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Le intelligenze multiple e il loro potenziamento per fini educativi ENTE ACCREDITATO DAL MINISTERO DELL’ISTRUZIONE, DELL’UNIVERSITÀ E DELLA RICERCA PER LA FORMAZIONE DEL PERSONALE DELLA SCUOLA IN COLLABORAZIONE CON Rev. 4.1 del 04/01/2016

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Le intelligenze multiple e il loro potenziamento per fini educativi 1

Le intelligenze multiple e il loro potenziamento per fini educativi

ENTE ACCREDITATO DAL MINISTERO DELL’ISTRUZIONE, DELL’UNIVERSITÀE DELLA RICERCA PER LA FORMAZIONE DEL PERSONALE DELLA SCUOLA

IN COLLABORAZIONE CON

Rev. 4.1 del 04/01/2016

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Sommario

Le intelligenze multiple e il loro potenziamento per fini educativi...........................................................................4

1.1 L’intelligenza umana e la sua evoluzione ...............................................................................................4

1.2 Apporto cognitivo allo studio dell’intelligenza........................................................................................9

1.3 L’intelligenza artificiale........................................................................................................................20

1.4 Potenziare le intelligenze prevalenti......................................................................................................21

1.5 Competenza cognitiva ........................................................................................................................25

1.6 L’apprendimento come processo attivo, ma con quale curricolo?..........................................................35

1.7 Progettare per intelligenze prevalenti...................................................................................................36

1.8 Strategie metodologiche utili e innovative.............................................................................................40

1.9 Esperienze condivise: dall’idea al progetto............................................................................................43

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Le intelligenze multiple e il loro potenziamento per fini educativi

1.1 L’intelligenza umana e la sua evoluzioneIl cervello umano è da sempre una sfida per la scienza. Con approcci e strumenti diversi, psicologi, filosofi, biologi e neuroscienziati cercano da secoli di svelarne i segreti inesplorati. Sorge spontanea una domanda: “L’intelligenza e la coscienza possono essere spiegati in termini corporei?” Oppure fenomeni di natura differenziata, sono risposta di un “disegno intelligente” a noi inaccessibile? In sostanza c’è la mano del divino nella nostra capacità cognitiva che ci differenzia da altre forme di vita?

Una ricerca pubblicata nel The Journal of Neuroscience dimostra che all’interno della nostra corteccia cerebrale ci sono almeno due reti funzionali che sono del tutto assenti nel Macaco Rhesus (o Macaca mulatta), un primate della famiglia dei Cercopitecidi già noto alla comunità scientifica in quanto sembra essere l’unica specie avente una sorta di consapevolezza di sé.

La consapevolezza di sé riguarda il conoscersi, se lo intendiamo in termini umani, e implica la consapevolezza dei nostri punti di forza e di debolezza, la nostra capacità di agire e reagire alle situazioni, il nostro grado di soddisfazione e preferenze, i nostri desideri espressi o taciuti, i nostri bisogni e le nostre emozioni.

Viene utile in tal senso, ricordare che ogni uomo quindi, sia dotato delle life skills. Ma, cosa sono? Diamone una risposta esaustiva e breve.

Il termine di Life Skills viene generalmente riferito ad una gamma di abilità cognitive, emotive e relazionali di base, che consentono alle persone di operare con competenza sia sul piano individuale che su quello sociale. In altre parole, sono abilità e capacità che ci permettono di acquisire un comportamento versatile e positivo, grazie al quale possiamo affrontare efficacemente le richieste e le sfide della vita quotidiana.

“Le Life Skills sono le competenze che portano a comportamenti positivi e di adattamento che rendono l’individuo capace (enable) di far fronte efficacemente alle richieste e alle sfide della vita di tutti i giorni. Descritte in questo modo, le competenze che possono rientrare tra le Life Skills sono innumerevoli e la natura e la definizione delle Life Skills si possono differenziare in base alla cultura e al contesto. In ogni caso, analizzando il campo di studio delle Life Skills emerge l’esistenza di un nucleo fondamentale di abilità che sono alla base delle iniziative di promozione della salute e benessere di bambini e adolescenti.”

Il nucleo fondamentale delle Life Skills identificato dall’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità) è costituito da 10 competenze:

1. Consapevolezza di sé

2. Gestione delle emozioni

3. Gestione dello stress

4. Empatia

5. Creatività

6. Senso critico

7. Prendere buone decisioni

8. Risolvere problemi

9. Comunicazione efficace

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10. Relazioni efficaci

Tali competenze possono essere raggruppate secondo 3 aree:

EMOTIVE - consapevolezza di sè, gestione delle emozioni, gestione dello stress

RELAZIONALI - empatia, comunicazione efficace, relazioni efficaci

COGNITIVE - risolvere i problemi, prendere decisioni, senso critico, creatività.

“Le Life Skills, così come noi le intendiamo, possono essere insegnate ai giovani come abilità che si acquisiscono attraverso l’apprendimento e l’allenamento”.

Inevitabilmente, i fattori culturali e sociali determineranno l’esatta natura delle Life Skills. Per esempio, in alcune società, il contatto visivo potrà essere incoraggiato nei ragazzi per una comunicazione efficace, ma non per le ragazze.

Le Life Skills rendono la persona capace di trasformare le conoscenze, gli atteggiamenti ed i valori in reali capacità, cioè sapere cosa fare e come farlo. Acquisire e applicare in modo efficace le Life Skills può influenzare il modo in cui ci sentiamo rispetto a noi stessi e agli altri ed il modo in cui noi siamo percepiti dagli altri.

Le Life Skills contribuiscono alla nostra percezione di autoefficacia, autostima e fiducia in noi stessi, quindi, giocano un ruolo importante nella promozione del benessere mentale. La promozione del benessere mentale incrementa la nostra motivazione a prenderci cura di noi stessi e degli altri, alla prevenzione del disagio mentale e dei problemi comportamentali e di salute.”

Ma davvero vale solo per l’essere umano?

L’articolo con il quale ho esordito, dimostra che queste reti neuronali si sono formate durante l’evoluzione, forse anche grazie alla loro presenza in qualche antenato comune, e che sono un tratto distintivo della nostra specie. Ma, possono spiegare l’origine dell’intelligenza? Ovvero della sua genesi?

“È corretto dire che le reti neurali spiegano l’origine dell’intelligenza? Benché di fronte a zone cerebrali uniche, peculiari alla nostra specie, si sia tentati di cedere al fascino di una spiegazione riduzionista dell’intelligenza, gli studiosi hanno ottenuto un risultato più “debole” in termini epistemologici. Sostengono, semplicemente, che l’esistenza di queste regioni cerebrali potrebbe essere connessa con l’insieme delle funzioni complesse di cui siamo dotati”.

Possiamo senza dubbio concludere che questa scoperta non prova in modo incontrovertibile una connessione di causa-effetto tra l’intelligenza umana e i meccanismi biologici dell’evoluzione; tuttavia, contribuisce a rendere più fumose e insoddisfacenti le spiegazioni che chiamano in causa la trascendenza o il disegno intelligente.

È stato tuttavia fatto un passo avanti: auspichiamo di poter un giorno superare i limiti delle scienze e delle tecniche a nostra disposizione per violare l’inviolabile, il segreto dell’origine dell’intelligenza e della coscienza.

Un articolo presentato su Repubblica a firma di Sara Ficocelli, ci permette di riflettere sul paradosso della evoluzione umana e sull’intelligenza di un mammifero superiore, ovvero dell’uomo. In sostanza…..”Siamo meno intelligenti di 2000 anni fa, l’evoluzione in questo caso ha giocato a nostro sfavore: il nostro cervello, secondo le teorie di Darwin e i principi della genetica, negli ultimi due millenni si è evoluto di pari passo con il nostro stile di vita, ma ‘cambiamento’ non sempre è stato sinonimo di miglioramento e quindi di evoluzione. Il rapporto tra progresso tecnologico ed evoluzione neurologica - secondo Gerald Crabtree, un genetista dell’università di Stanford - ha fatto impigrire le abilità cognitive mano a mano che la vita è diventata più comoda. In poche parole, rendendoci più stupidi”.

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La tesi, pubblicata su Trends in Genetics, affonda le radici nella madre delle teorie evoluzionistiche, quella della selezione naturale, partendo dal presupposto, semplicissimo, secondo cui un tempo l’essere umano pagava duramente, spesso con la vita, il prezzo della propria stupidità, perché bastava un errore qualsiasi, una distrazione banale, per perdere un’opportunità di sopravvivenza.

Afferma ancora Sara Ficocelli “La selezione naturale a favore dei soggetti più astuti avveniva dunque in maniera spietata e istantanea, salvo sporadici colpi di fortuna. Oggi, proprio grazie al progresso, tutti abbiamo non una, non due, ma infinite possibilità di sopravvivenza, salvo sporadici colpi di sfortuna. Ma quello che in termini strettamente vitali rappresenta un vantaggio, a livello evoluzionistico si traduce in un progressivo passo indietro, perché elimina quasi del tutto qualunque tipo di selezione naturale a favore dei soggetti più scaltri”.

“Un tempo, se un cacciatore/raccoglitore non riusciva a risolvere il problema di come trovare il cibo, moriva e con lui tutta la sua progenie - spiega Crabtree - mentre oggi un manager di Wall Street che fa un errore riceve un cospicuo bonus e diventa un maschio più attrattivo. Il cedrone della situazione. La selezione naturale non è più così estrema”.

Gli ultimi studi sull’argomento, continua il genetista, hanno individuato dai due ai 5000 geni legati all’intelligenza, rilevando che ogni generazione porta con sé due o tre mutazioni. In assenza di selezione, gli ultimi 3000 anni sono stati dunque un arco di tempo sufficiente per ‘inquinare’ il Dna umano nel giro di 120 generazioni: “In rapporto al nostro antenato di qualche migliaio di anni fa, la nostra intelligenza è

sicuramente più debole - precisa Crabtree - per fortuna la società è abbastanza forte da contrastare l’effetto”.

L’umanità, stando al report del genetista, avrebbe dunque già vissuto il suo momento di gloria e, almeno da un punto di vista evoluzionistico, sarebbe sul viale del tramonto. Come sottolinea anche il Guardian, ancor prima dell’invenzione dell’agricoltura e della scrittura, quando l’essere umano viveva di ciò che riusciva a cacciare, chi compiva un passo falso soccombeva alle leggi della natura, e ad andare avanti e a riprodursi erano i più forti e intelligenti.

Poi, con l’invenzione dell’agricoltura e la nascita delle prime comunità stanziali, la forza intellettuale è cominciata a calare in modo progressivo. Non a caso, spiega ancora lo studioso, la Storia incorona il periodo della Grecia classica come uno dei più intellettualmente fecondi. “Siamo una specie sorprendentemente fragile dal punto di vista intellettuale e probabilmente abbiamo raggiunto il nostro picco di intelligenza tra i 6000 e i 2000 anni fa. È sufficiente che la selezione naturale diventi meno severa, che subito il nostro patrimonio intellettuale si indebolisce”.

Malgrado tutto, l’autore degli studi che qui stiamo rivisitando, chiude con una nota positiva: anche se il nostro genoma sembra diventare ogni giorno più fragile, la società può contare su un forte sistema di trasmissione delle conoscenze che, diversamente rispetto al passato, riesce a diffondere la cultura velocemente e in modo capillare.

Evoluzione psicologica ed evoluzione genetica però non sono la stessa cosa e l’essere umano, sottolineano gli esperti, è da sempre dotato di una grande capacità adattativa. Studi recenti sulla risposta cerebrale agli stimoli hanno ad esempio dimostrato che, alla somministrazione di un farmaco, il cervello risponde entro 24-48 ore con la produzione di un nuovo tipo di RNA ricombinante, che permette alle cellule di agire sui propri geni, riparandoli o trasformandoli.

“I primi effetti sull’umore o sul comportamento - spiega la psichiatra e psicoanalista Adelia Lucattini, si vedono dopo qualche settimana e talvolta qualche mese, perché il cervello è un organo complesso come struttura e per le funzioni che svolge. Questo ci fa capire come le persone abbiano potuto sviluppare una capacità adattativa all’ambiente sofisticata come quella attuale”.

L’evoluzione ha permesso e permette insomma, spiega la psichiatra, di muoversi in una società complessa

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come la nostra proprio grazie a questa capacità della mente di trasformarsi e apprendere dall’esperienza. “La selezione - precisa Lucattini - è semmai un danno collaterale che si subisce quando fallisce la solidarietà sociale e umana tra persone e gruppi di appartenenza, a partire dal nucleo familiare“.

Precedenti studi, in questo senso, condotti su gemelli e su persone adottate, avevano evidenziato una base genetica alle diverse abilità intellettive, ma lo studio del Dr. Neil Pendleton è il primo a dare risultati più approfonditi grazie all’identificazione di particolari geni in seguito all’esame del DNA.

Il team di ricercatori ha studiato più di 3500 persone provenienti da Manchester, Aberdeen, Newcastle ed Edinburgh riscontrando che tra il 40% e il 50% delle differenze delle abilità intellettive dipendono da differenze genetiche.

Lo studio ha esaminato più di un milione di geni, ossia tratti di DNA che determinano tutte le caratteristiche di un essere vivente, e tali conclusioni sono state possibili solo grazie ad un nuovo metodo di indagine inventato direttamente dal Professor Peter Visscher e da alcuni colleghi a Brisbane.

A rafforzare la validità dei risultati ottenuti ci sono stati analoghi studi dei colleghi Norvegesi, i quali hanno

effettuato lo stesso tipo di ricerche indipendentemente dagli scienziati inglesi.

Questo è un vero e proprio passo avanti nello studio e nella comprensione delle dinamiche intellettive, nel tentativo di chiarire, in particolare, se l’intelligenza umana possa essere ereditata o, al contrario, sia una capacità innata. Ma, tuttavia, la genetica insegna che non esistono abilità innate.

1.1.1 EtimologiaLa parola intelligenza (s.f.) deriva dal sostantivo latino intelligentia, a sua volta proveniente dal verbo intelligere, “capire“.

Secondo alcuni, il vocabolo intelligere sarebbe stato una contrazione del verbo latino legere, “leggere”, con l’avverbio intus, “dentro”; chi aveva intelligentia era dunque qualcuno che sapeva “leggere-dentro”, ovvero “leggere oltre la superficie”, comprendere davvero, comprendere le reali intenzioni. Secondo altri, invece, intelligere sarebbe stato una contrazione di legere con la preposizione inter - “tra”; in tal caso avrebbe indicato una capacità di “leggere tra le righe” o di stabilire delle correlazioni tra elementi.

Le diverse interpretazioni non cambiano la sostanza. L’intelligenza è una dote meravigliosa dell’uomo o comunque del genere umano.

1.1.2 L’intelligenza secondo alcuni autori.L’intelligenza è la capacità generale di adattare il proprio pensiero e condotta di fronte a condizioni e situazioni nuove.

L’intelligenza è la misura della capacità di un agente di raggiungere obiettivi in una varietà ampia di ambienti. - S. Legg e M. Hutter (quest’ultima definizione è stata formulata nel tentativo di sintetizzare una varietà di settanta altre definizioni diverse).

Lo psicologo Édouard Claparède vedeva invece l’intelligenza come la capacità o disposizione ad utilizzare in modo adeguato allo scopo tutti gli elementi del pensiero necessari per riconoscere, impostare e risolvere nuovi problemi.

Nel 1905 lo psicologo francese Alfred Binet pubblicò il primo test di intelligenza moderno, la Scala Binet-Simon. Il suo scopo principale era di identificare gli alunni che avevano bisogno di un particolare aiuto nelle

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materie scolastiche. Grazie al suo collaboratore Theodore Simon, Binet apportò modifiche alla sua scala di intelligenza nel 1908 e nel 1911, poco prima della sua prematura morte.

Il test misurava l’età mentale del bambino in modo che un bambino di 7 anni che risolvesse i problemi che in media risolvevano i bambini di 7 anni, avrebbe ottenuto un punteggio di 7.

Nel 1912 lo psicologo tedesco William Louis Stern coniò il termine I.Q. (abbreviazione di “Intelligence Quotient”, dal tedesco Intelligenz-quotient) e lo definì come la risultante della formula (età mentale/età biologica)*100; in questo modo, due bambini di età diversa che risultassero entrambi con una intelligenza pari alla media, otterrebbero entrambi lo stesso punteggio di 100. Un bambino di 10 anni che avesse ottenuto un punteggio normale per uno di 13, ad esempio, avrebbe avuto un QI di 130 (100*13/10).

Un ulteriore affinamento della scala Binet-Simon fu pubblicato nel 1916 da Lewis M. Terman, della Stanford University, il quale condivise la tesi di Stern che l’intelligenza di un individuo si dovesse misurare con un quoziente [8] e introdusse i test chiamati Stanford-Binet Intelligence Scale, che tuttavia presentano difficoltà nell’applicazione a individui adulti.

La formula originaria calcolava il risultato espresso come:

1.1.3 I principali test di misurazione dell’intelligenzaI principali test di misura dell’intelligenza sono di seguito riportati in ordine cronologico di ideazione, anche per comprenderne studio e periodo:

Alfred Binet (1911), e in seguito Lewis M. Terman all’Università di Stanford (1916), costruiscono un test che prende in considerazione soltanto quegli aspetti dell’intelligenza utilizzati in ambito scolastico, composto dunque da prove (diverse) strettamente inerenti all’ambito scolastico stesso. Erede contemporaneo del test sono le Scale d’intelligenza Stanford-Binet. Concetto chiave è il quoziente d’intelligenza (QI) come rapporto tra età mentale ed età cronologica moltiplicato 100. Il valore 100 del quoziente intellettivo è considerato il valore medio della popolazione. Il test Stanford-Binet misura un solo fattore di intelligenza, proponendo prove suddivise per fascie di età; non ha validità per individui più grandi di 13 - 14 anni.

