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SOCIETÀ CULTURALE ITALIANAVETERINARI PER ANIMALI DA COMPAGNIA

SOCIETÀ FEDERATA ANMVI

RICHIESTO ACCREDITAMENTO

in collaborazione con

INFORMATIONSCIVAC Secretary

Palazzo Trecchi, via Trecchi 20 CremonaTel. (0039) 0372-403504 - Fax (0039) 0372-457091

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COMUNICAZIONILIBERE

Le comunicazioni sono elencate in ordine alfabetico secondo il cognome dell’autore presentatore.

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46° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC 359

OSSIFICAZIONE DI TENDINI E MUSCOLI FLESSORI (OTMF) IN ORIGINE DALL’EPICONDILO OMERALE MEDIALE: DESCRIZIONE DI UN CASO CLINICO IN UN GATTO

Allevi Giovanni* Med Vet; Mortellaro Carlo Maria$ Med Vet; Bevere Nicoletta° Med Vet; Di Giancamillo Mauro§ Med Vet* Dottorando di Ricerca in Ortopedia degli Animali Domestici;

$ Professore Ordinario di Patologia Chirurgica Veterinaria; ° Dottorando di Ricerca in Scienze Cliniche Veterinarie;

§ Ricercatore; Istituto di Clinica Chirurgica e Radiologia Veterinaria,Facoltà di Medicina Veterinaria, Università degli Studi di Milano

Introduzione: La presenza di aree a densità calcifica nel contesto dei tessuti molli adiacenti all’epicondilo omerale mediale rap-presenta un raro riscontro radiografico in cani portati a visita a causa di zoppia. Nonostante siano state proposte varie teorie aspiegare l’esatta natura di tali reperti, a tutt’oggi non è ancora ben chiaro il meccanismo eziopatogenetico all’origine della le-sione. Nel presente lavoro viene segnalato un caso di sospetta ossificazione di tendini e muscoli flessori (OTMF) del gomito inun gatto; vengono inoltre rivalutati, alla luce delle conoscenze maturate con la casistica già a nostra disposizione nel cane, leipotesi eziopatogenetiche più accreditate.Caso clinico: Un gatto c.e., maschio castrato, 14 anni, del peso di 6,8 kg, viene presentato alla visita a causa di una saltuariazoppia a carico dell’arto anteriore sinistro. Non vengono evidenziati episodi traumatici nell’anamnesi. All’esame obiettivo ge-nerale non si rilevano alterazioni rispetto al normale stato di salute, anche se il gatto appare obeso. Alla visita ortopedica, nonsi rileva zoppia e l’unica anomalia evidenziabile è la presenza di una tumefazione di consistenza dura sulla faccia mediale deigomiti. Viene quindi eseguito uno studio radiografico in narcosi. Le proiezioni medio-laterali dei gomiti evidenziano la presen-za di due aree a densità calcifica, di forma grossolanamente ovoidale, poste caudo-distalmente all’epitroclea, il cui contorno ap-pare irregolare; tali neoformazioni, solo parzialmente rilevabili nella proiezione antero-posteriore per la sovrapposizione con l’e-pitroclea e il condilo omerale mediale, risultano invece ben osservabili nella proiezione anteromediale-posterolaterale (obliqueesterna) come due aree a densità calcifica poste caudo-distalmente all’epicondilo omerale mediale. Viene quindi emessa, in ba-se all’esame clinico ed allo studio radiografico, la diagnosi di OTMF. In considerazione dell’età del soggetto si depone, in ac-cordo con il proprietario, per una terapia medica a base di antinfiammatori non steroidei da eseguire in caso di recrudescenzadella zoppia. A distanza di 3 mesi dalla visita il paziente non mostra zoppia, nonostante il proprietario riferisca di episodi ri-correnti di claudicazione.Discussione: La teoria eziopatogenetica secondo la quale aree a densità calcifica localizzate a livello del comparto mediale delgomito sarebbero da ricondurre, nel cane, alla “mancata unione dell’epicondilo” trova ormai pochi sostenitori nella letteraturacontemporanea; al contrario, l’ipotesi per la quale tali reperti sarebbero da attribuire ad una manifestazione osteocondrosica èaccreditata da taluni Autori. Il riscontro anche nel gatto della lesione, specie notoriamente non propensa a sviluppare malattieosteocondrosiche, lascia supporre che a tali reperti possano comunque sottendere anche altri meccanismi eziologici (frattura d’a-vulsione, disinserzioni/rotture/avulsione tendinee, ecc.), seppur non sempre identificabili con certezza. Va inoltre sottolineatoche nel gatto, a differenza del cane, la concomitante presenza a livello del gomito di due o più affezioni ortopediche non è un’e-venienza comune; è infatti ben noto come tale condizione possa rendere difficile la diagnosi causale di zoppia.

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360 46° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC

INDIVIDUAZIONE DELLA SOGLIA UDITIVA DEL CANE NORMOUDENTE MEDIANTE L’IMPIEGO DEI POTENZIALI UDITIVI TRONCO ENCEFALICI

Arcelli R., Bufalari A., Angeli G., Bellezza E., Molini E.Dipartimento patologia, clinica e diagnostica veterinaria. Università di Perugia

Introduzione: L’obiettivo principale di questo lavoro è individuare la soglia uditiva del cane normoudente mediante l’impiegodei potenziali uditivi evocati tronco-encefalici allo scopo di ottenere dati di riferimento nella diagnosi di sordità. Vengono inol-tre confrontati i dati ottenuti utilizzando due apparecchiature differenti.Materiali e metodi: Le apparecchiature utilizzate sono Amplaid Mk 15 a cuffia esterna ed Epich Ch-2 dotato di inserto en-doauricolare. Sono stati esaminati dieci cani di età compresa tra 1 e 8 anni, senza distinzione di razza e sesso, di peso compre-so tra 10 e 40 kg, considerati normoudenti in base ai dati anamnestici e alla visita clinica. Tutti gli animali sono stati sottopostia sedazione mediante la somministrazione di medetomidina cloridrato alla dose di 10 µg\kg i.m. Ciascun cane veniva sottopo-sto ad esame con entrambe le apparecchiature. L’indagine aveva inizio sottoponendo il soggetto ad una serie di mille stimoliacustici impulsivi (clik a polarità alternata). L’intensità dello stimolo del primo esame era di 110 dB SPL, successivamente ve-nivano effettuate registrazioni ad intensità decrescenti di 10 dB ogni volta fino a quando non si evidenziava più un tracciato uti-le. La significatività di un tracciato era comprovata dalla ripetizione immediata dell’esame per ciascun valore di intensità di sti-molo. Sono stati confrontati i valori di latenza dei singoli picchi alle varie intensità di stimolazione acustica impiegate, i valoridi latenza interpicco ed i valori di ampiezza delle singole onde.Risultati e discussione: Con l’eccezione della IV onda, difficilmente identificabile a tutte le intensità di stimolazione acusticaimpiegate, a partire dall’intensità di 80 dB SPL, nel caso dello stimolo trasmesso mediante la cuffia e di 70 dB SPL in caso diimpiego dell’inserto endomeatale, le componenti precoci del tracciato sono andate riducendosi in frequenza rivelando una mag-giore stabilità della V onda. Mediante l’impiego della cuffia esterna, il picco meno stabile è risultato il II rispetto al I e al III al-l’intensità di 80 e 70 dB SPL, mentre all’intensità di 60 dB SPL si registrava in tutti i casi la scomparsa del I e II picco con con-servazione in quattro casi del III ed in dodici del V. Negli stessi soggetti l’impiego dell’inserto endoauricolare ha fornito unamaggiore stabilità dei picchi che, se si esclude anche in questo caso la IV onda, sono risultati presenti in tutti i casi fino all’in-tensità di 80 dB SPL, manifestando una maggiore labilità della II onda alle intensità inferiori di stimolazione acustica ed unapersistenza delle componenti precoci del tracciato in alcuni soggetti anche ad intensità inferiori (50 dB SPL) rispetto a quelleosservate con l’impiego della cuffia. In conclusione, vista la progressiva scomparsa della I, II, III e VI onda, il valore soglia èidentificabile con la scomparsa della V, cosa che si è verificata a 60 dB SPL nel caso della cuffia esterna ed a 50 dB SPL con lacuffia ad inserto. La conversione dei valori ottenuti in dB HL può essere effettuata applicando un fattore di correzione di -30, -35. In un cane normoudente il primo tracciato valido si è avuto (con le nostre apparecchiature) a 15/20 dB HL.

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46° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC 361

TUMORE MALIGNO DELLE GUAINE NERVOSE CAUSA DI PARAPARESI ACUTA IN UN PASTORE TEDESCO

Belforti Filippo* Med Vet; Cantile Carlo# Med Vet*Libero professionista, Pavia

#Dipartimento di Patologia Animale, Facoltà di Medicina Veterinaria, Università di Pisa

Un cane di razza Pastore Tedesco di nome Adua, femmina di 11 anni di età, è condotto d’urgenza in visita per una paraparesiacuta. In anamnesi recente i proprietari riferiscono di una grossa neoformazione alle mammelle sviluppatasi velocemente e ri-solta chirurgicamente tramite mastectomia senza però referto istologico.L’esame neurologico evidenzia deficit propriocettivi agli arti posteriori, paraplegia, sensibilità dolorifica profonda mantenuta,riflesso flessore normale agli arti posteriori, riflesso perianale normale, assenza di dolore alla palpazione della colonna verte-brale a livello toraco-lombare. La lesione è localizzata come sindrome toraco-lombare (T3-L3) e la diagnosi differenziale com-prende cause vascolari, traumatiche, degenerative e neoplastiche. Si attua terapia medica antiossidante con metilprednisolonesodio succinato secondo protocollo. Gli esami emocromo, biochimico, coagulativo e le due proiezioni radiologiche laterali deltorace risultano nella norma. L’indagine radiologica del rachide toraco-lombare evidenzia soltanto spondilosi deformante deicorpi vertebrali di T13-L1 e T4-T5. L’indagine mielografia evidenzia in proiezione laterale l’assenza di entrambe le linee mie-lografiche a livello di T8-T9 e una lieve compressione extradurale a livello T3-T4; in proiezione ventro-dorsale è presente un’im-portante compressione extradurale sinistra a livello di T8-T9. La lesione è compatibile con cause degenerative discali o neopla-stiche. La risonanza magnetica evidenzia una neoformazione comprimente il midollo spinale sul lato sinistro che interessa an-che la radice nervosa ed in grado di captare il mezzo di contrasto, inoculato per via endovenosa, in modo quasi uniforme. Laneoformazione è compatibile con un tumore delle guaine nervose o con un meningioma. Il grado di sofferenza midollare in se-de di compressione sembra modesto. Nonostante la prognosi riservata i proprietari decidono di tentare un intervento per alle-viare la pressione sul midollo. Viene effettuata l’emilaminectomia dorso-laterale sinistra comprendente lo spazio intervertebrale T8-T9, viene asportata con di-screta facilità la neoformazione extradurale insieme alla radice nervosa dopo dissezione di quest’ultima prima del suo ingressoin cavità toracica. Alla fine dell’intervento si nota un elevato grado di atrofia del parenchima midollare. L’esame istologico ri-vela un tumore maligno delle guaine nervose periferiche (MPNST: malignant peripheral nerve sheath tumor). I proprietari permotivi economici rifiutano il ricovero presso centri riabilitativi specializzati. Dopo circa 10 giorni Adua ha un lieve migliora-mento clinico poiché, da paraplegica, diviene paraparetica non deambulante, riesce ad urinare con piccole compressioni manualidella vescica e muove volontariamente la coda. Adua è ricoverata su un materassino ad acqua, le vengono praticati massaggimuscolari e fisioterapia ogni otto ore e viene mantenuta in stazione due volte al giorno. Dopo 30 giorni Adua non ha variazionicliniche ma aumenta l’atrofia muscolare. Dopo circa 60 giorni, in assenza di ulteriori miglioramenti clinici, i proprietari deci-dono di effettuare l’eutanasia. Inusuali per una lesione extradurale e neoplastica sono stati l’assenza di dolore e la comparsa acuta dei sintomi clinici. La pro-gnosi molto riservata o infausta ha confermato i dati presenti in letteratura.

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362 46° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC

IL RUOLO DELL’ULTRASONOGRAFA NELLA DIAGNOSI DELL’IPERPLASIA CISTICA ENDOMETRIALE DELLA CAGNA

Bigliardi E., Parmigiani E*, Cavirani S.$; Luppi A.°, Bonati L.§, Corradi A.°Dipartimento di Salute Animale, Università degli Studi di Parma

* Sezione di Clinica ostetrica e riproduzione animale $ Sezione di Malattie Infettive

° Sezione di Patologia generale e anatomia patologica§ Sezione di Clinica Medica veterinaria

Il complesso iperplasia cistica endometriale-piometra (cystic endometrial hyperplasia –CEH) è una patologia di frequente ri-scontro nella cagna che si manifesta prevalentemente nella fase luteinica del ciclo estrale. L’eziologia non è ancora completa-mente chiarita, anche se il ruolo svolto dal progesterone e dall’espressione recettoriale dell’endometrio per gli ormoni sessualisteroidei sono stati chiaramente documentati3. La somministrazione esogena di progestinici per il controllo del ciclo estrale puòdeterminare un aumento dell’incidenza dell’iperplasia cistica endometriale anche se la patologia si può manifestare in soggettigiovani che non hanno mai ricevuto somministrazioni di ormoni sessuali steroidei. La successiva colonizzazione batterica de-termina l’insorgenza di quella patologia che comunemente viene definita piometra. Secondo alcune recenti ricerche il ruolo delprogesterone è in relazione alla produzione di IGF-I (insulin-like growth factor) che possiede un importante effetto citotossicoa carico dell’utero17. Inoltre il GH (growth hormon) è probabilmente il fattore di regolazione più importante nei confronti di IGF-I. Le lesioni anatomo-patologiche dell’utero sono state classificate prima da Dow6 e più recentemente da De Bosschere10. Loscopo del presente studio è stato quello di valutare, in un campione di 250 cagne con manifestazioni cliniche di piometra, la sen-sibilità dell’ultrasonografia nell’evidenziare la presenza di iperplasia cistica endometriale e la corrispondenza delle lesioni rile-vate ecograficamente con la classificazione anatomo-patologica proposta da Dow e De Bosschere. Inoltre sono stati valutati iparametri ematologici, le colture batteriche con la tipizzazione e la rilevazione della presenza del CNF (fattore citotossico ne-crotizzante), le biopsie uterine e i tassi ormonali. Nessuno dei soggetti esaminati aveva ricevuto trattamenti con progestinici eso-geni.I risultati hanno confermato il ruolo fondamentale della metodica ultrasonografica nell’evidenziare il complesso iperplasia ci-stica endometriale-piometra. L’ultrasonografia ha consentito anche di valutare il grado delle alterazioni a carico dell’utero chehanno trovato corrispondenza con la classificazione istologica di Dow e De Bosschere per i soggetti nel III e IV gruppo (gradomedio ed elevato della patologia). Nei soggetti appartenenti ai gruppi I e II (grado modesto della patologia) l’esame ultrasono-grafico non è sempre stato attendibile nell’attribuire le lesioni alla corrispondente classificazione istologica. L’esame ultrasono-grafico si è rivelato pertanto un ausilio diagnostico particolarmente sensibile per l’identificazione e il grado di evoluzione del-l’iperplasia cistica endometriale.

Parole chiave: Utero, iperplasia cistica endometriale, ultrasonografia, cagna.

Bibliografia1. Feldman E.C., Nelson R.W.: Canine and feline endocrinology and reproduction 2nd edn. Philadelphia, W.B. Saunders 1996, 605.2. Hardy RM., Osborne CA: Canine pyometra: phatophysiology, diagnosis and treatment of uterine and extra-uterine lesion. J Am Anim Hosp Ass 1994,10,

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46° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC 363

RILIEVI ISTOPATOLOGICI IN 27 CASI DI GENGIVOSTOMATITE CRONICA DEL GATTO (FCGS)

Bonello D.°, Capelletto C.*, Castagnaro M.* Peirone B.°° Dipartimento di Patologia Animale, Facoltà di Medicina Veterinaria, Università di Torino

* Dipartimento di Sanità Pubblica, Patologia Comparata ed Igiene Veterinaria, Facoltà di Medicina Veterinaria,Università di Padova

Introduzione: La gengivostomatite cronica (FCGS) è una delle patologie del cavo orale del gatto di più frequente riscontro. No-nostante diverse cause siano state via via citate dalla letteratura, dagli stati di immunodepressione ad infezioni virali e batteri-che1,2,3,4, il meccanismo patogenetico di questa malattia rimane tuttora poco conosciuto.I gatti affetti da FCGS solitamente presentano sintomi tipici, quali disfagia, difficoltà nella prensione del cibo e nella mastica-zione, alitosi, ptialismo e perdita di peso8. Alla visita clinica si osservano lesioni eritematose, ulcerative e/o proliferative dellagengiva, della lingua, della mucosa vestibolare, delle labbra, del palato duro, del faringe6,8. Solitamente è presente anche linfoa-denopatia regionale ed accumulo di placca e tartaro sui denti. Si pensa che anche alcuni meccanismi immuno-mediati e diversi fattori immunodepressivi possano avere un ruolo chiave nellapatogenesi della FCGS9. È stata riportata una correlazione positiva tra FIV, infezioni da calicivirus e FCGS3,5,7. Si è anche os-servato un aumento significativo dei livelli di IL-2, IL-4, IL-5, IL-6, IL-10, IL-12 (p35 &p40), e IFN-gamma in campioni di tes-suto ottenuti dal cavo orale di gatti affetti da FCGS, ma non è stato possibile dimostrare alcuna correlazione tra questi valori ela gravità dei sintomi clinici e/o delle lesioni10.Lo scopo di questo studio è di descrivere i rilievi istopatologici tipici della FCGS del gatto, sia della mucosa del cavo orale, sia,quando presenti, dell’osso alveolare mascellare e/o mandibolare.Materiali e metodi: Ventisette gatti (20 maschi e 7 femmine) affetti da FCGS sono stati inclusi nello studio. L’età dei soggettivariava da 6 mesi a 15 anni. Nessuno dei gatti era FIV o FeLV positivo.Le biopsie della mucosa orale e dell’osso alveolare mandibolare e/o mascellare sono state fissate in formalina ed incluse in pa-raffina. Le diverse sezioni ottenute, dello spessore di quattro micron, sono state poi colorate con ematossilina-eosina e osserva-te al microscopio.Risultati e discussione: In tutti i campioni osservati era presente il classico, diffuso, intenso infiltrato (LPI). Le plasmacellulefrequentemente esibivano corpi di Russell nel loro citoplasma. In 13 casi LPI era l’unica risposta infiammatoria presente. Tut-tavia, in presenza di lesioni ulcerative, in associazione a LPI si reperivano anche un infiltrato neutrofilico da focale a diffuso,esocitosi ed una marcata spongiosi epiteliale. In 10 campioni sono stati anche osservati numerosi eosinofili sparsi. L’interessamento dell’osso alveolare, caratterizzato da un infiltrato infiammatorio misto e da alterazioni litiche della strutturaossea, era presente in 6 casi.I rilievi istopatologici descritti indicano che la FCGS è sempre associata ad una intensa, persistente stimolazione immunitaria.In associazione, è frequente osservare ulcerazione dei tessuti con conseguente infiltrazione diffusa di neutrofili (lesione cronicaattiva). La presenza di eosinofili, non infrequente (37%), suggerisce invece la concomitanza di un fenomeno di ipersensibilità odi una reazione iperergica.Possiamo inoltre affermare che in una certa percentuale di casi di FCGS (22%) sono presenti anche lesioni infiammatorieprofonde a carico delle ossa mascellari e/o mandibolari, che verosimilmente complicano il decorso clinico della malattia e nepeggiorano la prognosi.

Ringraziamenti: Si ringrazia il Prof. Frank JM Vestraete per i preziosi suggerimenti e per l’opera di revisione. Questa ricercaè stata svolta grazie al contributo di Pfizer Animal Health, ICF e Istituto Candioli - Italia.

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364 46° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC

SENSIBILITÀ DEL RAPPORTO PU/CU NELLA INDIVIDUAZIONE DELLE PATOLOGIE PARENCHIMALI RENALI DEL CANE

Bonfanti Ugo° DMV; Zatelli Andrea* DMV; Zini Eric DMV§

Libero professionista, MilanoLibero professionista, Reggio Emilia

§ Fac. Med. Vet. Torino

Nel presente lavoro retrospettivo sono stati messi in relazione i valori di Proteine Urinarie/Creatinina Urinaria (PU/CU) con lelesioni istopatologiche parenchimali renali al fine di determinare la sensibilità del PU/CU nella individuazione delle patologied’organo nella specie canina. Il rapporto PU/CU nel cane consente, utilizzando un campione raccolto in modo estemporaneo, diottenere una determinazione accurata ed adeguata del grado di proteinuria del paziente. La proteinuria è influenzata dalle pato-logie del tratto genito-urinario e dalle metodiche di raccolta del campione. Tutti i cani del presente studio sono stati sottopostiad esame ecografico dell’addome dal medesimo operatore con sonda da 7,5 MHz e a determinazione della pressione sistolicacon metodica doppler. Tutti i cani sono stati sottoposti a biopsia renale eco-assistita con Tru-cut semiautomatico da 18 Gauge.I campioni bioptici sono stati analizzati in microscopia ottica convenzionale dopo colorazione con Ematossilina Eosina, Tricro-mica di Goldner, Metenamina, PAS e, su richiesta dell’istopatologo, Rosso Congo; sono stati considerati adeguati solo i cam-pioni bioptici con almeno 5 glomeruli per sezione istologica. Tutti i campioni di urina sono stati raccolti per cistocentesi eco-assistita, volume di 5 ml e conservati in contenitore sterile alla temperatura di +4°C/+8°C dopo aggiunta di Sodio Azide all’1%in ragione di 1 µl per ml di urina. I campioni di urine sono stati sottoposti ad esame chimico fisico e del sedimento entro 4 oredalla raccolta ed entro sette giorni dalla raccolta a determinazione della proteinuria mediante determinazione colorimetrica conPirogallolo e successiva determinazione del PU/CU. Sono stati considerati criteri di esclusione l’individuazione ecografica e/ostrumentale di patologie ureterali, vescicali, uretrali e prostatiche, l’ipercorticossurenalismo, il diabete in ogni sua forma, le con-dizioni ipertensive con pressione sistolica superiore a 200 mm Hg; i pazienti non dovevano avere assunto farmaci corticosteroi-dei nei 60 giorni precedenti la raccolta delle urine per la determinazione del PU/CU. Sono stati inclusi 93 cani di varie razze edetà, equamente suddivisi tra i due sessi. 21 cani erano affetti da Glomerulonefrite Mesangiale, 18 da Glomerulonefrite Mem-branosa, 6 da Glomerulonefrite Membranoproliferativa, 2 da Nefrocalcinosi, 17 da Glomerulosclerosi Focale e Segmentale, 7da Amiloidosi, 4 da pielonefrite, 5 da sclerosi glomerulare, 5 da Nefrite interstiziale acuta, 4 da Glomerulonefrite Essudativa e4 da Necrosi Tubulare Acuta. Il 9,68% (9/93) dei pazienti aveva un PU/CU<0,5, il 37,63% (35/93) aveva PU/CU compreso tra0,51 ed 1, il 30,10% (28/93) aveva un PU/CU compreso tra 1,01 e 3,0 ed il 22,59% (21/93) aveva un PU/CU uguale o superio-re a 3,01. Media PU/CU = 2,12, Deviazione Standard = 2,32 e Mediana = 1,17, Minimo PU/CU = 0,25, Massimo PU/CU =12,27. Nessuna delle patologie istopatologicamente diagnosticate ha evidenziato una associazione con intervalli di PU/CU par-ticolari. Il PU/CU, con valore limite pari a 1 è risultato essere una metodica ad elevata specificità mentre la sensibilità varia con-siderevolmente in base al tipo di lesione riscontrata (glomerulare, tubulo-interstiziale e mista). La sensibilità nell’individuare ledifferenti patologie, aumenta progressivamente portando il valore di PU/CU da 1 a 0,5 riducendosi peraltro parzialmente la spe-cificità. Rispettando i criteri di inclusione sopra riportati proponiamo di sottoporre ad approfondimenti diagnostici tutti i pazienticon valore di PU/CU superiori a 0,5.

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46° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC 365

DISPLASIA GLOMERULARE CISTICA IN UN CANE

Bovero Andrea* Med Vet; Borgarelli Michele§ Med Vet, Dipl. ECVIM-CA [Cardiology]; Zini Eric§ Med Vet* Libero professionista, Torino

§ Università degli studi di Torino, Dipartimento di Clinica Medica

Le displasie renali rappresentano un gruppo di patologie congenite non comuni, sia nell’uomo che nella specie canina. La pa-togenesi delle malattie displasiche renali è riferibile ad uno squilibrio ontogenetico interessante le fasi precoci dello sviluppo delblastema metanefrico e/o della gemma ureterale. Le alterazioni microscopiche del parenchima renale più frequenti sono rap-presentate dalla presenza di aree tissutali aventi i caratteri morfostrutturali del tessuto osseo e/o cartilagineo, dallo sviluppo didotti metanefrici circondati da una quantità variabile di mesenchima primitivo, dalla formazione di glomeruli e tubuli aventi unaspetto fetale o immaturo, e dalla deposizione di tessuto fibroso in sede interstiziale. L’eziologia non è del tutto nota, tuttavia siipotizza che i fattori genetici svolgano un ruolo fondamentale nello sviluppo di questi disordini. Sia nell’uomo che nel cane èstato infatti dimostrato che alcune forme di displasia renale sono trasmesse per via ereditaria, o sono maggiormente espresse inalcune linee famigliari.Riportiamo il caso di un cane di razza Pastore Tedesco, femmina, di 1 anno di età, affetto da displasia glomerulare cistica. Il ca-ne è stato esaminato in seguito al riscontro di un innalzamento della creatininemia [5,96 mg/dl (valori normali: 0,5-1,5 mg/dl)]rilevato durante un controllo preoperatorio (neoformazione cutanea). L’esame clinico evidenziava un aumento dell’intensità delsecondo tono cardiaco ed un aumento della pressione arteriosa sistolica [250 mmHg (valori normali: 90-160 mmHg)]. Il quadroecotomografico renale era di reni di dimensioni normali e con margini irregolari. L’ecostruttura del rene sinistro si presentavaparzialmente conservata, mentre si evidenziava dilatazione della pelvi e ad una piccola struttura cistica corticale. Il rene destroappariva con ecostruttura alterata, non riconoscibile e con numerosi spot iperecogeni corticali. L’esame chimico-fisico di uncampione di urine prelevato per cistocentesi rivelava proteinuria significativa [stick urinario: +++++(500 mg/dl)] ed un peso spe-cifico di 1014. In seguito alla riduzione della ipertensione arteriosa sistolica (160 mmHg) ottenuta mediante la somministrazio-ne di amlodipina (0,25 mg/kgSID) venne eseguito un prelievo bioptico per via transcutanea, eco-assistita. L’esame istologicocompiuto in microscopia ottica effettuato mediante le colorazioni PAS, metenamina, tricromica di Goldner e PTAH consentivadi diagnosticare una patologia glomerulare cistica. Delle 27 strutture glomerulari prelevate, 10 presentano dilatazione cistica de-gli spazi di Bowman in assenza dei flocculi glomerulari, altre 15 presentano flocculi di dimensioni ridotte, coartati, con sclero-si del mesangio e pareti dei capillari ispessite e le 2 restanti sono di dimensioni regolari con assi mesangiali lievemente espan-si e lume dei capillari pervi con pareti per lo più sottili. L’interstizio mostrava ampie aree di fibrosi, in corrispondenza delle qua-li i tubuli sono atrofici. Le strutture vascolari presentavano fibrosi della tonaca media.La terapia prescritta comprendeva amlodipina (0,25 mg/kgSID) per il controllo dell’ipertensione, acido acetilsalicilico (5mg/kgSID) avente funzione antiaggregante piastrinica ed antitrombotica, benazepril (0,25 mg/kgSID) per migliorare le pres-sioni glomerulari e la filtrazione glomerulare e la sostituzione della dieta con una specifica per problemi renali (Renal PhaseII Eukanuba).Ad un mese di distanza dalla diagnosi il cane si presentava asintomatico ed in buona salute, con PAS di 165 mmHg e con un au-mento dell’appetito rispetto ai precedenti accertamenti.Nei controlli futuri si intende monitorare la proteinuria dal punto di vista quantitativo con il rapporto proteine/creatinina urina-ria e dal punto di vista qualitativo con l’SDS-PAGE.

