Incontro Agosto 2009

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Per una Chiesa Viva www.ravelloinfesta.it www.chiesaravello.it Anno V- N. 7 – Agosto 2009 Mi immagino, fratello o sorella, che non rifiu- ti l’invito a visitare una magnifica basilica, uno dei tanti templi dedicati nel corso dei secoli a Maria Madre di Gesù. Sei tu che devi guardare, conoscere, gustare le bellezze di questo tempio. Sta a te essere sensibile al suo fascino. Permettimi solo di accompagnarti nella visita lungo il percorso dal portico alle navate, al presbiterio, all’abside …”. Con queste parole l’autorevole ma- riologo Stefano De Fiores invitava i suoi lettori a percorrere un sugge- stivo itinerario spirituale visitando con attenzione una delle numerose basiliche dedicate alla Madre di Dio. Accogliamo questo invito e lascia- moci guidare nella visita del Duomo di Ravello, dedicato alla Beata Ver- gine Maria Assunta in cielo. Vi invi- to a ritornare con la memoria ai secoli addietro e ripensare a coloro che, nel corso dei secoli, hanno vissuto e trasmesso la fede e, con tanta laboriosità e rinunce hanno collaborato, pietra su pietra, all’edificazione del Duomo. Le parole del teologo De Fiores ci giungono in un momento opportu- no e ci invitano a riflettere sulle numerose volte che, distratti dalle circostanze della vita, ci siamo pre- sentati al cospetto di Dio entrando fret- tolosamente e senza attenzione devota nel Duomo, vera casa del Signore. Dopo un fugace segno di croce, siamo andati subito a sederci e non ci siamo preoccu- pati di rendere grazie a Dio anche per coloro cui si deve la costruzione di questa testimonianza di fede. Ogni Chiesa è luogo speciale, consacrato a Dio, che possiamo definire Porta del Cielo. E’ il luogo della convocazione santa, il tesoro fedele della memoria della comunità ec- clesiale, luogo della Presenza Misteriosa di Dio. Inoltre il Duomo di Ravello, cu- stode della reliquia del sangue di San Pantaleone e di quelle di altri Santi Mar- tiri, ci invita a innalzare il cantico di rin- graziamento e così accresce il motivo della nostra attenzione spirituale. Giovanni Paolo II invitava a considerare ogni chiesa, dedicata alla Beata Vergine Maria, come la “casa della Madre”, spazio d’incontro con Dio mediante Maria per- ché “I Santuari mariani sono i luoghi che testimoniano la particolare presenza di Maria nella vita della Chiesa” (Angelus 26 giugno 1987). Questa presenza implica una rela- zione, un rapporto intessuto d’amore, fatto di parole e di silenzi. Tanti pellegri- ni, come affermava Giovanni Paolo II, ricordano: “A lei, la Madre di Dio, non occorre parlare. Basta che mi guardi ”. Soprattutto la Casa di Dio è il luogo dove Maria ci attende per entrare in quella dimensione vera della nostra vita. Lei ci aiuta a recuperare quel rapporto, com- promesso dal peccato, che ci collega al Mistero di Colui che è il nostro Creatore e Padre. La casa di Dio è il luogo dell’incontro dove siamo convocati ad apprendere un linguaggio tutto parti- colare, rappresentato dalla Liturgia. Questo vero e unico linguaggio costi- tuisce il fondamento della vita spiritu- ale e ci permette di attraversare il tempo e lo spazio per entrare in co- municazione con il nostro Dio, Padre, Figlio e Spirito Santo. Il primo passo che vi propongo di ap- profondire è quello che compiamo quando attraverso la piazza arriviamo all’ingresso della Chiesa. La scala mo- numentale ci indica che la nostra vita ordinaria si collega a quella della storia della salvezza attraverso una salita che, i più grandi maestri spirituali, chiama- no ascesi. Nella piazza, laddove si af- follano le vicende umane con gli scambi culturali e commerciali, dove a volte avvengono i dialoghi e i confron- ti serrati, dove si incrociano i rumori tumultuosi delle nostre attività lavorati- ve, non è facile percepire con immedia- tezza la storia della Redenzione. C’è bi- sogno di uno sguardo superiore. Bisogna ascendere i gradini rivolgendo lo sguardo alle antiche pietre fiancheggiate da quel campanile ove, le campane richiamano, con la loro voce, la nostra attenzione nei momenti più forti del tempo liturgico. Continua a pagina 2 L’Estate tempo opportuno per crescere nella fede P ERIODICO DELLA COMUNITÀ ECCLESIALE DI RAVELLO

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Continua a pagina 2 PERIODICO DELLA COMUNITÀ ECCLESIALE DI RAVELLO Anno V- N. 7 – Agosto 2009 fedele della memoria della comunità ec- clesiale, luogo della Presenza Misteriosa di Dio. Inoltre il Duomo di Ravello, cu- stode della reliquia del sangue di San Pantaleone e di quelle di altri Santi Mar- tiri, ci invita a innalzare il cantico di rin- graziamento e così accresce il motivo della nostra attenzione spirituale.

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Per una Chiesa Viva

www.ravelloinfesta.it www.chiesaravello.it Anno V- N. 7 – Agosto 2009

Mi immagino, fratello o sorella, che non rifiu-ti l’invito a visitare una magnifica basilica, uno dei tanti templi dedicati nel corso dei secoli a Maria Madre di Gesù. Sei tu che devi guardare, conoscere, gustare le bellezze di questo tempio. Sta a te essere sensibile al suo fascino. Permettimi solo di accompagnarti nella visita lungo il percorso dal portico alle navate, al presbiterio, all’abside …”. Con queste parole l’autorevole ma-riologo Stefano De Fiores invitava i suoi lettori a percorrere un sugge-stivo itinerario spirituale visitando con attenzione una delle numerose basiliche dedicate alla Madre di Dio. Accogliamo questo invito e lascia-moci guidare nella visita del Duomo di Ravello, dedicato alla Beata Ver-gine Maria Assunta in cielo. Vi invi-to a ritornare con la memoria ai secoli addietro e ripensare a coloro che, nel corso dei secoli, hanno vissuto e trasmesso la fede e, con tanta laboriosità e rinunce hanno collaborato, pietra su pietra, all’edificazione del Duomo. Le parole del teologo De Fiores ci giungono in un momento opportu-no e ci invitano a riflettere sulle numerose volte che, distratti dalle circostanze della vita, ci siamo pre-sentati al cospetto di Dio entrando fret-tolosamente e senza attenzione devota nel Duomo, vera casa del Signore. Dopo un fugace segno di croce, siamo andati subito a sederci e non ci siamo preoccu-pati di rendere grazie a Dio anche per coloro cui si deve la costruzione di questa testimonianza di fede. Ogni Chiesa è luogo speciale, consacrato a Dio, che possiamo definire Porta del Cielo. E’ il luogo della convocazione santa, il tesoro

fedele della memoria della comunità ec-clesiale, luogo della Presenza Misteriosa di Dio. Inoltre il Duomo di Ravello, cu-stode della reliquia del sangue di San Pantaleone e di quelle di altri Santi Mar-tiri, ci invita a innalzare il cantico di rin-graziamento e così accresce il motivo della nostra attenzione spirituale.

Giovanni Paolo II invitava a considerare ogni chiesa, dedicata alla Beata Vergine Maria, come la “casa della Madre”, spazio d’incontro con Dio mediante Maria per-ché “I Santuari mariani sono i luoghi che testimoniano la particolare presenza di Maria nella vita della Chiesa” (Angelus 26 giugno 1987). Questa presenza implica una rela-zione, un rapporto intessuto d’amore, fatto di parole e di silenzi. Tanti pellegri-ni, come affermava Giovanni Paolo II,

ricordano: “A lei, la Madre di Dio, non occorre parlare. Basta che mi guardi”. Soprattutto la Casa di Dio è il luogo dove Maria ci attende per entrare in quella dimensione vera della nostra vita. Lei ci aiuta a recuperare quel rapporto, com-promesso dal peccato, che ci collega al Mistero di Colui che è il nostro Creatore

e Padre. La casa di Dio è il luogo dell’incontro dove siamo convocati ad apprendere un linguaggio tutto parti-colare, rappresentato dalla Liturgia. Questo vero e unico linguaggio costi-tuisce il fondamento della vita spiritu-ale e ci permette di attraversare il tempo e lo spazio per entrare in co-municazione con il nostro Dio, Padre, Figlio e Spirito Santo. Il primo passo che vi propongo di ap-profondire è quello che compiamo quando attraverso la piazza arriviamo all’ingresso della Chiesa. La scala mo-numentale ci indica che la nostra vita ordinaria si collega a quella della storia della salvezza attraverso una salita che, i più grandi maestri spirituali, chiama-no ascesi. Nella piazza, laddove si af-follano le vicende umane con gli scambi culturali e commerciali, dove a volte avvengono i dialoghi e i confron-ti serrati, dove si incrociano i rumori

tumultuosi delle nostre attività lavorati-ve, non è facile percepire con immedia-tezza la storia della Redenzione. C’è bi-sogno di uno sguardo superiore. Bisogna ascendere i gradini rivolgendo lo sguardo alle antiche pietre fiancheggiate da quel campanile ove, le campane richiamano, con la loro voce, la nostra attenzione nei momenti più forti del tempo liturgico.