Il Wechsler Adult Intelligence Scale (WAIS, 1939), riprende i tipi di compito dello Stanford-Binet, nonché il concetto di quoziente intellettivo, ricostruendoli per gli adulti. È costituito da più sub-test, ciascuno dei quali è composto da voci a difficoltà progressiva. Il WAIS, al contrario dello Stanford-Binet, non prevede un solo fattore di intelligenza generale, ma comprende anche una serie di dimensioni, coerenti al loro interno per tipologia di prove, che compongono il test: prove verbali (cultura generale, comprensione, analogie, memoria di cifre, ragionamento aritmetico), le prove di performance (riordinamento di figura, completamento di figura, disegno di cubi, ricostruzione di figura, associazione di simboli o numeri).

Per entrambi questi test (Stanford-Binet e WAIS) è chiara l’importanza, sulla misura finale, del livello di scolarizzazione del soggetto. Si sono quindi progettati dei test d’intelligenza “culture free”, non influenzati dal tipo di educazione e di cultura del soggetto messo sotto analisi; i più noti sono quello delle matrici progressive di Raven (1938), matrici numeriche da completare e il Culture fair intelligence test (1949) di Cattell. Studi su questi test sembrerebbero dimostrare che essi non discriminano in modo adeguato i soggetti con intelligenza superiore alla norma, mentre sembrerebbero più adatti per valutare i soggetti svantaggiati.

1.1.4 Studi differenziali sull’intelligenzaA partire dal diffondersi estensivo degli strumenti per la misura dell’intelligenza, si è focalizzata l’attenzione sulle differenze individuali ad essa legate.

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Esse sono state infatti un significativo campo di discussione tra coloro che ne identificano le cause all’aspetto genetico e coloro che invece assegnano una maggiore importanza ai fattori ambientali. Alcuni studi mostrano come la presenza di alcune patologie psichiatriche, come la depressione, influisca sulla performance al test d’intelligenza WAIS-R: più è severa la patologia più la performance al test è deficitaria. Il che non significa che chi soffre di depressione è meno intelligente di un soggetto non affetto, ma ci suggerisce che, durante l’episodio depressivo, le performance ai test d’intelligenza sono altamente inficiate.

Gli studi differenziali sull’intelligenza evidenziano una forte correlazione tra QI (quoziente intellettivo) di gemelli monovulari. Si evidenzia inoltre una fortissima incidenza dei fattori ambientali sullo sviluppo delle capacità cognitive (si pensi agli studi portati avanti sulla differenza nell’intelligenza tra bianchi e neri, ricondotti non a differenze cognitive, ma piuttosto al fattore interveniente del livello socio-demografico). La psicologia risolve la dialettica tra componenti innate e ambientali nello sviluppo dell’intelligenza evidenziando come la componente genetica sembra rappresentare una disponibilità, mentre la componente educativa rappresenta un fattore di innesco per tradurre un potenziale in una funzionalità effettiva. Per quanto riguarda l’avanzare dell’età, il rendimento su alcune scale del WAIS tende a diminuire, mentre su altre rimane stabile o aumenta. Riprendendo la distinzione proposta da Raymond Cattell tra intelligenza fluida e cristallizzata, caratteristiche legate all’intelligenza fluida tendono a diminuire dopo i 60 anni, mentre l’intelligenza cristallizzata aumenta in maniera costante per tutta la vita.

1.2 Apporto cognitivo allo studio dell’intelligenzaL’intelligenza non è qualcosa che si possiede o non si possiede, bensì un mosaico di elementi che trovano espressione in tutti i nostri comportamenti e pensieri. Per questa stessa ragione l’intelligenza di una persona non può essere facilmente misurabile; i test che si propongono di fornirne una stima non sono in grado di cogliere le infinite sfaccettature dell’intelletto umano e finiscono necessariamente per misurare una specifica abilità o capacità, trascurando le altre che esistono e che spesso sono dormienti.

Una definizione di intelligenza generica, abbastanza ampia ma non esaustiva, può essere la seguente: l’intelligenza è l’insieme di tutte le capacità umane che permettono di adattarsi all’ambiente, di apprendere, di formulare ragionamenti e di comprendere l’altrui pensiero. In questa definizione ritroviamo una delle prime abilità che l’uomo ha acquisito in seguito alla sua comparsa sulla terra, ossia la capacità di adattarsi all’ambiente. Sapersi adattare, modificare l’ambiente circostante per renderlo più confortevole e accogliente è un comportamento intelligente alla base della nostra civiltà.

Per poterlo fare è necessario essere in grado di apprendere, ovvero di osservare le cose e capirne il funzionamento, di estrapolarne le regole di base per poterle successivamente applicare a strumenti nuovi creati appositamente per assecondare le proprie esigenze.

Capire il funzionamento di qualcosa, per esempio di un fenomeno naturale, presuppone un alto comportamento intelligente, in questo caso l’osservazione. Osservare significa concentrare la propria attenzione, i propri processi cognitivi, su qualcosa. Soltanto in seguito sarà possibile ragionare su un determinato concetto.

Il ragionamento consiste nell’utilizzo di ciò che è stato osservato e appreso per formulare nuove possibilità, collegate al concetto di partenza ma diverse da esso. Il ragionamento ipotetico-deduttivo ne è un esempio; pensiamo a quando attraverso l’analisi di pochi dati a nostra disposizione giungiamo alla formulazione di regole generali.

L’intelligenza umana non è tutta qui; sebbene la definizione sopracitata fornisca un quadro abbastanza generale delle capacità intellettive, essa trascura indubbiamente molte altre forme intelligenti, quali per esempio la creatività, la fantasia, la saggezza, le abilità sociali e umane. Inoltre, un’analisi più approfondita può portarci a rilevare due diverse distribuzioni dell’intelligenza, una verticale ed una orizzontale.

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Mentre quella verticale si esprime in modo netto e definito in uno specifico ambito – pensiamo ad esempio ai geni della matematica o a quelli della musica (Albert Einstein, Wolfgang Amadeus Mozart) – l’intelligenza orizzontale si trova invece distribuita all’interno di tutte le altre, senza necessariamente spiccare in modo evidente in una di esse (Thomas Alva Edison).

Esistono geni in determinate discipline ed esistono persone brave un po’ in tutto, le quali attraverso l’allenamento e la costanza possono arrivare ad alti livelli di prestazione in molti ambiti differenti tra loro.

Appare dunque evidente come il concetto di intelligenza sia estremamente complesso e variegato e non possa essere ridotto ad un insieme di abilità logico-matematiche. A questo proposito è bene notare come i test di intelligenza, per esempio il test di Stanford e Binet e più recentemente quello di Wais (Wechsler Adult Intelligence Scale), non siano in grado di fornire un quadro delle capacità intellettive di una persona che sia indipendente dal suo livello di scolarizzazione.

In pratica chi possiede una maggiore scolarità tende ad ottenere punteggi più alti rispetto a chi possiede una bassa scolarità, producendo in questo modo una sovrapposizione tra livello culturale e capacità intellettive. Tali strumenti non vanno quindi considerati oggettivi e il loro utilizzo diviene utile solo nel caso in cui si vogliano esaminare determinati aspetti del funzionamento intellettivo, mentre l’utilità viene meno quando i loro risultati vengono generalizzati.

La psicologia cognitivista, introducendo negli anni ’60 il concetto di problem solving, ha compiuto il primo passo da una visione dell’intelligenza di tipo scolastico ad una più ampia, caratterizzata da un insieme di elementi non necessariamente collegati fra loro.

In quegli anni sono stati introdotti concetti come “Intelligenze multiple” e “Intelligenza emotiva”, il cui obiettivo era quello di rilevare la complessità dell’intelletto umano, inserendo tra gli elementi intelligenti, oltre alle abilità logiche, astratte e analitiche, anche quelle di tipo creativo e sociale.

La teoria delle intelligenze multiple è stata introdotta dallo psicologo americano Howard Gardner, che ne differenzia e ne distingue molte, localizzate, in parti differenti del cervello.

Anticipando l’argomento, vorrei mostrarvi come alcune delle intelligenze da lui identificate siano state poi attribuite ad autori di grande fama.

Intelligenza Linguistica: Chi la possiede solitamente sa variare il suo registro linguistico in base alle necessità ed ha la tendenza a riflettere sul linguaggio.

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Intelligenza Logico-Matematica: È l’intelligenza che riguarda il ragionamento deduttivo, la schematizzazione e le catene logiche.

Intelligenza Spaziale: Chi la possiede, normalmente, ha una sviluppata memoria per i dettagli ambientali, i luoghi e i percorsi.

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Intelligenza Corporeo-Cinestesica: Chi la possiede ha una padronanza del corpo che gli permette di ben coordinare i movimenti.

Intelligenza Musicale: È la capacità di riconoscere l’altezza dei suoni, le costruzioni armoniche e contrappuntistiche.

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Intelligenza Interpersonale o sociale:. Riguarda la capacità di relazionarsi con gli altri e di creare empatia.

Intelligenza Intrapersonale: riguarda la capacità di comprendere le proprie emozioni e di incanalarle in forme che siano socialmente accettabile.

Per meglio intenderci, vi invito ad osservare la mappa di seguito riportata, che mostra in modo inequivocabile, in quante “professioni” si traduce una particolare o più particolari intelligenze e come l’attitudine e il potenziale alimentato sfoci in ciò che ognuno diventerà, ammesso che riesca a coltivarle.

Il modello di Howard Gardner è sicuramente abbastanza completo ed esemplifica in maniera efficace la notevole complessità dell’intelligenza.

Negli ultimi anni ha assunto un ruolo fondamentale un altro tipo di intelligenza, che già Gardner aveva

parzialmente integrato, utilizzando tuttavia un nome differente, nel suo sesto tipo: l’intelligenza emotiva.

Questo tipo di intelligenza è stato introdotto da Daniel Goleman e si fonda su due tipi di competenza:

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• una personale, connessa al modo in cui controlliamo noi stessi;

• una relazionale, legata al modo in cui gestiamo le relazioni con gli altri.

Entrambe le competenze sono caratterizzate da abilità specifiche. In particolare, alla base della competenza personale possiamo rilevare la consapevolezza di sé, la padronanza di sé e la motivazione; mentre alla base della competenza sociale sono presenti l’empatia e le abilità nelle relazioni interpersonali.

La consapevolezza di sé è quella capacità che ci permette di riconoscere le nostre emozioni dando loro un nome.

Oltre a ciò la consapevolezza di sé comporta un’autovalutazione approfondita delle proprie risorse interiori, delle proprie abilità e dei propri limiti, conducendo ad una percezione del proprio valore e delle proprie capacità e ad una sana fiducia in se stessi.

La padronanza di sé comporta autocontrollo, ovvero la capacità di dominare le emozioni, senza tuttavia giungere alla soppressione o alla negazione delle stesse. Questa implica che anche se tutte le emozioni sono permesse, non tutte possono essere espresse.

Non possiamo sempre controllare ciò che proviamo interiormente di fronte a comportamenti o avvenimenti, ma siamo responsabili per il modo in cui decidiamo di esprimerli. Da questo punto di vista essere dotati di intelligenza emotiva significa essere in grado di gestire i propri sentimenti, essere dunque in grado di esercitare un controllo consapevole su di essi per poterli esprimere in modo appropriato ed efficace.

L’ultima componente della competenza personale è la motivazione, la quale può essere definita come l’insieme delle tendenze emotive che guidano, sorreggono o rendono possibile il raggiungimento di obiettivi. La motivazione comporta una spinta alla realizzazione personale, connessa al cercare la propria soddisfazione proponendosi obiettivi stimolanti, orientandosi al risultato, coltivando l’impulso a migliorare le proprie prestazioni.

L’empatia fa invece parte della competenza sociale ed è caratterizzata dal riconoscimento e dalla condivisione dei sentimenti e delle emozioni altrui, senza tuttavia dimenticare i propri oppure confonderli con quelli dell’altra persona. L’empatia comporta l’accettazione incondizionata degli stati d’animo così come vengono offerti nella relazione. Gli stati d’animo non possono essere modificati o negoziati, né approvati o disapprovati come si farebbe con i comportamenti. Affianco all’empatia abbiamo infine la comunicazione, che permette alle persone di interagire e di comprendersi in maniera più efficace. Saper comunicare in maniera efficiente è un’abilità da non sottovalutare, soprattutto se pensiamo che che rappresenta il principale mezzo che abbiamo a disposizione per esprimere ciò che sentiamo, pensiamo e vogliamo1.

1.2.1 La teoria delle intelligenze multipleLo psicologo statunitense Howard Gardner, sulla base di ricerche e letteratura su soggetti affetti da lesioni di interesse neuropsicologico, arriva a distinguere ben 9 espressioni fondamentali dell’intelligenza, derivanti da strutture differenti del cervello e indipendenti l’una dall’altra. Ecco, di seguito, i nove macro-gruppi intellettivi.

1. Intelligenza Linguistica: è l’intelligenza legata alla capacità di utilizzare un vocabolario chiaro ed efficace. Chi la possiede solitamente sa variare il suo registro linguistico in base alle necessità ed ha la tendenza a riflettere sul linguaggio.

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• una personale, connessa al modo in cui controlliamo noi stessi;

• una relazionale, legata al modo in cui gestiamo le relazioni con gli altri.

Entrambe le competenze sono caratterizzate da abilità specifiche. In particolare, alla base della competenza personale possiamo rilevare la consapevolezza di sé, la padronanza di sé e la motivazione; mentre alla base della competenza sociale sono presenti l’empatia e le abilità nelle relazioni interpersonali.

La consapevolezza di sé è quella capacità che ci permette di riconoscere le nostre emozioni dando loro un nome.

Oltre a ciò la consapevolezza di sé comporta un’autovalutazione approfondita delle proprie risorse interiori, delle proprie abilità e dei propri limiti, conducendo ad una percezione del proprio valore e delle proprie capacità e ad una sana fiducia in se stessi.

La padronanza di sé comporta autocontrollo, ovvero la capacità di dominare le emozioni, senza tuttavia giungere alla soppressione o alla negazione delle stesse. Questa implica che anche se tutte le emozioni sono permesse, non tutte possono essere espresse.

Non possiamo sempre controllare ciò che proviamo interiormente di fronte a comportamenti o avvenimenti, ma siamo responsabili per il modo in cui decidiamo di esprimerli. Da questo punto di vista essere dotati di intelligenza emotiva significa essere in grado di gestire i propri sentimenti, essere dunque in grado di esercitare un controllo consapevole su di essi per poterli esprimere in modo appropriato ed efficace.

L’ultima componente della competenza personale è la motivazione, la quale può essere definita come l’insieme delle tendenze emotive che guidano, sorreggono o rendono possibile il raggiungimento di obiettivi. La motivazione comporta una spinta alla realizzazione personale, connessa al cercare la propria soddisfazione proponendosi obiettivi stimolanti, orientandosi al risultato, coltivando l’impulso a migliorare le proprie prestazioni.

L’empatia fa invece parte della competenza sociale ed è caratterizzata dal riconoscimento e dalla condivisione dei sentimenti e delle emozioni altrui, senza tuttavia dimenticare i propri oppure confonderli con quelli dell’altra persona. L’empatia comporta l’accettazione incondizionata degli stati d’animo così come vengono offerti nella relazione. Gli stati d’animo non possono essere modificati o negoziati, né approvati o disapprovati come si farebbe con i comportamenti. Affianco all’empatia abbiamo infine la comunicazione, che permette alle persone di interagire e di comprendersi in maniera più efficace. Saper comunicare in maniera efficiente è un’abilità da non sottovalutare, soprattutto se pensiamo che che rappresenta il principale mezzo che abbiamo a disposizione per esprimere ciò che sentiamo, pensiamo e vogliamo1.

1.2.1 La teoria delle intelligenze multipleLo psicologo statunitense Howard Gardner, sulla base di ricerche e letteratura su soggetti affetti da lesioni di interesse neuropsicologico, arriva a distinguere ben 9 espressioni fondamentali dell’intelligenza, derivanti da strutture differenti del cervello e indipendenti l’una dall’altra. Ecco, di seguito, i nove macro-gruppi intellettivi.

1. Intelligenza Linguistica: è l’intelligenza legata alla capacità di utilizzare un vocabolario chiaro ed efficace. Chi la possiede solitamente sa variare il suo registro linguistico in base alle necessità ed ha la tendenza a riflettere sul linguaggio.

2. Intelligenza Logico-Matematica: coinvolge sia l’emisfero cerebrale sinistro, che ricorda i simboli matematici, che quello di destra, nel quale vengono elaborati i concetti. È l’intelligenza che riguarda il ragionamento deduttivo, la schematizzazione e le catene logiche.

3. Intelligenza Spaziale: concerne la capacità di percepire forme e oggetti nello spazio. Chi la possiede, normalmente, ha una sviluppata memoria per i dettagli ambientali e le caratteristiche esteriori delle figure, sa orientarsi in luoghi intricati e riconosce oggetti tridimensionali in base a schemi mentali piuttosto complessi. Questa forma dell’intelligenza si manifesta essenzialmente nella creazione di arti figurative.

Le intelligenze multiple e il loro potenziamento per fini educativi 16

4. Intelligenza Corporeo-Cinestesica: coinvolge il cervelletto, i gangli fondamentali, il talamo e vari altri punti del nostro cervello. Chi la possiede ha una padronanza del corpo che gli permette di coordinare bene i movimenti. In generale si può riferire a chi fa un uso creativo del corpo, come i ginnasti e i ballerini.

