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INDEX ESEMPI DI ARCHITETTURA, 2017, VOL.4, N.1 UTOPIA: REAL ARCHITECTURAL AND PLANNING PROJECT Claudia Lamberti, scientific editor L’IMMAGINE RESIDUA. CIÒ CHE RIMANE DELLA CITTÀ QUATTRO STRUTTURE COMPOSITIVE E IL LORO INTRECCIO Francesco Tosetto 5 UTOPIAN VISIONS OF POST-URBAN AGE Gregorio Froio 15 LA CITTÀ CONTEMPORANEA NON È LA CITTÀ MODERNA Gero Marzullo 25 LAS ESCUELAS DE ARQUITECTURA, FORMADORAS DE UTOPISTAS Minerva Rodríguez Licea, Edmundo Arturo Figueroa Viruega 33 INTEGRAL SUSTAINABILITY IN THE INTERVENTIONS OF HISTORICAL CENTERS: UTOPIA OR REALITY? Alejandra González Biffis, Juan Carlos Etulain 41 PIETRE CHE PARLANO. GLI HÖFE DELLA VIENNA SOCIALISTA Alessandro Porotto 53 WALTER B. GRIFFIN E LA COSTRUZIONE DI UNA AMAUROTO AUSTRALIANA Pina Ciotoli 67 DALLUTOPIA ALLA REALTÁ ARCHITETTONICA: LA VISIONE DI BRUNO TAUT DURANTE LA REPUBBLICA DI WEIMAR Paola Ardizzola 77 L'ARCHITETTURA DI VETRO DALL'AVANGUARDIA ALLA TECNICA CONTEMPORANEA Maurizio Froli, Francesco Laccone 87 L'ELBPHILHARMONIE DI AMBURGO: RIFLESSI DELL'ESPRESSIONISMO Claudia Lamberti 103 PHOTO CREDITS 111

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ESEMPI DI ARCHITETTURA, 2017, VOL.4, N.1

UTOPIA: REAL ARCHITECTURAL AND PLANNING PROJECT Claudia Lamberti, scientific editor

L’IMMAGINE RESIDUA. CIÒ CHE RIMANE DELLA CITTÀ QUATTRO STRUTTURE COMPOSITIVE E IL LORO INTRECCIOFrancesco Tosetto 5

UTOPIAN VISIONS OF POST-URBAN AGE Gregorio Froio 15

LA CITTÀ CONTEMPORANEA NON È LA CITTÀ MODERNA Gero Marzullo 25

LAS ESCUELAS DE ARQUITECTURA, FORMADORAS DE UTOPISTAS Minerva Rodríguez Licea, Edmundo Arturo Figueroa Viruega 33

INTEGRAL SUSTAINABILITY IN THE INTERVENTIONS OF HISTORICAL CENTERS: UTOPIA OR REALITY? Alejandra González Biffis, Juan Carlos Etulain 41

PIETRE CHE PARLANO. GLI HÖFE DELLA VIENNA SOCIALISTA Alessandro Porotto 53

WALTER B. GRIFFIN E LA COSTRUZIONE DI UNA AMAUROTO AUSTRALIANA Pina Ciotoli 67

DALL’UTOPIA ALLA REALTÁ ARCHITETTONICA: LA VISIONE DI BRUNO TAUT DURANTE LA REPUBBLICA DI WEIMAR Paola Ardizzola 77

L'ARCHITETTURA DI VETRO DALL'AVANGUARDIA ALLA TECNICA CONTEMPORANEA Maurizio Froli, Francesco Laccone 87

L'ELBPHILHARMONIE DI AMBURGO: RIFLESSI DELL'ESPRESSIONISMO Claudia Lamberti 103

PHOTO CREDITS 111

L’IMMAGINE RESIDUA CIÒ CHE RIMANE DELLA CITTÀ; QUATTRO STRUTTURE COMPOSITIVE E IL LORO INTRECCIO

FRANCESCO TOSETTO

Università IUAV di Venezia

Accepted: April 15th, 2017

ABSTRACT The text includes an analysis of the afterimage and how its use in the field of Architecture can generate a new methodology of theoretical-representative approach to the project. A particular attention is given to the ability of the image to lead to the subject: the imagination of horizontal scenarios. In these scenarios the comparison of different issues (originating from several areas of use) becomes possible. By the use of the perspective and the Theatre as conceptual structures, it has been possible to control the design process. This approach is proposed as a methodological model to control the city design. The resemantization of these concepts enables an approach to the design and architectural subjects form different points of view, putting the afterimage in the middle of contemporary architecture thinking and space design.

Keywords: Image, Remaining, City, Structure

LA STRUTTURA

La problematica generata dall’assenza di eventi architettonici incapaci di produrre immagini veramente “incisive” nella città contemporanea è quantomai attuale; tipico delle formazioni urbane che stanno nascendo, oramai da più di cinquant’anni, è essere conglomerati di edifici privi di un’identità specifica, privi di “caratteristica”. (Rowe, 1978)

Andrea Branzi annuncia, in calce al suo testo manifesto, la presenza di una “modernità debole e diffusa” nella pratica progettuale dell’inizio del XII secolo; nonostante il presagio branziano si ponga positivamente, promuovendo un progetto di città nuovo, il risultato è un sistema urbano che elimina programmaticamente la presenza di un contesto stratificato e la permanenza di una memoria storica in favore di una verdeggiante tecnologia. La “No-stop City” è un sistema abitativo che auto-genera un’immagine nuova di città, dove però il tasso di non luogo della modernità aumenta esponenzialmente. Da questo presupposto si potrebbe quindi parafrasare il suo inciso con complessità debole e diffusa, marcando così la mancanza di ciò che ha sempre contraddistinto la città tradizionale, la presenza di eventi catalizzanti: picchi prospettici capaci di produrre forti immagini residue. (Branzi, 2006)

Nella disamina che verrà eseguita l’immagine residua si colloca al centro di un pensiero sulla città contemporanea, analizzando come in questa tematica sia fondamentale la messa a sistema di elementi provenienti da differenti campi di utilizzo, o lassi temporali, volta alla creazione di un dialogo tra loro. Il fine è quello di generare un nuovo significato nel progetto urbano, derivante dalla consonanza (accordo) di brani architettonici apparentemente cacofonici tra loro, al fine di ricreare una complessità perduta. Complessità derivante in questo caso quindi dalla capacità di risemantizzazione degli elementi compositivi, partendo dal presupposto che oggetti e soggetti apparentemente diversi assumano significato nuovo e aumentato dal forzato rapporto tra loro. Il rapido avvento di nuove tecnologie, la quale obsolescenza (quasi) istantanea, è evidente oggigiorno, diventa parte dell’istanza progettuale in architettura, capace quasi solo di generare strutture effimere, tipiche dei nuovi sistemi urbani, invece di arricchire l’esperienza urbana di eventi e immagini indelebili.

Lo strumento che qui si propone, l’immagine, è mezzo di rimessa in rapporto di elementi storici, siano essi manufatti architettonici o tecnologici; la parola che in origine significava letteralmente rappresentare si è perduta nel percorso tra significato e significante. Lo strutturare immagini è qui presentato come metodologia di indagine delle diverse istanze e dei diversi soggetti progettuali, ed utilizzata per generare spazi critici di operazione concettuale dai quali derivano immagini residue profonde sulle quali fondare il progetto. Esattamente in questo spazio concettuale può avvenire la generazione di teoria, dove si può fondare il fare più profondo della progettazione architettonica, luogo decisivo nello strutturare lo spazio urbano. Partendo dal dualismo etimologico (immaginazione/immagine) appare chiaro come la teoria si basi sull’osservazione delle cose che circondano l’individuo e sulla successiva rappresentazione delle stesse, e sulla capacità che le immagini stesse hanno di affondare nel subconscio dell’osservatore.

Luigi Pirandello osserva, nel suo “Il Fu Mattia Pascal”, come l’immagine residua dello spazio e delle cose siano quello che veramente le caratterizza, lo spazio diventa “animato dalle immagini che suscita” subordinato agli occhi

L’IMMAGINE RESIDUA CIÒ CHE RIMANE DELLA CITTÀ; QUATTRO STRUTTURE COMPOSITIVE E IL LORO INTRECCIO

FRANCESCO TOSETTO

Università IUAV di Venezia

Accepted: April 15th, 2017

ABSTRACT The text includes an analysis of the afterimage and how its use in the field of Architecture can generate a new methodology of theoretical-representative approach to the project. A particular attention is given to the ability of the image to lead to the subject: the imagination of horizontal scenarios. In these scenarios the comparison of different issues (originating from several areas of use) becomes possible. By the use of the perspective and the Theatre as conceptual structures, it has been possible to control the design process. This approach is proposed as a methodological model to control the city design. The resemantization of these concepts enables an approach to the design and architectural subjects form different points of view, putting the afterimage in the middle of contemporary architecture thinking and space design.

Keywords: Image, Remaining, City, Structure

LA STRUTTURA

La problematica generata dall’assenza di eventi architettonici incapaci di produrre immagini veramente “incisive” nella città contemporanea è quantomai attuale; tipico delle formazioni urbane che stanno nascendo, oramai da più di cinquant’anni, è essere conglomerati di edifici privi di un’identità specifica, privi di “caratteristica”. (Rowe, 1978)

Andrea Branzi annuncia, in calce al suo testo manifesto, la presenza di una “modernità debole e diffusa” nella pratica progettuale dell’inizio del XII secolo; nonostante il presagio branziano si ponga positivamente, promuovendo un progetto di città nuovo, il risultato è un sistema urbano che elimina programmaticamente la presenza di un contesto stratificato e la permanenza di una memoria storica in favore di una verdeggiante tecnologia. La “No-stop City” è un sistema abitativo che auto-genera un’immagine nuova di città, dove però il tasso di non luogo della modernità aumenta esponenzialmente. Da questo presupposto si potrebbe quindi parafrasare il suo inciso con complessità debole e diffusa, marcando così la mancanza di ciò che ha sempre contraddistinto la città tradizionale, la presenza di eventi catalizzanti: picchi prospettici capaci di produrre forti immagini residue. (Branzi, 2006)

Nella disamina che verrà eseguita l’immagine residua si colloca al centro di un pensiero sulla città contemporanea, analizzando come in questa tematica sia fondamentale la messa a sistema di elementi provenienti da differenti campi di utilizzo, o lassi temporali, volta alla creazione di un dialogo tra loro. Il fine è quello di generare un nuovo significato nel progetto urbano, derivante dalla consonanza (accordo) di brani architettonici apparentemente cacofonici tra loro, al fine di ricreare una complessità perduta. Complessità derivante in questo caso quindi dalla capacità di risemantizzazione degli elementi compositivi, partendo dal presupposto che oggetti e soggetti apparentemente diversi assumano significato nuovo e aumentato dal forzato rapporto tra loro. Il rapido avvento di nuove tecnologie, la quale obsolescenza (quasi) istantanea, è evidente oggigiorno, diventa parte dell’istanza progettuale in architettura, capace quasi solo di generare strutture effimere, tipiche dei nuovi sistemi urbani, invece di arricchire l’esperienza urbana di eventi e immagini indelebili.

