INDICE 1 Premessa3 2 Profilo faunistico della provincia di ... · le esigenze della conservazione...
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INDICE
1 Premessa.................................................................... 3
2 Profilo faunistico della provincia di Caserta ............................. 7
2.1 Inquadramento territoriale 7 2.2 Orografia 9 2.3 Idrografia 10 2.4 Gli ambienti rurali 14 2.5 Gli ambienti boschivi 18 2.6 Gli ambienti umidi 21
3 Istituti faunistici di protezione ..........................................26
3.1 Parco regionale del Matese 27 3.2 Parco regionale Roccamonfina e Foce Garigliano 33 3.3 Parco regionale del Partenio 37 3.4 Le Oasi di protezione 39
4 Istituti faunistici di produzione ..........................................53
4.1 Le Zone di ripopolamento e cattura 53 4.1 La Z.R.C. Carditello 56 4.2 La Z.R.C. M.Alifano 58 4.3 La Z.R.C. Torcino 59 4.4 La Z.R.C. Selvapiana 60 4.5 La Z.R.C. Teanese 61 4.6 La Z.R.C. Vairanese 62
5 I Centri di produzione della fauna selvatica ............................64
6 Istituti per la cinofilia....................................................65
6.1 Campi addestramento cani senza abbattimento di fauna 65 6.1 Campi addestramento cani con abbattimento di fauna 67
7 Le aziende venatorie ......................................................69
8 Le zone in cui sono collocabili gli appostamenti fissi ...................72
9 I valichi montani interessati dalle rotte di migrazioni .................73
10 Il risarcimento dei danni alle produzioni agricole arrecati
dalla fauna selvatica e dall’attività venatoria...........................74
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11 Incentivi per i miglioramenti ambientali a fini faunistici ...............75
11.1 Miglioramenti ambientali 75 11.2 Il ruolo dei produttori agricoli 81 11.3 Lo status giuridico della fauna selvatica 83 11.4 Il ruolo degli amministratori pubblici 85 11.5 Selezione delle aree preferenziali 85 11.6 Il livello delle sovvenzioni 87 11.7 Il ruolo delle associazioni venatorie, ambientaliste e protezionistiche 88
12 Il ripopolamento della fauna selvatica...................................91
12.1 La reintroduzione della starna 95 12.1 I piani di prelievo 96 12.2 Gestione del territorio 97 12.3 Il contenimento delle perdite 98 12.4 Immissioni 99 12.5 Caccia al cinghiale 100
13 Gli Ambiti Territoriali di Caccia (ATC) ................................ 101
13.1 I miglioramenti ambientali nell’ATC 101 13.2 La gestione della fauna nell’ATC 106
14 I nuovi strumenti di controllo territoriale............................. 113
15 Conclusioni ............................................................... 115
Tavole fuori testo:
− cartografie
− documentazione fotografica
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1 Premessa
La Legge 11 febbraio 1992 n. 157, all’art. 1, comma 2, dispone che
“L’esercizio dell’attività venatoria è ammesso purché non contrasti con
le esigenze della conservazione della fauna e non arrechi danno
effettivo alle attività agricole”.
Tali finalità sono perseguite attraverso la pianificazione faunistico-
venatoria, estesa a tutto il territorio Agro-silvo-pastorale ed attuata
attraverso la destinazione differenziata del territorio (art. 10). Lo
strumento della pianificazione è il Piano faunistico venatorio
predisposto dalla Provincia (art. 11 L.R. n. 8 del 10 aprile 1996).
L’attività venatoria è un sistema complesso che non solo coinvolge
diversi soggetti, ma che richiede soprattutto un’adeguata
pianificazione. Le linee maestre di questo nuovo Piano, realizzate
in collaborazione con le associazioni venatorie, ambientaliste,
protezionistiche e agricole del territorio, sono fondamentali per
garantire il rispetto delle diverse esigenze in campo, da quelle
venatorie a quelle di conservazione del territorio rurale, della fauna
selvatica e di protezione di alcune aree di elevato pregio ambientale, a
beneficio di tutti i cittadini del territorio.
L’Amministrazione Provinciale di Caserta, vista la Legge n. 157/92
"Norme per la protezione della fauna selvatica omeoterma e per il
prelievo venatorio", vista la L.R. n. 8/96 "Norme per la protezione della
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fauna selvatica e disciplina dell'attività venatoria in Campania", letto
l'articolo 11, visti i decreti di perimetrazione dei Parchi regionali e
delle Riserve naturali, sentito il C.T.F.V.P., predispone il presente Piano
faunistico-venatorio provinciale che sostituisce tutte le precedenti
pianificazioni e contiene le indicazioni e le perimetrazioni di massima
dei siti ove è possibile identificare:
oasi di protezione, destinate al rifugio, alla sosta ed alla
riproduzione della fauna selvatica (art. 10 L. n. 157/92; art. 12
L.R. n. 8/96);
zone di ripopolamento e cattura, destinate alla riproduzione
della fauna selvatica allo stato naturale, alla cattura della stessa
per l'immissione sul territorio in tempi e condizioni utili
all'ambientamento e fino alla ricostruzione ed alla stabilizzazione
della densità faunistica ottimale per il territorio (art. 10
L. n. 157/92; art. 12 L.R. n. 8/96);
centri pubblici di produzione della fauna selvatica allo stato
naturale o intensivo (art. 10 L. n. 157/92; art. 13 L.R. n. 8/96);
centri privati di produzione della fauna selvatica allo stato
naturale, organizzati in forma di azienda agricola, singola,
consortile o cooperativa, ove è vietato l'esercizio dell'attività
venatoria (art. 10 L. n. 157/92; art. 14 L.R. n. 8/96);
zone e relativi periodi per l'addestramento, l'allenamento e le gare
di cani su fauna selvatica naturale senza l'abbattimento del
selvatico (art. 10 L. n. 157/92; art. 12 L.R. n. 8/96);
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zone e periodi per l'addestramento, l'allenamento e le gare di cani
con l'abbattimento esclusivo di fauna di allevamento appartenente
a specie cacciabili (art. 10 L. n. 157/92; art. 12 L.R. n. 8/96);
zone in cui sono collocabili gli appostamenti fissi (art. 10
L. n. 157/92; art. 6 L.R. n. 8/96);
valichi montani interessati dalle rotte di migrazione (art. 11
L.R. n. 8/96).
Sono inoltre previsti:
i criteri per la determinazione del risarcimento in favore dei
conduttori di fondi rustici per i danni arrecati dalla fauna selvatica
alle produzioni agricole e le forme di collaborazione ed
incentivazione per la migliore gestione delle strutture di cui
ai punti a), b) e c) ai fini del ripristino degli habitat naturali
e all'incremento della fauna (art. 10 L. n. 157/92; art. 26 L.R.
n. 8/96) ;
i piani di ripopolamento della fauna selvatica anche tramite la
cattura di soggetti, geneticamente compatibili, presenti in
soprannumero in altri ambiti faunistici (art. 10 L. n. 157/92; art. 11 L.R. n.
8/96);
regolamento per la caccia al cinghiale.
Viene infine identificato un unico Ambito Territoriale di Caccia (ATC)
in conformità all’art. 14 L. n. 157/92 e all'art.10 della L.R. 8/96
fissandone alcuni indirizzi di gestione.
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Il lavoro corredato di cartografia IGM in scala 1:25000, inizia con una
breve descrizione del panorama geografico e faunistico della Provincia
di Caserta e successivamente si articola in una vera e propria
pianificazione secondo il disposto dell'art. 11 della L.R. 8/96.
In appendice, vengono infine riportati i dati utilizzati per la
composizione delle estensioni territoriali indicate all'art. 10 della
stessa L.R. 8/96.
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2 Profilo faunistico della provincia di Caserta
2.1 Inquadramento territoriale
La Provincia di Caserta è una provincia della Campania. Confina con il
Lazio (Provincia di Latina e Provincia di Frosinone) a nord-ovest, con il
Molise (Provincia di Isernia e Provincia di Campobasso) a nord, con la
provincia di Benevento a est, con la provincia di Napoli a sud e con il
Mar Tirreno a sud-ovest.
Cartografia della provincia di Caserta
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Il territorio della Provincia di Caserta, ampio 2.639 km2, racchiude in
sé tutti gli elementi che rendono un territorio ricco dal punto di vista
naturalistico e paesaggistico. L’area si estende dalla zona litoranea fino
a quella montuosa del Matese, situato nel cuore della Regione
Campania.
Se vero è che la Campania, per la varietà di condizioni ambientali,
rappresenta una riproduzione in miniatura dell’intero mondo,
sicuramente l’area del Casertano concorre fortemente a questa realtà.
La varietà del territorio porta con sé una diversità di flora che va dalla
macchia mediterranea alle erbe officinali, robina, querce, castagneti,
lecci, acero e carpino. Tutta l’area è ricca di ampie zone coltivate a
frutteti, vigneti, oliveti. Per quanto riguarda la fauna, infine, si va da
quella tipica marina mediterranea, fluviale e lacustre fino a quella
montana che vede la presenza di uccelli rapaci, lepri, faine, cinghiali.
Aquila reale
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2.2 Orografia
Nel complesso le aree montuose ricoprono l'8,7% del territorio, quelle
collinari il 56,3% e quelle pianeggianti il 35,0%. L’altimetria del
territorio varia dalla quota marina ai circa 1.500 m.s.m. del massiccio
del Matese. Procedendo da nord verso sud, esso è caratterizzato dalla
presenza di numerosi rilievi montuosi, sia nella parte orientale (Monti
del Matese, Monte Gallo) che in quella occidentale (Monte Sammucro,
Monte Leonardo, Monte Cesima).
Il Matese
Procedendo verso sud, nella parte orientale i rilievi degradano
dolcemente nella la piana di Alife-Alvignano-Caiazzo che termina in
prossimità dai rilievi di Monte Maggiore e Monte Maiulo; nella parte
occidentale il territorio permane accidentato, a causa della presenza
del massiccio di Roccamonfina e del Monte Massico, che giunge quasi
ad affacciarsi sul mar Tirreno. Muovendosi ancora verso sud il
paesaggio muta drasticamente: la presenza di rilievi montuosi risulta
confinata nella sola parte più orientale (Monte Durazzano, Monte
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Tifata, collina di Cancello); mentre la restante parte del territorio
appare pianeggiante (Piana del Basso Voltuno).
Il territorio risulta delimitato ad ovest dal mare: una estesa costa che
comprende le spiagge del litoraneo Domiziano per giungere fino
all’inizio del Golfo di Gaeta per una lunghezza totale di circa 94 km.
2.3 Idrografia
La rete idrografica è organizzata su cinque arterie principali;
Il fiume Volturno (corso d’acqua di livello nazionale) il cui bacino
idrografico si sviluppa prevalentemente nelle Regioni Campania e
Molise, ed in minima parte, in Abruzzo, Puglia e Lazio. Ha un’estensione
totale di circa 6.340 km2 e si divide in due sub bacini:
• il primo, relativo all’asta principale del Volturno (175 km di
lunghezza)
• il secondo relativo al fiume Calore (132 km).
Il fiume Volturno nasce alle falde del monte Rocchetta (m 972) nella
provincia di Isernia.
Le acque del corso d'acqua più importante dell'Italia meridionale
scaturiscono improvvise e fresche formando un limpido laghetto,
ritrovo di anitre e altri pennuti lacustri. Un sinuoso e sottile nastro
d'acqua congiunge le sorgenti all'abbazia di San Vincenzo. Le rive
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contornate da giunchi e salici sono continuamente setacciate da piccoli
limicoli.
Continuando nel suo lento fluire verso il mare, il Volturno muta
repentinamente il suo corso impegnandosi nella spettacolare gola della
cartiera di San Vincenzo dove potenti macigni staccatisi dalle irti
pareti interrompono in alcuni punti il rapido fluire delle acque, creando
notevoli vasche nei cui anfratti trovano riparo trote, barbi e cavedani.
Il Volturno
Nel comune di Capriati al Volturno, prosegue tra i gruppi del Matese e
del Monte Maggiore e riceve le acque del Calore, suo principale
affluente, nel comune di Castel Campagnano. A valle di tale confluenza
il Volturno defluisce verso Sud Ovest e, superate le strette dei monti
Tifatini, sbocca nella pianura costiera, attraversa il comune di Capua e
scorre costeggiando i centri abitati di S. Maria La Fossa, Grazzanise e
Cancello ed Arnone.
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Il Fiume Calore
Gli spartiacque di questo tratto terminale del fiume si restringono
repentinamente allineandosi al tracciato fluviale e configurando un
angusto tratto bacinale, caratterizzato da argini costruiti negli anni
50. All’altezza di Castel Volturno il fiume sfocia a mare.
Il fiume Liri-Garigliano ha un’asta principale lunga 164 km, di cui
40 Km in provincia di Caserta, per un bacino idrografico complessivo di
circa 4.990 km2. E’ alimentato da un gruppo di sorgenti che si trovano
sul massiccio dei Monti Simbruini, catena calcarea tra l’Abruzzo e
Lazio, presso l’abitato di Cappadocia (AQ). L’alto bacino è costituito
dalla cosiddetta valle Roveto, e riceve gli emissari artificiali del Fucino
a circa 13 km dalle sorgenti, e più a valle il torrente Schioppo. Il fiume
quindi, attraversata la Piana della Conca di Sora, riceve le acque degli
affluenti Fiberno, Sacco e Melfa.
Nei pressi dell’abitato di Cassino il fiume riceve in sinistra le acque del
Rapido–Gari, incrementate dalle sorgenti Gari e, dopo la confluenza, il
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Liri cambia il suo nome in Garigliano. Riceve poi ancore le acque del
Peccia, entra nel territorio del comune di Rocca d’Evandro, ne segue i
confini fino a giungere nel Mar Tirreno sul confine tra Minturno e
Sessa Aurunca.
Il Garigliano prima della foce
Il canale Agnena, in passato affluente in destra del fiume Volturno,
nasce nel comune di Vitulazio, e sul litorale di Mondragone-Castel
Volturno sfocia nel Mar Tirreno dopo aver percorso circa 28 km. Si
sviluppa completamente in territorio pianeggiante, ricevendo immissari
rappresentati principalmente dai canali di bonifica.
Il fiume Savone nasce sul versante Nord Est dell’edificio vulcanico di
Roccamonfina; l’asta principale è lunga circa 42 km ed attraversa i
comuni di Roccamonfina,Teano Francolise, Carinola, Sessa Aurunca e
Modragone.
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Il corso d’acqua è canalizzato a partire dal comune di Francolise e
sfocia nel Mar Tirreno in corrispondenza del comune di Mondragone.
Il bacino dei Regi Lagni copre una vasta superficie delle aree
provinciali di Napoli e Caserta, pari a circa 1300 kmq ed è costituito da
un sistema di canali ed invasi realizzati in gran parte in epoca vicereale
e borbonica che allo stato attuale versano in uno stato di abbandono
ma soprattutto di profondo degrado in quanto utilizzati per lo più come
fogne a cielo aperto.
2.4 Gli ambienti rurali
Il territorio provinciale casertano è caratterizzato dall'agricoltura
per il 59,4%.
L'ambiente agricolo, inteso come grandi estensioni di monocolture, non
presenta in genere sostanziali differenze al suo interno. Tuttavia i
mosaici agricoli in cui si alternano colture diverse, colture seminative
ed arboree, rappresentano uno scenario che contrariamente per come
appare all'uomo, non è omogeneo per le specie animali.
Basti pensare che ogni elemento dei mosaici agricoli ha infatti
caratteristiche peculiari dovute al frutto prodotto ed al periodo della
sua maturazione. In particolare, alle stagioni e condizioni climatiche di
questi tasselli sono legate le migrazioni delle popolazioni animali.
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Una tipica campagna alberata raccoglie un numero assai ampio di specie
di uccelli, alcune tipiche degli spazi aperti, altre tipiche dei boschi ed
adattatesi ad ambienti marginali: pioppeti, filari e piccoli boschi
golenali.
In questi contesti si osservano gazze e cornacchie grigie, rondini,
merli, tordi, storni, passere mattugia e passeri domestici, fringuelli,
verzellini, strillozzi, cardellini, ballerine bianche, pettirossi, fanelli,
upupe, unitamente all'avifauna di interesse venatorio: pavoncelle,
allodole, quaglie, fagiani, beccaccini, soprattutto nei prati umidi, e più
raramente starne.
Starna
Quest’ultima specie merita una particolare attenzione in quanto allo
stato attuale può considerarsi assente dal territorio provinciale,
almeno per quanto riguarda popolazioni autosufficienti e stabili anche
perché non nidifica più in provincia di Caserta e gli unici esemplari
osservabili sono quelli immessi a scopo venatorio.
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Il declino della Starna (Perdix perdix) è in ogni caso un fenomeno
europeo, legato ai mutamenti del paesaggio rurale classico e delle
pratiche agricole tradizionali. In Italia ha raggiunto livelli drammatici
in coincidenza dell'aumento negli anni '70 della pressione venatoria, cui
la specie si è dimostrata alquanto sensibile. Scomparsa dall'Italia
meridionale, rarissima nell'Italia centrale, ha presenze sempre più
sporadiche e modeste in Nord Italia: non è fuori luogo sottolineare
come i popolamenti relitti non si trovino quasi mai in territori a caccia
libera, ma in ambiti protetti o a gestione privata.
