Il sogno di Rocco

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IL SOGNO DI ROCCO testo di DEMETRIO GUZZARDI - foto di MARIO GRECO Storie di Calabria Un museo per le ceramiche artistiche di Seminara, nel Reggino Viaggio nella bottega, nel rione dei pignatari, di Rocco Condoleo P er arrivare a Seminara, comune del reggino, bisogna uscire dal- l’autostrada Salerno-Reggio Cala- bria, allo svincolo di Palmi, segui- re per qualche chilometro i cartel- li, giungendo nella patria di Baarlam, il greci- sta maestro di Boccaccio, e proprio una sua grande statua ci accoglie. Tutti i paesi cala- bresi distrutti dai terremoti di fine Settecento e di inizio Novecento, sono identici tra di loro; una lunga via di case basse ci conduce nei pressi della Basilica della Ma- donna dei poveri. La sto- ria del ritrovamento del- la statua di legno di ce- dro, piacerebbe sicura- mente a papa Francesco. Intorno all’anno Mille, nei pressi di Seminara in un roveto, alcuni contadi- ni intenti a raccogliere il grano videro una grande luce. Si avvicinarono e ca- pirono che quel bagliore proveniva da una scultura di una Madonna dal colore scuro. Furono chiamate le autorità civili e religiose, ma non riuscirono a toglie- re il simulacro dai rovi, tut- ti i loro sforzi furono inuti- li. Quando si avvicinarono nuovamente i braccianti, il bagliore aumentò e fu facile trasportare la statua sull’al- tare della chiesa. Fu chiaro a tutti che la Madre di Dio voleva essere vista e poi sol- levata solamente dai poveri. Fu così che la Vergine nera da quel giorno, a Seminara, fu chiamata Madonna dei po- veri. Dopo la visita all’imponente basilica - purtroppo non è stato possibile vede- re acceso il maestoso lampadario che troneg- gia nella navata centrale - raggiungiamo uno dei tanti bazar che espongono e vendono le co- loratissime ceramiche di Seminara. L’arte dei pignatari è molto conosciuta in Calabria per- ché numerosi centri hanno ancora nelle pro- prie tradizioni la lavorazione dell’argilla: Ge- race, Roccella Ionica, Squillace (il dotto Cassio- doro, primo ministro del re dei goti, era nativo di Squillace, e riservava grande attenzione a quest’arte che riteneva «un servizio di pubblica utilità» difendendone e regolamentando inte- ressi e diritti), Soriano, Nicastro, Bisignano, Cariati, Altomonte, Belvedere, San Marco Ar- gentano, Roseto; ma quella di Seminara meri- ta in assoluto un posto di rilievo. Nei musei ar- cheologici molte delle opere esposte sono pro- duzioni di terra- cotta, non solo quelle de- dicate all’alimentazione, alle statuine per i giochi dei più piccoli, ma anche quelle votive, come i pi- nakes locresi (formelle offerte alla dea Persefo- ne), o altri oggetti di cul- to, in modo particolare, dopo l’avvento del cri- stianesimo, lucerne per illuminare le chiese op- pure decorative o sim- boliche: il pesce innan- zitutto, ma anche il pa- vone, il delfino o il gal- lo; una coppa ritrovata a Caccuri, artistica- mente lavorata e raffi- gurante un gallo con alcuni nastri intorno al collo, è conservata nel Museo Archeolo- gico di Reggio Cala- bria. Prima di giungere nel negozio di Rocco Condoleo, un moto- carro attira la nostra attenzione. Lo fer- miamo e dalla cabina scende un omino davvero curioso. È Gaetano Sindoni, classe 1933, il pro- prietario di un Guzzi del 1961, tenuto magnifi- camente: «Mi hanno offerto una cifra impor- tante per cederlo, ma poi io come faccio a tra- vagghjare?» mi dice. «Ma perché alla tua età ancora lavori?». Gaetano è un personaggio ed in pochi minuti mi regala la storia della sua vi- ta, tutta dedita all’impegno lavorativo e alla fa- miglia; da quando poi non c’è più la sua adora- ta mo- glie, il mo- to Guzzi non è solo uno strumento di lavoro, ma anche una vera e propria macchina del tempo, che gli fa rivivere i suoi ricordi, la sua vita, lì a Seminara nel trasportare cose e persone. Gli chiedo se può accompagnarci nel- la bottega di Rocco Condoleo, nel quartiere dei pignatari. Gaetano mi sorride ed accetta ben volentieri di dare un passaggio a Mario e di far- ci entrare nel suo “mondo”. Pochi minuti ed an- che noi siamo “trasportati” indietro nel tem- po. Entrare nel laboratorio di Rocco è un’espe- rienza di ritorno al passato: doveva essere già così nell’Ottocento, ma credo, senza esagerare, che i ceramisti dei pinakes lavoravano alla stessa maniera; la sola nota di modernità è una lampadina, che serve più al fotografo che non al fabbricante di pignate. Il luogo di lavoro di Rocco è un vero antro del tempo che fu e la più grande delusione per questo bravo artigiano, nato a Seminara nel 1948 e dall’età di 10 anni già in attività, è proprio questa dimenticanza, da parte di chi di dovere, nel non aver mai pen- sato di realizzare, nella capitale della ceramica artistica calabrese, un vero e proprio museo de- dicato a questa benemerita attività. Gli storici locali non hanno mai spiegato l’epoca in cui ac- canto alla produzione di oggetti da cucina sia stata introdotta a Seminara l’usanza della lavo- razione della ceramica con valenze decorative, ma già al tempo della redazione del Catasto on- ciario, a metà del Settecento, risultano attivi a Seminara 23 pignatari. Guardare l’uomo al torchio che modella con Ceramiche pronte per essere infornate; un mascherone; al centro una calabrisella continua a pagina 38