Lo strumento che qui si propone, l’immagine, è mezzo di rimessa in rapporto di elementi storici, siano essi manufatti architettonici o tecnologici; la parola che in origine significava letteralmente rappresentare si è perduta nel percorso tra significato e significante. Lo strutturare immagini è qui presentato come metodologia di indagine delle diverse istanze e dei diversi soggetti progettuali, ed utilizzata per generare spazi critici di operazione concettuale dai quali derivano immagini residue profonde sulle quali fondare il progetto. Esattamente in questo spazio concettuale può avvenire la generazione di teoria, dove si può fondare il fare più profondo della progettazione architettonica, luogo decisivo nello strutturare lo spazio urbano. Partendo dal dualismo etimologico (immaginazione/immagine) appare chiaro come la teoria si basi sull’osservazione delle cose che circondano l’individuo e sulla successiva rappresentazione delle stesse, e sulla capacità che le immagini stesse hanno di affondare nel subconscio dell’osservatore.

Luigi Pirandello osserva, nel suo “Il Fu Mattia Pascal”, come l’immagine residua dello spazio e delle cose siano quello che veramente le caratterizza, lo spazio diventa “animato dalle immagini che suscita” subordinato agli occhi

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e alla memoria del soggetto vedente, tanto da affermare che “nell’oggetto amiamo l’accordo, l’armonia che stabiliamo tra esso e noi”. (Pirandello, 2001)

Verranno in seguito analizzati i diversi mezzi di rappresentazione-registrazione dello spazio attraverso i quali si struttura la generazione delle immagini, ma prima di elencarli è conveniente soffermarsi sulla accezione di immagine residua che si sta utilizzando. L’immagine residua è ciò che caratterizza la visione di uno spazio, è ciò che rimane inciso nella mente e nella memoria di chi lo vede, è tutto quello che di più caratterizzante emerge da un’esperienza spaziale. Questo processo di acquisizione esperienziale avviene attraverso la visione di spazi capaci di evocare un forte immaginario, la lettura della quali genererà esperienza e successivamente teoria dato che “è il pensiero di cui sembra non si abbia Cosenza che guida la elaborazione di una immagine fino a fermare la elaborazione al punto in cui [il pensiero stabilisce che] il risultato gli [al pensiero] possa corrispondere” complesso processo è il fine che può essere posto ad un progetto di città efficace tanto quanto quello storico-tradizionale. (Servino, 2013)

Se si effettua una riflessione sulla capacità delle immagini di influire sullo strutturarsi dello spazio nel subconscio e sulla costruzione dello stesso, si può dedurre come la generazione di immagini possa essere considerata parte integrante della progettazione. Conseguentemente l’indagine di alcuni mezzi compositivi (e di rappresentazione) dello spazio diventa strumento di controllo diretto della modifica spaziale e percettiva, quindi composizione, progettazione e pratica architettonica. I significati che la parola immagine può prendere a seguito esaminati sono: didascalico, grafico, letterario, fotografico e scenografico. L’utilizzo delle diverse declinazioni strutturali di immagine permette di direzionare la ricerca verso lo studio e la progettazione di strutture metodologiche comunicative aperte, capaci di essere lette trasversalmente, sovrapposte e relazionate, come vedremo in seguito.

Le immagini raccolte nel tipo di disegno proposto prendono la forma finale di collage, il quale genera diverse letture facendo leva su come “la memoria [la mia memoria] restituisce [mi restituisce] le sue tracce sincronicamente. E’ [mi appare] bidimensionale.” Il collage posto come strumento di analisi-composizione del sistema urbano contemporaneo ed in seguito utilizzato come strumento di verifica, data la sua capacità comunicativa diretta e immediata. (Servino, 2013)

I collage si strutturano come accumulo di immagini, testi e riflessioni, cristallizzatisi secondo il principio di “prossimità concettuale”; esattamente come la città storica ha visto le sue vie sovrapporsi e affollarsi di manufatti temporalmente e formalmente, che traggono forza da questa loro alterità costretta alla convivenza spaziale, suggerendo così rapporti nuovi tra gli elementi della composizione, generando immagini residue. Queste immagini (astrazione di ciò che avviene nella città) possono essere considerate come frammenti di uno scenario e venire successivamente verificate, raffigurate e raccolte per mezzo di collage prospettici che le uniscono in un singolo artefatto, il quale le mette in rapporto diretto le une con le altre come la città. Questo dispositivo rappresentativo richiama uno stato incertezza conoscitiva fondandosi sul fatto che “il disegno [l’immagine di architettura] è imperfetto perché incorrotto.” (Servino, 2013)

Questi disegni sono prospettive che mostrano gli elementi nella loro totalità, i quali vengono presentati come reperti incorniciati tra due vetri, simulanti l’esamina di un materiale effettuata in laboratorio. Come in un soluto nel disegno “tutto arriva in superficie e lì si ferma. Galleggia. Un luogo si mostra in due dimensioni. Viene percepito bidimensionale.” (Servino, 2013)

Questi disegni spaziali generano immagini, che si possono identificare con quattro diversi esempi di “traduzioni intersemiotiche”, partendo dall’assunto lynchiano che il sistema urbano è descritto diversamente da differenti soggetti. Nell’immagine della città è ampiamente dimostrato che non solo il bagaglio culturale del soggetto modifica l’immagine residua, ma anche il mezzo descrittivo dell’immagine ne influenza in maniera cruciale la percezione e i ricordi. I tipi di immagine residua che sono stati presi in esame sono rispettivamente: grafica, didascalica, letteraria e fotografico-scenografica; la scelta di questi è stata influenzata come vedremo in seguito dalla cospicua presenza degli stessi nella pratica architettonica contemporanea, che ha prodotto alcuni esempi particolarmente felici e significativi. (Campos, 2011)

L’immagine grafica (Fig. 1) è un ridisegno della prospettiva, rielaborato; il bianco e nero regna, il tratto continuo e l’unico foglio dove alloggia equiparano gli elementi-scenario della città collage, “impastandoli” in una monocromatica unitarietà. Esempio principe di collage, di immagine grafica è la Città Analoga di Aldo Rossi: un’immagine di città che galleggia tra le visioni piranesiane (che verranno analizzate in seguito) la e capacità divinatoria della visione de barbariana di Venezia, genitrice del volo d’uccello. Un secondo esempio di immagine grafica può essere considerato il prodotto che Ferris restituisce per dare forma vaga allo zoning law, presentando il suo “Mega-villaggio”, dove la contemporaneità assume forme aerodinamiche per portare un modo di abitare rurale verso lo spazio, “la luna” lo spazio puro. L’immagine grafica permette alla “nuova Atene di Ferris” affianco all’antica Roma di Rossi. (Koolhaas,1989)

L‘immagine didascalica (Fig. 2) è un diagramma, una mappa codificata, un elenco numerato degli elementi-scenario presenti in un ambiente (in questo caso), dove si possono enunciare dati precisi e codificati sul ogni elemento; ad esempio: autore o scopritore (con data di nascita), data dell’opera, materiali con dimensione (se ricostruibili), ubicazione. Ordinare tutti soggetti in un rigido elenco permette di metterli in relazione diretta tra loro; appiattirli in un piano semantico unico astrae radicalmente le loro caratteristiche dimensionali analogiche, cosi da forzane i rapporti digitali nascosti. (Campos, 2011)

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7 L’IMMAGINE RESIDUA

Fig.1. Esempio di immagine grafica Fig. 2. Esempio di immagine didascalica

Un simile appiattimento delle informazioni è reso in favore di un maggiore effetto dinamico sul sistema urbano,

come viene mostrato da Robert Venturi nelle mappe prodotte per Learnign from Las Vegas, la traduzione della velocità avviene attraverso la compressione del significato degli edifici nel loro nome, nello stesso carattere, di dimensione diversa, disposto sulla stessa via. De Carlo invece nel suo Piano per la Città di Urbano mostra come delle mappe diagrammatiche permettano di sintetizzare in un singolo elaborato l’immagine didascalica della città e il suo progetto.

L’immagine letteraria (Fig. 3) invece è lettura spaziale pura, nella quale vengono descritte le caratteristiche più evocative e vaghe degli elementi-scenario, e attraverso la quale vengono annotate alcune riflessioni sulle ricadute che hanno avuto sullo spazio fisico. Questi testi si presentano titolati come l’immagine che affrontano, non sono numerati, presentano al loro interno una ripetizione del titolo affiancata dai riferimenti numerici alla didascalia, alla rappresentazione grafica e alla tavola fotografica di riferimento. Borges nell’Aleph descrive uno spazio simile, affermando che il “labirinto è un edificio costruito per confondere gli uomini”, ma attraverso il quale si coglie l’esperienza vera dello spazio e si guinge alla “città degli dei”. Esperienza spaziale simile a quella che Calvino fa compiere al Khan nel raccontare le immagini letterarie residue delle Città che Marco Polo ha visto lungo il suo viaggio. (Borges, 1949)

Fig. 3. Esempio di immagine letteraria

ESEMPI DI ARCHITETTURA, 2017, VOL.4, N.1

6 FRANCESCO TOSETTO

e alla memoria del soggetto vedente, tanto da affermare che “nell’oggetto amiamo l’accordo, l’armonia che stabiliamo tra esso e noi”. (Pirandello, 2001)

Verranno in seguito analizzati i diversi mezzi di rappresentazione-registrazione dello spazio attraverso i quali si struttura la generazione delle immagini, ma prima di elencarli è conveniente soffermarsi sulla accezione di immagine residua che si sta utilizzando. L’immagine residua è ciò che caratterizza la visione di uno spazio, è ciò che rimane inciso nella mente e nella memoria di chi lo vede, è tutto quello che di più caratterizzante emerge da un’esperienza spaziale. Questo processo di acquisizione esperienziale avviene attraverso la visione di spazi capaci di evocare un forte immaginario, la lettura della quali genererà esperienza e successivamente teoria dato che “è il pensiero di cui sembra non si abbia Cosenza che guida la elaborazione di una immagine fino a fermare la elaborazione al punto in cui [il pensiero stabilisce che] il risultato gli [al pensiero] possa corrispondere” complesso processo è il fine che può essere posto ad un progetto di città efficace tanto quanto quello storico-tradizionale. (Servino, 2013)

Se si effettua una riflessione sulla capacità delle immagini di influire sullo strutturarsi dello spazio nel subconscio e sulla costruzione dello stesso, si può dedurre come la generazione di immagini possa essere considerata parte integrante della progettazione. Conseguentemente l’indagine di alcuni mezzi compositivi (e di rappresentazione) dello spazio diventa strumento di controllo diretto della modifica spaziale e percettiva, quindi composizione, progettazione e pratica architettonica. I significati che la parola immagine può prendere a seguito esaminati sono: didascalico, grafico, letterario, fotografico e scenografico. L’utilizzo delle diverse declinazioni strutturali di immagine permette di direzionare la ricerca verso lo studio e la progettazione di strutture metodologiche comunicative aperte, capaci di essere lette trasversalmente, sovrapposte e relazionate, come vedremo in seguito.