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366 46° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC

CATETERI CON PORTE PER ACCESSO VASCOLARE (PAV) IMPIANTATI COMPLETAMENTE IN SEDE SOTTOCUTANEA NEL CANE

Bufalari Antonello, Med Vet, PhD; Arcelli Rolando Med Vet; Di Meo Antonio Med Vet; Pepe Marco Med Vet; Gialletti Rodolfo Med Vet; Moriconi Franco Med Vet

Dipartimento di Pat. Diagn. e Clin Vet; Sezione di Chirurgia e Radiodiagnostica

Introduzione: L’utilizzo di cateteri vascolari impiantati completamente in sede sottocutanea e dotati di porte con accesso va-scolare (PAV) diretto, può essere utile in campo clinico quando è necessario eseguire prelievi ematici frequenti e ripetuti nel tem-po, oppure in quei pazienti che necessitano di prolungate terapie farmacologiche spesso con agenti chemioterapici irritanti. An-che nella pratica sperimentale si è spesso obbligati a effettuare frequenti prelievi ematici ai fini di ricerca. L’impiego di tali si-stemi evita al veterinario di praticare iniezioni vascolari che, se ripetute e protratte nel tempo, possono portare a graduale trom-bosi, sclerosi e distruzione del compartimento vascolare periferico. Continue iniezioni vascolari, inoltre, creano dolore al pa-ziente che tenderà a reagire sottraendosi alle manipolazioni, determinando così una difficile gestione del caso clinico, con pos-sibilità di dover interrompere la terapia farmacologica o la ricerca. Dal momento che questo catetere è impiantato completa-mente in sede sottocutanea, nessuna parte del PAV fuoriesce dalla cute e l’incidenza d’infezioni legate a contaminazioni da par-te dell’ambiente esterno è ridotta al minimo, rispetto a quanto avviene per i normali cateteri endovenosi per i quali infezioni lo-cali, flebiti e trombosi sono spesso causa di perdita dell’impianto. In questo studio sperimentale sono stati impiegati PAV soloin sede arteriosa per eseguire ripetuti prelievi per indagini ematochimiche, emocromocitometriche ed emogasanalitiche e per ri-levazioni continue della pressione arteriosa in anestesia e non. Scopo di questa comunicazione è quello di descrivere la tecnicad’impianto dei PAV e i risultati ottenuti dall’impiego a lungo termine di tali dispositivi.Materiali e metodi: Sono stati utilizzati 20 cani di razza, età e peso variabili. A tutti i soggetti sono stati somministrati carpro-fen (4 mg/kg, im), acepromazina (0,05 mg/kg im) e ossimorfone (0,1 mg/kg, im), l’induzione è avvenuta con tiopentone (6-8mg/kg, ev) e il mantenimento tramite una miscela di alotano e ossigeno in un sistema semichiuso. Le linee d’incisione sono sta-te una a livello della doccia giugulare (2/3 della lunghezza del collo) per il posizionamento del catetere a livello della carotidecomune, mentre l’altra è stata praticata latero-dorsalmente al collo a metà strada tra il cranio e la scapola per il posizionamentodella porta d’accesso del catetere. In terza giornata sono state eseguite le medicazioni locali e il lavaggio del catetere con solu-zione eparinizzata.Risultati e discussione: La tecnica di posizionamento dei PAV è risultata di semplice esecuzione. La porta d’accesso del cate-tere è stata posta in una tasca lontano dalla linea d’incisione usata per il posizionamento del catetere al fine di ridurne al mini-mo il versamento sieroso, il dolore o l’infiammazione locale durante i ripetuti accessi portali. In 2 casi sono state evidenziatetemperature febbrili risolte con terapia antibiotica. In 5 cani, è stata notata la formazione di seroma che si è risolto spontanea-mente in 3 gg. L’impossibilità di aspirare sangue si è verificata in un solo caso, ma l’impiego di un agente fibrinolitico (uroki-nasi 5000 unità/ml) ha reso di nuovo efficiente il catetere. L’impiego a lungo termine dei cateteri non ha dato luogo a particola-ri effetti collaterali e tutti i cani hanno dimostrato un’ottima tolleranza ai sistemi impiantati in sede sottocutanea.Conclusioni: La nostra esperienza con questi cateteri PAV si è dimostrata del tutto positiva, consentendo la somministrazionedi farmaci, l’aspirazione di sangue e le rilevazioni pressorie in tutti i soggetti anche 6 mesi dopo l’impianto. Il rispetto di alcu-ne linee guida per la gestione del catetere sono alla base del successo ottenuto con questi sistemi.

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46° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC 367

ASPETTI CLINICI, DIAGNOSTICI, PATOLOGICI, IMMUNOISTOCHIMICI, TERAPEUTICI E PROGNOSTICI DI UN TUMORE EPITELIALE ODONTOGENICO MALIGNO

(CARCINOMA ODONTOGENICO) PRODUCENTE AMILOIDE IN UN CANE SHI-TZU

Carrani Francesco* MedVet, Spec mal picc anim; Maugeri Salvatore* MedVet, Spec mal picc anim; Torriani Laura# MedVet, Spec mal picc anim; Del Piero Fabio§ DVM, Dipl ACVP, Prof.

* Liberi professionisti, Pisa# Libero professionista, Milano

§ Department of Pathobiology, Department of Clinical Studies NBC,School of Veterinary Medicine, University of Pennsylvania, Philadelphia- Kennett Square, USA

Introduzione: I tumori odontogenici dei mammiferi sono rari. Qui descriviamo in un cane shi-tzu gli aspetti clinici, morfolo-gici, immunoistochmici, terapeutici e prognostici di un tumore odontogenico maligno epiteliale (carcinoma) producente ami-loide con caratteristiche complesse, probabilmente all’interno di una preesistente cisti odontogenica residuale o primordiale.Segnalamento, segni clinici, citologia: Un cane shi-tzu femmina intera di 6 anni presentò una tumefazione deformante di cir-ca 10 cm a livello della parte craniale della emimandibola sinistra a rapida crescita con notevole aumento di volume della par-te. La tumefazione si estendeva dalla sinfisi mandibolare fino a livello del secondo dente premolare. Due radiografie in proie-zione latero-laterale e ventro-dorsale del cranio e del torace rivelarono una quasi totale scomparsa del supporto osseo del terzoanteriore dell’emimandibola di sinistra. I primi premolari apparivano “sospesi” in una massa di tessuto molle non calcificato diprobabile origine neoplastica. L’esame citologico rivelò poche cellule fusate con scarso citoplasma debolmente basofilo disper-se in una matrice eosinofilica, moderata atipia con anisocariosi ed anisocitosi, indicanti una possibile neoplasia mesenchimaleo epiteliale fusata maligna.Terapia: Dopo gli accertamenti preoperatori di routine (esame emocromocitometrico, profilo biochimico e pannello coagulati-vo nella norma) il cane venne sottoposto ad emimandibulectomia rostrale monolaterale senza stabilizzazione dei rami mandi-bolari. La ricostruzione dei tessuti molli venne effettuata con materiale riassorbibile (Vicryl® 3/0 e4/0). Il giorno seguente il ca-ne iniziò ad alimentarsi con alimenti liquidi ed passò all’alimentazione solida in sesta giornata; le suture vennero rimosse in de-cima giornata. A 8 mesi dall’intervento il cane non presenta segni clinici di recidiva.Esami istopatologici ed immunoistochimici: La massa neoplastica era rotondeggiante, ma anche tendente all’irregolare, tal-volta cistica, non capsulata, multifocalmente infiltrante e composta da cellule epiteliali che verso la superficie cutanea si orga-nizzavano a formare una struttura piuttosto differenziata quasi a riprodurre delle gemme dentarie mentre, verso l’osso mandi-bolare, ormai fortemente infiltrato e scompaginato, formavano delle corde epiteliali confluenti in isole di cellule poligonali,squamose e stellate, spesso separate da amiloide omogenea o globulare e poche piccole aree di calcificazione. Lo stroma fibro-vascolare era minimo o assente, le figure mitotiche numerose e talvolta inusuali. Le cellule neoplastiche erano fortemente posi-tive alle citocheratine LU5, AE1/AE3 e negative alla vimentina V9.Discussione e conclusione: La morfologia e l’espressione citocheratinica indicano che si tratta di tumore epiteliale odontoge-nico maligno con caratteristiche complesse riferibili ad un ameloblastoma maligno (celule similameloblastiche), ad un carcino-ma ameloblastico (cellule epiteliali squamose con cellule stellate similameloblastiche), il tutto all’interno di una preesistente ci-sti odontogenica residuale o primordiale. Per la produzione di amiloide (associata agli aspetti morfologici odontogenici) an-drebbe classificato come un tumore odontogenico producente amiloide (amyloid producing odontogenic tumor). Le lievi calci-ficazioni e gli aspetti morfologici lo rendono anche simile ai CEOT umani. Comunque, secondo alcuni esperti, i tumori odon-togenici dei carnivori domestici sembrano discostarsi morfologicamente dai CEOT umani. Pertanto, sebbene in passato Veteri-nary Pathology, la più autorevole rivista di patologia veterinaria, abbia riportato eleganti lavori scientifici sui CEOT animali, que-sti specialisti non usano più il termine CEOT per le neoplasie odontogeniche tuttora descritte in medicina veterinaria. Non ci ri-sulta che i tumori odontogenici maligni producenti amiloide (malignant amyloid producing odontogenic tumors) siano stati de-scritti negli animali domestici. Se dovessimo usare una definizione in grado di abbracciare le caratteristiche principali di questaneoplasia lo chiameremmo tumore odontogenico epiteliale maligno (carcinoma odontogenico) producente amiloide. Questo tu-more possiede degli aspetti complessi unici ed una crescita sorprendentemente rapida. La rimozione tramite emimandibulecto-mia sembra fornire una soluzione adeguata con prognosi favorevole. La bibliografia è disponibile a richiesta presso gli autori.

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368 46° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC

ROTTURA COMPLETA DEL TENDINE BICIPITE IN UN ROTTWEILER:DIAGNOSI E TRATTAMENTO CHIRURGICO

Ciliberto Emanuela Med Vet, PhD; Olivieri Massimo Med Vet; Morello Emanuela Med Vet, PhD; Peirone Bruno Med Vet, PhD

Dipartimento di Patologia Animale, Università di Torino

Introduzione: Nell’ambito delle patologie della spalla del cane, la rottura del tendine del muscolo bicipite brachiale risulta scar-samente descritta in letteratura1. In questo lavoro si riporta l’esame clinico e radiografico, l’esame artroscopico, l’intervento chi-rurgico ed il follow-up relativi ad un Rottweiler affetto da rottura completa del tendine del muscolo bicipite brachiale sinistro.Materiali e metodi: È stato selezionato un caso relativo ad un cane Rottweiler femmina di 4 anni affetto da zoppia anteriore si-nistra causata dalla rottura completa del tendine del muscolo bicipite brachiale. Il paziente è stato sottoposto a visita ortopedi-ca, esame radiografico ed esame artroscopico utilizzando la via d’accesso laterale. Successivamente è stata effettuata la tenode-si del tendine bicipite mediante fissazione con vite da spongiosa (4.5 mm di diametro e 36 mm di lunghezza) e rondella. Il ten-dine è stato raggiunto mediante un accesso cranio-mediale alla regione della spalla.Risultati: Il soggetto preso in considerazione era affetto da zoppia anteriore sinistra ad insorgenza subacuta da circa 4 mesi. Al-la visita clinica il paziente presentava zoppia anteriore sinistra di I grado, dolore alla flesso-estensione della spalla e alla palpa-zione del solco bicipitale sinistro (test del bicipite positivo). Si evidenziava anche ipotrofia dei muscoli sopraspinato ed infra-spinato. L’esame radiografico in proiezione medio-laterale e cranio-prossimale/cranio-distale della spalla rivelava la presenza diuna calcificazione a livello del solco bicipitale dell’omero sinistro. L’esame artroscopico evidenziava la presenza di sinovite el’assenza del tendine bicipite dalla sua normale sede anatomica. Durante una successiva seduta di chirurgia tradizionale, me-diante un accesso cranio-mediale alla regione della spalla il tendine bicipite veniva reperito a livello della porzione distale del-la doccia bicipitale dell’omero. Il tendine in oggetto presentava delle solide connessioni fibrose con la superficie omerale sotto-stante. Per favorire il processo di tenodesi che si stava spontaneamente verificando, il tendine è stato fissato alla superficie ome-rale utilizzando una vite da spongiosa da 4.5 mm di diametro e 36 mm di lunghezza munita di rondella. I piani scontinuati so-no stati suturati come di routine. L’esame radiografico postoperatorio in proiezione medio-laterale della spalla ha evidenziato ilcorretto posizionamento degli impianti. Alla visita clinica eseguita ad 1 mese di distanza dall’intervento, il soggetto mostrava uneccellente recupero funzionale. Discussione: La rottura del tendine del muscolo bicipite brachiale risulta scarsamente descritta in Letteratura veterinaria1. Peril trattamento di tale patologia, sono state proposte differenti tecniche chirurgiche che promuovono la fissazione del tendine al-la superficie omerale o all’inserzione del muscolo sopraspinato2. Recentemente, Gill et al.3 e Martini e Gnudi4 hanno propostola tenotomia (release) artroscopica del tendine bicipite per il trattamento delle tendinopatie bicipitali (rottura parziale/totale, lus-sazione, ecc) rispettivamente nell’uomo e nel cane. Le osservazioni relative al caso preso in considerazione, rivelano che il ten-dine bicipitale, successivamente a rottura, tende spontaneamente a fondersi alla superficie ossea omerale. Sulla base di tali os-servazioni, possiamo concludere che, dato che l’artroscopia rappresenta uno step diagnostico fondamentale per le patologie deltendine bicipitale, il semplice release artroscopico potrebbe effettivamente costituire una valida alternativa alla tenodesi, evi-tando il ricorso ad una seconda (più invasiva) seduta chirurgica.

Bibliografia1. Bardet JF: Lesions of the biceps tendon. Diagnosis and classification. A retrospective study of 25 cases in 23 dogs and one cat. VCOT 1999, 12:4, 188-195.2. Piermattei DL, Flo GL: Rottura del tendine del muscolo bicipite brachiale In Piermattei DL, Flo GL “Ortopedia e trattamento delle fratture dei piccoli ani-

mali”, EV 1999, 259-261.3. Gill TJ, McIrvin E, Mair SD, Hawkins RJ: Results of biceps tenotomy for treatment of pathology of the long head of the biceps brachii. J Shoulder Elbow

Surg 2001, 10:3, 247-249.4. Martini FM, Gnudi G: La tenotomia artroscopica del tendine bicipite brachiale per il trattamento delle tendinopatie del bicipite nel cane. Atti IX Congres-

so Nazionale SICV, Agripolis Legnaro, Italia 20-22/06/02.

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46° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC 369

PROLASSO DEL GRASSO RETROBULBARE NEL GATTO: DUE CASI CLINICI

Crotti Alberto Med.Vet. Libero professionista, Genova

Introduzione: Il prolasso del grasso orbitale, una patologia di raro riscontro nelle differenti specie animali, consiste nello spo-stamento del grasso intraorbitale dalla sua sede fisiologica all’interno della periorbita, rostralmente per protundere a livello del-la zona sottocongiuntivale.Caso clinico: Il primo caso clinico, una gatta femmina, sterilizzata, di razza persiana, di anni 7 è riferito da un collega il qualedurante una visita di controllo evidenzia una anomala tumefazione a carico del fornice congiuntivale dorsale dell’occhio destro.Il secondo caso,un gatto maschio, intero, di anni 3, viene portato alla visita dal cliente che aveva notato una massa a carico del-la zona congiuntivale dorsale dell’occhio sinistro. Entrambi i proprietari riferiscono di non aver mai evidenziato tale lesione inprecedenza e che gli animali non manifestano alcun sintomo generale né alcun disturbo visivo. Alla visita clinica generale i sog-getti non presentano alcun sintomo di malattia sistemica. L’esame oftalmologico non evidenzia alcuna alterazione a livello delfornice congiuntivale dorsale ma la compressione digitale esercitata in zona temporale mette in evidenza una tumefazione cheha la tendenza a procidere maggiormente allorquando viene aumentata la pressione digitale sulla zona stessa. Le lesioni ap-paiono estremamente simili e alla palpazione si presentano non dolenti, di consistenza molle e relativamente poco mobili rispettoal piano sottostante. La visita delle altre strutture oculari eseguita con oftalmoscopia diretta, indiretta e lampada a fessura met-te in evidenza nel primo caso, a carico dell’occhio interessato, la presenza di cataratta corticale matura che rende impossibile lavisualizzazione del segmento posteriore dell’occhio. In entrambi i soggetti nessuna alterazione è presente a carico dell’occhiocontrolaterale e la pressione intraoculare e lo Schirmer test risultano nella norma. L’esame ecografico non mostra alcuna lesio-ne evidente a carico oculare e dello spazio retro e peribulbare. I reperti ematologici sono nella norma. Nel caso due si è proce-duto ad eseguire prelievo bioptico della lesione. All’esame istologico si evidenzia presenza di normale tessuto adiposo e la dia-gnosi formulata è di prolasso del grasso orbitale.Data la evidente benignità della lesione e la mancanza assoluta di sintomatologia clinica a livello oculare si decide di non ese-guire alcuna terapia chirurgica e medica in entrambi i casi.Discussione: Le patologie che necessitano di diagnostica differenziale nei confronti del prolasso del grasso retrobulbare posso-no essere distinte in patologie orbitali spazio occupanti e patologie infiammatorie a carico dei tessuti retro e peribulbari.Tra le patologie spazio occupanti ricordiamo le neoplasie nella regione retro-perioculare e le lesioni cistiche della regione orbi-tale. Nelle patologie di natura infiammatoria ricordiamo l’ascesso e cellulite retrobulbare, lo sialocele della ghiandola zigoma-tica. In letteratura sono riportate anche forme granulomatose della congiuntiva per iniezioni di cortisonici deposito a scopo te-rapeutico. La chemosi congiuntivale e l’enfisema congiuntivale sono altre due manifestazioni cliniche da porsi nel diagnosticodifferenziale.Conclusione: Dal momento che la benignità della lesione non fa ritenere necessario alcun trattamento, assume notevole impor-tanza la effettuazione di una diagnosi accurata e precisa soprattutto facendo riferimento alla possibile diagnostica differenziale.

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370 46° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC

ESPERIENZE PERSONALI SULL’UTILIZZO DELLA SCINTIGRAFIA OSSEA COME AUSILIO DIAGNOSTICO NELLE ZOPPIE DEL CANE

D’Urso Pasquale Italo Med Vet; Olivieri Massimo Med VetSamarate (Va)

Introduzione: La scintigrafia ossea è una metodica diagnostica utilizzata da molti anni in medicina umana e solo di recente ap-plicazione in medicina veterinaria. Essa fornisce, a differenza dell’esame radiografico, maggiori indicazioni sullo stato funzio-nale dello scheletro rispetto a quello strutturale. Poiché le alterazioni funzionali dell’osso risultano essere molto più precoci ri-spetto a quelle strutturali, l’utilizzo di questa metodica permette di individuare l’area colpita da un processo patologico moltoprima rispetto non solo all’esame radiografico, ma anche alla TAC ed alla risonanza magnetica. Nel presente lavoro sono proposte le esperienze degli autori sull’utilizzo della scintigrafia ossea come metodo diagnostico in ungruppo di cani che presentavano zoppie di difficile o dubbia localizzazione.Materiali e metodi: L’isotopo utilizzato in questa metodica è il 99 m Tc-difosfonato. Questo si lega ai cristalli di idrossiapatiteed il suo accumulo nell’area indagata è proporzionale sia all’attività osteoblastica sia all’apporto vascolare dell’area esaminata.Dopo pochi minuti (1-10) dall’iniezione del 99 m Tc-difosfonato per via endovenosa, si inizia la lettura delle immagini della “fa-se dei tessuti molli” mentre per la “fase ossea” si attendono due ore. Sono stati sottoposti a scintigrafia ossea 26 cani di cui: 4meticci, 4 Terranova, 4 Pastori Tedeschi, 3 Boxer, 2 Rottweiler, 2 Labrador, 1 Golden Retriever, 1 Bovaro del Bernese, 1 Leon-berger, 1 Schnautzer Gigante, 1 Dogue de Bordeaux, 1 Alano, 1 American Staffordshire Terrier. Tutti presentavano zoppie di va-rio grado ed erano stati sottoposti ad una o più visite ortopediche e ad esami radiografici specifici dell’arto coinvolto dalla zop-pia. In nessuno di questi casi era stato, tuttavia, possibile emettere una diagnosi sicura sulla sede anatomica all’origine della zop-pia. Risultati: L’esame dei 26 cani ha evidenziato in 7 casi positività di gomito, in 6 casi positività di spalla, in 4 di anca, in 2 di gi-nocchio, in 2 positività di carpo, in uno di metafisi distale di omero, in uno di tarso. Nei 3 rimanenti casi sono state evidenzia-te positività multiple riferibili, in prima istanza, a metastasi tumorali per le quali sono stati consigliati ulteriori approfondimen-ti diagnostici (biopsia ossea). Una volta localizzata la sede di lesione, uno studio scintigrafico approfondito di ciascuno di que-sti casi permetteva di localizzare in modo più preciso l’area di maggior captazione del radioisotopo.Discussione e conclusioni: La scintigrafia ossea ha permesso agli autori di individuare con precisione le specifiche aree re-sponsabili di zoppie, di natura ossea, articolare, legamentosa o muscolare, nei casi in cui la visita clinica ed i comuni metodi dia-gnostici non avevano permesso di localizzare l’origine del problema. Spesso i soggetti risultavano alla visita ortopedica o parti-colarmente stoici e quindi con scarse risposte alle specifiche manovre, o agitati e/o ipereccitabili con risposte alle manualità or-topediche di dubbia interpretazione. In questi pazienti la scintigrafia rappresenta per gli autori un ottimo ausilio diagnostico perla localizzazione dell’origine della zoppia. È necessario comunque puntualizzare che questa indagine permette di fare diagnosisulla sede della lesione, ma non sulla sua natura. Saranno poi i successivi esami collaterali (esame radiografico, TAC, RM, ar-troscopia) ad effettuare una diagnosi finale specifica.

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46° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC 371

L’IMPIEGO DELL’ESAME CITOLOGICO NELLA DIAGNOSI DI ASPERGILLOSI NASALE NEL CANE:QUATTRO TECNICHE DI PRELIEVO A CONFRONTO

De Lorenzi Davide*; Bonfanti Ugo**; Carlo Masserdotti****Libero professionista, Forlì

**Libero professionista, Milano***Libero professionista, Brescia

Introduzione: Numerose tecniche diagnostiche (radiologia, rinoscopia, citologia, istologia, sierologia, esami colturali) sono sta-te applicate nel tempo per confermare un sospetto clinico di infestazione micotica delle cavità rino-sinusali del cane ma nessuntest permette, da solo, di emettere una diagnosi di certezza; una accurata valutazione rinoscopica eseguita con adeguata stru-mentazione associata a prelievi bioptici da eseguirsi su lesioni significative individuate nel corso dell’ispezione sino-rinoscopi-ca rappresenta probabilmente la migliore (e forse l’unica) tecnica per ottenere una indicazione certa in relazione all’eziologiamicotica della patologia in corso.Obbiettivi: Confrontare 4 tecniche differenti di prelievo in cani con sospetta rinite o rinosinusite micotica per valutare, con esa-me citologico, l’efficacia nell’individuare l’agente eziologico (ife, spore o corpi fruttiferi).Materiali e metodi: 11 cani con sospetta rinite o rinosinusite micotica (scolo nasale cronico uni- o bilaterale, quadro radiolo-gico con evidenza di distruzione dei turbinati ed aumento della radiotrasparenza, refrattarietà a terapie antibiotiche) sono statieseguiti prelievi per la valutazione citologica con 4 distinte tecniche: raccolta e spatolamento diretto dell’essudato da scolo na-sale, tampone endonasale eseguito “alla cieca”, spazzolato da lesioni significative individuate con rinoscopio a fibre ottiche (ot-tica rigida Storz : lung. 18 cm, diametro 2.7 mm, angolo di visione frontale 30°, camicia con canale di lavoro), schiacciamentodi biopsie da lesioni significative individuate con rinoscopio a fibre ottiche. I campioni sono stati tutti colorati con May-Gruenwald-Giemsa in coloratrice automatica (Aerospray Slide Stainer 7100 Wiescor) e sono stati valutati almeno due vetrini si-gnificativi per ogni tecnica da ogni paziente. Risultati: In tutti i campioni da tutti i pazienti con tutte le tecniche di prelievo si sono rilevati batteri liberi a morfologia mista(cocchi, bastoncelli, germi filamentosi), batteri fagocitati e neutrofili; con lo spatolamento diretto da scolo nasale si sono iden-tificate ife nel 9.09% (1/11 casi), spore e corpi fruttiferi nello 0% dei casi (0/11 casi); con prelievo “alla cieca” tramite tampo-ne endonasale si sono identificate ife nel 18.18% dei casi (2/11 casi), spore e corpi fruttiferi nello 0% dei casi (0/11 casi); conlo spazzolato in corso di rinoscopia si sono identificate ife nel 100% dei casi (11/11), spore nel 45.45% dei casi (5/11 casi) ecorpi fruttiferi in 1/11 casi; con lo schiacciamento da biopsia in corso di rinoscopia si sono identificate ife nel 100% dei casi(11/11 casi), spore nel 36.36% dei casi (4/11) e corpi fruttiferi in 1/11 casi; la valutazione combinata di spazzolato e biopsia hapermesso di individuare spore nel 63.63% dei casi (7/11); in aggiunta, in due casi si sono individuati ed estratti corpi estraneivegetali ed in un caso si è individuata una lesione sospetta neoplastica diagnosticata citologicamente come condrosarcoma.Conclusioni: Le tecniche di prelievo per spazzolamento e per biopsia, entrambe in corso di rinoscopia con adeguata strumen-tazione, hanno permesso di identificare l’agente eziologico sotto forma di ifa nel 100% dei casi; inoltre l’uso combinato delledue tecniche di prelievo ha permesso di identificare spore micotiche nel 63.63% dei casi, aumentando così l’affidabilità del-l’osservazione citologica; sulla base dei risultati sopra riportati il prelievo eseguito direttamente dallo scolo nasale ed il tampo-ne eseguito “alla cieca” non devono essere considerate metodiche adeguate di prelievo se si sospetta una patologia micotica en-donasale.