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Viaggio nella bottega, nel rione dei pignatari di Seminara (Rc), di Rocco Condoleo Reportage. Il Quotidiano della Domenica, 19 giugno 2016. Testo di Demetrio Guzzardi, foto di Mario Greco

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IL SOGNODI ROCCO

testo di DEMETRIO GUZZARDI - foto di MARIO GRECO

Storie di CalabriaUn museo per le ceramiche artistiche di Seminara, nel RegginoViaggio nella bottega, nel rione dei pignatari, di Rocco Condoleo

Per arrivare a Seminara, comunedel reggino, bisogna uscire dal-l’autostrada Salerno-Reggio Cala-bria, allo svincolo di Palmi, segui-re per qualche chilometro i cartel-

li, giungendo nella patria di Baarlam, il greci-sta maestro di Boccaccio, e proprio una suagrande statua ci accoglie. Tutti i paesi cala-bresi distrutti dai terremoti di fine Settecentoe di inizio Novecento, sono identici tra di loro;una lunga via di case basse ci conduce neipressi della Basilica della Ma-donna dei poveri. La sto-ria del ritrovamento del-la statua di legno di ce-dro, piacerebbe sicura-mente a papa Francesco.Intorno all’anno Mille,nei pressi di Seminara inun roveto, alcuni contadi-ni intenti a raccogliere ilgrano videro una grandeluce. Si avvicinarono e ca-pirono che quel baglioreproveniva da una sculturadi una Madonna dal colorescuro. Furono chiamate leautorità civili e religiose,ma non riuscirono a toglie-re il simulacro dai rovi, tut-ti i loro sforzi furono inuti-li. Quando si avvicinarononuovamente i braccianti, ilbagliore aumentò e fu faciletrasportare la statua sull’al -tare della chiesa. Fu chiaroa tutti che la Madre di Diovoleva essere vista e poi sol-levata solamente dai poveri.Fu così che la Vergine nerada quel giorno, a Seminara,fu chiamata Madonna dei po-veri.