Originaria delle praterie, era particolarmente diffusa nelle aree
coltivate a cereali con appezzamenti piccoli e bordi erbosi e
cespugliati, sia in pianura sia in collina; frequentava anche frutteti,
vigneti e zone incolte (campi abbandonati). Prevalentemente
vegetariana da adulta, nelle prime due settimane di vita si nutre quasi
soltanto d’insetti.
Il fagiano (Phasianus colchicus), specie d’origine esotica, è stato
introdotto ed è naturalizzato da tempo, già a partire dall'epoca
romana, forse dal Medioevo.
Diffusa in tutta Europa, dove vive fino ai 900 m. di altezza in un
grande varietà di ambienti (ai margini dei boschi e dei parchi, in
terreni coltivati, nei cespuglieti e tra le canne), la specie risulta
presente in pressoché tutta la provincia, dalla pianura alla media
montagna, sia pure con densità assai disomogenee, quasi ovunque in
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totale dipendenza dell'attuale prassi venatoria basata sui
ripopolamenti. In molte aree libere alla caccia non si può parlare di
vere e proprie popolazioni, trovandoci in presenza di nuclei non
autosufficienti e costanti nel tempo ma ricostituiti artificialmente
anno dopo anno tramite le immissioni.
Fagiano
Il successo del fagiano si deve alla sua sostanziale rusticità, che gli ha
permesso di adattarsi anche alle forti trasformazioni subite negli
ultimi decenni dagli agrosistemi; predilige territori di pianura e collina
dotati di buona diversificazione ambientale, con colture cerealicole
alternate a foraggere e a vegetazione naturale (boschi d’estensione
limitata, cespuglieti e incolti erbacei). Gli adulti si nutrono soprattutto
di parti verdi e semi di piante erbacee, mentre i giovani necessitano
nelle prime settimane di vita di notevoli quantità d’insetti: l'uso di
pesticidi e diserbanti è quindi deleterio.
Anche per questa specie l'acqua è un elemento fondamentale di
sopravvivenza: un elemento di cui tenere conto nella distribuzione dei
ripopolamenti. Gli individui osservabili derivano principalmente dal
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ripopolamento e pochi nascono in natura da soggetti adattati agli
ambienti provinciali.
In questi ambienti sono ben rappresentati anche i rapaci. Sono
abbastanza diffuse le poiane ed i gheppi. Nelle aree coltivate a
graminacee è piuttosto comune il barbagianni mentre la civetta è
diffusa nelle campagne e nelle colline in presenza di ruderi o di alberi,
anche isolati.
Pochi i dati sui mammiferi, classe dominata numericamente dai ricci,
dai topolini domestici, dai topi selvatici e dalle volpi le quali risultano
in costante crescita numerica rappresentando un problema per la fauna
immessa. Vengono inoltre segnalate donnole, faine, martore, nutrie e
toporagni.
2.5 Gli ambienti boschivi
In provincia di Caserta la presenza dei boschi è sostanzialmente
limitata alle fasce altitudinali più elevate. Famosi i castagneti da
frutto del complesso vulcanico di Roccamonfina, le faggete del
massiccio del Matese, i querceti dei rilievi collinari a nord del Medio
Volturno.
Una esemplificazione generalmente valida dell'avifauna degli ambienti
boschivi casertani si rinviene presso la lecceta di San Silvestro a
ridosso del capoluogo provinciale.
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Qui svernano ballerine bianche e gialle, passere scopaiole, luì piccolo,
lucherini, torcicolli e pettirossi; è possibile osservare nell’arco
dell'anno ghiandaie, tortore, upupe, averle piccole, codibugnoli, zigoli
neri, usignoli, rigogoli, cuculi, picchi muratori, picchi verdi, picchi rossi
maggiori, capinere, cinciarelle e cinciallegre, ed ancora, cardellini,
scriccioli e verdoni.
Querceto collinare
Tra i rapaci, è possibile osservare gheppi e poiane e, più elusivi, i gufi
comuni, gli allocchi, i barbagianni, le civette, mentre tra i piccoli
mammiferi abbonda il moscardino.
Più in generale nella fascia montana dei boschi provinciali sono diffuse
beccacce e colombacci mentre non manca il rarissimo gufo reale sul
massiccio del Matese e nella perimetrazione del Parco regionale
omonimo.
L'areale di caccia dei falconiformi è il territorio d'elezione della
coturnice meridionale. Un terreno elevato e pietroso al limite
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superiore del bosco dove la coturnice meridionale potrebbe nidificare
tra le rocce.
Purtroppo non è possibile stimare la consistenza numerica delle
popolazioni di coturnice meridionale, una specie in costante declino,
che può aver ricevuto seri danni genetici dalle passate introduzioni di
coturnice orientale. Anche in questo caso, come per la starna, è
auspicabile un intervento diretto alla conservazione della specie.
Di particolare interesse faunistico è il versante settentrionale dei Colli
Tifatini, custode di una quindicina di sorgenti alcune delle quali sedi di
specie assai interessanti della cosiddetta fauna minore. L'aspetto
vegetazionale tipico delle fonti si compone nel piano erbaceo e
arbustivo di equiseto, Orchis italica, ginestra, biancospino, Smilax
aspera e felci, il tutto immerso tra le roverelle, i lecci, i carpini e le
farnie del piano dominante.
Le specie animali più importanti si riassumono nella salamandrina
dagli occhiali (Salamandra terdigitata), nel tritone italiano (Triturus
italicus) e nel granchio d'acqua dolce (Potamon fluviatile). La
salamandrina dagli occhiali ed il tritone italiano sono specie esclusive
della parte peninsulare del nostro Paese; la salamandrina, in
particolare, è esclusiva del solo versante tirrenico. Tanto basti a
sottolineare l'importanza di azioni volte alla salvaguardia di questo
raro patrimonio genetico.
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Gli ambienti boschivi sono peraltro assai interessanti dal punto di vista
venatorio per la presenza, talvolta sovrabbondante, del cinghiale e per
la possibilità di reintroduzione del daino e del capriolo.
2.6 Gli ambienti umidi
La pianura casertana è una terra di bonifica. Delle sue origini umide
rimangono tracce caratterizzate da un'alta valenza faunistica ed
ambientale.
L'elenco, che riprende integralmente la suddivisione in unità di
rilevamento dell'avifauna acquatica suggerita dall'I.N.F.S., comprende:
• il sistema dei laghi naturali ed artificiali del Medio Volturno: il lago
di Capriati, il lago di Presenzano, il lago di Vairano, la traversa di
Ailano, la traversa di Capua;
• tutto il litorale tirrenico suddiviso nei tratti: (a) dall'idrovora
Minturno a Torre di San Limato, esclusa; (b) da Torre di San
Limato al Canale Agnena, escluso; (c) dal canale Agnena alla foce
dei Regi Lagni, esclusa, compreso il tratto del fiume Volturno tra il
ponte di Castelvolturno della S.S. 7 alla foce ed i pantani dei
Variconi; (d) dalla foce dei Regi Lagni ad Ischitella Lido, compreso
il porto del Villaggio Coppola;
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• tutto il Basso Volturno suddiviso nei tratti dal ponte di Grazzanise
al ponte di Arnone e dal ponte di Arnone al ponte di Castelvolturno
sulla S.S. 7;
• il Canale dei Regi Lagni dal ponte della ferrovia di Villa Literno fino
alla foce, esclusa;
• la Bonifica del Canale di Vena incluse le cave ed i chiari da caccia;
• il Lago di Falciano del Massico;
• il gruppo dei laghi matesini: il lago del Matese, il lago di Gallo ed il
lago di Letino.
Le zone più interessanti ricadono sicuramente sul litorale tirrenico,
confine d'ingresso sul continente europeo dell'avifauna migratrice del
Paleartico occidentale. Qui l'avifauna si presenta ricca ed abbondante
e si concentra gran parte della caccia praticata ai migratori.
Nel tratto compreso tra il lago Patria e la foce del Volturno,
nelle immediate vicinanze della superstrada 7 quater che corre
parallelamente al mare, si contano almeno un centinaio di invasi
artificiali. La loro estensione varia dalle poche centinaia di metri
quadrati alle decine di ettari e la loro profondità è compresa tra pochi
centimetri ed alcuni metri. La loro utilizzazione è legata all'irrigazione
e all'estrazione di sabbia ma lo scopo è anche venatorio. A stagione
venatoria terminata quest'area diviene un'importante zona di sosta
per Ardeidi e Caradriformi.
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Il livello d'acqua salmastra presente nei bacini artificiali si mantiene
sufficientemente costante durante tutto il periodo della migrazione
primaverile; ciò consente, dove l'acqua si mantiene pulita, la presenza
di piccoli crostacei, e di numerose larve di ditteri che si concentrano in
innumerevoli piccole pozze, rappresentando un'importante fonte di
cibo. Spesso sono stati osservati stormi di 2.000-3.000 limicoli (per lo
più piovanelli, gambecchi e combattenti) alimentarsi, anche durante le
ore diurne, in vasche di modesta estensione.
In questa zona spicca lo stagno salmastro dei Variconi sulla riva
sinistra della foce del fiume Volturno. L'area palustre, oggi compresa
nella riserva regionale Foce Volturno e Costa di Licola, non è molto
vasta ma si presenta assai ricca di uccelli in ogni stagione dell'anno.
Sono sempre numerose le folaghe, i gabbiani ed alcuni silvidi di palude
come il beccamoschino e l'usignolo di fiume. In inverno negli specchi
d'acqua salmastra retrodunali sostano diverse anatre, tuffetti e
gabbianelli mentre, nel canneto, sono numerosi i migliarini di palude e i
luì piccolo; interessante è la piccola popolazione svernante di
pettazzurri. Sul mare si osservano facilmente, oltre ai numerosi
gabbiani reali e comuni, zafferani, cormorani e sule. In primavera ed
autunno transitano rondini di mare, beccapesci, mignattini, aironi rossi
e cenerini, garzette, sgarze ciuffetto, falchi di palude, chiurli,
cavalieri d'Italia. Nidificano gallinelle d'acqua, folaghe, porciglioni,
cannareccioni, ballerine bianche, verzellini e molti altri piccoli uccelli.
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Naturalmente le profonde trasformazioni ambientali successive alla
bonifica hanno notevolmente ridotto le possibilità di sosta per molte
specie migratrici, ma ciò non significa che l'area non venga più
attraversata da forti flussi migratori; le rotte migratorie sono
geneticamente determinate e la costa tirrenica viene utilizzata come
linea guida nei movimenti da e verso l'Africa settentrionale. Pertanto
ogni ambiente idoneo lungo questo itinerario viene sfruttato dagli
uccelli in migrazione.
Lungo il Basso corso del Volturno, fiume principale dell'Italia
meridionale ed esso stesso rotta di migrazione, a partire dal sito più
occidentale, la traversa di Capua, si osservano di passo i cormorani, i
falchi di palude ed i falchi pescatori.
Qui è facilissimo osservare le garzette, i tarabusini, i martin
pescatore, gli svassi maggiori ed i loro piccoli, gli aironi cenerini ed i
più rari aironi rossi. Né mancano i mignattini, le folaghe, i piro piro
piccoli, la nitticora e la pittima reale.
Talora la fortunata coesistenza degli ambienti umidi e di quelli boschivi
fornisce l'ecotipo adatto alla vita dei nibbi bruni.
Il Lago del Matese è invece il maggiore del sistema lacustre degli
altipiani. Si tratta di un bacino di origine carsica posto a 1.011 metri di
quota che si estende per circa 5 kmq.
Qui in inverno la presenza dell'avifauna è piuttosto scarsa, ma si
possono quasi sempre osservare tuffetti, alzavole ed altre anatre;
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in primavera e in estate arrivano invece gli svassi maggiori, le
gallinelle d'acqua, cannareccioni, fanelli, averle piccole, quaglie,
cutrettole, zigoli gialli e strillozzi.
26
3 Istituti faunistici di protezione
Negli ultimi anni si è andato delineando un ruolo sempre più importante
dei Parchi Naturali Regionali nel sistema delle aree protette della
Provincia e di tutto il resto del suo territorio: oggi i Parchi hanno
assunto l’aspetto di una vera e propria rete organica.
Rispetto ad altre zone di protezione, indubbiamente i Parchi, per la
loro natura, per le loro dimensioni medio-grandi e grazie agli strumenti
di regolamentazione che disciplinano le molteplici attività che
all’interno di ogni singola area protetta si svolgono, riescono a
garantire una forma di tutela ambientale più completa nei confronti
degli habitat naturali e delle comunità vegetali e animali, oltre ad
offrire forme di fruizione più ampie.
La Regione Campania ha istituito sul territorio provinciale tre parchi e
due riserve naturali regionali che interessano estensioni più o meno
vaste della Provincia di Caserta, per un totale di Ha 36.753,40 così
individuati:
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Denominazione Superficie Area di rispetto
* Parco regionale del Matese Ha 25.061,59 Ha 693,00
* Parco regionale di Roccamonfina - foce Garigliano
Ha 8.704,83 Ha 1.538,00
* Parco regionale del Partenio Ha 1.914,98 Ha 231,00
* Riserva naturale della Foce Volturno e costa di Licola
Ha 960,00
* Riserva naturale del Lago di Falciano e la Riserva naturale della foce Volturno
Ha 112,00
3.1 Parco regionale del Matese
Il territorio
L'area del Parco è stata suddivisa in tre zone denominate "A", "B" e
"C". La zona "A" è area di riserva integrale, la zona "B" è area di
riserva generale, la zona "C" area di riserva controllata.
Il territorio del Matese è costituito da una catena di monti
prevalentemente calcarei situati tra Molise e Campania. E’ un territorio
ricco di luoghi selvaggi, popolati da Lupi e Aquile reali, paesaggi dolci,
con laghi dalle acque azzurre in cui si specchiano le cime delle
montagne, centri storici originali e ottimamente conservati, tanta
storia, fatta anche dei rapporti sempre tesi tra Romani e Sanniti,
prodotti tipici genuini, unici e saporiti.
28
Il Parco occupa un’area di 33.326,53 ettari, di cui 25.061,59 ettari
ricadenti nella provincia di Caserta, lungo un’asse Nordest-Sudovest,
che dalle valli dei fiumi Lete e Sava, corre per circa 50 km fino alla
valle del Fiume Tammaro, in provincia di Benevento.
I comuni casertani ricadenti nel parco sono: Ailano, Alife, Capriati
al Volturno, Castello del Matese, Fontegreca, Gallo Matese, Gioia
Sannitica, Letino, Piedimonte Matese, Prata Sannita, Raviscanina,
Sant’ Angelo d'Alife, San Gregorio Matese, San Potito Sannitico, Valle
Agricola.
Questo allineamento è seguito anche dalle principali montagne: i Monti
Miletto, Gallinola e Mutria. Ciò influisce sulle caratteristiche
climatiche del territorio, che, nelle zone in quota, rappresenta l’ultimo
baluardo del clima continentale, mentre le zone più basse, esposte ai
venti caldi che giungono dalle coste mediterranee della Campania, si
caratterizzano per la presenza di paesaggi mediterranei, fatti di
uliveti, leccete, cipressete e macchia mediterranea. Questa vicinanza
geografica di due aree climatiche diverse ne fa uno dei luoghi più ricchi
di biodiversità dell'Appennino meridionale. La ricchezza dei pascoli, in
particolare, ha permesso un notevole sviluppo della pastorizia che,
insieme all’agricoltura ed allo sfruttamento dei boschi, ha
rappresentato nel passato la principale fonte di reddito delle
popolazioni dell’area.
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Il Lago del Matese
La catena dei Monti del Matese rappresenta il primo fronte
dell'Appennino meridionale, con la cima del M. Miletto, situato nel
versante molisano, quale vetta più alta con i suoi 2.050 metri sul livello
del mare. Ma la catena montuosa è costellata da tante altre vette, di
minore altezza (Gallinola, Monte Mutria, Monte Pranzaturo, ecc.),
conche e laghi carsici quali il Lago del Matese posto a 1.011 metri sul
livello del mare, che è il lago carsico più alto d’Italia. Numerosi gli
invasi artificiali: le Mortine, sul Volturno, il Lago di Gallo, il Lago di
Letino.
La Flora
Il patrimonio forestale del Matese è di notevole entità ed in buona
parte di antica origine. Il versante campano è caratterizzato
soprattutto dalla presenza di faggi: il Fagus italica è l'essenza tipica
oltre i 900-1000 metri. Le faggete del Matese campano rappresentano
30
il 16% delle faggete della intera Regione Campania. Nella fascia sub-
montana, le essenze arboree più diffuse sono: Cerro (quercus cerrus),
Farnia (quercus farnia), Roverella (quercus pubescens), acero (acer
campestre), Carpino nero (Ostrya Carpinifolia). Abbastanza comune
nelle quote alte, associato al faggio, è l'agrifoglio (ilex aquifolium), più
raro il Tasso (taxus baccata). Sui prati e nelle radure di trova una
cospicua flora, nella quale sono rappresentate tutte le specie tipiche
dell'Appennino: tra le composite, spiccano per quantità e varietà i più
disparati generi di cardo, tra i quali è caratteristico, sui pascoli
montani, la Carlina acantifolia, che potrebbe ben assurgere a simbolo
del Parco. Tra le essenze note per proprietà farmacologiche, la
Digitalis nelle varietà Ferruginea e Lutea, la genziana cruciata,
l'Atropa belladonna, l'Achillea millefolia, l'Arnica. Tra le orchideacee
spontanea, varie specie dei generi Dactyloriza, Orchis, ophris,
platanthera; nelle faggete, da segnalare la Cephalantera rubra e le
poco comuni Epipactis Helleborine ed Epipactis longifolia.
