campania, nel territorio pianeggiante e

fertile anticamente conosciuto come "Ager Falernus".

Ubicazione del Lago di Falciano

Il bacino lacustre è di origine vulcanica ed è situato ad 1 Km dall’area

urbana di Falciano del Massico; ha una superficie di 64.000 mq ed un

perimetro di circa 1,4 Km; la sua larghezza media è di circa 300 m, la

profondità è di 3 m. Il lago è alimentato da una falda freatica

sotterranea.

Il lago ed i suoi dintorni offrono l’opportunità di osservare la flora

tipica di questa zona umida (simboleggiata dal Salix Alba o Salice

Bianco); inoltre troviamo l’Ontano nero e Pioppo nero misti a roveto e

cespugli. La vegetazione delle sponde è folta a tratti ed è

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prevalentemente costituita da associazioni a Cannuccia, Tifa,

Coltellaccio e Falasco.

Il Lago di Falciano

E’ possibile inoltre osservare i più svariati tipi di uccelli e rapaci, sia

nidificanti che migratori (tra cui la Folaga, la Gallinella d'acqua, il

Porciglione, il Tarabusino, il Martin Pescatore, il Tuffetto, l'Airone

Cenerino, la Garzetta, il Picchio) ed alcune varietà di falchi, tra cui il

Falco di palude.

In generale lo scopo delle vecchie Oasi di protezione, ora trasformate

in altre aree protette, di assicurare il rifugio, riproduzione, sosta ed

alimentazione alla fauna selvatica viene attualmente comunque

garantito anche se, da un punto di vista amministrativo, la competenza

nella gestione è diversa. Non è infatti giustificata l’istituzione di

un’Oasi di protezione che non abbia i requisiti ambientali che

rispondano in ordine agli indicatori di vocazione del territorio quali

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l'integrità biocenotica, le specie emergenti, la presenza di habitat

sensibili e vulnerabili, l'attraversamento di linee migratorie e la

presenza di aree di svernamento.

L'integrità della biocenosi risulta essere un buon indicatore poiché,

dove questa è elevata, si prevedono buone condizioni ambientali per

assicurare la riproduzione di numerose specie. Ciò anche in relazione

all'esistenza di reti trofiche ben strutturate che soddisfino la

richiesta di risorse alimentari.

Tuttavia, indipendentemente dall'integrità biocenotica, risultano

indicate agli scopi per cui vengono istituite le Oasi di protezione anche

le zone in cui sono presenti specie emergenti, o dove ricadono habitat

sensibili e vulnerabili.

Infine risultano idonei quei territori ubicati lungo le direttrici di

migrazione o dove svernano numerosi individui o specie.

Dal punto di vista pianificatorio questa Provincia ha aggiunto all’Oasi di

protezione provinciale Basso Volturno “Salicelle” altre due oasi

denominate rispettivamente “Le Mortine” e “Gradilli”.

Denominazione Superficie Area di rispetto

Oasi “Gradilli” Ha 126,00 Ha 109,00

Oasi “Le Mortine” Ha 392,82

Oasi “Salicelle” Ha 374,33 Ha 139,97

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Oasi Basso Volturno “Salicelle”

Affidata in gestione alla L.I.P.U. con Deliberazione di G.P. n. 256 del

25.07.2000, per una superficie di Ha. 200, l’Oasi “Salicelle” posta a

monte di Ponte Annibale viene ampliata con il presente piano di

ulteriori Ha. 147,33 estendendosi quindi per complessivi 347,33 ettari,

interessando i comuni di Capua e Pontelatone. Posto di straordinaria

bellezza e rifugio di numerose specie di uccelli, nonché ricco di ogni

tipo di fauna.

Oasi “Salicelle”

Le acque calme delle rientranze del Volturno offrono l’habitat ideale

per numerose specie di pesci. Tra questi, la carpa, la tinca, la scadola,

l’alborella, l’anguilla e il cavedano che fanno parte delle specie

“indigene” originarie del fiume. Anche il luccio e lo storione oramai

estinti nella zona a causa dell’incontrollato fenomeno del bracconaggio.

Vi sono però altre specie alloctone (Gambusia, Pesce Gatto, Carassio)

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che hanno invaso di prepotenza la nicchia ecologica prendendo

definitivamente il dominio sulle altre specie e prolificano

abbondantemente per la mancanza di antagonisti naturali. In

particolare, la Gambusia, immessa nelle acque italiane molti anni or

sono per combattere la malaria portata dalle zanzare, si è moltiplicata

in modo impressionante. Le Gambusie, unitamente ai pesci gatto e ai

carassi, si nutrono prevalentemente delle uova delle carpe e delle

tinche.

Oasi “Le Mortine”

L’Oasi è ubicata sul Volturno tra i Comuni di Venafro (25 ettari) in

provincia di Isernia e Capriati al Volturno (392,82 ettari di nuova

istituzione).

Oasi “Le Mortine”

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Al suo interno ci sono sentieri natura, capanni per l'osservazione della

fauna, uno stagno didattico, un giardino botanico ed aree per la sosta

dei visitatori. L'intero comprensorio è da considerare, sia dal punto di

vista storico che paesaggistico, il limite settentrionale della Reale

Caccia Borbonica di Torcino e Mastrati.

E' una lanca fluviale artificiale lungo il fiume Volturno, creatasi in

seguito alla costruzione di uno sbarramento per la produzione

idroelettrica.

La vegetazione ripariale che un tempo avvolgeva il Volturno, oggi si

organizza solo in aree limitate in formazioni igrofile consistenti e

dotate di un buon grado di naturalità. In quest’area, interposta tra le

Mainarde ed il Matese, il Volturno penetra una fitta coltre boschiva

igrofila, frazionata dai suoi rami secondari che circoscrivono isole

impenetrabili dalle caratteristiche uniche nel corso del fiume.

Nella zona umida sono rappresentate le diverse formazioni della serie

ripariale: la vegetazione ad idrofite, ad elofite, la vegetazione di

greto, l’arbusteto ed il bosco igrofilo. Quest’ultimo è dominato dal

saliceto con la presenza del Salice da ceste, del Salice rosso dal Salice

bianco e dal Pioppo bianco; altro albero dominante è l’Ontano nero che

in un area del bosco va a costituire una tipica ontaneta, con strato

arbustivo dominato dal sanguinello, dal nocciolo, dal ligustro e dal

luppolo. Nei margini esterni più asciutti del bosco igrofilo compaiono

l’Orniello, l’Acero campestre, l’Olmo e qualche esemplare di farnia a

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testimonianza delle antiche selve planiziali che si estendevano sulla

Piana di Venafro. Questo è un bosco allagato; frassini, olmi e più

all’interno grandi pioppi si specchiano in pozze d’acqua limpide create

dai rami minori del fiume che si sfiocca in una rete di corsi d’acqua e

risorgive variamente anastomizzati. Nei fossi e nei canali che tagliano

il bosco e negli specchi d’acqua effimeri è presente la flora

semisommersa formata da giunchi, nasturzi, veroniche e arbusti di

salice che ai margini del bosco colonizzano il greto opponendosi

all’erosione. Tracce degli antichi coltivi della Piana di Venafro sono

ancora presenti con antiche cultivar di noce, fico, olivo, prunastro,

perastro e melastro che sono disseminate ai margini del bosco.

La zona umida Le Mortine è intercalata in rotte migratorie secondarie

collegate ad ambienti umidi disposti in sequenza (Foce del Volturno,

zona umida di Ponte Annibale, Lago Matese, Lago dei Cigni di Ciorlano,

Lago di Falciano, Bosco igrofilo di Ripaspaccata, Serra del Lago di Colli

a Volturno, Sorgenti del Volturno, Lago di Castel San Vincenzo, Pantano

di Montenero Valcocchiara). Questa ubicazione favorisce la

frequentazione della tipica avifauna delle zone umide. Numerose le

anatre (Germano reale, Moriglione, Fischione, Marzaiola, Alzavola,

Mestolone, Moretta, Codone, che fanno la spola con il contiguo bacino

della Tenuta di Torcino), mentre molto rara è l’Oca selvatica. Gli aironi

sono rappresentati soprattutto dall’Airone cenerino, la cui figura

ieratica domina le acque calme della zona umida Le Mortine, più rara

nei periodi migratori è la presenza dell’Airone rosso; assai frequente è

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l’appariscente Garzetta. Sporadico in primavera è il passo del Cavaliere

d’Italia. Parente stretto dell’onnipresente Folaga, il Porciglione, dal

verso stridente simile ad un grugnito, vive ai margini del canneto. Nel

bacino di regolazione ENEL nidifica lo Svasso maggiore, variopinto

uccello di lago, abilissimo pescatore. Tra i rapaci più frequenti nell’area

si annoverano il Nibbio bruno e la Poiana. Più rari il Nibbio reale,

l’Astore e lo Smeriglio.

Il canneto borda le ripide rive dell'invaso di regolazione e si sviluppa in

piccoli lembi nel bacino antistante lo sbarramento ENEL. Le specie

strettamente legate all'ambiente acquatico sono molto diversificate,

specialmente in inverno e durante le migrazioni.

Tra gli uccelli acquatici nidificanti sono presenti il germano reale, la

gallinella d'acqua, la folaga, lo svasso maggiore, il porciglione.

Tra gli svernanti, moriglione, mestolone, fischione, alzavola, marzaiola,

moretta, codone, airone cenerino, raffigurato nel simbolo dell'Oasi,

tarabusino, cavaliere d'Italia, airone rosso e garzetta; raramente l'oca

selvatica.

Molto comuni tra i rapaci il nibbio bruno, la poiana, lo smeriglio, il gufo

di palude mentre sono più rari il Nibbio reale, il Falco pecchiaiolo e

l'Astore.

Data l'abbondanza delle specie ittiche esistenti, è uno dei luoghi

preferiti dagli amanti della pesca.

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Oasi “Gradilli”

L’Oasi, ubicata in agro del comune di Caserta, si estende per 126 Ha.

Il territorio è costituito in prevalenza da vegetazione cedua ed oliveti

intercalati da qualche radura e vigneto che rendono caratteristica

l’area. Esso è capace di ospitare presenze faunistiche migratrici e

stanziali autoctone che possono trovare colà rifugio e siti di

riproduzione.

L’area va conservata nella sua naturalezza associandosi pochi ma mirati

interventi tesi a renderla più funzionale e faunisticamente più vivibile.

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4 Istituti faunistici di produzione

4.1 Le Zone di ripopolamento e cattura

Secondo la legge nazionale 157/92 (art. 10) questo istituto è deputato

"alla riproduzione della fauna selvatica allo stato naturale e alla

cattura della stessa per l'immissione sul territorio", come confermato

dall’art. 12 L.R. 8/96.

In altre parole le ZRC servono soprattutto a incrementare la

consistenza delle popolazioni naturali di alcune specie di interesse

gestionale, con produzione di esemplari adatti al ripopolamento (sia

attraverso la cattura e il rilascio in nuove aree, sia attraverso

l'irradiamento spontaneo derivante dalla dispersione).

Perché l'obiettivo sia pienamente raggiunto, è necessario scegliere con

grande attenzione le aree da sottoporre a questo tipo di tutela.

