in dispArte - N.5 Gennaio 2016

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Magazine free di arte e cultura

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indisparte

free*gen2016

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EDITORIALE

Gennaio è tempo di buoni propositi. Noi ne abbiamo tanti in serbo, a partire da un aumento del numero di pagine per questa rivista gratuita. Passeremo da 32 a 48 e poi - speriamo piuttosto rapidamente - a 64, facendo dunque crescere del cento per cento ciò che solo qualche mese era semplicemente un’idea. Lo faremo al più presto, coinvolgendo il più possibile giovani aspiranti giornalisti o chiunque abbia vo-glia di dare un suo contributo per qualche spunto che possa incuriosire. Che riguardi Bergamo o altro, poco importa. Importa che ci sia voglia di esplora-re arte e cultura nel modo più libero e trasversale possibile. Senza condizionamenti, senza limitazioni, senza paure, senza interessi. Così da poter crescere insieme. Fino a dove, fino a quando, lo scopriremo.

SOMMARIOin disparte - Gennaio 2016

Magazine free di arte e culturaMensile - anno 2 - n. 1

Direzione: Cristian SonzogniHanno collaborato:Mario Rota, Veronica BasiricòRedazione: Via Madonna della Neve 3, BergamoStampa: Pixartprinting Srl - Quarto d’Altino (Ve)

e-mail: [email protected]

4 - Il Carnevale di Venezia

8 - Star Wars Amarcord

12 - Sulutumana: enciclopedia della musica

20 - Malevic, quel quadrato così facile...

24 - 27 gennaio: per non dimenticare

30 - Next: a Menton, Cinecittà coi limoni

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EVENTIEVENTIIN

DISPARTEARTISTI NEXT

QUELLE MASCHERECI SVELANO

Tempo di carnevale, tempo di maschere. Non quelle che ci mettiamo ogni giorno per piacere a qualcu-no o per adeguarci alle situazioni che troviamo

lungo il nostro percorso, bensì quelle che ci ricorda-no quanto la vita, in fondo, possa essere vista come un grande gioco. A meno di due ore da Bergamo c’è uno dei luoghi simbolo del carnevale nel mondo: Venezia. Ed è proprio a Venezia e alla sua festa che voglia-mo dedicare la copertina del numero di gennaio della nostra rivista. Una Venezia che potrebbe essere presa come simbolo dell’intero Belpaese: una bellezza con-tradditoria. O per dirla con le parole di Guccini: un imbroglio che riempie la testa soltanto di fatalità. Per una volta però, a carnevale, le maschere non sono un imbroglio ma un angolo di realtà. A voi il compito di capire quale sia la realtà migliore.

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IL CARNEVALE E LE SUE RADICIIl documento ufficiale che dichiara il Carnevale una festa pubblica è del 1296, quando il Senato della Repubblica dichiara festivo l’ultimo giorno della Quaresima. Ma il Carnevale ha tradizioni antiche che rimandano ai cul-ti ancestrali di passaggio dall’inverno alla primavera, culti presenti in quasi tutte le società, basti pensa-re ai Saturnalia latini o ai culti dionisiaci nei quali il motto era “Semel in anno licet insanire” (“Una volta all’anno è lecito non avere freni”). Ed è simile lo spirito che animava le oligarchie veneziane e le classi di-rigenti latine con la concessione e l’illusione ai ceti più umili di diventare, per un breve periodo dell’anno, simili ai potenti, concedendo loro di poter burlare pubblicamente i ricchi indossando una maschera sul volto. Una utile valvola di sfogo per tenere sotto controllo le tensioni sociali sull’esempio del “Panem et Circenses” latino. Se un tempo il Carnevale era molto più lungo e cominciava addirittura la prima domenica di ottobre per intensificarsi il giorno dopo l’Epifania e culminare nei giorni che precedevano la Quaresima, oggi il Carnevale ha la durata di circa dieci giorni in coincidenza del periodo pre-pasquale.

