Il Ruolo dell’Alimentazione nella Salute Orale

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Il Ruolo d Spazio E dell’Alimentazione nella Salute Ora CORSO DI FORMAZIONE AVANZATA Venerdì 10 ottobre Venerdì 17 ottobre Venerdì 14 novembre Venerdì 5 dicembre 2014 o Chiossetto- Milano Via Chiossetto, 20 Evento n. 1834 1834 1834 1834 -107173 107173 107173 107173 Crediti n 30,5 30,5 30,5 30,5 ale

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Il Ruolo dell’Alimentazione nella Salute Orale

Spazio Chiossetto

Evento n.

Il Ruolo dell’Alimentazione nella Salute Orale

CORSO DI FORMAZIONE AVANZATA

Venerdì 10 ottobre Venerdì 17 ottobre

Venerdì 14 novembre Venerdì 5 dicembre 2014

Spazio Chiossetto- Milano Via Chiossetto, 20

Evento n. 1834 1834 1834 1834 ----107173107173107173107173 Crediti n 30,530,530,530,5

Il Ruolo dell’Alimentazione nella Salute Orale

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CORSO DI FORMAZIONE AVANZATA

In previsione di EXPO 2015, la Commissione dell’Albo Odontoiatri dell’Ordine dei Medici

Chirurghi e Odontoiatri di Milano, promuove l’organizzazione di un Corso di Formazione

Avanzata su Alimentazione e Salute Orale. Il corso è organizzato in collaborazione con

Università e Società Scientifiche ed ha l’obiettivo di formare “Ambasciatori” che potranno

partecipare a vario titolo ai lavori della prossima Esposizione Universale che si terrà a Milano

dal 1 Maggio al 31 Ottobre 2015.

Secondo l’O.M.S., i cambiamenti rapidi dello stile di vita, che hanno portato in molti Paesi la

diffusione di diete ricche di zuccheri e alti consumi di alcol e tabacco, sono all’origine di molte

condizioni di patologie croniche. Questi comportamenti diventano particolarmente

determinanti nell’ambito della Salute Orale, che si profila come uno dei maggiori problemi di

salute pubblica per l’alta prevalenza in ogni Regione del mondo e per il fatto che, come per

molte altre patologie, il carico economico principale pesa soprattutto sulle fasce più

svantaggiate della popolazione.

Non sempre la forte correlazione tra alimentazione e salute del cavo orale è tenuta nella giusta

considerazione, e si sente sempre più la necessità di una diffusa educazione del paziente, sia

adulto che bambino, ad una corretta assunzione di cibi e bevande.

Mangiare o bere in maniera errata può favorire patologie primarie del cavo orale quali carie,

gengiviti, parodontiti, neoplasie che possono ripercuotesi a livello sistemico, così come

patologie presenti in altri distretti corporei possono interessare direttamente o indirettamente

la salute orale: Un esempio sono le innumerevoli problematiche fisiche e psicologiche legate a

sovrappeso e obesità, condizioni che rappresentano uno dei più seri problemi di salute pubblica

attuali perché in aumento in tutte le fasce d’età.

Si aggiunga che i fattori di rischio delle malattie del cavo orale si sovrappongono in molti casi

a quelli delle malattie cardiovascolari, al diabete, al cancro e alle malattie polmonari croniche,

patologie queste in cui sono statisticamente determinanti e correlati gli stili di vita dei soggetti

interessati.

Se una corretta alimentazione può prevenire varie patologie, nonché alleviare il malessere e

favorire la guarigione in casi conclamati, è anche importante sapere come devono essere

prodotti i cibi perché abbiano la valenza nutritiva che ci si aspetta e come devono essere

cucinati perché la mantengano.

La formazione in questo campo necessita dunque dell’interazione sinergica di tutte le

professionalità deputate al mantenimento ed al ripristino della salute orale.