Le intelligenze multiple e il loro potenziamento per fini educativi 17

5. Intelligenza Musicale: normalmente è localizzata nell’emisfero destro del cervello, ma le persone con cultura musicale elaborano la melodia in quello sinistro. È la capacità di riconoscere l’altezza dei suoni, le costruzioni armoniche e contrappuntistiche. Chi ne è dotato solitamente ha uno spiccato talento per l’uso di uno o più strumenti musicali, o per la modulazione canora della propria voce.

6. Intelligenza Interpersonale: coinvolge tutto il cervello, ma principalmente i lobi pre-frontali. Riguarda la capacità di comprendere gli altri, le loro esigenze, le paure, i desideri nascosti, di creare situazioni sociali favorevoli e di promuovere modelli sociali e personali vantaggiosi. Si può riscontrare specificamente nei politici e negli psicologi, più genericamente in quanti possiedono spiccata empatia e abilità di interazione sociale.

Le intelligenze multiple e il loro potenziamento per fini educativi 18

7. Intelligenza Intrapersonale: riguarda la capacità di comprendere la propria individualità, di saperla inserire nel contesto sociale per ottenere risultati migliori nella vita personale, e anche di sapersi immedesimare in personalità diverse dalla propria. È considerata da Gardner una “fase” speculare dell’intelligenza interpersonale, laddove quest’ultima rappresenta la fase estrospettiva.

8. Intelligenza Naturalistica: consiste nel saper individuare determinati oggetti naturali, classificarli in un ordine preciso e cogliere le relazioni tra di essi. Alcuni gruppi umani che vivono in uno stadio ancora “primitivo”, come le tribù aborigene di raccoglitori-cacciatori, mostrano una grande capacità nel sapersi orientare nell’ambiente naturale riconoscendone anche i minimi dettagli.

Le intelligenze multiple e il loro potenziamento per fini educativi 19

9. Intelligenza Esistenziale o Teoretica: rappresenta la capacità di riflettere consapevolmente sui grandi temi della speculazione teoretica, come la natura dell’universo e la coscienza umana, e di ricavare da sofisticati processi di astrazione delle categorie concettuali che possano essere valide universalmente.

Sotto questi aspetti il significato del concetto di intelligenza è da intendersi dunque come particolari abilità di cui è dotato l’individuo. Sebbene queste capacità siano più o meno innate negli individui, non sono statiche e possono essere sviluppate mediante l’esercizio, potendo anche “decadere” col tempo.

Lo stesso Gardner ha poi menzionato il fatto che classificare tutte le manifestazioni dell’intelligenza umana sarebbe un compito troppo complesso, dal momento che ogni macro-gruppo contiene vari sottotipi.

1.2.2 L’intelligenza nel mondo animale e nelle pianteNumerose ricerche dimostrano che molte specie animali sono in grado di produrre comportamenti intelligenti (che dimostrano una certa capacità di adattarsi a situazioni nuove), anche se è difficile e spesso fuorviante paragonare l’intelligenza animale a quella umana. Secondo una prospettiva evoluzionistica, ogni specie vivente sviluppa quelle facoltà (intellettive e non) che le sono più utili nell’adattamento all’ambiente in cui vive. In generale, quanto più un ambiente è stabile, tanto più un istinto innato fornirà strategie adattative migliori, mentre quanto più un ambiente è mutevole, tanto più favorirà quelle specie in grado di risolvere problemi nuovi, le quali svilupperanno perciò forme più sofisticate di intelligenza.

Facoltà ritenute prova della presenza di forme raffinate di intelligenza, come la memoria, la comprensione della grammatica e la capacità di riconoscere se stessi, o come l’uso di pensiero simbolico o di strumenti, sono state dimostrate in molte specie, tra cui mammiferi e uccelli. Per quanto riguarda il linguaggio, che è un aspetto fondamentale dell’intelligenza umana (in quanto la comprensione umana, insieme con la capacità di ragionamento complesso e astratto, passa attraverso l’uso di parole a cui associare dei significati), i tentativi di trasferire a specie non umane le competenze linguistiche hanno ottenuto successi limitati e piuttosto controversi, essendo basati soprattutto su casi singoli (come quelli celebri di Kanzi e Washoe) piuttosto che su studi sistematici con campioni di adeguata numerosità. Inoltre questi studi peccano spesso di antropocentrismo, in quanto, più che verificare le capacità cognitive di suddetti animali, hanno cercato di

Le intelligenze multiple e il loro potenziamento per fini educativi 20

trasferire ad essi una competenza essenzialmente umana.

Le piante non hanno un cervello o una rete neurale, ma le reazioni all’interno delle loro vie di segnalazione possono fornire una base biochimica per forme di apprendimento e memoria. Seppure in maniera controversa, il cervello viene usato come una metafora atta a fornire una visione integrata della segnalazione nell’intelligenza vegetale.

Le piante non sono soggetti passivi meramente sottomessi alle forze ambientali, né sono organismi simili ad automi basati solo sui riflessi e ottimizzati esclusivamente per la fotosintesi. Le piante reagiscono sensibilmente agli stimoli ambientali di movimento e alle variazioni di morfologia. Esse segnalano e comunicano tra di loro in quanto attivamente competono per le risorse limitate, sia sopra che sotto terra. Inoltre, le piante calcolano con precisione la loro situazione, usano sofisticate analisi, costi-benefici e intraprendono azioni strettamente controllate per mitigare e controllare diversi fattori di stress ambientale. Le piante sono anche in grado di discriminare le esperienze positive e negative e di apprendere (registrando ricordi) dalle loro esperienze passate.

Le piante utilizzano queste informazioni per aggiornare il loro comportamento in modo da sopravvivere alle sfide presenti e future del loro ambiente. Le piante sono anche in grado di fare raffinati riconoscimenti del sé e del non-sé, e sono territoriali nel comportamento.

Per studiare i calcoli e le risposte delle piante si richiede lo studio del ruolo della segnalazione, della comunicazione e del comportamento, integrando i dati a livello genetico, molecolare, biochimico e cellulare con la fisiologia, lo sviluppo e il comportamento dei singoli organismi e con le conoscenze dell’ecosistema vegetale e dell’evoluzione delle piante.

Il punto di vista neurobiologico vede le piante come organismi di elaborazione delle informazioni con processi piuttosto complessi di comunicazione che si verificano in tutto il singolo organismo vegetale. La neurobiologia delle piante studia come le informazioni ambientali vengano raccolte, elaborate, integrate e condivise per abilitare risposte adattative e coordinate; e come le percezioni e manifestazioni comportamentali vengano “ricordate” in modo da consentire previsioni di future attività sulla base delle esperienze passate.

Le piante, sostengono i fisiologi vegetali, sono sofisticate nel comportamento quanto gli animali, ma questa sofisticazione viene mascherata dalle scale di tempo vegetali di risposta agli stimoli, molti ordini di grandezza più grandi di quelle degli animali.

1.3 L’intelligenza artificialeLa locuzione intelligenza artificiale (o IA) indica sia la proprietà di una macchina di imitare, del tutto o in parte, l’intelligenza biologica, sia il ramo dell’informatica che mira a creare le macchine capaci di tale imitazione, attraverso “lo studio e la progettazione di agenti intelligenti”o “agenti razionali”, dove un agente intelligente è un sistema che percepisce il suo ambiente e attua le azioni che massimizzano le sue possibilità di successo. I successi ottenuti nel campo dell’intelligenza artificiale riguardano per ora problemi vincolati e ben definiti, come la capacità delle macchine di sostenere giochi, la risoluzione di cruciverba e il riconoscimento ottico dei caratteri, e alcuni problemi più generali come quello delle automobili autonome. Il concetto di IA forte non è ancora realtà, ma è un obiettivo della ricerca a lungo termine.

Tra le caratteristiche che i ricercatori sperano che le macchine possano un giorno esibire, vi sono il ragionamento, la capacità di pianificare, apprendere, percepire, comunicare e manipolare oggetti. Non vi è attualmente consenso su quanto vicino si possa andare nel simulare il cervello (umano nello specifico).

Le intelligenze multiple e il loro potenziamento per fini educativi 21

trasferire ad essi una competenza essenzialmente umana.

Le piante non hanno un cervello o una rete neurale, ma le reazioni all’interno delle loro vie di segnalazione possono fornire una base biochimica per forme di apprendimento e memoria. Seppure in maniera controversa, il cervello viene usato come una metafora atta a fornire una visione integrata della segnalazione nell’intelligenza vegetale.

Le piante non sono soggetti passivi meramente sottomessi alle forze ambientali, né sono organismi simili ad automi basati solo sui riflessi e ottimizzati esclusivamente per la fotosintesi. Le piante reagiscono sensibilmente agli stimoli ambientali di movimento e alle variazioni di morfologia. Esse segnalano e comunicano tra di loro in quanto attivamente competono per le risorse limitate, sia sopra che sotto terra. Inoltre, le piante calcolano con precisione la loro situazione, usano sofisticate analisi, costi-benefici e intraprendono azioni strettamente controllate per mitigare e controllare diversi fattori di stress ambientale. Le piante sono anche in grado di discriminare le esperienze positive e negative e di apprendere (registrando ricordi) dalle loro esperienze passate.

Le piante utilizzano queste informazioni per aggiornare il loro comportamento in modo da sopravvivere alle sfide presenti e future del loro ambiente. Le piante sono anche in grado di fare raffinati riconoscimenti del sé e del non-sé, e sono territoriali nel comportamento.

Per studiare i calcoli e le risposte delle piante si richiede lo studio del ruolo della segnalazione, della comunicazione e del comportamento, integrando i dati a livello genetico, molecolare, biochimico e cellulare con la fisiologia, lo sviluppo e il comportamento dei singoli organismi e con le conoscenze dell’ecosistema vegetale e dell’evoluzione delle piante.

Il punto di vista neurobiologico vede le piante come organismi di elaborazione delle informazioni con processi piuttosto complessi di comunicazione che si verificano in tutto il singolo organismo vegetale. La neurobiologia delle piante studia come le informazioni ambientali vengano raccolte, elaborate, integrate e condivise per abilitare risposte adattative e coordinate; e come le percezioni e manifestazioni comportamentali vengano “ricordate” in modo da consentire previsioni di future attività sulla base delle esperienze passate.

Le piante, sostengono i fisiologi vegetali, sono sofisticate nel comportamento quanto gli animali, ma questa sofisticazione viene mascherata dalle scale di tempo vegetali di risposta agli stimoli, molti ordini di grandezza più grandi di quelle degli animali.

1.3 L’intelligenza artificialeLa locuzione intelligenza artificiale (o IA) indica sia la proprietà di una macchina di imitare, del tutto o in parte, l’intelligenza biologica, sia il ramo dell’informatica che mira a creare le macchine capaci di tale imitazione, attraverso “lo studio e la progettazione di agenti intelligenti”o “agenti razionali”, dove un agente intelligente è un sistema che percepisce il suo ambiente e attua le azioni che massimizzano le sue possibilità di successo. I successi ottenuti nel campo dell’intelligenza artificiale riguardano per ora problemi vincolati e ben definiti, come la capacità delle macchine di sostenere giochi, la risoluzione di cruciverba e il riconoscimento ottico dei caratteri, e alcuni problemi più generali come quello delle automobili autonome. Il concetto di IA forte non è ancora realtà, ma è un obiettivo della ricerca a lungo termine.

Tra le caratteristiche che i ricercatori sperano che le macchine possano un giorno esibire, vi sono il ragionamento, la capacità di pianificare, apprendere, percepire, comunicare e manipolare oggetti. Non vi è attualmente consenso su quanto vicino si possa andare nel simulare il cervello (umano nello specifico).

1.4 Potenziare le intelligenze prevalenti Per capire come potenziare le intelligenze, dobbiamo avere ben in mente come si realizzi il processo di apprendimento.

I processi sono differenti tra loro, pertanto elencarli ci aiuterebbe a comprenderne meglio l’evolversi.

Parliamo quindi di:

• PROCESSI ORDINATIVI – i quali si avvalgono di schemi e strutture, si fondano su operazioni e ragionamenti, impiegando la memoria a lungo termine.

• CRITERIO INTUITIVO – che implica l’attenzione, l’interesse, la curiosità, l’attivazione e può essere paragonato alla ricerca di un principio unificatore, totale delle informazioni possedute, alla previsione del risultato, nonché alla formazione di un nuovo modello di idea e di ragionamento del tutto nuovo.

• PROCESSI DESCRITTIVI - tendono alla contestualizzazione delle informazioni, alla ricerca di relazioni e

connessioni, attraverso metafore, analogie, comparazioni.

Nella intelligenza logico matematica ad esempio, prevale il ragionamento ordinario: ma sono importanti anche le intuizioni e la capacità di avere uno sguardo d’insieme di un determinato problema.

L’intelligenza linguisitica ha un’attivazione intuitiva, ma obbedisce a criteri ordinativi nella gestione dei simboli, nella struttura sintatticale grammaticale – consente la memorizzazione verbale e produce descrizioni ed immaginazioni della realtà in modo espressivo e poetico;

l’intelligenza musicale è senza dubbio fondata su espressioni ed analogie, ma necessita di intuizione per sciogliere l’attesa della meta successiva armonica ed ordinata spetto alle precedenti.

L’intelligenza corporea si fonda su un robusto sistema di controllo, di ordine e conoscenza del proprio corpo, ma si esprime nella percezione del contesto entro cui viene intuito il correttomovimento.

Le intelligenze personali si fondano sulla percezione, sull’immedesimazione, sull’empatia dei vissuti

Le intelligenze multiple e il loro potenziamento per fini educativi 22

emozionali, ma anche sull’ordinata comprensione e razionalizzazione oltrechè sull’intuizione degli eventi, della logica e della metacomunicazione.

Ogni individuo ha sviluppato le diverse modulazioni dei processi e per ereditarietà, temperamento e personalità ha maggiore inclinazione e propensione all’uso di uno o dell’altro dei processi.

I tre processi sono connessi:

1. se intuisci riesci a favorire le connessioni tra cose;

2. se connetti, riesci ad ordinarle;

3. se le ordini riesci ad intuire.

Si intuiscono le informazioni divergenti dagli schemi, si descrivono le connessioni tra di loro e si ordinano in schemi le descrizioni delle idee. Ciascuno dei diversi processi è attivo nelle diverse intelligenze con prevalenze diverse sia dei processi che del legame tradi essi.

Si parla di intelligenza ordinativa quando:

• leggo un brano lungo mi fermo a sintetizzare gli elementi principali;

• per prepararmi alle interrogazioni seguo un piano preciso;

• per apprendere bene ho bisogno di ripetere ad alta voce;

• per ricordare ciò che studio ho bisogno di fare schemi;

• dedico tutti i giorni un tempo preciso allo studio;

• se non sono al mio solito posto non riesco a concentrarmi;

• se non mi sento preparato sono inquieto;

• imparo a memoria definizioni, schemi, formule;

• non sempre è facile schematizzare certi argomenti;

• studio bene da solo.

Parliamo di intelligenza intuitiva quando riconosco che:

• sono poche le pagine davvero importanti;

• il mio impegno nello studio dipende dall’interesse della materia;

• il fatto di ascoltare una musica di sottofondo mi aiuta a concentrarmi;

• mentre studio mi distraggo facilmente;

• quando ho capito una cosa non mi importa di soffermarmici sopra a lungo;

• non ho bisogno di un posto particolare per studiare;

• solo se arrivo all’ultimo momento riesco a trovare la spinta per studiare;

• se mentre studio mi viene alla mente un’idea non posso fare a meno di concentrarmi su di essa;

• i miei principali errori sono quelli di distrazione;

• mi piace studiare solo insieme a compagni che si appassionano su qualche nuovo argomento.

Se invece parliamo di una intelligenza descrittiva, le risposte per chi studia e apprende saranno le seguenti:

Le intelligenze multiple e il loro potenziamento per fini educativi 23

• a volte leggo, arrivo in fondo alla pagina e non ricordo cosa ho letto;

• ho spesso bisogno di chiedere informazioni più chiare all’insegnante;

• mentre studio mi lascio distrarre dalle cose che mi succedono intorno;

• mi riesce difficile individuare gli argomenti più importanti in un testo;

• non mi piace dover studiare tabelle o grafici;

• quando studio ho bisogno di avee sottomano tutti i testi che riguardano gli argomenti;

• non mi sento mai davvero preparato;

• riesco con facilità a fare paralleli tra le diverse materie che studio;

• dedico allo studio tante ore al giorno;

• se vado a studiare da un amico debbo portare con me molti libri.

Cosa accade in fase di esecuzione e di apprendimento?

• Allo stile ordinativo, corrisponde uno stile di apprendimento convergente;

• all’intuitivo uno stile divergente;

• al descrittivo uno stile accomondante.

Ne deriva che un approccio alla didattica che non tenga conto di tali differenze e che adotti come modelli di spiegazione un solo sistema comunicativo, rischia di emarginare i soggetti non affini allo specifico modo di insegnare del docente che utilizza comunicazioni e comprensioni tipiche della sua forma mentale.

L’incontro e non lo scontro tra stili cognitivi e procedurali, potrebbe fare la differenza.

Fatta questa premessa sui processi di apprendimento, dirotto l’attenzione sul personale docente, ponendo alcune domande utili che ci aiuterebbero a capire quanto sia utile farsi un esame, andare in profondità e chiedersi se so davvero insegnare.

• Collega, in quale forma mentale ti riconosci?

• Quando eri uno studente, che tipo di forma mentale eri?

• Quale pensi sia la forma mentale maggiormente richiesta dalla disciplina che insegni?

• Quali argomenti della tua disciplina richiedono l’uso dell’una o dell’altra intelligenza?

• Quali sono le piste attraverso le quali sei pervenuto a sviluppare forme di intelligenza e di metodo di studio?

