IL SEMINATORE BSE oltre il margine, nello stretto fossato che di norma serve a convogliare l’acqua...

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Il seminatore

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Il seminatore

Questo romanzo, dal titolo così dolce ed accattivante, è inrealtà il resoconto di una serie di delitti apparsi inspiegabili,accaduti in luoghi ed in tempi mai esistiti se non nella fantasiadell’autore, per cui ogni riferimento a cose o persone, fatti econdizioni realmente esistite oppure ancora esistenti, è pura-mente casuale ed involontario anche se debbo dire che un fon-damento ispiratore reale c’è sempre nei miei romanzi. I nomidei Comuni e delle frazioni sono presi in prestito soltanto percomodità di scrittura.

Paolo NardiniPaolo NardiniPaolo NardiniPaolo Nardini

IL SEMINATOREIL SEMINATOREIL SEMINATOREIL SEMINATORE

romanzo

La vita è un grande mistero,non nel suo essere, ma nel suo scopo!

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PrefazionePrefazionePrefazionePrefazione

Era da un sacco di tempo che avevo in mente di fareuna sorta di calcolo statistico, un conteggio rapportato;non che la cosa mi entusiasmasse però m’incuriosiva,dovevo solo decidermi a fare il mio consueto giretto ci-clistico per uno dei tanti itinerari vissuti in mille e piùoccasioni però, stavolta, in maniera più pacata, obbliga-to e deciso a soffermarmi ogni qualvolta fosse stato ne-cessario per prendere eventuali appunti, sotto la vestedel ricercatore, munito di un piccolissimo blocchetto edi un lapis e, stamani, mi sono infine deciso.

Prima di mettermi in moto ho contrassegnato ognipagina del quadernetto col nome di una specie di ani-male escludendo gli insetti, le lucertole, le serpi e natu-ralmente i pesci (magari ne avessi trovati ché, in tal ca-so, avrei avuto materiale per scrivere un bel giallo) per-ché altrimenti sarei tornato a casa troppo tardi; la miaricerca invece doveva relazionarsi alle specie un pochinopiù evolute e comunissime dalle nostre parti, quindi so-no partito dai volatili in genere: passerotti, fringuelli,merli, piccioni, polli, anatre e poi i roditori: topi, talpe,scoiattoli quindi i felini (gatti), ed i canidi (cani) e, in fi-ne, se pur con ribrezzo, ho scritto anche: umani... e sonopartito.

Il mio lavoro è iniziato quasi subito, dopo aver fattoappena cento metri, naturalmente osservando la stradasolo nella mezzeria destra ed anche un poco più in là,

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oltre il margine, nello stretto fossato che di norma servea convogliare l’acqua piovana; l’altra parte sarebbe stataoggetto di osservazione al mio ritorno. Ero intenzionatoad andare avanti solo per una trentina di chilometri, ses-santa in totale, fra andata e ritorno: che volete è invernoed anche se la giornata si presenta all’insegna di un belcielo sereno e soleggiato al massimo, è pur sempre unbel freddo pungente.

Quindi, ho dovuto subito tracciare una barretta verti-cale, la prima, la numero uno, nella pagina dedicata aipiccoli volatili: sull’asfalto c’era un bel merlo nero anco-ra svolazzante ma con la testa sfracellata. Più avanti,uno dopo l’altro, due passerotti... quindi altri due segni.Beh, non voglio tirarla troppo per le lunghe, il totaledelle soste dovute ai volatili lo trovate qui in fondo.