Le immagini raccolte nel tipo di disegno proposto prendono la forma finale di collage, il quale genera diverse letture facendo leva su come “la memoria [la mia memoria] restituisce [mi restituisce] le sue tracce sincronicamente. E’ [mi appare] bidimensionale.” Il collage posto come strumento di analisi-composizione del sistema urbano contemporaneo ed in seguito utilizzato come strumento di verifica, data la sua capacità comunicativa diretta e immediata. (Servino, 2013)

I collage si strutturano come accumulo di immagini, testi e riflessioni, cristallizzatisi secondo il principio di “prossimità concettuale”; esattamente come la città storica ha visto le sue vie sovrapporsi e affollarsi di manufatti temporalmente e formalmente, che traggono forza da questa loro alterità costretta alla convivenza spaziale, suggerendo così rapporti nuovi tra gli elementi della composizione, generando immagini residue. Queste immagini (astrazione di ciò che avviene nella città) possono essere considerate come frammenti di uno scenario e venire successivamente verificate, raffigurate e raccolte per mezzo di collage prospettici che le uniscono in un singolo artefatto, il quale le mette in rapporto diretto le une con le altre come la città. Questo dispositivo rappresentativo richiama uno stato incertezza conoscitiva fondandosi sul fatto che “il disegno [l’immagine di architettura] è imperfetto perché incorrotto.” (Servino, 2013)

Questi disegni sono prospettive che mostrano gli elementi nella loro totalità, i quali vengono presentati come reperti incorniciati tra due vetri, simulanti l’esamina di un materiale effettuata in laboratorio. Come in un soluto nel disegno “tutto arriva in superficie e lì si ferma. Galleggia. Un luogo si mostra in due dimensioni. Viene percepito bidimensionale.” (Servino, 2013)

Questi disegni spaziali generano immagini, che si possono identificare con quattro diversi esempi di “traduzioni intersemiotiche”, partendo dall’assunto lynchiano che il sistema urbano è descritto diversamente da differenti soggetti. Nell’immagine della città è ampiamente dimostrato che non solo il bagaglio culturale del soggetto modifica l’immagine residua, ma anche il mezzo descrittivo dell’immagine ne influenza in maniera cruciale la percezione e i ricordi. I tipi di immagine residua che sono stati presi in esame sono rispettivamente: grafica, didascalica, letteraria e fotografico-scenografica; la scelta di questi è stata influenzata come vedremo in seguito dalla cospicua presenza degli stessi nella pratica architettonica contemporanea, che ha prodotto alcuni esempi particolarmente felici e significativi. (Campos, 2011)

L’immagine grafica (Fig. 1) è un ridisegno della prospettiva, rielaborato; il bianco e nero regna, il tratto continuo e l’unico foglio dove alloggia equiparano gli elementi-scenario della città collage, “impastandoli” in una monocromatica unitarietà. Esempio principe di collage, di immagine grafica è la Città Analoga di Aldo Rossi: un’immagine di città che galleggia tra le visioni piranesiane (che verranno analizzate in seguito) la e capacità divinatoria della visione de barbariana di Venezia, genitrice del volo d’uccello. Un secondo esempio di immagine grafica può essere considerato il prodotto che Ferris restituisce per dare forma vaga allo zoning law, presentando il suo “Mega-villaggio”, dove la contemporaneità assume forme aerodinamiche per portare un modo di abitare rurale verso lo spazio, “la luna” lo spazio puro. L’immagine grafica permette alla “nuova Atene di Ferris” affianco all’antica Roma di Rossi. (Koolhaas,1989)

L‘immagine didascalica (Fig. 2) è un diagramma, una mappa codificata, un elenco numerato degli elementi-scenario presenti in un ambiente (in questo caso), dove si possono enunciare dati precisi e codificati sul ogni elemento; ad esempio: autore o scopritore (con data di nascita), data dell’opera, materiali con dimensione (se ricostruibili), ubicazione. Ordinare tutti soggetti in un rigido elenco permette di metterli in relazione diretta tra loro; appiattirli in un piano semantico unico astrae radicalmente le loro caratteristiche dimensionali analogiche, cosi da forzane i rapporti digitali nascosti. (Campos, 2011)

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7 L’IMMAGINE RESIDUA

Fig.1. Esempio di immagine grafica Fig. 2. Esempio di immagine didascalica

Un simile appiattimento delle informazioni è reso in favore di un maggiore effetto dinamico sul sistema urbano,

come viene mostrato da Robert Venturi nelle mappe prodotte per Learnign from Las Vegas, la traduzione della velocità avviene attraverso la compressione del significato degli edifici nel loro nome, nello stesso carattere, di dimensione diversa, disposto sulla stessa via. De Carlo invece nel suo Piano per la Città di Urbano mostra come delle mappe diagrammatiche permettano di sintetizzare in un singolo elaborato l’immagine didascalica della città e il suo progetto.

L’immagine letteraria (Fig. 3) invece è lettura spaziale pura, nella quale vengono descritte le caratteristiche più evocative e vaghe degli elementi-scenario, e attraverso la quale vengono annotate alcune riflessioni sulle ricadute che hanno avuto sullo spazio fisico. Questi testi si presentano titolati come l’immagine che affrontano, non sono numerati, presentano al loro interno una ripetizione del titolo affiancata dai riferimenti numerici alla didascalia, alla rappresentazione grafica e alla tavola fotografica di riferimento. Borges nell’Aleph descrive uno spazio simile, affermando che il “labirinto è un edificio costruito per confondere gli uomini”, ma attraverso il quale si coglie l’esperienza vera dello spazio e si guinge alla “città degli dei”. Esperienza spaziale simile a quella che Calvino fa compiere al Khan nel raccontare le immagini letterarie residue delle Città che Marco Polo ha visto lungo il suo viaggio. (Borges, 1949)

Fig. 3. Esempio di immagine letteraria

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L’immagine fotografica-scenografica (Fig. 4) infine costituisce la parte più performatica e interpretativa tra gli esempi. Gli elementi-scenario che sono presenti nelle prospettive sono rappresentati assieme, tra due vetri diventando per così dire lastre, due superfici di filtro della città; lenti attraverso cui si può guardare il mondo per cogliere sfumature nuove. Si dividono in due rami, l’immagine scenografica analoga a quella prodotta dalla città simulata di Vincenzo Scamozzi; le vie di Tebe che disegna per le quinte del Teatro Olimpico sono una vera e propria macchina urbana-teatrale, tanto perfetta da diventare “indistruttibile”. Questa macchina però altro nonché l’astrazione lignea non solo delle vie di Tebe, ma anche dell’immagine residua delle vie che dal decumano (oggi Corso Palladio) di Vicenza scendono verso le serliane della Basilica. A suo modo Scamozzi registra lo stato della sua città e traspone due immagini in uno spazio eterotropico urbano, in maniera consimile a quello che fa Bernice Abbott con la nascente New York ferrisiana. La fotografia della Abbott instaura lo stesso rapporto che Scamozzi instaura con l’immagine residua dello spazio realizzato dal suo maestro; la nebbia dei carboncini di Ferris si dirada e si imprime nel bianco e nero delle pellicole, documentando il farsi materia costruita della potenza divinatoria insita nelle immagini residue scaturite dall'acropoli ferrissiana.

Fig. 4. Esempio di Immagine Fotografico Scenografica

Tutto il sistema di esempi sopra elencato di continue letture, di rimandi, di combinazioni e di sovrapposizioni possibili, (Fig. 5) è stato presentato per indagare come l’utilizzo di queste immagini residue lasci uno spazio interpretativo dove può affiorare la composizione sottesa alla struttura urbana tradizionale, nella quale la sequenza d’immagini culmina in picchi prospettici che caratterizzando l’unicum. I differenti sistemi rappresentativi generano uno spazio concettuale dove avviene la modifica fisica, “precompositiva”, dell’immagine residua dello spazio architettonico reale che il fruitore porterà con sè. Il collage quindi può essere utilizzato quindi come metodo progettuale che configura una “piattaforma su cui andare a edificare un passaggio ulteriore con una sovrapposizione di piani preparati [pronti] a loro volta a altri passaggi ancora.” (Servino 2013, Eisenman 1985)

La catalogazione-analisi degli elementi tramite i canoni immaginativi precedentemente elencati permette di confrontarli e sovrapporli liberamente. Le diverse rappresentazioni permettono di equiparare e allo stesso tempo di intrecciarne la lettura, annullandone in parte o completamente il tempo e la scala, e così facendo di liberare l’atto creativo. Analizzare in questa maniera gli elementi della città che andranno a generare tendenze spaziali, permette di mettere in comunicazione diversi strati, diversi manufatti provenienti da molteplici momenti storici, mutuando il movimento sedimentativo che la storia produce sulle informazioni, sui ricordi e sulla città. Un appiattimento fisco e concettuale dove tutti gli attori che recitano sulla scena diventano protagonisti.

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9 L’IMMAGINE RESIDUA

L’immagine viene utilizzata come comunicazione codificata di informazioni su un elemento preciso e permette di sviluppare un confronto tra altri elementi catalogati con un metodo analogo, questo permette di importare, utilizzare e includere una serie infinita di immagini, oggetti, attori, provenienti da qualsiasi disciplina, nel grande macchinario della progettazione architettonica urbana, al fine di progettare e concretizzare spazi capaci di recuperare la tradizionale efficacia immaginativa che esiste nei centri storici, quindi di carpire quali istanze possano avere un efficacia maggiore, al fine di essere reusate, resemantizzate e attualizzate.

Fig. 5. Diagramma riassuntivo della struttura sovrappositoria generata dal rapporto tra i diversi sistemi rappresentativi.

PROSPETTIVA (FORMA E METODO) Il primo modello di riferimento utilizzato per strutturare queste immagini è il disegno prospettico. In particolare

le prospettive rappresentate nelle incisioni del Piranesi possono fungere da modello di riferimento fondamentale in questo tipo di struttura immaginativa, questo grazie alla loro capacità sintetica di risemantizzare elementi storici e farli convivere assieme, tanto nel dispositivo letterario, quanto in quello grafico.

Nella raccolta Architettura e Prospettiva, Giovanni Battista Piranesi introduce il tema del “disegno prospettico”, affiancando l’ossimoro della falsa superfetazione storica alla potenza della veridicità narrativa. In particolare nella rappresentazione della Via Appia antica presenta un’immagine con grande carica evocativa, fondandola sul susseguirsi di oggetti simbolici provenienti dal passato, stilemi e reperti di un eredità-identità storica comune e familiare allo spettatore, suggerendo così possibili organizzazioni spaziali o politiche non necessariamente verificatosi.

