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L o Statuto dei lavoratori rap- presenta l'ingresso della Costituzione in fabbrica, la conquista e il riconoscimento dei diritti collettivi delle lavo- ratrici e dei lavoratori. Con lo Statuto la Costituzione va oltre i cancelli della fab- brica, entra nei luoghi di lavoro, stabilisce i diritti dei lavoratori e i diritti di rappre- sentanza. È la prima legge che interviene su questi temi ed è frutto di una Costitu- zione che nasce dalla guerra di Liberazione, una Costituzione antifascista, ma soprattutto frutto delle lotte operaie degli anni Sessanta. Le lotte operaie sono culminate nell'au- tunno caldo e nel contratto dei metalmeccanci del '69. Un contratto che i metalmeccanici hanno conquistato con centinaia di ore di scioperi nazionali e – per la prima volta – con una grande mani- festazione nazionale a Roma. Con quel contratto i metalmeccanici hanno conquistato diritti sindacali, salario e orario di lavoro, e l'articolo 18. Si sono poste le basi dello Statuto conquistando il diritto di assemblea nei luoghi di lavoro, il diritto dei sindacati di entrare dentro la fabbrica. Diritti che verranno estesi a tutti attraverso lo Statuto dei lavoratori. Una stagione che ha visto un grande pro- tagonismo della classe operaia che le forze reazionarie hanno tentato di bloccare, la strage di piazza Fontana è un esempio di questo. E anche in quel caso i metalmecca- nici con lo sciopero di Milano hanno dato una grande prova di democrazia. La classe operaia e i metalmeccanici sono sempre stati baluardo di democrazia nel nostro paese. A partire dal contratto dei metal- meccanici e poi con lo Statuto dei lavoratori si è svolta negli anni Settanta una grande stagione di lotta e di conquiste. Conquiste anche sociali con la capacità di mettersi in relazione con i movimenti, con il movimento delle femministe, con quello di lotta per la casa. Dimostrando la capacità di spingere in avanti il paese verso una grande stagione di riforme sociali e civili e di stare dentro i rapporti di lavoro in una democrazia diretta nei luoghi di lavoro con i consigli di fabbrica e le assemblee e in un rapporto forte con la democrazia delegata dei rappresentanti dell'Flm. Francesca Re David LA FABBRICA DEI DIRITTI iMec giornale metalmeccanico anno IX - numero 5 - 5 giugno 2020 A CINQUANT'ANNI DALLO STATUTO DEI LAVORATORI LA NECESSITÀ DI DARE DIRITTI A TUTTE LE FORME DI LAVORO MENSILE DELLA FIOM-CGIL Iscritto al n. 118/2019 del Registro della Stampa Direttore responsabile: Gabriele Polo Redazione: Bernardino Andriani, Michela Bevere, Alessandro Geri, Claudio Scarcelli Meta Edizioni Srl Corso Trieste, 36 - 00198 Roma Tel: 0685262372 - email: [email protected] www.fiom-cgil.it segue a pagina 2

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Lo Statuto dei lavoratori rap-presenta l'ingresso dellaCostituzione in fabbrica, laconquista e il riconoscimentodei diritti collettivi delle lavo-

ratrici e dei lavoratori. Con lo Statuto laCostituzione va oltre i cancelli della fab-brica, entra nei luoghi di lavoro, stabiliscei diritti dei lavoratori e i diritti di rappre-sentanza. È la prima legge che intervienesu questi temi ed è frutto di una Costitu-zione che nasce dalla guerra diLiberazione, una Costituzione antifascista,ma soprattutto frutto delle lotte operaiedegli anni Sessanta.Le lotte operaie sono culminate nell'au-tunno caldo e nel contratto deimetalmeccanci del '69. Un contratto che imetalmeccanici hanno conquistato concentinaia di ore di scioperi nazionali e –per la prima volta – con una grande mani-festazione nazionale a Roma.Con quel contratto i metalmeccanicihanno conquistato diritti sindacali, salarioe orario di lavoro, e l'articolo 18. Si sonoposte le basi dello Statuto conquistando ildiritto di assemblea nei luoghi di lavoro, ildiritto dei sindacati di entrare dentro lafabbrica. Diritti che verranno estesi a tuttiattraverso lo Statuto dei lavoratori.Una stagione che ha visto un grande pro-tagonismo della classe operaia che le forzereazionarie hanno tentato di bloccare, lastrage di piazza Fontana è un esempio diquesto. E anche in quel caso i metalmecca-nici con lo sciopero di Milano hanno datouna grande prova di democrazia. La classeoperaia e i metalmeccanici sono semprestati baluardo di democrazia nel nostropaese. A partire dal contratto dei metal-meccanici e poi con lo Statuto deilavoratori si è svolta negli anni Settantauna grande stagione di lotta e di conquiste.Conquiste anche sociali con la capacità dimettersi in relazione con i movimenti, conil movimento delle femministe, con quellodi lotta per la casa. Dimostrando la capacitàdi spingere in avanti il paese verso unagrande stagione di riforme sociali e civili edi stare dentro i rapporti di lavoro in unademocrazia diretta nei luoghi di lavoro coni consigli di fabbrica e le assemblee e in unrapporto forte con la democrazia delegatadei rappresentanti dell'Flm.

Francesca Re David

LA FABBRICADEI DIRITTI

iMecgiornale metalmeccanico

anno IX - numero 5 - 5 giugno 2020

A CINQUANT'ANNI DALLO STATUTO DEI LAVORATORI

LA NECESSITÀ DI DARE DIRITTI A TUTTE LE FORME DI LAVORO

MENSILE DELLA FIOM-CGILIscritto al n. 118/2019 del Registro della StampaDirettore responsabile: Gabriele PoloRedazione: Bernardino Andriani, MichelaBevere, Alessandro Geri, Claudio Scarcelli

Meta Edizioni SrlCorso Trieste, 36 - 00198 RomaTel: 0685262372 - email: [email protected]

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Il rovesciamento della lotta di classe ha ini-zio a partire dagli anni Ottanta. La legislazione inizia a mettere al centrol'impresa e non più i lavoratori e le impreseiniziano a limitare la forza contrattualedelle lavoratrici e dei lavoratori nei luoghidi lavoro. Al contempo la precarietà e la frammenta-zione del lavoro portano a un'idea di lavorosempre più individuale. Questa legislazioneconclude il suo percorso con il Jobs Act e congli attacchi all'articolo 18, introducendo unforte elemento di precarizzazione del lavoro,dei diritti e delle libertà sindacali.Gli ultimi decenni, in cui l’innovazione tec-nologica è entrata in modo assolutamenteforte nelle fabbriche, cambiando le relazioniall’interno dei luoghi di lavoro e fra leimprese in scala internazionale. Sono statidecenni in cui il lavoro è sempre più sottoattacco e i governi (italiani e non solo) sonostati molto piegati alle esigenze delleimprese. Assecondando ancora quella filoso-fia neoliberale che si pone al servizio dellarivoluzione industriale, delle imprese e delladivisione del lavoro, portando deliberata-mente la società ad adeguarsi a ciò cherichiede il sistema.La digitalizzazione e l’innovazione hannoportato quei processi alle estreme conse-guenze: la produttività delle persone stafuori e dentro il lavoro, è continua, inces-sante, senza orari e l’espropriazione delsapere dei lavoratori è un elementocostante che influenza il modo di lavorarein tutte le parti del mondo. Contemporanea-mente a questo, all’introduzione dellenuove tecnologie in quanto macchine esistemi di macchine, le imprese si riorganiz-zano spezzettando, suddividendoulteriormente il lavoro, individualizzan-dolo, anche esternalizzandolo. La tecnologia rende più complessa la coali-zione dei lavoratori, perché in moltelavorazioni sono appunto più dispersi, sepa-rati anche se connessi.Lo Stato deve riprendere un ruolo impor-tante in termini di politiche industriali, diinvestimenti pubblici: che facciano davolano agli investimenti privati e che quindiscelgano quali sono gli asset strategici diquesto paese, coniugando ambiente e svi-luppo, cosa che invece non si fa più perchénon c’è un tavolo sulle politiche industriali;non si ragiona sull’impatto sociale e ambien-tale delle attività economiche o dellalogistica, sulla trasformazione delle città esulla diffusione dell’internet delle cose.Tutto il rapporto tra territorio, ambiente eproduzione – un tempo centrale – è lasciatooggi a vie del tutto casuali. La responsabilità di questa situazioneritengo sia in primo luogo dello Stato e dellapolitica: che hanno smesso di svolgere

appunto un ruolo di mediazione di interessidiversi e di far rispettare alle imprese il vin-colo, previsto dalla Costituzione, di avereresponsabilità sociali, che significa avereresponsabilità sia verso le persone che versoil territorio.Ora ci troviamo ad affrontare il tema dellatutela della salute e della sicurezza nei luo-ghi di lavoro. Nel corso della pandemia delCovid-19 le delegate e i delegati ci hannodato una grande prova di aver saputo rimet-tere al centro il lavoro e le persone.Noi oggi dobbiamo rovesciare di nuovo lalegislazione e rimettere al centro il lavoro e lepersone, per una società più giusta. Dobbiamodifendere e rilanciare il ruolo della contratta-zione, a partire dal contratto nazionale deimetalmeccanici, per poter estendere, iericome oggi, i diritti e le tutele a tutte e tutti.Il Covid-19 ha fermato gli aerei, le navi, itreni, le metropolitane, gli autobus, leautomobili.