Dopo la visita all’imponentebasilica - purtroppo non è stato possibile vede-re acceso il maestoso lampadario che troneg-gia nella navata centrale - raggiungiamo unodei tanti bazar che espongono e vendono le co-loratissime ceramiche di Seminara. L’arte deipignatari è molto conosciuta in Calabria per-ché numerosi centri hanno ancora nelle pro-prie tradizioni la lavorazione dell’argilla: Ge-

race, Roccella Ionica, Squillace (il dotto Cassio-doro, primo ministro del re dei goti, era nativodi Squillace, e riservava grande attenzione aquest’arte che riteneva «un servizio di pubblicautilità» difendendone e regolamentando inte-ressi e diritti), Soriano, Nicastro, Bisignano,Cariati, Altomonte, Belvedere, San Marco Ar-gentano, Roseto; ma quella di Seminara meri-ta in assoluto un posto di rilievo. Nei musei ar-cheologici molte delle opere esposte sono pro-duzioni di terra-

cotta, non solo quelle de-dicate all’alimentazione,alle statuine per i giochidei più piccoli, ma anchequelle votive, come i pi-nakes locresi (formelleofferte alla dea Persefo-ne), o altri oggetti di cul-to, in modo particolare,dopo l’avvento del cri-stianesimo, lucerne perilluminare le chiese op-pure decorative o sim-boliche: il pesce innan-zitutto, ma anche il pa-vone, il delfino o il gal-lo; una coppa ritrovataa Caccuri, artistica-mente lavorata e raffi-gurante un gallo conalcuni nastri intornoal collo, è conservatanel Museo Archeolo-gico di Reggio Cala-bria.

Prima di giungerenel negozio di RoccoCondoleo, un moto-carro attira la nostraattenzione. Lo fer-miamo e dalla cabina

scende un omino davverocurioso. È Gaetano Sindoni, classe 1933, il pro-prietario di un Guzzi del 1961, tenuto magnifi-camente: «Mi hanno offerto una cifra impor-tante per cederlo, ma poi io come faccio a tra-vagghjare?» mi dice. «Ma perché alla tua etàancora lavori?». Gaetano è un personaggio edin pochi minuti mi regala la storia della sua vi-ta, tutta dedita all’impegno lavorativo e alla fa-miglia; da quando poi non c’è più la sua adora-

ta mo-glie, il mo-to Guzzi non èsolo uno strumento dilavoro, ma anche una vera e propria macchinadel tempo, che gli fa rivivere i suoi ricordi, lasua vita, lì a Seminara nel trasportare cose epersone. Gli chiedo se può accompagnarci nel-la bottega di Rocco Condoleo, nel quartiere deipignatari. Gaetano mi sorride ed accetta benvolentieri di dare un passaggio a Mario e di far-ci entrare nel suo “mondo”. Pochi minuti ed an-che noi siamo “trasportati” indietro nel tem-po.

Entrare nel laboratorio di Rocco è un’espe -rienza di ritorno al passato: doveva essere giàcosì nell’Ottocento, ma credo, senza esagerare,che i ceramisti dei pinakes lavoravano allastessa maniera; la sola nota di modernità è unalampadina, che serve più al fotografo che nonal fabbricante di pignate. Il luogo di lavoro diRocco è un vero antro del tempo che fu e la piùgrande delusione per questo bravo artigiano,nato a Seminara nel 1948 e dall’età di 10 annigià in attività, è proprio questa dimenticanza,da parte di chi di dovere, nel non aver mai pen-sato di realizzare, nella capitale della ceramicaartistica calabrese, un vero e proprio museo de-dicato a questa benemerita attività. Gli storicilocali non hanno mai spiegato l’epoca in cui ac-canto alla produzione di oggetti da cucina siastata introdotta a Seminara l’usanza della lavo-razione della ceramica con valenze decorative,ma già al tempo della redazione del Catasto on-ciario, a metà del Settecento, risultano attivi aSeminara 23 pignatari.

Guardare l’uomo al torchio che modella con

Ceramiche pronte per essereinfornate; un mascherone; alcentro una calabrisella

continua a pagina 38

Page 2: Il sogno di Rocco

Domenica 19 giugno [email protected] 39Domenica 19 giugno 2016

[email protected]

UN UOMO AL TORNIO

Oggetto tipico della ceramica seminarese è la pignaViene associata allo zero, all’uovo cosmico

simbolo dell’anima, è legato all’eternità e all’immortalità

bale proprie mani l’argilla ha qualcosa dibiblico e di magico, da una pallottola in-forme di creta, in pochi minuti ne fa ve-nir fuori un oggetto dalle forme aggra-ziate. Lo guardo e gli pongo mille do-mande, mentre continua a modellare,aziona la sua macchina del tempo; miracconta del suo papà Gennarino chestava seduto proprio dove ora lui lavora,e poi mi indica il posto dove aveva il ban-chetto suo fratello Paolo. Di lui ne ha unavera e propria venerazione: «era piùgrande di me di 10 anni, era il migliore,

il più bravo, midava sempreconsigli. Veder-lo lavorare erauno spettacolo,lo ammiravoperché tutto gliriusciva facile. Isuoi lavori nonerano più soloceramiche di Se-minara, ma sem-plicemente crea-zioni di Paolo