Ne Le Carceri sono rappresentati invece spazi misurati ma impercorribili, che configurano vere e proprie “eterotropie”, rispecchiando i sogni involontari nei quali, ad un attento osservatore, tutti gli elementi della composizione si chiarificano; davanti ai quali occhi anche le più astruse coincidenze si siedono l’una affianco all’altra ed iniziano amabilmente a conversare. (Foucalut, 2014)

Nei disegni prodotti per la raccolta Carceri d’invenzione, Piranesi ricrea un senso di disorientamento che, dettato dall’incertezza dell’osservatore sull’ubicazione del punto di fuga, assume un interesse particolare in questa ricerca. All’interno delle carceri non si percepisce lo spazio nella sua interezza: si viene proiettati in uno stato di disorientamento derivante dall’eccesso di spazio. L’occhio scivola in continuazione da un punto di fuga verso un altro, non trovando mai quiete; non c’è fine alle sequenze di spazi, condizione simile a quella generata dal sedimentarsi della storia. Questo tipo di disegno provoca uno stato d’inquietudine conoscitiva propriamente attribuibile alla nozione di futuro, un’incertezza derivante anche dal fatto che i disegni piranesiani “sono stati considerati come “non-costruibili” (o non edifici), precisamente perché una convenzione tradizionale della rappresentazione architettonica, la prospettiva, era contravvenuta” nella sua funzione puramente descrittiva

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8 FRANCESCO TOSETTO

L’immagine fotografica-scenografica (Fig. 4) infine costituisce la parte più performatica e interpretativa tra gli esempi. Gli elementi-scenario che sono presenti nelle prospettive sono rappresentati assieme, tra due vetri diventando per così dire lastre, due superfici di filtro della città; lenti attraverso cui si può guardare il mondo per cogliere sfumature nuove. Si dividono in due rami, l’immagine scenografica analoga a quella prodotta dalla città simulata di Vincenzo Scamozzi; le vie di Tebe che disegna per le quinte del Teatro Olimpico sono una vera e propria macchina urbana-teatrale, tanto perfetta da diventare “indistruttibile”. Questa macchina però altro nonché l’astrazione lignea non solo delle vie di Tebe, ma anche dell’immagine residua delle vie che dal decumano (oggi Corso Palladio) di Vicenza scendono verso le serliane della Basilica. A suo modo Scamozzi registra lo stato della sua città e traspone due immagini in uno spazio eterotropico urbano, in maniera consimile a quello che fa Bernice Abbott con la nascente New York ferrisiana. La fotografia della Abbott instaura lo stesso rapporto che Scamozzi instaura con l’immagine residua dello spazio realizzato dal suo maestro; la nebbia dei carboncini di Ferris si dirada e si imprime nel bianco e nero delle pellicole, documentando il farsi materia costruita della potenza divinatoria insita nelle immagini residue scaturite dall'acropoli ferrissiana.

Fig. 4. Esempio di Immagine Fotografico Scenografica

Tutto il sistema di esempi sopra elencato di continue letture, di rimandi, di combinazioni e di sovrapposizioni possibili, (Fig. 5) è stato presentato per indagare come l’utilizzo di queste immagini residue lasci uno spazio interpretativo dove può affiorare la composizione sottesa alla struttura urbana tradizionale, nella quale la sequenza d’immagini culmina in picchi prospettici che caratterizzando l’unicum. I differenti sistemi rappresentativi generano uno spazio concettuale dove avviene la modifica fisica, “precompositiva”, dell’immagine residua dello spazio architettonico reale che il fruitore porterà con sè. Il collage quindi può essere utilizzato quindi come metodo progettuale che configura una “piattaforma su cui andare a edificare un passaggio ulteriore con una sovrapposizione di piani preparati [pronti] a loro volta a altri passaggi ancora.” (Servino 2013, Eisenman 1985)

La catalogazione-analisi degli elementi tramite i canoni immaginativi precedentemente elencati permette di confrontarli e sovrapporli liberamente. Le diverse rappresentazioni permettono di equiparare e allo stesso tempo di intrecciarne la lettura, annullandone in parte o completamente il tempo e la scala, e così facendo di liberare l’atto creativo. Analizzare in questa maniera gli elementi della città che andranno a generare tendenze spaziali, permette di mettere in comunicazione diversi strati, diversi manufatti provenienti da molteplici momenti storici, mutuando il movimento sedimentativo che la storia produce sulle informazioni, sui ricordi e sulla città. Un appiattimento fisco e concettuale dove tutti gli attori che recitano sulla scena diventano protagonisti.

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9 L’IMMAGINE RESIDUA

L’immagine viene utilizzata come comunicazione codificata di informazioni su un elemento preciso e permette di sviluppare un confronto tra altri elementi catalogati con un metodo analogo, questo permette di importare, utilizzare e includere una serie infinita di immagini, oggetti, attori, provenienti da qualsiasi disciplina, nel grande macchinario della progettazione architettonica urbana, al fine di progettare e concretizzare spazi capaci di recuperare la tradizionale efficacia immaginativa che esiste nei centri storici, quindi di carpire quali istanze possano avere un efficacia maggiore, al fine di essere reusate, resemantizzate e attualizzate.

Fig. 5. Diagramma riassuntivo della struttura sovrappositoria generata dal rapporto tra i diversi sistemi rappresentativi.

PROSPETTIVA (FORMA E METODO) Il primo modello di riferimento utilizzato per strutturare queste immagini è il disegno prospettico. In particolare

le prospettive rappresentate nelle incisioni del Piranesi possono fungere da modello di riferimento fondamentale in questo tipo di struttura immaginativa, questo grazie alla loro capacità sintetica di risemantizzare elementi storici e farli convivere assieme, tanto nel dispositivo letterario, quanto in quello grafico.

Nella raccolta Architettura e Prospettiva, Giovanni Battista Piranesi introduce il tema del “disegno prospettico”, affiancando l’ossimoro della falsa superfetazione storica alla potenza della veridicità narrativa. In particolare nella rappresentazione della Via Appia antica presenta un’immagine con grande carica evocativa, fondandola sul susseguirsi di oggetti simbolici provenienti dal passato, stilemi e reperti di un eredità-identità storica comune e familiare allo spettatore, suggerendo così possibili organizzazioni spaziali o politiche non necessariamente verificatosi.

Ne Le Carceri sono rappresentati invece spazi misurati ma impercorribili, che configurano vere e proprie “eterotropie”, rispecchiando i sogni involontari nei quali, ad un attento osservatore, tutti gli elementi della composizione si chiarificano; davanti ai quali occhi anche le più astruse coincidenze si siedono l’una affianco all’altra ed iniziano amabilmente a conversare. (Foucalut, 2014)

Nei disegni prodotti per la raccolta Carceri d’invenzione, Piranesi ricrea un senso di disorientamento che, dettato dall’incertezza dell’osservatore sull’ubicazione del punto di fuga, assume un interesse particolare in questa ricerca. All’interno delle carceri non si percepisce lo spazio nella sua interezza: si viene proiettati in uno stato di disorientamento derivante dall’eccesso di spazio. L’occhio scivola in continuazione da un punto di fuga verso un altro, non trovando mai quiete; non c’è fine alle sequenze di spazi, condizione simile a quella generata dal sedimentarsi della storia. Questo tipo di disegno provoca uno stato d’inquietudine conoscitiva propriamente attribuibile alla nozione di futuro, un’incertezza derivante anche dal fatto che i disegni piranesiani “sono stati considerati come “non-costruibili” (o non edifici), precisamente perché una convenzione tradizionale della rappresentazione architettonica, la prospettiva, era contravvenuta” nella sua funzione puramente descrittiva

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dell’architettura costruita e costruibile. In questi casi si può parlare di un limite variabile, un alone, che circonda la forma, in continuo e possibile divenire lungo il tracciato temporale. (Eisenman, 1987)

Un atteggiamento critico simile è quello che Ferriss utilizza per rappresentare la “placenta” conoscitiva dalla quale nascerà New York; modello di città che si riprodurrà senza soluzione di continuità nel nostro secolo. Metodo teorizzato “nel mezzo grafico che egli utilizza per realizzare i suoi disegni: la creazione di una notte artificiale che rende tutti gli eventi architettonici vaghi e ambigui dentro una nebbia di particelle di carboncino che s’infittisce o dirada a seconda delle necessità.” Questo utero a cui Koolhaas fa riferimento, in Delirius New York, è lo stesso luogo concettuale che sembra aver partorito anche la Nuvola di Diller & Scofidio + Renfro. Una vera e propria macchina architettonica per performance esperienziali, volta ad accrescere la coscienza dello spazio vero e proprio, la Nuvola mostra il ruolo che in futuro potrebbe assumere il bordo. Limite biologico di un spazio fluido in una architettura fatta di nulla, di acqua nebulizzata, una bolla, il “blur the making of nothing”. (Diller, Scofidio, 2002).

La nuvola disegnata dallo studio newyorkese propone un nuovo immagine di architettonica ed un nuovo spazio urbano, ponendo l’accento su come l’effimero è nuovo topos del progetto. Uno spazio concettuale denso, tattile ma non tangibile, dove l’esperienza dell’opera possa accrescere la coscienza di colui che la fruisce, e l’immagine che porterà con sé.

Dille&Scofidio forniscono un’ulteriore suggestione su come il supporto possa moltiplicare le dimensioni fisiche del disegno. Nell’analisi dell’opera The Large Glass di Marcell Duchamp comprendono come la trasparenza del supporto garantisca “un punto di vista itinerante (nomade)” nell’opera. Successivamente l’introduzione di una “cerniera” permette di moltiplicare le prospettive e lo spazio che esse generano all’infinito. Una prospettiva “volumetrica” dove lo spettatore diventa parte integrante dello sfondo. (Diller, Scofidio, 1994)

TEATRO (STRUTTURA CONCETTUALE) Teatro è inteso come il luogo della messa in scena della finzione, nel quale le immagini svolgono il ruolo di

attori similmente a quello che accade nella città storica. Una struttura concettuale dove il tempo funge da amplificatore concettuale, mimando “il sistema dei risuonatori di bronzo” presenti nel teatro classico, capace di espandere il potenziale immaginativo del presente nella scena. Utilizzare meccanismi (dispositivi) concettuali trova ulteriore fondamento storico considerato che in antichità esistevano “luoghi che i Greci chiamano (...), dal fatto che quivi sono macchine a prisma triangolare girevoli, ciascuna con tre facce decorate diversamente, le quali macchine quando avvengano le catastrofi o peripezie nelle tragedie, o l’intervento degli dei, con tuoni repentini girano e presentano un’altra faccia” del mondo, al mondo. (Vitruvio, 2002)

Questi macchinari rappresentativo-concettuali basano la loro efficacia sulla presenza della luce. L’esempio del Mito della Caverna platonico aiuta a comprendere come la proiezione di immagini provenienti da un ambiente esterno finte, ma comunemente accettate dagli abitanti della grotta, influisca profondamente sulla loro immaginazione. Fino ad innestare il germe che spinge uno degli inquilini a compiere lo sforzo di “scatenarsi” per uscire all’esterno accogliere la verità, “ἀλήθεια”, in tutta la sua potente ed incontenibile interezza; dopo questo assunto si può quindi definire un simile sistema rappresentativo teatrale come dispositivo platonico. (Heidegger, 1997)

Di conseguenza utilizzare un dispositivo platonico, dove la luce è lo strumento primario, permette di sfruttare il principio per il quale “l’artista possiede la visione essenziale di ciò che è possibile, mette in opera le nascoste possibilità dell’ente e in tal modo fa sì che gli uomini vedano quell’ente reale in cui si aggirano ciecamente”, così facendo si aumenta esponenzialmente il numero di significati e immagini che possono scaturire dall’accostamento di elementi tra loro estranei. (Rizzi, 2006)