Fatta una quindicina di chilometri si verifica un pri-mo fatto saliente, un po’ fuori dall’usuale: mentre arran-cavo in salita ho veduto davanti a me, un piccione, gri-gio, che di sicuro proveniva dall’aia di una casa colonicalì vicina, il quale si apprestava ad attraversare la stradacamminando con fare incerto anziché volando; me losono trovato davanti alla ruota anteriore; subito ho cer-cato di scacciarlo, avvisandolo del pericolo che stavacorrendo ma quello non se ne voleva volare via, mi guar-dava con le ali semiaperte struscianti sull’asfalto com-piendo dei piccoli cerchi, ho dedotto che si sentisse ma-le, forse aveva un’ala rotta, oppure era intenzionato asuicidarsi; dietro di me, che mi ero fermato, le macchineincalzavano e sono dovuto ripartire ma prima, sicurodella sua prossima fine, ho segnato un’altra barretta, nel-la pagina dei piccioni. Ancora più avanti ho veduto i re-sti di un pollo: penne rosse che coprivano un intrugliosanguinolento poi ancora più avanti di lato, come se sifosse seduto a ridosso del bastione delimitante l’asfaltoper riposarsi da una lunga camminata, ho intravisto ungatto maculato di bianco ed arancione: per ciò altri segni

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si sono aggiunti alle pagine del blocchetto. La strada,dopo una ripida salita, si è inoltrata in un boschetto diquerce ed immancabilmente, poco dopo, mi sono dovutofermare per fare due segni sotto la voce: scoiattoli. Hopreso giù in discesa verso una casa colonica situata difianco alla via, nell’aia della quale due cani sembravanodiscutere tra loro; predominava l’abbaiare di quello piùpiccolo, bianco e nero il quale dominava la scena cer-cando di impaurire e di scacciare l’altro, un grosso me-ticcio di colore bianco leggermente affumicato che, ineffetti, sembrava fortemente intimorito, sconcertato, peressersi ritrovato involontariamente ad infastidire il pic-colo ma violento padrone di quel territorio. Aveva ungrosso collare, adeguato alla sua mole e trotterellava,sbandando di qua e di là per la strada, senza sapere dovedirigersi; mi sono soffermato perplesso ed anche un po’impaurito, facendo segno di rallentare ad alcune autoche sentivo sopraggiungere da dietro, una di esse, elu-dendo i miei segnali, ha invece accelerato superandomi escansando il cane il quale, immediatamente, si è posto alsuo inseguimento scambiandola evidentemente per quel-la del suo padrone che poco prima doveva averlo abban-donato nel mezzo di strada. Sono ripartito e, più avantiun centinaio di metri, ho ritrovato il cane, trafelato, an-sante, incerto. Ho nuovamente segnalato alle auto, conla mano sinistra, di rallentare e ho dovuto proseguire macon un triste presentimento. Giunto al termine del viag-gio di andata, in un paese noto per il suo fresco climaestivo, meta di persone anziane che vi trascorrono unperiodo di vacanza per sfuggire alla calura cittadina diagosto, sono entrato nel bar e mi sono fatto servire uncappuccino, così, tanto per riscaldarmi un poco, poi horipreso la via del ritorno.

Il cane c’era ancora: due stradini lo stavano caricandosopra un’ape, era inerte; un’auto ammaccata sul davantisostava un poco più giù ed allora mi sono fermato per

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fare un segno alla pagina intitolata ai canidi. Incominciavo a stufarmi di tutte quelle soste, erano

già un paio d’ore che pativo freddo, ma mi ero ripromes-so di portare a termine quella mia ricerca. E’ stato allorache mi sono accorto di un altro gatto, questo nero, ilquale stava semi distrutto a lato dell’asfalto; proseguen-do sulla via del ritorno ancora altri uccelli, poi ho rico-nosciuto il piccione di prima, nel medesimo punto in cuil’avevo incontrato all’andata, era spiaccicato per bene inmezzo di strada, poi un altro merlo, altri passerotti e co-sì via... di seguito.

Giunto finalmente a casa mi sono messo a redigere ilseguente consuntivo:

Volatili 16 Roditori 3 (compresa una talpa) Felini 2 Canidi 1 totale................ 22

Fortunatamente non avevo avuto l’occasione di segna-re gli uomini ma non vi nascondo che molte volte ho ra-sentato l’occasione di far parte di quell’elenco che a quelpunto, comunque, altri avrebbero dovuto completare.