Condoleo, era un grande artista». Ha unattimo di commozione, Rocco mi raccon-ta che suo fratello non c’è più, è decedutonel novembre 2014, e forse il Museo dellaceramica di Seminara potrebbe portare ilsuo nome. Di questo figlio di Calabria edel suo modo unico di modellare la cretase ne era accorto anche il grande PabloPicasso, che un giorno, nei primi anniSettanta, lo incontrò in una fiera a Venti-miglia, ed acquistò alcuni suoi lavori inceramica: un babbaluto, una calabrisel-la, una testa. Mentre stava per andare

via gli disse: «Calabrese, queste opere so-no concepite da mani che sono d’oro edesprimono un passato che non c’è più,ma che grazie a queste tue creazioni con-tinuerà a vivere per sempre», i manufattisi trovano ora in Francia al Museo Anti-be ed in Canada al Museo di Toronto; al-tre opere di Paolo Condoleo sono a Firen-

ze al Museo delle Tradizioni popolari, maanche nelle prestigiose vetrine dei MuseiVaticani. Pure le creazioni di Rocco sonogià in collezioni pubbliche e private, midice con un po’ di orgoglio: «Sai, un si-gnore di Cosenza, la tua città, abitual-mente viene a trovarmi ed acquista qual-che mio oggetto», intuisco che si tratta di

Roberto Bilotti, «ultimamente ha adoc-chiato una grande scultura che è nel ne-gozio gestito da mia moglie Paola, chissàforse ritornerà…».

Rocco mi ha voluto anche far vedere ilsuo forno…, che io ho chiamato calcara,ma lui subito mi ha corretto…«la calcaraè per fare i mattoni e le ceramili, il forno

di mio padre era proprio per cuocere leceramiche. Oggi, anche a Seminara, cisono i forni a gas, il mio è quello tradizio-nale, a legna ed a sanza». La sua fornace,del tipo a pozzo aperto, somiglia ad unagrande buca: larga e profonda circa 2metri, e si carica dall’alto. Al suo interno,le ceramiche da cuocere devono essere si-

stemate in modo da creare una sorta dicupola che viene rivestita con vecchi coc-ci e scarti di cottura. Questo forno nonrichiede canna fumaria, perché il fumofuoriesce naturalmente dagli interstizidel tetto, con le tegole poggiate diretta-mente sull’ordito di travi e correntini. Midice che la cottura delle sue creazioni av-

Storie di CalabriaIl grande Picasso restò ammirato dalle creazionidi Paolo Condoleo e le donò al Museo di Antibe

G li oggetti in ceramica esposti nelbazar, sono tanti e tutti potrebbe-ro raccontare storie di appena ie-

ri. Iniziamo dai babbaluti (che qualcunochiama anche babbuini), bottiglie antro-pomorfe di varia grandezza, con un unmanico nella parte posteriore; hannouna doppia funzione animistica ed umo-ristica.

I babbaluti in ceramica hanno originedurante la dominazione spagnola quan-do, per effetto del malcontento del popolocontro il potere costituito, gli artigianimodellarono delle bottiglie facendo assu-mere la fisionomia grottesta ai gendarmispagnoli, o ai soldati borboni, al signo-

rotto locale o al potente di turno. Moltointeressanti sotto l’aspetto artistico sonoanche le anfore biansate (lancelle); i boc-cali (cannate) talora con ornati a rilievo(cuccumi), le piccole brocche con becco(bumbuleji); gli orci a foggia di riccio(porroni); le borracce a ciambella; le lan-terne e i vasi da balcone (graste). Le spa-ventose maschere che hanno una funzio-ne apotropaica, per scacciare gli spiriticattivi devono essere poste bene in vistafuori dalle case, ma anche le bambule, re-cipienti per la raccolta dell’acqua a formadi uomo-mostro che si innalzano sopra iltetto per proteggere dal malocchio l’abi -tazione e chi vi risiede.