La Gallinola
31
La Fauna
Benché siano purtroppo scomparse specie tipiche dell'areale appeninico
quali l'orso (del quale vi è ricordo in numerosi toponimi), ricca e varia è
la presenza di fauna, grazie alla ricchezza degli habitat, costituiti da
zone rocciose, estesissime aree di vegetazione arborea, zone umide
quali laghi e torrenti. Tra i mammiferi va senz'altro compreso il Lupo,
con presenze costantemente accertate. La comune fauna appenninica è
rappresentata in particolare da martora, lepre, ghiro, tasso, scoiattolo,
donnola; è segnalato il gatto selvatico.
Lupo (Canis lupus)
Segnalata ma non accertata la presenza della lontra nell'alto corso di
alcuni torrenti. Frutto di ripopolamenti, si sono diffusi il cinghiale, il
capriolo ed è presente in alcune località il daino. Tra i rettili
l'orbettino, la biscia d'acqua, il biacco, la vipera aspis. Tra gli anfibi
l'ululone da ventre giallo, il tritone crestato. L'avifauna vede nella zona
del Matese concentrato il numero più elevato di osservazioni riguardo
32
la presenza di uccelli nidificanti nella Campania. E' certa la presenza di
almeno una coppia nidificante di Aquila reale. Numerosi i rapaci, tra i
quali spiccano perché meno comuni il Nibbio reale e il Gufo reale. Nei
torrenti è presente tuttora una fauna acquatica autoctona
rappresentata soprattutto dalla trota e da alcune varietà di crostacei.
Una straordinaria varietà entomologica comprende tra l'altro un
nutrito elenco di lepidotteri, emitteri, coleotteri che popolano i vari
habitat. Gli artropodi comprendono tra l'altro ragni abitatori di grotte,
di raro ritrovamento.
Nei boschi è particolarmente frequente il Picchio rosso minore
(Dendrocopos minor). La presenza degli specchi d'acqua fa sì che il
birdwatching possa essere molto fruttuoso per la presenza di
nidificanti come Svasso maggiore (Podiceps cristatus), Tarabusino
(Ixobrychus minutus), Moretta tabaccata (Aythya niroca) e Germano
reale (Anas platyrhinchos). Durante i passi si avvistano anche Airone
bianco maggiore (Casmerodius albus), Cicogna bianca e Cicogna nera
(Ciconia ciconia, C.nigra), Falco di palude (Circus aeruginosus),
Combattente (Philomacus pugnax) e Marzaiola (Anas querquedula). In
inverno diverse specie di anatre cercano rifugio tra i chiari nei canneti.
Ed ancora va ricordata la presenza nel Parco della Salmandrina dagli
occhiali (Salamandrina terdigitata).
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3.2 Parco regionale Roccamonfina e Foce Garigliano
Il territorio
Il Parco ha una estensione di 8.704,83 ettari ed interessa i comuni di
Sessa Aurunca, nella zona collinare e costiera, Teano e cinque comuni
facenti parte della Comunità montana di Monte Santa Croce:
Roccamonfina, per l'intero territorio, parzialmente Marzano Appio,
Conca della Campania, Galluccio e Tora e Piccilli.
Ubicazione del Parco
L'area del Parco è stata suddivisa in tre zone denominate "A", "B" e
"C". La zona "A" (area di riserva integrale) è a tutela integrale, la zona
"B" (area di riserva generale) è orientata alla protezione, la zona "C"
(area di riserva controllata) prevede la riqualificazione dei centri
urbani e la loro promozione economica e sociale.
L'intera area è dominata dal vulcano spento di Roccamonfina ed ha
come limite geografico il fiume Garigliano. Il corso del fiume ha
scavato il suo alveo fluviale tra i terreni vulcanici del Roccamonfina ed
i terreni calcarei dei Monti Aurunci.
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Il Vulcano di Roccamonfina è il più antico apparato vulcanico della
Campania, con le attuali dimensioni di 450 kmq, in planimetria, è il
quarto vulcano d'Italia ed il quinto per altitudine (1.006 m.).
Strutturalmente assomiglia molto al Vesuvio, ma ne è molto superiore
per dimensioni avendo un diametro di oltre 15 km, e possiede una
cerchia craterica esterna di circa 6 km di diametro al cui interno si
trovano i coni vulcanici del Monte Santa Croce e del Monte Làttani,
formatisi in epoche successive.
Il Vulcano di Roccamonfina
Flora
La vegetazione dell'area in cui si estende il Parco, a partire da circa
400 m., è caratterizzata dalla presenza massiccia di "frutteti da
castagno" (Castanea sativa) e da boschi cedui. Sulla sommità del Monte
La Frascara (933 m), fustaie di castagno ricoprono una zona di
notevole valore archeologico denominata "Orto della Regina". Il bosco
di castagno associato spesso a cerro (Quercus cerris) ed acero (Acer
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acer), riveste le pendici del Monte Santa Croce e l'intera zona del
Parco fino a Conca della Campania ed in direzione di Marzano Appio
fino a Teano.
Se la flora arborea è piuttosto omogenea, il sottobosco diviene,
durante il periodo primaverile, una esplosione di colori con crochi
(Crocus vernus), bucaneve (Galanthus nivalis), primule (Primula
primula), anemoni (Anemone virnalis), viole (Viola viola) e, sul finire
della stagione primaverile, le orchidee (Orchis orchis).
Particolare menzione merita la presenza di funghi, soprattutto porcini
(Boletus edulis) ed ovoli (Amanita caesarea), che, nonostante la
limitazione imposta dal comune di Roccamonfina, vengono raccolti
senza riserve.
A quote meno elevate, fino a circa 400 m. le associazioni vegetali del
bosco di leccio (Quercus ilicis) hanno ormai, a causa della forte
pressione antropica, lasciato il posto alla tipica alleanza delle
coltivazioni a oliveti (Olea europaea) ed a vigneti (Vitis vinifera).
La macchia mediterranea è presente con forme arbustive come il
corbezzolo (Arbutus unedo), il mirto (Myrtus communis), l'erica
arborea (Erica arborea) ed al limite della zona di macchia e boschetto
misto, costituito da roverella (Quercus pubescentis) e cerro (Quercus
cerris), è presente il sorbo (Sorbus sorbus) molto diffuso in queste
zone.
36
L'intera zona, dove il terreno è privo di coltivazioni, è ricoperta da
arbusti di ginestra (Cytisus scoparius) e da cisto (Cistus sp.). Solitario
si staglia qualche pino (Pinus marittima) mentre riuniti in piccoli
boschetti spuntano i pioppi (Populus sp.).
Fauna
I principali aspetti della fauna locale sono comuni a molte zone collinari
e di bosco sub-montano della Campania. I monti di Roccamonfina,
caratterizzati da zone boschive, presentano come tipici esponenti
dell'avifauna: il cuculo (Cuculus canorus), il picchio (Dendrocopus sp.),
la poiana (Buteo sp.), il gheppio (Falco tinniculus), la civetta (Athene
noctua), l'allocco (Strix aluco), il gufo comune (Asia otus).
Nelle zone collinari sono presenti: il merlo (Turdus merula), il corvo
(Corvus frugilegus), la gazza (Pica pica), il tordo (Turdus ericetorum) e
molte specie di passeriformi.
Tra i mammiferi troviamo: il riccio (Erinaceus europaeus), la lepre
(Lepus europaeus), il tasso (Meles meles), il toporagno (Sorex sorex),
la volpe (Vulpes vulpes), la faina (Martes foina), la donnola (Mustela
nivalis). Tra i rettili è molto diffusa la vipera comune (Vipera aspis), la
vipera dell'Orsini (Vipera ursinii), l'orbettino (Anguis fragilis), il
pasturavacche (Elaphe quatuorlineata).
Tra gli invertebrati si nota la massiccia presenza di Ortotteri,
Coleotteri e di Imenotteri.
37
3.3 Parco regionale del Partenio
Il territorio
Il Parco ha una estensione di 1.914,98 ettari ed interessa i comuni di
Arienzo, nella zona collinare, e San Felice a Cancello.
Con lo stesso criterio adottato per gli altri due parchi, anche l’area del
Parco regionale del Partenio è stata suddivisa in tre zone denominate
"A", "B" e "C". La zona "A" (area di riserva integrale) è a tutela
integrale, la zona "B" (area di riserva generale) è orientata alla
protezione, la zona "C" (area di riserva controllata) prevede la
riqualificazione dei centri urbani e la loro promozione economica e
sociale.
Ubicazione del Parco
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Il massiccio del Partenio occupa una posizione centrale nell'ambito
della Campania, rappresentando un interessante prolungamento verso
occidente dell'Appennino meridionale nel cuore della "Campania felix
dei romani".
La vegetazione e la flora
Alle quote basse il massiccio è caratterizzato dalle colture della vite,
dell'olivo e del nocciolo. A monte delle aree agricole si estendono, fino
a 900 m slm, i boschi cedui di castagno. Al di sopra, fino alle vette,
dominano le faggete (con sporadica presenza di aceri, ontani
napoletani, carpini) interrotte solo dai pianori carsici. Nel sottobosco
sono presenti tassi ed agrifogli.
Il Massiccio del Partenio
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La fauna
Nonostante l'elevata antropizzazione la fauna del Partenio è ancora
ricca: la salamandrina dagli occhiali, la salamandra pezzata gigliolii, il
tritone italico ed il tritone crestato, la testuggine palustre europea.
Tra gli uccelli importanti sono i rapaci, come il minacciatissimo falco
pellegrino, e gli strigiformi rappresentati dal sempre più raro gufo
reale. La martora ed il tasso sono tra i mammiferi maggiormente
presenti. Segnalazioni sono state registrate attestanti la presenza del
lupo appenninico.
3.4 Le Oasi di protezione
La legge nazionale n. 157/92 all'articolo 10 destina le oasi "al rifugio,
alla riproduzione e alla sosta della fauna selvatica"; la L.R. n. 8/96
(art.12) sottolinea il loro ruolo anche ai fini di una più generale
"sopravvivenza di specie faunistiche in diminuzione e a garanzia
dell’integrità ambientale dei territori di particolare valore
naturalistico".
Le oasi hanno sempre avuto un ruolo importante nella tutela di
particolari emergenze faunistiche (specie o popolazioni in declino
numerico, con areale in contrazione o frammentato). In passato sono
state propedeutiche alla realizzazione di altri istituti di protezione
quali parchi e riserve naturali, facendosi carico di situazioni ambientali
40
e faunistiche bisognose di immediati provvedimenti di salvaguardia
anche parziale.
Il criterio guida nella scelta, oggi, deve essere essenzialmente
rappresentato dal valore faunistico dell'area. Nel caso soprattutto di
uccelli migratori in zone umide ed eventualmente in aree di passo, le
oasi possono essere anche di dimensioni limitate. E' importante che
tutto il sistema di zone protette risponda ad un unico globale disegno
di tutela, con una distribuzione strategica delle oasi e degli altri
istituti di protezione all'interno dei comprensori a formare una rete
organica.
E' del tutto evidente che il regime di protezione accordato ad un'area
in virtù di alcune emergenze faunistiche, si ripercuote positivamente
sull'intero ecosistema.
L'entrata in vigore dei Parchi e delle Riserve regionali ha rivoluzionato
la precedente geografia delle aree protette in Provincia di Caserta.
L'Oasi del Lago di Gallo rientra integralmente nel Parco regionale del
Matese mentre la zona naturalisticamente più interessante dell'area
dei Variconi rientra nella Riserva naturale regionale della costa di
Licola e della foce del Volturno unitamente all’Oasi naturale del Lago di
Falciano sempre di istituzione regionale.
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Gruppo dei laghi matesini
Lago del Matese
Lago di Gallo
Lago di Letino
Incastonato in un paesaggio affascinante, in cui si specchiano due tra
le più interessanti vette del Parco, il Monte Miletto e la Gallinola, il Lago
del Matese è assolutamente splendido. Esso si raccoglie nel fondo di
una grande fossa, lunga otto chilometri e larga poco meno di due, ai
piedi delle alte vette circostanti ed è alimentato dalle acque derivanti
dallo scioglimento delle nevi del Miletto e della Gallinola e da sorgenti,
alcune delle quali sono perenni.
Vari inghiottitoi di tipo carsico smaltivano, fino a mezzo secolo fa,
l'eccesso delle sue acque; la costruzione di una diga, realizzata nel
1923 dalla Società Meridionale di Elettricità, ha isolato questi scarichi
naturali, trasformando in un unico bacino gli acquitrini che occupavano
in precedenza la piana e facendo salire il livello del lago di circa tre
metri. In seguito a questa operazione la superficie media dello
specchio d'acqua è passata da tre a cinque chilometri quadrati, mentre
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la profondità massima raggiunge ora i dieci metri. Il bacino è in parte
invaso da vegetazione palustre in cui è facile scorgere marzaiole,
folaghe, oche, germani reali e sono state segnalate anche cicogne e
fenicotteri rosa; tra le specie ittiche si segnalano trote, tinche, carpe,
lucci, persici. Per visitarlo meglio è possibile servirsi dei lontri, tipiche
imbarcazioni di uso locale.
Di notevole importanza e d'altrettanta bellezza naturale sono i laghi di
Gallo e di Letino, realizzati dalla Società Meridionale di Elettricità
sbarrando il corso dei fiumi Lete e Sava e vengono ancora oggi
utilizzati per scopi idroelettrici . Prima che fosse costruita l'alta diga
il fiume Lete si inabissava nel profondo e straordinario inghiottitoio
del Caùto e, durante la primavera, le sue acque formavano un vasto lago
che straripava, come una cascata, nell'erta e sassosa Valle delle Ravi.
Le acque dei due laghi ospitano trote, tinche, persici e anguille. Tutto
l'anno, ma soprattutto nei periodi estivi, sono presenti numerosi uccelli
acquatici, come marzaiole, germani reali, folaghe.
Il territorio, prevalentemente montuoso, è di straordinaria bellezza
con i suoi ampi boschi di faggio, quercia, acero e frassino. Non mancano
inoltre il biancospino, il nocciolo ed il prugnolo oltre a funghi, origano e
camomilla.
Per quanto riguarda la fauna, le specie più diffuse sono la lepre, la
volpe, la quaglia, lo storno, il tordo, la pernice, la beccaccia ed il
cinghiale.
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L’Oasi dei Variconi
Di grande interesse l’Oasi dei Variconi, nei pressi dell'abitato di Castel
Volturno, in riva sinistra della foce del Fiume Volturno, si estende una
delle ultime zone umide costiere della regione Campania. Nel piccolo
stagno salmastro, che misura circa 50 ettari, sono state censite circa
cento specie di uccelli migratori e stanziali che è possibile osservare
nel loro habitat naturale solo in particolari mesi dell'anno.
I Variconi
Dal punto di vista naturalistico l'area rappresenta un patrimonio di
enorme valore che va tutelato. A tal scopo è stata istituita già dal
1985 la riserva naturale Foce Volturno classificata come area di
interesse internazionale.
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Riserva naturale Lago di Falciano
La Riserva Naturale del Lago di Falciano può essere considerata una
zona umida alquanto rara all'interno del nostro paesaggio, se valutiamo
la sua collocazione a nord della Campania, nel territorio pianeggiante e
fertile anticamente conosciuto come "Ager Falernus".
Ubicazione del Lago di Falciano
Il bacino lacustre è di origine vulcanica ed è situato ad 1 Km dall’area
urbana di Falciano del Massico; ha una superficie di 64.000 mq ed un
perimetro di circa 1,4 Km; la sua larghezza media è di circa 300 m, la
profondità è di 3 m. Il lago è alimentato da una falda freatica
sotterranea.
Il lago ed i suoi dintorni offrono l’opportunità di osservare la flora
tipica di questa zona umida (simboleggiata dal Salix Alba o Salice
Bianco); inoltre troviamo l’Ontano nero e Pioppo nero misti a roveto e
cespugli. La vegetazione delle sponde è folta a tratti ed è
45
prevalentemente costituita da associazioni a Cannuccia, Tifa,
Coltellaccio e Falasco.
Il Lago di Falciano
E’ possibile inoltre osservare i più svariati tipi di uccelli e rapaci, sia
nidificanti che migratori (tra cui la Folaga, la Gallinella d'acqua, il
Porciglione, il Tarabusino, il Martin Pescatore, il Tuffetto, l'Airone
Cenerino, la Garzetta, il Picchio) ed alcune varietà di falchi, tra cui il
Falco di palude.
In generale lo scopo delle vecchie Oasi di protezione, ora trasformate
in altre aree protette, di assicurare il rifugio, riproduzione, sosta ed
alimentazione alla fauna selvatica viene attualmente comunque
garantito anche se, da un punto di vista amministrativo, la competenza
nella gestione è diversa. Non è infatti giustificata l’istituzione di
un’Oasi di protezione che non abbia i requisiti ambientali che
rispondano in ordine agli indicatori di vocazione del territorio quali
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l'integrità biocenotica, le specie emergenti, la presenza di habitat
sensibili e vulnerabili, l'attraversamento di linee migratorie e la
presenza di aree di svernamento.
L'integrità della biocenosi risulta essere un buon indicatore poiché,
dove questa è elevata, si prevedono buone condizioni ambientali per
assicurare la riproduzione di numerose specie. Ciò anche in relazione
all'esistenza di reti trofiche ben strutturate che soddisfino la
richiesta di risorse alimentari.