Nelle settimane della chiusura, le lavoratricie i lavoratori della mobilità hanno rallentatoin alcuni settori e si sono fermati in altri,hanno contrattato protocolli per la sicurezzaanche molto avanzati che hanno ridisegnatola fabbrica e gli uffici, con la dimostrazioneconcreta che la catena di montaggio puòrispettare distanze e salute e che la crescitaesponenziale dello smart working offreopportunità e insieme pone nuovi problemi.Sicurezza, organizzazione del lavoro e orarisono tornati al centro del confronto con leimprese spinti dalla necessità di affrontarela pandemia. E dobbiamo fare in modo che ci rimangano,per la qualità della contrattazione sulle con-dizioni di lavoro e per affrontare la lentaripresa della produzione e del mercatosenza perdere posti di lavoro.E sempre il Covid-19 mette oggi al centrodella ripresa in sicurezza la necessità di

progettare un diverso modo di stare e di uti-lizzare i mezzi pubblici che comporta unripensamento degli orari delle città e dellageografia urbana, insieme a una rinnovatacentralità delle auto private; e cambiamentiprofondi ci saranno anche su come ver-ranno utilizzati i mezzi di trasporto per legrandi distanze. Per un tempo che sarà sicuramente lungo epieno di conseguenze.Le questioni sanitarie, il crollo del mercato,la paura e l’impoverimento delle persone,rendono urgente la necessità di massimaattenzione verso settori così strategici il cuimodello di utilizzo integrato, di progetta-zione delle tecnologie e di struttura dellafiliera produttiva determinano e influen-zano tutto il sistema.Infatti, da sempre la tecnologia ha fra isettori trainanti l’auto per essere prodottodurevole a consumo di massa e l’aerospa-zio per gli investimenti in ricercasostenuti dal pubblico e volano di tanteinnovazioni. La ricerca e l’applicazionedelle tecnologie digitali ha in questi settorila massima espressione.E ancora, intorno ai settori della mobilità, allaloro produzione e alla loro alimentazione,all’utilizzo condiviso, ruotano da tempo moltidegli interventi necessari per un modello disviluppo e di consumo che affronti la crisi cli-matica verso la sostenibilità ambientale comevincolo imprescindibile.E ultima annotazione, il ruolo delle multi-nazionali, dei capitali pubblici, lainterconnessione delle filiere produttive,richiamano l’urgenza di recuperare unavisione complessiva, un’idea vera di politi-che industriali non più rinviabile. La crisiche stiamo vivendo ha reso in tutta la suaevidenza anche gli elementi di fragilitàdell’industria italiana nelle catene globali difornitura pure nelle sue eccellenze produt-tive, in assenza di una strategia a sostegno.È necessario ripensare quali produzionivanno tenute e riportate in Italia, comestanno facendo gli altri paesi, per rafforzareil sistema industriale, e come ragionare inEuropa in una logica di sistema integrato,che la finisca di farsi concorrenza interna,ma che investendo su innovazione e siner-gie la metta in condizione di avere voce incapitolo rispetto alle grandi potenze mon-diali. Questo significherebbe davvero unelemento determinante nel percorso daEuropa identificata con i vincoli finanziaria Europa capace di scelte politiche.Questo perché la produzione di mobilitàcoinvolge un numero enorme di lavoratricie lavoratori, il diritto alla mobilità è fonda-mentale per la democrazia, una mobilitàsostenibile che investe sull’innovazione èdeterminante per il benessere del pianeta.

Dobbiamodifendere erilanciare ilruolo della

contrattazioneper poter

estendere dirittie tutele a tutte

e tutti

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Lo Statuto collocato nel suo tempo storico.Anticipiamo un brano di un più ampio arti-colo in uscita sul numero 1/2020 dellaRivista giuridica del lavoro.

Quando fu promulgato lo Sta-tuto dei lavoratori eranotrascorsi esattamente cin-que mesi dal 21 dicembre1969, il giorno in cui era

stato firmato il contratto dei metalmecca-nici: la vertenza pilota di quello che fu dasubito definito l’«autunno caldo». In genereci si concentra su quei tre mesi e mezzo,effettivamente incandescenti, che vannodalla prima decade di settembre alla vigiliadi Natale, drammaticamente segnati sulfinire dalla strage nera di piazza Fontana aMilano. Ma in realtà il conflitto si era apertogià prima della scadenza «ufficiale», neigrandi stabilimenti metalmeccanici e side-rurgici torinesi e milanesi come nel polochimico di porto Marghera, in forme spessospontanee come alla Fiat a giugno e a luglio,quando la produzione era stata più voltebloccata da scioperi a scacchiera. E la con-flittualità attraversava trasversalmentepressoché tutto il mondo del lavoro: inquell’anno scadevano 45 contratti collettivie un’altra quindicina risultava ancora«aperta» dagli anni precedenti, per un totaledi quasi 5 milioni di lavoratori (di cui circaun quarto metalmeccanici). Le ore di scio-pero avrebbero raggiunto, alla fine, la cifrarecord di 250 milioni: un punto di piccoassoluto a conclusione di un decennio nelcorso del quale la conflittualità era andatavia via crescendo (nel 1960 erano state 46milioni; nel 1966 – anno di rinnovi contrat-

tuali – 115; nel 1968 – anno senza significa-tive vertenze – 74). A riprova della radicalità del conflittostanno le statistiche sul numero di lavora-tori e sindacalisti denunciati per atticompiuti durante azioni di picchettaggio aicancelli delle fabbriche, blocchi stradali oferroviari, manifestazioni non autorizzateecc. Cgil Cisl e Uil calcolano che tra settem-bre e dicembre siano staticomplessivamente 9.938, di cui – a con-ferma della diffusione e trasversalità delconflitto – «1.768 metalmeccanici, 1.474braccianti, 359 edili, 107 alimentaristi, 530chimici e vetro, 326 minatori e cavatori, 400tessili e abbigliamento, 63 poligrafici e car-tai, 288 lavoratori dei trasporti, 43lavoratori del commercio, 277 statali e para-statali, 2.135 dipendenti degli enti locali eospedalieri, 1.054 vigili urbani, 1.166 lavora-tori appartenenti ad altre categorie»1. Nelcomplesso, secondo i dati forniti dall’alloraministro dell’Interno Franco Restivo, idenunciati nel 1969 furono quattordici-mila2, il che renderà necessaria l’amnistiaapprovata dal Parlamento nel maggio del1970, pochi giorni dopo lo Statuto dei lavo-ratori, per tutti i reati «sociali» comportantipene inferiori ai cinque anni.D’altra parte, quell’annus mirabilis cadevanel pieno di un decennio che, in pressochétutto l’Occidente industrializzato, era statosegnato da un livello eccezionale di conflit-tualità sociale che aveva come baricentro igrandi stabilimenti per la produzione dimassa standardizzata manifatturiera. Lotestimoniano le statistiche degli scioperi3,che fanno registrare, in un quadro di com-parazione internazionale, record

QUANDO LA FABBRICAENTRA IN PARLAMENTO

Statuto

Marco Revelli

La Legge 300

ebbe una funzione

riequilibratrice tra

fabbrica e società,

tra sfera del

lavoro e sfera

della vita

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«trasversali» per quanto riguarda sia la «par-tecipazione» che il «volume» dei conflittisindacali: tra il 1965 e il 1974, il numero discioperanti ogni 1.000 occupati si colloca aquota 232 in Francia, 112 nel Regno Unito,63 negli Stati Uniti (livelli mai raggiunti neidecenni precedenti e in quelli successivi) e476 (un assoluto il più alto) in Italia. Nellostesso periodo, le giornate di lavoro perduteper 1.000 occupati risulteranno 391 in Dani-marca, 306 in Francia, 733 nel Regno Unito,1.020 negli Stati Uniti e 1.861 in Italia. Era il segno tangibile che il potente disposi-tivo disciplinare fordista-taylorista, dopoaver generato nei decenni della sua genesie della sua prima maturità una diffusasubordinazione della forza lavoro alcomando d’impresa, ora, nella secondamaturità, per così dire, si rovesciava produ-cendo su scala crescente insubordinazionee conflitto, a cui appunto, in un paese qualel’Italia – come si è visto caratterizzato dauna particolare estensione e radicalità delfenomeno –, si tenterà di rispondere,almeno in un primo momento, con inizia-tive legislative e formule negoziali (dalloStatuto al «punto unico di contingenza»)volte a mediare il conflitto o a non esaspe-rarne le manifestazioni. Il che ci conduce alsecondo aspetto preliminare:Lo scenario ampio o «lungo». Quella perditadi controllo sull’allora principale «fattoreproduttivo» – la forza lavoro – che in Italiaebbe il suo apice con l’«autunno caldo» mache, come si è visto, caratterizzò l’interodecennio a cavallo tra gli anni Sessanta egli anni Settanta in tutto l’Occidente indu-strializzato, si manifestava(«esplosivamente») nell’ambito del sistema

socio-produttivo definito sinteticamente«fordista» (o, appunto, «fordista-taylorista»):un modello che in letteratura (in sociologiadell’organizzazione, ma anche in sociologiaindustriale e in sociologia del lavoro) vasotto il nome di «paradigma razionale asistema chiuso» (l’espressione è di JamesThompson)4. La formulazione è di per sé gravida diimplicazioni. Si tratta infatti: a) di un «para-digma», cioè di un complesso dicaratteristiche organicamente interdipen-denti che definiscono una «logica difunzionamento»; b) orientato all’uso «razio-nale» dei fattori produttivi (nel caso di unprocesso industriale) od operativi (nel casodi un complesso amministrativo), cioè allamassimizzazione dei risultati e alla mini-mizzazione degli sforzi; c) nell’ambito delquale la «razionalità» è subordinata alla«chiusura» del sistema, cioè alla possibilitàdi delimitare un numero relativamenteristretto di variabili escludendo ogni possi-bile interferenza imprevista o, per usarel’espressione tecnica, ogni «contingenza».L’idea guida è costituita dalla necessità di«ritagliare» da un ambiente di per sé caotico,o comunque «disordinato», uno spazio deli-mitato come condizione per produrre al suointerno un «frammento di ordine», cioè unsistema di relazioni ordinate e in quantotali «razionali» o «razionalizzate», sottopostea sequenze prevedibili e pianificabili. Essoriguarda tanto le grandi strutture produt-tive finalizzate alla produzione di massastandardizzata e caratterizzate da «tecnolo-gie di concatenamento» (la classicaassembly line) che impongono flussicostanti e regolari con mansioni stretta-