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GLI INGANNI DI VENEZIAUn tempo il Carnevale consentiva ai Veneziani di lasciar da parte le occupazioni per dedicarsi totalmente ai di-vertimenti, si costruivano palchi nei campi principali, lungo la Riva degli Schiavoni, in Piazzetta e in Piazza San Marco. La gente accorreva per ammirare le attrazioni, le più varie: i giocolieri, i saltimbanchi, gli ani-mali danzanti, gli acrobati; trombe, pifferi e tamburi venivano quasi consumati dall’uso, i venditori ambulanti vendevano frutta secca, castagne e fritòle (le frittelle) e dolci di ogni tipo, ben attenti a far notare la pro-venienza da Paesi lontani delle loro mercanzie. La città di Venezia, grande città commerciale, ha sempre avuto un legame privilegiato con l’Oriente in particolare cui non manca, in ogni edizione del Carnevale, un riferimen-to, un filo rosso che continua a legare la festa più nota della Serenissima al leggendario viaggio del veneziano Marco Polo verso la Cina alla corte di Qubilai Khan, dove visse per circa venticinque anni. Un filo rosso che si snoda lungo l’antica Via della Seta. Alcuni Carnevali sono passati alla storia: quello del 1571, in occasio-ne della grande battaglia delle forze cristiane a Lepanto, quando la domenica di Carnevale venne allestita una sfilata di carri allegorici. La Fede troneggiava col piede sopra un drago incatenato ed era seguita dalle Virtù teologali, la Vittoria sovrastava i vinti ed infine la Morte con la falce in mano a significare che in quella vit-toria anche lei aveva trionfato. Nel 1664 in occasione delle nozze in casa Cornaro a San Polo, si organizzò una grandiosa e divertente mascherata a cui parteciparono molti giovani patrizi. Una sfarzosa sfilata attraversò Ve-nezia e fece tappa in due dei più famosi monasteri della città, quello di San Lorenzo e quello di San Zaccaria, dove risiedevano le monache di nobile stirpe. Il 27 febbraio 1679 il Duca di Mantova sfilò con un seguito di in-diani, neri, turchi e tartari che, lungo il percorso, sfidarono e combatterono sei mostri, dopo averli uccisi si cominciò a danzare. Per il Carnevale del 1706, giovani patrizi si mascherarono da Persiani e attraversarono la città per poi esibirsi nelle corti e nei parlatoi dei principali monasteri di monache (San Zaccaria e San Loren-zo). Venezia divenne l’alta scuola europea del piacere e del gioco, della maschera e dell’irresponsabilità. Si fece grande virtuosa delle metamorfosi e il carnevale fu (ed è ancora) il suo exploit. Per molti giorni all’an-no, il mondo sembrava non opporre più resistenza, i desideri diventavano realizzabili e non c’era pensiero o atto che non fosse possibile. Questa era Venezia nel Settecento, il secolo che, più di ogni altro la rese luogo dalle infinite suggestioni e patrimonio della fantasia del mondo. Venezia era allora il mondo di Giacomo Casano-va, un mondo superficiale, festante, decorativo e galante, il mondo di pittori come Boucher e Fragonard, Longhi, Rosalba Carriera e Giambattista Tiepolo, la patria del padre della Commedia dei Caratteri, uno dei più grandi autori del teatro europeo e uno degli scrittori italiani più conosciuti all’estero. Si tratta di Carlo Goldoni che, in una poesia dedicata al Carnevale, così rappresenta lo spirito della festa: “Qui la moglie e là il mari-to / Ognuno va dove gli par / Ognun corre a qualche invito / chi a giocar chi a ballar”. Nel XIX secolo, invece, Venezia e il suo Carnevale incarnano il mito romantico internazionale e la città della Laguna, con le sue brume e l’aspetto paludoso, diventa meta di artisti, scrittori, musicisti, avventurieri e bellissime dame da tutto il mondo: Sissi d’Austria, Wagner, Byron, George Sand, Ugo Foscolo. Il Carnevale ha un momento di stasi dopo la ca-duta della Repubblica di Venezia perché malvisto dalla temporanea occupazione di austriaci e francesi. La tradi-zione si conserva nelle isole, Burano, Murano. Solo alla fine degli anni Settanta del XX secolo alcuni cittadini e associazioni civiche si impegnarono per farlo risorgere.

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“Un sogno fatto a Venezia ha questa particolarità: che ci risvegliamo nella

vita sognata da svegli.E quando lasciamo Venezia scopriamo che i

nostri orologi hanno problemi a tornare di nuovo al tempo reale”.

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STAR WARSAMARCORD

di Mario Rota

Vidi il primo episodio di Star Wars nel 1977, ero

in quinta elementare: papà e io andammo nella

sala vicino a casa nostra. Ero emozionatissi-

mo senza sapere il perché ma l’idea di quelle “guerre

stellari” (perché noi, nel ‘77, mica lo conosceva-

mo l’inglese) eccitava la mia fantasia come mai pri-

ma altro film. La fantascienza non era un genere così frequente in casa mia ma papà mi aveva sempre tenu-

to sveglio quando alla televisione davano le dirette

sulle missioni Apollo, quindi ero piccolo ma assoluta-

mente competente di tutto quello che si doveva sapere

sullo spazio ed i viaggi interstellari (...). Qualche

mio compagno di scuola maledettamente fortunato ci era

stato la settimana prima e aveva parlato in classe di

soldati bianchi, giganti pelosi, astronavi, di una

luna nera che sparava raggi capaci di far esplodere un

intero pianeta! E di un cavaliere nero grande grande,

con mantello e casco neri e di una spada di luce.

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Che rabbia! Ancora una settimana di attesa. Nel frat-

tempo passavamo tutti gli intervalli a spararci raggi

laser da dietro gli angoli dei corridoi facendo im-

pazzire le suore. Avevamo anche costruito delle spade

laser con i rotoli della carta igienica e il nastro

adesivo. A casa potevo contare sui bastoni da passeg-

gio di mio nonno che non avevo mai conosciuto perché

era morto poco dopo il suo rientro dalla prigionia in

Inghilterra. Mi ricordo di avere rotto il vetro di una

libreria e di aver rischiato di non andare al cinema

per punizione. Per fortuna anche mio padre voleva ve-

dere Star Wars (senza ammetterlo) e la pena era stata

commutata in un “niente TOPOLINO per due settimane!”.