• Ti sei mai posto il problema di capire come studiano i tuoi alunni?

• Sei disposto a fermarti, a vivere con loro una zona franca e di dialogo interattivo per comprederlo?

La comunicazione didattica, è quella che sostiene tutte e tre le intelligenze per dar vita ad una comunità educante che vede nella didattica un momento di azione efficiente al proprio sviluppo cognitivo.

Un processo di apprendimento che ben potenzi le intelligenze, dovrà addestrare la memoria, considerare i ritmi di apprendimento e portare alla comprensione del contenuto dell’esperienza. Ovvero, l’addestramento della memoria avviene dopo la rilevazione delle diverse memorie attraverso un insieme disordinato di vocaboli per dar vita a connessioni.

Il ritmo di apprendimento che è un fattore variabile connesso alle intelligenze, cambia sia nella durata nel

Le intelligenze multiple e il loro potenziamento per fini educativi 24

tempo che nella quantità di ore quotidiane dedicate allo studio.

La comprensione, conoscenza dell’oggetto di studio, va rinforzato con incentivazioni intrinseche ed estrinseche. In sostanza a partire dalla forma mentale dell’allievo è possibile guidare l’esito di una prova, di un’interrogazione, di un compito e modularlo allo scopo di incoraggiarlo o richiamarlo.

Le facoltà intellettive sono autonome:

• Ognuna ha una sua modalità di conoscenza.

• Ha un proprio sistema simbolico.

• Funzionano in maniera relativamente indipendente ma non operano isolate.

• Per svolgere un compito un individuo ne richiama diverse isolate.

• Per svolgere un compito un individuo ne richiama diverse contemporaneamente.

• Nessuno è solamente musicalmente o contemporaneamente.

• Nessuno è solamente musicalmente o linguisticamente intelligente.

• Le intelligenze lavorano in combinazione tra loro.

Gardner affermava che tutti siamo dotati un po’ di tutte le intelligenze, altrimenti non riusciremo a vivere. Avere però un profilo intellettivo in cui predomina un tipo di intelligenza significa che quell’individuo eccelle in quella specifica abilità.

Non esistono al mondo due persone che hanno le stesse intelligenze sviluppate e combinate allo stesso modo, con gli stessi punti di forza e di debolezza. Ognuno di noi ha un proprio, unico, originale PROFILO INTELLETTIVO e a questa visione teorica corrisponde un’impostazione educativa e didattica attenta alle diversità.

I bambini che noi definiamo problematici, hanno sempre disturbi specifici o più spesso solo modalità diverse di apprendere da quelle con cui di solito noi insegnanti siamo abituati a lavorare. Poniamoci sempre una domanda: ma noi come siamo abituati a lavorare in classe?

Cosa perdiamo e cosa perdono i nostri alunni quando ignoriamo o non facciamo esprimere il loro potenziale educativo?

Presentare le attività scolastiche in altro modo utilizzando altre strade può risultare più fruttuoso ed efficace

per tutti.

Come possiamo personalizzare l’apprendimento alla luce di quanto ora conosciamo?

Lo stesso concetto viene presentato sollecitando diversi canali di diversi canali di apprendimento (intelligenze) attraverso l’osservazione in classe. “Diverse finestre portano alla stessa stanza”.

Come possiamo applicare in classe la Teoria delle intelligenze multiple?

Non esiste un unico modo corretto. Ma ce ne possono essere diversi completamente sbagliati e fuorvianti.

Per riuscire a dar vita ad una progettazione efficace si suggerisce di creare collegialemente un PERCORSO PROGETTUALE COMUNE, un curricolo verticale o una progettazione mirata. Ma non prima di aver identificato i profili intellettivi degli studenti attraverso l’osservazione, che è uno strumento effettivo di conoscenza, individuato i punti di forza.

Il potenziamento delle Intelligenze Multiple va impiegato come strumento per promuovere l’alfabetizzazione di base e colmare le debolezze.

Le intelligenze multiple e il loro potenziamento per fini educativi 25

Progettare opportunità di apprendimento attraverso una multimodalità operativa, coinvolgere gli studenti in attività autentiche, originali e ricche di stimoli, dove poter utilizzare le competenze acquisite per la risoluzione di problemi e realizzare prodotti sono il fine e non l’arrivo.

Per realizzare quanto descritto, occorre creare un clima positivo di apprendimento che valorizzi l’originalità, l’autostima e la fiducia in sé stessi, e dia quel senso di adeguatezza che consente di guardare alla scuola come un luogo di piacere e non come un luogo rigido e restio al cambiamento.

Tra i suggerimenti utili, si consiglia di:

1. OPERARE UN’ESPLORAZIONE E RILEVAZIONE DEI PROFILI intellettivi dinamici presenti in classe, attraverso diverse abilità/attività di BRIDGING – per evidenziare punti di forza e di debolezza presenti.

2. REALIZZAZIONE PROGETTI E SOLUZIONE PROBLEMI AUTENTICI studenti con differenti e complementari punti di forza vengono invitati a lavorare insieme, è un modo per ottimizzare le intelligenze multiple in classe.

3. REALIZZARE COMUNITA’ di APPRENDIMENTO - tutor - esperti nei propri punti di forza.

4. PRESENZA A SCUOLA di PROFESSIONISTI ESPERTI IN VARI SETTORI di vita e di conoscenza.

5. SVILUPPO DEL TALENTO - partecipazione a concorsi.

6. VALUTAZIONE AUTENTICA - molteplicità di verifiche e costruzione condivisa di rubriche di valutazione.

La scoperta di un punto di forza e l’esperienza del successo danno all’alunno la fiducia necessaria per avventurarsi in aree meno consolidate.

Lo stile di apprendimento e i contenuti dei settori di forza vengono utilizzati per impegnare lo studente in altre aree, particolarmente quelle centrali per il successo scolastico. L’impiego della peer cooperative, del problem solving, e di altre strategie procedurali faranno il resto. In una sperimentazione ben applicata che via via si consolida come regola generale, si registrano:

• Risultati ottimali

• Riduzione comportamenti problematici

• Maggiore coinvolgimento e motivazione

• Progressi degli alunni con difficoltà negli apprendimenti

• Miglioramenti anche nei risultati delle verifiche possono esser erealizzate attraverso questionari a scelta multipla.

1.5 Competenza cognitiva Le competenze cognitive si esprimono nel:

• conoscere e nel saper collegare tra loro termini, simboli, concetti, principi, regole, operazioni, procedimenti interni alle singole discipline;

• saper cogliere il “codice simbolico” disciplinare (il linguaggio storico, matematico, artistico e scientifico, ma anche tecnologico ecc).

1.5.1 Competenza metacognitivaLa didattica metacognitiva è divenuta un’area di efficace intervento nella pratica educativa perchè, agendo sui

Le intelligenze multiple e il loro potenziamento per fini educativi 26

percorsi evolutivi di ogni persona, è molto utile nel processo di insegnamento/apprendimento. L’insegnante che opera in armonia con le teorie metacognitive favorisce gli allievi nell’impegno di imparare ad imparare: in questo panorama la didattica metacognitiva assume un significato paradigmatico, è un campo di intervento affascinante e nel contempo impegnativo.

Gli insegnanti che adottano tecniche metacognitive lo fanno con lo scopo di sviluppare abilità di diversa natura e tutte finalizzate allo sviluppo evolutivo di ogni studente. Per raggiungere tale obiettivo è necessario che ci sia collaborazione tra i vari insegnanti. L’insegnante, in questa situazione, deve assumere un ruolo fondamentale e cioè quello di modello e consigliere che agevola processi di apprendimento.

Il termine di metacognizione viene spesso associato al concetto di “Imparare ad imparare”, che significa riconoscere ed in seguito applicare comportamenti, abitudini e strategie utili per un efficace processo di apprendimento che sia anche sufficientemente consapevole. Inoltre, significa sviluppare delle capacità di controllo e di potenziamento delle abilità cognitive e delle abilità di interazione con noi stessi e la nostra psiche, oltre che con il mondo che ci circonda.

Imparare ad imparare rappresenta una meta-abilità che cresce con l’allievo e costituisce il filo conduttore che lo guida ad una corretta assunzione di responsabilità del poprio processo di apprendimento.

Quindi, per avere un efficace processo di apprendimento, è necessario che ogni allievo sviluppi una buona consapevolezza personale, data da un’armonia psico-emotiva e delle teorie cognitive alla base di una buona

autoregolazione cognitiva.

Per avere consapevolezza delle teorie cognitive bisogna venire a conoscenza delle proprie componenti cognitive (modalità, tipologia dei compiti da affrontare, scelta delle strategie). E’ inoltre importante dare importanza a quello che è il controllo esecutivo, dato dal processo di problematizzazione, controllo e valutazione dell’apprendimento.

La modalità di realizzazione più efficace della didattica metacognitiva sembra essere l’approccio autoregolativo, nel quale gli allievi vengono aiutati a comprendere le abilità necessarie per lo svolgimento di compiti di apprendimento ed incoraggiati alla scelta e all’applicazione di adeguate e produttive strategie operative.

Spesso il campo d’azione della didattica metacognitiva si fonde con quello della didattica mirata allo sviluppo di abilità più specificamente cognitive. Per evitare confusioni e fraintendimenti bisogna specificare che i contenuti puramente metacognitivi sono quelli del monitoraggio delle componenti cognitive e del controllo esecutivo.

Il monitoraggio delle componenti cognitive implica la conoscenza delle proprie modalità di apprendimento, dei tipi di compito da svolgere, delle strategie da applicare nello svolgimento delle diverse attività di studio. Il controllo esecutivo può essere considerato come un insieme di azioni da svolgere durante il processo di apprendimento: previsione, pianificazione, controllo e valutazione.

La didattica metacognitiva offre un approccio utile ad ogni ambito disciplinare e certamente si rivela una modalità di intevento didattico molto produttiva, poichè rispetta la persona di ogni allievo ed offre strategie flessibili e adattabili alle esigenze degli studenti di tutte le fasce d’età.

La didattica metacognitiva entra in gioco anche quando ciò che impariamo proviene da fonti “alternative”, ma non per questo meno importanti, anzi per la loro vastità di informazioni, molto utili. Sto parlando di internet e della tecnologia come nuova fonte per l’apprendimento. Internet è un mondo così esteso da offrire a chiunque un ventaglio molto ampio di informazioni che consentono di accrescere l’emisfero cognitivo del bambino che, anche con questa modalità di apprendimento, impara ad imparare. Ovviamente la rete è anche un mezzo estremamente pericoloso per un bambino che può venire a contatto con realtà dalle quali è sempre meglio tenerlo lontano.

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E’ fondamentale, anche in questo caso, che ci sia un adulto, genitore o insegnante che possa insegnare a navigare in internet, che supporti il bambino e che sia in grado di giustificare e spiegare ogni informazione presente.

Navigare in internet, per i bambini, è un’opportunità per riconoscere ed applicare strategie e comportamenti adeguati, al fine di poter mettere in atto una critica costruttiva delle fonti a disposizione. L’orientamento alla rete, dunque, non è un’attività automatica, ma un’abilità metacognitiva che si riscontra nella capacità di monitorare componenti d’azione.

Imparare ad imparare a navigare diviene una meta-abilità che evolve con l’allievo e diviene il filo conduttore che lo guida ad un’assunzione di responsabilità positiva in merito alla sua navigazione in internet.

La persona nell’approccio alla navigazione deve per prima cosa orientarsi nel cyber spazio, poi pianificare ricerche e navigazioni finalizzate a raggiungere il suo scopo, infine, valutare utilità e trasferibilità delle informazioni.

I fruitori della rete devono essere messi in grado di attivare processi che li portino alla risoluzione autonoma delle problematiche e ad una tranquilla esplorazione dei contenuti presentati.In questo processo interagiscono l’area cognitiva, affettiva e metacognitiva in una produzione di sapere unitario.

Dobbiamo renderci conto, però, che non è solo internet a minacciare la serenità dei nostri bambini, c’è una serie di tecnologie sempre più evolute e a disposizione dei bambini e che rappresentano per loro un’arma a doppio taglio che può giovare e aiutare il loro apprendimento, oppure gravare terribilmente.

Riportiamo, a tal proposito, la frase di una docente molto importante: “Le nuove tecnologie diventeranno presto un’interfaccia utile, un prolungamento abitudinario del nostro corpo, come la televisione, la radio, il motorino, la macchina.” Prof.ssa Cucciarelli, L.-Emilia Romagna.

In accordo perfettamente con quanto afferma la Prof.ssa, credo che le nuove tecnologie dell’informazione e della comunicazione hanno aumentato la possibilità di accedere ad una vasta quantità d’informazioni ed altre risorse, rompendo delle barriere considerate, fino a poco tempo fa, insormontabili. Le competenze e l’utilizzo delle tecnologie avanzate rappresenteranno in futuro un elemento di fondamentale importanza in campo sociale ed economico, e anche in quello formativo ed educativo.

Per essere in grado di adattarsi alle nuove condizioni di vita e di lavoro che prevarranno nella società dell’informazione è necessario che l’individuo sia orientato ad una formazione continua per tutto l’arco della sua vita.

È per questa ragione che l’introduzione delle tecnologie dovrebbe essere integrato o inserito nel processo di evoluzione ed innovazione già esistente in ogni ambiente scolastico.

Per far questo agli stessi insegnanti deve essere data l’opportunità di sviluppare nuove esperienze di apprendimento e validi modi da cui partire per costruire il loro nuovo ruolo. Devono essere messi in grado di imparare ad utilizzare le tecnologie, devono avere un sufficiente accesso alle risorse e la possibilità di comunicare facilmente con i colleghi per uno scambio d’informazioni.

La scuola si trova al centro del processo d’innovazione. L’istruzione nelle scuole deve essere promossa sin da subito.

Gli studenti devono essere incoraggiati a scoprire e perfezionare le proprie capacità di conoscere-ricercare, capacità che utilizzeranno nel corso della loro vita.

Non solo arriveranno così a navigare in una massa d’informazione per estrarre le conoscenze necessarie, ma svilupperanno anche la capacità d’individuare le fonti d’informazione più appropriate con estrema facilità. Importante è anche l’apprendimento del senso critico nel valutare l’importanza delle informazioni trovate.

Le intelligenze multiple e il loro potenziamento per fini educativi 28

Le tecnologie comunque non hanno lo stesso effetto su tutti coloro che le utilizzano. Sarebbe impensabile ritenere che ogni singola persona ha un approccio identico alla realtà, a maggior ragione quando la realtà di cui parliamo è quella di internet.

I vantaggi delle nuove tecnologie nell’apprendimento sono comunque innegabili, in quanto aumentano la motivazione, facilitano l’apprendimento attivo ed esperenziale, attuano un approccio centrato sull’alunno, promuovono l’individualizzazione intesa come percorso personalizzato, promuovono un approccio cognitivo di tipo esplorativo, consentono la produzione e condivisione di materiali e prodotti ed offrono margini di creatività.

Tuttavia le tecnologie non devono essere considerate solamente di tipo informatico o mediale, bensì anche e soprattutto didattiche.

L’insieme delle tecnologie per la didattica è costituito da tutti quegli strumenti hardware e software, da tutte quelle tecnologie, che possono essere utilizzate per facilitare l’apprendimento degli alunni e l’insegnamento dei docenti.

Se utilizzate in modo appropriato all’interno dei processi di apprendimento, le tecnologie possono costituire un prezioso supporto per gli insegnanti.

Ovviamente gli strumenti tradizionali non vanno sostituiti, ma affiancati alle tecnologie, anzi integrati da esse. Le nuove tecnologie non sono strumenti neutri, che si possono affiancare agli altri per continuare a perseguire gli stessi obiettivi con le stesse metodologie. Occorre una rivoluzione dell’attuale modello scolastico.

Ci sono vari problemi che ostacolano ancora l’ingresso delle tecnologie nel campo dell’insegnamento scolastico. Primo tra tutti è che per usufruirne al meglio si presuppone l’esistenza di un corpo docente dotato delle competenze necessarie ad utilizzare le nuove tecnologie in ambito didattico, ed ad educare gli alunni a loro volta all’uso.

Fatte queste considerazioni possiamo sunque affermare che “imparare ad imparare” non basta. Bisogna fare in modo di imparare con amore per ciò che si apprende, solo così si potranno avere risultati efficenti. L’imparare potrebbe diventare pericoloso nel momento in cui diviene un obbligo e di obblighi ne abbiamo anche troppi, prima di tutti la scuola. Spesso la scuola mette in condizione d’imparare ad odiare l’imparare. Deve essere restituita ai bambini la gioia d’imparare, in modo da renderli soggetti consapevoli delle proprie attitudini, delle proprie capacità e al fine di sfruttare queste al meglio.

I bambini devono necesariamente imparare sempre cose nuove per stare al passo coi tempi e poter affrontare in modo giusto il domani.

Ma per prima cosa bisogna amare il fatto stesso d’imparare per avere i mezzi, per diventare un persona consapevole di fronte alle nuove informazioni ed esigenze a cui si è esposti. Per arrivare a questo è necessario che venga spiegato e non solo insegnato ai bambini, quindi venga spiegato a cosa serve ciò che si apprende.

Il docente deve saper appassionare gli alunni a quello che insegna, deve essere in grado di trasmettere il suo amore in quello che fa. Solo in questo modo il bambino non si limiterà ad imparare, ma anche a comprendere il perchè di ciò che fa, accrescendo il suo desiderio di conoscere, apprendere e imparare.

In conclusione possiamo affermare che imparare ad imparare è un modus vivendi, è un patrimonio di abilità relativo al “saper essere” ed investe il processo di sviluppo di ogni soggetto in età evolutiva e nell’ottica di una formazione continua.