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L’Estate tempo opportuno per crescere nella fede

PERIODICO DELLA COMUNITÀ ECCLESIALE DI RAVELLO

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Abbiamo bisogno di passare dal rumore al suono armonioso del canto, dobbiamo staccare la mente dalle impressioni fugaci delle suggestioni televisive, per entrare nello spazio dell’ascolto profondo della Parola di Dio. Abbiamo bisogno di porre il nostro cuore in quella dimensione di eternità per uscire dalla dimensione tutta terrena che, priva della fede, risulta do-minata dalle profonde angosce generate dalla realtà della morte. Invece quando, nelle prime ore del mattino, le porte del Duomo di Ravello sono spalancate sulla piazza, anche da lontano è possibile intra-vedere ed ammirare l’abside dove cam-peggia la Beata Vergine Maria. La casa della Madre è sempre aperta e il suo cuo-re è rivolto alla comunità di tutti i suoi figli. E’ bello pensare a Maria che, con la premura delle vere donne, ci raggiunge ai piedi della scalinata per salutarci, au-gurarci la buona giornata e benedire i nostri passi. Un giorno San Francesco sognò la Beata Vergine ai piedi di una scala, nell’atto di aiutare i fraticelli ad ascendere con più facilità verso il Paradi-so. E’ un episodio che conforta la nostra intuizione. Maria percorre le nostre stra-de e ci attende ai piedi di quei gradini per invitarci ad entrare, con devoto rispetto, nella casa ove è presente il Suo Figlio e ci ripete: Fate quello che vi dirà. I gradini sempre faticosi, e non solo per chi ha i capelli bianchi, ci chiamano allo sforzo di porre, passo dopo passo, i nostri pensie-ri, i sentimenti e i nostri progetti in quel-la dimensione salvifica indicata dalle bre-vi parole che emersero dal profondo silenzio del Cuore Immacolato di Maria: Fate quello che vi dirà. E’ il consiglio di Colei che assolve il compito biblico asse-gnato alla sentinella del mattino. Sempre vigilante nella notte, pronta ad osservare ogni movimento all’orizzonte, custodisce il nostro riposo sereno. Ed al mattino, avvertendo il pericolo delle nostre stra-de, ci invita a seguire Gesù e ci indica la strada. La sentinella non dorme, ma ve-glia sempre ed avverte il sorgere del so-le, con una speciale sensibilità tutta fem-minile. Maria come nostra sentinella veglia la notte che, a volte, avvolge la nostra vita e tutta la storia. Proprio Lei sa condividere con Dio il parto delle realtà nuove, della Luce, della novità

della Grazia. Ne abbiamo tanto bisogno. Ma soprattutto Maria è la Sentinella del mattino a cui spesso chiediamo: quanto manca della notte? Nei momenti in cui le tenebre ci avvolgono, quando la tristezza penetra nel nostro cuore, dal nostro cuo-re sorge spontaneo quel sussulto: Mam-ma, quanto finisce la difficoltà che sto affrontando! Ogni uomo, pur raggiun-gendo vette altissime, ha sempre bisogno di Colei che sa guidare i nostri passi sulle strade della vita. In questi giorni volgere-mo lo sguardo alla Beata Vergine Assunta in cielo. In vero nell’abside troviamo la statua dell’Immacolata, ma anche quella effige esprime quella tensione verso il cielo che fu il movimento perenne della Madre di Dio. Aggrappiamoci al suo manto meraviglioso che sembra mosso dalla potenza dello Spirito Santo con quel profondo azzurro come il cielo. La no-stra vita, che a volte può appiattirsi in una dimensione puramente orizzontale, ha sempre bisogno di uno slancio verso l’alto. La liturgia bizantina interpreta il mistero dell’Assunzione non come l’addio di Maria al mondo terreno, ma come la festa della sua presenza in mezzo a noi “Nella tua dormizione tu non hai ab-bandonato il mondo o Teothokos”. Ascen-diamo in questi giorni alla casa di Dio con il Santo Rosario. Alimentiamo la nostra vita di Virtù, veri gradini della spiritualità. E quando saliamo la scala del Duomo, rivolgiamo alla Madre di Dio lo sguardo e salutiamoLa come nostra Ma-dre e Maestra Spirituale. Tendiamo le nostre mani verso l’alto e cantiamole il nostro amore, sussurrando qualche strofa delle antiche melodie mariane composte da Sant’Alfonso. Il soffio dello Spirito ci permetterà così di lambire quel manto che, null’altro è se non la comunione profonda della Madre con Colui che è il Salvatore del Mondo, il Redentore dell’Universo.

Don Carlo Magna

IL PAPA SPIEGA L’ENCICLICA

Il 7 luglio scorso nella Sala stampa della Santa Sede è stata presentata l’enciclica di Papa Benedetto XVI “Caritas in veritate”. L’enciclica si inserisce nella tradizione delle encicliche che hanno caratterizzato la dottri-na sociale della Chiesa cattolica.

“La mia nuova Enciclica Caritas in verita-te, che ieri è stata ufficialmente presenta-ta, si ispira per la sua visione fondamen-tale ad un passo della lettera di san Paolo agli Efesini, dove l’Apostolo parla dell’agire secondo verità nella carità: "Agendo – lo abbiamo sentito ora -secondo verità nella carità, cerchiamo di

crescere in ogni cosa tendendo a Lui, che è il capo, Cristo" (4,15). La carità nella verità è quindi la principale forza propul-siva per il vero sviluppo di ogni persona e dell’umanità intera. Per questo, attor-no al principio "caritas in veritate", ruota l’intera dottrina sociale della Chiesa. Solo con la carità, illuminata dalla ragio-ne e dalla fede, è possibile conseguire obiettivi di sviluppo dotati di valenza umana e umanizzante. La carità nella verità "è principio intorno a cui ruota la dottrina sociale della Chiesa, un princi-pio che prende forma operativa in criteri orientativi" (n. 6). L’Enciclica richiama subito nell’introduzione due criteri fon-damentali: la giustizia e il bene comune. La giustizia è parte integrante di quell’amore "coi fatti e nella verità" (1 Gv 3,18), a cui esorta l’apostolo Giovan-ni (cfr n. 6). E "amare qualcuno è volere il suo bene e adoperarsi efficacemente per esso. Accanto al bene individuale, c’è un bene legato al vivere sociale delle persone… Si ama tanto più efficace-

SEGUE DALLA PRIMA

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PAGINA 3 INCONTRO PER UNA CHIESA VIVA il prossimo, quanto più ci si adopera" per il bene comune. Due sono quindi i criteri operativi, la giustizia e il bene comune; grazie a quest’ultimo, la carità acquista una dimensione sociale. Ogni cristiano – dice l’Enciclica – è chiamato a questa carità, ed aggiunge: "E’ questa la via isti-tuzionale … della carità" (cfr n. 7). Come altri documenti del Magistero, anche questa Enciclica riprende, continua ed approfondisce l’analisi e la riflessione della Chiesa su tematiche sociali di vitale interesse per l’umanità del nostro secolo. In modo speciale, si riallaccia a quanto scrisse Paolo VI, oltre 40 anni or sono, nella Populorum progressio, pietra miliare dell’insegnamento sociale della Chiesa, nella quale il grande Pontefice traccia alcune linee decisive, e sempre attuali, per lo sviluppo integrale dell’uomo e del mondo moderno. La situazione mondia-le, come ampiamente dimostra la cronaca degli ultimi mesi, continua a presentare non piccoli problemi e lo "scandalo" di disuguaglianze clamorose, che permango-no nonostante gli impegni presi nel passa-to. Da una parte, si registrano segni di gravi squilibri sociali ed economici; dall’altra, si invocano da più parti rifor-me non più procrastinabili per colmare il divario nello sviluppo dei popoli. Il feno-meno della globalizzazione può, a tal fine, costituire una reale opportunità, ma per questo è importante che si ponga mano ad un profondo rinnovamento mo-rale e culturale e ad un responsabile di-scernimento circa le scelte da compiere per il bene comune. Un futuro migliore per tutti è possibile, se lo si fonderà sulla riscoperta dei fondamentali valori etici. Occorre cioè una nuova progettualità economica che ridisegni lo sviluppo in maniera globale, basandosi sul fondamen-to etico della responsabilità davanti a Dio e all’essere umano come creatura di Dio. L’Enciclica certo non mira ad offrire so-luzioni tecniche alle vaste problematiche sociali del mondo odierno – non è questa la competenza del Magistero della Chiesa (cfr n. 9). Essa ricorda però i grandi prin-cipi che si rivelano indispensabili per costruire lo sviluppo umano dei prossimi anni. Tra questi, in primo luogo, l’attenzione alla vita dell’uomo, conside-rata come centro di ogni vero progresso; il rispetto del diritto alla libertà religiosa, sempre collegato strettamente con lo