La città è intesa quindi come presenza teatrale un sistema complesso di immaginazione, dove la potenza digitale pop della proiezione di un’immagine su una superficie, appiattita ed equiparata acquisisce un fascino ammaliante, come quello descritto anche da Warhol, quando analizza il televisore e le visioni che genera. Le immagini proiettate portano lo strumento che le produce ad essere uno degli elementi fondanti della sua filosofia; tanto da affermare che dopo averlo acquistato lo teneva “sempre accesso, specialmente quando qualcuno mi raccontava i suoi problemi, che ora non mi colpivano più poiché ne ero completamente distolto dalla TV. Era come una magia.” (Warhol, 2009)

Questa definizione di Giorgio Agamben ci accompagna nella seconda parte del ragionamento: “può dirsi contemporaneo soltanto chi non si lascia accecare dalle luci del [proprio] secolo e riesce a scorgere in esse la parte dell’ombra, la loro intima oscurità”, luce che può abitare la struttura urbana. (Agamben, 2014)

La scelta del Teatrino, come strumento di riferimento, per fare da scheletro concettuale alle immagini, è stata dettata dalla necessità di trovare un supporto capace di lasciar intuire all’osservatore la possibilità di perdersi. La ripresa della struttura concettuale presentata da Lucio Fontana nei suoi Teatrini, si assoggetta perfettamente allo scopo proposto. Fontana raffina le sue speculazioni spaziali nei suoi Teatrini, racchiudendo in una cornice la perforazione della superficie pittorica. Così facendo determina un rapporto nuovo tra la struttura teatrale e il luogo, confina uno sfondo in continuo divenire e ridefinirsi, in una cornice. La cornice è bordo, il recinto fisico del viaggio dimensionale, ma anche una sovrastruttura, la quale si proietta sulla superficie disegnando un’ombra, lasciando intravedere uno spazio interstiziale. Fontana crea teatri d’ombra.

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11 L’IMMAGINE RESIDUA

E’ precisamente in questo spazio interstiziale, in questa pausa fisica, oscura, “ferrissiana” e immateriale tra cornice e telaio, che si va a collocare la creazione di nuove immagini urbane. Si intuisce così la presenza di un tempo nuovo nel disegno, che aumenta la potenza immaginativa nel progetto contemporaneo. (Koolhaas, 2006)

Le investigazioni spaziali effettuate da Fontana ricreano un “momento” vero, fatto di tempo fisico, quasi tangibile, una pausa intellettuale tra i vari elementi. Questo dispositivo, questo topos, può essere paragonato al luna park koolhaassiano, una tecnologia del fantastico, una superficie dove fondare l’evanescenza di prospettive su mondi futuri(bili), utopici o reali. Un luogo dove prendono forma riflessi luccicanti di realtà, proprio come gli specchi giustapposti da Murray nei suoi “Giardini romani”, i quali propongono suggestioni che non devono forzatamente esistere, ma sono in potenza di un flusso. Queste speculazioni si configurano come una Masque, un filtro, un velo sul mondo, che porta alla mente “compressioni temporali” cariche di un fortissimo potenziale immaginativo, fondato sulle esperienze passate e familiari che rievocano. (Koolhaas, 2006, Hejduk, 1989)

Spazi aperti, sospesi, danno coscienza del fulmineo procedere incerto, tipico del tempo contemporaneo, indicando la necessità di imparare a tracciare nel buio, come una saetta che squarcia una notte d’estate, al fine di riuscire a sovrascrivere un palinsesto in continua riconfigurazione, una nuova prospettiva urbana. Essere coscienti del respiro affannoso, del sordo battito, derivante dalla loro grande forza momentanea, dalla loro promessa di futuro, che potrebbe non essere mai.

TEMPO FERMATO TRA UN SOSPIRO E L’ALTRO Le immagini, le indagini presenti nel testo prendono una nuova forma quando si raffigurano nella superficie

pittorica. La loro immaginazione, l’iscrizione in un piano cartesiano, determina nuovi rapporti, legati alla loro disposizione, fisica (nel disegno) e figurata (nella mente dell’interlocutore) quindi nello spazio.

Questo modello permette di impostare il “se” come metodo, la nebbia come struttura, per passare attraverso un bordo labile, e così facendo progettare l’incertezza, il variabile. Imparare a plasmare la materia informe dell’indeterminato, percepire la sabbia tra le mani per il tempo che è concesso di stringerla, per cogliere lo spazio dove si possano generare immagini estremamente incisive.

Le bucature della superficie sono vie di fuga sul nulla apparente, indizio di un infinito combinatorio di possibilità, uno sfondo incerto, che ridefinisce la sua forma ogni volta che si ridispone il Teatrino. Si modifica spazio e tempo nel suo viaggio dal caldo salotto di una ricca e paffuta signora, all’asettico spazio sacrale e riecheggiante di un Museo, cattedrale del culto moderno.

La lacca fiammante inganna uno sguardo non educato e poco attento; il luccichio che ne deriva, anch’esso “eterotropia”, specchio, fuorvia la mente di gazza ladra intenta a rubare frammenti di realtà, che si perde necessariamente nel fiammeggiante e caldo inferno che rievoca. Il futuro non è che un brivido che corre lungo la schiena, veloce quanto un flash che abbaglia, mostrando un “mondo altro”, paradisiaco, bianco e sereno, che coesiste davanti a noi, ma che la rifrazione luminosa della contemporaneità non ci permette di cogliere: le tenebre luminose di cui Agamben parla.

Il teatro è lo spazio dove avviene la rappresentazione, una messa in scena di una finzione, che si riveste di realtà giusto il tempo della sua durata: la sublime bellezza dell’effimero dove prende forma la città. Il luogo della messa in scena, il luogo dove avviene la performance, i disegni diventano dispositivo e mimano ciò che avviene sul palco.

Questo dispositivo volto alla proiezione nel futuro del pensiero e del progetto, fornisce l’informazione su una realtà finta nel momento in cui la si vede, ma possibile nell’attimo subito dopo: scenari finti di immagini vere, eterotropici riflessi di realtà. Macchine della nebbia joyceana, propositrici di continue epiphani non coglibili, se non per un secondo; déjà vu. Un dispositivo simile alla macchina teatrale progettata per la Berlin Mask hejdukiana, dove la “luce proietta una continua variazione di configurazioni geometriche” con la volontà di rendere, allo stesso tempo, il fruitore della Masque spettatore e performer dello spettacolo del mondo. (Hejduk, 1989)

La fruizione della città acquisisce quindi l’aspetto di “Performance Architettonica”, la generazione di immagini diventa un evento spaziale al quale si prende attivamente parte. Il dispositivo, come una gondola, necessita della presenza umana per raggiungere l’assetto corretto per la navigazione; nel suo stato di quiescenza non assolve appieno lo scopo per il quale è stato generato. Chi osserva non diventa solamente parte della critica, ma si trasforma nel critico stesso; la “Performance è sempre hic et nunc con la presenza del corpo che lo percepisce.” (Campos, 2011)

Nella perfomance, il collage e le immagini sono semplici mezzi, il vero progetto architettura non è il loro rapporto spaziale o la lettura degli scenari, bensì la struttura concettuale progettata per la loro lettura. Il sistema incrociato di lettura ha lo scopo di generare una modifica percettiva degli spazi fisici con i quali il fruitore si rapporterà successivamente, generando così una modifica reale ma effimera di un numero N di architetture e spazi costruiti.

CONCLUSIONI In conclusione grazie all’astrazione i collage permettono di elaborare immagini che generano “impressioni” su

scenari futuribili, non delle visioni strettamente scientifiche, delle riflessioni su tendenze progettuali e sulle reazioni che ne potrebbero ricadere sullo spazio fisico progettato, strutture spaziali nuove ma con capacità di stupire antica. Non è la singola immagine ad avere elevata efficacia, è piuttosto la loro lettura e la loro messa in relazione e sovrapposta che diventa significativa nel processo generativo e immaginativo teorico-progettuale della struttura

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dell’architettura costruita e costruibile. In questi casi si può parlare di un limite variabile, un alone, che circonda la forma, in continuo e possibile divenire lungo il tracciato temporale. (Eisenman, 1987)

Un atteggiamento critico simile è quello che Ferriss utilizza per rappresentare la “placenta” conoscitiva dalla quale nascerà New York; modello di città che si riprodurrà senza soluzione di continuità nel nostro secolo. Metodo teorizzato “nel mezzo grafico che egli utilizza per realizzare i suoi disegni: la creazione di una notte artificiale che rende tutti gli eventi architettonici vaghi e ambigui dentro una nebbia di particelle di carboncino che s’infittisce o dirada a seconda delle necessità.” Questo utero a cui Koolhaas fa riferimento, in Delirius New York, è lo stesso luogo concettuale che sembra aver partorito anche la Nuvola di Diller & Scofidio + Renfro. Una vera e propria macchina architettonica per performance esperienziali, volta ad accrescere la coscienza dello spazio vero e proprio, la Nuvola mostra il ruolo che in futuro potrebbe assumere il bordo. Limite biologico di un spazio fluido in una architettura fatta di nulla, di acqua nebulizzata, una bolla, il “blur the making of nothing”. (Diller, Scofidio, 2002).

La nuvola disegnata dallo studio newyorkese propone un nuovo immagine di architettonica ed un nuovo spazio urbano, ponendo l’accento su come l’effimero è nuovo topos del progetto. Uno spazio concettuale denso, tattile ma non tangibile, dove l’esperienza dell’opera possa accrescere la coscienza di colui che la fruisce, e l’immagine che porterà con sé.