Innanzitutto le aree devono possedere caratteristiche ambientali

adatte alle specie da incrementare, devono cioè possibilmente ricadere

per la maggior parte in aree classificate ad elevata idoneità ambientale

dalla Carta delle Vocazioni.

E' indispensabile che le dimensioni di ciascuna ZRC siano commisurate

alle esigenze biologiche delle specie di indirizzo: questo significa, ad

esempio, che per il fagiano sono consigliabili superfici di almeno

500-700 Ha, per la lepre almeno 700-1.000 Ha.

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Le zone devono avere forme compatte (basso rapporto perimetro-

superficie) con confini ben individuabili e sorvegliabili; non devono

comprendere strade troppo trafficate o altre forme di forte disturbo

antropico (aree urbanizzate, allevamenti, discariche, attività sportive a

pesante impatto); devono garantire costante disponibilità d'acqua.

Inoltre non dovrebbero contenere colture agricole particolarmente

suscettibili di danno (monocolture di mais, frutteti, vigneti ecc.); in

casi specifici è comunque opportuno valutare il rapporto costi/benefici

tra i danni arrecabili e il valore biologico della selvaggina prodotta.

In pianura e bassa collina si devono preferire aree con buona

diversificazione ecologica, strutturale e colturale e forme di

agricoltura poco impattanti (uso moderato di prodotti chimici ecc.).

In alta collina e in montagna, per contro, il coefficiente di boscosità

non deve essere troppo alto e i corpi boscati devono presentare

soluzioni di continuità, per evitare forti densità di cinghiale.

L'osservanza di questi criteri garantisce ZRC con buone produttività

potenziali e correttamente gestibili, ma è necessario un impegno

continuo per massimizzare il rendimento. Molto importanti sono

innanzitutto i miglioramenti ambientali (piantumazioni di siepi, filari

alberati, campetti con coltivazioni a perdere, sfalci negli incolti, ecc.

Inoltre la resa di una ZRC dipende da una pianificazione corretta delle

catture: prelievi non commisurati agli incrementi utili delle popolazioni

finiscono per pregiudicare la produttività delle annate successive.

Sarebbero quindi sempre necessari censimenti seri svolti secondo

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metodiche standardizzate. Le stesse operazioni di cattura dovrebbero

essere accuratamente programmate e i dati riportati in apposite

schede accompagnate da una planimetria 1:25.000 della ZRC indicante

l'area effettivamente coperta durante la battuta. Un punto cruciale

rimane quindi la disponibilità e la partecipazione nel tempo di personale

volontario qualificato per le operazioni di cattura. Non va comunque

dimenticato il ruolo delle ZRC nella irradiazione naturale dei territori

circostanti, grazie ai meccanismi di autoregolazione demografica di

gran parte delle specie, che si traducono in dispersione e insediamento

nelle aree limitrofe.

Pertanto si individuano sul territorio provinciale sei Zone di

Ripopolamento e Cattura (ZRC):

Denominazione Ha Comune

− Carditello 822,28 San Tammaro

− M. Alifano 1.288,00 Caiazzo - Castel Campagnano

− Torcino 828,00 Ciorlano

− Selvapiana 1.487,00 Alvignano – Dragoni - Alife

− Teanese 1.143,00 Teano - Caianello

− Vairanese 1.072,00 Vairano – Riardo – Pietramelara - Pietravairano

Totale 6.640,28

Lo scopo di queste strutture è di far riprodurre la fauna selvatica

stanziale, per poi prelevare individui da immettere sul territorio ai fini

della ricostituzione e della stabilizzazione della densità faunistica

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ottimale. Pertanto, anche in questo caso, l’integrità delle biocenosi è un

buon indicatore di vocazione.

Tuttavia, data l’attenzione rivolta verso alcune specie di interesse

venatorio, si è ritenuto di dover integrare tale informazione con la

presenza di specie di interesse venatorio e con la presenza di ambienti

idonei ad ospitare tali specie.

4.1 La Z.R.C. Carditello

Real sito di Carditello

Carditello è una piccola frazione in tenimento del comune di

S. Tammaro, a sud di Capua. La sua importanza è legata alla palazzina

progettata dall'architetto Francesco Collecini su disegni eseguiti con

la supervisione di Luigi Vanvitelli, all'epoca impegnato nella costruzione

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della Reggia di Caserta. La palazzina doveva servire ad accogliere il re

ed i membri della famiglia borbonica che avevano acquistato il fondo

per l'esercizio della caccia. Il complesso di Carditello si estende per

circa 300 metri di lunghezza ed è costituita da una palazzina centrale

e due corpi di fabbrica laterali. Attualmente, il sito reale di Carditello

ospita il Museo della civiltà contadina.

Real sito di Carditello

Il territorio, prettamente pianeggiante, è caratterizzato da

coltivazioni varie di ortive, foraggere e frutticole, ricco di risorse

idriche alimentate da falde superficiali.

L’habitat é idoneo all’insediamento di fagiani e lepri. Nei periodi

primaverili vi stazionano e nidificano numerose quaglie.

Nel periodo autunnale stazionano anche migratori come tordi, allodole

e diverse specie di acquatici, alzavole, germani reali, pivieri, codoni.

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4.2 La Z.R.C. M.Alifano

La zona di ripopolamento e cattura, vasta 1.288 ettari, si estende tra i

comuni di Caiazzo e Castel Campagnano, confinando con la provincia di

Benevento.

La morfologia del territorio si presenta con colline di media altitudine

non superiore ai 300 metri, fra le quali si estendono piccole vallate

coltivate prevalentemente ad erbai intercalari di oglietto e avena

nonché superfici investite a cereali.

Monte Alifano

Il territorio è ricoperto per circa l’80% da vegetazione.

La vegetazione collinare è composta soprattutto da boschi di quercia e

ornello nonché da acacia infestate da rovi. Si trovano inoltre piccole

alture investite ad oliveti e sporadici vigneti.

La fauna presente sulla zona è costituita in prevalenza da quaglie e

fagiani nonché da migratori di passo, allodole, tordi e beccacce.

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Nel periodo invernale le zone umide favoriscono la presenza di

numerose specie acquatiche quali beccaccino, alzavola e germano reale.

4.3 La Z.R.C. Torcino

Il luogo è un vero anfiteatro naturale contornato da colline, è un’oasi di

pace dove i cinghiali e altra selvaggina ancor oggi prolificano in un

ambiente ecologicamente intatto.

La bellezza del luogo è ulteriormente esaltata dalla sorgente posta al

centro di quest’anfiteatro e dal torrente che da essa prende vita.

Sorgente Reguglio

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Qui, dove volutamente non sono stati mai effettuati interventi

antropici, si è sviluppato un ecosistema unico ed è per questo che

visitandolo dalle rive o con la barca a remi è possibile l’osservazione

degli animali selvatici nel proprio ambiente naturale.

Il territorio, esteso 828 Ha, comprende sia una considerevole

estensione di pianura sia una larga parte di montagna dando luogo a

boschi, campi coltivati, incolti cespugliosi, uliveti.

L’habitat ha una particolare vocazione per le specie di interesse

venatorio con presenza di luoghi ove meglio si realizzano le condizioni

di riproduzione e di rifugio dei selvatici, fagiani, starne, quaglie, merli,

ghiandaie, beccacce,lepri e cinghiali.

4.4 La Z.R.C. Selvapiana

La zona di ripopolamento e cattura, vasta 1.487 ettari, si estende

verso il Volturno abbracciando una porzione del Sito di Importanza

Comunitaria della “Media Valle del Fiume Volturno”, comprendendo

Colle Alto e il bosco della località Selvapiana del Comune di Alvignano.

La zona abbraccia boschi, corsi d’acqua e prati umidi rappresentando,

nello scenario ricco ed articolato, una zona adatta alla protezione di

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parecchie specie di uccelli non tutti legati necessariamente alla

presenza del fiume Volturno. In particolare nella zona sono stati notati

il falco pescatore, il martin pescatore, l’airone cenerino, la garzetta, il

piro piro culbianco, la ghiandaia ed il codirosso mentre l’Atlante degli

Uccelli nidificati in Campania vi indica il nibbio bruno.

Il bosco di Selvapiana è un popolamento di farnetti e di cerri

arricchito dal biancospino, dal carpino bianco, dall’ acero e dall’ olmo

campestre e da un piano erbaceo composta da pungitopo e felci.

Qui il fiume Volturno scorre lento e con frequenti mutamenti dell’alveo.

La fauna minore comprende la rana agile ed il toporagno d’acqua mentre

nel letto del fiume sono stati ritrovati numerosi gusci di Odonta

cygnea.

Va inoltre considerata la possibilità di coinvolgere positivamente nella

gestione della zona di ripopolamento e cattura i conduttori dei fondi

realizzando colture a perdere, recinti di preambientamento temporanei

o definitivi, attraverso la stipula di apposite convenzioni.

4.5 La Z.R.C. Teanese

La zona di ripopolamento, estesa per 1.143 Ha, ricade quasi

interamente nel comune di Teano interessando una piccola parte di

quello di Caianello.

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Il territorio presenta caratteristiche tipiche collinari di origine

vulcanica ove si riscontra la presenza di numerose selve castanili

nonché molti castagneti da frutto, noccioleti ed uliveti con abbondante

presenza di sottobosco costituito da felci.

Nella zona pianeggiante o pedecollinare la fanno da padrone i frutteti a

coltivazione intensiva di pesco, ciliegio, albicocco, susino e melo.

La fauna è costituita soprattutto da cinghiali, lepri e migratori quali

tordi e beccacce. E’ in forte crescita la presenza, già numerosa, di

ghiri che in zone limitrofe provocano ingenti danni alle colture, in

particolare al nocciolo e castagno, intaccando in modo consistente il

reddito familiare dei proprietari terrieri.

Per le sue caratteristiche ambientali l’habitat della ZRC Teanese si

presta all’immissione per la riproduzione della specie fagiano e lepre.

4.6 La Z.R.C. Vairanese

La zona di ripopolamento e cattura, vasta 1.072 ettari, si estende tra

le zone di Pietramelara, al confine di Pietravairano, e Riardo.

Il territorio, prevalentemente pianeggiante con insediamenti

zootecnici, si presenta coltivato a mais e erbai autunno vernili.

Le varie specie che compongono la vegetazione della ZRC Vairanese

sono quelle tipiche della flora mediterranea. Nella parte collinare,

maggiormente ricoperta di vegetazione arbustiva, si nota la presenza

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di roverella, biancospino, carpino bianco, robinia e leccio. Quest’ultimo,

con la sua caratteristica di sempre verde, dà al territorio un aspetto

vivo per tutto il periodo dell’anno nonché rappresentando fonte di

nutrimento per molte specie che si cibano dei suoi frutti.

La Vairanese

La presenza di numerosi acquitrini in località Pantani favorisce la

presenza nei periodi maggiore passo di numerose specie acquatiche.

Tra queste si notano in particolare aironi, germani reali, garzette,

alzavole e altre specie tipiche palustri.