Finalmente arriva il sabato, mio padre e io prendia-

mo il pullman e arriviamo al Cinema. Ci sediamo, dopo

poco si fa buio in sala e inizia la proiezione. Non

ricordo se c’erano pubblicità. Le prime scene con il

combattimento tra le astronavi sono state una vera

epifania. Che giganti! E poco dopo Dart Fener il cat-

tivo, con la spada di luce! E ancora il ragazzo e il

“mago spaziale” su un “pianeta di deserti”. Non c’era

mai stato niente di simile prima al cinema. Così lon-

tano da noi ma anche così vicino: il bene e il male,

il ragazzo fragile e forte insieme. Era così facile

immedesimarsi in Luke. La fantasia del bambino di 10

anni era stata toccata. Star Wars è stato e sarà sem-

pre ‘il’ film fantastico per eccellenza. Anche se ce ne sono stati di migliori, più belli, meglio girati,

con effetti speciali incredibili. Oggi quella sala, il

vecchio Cinema Rubini in via Paleocapa, non c’è più, e

io sono un po’ più vecchio di quanto lo fosse mio pa-

dre nel ‘77. Di film fantastici ce ne sono stati altri, nessuno di quella portata immaginifica per dei bambini di 10 anni. Ora, a vedere Star Wars siamo mio padre,

io e mia figlia. Tre generazioni. E forse, il bastone del nonno sarà ancora una volta una spada laser.

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“Non avevo assolutamente idea che il cammino sarebbe stato così lungo. Sono felice che sia andata così: Star Wars non è più solo una lotta del Bene e del Male. È una storia di persone che scelgono il loro sentiero, di amici e di mentori, di sogni perduti e tentazioni, di guerre e, alla fine, di redenzione”. (George Lucas)

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SULUTUMANA: L’ENCICLOPEDIA DELLA MUSICA D’AUTOREI Sulutumana sono una garanzia. Garanzia di emozioni, di musica gentile, di un concerto vissuto col cuore che vibra dal principio alla fine. Provengono da Canzo, all’imboccatura della Vallassina, nel Comasco, e da quindici

anni fanno musica d’autore. Una definizione spesso abusata, ma non nel loro caso. Giambattista Galli guida con la sua voce allo stesso tempo robusta e delicata un ensemble che sa mischiare i generi mantenendo una qualità spes-so inarrivabile per la musica pop italiana. Fin dai tempi de ‘La Danza’, cd di straordinaria qualità, passando per Decanter e per l’ultimo ‘Non c’è limite al meglio’, i ‘Sulu’ hanno raccolto ovunque in Lombardia, e pure oltre i confini della regione, un pubblico affezionato che li segue nel loro tour.

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E hanno raccolto le attenzione di molti nomi noti,

tra cui lo scrittore lariano Andrea Vitali, insie-

me al quale portano in giro spettacoli di musica e

reading. La musica dei Sulutumana è un intreccio di

strumenti e di generi sapientemente miscelati in un

misto di folk, pop e musica d’autore. Energici e

raffinati, colti e popolari, intensi e leggeri allo stesso tempo. Dal 2001 fino ad oggi hanno collezio-nato più di mille esibizioni dal vivo in Italia,

Svizzera e Germania. Possono ben essere definiti una piccola enciclopedia della musica d’autore, con

echi dei grandi del passato e al tempo stesso una

spiccata personalità.

IL SULU-PROGETTOIl progetto musicale dei Sulutumana nasce nel 1998

quando Gian Battista Galli e Michele Bosisio, fondato-

ri del gruppo, incontrano Francesco Andreotti e Nadir

Giori. Nascono così le prime canzoni originali a firma Sulutumana. Quella che fino ad allora era stata una co-ver band diventa una proposta nuova nel panorama

musicale italiano. Nel 2000 realizzano il primo de-

mo-cd, grazie al quale vincono il “Premio Tenco – Tar-

ga Imaie” come miglior gruppo inedito. Per l’occasione

si esibiranno sul palcoscenico del Teatro Ariston di

San Remo. Siamo all’inizio di un cammino entusiasmante

e di una carriera ricca di soddisfazioni. Dal 2007 Mi-

chele Bosisio non farà più parte dei Sulutumana. Oggi

il nucleo della band è costituito da Gian Battista,

Francesco e Nadir, che sono anche gli autori di testi

e musiche. A loro si aggiungono altri tre compagni di

palco e di musica, a completare la formazione.

- Sulutumana in concerto -Sabato 30 gennaio, ore 21.30 - Ingresso 10 euroin dispArte, via Madonna della Neve 3 - Bergamo

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DIMMI

Non voglio sapere che ne fai della tua vitaDimmi invece se qualcosa ancora ti fa venire i brividi

Non voglio sapere il tuo segno zodiacale

Dimmi se hai parlato mai faccia a faccia col dolore

Non voglio sapere se ci credi o no all’amoreDimmi invece se hai ballato nuda con la tua incoscienza

Non voglio sapere se la tua è una storia vera

Dimmi invece la tua guerra col coraggio e la paura

Dimmi se vedi bellezza quando apri o chiudi gli occhi se sai riconoscerlaDimmi se senti furore se sai essere alba e sole se sei pronta ad incendiare il cielo

Dimmi se cerchi bellezza anche quando tutto sembra… sembra soffocarti l’anima

Non voglio sapere quale vento ti ha portatoDimmi invece quanta voglia ancora hai di ridere

Non voglio sapere le vittorie e le sconfitte

Dimmi se hai la leggerezza di accettarti come sei

Non voglio sapere quante volte hai chiesto aiutoDimmi cosa hai fatto fino a qui per meritarti il mondo

Non voglio sapere il tuo nome o il tuo indirizzo

Dimmi invece se hai viaggiato fino a spingerti oltre i limiti

Dimmi se vedi bellezza quando apri o chiudi gli occhi se sai riconoscerlaDimmi se senti furore se sai essere alba e sole se sei pronta ad incendiare il cielo