La calabrisellaè la donna che simboleg-gia la vita, porta negli orcioli (uno sem-pre sulla testa) l’acqua che ha attinto alpozzo o alle fontane, dove incontra lo spa-simante di turno, che cerca di convincer-la a darle da bere (è fin troppo chiara l’al -lusione al desiderio sessuale). La statui-na viene sempre realizzata con un volu-minoso seno, sinonimo di buona salute edi una feconda maternità.

Il riccio è una strana bottiglia panciutae irta di punte, mi dice Rocco Condoleo:«il primo riccio lo fece il mio papà». Sim-boleggia il valore della fiducia e chi pos-siede un oggetto a forma di questo ani-male affronta le difficoltà della vita con

un animo pacifico, fiducioso che prestorisolverà il problema o il dolore che lo af-fligge. Il riccio è anche il simbolo dell’a-micizia, della spensieratezza e dello stu-pore che si prova guardando le bellezzedel mondo.

Il pesce, la sirena e gli altri abitanti delmare ci indicano un mondo che non è ilnostro. Da sempre l’uomo ha desideratovolare nell’aria come gli uccelli del cielo edi nuotare sott’acqua. Le ceramiche asfondo marino simboleggiano l’immen -sità e l’abbondanza, come ricorda l’episo -dio evangelico della pesca miracolosa. Leborraccea forma di pesce sono il distinti-vo rituale dei pellegrini che partecipano

alla festa di San Rocco a Rosarno.Un altro oggetto tipico della ceramica

seminarese, che nelle loro forme bufferievocano momenti arcaici di caratteresacrale o votivo è la pigna. Viene associa-ta allo 0 (zero), all’uovo cosmico, simbolodell’anima, è legato all’eternità e all’im -mortalità. L’abete è una conifera che nonperde le foglie e non ingiallisce nel corsodell’anno, è considerato il simbolo delledivinità della terra, dei monti, degli albe-ri che permettono la vita, è associato allaresistenza, alla sopravvivenza, al rinno-vamento e alla rinascita, ed è facile trova-re la pigna nei vecchi cimiteri, o sui can-celli delle ville patrizie. Per l’alchimia oc-

cidentale: se la pigna era aperta l’intellet -to prendeva il volo.

Tra le nuove creazioni, Rocco Condoleosi è “inventato” un ornamento che servecome porta bottiglia: la tartaruga, che hail suo bel simbolismo tutto meridionale.Quando si è a tavola bisogna consumaretutto, piano, piano, e senza fretta…, ap-punto come una tartaruga; e poi si sta se-duti alla mensa solo con chi ci vuole be-ne.

L’ultima tipologia tipica, dalle valenzequasi iniziatiche, è il gabbacumpari (bevise puoi), una brocca da vino con una seriedi fori, da dove può bere soltanto chi èparticolarmente abile. Ho incontrato

questo termine leggendo il bellissimo li-bro di Totò Delfino, Gente di Calabria; loscrittore di Bovalino per descrivere ilgabbacumpari utilizza le parole di Ga-briella Romeo, una studiosa di folklore:«Per poter bere occorre succhiare il liqui-do dal beccuccio del manico che pesca al-l’interno della brocca, avendo però l’ac -cortezza di chiudere prima un piccolo fo-ro che si trova nella concavità del manicostesso. Sembra che l’imperatore Neronefosse un esperto nel maneggio del gabba-cumpari, che usava come test per i povericristiani».

Demetrio Guzzardi© RIPRODUZIONE RISERVATA

LA SCHEDA

GLIOGGETTIE ISIMBOLI

viene una volta al mese, ma occorronovarie ore prima che il lungo iter si con-cluda. Troppo complesso capire e spiega-re tutto il procedimento, ma se il risulta-to sono le opere esposte nella sua botte-ga, il forno di Rocco è davvero unico. I co-lori adoperati per dipingere le ceramichesono quelli tramandati da generazioni,

che «non si rivelano al primo venuto»,ma bisogna mescolare il piombo cottocon ossidi metallici: a base di rame per ot-tenere il verde, di ferro per il giallo, dimanganese per il marrone, ai quali si ag-giunge il pigmento noto come blu Se-vres. Solo quando vado via, con la miagiacca chiara, sporca di fuliggine nera,capisco che in quella bottega c’è passatala grande arte.