Le lezioni sono strutturate per analizzare le principali tappe dello sviluppo umano - Donna

gravida (donna e feto); Bambino; Adolescente; Giovane; Adulto; Anziano - e forniranno ai

discenti gli elementi utili per poter acquisire le capacità necessarie a divulgare la prevenzione,

gestire l’informazione, trattare e/o indirizzare correttamente i propri pazienti.

Il Corso sarà erogato in 4 giornate di didattica frontale in aula (10/10; 17/10; 14/11; 5/12

2014); al termine di ogni giornata si svolgerà una verifica di apprendimento che sarà attuata

tramite un colloquio orale con i Docenti.

PROGRAMMA

Venerdì 10 ottobre 2014

Ore 8.30-9.00 Registrazione Partecipanti

Saluti, Benvenuto E Presentazione Del Corso Ore 9.00-10.00

� Saluto del Dott. Roberto Carlo Rossi, Presidente dell’Ordine e del Dott. Valerio G. Brucoli, Presidente dell’Albo degli Odontoiatri

� Saluto delle Autorità accademiche

� Prof. Antonio Carrassi

Presidente del Comitato di Direzione della Facoltà di Medicina - UNIMI � Prof. Roberto Weinstein

Direttore del Dipartimento di Scienze Biomediche, Chirurgiche e Odontoiatriche - UNIMI

� Prof. Enrico Gherlone Presidente eletto del Collegio dei Docenti in Odontoiatria

� Presentazione del Corso a cura del Coordinatore

Prof. Alessandro Miani Ricercatore Confermato e Professore Aggregato di Stomatologia Preventiva Dipartimento di Scienze Biomediche, Chirurgiche e Odontoiatriche - UNIMI

� FOCUS ON Alimentazione e Salute Orale

Prof. Giampietro Farronato Professore Ordinario di Malattie Odontostomatologiche Dipartimento di Scienze Biomediche, Chirurgiche e Odontoiatriche Presidente del Corso di Laurea in Odontoiatria e Protesi Dentaria - UNIMI

Alimentazione Della Donna Gravida

Ore 11.30-13.00

� Alimentazione corretta della donna in gravidanza Prof.ssa Evelina Flachi Nutrizionista, già Professore a contratto di Nutrizione per il Benessere – UNIMI Vice Presidente della Fondazione Italiana per l’Educazione Alimentare

Ore 13.00-14.00 Intervallo

Ore 14.00-17.00

� Abitudini alimentari: raccolta ed elaborazione statistica dei dati Prof. Adriano Decarli Professore Ordinario di Statistica Medica Dipartimento di Scienze Cliniche e di Comunità – UNIMI

� La sicurezza alimentare prerequisito per la salute Prof. Luigi Bonizzi Direttore del Dipartimento di Scienze Veterinarie e Sanità Pubblica - UNIMI

� Alimentazione e salute, incidenza economica sul SSN Prof. Paolo Tiberi Professore a contratto di Organizzazione aziendale Dipartimento di Scienze Biomediche, Chirurgiche e Odontoiatriche - UNIMI

Ore 17.00-18.00 Discussione e verifica dell’apprendimento

Venerdì 17 ottobre 2014

Ore 8.30-9.00 Registrazione Partecipanti

Alimentazione Del Bambino Ore 9.00-13.00

� Nutrizione in età evolutiva e salute a lungo termine Prof.ssa Lorella Giannì Ricercatore Confermato e Professore Aggregato di Pediatria Dipartimento di Scienze Cliniche e di Comunità - UNIMI

� La carie della prima infanzia: aspetti clinici ed esiti di interesse ortognatodontico Prof. Roberto Biagi Ricercatore Confermato e Professore Aggregato di Odontoiatria Pediatrica Dipartimento di Scienze Biomediche, Chirurgiche e Odontoiatriche - UNIMI

� Terapia ortodontica e alimentazione: approccio psicopedagogico al piccolo paziente Prof.ssa Maria Assunta Mauri Professore a contratto di Didattica e Pedagogia Speciale Dipartimento di Scienze Biomediche, Chirurgiche e Odontoiatriche - UNIMI