mente sincronizzate – gli stabilimenti for-disti appunto –, quanto i grandi apparatiamministrativi prevalentemente pubbliciper la somministrazione di servizi e fun-zioni di utilità collettiva, che implicanopratiche e atteggiamenti orientati al tradi-zionale principio dell’«imparzialitàdell’azione amministrativa» e dell’imperso-nalità del pubblico funzionario (le«burocrazie pubbliche»). Nel primo caso, l’az-zeramento o comunque la riduzione alminimo delle «contingenze esterne» (possi-bili irregolarità nel flusso di accesso deimateriali) si ottiene mediante «la chiusuraermetica del nucleo tecnologico mediantecomponenti di input e output»5 («polmoni»,aree di stoccaggio ecc.), mentre per le «con-tingenze interne» (determinate dacomportamenti «irregolari» della manodo-pera) si ricorre alle tecniche tayloristiche diformulazione e imposizione di «norme»dirette a imporre una «regolarità» al pro-cesso lavorativo. Nel secondo caso, valgono le linee generalidella burocrazia weberiana, strutturataessenzialmente in base a un sistema diregole e di interazioni tra ruoli e funzionipredeterminati e gerarchicamente ordinatiin termini generali e astratti (gerarchia trauffici, non tra «personalità naturali»).In entrambi i casi, al cuore del modello staquel procedimento specifico che uno deipadri della sociologia dell’organizzazione,Richard W. Scott6, definisce col termine«formalizzazione»: la procedura in base allaquale i ruoli e i rapporti tra i ruoli sono pre-scritti prescindendo dalle caratteristichedelle persone che occupano la posizionenella struttura secondo regole precise ed

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esplicite, così da garantirsi l’«oggettivazionedegli atti e dei comportamenti» e, grazie aquesta, la loro «manipolabilità» (organizza-zione in successioni razionali di operazionipredeterminate in organigrammi) e «preve-dibilità». Essa consiste, in sostanza, in unsistematico processo di spersonalizzazionee sterilizzazione della soggettività, identifi-cata come fonte di comportamentiirregolari, imprevedibili, irriducibili a rego-larità [in questo senso, Scott definisce laformalizzazione come «un tentativo di ren-dere il comportamento più prevedibile,standardizzandolo e regolandolo»7 al fine dipermettere il formarsi di «stabili aspettative[…] in ciascun membro del gruppo rispetto alcomportamento degli altri membri in deter-minate condizioni [le quali a loro volta] sonouna precondizione essenziale per la consi-derazione razionale delle conseguenze delleazioni in un gruppo»]8. L’operazione, si deveaggiungere, è tanto più strategicamentenecessaria quanto più ci si trovi in presenzadi «nuclei tecnologici» – cioè di sistemi dimacchine – basati su «tecnologie di conca-tenamento» per le quali il sincronismo tra lediverse fasi della lavorazione e la regolaritàdei flussi devono essere massime, e nel cuicontesto, dunque, il manifestarsi di «contin-genze» – sia «esterne» che «interne» – appareparticolarmente dannoso, anzi «incompati-bile» con la razionalità del sistema stesso.Per queste ragioni, la morfologia degli appa-rati industriali «fordisti» – quellicaratterizzati dalla produzione di massastandardizzata di beni di consumo durevoleche costituiscono il baricentro del lungociclo novecentesco originato dalla secondaRivoluzione industriale – è in ampia misurasurdeterminata e generalizzata. Essa pre-senta un altissimo grado di centralizzazionedella direzione d’impresa, con linee dicomando top down, netta separazione diideazione ed esecuzione, con la pressochétotale standardizzazione delle mansioniesecutive e minimizzazione (fino all’azzera-mento) dei gradi di autonomia degli addetti,prevalenza del Make sul Buy, finalizzata alcontrollo diretto della «mano visibile» del-l’organizzazione sul flusso di componentimediante forme di «integrazione verticale»e conseguente tendenza al gigantismo delleunità produttive.Non stupisce che una tale struttura delsistema organizzativo «fordista» alimen-tasse una concezione organicistica e«autocratica»9 dell’impresa e del processo dilavoro, gerarchica e totalizzante (per non

dire totalitaria), prevalsa sia nel campo dellasociologia del lavoro che in quello giuslavo-rista tra gli anni trenta e gli anni cinquantae percepibile nella sua influenza nellostesso art. 2086 del nostro codice civile«secondo il suo originario significato pro-grammatico – come scrive Luigi Mengoni –,modellato sul concetto germanico di comu-nità di lavoro, governata da un capo e

formata da seguaci o gregari del capo, con laconseguenza che la disciplina del lavoronell’impresa tendeva a investire l’interapersona del lavoratore»10. Si trattava, comeè evidente, di una concezione certo con-gruente col modello organizzativoprevalente, ma destinata a entrare in cre-scente conflitto sia con i fondamentigiuspubblicistici affermatisi in particolarecon le Costituzioni nate dopo la caduta deifascismi, sia con la mutazione del comunesentire e del costume acceleratasi dalla finedegli anni cinquanta (consumi di massa,individualizzazione, rifiuto dell’autoritari-smo e delle gerarchie, sensibilità per i dirittipersonali ecc.). In questo senso la Legge n. 300 del 1970ebbe una funzione riequilibratrice tra fab-brica e società, o se si preferisce tra sfera dellavoro e sfera della vita: con essa, non soloil sindacato varcava i confini dell’impresa

ottenendone un esplicito riconoscimentogiuridico («è la legge del sindacato inazienda», scrisse Massimo D’Antona), ma laCostituzione entrava in fabbrica. Il lavora-tore, nell’arco del suo orario di lavoro,cessava di essere in una condizione diextraterritorialità o, meglio, di apparte-nenza a un territorio altro rispetto a quellodella Repubblica e si vedeva riconosciuta,pienamente, la prerogativa di cittadino,tutelato dall’intero arco di diritti che laCarta fondamentale riconosce a tutti. LoStatuto, infatti – l’espressione è di UmbertoRomagnoli –, «regola l’esercizio di diritti chespettano al lavoratore in quanto cittadino ene sancisce la non espropriabilità anche nelluogo di lavoro. Per questo è la legge delledue cittadinanze. Del sindacato e, al tempostesso, del lavoratore in quanto cittadino diuno Stato di diritto»11. Esso sottraeva, insostanza, l’intera sfera del diritto del lavoroalla dimensione puramente mercatisticaquale derivava dall’assunzione totalizzantedel «contratto» tra privati come fondamentodei reciproci obblighi e diritti, e gli asse-gnava una funzione mediatrice tra sferaprivata e sfera pubblica, allineandosi allacesura storica – particolarmente significa-tiva in Italia – introdotta dal merito assuntodai movimenti dei lavoratori nella vittoriasui fascismi e dal riconoscimento costitu-zionale del ruolo pubblico del lavoro nelladefinizione dell’accesso democratico allacittadinanza.D’altra parte, collocato com’era nella fasematura del lungo ciclo fordista, anzipotremmo dire nella sua «fase terminale»,quando la diffusa e radicale conflittualitàgenerata dall’impatto del dispositivo dicomando d’impresa su una forza lavorosempre meno disponibile all’assoggetta-mento stava generando «contingenzeinterne» sempre più perturbanti dell’ordinerazionalizzato produttivo, lo Statuto finivaper rispondere a un’esigenza «di sistema».Potremmo dire che in quel contesto si ren-deva in qualche modo accettabile, anzi percerti versi necessaria, per la stessa contro-parte padronale un’istanza regolativa. O,forse meglio, un «regolatore normativo» cheintroducesse nella crescente imprevedibi-lità dei comportamenti soggettivi dicontestazione della razionalità formalizzataun sistema di «normalizzazione» dei rap-porti tra capitale e lavoro basato non sulmero rapporto di forza, ma su un disposi-tivo generale e astratto di riconoscimentireciproci di doveri e di diritti.