Dimmi se cerchi bellezza anche quando tutto sembra… sembra soffocarti… dimmi

Dimmi se vedi bellezza quando apri o chiudi gli occhi se sai riconoscerlaDimmi se cerchi bellezza anche quando tutto sembra… sembra soffocarti l’anima

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SARÀ DI PIÙ

Non riesce ad evitare di stregarmila faccia curiosa di lei

che nervosami guarda dal vetro degli occhi

puntati, discreti su me

Dentro agli odori di un bar-ristorante,nei sorsi di festa da sabato sera

persanel corpo esausto

per le fatiche nobili,stanca

con ferri di treno nel corpoche baci

e che diciche ridi e che taci

e cheaccarezzi le miemani incapaci

d’essere musicadegna per te

E tra le onde di maredei tuoi capelli

lascerò andare a navigare le dita,come dispersi dentro al deserto d’Africa

ci prenderà la setee tutto quello che ci accadrà poi

non sarà più dolcezzasarà di più

e tutto quello che ci accadrà poinon sarà più dolcezza

sarà di più.

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I SULU E IL MINIMALISMO (da bielle.org)

Le canzoni dei Sulutumana non sono canzoni semplici: in un lungo colloquio avuto con Giambattista Galli (auto-re dei testi, cantante e fisarmonicista del gruppo) in occasione degli spettacoli al Piccolo Teatro, ci ha pre-cisato che quasi sempre il lavoro di composizione dei Sulu è collettivo e che non è mai detto cosa influenzi più una cosa dell’altra: a volte si parte da un testo scritto, altre da una musica, altre ancora solo da un’idea o da una suggestione, un clima, un’atmosfera. Ma di cosa parlano le canzoni dei Sulutumana? Molto spesso di luo-ghi, di luoghi concreti e comuni, di posti in genere collocati in Lombardia: che siano Milano o Canzo o Caslino d’Erba. Descrizione di ambienti sono evidenti nel “Pomeriggio” (“Pomeriggio adesso tace il tosaerba / ed è già partita la trivella della cava / e sono colpi che svuotano per sempre / anche la mosca è tornata puntuale, meno male, / qualche fastidio ogni tanto ci vuole”), ma anche ne “Il frigo” (“Una notte di febbraio / dentro al ven-tre di Milano / una luce sfida il buio / di un interno a pian terreno”), ma anche questa frase, che pure non ri-chiama immediatamente un luogo, è assolutamente descrittiva: “Dentro agli odori di un bar-ristorante, /nei sorsi di festa da sabato sera” (“Sarà di più”). Sembra di esserci in quel bar ristorante il sabato sera, così come sembra di essere su quei vagoni infami delle Ferrovie Nord che ti infilano nel corpo esausto “ferri di treni”. E che dire di questo magnifico quadro d’ambiente, venuto osservando il paese dal balcone di casa propria: “squilla una voce al telefono / verdure a fette cadono in pentola / acque salate bollono in pentola” (La can-zone preferita). Per finire anche questa frase de “L’eclissi” sembra riferirsi a un posto ben preciso: “Conosco un posto dentro ad un agosto di pioggia battente / dentro a un mare di dolore e sole che ti brucia il volto”). L’immaginario dei Sulu comprende quindi un buon numero di treni e di metropolitane, ma non solo. Non mancano i mezzi di trasporto via mare, come “La piccola veliera”, ma soprattutto il tema fisso è il volo. Che viene raccon-tato per esteso in “Marisa Puchenia” (“Sai domani alle nove sarò in cielo ma / non perché sarò già morto, non se dio vorrà / Mi hanno offerto di gettarmi con un paracadute / molto piccolo, ma molto utile”), viene ripreso nel “Volo di Carta” (“Venghino signori venghino, si vede l’uomo volante sul foglio gigante, che e’ un numero sensa-zionale!!!”). Ma non è finita: il tema del volo ritorna anche ne “L’aquilone” (“Sono disteso dipinto nel vuoto e sento la tua mano / tirare il filo e liberarmi nel vento”, ma anche “Da queste altezze ascolto mute conversazio-ni / da qui posso vedere la pioggia ritornare”) e peraltro affermano anche, come congiunzione tra i due mondi, che assieme a Ines “ho visto i pesci volare / correre insieme a te / nel profondo del mare”. Infine, se vogliamo, anche nella conclusiva “A testa in giù”, pur se così parca di parole, appare evidente che per essere finiti a te-sta in giù, almeno un poco bisogna essere stati in grado di volare. Tra le ricorrenze più costanti nei testi dei Sulutumana fa scalpore la carta. La parola carta, intesa non nel senso di carta da gioco, ma di foglio di carta, compare ben 13 volte, quasi alla pari con parole di uso molto più normale nelle canzoni (sole, vento e amore) che compaiono un uguale numero di volte: se poi si aggiunge che la parola “foglio” (di carta) compare una volta e quattro volte nella variante “fogli”. Se ci aggiungiamo le due volte della “matita” e gli innumerevoli colori citati (indaco, blu bulgaro, nero, giallo, rosso, arcobaleno, bianco, grigio, viola, oro, rosa, azzurro) fanno pensare a una propensione al disegno che, in realtà, la musica dei Sulutumana può sollecitare. Anche per i toni “pastello” di cui sono cariche molte canzoni. Significativa è anche l’antinomia “silenzio/musica”, termini, se si vuole antitetici, ma citati quasi lo stesso numero di volte, con un valore che va quasi a sommarsi: se non deve essere musica, sia almeno silenzio, Si taglino fuori i rumori quotidiani, i suoni “brutti”, il baccano dei pol-lai o gli echi di fiera. Musica o silenzio. E non dimentichiamo che “ci vuole un bel tacere per ascoltare tutto”.