Ore 13.00-14.00 Intervallo Ore 14.00-17.00

� Educazione alimentare nel bambino Prof.ssa Evelina Flachi Nutrizionista, già Professore a contratto di Nutrizione per il Benessere - UNIMI Vice Presidente della Fondazione Italiana per l’Educazione Alimentare

� Ruolo dei microrganismi nell’alimentazione Prof. Roberto Mattina Professore Ordinario di Microbiologia e Microbiologia Clinica Dipartimento di Scienze Biomediche, Chirurgiche e Odontoiatriche Direttore della Scuola di Specializzazione in Microbiologia e Virologia – UNIMI

� Alimentazione e prevenzione: il ruolo del prelievo salivare Dott. Marco Tremolati Dottorando di Ricerca in Scienze Fisiopatologiche, Neuropsicobiologiche ed Assistenziali del Ciclo di Vita e Assegnista di Ricerca del Dipartimento di Scienze Biomediche, Chirurgiche e Odontoiatriche - UNIMI Ore 17.00-18.00 Discussione e verifica dell’apprendimento

Venerdì 14 novembre 2014

Ore 8.30-9.00 Registrazione Partecipanti

Alimentazione Dell’Adolescente

Ore 9.00-13.00

� Usure dentarie, dalla paleonutrizione alla dieta odierna Prof. Luca Levrini Presidente del Corso di Laurea in Igiene Dentale Direttore del Centro di Ricerca Universitario Oro Cranio Facial Disease and Medicine Dipartimento di Scienze Chirurgiche e Morfologiche - UNINSUBRIA Dirigente Medico Universitario -Ospedale di Circolo di Varese

� Prevenzione, il ruolo della comunicazione medica Dott. Massimo Cherubini Consigliere Regionale dell’Ordine dei Giornalisti della Lombardia Direttore del magazine AboutPharma and MedicalDevices

� Nutraceutica e salute orale: evidenze cliniche Prof. Marcello Iriti Ricercatore Confermato e Professore Aggregato di Patologia Vegetale Dipartimento di Scienze Agrarie e Ambientali - Produzione, Territorio, Agroenergia- UNIMI

� Alimentazione e Postura Dott. Paolo Parente Osteopata Direttore Generale di TCIO - Take Care Istituto Osteopatico

Ore 13.00-14.00 Intervallo

Alimentazione Del Giovane

Ore 14.00-17.00

� Si deve rinunciare all’aperitivo? Prof.ssa Claudia Dellavia Ricercatore Confermato e Professore Aggregato di Anatomia Umana Dipartimento di Scienze Biomediche, Chirurgiche e Odontoiatriche - UNIMI

� La ricerca della qualità alimentare come leva di riqualificazione dell’identità territoriale e storico-culturale lombarda Arch. Marco Giachetti Consigliere di Amministrazione Fondazione IRCCS Cà Granda, Ospedale Maggiore Policlinico Delegato al Progetto di Valorizzazione del Patrimonio Rurale della Fondazione

� Healthypot Dott.ssa Margherita Landra e Sig.ra Laura Landra Titolari de “La Nostra Cucina” -Milano

Ore 17.00-18.00 Discussione e verifica dell’apprendimento

Venerdì 5 dicembre 2014

Ore 8.30-9.00 Registrazione Partecipanti

Alimentazione Dell’adulto Ore 9.00-13.00

� I composti protettivi della dieta Prof. Paolo Simonetti Professore Associato di Nutrizione delle Collettività Dipartimento di Scienze per gli Alimenti, la Nutrizione e l’Ambiente - UNIMI

� Alimentazione e tumori del cavo orale: dalla prevenzione alla riabilitazione post oncologica Prof. Aldo Bruno Giannì Professore Ordinario di Chirurgia Maxillofacciale Dipartimento di Scienze Biomediche, Chirurgiche e Odontoiatriche - UNIMI Direttore U.O.C. di Chirurgia Maxillofacciale ed Odontostomatologia Fondazione IRCCS Cà Granda, Ospedale Maggiore Policlinico