L’apprendimento come processo attivo, ma con quale curricolo?

Una progettazione comune, capace di agire e invitare al fare, è una progettazione forte, che mira sostanzialmente a promuovere l’apprendimento, a schierarsi verso una didattica del fare.

Le intelligenze multiple e il loro potenziamento per fini educativi 29

Significa intendere l’apprendimento come un processo attivo di costruzione di:

• conoscenze,

• abilità,

• atteggiamenti.

E di rimando in un contesto di interazione dell’allievo con:

• gli insegnanti,

• i compagni,

• i media didattici.

Gentile in un saggio-articolo che di seguito riportiamo integralmente, offre spunti innovativi all’idea di motivare l’alunno ad apprendere, nel rispetto delle sue peculiarità e delle sue intelligenze prevalenti. Il saggio si apre con una riflessione: La domanda che molti insegnanti rivolgono a se stessi e ai loro colleghi è: come posso motivare i miei alunni ad apprendere? La domanda è indotta, spesso, dalla composizione marcatamente eterogenea delle classi. Queste, infatti, possono includere sia studenti capaci di attivare efficaci strategie di apprendimento, utilizzare bene le conoscenze già acquisite, regolare l’attenzione e l’impegno in rapporto alle difficoltà dei compiti, mostrare interesse, avere fiducia in sé, non scoraggiarsi di fronte alle difficoltà, non sperimentare sentimenti distruttivi in caso di errore o di fallimento sia studenti che, invece, elaborano i contenuti in modo superficiale, non hanno la forza di persistere di fronte agli ostacoli, manifestano una scarsa fiducia nelle loro capacità, affrontano i compiti e le attività scolastiche con poco impegno, serietà, piacere e scarso entusiasmo. Infine, anche studenti che possono alternare periodi di attenzione e partecipazione ad altri di distacco o scarsa applicazione, che in alcune circostanze dimostrano preparazione ed interesse mentre in altri momenti perdono la voglia di impegnarsi e di fare bene.

Un contesto di istruzione formato da allievi aventi queste caratteristiche pone inevitabilmente agli insegnanti delle sfide didattiche assai impegnative. Esso, inoltre, mette in grave crisi lo schema di insegnamento più comunemente usato fondato sulla sequenza spiegazione, studio individuale e verifica scritta ed orale.

La situazione di eterogeneità produce altri nodi critici.

Ad esempio come far interagire costruttivamente studenti capaci con studenti meno capaci? Come strutturare l’apprendimento tenendo presente che alcuni saranno in grado di portarlo a termine mentre altri faranno più fatica? Quali forme di istruzione dare agli studenti con scarso rendimento per migliorare la loro situazione scolastica promuovere un positivo concetto di sé? Come rendere significative le conoscenze da apprendere? Come suscitare curiosità attorno alle conoscenze scolastiche in coloro in cui il desiderio di conoscere si è spento o si è orientato verso temi e contenuti non scolastici?

L’articolo cerca di rispondere a questa serie di interrogativi in primo luogo prendendo in esame un costrutto psicologico di grande interesse e rilevanza educativa: la motivazione ad apprendere. Successivamente illustrando le due posizioni dominanti nell’ambito dello studio e della comprensione di questo argomento. Infine proponendo un insieme di opzioni didattiche elaborate alla luce di nozioni di natura motivazionale.

La motivazione ad apprendere può essere definita come il grado di impegno cognitivo investito per il raggiungimento di obiettivi scolastici (Johnson & Johnson, 1989).

Essa può anche essere intesa come il grado di “serietà” con cui un allievo tenta di affrontare gli impegni e gli obiettivi scolastici con lo scopo di:

• padroneggiare le conoscenze e le abilità piuttosto che fare il minimo e cavarsela;

• verificare apertamente lo stato delle proprie conoscenze piuttosto che cercare di portare a termine il

Le intelligenze multiple e il loro potenziamento per fini educativi 30

compito indipendentemente dall’essere sicuro di avere realmente appreso qualcosa (Johnson & Johnson,

1985).

Brophy e Kher (1986) hanno proposto di distinguere due tipi di motivazione ad apprendere: una che si manifesta come tratto di personalità e una che si manifesta come stato. Nella prima accezione il concetto si riferisce ad una disposizione generale che permette ad uno studente di percepire l’apprendimento come un’attività intrinsecamente valida e soddisfacente e quindi di impegnarsi in essa con lo scopo di padroneggiare le abilità e le conoscenze da acquisire. Lee e Brophy (1996) ipotizzano che gli studenti che abitualmente si impegnano nell’apprendimento tendono per lo più a sperimentare le attività come gratificanti in sé e a provare nei compiti o nello studio di una disciplina un gusto e un piacere intrinseci.

Intesa come stato, la motivazione ad apprendere spinge gli studenti ad impegnarsi nelle attività di classe e ad attivare le strategie richieste (Brophy & Kher, 1986), ma, di norma, non implica che i compiti debbano percepiti particolarmente interessanti e gratificanti in sé. Questo spiega perché molti studenti si impegnano in attività di cui non sperimentano un piacere intrinseco. Lee e Brophy (1996) ipotizzano che tali studenti tendano prevalentemente a vivere lo studio con un senso di dovere, di impegno e di responsabilità.

Lo studio e la comprensione della motivazione ad apprendere sono stati affrontati da due distinti approcci:

il cognitivista e il didattico-motivazionale. Tali approcci non sono necessariamente in antitesi.

La chiave di lettura per capire i fenomeni legati allo scarso rendimento scolastico è stata spesso la definizione e lo studio accurato dei processi cognitivi. Le ricerche si sono focalizzate, in particolare, su come gli studenti strutturano ed utilizzano le conoscenze durante l’apprendimento. In questo ambito, si è registrato un crescente interesse sull’uso efficace di strategie di apprendimento (Pintrich, Cross, Kozma, & Mc Keackie, 1986).

Gli studi sono stati estremamente importanti per la concettualizzazione dei processi di apprendimento; tuttavia il loro carattere di esperimenti rigorosamente controllati, con soggetti volontari e ricompensati, con compiti chiaramente definiti ha posto delle difficoltà di generalizzazione a contesti di apprendimento reali (Boekaerts, 1987; Pintrich & Schrauben, 1992).

A tale riguardo si è constatato ad esempio che, sebbene istruiti in training specifici, gli studenti fallivano ad applicare ai compiti scolastici le strategie e le conoscenze acquisite in laboratorio. I ricercatori si sono posti il problema di che cosa impedisse il transferimento delle conoscenze e delle abilità e se il fallimento fosse attribuibile solamente a fattori di natura cognitiva.

Per tale ragione si è affermata in anni recenti l’idea che un impegno scolastico caratterizzato dal desiderio di comprendere e padroneggiare i contenuti, si ottiene nella misura in cui si stabilisce una relazione positiva tra variabili motivazionali e cognitive (Pellerey & Orio, 1995). L’interazione tra queste variabili può facilitare o inibire i processi di pensiero e di conseguenza il rendimento scolastico.

L’approccio didattico-motivazionale sfida l’idea che la motivazione ad apprendere sia una disposizione personale degli studenti, rispetto alla quale si ritiene difficile intervenire. Gli insegnanti che condividono questa posizione, poiché pensano di avere uno scarso controllo sulla personalità dei loro allievi e concludono che il motivare ad apprendere non sia né un obiettivo da perseguire nel processo di istruzione né una competenza che può arricchire il loro patrimonio professionale. Tale atteggiamento rimanda agli studenti la responsabilità e la decisione di impegnarsi nelle attività scolastiche di apprendimento.

Una serie di principi generali possono guidare la pianificazione di interventi didattici motivazionali. Il primo di questi considera la motivazione come un obiettivo, la cui realizzazione è affidata alla responsabilità degli insegnanti, dei capi di istituto e degli esperti del curricolo di studio (Ames, 1992; Keller & Burkman, 1993; Wlodkowski, 1989). Sottostante a questo principio è l’assunzione che è senz’altro vero che gli insegnanti non

Le intelligenze multiple e il loro potenziamento per fini educativi 31

possono totalmente controllare la personalità di uno studente, ma che è altrettanto vero che un percorso di istruzione talvolta può demotivare alcuni studenti o motivarne altri e viceversa. Pertanto emerge la necessità di comprendere quali scelte didattiche possono creare ambienti di apprendimento motivanti. Il secondo principio considera la motivazione ad apprendere come un mezzo per raggiungere obiettivi di apprendimento. In questa prospettiva le acquisizioni sull’argomento sono utilizzate come il punto di partenza, una conoscenza base per sviluppare e selezionare forme di insegnamento motivanti. Il terzo principio intende considerare la motivazione ad apprendere come un elemento che può essere sistematicamente incluso nella pianificazione del processo di istruzione (Keller, 1987). Ad esempio un insegnante può motivare durante e alla fine di una lezione, può attuare strategie motivazionali prima di consegnare un compito, durante l’esecuzione, come nel momento della comunicazione dei risultati. Può, infine, dopo aver pianificato un’unità di istruzione, introdurre attività didattiche motivanti lungo tutto il suo sviluppo (Wlodkowski, 1989).

La realizzazione di questi principi ha prodotto un‘offerta di modelli di istruzione differenziati. Ames (1992), ad esempio, individua nell’organizzazione dei compiti, nelle modalità di valutazione e nel clima interpersonale i fattori ambientali che possono incidere significativamente sulla dimensione cognitiva e motivazionale dello studente. Marshall e Weinstein (1984) hanno suggerito, invece, un modello che include da una parte i fattori considerati, dall’altra tre ulteriori variabili viste come condizioni ugualmente determinanti: le strategie di riconoscimento dei risultati scolastici, la locazione del luogo di responsabilità dell’apprendimento e la qualità della relazione tra studenti ed insegnanti. Brophy (1987) ha indicato le seguenti condizioni come favorevoli allo sviluppo della motivazione ad apprendere: ambiente di sostegno, appropriati livelli di difficoltà dei compiti, obiettivi di apprendimento significativi, uso flessibile di tecniche e strategie didattiche.

MOTIVARE AD APPRENDERE

La pianificazione di un’istruzione efficace a favore di studenti con caratteristiche eterogenee richiede un impegno non indifferente. Le opzioni didattiche sono state organizzate in funzione del raggiungimento di un obiettivo generale che è quello di educare i ragazzi ad un livello permanente di motivazione ad apprendere cioè ad una capacità abituale di persistere nei propri compiti nonostante le difficoltà e gli ostacoli e di vivere la situazione di apprendimento come attraente ed interessante. Il raggiungimento di questo obiettivi implica la realizzazione di lezioni ed unità didattiche finalizzate a sviluppare negli studenti l’abilità di credere nelle proprie capacità personali, di condividere con altri l’impegno cognitivo di apprendimento, di scoprire connessioni tra le conoscenze nuove da acquisire e le proprie esperienze personali, di affrontare problemi complessi.

CONVINCERE I RAGAZZI CHE POSSONO FARCELA

Una delle nozioni più rilevanti che ha contribuito al miglioramento della qualità dell’istruzione è stato il riconoscimento dell’importanza di promuovere nei ragazzi un senso di fiducia nelle proprie capacità di apprendimento. L’assenza di interventi orientati in questa direzione può favorire una progressiva distruzione del senso di stima e di dignità personale che a sua volta può indurre sentimenti di inferiorità, di inadeguatezza e di mancanza di potere. L’attacco al valore personale emerge come conseguenza non solo dell’esperienza di fallimento vissuta durante le normali attività di apprendimento in classe ma anche, e ancora di più, dalla percezione di messaggi che si accompagnano a tale esperienza. Questi ultimi riguardano il modo con cui si è trattati, il valore attribuito a se stessi come persona, a ciò si è riusciti a fare e ad ottenere.

Alcuni messaggi di questo tipo possono essere trasmessi in modo non intenzionale. Ad esempio se durante le discussioni di classe l’insegnante è solito non sottolineare con enfasi i contributi dei suoi allievi, ma si limita ad intervenire soltanto per giudicarli in relazione a criteri di correttezza precedentemente definiti. E’ indubbio che in questo modo egli comunica un segnale di scarso apprezzamento e valore in maniera più o meno esplicita. Questo atteggiamento può minare l’interesse genuino dei ragazzi a partecipare con idee personali potenzialmente nuove ed originali in particolare quando sono incerte ed appena abbozzate o

Le intelligenze multiple e il loro potenziamento per fini educativi 32

opposte rispetto a quanto l’insegnante ritiene giusto.

Forme di pensiero diverse emergono come antecedenti significativi della motivazione ad apprendere. Esse possono nascere prima di intraprendere un’attività, di prendere una decisione, o a seguito di un’esperienza di successo o di fallimento: «…potrei farcela…», «…non ho qualità positive dentro di me…», «…sarò in grado di portare a termine questo compito…», «…se mi impegno con continuità posso sviluppare la mia intelligenza…», «…l’insegnante ce l’ha con me…», «…questa scuola è troppo difficile…» (Bandura, 1977; Bar-Tal, 1985; Harvey & Weary, 1984). La motivazione ad apprendere è, dunque, il risultato di convinzioni sviluppate nel tempo e riguardanti le proprie capacità scolastiche, le cause di successo e di fallimento e ciò che si ritiene importante realizzare durante lo svolgimento di un compito o l’acquisizione di un contenuto.

Attraverso quali scelte didattiche un insegnante può promuovere nei suoi studenti una fiducia positiva nelle proprie capacità di apprendimento?

FEEDBACK EDUCATIVI

I voti dati ad un compito scritto e i giudizi ad essi associati, la classificazione secondo una scala di giudizio e le valutazioni espresse verbalmente sono tutte forme di feedback. Sulla base di queste informazioni, i ragazzi si fanno un’idea del loro valore, dei margini che hanno di ulteriore miglioramento, del giudizio che di loro esprimono gli insegnanti.

Il contesto nel quale si applica il feedback educativo include l’emissione di una domanda, l’ascolto attento della risposta dello studente, la comunicazione del feedback secondo questo ordine: a) indicare gli elementi positivi contenuti nella risposta dello studente; b) indicare ciò che non va, e perché; c) indicare ciò che si può migliorare e che cosa si ha bisogno per migliorare; d) quantificare la prestazione. Così applicato il feedback assume una valenza positiva e viene dato nella prospettiva di confermare o di dare informazioni al fine di migliorare l’apprendimento dello studente.

Marzano e collaboratori (1992) suggeriscono che i feedback dovrebbero aiutare gli studenti a sviluppare positivi atteggiamenti circa la loro capacità di svolgere i compiti. In circostanze in cui un ragazzo ottiene un risultato positivo essi suggeriscono, ad esempio, di fare affermazioni del seguente tipo: «… il voto che hai ottenuto è stato dovuto al fatto che hai studiato molto … »; «… poiché sei ritornato indietro per verificare ciascuna delle risposte che hai dato, sei riuscito a dare più risposte corrette … ». Con la prima affermazione l’insegnante vuole rendere consapevole lo studente che la riuscita è da attribuire all’impegno che egli ha messo durante la preparazione del compito. Mentre con la seconda espressione, indica specificamente ciò che lo studente ha fatto per produrre il risultato positivo.

Un’altra modalità di ricevere feedback è di formare, alla fine di ogni settimana, piccoli gruppetti di tre o quattro studenti, con lo scopo di identificare i successi che ogni studente ha avuto e ciò che ha prodotto questo successo. I gruppetti componenti dei gruppetti dovrebbero riflettere e scrivere una lista di cause che hanno favorito la riuscita. L’insegnante a sua volta avrebbe il compito di raccogliere i risultati di questo lavoro e costruire un elenco generale di comportamenti e cause che hanno determinato il successo. Se ha dati sufficienti, può anche associare a ciascun comportamento i nomi degli studenti (Marzano et al., 1992).

I feedback educativi possono essere forniti anche a tutto il gruppo-classe. In questa prospettiva, Gentile e Ramellini (1998) ritengono che il monitoraggio settimana dopo settimana dello stato delle conoscenze degli studenti possa permettere all’insegnante di preparare interventi di integrazione, chiarimento, spiegazione e correzione.

Gli studiosi suggeriscono di concludere la settimana di lavoro con una verifica scritta individuale, della durata di circa 15 minuti, nella quale a ciascun ragazzo viene chiesto di dimostrare di aver appreso i contenuti della settimana. Sulla base della correzione delle verifiche, l’insegnante è in grado di accertare il livello di acquisizione dei contenuti da parte dei singoli allievi e dell’intero gruppo-classe, e quindi di decidere quali

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interventi migliorativi introdurre nel corso della prima lezione della settimana successiva. La lezione in cui viene somministrata la verifica individuale è definita di controllo, visto che la prova settimanale consente un’accurata diagnosi della classe, mentre la lezione della settimana successiva è definita migliorativa, dato

che prevede l’intervento del docente, per spiegare, integrare e approfondire il contenuto.

FAVORIRE INTERAZIONI POSITIVE

Specifiche condizioni di interazione sociale possono promuovere la motivazione ad apprendere in particolare, la strutturazione del processo di apprendimento basato sull’interdipendenza positiva di lavoro e sull’attività promozionale faccia a faccia degli studenti permetterebbe di accrescere negli allievi più alti livelli di impegno cognitivo.

Secondo Johnson & Johnson (1985, 1989), la motivazione ad apprendere può essere sviluppata da contesti di interazione interpersonale positivi: ossia, si può verificare una forte connessione tra obiettivi scolastici, processi interpersonali e motivazione ad apprendere. Mentre i primi sono oggettivi, esterni e proposti da un curricolo, la motivazione al loro raggiungimento può essere favorita da specifici contesti sociali di apprendimento. È attraverso l’incontro, lo scambio, la relazione con gli altri che lo studente impara a valorizzare l’apprendimento in se stesso e prova gratificazione per l’acquisizione della conoscenza e dello sviluppo delle sue capacità. Tra gli agenti motivanti all’apprendimento i compagni possono essere quelli che influiscono di più.