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MALEVIC, QUEL QUADRATOCOSÌ FACILE...di Veronica Basiricò

L’arte non è estetica, non ha una finalità pratica. Ha un obiettivo, ma non quello di essere legata alla realtà. È una semplice raffigurazione di una

purezza geometrica assoluta. Lei è arte e, come tale, è libera. Questi i pilastri della nuova corrente arti-stica russa, il Suprematismo, fondata da Kazimir Ma-levič intorno al 1913 e resa manifesta nel 1915. Era nell’aria quella voglia pimpante di andare a distrug-gere l’aspetto classico dell’esistenza in tutti i suoi aspetti e riuscire a creare una nuova arte, un nuovo mondo, una nuova fonte di energia. La Galleria d’Arte Moderna e Contemporanea di Bergamo nel corso di questi mesi ci propone di osservare, attraverso gli occhi di un grande pittore ribelle, una Russia in cambiamento, piena di contraddizioni e di povertà. La mostra preve-de l’esposizione di cinquanta opere chiave di Malevič, ma anche opere di altri artisti russi contemporanei.

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La mostra vuole celebrare il centenario della nascita del Suprematismo, che ha segnato l’evoluzione dell’ar-te astratta così come la conosciamo oggi. Questa nuova corrente aveva come obiettivo quello di tradurre, di rielaborare e di interpretare le figure reali attra-verso le figure geometriche. L’opera che ne rappresenta a pieno il significato, Quadrato nero su fondo bianco (1915), è la massima rappresentazione di alcune for-me assolute, libere da ogni descrizione naturalisti-ca. In un contesto così povero e tradizionale come era quello in cui Malevič viveva, questa ha rappresentato una novità assoluta, la prima irruzione dell’astrat-tismo puro nella cultura russa. Tuttavia la Gamec non si concentra unicamente su questa fase artistica del pittore, ma analizza ed espone tutte le correnti che sono state protagoniste delle tavolozze di Malevič, dal Simbolismo con cui comincia a farsi conoscere, al Supranaturalismo, cioè la fusione tra Suprematismo e

Naturalismo. Il percorso inizia con uno spazio dedica-to agli esordi simbolisti, che vedono un giovane Ma-levič spostarsi dalla città natale Kiev verso Mosca, centro della avanguardie artistiche dell’inizio del ventesimo secolo. La sua voglia di ribellione e di co-municare con altri artisti del suo stampo anticonven-zionale lo porta a unirsi a gruppi di artisti, dentro i quali conoscerà anche Kandinskij. Non solo comincia a formarsi una nuova idea di arte, che si abbando-na all’interpretazione degli artisti stessi e non più all’ossessiva riproduzione verosimile della realtà, ma si arriva a sperimentare nuove metodologie, a nuo-vi strumenti e nuovi modi di riempire la tela. Girando per le sale della Gamec, si passa a una nuova corren-te, il Cubofuturismo, l’unione di due macro ideologie: il Futurismo, esaltatore del movimento, del tempo, del rumore, rappresenta più tempi in unico spazio, al fine di far percepire all’osservatore il movimento.

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Il Cubismo, fautore della rappresentazione di più spazi nella stessa dimensione, utilizza per la prima volta i concetti di scomposizione e sovrapposizione. Ma come si inserisce in questo nuovo scenario Malevič? Cosa e come tenta di comunicare con le persone? L’e-sempio più emblematico è Composizione con la Gioconda (1914): l’opera vede un piccolo ritaglio della Monna-lisa strappato da qualche giornale, inserito all’in-terno di altre piccole figure e segni. Il ritaglio ha una croce rossa sopra, come a voler cancellare uno dei simboli dell’arte tradizionale. Sotto il ritaglio compare una scritta in russo che recita “appartamento in affitto”, incorniciando l’esigenza di cambiamento, di nuovi inquilini, portatori di un nuovo linguaggi. La scelta è riconducibile a un fatto di cronaca risa-lente al 1911, in cui la donna di Leonardo da Vinci era stata rubata. Questa notizia talmente scandalosa aveva fatto il giro del mondo in così poco tempo che

chiunque ne poteva conoscere la storia. Utilizzare un soggetto così celebre significava puntare su un pubbli-co eterogeneo, con un linguaggio semplice, che potesse arrivare a chiunque. Il percorso della Galleria guida lo spettatore attraverso le diverse sfaccettature che hanno caratterizzato il pensiero artistico del pit-tore nel corso del tempo. Un tuffo nei colori e nel-le forme, come accade nel dipinto Testa di contadino (1928-1929), opera che ha colorato le vie di Bergamo negli ultimi mesi, non a caso copertina della mostra. Il viaggio finisce con il suo Autoritratto (1933): in quest’opera troviamo Malevič diverso da tutte le opere astratte che hanno caratterizzato le sale preceden-ti. Un’espressione fiera e un viso soddisfatto: indossa abiti estranei alla sua epoca, più riconducibili a una moda rinascimentale, quasi autocelebrandosi come sco-pritore di un nuovo mondo, di una nuova arte, firmando-si sempre con il suo quadrato nero su fondo bianco.