Dille&Scofidio forniscono un’ulteriore suggestione su come il supporto possa moltiplicare le dimensioni fisiche del disegno. Nell’analisi dell’opera The Large Glass di Marcell Duchamp comprendono come la trasparenza del supporto garantisca “un punto di vista itinerante (nomade)” nell’opera. Successivamente l’introduzione di una “cerniera” permette di moltiplicare le prospettive e lo spazio che esse generano all’infinito. Una prospettiva “volumetrica” dove lo spettatore diventa parte integrante dello sfondo. (Diller, Scofidio, 1994)

TEATRO (STRUTTURA CONCETTUALE) Teatro è inteso come il luogo della messa in scena della finzione, nel quale le immagini svolgono il ruolo di

attori similmente a quello che accade nella città storica. Una struttura concettuale dove il tempo funge da amplificatore concettuale, mimando “il sistema dei risuonatori di bronzo” presenti nel teatro classico, capace di espandere il potenziale immaginativo del presente nella scena. Utilizzare meccanismi (dispositivi) concettuali trova ulteriore fondamento storico considerato che in antichità esistevano “luoghi che i Greci chiamano (...), dal fatto che quivi sono macchine a prisma triangolare girevoli, ciascuna con tre facce decorate diversamente, le quali macchine quando avvengano le catastrofi o peripezie nelle tragedie, o l’intervento degli dei, con tuoni repentini girano e presentano un’altra faccia” del mondo, al mondo. (Vitruvio, 2002)

Questi macchinari rappresentativo-concettuali basano la loro efficacia sulla presenza della luce. L’esempio del Mito della Caverna platonico aiuta a comprendere come la proiezione di immagini provenienti da un ambiente esterno finte, ma comunemente accettate dagli abitanti della grotta, influisca profondamente sulla loro immaginazione. Fino ad innestare il germe che spinge uno degli inquilini a compiere lo sforzo di “scatenarsi” per uscire all’esterno accogliere la verità, “ἀλήθεια”, in tutta la sua potente ed incontenibile interezza; dopo questo assunto si può quindi definire un simile sistema rappresentativo teatrale come dispositivo platonico. (Heidegger, 1997)

Di conseguenza utilizzare un dispositivo platonico, dove la luce è lo strumento primario, permette di sfruttare il principio per il quale “l’artista possiede la visione essenziale di ciò che è possibile, mette in opera le nascoste possibilità dell’ente e in tal modo fa sì che gli uomini vedano quell’ente reale in cui si aggirano ciecamente”, così facendo si aumenta esponenzialmente il numero di significati e immagini che possono scaturire dall’accostamento di elementi tra loro estranei. (Rizzi, 2006)

La città è intesa quindi come presenza teatrale un sistema complesso di immaginazione, dove la potenza digitale pop della proiezione di un’immagine su una superficie, appiattita ed equiparata acquisisce un fascino ammaliante, come quello descritto anche da Warhol, quando analizza il televisore e le visioni che genera. Le immagini proiettate portano lo strumento che le produce ad essere uno degli elementi fondanti della sua filosofia; tanto da affermare che dopo averlo acquistato lo teneva “sempre accesso, specialmente quando qualcuno mi raccontava i suoi problemi, che ora non mi colpivano più poiché ne ero completamente distolto dalla TV. Era come una magia.” (Warhol, 2009)

Questa definizione di Giorgio Agamben ci accompagna nella seconda parte del ragionamento: “può dirsi contemporaneo soltanto chi non si lascia accecare dalle luci del [proprio] secolo e riesce a scorgere in esse la parte dell’ombra, la loro intima oscurità”, luce che può abitare la struttura urbana. (Agamben, 2014)

La scelta del Teatrino, come strumento di riferimento, per fare da scheletro concettuale alle immagini, è stata dettata dalla necessità di trovare un supporto capace di lasciar intuire all’osservatore la possibilità di perdersi. La ripresa della struttura concettuale presentata da Lucio Fontana nei suoi Teatrini, si assoggetta perfettamente allo scopo proposto. Fontana raffina le sue speculazioni spaziali nei suoi Teatrini, racchiudendo in una cornice la perforazione della superficie pittorica. Così facendo determina un rapporto nuovo tra la struttura teatrale e il luogo, confina uno sfondo in continuo divenire e ridefinirsi, in una cornice. La cornice è bordo, il recinto fisico del viaggio dimensionale, ma anche una sovrastruttura, la quale si proietta sulla superficie disegnando un’ombra, lasciando intravedere uno spazio interstiziale. Fontana crea teatri d’ombra.

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11 L’IMMAGINE RESIDUA

E’ precisamente in questo spazio interstiziale, in questa pausa fisica, oscura, “ferrissiana” e immateriale tra cornice e telaio, che si va a collocare la creazione di nuove immagini urbane. Si intuisce così la presenza di un tempo nuovo nel disegno, che aumenta la potenza immaginativa nel progetto contemporaneo. (Koolhaas, 2006)

Le investigazioni spaziali effettuate da Fontana ricreano un “momento” vero, fatto di tempo fisico, quasi tangibile, una pausa intellettuale tra i vari elementi. Questo dispositivo, questo topos, può essere paragonato al luna park koolhaassiano, una tecnologia del fantastico, una superficie dove fondare l’evanescenza di prospettive su mondi futuri(bili), utopici o reali. Un luogo dove prendono forma riflessi luccicanti di realtà, proprio come gli specchi giustapposti da Murray nei suoi “Giardini romani”, i quali propongono suggestioni che non devono forzatamente esistere, ma sono in potenza di un flusso. Queste speculazioni si configurano come una Masque, un filtro, un velo sul mondo, che porta alla mente “compressioni temporali” cariche di un fortissimo potenziale immaginativo, fondato sulle esperienze passate e familiari che rievocano. (Koolhaas, 2006, Hejduk, 1989)

Spazi aperti, sospesi, danno coscienza del fulmineo procedere incerto, tipico del tempo contemporaneo, indicando la necessità di imparare a tracciare nel buio, come una saetta che squarcia una notte d’estate, al fine di riuscire a sovrascrivere un palinsesto in continua riconfigurazione, una nuova prospettiva urbana. Essere coscienti del respiro affannoso, del sordo battito, derivante dalla loro grande forza momentanea, dalla loro promessa di futuro, che potrebbe non essere mai.

TEMPO FERMATO TRA UN SOSPIRO E L’ALTRO Le immagini, le indagini presenti nel testo prendono una nuova forma quando si raffigurano nella superficie

pittorica. La loro immaginazione, l’iscrizione in un piano cartesiano, determina nuovi rapporti, legati alla loro disposizione, fisica (nel disegno) e figurata (nella mente dell’interlocutore) quindi nello spazio.

Questo modello permette di impostare il “se” come metodo, la nebbia come struttura, per passare attraverso un bordo labile, e così facendo progettare l’incertezza, il variabile. Imparare a plasmare la materia informe dell’indeterminato, percepire la sabbia tra le mani per il tempo che è concesso di stringerla, per cogliere lo spazio dove si possano generare immagini estremamente incisive.

Le bucature della superficie sono vie di fuga sul nulla apparente, indizio di un infinito combinatorio di possibilità, uno sfondo incerto, che ridefinisce la sua forma ogni volta che si ridispone il Teatrino. Si modifica spazio e tempo nel suo viaggio dal caldo salotto di una ricca e paffuta signora, all’asettico spazio sacrale e riecheggiante di un Museo, cattedrale del culto moderno.

La lacca fiammante inganna uno sguardo non educato e poco attento; il luccichio che ne deriva, anch’esso “eterotropia”, specchio, fuorvia la mente di gazza ladra intenta a rubare frammenti di realtà, che si perde necessariamente nel fiammeggiante e caldo inferno che rievoca. Il futuro non è che un brivido che corre lungo la schiena, veloce quanto un flash che abbaglia, mostrando un “mondo altro”, paradisiaco, bianco e sereno, che coesiste davanti a noi, ma che la rifrazione luminosa della contemporaneità non ci permette di cogliere: le tenebre luminose di cui Agamben parla.

Il teatro è lo spazio dove avviene la rappresentazione, una messa in scena di una finzione, che si riveste di realtà giusto il tempo della sua durata: la sublime bellezza dell’effimero dove prende forma la città. Il luogo della messa in scena, il luogo dove avviene la performance, i disegni diventano dispositivo e mimano ciò che avviene sul palco.

Questo dispositivo volto alla proiezione nel futuro del pensiero e del progetto, fornisce l’informazione su una realtà finta nel momento in cui la si vede, ma possibile nell’attimo subito dopo: scenari finti di immagini vere, eterotropici riflessi di realtà. Macchine della nebbia joyceana, propositrici di continue epiphani non coglibili, se non per un secondo; déjà vu. Un dispositivo simile alla macchina teatrale progettata per la Berlin Mask hejdukiana, dove la “luce proietta una continua variazione di configurazioni geometriche” con la volontà di rendere, allo stesso tempo, il fruitore della Masque spettatore e performer dello spettacolo del mondo. (Hejduk, 1989)

La fruizione della città acquisisce quindi l’aspetto di “Performance Architettonica”, la generazione di immagini diventa un evento spaziale al quale si prende attivamente parte. Il dispositivo, come una gondola, necessita della presenza umana per raggiungere l’assetto corretto per la navigazione; nel suo stato di quiescenza non assolve appieno lo scopo per il quale è stato generato. Chi osserva non diventa solamente parte della critica, ma si trasforma nel critico stesso; la “Performance è sempre hic et nunc con la presenza del corpo che lo percepisce.” (Campos, 2011)

Nella perfomance, il collage e le immagini sono semplici mezzi, il vero progetto architettura non è il loro rapporto spaziale o la lettura degli scenari, bensì la struttura concettuale progettata per la loro lettura. Il sistema incrociato di lettura ha lo scopo di generare una modifica percettiva degli spazi fisici con i quali il fruitore si rapporterà successivamente, generando così una modifica reale ma effimera di un numero N di architetture e spazi costruiti.

CONCLUSIONI In conclusione grazie all’astrazione i collage permettono di elaborare immagini che generano “impressioni” su

scenari futuribili, non delle visioni strettamente scientifiche, delle riflessioni su tendenze progettuali e sulle reazioni che ne potrebbero ricadere sullo spazio fisico progettato, strutture spaziali nuove ma con capacità di stupire antica. Non è la singola immagine ad avere elevata efficacia, è piuttosto la loro lettura e la loro messa in relazione e sovrapposta che diventa significativa nel processo generativo e immaginativo teorico-progettuale della struttura

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urbana. La tipologia di lettura che questi dispositivi rappresentativi spaziali richiamano (grazie alle strutture concettuali utilizzate) è flessibile ed intrecciata.

Questo tipo di scheletro sintattico sottoposto alla città è volto a creare una serie di rimandi continui, che lavorano in rapporto sinergico con il dispositivo, per ampliare il numero delle possibili letture e quindi delle immagini residue che ne derivano.

Le visioni prospettiche possono essere considerate vere e proprie strutture architettoniche (o architetture teoriche), che vengono montate su supporti teatrali, ai quali anche la luce si piega, per contribuire alla creazione di possibili immagini utopiche e instabili, riflessi di scenari futuri(bili) volti a costituire il terreno sul quale germinare le istanze di progetto e successivamente cristallizzarsi in spazio. Un luogo dove la risemantizzazione degli elementi gli dona una nuova vita, una che dal passato configura la classica città futura.

Il dispositivo teatrale permette, inoltre, di relazionare il sistema immaginativo e i diversi scenari su uno stesso piano, quindi di concentrare la riflessione sul rapporto che intrattengono con lo sfondo.