sviluppo dell’uomo; il rigetto di una vi-sione prometeica dell’essere umano, che lo ritenga assoluto artefice del proprio destino. Un’illimitata fiducia nelle poten-zialità della tecnologia si rivelerebbe alla fine illusoria. Occorrono uomini retti t a n to ne l l a po l i t i c a q ua n to nell’economia, che siano sinceramente attenti al bene comune. In particolare, guardando alle emergenze mondiali, è urgente richiamare l’attenzione della pubblica opinione sul dramma della fame e della sicurezza alimentare, che investe una parte considerevole dell’umanità. Un dramma di tali dimensioni interpella la nostra coscienza: è necessario affrontarlo con decisione, eliminando le cause strut-turali che lo provocano e promuovendo lo sviluppo agricolo dei Paesi più poveri. Sono certo che questa via solidaristica allo sviluppo dei Paesi più poveri aiuterà certamente ad elaborare un progetto di soluzione della crisi globale in atto. In-dubbiamente va attentamente rivalutato il ruolo e il potere politico degli Stati, in un’epoca in cui esistono di fatto limita-zioni alla loro sovranità a causa del nuovo contesto economico-commerciale e fi-nanziario internazionale. E d’altro canto, non deve mancare la responsabile parte-cipazione dei cittadini alla politica nazio-nale e internazionale, grazie pure a un rinnovato impegno delle associazioni dei lavoratori chiamati a instaurare nuove sinergie a livello locale e internazionale. Un ruolo di primo piano giocano, anche in questo campo, i mezzi di comunicazio-ne sociale per il potenziamento del dialo-go tra culture e tradizioni diverse. Volendo dunque programmare uno svi-luppo non viziato dalle disfunzioni e di-storsioni oggi ampiamente presenti, si impone da parte di tutti una seria rifles-sione sul senso stesso dell’economia e sulle sue finalità. Lo esige lo stato di salu-te ecologica del pianeta; lo domanda la crisi culturale e morale dell’uomo che emerge con evidenza in ogni parte del globo. L’economia ha bisogno dell’etica per il suo corretto funzionamento; ha bisogno di recuperare l’importante con-tributo del principio di gratuità e della "logica del dono" nell’economia di mer-cato, dove la regola non può essere il solo profitto. Ma questo è possibile uni-camente grazie all’impegno di tutti, eco-nomisti e politici, produttori e consuma-

tori e presuppone una formazione delle coscienze che dia forza ai criteri morali nell’elaborazione dei progetti politici ed economici. Giustamente, da più parti si fa appello al fatto che i diritti presuppon-gono corrispondenti doveri, senza i quali i diritti rischiano di trasformarsi in arbi-trio. Occorre, si va sempre più ripeten-do, un diverso stile di vita da parte dell’umanità intera, in cui i doveri di ciascuno verso l’ambiente si colleghino a quelli verso la persona considerata in se stessa e in relazione agli altri. L’umanità è una sola famiglia e il dialogo fecondo tra fede e ragione non può che arricchir-la, rendendo più efficace l’opera della carità nel sociale, e costituendo la cornice appropriata per incentivare la collabora-zione tra credenti e non credenti, nella condivisa prospettiva di lavorare per la giustizia e la pace nel mondo. Come cri-teri-guida per questa fraterna interazio-ne, nell’Enciclica indico i principi di sus-sidiarietà e di solidarietà, in stretta con-nessione tra loro. Ho infine segnalato, dinanzi alle problematiche tanto vaste e profonde del mondo di oggi, la necessità di un’Autorità politica mon-diale regolata dal diritto, che si attenga ai m e n z i o n a t i principi di sussidiarietà e solidarietà e sia fermamen-te orientata alla realizza-zione del bene comune, nel rispetto delle grandi tradizioni morali e religiose dell’umanità. Il Vangelo ci ricorda che non di solo pane vive l’uomo: non con beni materiali soltanto si può soddisfare la sete profonda del suo cuore. L’orizzonte dell’uomo è indubbiamente più alto e più vasto; per questo ogni pro-gramma di sviluppo deve tener presente, accanto a quella materiale, la crescita spirituale della persona umana, che è dotata appunto di anima e di corpo. E’ questo lo sviluppo integrale, a cui costan-temente la dottrina sociale della Chiesa fa riferimento, sviluppo che ha il suo crite-rio orientatore nella forza propulsiva de l la "c ar i t à ne l la ver i t à" . ” © Libreria Editrice Vaticana

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In data 24 e 25 luglio presso la Pinacote-ca del Duomo di Ravello, l’Associazione Culturale Duomo di Ravello ha saputo declinare con successo la tematica che da sei anni la appassiona e la sprona attra-verso la presentazione dell’incontro dal tema: “San Nicola da Myra, dal Salento alla Costa d’Amalfi: il mito di un culto in cammino”. L’incontro di studio, ha visto la figura del Santo diventare il fil rouge di un complesso di lavori presentati abil-mente ed incentrati su tematiche cha hanno spaziato dal profilo storico-agiografico, iconografico fino a quello medico. Il convegno ha avuto come padrini d’eccezione S.E. Mons. Orazio Soricelli, Arcivescovo di Amalfi – Cava de’ Tirre-ni, l’On. Edmon-do Cirielli, Presi-dente della Pro-vincia di Salerno, dell’Avv. Paolo Imperato, Sinda-co di Ravello e si è aperto con l’introduzione del Presidente dell’Associazione, Mons. Giuseppe Imperato. In particolare, l’evento è partito con la lezione agiografica del prof. Gennaro Luongo, ordinario di Agiografia presso l’Università “Federico II” di Napoli, se-guito dagli studi centrati sul culto del Santo in area russa, riassunti negli inter-venti dell’orientalista prof. Maria Pia Pagani, dello scrittore Armando Santa-relli e di Padre Aleksij Yastrebov, parro-co della Chiesa ortodossa russa di Vene-zia. L’attenzione si è poi spostata sull’area italomeridionale ed amalfitana in partico-lare con i lavori del Preside Criscuolo e della dott.ssa Maria Carla Sorrentino, topografa antichista. Infine, si sono saputi distinguere per la loro completezza ed esaustività i contri-buti del prof. Giuseppe Gargano e del dott. Salvatore Amato. Questi ultimi si sono fatti portavoce di un gruppo di stu-dio, composto da giovani ravellesi, che

con interesse e chiare doti critiche stanno riportando in auge il potenziale culturale di Ravello. Alla profonda analisi della società ravellese e dello studio delle ca-ratteristiche del culto del Santo sono stati dedicati anche altri interventi quali i con-tributi del prof. Francois Widemann, Direttore di Ricerca CNRS - Laboratorio di ricerca dei Musei di Francia, del prof. Maurizio Ulino, Chevalier de l’Ordre du Mérite Culturele, del Principe Landolfo-Rufolo e del notaio Filippo Cammarano Guerritore. Inoltre, un approfondimento sulla tradi-zione innodica nicolaiana, è stato svilup-pato dal lavoro del monaco olivetano Dom Luigi Martino Di Martino. La seconda parte del convegno invece è

stata dedicata alla riflessione storico-artistica con i contributi del prof. Vincen-zo Pacelli, Ordinario Storia dell’arte mo-derna - Uni-versità “Federico II”

di Napoli, del prof. Antonio Braca, stori-co dell’arte - Soprintendenza BAPPSAE di SA e AV, del prof. Antonio Milone, Storico dell’arte - Università “Federico II” di Napoli, del prof. Valentino Pace, Ordinario di Storia dell’Arte Medievale – Università di Udine, e del prof. Luigi Buonocore. La relazione medico-scientifica del prof. Vincenzo Esposito, Direttore dell’Istituto di Anatomia e Museo anato-mico - seconda Università di Napoli ha contribuito ad arricchire le due giornate di studio con ulteriori spunti di riflessio-ne. L’evento ha avuto come moderatore il prof. Claudio Caserta e si è tenuto grazie al patrocinio della Provincia di Salerno e del Comune di Ravello.

Maria Palazzo

Riflessioni coraggiose e provocanti in margine

all’importante convegno su S. Nicola di Myra

Il Sesto Convegno di Studi, dedicato quest’anno a San Nicola, ha avuto il pre-gio di aver toccato praticamente ogni aspetto della figura del grande vescovo di Myra. Così, abbiamo conosciuto il Nico-la storico, quello iconografico, il maestro della fede, il protettore dei fanciulli, il patrono dei marinai, il taumaturgo, e naturalmente il culto universale di quello che rimane il Santo più venerato della Cristianità. Last, but not least, dal Convegno di Ra-vello è emersa l’importante e attualissi-ma funzione ecumenica del messaggio nicolaiano. La parola “ecumenico” deriva dal greco oikoumene, e significa “casa comune, casa abitata”, ma anche, in un senso più ampio, “terra abitata, mondo abitato”. In senso cristiano, l’uso del termine inizia a partire dal IV secolo, ed è sinonimo di Chiesa universale. Ai nostri giorni, la parola ha acquistato il significato specifi-co di movimento per ricomporre l’unità delle Chiese. E’ innegabile che non esista un fatto più doloroso, per qualsiasi cristiano, dell’ormai millenaria separazione fra la Chiesa d’Oriente e quella d’Occidente. Infatti, non può sfuggire a nessuno che la Chiesa è e non può essere che Una, come ha insegnato Gesù (Gv 17,21): Ut unum sint, “che tutti siano una cosa sola, come Tu sei in me, o Padre, e io in Te, che siano anch’essi una sola cosa in noi, affin-ché il mondo creda che Tu mi hai manda-to”. La Chiesa non può non essere ecumeni-ca. Pur nella storica diversità, pur nella pluralità e nella ricchezza del rispettivo pensiero, ogni cristiano auspica il rag-giungimento di quell’unità che costitui-sce l’essenza stessa della religione. Ogni volta che si sente parlare di ecume-nismo, un interrogativo percorre le men-ti di tutti: è veramente possibile, dopo

Sulla scia di San Pantaleone da Nicomedia San Nicola da Myra dal Salento alla Costa d’Amalfi: il mito di un culto in cammino