Tra i mammiferi sono presenti il cinghiale, il tasso, la martora, il

riccio, il toporagno comune, la talpa, il moscardino, il ghiro

l'arvicola ed il topo selvatico. Tra i carnivori: la volpe, la donnola e la

faina. Tra le numerose specie di uccelli, fra i più comuni ricordiamo la

poiana, il nibbio bruno, il gheppio, la civetta, il barbagianni, il cuculo,

picchio verde il picchio rosso, lo sparviero, la ghiandaia, gufo

comune, gazza, astore, merlo, beccaccia e molti passeriformi.

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5 I Centri di produzione della fauna selvatica

I Centri privati di riproduzione della fauna, previsti dall’art. 10 della

L. n. 157/92, sono regolamentati all’art. 14 della L.R. n. 8/96.

I Centri privati di riproduzione della fauna possono produrre a fini di

ripopolamento esemplari appartenenti alle specie cacciabili, possono

essere realizzati su superfici non inferiori a 150 Ha. e devono

presentare caratteristiche tali da soddisfare le esigenze biologiche

delle specie prodotte.

Attualmente in Provincia di Caserta mancano centri pubblici di

riproduzione della selvaggina. Questa Amministrazione ha tuttavia in

animo la creazione di un Centro Pubblico provinciale di produzione della

selvaggina allo stato naturale conforme all'art. 13, comma 1, lettera b)

della legge regionale sulla caccia. A tale scopo l’Amministrazione ha già

individuato nel comprensorio di Bellona una superficie di circa 800

ettari. Per quanto riguarda gli allevamenti privati mancano statistiche

aggiornate di qualità e produttività. Il ritardo nel recepimento della L.

157/92 ha comportato ritardi nell'accertamento della consistenza e

del funzionamento di queste strutture. Questa materia è

integralmente soggetta ad un regime autorizzativo regionale. L'Ente

provinciale, sollecitato in tal senso, potrebbe fungere da cerniera tra

le strutture sparse sul proprio territorio e l'Ente regionale.

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6 Istituti per la cinofilia

6.1 Campi addestramento cani senza abbattimento di fauna

Ai sensi dell'art. 15 della L.R. n. 8/96, la Provincia, su richiesta delle

Associazioni venatorie e cinofili ovvero di imprenditori agricoli singoli o

associati istituisce, su terreni incolti o ad agricoltura svantaggiata,

zone destinate all’addestramento, l’allenamento dei cani da caccia ed

allo svolgimento delle gare e prove cinofili.

La relativa regolamentazione è stata stabilita con il DPGRC n. 627 del

22 settembre 2003 ai sensi del quale le zone di addestramento di cui

al precitato art. 15 potranno essere istituite esclusivamente in aree di

scarso interesse faunistico.

La costituzione di zone d'addestramento cani con fauna naturale è

disciplinata all'art. 15 della L.R. 8/96.

L'articolo fissa i criteri generali di attività e di collocazione delle

zone di addestramento. In particolare, viene interdetta l'attività

addestrativa nel periodo 1° maggio - 31 luglio.

L’estensione dei campi di addestramento non può essere inferiore ai

100 ettari ma possono confinare con Oasi di protezione, ZRC, Parchi e

Riserve naturali.

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Le aree idonee alla costituzione di una zona di addestramento cani

vengono di norma identificate attraverso l'analisi di una molteplicità di

indicatori faunistici.

In generale è consigliabile collocare queste strutture in aree che non

rappresentino habitat sensibili e vulnerabili, aree non frequentate da

specie rare o minacciate, non attraversate da linee migratorie o zone

di svernamento e che, tuttavia, presentino caratteristiche idonee alla

proliferazione naturale delle specie di interesse venatorio.

Alle quattro zone di addestramento cani su fauna di allevamento senza

abbattimento, già esistenti:

località gestione estensione Ha

* Alife ANUU 288

* Alvignano Federcaccia 10

* Gallo Matese Federcaccia 242

* Mignano Monte Lungo Libera Caccia 243

Totale 783

questa Provincia intende, con successivo provvedimento, individuare

ulteriori due zone a gestione pubblica, per una superficie di circa

2.000 Ha, in funzione delle caratteristiche agricole dei terreni

(agricoltura svantaggiata) che le rendono idonee allo scopo ed in

considerazione della posizione geografica sul territorio provinciale che

consenta agli utenti di poterle agevolmente raggiungere.

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6.1 Campi addestramento cani con abbattimento di fauna

Anche le Zone di addestramento cani con fauna di allevamento sono

regolate dall'art. 15 L.R. 8/96.

Si tratta di zone con estensione compresa tra i 3 ed i 15 ettari

collocabili a non meno di 500 metri da Oasi di protezione, ZRC, Parchi

e Riserve naturali, Centri pubblici e privati di riproduzione della

selvaggina, Zone di addestramento cani con fauna naturale, zone in cui

sono collocabili gli appostamenti fissi, valichi montani interessati da

rotte migratorie.

Le aree vocate all'istituzione di una Zona di addestramento su fauna

di allevamento sono identificate come al precedente paragrafo

riguardante le Zone di addestramento su fauna selvatica con la sola

differenza che non è necessaria l'idoneità ambientale ad ospitare

permanentemente specie d'interesse venatorio.

Nell’auspicio che queste strutture possano essere maggiormente

regolamentate saranno tenute presenti le richieste che impegneranno

zone e soggetti richiedenti che abbiano capacità e finalità per la

creazione di indotto economico e turistico per la valorizzazione

soprattutto del territorio provinciale.

In Provincia di Caserta operano undici zone di addestramento cani su

fauna di allevamento:

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località gestione estensione Ha

* Alife A.N.L.C. 3.13.10

* Alife ANUU 5.00.00

* Cancello ed Arnone F.I.D.C. 6.83.13

* Castelvolturno Italcaccia 5.25.43

* Castelvolturno ENCI 3.81.95

* Cellole F.I.D.C. 3.00.00

* Galluccio Impr.Agricolo 5.07.61

* Grazzanise Enalcaccia 3.00.00

* Mondragone Arcicaccia 3.00.00

* Piana di M.Verna A.N.L.C. 4.36.94

* Rocca d’Evandro Enalcaccia 10.00.00

Totale 52.48.16

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7 Le aziende venatorie

E' la legge quadro nazionale n. 157/92 che, all'art. 16, introduce il

concetto di Azienda Venatoria, fissandone le norme per l'istituzione e

prevedendo per questo tipo di istituto, assieme agli altri ambiti a

gestione privata, uno sviluppo sul territorio fino al 15% della superficie

agro-silvo-pastorale.

Tale normativa distingue inoltre due fattispecie di Azienda con

caratteristiche e peculiarità particolari: quella "Faunistico Venatoria"

con prevalenti finalità naturalistiche e faunistiche che, attraverso

corretti programmi gestionali di conservazione e ripristino, valorizzi

aree ambientalmente già rilevanti e quella "Agri-Turistico-Venatoria",

ai fini di impresa agricola, concepita per fornire integrazioni di reddito

ad aziende ricadenti in aree di scarso rilievo faunistico e

caratterizzate da agricoltura svantaggiata.

Alle Aziende Faunistico Venatorie si chiede il rispetto di corretti piani

gestionali; alle Agri-Turistico-Venatorie per contro sono permessi per

tutta la stagione venatoria la liberazione ed il relativo abbattimento di

esemplari di fauna selvatica di allevamento appartenenti alle specie

cacciabili.

Poiché le Aziende Faunistico-Venatorie devono tendere a favorire

l'insediamento e la riproduzione naturale di popolazioni di fauna

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selvatica, ciò può essere perseguito attraverso precisi programmi di

miglioramento ambientale ed una corretta pianificazione del prelievo,

dimensionato alle reali possibilità della popolazione. Se si considera la

valenza di questo istituto, é opportuno tendere inoltre all'applicazione

di tecniche agronomiche particolarmente attente alle finalità

naturalistiche, come ad esempio forme di agricoltura richiedenti

moderato ricorso all'impiego di fitofarmaci. Con questo tipo di istituto

non sono compatibili attività come la pesca sportiva a pagamento o

sport motoristici.

Le Aziende Faunistico Venatorie istituite sul territorio con Decreto

autorizzatorio della Regione Campania sono:

Azienda Comune Superficie Ha Specie

* Agnena Capua - Vitulazio Pastorano - Pignataro M. 480.64.61 Fagiani - Lepri

* Artemide Tora e Piccilli Conca della Campania 840.00.00 Fagiani - Lepri

* Incogna Mondragone - Carinola Cancello ed Arnone 505.95.85 Fagiani - Lepri

* Mastrati Pratella 720.00.00 Fagiani - Starne Lepri

* Monte Fossa

Pietravairano 311.00.00 Fagiani - Starne Lepri

* S. Uberto Carinola - Francolise 399.54.00 Fagiani - Lepri

* Santillo Teano 997.00.00 Fagiani - Lepri

Totale 4254.14.46

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Le Aziende Agri-Turistico-Venatorie istituite sul territorio con

Decreto autorizzatorio della Regione Campania sono:

Azienda Comune Superficie Ha

Specie selvaggina

- Campanara Galluccio - Rocca D'Evandro 126.31.43 Fagiani - Starne Lepri

- Campania Felix Gallo Matese 336.10.09 Fagiani - Starne Lepri

- Campania Felix Ciorlano 716.02.47 Fagiani - Starne Lepri

- Serole Caiazzo - Ruviano 336.43.62 Fagiani - Starne Lepri

Totale 1514.87.61

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8 Le zone in cui sono collocabili gli appostamenti fissi

In altre parti di questo documento si è sottolineata la forte

propensione dei cacciatori casertani verso la selvaggina migratoria.

In questo contesto è ragionevole distribuire il numero maggiore degli

appostamenti permessi nel territorio della Bonifica del Volturno.

Si tratta ovviamente di recepire integralmente le norme regionali che

prevedono un numero di appostamenti non superiore ad uno per ogni

3.000 Ha di superficie provinciale utile alla caccia.

Gli appostamenti inoltre non potranno essere ubicati a meno di 1.000

metri dalla battigia del mare né avere superficie inferiore ad un ettaro

per quelli destinati alla caccia agli acquatici. Dovranno essere posti a

distanza non inferiore a 400 metri dai confini di parchi e riserve

naturali, dalle oasi di protezione e dalle zone di ripopolamento e

cattura. Infine la distanza tra appostamenti non deve essere inferiore

a 500 metri.

A tale scopo la Provincia di Caserta ha emanato apposito regolamento

che disciplina la fase operativa degli appostamenti fissi.

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9 I valichi montani interessati dalle rotte di migrazioni

Data la morfologia territoriale le vette si concentrano nel massiccio di

Roccamonfina e nel massiccio del Matese.

Il Lago Matese è in particolare una delle località d'inanellamento più

alte d'Italia. Qui sono state registrate le più alte frequenze regionali

per il Fanello ed il Cannareccione. Ad ogni modo il Lago del Matese è

inserito nella perimetrazione del Parco regionale del Matese ed esula

dalla presente pianificazione.

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10 Il risarcimento dei danni alle produzioni agricole arrecati dalla fauna selvatica e dall’attività venatoria

La L. n. 157/92 prevede il risarcimento monetario del danno sulla base

dei fondi regionali istituiti all'art. 26.