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372 46° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC

ANESTESIA LOCALE IN CHIRURGIA ORALE

De Simoi Alessandro Med VetLibero professionista, Feltre

Gli anestetici locali a valori fisiologici di pH esistono sia come catione carico che come base non ionizzata. La proporzione trale due forme dipende dal pH della soluzione anestetica, dal pH tissutale e dal pKa dello specifico anestetico locale. Dopo la pe-netrazione del rivestimento lipidico dei nervi da parte degli ioni RN avviene una ridistribuzione delle due forme ioniche, all’in-terno e all’esterno della fibra nervosa. Nel nervo la forma ionica RNH+ si lega ai siti recettoriali all’interno dei canali del sodio,il legame delle molecole anestetiche a questi siti recettoriali è responsabile della soppressione degli effetti elettrofisiologici cheavvengono durante la propagazione dell’impulso nervoso e della durata d’azione del farmaco. L’anestesia durerà fino a quandola concentrazione dell’anestetico locale all’interno del nervo sarà a livelli tali da prevenire la conduzione nervosa. In chirurgiaorale sono disponibili diverse tecniche di anestesia locale. Infiltrazione sopraperiostale: l’anestetico locale è iniettato diretta-mente nell’area oggetto del trattamento. Questo tipo di anestesia viene più comunemente usato sui denti dell’arcata mascellare,dove diffonde rapidamente attraverso il periostio e il relativamente sottile osso corticale mascellare. L’infiltrazione sopraperio-stale a livello mandibolare non è invece così efficace a causa del notevole spessore della piastra ossea corticale. Nell’anestesiaper infiltrazione sopraperiostale il punto di repere è rappresentato dall’apice del dente oggetto del trattamento. I Blocchi nervo-si regionali rivestono un particolare interesse in medicina veterinaria, le fibre nervose sensitive che innervano ossa, denti e tes-suti molli di mascella e mandibola originano dalle branche mascellari e mandibolari del nervo trigemino. Blocco Mascellare,l’ago si posiziona nella fossa pterigopalatina utilizzando come punto di repere l’ultimo molare mascellare. I rami dei nervi al-veolari superiori medi e craniali possono essere bloccati con la tecnica dell’infiltrazione nel canale infraorbitale. Per questa inie-zione si può utilizzare sia l’approccio endorale che extraorale. Anestesia mandibolare: blocco del nervo alveolare inferiore(IANB). Il blocco del nervo alveolare inferiore produce anestesia di tutti i denti dell’emi mandibola, del tessuto osseo e dellemucose, il forame di entrata del nervo alveolare inferiore si trova sulla faccia linguale della mandibola alla base del processo co-ronide e può essere generalmente apprezzato alla palpazione. Il blocco del nervo mentale viene effettuato attraverso il foramementale medio, il maggiore dei tre, il forame viene palpato apicalmente alla radice mesiale del secondo premolare. Tramite que-sto blocco si desensibilizzano gli incisivi, il canino e i primi premolari insieme ai tessuti molli e duri di quel lato. Infiltrazionedel legamento paradontale, questa tecnica può essere usata virtualmente su tutti i denti, ma viene più comunemente utilizzataper desensibilizzare uno o due denti per procedure endodontiche oppure per estrazioni. Usando aghi corti di 27 o 30 G si depo-sitano piccole dosi di anestetico locale direttamente nel legamento paradontale sulla superficie distale di ogni radice del denteinteressato prestando attenzione che la bietta dell’ago sia rivolta verso la superficie del dente. Infiltrazione intrasettale, è una va-riante dell’anestesia intraossea e per la minore densità ossea viene più comunemente utilizzata nei soggetti giovani. Viene uti-lizzato un ago corto da 27 G che viene infisso nell’osso corticale dopo aver adeguatamente anestetizzato la mucosa alveolare.Anestesia intraossea: L’anestesia intraossea necessita di un particolare strumentario che consiste di un perforatore che deve es-ser montato su di un contrangolo convenzionale e di un ago lungo 8 mm di 27 G che deve essere inserito nel foro creato dalperforatore. Questa tecnica permette di anestetizzare uno a più denti in dipendenza del sito di iniezione e del volume di aneste-tico iniettato, solitamente 0,4-0,6 ml. Anestesia intrapulpare: In una cavità pulpare esposta o per una frattura dentale oppure inseguito ad un accesso endodontico, l’anestetico locale può direttamente essere depositato a contatto con la polpa dentaria. Ideal-mente il calibro dell’ago dovrebbe essere quello che si avvicina il più possibile al diametro del canale pulpare e l’anestetico do-vrebbe essere iniettato sotto pressione. L’utilizzo delle tecniche di anestesia locale permette di controllare il dolore perioperato-rio e postoperatorio e consente di ridurre la concentrazione dei gas anestetici con un indubbio vantaggio che si traduce in un mi-gliore e più rapido risveglio. I blocchi nervosi regionali sono tecnicamente facili da effettuare, sono poco dispendiosi e richie-dono una strumentazione che è già a disposizione del medico veterinario nella pratica quotidiana.

La bibliografia è fornibile su richiesta a: [email protected]

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46° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC 373

IMMUNODEFICIENZA CONGENITA IN GATTINI DI RAZZA CERTOSINA

Del Piero Fabio1, DVM, Dipl. ACVP, Prof.; Torriani Laura2 MedVet Spec Mal Picc Anim; Rinaldi Angelo3 Med Vet; Carrani Francesco4 Med Vet Spec Mal Picc Anim.

1Department of Pathobiology, Department of Clinical Studies NBC, PA Animal Diagnostic Laboratories,School of Veterinary Medicine, University of Pennsylvania Philadelphia - Kennett Square, 19348, USA

2Libero professionista, Milano3Libero professionista, Pavia4Libero professionista, Pisa

Introduzione: Le immunodeficienze congenite acquisite gravi (severe combined immunodeficiencies, SCID) sono gravi malat-tie del sistema immunitario ben descritte nei topi e nei puledri, specie che sono importanti modelli di studio per le forme checolpiscono l’uomo. Qui descriviamo una SCID che ha colpito un gattino e molto probabilmente i suoi fratelli, provenienti da unallevamento caratterizzato da stretta consanguineità.Presentazione clinica, sierologia, patologia, istochimica, immunoistochimica: Tre gattini certosini, provenienti da un alleva-mento composto da soggetti caratterizzati da stretta consanguineità ed originati dall’accoppiamento di un maschio con una del-le sue figlie, iniziarono a presentare verso i 3-4 mesi di vita vomito, diarrea, dispnea, dimagramento progressivo e linfoadeno-megalia multisistemica. Due animali vennero esaminati e sottoposti ad eutanasia da altri veterinari. Il paziente da noi studiatovenne supportato tramite terapia sintomatica per contrastare diarrea, vomito, dispnea. Ripetuti esami sierologici risultarono ne-gativi per Toxoplasma, FIV e FeLV. Il quadro ematologico, a parte una lieve e moderata anemia, era nella norma. L’esame cito-logico dei linfonodi mise in evidenza un tappeto di istiociti con pochi linfociti, escludendo il linfoma. Visto lo scarso risultatodella terapia e l’aggravarsi dell’emaciazione e della linfoadenopatia anche questo paziente fu sottoposto ad eutanasia. L’esamenecroscopico confermò l’atrofia del tessuto adiposo e il raddoppiamento del volume dei linfonodi. Al microscopio i linfonodierano affetti da grave istiocitosi diffusa con eritrofagocitosi, atrofia follicolare e popolati da pochi piccoli linfociti e plasmacel-lule. Il timo era gravemente atrofico, quasi irriconoscibile, mentre era completamente assente il tessuto linfoide intestinale. Lamilza presentava pure atrofia della polpa bianca con macrofagi periarteriolari. Era inoltre evidente edema polmonare. La graveatrofia coinvolgente i linfociti T e B venne confermata utilizzando tecniche immunoistochimiche indirette perossidasiche per l’i-dentificazione di epitopi specifici per linfociti T (CD3) e linfociti B (CD79a, BLA36). I tessuti risultarono negativi per batteri,miceti e protozoi usando le metodiche istochimiche Ziehl-Neelsen, Giemsa, GMS, PAS, Whartin-Starry e Gram. Anche i tenta-tivi per l’identificazione di Chlamydia spp., Toxoplasma gondii, Neospora spp, Mycobacterium spp, FIP coronavirus tramite me-todiche immunoistochimiche indirette risultarono negativi.Discussione e conclusioni: Le lesioni osservate sono molto gravi e suggeriscono la presenza di una SCID autosomica recessi-va con atrofia dei linfociti B e T e proliferazione compensatoria ed anomala dei macrofagi. Riteniamo che i fratelli di questa gat-tina fossero anche egualmente affetti e che la stretta consanguineità forzata in allevamento abbia selezionato l’espressione ge-netica e fenotipica di questa malattia. Le nostre indagini morfologiche ed immunoistochimiche ci portano a speculare che il di-fetto principale potrebbe essere una mancanza di recettori sui linfociti B anche con una mancata attivazione dei linfociti T, co-me nella “bare cell” SCID umana.

Informazioni bibliografiche sono disponibili presso gli autori.

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374 46° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC

INDAGINI ISTOPATOLOGICHE ED IMMUNOISTOCHIMICHE SULL’INFEZIONE OCULARE DA CORONAVIRUS DELLA PERITONITE INFETTIVA FELINA

Del Piero Fabio, DVM, Dipl. ACVP, Prof.Department of Pathobiology, Department of Clinical Studies NBC, PA Animal Diagnostic Laboratories,

School of Veterinary Medicine, University of Pennsylvania, Philadelphia, USA

Introduzione: La peritonite infettiva felina è una malattia virale ad esito fatale che può coinvolgere gravemente anche i tessutioculari. Lo scopo di questo studio è stato quello di verificare la presenza di un antigene strutturale del coronavirus FIP (FIPcv)negli occhi dei felini con infezione naturale da FIPcv, correlare i reperti immunoistochimici e morfologici, contribuire allo stu-dio della patogenesi della FIP e stabilire la sensibilità e specificità di questa metodica immunoistochimica indiretta.Materiali e metodi: Sono stati selezionati ed esaminati 20 gatti deceduti in seguito a FIP diagnosticata sulla base delle lesionipatognomoniche macroscopiche ed istologiche multisistemiche. FIPcv era stato precedentemente identificato nei tessuti cavita-ri dei pazienti con una metodica di immunofluorescenza diretta. Tutti i pazienti presentavano segni clinici che suggerivano FIPe presentavano lesioni oculari lievi, moderate o gravi. I tessuti oculari sono stati fissati in formalina tamponata al 10%, disidra-tati con alcolizzazione progressiva, inclusi in paraffina e sezionati. Sezioni seriate di 5 micron su vetrino sono state colorate conematossillina ed eosina per la valutazione morfologica istopatologica e con una nuova metodica immunoistochimica indiretta.In breve le sezioni sono state trattate con H2O2, proteasi, messe a contatto con un anticorpo murino monoclonale che riconosceun epitopo strutturale a basso peso molecolare specifico per il FIPcv. Tale reazione di legame è stata poi identificata da un anti-corpo caprino antimurino e i siti di reazione sono stati evidenziati usando un polimero coniugato con i coloranti 3,3-diamino-benzidine-4HCl [DAB] (marrone) e, in alternativa, la fosfatasi alcalina (rosso). Come controlli positivi sono stati usati tessutifelini contenenti FIPcv mentre come controlli negativi tessuti felini senza FIPcv e tessuti felini contenenti altri agenti eziologi-ci virali e batterici sia felini che interspecifici.Risultati: Tutti i pazienti erano affetti da lesioni infiammatorie oculari FIP caratteristiche, lievi, moderate e gravi, linfocitiche,linfocitiche e plasmacitiche, istiocitiche, neutrofiliche, granulomatose e piogranulomatose, con coinvolgimento in ordine decre-scente di corpo ciliare (18/20), iride (18/20), coroide (8/20), meningi ottiche (6/20), cornea (4/20), retina (4/20), nervo ottico(2/20), sclera (2/20). Le lesioni erano bilaterali e caratterizzate da vasculite. L’antigene specifico FIPcv è stato rilevato in quan-tità lievi e moderate, sempre diagnostiche, nel citoplasma degli istiociti (macrofagi attivati modificati) dei granulomi, in istioci-ti singoli e talvolta libero in focolai con istiociti necrotici.Discussione e conclusioni: Questa tecnica avanzata immunoistochimica indiretta perossidasica polimerica è una metodica sen-sibile, specifica e poco costosa per l’identificazione del FIPcv nei tessuti, permette di differenziare la FIP oculare da lesioni gra-nulomatose causate da batteri, miceti e protisti, rivela che piccole quantità di antigene virale possono essere associate anche alesioni moderate e gravi, permette di maneggiare tessuti infetti a virus inattivato. I risultati sono permanenti e possono essereconservati inalterati per anni. Vista la necessità di una contemporanea valutazione anatomica, patologica macroscopica e mi-croscopica, infettivistica e immunopatologica, è necessaria la partecipazione di un patologo veterinario qualificato per l’inter-pretazione dei risultati. Sono in corso ulteriori studi su un maggior numero di pazienti affetti da FIP.

La bibliografia è disponibile presso l’autore.

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46° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC 375

MIOCARDIOPATIA/DISPLASIA VENTRICOLARE DESTRA ARITMOGENICA E COR TRIATRIATUM DEXTER IN UN CANE

Della Santa Daniele* Med Vet; Sanders Robert A.# DVM; Eyster George E.# VMD MS Dipl. ACVS* Dipartimento di Clinica Veterinaria, Facoltà di Medicina Veterinaria, Università di Pisa

# Department of Small Animal Clinical Sciences, College of Veterinary Medicine, Michigan State University, USA

Introduction: Arrhytmogenic right ventricular cardiomyopathy/dysplasia and Cor Triatriatum Dexter (CTD) are rare cardiacdefects in dogs and have yet to be described occurring together.Aim: The aim of the present paper is to describe the clinical, electrocardiographic, echocardiographic and histopathological fin-dings detected in a dog affected by this complex heart disease.Clinical case: A 2-month-old female Springer spaniel was evaluated for acute onset and rapidly progressive abdominal disten-sion, lethargy and respiratory failure. Physical examination revealed severe abdominal distension, tachycardia (heart rate rangedbetween 250 and 280 beats per minute) and weakness of femoral pulses. No murmur was detected. A standard transthoracic elec-trocardiogram demonstrated a very fast ventricular tachycardia with left bundle branch block morphology. Echocardiographydemonstrated dilation and hypocontractility of both ventricles. Severe dilation of the right atrium was detected together with mo-derate dilation of the left atrium. Further abnormal findings include: increased size of the moderator band and trabeculation ofthe right ventricle, presence of a right-sided atrial membrane consistent with a CTD. On doppler exam a small jet of tricuspidregurgitation was noted, but no mitral regurgitation jets were detected. Furthermore, turbulence in the caudal right atrium wasimaged. Tentative diagnosis was cor triatriatum dexter and cardiomyopathy of unknown origin. Due to the poor prognosis theowner elected euthanasia. Post-mortem examination revealed that the outflow portion of the right ventricle was severely abnor-mal with what appeared to be a non-muscular aneurysm. This aneurysm was found to be composed of non-specific not inflam-matory fibrous replacement tissue by histopathology. No histological abnormalities were noted in the preparations of left ven-tricular tissue. In addition to the anomalous right ventricular outflow tract, the presence of a cor triatriatum dexter was confir-med.Discussion: Dogs affected by either arrhytmogenic right ventricular cardiomyopathy/dysplasia and CTD are usually evaluatedbecause of ascites. In the present case the absence of histologic changes in the left ventricular myocardium and other causes ofleft ventricular failure, supports the hypothesis that left-sided heart failure was induced by the fast ventricular tachycardia. Toour knowledge this is the first reported canine arrhytmogenic right ventricular cardiomyopathy/dysplasia case that was charac-terized by biventricular failure. Consequently the disease should be suspected in young dogs with unexplained ventricular ta-chycardia with left bundle branch block morphology presented with signs of right-sided or generalized congestive heart failure.In haemodinamically significant CTD cases, surgical or percutaneous balloon dilation of the lesion have provided good results.On the other side, long-term treatment of right ventricular dysplasia in veterinary medicine has not been reported and may notbe rewarding. Currently drug therapy to control arrhythmias has had limited success. Use of radiofrequency ablation has beenused in some human patients with ventricular arrhythmias while surgical disarticulation of the right ventricle or heart transplanthas been used in the most extreme human cases of arrhytmogenic right ventricular dysplasia. Consequently prognosis for thiscomplex heart disease in canines is poor at this time.

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376 46° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC

L’IMPIEGO DELLA TC SPIRALE NELLO STUDIO DEL SARCOMA INDOTTO DA INIEZIONE NEL GATTO (20 CASI): SEMEIOTICA TOMOGRAFICA E RADIODIAGNOSTICA

Di Giancamillo Mauro* Med Vet; Secchiero Barbara* Med Vet; Fonda Diego* Med Vet Prof ECVA;Stefanello Damiano* Med Vet; Grieco Valeria# Med Vet PhD; Finazzi Mario# Med Vet Prof

* Istituto di Clinica Chirurgica e Radiologia Veterinaria# Dipartimento di Patologia Animale, Igiene e Sanità Pubblica, Sezione di Anatomia Patologica Veterinaria

e Patologia Aviare, Facoltà di Medicina Veterinaria, Università degli Studi di Milano

Il sarcoma iniezione indotto (SII) è una neoplasia felina emergente per la quale non esiste ancora una teoria eziopatogeneticadefinitiva e che si distingue da altri sarcomi sottocutanei per la complicata gestione clinica e la frequente recidiva in loco anchedopo terapie multimodali. Tipicamente unicentrico e a rapida crescita, è un tumore particolarmente aggressivo nei confronti deitessuti limitrofi e facilmente recidivante dopo exeresi chirurgica, anche se sembra possedere un basso potenziale metastastico.Gli aspetti clinici raramente coincidono con il grado di infiltrazione della neoplasia. Pertanto nell’iter diagnostico si sono rive-late indispensabili le tecniche tomografiche a raggi x e/o a risonanza magnetica. Esse consentono di definire con precisione lecaratteristiche morfostrutturali della neoformazione, i rapporti con le strutture limitrofe e l’eventuale presenza di diffusioni me-tastatiche, permettendo quindi la pianificazione del protocollo prognostico-terapeutico più adeguato. Lo scopo del presente la-voro consiste nella descrizione della semeiotica-TC del SII in condizioni basali e dopo somministrazione di mezzo di contrasto(m.d.c.). Venti gatti, di sesso differente e di età compresa tra i 2 ed i 17, anni affetti da SII sono stati sottoposti a tomografia com-puterizzata a raggi x in modalità spirale. I pazienti, sottoposti ad anestesia generale inalatoria, sono stati posizionati in decubi-to sternale con gli arti anteriori e posteriori estesi rispettivamente in senso craniale e caudale. I protocolli di ripresa tomografi-ca sono stati scelti, di volta in volta, in funzione delle dimensioni e della sede della neoplasia: quando localizzata in regione ad-dominale, sono state sempre eseguite acquisizioni total body; per le sedi in regione toracica, il campo di scansione si estendevadalla prima costa all’addome superiore. In ogni soggetto sono state ottenute scansioni spirali in condizioni basali e rispettiva-mente a 1 e a 10 minuti dopo l’iniezione e.v. a bolo di un m.d.c. organo iodato idrosolubile non ionico, alla posologia di 600mgI/kg. La durata complessiva di ogni acquisizione era compresa tra i 30 ed i 46 secondi. Di ogni tumore sono stati presi in con-siderazione la sede, il numero, l’aspetto, i margini, i rapporti con i tessuti viciniori, il grado di vascolarizzazione periferico, ladensità pre e post-contrasto, l’eventuale presenza di aree solide lungo i piani fasciali limitrofi (skip metastasi) o di metastasi adistanza o di linfoadenomegalia loco-regionale. Lo studio ha mostrato una prevalenza delle sedi interscapolare (8 casi) e costa-le destra (5 casi). Le immagini tomografiche più dimostrative sono state ottenute nella fase tardiva ed hanno per lo più palesatola presenza di neoformazioni ipodense, di forma sferica-ovalare e di dimensioni variabili, caratterizzate da un enhancement delm.d.c. disomogeneo e prevalentemente periferico. Nella maggior parte dei casi osservati sono stati riscontrati elevati gradi di in-filtrazione dei piani tissutali più profondi e stretti rapporti di contiguità con il tessuto scheletrico adiacente. In due casi sono sta-te identificate aree di mineralizzazione. In due soggetti è stata rilevata linfoadenomegalia loco-regionale, in uno la presenza dimetastasi polmonari ed in tre di skip metastasi, tutti rilievi non riportati alla visita clinica. La TC spirale si è rivelata uno stru-mento prezioso sia per lo studio della neoplasia in sé che per la valutazione delle grandi cavità corporee, consentendo di stabi-lire, di volta in volta, l’approccio terapeutico più appropriato. In considerazione poi dell’estrema rapidità di esecuzione dell’in-dagine la si ritiene attualmente uno strumento indispensabile nel protocollo diagnostico del SII.

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46° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC 377

RELAZIONE E CONFRONTO TRA STATO DI SALUTE ED ENDOPARASSITOSI NEI RETTILI NATI IN CATTIVITÀ E SELVATICI

Di Ianni Francesco* Med Vet; Dodi Pier Luigi* Med Vet; Bonati Luca* Med Vet; Parmigiani Enrico*DVM, MS; Bigliardi Enrico*, Med Vet

*Dipartimento di Salute Animale, Facoltà di Medicina Veterinaria, Università degli studi di Parma

L’allevamento dei rettili a scopo amatoriale ha assunto negli ultimi anni un incremento considerevole. L’allevamento a scopocommerciale comincia, anche in Italia, ad assumere consistenze di rilievo e discreta professionalità. Tra le patologie che posso-no compromettere la redditività dell’allevamento le parassitosi in genere sono tra le più importanti in quanto possono determi-nare gravi perdite tra i soggetti allevati. Lo scopo del nostro studio è stato quello di verificare l’incidenza delle endoparassitosinei soggetti nati in cattività e in quelli selvatici importati.Materiali e metodi: Nel nostro studio abbiamo considerato 25 rettili nati in cattività di cui: 7 pitoni delle rocce indiane, 10 boaimperatore, 5 pitoni reali, 3 pitoni verdi. I rettili selvatici erano rappresentati da: 10 boa imperatore, 12 pitoni reali, 3 pitoni ver-di. La ripartizione tra maschi e femmine era equivalente e tutti i soggetti erano stabulati nelle stesse condizioni in terrari singo-li, con temperatura compresa tra 28° e 32° C con umidità relativa del 70%. L’alimentazione era costituita da topi e ratti vivi s.p.f..L’EOG è stato eseguito su tutti i soggetti valutando i seguenti parametri: stato di nutrizione, tono muscolare, cute e mucose ap-parenti (cloacale ed orale). Per ogni soggetto sono stati eseguiti due prelievi di materiale fecale in corrispondenza di due pasticonsecutivi (circa ad un mese di distanza). I campioni sono stati raccolti in appositi contenitori e inviati immediatamente al la-boratorio per essere processati. La valutazione ha preso in esame l’aspetto macroscopico delle feci (colore e consistenza) e la ri-cerca per flottazione dei parassiti presenti con microscopio ottico a 100 X.Risultati: Tra i soggetti nati in cattività l’esame coprologico ha messo in evidenza nel 40% (10 soggetti) la presenza di paras-siti intestinali di cui tre mostravano uova di ossiuri e coccidi, sei uova di elminti e uno tutte e tre le specie. Sei rettili presenta-vano una sintomatologia riferibile alla parassitosi individuata. Nel gruppo degli animali selvatici importati 18 esemplari (72%)sono risultati infestati, tredici da elminti e ossiuri tre da elminti e coccidi e due da ossiuri e coccidi. La compromissione dellostato generale di salute era notevolmente più grave rispetto ai rettili nati in cattività. Abbiamo potuto osservare in 15 soggettiuno stato di nutrizione carente ed in cinque soggetti la cloaca arrossata e beante in seguito all’enterite. Cinque soggetti sono de-ceduti dopo 60 giorni dall’inizio dello studio.Conclusioni: Le parassitosi dei rettili rappresentano una percentuale significativa delle patologie che si manifestano nell’alle-vamento in cattività. I soggetti selvatici importati sono maggiormente predisposti a sviluppare endoparassitosi che solitamenteassumono una gravità superiore a quelle riscontrate nei soggetti nati in cattività. Lo stress e le condizioni di trasporto, spessonon ottimali, probabilmente favoriscono la compromissione dello stato di salute generale dei rettili selvatici. Tra le specie di pa-rassiti maggiormente rappresentate abbiano riscontrato uova di elminti, ossiuri e coccidi. Non abbiamo notato differenze signi-ficative tra le specie di parassiti dei rettili selvatici e quelli nati in cattività.

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378 46° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC

ALLESTIMENTO DI UNA MULTIPLEX RT-PCR PER LA DIAGNOSI DELLE INFEZIONI RESPIRATORIE DEL GATTO

Di Martino Barbara Med Vet; Di Francesco Cristina E. Med Vet; Marsilio Fulvio Med VetDipartimento di Scienze Biomediche Comparate Università degli Studi di Teramo

Il complesso delle infezioni respiratorie (U.R.T.D: Upper Respiratory Tract Disease), continua ad essere una delle principali cau-se di malattia nel gatto, in particolare per quelli che vivono in colonie. I patogeni più comunemente associati alla U.R.T.D. so-no rappresentati dal Calicivirus Felino (FCV), dall’Herpesvirus Felino di tipo 1 (FHV-1) e dalla Chlamydophila spp. Altri agen-ti infettivi si comportano nella maggior parte dei casi, da patogeni secondari. La comparsa di sintomi respiratori soprattutto seosservati in soggetti giovani, permette di emettere un sospetto di infezione delle vie aeree superiori, ma non è sufficiente pergiungere alla diagnosi di certezza. Ne consegue la necessità di ricorrere all’ausilio di esami specifici di laboratorio atti ad iden-tificare ciascuno dei tre agenti infettivi; tuttavia, in qualche caso le tecniche tradizionali, presentano alcuni inconvenienti qualiad esempio tempi molto lunghi, bassa sensibilità, difficoltà nell’evidenziazione di alcuni patogeni. Lo scopo del presente lavo-ro è stato, quindi, l’allestimento di una metodica capace di superare quest’ultime problematiche e in particolare è stata allestitauna Multiplex RT-PCR in grado di amplificare simultaneamente frammenti genomici appartenenti a FCV, FHV-1 e Chlamy-dophila spp. Per la messa a punto della metodica, per ciascun patogeno sono state identificate le sequenze nucleotidiche bersa-glio da sottoporre ad amplificazione, rappresentate da una sequenza di 2345 bp del gene ORF2 della proteina capsidica di FCV,una sequenza di 321 bp del gene TK (Timidino-chinasi) di FHV-1 ed infine una sequenza di 587 bp del gene OMP2 (Proteinadella membrana esterna) di Chlamydophila spp. Il DNA e RNA virali sono stati estratti con il Dneasy Tissue kit (Qiagen) e l’R-neasy Mini kit (Qiagen), a partire da linee cellulari CrFK infettate con FHV-1 e FCV. L’estratto genomico di Chlamydophila fe-lis è stato gentilmente fornito dal Dott. C. Helps (Università di Bristol, UK). Dapprima sono stati identificati i tre agenti pato-geni attraverso singole PCR e quindi si è passati all’aggiunta sequenziale di ogni set di primers fino ad unire nella stessa rea-zione le tre coppie. Per ridurre l’amplificazione non-specifica è stato necessario modificare alcuni parametri, quali: concentra-zione di MgCl2, hot-start, tempi di estensione, aumento della temperatura di annealing dei primers, riselezione delle sequenzedei primers, variazione delle concentrazioni relative delle coppie di primers e degli estratti genomici. Il protocollo definitivo èil seguente: RT: il DNA viene sintetizzato in un volume di reazione totale di 20 µl contenente 2 µl di RNA virale, PCR buffer10x, 3,5 mM MgCl2, 200 µM di ciascun dNTP, 1 U/µl Rnasi inhibitor, 5 U/µl RT (MuLV) e 0,5 µM di primer Cali 2. Il DNAviene sintetizzato a 42°C per 45’ con una fase di inattivazione del RT (MuLV) a 94°C per 5’. Multiplex-PCR: l’amplificazionedei tre frammenti bersaglio viene eseguita in un volume di reazione totale di 50 ul, contenente 5 µl del prodotto della retrotra-scrizione, PCR buffer 10X, 200 µM di ciascun dNTP, 0,02 U/µl HOT Master TAQ DNA Polymerase (Eppendorf) e 0,2 µM diprimer Cali 1, 0.02 µM di primers Chla AF e Chla AR, 0,004 µM di primers Fhv-F e Fhv-R. La reazione di amplificazione av-viene nel DNA Thermal Cycler per 35 cicli, con denaturazione a 94°C per 1’, annealing a 60C per 1’ ed estensione a 72°C per1’. Il risultato è l’amplificazione dei tre frammenti genomici appartenenti a ciascuno dei principali patogeni associati allaU.R.T.D. La tecnica è stata quindi provata su n.12 tamponi congiuntivali provenienti da gatti con sintomatologia respiratoria inatto. I risultati riportati nella tab. n.1, dimostrano in via preliminare l’idoneità della Multiplex RT-PCR nella diagnosi dellaU.R.T.D.