«Pur vendendo creazioni artistiche – citiene a sottolineare la signora Paola Li-gato – il nostro negozio non è un’orefice -ria, dove i prezzi sono altissimi, gli og-getti standard hanno mediamente un co-sto di 20 euro a pezzo. Quelli più grandi ea doppia faccia,che a volte supe-rano anche unmetro di altezza,delle vere scultu-re, li diamo di li-stino tra 800 e1.000 euro». Lacommercializza -zione dei prodot-ti seguiva le viedei pellegrinag-gi, sulla scia del-la devozione allaMadonna dei poveri, che attirava a Semi-nara, per il ferragosto, un notevole con-corso di pellegrini, ma anche grazie allamobilità dei pignatari,che da sempreespongono le proprie mercanzie nelleprincipali fiere in tutta la regione. In at-tesa che qualcuno prenda sul serio il «so-gno di Rocco», acquistare le ceramicheartistiche di Seminara è un buon investi-mento, almeno un po’ di positività entre-rà nelle nostre case.

Demetrio Guzzardi© RIPRODUZIONE RISERVATA

I pignatarisono moltoconosciuti

in Calabria

Le operebabbaluticalabrisellee bambule

segue da pagina 37

Paolo Condoleo nella suo laboratorio Lavorazione di argilla al tornio tradizionale La moglie Paola Ligato nel suo atelier

Condoleo nel laboratorio La moglie Paola Gaetano Sindoni sul suo Guzzi del 1961 Al torchio mentre forgia un’anfora

Page 3: Il sogno di Rocco

Domenica 19 giugno [email protected] 39Domenica 19 giugno 2016

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UN UOMO AL TORNIO

Oggetto tipico della ceramica seminarese è la pignaViene associata allo zero, all’uovo cosmico

simbolo dell’anima, è legato all’eternità e all’immortalità

bale proprie mani l’argilla ha qualcosa dibiblico e di magico, da una pallottola in-forme di creta, in pochi minuti ne fa ve-nir fuori un oggetto dalle forme aggra-ziate. Lo guardo e gli pongo mille do-mande, mentre continua a modellare,aziona la sua macchina del tempo; miracconta del suo papà Gennarino chestava seduto proprio dove ora lui lavora,e poi mi indica il posto dove aveva il ban-chetto suo fratello Paolo. Di lui ne ha unavera e propria venerazione: «era piùgrande di me di 10 anni, era il migliore,

il più bravo, midava sempreconsigli. Veder-lo lavorare erauno spettacolo,lo ammiravoperché tutto gliriusciva facile. Isuoi lavori nonerano più soloceramiche di Se-minara, ma sem-plicemente crea-zioni di Paolo

Condoleo, era un grande artista». Ha unattimo di commozione, Rocco mi raccon-ta che suo fratello non c’è più, è decedutonel novembre 2014, e forse il Museo dellaceramica di Seminara potrebbe portare ilsuo nome. Di questo figlio di Calabria edel suo modo unico di modellare la cretase ne era accorto anche il grande PabloPicasso, che un giorno, nei primi anniSettanta, lo incontrò in una fiera a Venti-miglia, ed acquistò alcuni suoi lavori inceramica: un babbaluto, una calabrisel-la, una testa. Mentre stava per andare

via gli disse: «Calabrese, queste opere so-no concepite da mani che sono d’oro edesprimono un passato che non c’è più,ma che grazie a queste tue creazioni con-tinuerà a vivere per sempre», i manufattisi trovano ora in Francia al Museo Anti-be ed in Canada al Museo di Toronto; al-tre opere di Paolo Condoleo sono a Firen-

ze al Museo delle Tradizioni popolari, maanche nelle prestigiose vetrine dei MuseiVaticani. Pure le creazioni di Rocco sonogià in collezioni pubbliche e private, midice con un po’ di orgoglio: «Sai, un si-gnore di Cosenza, la tua città, abitual-mente viene a trovarmi ed acquista qual-che mio oggetto», intuisco che si tratta di

Roberto Bilotti, «ultimamente ha adoc-chiato una grande scultura che è nel ne-gozio gestito da mia moglie Paola, chissàforse ritornerà…».