Ai sensi del predetto art. 26 L.R. n. 8/96, comma 1, “Per far fronte ai

danni non altrimenti risarcibili causati alle produzioni agricole dalla

fauna selvatica, in particolare da quella protetta, e dall’attività

venatoria, è costituito un fondo regionale che annualmente la Giunta

ripartirà tra le Amministrazioni Provinciali in misura corrispondente

alla percentuale di territorio agro-silvo-pastorale di ciascuna”.

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11 Incentivi per i miglioramenti ambientali a fini faunistici

11.1 Miglioramenti ambientali

Gli interventi sull'ambiente devono tendere ad accrescere il più

possibile la diversità ambientale e l'"indice di ecotono", cioè lo sviluppo

del margine tra micro-habitat differenti: alla lepre devono essere

garantite sia buone aree di alimentazione (colture foraggere e

cerealicole), sia buone aree e punti di rifugio (siepi, cespugli,

boschetti, prati incolti, fossi e scoline inerbite). Ovviamente non si

pensa di frenare l'evoluzione dell'agricoltura, ma di introdurre piccoli

interventi in grado di attenuare gli effetti negativi delle tecniche

agricole moderne sulla componente vegetale spontanea e sulla fauna. In

ogni caso una stretta collaborazione con gli agricoltori è indispensabile.

In pianura devono essere ripristinate le siepi, devono essere

conservati i margini erbosi dei campi e nel mezzo degli appezzamenti

dovrebbero essere preservate strisce non coltivate anche di

profondità limitata. I margini erbosi dei campi possono essere

migliorati, riseminando una fascia larga 3 m lungo tutto il perimetro del

campo con una miscela di graminacee; l'unica operazione ulteriore è lo

sfalcio periodico per favorire la presenza di erba tenera a disposizione

della lepre. Dove gli appezzamenti sono più estesi e occupati da colture

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industriali (mais) è necessario predisporre veri e propri campetti con

coltivazioni a perdere.

In montagna vanno ripresi gli sfalci in alcuni prati incolti, vecchi campi

abbandonati; vanno praticate la trinciatura e il diradamento degli

arbusteti circostanti; talvolta vanno predisposti coltivi per selvatici,

riseminando campetti a perdere; nei boschi infine vanno aperte e

mantenute nel tempo piccole radure.

Inoltre va fatto uno sforzo per limitare le perdite sistematiche di

selvaggina indotte dalle tecniche agricole (operazioni di sfalcio e

trebbiatura, bruciatura delle stoppie, trattamenti generalizzati con

diserbanti e antiparassitari).

Sulla base dell’esperienza acquisita, vengono illustrati in maniera

sintetica i principali interventi di miglioramento ambientale a fini

faunistici che si ritiene opportuno stimolare nel prossimo futuro.

Pianura

Le azioni prioritarie riguardano il miglioramento o il ripristino degli

elementi di diversificazione del paesaggio rurale (maceri, piantate,

siepi, alberi singoli o in filare, boschetti, ecc.). Si tratta di

importantissimi siti di rifugio, di alimentazione e riproduzione per

molte specie.

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Grande importanza assume la creazione o la conservazione di prati

polifiti permanenti. Si può trattare di semplici strisce erbose non

coltivate da lasciare ai bordi dei campi, lungo i fossi, le scoline, le

cavedagne (fasce marginali) o anche di interi appezzamenti, purché

caratterizzati comunque come fasce di separazione in mezzo ad aree

coltivate. Questi spazi agiscono come eccellenti aree di rifugio e sono

in grado di assolvere anche ad una funzione trofica. Vanno previsti

interventi quali lo sfalcio, la trinciatura e/o l'aratura superficiale con

cadenze annuali, da effettuarsi in periodi adatti. Interessanti zone di

rifugio e di alimentazione possono essere create anche incentivando

il mantenimento di stoppie alte di cereali al termine della

mietitrebbiatura. L’altezza delle stoppie andrebbe fissata in un minimo

di 20 cm da conservarsi preferibilmente almeno fino al 30 novembre.

Un obiettivo particolarmente ambizioso può essere individuato nella

messa a punto di strumenti operativi per stimolare azioni di

miglioramento ambientale che coinvolgono direttamente la progressiva

modificazione dei sistemi stessi di coltivazione. La frammentazione

graduale degli appezzamenti e il riaffermarsi delle rotazioni colturali

permetterebbe il ripristino di una perduta diversità agronomica che

garantirebbe aumenti considerevoli delle specie selvatiche di interesse

gestionale.

I metodi di lavorazione del suolo, per lo meno in alcune aree,

potrebbero subire progressive modifiche, con l'affermarsi delle

cosiddette "tecniche conservative". Durante le operazioni di raccolta

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dei cereali e di sfalcio dei foraggi, sarebbe opportuno adottare misure

precauzionali specifiche per limitare la mortalità tra la selvaggina: le

lavorazioni, le operazioni colturali, dovrebbero partire dal centro del

campo con direzione centrifuga, la velocità dei mezzi dovrebbe essere

ridotta, così come sistemi di allontanamento della fauna (barre di

involo ecc.) dovrebbero essere fissati ai mezzi stessi.

Vanno infine segnalate alcune pratiche agricole sfavorevoli come l'uso

generalizzato di fitofarmaci e diserbanti su fossi, cavedagne, scoline,

cespugli, bordi dei campi che andrebbero limitate; gli sfalci della

vegetazione spontanea nei bordi delle strade, nei fossi e nei terreni

ritirati dalla produzione che non dovrebbero essere effettuati mai

prima della seconda metà di luglio; la pratica della bruciatura delle

stoppie che dovrebbe essere eliminata.

Collina e montagna

L’azione principale andrebbe concentrata nelle aree caratterizzate da

seminativi abbandonati dove favorire il mantenimento della diversità

ambientale attraverso la cura dei terreni impostata sullo sfalcio

almeno annuale della vegetazione erbacea con la conservazione di zone

cespugliate o alberate in una percentuale compresa tra il 10 ed il 30%.

Le operazioni vanno eseguite in tarda estate o a fine inverno per

evitare di disturbare la fauna.

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Nelle aree a prevalenza di bosco, buoni risultati sono ottenibili solo a

medio-lungo termine. L'obiettivo principale è la creazione di boschi

disetanei con massima eterogeneità ambientale. Vanno previsti tagli a

raso di 1-4 Ha ben distribuiti sull'intera superficie forestale. Vanno

create radure permanenti piccole e grandi: ideale sarebbe una

presenza di 2 radure di circa 3 Ha ogni 100 Ha di bosco compatto.

All'interno delle fustaie vanno previste parcelle a ceduo fitto, ottime

aree di rifugio per molte specie nei periodi più delicati del ciclo

annuale. Estremamente importante risulta inoltre la piantumazione

delle essenze arbustive da bacca (curando che siano rappresentate

tutte le specie tipiche, con una buona distribuzione dei periodi di

fruttificazione) e di varietà rustiche e selvatiche di alberi da frutta.

Anche all'interno dei boschi possono essere previsti campetti a

perdere, colture "di dissuasione" capaci di distogliere cinghiale ed altri

animali dalle colture agrarie dei fondovalle trattenendoli in boschi.

Un intervento ritenuto interessante per tutte le zone è la

realizzazione di coltivazioni a perdere per integrare l'alimentazione

della fauna. Questa azione permette di offrire risorse trofiche

durante le stagioni avverse e di fronteggiare i periodi di improvviso

"vuoto alimentare" che possono determinarsi a seguito di estese

operazioni agricole (raccolta, lavorazione del terreno, fertilizzazione

ecc.). Questi risultati sono ottenibili attraverso la semina mirata di

miscugli formati da 2 o più specie di graminacee o leguminose oppure

ritagliando da campi normalmente coltivati fasce di terreno in cui non

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eseguire la raccolta e le operazioni colturali immediatamente

precedenti (diserbo, concimazione, ecc.). L’uso di questa pratica

andrebbe comunque circoscritta a situazioni in cui si renda necessario

fronteggiare una evidente e ricorrente carenza di disponibilità

alimentare.

Per le azioni di miglioramento ambientale fin qui riportate verranno

messe a disposizione dei proprietari o conduttori di fondi agricoli,

mediante appositi bandi annuali, risorse economiche mirate. In

particolare, relativamente ai territori inclusi nel presente Piano ai fini

della gestione programmata della caccia verranno utilizzati i fondi

specifici in base a quanto previsto dal comma 1 dell’art. 15 della Legge

157/92.

Allo stato esistono numerosi strumenti legislativi che favoriscono

l'integrazione tra agricoltura, ambiente e fauna selvatica, in modo

particolare se si considera l'effetto "trainante" e stimolante delle

normative comunitarie. L'applicazione e la diffusione di misure di

miglioramento ambientale, tuttavia, può incontrare ancora notevoli

difficoltà in relazione a diversi fattori tra cui in particolare la

limitatezza dei fondi a disposizione, la natura economico-giuridica

dei beni ambientali e della fauna selvatica, i diversi interessi delle

categorie interessate.

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11.2 Il ruolo dei produttori agricoli

I produttori agricoli rappresentano una delle categorie maggiormente

coinvolte nella realizzazione pratica dei miglioramenti ambientali.

Le sovvenzioni e gli aiuti previsti sono infatti rivolti soprattutto ai

proprietari o conduttori dei fondi agricoli. Ciò appare logico se si

considera che l'attività agricola si svolge su gran parte del territorio

agro-silvo-pastorale influendo in modo determinante sulle

caratteristiche del paesaggio, degli ecosistemi e degli habitat da cui

dipendono le specie selvatiche.

Dal punto di vista professionale inoltre, gli agricoltori risultano i più

adatti alla realizzazione degli interventi in questione dato che questi

ultimi consistono spesso in operazioni di gestione agraria dei terreni.

I problemi tuttavia sorgono in relazione agli obiettivi spesso

contrastanti tra produzione agricola e conservazione dell'ambiente. Un

tempo tali contrasti potevano considerarsi ridotti in quanto l'attività

agricola "preindustriale" e poco intensiva aveva uno scarso impatto

sull'ambiente. In seguito, con l'intensificazione delle produzioni,

l'aumento della meccanizzazione e la diffusione dei prodotti chimici, le

cause e le modalità d'impatto si sono moltiplicate mettendo in evidenza

condizioni di maggiore incompatibilità tra produzione e conservazione

della natura. Negli ultimi anni tuttavia tale evoluzione ha mostrato una

certa inversione di tendenza.

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Nei paesi più sviluppati, la dinamica del settore agricolo, l'abbondanza

delle produzioni alimentari, l'aumento del benessere economico e del

tempo libero, hanno stimolato una modificazione dei rapporti tra

agricoltura e ambiente: si sono sviluppate tecniche di produzione eco-

compatibili, metodi di coltivazione a minore impatto ambientale e

sistemi di gestione integrata delle risorse naturali, turistiche e

ricreative.

D'altronde l'obiettivo dell'imprenditore agricolo non è mai stato quello

della produzione agricola fine a se stessa, quanto quello del reddito o

del profitto derivante dal fondo agricolo. Ciò significa che quando

"produrre" ambiente e favorire la fauna selvatica risulta conveniente

dal punto di vista economico, questo può diventare, almeno in certe

aree, uno degli obiettivi principali dell'imprenditore, con evidenti

conseguenze sull'organizzazione dell'azienda e l'aspetto del paesaggio

agricolo e naturale.