Tabella 1Risultati dell’applicazione della Multiplex RT-PCR su tamponi congiuntivali

Identificativo Multiplex RT-PCRcampione PCR Chlam. PCR FHV-1 PCR FCV Chlam. FHV-1 FCV

5/P - + - - + -8/P + + - + + -7/P - + - - + -4/P - + N.E. - + -3/P - + N.E. - + -6/P - + - - + -12/P + + - + + -10/P + + - + + -11/P + + - + + -9/P + + - + + -13/P + + - + + -14/P - + - - + -

Legenda: - risultato negativo; + risultato positivoPCR Chlam.: Polymerase Chain Reaction Chlamydophila spp.PCR FHV-1: Polymerase Chain Reaction Feline Herpesvirus-1PCR FCV: Polymerase Chain Reaction Feline CalicivirusMultiplex RT-PCR: RT- Polymerase Chain Reaction Chlamydophila spp., Feline Herpesvirus-1, Feline CalicivirusN.E.: non eseguita

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46° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC 379

SIEROPREVALENZA DI ALCUNE INFEZIONI TRASMESSE DA ARTROPODI VETTORI IN CANI RESIDENTI IN TOSCANA E LIGURIA

Sacchini Federico* MVB MRCVS; Ebani Valentina V.# Med Vet PhD; Lubas George## Med Vet Dipl ECVIM; Mancianti Francesca# Med Vet, Roberts Larry* BVM&S PhD MRCVS,

Shaw Susan Elizabeth+ BVSc (Hons) MSc DACVIM DECVIM FACVSc MRCVS* Specialista in patologia e clinica degli animali d’affezione, IDEXX Laboratories Ltd, Wetherby UK

# Dip. Patologia Animale, Profilassi e Igiene degli Alimenti, Università di Pisa## Dipartimento di Clinica Veterinaria, Laboratorio di Ematologia, Università di Pisa

+Dept Clinical veterinary Science, University of Bristol, UK

Aim: Assessment of the seroreactivity toward some arthropod-borne diseases by indirect immunofluorescent test (IFAT) in hun-ting dogs living in Tuscany and Liguria.Introduction: Epidemiological data regarding the arthropod-borne diseases in dogs are lacking and often extrapolated from stu-dies performed in different geographical areas. The distribution of these diseases depends primarily on the presence of the vec-tor itself. The hunting dog, because of its working environment (forest) and housing conditions (open shelters, density), has hi-gh levels of arthropod exposure and assessment of their infection prevalence may help in evaluating the risk of infection for bothhumans and other animals.Materials and methods: 101 hunting dogs selected by 4 veterinary clinics were examined between June and October 2002. Allthe dogs underwent physical examination and blood sampling. A full blood count, biochemistry profile, serum protein elec-trophoresis and IFAT for Leishmania infantum, Ehrlichia canis, Anaplasma phagocytophila, Rickettsia rickettsii, Rickettsia co-norii and Borrelia burgdorferi were performed on each sample. The cut-off titre for positivity was established at ≥1:40 for L.infantum, E. canis, A. phagocytophila and ≥1:64 for R. rickettsii, R. conorii and B. burgdorferi.Results: Clinical examination revealed skin problems 66%, external parasites 49% and poor body condition 31% of dogs exa-mined. The laboratory abnormalities more frequently detected were: anaemia 7%, eosinophilia 35%, hypoproteinaemia 28%,low urea 9%, elevated bile acids 18%, hypocholesterolaemia 16% and hyponatraemia 12%. A total of 35 dogs did not presentany clinical and/or laboratory abnormalities. 148/606 tests were positive on IFAT; E. canis 52; R. rickettsii 43; R. conorii 31; A.phagocytophila 11; L. infantum 9; B. burgdorferi 2. A total of 21 dogs were negative for all the tested pathogens; 31 dogs werepositive for 1 pathogen; 35 positive for 2 pathogens; 10 positive for 3; 3 positive for 4 and 1 positive for 5 pathogens. Statisti-cal analysis revealed no significant differences in the proportion of positive results between apparently healthy animals and tho-se with clinical and/or laboratory abnormalities or between animals housed in high density (≥4 dogs/kennel) compared to thosehoused in smaller kennels (H0:π1-π2=0; α=0.05).Conclusions: This study confirms a high seroprevalence by IFA testing for E. canis, R. conorii and R. rickettsii, and a highprevalence of coinfections within the dog population studied. The coinfections between E. canis and R. conorii are likely tobe associated with the vector Rhipicephalus sanguineus, while A. phagocytophila positives suggest the involvement of ticks ofthe Ixodes group. However, possible antibody cross-reactions should be considered, particularly between E. canis and A. pha-gocytophila and within the spotted fever group. Moreover, seroreactivity to R. rickettsii appears widespread in this population.However, as the presence of this micro-organism has not been confirmed in Italy, cross-reactions with other members of thespotted fever, such as Rickettsia helvetica recently isolated from ticks in Tuscany1, must be considered. Further investigations(western blotting, PCR, DNA sequencing) are required to evaluate the possible antibody cross-reactions and the IFAT sensiti-vity/specificity.

Bibliografia1. Benianati T, Lo N, Noda H, Esposito F, Rizzoli A, Favia G, Genchi C (2002): First detection of Spotted Fever Group Rickettsiae in Ixodes Ricinus from

Italy, Emerging Infectious Diseases, 8:9, pp 983-986.

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380 46° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC

ALTERAZIONI COAGULATIVE IN CORSO DI BABESIOSI CANINA INDOTTA DA BABESIA CANIS SPP.

Caldin Marco* Med Vet; Furlanello Tommaso*# Med Vet; Patron Carlo# Med Vet; Giordano Antonella Dott Biolog#; Lubas George@ Med Vet

*Clinica Veterinaria Privata “San Marco”, Padova, #Laboratorio Privato d’Analisi Veterinarie “San Marco”, Padova,@Dipartimento di Clinica Veterinaria, Università di Pisa

Introduzione ed obiettivi: La babesiosi canina è una patologia infiammatoria sistemica che nell’Europa meridionale è causataBabesia canis canis, morfologicamente indistinguibile dalle altre sottospecie di Babesia. I segni clinici più frequenti sono lega-ti ad una risposta infiammatoria sistemica acuta, indotta dalla moltiplicazione del parassita negli eritrociti, a cui si associano ane-mia e splenomegalia. Nei cani affetti da babesiosi è riferita anche la presenza di alterazioni coagulative ed in particolare di unacoagulazione intravascolare disseminata (DIC). Tali informazioni però sono connesse all’infezione da B. canis subsp. rossi, pre-sente in Africa e dotata di maggiore patogenicità. Questo studio retrospettivo segnala le alterazioni dell’emostasi in cani affettida babesiosi e compara i risultati con quanto riportato in letteratura.Materiali, metodi e risultati: Nel periodo compreso tra il 11-10-00 e il 22-09-02 sono stati identificati 15 casi di babesiosi. Ladiagnosi è stata realizzata con l’osservazione microscopica dell’agente infettivo in uno striscio ematico. I casi considerati eranocompletati con i seguenti dati di laboratorio: esame emocromocitometrico, profilo biochimico esteso, profilo coagulativo, esa-me delle urine e sieroelettroforesi. Il profilo coagulativo comprendeva la conta piastrinica sia strumentale che stimata grazie al-l’osservazione microscopica dello striscio ematico, gli indici piastrinici MPV (Mean Platelet Volume) e PDW (Platelet Dimen-sion Width), il PT, l’aPTT, i prodotti di degradazione della fibrina/fibrinogeno (FDPs), i D-dimeri (D-D), il fibrinogeno (FI) el’antitrombina III (ATIII).Per valutare complessivamente gli scostamenti dei risultati ottenuti rispetto agli intervalli di riferimento del profilo coagulativo,è stata calcolata la media (Χ) sulla percentuale dello scarto osservato nei valori patologici. Se i parametri considerati erano di-minuiti rispetto al valore minimo dell’intervallo di riferimento lo scarto era negativo, se viceversa erano aumentati rispetto al va-lore massimo dell’intervallo di riferimento lo scarto era positivo.La conta piastrinica sia numerica (Χ= -78%) che stimata era inadeguata in 15/15 cani, come erano aumentati in tutti i soggettisia l’MPV (Χ= +84,5%) che il PDW (Χ= +45,2%). Si osservava un aumento del PT in 2/15 cani (Χ= +10,9%) come dell’aPTTin 8/15 (Χ= +7,9%), gli FDP erano superiori a 2,5 mcg/ml in 4/15 cani (26,7%), i D-D ed il FI erano incrementati rispettiva-mente per 3/15 (Χ= +113,1%) e per 15/15 (Χ= +100,7%) soggetti, mentre per l’AT III era diminuito in 7/15 (Χ= -5,6%).Commenti e conclusione: Per la prima volta è stato analizzato un profilo coagulativo esteso, integrato anche da alcuni para-metri piastrinici, in cani affetti da babesiosi. I rilievi clinico-patologici riscontrati in tutti i casi sono la piastrinopenia moderatae l’iperfibrinogenemia elevata, che possono essere considerati dei marker di babesiosi. La DIC, peraltro ben compensata, puòessere sospettata dai dati di laboratorio solo in 3/15 cani. La piastrinopenia quindi non sembra legata ad un consumo, ma piut-tosto ad un sequestro periferico (splenomegalia) oppure ad una distruzione periferica, in quanto i parametri volumetrici piastri-nici suggeriscono una conservata ed efficiente attività midollare. L’uso di anticoagulanti, come è consigliato da alcuni autori,non è razionale.

Ringraziamenti: Alla Sig.na Francesca Fiorio per l’assistenza nell’elaborazione dei dati.

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46° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC 381

NEUTROPENIA NEL CANE: STUDIO RETROSPETTIVO SU 115 CASI

Caldin Marco* Med Vet; Furlanello Tommaso* Med Vet; Patron Carlo* Med Vet; Giordano Antonella* Dott Biolog; Lubas George# MedVet

*Liberi professionisti, Padova#Dipartimento di Clinica Veterinaria, Università di Pisa

Introduzione ed obiettivi: I granulociti neutrofili rappresentano uno dei principali mezzi di difesa dell’organismo contro i pa-togeni, in quanto possono uccidere o inattivare funghi, lieviti, alghe, batteri, parassiti e virus. In caso di neutropenia aumenta lasuscettibilità verso le infezioni, in modo proporzionale rispetto al grado di riduzione di tale classe di leucociti. Riferendosi almeccanismo eziopatogenetico d’insorgenza, la neutropenia può essere causata da a) malattie infettive non piogeniche, b) au-mentata domanda per marcata infiammazione, anche purulenta, batterica o non, c) uso di farmaci, d) patologie primarie del mi-dollo emopoietico, e) malattie immunomediate ed infine f) cause non diagnosticabili. Lo scopo del lavoro è di descrivere nel ca-ne un numero rappresentativo di casi di neutropenia grave e di confrontare tali dati con la letteratura (Brown et al., JAAHA 2001;37: 131-139).Materiali, metodi e risultati: Nel periodo compreso tra il 01-06-01 e il 20-09-02 sono stati realizzati 2.441 esami emocromo-citometrici, ottenuti da 2.098 cani, provenienti da una singola Clinica Veterinaria. L’esame emocromocitometrico è stato rea-lizzato su contaglobuli laser ADVIA 120 Bayer. Alla lettura strumentale è associata la valutazione citomorfologica dello stri-scio ematico eseguito con sangue fresco. Per ogni paziente erano disponibili dati clinici/clinico-patologici estesi.Definendo arbitrariamente come neutropenia significativa una conta dei granulociti neutrofili circolanti ≤ 3.000/mcL (VN –valori normali = 3.900-8.000/mcL), sono stati raccolti 115 casi, pari al 4,7% degli esami emocromocitometrici eseguiti. In70/115 casi (60,9%), vi era anche leucopenia (VN 5.200-13.900/mcL), mentre in 45 casi la conta leucocitaria era normale odaumentata. Utilizzando lo schema classificativo presente in letteratura, sono stati riscontrati: 29 casi di malattie infettive nonpiogeniche (25,2%) [parvovirosi 15, rickettsiosi 7, piroplasmosi 5, ehrlichiosi granulocitaria 2], 23 casi di flogosi gravi/endo-tossiemie (20,0%) [risposta infiammatoria sistemica 10, diarrea emorragica 4, piotorace/polmonite settica 3, piometra 2, asces-so prostatico 2, rottura di organi cavi addominali 2], uso di farmaci 7 (6,1%) [chemioterapia per linfoma 3, azatioprina per ma-lattie immunom. 1, fenobarbitale 1, estrogeni 1] e patologie emopoietiche 39 (33,9%) [linfoma stadio V 14, altre leucemie 12,leucemia linfoide 9, sindrome mielodisplastica primaria 3, istiocitosi maligna 1]. Infine sono stati osservati 17 casi (14.8%) af-fetti da una miscellanea di altre cause (insuff. epatica cronica 6, periodontite 3, neuropatia grave 2, insuff. renale cronica gra-ve 1, avvelenamento da glicole-etilene 1 e carcinoma mammario 1). In quest’ultimo gruppo sono stati inseriti anche 3 casi dineutropenia riscontrata incidentalmente, in animali clinicamente sani. Non sono stati osservati casi suggestivi di neutropenieimmunomediate.Commenti e conclusione: La neutropenia grave non è un evento raro nella pratica clinica. Questo importante segno clinico puòessere presente anche in caso di conta leucocitaria normale o aumentata e ciò enfatizza la necessità di eseguire routinariamentela conta differenziale dei leucociti. Solo in 3 casi su 115 il rilievo è stato incidentale; negli altri casi la neutropenia era associa-ta ad eventi patologici gravi, quasi sempre diagnosticabili. Rispetto alla letteratura (op. cit.), prevalgono le patologie midollariprimarie (33,9% vs. 3,0%), mentre molto più rare sono le patologie infettive non purulente (parvovirosi: 13,0% vs. 53,0%). L’e-same citopatologico del midollo rappresenta un indispensabile ausilio diagnostico in caso di neutropenie non altrimenti spiega-bili.

Ringraziamenti: Alla Sig.na Francesca Fiorio per l’assistenza nell’elaborazione dei dati.

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382 46° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC

DIAGNOSI ECOGRAFICA DELLE COMUNICAZIONI PORTO-SISTEMICHE NEL CANE E NEL GATTO.STUDIO RETROSPETTIVO SU 51 CASI

Santilli Roberto A. Dr Med.Vet. D.E.C.V.I.M.-C.A. (Cardiology);Gerboni GianMarco Dr Med.Vet.

Liberi professionisti, Samarate, Varese

Lo scopo del lavoro è stato quello di descrivere in modo retrospettivo i rilievi strumentali in 51 casi (45 cani e 6 gatti) di co-municazioni porto-sistemiche (CPS) confermate da portografia mesenterica operativa e/o angiografia nucleare transrettale.L’esame ecografico ha permesso di stabilire la presenza di un vaso anomalo nel 100% delle CPS intra-epatiche, nell’80% delleextra-epatiche nel cane e nell’83,3% delle CPS extra-epatiche del gatto. Lo studio ha anche focalizzato l’attenzione sui rilieviecografici indiretti: microepatia e riduzione della trama portale, alterazioni del flusso portale, rapporto area vena cava cauda-le/aorta, renomegalia con banda iperecogena midollare e presenza di uroliti e/o nefroliti (Tab. 1). L’esame ecografico addominale è stato eseguito in decubito dorsale. Le dimensioni epatiche e la visualizzazione della trama por-tale sono state definite in modo soggettivo; l’ecogenicità in rapporto alla corticale renale destra ed alla milza; il rapporto tra l’a-rea vena cava caudale in sezione trasversale con quella dell’aorta; la velocità e pulsatilità del flusso portale ottenuto attraversoil Doppler pulsato con metodo dell’insonazione; la presenza ed anatomia delle CPS; dimensioni renali e presenza della bandaiperecogena midollare e/o di nefroliti; la presenza di uroliti o sabbia urolitica vescicale. Con la portografia operativa si sono suddivisi i cani in due gruppi in base alla localizzazione della CPS: I° gruppo 10 cani(22,22%) con CPS intra-epatiche ed eterogenea distribuzione di razza, età media al momento della diagnosi di 2,27 ± 2,72 an-ni e peso medio di 25,75 ± 8,91 kg. II° gruppo 35 cani (77,78%) con CPS extra-epatiche e differente distribuzione di razza, etàmedia al momento della diagnosi di 2,6 ± 2,14 anni e peso medio di 7 ± 9,25. Tutti i gatti hanno presentato CPS extra-epatichecon eterogenea distribuzione di razza, età media di 1,33 ± 0,96 anni e peso di 2,36 ± 1,14 kg. Il 100% dei cani di gruppo I° hapresentato microepatia con riduzione della trama portale, flusso portale pulsatile con velocità aumentata e rapporto area venacava caudale/aorta > di 1,2. Nel 100% è stato identificato il vaso anomalo e l’anatomia con la seguente distribuzione: 60% si-nistro- poste, 30% destro- poste, 10% centro poste. Il 90% ha mostrato renomegalia con banda iperecogena midollare ed il 50%litiasi renale e/o vescicale. Il 100% dei cani di gruppo II° ha presentato microepatia con riduzione della trama portale nel 94,28%dei casi e rapporto area vena cava caudale/aorta > di 1,2 nel 88,57% dei casi. Il vaso anomalo e la sua esatta anatomia è statoidentificato nell’80% dei cani con distribuzione: 82,15% gastrici sinistri-cavali, 3,57% gastro epiploici sinistri-cavali, 3,57% ga-stro-splenico-cavale e 14,28% porta-azygos. Il 65,71% dei cani ha mostrato renomegalia bilaterale con banda iperecogena ed il45,71 nefroliti e/o uroliti.Il gruppo di gatti con CPS extra-epatiche ha mostrato microepatia nel 50% dei casi, mentre nel 100% il rapporto tra area venacava caudale ed area dell’aorta era maggiore di 1,2 ed il flusso portale nel 83,3% dei casi era pulsatile ed aumentato di velocità.Nell’83,3% si è stabilita la presenza e la posizione anatomica del vaso anomalo: 80% CPS attraverso la vena gastrica sinistra e20% attraverso la pancreatico-duodenale craniale. I gatti hanno mostrato nel 50% dei casi renomegalia con banda midollare ipe-recogena e nessuno aveva uroliti e/o nefroliti. In conclusione gli autori ritengono l’esame ecografico il primo passo per la conferma diagnostica di una CPS e l’esperienza del-l’operatore un fattore determinante nella valutazione dei segni indiretti e della posizione anatomica dell’anomalia vascolare.

Tabella 1 Rilievi ecografici in 45 cani ed in 6 gatti con comunicazioni porto-sistemiche (CPS)

Rilievo ecografico CPS – Intra-epatiche cane CPS – Extra – epatiche cane CPS – Extra-epatiche gatto (n = 10) (n = 35) (n = 6)

Microepatia 100% 100% 50%

Riduzione trama portale 100% 94,28% 50%

Alterazione flusso portale 100% 94,28% 83,3

Area V.C.C./AO. > 1,2 100% 88,57% 100%

Presenza vaso anomalo 100% 80% 83,3%

Tipo Sinistro-posto 60% Gastrico Sin. 78,58% Gastrico Sin. 80%Destro-posto 30% Gastro-epiploico sin 3,57% Pancreatico- Duod. 20%Centro-posto 10% Gastro-splenico 3,57%

Porta-azygos 14,28%

Renomegalia con banda midollare iperecogena 90% 65,71% 50%

Nefroliti/uroliti 50% 45,71% 0%

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46° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC 383

APPROCCIO ALL’ANSIA DA LUOGO CHIUSO: ASPETTI CLINICI E TERAPEUTICI

Giussani Sabrina, Medico Veterinario Comportamentalista E.N.V.F.Libero professionista, Gallarate

Eziologia: L’affezione nasce dalla profonda differenza esistente tra l’ambiente di sviluppo (iperstimolante) e l’ambiente di vitasuccessivo (ipostimolante). L’adozione di un gattino che ha avuto la possibilità di “giocare” con prede vive portate nel nido dal-la madre e/o di cacciare, ed il successivo trasferimento in un appartamento privo d’accesso all’ambiente esterno costituisce ilprincipale fattore predisponente. Inoltre più del 60% dei proprietari pone al centro della relazione col proprio animale la som-ministrazione del cibo e ciò, spesso, costituisce l’unica relazione esistente nella coppia uomo – gatto. Aspetti clinici: Il motivo della visita consiste nella comparsa di aggressioni predatorie e per irritazione a carico dei proprietari.Il gatto compie un agguato ponendosi dietro ad una porta o sulle scale: con un balzo afferra la “preda” e, trattenendola con leunghie, infligge uno o più morsi alle caviglie, ai polpacci, alle mani ed a volte anche al viso dei proprietari. Inoltre, a partire dai4 -5 mesi d’età, compaiono, soprattutto all’alba ed al tramonto, fasi d’iperattività motoria: corse ad alta velocità in ogni dire-zione dell’appartamento con salti sui mobili, sui divani, sulle finestre. Più volte il gatto si arresta all’improvviso: si manifesta laRolling Skin Syndrom e subito dopo l’animale inizia a leccare furiosamente una parte del corpo (soprattutto la coda) per alcu-ni minuti. In risposta ad ogni tentativo dei proprietari di interrompere la sequenza motoria ed il leccamento, compare un com-portamento di aggressione per irritazione. L’ipostimolazione ambientale, il mancato rispetto dei fabbisogni etologici ed il de-grado delle relazioni sociali con i proprietari contribuiscono alla nascita di uno stato ansioso di tipo “ansia intermittente”. Laprognosi è da buona a riservata: dipende dalla fase di evoluzione della patologia e dalla possibilità di mettere in atto un adeguatoarricchimento ambientale.Aspetti terapeutici: La chiave di volta nella realizzazione del trattamento consiste nella messa in atto di un corretto rinquadra-mento etologico. È fondamentale modificare l’arredamento dell’appartamento per consentire al gatto di esplorare, procurarsi ilcibo, osservare, giocare e così via: nascondere alcuni croccantini sotto un angolo di un tappeto, dietro ad un mobile, dentro aduna scatola in cui sono stati aperti dei pertugi (riproduzione del comportamento di caccia di una preda nascosta in una tana), sot-to ad una ciotola capovolta. I luoghi dovranno essere cambiati frequentemente in modo da permettere al gatto di reperire la “pre-da”. Per quanto riguarda i giochi da inserire nell’appartamento è possibile utilizzare elementi di maxi-puzzle per bambini, tap-petini con oggetti in movimento, elementi ricoperti da corde che si elevano in altezza, scatole di cartone di differenti dimensio-ni, tende–gioco per bambini e così via. È utile, inoltre, collocare nell’abitazione due o più punti cibo costituiti da dispensers con-tenenti cibo secco di buona qualità, creare un corretto campo d’eliminazione (utilizzando almeno due cassette poste in un luo-go tranquillo dell’abitazione) e numerosi campi d’isolamento (soprattutto in alto). La relazione uomo – animale dovrà esseremodificata ed incentrata soprattutto sul gioco, sui contatti fisici e sulla collaborazione coinvolgendo il gatto nelle attività quoti-diane. L’utilizzo della feromono – terapia è molto utile: è possibile avvalersi delle frazioni feromonali F3 e F4. Quando è pre-sente uno stato patologico, è necessario ricorrere alla terapia farmacologica. Le molecole consigliate sono la clomipramina, op-pure la fluoxetina. Nei casi in cui il comportamento di aggressione predatoria fosse meno imponente o la cute della coda del gat-to presentasse severe lesioni dermatologiche, è possibile utilizzare la selegilina. Secondo la mia esperienza l’orchiectomia o l’o-variectomia sono indispensabili al fine di raggiungere un risultato stabile al seguito del trattamento. Conclusioni: L’ansia da luogo chiuso è descritta, in uno studio effettuato in Belgio, nel 90% circa dei gatti che vivono in ap-partamento. Il ruolo svolto dal Medico Veterinario in occasione delle prime visite vaccinali è fondamentale per quanto riguardala prevenzione di questa patologia. Sarebbe opportuno creare un album fotografico contenente immagini concernenti l’arricchi-mento ambientale, ai campi d’alimentazione, d’eliminazione e d’isolamento da mostrare ai proprietari. Secondo la mia espe-rienza, non tutti gli individui riescono però a adattarsi alla vita in appartamento. L’adozione presso una colonia felina od un’a-bitazione con giardino costituirà allora l’unica terapia possibile.

Bibliografia“Cours de Base du GECAF”, Strasburgo 2001.“L’apprendimento del cane e del gatto”, J. M. Giffroy, Scuola di Specializzazione in Patologia del Comportamento del cane e del gatto, Tolosa 2000.“L’educazione del gatto”, J. Dehasse, Alberto Perdisa Editore, Bologna 2001.Module prévention et éducation”, Ecole Vétérinaire de Lyon, 19 – 20 maggio 2001.“Texte de conferences”, C. Arpaillange e C. Mège, Scuola di Specializzazione in Patologia del Comportamento del cane e del gatto, Tolosa 2000.