Quali procedure didattiche sono in grado di creare un’integrazione tra nozioni motivazionali, nozioni di interazione positiva e contenuti disciplinari? Attualmente si fa riferimento ad un approccio didattico-educativo costituito da un copro di principi ed obiettivi educativi e da un insieme di tecniche sviluppate da ricercatori ed insegnanti che permettono una conduzione della classe in piccoli gruppi cooperativi (Comoglio, 1996, 1998). Tra le tecniche ve ne sono alcune che intenzionalmente sono state sviluppate tenendo presenti nozioni di ordine motivazionale. Di seguito verranno date di ciascuna di esse una descrizione essenziale.

Student Teams Achievement Divisions

Lo Student Teams Achievement Divisions (STAD) è una tecnica che può essere applicata al contenuto di qualsiasi disciplina, purché ci sia la possibilità di preparare sia le prove di valutazione settimanali che i materiali e gli strumenti didattici (Slavin, 1988).

La tecnica si basa sulle nozioni motivazionali di ricompensa di gruppo, di pari opportunità di successo e di responsabilità individuale. Per “ricompensa di gruppo” si intende l’attribuzione di un voto al lavoro globale del gruppo intero e la sua pubblicizzazione attraverso un sistema di riconoscimento che rende visibile ciò che il gruppo ha saputo fare durante un periodo di lavoro. Per “pari opportunità” di successo si intende la possibilità di essere riconosciuti e di ricevere un premio in relazione al miglioramento che ciascuno è riuscito a conseguire rispetto alla prova di valutazione precedente. Questo principio sembra avere degli effetti positivi sia in termini di rendimento che in termini motivazionali. Avere pari opportunità di successo implica che sia gli studenti di alto, che quelli di medio e basso rendimento sono ugualmente sfidati a fare del loro meglio. Infine, il gruppo non è una situazione privilegiata per fare meno. Il successo finale di tutti come del singolo membro dipenderà da quanto ognuno si impegnerà “responsabilmente” non solo per assicurare il proprio apprendimento ma anche quello degli altri.

Lo STAD implica la conduzione di gruppi cooperativi di apprendimento lungo una sequenza di fasi:

• presentazione dei contenuti da apprendere,

• formazione dei gruppi,

• lavoro di gruppo,

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• calcolo e comunicazione dei risultati (Slavin, 1988).

Descrizioni riguardanti l’applicazione di questa tecnica nel contesto di scuola italiana si trovano in Gentile, Ellerani e Pavan (in stampa) e in Gentile e Romano (1997).

Descrizioni riguardanti l’applicazione di questa tecnica nel contesto di scuola italiana si trovano in Gentile, Ellerani e Pavan (in stampa) e in Gentile e Romano (1997).

Per rimanere in tema di procedure e potenziare le intelligenze, non si può non parlare dell’apprendimento basato sui problemi autentici, utili a solleticare, sviluppare e ampliare ogni aspetto cognitivamente inteso.

L’apprendimento basato su problemi autentici (ABAPA) è un approccio didattico che si focalizza sull’obiettivo di impegnare gli alunni in compiti di indagine e di soluzione di problemi complessi ed autentici. L’ABAPA si basa sull’idea che la costruzione della conoscenza nella vita di tutti giorni avviene mediante soluzione di problemi complessi in situazioni in cui le persone utilizzano strategie cognitive, fonti multiple di informazioni e altri individui come risorsa (Blumenfeld et al., 1991).

Le unità didattiche condotte secondo l’ABAPA strutturano il tempo di apprendimento degli alunni secondo unità inscindibili di conoscenza ed azione. Questo approccio può produrre la consapevolezza che l’azione dell’uomo si esplica costantemente in funzione del suo bisogno di conoscere ma anche che le conoscenze una volta acquisite si possono tradurre in realizzazioni pratiche (Fiorin, 1996). In questo senso l’ABAPA ha l’obiettivo di realizzare un rapporto armonico tra “fare” e “pensare”.

L’applicazione nella scuola di progetti di apprendimento basati sul concetto di ABAPA può rispondere al problema di come motivare gli alunni a riflettere su ciò che essi fanno e ad impegnarsi nella comprensione di principi e concetti chiave per la soluzione di problemi complessi. Gli studenti perseguono la soluzione domandando, ridefinendo il problema, dibattendo idee, facendo previsioni, pianificando piani di lavoro ed esperimenti, raccogliendo ed analizzando informazioni, giungendo a conclusioni, comunicando le loro idee e i loro sentimenti ad altri, ponendo nuove domande e creando realizzazioni pratiche cioè prodotti che sono il risultato di continue revisioni da parte degli studenti durante le fasi intermedie del lavoro (Blumenfeld et al. 1991).

Un’unità didattica strutturata in ABAPA implica la formulazione di un problema o di una domanda guida che serve ad organizzare le attività di apprendimento. Queste attività hanno come obiettivo la produzione di una serie di prodotti o “manufatti”, come Blumenfeld e collaboratori amano definirli, che culminano in un prodotto finale la cui funzione è quella di rappresentare la soluzione trovata durante la comprensione e lo studio del problema. Gli alunni mediante la creazione di manufatti costruiscono le loro conoscenze vivendo una stretta interdipendenza tra “fare” e “apprendere”. I manufatti rappresentano e sintetizzano la conoscenza che gli studenti hanno acquisito.

L’elemento di differenza tra un’unità didattica orchestrata secondo l’ABAPA e le attività usuali di apprendimento sta nel fatto che gli studenti apprendono conoscenze e scoprono informazioni in presenza di una domanda guida o problema autentico a cui è necessario trovare una soluzione. I progetti di ABAPA permettono di costruire una visione dell’apprendimento di tipo “reticolare” e mettono in discussione una visione esclusivamente “verbale” e “acorporale” dell’insegnamento introducendo elementi di un sapere pratico, manuale ed operativo (Maragliano, 1997). Inoltre espandono, la visione delle materie permettendo di scoprire i legami tra di esse e suscitando l’idea che le conoscenze acquisiscono un senso più ampio quando sono tradotte in realizzazioni pratiche. L’ABAPA immerge gi studenti in un ambiente di apprendimento realistico permettendo la creazione di un ponte tra studio condotto in classe e fenomeni della vita reale. Un’unità didattica condotta in ABAPA richiede agli studenti un impegno per periodi di tempo prolungati.

Le intelligenze multiple e il loro potenziamento per fini educativi 35

1.6 L’apprendimento come processo attivo, ma con quale curricolo?

1.6.1 Curricoli centrati sugli scopiUn buon curricolo ha il preciso scopo di sviluppare nell’alunno competenze.

Ma come possiamo definire la competenza?

Si può definire la competenza sotto diversi aspetti e in diversi ambiti:

• delle discipline pedagogiche e psicologiche;

• dell’organizzazione del lavoro e delle carriere;

• dell’orientamento e formazione professionale;

• dell’ambiente di lavoro.

Sul piano più generale come:

• la realizzazione di un compito da parte di una persona, livello di performance, il grado di riuscita individuale (Guilbert)

• il livello effettivamente raggiunto nell’esecuzione di un compito (Boscolo)

• la capacità professionale richiesta per assumere certe funzioni

• una virtualità la cui attuazione costituisce la performance

Progettare per competenze implica la necessità di potenziare:

• abilità: capacità di applicare conoscenze per portare a termine compiti e risolvere problemi

• conoscenze: fatti, principi, teorie relativi al settore di studio o di lavoro

Afferma D. Bertocchi: La competenza è “l’insieme delle capacità sottese che permettono di agire in modo efficace su dati, informazioni, modelli e procedure rispetto a un contesto specifico. Le azioni possono essere poste a obiettivo dell’apprendimento e in questo senso sono definibili in termini operativi verificabili, misurabili e certificabili”.

Una competenza è raggiunta quando saperi e saper fare diventano patrimonio di un individuo e vengono spontaneamente applicati alla soluzione di problemi di varia natura.

Quindi, per parlare di competenza, è necessario uscire dall’ambito disciplinare e individuare applicazioni

esterne alla materia interessata.

Ogni progetto in fase di stesura, dovrà considerare:

Le competenze cognitive disciplinari, professionali

• Acquisire i concetti e gli strumenti di base di una disciplina (es. lettura di carte geografiche)

• Acquisire e organizzare i contenuti secondo corrette impalcature concettuali

Competenze metacognitive

• Consapevolezza e controllo dei propri processi di apprendimento

Le intelligenze multiple e il loro potenziamento per fini educativi 36

• Abilità di studio: imparare a imparare

• Compilazione della conoscenza (dichiarativa e procedurale)

• Competenze trasversali (strategiche)

• Prendere decisioni, Diagnosticare, Relazionarsi

• Affrontare e risolvere problemi

• Sviluppare soluzioni creative, curare il proprio successo formativo

• Inserirsi nel mondo del lavoro, interessarsi alla società

• Curricoli centrati sugli scopi a sottolineare la costruzione come deduzione

• a partire dalla scelta dell’esito finale dell’azione formativa

1.6.2 Curricoli centrati sulla misurazione dei risultatiCurricoli centrati sulla misurazione dei risultati nei quali il percorso formativo è calibrato sul perseguimento di standard.

1.6.3 Curricoli centrati sulla conoscenzaCurricoli centrati sulla conoscenza che assumono le discipline come criteri guida della progettazione, pianificazione realizzazione e valutazione del percorso scolastico.

1.6.4 Curricoli centrati sull’esperienza di apprendimento

Curricoli centrati sull’esperienza di apprendimento nei quali la dimensione della relazionalità e del

coinvolgimento vengono considerate qualità essenziali per il successo formativo.

1.7 Progettare per intelligenze prevalentiProgettare attività che potenzino le intelligenze è possibile. Di seguito analizzaremo un progetto di formazione, aggiornamento e sperimentazione realizzato dal Comune di Schio, con la collaborazione del Centro di Ricerche sul Linguaggio e l’Educazione e di Amica Sofia. In grassetto gli indicatori o la struttura realizzata, ne lascia trapelare l’attenzione e la cura.

PREMESSA

Il seminario segna l’avvio di un progetto di formazione, aggiornamento e sperimentazione con applicazione della teoria delle Intelligenze Multiple nelle scuole primarie e secondarie di 1° grado di Schio.

REFERENTI DEL PROGETTO: prof. Agostino Roncallo e prof. Livio Rossetti

Il progetto prevede la collaborazione delle Associazioni:

• Crle - Centro di Ricerche sul Linguaggio e l’Educazione (referente: prof. A.Roncallo, docente SIS di Sociologia - Università di Torino);

• Amica Sofia – Filosofore con i bambini e con i ragazzi, articolazione interna della Società Filosofica Italiana

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– Presidente Prof. Livio Rossetti (referente prof. L.Rossetti, docente di Filosofia – Università di Perugia).

• Altri docenti coinvolti nel progetto di formazione, aggiornamento e sperimentazione sono:

• Pina Montesarchio, docente a tempo indeterminato presso II Circolo Didattico “G.Mazzini” Frattamaggiore Na, Teacher Esperto Philosophy For Children, membro attivo del Direttivo nazionale di AmicaSofia, cultrice di Metodologia dell’Insegnamento Filosofico presso l’Università di Padova,

• Linda Meneghin, Rossana De Masi e Alessandra Freschini (docenti-ricercatori del Crle).

ATTIVITÀ

Il progetto prevede per l’anno scolastico 2007/2008:

• un incontro di formazione e aggiornamento aperto a tutti gli insegnanti della scuola primaria e secondaria di 1° grado sul tema delle “Intelligenze multiple” (10 novembre 2007);

• un incontro pubblico divulgativo sul tema delle “Intelligenze multiple” (11 novembre 2007) rivolto a genitori ed operatori del settore (Associazioni che collaborano con i Servizi educativi e l’Ufficio Città dei Bambini del Comune di Schio). Questo incontro aggiuntivo è realizzato nella convinzione della necessità di una formazione diffusa e ad ampio raggio sull’argomento. Crediamo, infatti, difficile e poco efficace sperimentare nuovi approcci didattici senza una pari consapevolezza delle famiglie e degli altri operatori del settore. Riteniamo fondamentale, infatti, che i bambini ed i ragazzi ricevano stimoli da tutte le agenzie educative (scuola, famiglia, associazioni formative che operano nei contesti extra-familiari). Consideriamo inoltre essenziale, per sostenere gli sforzi degli insegnanti in questo senso, ottenere la condivisione e il sostegno delle famiglie rispetto a questi approcci innovativi, ma sperimentali.

ARGOMENTI PRESENTATI NEGLI INCONTRI

• La Teoria delle “intelligenze multiple”.

• Cenni ad alcuni temi di lavoro che ben sintetizzano il significato di una didattica “delle intelligenze”: i temi della diversità, degli approcci al sapere, delle molteplici rappresentazioni della conoscenza, delle esperienze collaborative.

• L’importanza della soggettività, dell’oralità, delle emozioni e della scoperta.

• Alcuni scenari didattici e proposte per la sperimentazione nelle classi.

IL CONTESTO E LE FINALITÀ

Vi sono nuove sofferenze che, da qualche tempo, sembrano affliggere la scuola italiana. Mai come nel corso del 2007 i quotidiani hanno diffuso notizie sul bullismo e la violenza giovanile. Sono questi, forse, solo casi estremi, rispetto a un diffuso e tangibile “disamore” nei confronti delle scuole, dei libri, della conoscenza. Le ragioni per cui i giovani trovano difficoltà a “dare un senso” al loro vivere scolastico sono oggi molteplici: servono dunque. proposte in grado di colpire la fantasia dei più giovani, ossia proposte commisurate ai sogni, ai desideri, alle insicurezze. Riteniamo che una delle finalità educative più importanti oggi sia quella di creare le condizioni affinché i bambini, i ragazzi, possano ritrovare un legame con il mondo della conoscenza: un legame affettivo perché, per loro, il “senso” è nelle cose che si desiderano e che si sentono proprie. Il legame è un senso di appartenenza per tutto ciò che, per la prima volta, entra nel mondo del “conosciuto”. Ci si chiede come fare, quali strategie adottare per accorciare le distanze e riavvicinare i giovani al sapere. Le esperienze sulle “intelligenze multiple” hanno mostrato che non esiste un’unica strada maestra verso la conoscenza, ma molti sentieri ancora da tracciare. Noi viviamo dentro pratiche dialogiche: le parole che usiamo costruiscono la realtà, e non viceversa. Prendiamo dunque un piccone, noi maestri e voi bambini, per “scavare” quelle parole ed estrarne significati. Tutti coloro che percorrono quei sentieri sono esseri altrettanto multipli: vivere nel dialogo è impossibilità di continuare a essere ciò che si è, è vivere un atteggiamento interrogativo,

Le intelligenze multiple e il loro potenziamento per fini educativi 38

dubitativo come il solo che permetterà di entrare in una reciproca dimensione di ricerca. C’è un’istanza di fondo da condividere: “Anche se sono piccolo posso pensare”. Nelle esperienze proposte, ci sono bambini e ragazzi che si accorgono di poter pensare e, a quel punto, non vorrebbero più staccarsi dai loro pensieri. Ne sono gelosi, come è giusto. La conoscenza non é patrimonio degli adulti, appartiene anche e soprattutto a loro. Negli scenari proposti il pensiero ha inizio dalla “parola”, ma non una parola lontana, bensì una parola in cui identificarsi, anche attraverso l’esercizio della metafora. Dalla “parola”, porte di accesso alla conoscenza, nasce la “domanda”, che di quella conoscenza è il motore.

GLI OBIETTIVI GENERALI

1. Creare nel gruppo la consapevolezza di essere una comunità di ricerca…

2. che sviluppa capacità di comunicazione interpersonale…

3. nel rispetto delle diversità…

4. dove ogni bambino o ragazzo attivi e incrementi la capacità di trovare il “senso” che è nelle parole.

LE ABILITÀ COGNITIVE

1. Di investigazione e ricerca (osservare, descrivere, narrare)

2. Di ragionamento logico e analogico

3. Di elaborazione (definire, classificare)

4. Di traduzione (comprendere, scrivere, ascoltare)

LE MODALITA’

Gli “scenari” didattici che seguiranno, richiedono che insegnanti e allievi ragionino assieme: ci sono temi in cui non contano molto le differenze di età e di istruzione. Il dialogo ha qui un ruolo importante. Si tratta di un dialogo inteso come “pensiero riflessivo”, cioè come paziente lavoro “di scavo” delle parole: in un tempo in cui non si ha più tempo per pensare, si rischia di perdere il tempo del dialogo, che richiede invece calma e non è economico. L’interpretazione, la ricerca del “senso” che è nelle cose, è un processo costante, ermeneutico, fondato sull’ascolto reciproco: è infatti ascoltandosi che le parole si possono mettere a confronto, si possono soppesare, fino a trovare connessioni e significati nuovi, inattesi. Non è improprio, né eccessivo, neppure per gli adulti, sorprendersi per una nuova scoperta: è forse, proprio questo, ciò che più conta in una relazione educativa. La conoscenza nella scuola può apparire a volte un fatto scontato: ma non è più così ogni volta che si prende una parola, la si guarda da più angolazioni, la si rapporta al proprio Io e alla propria esistenza. Ci si accorgerà allora che parole e concetti nascondono una pluralità di significati: sono “significanti” per ciò che, in potenza, possono diventare. Scoprire un significato, raccontarlo, metterlo a disposizione degli altri, non é un’operazione “neutra”: noi siamo nelle nostre parole e ciò equivale a dare ogni volta qualcosa di noi stessi. Occorre trascrivere, raccogliere e custodire gelosamente ogni nuova scoperta.