Il supporto presenta le prospettive nella loro posizione di partenza (o quiescenza), la mobilità della struttura teatrale lascia al fruitore (cittadino) la possibilità di sovrapporsi e mescolarsi alle immagini e di ricombinarle per generare nuove letture e di conseguenza nuovi residui. Questa condizione di instabilità percettiva indica la presenza possibile di “spazi assolutamente altri”, sia nel disegno che nella realtà, che esistono nello spazio interstiziale che si va a creare tra i diversi dispositivi e le diverse immagini. In questo spazio si annuisce a labirintiche eterotropie, contenute negli spazi figurativi della quotidianità, che per questa loro condizione di “possibilità” cercano di insinuarsi nel profondo dell’inconscio umano. Teatri prospettici fioriti, forieri di mondi nuovi come “il giardino è un tappeto, nel quale il mondo tutto intero realizza la sua perfezione simbolica, e il tappeto è un giardino che si muove attraverso lo spazio.” (Foucault, 2011)

La capacità evocativa di queste immagini e di questi spazi attinge anche dalla forza figurativa cinematografica e dal potenziale suggestivo “magico” che ne è caratteristico, proprio come aveva suggerito Warhol. John Hejduk, nella Berlin Mask, segna per primo l’apertura della teoria dell’architettura nei confronti del sistema proiettivo dello schermo cinematografico, necessaria per introdurre alcune caratteristiche spaziali, che sarebbero state altrimenti molto più difficili da evocare con i mezzi della rappresentazione architettonica tradizionale. L’utilizzo del “Maze” kubrickiano è precisa dimostrazione di come il punto di vista privilegiato, l’incertezza, il continuo rimando e il riflesso tipici degli spazi cinematografica. (Hejiduck, 1986, Warhol, 2009)

Questo perché nel cinema si ripresenta il pensiero foucaultino rafforzato, mostrando come in uno spazio preciso si “riesce a costituire una (eterotropia) particolarissima sala rettangolare in fondo alla quale, su uno schermo a due dimensioni si vedere proiettato uno spazio a tre dimensioni.” La conclusione di questa disamina porta dunque a poter affermare che attraverso l’utilizzo di un disegno prospettico teatrale si indirizzi il teorico e il progettista a mettere in atto una ricerca volta a capire come generare immagini residue efficaci nella città contemporanea attraverso i mezzi elencati. (Foucault, 2011) AA L’immagine (e l’immaginazione) diventa quindi il mezzo teorico funzionale a generare nella città eterotropie che hanno “il potere di giustapporre, in un unico luogo reale, diversi spazi, diversi luoghi che sono tra loro incompatibili. E’ così che il teatro realizza nel riquadro della scena tutta una serie di luoghi che sono estranei gli uni agli altri.” Luoghi della mente dai quali fuoriesce la capacità di “alterare, cambiare, alternare coscientemente spazi presumibilmente predestinati a un’azione, con azioni appartenenti ad altri spazi.” (Foucault, 2011, Campos, 2011)

L’esempio che più calza per riassumere questa questa esperienza teorica-rappresentativa può essere riassunto nelle architetture rossiane di Luigi Ghirri; le immagini prodotte dal fotografo emiliano esprimono chiaramente come il sovrapporsi di due differenti sistemi immaginatavi su un piano fisico, in una struttura teatrale, generi immagini residue metafisicamente indelebili. Il processo che queste due autorialità strabordanti compiono è analogo a quello che dell’Appia Antica e Le Carceri piranesiane hanno prodotto in passato: ancora oggi è possibile generare spazi e che superano nell’immaginario del progetto stesso, capaci porre “domande che obbligano la mente a travalicare ciò che il mondo quotidiano ci offre”. (Dal Co, 2008)

ESEMPI DI ARCHITETTURA, 2017, VOL.4, N.1

13 L’IMMAGINE RESIDUA

BIBLIOGRAFIA Agamben, G. (2014). Che cosa è un dispositivo? Gorgonzola: Nottetempo. Borges, L. L’aleph. (1998) Milano: Adelphi. Branzi, A. (2006). Modernità debole e diffusa. Il mondo del progetto all’inizio del XXI secolo. Skira. Campos, C. (2011). La Performance Arquitectonica (nuevas experiencias en la signigicacion del Espacio Urbano). Buenos Aires: Bisman Ediciones. Diller, E., Scofidio, R. (2002). Blur (the making of notthing). New York: Harry N. Abrams. Dal Co, F., Vedute di Roma. http://www.rai.tv/dl/RaiTV/programmi/media/ContentItem-09cfb951-7140-48c1-9e23-d24f5ed6b7cb.html Diller, E., Scofidio, R. (1994). Flesh1 (architectural probes, 1: the outermost surface of the “body” bordering all relations in “space”). New York: Princeton Architectural Press. Eisenman, P. (1987). La fine del classico (e altri scritti). Venezia: CLUVA. Foucault, M. (2014). Spazi Altri (I luoghi delle eterotopie). Napoli: Cronopio. Foucault, M. (2011). Utopie Eterotropie. Milano: Mimesis Edizioni. Heidegger, M. (1997). L’essenza della Verità (sul Mito della Caverna se sul “Teeteto” di Platone). Milano: Adelphi. Hejduk, J. (1989). Mask of Medusa (works 1947-1983). New York: Rizzoli International. Koolhaas, R. (2006). Delirius New York (un manifesto retroattivo per Manhattan). Milano: Electa. Mirò, J. (2008). Lavoro come un giardiniere (e latri scritti). Milano: Abscondita. Mondrian, P. (2008). Il Neoplasticismo. Milano: Abscondita. Pirandello, L. (2001). Il Fu Mattia Pascal. (22 edizione) Milano: Mondadori. Rizzi, R. (2006). Il Daìmon di Architettura (Theorìa - Eresia). Bologna: Pitagora Editrice. Rowe, C. (1978) Collage City. MIT Press. Servino, B. (2013). Obvius (Diaro [con poco scirtto e molte figure]). Palermo: LetteraVentidue. Vitruvio, P. (2002). Architettura (dai libri I-VII). Milano: BUR. Warhol, A. (2009). La filosofia di Andy Warhol (da A a B e viceversa). Milano: Abscondita.

ESEMPI DI ARCHITETTURA, 2017, VOL.4, N.1

12 FRANCESCO TOSETTO

urbana. La tipologia di lettura che questi dispositivi rappresentativi spaziali richiamano (grazie alle strutture concettuali utilizzate) è flessibile ed intrecciata.

Questo tipo di scheletro sintattico sottoposto alla città è volto a creare una serie di rimandi continui, che lavorano in rapporto sinergico con il dispositivo, per ampliare il numero delle possibili letture e quindi delle immagini residue che ne derivano.

Le visioni prospettiche possono essere considerate vere e proprie strutture architettoniche (o architetture teoriche), che vengono montate su supporti teatrali, ai quali anche la luce si piega, per contribuire alla creazione di possibili immagini utopiche e instabili, riflessi di scenari futuri(bili) volti a costituire il terreno sul quale germinare le istanze di progetto e successivamente cristallizzarsi in spazio. Un luogo dove la risemantizzazione degli elementi gli dona una nuova vita, una che dal passato configura la classica città futura.

Il dispositivo teatrale permette, inoltre, di relazionare il sistema immaginativo e i diversi scenari su uno stesso piano, quindi di concentrare la riflessione sul rapporto che intrattengono con lo sfondo.

Il supporto presenta le prospettive nella loro posizione di partenza (o quiescenza), la mobilità della struttura teatrale lascia al fruitore (cittadino) la possibilità di sovrapporsi e mescolarsi alle immagini e di ricombinarle per generare nuove letture e di conseguenza nuovi residui. Questa condizione di instabilità percettiva indica la presenza possibile di “spazi assolutamente altri”, sia nel disegno che nella realtà, che esistono nello spazio interstiziale che si va a creare tra i diversi dispositivi e le diverse immagini. In questo spazio si annuisce a labirintiche eterotropie, contenute negli spazi figurativi della quotidianità, che per questa loro condizione di “possibilità” cercano di insinuarsi nel profondo dell’inconscio umano. Teatri prospettici fioriti, forieri di mondi nuovi come “il giardino è un tappeto, nel quale il mondo tutto intero realizza la sua perfezione simbolica, e il tappeto è un giardino che si muove attraverso lo spazio.” (Foucault, 2011)

La capacità evocativa di queste immagini e di questi spazi attinge anche dalla forza figurativa cinematografica e dal potenziale suggestivo “magico” che ne è caratteristico, proprio come aveva suggerito Warhol. John Hejduk, nella Berlin Mask, segna per primo l’apertura della teoria dell’architettura nei confronti del sistema proiettivo dello schermo cinematografico, necessaria per introdurre alcune caratteristiche spaziali, che sarebbero state altrimenti molto più difficili da evocare con i mezzi della rappresentazione architettonica tradizionale. L’utilizzo del “Maze” kubrickiano è precisa dimostrazione di come il punto di vista privilegiato, l’incertezza, il continuo rimando e il riflesso tipici degli spazi cinematografica. (Hejiduck, 1986, Warhol, 2009)

Questo perché nel cinema si ripresenta il pensiero foucaultino rafforzato, mostrando come in uno spazio preciso si “riesce a costituire una (eterotropia) particolarissima sala rettangolare in fondo alla quale, su uno schermo a due dimensioni si vedere proiettato uno spazio a tre dimensioni.” La conclusione di questa disamina porta dunque a poter affermare che attraverso l’utilizzo di un disegno prospettico teatrale si indirizzi il teorico e il progettista a mettere in atto una ricerca volta a capire come generare immagini residue efficaci nella città contemporanea attraverso i mezzi elencati. (Foucault, 2011) AA L’immagine (e l’immaginazione) diventa quindi il mezzo teorico funzionale a generare nella città eterotropie che hanno “il potere di giustapporre, in un unico luogo reale, diversi spazi, diversi luoghi che sono tra loro incompatibili. E’ così che il teatro realizza nel riquadro della scena tutta una serie di luoghi che sono estranei gli uni agli altri.” Luoghi della mente dai quali fuoriesce la capacità di “alterare, cambiare, alternare coscientemente spazi presumibilmente predestinati a un’azione, con azioni appartenenti ad altri spazi.” (Foucault, 2011, Campos, 2011)

L’esempio che più calza per riassumere questa questa esperienza teorica-rappresentativa può essere riassunto nelle architetture rossiane di Luigi Ghirri; le immagini prodotte dal fotografo emiliano esprimono chiaramente come il sovrapporsi di due differenti sistemi immaginatavi su un piano fisico, in una struttura teatrale, generi immagini residue metafisicamente indelebili. Il processo che queste due autorialità strabordanti compiono è analogo a quello che dell’Appia Antica e Le Carceri piranesiane hanno prodotto in passato: ancora oggi è possibile generare spazi e che superano nell’immaginario del progetto stesso, capaci porre “domande che obbligano la mente a travalicare ciò che il mondo quotidiano ci offre”. (Dal Co, 2008)

ESEMPI DI ARCHITETTURA, 2017, VOL.4, N.1

13 L’IMMAGINE RESIDUA

BIBLIOGRAFIA Agamben, G. (2014). Che cosa è un dispositivo? Gorgonzola: Nottetempo. Borges, L. L’aleph. (1998) Milano: Adelphi. Branzi, A. (2006). Modernità debole e diffusa. Il mondo del progetto all’inizio del XXI secolo. Skira. Campos, C. (2011). La Performance Arquitectonica (nuevas experiencias en la signigicacion del Espacio Urbano). Buenos Aires: Bisman Ediciones. Diller, E., Scofidio, R. (2002). Blur (the making of notthing). New York: Harry N. Abrams. Dal Co, F., Vedute di Roma. http://www.rai.tv/dl/RaiTV/programmi/media/ContentItem-09cfb951-7140-48c1-9e23-d24f5ed6b7cb.html Diller, E., Scofidio, R. (1994). Flesh1 (architectural probes, 1: the outermost surface of the “body” bordering all relations in “space”). New York: Princeton Architectural Press. Eisenman, P. (1987). La fine del classico (e altri scritti). Venezia: CLUVA. Foucault, M. (2014). Spazi Altri (I luoghi delle eterotopie). Napoli: Cronopio. Foucault, M. (2011). Utopie Eterotropie. Milano: Mimesis Edizioni. Heidegger, M. (1997). L’essenza della Verità (sul Mito della Caverna se sul “Teeteto” di Platone). Milano: Adelphi. Hejduk, J. (1989). Mask of Medusa (works 1947-1983). New York: Rizzoli International. Koolhaas, R. (2006). Delirius New York (un manifesto retroattivo per Manhattan). Milano: Electa. Mirò, J. (2008). Lavoro come un giardiniere (e latri scritti). Milano: Abscondita. Mondrian, P. (2008). Il Neoplasticismo. Milano: Abscondita. Pirandello, L. (2001). Il Fu Mattia Pascal. (22 edizione) Milano: Mondadori. Rizzi, R. (2006). Il Daìmon di Architettura (Theorìa - Eresia). Bologna: Pitagora Editrice. Rowe, C. (1978) Collage City. MIT Press. Servino, B. (2013). Obvius (Diaro [con poco scirtto e molte figure]). Palermo: LetteraVentidue. Vitruvio, P. (2002). Architettura (dai libri I-VII). Milano: BUR. Warhol, A. (2009). La filosofia di Andy Warhol (da A a B e viceversa). Milano: Abscondita.