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molti fattori di divisione: le rilevanti dif-ferenze di dottrina e di pratica, le posi-zioni di potere che le Chiese hanno ac-quisito nel tempo, le nuove divergenze su alcuni nodi morali e bioetici. Ma non è solo questione di diversità di pensiero su alcuni temi dogmatici o a-spetti dottrinali. Bisogna riconoscere che l’unità è difficile da raggiungere perché la divergenza investe l’ispirazione di fondo delle Chiese. Un problema aggravato dalla sfiducia e dalle reciproche accuse accumulate nel millennio che ci ha visto - e ci vede ancora - separati. Tuttavia, sarebbe assurdo rasse-gnarsi alla sconfitta preventiva. L’ecumenismo può e deve andare oltre il semplice dialogo sui tradi-zionali temi teologici. La divisione fra le Chiese è stata un fatto uma-no, e la buona volontà degli uomi-ni, assistiti dallo Spirito, potrà sa-narla. In ogni caso, se vogliamo ritrovare l’unità, due sono le strade da per-correre. La prima è l’ecumenismo spiri-tuale, cioè l’apertura dei cuori cristiani a Dio, e dunque alla pre-ghiera, al servizio, alla chiamata evangelica all’unità. Il Concilio Vaticano II ha affermato che “ecumenismo vero non c’è senza interiore conversione; poiché il desiderio dell’unità nasce e matura dal rinnovamento della mente, dall’abnegazione di se stessi e dalla libe-rissima effusione della carità” (Unitatis redintegratio, 7). E’ un punto di partenza che Padre Gerar-do Cioffari – storico dell’Ordine Dome-nicano e profondo studioso di San Nicola - ha sottolineato con forza: “Per rendere efficace il dialogo teologico è necessario preventivamente ristabilire il rispetto, la carità e la fiducia reciproca tra i fedeli delle rispettive confessioni. E’ necessa-rio, cioè, l’ecumenismo del Popolo di Dio.” Dunque, un problema che tocca tutti i cristiani, tutti noi che ormai entriamo in contatto con i nostri fratelli in mille mo-di, viaggiando e dialogando con loro, partecipando alla liturgia comune, a di-battiti e conferenze, oppure semplice-mente premendo un tasto del computer e iniziando una conversazione via

internet. Ma l’ecumenismo spirituale non può bastare. E’ altrettanto importan-te effettuare un profondo, capillare lavo-ro di carattere storico e teologico, da parte delle gerarchie ecclesiastiche, per appianare le divergenze dottrinarie che continuano a pesare come macigni sulla riunificazione delle Chiese. Fortunatamente, negli ultimi 50 anni la Chiesa d’Oriente e quella d’Occidente hanno mosso dei passi molto concreti in questo senso. Ricordiamo che già il Concilio Vaticano II considerava la promozione dell’unità

dei cristiani come uno dei suoi principali obiettivi. Più di recente, Papa Giovanni Paolo II ha dichiarato che la ricerca dell’unità cristiana è una via irreversi-bile, e Papa Benedetto XVI, fin dal pri-mo giorno del suo Pontificato, si è assun-to l’impegno di lavorare alacremente al ripristino dell’unità di tutti i credenti in Cristo. Negli anni ’70 e ’80 sono stati tenuti importanti colloqui cattolico-ortodossi, nel corso dei quali è stato evidenziato e definito ciò che le due Chiese hanno in comune a proposito dei sacramenti e del ministero sacerdotale ed episcopale. Do-po una nuova fase di stallo nella prima metà degli anni ’90, ha avuto luogo l’importantissimo incontro di Raven-na (ottobre 1997), che ha fissato due punti molto significativi: per la prima volta gli Ortodossi hanno riconosciuto che esiste un livello universale della

Chiesa e un primato a livello universale. Inoltre, cattolici e ortodossi hanno con-cordato sul fatto che, nel periodo in cui Oriente e Occidente hanno vissuto nella piena comunione, Roma occupava il pri-mo posto nella Taxis, e che il vescovo di Roma è pertanto il protos (primo) tra i patriarchi. Nel corso del 2008, il patriarca ecumeni-co è stato a Roma per ben tre volte, e varie delegazioni cattoliche sono state ospitate a Mosca e Costantinopoli in oc-casione di feste patronali e incontri di studio e di coordinamento. Sempre nel

2008, un Comitato misto di catto-lici e ortodossi si è riunito nell’isola di Creta, dando inizio a una lettura comune e a uno studio ermeneutico dei dati storici e delle varie opzioni teologiche. Il progetto del documento elabora-to a Creta sarà esaminato nella sessione plenaria che si terrà a Ci-pro nell’ottobre di quest’anno. Con questi intenti, e un serio ap-proccio storico e scientifico, io sono convinto che molte divergen-ze dottrinali possano essere risolte. Non bisogna mai dimenticare che alcune delle questioni teologiche che tuttora dividono cattolici e ortodossi furono più il frutto di divisioni di carattere politico che dottrinario. Ora, quale ruolo può avere il

messaggio nicolaiano nel cammino verso la riunificazione delle Chie-se? Un ruolo molto importante, per di-verse ragioni. Innanzitutto, perché stiamo parlando di un Santo. Un Santo è un Santo. E’ un essere uma-no, ma che ha posseduto doti spirituali e carismatiche che altri non hanno. E’ una persona che è stata toccata dalla Grazia, e dunque ha conosciuto l’unione con Dio, che compie miracoli, che ha poteri taumaturgici. Questo è un Santo. Secondo motivo, perché San Nicola è un ponte come pochi altri al mondo per avvicinare le diverse sponde della cristia-nità. Padre Gerardo Cioffari ha scritto che “quello ecumenico è il volto più recente di San Nicola”.

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Facendo leva sul Nicola storico (in parti-colare l’amore per la verità e la propen-sione al dialogo e alla tolleranza di questo Santo) e sull’universalità del suo culto, che attraversa, come è noto, il mondo cattolico, ortodosso e protestante, Padre Cioffari auspica non solo la restituzione della sua festa liturgica a memoria obbli-gatoria, ma che Nicola diventi il Patro-no dell’Ecumenismo. Sarebbe l’ultimo, prezioso dono fatto ai credenti dal Santo più venerato nel mondo cristia-no. Giova ricordare che il culto per San Nicola è sopravvissuto a carenze biografiche, ine-sattezze storiche, errori di ermeneutica, e da ultimo alla declassificazione origi-nata dalla riforma liturgica voluta dalla Santa Sede nel 1969. Come attestano The Oxford Dictionary of Saints, The Book of Saints benedet-tino e il Biographical Dictio-nary of the Saints, “Nicola di Myra rimane il Santo più popolare della Cristia-nità”. Grande impulso alla diffu-sione del suo culto fu dovuto, natural-mente, alla traslazione da Myra a Bari nel 1087, evento storicamente accertato, in virtù del quale lo sguardo dell’Oriente è rimasto costantemente volto verso l’Occidente. La Basilica di San Nicola a Bari è stata per secoli uno dei pochi luo-ghi ecumenici del mondo. Con il suo affidamento all’Ordine Domenicano, voluto da Papa Pio XII nel 1951, la spinta verso l’Oriente ha ricevuto ulteriore stimolo. I Domenicani si sono dedicati con zelo allo sviluppo dei pellegrinaggi a carattere ecumenico e all’accoglimento

di diversi riti orientali, come quello ar-meno, caldeo e bizantino. Il 5 maggio 1966, in o-maggio ai rinnovati rap-porti fra cattolici e orto-dossi, venne inaugurata la cappella per la celebra-zione della liturgia orientale, primo caso al mondo in una chiesa lati-na. Nello stesso anno ven-ne fondato l’Istituto Ecu-menico San Nicola, con il compito primario di

“incrementare l’attività ecumenica alla quale la Puglia è particolarmente versata per la sua vicinanza con l’oriente e per il vincolo spirituale con cui ad esso è legata nel nome di San Nicola di Bari”. La Basilica di Bari confermava di essere il luogo ideale per l’ecumenismo quando, nel 1982, nasceva il Centro Ecumeni-co San Nicola, con la rivista informati-va O Odigos. Il 26 febbraio 1984 fu un giorno memo-rabile per la Basilica barese, che accolse Papa Giovanni Paolo II. In quella occasio-

ne, dopo essersi rivolto direttamente a San Nicola con parole forti e ispirate, il Papa tenne un discorso incentrato sul pellegrinaggio e sull’ecumenismo: “Qui la memoria della fede fa rivivere la pre-senza, non cancellata dalla morte, di un uomo vissuto in Oriente fra il III e il IV secolo, e nel quale ha trovato magnifica espressione quel particolare, inconfondi-bile tipo di genialità cristiana che lo Spiri-to Santo ha donato ai fratelli d’Oriente per l’edificazione della Chiesa. Ma prima di ogni altra cosa il vescovo di Mira, oggi conosciuto come San Nicola di Bari, ri-

sveglia in noi la nostalgia per l’unione. Il vescovo di Roma viene pel-legrino al sepolcro del santo vescovo di Mira e in lui rende omaggio alla Chiesa d’Oriente”. Anche Benedetto XVI ha dimostrato di avere a cuore questo grande Santo. In una meditazione, lo descrive come “una figura che apre una porta sull’Avvento, che è in grado di mediare l’incontro con Gesù Cristo”. Nello stesso scritto, Papa Ratzinger ha sottolineato come Nicola sia uno dei primi cristiani ad essere venerato come santo senza essere un martire. Da parte ortodossa, grande protagonista della svolta ecumenica è l’attuale patriar-ca di tutte le Russie, Kirill - eletto il 27 gennaio 2009 - più volte pellegrino alla Basilica di Bari e promotore di incontri e colloqui fra cattolici ed ortodossi. Ma il mondo ortodosso slavo è particolarmente sensibile al culto ecumenico del vescovo di Myra. La festa russa della traslazione di San Nicola (9 maggio, corrispondente al 22 maggio occidentale) attira a Bari, ogni anno, migliaia di pellegrini russo-ortodossi.