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384 46° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC

PERDITA DELLA VISTA E MODIFICAZIONI COMPORTAMENTALI NEI CARNIVORI DOMESTICI

Giussani Sabrina, Medico Veterinario Comportamentalista E.N.V.F.; Mazzucchelli Maurizio Med. Vet. Libero professionista, Gallarate

Scopo del lavoro: Identificare, attraverso le modificazioni comportamentali precoci, la presenza di un’alterazione della funzione visi-va e ricorrere all’utilizzo di terapie comportamentali e/o farmacologiche per aiutare il paziente a adattarsi alla perdita della vista.Materiali e metodi: Ho considerato nello studio, iniziato nell’anno 2000 e terminato nel 2002, i cani ed i gatti che hanno effettuatouna visita oculistica nel mio ambulatorio e negli ambulatori di Medicina Veterinaria della mia zona. Tra questi ho scelto gli animali cheda pochi giorni avevano perso la vista o la stavano perdendo. Il Dr. Maurizio Mazzucchelli ha effettuato una visita oculistica prelimi-nare. Ho incluso nella ricerca quindici animali: dieci cani e cinque gatti. Ho inoltre suddiviso ciascuna popolazione, considerando sela perdita della vista è avvenuta in modo improvviso oppure progressivo, in due sottogruppi distinti. Dopo aver raccolto tutti i dati, hodeciso di studiare le modificazioni del comportamento durante un periodo di quattro mesi in funzione della variazione della funzionevisiva. Sono state effettuate mediamente quattro visite oculistiche e comportamentali gratuite, una ogni mese, successivamente al pri-mo incontro. La visita oculistica è stata effettuata seguendo il metodo standard adottato dalla SOVI per la diagnosi delle OculopatieEreditarie. Sono stati considerati il PLR diretto e consensuale, il DRT, il test della minaccia ed il comportamento esploratorio nel-l’ambulatorio. Nelle visite comportamentali ho scelto di osservare sia per il gruppo dei cani sia per quello dei gatti: le manifestazioniorganiche dirette, l’ipervigilanza, la variazione delle quantità di cibo e di acqua ingerite, il comportamento eliminatorio, il sonno, ilcomportamento di aggressione, il comportamento esploratorio, il gioco, la ricerca del contatto con i proprietari, il comportamento diseguire i proprietari dovunque. Inoltre, per i cani, le deiezioni sociali ed i valori della griglia ETEC e per i gatti la Rolling Skin Sin-drome, il comportamento somestesico e il cambiamento del luogo di riposo. Risultati: Ho messo in evidenza l’importanza di ciascuna modificazione (esprimendola in %). Queste le variazioni più rilevan-ti: nei cani, nel 70% dei casi diminuisce e scompare l’aggressione predatoria, nel 60% scompare il comportamento del gioco,nel 60% diminuisce il comportamento esploratorio e nel 50% scompaiono l’aggressione per irritazione e gerarchica e si osser-va un aumento inferiore ai 10 punti dei valori della griglia ETEC.Nei gatti, nell’80% dei casi, scompaiono l’aggressione predatoria ed il comportamento di marcatura facciale sugli esseri viven-ti. Sempre nell’80% dei casi si manifesta l’ipervigilanza ed aumentano le manifestazioni organiche dirette. Nel 60% scompareil gioco e scompaiono anche le marcature e le aggressioni per irritazione e territoriale. Nel 60% dei casi aumentano: il sonno, laricerca del contatto fisico ed il comportamento di seguire i proprietari. Tutti gli altri comportamenti considerati hanno avuto mo-dificazioni, ma meno rilevanti.Conclusioni: La ricerca mette in evidenza che le popolazioni sia dei cani sia dei gatti non sono in grado di ben gestire l’am-biente nei quattro mesi successivi alla perdita della vista. Inoltre cambia anche il rapporto con il proprietario. Diminuiscono no-tevolmente i comportamenti esploratorio e di aggressione, si manifesta l’ipervigilanza, il comportamento del gioco scompare,aumenta la ricerca del contatto fisico, aumenta il sonno. Le due popolazioni riescono comunque a costruire una mappa del-l’ambiente sufficiente ad orientare le deiezioni. Gli animali mettono in atto dei meccanismi di adattamento che permettono direcuperare l’handicap. Sembra che gli animali che all’inizio hanno le più forti manifestazioni emozionali abbiano maggiori dif-ficoltà di adattamento, mentre si adattano meglio quegli animali che hanno, all’inizio, manifestazioni emozionali più attenuate.Può essere quindi opportuno per il Medico Veterinario valutare la prescrizione di un farmaco ansiolitico per aiutare l’animale adiminuire lo stress dovuto alla perdita della vista.

BibliografiaB. CLERC, 1997. Ophtalmologie Vétérinaire, 2 éditions, Edition du Point Vétérinaire.C. ARPAILLANGE, Mai 2000. Le développement du chat et ses troubles, Ethologie des animaux domestiques et Pathologie du comportement des animaux fa-

miliers, Ecole Vétérinaire de Toulouse.C. PERUCCIO, F. MONTI, A. SOLARINO, 1985. Atlante di oftalmologia veterinaria, C. G. Edizioni Medico Scientifiche s.r.l., Torino.DANCHIN, 1983. Les gauchers, la testostérone et la dyssimétrie du cerveau, La Recherche n° 140, pp 110 – 111.D. HOFFMAN, 1984. L’interprétation de ce qui est vu, Pour la Science, pp 12- 18.D. SCHMIDT – MORAND, 1992. La vision dans le règne animal, Veterinary International, n° 1, pp 1 – 32.E. C. FELDMAN, R. W. NELSON, 1998. Endocrinologia e riproduzione del cane e del gatto, seconda edizione, UTET.E. GUAGUERE, P. PRELAUD, 1999. Guida pratica di dermatologia felina, MERIAL.E. H. LAND, La théorie rétinex de la vision des couleurs.G. GAINOTTI, 1987. L’héminégligence, La Recherche n° 187, pp 476 – 482.GECAF, 2001. Cours de base de GECAF.ISRAEL, 1995. La mémoire du déplacement, Pour la Science n° 216, pp 35.J. CASTON, 1993. Psycho – physiologie, Tome 1, pp 83 - 119; Editions Ellipses.J. DEHASSE, Mai 2000. Sémiologie comportementale du chat, Ethologie des animaux domestiques et Pathologie du comportement des animaux familiers, Eco-

le Vétérinaire de Toulouse.M. ANDOLFI, 1977. La terapia con la famiglia, Casa Editrice Astrolabio, Ubaldini Editore, Bologna.M. BERGER, 1995. Le travail thérapeutique avec la famille, DUNOD, Paris.M. JEANNEROC, 1981. Le contrôle de l’œil sur le geste, La Recherche n° 120, pp 376 – 378.O. CHAMBON, M. MARIE – CARDINE, 1999. Les bases de la psycho – thérapie. DUNOD, Paris.P. PAGEAT, 1998. Pathologie du comportement du chien, 2 éditions, Edition du Point Vétérinaire.P. WATZLAWICK, J. H. BEAVIN, DON D. JACKSON, 1971. Pragmatica della comunicazione umana, Casa Editrice Astrolabio, Ubaldini Editore, Bologna.ROSENZWEIG, LEIMAN, BREEDLOVE, 1998. Psychobiologie, Neurosciences & cognition, chapitre 8; De Boeck Université.ROSENZWEIG, LEIMAN, BREEDLOVE, 1998. Psychobiologie, Neurosciences & cognition, chapitre 10; De Boeck Université.T. POGGIO, 1984. Vision humaine te vision par ordinateur, Pour la Science, pp 48 - 58KIRK, N. GELATT & all, 2001. Enrofloxacin-associated retinal degeneration in cats, Veterinary Ophthalmology, pp 4,2,99 – 106.

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46° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC 385

CLASSIFICAZIONE, ASPETTO CLINICO E RADIOGRAFICO, E TRATTAMENTO DELLE CISTI E DEI TUMORI ODONTOGENICI PIÙ COMUNI DEL CANE E DEL GATTO

Gracis Margherita, Med Vet, Dipl AVDC, Dipl EVDCLibero professionista, Milano

I tumori e le cisti odontogeniche sono lesioni che derivano da un’aberrazione dei processi embriologici di formazione delle strut-ture dentali. Nella classificazione della World Health Organization basata sui tessuti di origine delle lesioni, i tumori vengonosuddivisi in benigni e maligni. I tumori maligni sembrano essere estremamente rari nel cane e nel gatto, ed includono i carci-nomi, i sarcomi e i carcinosarcomi. I tumori benigni sono invece più frequenti, e comprendono le neoplasie ad origine dall’epi-telio odontogenico, senza componente mesenchimale (per es. l’ameloblastoma e l’Amiloyd-Producing Odontogenic Tumor oAPOT); le neoplasie ad origine mista (dall’epitelio e dall’ectomesenchima odontogenico), con o senza la formazione di tessutidentali duri (per es. l’odontoma complesso e composto, e il Feline Inductive Odontogenic Tumor o FIOT); e le neoplasie ad ori-gine mesenchimale, con o senza tessuto epiteliale odontogenico (per es. il fibroma odontogenico periferico). La diagnosi è ba-sata sull’aspetto clinico e radiografico, oltre che sull’esame istopatologico. Tra i tumori più frequenti nel cane annoveriamo l’a-meloblastoma acantomatoso canino (AAC) (precedentemente denominato “epulide acantomatosa”) e il POF (comprendente i tu-mori chiamati in passato “epulidi fibromatose e ossificanti”). L’AAC è caratterizzato da una superficie irregolare, di colore ro-sato, facilmente sanguinante, ed è localmente invasivo e spesso localizzato nelle zone mandibolari rostrali. Radiograficamentearee di radiotrasparenza si alternano a zone ad opacità mista, i margini sono poco definiti e a volte presenta un aspetto multilo-culare. Chemio e radioterapia sono state riportate come possibilità terapeutiche, ma l’escissione chirurgica ampia rimane la te-rapia d’elezione. Il POF origina dalle cellule del legamento parodontale. Ha solitamente un aspetto peduncolato, a livello delmargine gengivale, ed ha superficie liscia. Non essendo localmente invasivo causa solo segni radiografici lievi, dati dalla dislo-cazione dei denti adiacenti e da una certa radiopacità della massa se vi è un aumento del contenuto minerale. Il trattamento pre-vede l’escissione chirurgica della massa accompagnata dall’estrazione del dente interessato e dalla rimozione delle fibre paro-dontali dalle pareti alveolari. L’odontoma non è mai stato riportato nel gatto. È considerato un amartoma e non un tumore. È ca-ratterizzato dalla formazione di tutti i tessuti dentali. Radiograficamente possono essere visibili denticoli radiopachi all’internodella massa. L’APOT colpisce sia cani che gatti, ma in maniera estremamente rara. Si può presentare clinicamente come unamassa gengivale. Non è localmente invasivo ma può causare lisi ossea per espansione. Il FIOT è un tumore che colpisce esclu-sivamente i gatti giovani, nelle zone mascellari rostrali. Può essere invasivo e causare osteolisi. L’escissione chirurgica è il trat-tamento d’elezione per l’odontoma, l’APOT e il FIOT. Quest’ultimo richiede un margine di almeno 1 cm. Tra le cisti odontogeniche riconosciute dalla classificazione della WHO, solo le cheratocisti, le cisti dentigere e un caso di cistiradicolare sono state riportate nel cane. Le cisti dentigere si sviluppano intorno alla corona di un dente permanente non erotto.Possono essere dolorose e causano lisi ossea per compressione. Le cheratocisti contengono cheratina e possono avere un com-portamento aggressivo. Le cisti radicolari originano a livello periapicale in seguito a stimoli infiammatori generalmente causatidall’estensione di processi patologici endodontici. Le cisti sono radiograficamente radiotrasparenti, a margini ben definiti, uni-loculari e vanno rimosse chirurgicamente poiché possono dare origine a tumori maligni.

BibliografiaAnderson JG, Harvey CE: Odontogenic cysts. J Vet Dent 10: 5-9, 1993.Colgin LMA, Schulman FY, Dubielzig RR: Multiple epulides in 13 cats. Vet Pathol 38: 227-229,2001 Gardner DG: An orderly approach to the study of odontogenic tumors in animals. J Comp Pathol 107: 427-438, 1992.Gardner DG, Baker DC: The relationship of the canine acanthomatous epulis to ameloblastoma. J Comp Pathol 108: 47-55, 1993.Gardner DG, Dubielzig RR McGee EV: The so-called calcifying epithelial odontogenic tumour in dogs and cats:(amyloid-producing odontogenic tumour). J

Comp Pathol 111:221-230,1994.Gardner DG: Ameloblastomas in cats: a critical evaluation of the literature and the addition of one example. J Oral Pathol Med 27: 39-42,1998.Gardner DG, Baker DC: Fibromatous epulis in dogs and peripheral odontogenic fibroma in human beings; two equivalent lesions. Oral Surg, Oral Med, Oral

Pathol 71: 317-21,1991. Gardner DG, Dubielzig, RR: Feline inductive odontogenic tumor (inductive fibro-ameloblastoma): a tumor unique to cats. J Oral Pathol Med 24: 185-190,1995.Kramer IRH, Pindborg JJ; Shear M: Histological typing of odontogenic tumours. 2nd ed. Springer Verlag, Berlin, 1992.Poulet FM, Valentine BA, Summers BA: A survey of epithelial odontogenic tumors and cysts in dogs and cats. Vet Pathol 29: 369-380, 1992.Verstraete FJM, Ligthelm AJ, Weber A: The histological nature of epulides in dogs. J Comp Path 106: 169-182, 1992.

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386 46° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC

SINOVITE STENOSANTE DEL MUSCOLO ABDUTTORE LUNGO DEL POLLICE

Grundmann Stefan Dr. Med. Vet. ECVS; Muntavon Pierre M., Prof. Dr. Med. Vet.;Koch Daniel, Dr. Med. Vet. ECVS

Small Animal Surgery Clinic, University of Zurich, Svizzera

Introduzione: La zoppia cronica dell’arto anteriore in cani con una tumefazione dura sulla faccia mediale dell’articolazione an-tibrachiocarpica può essere causata da una tenosinovite del muscolo abduttore lungo del pollice (APL). L’estesa frizione pro-voca un ispessimento fibrotico della guaina tendinea, associato a dolore e compromissione funzionale. Noi ipotizziamo che lacausa primaria della malattia sia l’eccessiva tensione del tendine, che conduce successivamente all’infiammazione. In tutti i ca-si cronici sono poi presenti delle proliferazioni delle strutture ossee che compromettono ulteriormente il libero movimento discorrimento del tendine. Fra il 1995 ed il 2000, presso l’Università di Zurigo questa condizione è stata diagnosticata e trattatain 10 pazienti. In altri 12 casi la malattia è stata sospettata in base a radiografie inviate all’Università che presentavano i carat-teristici segni clinici. In nessuno dei nostri pazienti la malattia era correlata ad un danno diretto, nonostante la localizzazioneesposta del tendine al di sopra del processo stiloideo del radio.Diagnosi: I cani colpiti sono principalmente rappresentati da soggetti di grossa taglia di varie età. Tutti questi animali mostra-no zoppia di grado differente, che raggiunge la massima gravità dopo il riposo e viene esacerbata dall’esercizio fisico intenso.Gli arti colpiti mostrano costantemente una tumefazione dura situata medialmente all’articolazione antibrachiocarpica. Il carpomostra vari gradi di restrizione della mobilità e risulta dolente alla flessione passiva in tutti i casi.Con il cronicizzare della malattia si osservano alterazioni radiografiche. A livello della faccia dorsomediale del processo stiloi-deo del radio, nell’area del canale fibroosseo del muscolo abduttore lungo del pollice, sono presenti proliferazioni ossee. La gra-vità di questi riscontri non è correlata ai segni clinici. A causa dello scarso accumulo di fluidi, la paracentesi e le indagini eco-grafiche non sono risultate sinora utili.Terapia: Inizialmente, si pratica un’iniezione di corticosteroidi nella guaina tendinea del muscolo abduttore lungo del pollice.La parte mediodistale del radio al di sopra della tumefazione viene tosata e preparata asetticamente. Si fa avanzare un ago da 24G in direzione prossimale, al di sotto del solco tendineo palpabile lungo la guaina tendinea. Mentre si retrae l’ago seguendo ilpercorso della guaina stessa, si iniettano 0,5 ml di metilprednisolone acetato (40 mg/ml) e si pratica il massaggio dell’area di in-filtrazione per distribuire il farmaco. Il carpo viene immobilizzato con una stecca per tre settimane. Se si osserva un migliora-mento clinico, il trattamento viene ripetuto. Se invece non si ha alcun progresso durante le prime tre settimane, o se i risultatisono ancora insoddisfacenti dopo un secondo trattamento, si raccomanda la liberazione chirurgica del tendine.Per l’intervento, il paziente viene posto in decubito laterale. L’abduttore lungo del pollice origina sotto forma di un robusto mu-scolo triangolare sulla superficie laterale di radio, ulna e membrana interossea. Il suo tendine terminale è racchiuso in una guai-na sinoviale, che attraversa il tendine del muscolo estensore radiale del carpo e supera il solco mediale del radio sotto il lega-mento collaterale mediale. Il tendine del muscolo abduttore lungo del pollice viene esposto attraverso un’incisione cutanea lon-gitudinale lungo il processo stiloideo del radio. Dopo una dissezione per via smussa, si identifica il tratto terminale del tendine.La guaina sinoviale ispessita viene incisa longitudinalmente per visualizzare il tendine. Le reazioni tissutali fibrose ed ossee ven-gono sottoposte ad un’estesa escissione fino a consentire al tendine di scorrere liberamente. Nel periodo postoperatorio si ap-plica un bendaggio di Robert Jones modificato e si limita l’attività alle passeggiate al guinzaglio per tre settimane.Prognosi: Secondo la nostra esperienza, i cani con segni clinici acuti possono essere trattati con successo mediante iniezionelocale di steroidi ed immobilizzazione. Nei casi cronici si può ottenere una completa risoluzione delle manifestazioni clinichemediante estesa resezione della guaina tendinea colpita e del tessuto connettivo fibroso circostante. In alcuni casi, la zoppia nonè scomparsa completamente.

BibliografiaS. Grundmann, P.M. Montavon (2001): Stenosing tenosynovitis of the abductor pollicis longus muscle in dogs. Vet. Comp. Orthop. Traumatol. 14, 95-100.

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46° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC 387

LA QUERCETINA PROTEGGE I CONDROCITI ARTICOLARI DI CANE DAL DANNO OSSIDATIVO

Fabris Michele, Dalle Carbonare Maurizio, Leon AlbertaResearch & Innovation - Laboratori di ricerca e sviluppo in ambito biomedico e farmaceutico

Introduzione: I radicali liberi dell’ossigeno (ROS) sono da tempo considerati veri e propri mediatori di danno tissutale in nu-merose patologie, compresa l’artrosi, un disordine caratterizzato da una lenta e progressiva degenerazione della cartilagine arti-colare. I condrociti, essendo immersi in una matrice non vascolarizzata, sono esposti ad una pressione parziale di ossigeno as-sai ridotta e possiedono un metabolismo prevalentemente anaerobico. Conseguentemente, queste cellule sono particolarmentesensibili al danno indotto dai radicali liberi dell’ossigeno (ROS). È, inoltre, noto che la produzione di ROS da parte dei con-drociti contribuisce alla degradazione della matrice cartilaginea.I flavonoidi (come ad esempio quercetina, rutina, ecc.) rappresentano un gruppo di fito-polifenoli, cioè polifenoli di origine ve-getale, cui vengono attribuiti numerosi effetti terapeutico-preventivi, compreso quello antinfiammatorio. I flavonoidi, inoltre,possiedono attività antiossidante e per questo vengono ritenuti utili nel trattamento medico dell’artrosi. Ciononostante, l’effica-cia antiossidante dei flavonoidi è stata studiata prevalentemente servendosi di test “cell-free”, cioè mediante esperimenti di na-tura biochimica, condotti in assenza di cellule. Sono pochi gli studi sui flavonoidi eseguiti utilizzando sistemi cellulari.In questo studio, abbiamo valutato la capacità della quercetina di ridurre il danno ossidativo in colture di condrociti articolari dicane.Materiali e metodi: Le colture cellulari sono state ottenute a partire da campioni autoptici di cartilagine articolare prelevati dacani adulti sani. Il danno ossidativo è stato indotto esponendo le cellule a perossido di idrogeno (acqua ossigenata H2O2, 500 mi-croM) in presenza o assenza di quercetina (10-100 microM) per 2 ore. La vitalità cellulare è stata valutata 24 ore dopo median-te il metodo del MTT. Risultati: Mentre l’esposizione dei condrociti alla sola H2O2 uccideva circa il 70% delle cellule, l’esposizione congiunta adH2O2 e quercetina riduceva significativamente ed in modo dose-dipendente la percentuale di morte cellulare. La quercetina dasola (senza H2O2) non aveva alcun effetto.Conclusioni: Nell’insieme questi risultati non solo confermano l’efficacia antiossidante della quercetina, ma forniscono ulte-riore sostegno alla validità dei flavonoidi nell’artrosi del cane.

Ringraziamenti: Si ringrazia IOVA (Innovet Osteoarthritis Veterinary Association) per aver fornito il contributo indispensabi-le alla realizzazione di questo studio.

Bibliografia essenzialeBurkhardt H., Schwingel M., Menninger H., Macartney H.W., Tschesche H., 1986, Oxygen radicals as effectors of cartilage destruction, Arthritis and Rheu-

matism, 29: 379-387Tiku M.I., Yan P.Y., Chen K.Y., 1998, Hydroxyl radical formation in chondrocytes and cartilage as detected by electron paramagnetic resonance spectroscopy

using spin trapping reagents, Free Radical Research, 29: 177-187Spreng D., Sigrist N., Jungi T., Busato A., Lang J., Pfister H., Schawalder P., 2000, Nitric oxide metabolite production in the cranial cruciate ligament, syno-

vial membrane, and articular cartilage of dogs with cranial cruciate ligament rupture, American Journal of Veterinary Research, 61(5): 530-536Tiku M.L., Gupta S., Deshmukh D.R., 1999, Aggrecan degradation in chondrocytes is mediated by reactive oxygen species and protected by antioxidants, Free

Radical Research, 30: 395-405Catapano A.L., 1997, Antioxidant effect of flavonoids, Angiology, 48(1): 39-44Ng T.B., Liu F., Wang Z.T., 2000, Antioxidative activity of natural products from plants, Life Sciences, 66(8): 709-723Middleton E., 1998, Effect of plant flavonoids on immune and inflammatory cell function, Advances in Experimental Medicine and Biology, 439: 175-182Skaper SD, Fabris M, Ferrari V, Dalle Carbonare M, Leon A., 1997, Quercetin protects cutaneous tissue-associated cell types including sensory neurons from

oxidative stress induced by glutathione depletion, Free Radic Biol Med, 22(4):669-78

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388 46° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC

INDAGINE EZIOLOGICA SUL PIOTORACE DEL CANE IN ITALIA

Ugo Lotti Med VetMonsummano Terme (PT)

In questo lavoro vengono descritti 77 casi di piotorace, visitati e curati presso la Clinica Veterinaria Valdinievole nel pe-riodo di tempo che va dall’anno 1993, all’anno 2002, valutandone gli aspetti anamnestici, clinici, terapeutici e quindi estrapo-landone l’eziologia. La maggioranza di questi casi furono gestiti da fine luglio a fine ottobre di ciascun anno e solo una mi-noranza si sono verificati in altri periodi dell’anno. Trattasi di quasi tutti (72 su 77) cani da caccia o da gare di caccia (fieldtrailers) e comunque tutti (77 su 77) hanno corso o sono stati su campi di erba durante il periodo estivo, precedente alla visitaeffettuata da noi o dai colleghi che ci hanno riferito i casi. L’età media dei pazienti era di 3-4 anni con estremi da 1 a 8 an-ni.L’anamnesi riferisce che i segni clinici più comuni nel periodo precedente alla visita sono stati: 1) Tosse acuta, cioè che do-po pochi giorni è scomparsa (25 su 77) – 2) Tosse cronica quindi che è rimasta per più di tre settimane (35 su 77) – 3) Febbredi origine sconosciuta, sensibile agli antibiotici, che precede di 4-5 settimana la comparsa del piotorace (25 su 77) – 4) Leu-cocitosi in corrispondenza della febbre di origine sconosciuta, (20 su 20 leucogrammi eseguiti). All’esame fisico furono rile-vati i seguenti segni: 1) Febbre (70 su 77) – 2) Disidratazione da moderata a grave (70 su 77) – 3) Dispnea a riposo (73 su 77).Gli esami di laboratorio eseguiti su tutti i 77 pazienti affetti da piotorace hanno mostrato esiti che vanno da un’anemia da in-fiammazione cronica (74 su 77), leucogramma infiammatorio con grave leucocitosi (35 su 77), iperfibrinogenemia marcata (≥500 mg/dl) (42 su 45 eseguiti), in 35 casi è stata eseguita una emogasanalisi arteriosa che ha rilevato una costante diminuzio-ne della pO2 (35 su 35). A tutti i cani è stato fatto un esame radiografico del torace che ha permesso di fare la diagnosi di ver-samento toracico, l’evidenza radiografica di versamento bilaterale si è verificata in 52 su 55 casi cui è stata eseguita la radio-grafia in due proiezioni.. La citologia del fluido raccolto mediante toracentesi, è stata eseguita su tutti i campioni a confermadella diagnosi di piotorace (aumento delle proteine totali, della conta cellulare e della presenza quasi esclusiva di neutrofili, al-cuni anche con batteri nel citoplasma. Le colture batteriche aerobie, eseguite in 30 casi, hanno dato esito negativo. In 10 casisu 77, con la colorazione di Gram positiva è stato possibile trovare Nocardia spp.o Actinomyces spp. differenziandoli con lacolorazione di Ziel-Nielsen (Nocardia spp. positiva, Actinomyces spp. Negativo). Sono stati trattati con solo terapia antibioti-ca, 15 su 77 casi, perché i proprietari non sono stati disponibili a fare altro, di questi 15, 11 cani sono morti a varie distanzetemporali dall’inizio della terapia, dei 4 rimasti si è perso il “follow-up”. 56 cani su 77 hanno subito, come terapia iniziale, undrenaggio mono o bilaterale del torace, associato a terapia di supporto con fluidi ed antibiotici. I rimanenti 6 cani, dato cheerano stabili e c’era un’anamnesi di pleurite essudativa si è deciso di procedere con una toracotomia senza prima drenare il to-race come nei casi precedenti.

Dei 56 cani drenati, 28 sono stai sottoposti a toracotomia, quindi il totale dei cani operati al torace è stato di 34 (28 + 6),mentre il totale dei cani solo drenati è stato di 28. Dei 34 cani toracotomizzati, 8 sono deceduti, 4 durante la chirurgia e 4 dopoe dei 26 rimasti 21 stanno bene ad almeno due anni dall’intervento e di cinque non abbiamo il “follow-up” ed in 19 cani (su 34)è stato trovato un corpo estraneo vegetale all’interno della cavità pleurica. Dei 28 cani solo drenati (senza toracotomia), in 7 èstato eseguita una toracoscopia ed in 3 casi (su 7) è stato estratto il corpo estraneo, quindi su 77 casi di piotorace nel cane è sta-to possibile dimostrare l’eziologia da corpo estraneo vegetale migrante in 22 casi. Di questi 22 casi in cui è stato trovato il cor-po estraneo, 2 sono morti durante o dopo la chirurgia, di due si è perso il “follow-up” e i rimanenti 18 sono guariti definitiva-mente (follow-up di almeno 1 anno) In conclusione si può affermare, basandosi sui 77 casi descritti, che la causa più comunedel piotorace del cane in Italia, sia la migrazione di un corpo estraneo vegetale, mentre il trattamento più affidabile sia il dre-naggio del torace associato alla toracotomia.