La realizzazione di un'agricoltura eco-compatibile ed integrata con

l'ambiente e le risorse faunistiche può essere in definitiva possibile se

si verifica almeno una di queste due condizioni:

l'esistenza di una convenienza economica per il produttore

agricolo;

un supporto adeguato del settore pubblico.

Mentre per il primo punto sono necessarie particolari condizioni

economico-giuridiche circa i diritti di proprietà delle risorse

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ambientali in generale e faunistiche in particolare, nel secondo caso

le condizioni di convenienza possono essere originate dal supporto

economico del settore pubblico. Considerando l'interesse e

l'importanza dell'ambiente e della fauna selvatica per la collettività, un

sostegno pubblico alle attività agricole che perseguono anche finalità

ambientali appare del tutto giustificato.

L'agricoltura è sempre stata considerata un settore svantaggiato

rispetto alle altre aree produttive e per questo ha sempre ricevuto un

supporto più o meno diretto da parte dell'Ente pubblico. L'aiuto, in

questo caso, verrebbe giustificato dalla funzione di pubblica utilità

realizzata attraverso la gestione e la tutela dell'ambiente, così come

ormai è tendenza dominante nei paesi maggiormente sviluppati.

11.3 Lo status giuridico della fauna selvatica

Come è noto, nel nostro Paese la fauna selvatica è una risorsa pubblica,

cioè di proprietà dello Stato (res communitatis). Ad esclusione di una

porzione limitata del territorio nazionale, non oltre il 15% della

superficie agro-silvo-pastorale, la fauna selvatica può considerarsi

gestita dal settore pubblico, cioè dalle amministrazioni pubbliche

regionali e provinciali. A questa gestione partecipano, in misura più o

meno significativa, diverse categorie ed in particolare: gli agricoltori, i

cacciatori, le associazioni ambientalistiche, protezioniste, ecc.

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Le maggiori responsabilità di pianificazione faunistica del territorio

rimangono tuttavia delle amministrazioni pubbliche, come definito dalla

L. n. 157/92.

Nei territori gestiti dai privati (aziende faunistico-venatorie, aziende

agri-turistico-venatorie, centri privati per la produzione della

selvaggina allo stato naturale), esistono condizioni potenziali per una

gestione agro-ambientale e faunistica conveniente dal punto di vista

economico anche per i produttori agricoli.

Tali condizioni dovrebbero favorire la diffusione delle misure di

miglioramento ambientale e l'adozione di tecniche di produzione e di

gestione meno intensive e più adatte al mantenimento degli equilibri

naturali.

Nel resto del territorio, che rappresenta la maggior parte della

superficie agro-silvo-pastorale, le caratteristiche della gestione

pubblica delle risorse faunistiche non favoriscono il coinvolgimento dei

produttori agricoli per un utilizzo del territorio più favorevole alle

risorse faunistiche. Al contrario, spesso la selvaggina è vista

soprattutto come una fonte di danno diretto o indiretto per le

produzioni agricole.

In questi territori la modifica o l'inversione dei rapporti tra

produttori agricoli e risorse faunistiche può essere determinata solo

attraverso adeguati interventi di sovvenzione ai proprietari o ai

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conduttori dei fondi agricoli per la realizzazione di miglioramenti

ambientali.

11.4 Il ruolo degli amministratori pubblici

L'attuale regime giuridico delle risorse naturali e della fauna selvatica

determina un ruolo importante delle amministrazioni pubbliche per la

tutela e la gestione di queste risorse.

Nella preparazione dei provvedimenti di miglioramento ambientale,

l'Ente pubblico deve tenere in considerazione contemporaneamente sia

la disponibilità limitata dei fondi, sia la necessità di coinvolgere i

produttori agricoli nell'adozione di queste misure, sia l'efficacia

ambientale e faunistica dei provvedimenti proposti.

A tale scopo appare determinante l'inquadramento di queste misure

nell'ambito della programmazione faunistico-venatoria ed ambientale

del territorio in modo da garantire una maggiore efficacia degli

interventi ed evitare uno spreco delle risorse impiegate.

11.5 Selezione delle aree preferenziali

Un primo problema che si pone agli amministratori pubblici è quello

della selezione degli interventi da proporre all'attenzione degli

operatori agricoli. In genere non è pensabile intervenire con la stessa

intensità ed efficacia sull'intero territorio. Risulta perciò necessario

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individuare le aree più meritevoli o più adatte all'applicazione di queste

misure in modo da raggiungere, almeno in questi territori, livelli di

sovvenzione soddisfacenti per gli agricoltori e significativi dal punto di

vista ambientale.

I criteri di selezione delle aree possono essere diversi. Il più semplice

ed immediato è probabilmente quello che si basa sulla programmazione

faunistico-territoriale già esistente.

In base a tale criterio gli interventi di miglioramento dovrebbero

essere applicati preferenzialmente nelle aree di maggiore interesse

ambientale e faunistico, cioè nei parchi, nelle riserve, nelle oasi di

protezione, nelle zone di ripopolamento e cattura, ecc. Per rendere

meno rigido tale criterio e consentirne un'applicazione più diffusa, la

priorità nella scelta delle aree potrebbe basarsi solo sul livello delle

sovvenzioni, attribuendo un livello più alto alle aree "vocate" ed un

livello inferiore al resto del territorio.

Un criterio alternativo è quello che attribuisce minor importanza alla

zonizzazione territoriale esistente e un maggiore peso alla

programmazione degli interventi. In questo caso le sovvenzioni vengono

concesse solo in seguito alla presentazione di un piano di miglioramento

ambientale integrato con la programmazione faunistico-venatoria ed

ambientale esistente sul territorio. Le sovvenzioni verrebbero

concesse in base alla "qualità" dei piani presentati. Questo sistema

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consente di premiare una gestione efficiente del territorio a

prescindere dal regime di protezione dell'area.

In pratica però il primo criterio è più applicato del secondo in quanto

risulta più semplice ed immediato, richiede meno controlli e, quindi,

contribuisce a ridurre i costi per la sua gestione. Il secondo criterio

appare invece più adeguato ai comprensori di ridotte dimensioni, in cui

esiste un legame più diretto tra agricoltori, ambiente e cacciatori e la

programmazione degli interventi è più controllata.

11.6 Il livello delle sovvenzioni

La definizione dei livelli di sovvenzione da attribuire ad ogni intervento

rappresenta un altro elemento di difficoltà per gli uffici pubblici

preposti. Il livello ideale potrebbe essere rappresentato dalla

sovvenzione minima in grado di coinvolgere un numero sufficiente di

agricoltori nell'adozione del provvedimento. Una stima di questo valore

può essere fatta cercando di quantificare il "costo" di realizzazione di

ogni misura.

Le componenti di questo costo sono riconducibili a tre elementi

principali:

− Il costo effettivo sostenuto per la realizzazione del

provvedimento. Ad esempio il costo dei materiali impiegati

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(sementi, piante, ecc.), sommato al costo delle lavorazioni di

semina, di impianto, ecc..

− I mancati redditi generati dalla realizzazione del provvedimento

rispetto alla produzione convenzionale. Ad esempio, il mancato

reddito derivante da una superficie destinata a colture "a perdere"

per la fauna invece che alle colture convenzionali; oppure il mancato

reddito dovuto alla riduzione di produzione o ai maggiori danni

subiti dalla produzione convenzionale in prossimità delle parcelle in

cui sono stati realizzati i miglioramenti ambientali.

− Una quota premio aggiuntiva per stimolare l'adozione dell'impegno

da parte dell'agricoltore, anche in relazione ad altri costi non

espliciti (ad esempio il rischio per l'adozione di tecniche di

produzione e di gestione innovative).

11.7 Il ruolo delle associazioni venatorie, ambientaliste e protezionistiche

L'apporto dei cacciatori, degli ambientalisti e protezionisti alla

realizzazione dei miglioramenti ambientali può manifestarsi

indirettamente nelle diverse fasi della programmazione faunistico-

venatoria ed ambientale del territorio. Negli organi di gestione, nelle

commissioni tecniche o semplicemente come volontariato, all'interno

dei diversi Istituti faunistici previsti sul territorio ( ATC, Zone

d'addestramento, Oasi, Zone di ripopolamento e cattura, Parchi,

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Riserve, ecc.) queste categorie possono fornire il proprio contributo ed

influenzare scelte e decisioni.

In particolare tali azioni potranno consistere:

- nel precisare le esigenze proprie di ciascuna categoria;

- nello stimolare l'applicazione in chiave faunistica delle normative

ambientali esistenti e relative al territorio di conoscenza nel

partecipare direttamente al coordinamento degli interventi di

miglioramento ambientale con le attività di gestione faunistico-

venatoria ed ambientale di ogni comprensorio;

- nel controllare la realizzazione ed il buon esito degli interventi;

- nel fornire mezzi tecnici e finanziari per la realizzazione delle

misure faunistiche.

Per quanto riguarda il primo aspetto, considerata la complessità delle

normative nazionali e comunitarie e la difficoltà di coinvolgimento dei

produttori agricoli, è possibile fornire un contributo al fine di

informare e stimolare gli agricoltori all'adozione delle misure

faunistiche disponibili.

Queste categorie possono fornire un utile contributo alla realizzazione

dei piani di miglioramento ambientale attraverso la loro conoscenza del

territorio, delle consistenze faunistiche e delle esigenze ambientali

delle diverse specie selvatiche. Dovendo poi mettere in relazione tali

informazioni con i piani di prelievo venatorio, con gli interventi di

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controllo dei predatori e con le eventuali misure di ripopolamento

faunistico, il contributo dei cacciatori e dei protezionisti diventa

importante sia dal punto di vista operativo, sia da quello formativo per

le stesse categorie.

Anche le funzioni di controllo, relative alla realizzazione degli

interventi da parte degli agricoltori, possono essere svolte in modo

efficace considerando le motivazioni delle categorie considerate.

Per quanto riguarda infine l'apporto di mezzi tecnici ed economici alla

realizzazione delle misure di miglioramento ambientale, le associazioni

venatorie e naturalistiche possono ad esempio collaborare alla

distribuzione delle essenze vegetali utili alla selvaggina da far

seminare o impiantare dagli agricoltori. Inoltre, dal punto di vista

strettamente finanziario, oltre a contribuire alla raccolta di fondi

attraverso il prelievo fiscale sull'attività venatoria possono intervenire

direttamente attraverso delle misure di sovvenzione degli interventi di

miglioramento ambientale, o ancora attraverso accordi con gli

agricoltori per la realizzazione di misure di sovvenzione a livello

provinciale, regionale o nazionale.

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91

12 Il ripopolamento della fauna selvatica

La legge n. 157/1992 all'art. 10, comma 7, stabilisce che, unitamente

ad altri strumenti di programmazione e di intervento (piani faunistico-

venatori e piani di miglioramento ambientale) le Province predispongano

piani di immissione di fauna selvatica.

Il dettato normativo precisa che i soggetti da immettere possono

provenire "anche" da operazioni di cattura condotte a carico delle

popolazioni presenti nei Parchi nazionali e regionali ed in altri ambiti

faunistici (Zone di ripopolamento e cattura, Oasi di protezione, ecc.)

sottintendendo che l'origine dei soggetti da immettere può essere

costituita anche da animali allevati in cattività sul territorio nazionale

o importati dall'estero (questi ultimi a loro volta possono essere

allevati o catturati in natura).