Concludendo, possiamo affermare con soddisfazione che proprio quando il culto del vescovo di Myra sembrava destinato a subire una flessione, circo-stanze storiche, sociali e religiose lo hanno ravvivato sino al punto di innal-zare San Nicola a faro dell’ecumenismo. Nicola si pone realmente come il San-to di tutti, il “Santo della Chiesa indivisa”, come testimonia la pro-fonda venerazione di tutte le Chiese cristiane. E’ chiaro che una situazione di questo genere crea le migliori pre-messe per il successo del dialogo ecu-menico. Quando il culto coinvolge in

modo diffuso e profondo il Popolo di Dio, è più facile per le gerarchie trovare un comune terreno d’intesa, e una rispo-sta della base in caso di decisioni teologi-che e dottrinali. Solo in questo modo, scrive ineccepibilmente Padre Cioffari, “un eventuale accordo non verrà vissuto come un compromesso fra potenti ‘Principi della Chiesa’, o peggio ancora come un tradimento della fede, ma come l’ascolto umile della parola di Gesù nel Vangelo di Giovanni (17, 21) Ut unum sint, che tutti siano una cosa sola” Armando Santarelli

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Ci piace iniziare la cronaca della festa di San Pantaleone 2009 partendo dall’ultimo momento della giornata festi-va del 27 luglio ,ossia dal suono a distesa delle campane del duomo che annuncia-no la conclusione del giorno solenne in cui Ravello celebra il “dies natalis” del suo celeste Patrono. Un suono apparen-temente uguale a quello che nell’arco della giornata del 27 si diffonde più volte dal magnifico campanile della cattedrale ma che,a conclusione delle celebrazioni in onore del Martire di Nicome-dia,assume un significato più profondo. Quelle campane nella notte,al pari di ciò che accade nella so-lenne Veglia Pasqua-le,sono foriere di un annuncio gioioso e i rintocchi festosi rap-presentano un inno alla vita. Sì,la vita di ogni credente che come san Pantaleone si fida di Cristo e a Lui si affida e per questo non teme la morte. Ma in un contesto distratto quel suono notturno vuole essere anche il suono della memo-ria, perché ci ricorda il grande patrimonio di fede che abbiamo ricevuto e che, pro-prio attraverso la devozione al Santo Pa-trono,nonostante le difficoltà dei tempi, continua ad essere trasmesso di genera-zione in generazione. Era stato proprio il suono delle campane ad annunciare il 25 giugno scorso l’inizio del mese di prepa-razione alla festa. Per trenta giorni,ogni sera nel duomo, prima della celebrazione eucaristica, abbiamo recitato la coroncina in onore del Santo alla quale si sono ag-giunte dal 17 luglio le antiche preghiere della novena composta da don Ferdinan-do Mansi. Preghiere semplici che potreb-bero far sorridere i benpensanti,ma che testimoniano quella profonda devozione che Ravello nutre da sempre verso il Santo Medico. Anche quest’anno si è voluto ripetere il rito dell’accensione della lampada davanti alla statua di San

Pantaleone:ogni giorno della novena i rappresentanti dei gruppi ecclesiali ope-ranti a Ravello, a turno,hanno acceso i nove ceri che costituiscono un calendario luminoso che indica i nove giorni che precedono la festa. Sempre nel corso della novena ci è stata offerta la possibili-tà di approfondire la conoscenza del no-stro Santo attraverso le riflessioni di don Carlo Magna,un vero amante di san Pan-taleone,che ha sottolineato tanti aspetti della personalità del Megalomartire e ci ha fatto conoscere la devozione che tanti altri Paesi del mondo hanno verso san Pantaleone. Come ormai tradizione,la

preparazione alla festa ha avuto anche quest’anno un grande momento cultura-le. Il Convegno di Studi, tenutosi nei giorni 24 e 25 luglio, ha voluto porre l’attenzione sulla figura di san Nicola da Myra,un gigante del santorale ravellese e del Ducato di Amalfi.Agiografia,storia locale,arte sono stati gli ingredienti che sapientemente dosati hanno fornito ai partecipanti una garbata e precisa cono-scenza della figura del Vescovo di Myra che,come ha sottolineato Mons.Giuseppe Imperato,parroco del Duomo e promo-tore del Convegno,si inserisce, sulla scia di Pantaleone di Nicomedia, nell’ambito di quei santi orientali il cui culto ha con-tribuito a rafforzare le radici cristiane del nostro territorio. Domenica 26 si respi-rava la consueta atmosfera prefestiva. La presenza della banda musicale sin dalle

prime ore del mattino confermava quell’aria di festa che il paese si accingeva a vivere,una festa che ancora una volta il gioioso suono delle campane annunciava. Essendo domenica,pasqua della settima-na,si è preferito evitare la tradizionale liturgia vigiliare del Lucernario.

Dopo l’esposizione solenne della Sta-tua ,il cardinale Franc Rodé ha presiedu-to la Celebrazione Eucaristica,nel corso della quale ha cominciato a tracciare il profilo di san Pantaleone,senza tuttavia tralasciare di commentare le letture che la liturgia domenicale aveva proposto. Inizialmente austero,il Porporato ha ben

presto dimostrato una grande affabilità e già durante la celebrazione ha confermato quei sentimenti di profonda ammirazione per la Comunità religiosa e civile di Ravello che ha ribadito al termine della processione di giorno 27 nel saluto alla città tenuto dal sagrato del duomo. La Messa Pontificale, ce-lebrata da Sua Eminen-za alle 10.30 del 27 luglio, è stato il mo-m e n t o c r u c i a l e dell’intera giornata

festiva che ha visto partecipare alle cele-brazioni un grandissimo numero di per-sone venute anche dai paesi vicini,a testi-monianza della popolarità di san Pantale-one e della devozione che si ha verso il Santo. Una ennesima prova che dovrebbe convincere chi,anche in ambito ecclesiale della Arcidiocesi amalfitana-cavense, continua a nutrire dubbi sull’esistenza storica del nostro Patrono e si rifiuta di inserire San Pantaleone nelle litanie dei Santi che si cantano nelle celebrazioni solenni che si svolgono in Cattedrale ad Amalfi.Nel corso della Celebrazione Eu-caristica il cardinale Rodé ha ripreso il discorso iniziato la sera precedente e ha tracciato un ritratto molto bello del San-to.

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IL SUONO DELLA MEMORIA

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Non è mancato il tradizionale omaggio che la Comunità civile di Ravello,nella persona del Sindaco Paolo Imperato,ha voluto fare al Presule sloveno. Un bellis-simo cameo raffigurante san Pantaleo-ne,opera di Giorgio Filocamo,è stato il dono che Ravello ha offerto a Sua Emi-nenza per avere,con la sua presen-za,voluto rendere ancora più importanti i festeggiamenti in onore del Santo Pa-trono,condividendo con l’intera comuni-tà religiosa e civile la gioia della festa patronale. L’Ambasciatore di Slovenia presso la Santa Sede e le altre Autorità civili e militari hanno completato il qua-dro delle personalità che hanno voluto vivere con noi il giorno festivo. In sera-ta ,dopo la Messa vespertina,la processio-ne presieduta dal cardinale Rodé ha volu-to portare lungo le vie di Ravello quell’atmosfera di preghiera e di gioia scaturita dall’ascolto della Parola del Signore che come credenti non possiamo e non dobbiamo tenere per noi. Il canto del Te Deum ha concluso le celebrazio-ni, ma non l’ininterrotto pellegrinaggio alla Cappella per venerare il Sangue di San Pantaleone,anche quest’anno prodi-giosamente liquefatto. Nella piazza gre-mita lo spettacolo pirotecni -co,superlativo,e il programma musicale hanno protratto il clima di festa .La ban-da musicale alla fine si è resa protagonista di un delizioso fuori program-ma:terminata l’esecuzione dello scelto programma musicale,i musicisti sono entrati in Duomo e hanno suonato un inno mariano. Un omaggio solo apparen-temente fuori luogo,perché ci ha sugge-stivamente collegati alla solennità dell’Assunta,titolare della Cattedrale. E intanto le campane suonavano a festa.