Rocco mi ha voluto anche far vedere ilsuo forno…, che io ho chiamato calcara,ma lui subito mi ha corretto…«la calcaraè per fare i mattoni e le ceramili, il forno

di mio padre era proprio per cuocere leceramiche. Oggi, anche a Seminara, cisono i forni a gas, il mio è quello tradizio-nale, a legna ed a sanza». La sua fornace,del tipo a pozzo aperto, somiglia ad unagrande buca: larga e profonda circa 2metri, e si carica dall’alto. Al suo interno,le ceramiche da cuocere devono essere si-

stemate in modo da creare una sorta dicupola che viene rivestita con vecchi coc-ci e scarti di cottura. Questo forno nonrichiede canna fumaria, perché il fumofuoriesce naturalmente dagli interstizidel tetto, con le tegole poggiate diretta-mente sull’ordito di travi e correntini. Midice che la cottura delle sue creazioni av-

Storie di CalabriaIl grande Picasso restò ammirato dalle creazionidi Paolo Condoleo e le donò al Museo di Antibe

G li oggetti in ceramica esposti nelbazar, sono tanti e tutti potrebbe-ro raccontare storie di appena ie-

ri. Iniziamo dai babbaluti (che qualcunochiama anche babbuini), bottiglie antro-pomorfe di varia grandezza, con un unmanico nella parte posteriore; hannouna doppia funzione animistica ed umo-ristica.

I babbaluti in ceramica hanno originedurante la dominazione spagnola quan-do, per effetto del malcontento del popolocontro il potere costituito, gli artigianimodellarono delle bottiglie facendo assu-mere la fisionomia grottesta ai gendarmispagnoli, o ai soldati borboni, al signo-

rotto locale o al potente di turno. Moltointeressanti sotto l’aspetto artistico sonoanche le anfore biansate (lancelle); i boc-cali (cannate) talora con ornati a rilievo(cuccumi), le piccole brocche con becco(bumbuleji); gli orci a foggia di riccio(porroni); le borracce a ciambella; le lan-terne e i vasi da balcone (graste). Le spa-ventose maschere che hanno una funzio-ne apotropaica, per scacciare gli spiriticattivi devono essere poste bene in vistafuori dalle case, ma anche le bambule, re-cipienti per la raccolta dell’acqua a formadi uomo-mostro che si innalzano sopra iltetto per proteggere dal malocchio l’abi -tazione e chi vi risiede.

La calabrisellaè la donna che simboleg-gia la vita, porta negli orcioli (uno sem-pre sulla testa) l’acqua che ha attinto alpozzo o alle fontane, dove incontra lo spa-simante di turno, che cerca di convincer-la a darle da bere (è fin troppo chiara l’al -lusione al desiderio sessuale). La statui-na viene sempre realizzata con un volu-minoso seno, sinonimo di buona salute edi una feconda maternità.

Il riccio è una strana bottiglia panciutae irta di punte, mi dice Rocco Condoleo:«il primo riccio lo fece il mio papà». Sim-boleggia il valore della fiducia e chi pos-siede un oggetto a forma di questo ani-male affronta le difficoltà della vita con

un animo pacifico, fiducioso che prestorisolverà il problema o il dolore che lo af-fligge. Il riccio è anche il simbolo dell’a-micizia, della spensieratezza e dello stu-pore che si prova guardando le bellezzedel mondo.

Il pesce, la sirena e gli altri abitanti delmare ci indicano un mondo che non è ilnostro. Da sempre l’uomo ha desideratovolare nell’aria come gli uccelli del cielo edi nuotare sott’acqua. Le ceramiche asfondo marino simboleggiano l’immen -sità e l’abbondanza, come ricorda l’episo -dio evangelico della pesca miracolosa. Leborraccea forma di pesce sono il distinti-vo rituale dei pellegrini che partecipano

alla festa di San Rocco a Rosarno.Un altro oggetto tipico della ceramica

seminarese, che nelle loro forme bufferievocano momenti arcaici di caratteresacrale o votivo è la pigna. Viene associa-ta allo 0 (zero), all’uovo cosmico, simbolodell’anima, è legato all’eternità e all’im -mortalità. L’abete è una conifera che nonperde le foglie e non ingiallisce nel corsodell’anno, è considerato il simbolo delledivinità della terra, dei monti, degli albe-ri che permettono la vita, è associato allaresistenza, alla sopravvivenza, al rinno-vamento e alla rinascita, ed è facile trova-re la pigna nei vecchi cimiteri, o sui can-celli delle ville patrizie. Per l’alchimia oc-

cidentale: se la pigna era aperta l’intellet -to prendeva il volo.