GLI SCENARI

Gli “scenari” sono percorsi operativi (unità di apprendimento) articolati intorno alle “parole da esplorare” che saranno oggetto delle attività di esplorazione e delle “domande senza risposta” che saranno utili ad animare il dialogo filosofico. Tali scenari potranno essere proposti, in forme diverse, sia nelle scuole elementari sia nelle scuole medie.

Scenario n.1: ALL’INTERNO DEL TESTO

Parliamo del PESCATORE DI CEFALU’ di Gianni Rodari

1. Le parole “da esplorare”: PROMESSA – FORTUNA

2. Le domande “senza risposta”:

Le intelligenze multiple e il loro potenziamento per fini educativi 39

2.1 Per quale scopo è stato scritto il racconto che hai appena letto? Perchè si scrive?

2.2 All’inizio della storia il bambino fa una promessa al pescatore. Quale? La promessa ci toglie la libertà? La promessa è un obbligo?

2.3 Perché il pescatore non vorrebbe tenere con sé il bambino? Ci sono buone ragioni per rifiutarsi di aiutare una persona che ha bisogno?

2.4 Qual è il motivo per cui il pescatore fa una pesca prodigiosa? Cos’è la fortuna? Esiste la fortuna?

2.5 Che cosa significa la parola “fino” nella frase: «Le reti si riempivano di pesce fino»? Che forma ha la qualità?

2.6 Cosa vuol far capire il bambino al pescatore quando gli dice: «Bada che quel che è stato fatto si può disfare»? Si può tornare indietro nel tempo? Possiamo correggere i nostri errori ritornando a un attimo prima di sbagliare?

Scenario n.2: IMPARARE LA LINGUA

Parliamo della PUNTEGGIATURA

1. Le parole “da esplorare”: PUNTO – VIRGOLA – PUNTO ESCLAMATIVO – PUNTO INTERROGATIVO

2. Le domande “senza risposta”:

2.1 Che cos’è un punto? Che cos’è una virgola?

2.2 A cosa serve un punto? A cosa serve una virgola?

2.3 C’è qualcosa nella vita di tutti i giorni che svolge lo stesso ruolo che i punti e le virgole svolgono nel libri e nei quaderni?

2.4 Questo “qualcosa” che hai trovato in cosa assomiglia ai punti e alle virgole?

2.5 Cosa succederebbe se non esistessero punti e virgole?

2.6 Oltre a punti e virgole, quali altri “punti” conosci?

2.7 Sei certo che i “punti” che conosciamo bastino per parlare o scrivere o bisogna aggiungere di nuovi?

2.8 Se hai trovato un nuovo “punto”, sapresti dire quale utilità ha?

2.9 Come lo chiameresti? Sapresti utilizzarlo scrivendo un breve testo?

Scenario n.3: La VERITÀ

Parliamo DI CIÒ CHE E’ VERO E CIÒ CHE È FALSO

1. Le parole “da esplorare”: Verità, bugia,

2. Le domande “senza risposta”:

2.1 Che cos’è la verità?A cosa serve? Dove si trova?

2.2 Quando una persona dice la verità?

2.3 A cosa servono le bugie? Perché si dicono le bugie?

2.4 Come ci si accorge se una persona dice la verità o una bugia?

2.5 Esisterà mai un mondo di sole verità e senza bugie? Se sì cosa bisogna fare per costruirlo? Se no, perché?

2.6 In che modo si possono eliminare le bugie?

Le intelligenze multiple e il loro potenziamento per fini educativi 40

Scenario n.4: LA MATEMATICA

Parliamo de LA MATEMATICA E DEI PROBLEMI

1. Le parole “da esplorare”: PROBLEMA, DIVISIONE, SOTTRAZIONE

2. Le domande “senza risposta”:

2.1 Che cos’è un problema?

2.2 Quando e dove capita di incontrare un problema?

2.3 Che cos’è una divisione?

2.4 A cosa serve dividere?

2.5 Cosa significano le parole SOTTRARRE E TOGLIERE?

2.6 Quando e dove bisogna togliere qualcosa?

2.7 È giusto o sbagliato dividere?

2.8 È giusto o sbagliato togliere?

1.8 Strategie metodologiche utili e innovativeLEARNING BY DOING

DEFINIZIONE: apprendimento attraverso il fare, attraverso l’operare, attraverso le azioni.

OBIETTIVI: Gli obiettivi di apprendimento si configurano sotto forma di “sapere come fare a”, piuttosto che di “conoscere che”; infatti in questo modo il soggetto prende coscienza del perché è necessario conoscere qualcosa e come una certa conoscenza può essere utilizzata.

AZIONI IMPIEGATE: Organizzare Goal-Based-Scenarios (GBSs), cioè simulazioni in cui il corsista persegue un obiettivo professionale concreto applicando ed utilizzando le conoscenze e le abilità funzionali al raggiungimento dell’obiettivo. Dovrà trattarsi di un obiettivo in grado di motivarlo ed indurlo a mettere in gioco le sue conoscenze pregresse creando una situazione ideale per l’integrazione delle nuove conoscenze.

FINALITA’: Migliorare la strategia per imparare, ove l’imparare non è il memorizzare, ma anche e soprattutto il comprendere.

PROJECT WORK

DEFINIZIONE: E’ un progetto professionale realizzato in aula dai corsisti al termine di un ciclo di lezioni.

OBIETTIVI: Consolidare negli allievi competenze integrate di general menagement e favorire l’imprenditorialità, intesa come competenza manageriale e sociale.

AZIONI IMPIEGATE: Gli allievi, in maniera autonoma, divisi in gruppi e col supporto dei docenti, sviluppano un progetto aziendale, applicando e collegando le tecniche, le conoscenze e le competenze acquisite in aula ed esprimendo nuove potenzialità, nuove risorse e nuovi talenti.

FINALITA’: Analisi ragionata di una data esperienza, in situazione di lavoro, volta all’individuazione di criticità e di punti di forza al fine di sviluppare le proprie competenze e di migliorare le proprie prestazioni lavorative.

RIFERIMENTI: Pier Giovanni Bresciani e Daniele Callini (a cura di) Personalizzare e individualizzare.

Strumenti di lavoro per la formazione.

ROLE PLAYING

Le intelligenze multiple e il loro potenziamento per fini educativi 41

DEFINIZIONE: Gioco di ruolo.

OBIETTIVI: Far emergere non solo il ruolo, le norme comportamentali, ma la persona con la sua creatività.

AZIONI IMPIEGATE: In un clima collaborativo, rilassato, accogliente si organizza l’attività di role playing, che si articola in quattro fasi: -Warming up: attraverso tecniche specifiche (sketch e scenette, interviste, discussioni,ecc..), si crea un clima sereno e proficuo. -Azione: i corsisti sono chiamati ad immedesimarsi in ruoli diversi e ad ipotizzare soluzioni. -Cooling off: si esce dai ruoli e dal gioco, per riprendere le distanze. -Analisi: si analizza, commenta e discute ciò che è avvenuto.

FINALITA’: Potenziare la creatività individuale

RIFERIMENTI: Maurizio Castagna Role playing, autocasi ed esercitazioni psicosociali. Come insegnare comportamenti interpersonali Franco Angeli, Milano 2002

OUTDOOR TRAINING

DEFINIZIONE: “Trasportarsi all’esterno“, venir fuori.

OBIETTIVI: Sviluppare nei gruppi di lavoro l’attitudine necessaria a lavorare in modo strategico, coinvolgendo gli allievi in un ambiente e in situazioni diverse da quelle quotidiane, costringendoli a pensare e ad agire fuori dai normali schemi mentali e comportamentali.

AZIONI IMPIEGATE: Dopo aver presentato al gruppo delle ”sfide“ (problemi operativi di difficile soluzione), si analizzano le modalità con cui sono state affrontate, simulando un contesto lavorativo reale. L’obiettivo è far emergere i punti di forza e di debolezza del singolo e del gruppo in un contesto privo delle pressioni e dei condizionamenti quotidiani.

FINALITA’: Affinare le strategie per imparare a risolvere problemi complessi utilizzando anche schemi operativi fuori dall’ordinario. Potenziare l’autostima e la conoscenza di sé.

BRAIN STORMING

DEFINIZIONE: “Tempesta nel cervello”. Consente di far emergere le idee dei membri di un gruppo, che vengono poi analizzate e criticate.

OBIETTIVI:

1. la capacità di produrre molte idee, diversificate ed insolite;

2. l’interazione fra le persone;

3. l’interazione dello sforzo di ciascuno con quello di un altro.

AZIONI IMPIEGATE: Le azioni si possono così schematizzare:

• la definizione e la scomposizione del problema;

• l’identificazione degli interventi che richiedono un’analisi con risoluzioni di tipo creativo e quelli che richiedono interventi di tipo tradizionale;

• la produzione delle nuove idee;

• la decisione e la valutazione delle idee (per queste due ultime fasi i gruppi non devono superare le 6/10 unità e nel loro interno essere molto eterogenei) - stesura di un verbale in cui le idee vengono valutate in termini di attuabilità, convenienza e compatibilità con l’azienda per cui si simula il lavoro.

FINALITA’: Migliorare la creatività, in quanto si vuole far emergere il più alto numero di idee, fattive e realizzabili, posto un argomento dato. Favorire, inoltre, l’abitudine a lavorare in team e a rafforzarne le potenzialità.

Le intelligenze multiple e il loro potenziamento per fini educativi 42

PROBLEM SOLVING

DEFINIZIONE: L’insieme dei processi per analizzare, affrontare e risolvere positivamente situazioni problematiche.

OBIETTIVI:

1. cercare la responsabilità di una situazione problematica per velocizzare la risoluzione del problema dato;

2. trovare la soluzione e rendere disponibile una descrizione dettagliata del problema e del metodo per risolverlo;

3. anche se non si è trovata la soluzione è comunque importante dettagliare bene il problema e descrivere

accuratamente i passi da seguire affinché il problema si ripresenti.

AZIONI IMPIEGATE

Le azioni possono essere così schematizzate:

Focalizzare creare un elenco di problemi

• selezionare

• verificare e definire il problema

• descrizione scritta del problema

Analizzare

• decidere cosa è necessario sapere

• raccogliere i dati di riferimento

• determinare i fattori rilevanti

• elenco dei fattori critici

Risolvere

• generare soluzioni alternative

• selezionare una soluzione

• sviluppare un piano di attuazione

• scelta della soluzione del problema

• piano di attuazione

Eseguire

• impegnarsi al risultato aspettato

• eseguire il piano

• monitorare l’impatto durante l’implementazione

• impegno organizzativo

• completare il piano

• valutazione finale

FINALITA’: Migliorare le strategie operative per raggiungere una condizione desiderata a partire

Le intelligenze multiple e il loro potenziamento per fini educativi 43

da una condizione data.E- LEARNING

DEFINIZIONE: L’ E-LEARNING o teledidattica è un settore applicativo della tecnologia informatica, che utilizza il complesso delle tecnologie di internet (web, e-mail, FTP, IRC, streaming video, ecc…) per distribuire online contenuti didattici multimediali.

OBIETTIVI: Gli obiettivi dell’ E- LEARNING rispecchiano le quattro principali caratteristiche della formazione on-line:

• Modularità: il materiale didattico deve essere composto da moduli didattici, chiamati anche Learning Object (LO), in modo che l’utente possa dedicare alla formazione brevi lassi di tempo (15/20 min.), personalizzando così tempi e modalità di approccio ai contenuti.

1.9 Esperienze condivise: dall’idea al progetto A scuola di scrittura

L’ipotesi da cui muove il percorso è che, facendo leva sulle potenzialità inventive dei fanciulli e proponendo input per l’invenzione di storie a partire da racconti esistenti, divisi per genere letterario, si possano stimolare, insieme, la loro fantasia e la loro curiosità e si possa avvicinarli al piacere della lettura, rendendoli lettori non ingenui ma esperti, capaci cioè di giudizio.

Il gioco è duplice. Da una parte si punta a attivare l’immaginazione e le capacità creative, dall’altra si propone una sfida di tipo emulativo con un racconto di cui si dà solo un accenno, enucleando, di volta in volta uno

degli elementi tipici della scrittura di un racconto (titolo, narratore, personaggio, ambiente).

Questo input serve ad incuriosire il fanciullo alla lettura e ponendolo in una condizione di confronto che induttivamente può sollecitare l’acquisizione di abilità di comprensione e di analisi del testo.

Questo tipo di approccio si avvicina, per alcuni aspetti, alle tecniche della scrittura creativa, e consente perciò la libera espressione tanto delle capacità fantastiche quanto dell’universo di valori e di problemi tipici dell’età pre-adolescenziale.

Nello stesso tempo abitua a pensare, a progettare un testo narrativo e a porsi il problema della sua efficacia sia in ordine alla coerenza complessiva del racconto sia in relazione alla strategia con cui viene proposto il messaggio che si vuole giunga al lettore.

Il fanciullo, divenendo autore e confrontando poi il suo prodotto con quello di un vero autore, affronta in modo attivo il problema dell’ideazione, delle tecniche narrative, della scrittura, entra nell’”officina” dello scrittore e ne comprende i trucchi, i segreti, perdendo così il distacco, la reverenza, il senso di difficoltà che spesso prova nei confronti di un testo letterario. Può imparare, insomma, a cooperare attivamente alla lettura; può imparare a criticare.

Questo tipo di lavoro può essere svolto a livello individuale ma si consiglia la modalità del lavoro di gruppo, e in modo particolare dalla scuola Primaria, deputata a livello ministeriale a insegnare la componente strumentale segnica e simbolica della lingua scritta.

I racconti, come le poesie, le filastrocche, le fiabe possono essere scritte in tal modo, la struttura del testo, verrà studiata ed approfondita come se vi fosse uno staff di redazione.

Anche nel mondo dell’editoria i ruoli sono ben definiti, dal grafico al correttore delle bozze al disegnatore a colui che impagina e mette nelle mani dell’editore l’opera, prima che venga stampata e pubblicata.

Le intelligenze multiple e il loro potenziamento per fini educativi 44

La procedura laboratoriale terrà conto del metodo didattico sperimentale leggo racconto scrivo monitorato dalla cattedra di Pedagogia Sperimentale e la cattedra di storia della letteratura giovanile dell’Università degli Studi di Bari e condotta dalla stessa autrice: Dott.ssa Forina Maria.

La scelta della scrittura creativa abbraccia numerose motivazioni di ordine:

• motivazionale, quindi psico-emotivo. Un laboratorio di scrittura creativa è un’opportunità per sviluppare il piacere di scrivere perché si innesta su esigenze affettive e creative. “Il giocare con le parole e con i testi consente ai bambini di esprimersi utilizzando contenuti legati al loro mondo interiore, eprimere in modo originale la propria idealità, assegnare alla scrittura uno scopo e sentire significativa la scrittura scolastica” (indire formazione DL59 lab. Scrittura Creativa). Diventa un fattore importante per l’autoconoscenza e l’autostima.

• Espressivo, quindi linguistico-comunicativo-relazionale. Un laboratorio di scrittura non può prescindere dalla lettura. Entrare nella profondità dei testi letti significa “ascoltare la propria voce e le voci altrui”, riconoscere parti di sé ed imparare a comunicarle, restituire alla parola la sua accezione più profonda: la potenzialità espressiva.

• Cognitivo, legate alla maturazione di processi cognitivi creativi e del pensiero divergente. Educare la creatività significa operare consapevolmente con i processi del pensiero divergente, in questo caso, attraverso il medium linguistico. Ossia allenare la mente, lavorando su testi o/e parole, in processi che caratterizzano la strutturazione di questo pensiero, consentendo di sviluppare le capacità creative ed applicarle ai vari contesti di vita. Il pensiero creativo non è da intendersi slegato dal pensiero convergente o logico-paradigmatico ma piuttosto una loro combinazione. Nelle operazioni che riguardano la sfera linguistica, ad esempio, per operare trasformazioni originali, è necessario padroneggiare le strutture, manipolarle creativamente e trasformarle in nuove strutture originali, ma coerenti e coese poiché possano essere comunicate.

• Socio- culturale, mirate a implementare abilità linguistiche in un contesto sociale che privilegia la fruizione di immagini. Una buona competenza linguistica, intesa anche come competenza lessicale e semantica, favorisce fruizione e comunicazione consapevoli e, di conseguenza, l’arricchimento della propria vita sociale.

FINALITA’

Educative

Valutare e rispettare il contributo altrui.

Sviluppare abilità di ascolto.

Potenziare la collaborazione e l’esperienza individuale.

Potenziare l’autoconoscenza e l’autoconsapevolezza.

Potenziare l’autostima e il senso di responsabilità.

Cognitive

Sviluppare il pensiero divergente.

Combinare pensiero divergente e pensiero convergente.

Utilizzare capacità di osservazione.

Utilizzare capacità immaginifiche.

Potenziare la capacità di visualizzazione.

Le intelligenze multiple e il loro potenziamento per fini educativi 45

Linguistiche

Potenziare le abilità espressive e comunicative.

Avere consapevolezza degli strumenti linguistici acquisiti.

Amare la lettura e la scrittura.

PIANIFICAZIONE DEL PERCORSO

Il percorso si articolerà in tre sezioni da differenziare in base all’età, ai prerequisiti dei bambini e alle unità di apprendimento programmate. Nelle classi del primo ciclo e nel primo biennio della scuola secondaria di I grado, si darà priorità ai giochi linguistici e alle attività miranti a sviluppare capacità di attenzione, ascolto e costruzione delle strutture testuali di base.

Inoltre si procederà a realizzare una vera collana editoriale giovanile costruita ed elaborata con i bambini, che punterà a invigorire la parola, il linguaggio orale e scritto.