Ventidue esseri viventi trovati uccisi in poco più diquattro ore in sessanta chilometri di strada. Quanti po-trebbero essere nell’arco di un intero giorno? Suppo-niamo almeno quaranta ed in un anno? 365x40=14.600in sessanta chilometri di strada. Quant’è lunga la reteviaria nazionale? Non ne ho la più pallida idea, sparo unnumero a caso, forse sotto stimato:

300.000 chilometri, va bene? Risultato: 300.000:60x14.600=73.000.000 di esseri tru-

cidati in un anno, non c’è male! Che gran seminatore diseminatore diseminatore diseminatore dimortemortemortemorte è l’uomo; ma perché mister Bush è andato in Iraqa cercare le armi di distruzione di massa?

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Correva l’anno 1953 ma io, al termine delle lezioniscolastiche, correvo più di lui. In sella alla mia biciclettada corsa nuova fiammante dal bel colore rosso, priva diparafanghi, con il manubrio piegato all’ingiù come lecorna rovesciate di un vecchio bue, acquistatami da miamadre in premio alle precedenti promozioni, coi pochisudati risparmi di anni ed anni di duro lavoro come cu-stode faticante presso il palazzo comunale del nostropaese. Stavo percorrendo, come del resto facevo ognigiorno più o meno alla solita ora, la provinciale che daBorgo San Lorenzo mi avrebbe ricondotto nel paese do-ve avevo il piacere di abitare, cioè a Vicchio di Mugello.Vi sarei giunto dopo aver percorso un tragitto di circaotto chilometri di strada più o meno pianeggiante laquale, se pur asfaltata, era ricca di crepe e di buche. Sta-vo sudando a più non posso, più che altro per il peso deilibri che trasportavo racchiusi in una sorta di borsa, po-sta a tracolla, che dovevo continuamente ricollocare perbene sulla schiena per non correre il rischio di cadere.

Quel pomeriggio di venerdì ero felice; avevo ottenutoun bel sette in matematica in quell’ultimo compito inclasse che quel pazzoide mitomane di Bau Bau, il nostroinsegnante, aveva assegnato alla scolaresca prima del-l’avvento degli scrutini per l’ammissione all’esame di sta-to.

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Frequentavo la terza media presso l’Istituto SalesianoDon Bosco; i professori erano tutti dei sacerdoti com-preso, appunto, colui che era soprannominato Bau Bauper via del suo continuo abbaiare e ringhiare come uncane arrabbiato e, a volte, anche mordere violentemente.Visto da lontano pareva una statua di marmo copertocom’era di una spessa coltre di polvere bianca derivatadai gessetti che usava copiosamente per spiegare agli al-lievi tutti gli arcani della geometria e dell’algebra; sotto,naturalmente, vestiva di una tonaca nera ma evidente-mente erano anni che non la lavava. Comunque fosse,pur temendolo, ammiravo moltissimo quella sorta discienziato misantropo che, cosa rarissima per gli altricompagni, ogni tanto mi elargiva un sorriso ed una ca-rezza sul capo che m’induceva d’impulso a recarmi dinascosto presso la fontana situata in un angolo del piaz-zale adibito alle ricreazioni, per lavarmi frettolosamentela testa.

In verità egli era un bravo naturalista oltre che unmatematico; la sua camera, ove una volta fummo invitatiio ed altri due compagni di classe a visionare alcuni stru-menti astronomici che lui aveva auto costruiti, era pienazeppa di pianticelle essiccate, di piccoli e grandi fiori in-collati su numerosi e spessi fogli di carta in alto ai qualispiccavano, scritti in grassetto con inchiostro nero, i no-mi delle specie di appartenenza e le loro prerogative piùsignificative, di bottigliette colme di strani liquidi colora-ti, di insetti delle più varie specie appuntati con deglispilli a dei cartoni, e di minerali cristallizzati. Persinosotto al suo miserrimo letto ad una piazza, più che altroun giaciglio, vi erano cassette piene di barattoli di vetroermeticamente chiusi, contenenti polveri dall’aspetto si-nistro e poi alle tre pareti, esclusa quella con la porta, vierano tre scaffalature di legno composte con molteplicipiani orizzontali: una conteneva un numero imprecisa-bile di libri che dall’aspetto artistico ma logoro delle ri-