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PER NON DIMENTICARE

A 70 anni dalla liberazione del campo di concentra-mento di Auschwitz-Birkenau, il Comune di Bergamo ricorda la tragedia dell’Olocausto: il 27 genna-

io si celebra in città - come nel resto del mondo - il “Giorno della Memoria”, istituito nel nostro Paese nel luglio 2000, cinque anni prima della risoluzione Onu, «al fine di ricordare la Shoah, le leggi razziali, la persecuzione italiana dei cittadini ebrei, gli italia-ni che hanno subìto la deportazione, la prigionia, la morte, nonché coloro che, anche in campi e schieramen-ti diversi, si sono opposti al progetto di sterminio, ed a rischio della propria vita hanno salvato altre vite e protetto i perseguitati». Anche se passarono alcuni mesi per vedere la fine del sistema nazista, la comunità internazionale ha assunto quella data come simbolo della fine delle persecuzioni nazi-fasciste in Europa, dedicando ogni anno la giornata del 27 gennaio al ricordo delle vittime dell’Olocausto.

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XV GIORNO DELLA MEMORIA27 gennaio 201570esimo anniversario della liberazione del campo di Auschwitz – Birkenau

Con la legge 211 del 20 luglio 2000, la Repubblica Italiana ha proclamatoil 27 gennaio “Giorno della Memoria” «al fine di ricordare la Shoah, leleggi razziali, la persecuzione italiana dei cittadini ebrei, gli italiani chehanno subìto la deportazione, la prigionia, la morte, nonché coloro che,anche in campi e schieramenti diversi, si sono opposti al progetto disterminio, ed a rischio della propria vita hanno salvato altre vite eprotetto i perseguitati».

Il 27 gennaio 1945 i soldati dell’esercito sovietico entrarono nel campodi sterminio di Auschwitz-Birkenau: anche se dovettero passare alcunimesi per vedere la fine del sistema concentrazionario nazista, la comunitàinternazionale ha assunto quella data come simbolo della fine dellepersecuzioni nazi-fasciste in Europa, dedicando ogni anno la giornata del27 gennaio al ricordo delle vittime dell’Olocausto.

INIZIATIVE ISTITUZIONALIMartedì 27 gennaioore 10.00Parco delle Rimembranze - Rocca | Bergamo, Piazzale Brigata Legnano

Deposizione di corone d’alloro alla lapide nel Parco delle Rimembranze,in ricordo degli ebrei bergamaschi deportati nei campi di sterminio.Omaggio alla lapide dedicata alle ceneri dei deportati dei Lager postapresso la chiesetta di S. Eufemia.

ore 11.00Stazione Ferroviaria, binario 1 | Bergamo, Piazzale Marconi

Deposizione di una corona d’alloro alla lapide in memoria dei lavoratoridelle fabbriche di Sesto San Giovanni deportati nei campi diconcentramento.

ore 11.30Giardino di Palazzo Frizzoni | Bergamo, Piazza Matteotti

Momento di raccoglimento in memoria dei 20 bambini ebrei uccisi nelcampo di Neuengamme.

INIZIATIVE CULTURALIVenerdì 23 gennaioore 12.00Ex-Ateneo | Bergamo, Piazza Padre Reginaldo Giuliani

Inaugurazione de IL RITORNOmostra a cura di Isrec BergamoFotografie, documenti, parole per meditare il ritorno dei sopravvissutidai Lager. Una mostra documentaria che non pretende all'esaustività delracconto storiografico, ma offre al visitatore spunti, piste, indicazioni di

riflessione, pensiero, ricerca e diventa luogo di incontro e dibattito.

Orari di aperturaDa sabato 24 gennaio a domenica 15 febbraioTutti i sabati e le domeniche ingresso libero dalle ore 11.00 alle ore 19.00Possibilità di visitare la mostra fuori dagli orari di apertura suprenotazione, telefonando al n. 035.238849.

Per le scuolePer le scuole possibilità di prenotare visite guidate e laboratori, delladurata di 1h e 30 min., telefonando al n. 035.238849 o scrivendo [email protected]. Costo e orario da concordarsi direttamente con gliinsegnanti interessati.

Incontri nell’ambito della mostraEx-Ateneo | Bergamo, Piazza Padre Reginaldo Giuliani

Martedì 27 gennaioore 18.30La mostra ospita il Tavolo permanente contro l'omofobia del Comune diBergamoTRIANGOLI NERI E NON SOLO. R/ESISTENZE E INTERNAMENTI LESBICI DURANTE I NAZIFASCISMIEUROPEIRelazione di Paola Guazzo, studiosa del movimento lesbico e dellaresistenza delle lesbiche al nazifascismo.Dialogano con la studiosa: Maria Carolina Marchesi, Assessore allaCoesione sociale, coordinatrice del Tavolo Permanente control'omofobia; Luciana Bramati, Vicepresidente Isrec e responsabile delrapporto con le scuole; Elisa Pievani, collaboratrice Isrec e curatricedell’allestimento della mostra.

Venerdì 30 gennaioore 20.45La mostra ospita il Consiglio delle Donne del Comune di BergamoLE DONNE RACCONTANO LA SHOAHUna riflessione sulle prime voci che hanno raccontato Auschwitz precedeil racconto cinematografico di una regista bergamasca sulle tracce dellabisnonna perseguitata dalle legge razziali (Quella cosa incredibile da farsidi Chiara Cremaschi).Intervengono: Emilia Magni, Consiglio delle Donne; Elisabetta Ruffini,Luciana Bramati ed Elisa Pievani, Isrec Bergamo.