Modulo narrativo

Definizione dello scopo.

Elementi e strutture di base della narrazione.

Sottotipologie.

Invenzione di storie.

Completare storie.

Contaminazioni di storie.

Manipolazione attraverso inversioni, elementi casuali, cambio di punti di vista,cambiamento di un elemento strutturale.

Inserimento di parti dialogate e /o descrittive. Mudulo descrittivo.

Definizione dello scopo.

Connotazione e denotazione.

Funzione di aggettivazioni e sinonimie.

Strutture spaziali e temporali.

Osservazione guidata.

Visualizzazione.

Dati sensoriali.

Descrizione di elementi, persone, ambienti, fenomeni.

Uso di linguaggi figurati.

Manipolazione attraverso inversioni (contrari).

Manipolazione attraverso la connotazione lessicale.

Modulo poetico.

Definizione dello scopo.

Elementi e strutture di base del testo poetico: verso, strofa.

Il ritmo: rima, onomatopea, allitterazione.

Le intelligenze multiple e il loro potenziamento per fini educativi 46

Connotazione e denotazione.

Funzione dell’aggettivazione.

Funzione dei dati sensoriali

I linguaggi figurati: similitudine, metafora, personificazione, sinestesia,ossimoro.

Fruizione e parafrasi.

Manipolazione attraverso il ricalco.

Invenzione di testi poetici.

Giochi di suono e di senso.

Il laboratorio di scrittura creativa proposto, è suddiviso per livelli allo scopo di avviare un processo di ricognizione linguistica che passa dalle emozioni, alle origini della scrittura, alla composizione testuale. Scopo di fondo, richiamare diverse discipline, e potenziare tutte le intelligenze.

Per questioni esplicative, si riporta il solo modulo legato alla fiaba, anche se di seguito sono elencati tutti gli argomenti che nel progetto sono stati trattati.

BENVENUTO NEL MONDO DELLE FIABE

• Struttura della fiaba – LA BUSSOLA NARRATIVA

• Per scrivere una fiaba…

• Libro degli incantesimi

• Il libro dei simboli

• A scuola di alchimia: A tu per tu con gli elementi

BENVENUTO NEL MONDO DEL RACCONTO

• Il protagonista

• Descrizione diretta e indiretta

• L’ambiente

• Il tempo

• Il problema

• A scuola di strategia

BENVENUTO NELLE PAGINE DEL RISO

• Perché si ride

• Forme di comicità

• La comicità nelle parole

BENVENUTO NEL MONDO DELLE FAVOLE

• Identikit della favola

• L’ insegnamento morale

• Modi di dire

ALLA SCOPERTA DEL MITO E DELLA LEGGENDA

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• La fenice

• L’unicorno

• Il basilisco

• La fata

• L’elfo

• Squac

• Troll

• Centauro

• Leggenda popolare, metropolitana, storica.

COME NASCE UN LIBRO

Realizzazione di una collana, attraverso uno staff di redazione

Viaggio nel mondo della carta stampata.

TEMPI

Il progetto, che coinvolge i bambini delle scuole primari e dell’ultimo anno della scuola dell’infanzia sarà realizzato durante l’intero anno scolastico con incontri periodici. Ogni classe coinvolta lavorerà per due ore settimanali, preferibilmente al pomeriggio in orario extrascolastico.

BENVENUTO NEL MONDO DELLE FIABE

INTRODUZIONE:

Se con me vorrai giocare

Al mio rito dovrai sottostare

Senza indugi e senza inganni

Per non avere mai malanni!

Malanni di pensiero

Perché ti insegno un metodo vero

Per comporre allegramente

Da solo o in compagnia

Ogni desiderio e ogni follia.

Segui attento ogni mio passo

E non inciamperai in nessun passo.

RITO – (RECITATO DA UNA DOCENTE, SUCCESSIVAMENTE DA UN ALUNNO CHE APRE I LAVORI)

SOGNI E RISOGNI

I BAMBINI SAN FARE

NEL MONDO DELLA FANTASIA

CHIEDON DI ENTRARE

VENITE, VENITE CON NOI A GIOCARE

Le intelligenze multiple e il loro potenziamento per fini educativi 48

PERCHE’ UNA SORPRESA A TUTTI

POSSIAM FARE

PELLE DI SERPENTE CHE AMI CAMBIARE

CAMBIA IL GIOCO E ANDIAMO A COMINCIARE!!!!

SU PRESTO…C’E’ UNA FIABA DA MONTARE

ORGANIZZIAMOCI

SUGGERIMENTI UTILI PER L’ATTIVITA’

Suggerimenti per una attività partecipata.

• Disponete gli alunni in cerchio

• Consentite agli alunni di prelevare delle scatole colorate (che come scrigni conterranno le immagini che i bambini devono ricercare in rete per aiutarsi in fase di realizzazione della fiaba)

• Realizziamo delle card e parliamo delle emozioni seguendo questo schema di seguito riportato.

Le intelligenze multiple e il loro potenziamento per fini educativi 49

L’emozione a livello FISIOLOGICO, determina spesso cambiamenti di alcuni processi biochimici (come la frequenza cardiaca, il rossore, la sudorazione).

L’emozione a livello ESPRESSIVO, determina un cambiamento nel comportamento (mimica facciale, attività motoria).

L’emozione a livello COGNITIVO, determina un cambiamento dell’esperienza (nonché degli atteggiamenti nei confronti dell’esperienza)

Rievocare questi meccanismi costituisce la prima forma di lettura che dovrà essere favorita per aiutare il bambino a dominare le emozioni, gestirle e controllarle.

Intelligenze in gioco:

EMOTIVA - INTRAPERSONALE - LINGUISTICA – MOTORIA E CINESTETICA – SPAZIALE – MUSICALE – MATEMATICA EURISTICA – INTERPERSONALE E SOCIALE.

STRUTTURA DELLA FIABA

Il testo fiabesco è un testo narrativo che possiede una struttura che si articola nei seguenti punti: • SITUAZIONE INIZIALE • ROTTURA DI UN EQUILIBRIO • SVILUPPO DI UNA VICENDA • RITORNO DELL’ EQUILIBRIO INIZIALE • SITUAZIONE FINALE.

Alla base della fiaba che sta per prendere forma c’è sempre una evoluzione che va dalla situazione iniziale a una finale.

I° – un avvenimento involontario o provocato dallo stesso protagonista rompe l’equilibrio;

2° – alcuni eventi che si susseguono migliorano o peggiorano la situazione iniziale;

3° – il protagonista non è mai solo (c’è sempre un aiutante) ma, c’è anche un oppositore o un antagonista;

4° – comunque si evolva la vicenda o le vicende l’equilibrio viene ritrovato;

5° – la situazione finale evidenzia la chiusura definitiva della vicenda, non c’è mai una morale, la chiave di chiusura del testo si completa in una frase conosciuta da tutti…e vissero felici e contenti.

I bambini hanno spesso difficoltà a seguire le sequenze di un fatto o di un evento, perché sono sgrammaticati dal punto di vista temporale. L’uso del colore (ovvero delle scatole colorate secondo oridine di seguito riportato) consente loro di avere una sorta di bussola, che determina ogni nucleo che va sviluppato e che concluso è un prodotto redatto insieme.

La procedura è frutto di una ricerca – e di una sperimentazione realizzata dalla scrivente 13 anni fa, che ha portato alla nascita del metodo “LRS” - LEGGO RACCONTO SCRIVO, monitorato dalla cattedra di pedagogia sperimentale e la cattedra di storia della letteratura giovanile – Universita’ degli studi di Bari.

L’insegnante in forma di rime, consegna il comando a ogni bambino, che a sua volta è seduto di fronte alla scatola del colore che ha selezionato. Il suggerimento della docente, gli sarà d’aiuto per comporre quanto richiesto.

E’ evidente, che conclusa l’attività e creata la fiaba, in una fase successiva lo stesso bambino, potrà prelevare

un altro colore e compiere giochi di ruolo, misurandosi in tutte le fasi.

COLORE SEQUENZA COMANDO

Nero I Prendi il nero che tanto fa male

Grigio II E il grigio che meglio il dolore sa spiegare

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Marrona

chiaro

III Tu che mi ascolti...scegli il colore della terra, della fatica e dimmi il mestiere di cui parlerai, che appartiene al protagonista e alla sua vita.

Fucsia IV Prendi il fucsria che è tanto ambiguo e parla di colui che come arco, punta il dito. Non è buono colui che in questo spazio si muove, perchè provoca assai dolore. Mente se accarezza e infligge punizioni per paura dei tuoi tratti buoni!

Celeste V Ma non temere, nel celeste troverai chi ti aiuterà, ascolta la sua voce, perchè lui mai mentirà.

Verde VI Qual è l’ambiente in cui ti muoverai? Un bosco incantato? Una prateria? Una fattoria? Un bosco pietrificato o stregato?

Marrone

scuro

VII Una montagna ridente o desolata dove la paura è assicurata?

Blu VIII Un mare azzurro o insidioso? Un lago, un ruscello in apparenza bello?

Giallo IX Non demordere e ascoltami ancora...nel giallo chiarore troverai ciò che nel mondo umano non c’è mai! Oggetti parlanti, piante, semi, spade, animali, folletti, che alla magia son votati. E se il tuo cuore è limpido e assai sincero, con te governeranno il mondo intero!

Rosso X Tu che invece il rosso scegli, sappi spiegare quanto pericolo il male sa creare. Mille le situazioni che dovrai affrontare per riuscire a liberare colui che nelle fiabe eroe appare.

Viola XI Viola è quest’ultimo comando...e a me suggerisce una raccomandazione! Fa che il tuo eroe compia il suo destino, aiutalo ad essere ciò che a te appare pù vicino: il mondo che è dentro di te appartiene anche a me. Ma adesso su su, presto a lavorare, c’è una fiaba da montare. La tua insegnante mi dà voce e sai perchè? Sono la strega Aurora e al tuo comando, per non avere alcun inciampo.

Sii diligente, in ogni passaggio. Sii attento e non mollare. Questo mondo, è tutto tuo ma non lasciarlo fare! Tu comandi in questo gioco ed io ti serviro’ ad ogni scopo…

Son votata ai tuoi desideri, tanto che in alcuni momenti, ti sembreranno veri!

Suggerimenti per il docente:

Il processo metodologico si avvale di tre tappe:

LEGGO

I^ TAPPA ---------LEGGERE LE EMOZIONI

(selezionare dalle ampolle due emozioni, una positiva e una negativa, queste devono trovare espressione nella fiaba)

RACCONTO

II^ TAPPA---------DALLE EMOZIONI AGLI INDICI DI RICHIAMO

(abbandonate le scatole a terra nell’ordine dato e disponetele in forma circolare – attraverso la maieutica di gruppo il testo prenderà forma sotto gli occhi di tutti. Spostatevi nell’aula multimediale e consentite ai fanciulli di cercare alcune immagini attraverso le quali i bambini si aiuteranno a narrare)

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SCRIVO

III^ TAPPA ------DAGLI INDICI DI RICHIAMO ALLA COSTRUZIONE DEL TESTO (tornate a sedere in terra. Ogni bambino, inserisce le immagini stampate all’interno della scatola che ha scelto per narrare e non appena darete il via, a partire dal colore nero, la fiaba prenderà forma e corpo in chiave orale) munitevi di un registratore….in fase di esecuzione, nessuno deve scrivere, ma dar voce alle emozioni, al linguaggio, all’azione, alla strategia e all’astuzia per uscire dalla situazione di disequilibrio e tornare ad uno stato di quiete, chiudendo con la formula tipica della fiaba classica….E tutti vissero felici e contenti!

Di seguito, troverete la storia di Sabina, frutto di negoziazione e stesura di un campionamento dell’istituto comprensivo di Spinazzola – Bat – acquisito il metodo, hanno ritenuto opportuno aggiungere altri colori.

Buona lettura!

SABINA

SCATOLA NERA C’era una volta nella terra di CHISSA’ dove, una fanciulla di nome Sabina. Sabina era una bambina apparentemente tranquilla e serena. In realtà era spesso derisa dai suoi compagni perché era una fifona, aveva paura di tutti e di tutto.

Si, aveva molte fobie.

Era bella nell’aspetto, capelli rossi e lentiggini sul visino.

Occhi neri e grandi e pelle color della luna.

SCATOLA GRIGIADa quando era morta sua nonna aveva il timore che potesse cambiare tutto, che le persone a lei care

potessero morire, così per paura che ciò accadesse, decise di scappare di casa.

SCATOLA MARRONE CHIAROQuando era a casa si occupava della fattoria, con sua madre Lina, che però aveva dopo la morte di suo padre (avvenuta quando era molto piccola) sposato in seconde nozze un uomo cattivo, rude, che beveva da mattina a sera e che conduceva male il lavoro dei campi.

SCATOLA ROSAI vicini le volevano bene, anche in paese era ben voluta. Era sempre gentile, mai scortese, eppure due bambine con le quali si incontrava in parrocchia alla domenica le facevano scherzi di tutti i colori.

Sabina sembrava accettare ogni cattiveria, in realtà dentro il suo cuoricino soffriva, e spesso le faceva male

il petto.

SCATOLA CELESTESabina, si accompagnava ovunque con un peluche ormai vecchio, che le era stato regalato dalla nonna Bianca e che le infondeva coraggio nel momento del bisogno. Quando lo guardava aveva l’impressione che lui

capisse ogni cosa e che le sorridesse sempre.

SCATOLA VERDEDopo essere scappata di casa, si ritrovò al buio. Il sole era tramontato e le ombre creavano strane figure. Si

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sedette sotto una grande quercia e presa dal panico, abbracciò forte forte NONSO’ il suo peluche. Ormai era

lontana da casa e le sarebbe stato difficile trovare la strada del ritorno.

SCATOLA MARRONE SCUROPoco distante dalla quercia intravide una lucina e cominciò a fasi domande:

• “Forse lì c’è qualcuno che può ospitarmi”

• “E se fosse un orco nero e brutto pronto a mangiarmi?”

Presa dal panico le sue gambette non riuscirono a prendere nessuna direzione, immobile, pietrificata udì solo

il suo cuore battere all’impazzata. La lucina intanto si avvicinava….

SCATOLA BLUSi avvicinò al punto che quando le fu vicina NONSO’, che era tra le sue braccia, dopo averla ingoiata le parlò e la convinse ad entrare in una grotta al riparo dalla notte. Che strano! Entrando udì uno scroscio d’acqua.

Era un ruscello?

SCATOLA GIALLAPer Sabina, vedere NONSO’ parlare fu come assistere ad un miracolo.

NONSO’ aveva la voce di nonna Bianca e questo per lei era rassicurante.

Entrata si lasciò cadere in un angolo e abbracciando NONSO’ si addormento’.

Durante la notte sognò sua nonna che lavava in un ruscello tre pietre: una bianca, una nera, una grigia. Mentre le lavava, le spiegava il significato di quelle pietre. La nera rappresentava la paura, la bianca l’amicizia, la grigia la tristezza. Pulite le pietre, la nonna le asciugò e le diede a Sabina. Un tuono squarciò il cielo e Sabina si risvegliò.

Che strano…..di fianco aveva tre pietre. Una bianca, una nera, una grigia.

SCATOLA ROSSAAllungò la mano per prenderle, ma prima che potesse raccoglierle e metterle nello zainetto, una grande quantità di ragni l’attaccarono, e Sabina facendosi scudo con il peluche riuscì a prenderne solo due: la bianca e la grigia.

Uscita dalla grotta la volta crollò e lei per una strana ragione espresse ad alta voce un desiderio. Che le mie paure siano seppellite per sempre! Con l’aiuto di NONSO’ trovò la strada di casa e prima di rimettersi a letto, dato che era ancora l’alba, ruppe facendo cadere in terra la pietra bianca di cui raccolse ogni frammento. Corse forte Sabina, e raggiunta la casa delle due amichette che la trattavano male, ne lasciò un pezzo su ogni davanzale.

Sperava nella loro amicizia e che il cuore indurito, divenisse pronto ad accogliere il suo. Tutto andò in futuro, come aveva desiderato. Nel paese di CHISSA’ dove ogni bambino crebbe felice e sereno. La pietra grigia, seppellita in un pozzo, cancello’ per sempre la tristezza. Ma forse non valeva per tutti!

NONSO’ aveva una espressione triste…..

Perché vi chiederete!!!!

Perché Sabina, avrebbe potuto dimenticarsi di lui crescendo….

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La fiaba e l’attività che si è conclusa, offre ulteriori spunti per stimolare le intelligenze. Negli allegati troverete

• Il libro degli incantesimi in rima e in ordine alfabetico (potreste realizzarne uno anche tutto vostro exnovo);

• Il libro dei simboli (ad ogni immagine va data una funzione reale o fantastica);

• Una parte dedicata alla magia impiegata nelle fiabe e nei racconti fantastici – magia bianca, magia nera;

• Studi sull’alchimia e simboli alchemici;

• Studio filosofico e antropologico dei 4 elementi cosmici: aria – terra – fuoco – acqua e card;

• Esperimenti semplici per testare e conoscere gli elementi da vicino.

I contenuti di questo progetto potete trovarli nel MANUALE DEL PICCOLO SCRITTORE EDITO DALLE EDIZIONI SAN PAOLO – LEGGO RACCONTO SCRIVO – DALLA LETTURA COME ESPERIENZA ALLA SCRITTURA CREATIVA.

AUTRICE FORINA MARIA

• Struttura della fiaba – LA BUSSOLA NARRATIVA

• Per scrivere una fiaba…

• Libro degli incantesimi

• Il libro dei simboli

• A scuola di alchimia: A tu per tu con gli elementi

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