� Edentulia: sostenibilità della protesi su impianti osteointegrati per una efficace alimentazione Prof. Andrea Edoardo Bianchi Titolare dell'Insegnamento di Parodontologia CLID – Università Vita-Salute San Raffaele - Presidente dell’Istituto Stomatologico Italiano

� Comunicare con il sorriso Dott.ssa Susanna Messaggio Giornalista Amministratore Delegato di SM Strategie di Comunicazione

Ore 13.00-14.00 Intervallo

Alimentazione Dell’Anziano Ore 14.00-17.00

� Nutrizione, salute orale e salute generale nell’anziano Prof. Andrea Sardella Presidente del Corso di Laurea in Igiene Dentale Dipartimento di Scienze Biomediche, Chirurgiche e Odontoiatriche - UNIMI

� Alimentazione, Obesità e Longevità Prof. Michele Carruba Professore Ordinario di Farmacologia Direttore del Centro Studi e Ricerca sull’Obesità Dipartimento di Biotecnologie Mediche e Medicina Traslazionale -UNIMI

� Esercizio fisico adeguato e alimentazione corretta: binomio inscindibile per il benessere Prof. Arsenio Veicsteinas Presidente del Collegio Didattico Unico della Scuola di Scienze Motorie Dipartimento di Scienze Biomediche per la Salute- UNIMI

Ore 17.00-18.00 Discussione e verifica dell’apprendimento

Alimentazione, Odontoiatria Ed Expo

Dott. Valerio G. Brucoli Presidente CAO

Ordine dei Medici Chirurghi e degli Odontoiatri di Milano

Ci stiamo avviciniamo a grandi passi verso l’avvenimento più importante del prossimo anno,

per lo meno per Milano. Mi riferisco all’EXPO e ai temi che propone, al netto di tutti gli

scandali che oramai sembra scontato accompagnino questo tipo di eventi in qualunque

parte del mondo vengano organizzati.

Situazione paradossale, se pensiamo che il tema proposto dell’alimentazione è forse quello

che più di altri rimanda al bisogno di equità e rispetto per il prossimo, cioè di armonia,

mentre la corruzione si associata a quell’egoismo estremo che spesso porta al conflitto: il

problema è che al giorno d’oggi è difficile dire quale sia l’esatto confine tra il conflitto (sia

economico che altro) e la spietata concorrenza (fattore che alcuni ritengono positivo per lo

sviluppo).

E’ una situazione di cui anche noi odontoiatri cominciamo ad avere parecchie esperienze

dirette, schiacciati tra necessità etiche, pressioni di una società sempre più mercantile e una

crisi economica che incide sia in termini di difficoltà personali che di gestione della nostra vita

professionale.

Se l’evento EXPO 2015 cade per noi in un momento difficile, è pur vero che queste difficoltà

sono globali. Forse il tema “alimentazione” è quello che più le sottolinea e ci spinge a

riflettere, in tempi di ottimizzazione delle risorse, su alcune priorità: tra queste c’è sicuramente

la valorizzazione della prevenzione.

In un momento in cui molti nostri pazienti faticano ad accedere alle cure odontoiatriche è

infatti sempre più necessario insistere su una prevenzione che vada oltre lo scontato

dentifricio e spazzolino e comprenda anche le abitudini alimentari e gli stili di vita.

Se da una parte è un discorso che presuppone un’ampia consapevolezza tra la popolazione,

dall’altra ci mette di fronte ad alcune responsabilità come l’approfondire questioni di ordine

sociale a cui magari non sempre poniamo attenzione (per poter assolvere meglio al ruolo di

educatori), adeguare l’approccio con il nostro paziente per aumentare la conoscenza sulla

sua salute generale oltre a quella orale, creare con lui un rapporto che ci permetta di arrivare

a capire quali siano le abitudini familiari e sociali che potrebbero avere una possibile

incidenza.