Roberto Palumbo

SEGUE DA PAGINA 7 O SIGNORE, VENIAMO A TE CON I CUORI RICOLMI DI GIOIA

Durante la novena in onore di San Pantele-one dal 17 al 25 Luglio,2009 è stata accesa una candela ogni sera , da parte dei rappre-sentati dei gruppi e delle associazioni presenti nella Comunità Parrocchiale , per chiedere l’intercessione del Giovane Medi-co. Martedì 21 Luglio, è stata una serata speciale; ad accendere la candela, sono stati , a nome di tutti, due ragazzi che han-no ricevuto quest’anno la prima volta il Sacramento dell’ Eucaristia : Fulvia Impe-rato e Giacomo Pappalardo. Dopo aver accompagnato il Corteo processionale, aver recitato la preghiera di inizio ed acce-so la candela i venti ragazzi, hanno parteci-pato con gioia ed entusiasmo alla Celebra-zione Eucaristica presieduta da Don Carlo Magna; soprattutto hanno seguito con at-tenzione l’Omelia preparata per loro. Don Carlo,ispirandosi al romanzo di Don Peter von Seinitz, parroco della Basilica di San Pantalone, a Colonia: “ Pantalone , il medi-co”, ha tracciato prima il profilo di San Pantalone, descrivendo i tratti somatici del Giovane Medico, ha spiegato il significato del nome Pantalone: “Del Tutto Leone”; il padre Eustorgio ha voluto “ scorgere la forza del leone in lui, tenero bambino” e ne ha scelto il nome. E’ stato interessante conoscere come il fanciullo Pantalone si comportasse, avendo talento , imparava,capiva subito ed elaborava ciò che aveva appreso. Con il papà Eustorgio, Pan-to ( così lo chiamavano affettuosamente da piccolo ), “ nel bosco e sulle rive del Mar di Marmara, andava alla ricerca di piante ed alberi che possedevano virtù curative, Eustorgio gli spiegava di continuo la bellez-za, la ricchezza ed il senso della natura, magnificando la Grandezza di Dio e lo splendore della Creazione. Pantaleone era sensibile alla musica e spes-so cantava per amore della mam-ma ,ammalata di cuore . La mamma Eubula è stata la prima catechi-sta di Panto, gli parlava spesso di Gesù e del sacerdote Ermolao . Pantaleone accom-pagnava il papà Eustorgio in visita ai malati e già da ragazzo aveva deciso di fare il me-dico come il padre “ per rendere di nuovo felici e sane le persone tristi e sofferenti .” Inoltre Don Carlo, ha spiegato ai ragazzi come è avvenuto il Martirio di Pantaleone , ed invitandoli ad osservare l’icona nella Cappella feriale, ha detto loro anche dei

supplizi che il Santo ha subito prima di essere legato ad un tronco d’olivo ed essere decapitato . “ Nel momento culminante del martirio una voce è risuona-ta dall’alto : “ non sarai più chiamato Panta-leone, il tuo nome sarà Panteleimone, il misericordioso, colui che ha pietà di tut-ti .” Il sangue è fluito abbondantemente a terra . Era il 27 Luglio 305, una donna ha raccolto il sangue in una teca che è rimasta prima nella Chiesa di S.Sofia a Costantino-poli,sciogliendosi sempre nel giorno del martirio. All’inizio dell’XI sec. La teca è stata portata in Italia da commercianti che percorrevano le rotte del Mediterraneo, per giungere poi a Ravello. Nel giorno del martirio, ha anche spiegato Don Carlo, il tronco d’olivo al quale era legato Pantaleo-ne era arido, bagnato dal Sangue del Marti-re è rifiorito, per dimostrare a tutti la San-tità del Giovane Medico. I ragazzi, infat-ti,durante la Processione Offertoriale han-no portato in dono all’altare i rami d’olivo, simbolo del Martirio di San Pantaleone, ma anche simbolo di pace. Erano commossi i ragazzi quando hanno recitato la loro pre-ghiera al Santo: O San Pantaleone, ho accolto con gioia Gesù per la prima volta nella Santa Comunione e fra qualche giorno parteciperò alla tua festa. Aiuta-mi a seguire il tuo esempio,amando ed aiutando i miei genitori .Ti affido le loro preoccupazioni. Fa che possa essere attento, disponibile e sincero in famiglia , a scuola e con gli amici. Tu che restituisti la vita ad un ragazzo ucciso da una vipera , proteggimi da ogni pericolo e custodisci nel mio cuore la gioia di vivere. Ottienimi da Dio l’ispirazione per scoprire cosa far da grande per la gioia di Dio e dei miei genitori e per il bene del prossimo .Aiutami a crescere nella fede e nella gioia conoscendo sempre di più Gesù come facesti tu seguendo il tuo catechista Ermolao. Si leggeva veramente la gioia negli occhi dei ragazzi, per avuto l’occasione di vivere ancora un’esperienza interiore molto forte, gioia che ha contagiato tutti, le mamme che hanno accompagnato i loro figli, Don Carlo che ha curato tutto nei minimi particolari per donare loro un incontro veramente indimenticabile, ed anche me che ho segui-to durante l’anno il cammino di fede di questi piccoli. Il Signore, attraverso l’intercessione di San Pantaleone, possa mantenere viva in questi fanciulli la gioia del loro Primo Incontro. Giulia Schiavo

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La Chiesa celebra oggi la memoria di San Pantaleone, medico martire di Nicome-dia; il Signore ha donato alla Chiesa e alla Città di Ravello questo martire dei primi secoli di vita cristiana quale speciale pa-trono, testimone luminoso dell’amore incondizionato per Cristo, compagno di strada lungo il cammino di santità, aiuto nelle difficoltà e sostegno nella prova. Siamo riuniti per elevare il nostro ringra-ziamento al Signore per questo dono di grazia. Vogliamo affidarci all’intercessione di San Pantaleone, la cui esistenza è per noi un potente faro di luce, un pressante invito a vivere il Vangelo in modo radicale e con semplicità, offrendo una pubblica e corag-giosa testimonianza della fede che professiamo. È con gioia e gratitudine che ho accolto l’invito congiunto del vostro Parroco e del vostro Sindaco a presiedere questa solenne celebrazione eucaristica in onore del vostro Santo Patro-no, a loro va il mio saluto e il mio augurio per l’impegno che profondono, ciascuno nel loro campo, verso questa comunità. Un saluto affettuoso, poi, va a ciascuno di voi, presenti a questa festa di fede e di devozione: mediante l’intercessione di san Pantaleone, invoco su ciascuno di voi l’aiuto paterno di Dio e la sua protezione per voi e le vostre famiglie. Infine un saluto cordiale a tutte le autori-tà civili e militari presenti, alle Autorità comunali e, me lo permetterete, un ri-cordo particolare per il Signor Ambascia-tore della Slovenia presso la Santa Sede, Sua Eccellenza Ivan Rebernik, che oggi è qui con noi. Dagli inizi della predicazione apostolica non si è mai interrotta la schiera dei cri-stiani che, attratti dall’esempio di Cristo Signore e sostenuti dal suo amore, hanno donato la propria vita. San Pantaleone fa parte della innumerevole schiera di mar-tiri cristiani dell’epoca dell’imperatore romano Caio Valerio Massimiano, triste-mente noto per la crudeltà con la quale perseguitò i cristiani; teatro delle perse-

cuzioni fu la provincia romana della Biti-nia, con la sua capitale Nicomedia (l’attuale Izmit, in Turchia sul mar di Marmara), un popoloso centro nel quale fiorivano attività economiche ed ammini-strative ma anche culturali e scientifiche. Nei primi anni del IV secolo la persecu-zione diventò spietata e implacabile. Venne ucciso anche Pantaleone, giovane medico di Nicomedia, convertito al cri-stianesimo dal maestro Ermolao: la sen-tenza fu eseguita il 27 luglio del 305, mediante decapitazione. Oggi ricordia-mo la sua nascita al cielo, il dies natalis. A condannare Pantaleone sarebbero state

anche le capacità taumaturgiche attribui-te alla fermezza della sua fede cristiana – come ricordano i dipinti che ammiriamo in questo Duomo, e le belle preghiere della vostra tradizione ravellese -, che accompagnavano l’esercizio della sua professione medica: restituisce la vista a un cieco, riporta alla vita un fanciullo morso da una vipera, guarisce i più pove-ri e derelitti. Infatti, prima ancora che con il sacrificio cruento della vita, San Pantaleone è stato un fedele imitatore di Cristo Gesù con la propria esistenza, con l’offerta gratuita delle sue competenze professionali di medico a tutti, in parti-colare ai poveri e ai bisognosi. Non facciamo fatica a riconoscere che oggi siamo immersi in una cultura forte-mente segnata dall’apparire, dal successo a tutti i costi. Viviamo nella cultura del consumo, alla ricerca di ciò che offre una soddisfazione immediata, cercatori avidi di sensazioni gradevoli, facilmente cattu-

rabili da chi ci offre un’emozione nuova. Esattamente l’opposto del martirio che richiede il dono totale di sé senza riscon-tri, senza offrire soddisfazione immedia-ta, che chiede di perdere la propria vita per trovarla, che chiede di “essere odiati” dal mondo, perché non siamo del mondo. Ma, anche nel nostro contesto fortemen-te segnato dall’effimero, in una cultura fortemente relativistica, nell’uomo non è tramontata la ricerca di un assoluto su cui fondare la vita, la ricerca di un centro che unifichi e dia valore a tutte le espe-rienze della vita. Il martire è il testimone eloquente di che cosa vuol dire porre alla

base della propria vita l’assoluto di Dio. Pantaleone è un martire. La sua testimonianza fondamentale consiste nell’avere sacrificato la propria esistenza per professare Cristo e perciò nell’avere consi-derato la fede in Gesù come più importante della vita stessa. Egli testimonia che il mondo non è tutto; che c’è qualcosa, qualcuno oltre ciò che si vede, si tocca e si controlla; qualcosa, qualcuno che è degno di essere amato con tutto il cuore e con tutta l’anima e con tutte le for-

ze. Il martirio è l’espressione suprema della testimonianza cristiana, la forma più evi-dente e autentica della sequela di Gesù Cristo. Per il martire l’assoluto dell’uomo è Gesù Cristo. Da Lui prende contorno la vita, prendono contorno i criteri, i giudizi di comportamento. Il martire è discepolo di Gesù e per il di-scepolo il rapporto con Gesù è onnicom-prensivo, capace di assumere e di inter-pretare tutti gli aspetti dell’esistenza. Nessuno e niente rimane fuori: perché in Cristo si possiede tutto. Quello che sta a cuore al discepolo è di essere trovato in Gesù Cristo, in ogni pensiero, in ogni sentimento, in ogni azione. San Pantaleone ci ricorda che il rapporto fondamentale, costitutivo dell’uomo, è il rapporto con Gesù Cristo. Tutto deve essere interpretato e vissuto alla luce di questo rapporto.