Martedì 3 febbraioore 17.00L’IMMAGINE DEL TESTIMONE NELLO SPAZIO PUBBLICOa cura di Isrec BergamoInsieme per riflettere sull'evoluzione del panorama memoriale che ha

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SE COM-PREN-DERE è IMPOS-SIBILE,CONO-SCERE è NECES-SARIO (Primo Levi)Limpacciato Charlie Brown, la scorbutica

PRIMO LEVI - SE QUESTO È UN UOMO

Voi che vivete sicuriNelle vostre tiepide case,

voi che trovate tornando a seraIl cibo caldo e visi amici:

Considerate se questo è un uomoChe lavora nel fangoChe non conosce pace

Che lotta per un pezzo di paneChe muore per un sì o per un no.

Considerate se questa è una donna,Senza capelli e senza nome

Senza più forza di ricordareVuoti gli occhi e freddo il grembo

Come una rana d’inverno.

Meditate che questo è stato:Vi comando queste parole.

Scolpitele nel vostro cuoreStando in casa andando per via,

Coricandovi alzandovi;

Ripetetele ai vostri figli.O vi si sfaccia la casa,La malattia vi impedisca,

I vostri nati torcano il viso da voi.

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dato visibilità ai deportati e ai loro racconti.Intervengono: Daniele Giglioli, docente all’Università degli Studi diBergamo e autore di Critica della vittima. Un esperimento con l'etica(edizioni Nottetempo, 2014); Elisabetta Ruffini e Dario Carta, curatoridi Il ritorno (Il filo di Arianna, 2016), lavoro editoriale da cui nasce lamostra.

Mercoledì 11 febbraioore 17.00IL RITORNO: UN’ESPERIENZA DOLOROSAa cura di Isrec BergamoElisabetta Ruffini: Il ritorno tra sogno e realtàAngelo Bendotti: Laura Levi, la sua famiglia e BergamoPaola Guazzo: L’eterno ritorno. Fra trauma e memoria negata: vite dilesbiche e gay dentro e fuori i campiLetture a cura di Rosanna Sfragara

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Sabato 24, Lunedì 26, Martedì 27, Giovedì 29, Sabato 31 gennaioAule Didattiche del Convento di San FrancescoBergamo, Piazza Mercato del Fieno 6/a

MATERIALI PER LA GIORNATA DELLA MEMORIAa cura di Fondazione Bergamo nella StoriaPercorsi didatticiI percorsi, dal titolo Materiali per la giornata della memoria, hannol’intenzione di far lavorare i ragazzi su documenti dell’epoca (manifesti,cartoline, canzoni…) per approfondire i temi legati allo sterminio e allapersecuzione del popolo ebraico, alle leggi razziali, alle deportazioni dimilitari e politici italiani nei campi nazisti. Materiali specifici indagano lapresenza ebraica a Bergamo e in provincia.

Prenotazione obbligatoria sino ad esaurimento posti e secondo orarioda concordarsi: Fondazione Bergamo nella Storia, tel. 035.247116, [email protected].

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Martedì 27 gennaioore 17.00Biblioteca Civica Angelo Mai - Atrio scamozzianoBergamo, Piazza Vecchia 15

«SE COMPRENDERE È IMPOSSIBILE, CONOSCERE ÈNECESSARIO» (Primo Levi) Letture sulla Shoah nel Giorno della Memoriaa cura di Biblioteca Civica Angelo MaiNel settantesimo anno dalla fine della dittatura nazifascista sull’Europa,la Biblioteca Mai celebra il Giorno della Memoria proponendo la letturadi brani letterari sulla Shoah. La scrittura diventa voce e musica: Aide

Bosio, voce recitante; Michele Guadalupi, liuto; Guido Tacchini, flautodolce.

Ingresso libero_________________________________________________

Martedì 27 gennaioore 21.00Auditorium di Piazza della Libertà | Bergamo, Via Norberto Duzioni 2

Proiezione di L’UOMO PER BENE. LE LETTERE SEGRETE DIHEINRICH HIMMLERdi Vanessa Lapa - Austria, Israele 2014, 94'a cura di Lab 80 filmLa ricostruzione della vita del leader nazista, capo delle SS, HeinrichHimmler, attraverso le lettere, recentemente rinvenute, scritte alla figliaGudrun. Alle missive, scritte dal militare mentre era fuori casa perquestioni legate al partito, si accompagnano foto e spezzoni di filmatiinediti, che ritraggono Himmler insieme ad altri esponenti nazisti.

Ingresso libero_________________________________________________

Mercoledì 28 gennaioore 20.30Auditorium di Piazza della Libertà | Bergamo, Via Norberto Duzioni 2

INCONTRO TESTIMONIANZAcon Marcello Pezzetti, Direttore del Museo della Shoah di Roma,Tatiana e Andra Bucci, deportate ad Auschwitz rispettivamente all’etàdi 4 e 6 anni.a cura di ACLI BergamoPrenotazione obbligatoria telefonando al n. 035.210284 o scrivendo [email protected] 3.00 euro.Obbligo di ritiro biglietti entro venerdì 23 gennaio ore 9.30-12.30, dalunedì a venerdì presso la Sede Provinciale delle Acli di Bergamo via S.Bernardino 59.