Tale interpretazione è d'altra parte confermata da quanto stabilito

dall'articolo 17, comma 1 (Allevamenti), e dall'articolo 20, comma 1

(Introduzione di fauna selvatica dall'estero), della legge. Lo stesso

comma 7 dell'art. 10 prevede che le immissioni, qualunque sia l'origine

dei soggetti utilizzati, possano essere effettuate previo

"accertamento delle compatibilità genetiche da parte dell’I.N.F.S.".

Riveste dunque una considerevole importanza sia teorica che

pratico - applicativa definire il concetto di compatibilità genetica.

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Particolare attenzione va prestata ai ripopolamenti da effettuarsi con

fauna importata da altri paesi: oltre al problema dell'inquinamento

genetico, c'è il rischio tutt'altro che teorico di introdurre nuove

forme patogene. Inoltre è sconsigliato l'uso di esemplari da

allevamento, soprattutto per il bassissimo tasso di sopravvivenza che li

caratterizza. Resta la possibilità di utilizzare animali di cattura locale;

bisogna comunque ribadire come il trapianto di lepri locali si traduca

spesso in scarso successo: i risultati migliori si ottengono in territori

ad elevata idoneità ambientale con densità di partenza subottimali, con

la liberazione di almeno 10 capi per Kmq.

Le catture nelle ZRC vanno opportunamente programmate in modo

accurato, commisurandole alle consistenze stimate; la rimozione non

deve mai interessare più del 60% della popolazione e non deve

comprendere lepri giovani (inferiori ai 3 kg), più suscettibili a stress

da traslocazione. La densità nelle ZRC non dovrebbe scendere sotto i

15 riproduttori per kmq, soglia sotto la quale si fa concreto il rischio di

insorgenza dell'epatite virale della lepre (E.B.H.S). Le catture in ZRC

non dovrebbero essere previste prima del terzo anno dalla costituzione

dell'ambito.

In termini rigorosi si può affermare che il predetto art. 10 è stato

introdotto per evitare l'intromissione artificiale di un pool genetico

estraneo nell'ambito di quello proprio delle popolazioni locali di una

determinata specie. E' peraltro evidente che un'applicazione integrale

di questo principio risulterebbe di fatto in contrasto con le attività di

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allevamento e di importazione pure previste dalla legge. E' opportuno

dunque verificare in quali casi risulti compatibile l'immissione sul

territorio di soggetti provenienti da catture o da allevamento.

Possono presentarsi, a questo proposito, diverse situazioni:

a) Immissioni di soggetti estranei in territori ove è presente una

popolazione autoctona, che cioè possieda un patrimonio genetico

adattato alle particolari condizioni locali, forgiato dall'azione della

selezione naturale e per la quale eventuali inquinamenti genetici

operati dall'uomo sono stati nulli o insignificanti. Questa situazione

è quella presentata dalla maggior parte delle specie stanziali

oggetto di gestione venatoria. In tali casi eventuali immissioni

dovrebbero essere in linea di principio evitate e comunque

sottoposte ad un accurato giudizio preventivo circa l'idoneità del

materiale utilizzato.

b) Immissione di soggetti in territori ove esistano popolazioni di una

determinata specie la cui identità genetica è il frutto di interventi

artificiali da parte dell'uomo, o è stata largamente condizionata da

tali interventi. E questo il caso di diverse specie di notevole

importanza dal punto di vista venatorio e che sono state oggetto

per decenni di immissioni sul territorio provinciale (Fagiano, Starna,

Coturnice, Lepre europea, Cinghiale). Sì tratta di forme per le quali

l'identità genetica delle popolazioni originarie è andata

completamente perduta su tutto o sulla maggior parte del territorio

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nazionale. In questo contesto eventuali operazioni di ripopolamento,

ferma restando la necessità di confrontarsi coi problemi di natura

ecologica e sanitaria posti da tali operazioni, risultano meno

criticabili sotto il profilo squisitamente genetico. Pur tuttavia, le

immissioni dovrebbero in ogni caso inserirsi in una strategia che, più

che tentare di selezionare in cattività i ceppi idonei, dovrebbe

tendere ad offrire il miglior materiale possibile alla selezione

naturale che si attua successivamente al rilascio degli animali; ciò, a

seconda dei casi, può significare:

• utilizzo di animali di cattura provenienti da popolazioni che

hanno presumibilmente sviluppato adattamenti ad ambienti simili

a quelli in cui verranno rilasciati; in tal senso risultano preziose

eventuali popolazioni autoctone residue di specie che hanno

subito drastiche contrazioni numeriche e di areale. Ad esempio,

i programmi di reintroduzione del Capriolo dovrebbero

privilegiare come fonte del materiale da utilizzarsi i residui

nuclei di Castel Porziano, Foresta Umbra e Monti di Orsomarso.

Ciò dovrebbe costituire un ulteriore elemento a favore della loro

conservazione;

• utilizzo contemporaneo di animali provenienti da popolazioni

diverse in modo da offrire la massima variabilità genetica

possibile all'azione della selezione naturale. Questo approccio

si presenta particolarmente delicato sia nella fase della

elaborazione teorica che in quella applicativa; è quindi adottabile

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solo in casi particolari e necessita di adeguati controlli di

carattere scientifico.

Risulta comunque evidente che la strategia sopra delineata si inserisce

come strumento temporaneo in una riforma della gestione faunistico-

venatoria che ha come obiettivo il prelievo calcolato di popolazioni

naturali (qualunque sia la loro origine genetica) che si renda

indipendente da continue immissioni.

Evidentemente un problema particolare è posto da quelle strutture di

gestione, quali le Aziende agri-turistico-venatorie, in cui la fauna

immessa è destinata ad un uso sostanzialmente commerciale. I pericoli

connessi con l'immissione di soggetti con pool genico indesiderabile

risultano in questo caso assai limitati poiché gli animali utilizzati in

queste strutture hanno di fatto una scarsissima possibilità di

riprodursi e quindi di diffondere il proprio patrimonio genetico.

Certamente un approccio diverso, assai più rigoroso, deve essere

mantenuto nell'assicurare le idonee condizioni sanitarie del materiale

utilizzato, poiché la probabilità ed i tempi di diffusione di eventuali

agenti patogeni risultano elevate.

12.1 La reintroduzione della starna

In altre parti di questo documento si è evidenziata l'importanza

faunistico-venatoria e culturale della reintroduzione della starna.

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Starna

Oggi attraverso un'applicazione bilanciata di piani di prelievo, tecniche

di gestione del territorio, tecniche di contenimento delle perdite ed

immissioni è possibile assicurare alla starna un futuro nelle aree vocate

della Provincia di Caserta.

12.1 I piani di prelievo

I piani di prelievo consistono nel fissare un quantitativo massimo di

starne prelevabile calcolato sulla base:

• della produzione annua di giovani;

• del numero di riproduttori che si vogliono mantenere a fine caccia,

tenuto conto delle caratteristiche ambientali.

In pratica, avendo come obiettivo la conservazione dello stesso stock

di riproduttori dell'anno precedente, il numero di starne cacciabili per

coppia è pari al numero medio di giovani prodotti per femmina presente

in primavera meno 2.

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Per esempio, se si sono conteggiate 10 coppie per 100 Ha in primavera

e 3,5 giovani per femmina presente in primavera (o 5 giovani per

brigata in estate, considerando una sopravvivenza delle femmine tra la

primavera e l'estate del 70%), si possono prelevare 1,5 starne per

coppia presente in primavera, ovvero 15 starne per 100 Ha. Una buona

annata con un indice di riproduzione di oltre 3,5 giovani per coppia

consente un prelievo venatorio di oltre 16 capi per ogni decina di coppie

mentre ad una cattiva annata con meno di 2,1 giovani per coppia

dovrebbe corrispondere il fermo del prelievo venatorio della specie.

12.2 Gestione del territorio

La gestione del territorio ha come obiettivo quello di accrescere la

dotazione di fonti di nutrimento, punti di abbeverata, siti di rifugio e

di nidificazione.

In pratica questi interventi possono riguardare:

l'apporto di alimento durante l'inverno (incremento della presenza

di cereali autunno-vernini, fornitura di granaglie in adeguati siti di

foraggiamento);

accrescimento della diversità ambientale mediante smembramento

degli appezzamenti di superficie superiore a 15 Ha, finalizzato alla

costituzione di un mosaico colturale;

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potenziamento degli elementi lineari del paesaggio: bordi di

cavedagne, siepi, scarpate e frangivento;

incremento della presenza di insetti limitando allo stretto

necessario l'impiego dei pesticidi ed evitando i trattamenti sulle

zone a vegetazione spontanea e non produttive;

creazione di punti di abbeverata: piccoli invasi, vecchi copertoni

opportunamente tagliati.

12.3 Il contenimento delle perdite

Una corretta gestione delle popolazioni faunistiche deve prevedere il

contenimento delle perdite.

Quelle imputabili alle tecniche colturali possono essere contenute

mediante:

a) inizio della raccolta dei foraggi e dei cereali dal centro

dell'appezzamento procedendo in senso centrifugo e anteponendo

agli organi di sfalcio specifiche barre di involo;

b) evitare le operazioni di sfalcio dei foraggi durante il periodo

riproduttivo, in particolare da metà maggio a fine giugno,

provvedendo a sollevare la falciatrice a non meno di 20 cm dal

terreno;

c) astenersi dal bruciare la paglia e le stoppie;

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d) evitare le operazioni di raccolta notturna;

e) attenersi strettamente alla regolamentazione nell'uso dei pesticidi

privilegiando i meno tossici per la fauna selvatica ed i meno

persistenti;

f) evitare gli sfalci di sponde dei canali e delle bordure erbose

durante il periodo della nidificazione.

Le perdite provocate dalla presenza eccessiva di alcuni predatori

selvatici (volpe e corvidi in particolare) possono essere contenute

attraverso il ricorso ad interventi di limitazione numerica

appositamente autorizzati.

12.4 Immissioni

Un'operazione di ripopolamento potrà garantire buoni risultati nella

misura in cui:

l'ambiente presenti caratteristiche territoriali e vegetazionali

adatte alla riproduzione delle specie faunistiche da immettere

(fagiano, starna, coturnice, lepre, cinghiale) ed esista una

consistenza sottodimensionata rispetto alla capacità portante del

territorio (quantità massima di soggetti che un dato territorio può

sopportare in un dato momento);

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l'operazione sia svolta su una superficie sufficientemente ampia

nella quale il prelievo venatorio venga escluso per un determinato

periodo di tempo;

venga fissato un protocollo che definisca gli obiettivi da

raggiungere, le metodiche da utilizzare, la durata del periodo di

sospensione della caccia e le modalità del piano di prelievo da

attuare una volta raggiunto l'obiettivo.

12.5 Caccia al cinghiale

La caccia al cinghiale, come previsto dal calendario venatorio che viene

emanato dalla Regione Campania, può essere regolamentata dalla

Provincia.

Attualmente viene praticata in battuta secondo una programmazione

annuale attuata dalla Provincia di Caserta.