Lo Statuto, «regolal’esercizio di dirittiche spettano al

lavoratore in quantocittadino e ne sanciscela non espropriabilitàanche nel luogo dilavoro. Per questo èla legge delle duecittadinanze. Del

sindacato e, al tempostesso, del lavoratorein quanto cittadino diuno Stato di diritto

1) Conti 20192) Ivi 3) Cfr. Cella 19974) Thompson 1967, tr. it. 1988

5) Ivi6) Scott 1981, tr. it. 19857) Ivi, 798) Quest’ultima è una citazione tratta da Simon

19579) La definizione è di Mengoni 197210) Ivi11) Romagnoli 2015

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Mi è stato chiesto un contri-buto, su una traccia diquattro domande, su cuicostruire considerazionianche sulla base del privi-

legio che ho avuto e che mi ha consentito unapartecipazione interna alla fase di cui si parla.Colgo l’occasione per tentare seppure in brevinote di favorire una riflessione sulla ricor-renza del cinquantenario dello Statuto deilavoratori che eviti il più possibile retoriche ericostruzioni con dimenticanze. Una rifles-sione che rispetti quanto avvenne in quelperiodo, consentendo una memoria utile per«guardare al passato per guardare al futuro».Ovviamente parto dalla considerazione che loStatuto dei lavoratori costituì un passaggiolegislativo di grande importanza nell’affer-mazione di una parte fondamentale dellaCostituzione e dell’espansione della democra-zia in Italia.Che relazione c’è stata tra «l’autunno caldo»e il varo dello Statuto dei lavoratori?«Autunno caldo» e varo dello Statuto hannocostituito un passaggio fondamentale di unafase di profondo cambiamento sociale, poli-tico e culturale avviatasi alla fine degli anniCinquanta e sviluppatasi negli anni Sessanta,caratterizzata da un particolare originale svi-luppo del conflitto sociale operaio nei luoghidi lavoro, e anche nella scuola, di massa.Il conflitto sociale nelle fabbriche (merito, con-tenuti, nuove forme organizzative) che siprodusse fu molto radicale, ma sopratuttoaprì una strada di intervento e di afferma-zione di potere dei lavoratori anche sulle lorocondizioni di lavoro e non solo quindi di con-flitto redistributivo.I sindacati di categoria in particolare deimetalmeccanici, dei chimici e dei tessili sep-pero essere parte interna a quel processo, farsiattraversare in tutte le loro tradizionali com-ponenti, modificarsi e costruire le basi per

una lunga durata e influenzare il quadrosociale e politico più generale.È questo che fu alla base dello sviluppo dicambiamenti generali e di riforme a livelloistituzionale.Già prima del '70 venne conquistato il supera-mento delle gabbie salariali e la riformaprevidenziale; si aprirono iniziative per affer-mare anche a livello legislativo dirittidemocratici per i lavoratori e le loro organiz-zazioni, oggetto spesso di iniziative repressivecon forti risposte di lotta.Risale al '68 la proposta di legge di Ingrao suidiritti dei lavoratori.La stagione riformatrice proseguì negli anniSettanta investendo anche il terreno deidiritti civili.Insomma si realizzò una effettiva espansionedella democrazia, e di modifica dei rapporti dipotere fra le classi, resa possibile da un altolivello di conflitto sociale, dei lavoratori nellefabbriche non certo riassumibile in sloganpoliticisti come «Vogliamo tutto!».Lo Statuto (preceduto dallo straordinario con-tratto nazionale dei meccanici) rappresenta ilmomento culminante di quel processo alivello legislativo, affermando diritti e agibi-lità nel lavoro anche per legge.In questo nei fatti, il varo dello Statuto purcon limiti e riserve non ostacolò, ma anzifavorì sviluppo e consolidamento del conflittosociale democratico e della contrattazionenelle forme nuove che si erano affermate eche si protrasse negli anni successivi.Perché il Pci si astenne? Lo Statuto eratroppo poco?L'astensione del Pci e dello Psiup a livello par-lamentare (dove lo Statuto fu approvato con ilvoto delle forze di governo e dei liberali) inter-pretò riserve tutt'altro che infondate suaspetti presenti nel testo finale.Queste riserve accomunavano anche partiimportanti del sindacato più innovativo, della

cultura di sinistra e del mondo giuridico(come Giorgio Ghezzi e Gianni Ferrara), noncerto riducibili alla cultura comunista.In particolare le critiche si riferivano allaesclusione dei lavoratori delle aziende sotto i15 dipendenti dal divieto del licenziamentosenza giusta causa, con il paradossale venirmeno del carattere universalistico di undiritto – in una legge che si richiamava aidiritti – in un punto molto importante.Un altro aspetto di grande e significativorilievo (ben al di là della stessa cultura delPci) si riferiva ai rischi di lesione dell'autono-mia sindacale che potevano determinarsicon lo stabilire per legge le strutture sinda-cali in fabbrica e la loro dipendenza dalsindacato esterno.Per dirla come fa Sergio Benvenuto in unarecente intervista con una efficace sintesi «Idiritti previsti dallo Statuto si esprimono indiritti in capo al sindacato e non ai lavoratori».La questione, quindi, non era tanto sul fattoche lo Statuto fosse troppo poco, ma sull'ap-proccio della legge rispetto ai problemi delconflitto e della rappresentanza.Erano considerazioni che non portaronoall'opposizione al varo della legge, né al nonapprezzamento del valore della legge e delruolo svolto da giuristi come Federico Man-cini e Gino Giugni (che peraltro esitò sinoall'ultimo sulla discriminazione dei 15 dipen-denti), ma portarono alla sceltadell’astensione e non del voto contrario.Tutto poi confluì in un rafforzato impegnounitario di continuità nelle lotte sociali e nelrapporto con i lavoratori attraverso l’esten-sione contrattuale dei diritti di legge e lascelta unitaria, in particolare dei meccanici, diassumere delegati e Consigli di fabbrica comestruttura di base del sindacato unitario. Venivano così di fatto superate le forme (pre-viste dallo Statuto) delle Sezioni sindacali edelle Rsa come articolazioni delle organizza-

Statuto

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PREGI E RISCHIDI UNA LEGGE FONDAMENTALE

Tiziano Rinaldini

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zioni esterne nazionali.Con il varo dello Statuto si può dire che l’au-tunno caldo si è fatto istituzione?Una legge non rischia di trasformare il sin-dacato in un soggetto regolamentativo dellaforza lavoro? Sabattini in quegli anni parlòdel rischio di «fare i carabinieri».I precedenti argomenti usati per risponderesulla prima e seconda domanda mi paionoquasi sufficienti per evitare ripetizioni nelrispondere alla terza e quarta domanda.Aggiungo soltanto che è nella natura delladimensione sindacale l’ambivalenza delladimensione contrattuale (e di sviluppo legi-slativo) dove l’elemento decisivo è sedetermina uno sviluppo del conflitto sociale,delle lotte e della democrazia nel rapporto trarappresentanza e lavoratori o al contrario lericonduca a una dinamica in cui il lavoro èriconosciuto solo in funzione subalterna alcapitale, e quindi al sistema.In questo senso la quarta domanda mi con-sente di affrontare il problema sul ruolo e ilpensiero di Claudio Sabattini sullo Statuto e diriempire un vuoto per me sorprendente nellericostruzioni di questi giorni, in cui questoruolo di Sabattini viene ignorato.Claudio Sabattini «eretico non scisma-tico» esprime un rischio che noncoinvolge un mancato riconoscimentodel valore dello Statuto.È un rischio che si fonda sui limiti e le riserveprima indicate.Questi limiti oggi, sono ancora più evidentinon come remore di rigidità ideologiche delpassato, ma come preveggenze rispetto alfuturo se si pensa cosa ha voluto dire l’esclu-sione sotto i 15 dipendenti a fronte deiprocessi di frantumazione delle forme dell’im-presa e cosa ha comportato l’idea illusoria diun ruolo garantito dall’esterno per il sinda-cato a fronte dell’esaurirsi della fase unitariadi quegli anni, senza essere spinti a fare i

conti con il problema sempre più evidente diuna indispensabile ricostruzione nuova di unsindacato generale che possa fondarsi suautonomia e dipendenza dal consenso e dallapartecipazione decisionale dei lavoratori.C’è in questo la particolare sensibilità diSabattini sul tema dell’autonomia del sinda-cato e della sua capacità di rappresentare edifendere l’autonomia del punto di vista dei

lavoratori rispetto al capitale e la sua conse-guente particolare sensibilità sul piano dellademocrazia nel rapporto con tutti i lavoratorida considerarsi protagonisti decisionali,iscritti e non iscritti alle organizzazioni.Questa sensibilità segna il ruolo di Claudionelle varie fasi della sua lunga vicenda sinda-

cale sino all'affermazione dell’esigenza diandare oltre l’autonomia per fare dell’indi-pendenza del sindacato la base per ilsindacato unitario del futuro come rispostaall’esaurimento del rapporto storico di dipen-denza della dimensione sociale dalladimensione partitico-politica.Sul rapporto di Claudio con la questioneoggetto di questa nota eviterei sforzi interpre-tativi e mi affiderei alla relazione introduttivache, in quanto membro della segreteria dellaCamera del Lavoro di Bologna (poco prima delsuo passaggio alla Fiom) fece nel giugno del1970 a Budrio (pubblicato in questo numero diiMec, ndr) nel Convegno su «Lo Statuto deilavoratori» promosso dal comitato regionaledella Camera del lavoro dell’Emilia Romagna.Gli Atti del Convegno con la premessa diLuciano Lama e altri contributi tra cui quellodi Giorgio Ghezzi e Nanni Alleva furonooggetto di una pubblicazione della EditriceSindacale Italiana.In questi giorni in occasione della ricorrenzadi 50 anni, la Fondazione Claudio Sabattini neha deciso la messa in rete sul sito della Fon-dazione stessa.Infine una breve considerazione aggiuntivaesterna alle quattro tracce e deducibile dagliargomenti che ho sviluppato.In questa fase a partire dallo stesso sindacatoviene posto il problema di uno Statuto deilavoratori che per legge sancisca diritti pernuove dimensioni del lavoro.La questione è senz’altro giusta.È utile, però, considerare che bisognerebbecollocarla all’interno di una costruzione dilotte sociali in carenza delle quali l’interventolegislativo rischierebbe di peggiorare unasituazione nei confronti della quale c’è pursempre la Costituzione come legge fondamen-tale dello Stato.