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Omelia di S.Em. il Card. Franc Rodé per la festa di S. Pantaleone

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Chi pone come assoluto dalla sua vita Gesù, non può non guardare al mondo e all’uomo che con lo sguardo e l’atteggiamento di Gesù. In altre parole il discepolo vive la propria vita donandola per amore. «La disponibilità verso Dio apre alla di-sponibilità verso i fratelli e verso una vita intesa come compito solidale e gioioso – leggiamo nella lettera enciclica del Santo Padre Benedetto XVI, Caritas in veritate -. Al contrario, la chiusura ideologica a Dio e l'ateismo dell'indifferenza, che dimenti-cano il Creatore e rischiano di dimentica-re anche i valori umani, si presentano oggi tra i maggiori ostacoli allo sviluppo. L'umanesimo che esclude Dio è un umanesimo disumano. Solo un umanesimo aperto all'Assoluto può guidarci nella promozio-ne e realizzazione di forme di vita sociale e civile — nell'ambito delle strutture, delle istituzioni, della cultura, dell'ethos — salvaguardandoci dal rischio di cadere prigionieri delle mode del momento. È la consapevolezza dell'Amore indistrutti-bile di Dio che ci sostiene nel faticoso ed esaltante impegno per la giustizia, per lo sviluppo dei popoli, tra successi ed insuc-cessi, nell'incessante perseguimento di retti ordinamenti per le cose umane. L'amore di Dio ci chiama ad uscire da ciò che è limitato e non definitivo, ci dà il coraggio di operare e di proseguire nella ricerca del bene di tutti, anche se non si realizza immedia-tamente, anche se quello che riusciamo ad attuare, noi e le autorità politiche e gli operatori economici, è sempre meno di ciò a cui aneliamo. Dio ci dà la forza di lottare e di soffrire per amore del bene comune, perché Egli è il nostro Tutto, la nostra speranza più grande». I discepoli di Gesù, noi, siamo mandati in questo mondo come agnelli, ossia come uomini e donne deboli, pacifici e pacifi-catori. A noi è chiesto, oggi ancor più di prima, di seminare la pace, di porre gesti di solidarietà, di amore vero, di carità nella verità, come ci ha ricordato il Santo Padre Benedetto XVI. Questo non avvie-ne senza contrasti e opposizioni, questo non avviene senza martirio. Ai discepoli è riservata la stessa via del Maestro: i nemici sono dentro e fuori, appunto co-me fu per Gesù. Tuttavia, nessuno sarà

abbandonato: «Io sono con voi tutti i giorni fino alla fine del mondo». Ai di-scepoli basta essere come il Maestro, come è stato per San Pantaleone L’unica nostra forza è l’amore. È una “forza debole”. Debole perché non ha né armi, né arroganza; eppure è a tal punto forte da spostare i cuori degli uomini. C’è dunque un potere dato ai discepoli: quello di amare Dio e gli uomini ad ogni costo e sopra ogni cosa. C’è inoltre lo Spirito che parla a favore e a nome di chi porta l’annuncio della buona notizia su strade pericolose. Questo stesso Spirito ci insegna ad essere semplici, in modo da non rinunciare mai allo scopo e insieme prudenti nello scegliere la via migliore per raggiungerlo. Chiediamo al Signore che la nostra devo-zione a San Pantaleone ci stimoli a ravvi-vare la nostra fede e a intensificare la comunione ecclesiale, chiedendo che il sangue prezioso di questo martire, che custodite gelosamente in questa Chiesa, sia seme fecondo di numerose e sante vocazioni al sacerdozio e alla vita consa-crata; sia al tempo stesso un costante invito alle famiglie, fondate sul sacra-mento del matrimonio, ad essere per i figli esempio e scuola del vero amore e “santuario” del grande dono della vita. Infine, chiediamo anche al Signore che l’esempio di santità di San Pantaleone porti nel nostro cuore frutti di autentica vita cristiana: un amore che vinca la tie-pidezza, un entusiasmo che stimoli la speranza, un rispetto che dia accoglienza alla verità e una generosità che apra il cuore alle necessità dei più poveri del mondo. Per concludere prendo in prestito le pa-role di una delle vostre antiche preghie-re, San Pantaleone Martire, vogliamo crede-re, come tu hai creduto: pronti a profes-sare pubblicamente e senza arrossire la tua stessa fede. Vogliamo sperare, come tu hai sperato: senza timori e senza incertezze. Vogliamo amare, come tu hai amato: ardentemente e generosamente fino alla morte. Vogliamo glorificare Dio, come tu lo hai glorificato: con una vita fatta di opere sante e con la fedele osservanza delle promesse nel santo Battesimo. La Vergine Maria, Regina dei Martiri, ci

ottenga dal suo divin Figlio, questa grazia che ora con piena fiducia poniamo nelle sue mani di Madre. AMEN!

Card. Franc Rodé

CELEBRARE CON GIOIA Nel numero precedente del nostro gior-nale,Maria Carla Sorrentino ci ha voluto ricordare,a proposito del canto liturgi-co,”le regole precise per evitare il fai da te”.Legittime norme che nascono da anni di accesi dibattiti e che, alla luce dell’esperienza personale, ogni cantore deve tenere sempre presenti per meglio prestare il suo servizio nell’assemblea che si raduna per incontrare e celebrare il Signore. L’articolo offre molti spunti di riflessione per creare un vademecum destinato alle corali che animano la litur-gia. Occorre tuttavia fare alcune conside-razioni,per evitare che quelle legittime norme finiscano per essere strumentaliz-zate o interpretate a vantaggio di una visione superata della Liturgia. Tale vi-sione affonda le sue radici in una conce-zione teologica,pastorale,artistica e cul-turale incompleta che arroccata nelle mura della pericolosa” città del si è fatto sempre così”mortifica e svilisce la Litur-gia. Giustamente Maria Carla Sorrentino ribadisce che il canto è un servizio litur-gico e non deve diventare spettacolo. Benissimo!Ma il canto e la musica che lo accompagna prestano un servizio liturgi-co se trasformano la Veglia Pasquale in una veglia funebre?Si può pensare di ce-lebrare e di aiutare a celebrare il Mistero se con la musica,il canto,le parole,i gesti, i paramenti,le luci, i fiori etc. non tra-smettiamo quella gioia che ogni cristiano deve manifestare quando incontra il Si-gnore?E incontrare il Signore è una gioia che non possiamo trattenere,né ridimen-sionare per evitare di scandalizzare quan-ti sono rimasti legati ad una immagine troppo austera delle celebrazioni,vissute in una dimensione solitaria e intimistica tipica di un ritualismo che purtroppo continua ad esistere perché favorito an-che da guide compiacenti o distratte. Est modus in rebus. Non bisogna cadere nell’eccesso opposto,ma non dobbiamo dimenticare che “la Chiesa con la liturgia celebra l’evento che le ha dato origine”.E un evento si celebra con gioia. Di conse-guenza i gusti dei singoli operatori

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liturgici (organisti,direttori,cantori per quanto riguarda il nostro tema)non pos-sono e non devono condizionare le cele-brazioni liturgiche e devono attenersi a quelle regole che i primi responsabili delle comunità,Vescovi e parroci,hanno discusso,valutato e approvato. Coloro che operano nel campo dell’animazione liturgica devono essere competenti ma umili. Se i Vescovi approvano dei canti e ne permettono l’esecuzione,il direttore del coro,l’organista,i cantori devono avere l’umiltà di accettare la decisione e proporre tali testi anche nelle assemblee in cui prestano servi-zio,senza lasciarsi anda-re a considerazioni per-sonali che sono fuori luogo. Si abbia anche l’umiltà di confrontarsi con le altre realtà;si seguano le celebrazioni pontificie. Se nelle litur-gie presiedute dal Papa, l’organista dà la nota al celebrante per permet-tergli di cantare le ora-zioni,non vedo il moti-vo per cui l’organista della chiesa locale si rifiuti di fare la me-desima cosa .E il discorso vale per tanti altri momenti delle celebrazioni liturgi-che in cui il suono e il canto sono indi-spensabili per aiutare ad entrare e a vive-re il Mistero,al pari di quei momenti che devono essere caratterizzati dal silenzio. Un silenzio orante e non di pigrizia!E veniamo al canto gregoriano. Maria Car-la Sorrentino ci ricorda giustamente la definizione che di esso ha dato il Concilio e il posto che gli deve essere assegnato. Nihil novi sub sole! Nessuno mai,se non per pregiudizi,si sogna di contestare la bellezza e la dignità del canto gregoria-no,preziosissimo tesoro del nostro patri-monio di fede e di cultura. Ma bisogna saperlo cantare e all’occorrenza,anche se per sua natura deve essere eseguito a cappella,anche ben accompagnato dall’organo. Se un magnifico testo grego-riano viene eseguito male,è il disastro. Mi permetto pertanto di suggerire a quanti partecipano alle riunioni dei grup-pi dediti al canto di sollecitare a livello diocesano l’istituzione di un corso di canto gregoriano. Cantare il gregoriano è una scelta impegnativa che necessita di

una adeguata preparazione e di uno stu-dio fondamentale per ottenere una ese-cuzione dignitosa che rispetta e non of-fende i turisti che partecipano alle cele-brazioni. Occorre tuttavia precisare che i turisti rappresentano una minima parte delle nostre assemblee,quindi non asso-lutizziamo un discorso che per circa dieci anni nel nostro Duomo non ha portato alla acquisizione e alla esecuzione né del vasto repertorio gregoriano,né dell’altrettanto vasto repertorio di brani in italiano che la Chiesa Italiana ha appro-vato e che le altre parrocchie della Dio-