Tuttavia, indipendentemente dall'integrità biocenotica, risultano
indicate agli scopi per cui vengono istituite le Oasi di protezione anche
le zone in cui sono presenti specie emergenti, o dove ricadono habitat
sensibili e vulnerabili.
Infine risultano idonei quei territori ubicati lungo le direttrici di
migrazione o dove svernano numerosi individui o specie.
Dal punto di vista pianificatorio questa Provincia ha aggiunto all’Oasi di
protezione provinciale Basso Volturno “Salicelle” altre due oasi
denominate rispettivamente “Le Mortine” e “Gradilli”.
Denominazione Superficie Area di rispetto
Oasi “Gradilli” Ha 126,00 Ha 109,00
Oasi “Le Mortine” Ha 392,82
Oasi “Salicelle” Ha 374,33 Ha 139,97
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Oasi Basso Volturno “Salicelle”
Affidata in gestione alla L.I.P.U. con Deliberazione di G.P. n. 256 del
25.07.2000, per una superficie di Ha. 200, l’Oasi “Salicelle” posta a
monte di Ponte Annibale viene ampliata con il presente piano di
ulteriori Ha. 147,33 estendendosi quindi per complessivi 347,33 ettari,
interessando i comuni di Capua e Pontelatone. Posto di straordinaria
bellezza e rifugio di numerose specie di uccelli, nonché ricco di ogni
tipo di fauna.
Oasi “Salicelle”
Le acque calme delle rientranze del Volturno offrono l’habitat ideale
per numerose specie di pesci. Tra questi, la carpa, la tinca, la scadola,
l’alborella, l’anguilla e il cavedano che fanno parte delle specie
“indigene” originarie del fiume. Anche il luccio e lo storione oramai
estinti nella zona a causa dell’incontrollato fenomeno del bracconaggio.
Vi sono però altre specie alloctone (Gambusia, Pesce Gatto, Carassio)
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che hanno invaso di prepotenza la nicchia ecologica prendendo
definitivamente il dominio sulle altre specie e prolificano
abbondantemente per la mancanza di antagonisti naturali. In
particolare, la Gambusia, immessa nelle acque italiane molti anni or
sono per combattere la malaria portata dalle zanzare, si è moltiplicata
in modo impressionante. Le Gambusie, unitamente ai pesci gatto e ai
carassi, si nutrono prevalentemente delle uova delle carpe e delle
tinche.
Oasi “Le Mortine”
L’Oasi è ubicata sul Volturno tra i Comuni di Venafro (25 ettari) in
provincia di Isernia e Capriati al Volturno (392,82 ettari di nuova
istituzione).
Oasi “Le Mortine”
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Al suo interno ci sono sentieri natura, capanni per l'osservazione della
fauna, uno stagno didattico, un giardino botanico ed aree per la sosta
dei visitatori. L'intero comprensorio è da considerare, sia dal punto di
vista storico che paesaggistico, il limite settentrionale della Reale
Caccia Borbonica di Torcino e Mastrati.
E' una lanca fluviale artificiale lungo il fiume Volturno, creatasi in
seguito alla costruzione di uno sbarramento per la produzione
idroelettrica.
La vegetazione ripariale che un tempo avvolgeva il Volturno, oggi si
organizza solo in aree limitate in formazioni igrofile consistenti e
dotate di un buon grado di naturalità. In quest’area, interposta tra le
Mainarde ed il Matese, il Volturno penetra una fitta coltre boschiva
igrofila, frazionata dai suoi rami secondari che circoscrivono isole
impenetrabili dalle caratteristiche uniche nel corso del fiume.
Nella zona umida sono rappresentate le diverse formazioni della serie
ripariale: la vegetazione ad idrofite, ad elofite, la vegetazione di
greto, l’arbusteto ed il bosco igrofilo. Quest’ultimo è dominato dal
saliceto con la presenza del Salice da ceste, del Salice rosso dal Salice
bianco e dal Pioppo bianco; altro albero dominante è l’Ontano nero che
in un area del bosco va a costituire una tipica ontaneta, con strato
arbustivo dominato dal sanguinello, dal nocciolo, dal ligustro e dal
luppolo. Nei margini esterni più asciutti del bosco igrofilo compaiono
l’Orniello, l’Acero campestre, l’Olmo e qualche esemplare di farnia a
50
testimonianza delle antiche selve planiziali che si estendevano sulla
Piana di Venafro. Questo è un bosco allagato; frassini, olmi e più
all’interno grandi pioppi si specchiano in pozze d’acqua limpide create
dai rami minori del fiume che si sfiocca in una rete di corsi d’acqua e
risorgive variamente anastomizzati. Nei fossi e nei canali che tagliano
il bosco e negli specchi d’acqua effimeri è presente la flora
semisommersa formata da giunchi, nasturzi, veroniche e arbusti di
salice che ai margini del bosco colonizzano il greto opponendosi
all’erosione. Tracce degli antichi coltivi della Piana di Venafro sono
ancora presenti con antiche cultivar di noce, fico, olivo, prunastro,
perastro e melastro che sono disseminate ai margini del bosco.
La zona umida Le Mortine è intercalata in rotte migratorie secondarie
collegate ad ambienti umidi disposti in sequenza (Foce del Volturno,
zona umida di Ponte Annibale, Lago Matese, Lago dei Cigni di Ciorlano,
Lago di Falciano, Bosco igrofilo di Ripaspaccata, Serra del Lago di Colli
a Volturno, Sorgenti del Volturno, Lago di Castel San Vincenzo, Pantano
di Montenero Valcocchiara). Questa ubicazione favorisce la
frequentazione della tipica avifauna delle zone umide. Numerose le
anatre (Germano reale, Moriglione, Fischione, Marzaiola, Alzavola,
Mestolone, Moretta, Codone, che fanno la spola con il contiguo bacino
della Tenuta di Torcino), mentre molto rara è l’Oca selvatica. Gli aironi
sono rappresentati soprattutto dall’Airone cenerino, la cui figura
ieratica domina le acque calme della zona umida Le Mortine, più rara
nei periodi migratori è la presenza dell’Airone rosso; assai frequente è
51
l’appariscente Garzetta. Sporadico in primavera è il passo del Cavaliere
d’Italia. Parente stretto dell’onnipresente Folaga, il Porciglione, dal
verso stridente simile ad un grugnito, vive ai margini del canneto. Nel
bacino di regolazione ENEL nidifica lo Svasso maggiore, variopinto
uccello di lago, abilissimo pescatore. Tra i rapaci più frequenti nell’area
si annoverano il Nibbio bruno e la Poiana. Più rari il Nibbio reale,
l’Astore e lo Smeriglio.
Il canneto borda le ripide rive dell'invaso di regolazione e si sviluppa in
piccoli lembi nel bacino antistante lo sbarramento ENEL. Le specie
strettamente legate all'ambiente acquatico sono molto diversificate,
specialmente in inverno e durante le migrazioni.
Tra gli uccelli acquatici nidificanti sono presenti il germano reale, la
gallinella d'acqua, la folaga, lo svasso maggiore, il porciglione.
Tra gli svernanti, moriglione, mestolone, fischione, alzavola, marzaiola,
moretta, codone, airone cenerino, raffigurato nel simbolo dell'Oasi,
tarabusino, cavaliere d'Italia, airone rosso e garzetta; raramente l'oca
selvatica.
Molto comuni tra i rapaci il nibbio bruno, la poiana, lo smeriglio, il gufo
di palude mentre sono più rari il Nibbio reale, il Falco pecchiaiolo e
l'Astore.
Data l'abbondanza delle specie ittiche esistenti, è uno dei luoghi
preferiti dagli amanti della pesca.
52
Oasi “Gradilli”
L’Oasi, ubicata in agro del comune di Caserta, si estende per 126 Ha.
Il territorio è costituito in prevalenza da vegetazione cedua ed oliveti
intercalati da qualche radura e vigneto che rendono caratteristica
l’area. Esso è capace di ospitare presenze faunistiche migratrici e
stanziali autoctone che possono trovare colà rifugio e siti di
riproduzione.
L’area va conservata nella sua naturalezza associandosi pochi ma mirati
interventi tesi a renderla più funzionale e faunisticamente più vivibile.
53
4 Istituti faunistici di produzione
4.1 Le Zone di ripopolamento e cattura
Secondo la legge nazionale 157/92 (art. 10) questo istituto è deputato
"alla riproduzione della fauna selvatica allo stato naturale e alla
cattura della stessa per l'immissione sul territorio", come confermato
dall’art. 12 L.R. 8/96.
In altre parole le ZRC servono soprattutto a incrementare la
consistenza delle popolazioni naturali di alcune specie di interesse
gestionale, con produzione di esemplari adatti al ripopolamento (sia
attraverso la cattura e il rilascio in nuove aree, sia attraverso
l'irradiamento spontaneo derivante dalla dispersione).
Perché l'obiettivo sia pienamente raggiunto, è necessario scegliere con
grande attenzione le aree da sottoporre a questo tipo di tutela.
Innanzitutto le aree devono possedere caratteristiche ambientali
adatte alle specie da incrementare, devono cioè possibilmente ricadere
per la maggior parte in aree classificate ad elevata idoneità ambientale
dalla Carta delle Vocazioni.
E' indispensabile che le dimensioni di ciascuna ZRC siano commisurate
alle esigenze biologiche delle specie di indirizzo: questo significa, ad
esempio, che per il fagiano sono consigliabili superfici di almeno
500-700 Ha, per la lepre almeno 700-1.000 Ha.
54
Le zone devono avere forme compatte (basso rapporto perimetro-
superficie) con confini ben individuabili e sorvegliabili; non devono
comprendere strade troppo trafficate o altre forme di forte disturbo
antropico (aree urbanizzate, allevamenti, discariche, attività sportive a
pesante impatto); devono garantire costante disponibilità d'acqua.
Inoltre non dovrebbero contenere colture agricole particolarmente
suscettibili di danno (monocolture di mais, frutteti, vigneti ecc.); in
casi specifici è comunque opportuno valutare il rapporto costi/benefici
tra i danni arrecabili e il valore biologico della selvaggina prodotta.
In pianura e bassa collina si devono preferire aree con buona
diversificazione ecologica, strutturale e colturale e forme di
agricoltura poco impattanti (uso moderato di prodotti chimici ecc.).
In alta collina e in montagna, per contro, il coefficiente di boscosità
non deve essere troppo alto e i corpi boscati devono presentare
soluzioni di continuità, per evitare forti densità di cinghiale.
L'osservanza di questi criteri garantisce ZRC con buone produttività
potenziali e correttamente gestibili, ma è necessario un impegno
continuo per massimizzare il rendimento. Molto importanti sono
innanzitutto i miglioramenti ambientali (piantumazioni di siepi, filari
alberati, campetti con coltivazioni a perdere, sfalci negli incolti, ecc.
Inoltre la resa di una ZRC dipende da una pianificazione corretta delle
catture: prelievi non commisurati agli incrementi utili delle popolazioni
finiscono per pregiudicare la produttività delle annate successive.
Sarebbero quindi sempre necessari censimenti seri svolti secondo
55
metodiche standardizzate. Le stesse operazioni di cattura dovrebbero
essere accuratamente programmate e i dati riportati in apposite
schede accompagnate da una planimetria 1:25.000 della ZRC indicante
l'area effettivamente coperta durante la battuta. Un punto cruciale
rimane quindi la disponibilità e la partecipazione nel tempo di personale
volontario qualificato per le operazioni di cattura. Non va comunque
dimenticato il ruolo delle ZRC nella irradiazione naturale dei territori
circostanti, grazie ai meccanismi di autoregolazione demografica di
gran parte delle specie, che si traducono in dispersione e insediamento
nelle aree limitrofe.
Pertanto si individuano sul territorio provinciale sei Zone di
Ripopolamento e Cattura (ZRC):
Denominazione Ha Comune
− Carditello 822,28 San Tammaro
− M. Alifano 1.288,00 Caiazzo - Castel Campagnano
− Torcino 828,00 Ciorlano
− Selvapiana 1.487,00 Alvignano – Dragoni - Alife
− Teanese 1.143,00 Teano - Caianello
− Vairanese 1.072,00 Vairano – Riardo – Pietramelara - Pietravairano
Totale 6.640,28
Lo scopo di queste strutture è di far riprodurre la fauna selvatica
stanziale, per poi prelevare individui da immettere sul territorio ai fini
della ricostituzione e della stabilizzazione della densità faunistica
56
ottimale. Pertanto, anche in questo caso, l’integrità delle biocenosi è un
buon indicatore di vocazione.
Tuttavia, data l’attenzione rivolta verso alcune specie di interesse
venatorio, si è ritenuto di dover integrare tale informazione con la
presenza di specie di interesse venatorio e con la presenza di ambienti
idonei ad ospitare tali specie.
4.1 La Z.R.C. Carditello
Real sito di Carditello
Carditello è una piccola frazione in tenimento del comune di
S. Tammaro, a sud di Capua. La sua importanza è legata alla palazzina
progettata dall'architetto Francesco Collecini su disegni eseguiti con
la supervisione di Luigi Vanvitelli, all'epoca impegnato nella costruzione
57
della Reggia di Caserta. La palazzina doveva servire ad accogliere il re
ed i membri della famiglia borbonica che avevano acquistato il fondo
per l'esercizio della caccia. Il complesso di Carditello si estende per
circa 300 metri di lunghezza ed è costituita da una palazzina centrale
e due corpi di fabbrica laterali. Attualmente, il sito reale di Carditello
ospita il Museo della civiltà contadina.
Real sito di Carditello
Il territorio, prettamente pianeggiante, è caratterizzato da
coltivazioni varie di ortive, foraggere e frutticole, ricco di risorse
idriche alimentate da falde superficiali.
L’habitat é idoneo all’insediamento di fagiani e lepri. Nei periodi
primaverili vi stazionano e nidificano numerose quaglie.
Nel periodo autunnale stazionano anche migratori come tordi, allodole
e diverse specie di acquatici, alzavole, germani reali, pivieri, codoni.
58
4.2 La Z.R.C. M.Alifano
La zona di ripopolamento e cattura, vasta 1.288 ettari, si estende tra i
comuni di Caiazzo e Castel Campagnano, confinando con la provincia di
Benevento.
La morfologia del territorio si presenta con colline di media altitudine
non superiore ai 300 metri, fra le quali si estendono piccole vallate
coltivate prevalentemente ad erbai intercalari di oglietto e avena
nonché superfici investite a cereali.
Monte Alifano
Il territorio è ricoperto per circa l’80% da vegetazione.
La vegetazione collinare è composta soprattutto da boschi di quercia e
ornello nonché da acacia infestate da rovi. Si trovano inoltre piccole
alture investite ad oliveti e sporadici vigneti.
La fauna presente sulla zona è costituita in prevalenza da quaglie e
fagiani nonché da migratori di passo, allodole, tordi e beccacce.
59
Nel periodo invernale le zone umide favoriscono la presenza di
numerose specie acquatiche quali beccaccino, alzavola e germano reale.
4.3 La Z.R.C. Torcino
Il luogo è un vero anfiteatro naturale contornato da colline, è un’oasi di
pace dove i cinghiali e altra selvaggina ancor oggi prolificano in un
ambiente ecologicamente intatto.
La bellezza del luogo è ulteriormente esaltata dalla sorgente posta al
centro di quest’anfiteatro e dal torrente che da essa prende vita.
Sorgente Reguglio
60
Qui, dove volutamente non sono stati mai effettuati interventi
antropici, si è sviluppato un ecosistema unico ed è per questo che
visitandolo dalle rive o con la barca a remi è possibile l’osservazione
degli animali selvatici nel proprio ambiente naturale.
Il territorio, esteso 828 Ha, comprende sia una considerevole
estensione di pianura sia una larga parte di montagna dando luogo a
boschi, campi coltivati, incolti cespugliosi, uliveti.
L’habitat ha una particolare vocazione per le specie di interesse
venatorio con presenza di luoghi ove meglio si realizzano le condizioni
di riproduzione e di rifugio dei selvatici, fagiani, starne, quaglie, merli,
ghiandaie, beccacce,lepri e cinghiali.
4.4 La Z.R.C. Selvapiana
La zona di ripopolamento e cattura, vasta 1.487 ettari, si estende
verso il Volturno abbracciando una porzione del Sito di Importanza
Comunitaria della “Media Valle del Fiume Volturno”, comprendendo
Colle Alto e il bosco della località Selvapiana del Comune di Alvignano.
La zona abbraccia boschi, corsi d’acqua e prati umidi rappresentando,
nello scenario ricco ed articolato, una zona adatta alla protezione di
61
parecchie specie di uccelli non tutti legati necessariamente alla
presenza del fiume Volturno. In particolare nella zona sono stati notati
il falco pescatore, il martin pescatore, l’airone cenerino, la garzetta, il
piro piro culbianco, la ghiandaia ed il codirosso mentre l’Atlante degli
Uccelli nidificati in Campania vi indica il nibbio bruno.
Il bosco di Selvapiana è un popolamento di farnetti e di cerri
arricchito dal biancospino, dal carpino bianco, dall’ acero e dall’ olmo
campestre e da un piano erbaceo composta da pungitopo e felci.
Qui il fiume Volturno scorre lento e con frequenti mutamenti dell’alveo.