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13 Gli Ambiti Territoriali di Caccia (ATC)

Questa Provincia, tenuto conto della conformazione del proprio

territorio agro-silvo-pastorale e della omogeneità con gli altri ambiti

presenti nella regione, ha individuato un unico Ambito Territoriale di

Caccia coincidente con il proprio territorio provinciale.

13.1 I miglioramenti ambientali nell ’ATC

Dal punto di vista faunistico la capacità recettiva di un territorio è il

risultato di una serie di caratteristiche ambientali intrinseche capaci

di sostenere la presenza di un determinato numero di animali selvatici.

Tale capacità può essere incrementata, anche in misura sostanziale,

attraverso interventi di miglioramento ambientale.

Negli ambiti territoriali nei quali obiettivo della gestione faunistica sia

l'incremento della presenza di selvaggina naturale, il recupero e il

ripristino di situazioni ambientali compromesse costituisce un

importante strumento cui riservare primaria attenzione. Ciò anche in

considerazione del fatto che, a fronte di investimenti finanziari anche

consistenti, necessari per la realizzazione dell'intervento, i risultati

positivi ottenuti sotto un profilo faunistico generale, e quindi non solo

venatorio, potranno essere notevoli e protratti nel tempo.

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Va altresì considerato come interventi di tale natura non manchino di

garantire un generale miglioramento delle condizioni ecologiche,

inducendo ripercussioni positive di non trascurabile importanza sia dal

punto di vista faunistico, sia sotto il profilo agronomico, paesaggistico,

estetico e culturale.

Sebbene il fine dei miglioramenti ambientali sia quello di indurre un

generalizzato incremento della diversità e della densità delle zoocenosi

in maniera duratura nel tempo, nel contesto di ambiti di gestione

faunistica finalizzati può risultare opportuno prevedere il ricorso ad

interventi di ripristino ambientale più mirati, finalizzandoli

all'incremento di specie di interesse venatorio. La legge nazionale,

recependo l'importanza del ruolo svolto dalle azioni sopra ricordate,

espressamente prevede che negli Ambiti Territoriali di Caccia

l'organismo di gestione programmi interventi per il miglioramento degli

habitat e provveda all'attribuzione di incentivi economici ai conduttori

dei fondi rustici per la coltivazione di alimenti naturali in favore dei

selvatici, il ripristino di zone umide e di fossati, la differenziazione

delle colture, l'apprestamento di siepi, cespugli, alberi adatti alla

nidificazione (art. 14, c. 11, L n. 157/92 e art. 37, c.2, L.R. n. 8/96)).

Le tipologie d'intervento cui fare ricorso possono essere distinte in

due gruppi principali:

a) quelle orientate al potenziamento di dotazioni ambientali;

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b) quelle indirizzate al contenimento dei fattori di mortalità e di

disturbo.

Del primo gruppo fanno parte gli interventi volti all'incremento di:

Disponibilità alimentari. Si tratta in genere del principale fattore

limitante la densità degli animali selvatici, soprattutto nel corso del

periodo invernale. Gli interventi attuabili in questo ambito possono

riguardare la produzione naturale di alimento, destinando porzioni

di territorio a colture a perdere di essenze particolarmente

appetite (scelta generalmente da preferirsi), oppure il

foraggiamento artificiale;

Siti di rifugio e micro-ambienti adatti alla riproduzione.

Un'adeguata dotazione di zone di rifugio e di riproduzione risulta

elemento fondamentale per la permanenza di animali selvatici in un

determinato territorio. All'incremento di tali zone, che di norma

non richiedono particolari interventi gestionali, possono utilmente

contribuire le tare colturali, ed aree altrimenti non utilizzate

(scarpate di strade e cavedagne, zone "marginali", basi dei tralicci

di elettrodotti, arginature di canali e corsi d'acqua, ecc.) purché

lasciate il più possibile tranquille soprattutto durante il periodo

riproduttivo;

Disponibilità idrica. La carenza di acqua può costituire un fattore

limitante la permanenza di alcune specie selvatiche in relazione alla

disponibilità complessiva e alla distribuzione sul territorio delle

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fonti idriche durante la stagione estiva. Per alcune specie,

soprattutto nei comprensori interessati da periodi estivi

particolarmente siccitosi, la carenza di sufficienti fonti idriche

può costituire un fattore limitante. In questi casi appare opportuno

predisporre adeguati punti di raccolta d'acqua in numero

sufficiente.

Per ciò che riguarda invece il contenimento dei fattori di mortalità e di

disturbo vanno ricordati in particolare:

a) Alcune pratiche agricole particolarmente dannose:

Diverse tecniche colturali di uso consolidato, soprattutto nelle aree

interessate da un'agricoltura industrializzata, risultano assai nocive

nei confronti della fauna selvatica.

A questo proposito vanno citati l'impiego di alcune sostanze chimiche

di comprovata tossicità, lo sfalcio dei foraggi eseguito nel corso di

particolari periodi stagionali coincidenti con le fasi riproduttive di

alcune specie, la mietitura dei cereali e la pratica della bruciatura delle

stoppie. Inoltre, una serie di pratiche agricole, inducendo una

repentina modificazione di estese superfici coltivate, può essere causa

di perdite per azione indiretta a seguito della sottrazione di habitat;

b) Le fonti trofiche artificiali:

La presenza di fonti trofiche di origine antropica (macro e micro-

discariche non controllate, rifiuti di allevamenti intensivi, immissioni

di selvaggina allevata) presenti in quantità elevate, con distribuzione

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puntiforme e facilmente reperibili ed utilizzabili da parte di alcune

specie selvatiche cosiddette opportuniste, costituisce un innaturale

fattore di alterazione degli equilibri interspecifici delle zoocenosi.

Le specie in grado di trarre vantaggio da queste situazioni

(cornacchie, gabbiani, volpi, ecc.), possono rapidamente

incrementare il numero degli effettivi ed esercitare un'accresciuta

interferenza nei confronti di altre specie selvatiche.

In particolare per volpe e corvidi è opportuno prevedere un censimento

della consistenza delle popolazioni in relazione ad eventuali piani di

contenimento numerico (art.17, comma 2, legge regionale n. 8/96);

c) La presenza di infrastrutture e manufatti. L'elevata e capillare

antropizzazione del territorio è stata accompagnata dall'incremento

del numero di strade, autostrade, ferrovie, canali, elettrodotti, che

spesso costituiscono barriere fisiche difficilmente superabili da

parte di diverse specie selvatiche. Ciò comporta evidenti risvolti

negativi, sia a causa delle perdite dirette (investimenti,

elettrocuzione) attribuibili alla presenza di queste infrastrutture,

sia per via dell'interruzione della continuità fisica del territorio con

conseguente ostacolo alla naturale espansione delle arcate di alcune

specie e l'innaturale confinamento di diverse popolazioni.

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13.2 La gestione della fauna nell ’ATC

La valutazione quantitativa della fauna oggetto di gestione nel

territorio dell'ATC risulta il principale elemento conoscitivo sia per la

stesura del piano di assestamento, sia come attività che deve essere

ripetuta costantemente per rilevare le variazioni di status delle

popolazioni presenti e gli effetti della gestione faunistica operata,

nonchè per programmare i successivi interventi (piani di prelievo,

immissioni, interventi sull'ambiente, ecc.). In effetti la nuova legge

introduce il concetto di caccia compatibile con la disponibilità stimata

della selvaggina ed indica come la ricognizione della consistenza

faunistica debba divenire pratica ordinaria nell'ambito più complessivo

della gestione degli ATC (L.157/92, art. 14, comma 11).

In linea generale le stime di densità dovranno essere condotte in due

momenti significativi del ciclo biologico annuale per ciò che concerne la

dinamica delle popolazioni, ovvero alla fine dell'inverno, stimando la

consistenza dei riproduttori, e alla fine dell'estate per valutare il

successo riproduttivo. In tal modo è possibile programmare il prelievo

venatorio delle specie di interesse gestionale tenendo conto da

una parte gli incrementi utili annui teorici e, dall'altra, l'effettiva

produttività delle popolazioni locali. I piani di prelievo per alcune

specie (ad esempio gli Ungulati) dovranno prevedere, oltre al numero di

capi abbattibili, anche la loro distribuzione in classi di sesso e di età

allo scopo di non alterare la struttura delle popolazioni. E' attraverso

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l'accertamento di questi dati che è possibile redigere opportuni piani

di prelievo e, di conseguenza, dare pratica attuazione al principio

espresso dalla legge stessa all'articolo 1,comma 2, che recita:

"l'esercizio dell'attività venatoria è consentito purché non contrasti

con l'esigenza di conservazione della fauna selvatica ...".

Di particolare interesse appare il sostegno del Daino e della Starna,

specie la cui presenza non determina in genere risvolti negativi nei

confronti di attività produttive agricolo-forestali o zootecniche, a

differenza di altre, come ad esempio il Cinghiale e il Cervo, la cui

reintroduzione deve essere invece valutata con grande cautela.

Evidentemente tra le specie la cui reintroduzione sarebbe in linea di

principio auspicabile sono da considerare anche i grandi predatori o i

necrofagi come la Lince, il Gipeto, ecc., oppure quelle di particolare

significato naturalistico (Cicogna bianca, Oca selvatica, Gobbo

rugginoso, Moretta tabaccata, ecc.).

I ripopolamenti debbono essere intesi come immissioni di animali in

zone ove la loro specie è già presente in misura variabile con il fine di

incrementare il numero di individui o per fini legati al consumismo

venatorio e agli interessi economici ad esso collegati.

L'origine dei soggetti impiegati può essere tre tipi:

1) di cattura e importazione da altri paesi;

2) di cattura in ambiti locali di produzione (in particolare nelle Zone di

ripopolamento e cattura);

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3) di allevamento.

Negli ultimi decenni la pratica dell'importazione di selvaggina

stanziale, in particolare Lepre, Starna e Fagiano, ma anche Cinghiale e

Germano reale, appartenenti a razze geografiche estranee al

territorio nazionale, ha caratterizzato la gestione venatoria del nostro

Paese; tuttora tale pratica viene ampiamente seguita sia dagli

organismi pubblici che dai privati. La liberazione di massicci

quantitativi di animali appartenenti a sottospecie alloctone ha

determinato un vero e proprio inquinamento genetico delle popolazioni

locali le cui caratteristiche differenziali sono andate perdute. Oltre

che particolarmente grave sotto il profilo zoologico, questo tipo di

intervento presenta risvolti negativi anche dal punto di vista pratico ed

economico, poiché se da una parte ha determinato la virtuale

scomparsa delle forme originarie, dall'altra quelle importate spesso

trovano difficoltà ad inserirsi stabilmente nei nuovi ambienti ove sono

liberate e nei cui confronti mancano di specifici adattamenti.

Anche l'utilizzo per i ripopolamenti di animali allevati con criteri più o

meno intensivi da numerose generazioni pone seri problemi che

interessano:

− la qualità genetica dei ceppi allevati;

− le alterazioni del comportamento indotte dalle tecniche di

allevamento;

− le condizioni sanitarie.

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Circa il primo aspetto va notato come, a seguito della selezione

artificiale, più o meno volontariamente operata negli allevamenti, il

patrimonio genetico dei ceppi allevati tenda a discostarsi da quello

delle forme selvatiche originarie con effetti negativi sulla capacità di

adattamento alla vita libera dei primi una volta che vengano rilasciati.