cesi invece eseguivano. Chi scrive,alla fine degli anni Ottanta e agli inizi degli anni Novanta ,grazie alla partecipazione a c onve gn i , i nc ontr i ,c a mpi sc uo-la ,celebrazioni liturgiche ha potuto spe-rimentare quanto Ravello,nella cono-scenza dei canti liturgici,fosse fanalino di coda nelle parrocchie della Diocesi. Og-gi,grazie a Dio,abbiamo tante possibilità per poter svolgere sempre meglio il no-stro ruolo. Evitiamo il rischio di eseguire sempre gli stessi canti,mettiamo da parte i pregiudizi personali sui tanti testi che,ripeto,la Chiesa italiana ha approva-to. Avviciniamo le persone,invitiamole. insistiamo perché diano il loro contributo musicale o canoro per rendere belle le celebrazioni liturgiche. Nello stesso tem-po impariamo a preparare l’incontro settimanale con il Signore,evitando l’improvvisazione e il “fai da te”.Solo attraverso la formazione ,potremo aiuta-re le assemblee a capire il ruolo centrale che la Liturgia ha nella vita della Chiesa.” Alla Liturgia” infatti” tende la cateche-si,dalla Liturgia trae origine la testimo-nianza e la Liturgia dà compimento all’evangelizzazione e anima il servizio di

carità”.Il tutto nella gioia che anche la musica e il canto devono saper esprimere e comunicare per non guastare la festa che la comunità prepara per incontrare il Signore.

Roberto Palumbo La musica e il canto durante le liturgie.

Un problema e una scelta Sul numero di Incontro del mese di lu-glio è stato già in parte presentato il tema della scelta dei canti per accompagnare le liturgie, sia quelle eucaristiche, sia quelle relativi ad altri momenti di preghiera e si è dimostrato come la scelta non sia da effettuarsi in base al gradimento persona-le o alla moda del momento ma come essa, invece, sia intimamente legata, al tipo di celebrazione, al tempo liturgico e al momento stesso dell’esecuzione non-ché al tipo di assemblea che partecipa alla celebrazione stessa. Si è, altresì, visto come la chiesa prediliga il canto gregoria-no per quell’universalità che lo caratte-rizza ed anche per la caratteristica di complementarità rispetto ai riti. Ed, infatti, il rischio più grande è proprio che la musica abbia il sopravvento sulla litur-gia distraendo l’assemblea piuttosto che rendendola partecipe della celebrazione. Continuando in questo senso, è opportu-no capire che anche il canto è sottoposto a delle regole, regole che la Chiesa ha nel corso del tempo affermato, sgomberando il campo da ogni possibile fraintendimen-to. Antecedentemente al Concilio Vati-cano II, che ha rappresentato anche per la liturgia un pietra miliare nel cammino di apertura verso la partecipazione più con-sapevole da parte dei laici alla liturgia, già nel 1903 il Sommo Pontefice Pio X promulga “le sollecitudini” sulla musica sacra, in cui si ripercorre l’importanza del canto e della musica, che viene consi-derata “parte integrante della solenne liturgia”, tanto che “ne partecipa il fine generale, che è la gloria di Dio e la santi-ficazione e edificazione dei fedeli”. Quin-di, prosegue il documento, la musica sacra condivide della liturgia i caratteri più importanti: la santità, la bontà delle forme e l’universalità; ed il canto grego-riano, canto proprio della Chiesa, incar-na queste caratteristiche.

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Page 12: Incontro Agosto 2009

Il Sommo Pontefice non tralasciava nep-pure di affrontare il tema della polifonia classica, che aveva espresso nei composi-tori del XVI secolo della Scuola Romana il massimo della perfezione, e che andava introdotta nelle liturgie a patto che non riproducesse temi teatrali e si avvicinasse quanto più possibile alle caratteristiche del gregoriano. Del 1955 è, invece, l’enciclica “Musicae Sacrae disciplina”, promulgata dal Sommo Pontefice Pio XII, che, ricordando i ten-tativi fatti nella regolarizzazione di questo campo dai suoi predecessori da Benedetto XIV, in preparazione dell’anno giubilare del 1750, a Leone XII, da Pio VIII fino alle sollecitudini di Pio XI, ribadisce il ruolo centrale del canto gregoriano, che non permette a nulla che sappia di profa-no di entrare tra le sue melodie. Pio XII chiede che “nelle celebrazioni liturgiche si faccia largo uso di tale canto”, ma l’elemento di novità che subentra e che prepara alle innovazioni del Vaticano II è costituito da due raccomandazioni che il Sommo Pontefice affida alla sua encicli-ca: i pastori e chiunque abbia cura delle anime devono spiegare le formule latine in “lingua volgare” “affinché i cantori ed il popolo cristiano capiscano bene il signifi-cato delle parole liturgiche legate alla melodia musicale”; l’altra raccomandazio-ne riguardava l’istituzione delle Scholae cantorum che siano “agli altri di esempio e di stimolo a coltivare e a seguire con diligenza il canto sacro” affinchè “già qui in terra il popolo cristiano incominci a cantare quel canto di lode che canterà eternamente nel cielo”. Il Concilio Vaticano II, poi, rimarca que-sta partecipazione dell’assemblea alla li-turgia anche attraverso il canto, tanto che viene sottolineata nuovamente la funzione della canto e della musica quali “segni … uniti all’azione liturgica”, ma viene anche proprio l’aspetto dell’assemblea a cui si fa riferimento riguardo all’”unanime parte-cipazione”. Tra i documenti più importanti successivi all’apertura del Vaticano II sicuramente importante risulta il chirografo del Som-mo Pontefice Giovanni Paolo II in occa-sione del centenario delle “Tra le solleci-tudini” di Pio X. Il Sommo Pontefice, riprendendo tutte le raccomandazioni fatte da San Pio X, sot-

tolineava che “ogni innovazione in questa delicata materia deve rispettare peculiari criteri, quali la ricerca di espressioni mu-sicali che rispondano al necessario coin-volgimento dell’assemblea nella celebra-zione e che al tempo stesso evitino qualsi-asi cedimento alla leggerezza e alla super-ficialità”. In questo senso va inteso quanto Giovanni Paolo II alla fine del suo documento rac-comanda a tutti e cioè che “i fedeli, per parte loro, esprimendo in modo armoni-co e solenne la propria fede col canto, ne sperimenteranno sempre più a fondo la r icchezza e si conformeranno nell’impegno di tradurne gli impulsi nei comportamenti della vita quotidiana”. Il canto, quindi, non solo viene da sempre considerato parte integrante della liturgia ma diventa mezzo efficace per rendere possibile l’incontro dei fedeli con il Mi-stero, con Dio, attraverso la perfezione armonica che deve essere allo stesso tem-po chiarezza melodica e semplicità di cuo-re. Per concludere, favorire la diffusione del canto liturgico anche nelle generazioni più giovani significa educare ad una parte-cipazione più attiva e consapevole del Mistero liturgico, non dimenticando mai che la formazione cristiana non può essere disgiunta dalla formazione musicale e questo vale per i piccoli e per i grandi.

Maria Carla Sorrentino

LA VITA DI S. PANTALEONE NARRATA DA

PETER VON STEINIZ

L’Editoriale Scientifica di Napoli ha accol-to nella sua collana dal titolo “La Memoria Storica”, diretta da Fulvio Tessitore, il romanzo del sacerdote tedesco Peter Von Steiniz, intitolato Pantaleone, il medico. L’opera, apparsa in lingua tedesca con il titolo Pantaleon der Artz nel 2004, viene consegnata ora ai lettori italiani grazie alla traduzione di Renato Ferraro. L’autore, nato nel 1940 in Perù, compie prima gli studi di Architettura e poi, nel 1980 – a 40 anni, dunque – intraprende studi di teologia a Roma e viene ordinato sacerdote quattro anni dopo da Giovanni Paolo II. Dal 1987 al 2008 è stato parroco della Basilica di San Pantaleone di Colonia. Ed è proprio in questo ambiente, nel quale

l’A. ha potuto quotidianamente speri-mentare la potente intercessione del mar-tire di Nicomedia, che nasce il romanzo, ai confini tra realtà e finzione letteraria. Infatti, già dalle prime pagine l’intento dell’A. vuole essere quello di “fissare la verità esposta nella leggenda (la letteratu-ra agiografica) e di completarla con ele-menti liberamente inventati ma coerenti con il contesto. È il caso, ad esempio, della schiava ger-manica Friedhild – a mio parere un perso-naggio collegato idealmente alla princi-pessa bizantina Teofano, promotrice del culto di Pantaleone a Colonia - che divie-ne l’”accompagnatrice della vicenda” o dei

vari amici del santo, con cui il giovane medico non disdegna di compiere anche qualche marachella. Quegli stessi amici, però, si ritroveranno alla fine del roman-zo ai piedi del martire decapitato per ren-dergli un ultimo onore. All’A. va pure il merito di aver ricostrui-to l’ambiente culturale delle province orientali dell’impero romano tra III e IV secolo, con i loro culti, le scuole filosofi-che, gli ibridismi di religioni stravaganti e dove però il Cristianesimo veniva ad af-fermarsi con molta insistenza. E ciò avvenne a causa della testimonianza dei martiri e di Pantaleone in particolare, il cui sacrificio ha giovato per la salvezza di molti.

Salvatore Amato

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