Per quanto riguarda il primo aspetto, le questioni sociali vanno sicuramente inquadrate

nell’ambito di un mondo che va a due velocità, con problemi di denutrizione da una parte e

di diete ipercaloriche dall’altra, oltre a quelli legati all’inquinamento e allo spreco delle risorse.

Venendo a noi, lo stesso O.M.S. ha specificato come i rapidi cambiamenti dello stile di vita,

con la diffusione in parecchi Paesi di diete ricche di zuccheri e alti consumi di alcol e tabacco -

all’origine di molte condizioni di patologie croniche -, siano particolarmente determinanti

nell’ambito della Salute Orale.

A causa dell’alta incidenza, questo si profila come uno dei maggiori problemi di salute

pubblica nel mondo anche perché il carico economico principale va a pesare soprattutto sulle

fasce più svantaggiate della popolazione.

Non è un discorso facile perché gli alimenti ipercalorici, almeno dalle nostre parti, sono molte

volte quelli che costano meno, a partire dalle bevande gassate: allora bisognerebbe

ragionare sulle logiche produttive (ma anche “educative” tramite pubblicità) delle

multinazionali, sul valore nutritivo di prodotti che fanno il giro del mondo in contrapposizione

a quelli a chilometri zero, su come bisogna prepararli in un mondo dove il precotto spopola,

le loro modalità di assunzione e così via.

Tutto ciò rimanda al secondo aspetto ed al fatto che non sempre la forte correlazione tra

alimentazione e salute del cavo orale (passando per quella dell’intero organismo) sia tenuta

nella giusta considerazione. Una diffusa educazione dei pazienti adulti e bambini ad una

corretta assunzione di cibi e bevande è sicuramente una necessità.

Sappiamo (ma sugli esatti meccanismi è sempre bene aggiornarsi) come mangiare o bere in

maniera errata possa favorire patologie primarie del cavo orale quali carie, gengiviti,

parodontiti, neoplasie che a loro volta possono ripercuotesi a livello sistemico. Così come

patologie presenti in altri distretti corporei possono interessare direttamente o indirettamente

la salute orale: un esempio sono le innumerevoli problematiche fisiche e psicologiche legate a

sovrappeso e obesità, condizioni che rappresentano uno dei più seri problemi di salute

pubblica attuali perché in aumento in tutte le fasce d’età.

Si aggiunga che i fattori di rischio delle malattie del cavo orale si sovrappongono in molti casi

a quelli delle malattie cardiovascolari, al diabete, al cancro e alle malattie polmonari

croniche, tutte patologie in cui sono statisticamente determinanti gli stili di vita dei pazienti

interessati.

Il terzo aspetto riguarda l’incidenza delle abitudini familiari e sociali sulla salute. Sappiamo

che, se da una parte una corretta alimentazione può prevenire varie patologie nonché

alleviare il malessere e favorire la guarigione in casi conclamati, dall’altra è anche importante

tutto ciò che ci sta intorno, a partire dalle modalità di assunzione del cibo. Una questione

definibile nel suo complesso come “convivialità”, concetto strettamente legato a quello di

qualità di vita.

Ed è proprio il dare un senso pratico al concetto di qualità e a quello di equità - che

applicati al nostro ambito significa non soggiacere alla dittatura del sottocosto e delle

conseguenti cure -, che ci hanno spinto come Commissione Odontoiatri ad organizzare un

corso di aggiornamento su questo argomento.

In collaborazione con Università e Società Scientifiche, lo abbiamo strutturato come un corso

di perfezionamento universitario ed articolato in 4 giornate durante le quali sono analizzate

le problematiche alimentari delle principali tappe dello sviluppo umano (gravidanza, età

pediatrica, adulta, geriatrica) nonché sviluppate le capacità di divulgare la prevenzione, di

gestire l’informazione, di trattare e indirizzare correttamente i propri pazienti.