UTOPIE URBANE NELL’ERA DELLE POST-METROPOLI

GREGORIO FROIO

dArTe, Dipartimento di Architettura e Territorio, Università Mediterranea di Reggio Calabria

[email protected]

Accepted: April 18th, 2017

ABSTRACT The world utopia, defined by Thomas More in 1516, describes an ideal state, based on principles of economic and juridical equality. This essay wants to display a visual and iconic influence of utopian visions in architecture. The prophetical value in the Tables of Urbino, Baltimore and Berlin shows as ‘the copy preceded the original’ and ‘the fiction anticipated the reality’ (Régis Debray). There is a logical relation between the Utopia of Renaissance and twentieth century. As says Colin Rowe: “The fact there is or there was a deep and utopian impulse in modern architecture it’s undeniable. In fact as drawing tables of the Italian Renaissance also the same ones of first decade of twentieth century seems to be crammed with abstract images of cities” (Rowe, 1959). In Progetto e Utopia Manfredo Tafuri describes the propulsive and subversive rule of utopia in experimental works from the Age of Reason onwards. Dadaism, Surrealism, Futurism moving themselves on a radical criticism show the inner contradiction of middle-class and capitalistic world. In the postmodern architecture utopia becomes ironic quotation in which the rule of history is simultnaneously contradicted (Gregory, 2010). From apocalyptic background in literature and cinema, architectures of destruction show dystopic visions of tomorrow: the negative utopia in James Ballard; the description of catastrophic future of films like The Planet of Ape or Matrix or Inception; in the architecture of Lebbeus Wood, SITE Architects, Aldo Rossi, Francesco Venezia, Franco Purini, the semantic language of the dissonance and the fragment becomes reflection about the rule of the time and memory. In the age of the second modernity or reflective modernity some contemporary projects decline utopian vision in sustainable eu-topia -or pure utopia - in which the housing problem discovers new heuristic urban declensions.

Keywords: Visions, Dissonances, Sustainable eu-topias

Il termine utopia, coniato per la prima volta da Thomas More nella sua opera omonima (1516), rappresenta uno

stato ideale retto sui principi di eguaglianza economico-giuridica dei suoi abitanti. Nella prima parte del romanzo si svolge il dialogo fra More e Itlodeo, personaggio d'invenzione e viaggiatore (al seguito di Amerigo Vespucci) il quale descrive nei dettagli, nella seconda parte, la scoperta dell'immaginaria isola di Utopia (Nessun luogo o Non luogo), una repubblica retta sul principio dell'abolizione della proprietà privata e dell'uso del denaro. Utopia rappresenta la descrizione ante litteram di uno stato comunitario fondato sul lavoro paritario fra uomini e donne. Entrambi, tenuti a lavorare per non più di sei ore al giorno, dedicano il resto del tempo libero alle attività culturali secondo una scelta di vita epicurea. Concetto chiave del romanzo è la parola libertà (libertà di religione, libertà dagli affanni umani, ecc.,). Nel contrasto fra la prima parte dell'opera, tesa a descrivere le disgraziate condizioni sociali e politiche dell'Inghilterra, e le descrizioni ideali della repubblica si avverte il tentativo di delineare un paradigma di riforma del mondo reale: e dunque non evasione nel fantastico ma impegno di critica e riforma sociale politica e religiosa.

Sulla scia della Repubblica di Platone altri filosofi e scrittori del Cinquecento e del Seicento elaborano varie teorie utopiche: la Città del sole di Tommaso Campanella, la Città felice di Francesco Patrizi. In particolare, La città del sole (1623), scritta durante il doloroso periodo di prigionia dell'autore calabrese, è la descrizione del resoconto di un viaggiatore (come in Tommaso Moro) di una teocrazia governata dal Sole (o Metafisico) fondata sull'abolizione della proprietà privata e della famiglia. Nel testo i Solari, gli abitanti della città, vivono in comunione di beni, lavorando per non oltre quattro ore al giorno e dedicando il resto del tempo all'attività fisica e ai servizi per la comunità. Come è stato lucidamente evidenziato (Firbo, 1997) il carattere che emerge dalla lettura del testo è anacronistico e, aggiungo, fortemente e volutamente antistorico immerso in una dimensione mitica, al di fuori del tempo.

La letteratura sul tema dell'utopia è del resto sconfinata, configurandosi come una sorta di costante del pensiero umano: al già citato Platone ricordiamo Le Nuvole di Senofonte, le trattazioni romanzesche Sugli Iperborei di Ecateo di Abdera; la Sacra Scrittura di Evemero; la complessa dimensione escatologica e simbolica dell'Apocalisse di San Giovanni; il De civitate Dei di Agostino (413-426); l'utopismo medievale connesso con le eresie pauperistiche e le visioni palingenetiche del millenarismo e del gioacchinismo; il viaggio iniziatico verso la città Euterillide nell'oscuro

UTOPIE URBANE NELL’ERA DELLE POST-METROPOLI

GREGORIO FROIO

dArTe, Dipartimento di Architettura e Territorio, Università Mediterranea di Reggio Calabria

[email protected]

Accepted: April 18th, 2017

ABSTRACT The world utopia, defined by Thomas More in 1516, describes an ideal state, based on principles of economic and juridical equality. This essay wants to display a visual and iconic influence of utopian visions in architecture. The prophetical value in the Tables of Urbino, Baltimore and Berlin shows as ‘the copy preceded the original’ and ‘the fiction anticipated the reality’ (Régis Debray). There is a logical relation between the Utopia of Renaissance and twentieth century. As says Colin Rowe: “The fact there is or there was a deep and utopian impulse in modern architecture it’s undeniable. In fact as drawing tables of the Italian Renaissance also the same ones of first decade of twentieth century seems to be crammed with abstract images of cities” (Rowe, 1959). In Progetto e Utopia Manfredo Tafuri describes the propulsive and subversive rule of utopia in experimental works from the Age of Reason onwards. Dadaism, Surrealism, Futurism moving themselves on a radical criticism show the inner contradiction of middle-class and capitalistic world. In the postmodern architecture utopia becomes ironic quotation in which the rule of history is simultnaneously contradicted (Gregory, 2010). From apocalyptic background in literature and cinema, architectures of destruction show dystopic visions of tomorrow: the negative utopia in James Ballard; the description of catastrophic future of films like The Planet of Ape or Matrix or Inception; in the architecture of Lebbeus Wood, SITE Architects, Aldo Rossi, Francesco Venezia, Franco Purini, the semantic language of the dissonance and the fragment becomes reflection about the rule of the time and memory. In the age of the second modernity or reflective modernity some contemporary projects decline utopian vision in sustainable eu-topia -or pure utopia - in which the housing problem discovers new heuristic urban declensions.

Keywords: Visions, Dissonances, Sustainable eu-topias

Il termine utopia, coniato per la prima volta da Thomas More nella sua opera omonima (1516), rappresenta uno

stato ideale retto sui principi di eguaglianza economico-giuridica dei suoi abitanti. Nella prima parte del romanzo si svolge il dialogo fra More e Itlodeo, personaggio d'invenzione e viaggiatore (al seguito di Amerigo Vespucci) il quale descrive nei dettagli, nella seconda parte, la scoperta dell'immaginaria isola di Utopia (Nessun luogo o Non luogo), una repubblica retta sul principio dell'abolizione della proprietà privata e dell'uso del denaro. Utopia rappresenta la descrizione ante litteram di uno stato comunitario fondato sul lavoro paritario fra uomini e donne. Entrambi, tenuti a lavorare per non più di sei ore al giorno, dedicano il resto del tempo libero alle attività culturali secondo una scelta di vita epicurea. Concetto chiave del romanzo è la parola libertà (libertà di religione, libertà dagli affanni umani, ecc.,). Nel contrasto fra la prima parte dell'opera, tesa a descrivere le disgraziate condizioni sociali e politiche dell'Inghilterra, e le descrizioni ideali della repubblica si avverte il tentativo di delineare un paradigma di riforma del mondo reale: e dunque non evasione nel fantastico ma impegno di critica e riforma sociale politica e religiosa.

Sulla scia della Repubblica di Platone altri filosofi e scrittori del Cinquecento e del Seicento elaborano varie teorie utopiche: la Città del sole di Tommaso Campanella, la Città felice di Francesco Patrizi. In particolare, La città del sole (1623), scritta durante il doloroso periodo di prigionia dell'autore calabrese, è la descrizione del resoconto di un viaggiatore (come in Tommaso Moro) di una teocrazia governata dal Sole (o Metafisico) fondata sull'abolizione della proprietà privata e della famiglia. Nel testo i Solari, gli abitanti della città, vivono in comunione di beni, lavorando per non oltre quattro ore al giorno e dedicando il resto del tempo all'attività fisica e ai servizi per la comunità. Come è stato lucidamente evidenziato (Firbo, 1997) il carattere che emerge dalla lettura del testo è anacronistico e, aggiungo, fortemente e volutamente antistorico immerso in una dimensione mitica, al di fuori del tempo.

La letteratura sul tema dell'utopia è del resto sconfinata, configurandosi come una sorta di costante del pensiero umano: al già citato Platone ricordiamo Le Nuvole di Senofonte, le trattazioni romanzesche Sugli Iperborei di Ecateo di Abdera; la Sacra Scrittura di Evemero; la complessa dimensione escatologica e simbolica dell'Apocalisse di San Giovanni; il De civitate Dei di Agostino (413-426); l'utopismo medievale connesso con le eresie pauperistiche e le visioni palingenetiche del millenarismo e del gioacchinismo; il viaggio iniziatico verso la città Euterillide nell'oscuro