Tra le nuove creazioni, Rocco Condoleosi è “inventato” un ornamento che servecome porta bottiglia: la tartaruga, che hail suo bel simbolismo tutto meridionale.Quando si è a tavola bisogna consumaretutto, piano, piano, e senza fretta…, ap-punto come una tartaruga; e poi si sta se-duti alla mensa solo con chi ci vuole be-ne.

L’ultima tipologia tipica, dalle valenzequasi iniziatiche, è il gabbacumpari (bevise puoi), una brocca da vino con una seriedi fori, da dove può bere soltanto chi èparticolarmente abile. Ho incontrato

questo termine leggendo il bellissimo li-bro di Totò Delfino, Gente di Calabria; loscrittore di Bovalino per descrivere ilgabbacumpari utilizza le parole di Ga-briella Romeo, una studiosa di folklore:«Per poter bere occorre succhiare il liqui-do dal beccuccio del manico che pesca al-l’interno della brocca, avendo però l’ac -cortezza di chiudere prima un piccolo fo-ro che si trova nella concavità del manicostesso. Sembra che l’imperatore Neronefosse un esperto nel maneggio del gabba-cumpari, che usava come test per i povericristiani».

Demetrio Guzzardi© RIPRODUZIONE RISERVATA

LA SCHEDA

GLIOGGETTIE ISIMBOLI

viene una volta al mese, ma occorronovarie ore prima che il lungo iter si con-cluda. Troppo complesso capire e spiega-re tutto il procedimento, ma se il risulta-to sono le opere esposte nella sua botte-ga, il forno di Rocco è davvero unico. I co-lori adoperati per dipingere le ceramichesono quelli tramandati da generazioni,

che «non si rivelano al primo venuto»,ma bisogna mescolare il piombo cottocon ossidi metallici: a base di rame per ot-tenere il verde, di ferro per il giallo, dimanganese per il marrone, ai quali si ag-giunge il pigmento noto come blu Se-vres. Solo quando vado via, con la miagiacca chiara, sporca di fuliggine nera,capisco che in quella bottega c’è passatala grande arte.

«Pur vendendo creazioni artistiche – citiene a sottolineare la signora Paola Li-gato – il nostro negozio non è un’orefice -ria, dove i prezzi sono altissimi, gli og-getti standard hanno mediamente un co-sto di 20 euro a pezzo. Quelli più grandi ea doppia faccia,che a volte supe-rano anche unmetro di altezza,delle vere scultu-re, li diamo di li-stino tra 800 e1.000 euro». Lacommercializza -zione dei prodot-ti seguiva le viedei pellegrinag-gi, sulla scia del-la devozione allaMadonna dei poveri, che attirava a Semi-nara, per il ferragosto, un notevole con-corso di pellegrini, ma anche grazie allamobilità dei pignatari,che da sempreespongono le proprie mercanzie nelleprincipali fiere in tutta la regione. In at-tesa che qualcuno prenda sul serio il «so-gno di Rocco», acquistare le ceramicheartistiche di Seminara è un buon investi-mento, almeno un po’ di positività entre-rà nelle nostre case.

Demetrio Guzzardi© RIPRODUZIONE RISERVATA

I pignatarisono moltoconosciuti

in Calabria

Le operebabbaluticalabrisellee bambule

segue da pagina 37

Paolo Condoleo nella suo laboratorio Lavorazione di argilla al tornio tradizionale La moglie Paola Ligato nel suo atelier

Condoleo nel laboratorio La moglie Paola Gaetano Sindoni sul suo Guzzi del 1961 Al torchio mentre forgia un’anfora