* Fondazione Claudio Sabattini

Il conflitto sociale nellefabbriche che siprodusse fu molto

radicale, ma sopratuttoaprì una strada diintervento e di

affermazione di poteredei lavoratori anchesulle loro condizioni dilavoro, non fu solo

conflitto redistributivo

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Riproponiamo di seguito alcuniestratti dell’intervento cheClaudio Sabattini, allorasegretario confederale dellaCamera del Lavoro di Bologna

con la responsabilità dell’Ufficio sindacale,svolse nel giugno del 1970 al Convegnodella Cgil Emilia Romagna sullo Statuto deiDiritti dei Lavoratori, approvato dal Parla-mento proprio il mese precedente.Si tratta di un intervento importante e cor-poso, che esplicita – non senza segnalarneluci e ombre – le valutazioni politico-sinda-cali della Cgil bolognese in merito alloStatuto e che fungeva da introduzione alconvegno stesso. Dopo l’introduzione diSabattini, svolgono specifiche relazioni:Giorgio Ghezzi, Piergiovanni Alleva, PaoloGallucci, Giacinto Militello e Guido Trioni;intervengono: Pietro Catellani, LucianoGozzi, Gualtiero Bastelli, Luciano Petronio,Luigi Lenzarini, Giuseppe Federico Mancini,Sergio Martelli, Pietro Serafini, Marco Vais;le conclusioni sono affidate al segretarionazionale della Cgil Piero Boni.Tutti gli interventi del convegno, con la pre-messa del segretario generale della CgilLuciano Lama, sono riportati in «Lo Statutodei lavoratori. Atti del convegno promossodal Comitato regionale Emilia e Romagnadella CGIL sulla nuova legge sui diritti deilavoratori. Budrio 26/27 giugno 1970», Edi-trice Sindacale Italiana, Roma, 1970.

Significato dello «Statuto dei diritti»nello sviluppo dell'iniziativa sindacaleClaudio Sabattini, Segretario della Camera conf.del Lavoro di BolognaGià nella discussione che si sviluppò l'annoscorso a proposito della bozza di Statuto per

una discussione coi sindacati determinatadall'iniziativa del ministro Brodolini fu pos-sibile fare alcune osservazioni di fondo chepermisero di cogliere l’essenza di tutta lanostra impostazione strategica a propositodello Statuto.Si disse allora che da un punto di vistagenerale, quindi, la questione proposta sullelibertà e i diritti sindacali si presentavarisolvibile, prima di tutto, partendo dall'ap-plicazione costituzionale delle libertàpolitiche nella fabbrica e quindi successiva-mente, su questa base, la definizione delleforme e degli strumenti dell’organizzazionesindacale idonei ai nuovi livelli e al nuovoterreno di contrattazione.Passando poi all’impostazione dei problemi,si poté affermare che la Cgil aveva sempresostenuto la necessità dell'intervento legi-slativo nel caso in cui fosse teso a tutelare idiritti dei lavoratori e, contemporanea-mente, aveva sempre respinto laregolarizzazione dei diritti stessi cioè unadefinizione dei limiti oltre i quali l'iniziativadei lavoratori non avrebbe dovuto andare.Per queste ragioni si disse allora che andavarespinto ogni intervento legislativo cheavesse teso a sostituire l'iniziativa sindacalecosì come a interferire sulla vita internadell’organizzazione stessa.Infatti, nel caso in cui l’iniziativa sindacalefosse stata sostituita da quella legislativa ingrado di riempire dei propri contenuti lecarenze, o peggio, i vuoti strategici e di lottadel sindacato, sarebbero divenute inevita-bili forme di regimentazione e diintegrazione dei sindacati al potere politicocomunque definito (con la conseguente per-dita di ogni autonomia) econtemporaneamente, (sul vuoto del potere

sindacale) l'iniziativa padronale nonavrebbe potuto che affermarsi nella suatotalità, autoritaria e repressiva. […]Chiarite queste questioni come preliminarisi poté affrontare, in specifico, la nostraimpostazione generale sui rapporti traintervento legislativo e libertà sindacaliriconfermando la questione essenziale: lelibertà politiche, sancite dalla Costituzionerepubblicana, e cioè la libera manifesta-zione del pensiero, la libertà di riunione e diorganizzazione significano quindi immedia-tamente nella fabbrica la possibilità, senzaalcuna limitazione, per il sindacato, dipotersi organizzare in assoluta autonomia. Per ciò il riconoscimento e la tutela deglistrumenti, forme di azione sindacale, elabo-rate autonomamente e senza imposizione dilegge sulla base, per il sindacato, delle pro-prie esperienze organizzative.È in questo ambito che si poté meglio defi-nire l'intervento legislativo: esso quindi nondoveva essere teso ad affermare o sancirequesto o quello strumento sindacale (perlegge) bensì doveva essere teso a vietarequalsiasi impedimento o repressione dellalibera attività sindacale in tutte le sue forme.Il tipo di dibattito che allora fu fatto e ledecisioni di impostazione, sui problemidello Statuto a cui la Cgil giunse rimangonoquindi il contenuto essenziale della nostralinea generale ben sapendo che con essa sisarebbe andati al confronto col governo econ la Uil e la Cisl la quale ha sempre defi-nito questi problemi con una visioneesattamente capovolta alla nostra (unavolta superata la pregiudiziale di principiosulla legittimità dell'intervento legislativo)nel senso che la Cisl ha sempre sostenuto lapriorità dell’organizzazione sindacale sui

SABATTINI: NON DISOLA LEGGE

Statuto

a cura di Tommaso Cerusici*

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diritti di libertà del cittadino (quella che fudefinita legislazione di sostegno). […]A questo proposito proseguendo l'indagine,va notato con estremo interesse il punto incui l'art. 18 afferma che: «nell'ipotesi dilicenziamento dei lavoratori di cui all'art.22, su istanza congiunta del lavoratore e delsindacato cui questi aderisce o conferiscemandato, il giudice, in ogni stato e grado delgiudizio di merito, può disporre con ordi-nanza, quando ritenga irrilevanti oinsufficienti gli elementi di prova fornitidal datore di lavoro, la reintegrazione dellavoratore nel posto di lavoro».Il giudizio allora sembra anche per questavia ulteriormente chiarito: non c'è dubbioinfatti che l'art. 18 privilegia i dirigenti sin-dacali nei confronti dei lavoratori singolisignificando la più accentuata importanzache per lo Statuto hanno le libertà di orga-nizzazione sindacale nei confronti dellelibertà individuali o per meglio dire nonimpostando il diritto di organizzazionecome fondato da quello delle libertà indivi-duali. L'art. 18 per finire può essere intesocome sintesi di giudizio, nella sua pureestrema positività, come dimostrazionedelle interne contraddizioni che rimangononello Statuto stesso.Definiti questi punti vale la pena ora diaffrontare l'altra “faccia della medaglia” con-cernente gli artt. 4-6-7 nei quali, come si è giàdetto, si mantengono quasi inalterati i conte-nuti strategici del potere padronale. […]Punto di arrivo e nuovo punto di partenzaquindi: vale la pena di sottolineare in ispe-cie per la seconda parte dello Statuto cheesso, recependo le conquiste più avanzatedel movimento di classe e sindacale per-mette oggi di valorizzare e di estendere,

tramite lo Statuto, queste stesse conquistenell’ambito generale del movimento soprat-tutto in quelle imprese (particolarmentel'Emilia-Romagna) che più difficilmente,anche per le loro dimensioni, hanno svoltoesperienze sindacali e di potere di rilievo.Detto questo va sottolineato il fatto, chiarodel resto nella nostra impostazione, che seil giudizio sullo Statuto andava soprattuttoriferito a livello delle conquiste espresseprima dal movimento stesso indica anche arovescio che i punti deboli dell'iniziativasindacale sono divenuti parallelamentequelli dello Statuto.Per questo si è valutata diversamente laprima parte dalla seconda: mentre nei con-tenuti infatti della seconda parte si trovarispecchiata la riscossa autentica del movi-mento di classe e sindacale e quindiattraverso questa via vengono spiegateanche le preminenze di potere attribuite allegrandi confederazioni dei lavoratori comerappresentanti di fatto del movimentorivendicativo nel suo complesso, va anchedetto che sono state conquistate posizioni(del resto l'art. 14) sulla assoluta libertà diorganizzazione sindacale e quindi in defini-tiva anche per quelle forme diorganizzazione del movimento di classe nonistituzionalizzate nelle Confederazioni.Ciò è rilevante proprio perché, dato chesarebbe assurdo volere istituzionalmenteforme di spontaneità, l'art. 19 va inteso quindicome attività promozionale ma non esclu-dente altre forme di organizzazione sindacale.Da queste valutazioni occorre passare aquelle più generali e cioè il fatto che a pro-posito della prima parte dello Statuto (lelibertà individuali) il giudizio dato trovarispondenza sul fatto che a modificare real-

mente il sistema di potere direttivo e disci-plinare del padrone occorreva e occorreràun concorso di iniziativa sindacale e deilavoratori a confronto delle quali le nostreesperienze sono ancora lontane.Infatti affrontare i problemi del dispotismopadronale nella fabbrica significa interve-nire sull'organizzazione capitalistica dellavoro, sulle forme e sui tempi della produ-zione cioè sui contenuti essenziali delpotere imprenditoriale. Lo scontro è quindidi puro potere e per avanzare non potrà cherichiamare forme di autogestione delle lottea livello di reparti, delle linee e delle squa-dre. A ciò non può che corrispondere nuoveforme di democrazia come i delegati cherappresentano e rappresenteranno i puntidi saldatura delle esperienze più avanzatedel movimento sindacale e di classe e deisuoi propositi organizzativi per il futuro. La debolezza quindi della prima parte delloStatuto trova riscontro nella debolezza del-l'esperienza sindacale proprio su questequestioni e sollecita quindi la lotta a tutti ilivelli: nel complesso infatti lo Statuto deilavoratori, col dibattito al livello del movi-mento che occorrerà fare e che non potràche essere dibattito strategico sulla lineadel sindacato, rappresenta un punto diarrivo avanzato dell'esperimento sindacaleoltre essere un punto di partenza per nuoveconquiste non vietando e quindi nonpotendo inglobare, a differenza di altripaesi, tutte quelle esperienze che la creati-vità delle masse e la direzione e i compitidella lotta di classe e sindacale nonpotranno che affermarsi nella nostra realtàsociale e anche istituzionale.* Fondazione Claudio Sabattini e Archiviostorico Fiom nazionale

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Sono passati cinquant'annidall’approvazione dello Sta-tuto dei Lavoratori (Legge300), in questi anni molte cosesono avvenute e per conoscere

il percorso che ci ha portato al nostro pre-sente abbiamo intervistato Giorgio Molinche è stato delegato del Consiglio di Fab-brica Breda (oggi Fc) dal 1973 al 1992,segretario generale della Fiom di Veneziada 1994 al 2001 e poi, con la costituzionedella Fiom metropolitana di Venezia cheinglobava altri comprensori, segretariogenerale dal 2001 al 2010 e poi dal 2010 al2014 segretario generale della Fiom Veneto.