Nel caso dei Fasianidi, in particolare, è noto il fenomeno della

progressiva perdita della capacità di cova legata ad una selezione

orientata ad aumentarne l'ovodeposizione. Anche gli aspetti

comportamentali su base non genetica sono fortemente condizionati

dall'allevamento artificiale, che può interferire pesantemente su

caratteristiche quali l'imprinting, i legami familiari di gruppo,

l'ecoetologia alimentare, le strategie di difesa nei confronti dei

predatori, ecc.

Infine, vanno considerati gli aspetti sanitari propri degli animali

allevati in maniera intensiva (patologie favorite dal sovraffollamento)

che, oltre a limitare la capacità di sopravvivenza in natura dei soggetti

allevati, possono determinare la diffusione di agenti patogeni anche tra

le residue popolazioni naturali con specifiche o appartenenti a specie

affini. A queste cause di fondo dell'insuccesso sostanziale dei

ripopolamenti nella ricostituzione di popolazioni stabili nel tempo e

caratterizzate da una normale riproduzione in natura, si sommano

motivazioni legate alle modalità pratiche di intervento, come la

mancata individuazione e rimozione dei fattori responsabili della

rarefazione delle popolazioni naturali e tempi e modalità di rilascio

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impropri. Inoltre, i risultati dei ripopolamenti troppo spesso non

vengono valutati in maniera critica e quantitativa e, di conseguenza, gli

errori si perpetuano nel tempo, con ripercussioni negative sia sul piano

biologico che su quello gestionale ed economico.

Alla luce di quanto sopra evidenziato e con il conforto anche di

motivazioni economiche e culturali, si può affermare come la pratica

del ripopolamento debba essere quanto prima superata per far posto

ad una gestione faunistico-venatoria basata sul prelievo oculato di

risorse faunistiche naturali.

Nel nostro Paese oggettive condizioni strutturali, legate ad un'elevata

pressione venatoria e alla presenza di popolazioni d'interesse

cinegetico fortemente depauperate, pongono seri ostacoli alla

attuazione immediata di questo processo. Anche per questo aspetto è

necessaria innanzi tutto una profonda trasformazione della cultura

venatoria, che veda come obiettivo principale la produzione naturale di

fauna selvatica attraverso interazioni positive con l'ambiente, come

d'altra parte previsto dal c. 1 dell'art. 10 della L. 157/92. Nella

pratica, e in un periodo di transizione e di assestamento, sarà almeno

necessario pervenire ad una limitazione e razionalizzazione degli

interventi di ripopolamento. Questo processo potrà avvenire con la

gradualità ed i tempi commisurati alla condizione oggettiva di ciascuna

unità territoriale di gestione in dipendenza di vari parametri:

situazione faunistica, rapporto cacciatori/territorio, grado di

organizzazione, ecc. Nondimeno si è convinti che già in tempi brevi in

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diverse realtà locali, con uno sforzo sostenibile in termini di

regolamentazione del prelievo e di miglioramenti ambientali, risulti

possibile un'attività venatoria sostanzialmente svincolata dai

ripopolamenti. Si ravvisa l'opportunità di indicare che, così come

previsto dalla legge per le Aziende faunistico-venatorie, anche negli

ATC venga sospesa qualsiasi forma di ripopolamento in data successiva

al 31 agosto. Ciò potrà consentire un sufficiente ambientamento degli

animali immessi prima dell'inizio dell'attività venatoria o di

addestramento cani, nonchè l'instaurarsi di una pratica venatoria

eticamente meno criticabile rispetto a quella basata sulla cosiddetta

"pronta-caccia". In tal modo, anche per questo aspetto, l'ATC si dovrà

discostare da altri istituti ed in particolare dalle Aziende agri-

turistico-venatorie, espressamente dedicate alla caccia consumistica.

In particolare, l’A.T.C. di Caserta ha in corso le procedure relative ai

progetti finalizzati al miglioramento dell’habitat ed ai recinti di

preambientamento, in funzione delle necessità legate alla

sopravvivenza ed al sostentamento della selvaggina mediante la

formalizzazione di convenzioni con gli agricoltori o altri soggetti

interessati.

Tanto, parallelamente a quanto è intendimento della Provincia per

quanto attiene alla istituzione di un centro pubblico di produzione di

selvaggina.

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Tale progetto, sarà condotto anche attraverso ulteriori iniziative

affidate alla gestione dell’Ufficio Caccia e realizzato attraverso

la collaborazione delle associazioni venatorie, ambientaliste e

protezionistiche.

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14 I nuovi strumenti di controllo territoriale

Tutta la programmazione degli interventi di miglioramento ambientale

sia nelle strutture di protezione e produzione della fauna selvatica allo

stato naturale sia negli Ambiti Territoriali di Caccia diviene efficace

solo attraverso una conoscenza approfondita ed un costante controllo

del territorio.

Oggi, grazie all'integrazione delle tecnologie di telerilevamento

satellitare e dell'informatica, è possibile effettuare analisi ecologiche

complesse del territorio in tempi brevi, con un limitato dispendio di

risorse economiche, raggiungendo obiettivi impossibili da ottenere

attraverso tecniche tradizionali.

Ciò premesso si raccomanda che gli Enti pubblici di programmazione

territoriale facciano ampio utilizzo dei Sistemi Informativi Geografici

(GIS).

Un GIS è un insieme organizzato di hardware, software, dati

geografici ed operatori progettato per raccogliere, memorizzare,

aggiornare, elaborare, analizzare e visualizzare in modo efficiente

qualsiasi tipo di informazione referenziata geograficamente. Con un

GIS si rendono possibili complesse operazioni spaziali come la

sovrapposizione delle mappe tematiche.

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Nei precedenti paragrafi ci si è riferiti agli indicatori di vocazione

faunistica delle Oasi di protezione, delle ZRC e di altre strutture di

rilievo faunistico-venatorio.

Idealmente la scelta della locazione più opportuna di queste strutture

avviene sovrapponendo la distribuzione areale degli indicatori

disegnata su tutto il territorio provinciale.

La vocazione del territorio ad ospitare l'una o l'altra struttura viene

decisa dalla sovrapposizione positiva dei tematismi mentre i confini

naturali vengono infine selezionati sovrapponendo il reticolo stradale, il

reticolo idrico naturale o l'orografia territoriale.

Tenuto conto che, utilizzando determinati software, è possibile

accedere alla tecnologia GIS con i comuni calcolatori d'ufficio si

auspica che le prossime programmazioni faunistiche, in sede pubblica o

di organismo di gestione degli ATC, possano già avvenire con tali

sistemi avanzati.

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15 Conclusioni

In sintesi questa Provincia con il presente Piano faunistico-venatorio

provinciale stabilisce:

l'istituzione delle Oasi di protezione “Le Mortine” e “Gradilli”

nonché l’ampliamento dell’Oasi “Salicelle”.

la conferma delle ZRC Carditello, M. Alifano, Selvapiana, Vairanese,

Teanese, e la istituzione della ZRC Torcino.

la conferma dei campi addestramento cani con abbattimento di

fauna già esistenti nei territori di Alife, Cancello ed Arnone, Castel

Volturno, Cellule, Galluccio, Grazzanise, Mondragone, Piana di Monte

Verna, Rocca d’Evandro.

la conferma dei campi addestramento cani senza abbattimento di

fauna nei territori di Alife, Alvignano, Gallo Matese , Mignano Monte

Lungo, nonché l’istituzione di un nuovo campo a gestione pubblica nel

territorio di Caserta – Castel Morrone.

la conferma delle Aziende Agro-faunistico-venatorie nei territori di

Capua-Vitulazio-Pastorano-Pignataro Maggiore (Agnena), Tora e

Piccilli-Conca della Campania (Artemide), Falciano del Massico

(Incogna), Pratella (Mastrati), Pietravairano (Monte Fossa), Teano

(Santillo), nonché l’istituzione di una nuova AFV nel territorio di

Carinola-Francolise (S. Uberto).

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la conferma delle Aziende Agro-turistico-venatorie nei territori di

Gallo Matese (Campania Felix), Ciorlano (Campania Felix), Galluccio-

Rocca d’Evandro (Campanara), Ruviano-Caiazzo (Serole).

di consentire la collocazione degli appostamenti fissi entro l'intero

ATC, fatti salvi gli impedimenti di legge e quanto previsto dalla

normativa vigente in materia di caccia;

di promuovere la conoscenza ed il controllo degli ecosistemi

territoriali attraverso l'uso delle tecnologie avanzate

(telerilevamento, GIS, ecc...);

di promuovere i miglioramenti ambientali in tutte le strutture

faunistico-venatorie (Oasi, ZRC, ATC, ecc...) anche attraverso

l'accesso ai fondi comunitari dedicati;

di privilegiare nei ripopolamenti fauna dal corredo genetico il più

possibile vicino alle popolazioni stanziali.

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Appendice numerica

In questa appendice vengono riassunti i dati necessari alla composizione delle estensioni territoriali richiamate all'art.10 della L.R. 8/96.

Le aree di rispetto sono puramente indicate come dato ma non rientrano nel calcolo della SASP, come confermato anche dalla sentenza del TAR Campania n. 7269/2005.

A. Superficie Territoriale Ha 263.938,00

B. Superficie improduttiva Ha 41.720,00

C. Superficie agricola utilizzabile (SAU) Ha 222.215,00

a) Vivai e semenzai Ha 75 b) Battigia Ha 350 c) Zone Militari Ha 700 d) Serre Ha 2.200

Totale Ha 3.325 D. Superficie agro-silvo-pastorale

C.- [a)+b)+c)+d)] = ( 222.215 – 3.325) Totale Ha 218.890,00

E. Superficie di protezione interdetta all'esercizio venatorio: Totale Ha 44.286,83

− Parchi, Riserve naturali regionali Ha 36.753,40 (Area di rispetto Ha 2.462)

− Oasi di protezione Ha 893,15 (Area di rispetto Ha 248,97)

− Zone di ripopolamento e cattura Ha 6.640,28 (Area di rispetto Ha 1.513,40)

Superficie totale utile all'esercizio venatorio

(D – E)

Ha 174.603,17

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La percentuale del territorio provinciale interdetto alla caccia è

uguale alla Superficie di protezione interdetta all'esercizio venatorio

(Ha.44.286,83) diviso la Superficie agro-silvo-pastorale

(Ha 218.890,00 )

Pertanto

La percentuale del territorio provinciale interdetta alla caccia è del

20,23 %

****************************

Il presente Piano Faunistico Venatorio Provinciale è stato redatto dalla struttura tecnico-amministrativa del Servizio Caccia coordinata dal dirigente del Settore Agricoltura, Foreste, Caccia e Pesca dr. Agr. Mario Mammone:

− Andrea Pascarella

− Andrea Pirozzi

− Gennaro Vastano

Ripartizione del territorio provinciale Superficie Territoriale

Superficie improduttiva

Superficie agricolautilizzabile (SAU)

Superficie agro-silvo-pastorale (SASP)

Superficie di protezioneinterdetta all'eserciziovenatorioSuperficie totale utileall'esercizio venatorio