La fauna minore comprende la rana agile ed il toporagno d’acqua mentre
nel letto del fiume sono stati ritrovati numerosi gusci di Odonta
cygnea.
Va inoltre considerata la possibilità di coinvolgere positivamente nella
gestione della zona di ripopolamento e cattura i conduttori dei fondi
realizzando colture a perdere, recinti di preambientamento temporanei
o definitivi, attraverso la stipula di apposite convenzioni.
4.5 La Z.R.C. Teanese
La zona di ripopolamento, estesa per 1.143 Ha, ricade quasi
interamente nel comune di Teano interessando una piccola parte di
quello di Caianello.
62
Il territorio presenta caratteristiche tipiche collinari di origine
vulcanica ove si riscontra la presenza di numerose selve castanili
nonché molti castagneti da frutto, noccioleti ed uliveti con abbondante
presenza di sottobosco costituito da felci.
Nella zona pianeggiante o pedecollinare la fanno da padrone i frutteti a
coltivazione intensiva di pesco, ciliegio, albicocco, susino e melo.
La fauna è costituita soprattutto da cinghiali, lepri e migratori quali
tordi e beccacce. E’ in forte crescita la presenza, già numerosa, di
ghiri che in zone limitrofe provocano ingenti danni alle colture, in
particolare al nocciolo e castagno, intaccando in modo consistente il
reddito familiare dei proprietari terrieri.
Per le sue caratteristiche ambientali l’habitat della ZRC Teanese si
presta all’immissione per la riproduzione della specie fagiano e lepre.
4.6 La Z.R.C. Vairanese
La zona di ripopolamento e cattura, vasta 1.072 ettari, si estende tra
le zone di Pietramelara, al confine di Pietravairano, e Riardo.
Il territorio, prevalentemente pianeggiante con insediamenti
zootecnici, si presenta coltivato a mais e erbai autunno vernili.
Le varie specie che compongono la vegetazione della ZRC Vairanese
sono quelle tipiche della flora mediterranea. Nella parte collinare,
maggiormente ricoperta di vegetazione arbustiva, si nota la presenza
63
di roverella, biancospino, carpino bianco, robinia e leccio. Quest’ultimo,
con la sua caratteristica di sempre verde, dà al territorio un aspetto
vivo per tutto il periodo dell’anno nonché rappresentando fonte di
nutrimento per molte specie che si cibano dei suoi frutti.
La Vairanese
La presenza di numerosi acquitrini in località Pantani favorisce la
presenza nei periodi maggiore passo di numerose specie acquatiche.
Tra queste si notano in particolare aironi, germani reali, garzette,
alzavole e altre specie tipiche palustri.
Tra i mammiferi sono presenti il cinghiale, il tasso, la martora, il
riccio, il toporagno comune, la talpa, il moscardino, il ghiro
l'arvicola ed il topo selvatico. Tra i carnivori: la volpe, la donnola e la
faina. Tra le numerose specie di uccelli, fra i più comuni ricordiamo la
poiana, il nibbio bruno, il gheppio, la civetta, il barbagianni, il cuculo,
picchio verde il picchio rosso, lo sparviero, la ghiandaia, gufo
comune, gazza, astore, merlo, beccaccia e molti passeriformi.
64
5 I Centri di produzione della fauna selvatica
I Centri privati di riproduzione della fauna, previsti dall’art. 10 della
L. n. 157/92, sono regolamentati all’art. 14 della L.R. n. 8/96.
I Centri privati di riproduzione della fauna possono produrre a fini di
ripopolamento esemplari appartenenti alle specie cacciabili, possono
essere realizzati su superfici non inferiori a 150 Ha. e devono
presentare caratteristiche tali da soddisfare le esigenze biologiche
delle specie prodotte.
Attualmente in Provincia di Caserta mancano centri pubblici di
riproduzione della selvaggina. Questa Amministrazione ha tuttavia in
animo la creazione di un Centro Pubblico provinciale di produzione della
selvaggina allo stato naturale conforme all'art. 13, comma 1, lettera b)
della legge regionale sulla caccia. A tale scopo l’Amministrazione ha già
individuato nel comprensorio di Bellona una superficie di circa 800
ettari. Per quanto riguarda gli allevamenti privati mancano statistiche
aggiornate di qualità e produttività. Il ritardo nel recepimento della L.
157/92 ha comportato ritardi nell'accertamento della consistenza e
del funzionamento di queste strutture. Questa materia è
integralmente soggetta ad un regime autorizzativo regionale. L'Ente
provinciale, sollecitato in tal senso, potrebbe fungere da cerniera tra
le strutture sparse sul proprio territorio e l'Ente regionale.
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6 Istituti per la cinofilia
6.1 Campi addestramento cani senza abbattimento di fauna
Ai sensi dell'art. 15 della L.R. n. 8/96, la Provincia, su richiesta delle
Associazioni venatorie e cinofili ovvero di imprenditori agricoli singoli o
associati istituisce, su terreni incolti o ad agricoltura svantaggiata,
zone destinate all’addestramento, l’allenamento dei cani da caccia ed
allo svolgimento delle gare e prove cinofili.
La relativa regolamentazione è stata stabilita con il DPGRC n. 627 del
22 settembre 2003 ai sensi del quale le zone di addestramento di cui
al precitato art. 15 potranno essere istituite esclusivamente in aree di
scarso interesse faunistico.
La costituzione di zone d'addestramento cani con fauna naturale è
disciplinata all'art. 15 della L.R. 8/96.
L'articolo fissa i criteri generali di attività e di collocazione delle
zone di addestramento. In particolare, viene interdetta l'attività
addestrativa nel periodo 1° maggio - 31 luglio.
L’estensione dei campi di addestramento non può essere inferiore ai
100 ettari ma possono confinare con Oasi di protezione, ZRC, Parchi e
Riserve naturali.
66
Le aree idonee alla costituzione di una zona di addestramento cani
vengono di norma identificate attraverso l'analisi di una molteplicità di
indicatori faunistici.
In generale è consigliabile collocare queste strutture in aree che non
rappresentino habitat sensibili e vulnerabili, aree non frequentate da
specie rare o minacciate, non attraversate da linee migratorie o zone
di svernamento e che, tuttavia, presentino caratteristiche idonee alla
proliferazione naturale delle specie di interesse venatorio.
Alle quattro zone di addestramento cani su fauna di allevamento senza
abbattimento, già esistenti:
località gestione estensione Ha
* Alife ANUU 288
* Alvignano Federcaccia 10
* Gallo Matese Federcaccia 242
* Mignano Monte Lungo Libera Caccia 243
Totale 783
questa Provincia intende, con successivo provvedimento, individuare
ulteriori due zone a gestione pubblica, per una superficie di circa
2.000 Ha, in funzione delle caratteristiche agricole dei terreni
(agricoltura svantaggiata) che le rendono idonee allo scopo ed in
considerazione della posizione geografica sul territorio provinciale che
consenta agli utenti di poterle agevolmente raggiungere.
67
6.1 Campi addestramento cani con abbattimento di fauna
Anche le Zone di addestramento cani con fauna di allevamento sono
regolate dall'art. 15 L.R. 8/96.
Si tratta di zone con estensione compresa tra i 3 ed i 15 ettari
collocabili a non meno di 500 metri da Oasi di protezione, ZRC, Parchi
e Riserve naturali, Centri pubblici e privati di riproduzione della
selvaggina, Zone di addestramento cani con fauna naturale, zone in cui
sono collocabili gli appostamenti fissi, valichi montani interessati da
rotte migratorie.
Le aree vocate all'istituzione di una Zona di addestramento su fauna
di allevamento sono identificate come al precedente paragrafo
riguardante le Zone di addestramento su fauna selvatica con la sola
differenza che non è necessaria l'idoneità ambientale ad ospitare
permanentemente specie d'interesse venatorio.
Nell’auspicio che queste strutture possano essere maggiormente
regolamentate saranno tenute presenti le richieste che impegneranno
zone e soggetti richiedenti che abbiano capacità e finalità per la
creazione di indotto economico e turistico per la valorizzazione
soprattutto del territorio provinciale.
In Provincia di Caserta operano undici zone di addestramento cani su
fauna di allevamento:
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località gestione estensione Ha
* Alife A.N.L.C. 3.13.10
* Alife ANUU 5.00.00
* Cancello ed Arnone F.I.D.C. 6.83.13
* Castelvolturno Italcaccia 5.25.43
* Castelvolturno ENCI 3.81.95
* Cellole F.I.D.C. 3.00.00
* Galluccio Impr.Agricolo 5.07.61
* Grazzanise Enalcaccia 3.00.00
* Mondragone Arcicaccia 3.00.00
* Piana di M.Verna A.N.L.C. 4.36.94
* Rocca d’Evandro Enalcaccia 10.00.00
Totale 52.48.16
69
7 Le aziende venatorie
E' la legge quadro nazionale n. 157/92 che, all'art. 16, introduce il
concetto di Azienda Venatoria, fissandone le norme per l'istituzione e
prevedendo per questo tipo di istituto, assieme agli altri ambiti a
gestione privata, uno sviluppo sul territorio fino al 15% della superficie
agro-silvo-pastorale.
Tale normativa distingue inoltre due fattispecie di Azienda con
caratteristiche e peculiarità particolari: quella "Faunistico Venatoria"
con prevalenti finalità naturalistiche e faunistiche che, attraverso
corretti programmi gestionali di conservazione e ripristino, valorizzi
aree ambientalmente già rilevanti e quella "Agri-Turistico-Venatoria",
ai fini di impresa agricola, concepita per fornire integrazioni di reddito
ad aziende ricadenti in aree di scarso rilievo faunistico e
caratterizzate da agricoltura svantaggiata.
Alle Aziende Faunistico Venatorie si chiede il rispetto di corretti piani
gestionali; alle Agri-Turistico-Venatorie per contro sono permessi per
tutta la stagione venatoria la liberazione ed il relativo abbattimento di
esemplari di fauna selvatica di allevamento appartenenti alle specie
cacciabili.
Poiché le Aziende Faunistico-Venatorie devono tendere a favorire
l'insediamento e la riproduzione naturale di popolazioni di fauna
70
selvatica, ciò può essere perseguito attraverso precisi programmi di
miglioramento ambientale ed una corretta pianificazione del prelievo,
dimensionato alle reali possibilità della popolazione. Se si considera la
valenza di questo istituto, é opportuno tendere inoltre all'applicazione
di tecniche agronomiche particolarmente attente alle finalità
naturalistiche, come ad esempio forme di agricoltura richiedenti
moderato ricorso all'impiego di fitofarmaci. Con questo tipo di istituto
non sono compatibili attività come la pesca sportiva a pagamento o
sport motoristici.
Le Aziende Faunistico Venatorie istituite sul territorio con Decreto
autorizzatorio della Regione Campania sono:
Azienda Comune Superficie Ha Specie
* Agnena Capua - Vitulazio Pastorano - Pignataro M. 480.64.61 Fagiani - Lepri
* Artemide Tora e Piccilli Conca della Campania 840.00.00 Fagiani - Lepri
* Incogna Mondragone - Carinola Cancello ed Arnone 505.95.85 Fagiani - Lepri
* Mastrati Pratella 720.00.00 Fagiani - Starne Lepri
* Monte Fossa
Pietravairano 311.00.00 Fagiani - Starne Lepri
* S. Uberto Carinola - Francolise 399.54.00 Fagiani - Lepri
* Santillo Teano 997.00.00 Fagiani - Lepri
Totale 4254.14.46
71
Le Aziende Agri-Turistico-Venatorie istituite sul territorio con
Decreto autorizzatorio della Regione Campania sono:
Azienda Comune Superficie Ha
Specie selvaggina
- Campanara Galluccio - Rocca D'Evandro 126.31.43 Fagiani - Starne Lepri
- Campania Felix Gallo Matese 336.10.09 Fagiani - Starne Lepri
- Campania Felix Ciorlano 716.02.47 Fagiani - Starne Lepri
- Serole Caiazzo - Ruviano 336.43.62 Fagiani - Starne Lepri
Totale 1514.87.61
72
8 Le zone in cui sono collocabili gli appostamenti fissi
In altre parti di questo documento si è sottolineata la forte
propensione dei cacciatori casertani verso la selvaggina migratoria.
In questo contesto è ragionevole distribuire il numero maggiore degli
appostamenti permessi nel territorio della Bonifica del Volturno.
Si tratta ovviamente di recepire integralmente le norme regionali che
prevedono un numero di appostamenti non superiore ad uno per ogni
3.000 Ha di superficie provinciale utile alla caccia.
Gli appostamenti inoltre non potranno essere ubicati a meno di 1.000
metri dalla battigia del mare né avere superficie inferiore ad un ettaro
per quelli destinati alla caccia agli acquatici. Dovranno essere posti a
distanza non inferiore a 400 metri dai confini di parchi e riserve
naturali, dalle oasi di protezione e dalle zone di ripopolamento e
cattura. Infine la distanza tra appostamenti non deve essere inferiore
a 500 metri.
A tale scopo la Provincia di Caserta ha emanato apposito regolamento
che disciplina la fase operativa degli appostamenti fissi.
73
9 I valichi montani interessati dalle rotte di migrazioni
Data la morfologia territoriale le vette si concentrano nel massiccio di
Roccamonfina e nel massiccio del Matese.
Il Lago Matese è in particolare una delle località d'inanellamento più
alte d'Italia. Qui sono state registrate le più alte frequenze regionali
per il Fanello ed il Cannareccione. Ad ogni modo il Lago del Matese è
inserito nella perimetrazione del Parco regionale del Matese ed esula
dalla presente pianificazione.
74
10 Il risarcimento dei danni alle produzioni agricole arrecati dalla fauna selvatica e dall’attività venatoria
La L. n. 157/92 prevede il risarcimento monetario del danno sulla base
dei fondi regionali istituiti all'art. 26.
Ai sensi del predetto art. 26 L.R. n. 8/96, comma 1, “Per far fronte ai
danni non altrimenti risarcibili causati alle produzioni agricole dalla
fauna selvatica, in particolare da quella protetta, e dall’attività
venatoria, è costituito un fondo regionale che annualmente la Giunta
ripartirà tra le Amministrazioni Provinciali in misura corrispondente
alla percentuale di territorio agro-silvo-pastorale di ciascuna”.
75
11 Incentivi per i miglioramenti ambientali a fini faunistici
11.1 Miglioramenti ambientali
Gli interventi sull'ambiente devono tendere ad accrescere il più
possibile la diversità ambientale e l'"indice di ecotono", cioè lo sviluppo
del margine tra micro-habitat differenti: alla lepre devono essere
garantite sia buone aree di alimentazione (colture foraggere e
cerealicole), sia buone aree e punti di rifugio (siepi, cespugli,
boschetti, prati incolti, fossi e scoline inerbite). Ovviamente non si
pensa di frenare l'evoluzione dell'agricoltura, ma di introdurre piccoli
interventi in grado di attenuare gli effetti negativi delle tecniche
agricole moderne sulla componente vegetale spontanea e sulla fauna. In
ogni caso una stretta collaborazione con gli agricoltori è indispensabile.
In pianura devono essere ripristinate le siepi, devono essere
conservati i margini erbosi dei campi e nel mezzo degli appezzamenti
dovrebbero essere preservate strisce non coltivate anche di
profondità limitata. I margini erbosi dei campi possono essere
migliorati, riseminando una fascia larga 3 m lungo tutto il perimetro del
campo con una miscela di graminacee; l'unica operazione ulteriore è lo
sfalcio periodico per favorire la presenza di erba tenera a disposizione
della lepre. Dove gli appezzamenti sono più estesi e occupati da colture
76
industriali (mais) è necessario predisporre veri e propri campetti con
coltivazioni a perdere.
In montagna vanno ripresi gli sfalci in alcuni prati incolti, vecchi campi
abbandonati; vanno praticate la trinciatura e il diradamento degli
arbusteti circostanti; talvolta vanno predisposti coltivi per selvatici,
riseminando campetti a perdere; nei boschi infine vanno aperte e
mantenute nel tempo piccole radure.
Inoltre va fatto uno sforzo per limitare le perdite sistematiche di
selvaggina indotte dalle tecniche agricole (operazioni di sfalcio e
trebbiatura, bruciatura delle stoppie, trattamenti generalizzati con
diserbanti e antiparassitari).
Sulla base dell’esperienza acquisita, vengono illustrati in maniera
sintetica i principali interventi di miglioramento ambientale a fini
faunistici che si ritiene opportuno stimolare nel prossimo futuro.
Pianura
Le azioni prioritarie riguardano il miglioramento o il ripristino degli
elementi di diversificazione del paesaggio rurale (maceri, piantate,
siepi, alberi singoli o in filare, boschetti, ecc.). Si tratta di
importantissimi siti di rifugio, di alimentazione e riproduzione per
molte specie.
77
Grande importanza assume la creazione o la conservazione di prati
polifiti permanenti. Si può trattare di semplici strisce erbose non
coltivate da lasciare ai bordi dei campi, lungo i fossi, le scoline, le
cavedagne (fasce marginali) o anche di interi appezzamenti, purché
caratterizzati comunque come fasce di separazione in mezzo ad aree
coltivate. Questi spazi agiscono come eccellenti aree di rifugio e sono
in grado di assolvere anche ad una funzione trofica. Vanno previsti
interventi quali lo sfalcio, la trinciatura e/o l'aratura superficiale con
cadenze annuali, da effettuarsi in periodi adatti. Interessanti zone di
rifugio e di alimentazione possono essere create anche incentivando
il mantenimento di stoppie alte di cereali al termine della
mietitrebbiatura. L’altezza delle stoppie andrebbe fissata in un minimo
di 20 cm da conservarsi preferibilmente almeno fino al 30 novembre.