Quando sei entrato in fabbrica lo Statutoera stato già approvato, che situazionehai trovato?Negli anni 1968/69 ero ancora studente epur partecipando a innumerevoli scioperi e manifestazioni sindacali non ho vissutodirettamente la lotta operaia per il rinnovodel Ccnl del 1969. Ne ho colto gli echi e l’im-portanza nel 1972 dai racconti dei miei compagni operai quando sono entrato alavorare al cantiere navale Breda di Porto Marghera, la più grande fabbrica metal-meccanica del Veneto.Il cantiere a seguito di un rilevante investi-mento era stato totalmente riorganizzato portando i lavoratori diretti a 3.000 addetti conoltre 2.000 nuove assunzioni di giovani operai.La vecchia generazione operaia parlava delContratto del 1969 e della Legge 300 del1970, lo Statuto dei Lavoratori, con grandeenfasi e rispetto. Tra l’altro nel 1969 quei lavoratori oltre a

essersi impegnati nel rinnovo di un con-tratto unico nel suo genere, per la richiestadi aumenti salariali uguali per tutti, sierano impegnati in una lotta, che fu vin-cente, per impedire l’uso selvaggio delleimprese d’appalto nello stabilimento.La nuova e giovane generazione operaianon aveva vissuto i periodi durissimi cheavevano preceduto il 1968/69 e pur apprez-zando i risultati e le conquiste di quellelotte, considerava Legge 300 e Ccnl comestrumenti importanti, ma pur sempremigliorabili in ragione di una pratica sin-dacale che era molto avanzata soprattuttonei grandi gruppi industriali.

Come funzionava il sindacato dentro lefabbriche dopo il 1970?Nel 1970 si era costituito il sindacato unico,la Flm, e i Consigli di fabbrica avevano giàsostituito le vecchie e gloriose Commissioniinterne. Si votavano i delegati di reparto suscheda bianca, si votavano le piattaformein entrata e gli accordi in uscita, il Consi-glio di fabbrica, espressione di tuttilavoratori del cantiere navale, di cui facevoparte, era composto da delegati eletti in unrapporto di 1 ogni 25 lavoratori ed era com-posto da oltre 100 rappresentanti. Ilcontrollo sindacale del ciclo produttivo erapressoché totale e tutti i delegati potevanofruire delle agibilità sindacali. Le 10 ore diassemblea retribuita contrattualmente pre-viste non erano mai sufficienti e in queglianni l’azienda anticipava spesso le oredell’anno successivo.Nell’arco di vigenza di un solo contratto, trail 1973/74, fu rinnovato due volte il Premio

UNA LEGGEOPERAIA

Statuto

Oggi per ricostruire i

diritti e difendere la

democrazia occorre

riprendere il conflitto

sociale, altrimenti

anche i migliori

propositi rischiano di

restare ancorati alla

sfera delle buone

intenzioni.

Sara Quartarella

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di produzione: conflitto, democrazia, rap-presentanza erano tratti distintivi dellaFlm, il nuovo sindacato unico dei lavoratorimetalmeccanici.Sostanzialmente la pratica sindacale inquella fase storica era più avanzata deglistessi contenuti delle Leggi e dei Ccnl dura-mente conquistati e quel modello disindacato, la Flm di Trentin, Carniti, Benve-nuto che cercava di superare le vecchiedivisioni tra le tre confederazioni consen-tiva passi da gigante in direzione delleaspirazioni di giustizia e di uguaglianza deilavoratori.Il Ccnl del 1973 produrrà un balzo enormenella parità normativa tra operai ed impie-gati con l’inquadramento unico e nel Ccnlsuccessivo con l’unificazione dell’istitutodegli scatti di anzianità, nello stessoperiodo sarà unificato il valore del punto dicontingenza tra operai e impiegati che con-sentirà di reggere l’urto della crisi edell’inflazione a due cifre difendendo isalari con criteri di equità e di uguaglianza.

In che modo le lotte per lo Statutodei lavoratori hanno inciso nelmondo del lavoro?È evidente che il 1969 operaio ha segnato alungo la vicenda dei metalmeccanici ita-liani e più in generale del movimentosindacale e sia lo Statuto dei lavoratori siagli avanzamenti sindacali successivi affon-dano le radici in quello straordinarioevento che fu dato dallo sviluppo delle lottesociali del '68/'69. È vero che con lo Statutodei lavoratori un po’ di Costituzione comin-ciava a entrare nei luoghi di lavoro grazie

alle lotte operaie, ma anche grazie allacapacità della politica e delle istituzioni difarsi interpreti di quelle lotte con propostein grado di far avanzare i diritti dei lavora-tori modificando il quadro dei rapportisociali preesistenti.

E dopo che accadde?Questo lungo ciclo di lotte ebbe termine conla sconfitta operaia alla Fiat del 1980. Ebbimodo di partecipare a un picchetto, di nottee di giorno e ad una assemblea nel piazzaledella Fiat Stura di Torino poco prima dellaconclusione della vertenza. E anche oggisono convinto che solo i metalmeccanici inquella lotta avevano colto i tratti dell’offen-siva che di lì a poco si sarebbe scatenatacontro tutti i lavoratori. Ma non furono

compresi, anzi furono isolati.Da lì ci fu l’avvio di una offensiva padro-nale senza precedenti volta a smantellarel’insieme delle conquiste realizzate dalmovimento sindacale. Infatti subito dopo laFiat arrivò l’attacco craxiano del 1984 allascala mobile e si fecero strada anche nelnostro paese le teorie economiche liberistedi Milton Friedman per le quali l’impresa eil mercato divengono regolatori esclusividei rapporti sociali. Quell’offensiva portavain sé l’idea, tutt’ora in auge, che la compe-tizione globale comporti il superamento diogni vincolo sociale e quindi tutto puòessere messo in discussione e subordinatoal mercato e al profitto.

Come giudichi la situazione attuale?Da segretario Fiom, insieme ai miei compa-gni, ho vissuto e combattuto contro tutti gliatti padronali e di governo che hanno sop-presso diritti fondamentali dei lavoratori,fra i quali, la Legge 30 del 2003 che scar-dinò il principio fondamentale diuguaglianza tra lavoratori per cui a paritàdi lavoro deve corrispondere parità di sala-rio, facendo in modo che la precarietàdilagasse, fino ad arrivare alla soppressionedell’articolo 18 con il Jobs Act. Anche isalari sono arretrati e gli orari sono aumen-tati e gestiti a discrezione delle imprese.Valutare cosa sia stato lo Statuto dei lavo-ratori e cosa ne sia rimasto dopo lacancellazione dell’articolo 18, l’architravedel diritto del lavoro, pare a me un punto dipartenza indispensabile per contrastarel’offensiva di Confindustria oggi rivolta acancellare i Ccnl e tentare di ricostruire

Il controllo sindacaledel ciclo produttivo

era pressoché totale etutti i delegati

potevano fruire delleagibilità sindacali

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nuovi diritti per tutti i lavoratori. Un compito non facile dato che non siamoriusciti a difenderli con la determinazioneche sarebbe stata necessaria. Nella condizione attuale bisogna pensarealla ricostruzione di diritti universali con-siderando tutte le trasformazioniintervenute e la necessità di riunificare illavoro. La Cgil lo fa attraverso la propostadi legge di iniziativa popolare definita«Carta dei diritti» sapendo che bisognaricostruire i diritti in una condizione dilavoro fortemente frammentata, con vastearee di lavoro nero e sottopagato, conforme di sfruttamento ottocentesche deilavoratori migranti, ma per farlo bisognaalmeno provare a cambiare i rapporti diforza che ci hanno portato alla dramma-tica condizione attuale.E per ricostruire i diritti e difendere lademocrazia occorre riprendere il conflittosociale, altrimenti anche i migliori propo-siti rischiano di restare ancorati alla sferadelle buone intenzioni. Nessun nuovodiritto pioverà dal cielo o da istituzioni egoverni in assenza di conflitto e mobilita-zione dei lavoratori.D’altronde questa strada è stata indicataanche in questi mesi dagli operai chenelle fabbriche nel pieno dell’epidemiadi Covid-19 hanno scioperato per difen-dere la propria salute da padroni che liconsideravano semplicemente sacrifica-bili al profitto. E insieme a loro la lotta dei lavoratori dellasanità che hanno pagato un tributo altis-simo per salvare altre vite umane e

difendere la salute di tutti dalla pandemiae così gli operai, i tecnici e gli insegnanti etanti volontari che hanno garantito produ-zioni e servizi essenziali per la salute e lasopravvivenza della popolazione. Anche daqui, dal ruolo decisivo svolto dai lavoratorinel combattere la pandemia, è necessariauna riflessione sui guasti del liberismo esulla necessità di rimettere al centro illavoro per riequilibrare i rapporti con l’im-presa come prevede la Costituzione.