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46° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC 389

LA DARTROPLSATICA DI SLOCUM NEL TRATTAMENTO DELLA DISPLASIA DELL’ANCA DEL CANE:ESPERIENZA CLINICA

Gianluca Magni Med VetLibero professionista, Reggio Emilia

Introduzione: La displasia dell’anca è una patologia dell’accrescimento che affligge cani di molte razze di taglia media, gran-de e gigante. La patologia inizia il suo sviluppo nei primi mesi di vita e con la crescita si verifica un peggioramento in funzio-ne della sua gravità e del tempo trascorso. La diagnosi precoce della displasia permette di poter arrestarne lo sviluppo con ade-guati trattamenti chirurgici quando la degenerazione artrosica non è ancora iniziata e quando è caratterizzata da un’aumentatainclinazione del bordo acetabolare dorsale con sublussazione delle teste femorali (DAR, dorsal acetabular rim): in tali condi-zioni la triplice osteotomia pelvica (TPO) si è dimostrata in grado di arrestare l’evoluzione della malattia e della conseguenteartrosi. Quando invece la malattia nel cane in accrescimento è già progredita e sono comparse le tipiche alterazioni artrosiche,quali la deformazione dei bordi acetabolari craniale e dorsale, il riempimento acetabolare, l’appiattimento delle teste femorali eformazione di osteofiti, la TPO non è più indicata in quanto il processo degenerativo ha ormai danneggiato irrimediabilmente ilbordo acetabolare dorsale. In tali condizioni, dove la testa femorale si articola in buona misura fuori dall’acetabolo, sulla capsulaarticolare ispessita da un processo di fibrosi cronica, e dove, nonostante la degenerazione artrosica in atto, permane ancora unbuon rivestimento cartilagineo dei capi articolari, trova indicazione la tecnica di acetaboloplastica descritta da Slocum e defini-ta DARtroplastica. Essa consiste in un trapianto osseo autologo sul bordo acetabolare dorsale al fine di aumentarne la capienzae poter meglio contenere la testa femorale sublussata. L’intervento non è in grado di impedire l’evoluzione artrosica ormai ini-ziata, ma conferisce un supporto osseo alla testa femorale eliminando il continuo stiramento capsulare e permettendo un migliorcarico ponderale.Tecnica chirurgica: Sul cane in decubito laterale si esegue un accesso caudale all’articolazione dell’anca; si scontinua il lega-mento sacrotuberoso al fine di evitare che il nervo sciatico, sollevato dal trapianto osseo, possa trovarsi intrappolato sotto que-sto legamento e si scolla la capsula articolare dal muscolo gluteo profondo e dai muscoli gemelli ed otturatore interno; identifi-cato il margine laterale del bordo acetabolare dorsale lo si scheletrizza dorsalmente all’inserzione capsulare e si esegue unaosteostissi di tutto l’arco acetabolare dorsale per favorire poi l’attecchimento del trapianto osseo. Si esegue quindi un accessoall’ala dell’ileo da cui, con un’apposita sgorbia, si prelevano dei lembi ossei cortico-spongiosi e spongiosi, senza penetrare nel-la corticale mediale dell’ala. Confezionati alcuni lembi ossei cortico-spongiosi in modo da formare una piastra curva che si adat-ti alla forma del bordo acetabolare dorsale, essa viene inserita sopra la capsula articolare e sotto il muscolo gluteo profondo, igemelli e l’otturatore interno, fissata con una sutura alla capsula stessa; altri lembi ossei cortico-spongiosi e spongiosi vengonoinseriti a strati e trattenuti in sede da una sutura tra il muscolo gluteo e il muscolo otturatore interno. La chiusura delle brecceoperatorie conclude l’intervento.Esperienza clinica: Da gennaio 1999 a dicembre 2002 sono stati trattati 94 cani affetti da displasia d’anca e sottoposti a tratta-mento chirurgico mono o bilaterale con tecnica di DARtroplastica originale secondo Slocum, per un totale di 168 interventi.L’età dei soggetti era compresa tra i 6 ed i 13 mesi e di ogni cane sono stati raccolti i dati relativi agli aspetti radiografici nelleproiezioni ventro-dorsale con arti estesi, ventro-dorsale con arti a rana e DAR, al segno di Ortolani ed agli angoli di riduzione edi sublussazione. I cani operati sono stati seguiti dopo 3 e 6 mesi con una valutazione clinica e radiografica. I dati preliminariindicano che ai controlli dopo 3 e 6 mesi, nonostante il riscontro di un quadro artrosico, si evidenziava costantemente un au-mento delle masse muscolari degli arti pelvici, un’attività motoria aumentata e una piena soddisfazione dei proprietari.

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390 46° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC

FINESTRA AORTICOPOLMONARE IN UN CANE

Margiocco Marco L.* Med Vet; Domenech Oriol# Med Vet; Bussadori Claudio# MD, Med Vet, Dipl. ECVIM-CA (Cardiology)

*Libero professionista, Genova; #Libero professionista, Milano

La Finestra Aorticopolmonare (APW) consiste in una comunicazione anomala fra Aorta ed Arteria Polmonare. Rappresenta unarara patologia congenita che coinvolge l’origine dei grandi vasi arteriosi al disopra delle rispettive valvole semilunari, le qualirisultano normali e distinte, e questo permette di differenziarla dal Truncus Arteriosus. In medicina umana sono stati descritticirca 300 casi (0,15% di tutte le cardiopatie congenite); in medicina veterinaria esistono 4 casi descritti nel cane (Eyster, 1975;Lombard, 1978; Nelson, 1986; Guglielmini, 2001) ed 1 nel gatto (Will, 1969). Nell’uomo compare in forma isolata nel 50% deicasi. Nelle forme associate è segnalata assieme ad Interruzione dell’Arco Aortico, Tetralogia di Fallot, difetti settali atriali o ven-tricolari, Coartazione dell’Aorta, origine anomala aa. coronarie, PDA, SSA, Atresia della Tricuspide, ed altre. Il caratteristicosoffio continuo è auscultabile in meno del 50% dei pazienti umani, mentre più frequentemente si rileva soffio sistolico basalesx. Tipicamente il difetto è di dimensioni notevoli, causa uno shunt sinistro-destro grave che determina insufficienza cardiacacongestizia e/o ipertensione polmonare. Caso clinico: Un cane pastore tedesco maschio di 9 mesi, 32 kg, asintomatico, viene ri-ferito dopo il riscontro radiografico di cardiomegalia (VHS 13,5). All’esame fisico erano evidenti precordio e polso iperdina-mici, murmure vescicolare rinforzato e soffio continuo basale sinistro con componente diastolica scarsamente udibile. L’esameradiografico del torace mostrava aumento dei diametri longitudinale e trasversale della silhouette cardiaca, ingrandimento mo-derato dell’area di proiezione dell’atrio sx, aumento delle dimensioni dei vasi venosi ed arteriosi polmonari (pattern da “over-circulation”) e un pattern polmonare interstiziale ed alveolare. L’esame ecocardiografico metteva in evidenza un notevole au-mento delle dimensioni del ventricolo sinistro (EDV-I: 329 ml/mq) in assenza di insufficienza mitralica ed aortica significativeo difetti settali. In arteria polmonare era presente un flusso retrogrado continuo. In scansione parasternale dx asse corto legger-mente obliqua, al disopra dei seni di Valsava, appariva una interruzione della parete aortica attraversata da un flusso turbolentoanterogrado. I dati dell’ecocardiografia transtoracica permettono di ipotizzare la presenza di uno shunt sx-dx localizzato alla ba-se cardiaca (Qp/Qs: 3,13). Veniva eseguita una angiografia selettiva che mostrava come il mezzo di contrasto iniettato nel ven-tricolo sinistro, passasse dall’Aorta Ascendente all’Arteria Polmonare, attraverso una comunicazione ampia, portando alla dia-gnosi di Finestra Aorticopolmonare. Il proprietario richiese l’eutanasia. La necroscopia confermò la diagnosi. Discussione: sidescrive una rara cardiopatia congenita che presenta notevoli analogie cliniche ed emodinamiche con la persistente Pervietà delDotto Arterioso, dalla quale deve essere differenziata in quanto le possibilità di correzione chirurgica sono assai diverse fra ledue patologie. Come in medicina veterinaria, anche in medicina umana l’ecocardiografia transtoracica non permette la diagno-si di APW nel 100% dei casi. In quasi tutti i casi clinici riportati nell’uomo sono stati effettuati studi angiografici, che permet-tono di giungere ad una diagnosi anatomica e funzionale precisa e di ottenere informazioni emodinamiche utili, quali ad esem-pio le pressioni polmonari, per la scelta dell’approccio chirurgico opportuno.

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46° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC 391

IL RIEQUILIBRIO DELL’IPER-REATTIVITÀ MUCOSALE NELLE PARODONTOPATIE DEL GATTO

Miolo AldaCeDIS (Centro di Documentazione e Informazione Scientifica) Innovet Italia srl

Le malattie infiammatorie della mucosa oro-gengivale o parodontopatie (gengiviti, stomatiti, periodontiti) sono tra i problemi dimaggior riscontro nella pratica ambulatoriale quotidiana, potendo colpire più dell’85% di cani e gatti oltre i tre-quattro anni dietà. Scatenate da fattori locali - placca e tartaro in particolare - e sistemici (es. FIV/FELV), le parodontopatie si accompagnanoa svariati sintomi (es. alitosi, ptialismo, disfagia, dolore, incapacità ad alimentarsi, caduta dei denti) ed ai classici segni dell’in-fiammazione mucosale, con arrossamento gengivale, edema ed erosioni/ulcerazioni per disepitelizzazione focale e/o diffusa. Nelgatto, in particolare, le parodontopatie assumono specifiche caratteristiche cliniche, potendo configurarsi come: a) gengivite-sto-matite linfocitica-plasmacitica o stomatite cronica felina, molto probabilmente scatenata da un’ipersensibilità alla placca; e b)lesioni da riassorbimento osteoclastico (FORL, feline odontoclastic resorptive lesions), solitamente a carico della giunzione ce-mento-smalto (neck lesions) o del legamento periodontale. Ad oggi, la terapia delle parodontopatie nel gatto rappresenta un pro-blema molto serio, sia perché l’estrazione completa di tutti i denti è, molto spesso, l’unica opzione risolutiva, sia per l’ineffica-cia di misure mediche e chirurgiche nel contrastare la comparsa di recidive.Scopo della presente comunicazione è quello di valutare il possibile utilizzo nelle parodontopatie del gatto di un particolare N-acil-lipide, noto con la Denominazione Comune Internazionale (DCI) di Adelmidrol ed appartenente a quella classe di sostanzecollettivamente definite ALIAmidi, il cui capostipite è il Palmidrol, già utilizzato con successo nel trattamento delle allergie fe-line.Il presupposto su cui si basa l’utilizzo dell’Adelmidrol in corso di parodontopatia è che, come ampiamente confermato dalla let-teratura, l’infiammazione del cavo orale è da considerarsi una condizione di franca iper-reattività distrettuale, sostenuta princi-palmente da un eccessivo tono degranulatorio dei mastociti locali. Capaci di superficializzare nell’epitelio mucosale e di venireattivati da un eccesso di stimoli disreattivi, i mastociti vanno incontro ad un’incontrollata e massiva degranulazione, liberandouna pletora di mediatori responsabili dell’innesco e della perpetuazione della risposta infiammatoria locale.Adelmidrol, grazie ad uno specifico meccanismo di modulazione biologica identificato con l’acronimo ALIA (Autacoid LocalInjury Antagonism), si è dimostrato in grado di ridurre l’eccessivo rilascio di mediatori infiammatori da parte dei mastociti e dialtre cellule del sistema immunitario (es. macrofagi, basofili), riportando la soglia di degranulazione entro valori compatibili conl’omeostasi distrettuale.Sulla base di queste considerazioni, la modulazione del tono degranulatorio mastocitario messa in atto dall’Adelmidrol può con-figurarsi come strategia disease-oriented, mirata cioè a controllare il principale meccanismo – l’iper-reattività mucosale – re-sponsabile delle parodontopatie del gatto e dei segni/sintomi ad esse associati.Il razionale di utilizzo dell’Adelmidrol è, dunque, tale da suggerirne l’impiego, quale complemento alle terapie mediche e chi-rurgiche tradizionalmente adottate per le parodontopatie del gatto.

Bibliografia essenzialeAloe L, Leon A, Levi-Montalcini R, 1993, A proposed autacoid mechanism controlling mastocyte behaviour, Agents and Actions, 39 (Special issue): C145-

C147Harley R, Helps CR, Harbour DA, Gruffydd-Jones TJ, Day MJ, 1999, Cytokine mRNA expression in lesions in cats with chornic gingivostomatitis, Clinical and

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392 46° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC

FOSFATIDILSERINA: UN NUOVO APPROCCIO NUTRACEUTICO AL CDS (SINDROME DELLA DISFUNZIONE COGNITIVA) DEL CANE

Landsberg Gary* BSc DVM Dipl ACVB; Miolo Alda§

*Libero professionista, Thornhill, Ontario, Canada §CeDIS (Centro di Documentazione e Informazione Scientifica) Innovet Italia srl

Il CDS (Cognitive Dysfunction Syndrome), o sindrome della disfunzione cognitiva, è un disordine neurodegenerativo recente-mente riconosciuto, che colpisce il cervello del cane anziano e si manifesta con una varietà di segni comportamentali, che van-no dal disorientamento spaziale, alle alterazioni di apprendimento / memoria, dalle modifiche del ritmo sonno-veglia, alle alte-rate interazioni sociali con le persone o con gli animali.Secondo statistiche americane, negli ultimi 30 anni l’aspettativa di vita media dei cani è quasi raddoppiata: dai 7-8 anni del 1970,ai 10-15 anni di oggi. In funzione di tale allungamento, attualmente negli USA si contano 20 milioni di cani di età superiore ai7 anni e oltre 1 milione di cani con più di 15 anni. Studi recenti suggeriscono che il 30% dei cani di età compresa tra gli 11 e i12 anni e quasi il 70% di quelli tra i 15 e i 16 mostrano almeno un segno indicativo di CDS.Per similitudini patogenetiche e cliniche, il CDS è spesso paragonato al morbo di Alzheimer dell’uomo. Analogamente a quan-to accade nell’Alzheimer, anche nel CDS si assiste al deposito intracerebrale di placche senili, costituite da proteina beta-ami-loide. Recenti evidenze attribuiscono un ruolo patogenetico importante anche a specifici deficit neurotrasmettitoriali (es. calodelle catecolamine, dopamina in particolare; riduzione dei livelli di acetilcolina, minore densità dei recettori muscarinici). At-tualmente in Italia nessun farmaco registrato reca il CDS tra le indicazioni autorizzate.La fosfatidilserina (PS) è un’ortomolecola (cioè una sostanza naturalmente presente nell’organismo) di natura fosfolipidica, checostituisce uno dei principali “mattoni da costruzione” delle membrane cellulari. Tra tutte le cellule, i neuroni sono quelle chemaggiormente dipendono dalle proprie membrane plasmatiche: tutte le attività neuronali specializzate (generazione e trasmis-sione degli impulsi, comunicazione sinaptica, ecc...) transitano attraverso questo sofisticato e dinamico doppio strato lipidicoche circonda la cellula ed i suoi prolungamenti (assoni e dendriti). 30 anni di studi in vitro e in vivo hanno dimostrato che la PSnon solo facilita quelle attività neuronali che dipendono dalla membrana cellulare (mantenimento dell’ambiente interno, tra-sduzione del segnale, rilascio di vescicole secretorie, ecc...), ma è anche in grado di ripristinare i corretti livelli di neurotra-smettitori (es. acetilcolina, dopamina), normalizzare la densità dei recettori neuronali (es. recettori muscarinici, recettori del-l’NGF), ed intervenire, da un punto di vista macroscopico, sui segni tipici del deficit cognitivo, con miglioramento delle capa-cità mnemoniche, di orientamento, di apprendimento e di comportamento sociale. All’efficacia come nootropo (sostanza dotata di effetti positivi sulle funzioni cerebrali), la PS associa un’ottima biodisponibilitàdopo somministrazione orale (confermata da un recente studio sulla cinetica di assorbimento della PS derivata da lecitina di soiain capsule di gelatina molle), ed un elevato profilo di sicurezza (come dimostrato in studi di tossicologia nel cane). L’aumento esponenziale di cani con più di 11 anni d’età, l’esordio subdolo ed insidioso del CDS, la sua intrinseca natura pro-gressiva e la sua pesante interferenza con la qualità di vita dell’animale, mettono in luce l’importanza di un intervento il più pre-coce possibile, sia in termini di diagnosi accurata sia in termini di adeguata terapia.In questo senso, la PS, in funzione delle proprie attività nootropiche, potrebbe rappresentare un opportuno intervento nutraceu-tico per il CDS del cane anziano.

Bibliografia essenzialeCenacchi T et al. Cognitive decline in the elderly: a double-blind, placebo-controlled multicenter study on efficacy of phosphatidylserine administration. Aging.

1993;5:123-33Crook TH, et al. Effects of phosphatidylserine in age-associated memory impairment. Neurol. 1991;4: 644-9Landsberg G, Ruehl W. Geriatric behavioral problems. Vet Clin North Am Small Anim Pract. 1997;27:1537-59Leveque NW. Cognitive dysfunction in dogs, cats an Alzheimer’s-like disease. J Am Vet Med Assoc. 1998;212:1351Nielson JC et al. Prevalence of behavioral changes associated with age-related cognitive impairment in dogs. J Am Vet Med Assoc. 2001;218: 1787-91Pepeu G, Spignoli G., Nootropic drugs and brain cholinergic mechanisms, Prog Neuropsychopharmacol Biol Psychiatry. 1989;13 Suppl:S77-88Pepeu G, Pepeu IM, Amaducci L, A review of phosphatidylserine pharmacological and clinical effects. Is phosphatidylserine a drug for the aging brain? Phar-

macol Res. 1996;33(2),73-80Shinitsky M Ph.D. Kinetics and Safety of Soy Lecithin Phosphatidylserine (PS) Absorption, Weizmann, Institute of Science Rohovot, Israel, 1999Toffano G. The therapeutic value of phosphatidylserine effect in the aging brain. In: Lecithin, ed. Hanin I Ansell GB, New York: Plenum Press, 1987Tsakiris S, Deliconstantinos G. Influence of phosphatidylserine on (Na+ + K+)-stimulated ATPase and acetylcholinesterase activities of dog brain synaptoso-

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46° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC 393

ESISTE UN BUON USO DELLA CONDROPROTEZIONE NEL TRATTAMENTO DELL’ARTROSI DEL CANE?UN’INDAGINE TRA I MEDICI VETERINARI ITALIANI

Miolo AldaCeDIS (Centro di Documentazione e Informazione Scientifica), Innovet Italia srl

Introduzione: Le attuali conoscenze sulla complessa eziopatogenesi dell’artrosi del cane hanno avuto significative ripercussio-ni di ordine terapeutico. In particolare, si è andata delineando l’importanza del “trattamento combinato”, in quanto strategia ca-pace contemporaneamente di: 1) ridurre i sintomi manifesti (dolore); 2) rimuovere – quando possibile – le cause primarie; 3)agire sui meccanismi patogenetici responsabili dell’innesco e della propagazione della malattia artrosica. Tra le misure conser-vative più utilizzate nell’ambito di questo trattamento, figura negli ultimi anni la “condroprotezione”, un approccio comple-mentare cosiddetto disease-oriented, in quanto basato sull’utilizzo di sostanze (condroprotettori), in grado di contrastare i mec-canismi fondamentali del danno artrosico (condrodegenerazione, stress ossidativo, infiammazione).Scopo: L’inappropriato utilizzo delle diverse opzioni terapeutiche rappresenta un fondato rischio di insuccesso nella cura del-l’artrosi del cane. Sulla scorta di questa considerazione, la presente indagine si propone di valutare il profilo di utilizzo dellacondroprotezione da parte dei medici veterinari italiani, dando particolare risalto al quadro clinico di artrosi in cui viene più difrequente utilizzata e, soprattutto, alla sua collocazione nell’ambito del trattamento combinato.Materiali e metodi: L’indagine è stata condotta in Italia nel periodo compreso tra Maggio e Novembre 2002, tramite la distri-buzione su scala nazionale (postale, on line o durante eventi congressuali) di un questionario, diviso in due sezioni con doman-de a scelta multipla. La prima sezione si articolava in 6 domande, inerenti la percentuale di riscontro dell’artrosi nel cane nellapratica clinica, le cause ed i mezzi diagnostici più frequentemente individuati. La seconda sezione di 10 domande riguardavaspecificatamente l’utilizzo clinico e la sicurezza d’impiego di due noti condroprotettori orali1, comunemente prescritti dai Me-dici Veterinari italiani per l’artrosi del cane. Risultati: Degli 850 Medici Veterinari che hanno risposto al questionario, il 96% dichiara di aver effettuato diagnosi di artrosi.Di questi: a) il 40% afferma di aver identificato la displasia come causa più frequente di artropatia degenerativa secondaria; b)il 51% utilizza il mezzo radiografico per fare diagnosi di artrosi, seguito dal 42% che si avvale prevalentemente della visita cli-nica. Relativamente alla condroprotezione, il 90% di coloro che hanno risposto al questionario dichiara di aver prescritto i con-droprotettori succitati. Di questi, il 96% li usa in combinazione con terapie chirurgiche e conservative, farmacologiche e non.L’approccio condroprotettivo viene utilizzato con maggior frequenza nella prevenzione (27%) e nelle forme lievi (32%) e mo-derate (28%) di artrosi, in cani di tutte le età, prevalentemente di taglia grande/gigante (68%) e con particolare predilezione perl’artrosi dell’anca (42%). Il 90% dei rispondenti non riporta alcun effetto collaterale connesso all’uso dei condroprotettori. Conclusioni: Si tratta della prima indagine che fornisce chiare indicazioni circa l’impiego che attualmente viene fatto della con-droprotezione nella pratica clinica. Sicuramente, il dato più interessante è l’altissima percentuale con cui i condroprotettori so-no, di norma, utilizzati nella terapia dell’artrosi, pressoché costantemente in associazione ad altre misure chirurgiche e/o con-servative. Ciò in linea con quanto ormai ampiamente comprovato circa la necessità di inserire la scelta condroprotettiva nel-l’ambito di un adeguato trattamento combinato, al fine di massimizzarne i benefici, ridurne gli insuccessi e, in ultima analisi,aumentare la qualità e le aspettative di vita del paziente artrosico.

Bibliografia essenzialeAnderson M, 1999a, Oral chondroprotective agents. Part I: common drugs used today, Compendium on Continuing Education for Practicing Veterinarian, 21(7):

601-609 Anderson M, 1999b, Oral chondroprotective agents. Part II: evaluation of products, Compendium on Continuing Education for Practicing Veterinarian, 21(9):

861-865 Anderson MA, Slater MR, Hammad TA, 1999, Results of a survey of small-animal practitiones on the perceived clinical efficacy and safety of an oral nutra-

ceutical, Preventive Veterinary Medicine, 38: 65-73Boothe DM, 2001, Anti-inflammatory drugs, in: Small Animal Clinical Pharmacology and Therapeutics, WB Saunders Company, Philadelphia, pp. 281-311Dobenecker B, Beetz Y, Kienzle E, 2002, A placebo-controlled double-blind study on the effect of nutraceuticals (chondroitin sulfate and mussel extract) in dogs

with joint diseases as perceived by their onwers, Journal of Nutrition, 132(6, Suppl. 2): 1690S-1691SHungerford D, Navarro R, Hammad T, 2000, Use of nutraceuticals in the management of osteoarthritis, Journal of the American Nutraceutical Association, 3(1):

23-27Kavanagh K, Gelderman D, 1999, Oral glycosaminoglycans: a survey of responses, Australian Veterinary Journal, 77(4): 220-221Mandelker L, 2002, Experimental applications with nutraceuticals in osteoarthritis, Proceedings The North American Veterinary Conference, Orlando, Florida,

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394 46° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC

STUDIO EPIDEMIOLOGICO SULL’ARTROSI DEL CANE:DATI PRELIMINARI

Maurizio Del Bue# Prof Med Vet; Aldo Giovanella° Med Vet; Carlo Maria Mortellaro* Prof Med Vet; Bruno Peirone† Prof Med Vet; Massimo Petazzoni‡ Med Vet; Gian Luca Rovestiª Med Vet Dipl ECVS;

David Bennett§ BSc BvetMed PhD DSAO MRCVS§Division of Small Animal Clinical Studies, Department of Veterinary Clinical Studies,

University of Glasgow Veterinary School#Dipartimento di Salute Animale, Sezione di Clinica Chirurgica Veterinaria e Medicina d’Urgenza,

Università degli Studi di Parma°Libero Professionista, Mogliano Veneto, Treviso

*Istituto di Clinica Chirurgica e Radiologia, Facoltà di Medicina Veterinaria, Università degli Studi di Milano†Dipartimento di Patologia Animale, Settore Chirurgia, Facoltà di Medicina Veterinaria, Università degli Studi di Torino

‡Libero Professionista, LodiªLibero Professionista, Cavriago, Reggio Emilia

Introduzione: L’artrosi del cane è una patologia ortopedica di natura degenerativa che può colpire una o più articolazioni, siadi animali giovani che di animali adulti/anziani. Generalmente si manifesta come patologia secondaria ad una malattia ortope-dica primaria (es. displasie, osteocondrosi, rotture legamentose); presenta un decorso progressivo; ha andamento cronico e spes-so incide pesantemente sulla qualità di vita del paziente. Di recente, la ricerca scientifica sta facendo progressi sia nel definire imeccanismi patogenetici che sostengono l’artrosi, sia nello sviluppare nuovi protocolli terapeutici combinati per il controllo sin-tomatico ed eziologico della malattia. Tali ricerche non hanno finora affrontato gli aspetti epidemiologici dell’artrosi, che per-tanto viene considerata una malattia ortopedica “assai frequente”, della quale, però, non si è in grado di definire la reale di-mensione. A nostra conoscenza, il presente studio costituisce la prima indagine epidemiologica sull’artrosi del cane condotta nelnostro Paese.Scopo: Scopo del presente lavoro, è quello di rilevare il dato di prevalenza dell’artrosi del cane in Italia.Materiali e metodi: Tra settembre e novembre del 2001, venivano selezionati 28 ambulatori veterinari uniformemente distri-buiti su tutto il territorio nazionale. Ad ognuno di essi veniva attribuita la funzione di “Centro Rilevamento Dati” (CRD), daespletarsi tramite la compilazione di schede di rilevamento dati numerate, una per ciascuno dei primi 100 cani malati visitatipresso il proprio ambulatorio dall’inizio dello studio. La scheda rilevamento dati, organizzata come una sorta di algoritmo dia-gnostico con una serie di tappe procedurali a progressiva eliminazione, consentiva di raccogliere, per i casi diagnosticati comeartropatie, informazioni di natura clinica e radiografica. Al termine dello studio, tutte le schede sono state collegialmente esa-minate da parte dei membri del comitato scientifico di Innovet Osteoarthritis Veterinary Association (IOVA) al fine di perveni-re ad eventuale diagnosi di artrosi.Risultati: Delle 2141 schede raccolte, 322 riferivano casi di malattia ortopedica. Di queste, 172 (53%) erano artropatie. A se-guito della disamina delle 322 schede relative a malattia ortopedica e delle radiografie ad esse allegate, i casi diagnosticati conpatologie artrosiche erano 91 (28%). La prevalenza dell’artrosi sul totale delle malattie analizzate (2141 schede) era del 4%.Conclusioni: In base ai criteri di inclusione degli animali, ed in ragione dell’omogenea distribuzione nazionale dei CRD sele-zionati, i risultati ottenuti forniscono una stima della prevalenza dell’artrosi nei cani visitati per qualsiasi malattia in Italia. Traquesti, quelli affetti da malattie di pertinenza ortopedica risultano essere il 15%, e quasi un terzo di loro è portatore di artrosi,sintomatologicamente e radiograficamente manifesta. La reale prevalenza di questa malattia degenerativa è con tutta probabilitàpiù elevata di quanto emerso dallo studio. L’assenza di sintomi clinici eclatanti nelle fasi iniziali del problema, frequente carat-teristica dell’artrosi, nonché il periodo di rilevamento dei dati (gennaio-marzo, mesi di ridotta attività fisica dell’animale) po-trebbero aver generato una sottostima del reale dato di prevalenza delle malattie ortopediche e, conseguentemente, anche del-l’artrosi del cane nel nostro Paese.