Un obiettivo particolarmente ambizioso può essere individuato nella
messa a punto di strumenti operativi per stimolare azioni di
miglioramento ambientale che coinvolgono direttamente la progressiva
modificazione dei sistemi stessi di coltivazione. La frammentazione
graduale degli appezzamenti e il riaffermarsi delle rotazioni colturali
permetterebbe il ripristino di una perduta diversità agronomica che
garantirebbe aumenti considerevoli delle specie selvatiche di interesse
gestionale.
I metodi di lavorazione del suolo, per lo meno in alcune aree,
potrebbero subire progressive modifiche, con l'affermarsi delle
cosiddette "tecniche conservative". Durante le operazioni di raccolta
78
dei cereali e di sfalcio dei foraggi, sarebbe opportuno adottare misure
precauzionali specifiche per limitare la mortalità tra la selvaggina: le
lavorazioni, le operazioni colturali, dovrebbero partire dal centro del
campo con direzione centrifuga, la velocità dei mezzi dovrebbe essere
ridotta, così come sistemi di allontanamento della fauna (barre di
involo ecc.) dovrebbero essere fissati ai mezzi stessi.
Vanno infine segnalate alcune pratiche agricole sfavorevoli come l'uso
generalizzato di fitofarmaci e diserbanti su fossi, cavedagne, scoline,
cespugli, bordi dei campi che andrebbero limitate; gli sfalci della
vegetazione spontanea nei bordi delle strade, nei fossi e nei terreni
ritirati dalla produzione che non dovrebbero essere effettuati mai
prima della seconda metà di luglio; la pratica della bruciatura delle
stoppie che dovrebbe essere eliminata.
Collina e montagna
L’azione principale andrebbe concentrata nelle aree caratterizzate da
seminativi abbandonati dove favorire il mantenimento della diversità
ambientale attraverso la cura dei terreni impostata sullo sfalcio
almeno annuale della vegetazione erbacea con la conservazione di zone
cespugliate o alberate in una percentuale compresa tra il 10 ed il 30%.
Le operazioni vanno eseguite in tarda estate o a fine inverno per
evitare di disturbare la fauna.
79
Nelle aree a prevalenza di bosco, buoni risultati sono ottenibili solo a
medio-lungo termine. L'obiettivo principale è la creazione di boschi
disetanei con massima eterogeneità ambientale. Vanno previsti tagli a
raso di 1-4 Ha ben distribuiti sull'intera superficie forestale. Vanno
create radure permanenti piccole e grandi: ideale sarebbe una
presenza di 2 radure di circa 3 Ha ogni 100 Ha di bosco compatto.
All'interno delle fustaie vanno previste parcelle a ceduo fitto, ottime
aree di rifugio per molte specie nei periodi più delicati del ciclo
annuale. Estremamente importante risulta inoltre la piantumazione
delle essenze arbustive da bacca (curando che siano rappresentate
tutte le specie tipiche, con una buona distribuzione dei periodi di
fruttificazione) e di varietà rustiche e selvatiche di alberi da frutta.
Anche all'interno dei boschi possono essere previsti campetti a
perdere, colture "di dissuasione" capaci di distogliere cinghiale ed altri
animali dalle colture agrarie dei fondovalle trattenendoli in boschi.
Un intervento ritenuto interessante per tutte le zone è la
realizzazione di coltivazioni a perdere per integrare l'alimentazione
della fauna. Questa azione permette di offrire risorse trofiche
durante le stagioni avverse e di fronteggiare i periodi di improvviso
"vuoto alimentare" che possono determinarsi a seguito di estese
operazioni agricole (raccolta, lavorazione del terreno, fertilizzazione
ecc.). Questi risultati sono ottenibili attraverso la semina mirata di
miscugli formati da 2 o più specie di graminacee o leguminose oppure
ritagliando da campi normalmente coltivati fasce di terreno in cui non
80
eseguire la raccolta e le operazioni colturali immediatamente
precedenti (diserbo, concimazione, ecc.). L’uso di questa pratica
andrebbe comunque circoscritta a situazioni in cui si renda necessario
fronteggiare una evidente e ricorrente carenza di disponibilità
alimentare.
Per le azioni di miglioramento ambientale fin qui riportate verranno
messe a disposizione dei proprietari o conduttori di fondi agricoli,
mediante appositi bandi annuali, risorse economiche mirate. In
particolare, relativamente ai territori inclusi nel presente Piano ai fini
della gestione programmata della caccia verranno utilizzati i fondi
specifici in base a quanto previsto dal comma 1 dell’art. 15 della Legge
157/92.
Allo stato esistono numerosi strumenti legislativi che favoriscono
l'integrazione tra agricoltura, ambiente e fauna selvatica, in modo
particolare se si considera l'effetto "trainante" e stimolante delle
normative comunitarie. L'applicazione e la diffusione di misure di
miglioramento ambientale, tuttavia, può incontrare ancora notevoli
difficoltà in relazione a diversi fattori tra cui in particolare la
limitatezza dei fondi a disposizione, la natura economico-giuridica
dei beni ambientali e della fauna selvatica, i diversi interessi delle
categorie interessate.
81
11.2 Il ruolo dei produttori agricoli
I produttori agricoli rappresentano una delle categorie maggiormente
coinvolte nella realizzazione pratica dei miglioramenti ambientali.
Le sovvenzioni e gli aiuti previsti sono infatti rivolti soprattutto ai
proprietari o conduttori dei fondi agricoli. Ciò appare logico se si
considera che l'attività agricola si svolge su gran parte del territorio
agro-silvo-pastorale influendo in modo determinante sulle
caratteristiche del paesaggio, degli ecosistemi e degli habitat da cui
dipendono le specie selvatiche.
Dal punto di vista professionale inoltre, gli agricoltori risultano i più
adatti alla realizzazione degli interventi in questione dato che questi
ultimi consistono spesso in operazioni di gestione agraria dei terreni.
I problemi tuttavia sorgono in relazione agli obiettivi spesso
contrastanti tra produzione agricola e conservazione dell'ambiente. Un
tempo tali contrasti potevano considerarsi ridotti in quanto l'attività
agricola "preindustriale" e poco intensiva aveva uno scarso impatto
sull'ambiente. In seguito, con l'intensificazione delle produzioni,
l'aumento della meccanizzazione e la diffusione dei prodotti chimici, le
cause e le modalità d'impatto si sono moltiplicate mettendo in evidenza
condizioni di maggiore incompatibilità tra produzione e conservazione
della natura. Negli ultimi anni tuttavia tale evoluzione ha mostrato una
certa inversione di tendenza.
82
Nei paesi più sviluppati, la dinamica del settore agricolo, l'abbondanza
delle produzioni alimentari, l'aumento del benessere economico e del
tempo libero, hanno stimolato una modificazione dei rapporti tra
agricoltura e ambiente: si sono sviluppate tecniche di produzione eco-
compatibili, metodi di coltivazione a minore impatto ambientale e
sistemi di gestione integrata delle risorse naturali, turistiche e
ricreative.
D'altronde l'obiettivo dell'imprenditore agricolo non è mai stato quello
della produzione agricola fine a se stessa, quanto quello del reddito o
del profitto derivante dal fondo agricolo. Ciò significa che quando
"produrre" ambiente e favorire la fauna selvatica risulta conveniente
dal punto di vista economico, questo può diventare, almeno in certe
aree, uno degli obiettivi principali dell'imprenditore, con evidenti
conseguenze sull'organizzazione dell'azienda e l'aspetto del paesaggio
agricolo e naturale.
La realizzazione di un'agricoltura eco-compatibile ed integrata con
l'ambiente e le risorse faunistiche può essere in definitiva possibile se
si verifica almeno una di queste due condizioni:
l'esistenza di una convenienza economica per il produttore
agricolo;
un supporto adeguato del settore pubblico.
Mentre per il primo punto sono necessarie particolari condizioni
economico-giuridiche circa i diritti di proprietà delle risorse
83
ambientali in generale e faunistiche in particolare, nel secondo caso
le condizioni di convenienza possono essere originate dal supporto
economico del settore pubblico. Considerando l'interesse e
l'importanza dell'ambiente e della fauna selvatica per la collettività, un
sostegno pubblico alle attività agricole che perseguono anche finalità
ambientali appare del tutto giustificato.
L'agricoltura è sempre stata considerata un settore svantaggiato
rispetto alle altre aree produttive e per questo ha sempre ricevuto un
supporto più o meno diretto da parte dell'Ente pubblico. L'aiuto, in
questo caso, verrebbe giustificato dalla funzione di pubblica utilità
realizzata attraverso la gestione e la tutela dell'ambiente, così come
ormai è tendenza dominante nei paesi maggiormente sviluppati.
11.3 Lo status giuridico della fauna selvatica
Come è noto, nel nostro Paese la fauna selvatica è una risorsa pubblica,
cioè di proprietà dello Stato (res communitatis). Ad esclusione di una
porzione limitata del territorio nazionale, non oltre il 15% della
superficie agro-silvo-pastorale, la fauna selvatica può considerarsi
gestita dal settore pubblico, cioè dalle amministrazioni pubbliche
regionali e provinciali. A questa gestione partecipano, in misura più o
meno significativa, diverse categorie ed in particolare: gli agricoltori, i
cacciatori, le associazioni ambientalistiche, protezioniste, ecc.
84
Le maggiori responsabilità di pianificazione faunistica del territorio
rimangono tuttavia delle amministrazioni pubbliche, come definito dalla
L. n. 157/92.
Nei territori gestiti dai privati (aziende faunistico-venatorie, aziende
agri-turistico-venatorie, centri privati per la produzione della
selvaggina allo stato naturale), esistono condizioni potenziali per una
gestione agro-ambientale e faunistica conveniente dal punto di vista
economico anche per i produttori agricoli.
Tali condizioni dovrebbero favorire la diffusione delle misure di
miglioramento ambientale e l'adozione di tecniche di produzione e di
gestione meno intensive e più adatte al mantenimento degli equilibri
naturali.
Nel resto del territorio, che rappresenta la maggior parte della
superficie agro-silvo-pastorale, le caratteristiche della gestione
pubblica delle risorse faunistiche non favoriscono il coinvolgimento dei
produttori agricoli per un utilizzo del territorio più favorevole alle
risorse faunistiche. Al contrario, spesso la selvaggina è vista
soprattutto come una fonte di danno diretto o indiretto per le
produzioni agricole.
In questi territori la modifica o l'inversione dei rapporti tra
produttori agricoli e risorse faunistiche può essere determinata solo
attraverso adeguati interventi di sovvenzione ai proprietari o ai
85
conduttori dei fondi agricoli per la realizzazione di miglioramenti
ambientali.
11.4 Il ruolo degli amministratori pubblici
L'attuale regime giuridico delle risorse naturali e della fauna selvatica
determina un ruolo importante delle amministrazioni pubbliche per la
tutela e la gestione di queste risorse.
Nella preparazione dei provvedimenti di miglioramento ambientale,
l'Ente pubblico deve tenere in considerazione contemporaneamente sia
la disponibilità limitata dei fondi, sia la necessità di coinvolgere i
produttori agricoli nell'adozione di queste misure, sia l'efficacia
ambientale e faunistica dei provvedimenti proposti.
A tale scopo appare determinante l'inquadramento di queste misure
nell'ambito della programmazione faunistico-venatoria ed ambientale
del territorio in modo da garantire una maggiore efficacia degli
interventi ed evitare uno spreco delle risorse impiegate.
11.5 Selezione delle aree preferenziali
Un primo problema che si pone agli amministratori pubblici è quello
della selezione degli interventi da proporre all'attenzione degli
operatori agricoli. In genere non è pensabile intervenire con la stessa
intensità ed efficacia sull'intero territorio. Risulta perciò necessario
86
individuare le aree più meritevoli o più adatte all'applicazione di queste
misure in modo da raggiungere, almeno in questi territori, livelli di
sovvenzione soddisfacenti per gli agricoltori e significativi dal punto di
vista ambientale.
I criteri di selezione delle aree possono essere diversi. Il più semplice
ed immediato è probabilmente quello che si basa sulla programmazione
faunistico-territoriale già esistente.
In base a tale criterio gli interventi di miglioramento dovrebbero
essere applicati preferenzialmente nelle aree di maggiore interesse
ambientale e faunistico, cioè nei parchi, nelle riserve, nelle oasi di
protezione, nelle zone di ripopolamento e cattura, ecc. Per rendere
meno rigido tale criterio e consentirne un'applicazione più diffusa, la
priorità nella scelta delle aree potrebbe basarsi solo sul livello delle
sovvenzioni, attribuendo un livello più alto alle aree "vocate" ed un
livello inferiore al resto del territorio.
Un criterio alternativo è quello che attribuisce minor importanza alla
zonizzazione territoriale esistente e un maggiore peso alla
programmazione degli interventi. In questo caso le sovvenzioni vengono
concesse solo in seguito alla presentazione di un piano di miglioramento
ambientale integrato con la programmazione faunistico-venatoria ed
ambientale esistente sul territorio. Le sovvenzioni verrebbero
concesse in base alla "qualità" dei piani presentati. Questo sistema
87
consente di premiare una gestione efficiente del territorio a
prescindere dal regime di protezione dell'area.
In pratica però il primo criterio è più applicato del secondo in quanto
risulta più semplice ed immediato, richiede meno controlli e, quindi,
contribuisce a ridurre i costi per la sua gestione. Il secondo criterio
appare invece più adeguato ai comprensori di ridotte dimensioni, in cui
esiste un legame più diretto tra agricoltori, ambiente e cacciatori e la
programmazione degli interventi è più controllata.
11.6 Il livello delle sovvenzioni
La definizione dei livelli di sovvenzione da attribuire ad ogni intervento
rappresenta un altro elemento di difficoltà per gli uffici pubblici
preposti. Il livello ideale potrebbe essere rappresentato dalla
sovvenzione minima in grado di coinvolgere un numero sufficiente di
agricoltori nell'adozione del provvedimento. Una stima di questo valore
può essere fatta cercando di quantificare il "costo" di realizzazione di
ogni misura.
Le componenti di questo costo sono riconducibili a tre elementi
principali:
− Il costo effettivo sostenuto per la realizzazione del
provvedimento. Ad esempio il costo dei materiali impiegati
88
(sementi, piante, ecc.), sommato al costo delle lavorazioni di
semina, di impianto, ecc..
− I mancati redditi generati dalla realizzazione del provvedimento
rispetto alla produzione convenzionale. Ad esempio, il mancato
reddito derivante da una superficie destinata a colture "a perdere"
per la fauna invece che alle colture convenzionali; oppure il mancato
reddito dovuto alla riduzione di produzione o ai maggiori danni
subiti dalla produzione convenzionale in prossimità delle parcelle in
cui sono stati realizzati i miglioramenti ambientali.
− Una quota premio aggiuntiva per stimolare l'adozione dell'impegno
da parte dell'agricoltore, anche in relazione ad altri costi non
espliciti (ad esempio il rischio per l'adozione di tecniche di
produzione e di gestione innovative).
11.7 Il ruolo delle associazioni venatorie, ambientaliste e protezionistiche
L'apporto dei cacciatori, degli ambientalisti e protezionisti alla
realizzazione dei miglioramenti ambientali può manifestarsi
indirettamente nelle diverse fasi della programmazione faunistico-
venatoria ed ambientale del territorio. Negli organi di gestione, nelle
commissioni tecniche o semplicemente come volontariato, all'interno
dei diversi Istituti faunistici previsti sul territorio ( ATC, Zone
d'addestramento, Oasi, Zone di ripopolamento e cattura, Parchi,
89
Riserve, ecc.) queste categorie possono fornire il proprio contributo ed
influenzare scelte e decisioni.
In particolare tali azioni potranno consistere:
- nel precisare le esigenze proprie di ciascuna categoria;
- nello stimolare l'applicazione in chiave faunistica delle normative
ambientali esistenti e relative al territorio di conoscenza nel
partecipare direttamente al coordinamento degli interventi di
miglioramento ambientale con le attività di gestione faunistico-
venatoria ed ambientale di ogni comprensorio;
- nel controllare la realizzazione ed il buon esito degli interventi;
- nel fornire mezzi tecnici e finanziari per la realizzazione delle
misure faunistiche.
Per quanto riguarda il primo aspetto, considerata la complessità delle
normative nazionali e comunitarie e la difficoltà di coinvolgimento dei
produttori agricoli, è possibile fornire un contributo al fine di
informare e stimolare gli agricoltori all'adozione delle misure
faunistiche disponibili.
Queste categorie possono fornire un utile contributo alla realizzazione
dei piani di miglioramento ambientale attraverso la loro conoscenza del
territorio, delle consistenze faunistiche e delle esigenze ambientali
delle diverse specie selvatiche. Dovendo poi mettere in relazione tali
informazioni con i piani di prelievo venatorio, con gli interventi di
90
controllo dei predatori e con le eventuali misure di ripopolamento
faunistico, il contributo dei cacciatori e dei protezionisti diventa
importante sia dal punto di vista operativo, sia da quello formativo per
le stesse categorie.
Anche le funzioni di controllo, relative alla realizzazione degli
interventi da parte degli agricoltori, possono essere svolte in modo
efficace considerando le motivazioni delle categorie considerate.