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Giovedì 29 gennaioore 10.00Teatro Donizetti | Bergamo, Piazza Cavour 15

INCONTRO TESTIMONIANZAcon Marcello Pezzetti, Direttore del Museo della Shoah di Roma,Tatiana e Andra Bucci, deportate ad Auschwitz rispettivamente all’etàdi 4 e 6 anni.

Ingresso riservato alle scuole che abbiano fatto richiesta presso gli ufficidel Teatro Donizetti.

Per informazioni: www.comune.bergamo.it | Tel. 035 399 014/025

Biblioteca Civica Angelo Maie Archivi storici comunali

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MEMORIELa nostra voce, e quella dei nostri figli, devono servire a non dimenticare e a non accettare con indifferenza e rassegnazione, le rinnovate stragi di innocenti. Bisogna sollevare quel manto di indifferenza che copre il dolo-re dei martiri! Il mio impegno in questo senso è un dovere verso i miei genitori, mio nonno, e tutti i miei zii. E’ un dovere verso i milioni di ebrei ‘passati per il camino ‘, gli zingari, figli di mille patrie e di nessu-na, i Testimoni di Geova, gli omosessuali e verso i mille e mille fiori violentati, calpestati e immolati al ven-to dell’assurdo; è un dovere verso tutte quelle stelle dell’universo che il male del mondo ha voluto spegnere… I giovani liberi devono sapere, dobbiamo aiutarli a capire che tutto ciò che è stato storia, è la storia oggi, si sta paurosamente ripetendo. (Elisa Springer, Il Silenzio dei Vivi)

È davvero meraviglioso che io non abbia lasciato perdere tutti i miei ideali perché sembrano assurdi e impossi-bili da realizzare. Eppure me li tengo stretti perché, malgrado tutto, credo ancora che la gente sia veramente buona di cuore. Mi è impossibile costruire tutto sulla base della morte, della miseria, della confusione. Vedo il mondo mutarsi lentamente in un deserto, odo sempre più forte l’avvicinarsi del rombo che ci ucciderà, partecipo al dolore di migliaia di uomini, eppure quando guardo il cielo, penso che tutto si volgerà nuovamente al bene, che anche questa spietata durezza cesserà, che ritorneranno la pace e la serenità. (Il diario di Anna Frank)

Ciò che più colpiva le menti di quegli uomini che si erano trasformati in assassini, era semplicemente l’idea di essere elementi di un processo grandioso, unico nella storia del mondo (“un compito grande, che si presenta una volta ogni duemila anni”) e perciò gravoso. Questo era molto importante perché essi non erano sadici o assassini per natura; anzi, i nazisti si sforzarono sempre, sistematicamente, di mettere da parte tutti coloro che provava-no un godimento fisico nell’uccidere. (…). Perciò il problema era quello di soffocare non tanto la voce della loro coscienza, quanto la pietà istintiva, animale, che ogni individuo normale prova di fronte alla sofferenza fisica degli altri. Il trucco usato da Himmler (che a quanto pare era lui stesso vittima di queste reazioni istintive) era molto semplice e molto efficace: consisteva nel deviare questi istinti, per così dire, verso l’io. E così, invece di pensare: ‘che cose orribili faccio al prossimo’, gli assassini pensavano ‘che orribili cose devo vedere nell’adempimento dei miei doveri, che compito terribile grava sulle mie spalle’.

(Hannah Arendt, La banalità del male)

Mai dimenticherò quella notte, la prima notte nel campo, che ha fatto della mia vita una lunga notte e per set-te volte sprangata. Mai dimenticherò quel fumo. Mai dimenticherò i piccoli volti dei bambini di cui avevo visto i corpi trasformarsi in volute di fumo sotto un cielo muto. Mai dimenticherò quelle fiamme che bruciarono per sempre la mia Fede. Mai dimenticherò quel silenzio notturno che mi ha tolto per l’eternità il desiderio di vivere. Mai dimenticherò quegli istanti che assassinarono il mio Dio e la mia anima, e i miei sogni, che presero il volto del deserto. Mai dimenticherò tutto ciò, anche se fossi condannato a vivere quanto Dio stesso. Mai.

(Elie Wiesel, La notte)

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Va in scena a Menton, da metà febbraio, l’edizione numero 83 della ‘Fête du Citron’, la festa dei limoni. Dal 13 febbraio al 2 marzo 2016, la città francese al confine con l’Italia ospiterà l’evento intitolato ‘In viaggio verso Cinecittà!’. Dopo tre anni dedicati a Giulio Verne, dal Giro del mondo in 80 giorni alle Tri-

bolazioni di un “limone” in Cina, passando per 20.000 leghe sotto i mari, la festa chiude il libro della fanta-sia, ma non quello dello straordinario, poiché il tema scelto per l’edizione 2016 è proprio Cinecittà, ovvero il sogno e la nostalgia del cinema italiano degli anni ’50 e ’60, di quella “belle époque” che, grazie al talento inconfondibile dei vari Visconti, Fellini e Leone, ha marcato numerose generazioni di appassionati di cinema e ancor oggi continua ad affascinare. Cinecittà a Mentone rappresenta quindi un tema leggero e il simbolo di tut-ta un’epoca che aveva il senso del rocambolesco, ma anche e soprattutto del realismo, dell’arte di apprezzare le cose della vita sotto tutte le loro sfumature. C’è da prepararsi quindi a un nuovo viaggio tra i monumenti, i motivi e le rappresentazioni del cinema italiano realizzati con arance e limoni.

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MENTON: CINECITTÀ COI LIMONI

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