Ringraziamento: Gli Autori desiderano ringraziare Innovet Osteoarthritis Veterinary Association (IOVA) per aver sostenuto lostudio oggetto del presente abstract.

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46° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC 395

TRATTAMENTO ARTROSCOPICO DELL’OCD DI GINOCCHIO NEL CANE

Olivieri Massimo Med. Vet.; Pavanelli Massimo Med. Vet.Libero professionista, Samarate (Va)

Introduzione: L’osteocondrite dissecante (OCD) è una lesione osteocondrale a carico della cartilagine articolare, causata damolti fattori: genetici, alimentari (quantità e qualità), ischemici, ambientali. Il ginocchio è, come sede di localizzazione anato-mica, la terza articolazione coinvolta dopo spalla e gomito. Il trattamento chirurgico artrotomico prevede la rimozione del flape il courettage della lesione. Nel presente lavoro viene descritto l’impiego dell’artroscopia come metodo di trattamento mini-in-vasivo dell’OCD di ginocchio in otto casi.Materiali e metodi: I pazienti inclusi nel presente lavoro sono 4 Labrador (2 maschi e 2 femmine) e 2 Cani Corsi (2 femmine)con un’età compresa tra i 4 e gli 8 mesi. Questi soggetti sono stati presentati alla visita ortopedica per un problema di zoppia di1° grado bilaterale in 2 casi e di 2° grado monolaterale in 4 casi. La zoppia era insorta in 5 casi improvvisamente, mentre nei ri-manenti 3 in modo subacuto. In un unico cane c’era, all’origine della zoppia, una storia certa di trauma. All’ispezione dell’artointeressato si evidenziava tumefazione del ginocchio ed alla visita i cani manifestavano algia, soprattutto ai movimenti di iper-flessione ed iperestensione. La prova del cassetto ed il test di compressione tibiale erano negativi, così come la prova per valu-tare l’integrità dell’EDPL. Lo studio radiografico permetteva, inoltre, di evidenziare segni radiografici certi di OCD a carico delcondilo femorale laterale in 6 casi e sospetti nei restanti 2.È stata quindi effettuata un’artroscopia di ginocchio con accesso standard. Una volta confermato il reperto radiografico, dopoaccurata ispezione di tutte le componenti articolari, si è proceduto alla rimozione di un “classico” flap di dimensioni variabilitra 0,5 e 2 cm di diametro in 6 casi, mentre in 2 casi è stato possibile evidenziare solo il difetto subcondrale e non il frammen-to osteocondrale. La lesione è stata successivamente trattata seguendo gli standard artroscopici, con rimozione del flap e attiva-zione del letto subcondrale nei casi in cui la sua valutazione ingrandita non evidenziava la presenza di rigenerazione fibrocarti-laginea già in atto. In tutti i casi è stata effettuata sinoviectomia. In un caso era associata una rottura parziale del legamento cro-ciato anteriore (circa 20% delle fibre). Nel post-operatorio è stato prescritto un periodo di riposo, seguito da un programma difisioterapia riabilitativa specifico caso per caso.Risultati: Ai controlli postoperatori i pazienti hanno evidenziato una rapida ripresa nell’utilizzo dell’arto: già dopo 15 giorni ilrecupero si è dimostrato essere quasi completo in tutti i soggetti con zoppia di 1° grado e in 2 casi con zoppia di 2° grado e to-tale dopo 30 giorni. Nei rimanenti 2 soggetti con zoppia di 2° grado, in un caso il recupero è stato di circa il 50% dopo 15 gior-ni e totale dopo 45 giorni, mentre nel caso con associata rottura parziale del crociato anteriore, il cane presentava una zoppia oc-casionale di 1° grado al controllo dopo 60 e 90 giorni. Conclusioni: L’artroscopia permette di effettuare un trattamento mini-invasivo, associato ad abbondanti lavaggi ed alla rimo-zione della sinovia, produttrice di molti mediatori dell’infiammazione. Questo permette di iniziare il programma di riabilitazio-ne dal giorno dopo l’esecuzione dell’artroscopia, abbreviando i tempi di recupero. La valutazione ingrandita del letto subcon-drale fornisce informazioni più complete rispetto alla valutazione diretta della lesione, potendo in questo modo prendere delledecisioni mirate sul trattamento dell’osso subcondrale. Infine, nei casi in cui il flap era stato già riassorbito, è stato possibile evi-tare l’artrotomia, sfruttando i vantaggi più sopra ricordati dell’artroscopia.

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396 46° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC

TPLO NEL CANE DI PICCOLA TAGLIA: STUDIO RETROSPETTIVO SU 13 CASI

Petazzoni Massimo, Med VetLibero professionista, Milano

Introduzione: La rottura del legamento crociato craniale è la prima causa non traumatica di zoppia del cane adulto di ogni ta-glia. Numerose tecniche chirurgiche sono state impiegate per la ricostruzione del legamento crociato craniale. La TPLO (TibialPlateau Leveling Osteotomy) ossia l’osteotomia livellante del piatto tibiale secondo Barclay Slocum consente di eliminare laspinta tibiale craniale secondaria all’incompetenza del legamento crociato che ha subito una rottura parziale o totale; inoltre, èpossibile, attraverso la medesima osteotomia effettuare la correzione della eventuale deviazione tibiale prossimale, generalmen-te in valgo.Scopo dello studio: Indagine retrospettiva sulla tecnica TPLO nel cane di piccola taglia con rottura del legamento crociato cra-niale, parziale o totale, con o senza deviazioni angolari a carico dell’arto posteriore.Materiali e metodi: Sono state esaminate le cartelle cliniche di 11 cani di piccola taglia affetti da rottura del legamento crociatocraniale del ginocchio e trattati con TPLO. Tutti i pazienti sono stati presentati alla visita clinica per una zoppia monolaterale obilaterale a carico dell’arto posteriore secondaria a rottura parziale o totale del legamento crociato craniale. La diagnosi è stataposta basandosi sui segni clinici e sulla valutazione radiografica. L’inclinazione del piatto tibiale è stata misurata sulla proie-zione medio-laterale della tibia secondo le indicazioni di Barclay Slocum. Le proiezioni anteroposteriori di femore e di tibia han-no consentito la misurazione di eventuali deviazioni (varo, valgo e torsioni).Risultati: Undici soggetti di piccola taglia appartenenti a 5 diverse razze con peso compreso fra 4 e 12 kg (media 7,5 kg) sonostati inclusi nel presente studio: sette incroci, un Barbone toy, uno Yorkshire toy, uno Shitzu ed un Maltese. Su 11 cani, 6 eranomaschi e 5 femmine con età compresa fra 2 e 10 anni (media 5,8). Due pazienti sono stati operati bilateralmente. Delle 13 gi-nocchia prese in considerazione l’angolo medio dell’inclinazione del piatto tibiale risultava essere di 28,5° con range compresofra 26° e 34°. Cinque soggetti su undici risultavano allineati mentre sei soggetti presentavano una o più deviazioni angolari a ca-rico dell’arto posteriore.L’angolo del piatto tibiale postoperatorio risultava essere compreso fra 5 e 14° (media 8,5°). In due soggetti è stata eseguita an-che la correzione della deviazione angolare riscontrata. Tredici TPLO su tredici sono state eseguite senza difficoltà o complica-zioni intraoperatorie. Dodici pazienti su tredici hanno avuto la remissione totale dei sintomi entro 8 settimane dall’intervento.Un paziente ha presentato una complicazione postoperatoria causata dalla frattura con avulsione della cresta tibiale.Conclusioni: La TPLO è risultata essere una tecnica chirurgica efficace per la terapia della rottura del legamento crociato cra-niale anche nel cane di piccola taglia. La stessa tecnica chirurgica consente anche la correzione di eventuali deviazioni ossee acarico della tibia. Di contro risulta essere una tecnica più impegnativa e che richiede uno strumentario dedicato rispetto alle di-verse tecniche tradizionali.

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46° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC 397

DUE CASI DI TPLO + CCWO PER IL LIVELLAMENTO DEL PIATTO TIBIALE SUPERIORE A 30°

Petazzoni Massimo, Med VetLibero professionista, Milano

Introduzione: La rottura del legamento crociato craniale è la prima causa non traumatica di zoppia nel cane adulto. L’eccessi-va inclinazione del piatto tibiale predispone alla rottura del legamento crociato craniale. La tecnica TPLO (Tibial Plateau Leve-ling Osteotomy) risulta efficace nella terapia chirurgica di questa lesione. La sola TPLO, quando il piatto tibiale ha una inclina-zione > 30°, isola in modo eccessivo la cresta tibiale sottoponendola a rischio di frattura. La tecnica CCWO (Cranial ClosingWedge Osteotomy) anch’essa descritta da Barclay Slocum, ossia l’ostectomia cuneiforme craniale prossimale della tibia, asso-ciata alla TPLO consente di livellare il piatto tibiale senza sottoporre la cresta tibiale a rischio di frattura.Scopo del lavoro: Valutazione retrospettiva di due casi clinici di rottura del legamento crociato craniale con eccessiva inclina-zione del piatto tibiale in due cani di piccola taglia trattati con TPLO + CCWO.Caso clinico 1: Incrocio femmina di 7 kg di peso e 5 anni d’età presentato alla visita per una zoppia posteriore sinistra di IIIgrado. I proprietari riportavano nell’anamnesi remota una frattura prossimale della tibia sinistra. Alla visita il paziente presen-tava sit-test positivo, algia alla estensione del ginocchio, test di compressione tibiale positivo e segno del cassetto positivo. Lostudio radiografico evidenziava: segno del grasso infrapatellare positivo, tumefazione dei tessuti molli del comparto posterioredel ginocchio, test di compressione tibiale radiografico positivo, angolo del piatto tibiale = 40°. L’arto controlaterale, sano, pre-sentava un angolo del piatto tibiale pari a 22°. Veniva posta la diagnosi di rottura del legamento crociato craniale. La tecnicaTPLO associata alla CCWO consentiva la correzione del piatto tibiale a 8°. Il paziente, al controllo clinico e radiografico in ses-santunesima giornata, otteneva la remissione completa dei sintomi e la guarigione delle osteotomie.Caso clinico 2: Yorkshire toy (3,3 kg) femmina di 4 anni presentato alla visita clinica per una zoppia posteriore sinistra di IVgrado. Il paziente aveva subito una frattura a carico della metafisi prossimale della tibia sinistra all’età di circa 4,5 mesi. Alla vi-sita clinica il soggetto presentava sit-test positivo, algia alla estensione del ginocchio, test di compressione tibiale positivo e se-gno del cassetto positivo. Lo studio radiografico evidenziava: segno del grasso infrapatellare positivo, tumefazione dei tessutimolli del comparto posteriore del ginocchio, test di compressione tibiale radiografico positivo, angolo del piatto tibiale 63°. L’ar-to controlaterale, sano, evidenziava una inclinazione del piatto tibiale pari a 22°. Veniva posta la diagnosi di rottura del lega-mento crociato craniale. La tecnica TPLO associata alla CCWO consentiva la correzione del piatto tibiale a 14°. Il paziente, alcontrollo clinico in ottava settimana otteneva la remissione completa dei sintomi mentre la guarigione radiografica delle osteo-tomie avveniva in 12 settimane.Conclusioni: L’eccessiva inclinazione del piatto tibiale può condurre alla rottura del legamento crociato craniale nel cane. LaTPLO in associazione alla CCWO consente di annullare la spinta craniale della tibia prossimale sul femore restituendo funzio-nalità al ginocchio dal punto di vista biomeccanico senza sottoporre la cresta tibiale a rischio di frattura. La tecnica, che richie-de l’impiego di uno strumentario dedicato, è risultata efficace anche se di non semplice esecuzione date le piccole dimensionidei pazienti.

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398 46° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC

TRE CASI DI CARDIOPATIE RARE NEL GATTO

Pirovini Luca*, Med Vet.; Riccaboni Pietro**, Med Vet, Dott Ric.; Paltrinieri Saverio**, Med Vet, Prof.*Libero professionista, Milano; ** Dipartimento di Patologia Animale, Igiene e Sanità Pubblica Veterinaria, Milano

Introduzione: Scopo di questo lavoro è segnalare tre cardiopatie feline relativamente rare quali stenosi polmonare in assenza dialtre alterazioni cardiache, stenosi subaortica clinicamente poco sintomatica, tumore della base del cuore.Materiali e metodi: Caso 1: gatto maschio di 2 mesi presentante cianosi, dispnea, fame d’aria, distensione delle giugulari, suc-cussione dell’addome positiva, soffio sistolico (5/6), fremito precordiale. Caso 2: gatto comune europeo femmina di 11 anni dietà, obeso, anoressico, itterico, disidratato, modicamente dispnoico e presentante soffio sistolico (2/6). Caso 3: gatto comune eu-ropeo femmina di 10 anni con grave dispnea inspiratoria, cianosi, ipofonesi ventrale e iperfonesi dorsale alla percussione. In tut-ti i casi sono stati eseguiti esame radiografico, elettrocardiografico, ecografia dell’addome e del torace, esami ematologici edematochimici, analisi dei versamenti, se presenti, e necroscopia.Risultati: Caso 1: i radiogrammi evidenziavano ascite e versamento pleurico, poi risultato un trasudato. L’ECG evidenziavasegni di ingrandimento atriale destro e spostamento a destra dell’asse cardiaco. L’ecografia mostrava grave ipertrofia ventrico-lare destra, fenomeni ischemici endocardici, dilatazione atriale e grave stenosi a livello di valvola polmonare con dilatazione po-st-stenotica della arteria comune; l’esame doppler mostrava un aumento della velocità di flusso in arteria polmonare. L’esamenecroscopico confermava la grave ipertrofia infundibolare destra sub stenotica in assenza di alterazioni a tricuspide e/o aorta.Caso 2: gli esami di laboratorio evidenziavano una grave epatopatia. I radiogrammi rivelavano un modico aumento dellasilhouette cardiaca e lieve edema polmonare. L’esame ecografico confermava la presenza di colangioepatite ed evidenziava ste-nosi subaortica con probabile alterazione di un lembo semilunare, modica ipertrofia ventricolare sinistra, dilatazione atriale si-nistra secondaria a rigurgito mitralico, aumentata velocità di picco aortico. L’osservazione macroscopica del cuore confermavala stenosi sub aortica dovuta ad un cercine fibrotico posto circa 3 mm sotto la valvola e ad una struttura fibrotica allungata chesi estendeva dal setto interventricolare all’ostio valvolare libero, attraversando la zona di afflusso ventricolare. Caso 3: il versa-mento è risultato un trasudato modificato. I radiogrammi evidenziavano un’area di radiopacità toracica che mascherava lasilhouette cardiaca e riduceva l’espansione dei lobi polmonari. Ecograficamente era visibile una neoformazione di circa 25 mmlocalizzata alla base del cuore, avvolgente l’aorta e l’atrio di sinistra. L’esame istologico evidenziava la presenza di una neopla-sia linfoide indifferenziata.Conclusioni: I tre casi presentati risultano interessanti per la loro rarità nella specie felina e per alcuni aspetti clinico-patologi-ci: nel primo caso la presenza di ascite, dovuta a ipertensione portale secondaria alla stenosi polmonare congenita; nel secondocaso il reperto cardiologico è risultato pressoché occasionale: gli imponenti sintomi da affaticamento, così comuni nel cane, pos-sono passare inosservati ai proprietari date le abitudini tipiche del felino in appartamento, salvo manifestarsi quando compareinsufficienza cardiaca sinistra; nel terzo caso la presenza di versamento pleurico dovuto alla compressione atriale esercitata daltumore.

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46° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC 399

VALORI ECOCARDIOGRAFICI IN E. BRETON NORMALI

Poggi Marco* Med Vet.; Borgarelli Michele° Med. Vet; D’Agnolo Gino§ Med Vet* Libero professionista, Imperia; ° Istituto di patologia medica Facoltà Medicina Veterinaria, Torino; § Libero professionista, Trieste

Introduzione: L’esame ecocardiografico ha acquisito in questi ultimi anni sempre maggior importanza nella diagnostica car-diologica. I primi studi hanno stabilito valori normali delle dimensioni telediastoliche e telesistoliche e gli spessori parietali nelcane e nel gatto rapportati al peso (Lombard C. 1984). Ulteriori osservazioni hanno dimostrato l’importanza del morfotipo (raz-za) anche dopo che le differenze di peso sono state prese in considerazione (Morrison S.A., 1992 – Snyder P.S., 1995). Scopodi questo lavoro è quello di determinare i valori ecocardiografici ed eco Doppler normali in cani di razza E. breton, valutandoinoltre le differenze tra un gruppo di soggetti da gara (atleti) e un gruppo con normale attività fisica.Materiali e metodi: 20 E. breton (13 maschi e 7 femmine) muniti di certificato di origine, adulti da 1 a 9 anni (media + SD 3,2±2,2),peso compreso tra 11 e 23 kg (15,1±3,1), sono stati sottoposti a esame ecocardiografico completo. Tutti i soggetti sono risultati nor-mali alla visita clinica, all’esame elettrocardiografico (9 derivazioni) e all’esame radiografico del torace eseguito in due proiezioni(l/l dx e sagittale d/v). Per l’esecuzione dell’esame è stato utilizzato ecografo Esaote Biomedica Caris, munito di due sonde settoria-li da 3,5-5 e 7,5-10 Mhz. Tutti gli esami sono stati eseguiti da un solo operatore (MP) in accordo alle raccomandazioni per l’esameecocardiografico nel cane (Thomas W.P., 1984). La misurazione del rapporto A.sin/Aorta è stata eseguita nella proiezione paraster-nale destra (asse corto base del cuore). Mediante l’esame eco-Doppler sono stati misurati il flusso polmonare (parasternale dx), aor-tico (apicale 5 camere) e mitralico (apicale 4 camere). La misurazione della pressione arteriosa sistolica (metodo Doppler) è stataeseguita al termine dell’esame ecocardiografico in decubito dx. La misura è stata effettuata sull’arteria metacarpea dell’arto anterio-re destro. Tutti i parametri sono i risultati della media di tre misurazioni effettuate in tre differenti cicli cardiaci; le misurazioni sonostate eseguite seguendo le linee guida dell’American Society of Echocardiography (leading edge to leading edge). Risultati e discussione: Nella tabella sono riassunti i risultati ecocardiografici ed eco-Doppler per i due gruppi d’animali presi inconsiderazione. Le misurazioni del setto IV in diastole e sistole, il diametro telediastolico del ventricolo sinistro, lo spessore della pa-rete posteriore in sistole e il rapporto aorta atrio sinistro, presentano delle differenze statisticamente significative (p=<0,05) tra i duegruppi, in accordo a quanto già descritto nell’uomo (Maron B.J. 1986) e nel cane (Rippe J.M. 1982, Volmar A. 2001). Inoltre l’in-fluenza delle seguenti variabili: attività, sesso, età, peso, superficie corporea (BSA), frequenza cardiaca (FC) e pressione arteriosa si-stolica (BPs) è stata studiata attraverso un’analisi di regressione multipla. Tale studio ha evidenziato per setto IV-d un’influenza si-gnificativa nei seguenti parametri: sesso, BPs, FC con rispettivi valori (p=0,002 - 0,0033 - < 0,0001); per il diametro telediastolicoventricolo sinistro: attività, età, peso (p= 0,0009 – 0,04 – 0,0039); per il rapporto aorta atrio sinistro: attività (p=0,0199); flusso tran-smitralico rapporto E/A: attività (p= 0,0081); per il tempo di decelerazione onda E: attività e FC (p=0,001 – 0,04).

Ringraziamenti: Si ringrazia per l’elaborazione statistica dei dati raccolti il Dr. Maurizio Rainisio - Imperia.

Bibliografia disponibile presso gli autori.

Soggetti atleti (n°7) Soggetti attività normale (n°13)Media + Std dev Min max Media + Std dev Min max T-Tests

Età 3,64+2,17 1-7 2,96+2,29 1-9 NSFC 118+37 74-164 109+19 72-154 NSPeso 15,6+0,9 14-17 14,9+3,8 11-23 NSBSA 0,62+0,02 0,58-0,66 0,60+0,10 0,49-0,81 NSBP s. 149+6,4 138-160 151+10 136-166 NS======== ====== ====== ======= ===== =====Setto-IV d 0,96+0,1 0,77-1,20 0,74+0,1 0,56-0,92 0.0065Setto-IV s 1,49+0,36 0,85-1,9 1,13+0,23 0,74-1,64 0.0434Ventr.sn d 3,86+0,17 3,55-4,08 3,47+0,26 3,08-3,97 0.0010Ventr.sn s 2,69+0,32 2,28-3,35 2,42+0,24 2,02-2,75 NSPar.pos d 0,89+0,09 0,78-1,05 0,83+0,13 0,60-1,04 NSPar.pos s 1,22+0,14 0,99-1,41 1,05+0,17 0,73-1,4 0.0386FA% 30+6,3 18-37 30+6,9 19-41 NSMVS 130+52 94-244 77+22 45-110 0.0365EDVI 104+10 83-115 85+13 56-105 0.0022ESVI 44+13 28-69 36+8,7 18-47 NSAo/as 1,48+0,08 1,3-1,6 1,32+0,13 1,1-1,5 0.0053V-max aorta 1,09+0,24 0,59-1,33 1,07+0,14 0,89-1,32 NSV-max polm 0,96+0,13 0,80-1,14 0,97+0,17 0,66-1,2 NSV E mitrale 0,65+0,16 0,41-0,83 0,78+0,13 0,51-0,91 NSV A mitrale 0,71+0,13 0,55-0,87 0,59+0,10 0,44-0,76 NSE/A mitrale 0,96+0,36 0,6-1,50 1,34+0,20 1,12-1,72 0.0474Dec time E 128+50 61-207 77+16 58-119 0.0536

NS = non significativo

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400 46° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC

UN CASO DI AMARTOMA IPOTALAMICO NEL CANE

Ruggiero Piero Med Vet; Colaceci Marco Med Vet; Muhle Anne Med VetLiberi professionisti, Roma

Un cane, pastore tedesco, femmina intera, di nove anni di età, veniva presentato alla visita clinica perché affetto da probleminell’alzarsi da seduta e da cambiamenti comportamentali aspecifici. All’esame fisico, il soggetto mostrava depressione del sen-sorio, bradicardia (60 bpm), dolore all’estensione delle anche ed alla manipolazione della colonna vertebrale, nel tratto lombo-sacrale. Gli esami ematochimici indicavano lieve anemia normocitica normocromica e lieve ipercolesterolemia; il successivo do-saggio degli ormoni tiroidei era compatibile con un ipotiroidismo primario. Lo studio radiografico della regione lombosacralerivelava una spondiloartrosi L7-S1, collasso dello spazio intervertebrale ed irregolarità della superficie articolare del sacro. L’in-tegrazione ormonale, tuttavia, non risolveva lo stato di depressione evidenziando invece ipertermia (39,5°C) come ulteriore sin-tomo, nonostante la normalità dei markers infiammatori eseguiti (VES, fibrinogenemia, sideremia, elettroforesi proteica). L’e-same ecografico dell’addome e i radiogrammi del torace risultavano nella norma; l’ipertermia inoltre non rispondeva alla tera-pia con doxiciclina, né alla somministrazione di prednisolone a dosi immunosoppressive per sette giorni. A questo punto, il pro-prietario rifiutava ulteriori approfondimenti per meglio caratterizzare la patologia lombosacrale.Dopo circa un mese, il cane veniva riportato alla visita per ipertermia persistente, depressione marcata e vomito occasionale; iproprietari riferivano anche di aver sospeso l’integrazione ormonale. All’esame fisico erano presenti palesi alterazioni neurolo-giche: frequenti episodi di sonnolenza con incapacità di mantenere la stazione, deficit propiocettivi lateralizzati a destra e dimi-nuzione della reazione della minaccia a destra. Le alterazioni erano indicative di una lesione prosencefalica focale sinistra e, per-tanto, il soggetto veniva riferito per un esame TAC. L’indagine tomografica del cranio evidenziava la presenza di una massa ro-tondeggiante, ben definita, localizzata nella regione ipotalamica e, a seguito della prognosi riservata, i proprietari optavano perl’eutanasia del soggetto. In sede di necroscopia, si asportava l’intera massa cerebrale. L’esame istopatologico risultava compa-tibile con amartoma ipotalamico. Conclusioni: L’amartoma ipotalamico è un’evenienza piuttosto rara nel cane e viene considerata più una malformazione dellastruttura vascolare ipotalamica, che non una vera e propria neoplasia. La patologia infatti riguarda i vasi sanguigni che, per ano-malie strutturali, tendono a dilatarsi (fino a forme cavernose) e, spesso, si accompagna a raccolte emorragiche localizzate. In let-teratura, i pochi casi riportati (5) sono stati rinvenuti nella regione telencefalica; la classificazione istopatologica strutturale è at-tualmente in fase di definizione, attraverso metodiche immunoistochimiche.

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46° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC 401

PRINCIPALI RISCONTRI CLINICI E DI LABORATORIO OSSERVATI IN UNA POPOLAZIONE DI CANI ADIBITI ALLA CACCIA AL CINGHIALE

Sacchini Federico* MVB MRCVS specialista in patologia e clinica degli animali d’affezione; Lubas George# Med Vet Dipl ECVIM; Gavazza Alessandra# Med Vet PhD; Chiocca Luca† Med Vet;

Carli Andrea§ Med Vet specialista in clinica dei piccoli animali; Vaira Fabrizioφ Med Vet; Gugliucci Biancaurora# ScBiol.* IDEXX Laboratories Ltd, Wetherby UK

# Dipartimento di Clinica Veterinaria, Laboratorio di Ematologia, Università di Pisa † Libero professionista, Brugnato (SP)§ Libero professionista, Sarzana (SP)f Libero professionista, Carrara (MS)

Obiettivo: Valutare lo stato di salute e la gestione dell’allevamento di una popolazione di cani adibiti alla caccia al cinghialenelle provincie di Massa Carrara e la Spezia.Introduzione: Sebbene non esistano stime ufficiali, i cani da cinghiale rappresentano una parte importante dei pazienti dellestrutture veterinarie nel territorio considerato. L’attività venatoria si concentra tra ottobre e dicembre, periodo nel quale i canisono sottoposti ad elevati regimi di attività e spesso sono soggetti a patologie traumatiche. A causa dell’ambiente di lavoro bo-schivo e delle condizioni di allevamento, le malattie infettive e parassitarie rappresentano un importante fattore di rischio perquesti animali. Materiali e metodi: Sono stati selezionati 69 cani da cinghiale [38 femmine e 31 maschi; 35 di razza segugio e 34 meticci; etàmedia = 4.3 anni (8 mesi – 15 anni); peso medio = 18.0 kg (8-30); allevamenti coinvolti = 5] in preparazione per la stagione ve-natoria nelle provincie di Massa Carrara e La Spezia. Tutti i soggetti sono stati sottoposti a visita clinica e prelievo di sangueper l’esecuzione di esame emocromocitometrico, profilo biochimico ed elettroforesi delle sieroproteine. Per ogni allevamento èstato redatto un questionario riguardante gli interventi di profilassi effettuati e la dieta somministrata.Risultati: Le anormalità riscontrate alla visita clinica includono: cattivo stato di nutrizione 32%; alterazioni a carico del tegu-mentario 82%; infestazione da parassiti esterni 62%; periodontite da tartaro 19%. Le alterazioni di laboratorio comprendono: ane-mia non rigenerativa 9%; eosinofilia 39%; ipoalbuminemia 30%; ipoproteinemia non selettiva 26%; diminuzione dell’urea 9%;aumento di ALT e ALP 23%; aumento di CK 26%; aumento degli acidi biliari 23%; ipocolesterolemia 16%; iponatriemia 9%. La profilassi nei confronti di ectoparassiti/endoparassiti è apparsa diffusa ma inadeguata per prodotto utilizzato ed irregolaritàdei trattamenti. Tra i vari allevamenti si sono riscontrate differenze notevoli nel tipo di alimento somministrato, quantità e qua-lità degli ingredienti. L’energia metabolizzabile di una razione giornaliera stimata per un cane di 18 kg nel periodo di caccia èrisultata tra 1750 e 1400 Kcal, con contenuti proteici e lipidici cha variano rispettivamente dal 40 al 18% e dal 35 al 23% del-l’energia metabolizzabile. L’analisi dei risultati effettuata per singolo allevamento evidenzia importanti differenze: patologie dermatologiche, parassitosiesterne ed eosinofilia risultano uniformemente distribuite nella popolazione, mentre il cattivo stato di nutrizione e le alterazionidel profilo biochimico appaiono confinate a specifici allevamenti. In un allevamento si è evidenziato un cattivo stato di nutri-zione ed alterazioni marcate del profilo biochimico in 14 soggetti su 15; in 2 allevamenti è stato riscontato un cattivo stato dinutrizione nel 30-40% dei soggetti, con alterazioni di laboratorio nel 40-60% dei casi; 2 allevamenti sono risultati praticamen-te esenti da alterazioni del profilo biochimico con soggetti in buono stato di nutrizione. Questi dati si correlano bene con la die-ta somministrata, che appare a basso contenuto proteico/lipidico negli allevamenti con maggiore prevalenza di alterazioni. Conclusioni: Questo studio ha evidenziato notevoli carenze nella gestione dell’allevamento, con evidenti ripercussioni sullo sta-to di salute degli animali. L’inadeguata profilassi nei confronti delle parassitosi dà spesso luogo a patologie dermatologiche edaumenta il rischio di malattie trasmesse da artropodi vettori. La dieta somministrata è spesso povera di proteine e grassi per illivello di attività svolto, al punto tale da risultare in alterazioni del profilo biochimico.