Per quanto riguarda infine l'apporto di mezzi tecnici ed economici alla
realizzazione delle misure di miglioramento ambientale, le associazioni
venatorie e naturalistiche possono ad esempio collaborare alla
distribuzione delle essenze vegetali utili alla selvaggina da far
seminare o impiantare dagli agricoltori. Inoltre, dal punto di vista
strettamente finanziario, oltre a contribuire alla raccolta di fondi
attraverso il prelievo fiscale sull'attività venatoria possono intervenire
direttamente attraverso delle misure di sovvenzione degli interventi di
miglioramento ambientale, o ancora attraverso accordi con gli
agricoltori per la realizzazione di misure di sovvenzione a livello
provinciale, regionale o nazionale.
91
12 Il ripopolamento della fauna selvatica
La legge n. 157/1992 all'art. 10, comma 7, stabilisce che, unitamente
ad altri strumenti di programmazione e di intervento (piani faunistico-
venatori e piani di miglioramento ambientale) le Province predispongano
piani di immissione di fauna selvatica.
Il dettato normativo precisa che i soggetti da immettere possono
provenire "anche" da operazioni di cattura condotte a carico delle
popolazioni presenti nei Parchi nazionali e regionali ed in altri ambiti
faunistici (Zone di ripopolamento e cattura, Oasi di protezione, ecc.)
sottintendendo che l'origine dei soggetti da immettere può essere
costituita anche da animali allevati in cattività sul territorio nazionale
o importati dall'estero (questi ultimi a loro volta possono essere
allevati o catturati in natura).
Tale interpretazione è d'altra parte confermata da quanto stabilito
dall'articolo 17, comma 1 (Allevamenti), e dall'articolo 20, comma 1
(Introduzione di fauna selvatica dall'estero), della legge. Lo stesso
comma 7 dell'art. 10 prevede che le immissioni, qualunque sia l'origine
dei soggetti utilizzati, possano essere effettuate previo
"accertamento delle compatibilità genetiche da parte dell’I.N.F.S.".
Riveste dunque una considerevole importanza sia teorica che
pratico - applicativa definire il concetto di compatibilità genetica.
92
Particolare attenzione va prestata ai ripopolamenti da effettuarsi con
fauna importata da altri paesi: oltre al problema dell'inquinamento
genetico, c'è il rischio tutt'altro che teorico di introdurre nuove
forme patogene. Inoltre è sconsigliato l'uso di esemplari da
allevamento, soprattutto per il bassissimo tasso di sopravvivenza che li
caratterizza. Resta la possibilità di utilizzare animali di cattura locale;
bisogna comunque ribadire come il trapianto di lepri locali si traduca
spesso in scarso successo: i risultati migliori si ottengono in territori
ad elevata idoneità ambientale con densità di partenza subottimali, con
la liberazione di almeno 10 capi per Kmq.
Le catture nelle ZRC vanno opportunamente programmate in modo
accurato, commisurandole alle consistenze stimate; la rimozione non
deve mai interessare più del 60% della popolazione e non deve
comprendere lepri giovani (inferiori ai 3 kg), più suscettibili a stress
da traslocazione. La densità nelle ZRC non dovrebbe scendere sotto i
15 riproduttori per kmq, soglia sotto la quale si fa concreto il rischio di
insorgenza dell'epatite virale della lepre (E.B.H.S). Le catture in ZRC
non dovrebbero essere previste prima del terzo anno dalla costituzione
dell'ambito.
In termini rigorosi si può affermare che il predetto art. 10 è stato
introdotto per evitare l'intromissione artificiale di un pool genetico
estraneo nell'ambito di quello proprio delle popolazioni locali di una
determinata specie. E' peraltro evidente che un'applicazione integrale
di questo principio risulterebbe di fatto in contrasto con le attività di
93
allevamento e di importazione pure previste dalla legge. E' opportuno
dunque verificare in quali casi risulti compatibile l'immissione sul
territorio di soggetti provenienti da catture o da allevamento.
Possono presentarsi, a questo proposito, diverse situazioni:
a) Immissioni di soggetti estranei in territori ove è presente una
popolazione autoctona, che cioè possieda un patrimonio genetico
adattato alle particolari condizioni locali, forgiato dall'azione della
selezione naturale e per la quale eventuali inquinamenti genetici
operati dall'uomo sono stati nulli o insignificanti. Questa situazione
è quella presentata dalla maggior parte delle specie stanziali
oggetto di gestione venatoria. In tali casi eventuali immissioni
dovrebbero essere in linea di principio evitate e comunque
sottoposte ad un accurato giudizio preventivo circa l'idoneità del
materiale utilizzato.
b) Immissione di soggetti in territori ove esistano popolazioni di una
determinata specie la cui identità genetica è il frutto di interventi
artificiali da parte dell'uomo, o è stata largamente condizionata da
tali interventi. E questo il caso di diverse specie di notevole
importanza dal punto di vista venatorio e che sono state oggetto
per decenni di immissioni sul territorio provinciale (Fagiano, Starna,
Coturnice, Lepre europea, Cinghiale). Sì tratta di forme per le quali
l'identità genetica delle popolazioni originarie è andata
completamente perduta su tutto o sulla maggior parte del territorio
94
nazionale. In questo contesto eventuali operazioni di ripopolamento,
ferma restando la necessità di confrontarsi coi problemi di natura
ecologica e sanitaria posti da tali operazioni, risultano meno
criticabili sotto il profilo squisitamente genetico. Pur tuttavia, le
immissioni dovrebbero in ogni caso inserirsi in una strategia che, più
che tentare di selezionare in cattività i ceppi idonei, dovrebbe
tendere ad offrire il miglior materiale possibile alla selezione
naturale che si attua successivamente al rilascio degli animali; ciò, a
seconda dei casi, può significare:
• utilizzo di animali di cattura provenienti da popolazioni che
hanno presumibilmente sviluppato adattamenti ad ambienti simili
a quelli in cui verranno rilasciati; in tal senso risultano preziose
eventuali popolazioni autoctone residue di specie che hanno
subito drastiche contrazioni numeriche e di areale. Ad esempio,
i programmi di reintroduzione del Capriolo dovrebbero
privilegiare come fonte del materiale da utilizzarsi i residui
nuclei di Castel Porziano, Foresta Umbra e Monti di Orsomarso.
Ciò dovrebbe costituire un ulteriore elemento a favore della loro
conservazione;
• utilizzo contemporaneo di animali provenienti da popolazioni
diverse in modo da offrire la massima variabilità genetica
possibile all'azione della selezione naturale. Questo approccio
si presenta particolarmente delicato sia nella fase della
elaborazione teorica che in quella applicativa; è quindi adottabile
95
solo in casi particolari e necessita di adeguati controlli di
carattere scientifico.
Risulta comunque evidente che la strategia sopra delineata si inserisce
come strumento temporaneo in una riforma della gestione faunistico-
venatoria che ha come obiettivo il prelievo calcolato di popolazioni
naturali (qualunque sia la loro origine genetica) che si renda
indipendente da continue immissioni.
Evidentemente un problema particolare è posto da quelle strutture di
gestione, quali le Aziende agri-turistico-venatorie, in cui la fauna
immessa è destinata ad un uso sostanzialmente commerciale. I pericoli
connessi con l'immissione di soggetti con pool genico indesiderabile
risultano in questo caso assai limitati poiché gli animali utilizzati in
queste strutture hanno di fatto una scarsissima possibilità di
riprodursi e quindi di diffondere il proprio patrimonio genetico.
Certamente un approccio diverso, assai più rigoroso, deve essere
mantenuto nell'assicurare le idonee condizioni sanitarie del materiale
utilizzato, poiché la probabilità ed i tempi di diffusione di eventuali
agenti patogeni risultano elevate.
12.1 La reintroduzione della starna
In altre parti di questo documento si è evidenziata l'importanza
faunistico-venatoria e culturale della reintroduzione della starna.
96
Starna
Oggi attraverso un'applicazione bilanciata di piani di prelievo, tecniche
di gestione del territorio, tecniche di contenimento delle perdite ed
immissioni è possibile assicurare alla starna un futuro nelle aree vocate
della Provincia di Caserta.
12.1 I piani di prelievo
I piani di prelievo consistono nel fissare un quantitativo massimo di
starne prelevabile calcolato sulla base:
• della produzione annua di giovani;
• del numero di riproduttori che si vogliono mantenere a fine caccia,
tenuto conto delle caratteristiche ambientali.
In pratica, avendo come obiettivo la conservazione dello stesso stock
di riproduttori dell'anno precedente, il numero di starne cacciabili per
coppia è pari al numero medio di giovani prodotti per femmina presente
in primavera meno 2.
97
Per esempio, se si sono conteggiate 10 coppie per 100 Ha in primavera
e 3,5 giovani per femmina presente in primavera (o 5 giovani per
brigata in estate, considerando una sopravvivenza delle femmine tra la
primavera e l'estate del 70%), si possono prelevare 1,5 starne per
coppia presente in primavera, ovvero 15 starne per 100 Ha. Una buona
annata con un indice di riproduzione di oltre 3,5 giovani per coppia
consente un prelievo venatorio di oltre 16 capi per ogni decina di coppie
mentre ad una cattiva annata con meno di 2,1 giovani per coppia
dovrebbe corrispondere il fermo del prelievo venatorio della specie.
12.2 Gestione del territorio
La gestione del territorio ha come obiettivo quello di accrescere la
dotazione di fonti di nutrimento, punti di abbeverata, siti di rifugio e
di nidificazione.
In pratica questi interventi possono riguardare:
l'apporto di alimento durante l'inverno (incremento della presenza
di cereali autunno-vernini, fornitura di granaglie in adeguati siti di
foraggiamento);
accrescimento della diversità ambientale mediante smembramento
degli appezzamenti di superficie superiore a 15 Ha, finalizzato alla
costituzione di un mosaico colturale;
98
potenziamento degli elementi lineari del paesaggio: bordi di
cavedagne, siepi, scarpate e frangivento;
incremento della presenza di insetti limitando allo stretto
necessario l'impiego dei pesticidi ed evitando i trattamenti sulle
zone a vegetazione spontanea e non produttive;
creazione di punti di abbeverata: piccoli invasi, vecchi copertoni
opportunamente tagliati.
12.3 Il contenimento delle perdite
Una corretta gestione delle popolazioni faunistiche deve prevedere il
contenimento delle perdite.
Quelle imputabili alle tecniche colturali possono essere contenute
mediante:
a) inizio della raccolta dei foraggi e dei cereali dal centro
dell'appezzamento procedendo in senso centrifugo e anteponendo
agli organi di sfalcio specifiche barre di involo;
b) evitare le operazioni di sfalcio dei foraggi durante il periodo
riproduttivo, in particolare da metà maggio a fine giugno,
provvedendo a sollevare la falciatrice a non meno di 20 cm dal
terreno;
c) astenersi dal bruciare la paglia e le stoppie;
99
d) evitare le operazioni di raccolta notturna;
e) attenersi strettamente alla regolamentazione nell'uso dei pesticidi
privilegiando i meno tossici per la fauna selvatica ed i meno
persistenti;
f) evitare gli sfalci di sponde dei canali e delle bordure erbose
durante il periodo della nidificazione.
Le perdite provocate dalla presenza eccessiva di alcuni predatori
selvatici (volpe e corvidi in particolare) possono essere contenute
attraverso il ricorso ad interventi di limitazione numerica
appositamente autorizzati.
12.4 Immissioni
Un'operazione di ripopolamento potrà garantire buoni risultati nella
misura in cui:
l'ambiente presenti caratteristiche territoriali e vegetazionali
adatte alla riproduzione delle specie faunistiche da immettere
(fagiano, starna, coturnice, lepre, cinghiale) ed esista una
consistenza sottodimensionata rispetto alla capacità portante del
territorio (quantità massima di soggetti che un dato territorio può
sopportare in un dato momento);
100
l'operazione sia svolta su una superficie sufficientemente ampia
nella quale il prelievo venatorio venga escluso per un determinato
periodo di tempo;
venga fissato un protocollo che definisca gli obiettivi da
raggiungere, le metodiche da utilizzare, la durata del periodo di
sospensione della caccia e le modalità del piano di prelievo da
attuare una volta raggiunto l'obiettivo.
12.5 Caccia al cinghiale
La caccia al cinghiale, come previsto dal calendario venatorio che viene
emanato dalla Regione Campania, può essere regolamentata dalla
Provincia.
Attualmente viene praticata in battuta secondo una programmazione
annuale attuata dalla Provincia di Caserta.
101
13 Gli Ambiti Territoriali di Caccia (ATC)
Questa Provincia, tenuto conto della conformazione del proprio
territorio agro-silvo-pastorale e della omogeneità con gli altri ambiti
presenti nella regione, ha individuato un unico Ambito Territoriale di
Caccia coincidente con il proprio territorio provinciale.
13.1 I miglioramenti ambientali nell ’ATC
Dal punto di vista faunistico la capacità recettiva di un territorio è il
risultato di una serie di caratteristiche ambientali intrinseche capaci
di sostenere la presenza di un determinato numero di animali selvatici.
Tale capacità può essere incrementata, anche in misura sostanziale,
attraverso interventi di miglioramento ambientale.
Negli ambiti territoriali nei quali obiettivo della gestione faunistica sia
l'incremento della presenza di selvaggina naturale, il recupero e il
ripristino di situazioni ambientali compromesse costituisce un
importante strumento cui riservare primaria attenzione. Ciò anche in
considerazione del fatto che, a fronte di investimenti finanziari anche
consistenti, necessari per la realizzazione dell'intervento, i risultati
positivi ottenuti sotto un profilo faunistico generale, e quindi non solo
venatorio, potranno essere notevoli e protratti nel tempo.
102
Va altresì considerato come interventi di tale natura non manchino di
garantire un generale miglioramento delle condizioni ecologiche,
inducendo ripercussioni positive di non trascurabile importanza sia dal
punto di vista faunistico, sia sotto il profilo agronomico, paesaggistico,
estetico e culturale.
Sebbene il fine dei miglioramenti ambientali sia quello di indurre un
generalizzato incremento della diversità e della densità delle zoocenosi
in maniera duratura nel tempo, nel contesto di ambiti di gestione
faunistica finalizzati può risultare opportuno prevedere il ricorso ad
interventi di ripristino ambientale più mirati, finalizzandoli
all'incremento di specie di interesse venatorio. La legge nazionale,
recependo l'importanza del ruolo svolto dalle azioni sopra ricordate,
espressamente prevede che negli Ambiti Territoriali di Caccia
l'organismo di gestione programmi interventi per il miglioramento degli
habitat e provveda all'attribuzione di incentivi economici ai conduttori
dei fondi rustici per la coltivazione di alimenti naturali in favore dei
selvatici, il ripristino di zone umide e di fossati, la differenziazione
delle colture, l'apprestamento di siepi, cespugli, alberi adatti alla
nidificazione (art. 14, c. 11, L n. 157/92 e art. 37, c.2, L.R. n. 8/96)).
Le tipologie d'intervento cui fare ricorso possono essere distinte in
due gruppi principali:
a) quelle orientate al potenziamento di dotazioni ambientali;
103
b) quelle indirizzate al contenimento dei fattori di mortalità e di
disturbo.
Del primo gruppo fanno parte gli interventi volti all'incremento di:
Disponibilità alimentari. Si tratta in genere del principale fattore
limitante la densità degli animali selvatici, soprattutto nel corso del
periodo invernale. Gli interventi attuabili in questo ambito possono
riguardare la produzione naturale di alimento, destinando porzioni
di territorio a colture a perdere di essenze particolarmente
appetite (scelta generalmente da preferirsi), oppure il
foraggiamento artificiale;
Siti di rifugio e micro-ambienti adatti alla riproduzione.
Un'adeguata dotazione di zone di rifugio e di riproduzione risulta
elemento fondamentale per la permanenza di animali selvatici in un
determinato territorio. All'incremento di tali zone, che di norma
non richiedono particolari interventi gestionali, possono utilmente
contribuire le tare colturali, ed aree altrimenti non utilizzate
(scarpate di strade e cavedagne, zone "marginali", basi dei tralicci
di elettrodotti, arginature di canali e corsi d'acqua, ecc.) purché
lasciate il più possibile tranquille soprattutto durante il periodo
riproduttivo;
Disponibilità idrica. La carenza di acqua può costituire un fattore
limitante la permanenza di alcune specie selvatiche in relazione alla
disponibilità complessiva e alla distribuzione sul territorio delle
104
fonti idriche durante la stagione estiva. Per alcune specie,
soprattutto nei comprensori interessati da periodi estivi
particolarmente siccitosi, la carenza di sufficienti fonti idriche
può costituire un fattore limitante. In questi casi appare opportuno
predisporre adeguati punti di raccolta d'acqua in numero
sufficiente.
Per ciò che riguarda invece il contenimento dei fattori di mortalità e di
disturbo vanno ricordati in particolare:
a) Alcune pratiche agricole particolarmente dannose:
Diverse tecniche colturali di uso consolidato, soprattutto nelle aree
interessate da un'agricoltura industrializzata, risultano assai nocive
nei confronti della fauna selvatica.