Nella tua lunga attività sindacale quanto èstato importante lo Statuto dei lavoratori?Nella mia attività sindacale che si è svoltadal 1973 in fabbrica e dal 1992 al 2015 inFiom, prima a Venezia, poi nell’area metro-politana, e poi ancora nel Veneto, ho fatto

ricorso spesso alla Legge 300, soprattuttoall’art. 28 che vieta alle imprese l’attivitàantisindacale. Più volte le imprese hannoprovato a forzare i capisaldi dello Statutoe il nostro ricorso all’art. 28 ha consentitodi rintuzzare i tentativi e di sanzionarne icomportamenti. La multinazionale Alcoatentò perfino di impedire l’assemblea con-gressuale alla Fiom e assunsecomportamenti di esplicita ostilità versola nostra rappresentanza. Fu sanzionatadal giudice. Negli ultimi anni a Veneziaattivai molti «articoli 28», proprio perchémolte imprese compresa la Fincantieri –da cui ero distaccato in Legge 300 – assu-mevano comportamenti in contrasto conlo Statuto e il Ccnl. Come nel 1969 erano gli operai a praticarei diritti nelle fabbriche e poi trasferirli nelleleggi e nei Ccnl, adesso si sono invertite leparti e sono le imprese a smontare queidiritti e a promuovere leggi ostili ai lavora-tori e a privarli di una fondamentaleconquista del Novecento che attiene nonsolo al diritto alla rappresentanza socialema anche a quella politica. Si perché il libe-rismo, la centralità dell’impresa, l’egemoniadel pensiero unico tendono ad appiattiretutto il sistema e hanno reso i lavoratoriorfani dal punto di vista politico ed espulsidalle istituzioni, dalle assemblee elettiveoccupate da imprenditori, liberi professio-nisti, portatori di interessi privati e dapotenti lobby economiche e finanziarie.Oggi più che mai c’è davvero da temere perla democrazia.

adesso si sonoinvertite le parti esono le imprese a

smontare quei dirittie a promuovere leggiostili ai lavoratori e a

privarli di unafondamentaleconquista delNovecento

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Cosa ha significato lo Statutodei lavoratori per il più nove-centesco dei diritti? Com’èstato depotenziato lo Statuto,nel corso del tempo?

E, soprattutto, cosa ne resta, oggi? Quel chesopravvive del testo originario è sufficientea fornire tutela e protezione a chi neavverte il bisogno o sarebbe opportuno ela-borare un nuovo Statuto? Se sì, quale?Rispondere a queste domande, a cinquan-t’anni esatti di distanza dall’approvazionedella legge n. 300 del 20 maggio 1970, signi-fica tracciare un bilancio della vita di unalegge di attuazione costituzionale e dei suoieffetti sui concreti rapporti delle personeche hanno bisogno di lavorare per vivere; ilche significa, a ben vedere, misurare ladistanza tra Costituzione formale e costitu-zione materiale. Non cosa di poco conto. Ebbene, in rapporto a un disegno costitu-zionale che pone il lavoro alla base della«nuova democrazia» promessa (art. 1),impegnando la Repubblica a tutelarlo intutte le sue forme e applicazioni (art. 35)per rimuovere gli ostacoli che impedi-scono, di fatto, l’effettiva partecipazionedei lavoratori allo sviluppo politico econo-mico e sociale del Paese (art. 3, comma 2), siè spesso, giustamente, riscontrato uno iatorispetto alla realtà materiale dei rapportidi lavoro del Secondo dopoguerra. Neglianni Cinquanta, come si usa dire, i luoghidi lavoro somigliavano molto alle caserme,tanto da portare acuti osservatori dellarealtà del lavoro a sostenere che la Costitu-zione del ’48 si era fermata ai cancelli dellefabbriche, persino autorizzando una notaequivalenza, di matrice foucaultiana, rias-sunta in studi classici come «Carcere e

fabbrica», uscito dalla penna di due crimi-nologi di scuola bolognese quali MassimoPavarini e Dario Melossi.I reparti confino della Fiat di Valletta dice-vano molto non solo della considerazione incui era tenuto il principio di libertà sinda-cale (art. 39, comma 1, Cost.) ma pure dell’usoche si faceva della delazione e del trasferi-mento e demansionamento a fini punitivi. Prima dello Statuto dei lavoratori del ’70,insomma, la promessa costituzionale diconiugare lavoro e libertà, dimensione indi-viduale e sfera collettiva, democrazia e corpiintermedi era contraddetta proprio nelluogo in cui, per il Costituente, era piùimportante che i binomi si saldassero, men-tre ogni diritto formalmente riconosciuto, apartire da quelli costituzionali all’equa retri-buzione (art. 36 Cost.) e al conflitto collettivo(art. 40) erano più virtuali che reali, in man-canza di rimedi efficaci contro gli abusi e ilicenziamenti ritorsivi dei datori di lavoro. Per queste ragioni, la «legge delle due citta-dinanze» – del lavoratore e, al contempo, delsindacato – fu salutato, dai più come ilprimo vero ingresso della Costituzione infabbrica. La legge 300 istituiva, infatti, perla prima volta nella storia del diritto dellavoro italiano, un delicato equilibrio tradiritti individuali e prerogative collettive,tra limiti all’unilateralismo datoriale, a pre-sidio della libertà e riservatezza del singolo(Titolo I), oltre che della sua professionalità(art. 13) e bilanciamenti prodotti attraversolo sdoganamento della presenza sindacalenei luoghi di lavoro (Titolo III). Si potrebbe, forse, rimproverare allo Statuto– come effettivamente accadde, da parte diqualcuno – un eccesso di fiducia nei con-fronti del sindacalismo confederale e un

LA FORZA DELLALEGGE 300

Statuto

Lo Statuto compie

cinquant’anni. La sua

vitalità dipende, come

per ogni legge, dalla

forza delle gambe

delle donne e degli

uomini che possono

farlo camminare

Federico Martelloni

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deficit di protezione dei rappresentati alcospetto dei rappresentanti, ma resta agliatti, almeno sul primo versante, che il sin-dacalismo storico, a partire dall’Flm, fucapace di instaurare una dialettica positivacon le formazioni e le istanze di base non-ché, persino, con lo spontaneismo operaio,condividendo la patente rilasciata dal legi-slatore al «sindacato maggiormenterappresentativo» (art. 19) con i consigli e idelegati di fabbrica che avevano animato ilsecondo biennio rosso. Andando al cuore di ciò che lo Statuto deilavoratori ha rappresentato mezzo secolo fa,resta scolpita a fuoco, nel ferro delle incu-dini percosse nelle officine dell’autunnocaldo, una filosofia di fondo elementare eattualissima, alla cui stregua i lavoratori e iloro rappresentanti possono discutere l’or-ganizzazione del lavoro affinché possamodellarsi sulle loro esigenze e non vice-versa, costringendo il datore di lavoro aesercitare la supremazia che gli spetta percontratto (art. 2094 c.c.) secondo i canoni,non arbitrari, della razionalità produttiva.Hanno questo senso i limiti, inediti, alpotere, un tempo incondizionato, di dirigerela produzione e disporre della professiona-lità delle maestranze (art. 13), sorvegliare(artt. 2, 3, 4, 5, 6 e 8) e punire (art. 7), intro-dotti a presidio della libertà, dignità e lariservatezza di chi lavora sotto padrone. La matrice della legge è, del resto, nella con-flittualità di un ciclo di lotte che necostituisce premessa e, per certi versi,lucida anticipazione. È lì a dimostrarlo lapiattaforma del contratto dei metalmecca-nici dell’estate del ’69, quasi integralmenteaccolta nel Ccnl siglato a dicembre, laddovealberga una disciplina del diritto d’assem-blea esattamente corrispondente a quella

dell’art. 20 e una procedimentalizzazionedel potere disciplinare puntualmentemutuata nell’art. 7. Per certo, ciò che ha depotenziato lo Statutonon è stata l’innovazione tecnologica né letrasformazioni degli assetti produttivi. Chilo pensa, finge di non sapere che l’organiz-zazione del lavoro nell’impresa non è undato tecnologicamente neutro bensì un pro-cesso: un processo che il diritto del lavoro e

l’azione sindacale sono abilitati a incanalaree orientare, in una democrazia matura. Lalunga «restaurazione italiana», raccontatada Gabriele Polo e Claudio Sabattini a ven-t’anni di distanza dal drammatico 1980 allaFiat, si è servita di molte leve: dalla crisifiscale dello Stato alla saturazione dei mer-cati, dall’internazionalizzazione degliscambi alla crisi del paradigma socio-eco-nomico di matrice fordista-taylotista.