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402 46° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC

MISURAZIONE PRESSIONE ARTERIOSA NEL CANE:STUDIO EPIDEMIOLOGICO SU 680 CASI

Santilli Roberto A.* Dr Med.Vet. D.E.C.V.I.M.-C.A. (Cardiology);Gerboni GianMarco* Dr Med.Vet., Paolo Galavotti§

*Libero professionista, Samarate (VA)§Imola, Bologna

Lo scopo del lavoro comprendeva la descrizione dei limiti della pressione arteriosa in un’ampia popolazione di cani (273 sani,227 con patologie non ipertensive e 180 con patologie potenzialmente ipertensive, quali diabete mellito, ipotiroidismo, insuffi-cienza renale cronica, glomerulonefriti, malattie epatiche e feocromocitoma); lo studio degli effetti delle differenti variabili sul-le misurazioni della pressione arteriosa e la valutazione di diverse strumentazioni per la misurazione della pressione arteriosanei cani di piccola taglia. Sono stati selezionati 697 cani per ognuno dei quali sono state effettuate cinque misurazioni consecu-tive dopo quindici minuti di acclimatazione in decubito laterale destro con la cuffia posta a livello di arto prossimale sinistro so-pra il carpo. 680 sono entrati nello studio per la ripetibilità dei dati (coefficiente di variabilità intra-osservatore minore del 10%)ottenuta con il metodo Doppler, oscillometrico, od entrambi.La pressione sistolica e media sono apparse normalmente distribuite in accordo con il test di Skewness e Kurtosis. Nei cani conpeso corporeo < 8 kg (n=145) sono stati utilizzati sia il Doppler sia il metodo oscillometrico; il secondo metodo è stato ripeti-bile nel 54,48% dei cani. La tabella 1 mostra la media, la deviazione standard e gli intervalli di confidenza della pressione si-stolica, diastolica e media ottenute nei cani sani. Il test statistico oneway Anova è stato usato per valutare la varianza dei dati. Non sono state evidenziate differenze significativedella pressione arteriosa con variazioni del temperamento dell’animale. I cani con peso tra i 20 ed i 35 kg hanno presentato lapressione sistolica oscillometrica più alta (p = 0,03), mentre i cani con peso tra i 5 ed i 20 kg hanno presentato una pressione si-stolica, diastolica e media più alta (p = 0,009; p = 0,02, p=0,01). Cani con iperadrenocorticismo, insufficienza renale cronica,glomerulonefriti e feocromocitoma hanno presentato più alte pressioni oscillometriche sistoliche (p=0,0004), diastoliche(p=0,0002) e medie (p=<0,0001) quando confrontate con quelle dei cani sani. I cani con diabete mellito hanno presentato pres-sioni diastoliche (p=0,0002) e medie (p=<0,0001) più alte dei cani sani. Una correlazione lineare negativa è stata dimostrata tra la pressione oscillometrica diastolica ed il peso (p = 0,03; r2 =0,007), ta-le correlazione è risultata invece positiva tra l’età e la pressione sistolica Doppler (p=0,003;r2 = 0,05), oscillometrica sistolica(p=0,001;r2 = 0,01), oscillometrica diastolica (p=<0,0001;r2 = 0,06) ed oscillometrica media (p= <0,0001;r2 = 0,03).In conclusione come dimostrato da altri lavori l’età ed il peso hanno i maggiori effetti sulla pressione arteriosa nel cane. Il me-todo oscillometrico con la cuffia posta a livello prossimale dell’arto anteriore ha premesso di ottenere dati ripetibili nella mag-gior parte dei cani di grossa taglia ma solo nel 54,48% dei cani di piccola taglia dove è preferita la metodica Doppler. Come di-mostrato da altri lavori i cani con malattie potenzialmente ipertensive hanno valori pressori più elevati della popolazione nor-male.

Tabella 1

Pressione n° Media Dev. Std Std Errore Media Minimo 95% Massimo 9 5%

Doppler Sistolica 48 153,125 33,48 4,83 143,56 162,69

Oscillometrico Sistolica 225 138,501 16,72 1,229 136,09 140,92

Oscillometrico Diastolica 225 87,173 17,83 1,189 84,84 89,51

Oscillometrico Media 225 104,514 14,33 0,95 102,64 106,39

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46° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC 403

SEMINOMA MALIGNO IN UN CANE

Sebastiao Marina* Med Vet; Rossetti Carlos* Med Vet Spec mal picc anim; Del Piero Fabio§ DVM, Dipl ACVP, Prof. *Liberi professionisti, Savona

§ Departments of Pathobiology, Department of Clinical Studies NBC, PADLSSchool of Veterinary Medicine, University of Pennsylvania

Philadelphia, USA

Introduzione: I seminomi sono neoplasie delle cellule germinali testicolari descritte in molte specie animali. I seminomi beni-gni sono frequenti, specialmente nei testicoli ectopici, mentre quelli maligni sono rari nei mammiferi domestici e descrizionidettagliate sono ancor più rare. Qui descriviamo la presentazione clinica, la morfologia e gli aspetti terapeutici e prognostici diun seminoma maligno in un cane.Segnalamento, segni clinici, patologia, terapia: Un cane meticcio, maschio intero di 15,5 anni, fu portato alla nostra atten-zione per una visita particolare all’apparato riproduttore in quanto il testicolo sinistro era contenuto nello scroto, mentre quellodestro era localizzato dorsalmente nel canale inguinale. La gonade ectopica era aumentata di volume (cm 5) e di consistenza.L’esame ecografico rivelò un aumento omogeneo del parenchima testicolare che appariva leggermente più ecogeno. Sospettan-do una neoplasia testicolare primaria, entrambi i testicoli e lo scroto vennero rimossi chirurgicamente. La superficie di taglio delparenchima, dove non si distinguevano più i dettagli anatomici era biancastra, protundente e soffice. All’esame citolgico evi-denziammo una densa popolazione di cellule rotonde di varia grandezza a nucleo eucromatico, talvolta picnotico, nucleolo cen-trale prominente, e citoplasma omogeneo azzurro con razio nucleo/citoplasma anomale e variabile. Frequenti erano cellule ati-piche binucleate, raramente polinucleate, con mitosi anche bizzarre. L’esame istologico permise di evidenziare le cellule sopradescritte che scompaginavano la morfologia testicolare con scomparsa della maggior parte dei tubuli seminiferi. Quelli rima-nenti erano ripieni di queste cellule rotonde neoplastiche che talvolta riproducevano la morfologia tubulare cavitaria ma moltopiù spesso formavano delle isole solide. Le cellule del Sertoli erano scomparse, mentre vi erano in poche aree qualche residuacellula interstiziale di Leydig. Nei vasi linfatici subtunicali dilatati erano penetrate cellule neoplastiche singole e a gruppi.Discussione e conclusione: La morfologia di questa neoplasia unilaterale chiaramente permetteva di escludere la presenza diuna neoplasia maligna delle cellule di sostegno del Sertoli come pure di quelle interstiziali del Leydig e qualsiasi altra neopla-sia secondaria. Altri tumori considerati, ma chiaramente non rappresentati sono il carcinoma embrionale, il tumore del sacco vi-tellino, i teratomi ed i coriocarcinomi. Questo seminoma maligno aveva alterato completamente il parenchima testicolare e pe-netrato i linfatici. Ciononostante ad un anno dall’intervento, sebbene l’opzione di un possibile addizionale trattamento preven-tivo (chemioterapia con sali di platino e/o radiazione) fosse stata offerta ai proprietari, il paziente non presenta alterazioni siste-miche che suggeriscono un evento metastatico. Pertanto si trattava di un seminoma allo stadio I. Dai pochissimi dati disponibi-li in letteratura e da opinioni personali di alcuni colleghi oncologi, sembra che il seminoma maligno canino abbia le stesse ca-ratteristiche di labilità alla terapia dei seminomi dell’uomo. Sono in corso studi immunoistochimici per valutare l’espressioneantigenica ed ormonale di questa neoplasia dal momento che non sono riportati in letteratura studi dettagliati di questo tipo suiseminomi maligni del cane e degli altri mammiferi domestici.

La bibliografia è disponibile presso gli autori.

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404 46° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC

SIGNIFICATO PROGNOSTICO DELLA BIOPSIA ECOGUIDATA CON AGO SOTTILE DI MILZA E FEGATO NELLA STADIAZIONE CLINICA DEL MASTOCITOMA DEL CANE

Stefanello Damiano Med Vet*; Romussi Stefano Med Vet PhD*; Caniatti Mario Med Vet dipl. ECVP#; Faverzani Stefano Med Vet PhD§

*Istituto di Clinica Chirurgica e Radiologia Veterinaria, Facoltà di Medicina Veterinaria, Milano# Dipartimento di Patologia Animale, Igiene e Sanità Pubblica, Sezione di Anatomia Patologica

Veterinaria e Patologia Aviare, Facoltà di Medicina Veterinaria, Milano§ Istituto di Patologia Speciale e di Clinica Medica Veterinaria, Facoltà di Medicina Veterinaria, Milano

Il mastocitoma (MCT) è un tumore maligno frequente nel cane e il suo comportamento clinico è imprevedibile e indipendentedalla stadiazione clinica e dalla classificazione istologica. Le metastasi sono un’evenienza rara nel cane ma suggeriscono unaprognosi infausta. Scopo di questo studio è di valutare l’attendibilità della biopsia ad ago sottile ecoguidata di milza e fegato(UFNB=Ultrasonographic Fine Needle Biopsy) nella stadiazione clinica, dei cani affetti da MCT e di stimarne il suo significa-to prognostico. Diciannove cani affetti da MCT sono stati ammessi a questo studio sulla base dei seguenti criteri di ammissione:segnalamento, numero e localizzazione della neoplasia, grado citologico e istologico, ecografia dell’addome, UFNB di milza efegato e per ogni sede di prelievo sono stati allestiti ed esaminati almeno tre vetrini. Sono stati inoltre presi in considerazione:radiografia del torace, esame emocromocitometrico ed ematochimico, citologia dei linfonodi regionali, buffy coat, presentazio-ne clinica, valutazione istologica dei margini di escissione, numero di chirurgie eseguite, presenza di metastasi, terapie adiuvantie cause del decesso. La valutazione del follow-up dei pazienti è avvenuta sia mediante visita clinica sia, mediante contatto te-lefonico con il proprietario o con il medico referente.Il campione contava 14 maschi e 5 femmine con età media di 8,6 anni. La razza boxer era la più rappresentata (6 su 19). Su 31MCT totali osservati 11 erano localizzati al tronco, 9 all’arto posteriore, 7 alla testa, 3 allo scroto, 1 all’arto anteriore. Dei 19pazienti 8 presentavano mastocitomi multipli (in quattro casi due MCT, in due casi tre, in un caso quattro MCT e in uno cin-que). La mastocitosi epatica e splenica era diagnosticata in 6 casi su 19 e in tre di questi con 5, 4 e 2 MCT si trattava di MCTmultipli. In 3 su 6 casi con mastocitosi le condizioni cliniche erano scadenti con vomito, disoressia, ed episodi di lipotimie. Ilbuffy coat era positivo in quattro su sei. In uno dei pazienti affetti da mastocitosi epatica e splenica il radiogramma del toraceevidenziava metastasi polmonare confermata in sede autoptica. Dei sei casi con mastocitosi epatica e splenica il MCT primiti-vo era stato classificato citologicamente in 4 casi (moderatamente differenziato in tre e ben differenziato in uno) e istologica-mente in cinque casi (tre mastocitomi di secondo grado e due di terzo grado). Tutti i pazienti con mastocitosi splenica ed epati-ca sono deceduti; in tre casi l’eutanasia è stata eseguita al momento della diagnosi per le scadenti condizioni cliniche e per laprognosi indicata, in due casi dopo 4 e 2 mesi rispettivamente di terapia con lomustina ed in un caso 2 mesi dopo terapia concorticosteroidi. Tra i pazienti non affetti da mastocitosi epatica e splenica l’eutanasia è stata eseguita dopo 18 mesi dalla dia-gnosi in un solo caso per assenza di risposta alla chemioterapia in un paziente affetto da MCT multiplo. I rimanenti casi sonoattualmente in vita con un follow-up medio di 180 giorni senza notifica di recidive, di metastasi o comparsa di nuovi MCT. Inconclusione, per quanto l’impiego della UFNB sia raramente riportata in letteratura per la stadiazione del MCT, si è dimostratautile per valutare citologicamente la presenza quali-quantitativa dei mastociti nella milza e nel fegato. Tale condizione si è di-mostrata seppure solo clinicamente sempre correlata a prognosi infausta. Sebbene il campione esaminato non sia statisticamen-te significativo non sembra esistere alcuna correlazione clinica tra sede, numero dei MCT, classificazione citologica, istologicae mastocitosi epatica e splenica. Sulla base delle considerazioni esposte la metodica sembra essere utile nel definire la progno-si dei MCT cutanei del cane.

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46° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC 405

VALUTAZIONE DELL’ATTIVITÀ TELOMERASICA IN LINFONODI CANINI NORMALI E LINFOMATOSI

Valentini Fabio*, DVM, MS; Kitchell Barbara*, DVM, PhD, DACVIM*Dept. of Veterinary Clinical Medicine, Cancer Care Clinic and Comparative Oncology Research Laboratory,

College of Veterinary Medicine, University of Illinois, USA

Introduction: One of the several differences between a normal and a neoplastic cell is that there is a phisiological limit to thenumber of possible cell replications in the former, whereas it appears to be unlimited in the latter.For this reason, cancer cells are thought to undergo a phenomenon of immortalization.The chromosome extremities contain structurally defined elements called telomeres.In normal somatic cells, each mitotic cycle leads to a reduction of telomere lenght until a critical point is reached.Telomere erosion to this critical lenght presents a signal for the cell to arrest further divisions and to undergo cellular senescen-ce or to activate apoptosis.Telomeres that avoid critical shortening could, theoretically, replicate endlessly, thereby immortalizing the cell.One mechanism to restore telomere lenght is the activation of a specific reverse transcriptase called telomerase.The telomerase is a ribonucleoprotein that contains a 9-base-pair RNA template to rapidly construct telomeric repeats.Upregulation of the telomerase enzyme provides immortalizing capacity to neoplastic cells. Based on the hypothesis that telomerase is a specific marker of neoplastic tissues, the development of methods to detect its ac-tivity may represent an accurate, non-invasive diagnostic and prognostic tool.Objectives: The purpose of this study was to detect telomerase activity in normal, hyperplastic and neoplastic canine lymphoidtissue by mean of the TRAP assay with particular concern to its relative sensitivity and specificity. Materials and methods: The study population consisted of client-owned dogs who underwent surgical biopsy or exploratoryprocedure during their hospitalization. Informed consent was given by the owner for collection of samples used for this study.This study population included dogs with normal, hyperplastic and neoplastic lymphoid tissues.The TRAP assay is a PCR based protocol which measure telomerase activity by detecting and amplifying extension products ofthe enzyme. These products are then visualized using polyacrilamide gel analysis. Results: Of twelve histopathologically confirmed lymphomas, eleven were telomerase positive on TRAP assay whereas elevenof twelve normal lymphoid tissues and two of two hyperplastic lymphoid tissues were telomerase negative.Analysis of these results indicated an estimated sensitivity of 91% and specificty of 92% of this method.Conclusion: Based on this method we obtained a very strong correlation between the histopathological diagnosis and the telo-merase outcome in the sense that most of lymphomas came up strongly telomerase positive whereas normal and even reactivelymphnodes were generally telomerase negative.The TRAP assay can be used to measure telomerase activity in canine lymphomatous tissues.So far we don’t recommend its use as a single method because of some issue related to the reliability of some positivity.Therefore, the TRAP can be used as a further confirmation after clinical, cytological and histopathological examination.

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Page 50: in collaborazione con - IVISivis.org/proceedings/scivac/2003/Free_Com_SCIVAC_2003.pdfAllevi Giovanni* Med Vet; Mortellaro Carlo Maria$ Med Vet; Bevere Nicoletta° Med Vet; Di Giancamillo

406 46° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC

CORRELAZIONE TRA ECOGENICITÀ PARENCHIMALE ED ISTOPATOLOGIA NELLA SPECIE CANINA: STUDIO RETROSPETTIVO DI 293 CASI

Zatelli Andrea* DMV; Roberto Santilli° DMV dipl. ECVIM-CA;Borgarelli Michele^ DMV dipl. ECVIM-CA; Bonfanti Ugo§ DMV

*Libero professionista, Reggio Emilia; °Libero professionista, Samarate (VA);

^Fac. Med. Vet. Torino; §Libero professionista, Milano

Il presente lavoro retrospettivo ha lo scopo di verificare la possibile correlazione tra ecogencità renale ed istopatologia d’orga-no nella specie canina. Sono stati raccolti 293 casi dal dicembre 1997 al settembre 2002; 275 pazienti sono stati sottoposti adintervento bioptico percutaneo eco-assistito, 8 pazienti sono stati sottoposti a nefrectomia e 10 campioni bioptici sono stati ot-tenuti in sede autoptica. Tutti i pazienti sottoposti a biopsia renale eco-assistita evidenziavano iperazotemia e/o proteinuria (consedimento urinario inerte) e/o ematuria (micro- o macroematuria di origine ignota) o proteinuria non selettiva o mista determi-nata mediante Sodio Dodecil Solfato-Agar Gel Elettroforesi (SDS-AGE). I pazienti con proteinuria moderata e/o microematu-ria sono stati sottoposti a biopsia se ematuria o proteinuria persistevano a due controlli consecutivi effettuati a distanza di 4 set-timane ed in assenza di attività fisica svolta nelle 96 ore precedenti la raccolta delle urine. Tutti i campioni urinari sono stati pre-levati per cistocentesi eco-assistita ed i campioni raccolti sono stati esaminati entro 2 ore per l’esecuzione del sedimento urina-rio o conservati a temperatura compresa tra +4°C e +8°C dopo aggiunta di Sodio Azide all’1% ed esaminati entro 14 giorni me-diante SDS-AGE. Tutti i pazienti sono stati sottoposti a studio quantitativo della proteinuria con Pirogallolo ad alta linearità esuccessiva determinazione del rapporto Proteine/Creatinina Urinaria (P/CU); in 64 pazienti è stato effettuato anche lo studioqualitativo della proteinuria mediante SDS-AGE. Tutti i pazienti sono stati sottoposti ad iniziale esame ecografico addominalee l’ecogenicità parenchimale (corticale, midollare o globale) è stata riportata prima dell’esecuzione della biopsia od al momen-to dell’esecuzione dell’intervento bioptico. L’ecogenicità parenchimale renale è stata valutata accettando una arbitraria suddivi-sione in 5 classi:1. ipoecogenicità parenchimale corticale, midollare o globale;2. normoecogenicità corticale e midollare;3. iperecogenicità corticale diffusa (>rispetto al fegato, <rispetto alla milza) e normoecogenicità midollare con una differenzia-

zione cortico-midollare mantenuta;4. iperecogencità parenchimale globale corticale e midollare (>rispetto al fegato, < rispetto alla milza);5. iperecogenicità corticale o globale > alla milza con distinzione cortico-midollare mantenuta o assente. Non sono stati sottoposti a biopsia i pazienti che presentavano caratteristiche ecografiche riconducibili ad “end stage kidney”,idronefrosi, a malattia policistica renale e quelli che avevano un indirizzo diagnostico dopo esame ecotomografico e/o clinico-strumentale riconducibile ad un processo settico in atto. Ogni campione bioptico è stato valutato in microscopia ottica conven-zionale dopo colorazione con Ematossilina Eosina, Tricromica di Goldner, Metenamina, PAS e, su richiesta dell’istopatologo,Rosso Congo. Sono stati considerati significativi solo i campioni istologici nei quali erano evidenziabili almeno cinque glome-ruli per sezione istologica con l’eccezione dei campioni positivi per la ricerca di sostanza amiloide per i quali è stata considera-ta sufficiente l’individuazione di un solo glomerulo. 81 pazienti sono risultati affetti da glomerulonefrite (GN) mesangiale, 23da GN membranosa, 29 da GN membrano-proliferativa, 17 da GN proliferativa essudativa, 18 da GN ischemica, 11 da glome-rulosclerosi focale e segmentaria (GSFS), 8 da immaturità glomerulare, 19 da amiloidosi, 8 da glomerulopatia diabetica, 4 dapielonefrite acuta, 17 da nefrite interstiziale acuta, 21 da nefrite interstiziale cronica, 19 da necrosi tubulare, 11 da neoplasia, 13da “end stage kidney”, 13 campioni sono stati esclusi perché presenti meno di 5 glomeruli per sezione e negativi al Rosso Con-go e 11 campioni bioptici hanno evidenziato un quadro istopatologico normale. L’ecogenicità parenchimale è risultata esserecorrelata al grado di infiltrazione cellulare interstiziale, all’atrofia tubulare ed alla sclerosi globale d’organo; le patologie tubu-lo-interstiziali hanno evidenziato una incidenza maggiore nella determinazione delle variazioni di ecogenicità parenchimale ri-spetto alle patologie glomerulari. L’introduzione di un esame ad elevata sensibilità nei confronti delle patologie glomerulari etubulo-interstiziali quale l’SDS-AGE si è rivelata utile nello screening in fase precoce di soggetti a rischio di patologia d’orga-no ed ha ridotto la sensibilità dell’esame ecografico nell’individuazione delle patologie renali in fase iniziale.

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46° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC 407

CORRELAZIONE TRA PROTEINURIA QUALITATIVA ED ISTOPATOLOGIA RENALE: RUOLO DIAGNOSTICO DELLE PROTEINE A BASSO E AD ALTO PESO MOLECOLARE

NELLA DEFINIZIONE DEL DANNO TUBULOINTERSTIZIALE E GLOMERULARE

Zini Eric§ DMV; Bonfanti Ugo° DMV; Zatelli Andrea* DMV§Cdip di Patologia Animale, Facoltà di Medicina Veterinaria, Torino; °Libero professionista, Milano;

*Libero professionista, Reggio Emilia

Introduzione: L’esame qualitativo della proteinuria mediante la tecnica SDS-AGE (Sodium Dodecyl Sulphate-Agarose GelElectophoresis) permette l’identificazione delle proteine urinarie con peso molecolare compreso tra 12 kDa e 900 kDa con unasensibilità pari a 15 mg/L per ogni banda proteica. La distinzione delle proteine urinarie si è dimostrata utile nel riconoscimen-to precoce dei danni glomerulari e tubulari sia nell’uomo che negli animali da laboratorio.Materiali e metodi: Quarantanove cani affetti da nefropatie sono stati sottoposti a cistocentesi eco-assistita per il prelievo di uncampione di urina sterile. I campioni sono stati sottoposti ad esame chimico/fisico, del sedimento e ad esame qualitativo dellaproteinuria mediante metodica SDS-AGE. Tutti i cani sono stati sottoposti ad esame bioptico renale eco-assistito per l’identifi-cazione delle lesioni istopatologiche primarie. Le lesioni tubulointerstiziali sono state suddivise secondo la seguente classifica-zione di danno morfologico: (0) assenza di lesioni; (1) infiltrati linfoplasmocitari focali; (2) infiltrati linfoplasmocitari focali edectasia o atrofia tubulare; (3) infiltrati linfoplasmocitari focali ed ectasia o atrofia tubulare e fibrosi focale; (4) lesioni vascolarie/o necrosi tubulare acuta e/o lesioni osservate in (2) o (3) ma aventi distribuzione diffusa. Per i confronti statistici le suddetteclassi sono state così raggruppate: classe 0 corrisponde ad “a”, classe 1-2 a “b” e classe 3-4 a “c”.Risultati: L’esame istopatologico ha identificato la presenza di glomerulopatie in 8/49 cani (16.3%), tubulointerstiziopatie in5/49 cani (10.2%) e disordini misti nei restanti 36/49 cani (73.5%). La sensibilità dell’esame SDS-AGE per l’identificazione del-le lesioni glomerulari e tubulointerstiziali è risultata del 100% e del 92.6% rispettivamente, mentre la specificità del 40% e del62.5% rispettivamente. Nell’ambito delle lesioni TI in classe “b” la sensibilità è stata dell’89.3%, mentre in classe “c” del 100%.Il profilo proteinurico si è dimostrato sovrapponibile in tutti i cani nei quali la lesione glomerulare è stata documentata istolo-gicamente. I profili proteinurici nei soggetti con patologia tubulo-interstiziale sono invece apparsi ampiamente diversificati. Siè osservata l’esistenza di una correlazione positiva tra la gravità del danno tubulointerstiziale e la graduale comparsa di protei-ne a peso molecolare inferiore. Inoltre, il riconoscimento di una o entrambe le proteine urinarie aventi peso molecolare pari a12 e 15 kDa ha consentito di identificare cani con danno tubulointerstiziale di classe “c” con una sensibilità e specificità del100%.Discussione: La metodica SDS-AGE si è rivelata un metodo di indagine non-invasiva estremamente valido nello studio dei ca-ni affetti da patologie interessanti sia il comparto glomerulare che quello tubulointerstiziale. L’indagine qualitativa della protei-nuria si è dimostrata altrettanto sensibile all’esame bioptico per l’identificazione dei danni glomerulari ma scarsamente specifi-ca. Le lesioni tubulointerstiziali appaiono invece identificabili con la medesima sensibilità dell’esame bioptico solo quando ilgrado di danno istologico è più grave, mentre danni di minore entità appaiono più difficilmente individuabili. Mentre l’SDS-AGE non consente la distinzione dei processi patologici glomerulari in atto, le lesioni tubulointerstiziali appaiono invece am-piamente caratterizzabili. La comparsa di proteine aventi peso molecolare più basso consente di identificare con attendibilità le-sioni gravi a carico del comparto tubulointerstiziale.

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