A questo proposito vanno citati l'impiego di alcune sostanze chimiche
di comprovata tossicità, lo sfalcio dei foraggi eseguito nel corso di
particolari periodi stagionali coincidenti con le fasi riproduttive di
alcune specie, la mietitura dei cereali e la pratica della bruciatura delle
stoppie. Inoltre, una serie di pratiche agricole, inducendo una
repentina modificazione di estese superfici coltivate, può essere causa
di perdite per azione indiretta a seguito della sottrazione di habitat;
b) Le fonti trofiche artificiali:
La presenza di fonti trofiche di origine antropica (macro e micro-
discariche non controllate, rifiuti di allevamenti intensivi, immissioni
di selvaggina allevata) presenti in quantità elevate, con distribuzione
105
puntiforme e facilmente reperibili ed utilizzabili da parte di alcune
specie selvatiche cosiddette opportuniste, costituisce un innaturale
fattore di alterazione degli equilibri interspecifici delle zoocenosi.
Le specie in grado di trarre vantaggio da queste situazioni
(cornacchie, gabbiani, volpi, ecc.), possono rapidamente
incrementare il numero degli effettivi ed esercitare un'accresciuta
interferenza nei confronti di altre specie selvatiche.
In particolare per volpe e corvidi è opportuno prevedere un censimento
della consistenza delle popolazioni in relazione ad eventuali piani di
contenimento numerico (art.17, comma 2, legge regionale n. 8/96);
c) La presenza di infrastrutture e manufatti. L'elevata e capillare
antropizzazione del territorio è stata accompagnata dall'incremento
del numero di strade, autostrade, ferrovie, canali, elettrodotti, che
spesso costituiscono barriere fisiche difficilmente superabili da
parte di diverse specie selvatiche. Ciò comporta evidenti risvolti
negativi, sia a causa delle perdite dirette (investimenti,
elettrocuzione) attribuibili alla presenza di queste infrastrutture,
sia per via dell'interruzione della continuità fisica del territorio con
conseguente ostacolo alla naturale espansione delle arcate di alcune
specie e l'innaturale confinamento di diverse popolazioni.
106
13.2 La gestione della fauna nell ’ATC
La valutazione quantitativa della fauna oggetto di gestione nel
territorio dell'ATC risulta il principale elemento conoscitivo sia per la
stesura del piano di assestamento, sia come attività che deve essere
ripetuta costantemente per rilevare le variazioni di status delle
popolazioni presenti e gli effetti della gestione faunistica operata,
nonchè per programmare i successivi interventi (piani di prelievo,
immissioni, interventi sull'ambiente, ecc.). In effetti la nuova legge
introduce il concetto di caccia compatibile con la disponibilità stimata
della selvaggina ed indica come la ricognizione della consistenza
faunistica debba divenire pratica ordinaria nell'ambito più complessivo
della gestione degli ATC (L.157/92, art. 14, comma 11).
In linea generale le stime di densità dovranno essere condotte in due
momenti significativi del ciclo biologico annuale per ciò che concerne la
dinamica delle popolazioni, ovvero alla fine dell'inverno, stimando la
consistenza dei riproduttori, e alla fine dell'estate per valutare il
successo riproduttivo. In tal modo è possibile programmare il prelievo
venatorio delle specie di interesse gestionale tenendo conto da
una parte gli incrementi utili annui teorici e, dall'altra, l'effettiva
produttività delle popolazioni locali. I piani di prelievo per alcune
specie (ad esempio gli Ungulati) dovranno prevedere, oltre al numero di
capi abbattibili, anche la loro distribuzione in classi di sesso e di età
allo scopo di non alterare la struttura delle popolazioni. E' attraverso
107
l'accertamento di questi dati che è possibile redigere opportuni piani
di prelievo e, di conseguenza, dare pratica attuazione al principio
espresso dalla legge stessa all'articolo 1,comma 2, che recita:
"l'esercizio dell'attività venatoria è consentito purché non contrasti
con l'esigenza di conservazione della fauna selvatica ...".
Di particolare interesse appare il sostegno del Daino e della Starna,
specie la cui presenza non determina in genere risvolti negativi nei
confronti di attività produttive agricolo-forestali o zootecniche, a
differenza di altre, come ad esempio il Cinghiale e il Cervo, la cui
reintroduzione deve essere invece valutata con grande cautela.
Evidentemente tra le specie la cui reintroduzione sarebbe in linea di
principio auspicabile sono da considerare anche i grandi predatori o i
necrofagi come la Lince, il Gipeto, ecc., oppure quelle di particolare
significato naturalistico (Cicogna bianca, Oca selvatica, Gobbo
rugginoso, Moretta tabaccata, ecc.).
I ripopolamenti debbono essere intesi come immissioni di animali in
zone ove la loro specie è già presente in misura variabile con il fine di
incrementare il numero di individui o per fini legati al consumismo
venatorio e agli interessi economici ad esso collegati.
L'origine dei soggetti impiegati può essere tre tipi:
1) di cattura e importazione da altri paesi;
2) di cattura in ambiti locali di produzione (in particolare nelle Zone di
ripopolamento e cattura);
108
3) di allevamento.
Negli ultimi decenni la pratica dell'importazione di selvaggina
stanziale, in particolare Lepre, Starna e Fagiano, ma anche Cinghiale e
Germano reale, appartenenti a razze geografiche estranee al
territorio nazionale, ha caratterizzato la gestione venatoria del nostro
Paese; tuttora tale pratica viene ampiamente seguita sia dagli
organismi pubblici che dai privati. La liberazione di massicci
quantitativi di animali appartenenti a sottospecie alloctone ha
determinato un vero e proprio inquinamento genetico delle popolazioni
locali le cui caratteristiche differenziali sono andate perdute. Oltre
che particolarmente grave sotto il profilo zoologico, questo tipo di
intervento presenta risvolti negativi anche dal punto di vista pratico ed
economico, poiché se da una parte ha determinato la virtuale
scomparsa delle forme originarie, dall'altra quelle importate spesso
trovano difficoltà ad inserirsi stabilmente nei nuovi ambienti ove sono
liberate e nei cui confronti mancano di specifici adattamenti.
Anche l'utilizzo per i ripopolamenti di animali allevati con criteri più o
meno intensivi da numerose generazioni pone seri problemi che
interessano:
− la qualità genetica dei ceppi allevati;
− le alterazioni del comportamento indotte dalle tecniche di
allevamento;
− le condizioni sanitarie.
109
Circa il primo aspetto va notato come, a seguito della selezione
artificiale, più o meno volontariamente operata negli allevamenti, il
patrimonio genetico dei ceppi allevati tenda a discostarsi da quello
delle forme selvatiche originarie con effetti negativi sulla capacità di
adattamento alla vita libera dei primi una volta che vengano rilasciati.
Nel caso dei Fasianidi, in particolare, è noto il fenomeno della
progressiva perdita della capacità di cova legata ad una selezione
orientata ad aumentarne l'ovodeposizione. Anche gli aspetti
comportamentali su base non genetica sono fortemente condizionati
dall'allevamento artificiale, che può interferire pesantemente su
caratteristiche quali l'imprinting, i legami familiari di gruppo,
l'ecoetologia alimentare, le strategie di difesa nei confronti dei
predatori, ecc.
Infine, vanno considerati gli aspetti sanitari propri degli animali
allevati in maniera intensiva (patologie favorite dal sovraffollamento)
che, oltre a limitare la capacità di sopravvivenza in natura dei soggetti
allevati, possono determinare la diffusione di agenti patogeni anche tra
le residue popolazioni naturali con specifiche o appartenenti a specie
affini. A queste cause di fondo dell'insuccesso sostanziale dei
ripopolamenti nella ricostituzione di popolazioni stabili nel tempo e
caratterizzate da una normale riproduzione in natura, si sommano
motivazioni legate alle modalità pratiche di intervento, come la
mancata individuazione e rimozione dei fattori responsabili della
rarefazione delle popolazioni naturali e tempi e modalità di rilascio
110
impropri. Inoltre, i risultati dei ripopolamenti troppo spesso non
vengono valutati in maniera critica e quantitativa e, di conseguenza, gli
errori si perpetuano nel tempo, con ripercussioni negative sia sul piano
biologico che su quello gestionale ed economico.
Alla luce di quanto sopra evidenziato e con il conforto anche di
motivazioni economiche e culturali, si può affermare come la pratica
del ripopolamento debba essere quanto prima superata per far posto
ad una gestione faunistico-venatoria basata sul prelievo oculato di
risorse faunistiche naturali.
Nel nostro Paese oggettive condizioni strutturali, legate ad un'elevata
pressione venatoria e alla presenza di popolazioni d'interesse
cinegetico fortemente depauperate, pongono seri ostacoli alla
attuazione immediata di questo processo. Anche per questo aspetto è
necessaria innanzi tutto una profonda trasformazione della cultura
venatoria, che veda come obiettivo principale la produzione naturale di
fauna selvatica attraverso interazioni positive con l'ambiente, come
d'altra parte previsto dal c. 1 dell'art. 10 della L. 157/92. Nella
pratica, e in un periodo di transizione e di assestamento, sarà almeno
necessario pervenire ad una limitazione e razionalizzazione degli
interventi di ripopolamento. Questo processo potrà avvenire con la
gradualità ed i tempi commisurati alla condizione oggettiva di ciascuna
unità territoriale di gestione in dipendenza di vari parametri:
situazione faunistica, rapporto cacciatori/territorio, grado di
organizzazione, ecc. Nondimeno si è convinti che già in tempi brevi in
111
diverse realtà locali, con uno sforzo sostenibile in termini di
regolamentazione del prelievo e di miglioramenti ambientali, risulti
possibile un'attività venatoria sostanzialmente svincolata dai
ripopolamenti. Si ravvisa l'opportunità di indicare che, così come
previsto dalla legge per le Aziende faunistico-venatorie, anche negli
ATC venga sospesa qualsiasi forma di ripopolamento in data successiva
al 31 agosto. Ciò potrà consentire un sufficiente ambientamento degli
animali immessi prima dell'inizio dell'attività venatoria o di
addestramento cani, nonchè l'instaurarsi di una pratica venatoria
eticamente meno criticabile rispetto a quella basata sulla cosiddetta
"pronta-caccia". In tal modo, anche per questo aspetto, l'ATC si dovrà
discostare da altri istituti ed in particolare dalle Aziende agri-
turistico-venatorie, espressamente dedicate alla caccia consumistica.
In particolare, l’A.T.C. di Caserta ha in corso le procedure relative ai
progetti finalizzati al miglioramento dell’habitat ed ai recinti di
preambientamento, in funzione delle necessità legate alla
sopravvivenza ed al sostentamento della selvaggina mediante la
formalizzazione di convenzioni con gli agricoltori o altri soggetti
interessati.
Tanto, parallelamente a quanto è intendimento della Provincia per
quanto attiene alla istituzione di un centro pubblico di produzione di
selvaggina.
112
Tale progetto, sarà condotto anche attraverso ulteriori iniziative
affidate alla gestione dell’Ufficio Caccia e realizzato attraverso
la collaborazione delle associazioni venatorie, ambientaliste e
protezionistiche.
113
14 I nuovi strumenti di controllo territoriale
Tutta la programmazione degli interventi di miglioramento ambientale
sia nelle strutture di protezione e produzione della fauna selvatica allo
stato naturale sia negli Ambiti Territoriali di Caccia diviene efficace
solo attraverso una conoscenza approfondita ed un costante controllo
del territorio.
Oggi, grazie all'integrazione delle tecnologie di telerilevamento
satellitare e dell'informatica, è possibile effettuare analisi ecologiche
complesse del territorio in tempi brevi, con un limitato dispendio di
risorse economiche, raggiungendo obiettivi impossibili da ottenere
attraverso tecniche tradizionali.
Ciò premesso si raccomanda che gli Enti pubblici di programmazione
territoriale facciano ampio utilizzo dei Sistemi Informativi Geografici
(GIS).
Un GIS è un insieme organizzato di hardware, software, dati
geografici ed operatori progettato per raccogliere, memorizzare,
aggiornare, elaborare, analizzare e visualizzare in modo efficiente
qualsiasi tipo di informazione referenziata geograficamente. Con un
GIS si rendono possibili complesse operazioni spaziali come la
sovrapposizione delle mappe tematiche.
114
Nei precedenti paragrafi ci si è riferiti agli indicatori di vocazione
faunistica delle Oasi di protezione, delle ZRC e di altre strutture di
rilievo faunistico-venatorio.
Idealmente la scelta della locazione più opportuna di queste strutture
avviene sovrapponendo la distribuzione areale degli indicatori
disegnata su tutto il territorio provinciale.
La vocazione del territorio ad ospitare l'una o l'altra struttura viene
decisa dalla sovrapposizione positiva dei tematismi mentre i confini
naturali vengono infine selezionati sovrapponendo il reticolo stradale, il
reticolo idrico naturale o l'orografia territoriale.
Tenuto conto che, utilizzando determinati software, è possibile
accedere alla tecnologia GIS con i comuni calcolatori d'ufficio si
auspica che le prossime programmazioni faunistiche, in sede pubblica o
di organismo di gestione degli ATC, possano già avvenire con tali
sistemi avanzati.
115
15 Conclusioni
In sintesi questa Provincia con il presente Piano faunistico-venatorio
provinciale stabilisce:
l'istituzione delle Oasi di protezione “Le Mortine” e “Gradilli”
nonché l’ampliamento dell’Oasi “Salicelle”.
la conferma delle ZRC Carditello, M. Alifano, Selvapiana, Vairanese,
Teanese, e la istituzione della ZRC Torcino.
la conferma dei campi addestramento cani con abbattimento di
fauna già esistenti nei territori di Alife, Cancello ed Arnone, Castel
Volturno, Cellule, Galluccio, Grazzanise, Mondragone, Piana di Monte
Verna, Rocca d’Evandro.
la conferma dei campi addestramento cani senza abbattimento di
fauna nei territori di Alife, Alvignano, Gallo Matese , Mignano Monte
Lungo, nonché l’istituzione di un nuovo campo a gestione pubblica nel
territorio di Caserta – Castel Morrone.
la conferma delle Aziende Agro-faunistico-venatorie nei territori di
Capua-Vitulazio-Pastorano-Pignataro Maggiore (Agnena), Tora e
Piccilli-Conca della Campania (Artemide), Falciano del Massico
(Incogna), Pratella (Mastrati), Pietravairano (Monte Fossa), Teano
(Santillo), nonché l’istituzione di una nuova AFV nel territorio di
Carinola-Francolise (S. Uberto).
116
la conferma delle Aziende Agro-turistico-venatorie nei territori di
Gallo Matese (Campania Felix), Ciorlano (Campania Felix), Galluccio-
Rocca d’Evandro (Campanara), Ruviano-Caiazzo (Serole).
di consentire la collocazione degli appostamenti fissi entro l'intero
ATC, fatti salvi gli impedimenti di legge e quanto previsto dalla
normativa vigente in materia di caccia;
di promuovere la conoscenza ed il controllo degli ecosistemi
territoriali attraverso l'uso delle tecnologie avanzate
(telerilevamento, GIS, ecc...);
di promuovere i miglioramenti ambientali in tutte le strutture
faunistico-venatorie (Oasi, ZRC, ATC, ecc...) anche attraverso
l'accesso ai fondi comunitari dedicati;
di privilegiare nei ripopolamenti fauna dal corredo genetico il più
possibile vicino alle popolazioni stanziali.
117
Appendice numerica
In questa appendice vengono riassunti i dati necessari alla composizione delle estensioni territoriali richiamate all'art.10 della L.R. 8/96.
Le aree di rispetto sono puramente indicate come dato ma non rientrano nel calcolo della SASP, come confermato anche dalla sentenza del TAR Campania n. 7269/2005.
A. Superficie Territoriale Ha 263.938,00
B. Superficie improduttiva Ha 41.720,00
C. Superficie agricola utilizzabile (SAU) Ha 222.215,00
a) Vivai e semenzai Ha 75 b) Battigia Ha 350 c) Zone Militari Ha 700 d) Serre Ha 2.200
Totale Ha 3.325 D. Superficie agro-silvo-pastorale
C.- [a)+b)+c)+d)] = ( 222.215 – 3.325) Totale Ha 218.890,00
E. Superficie di protezione interdetta all'esercizio venatorio: Totale Ha 44.286,83
− Parchi, Riserve naturali regionali Ha 36.753,40 (Area di rispetto Ha 2.462)
− Oasi di protezione Ha 893,15 (Area di rispetto Ha 248,97)
− Zone di ripopolamento e cattura Ha 6.640,28 (Area di rispetto Ha 1.513,40)
Superficie totale utile all'esercizio venatorio
(D – E)
Ha 174.603,17
118
La percentuale del territorio provinciale interdetto alla caccia è
uguale alla Superficie di protezione interdetta all'esercizio venatorio
(Ha.44.286,83) diviso la Superficie agro-silvo-pastorale
(Ha 218.890,00 )
Pertanto
La percentuale del territorio provinciale interdetta alla caccia è del
20,23 %
****************************
Il presente Piano Faunistico Venatorio Provinciale è stato redatto dalla struttura tecnico-amministrativa del Servizio Caccia coordinata dal dirigente del Settore Agricoltura, Foreste, Caccia e Pesca dr. Agr. Mario Mammone:
− Andrea Pascarella
− Andrea Pirozzi
− Gennaro Vastano
Ripartizione del territorio provinciale Superficie Territoriale
Superficie improduttiva
Superficie agricolautilizzabile (SAU)
Superficie agro-silvo-pastorale (SASP)
Superficie di protezioneinterdetta all'eserciziovenatorioSuperficie totale utileall'esercizio venatorio