Eppure, senza la svolta politica neoliberista,accelerata dal crollo del muro, la direzioneavrebbe potuto essere diversa, qui e altrove. Basti pensare alla strada che è stata imboc-cata per favorire il decentramentoproduttivo: non la via alta dell’articolazioned’impresa fondata sulla specializzazione deipartner commerciali, suggerita dalla lungi-mirante legge del ’60 contro l’interposizionedi lavoro – che istituiva, all’uopo, accanto aldogma della coincidenza tra chi beneficiadel lavoro altrui e chi ne assume la respon-sabilità, anche il principio di parità ditrattamento tra dipendenti dell’appaltantee dell’appaltatore, negli appalti leciti (art. 3,l. 1369/60) – ma la via bassa, fondata sullariduzione dei costi e il dumping contrat-tuale o, nel migliore dei casi, sul lavorotramite agenzia. Si pensi ancora, stando alla Statuto, allaperenne offensiva ai danni della reintegra-zione del lavoratore illegittimamentelicenziato nel posto di lavoro, prevista dal-l’art. 18, il quale, disponendo la rimozionedelle conseguenze di un atto illegittimo (larestitutio in integrum) si limitava, in fondo,a rinnovare, anche a beneficio del popolodal colletto blu e le mani callose, il piùantico ed efficace dei rimedi contro gliabusi. Dopo dieci anni di tentativi, laRiforma Fornero del 2012 ha depotenziatola norma, facendola viaggiare su quattrodiversi binari, a seconda del tipo di vizio delprovvedimento espulsivo, mentre il JobsAct l’ha posta su un binario morto, senzaneppure il coraggio di abrogarla. Sostituita,per tutti i nuovi assunti, dall’algoritmo delle«tutele crescenti», il legislatore ha confinatola reintegrazione in un cono di luce estre-mamente fioco, così da impedire, nei fatti,che possa esser scorto, se non dai giudici

La “legge delle duecittadinanze” – dellavoratore e delsindacato – fusalutata, dai più,come il primo veroingresso dellaCostituzione in

fabbrica

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che si sforzano di guardare oltre i milleostacoli probatori per scovare una discrimi-nazione o una violazione di plateale gravitànel recesso unilaterale del datore di lavoro. Frattanto, alla grande flessibilità in entratanel mercato del lavoro e all’agognata flessi-bilità in uscita dal rapporto di lavoro, si èsommata quella gestionale, con allenta-mento dei vincoli posti a presidio dellaprofessionalità nel potere di modifica dellemansioni e di quelli posti a tutela dellariservatezza nel potere di controllo. Lo Statuto, insomma, non è quello di prima,il che non equivale a dire che se non ci fossesarebbe lo stesso. Anzi. Lo provano molte disposizioni di giovanilevitalità come quella sulla repressione dellacondotta antisindacale del datore di lavoro(art. 28), mancando la quale difficilmente sisarebbe ottenuto un pronunciamento delGiudice delle leggi tale da dichiarare illegit-tima, per contrasto con gli art. 3 e 39 dellaCostituzione, la norma sulle Rsa scaturitada un improvvido referendum del 1995 (art.19 dello Statuto dei lavoratori), consentendoalla Fiom di rientrare negli stabilimentidella Fiat dai quali era stata estromessa. Oaltre norme irrobustite dal tempo, comel’art. 15: fondamento del contrasto allediscriminazioni non più soltanto politiche esindacali ma di ogni ordine e grado. Ogni legge, Statuto compreso, ha bisogno dimanutenzione. Purché andare «oltre» nonsignifichi fare «altro». L’urgenza, oggi, è tut-tavia un’altra. E riguarda, innanzitutto, il suocampo d’applicazione, oggettivo e soggettivo.Quanto al primo versante, in primo luogonon è adeguato che, nell’era dei pigmei,anche quando il fatturato è stellare, unanormativa a protezione della libertà, dignitàe riservatezza della persona che lavora trovi

accesso nelle sole unità produttive in cuisono occupati almeno 16 dipendenti, sicchéil requisito dimensionale dovrebbe trovareopportuni correttivi; in secondo luogo, èessenziale che taluni elementari diritti siacollettivi che individuali, a partire daldiritto alle bacheche sindacali o da quelloalla privacy, trovino declinazione nell’eradella digitalizzazione, rispettivamente con«spazi» adeguati e opportuni limiti all’inva-

sività delle nuove tecnologie. Quanto al secondo versante, se hannoavvertito il bisogno della tutela statutaria iciclofattorini impegnati nella consegna delcibo a domicilio, de-territorializzati e «inor-ganizzabili» come pochi altri, è evidentequanto serva un diritto del lavoro forte aprecari e intermittenti della gig economy,semi-autonomi o parasubordinati che siano.Proprio alle mobilitazioni dei riders si deve,

del resto, la nuova formulazione dell’art. 2comma 1, d.lgs. n. 81/2015, modificato dallalegge n. 128/20191, che ha il pregio di esten-dere l’intero statuto protettivo del lavorosubordinato e, con esso, il campo d’applica-zione dello Statuto dei lavoratori, achiunque svolga in via continuativa un’at-tività di lavoro personale, iscritta inun’organizzazione unilateralmente predi-sposta dal suo titolare. L’idea, che il legislatore ha dovuto bon grémal gré digerire non è lontana da quellache muoveva Massimo D’Antona alla vigiliadel suo barbaro assassinio, quando, al cre-puscolo del Novecento, invitava il diritto dellavoro a occuparsi dell’intera gamma dellemodalità attraverso cui «si realizza, nellemolteplici forme consentite da una organiz-zazione produttiva oggi assai meno rigidadel passato, l’integrazione del lavoro preva-lentemente personale nell’attivitàeconomica altrui». Ma il problema della disposizione è il suocarattere rimediale: la qualificazione di «col-laboratore etero-organizzato» sarà sempre esoltanto l’effetto di una saltuaria pronunciagiudiziale, fino a quando i corpi intermedi,cui il Costituente ha affidato la rappresen-tanza sociale degli interessi, non riuscirannoa mettere in campo la fantasia e la forza checonsenta loro di inverare la vocazione uni-versalistica che, con ragione, rivendicano. Lo Statuto compie cinquant’anni. La suavitalità dipende, come per ogni legge, dallaforza delle gambe delle donne e degliuomini che possono farlo camminare.

*Professore associato Dip. Scienze giuridi-che Università di Bologna

Avevamo la forza e la

ragione.

Ci è rimasta la

ragione.

Forza, compagni!

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DIRITTI AL FUTURO

Statuto

il fatto che le persone

nel lavoro devono

avere le stesse tutele

e puntare al fatto che

le persone si

realizzino nel lavoro

che fanno utilizzando

al meglio la loro

intelligenza sono i

nostri obiettivi

Maurizio Landini

«La Costituzione entra neiluoghi di lavoro»: il Parla-mento nel 1970 votò loStatuto dei diritti dei lavo-ratori e questo fu lo slogan

dei sindacati, la conquista che si realizzò.A distanza di cinquant’anni la Costituzioneè ancora quella e non sono riusciti a cam-biarla, ma i vari governi che si sonosucceduti negli ultimi 25 anni allargando laprecarietà e rendendo più facili i licenzia-menti, hanno svuotato molto spesso disignificato quello Statuto e quei diritti.Di fatto oggi le persone pur lavorandogomito a gomito nello stesso luogo di lavoromolto spesso non hanno stessi diritti estesse tutele. La precarietà, l’appalto, ilsubappalto, la finta cooperativa stanno difatto aumentando la paura tra le persone ela competizione tra le persone che per viverehanno bisogno di lavorare.La riunificazione dei diritti nel lavoro, ilfatto che le persone nel lavoro devono averele stesse tutele e puntare al fatto che le per-sone si realizzino nel lavoro che fannoutilizzando al meglio la loro intelligenzasono i nostri obiettivi, sono gli obiettivi chela Cgil si deve porre e che stiamo in questianni cercando di perseguire. Non a caso noiabbiamo presentato in Parlamento una pro-posta di legge raccogliendo nel paese 1milione e mezzo di firme e che abbiamochiamato «Nuovo Statuto dei diritti dellelavoratrici e dei lavoratori». Perché vogliamointrodurre un concetto nuovo: i diritti nondevono essere legati al tipo di rapporto dilavoro o di assunzione che hai, i dirittidevono essere in capo alla persona chelavora, che si tratti di partita iva, lavoratoresubordinato o autonomo ci devono essere glistessi diritti e le stesse tutele nel lavoro.

Questo è un punto decisivo, fondamentale:vuol dire cambiare le leggi sbagliate e vuoldire costruire così uno statuto del futuro cheduri nel tempo.E accanto a questo noi proponiamo cheanche altri articoli della Costituzione sianoapplicati. Pensiamo all’articolo 36 che parla di una giu-sta retribuzione, all’articolo 39 che parladella libertà sindacale e della rappresentanzareale dei soggetti sindacali che stipulano icontratti, pensiamo all’articolo 46 che parladel diritto dei lavoratori e delle lavoratrici dipoter partecipare alle decisioni che riguar-dano la loro vita dentro alle imprese. Perqueste ragioni noi pensiamo che lo stru-mento della contrattazione collettiva – chesono i contratti nazionali, le elezioni delleRsu, la rappresentanza – devono esseregarantiti attraverso la legislazione. È la legislazione che deve supportare unastagione nuova di diritti e di contrattazione,in cui la dignità del lavoro ha la stessadignità dell’impresa e in cui al centro tornia esserci la qualità del lavoro e la qualitàdello sviluppo.Tutte le persone che lavorano devono esserepagate non solo perché rendono una presta-zione ma anche perché utilizzano la lorointelligenza per produrre cose utili e soprat-tutto per redistribuire la ricchezza che con illoro lavoro producono e nello stesso tempo ènecessario costruire un nuovo modello sin-dacale e un nuovo modello di sviluppo delnostro paese che sia fondato davvero sullagiustizia e sulla solidarietà tra le persone. Questo è il nuovo obiettivo che va realizzato,che risponde ai bisogni delle persone mache, soprattutto, risponde alla necessità diun mondo più giusto fondato sul lavoro esulla libertà.