Un modo per diventare, ancora prima che Ambasciatori di Expo, Ambasciatori della nostra

professione.

Dott. Marco TremolatiDott. Marco TremolatiDott. Marco TremolatiDott. Marco Tremolati Dottorando di Ricerca in Scienze Fisiopatologiche, Neuropsicobiologiche ed Assistenziali del Ciclo di Vita e Assegnista di Ricerca del Dipartimento di Scienze Biomediche, Chirurgiche e

Odontoiatriche - UNIMI

FOCUS ON Alimentazione e Salute Orale

In questa relazione sarà messo in luce il ruolo fondamentale dell’odontoiatria nella

promozione di una corretta alimentazione, non soltanto analizzando come grazie a

cambiamenti nella dieta si possa migliorare la propria salute generale e orale, ma

anche, citando Ira B. Lamster “Dentists can become advocate for a general health

promotion and disease prevention message” (i dentisti possono diventare i

sostenitori/difensori del messaggio della promozione della salute generale e della

prevenzione delle malattie).

È infatti unica la possibilità di controllare il paziente con la frequenza e la preparazione

che uno studio odontoiatrico di oggi “deve avere”.

Una dieta sana ed equilibrata è un concetto basilare della prevenzione che deve essere

ampliato sempre maggiormente, sarà quindi focalizzata l’attenzione su differenti

popolazioni e problematiche odontoiatriche ed il loro rapporto con l’alimentazione.

Prof.ssa Evelina FlachiProf.ssa Evelina FlachiProf.ssa Evelina FlachiProf.ssa Evelina Flachi Nutrizionista, già Professore a contratto di Nutrizione per il Benessere - UNIMI

Vice Presidente della Fondazione Italiana per l’Educazione Alimentare

Alimentazione corretta della donna in gravidanza

Oltre al fabbisogno energetico e proteico, cresce la richiesta di calcio, ferro, vitamina

B12 e acido folico. Perciò è necessario seguire una dieta variata, con pasta e riso anche

integrali, carne magra, pesce (tranne i molluschi e i predatori di grossa taglia come

tonno e spada che possono accumulare nei tessuti sostanze nocive), uova, latte e

formaggi freschi insieme a verdura e frutta di stagione.

È bene limitate le fritture e gli intingoli e preferire i grassi vegetali, in particolare l’olio

extravergine a crudo. È importante bere molto, almeno 2 l di acqua al giorno, magari

integrando con spremute e tisane, mentre vanno consumati con estrema moderazione

tè e caffè, birra e vino.

Da evitare, invece, superalcolici, cibi piccanti (se non si è abituate), salumi, pesce e

carne crudi o poco cotti per il rischio toxoplasmosi.

A questo proposito ricordo che se non si è immuni al Toxotest è necessario lavare

insalata e frutta lasciandole in ammollo per circa 20 minuti con acqua e

bicarbonato oppure con un disinfettante specifico e risciacquandole poi

abbondantemente. Per la frutta è consigliabile anche eliminare la buccia.

Prof. Luigi BonizziProf. Luigi BonizziProf. Luigi BonizziProf. Luigi Bonizzi Direttore del Dipartimento di Scienze Veterinarie e Sanità Pubblica - UNIMI

La Sicurezza Alimentare Un Prerequisito Per La Salute

L’industrializzazione e la globalizzazione dei mercati hanno portato ad un’agricoltura

sempre più “anonima” dove le materie prime sono prelevate ed acquistate dove è più

conveniente farlo e spesso non si è più in grado di conoscere né l’origine degli alimenti,

né le imprese produttrici.

Uno dei punti di forza del sistema produttivo italiano è costituito dalla straordinaria

gamma e varietà di prodotti agroalimentari e tra questi, i prodotti tipici e tradizionali

costituiscono un settore portante e addirittura vitale soprattutto perché ciascun

prodotto, sviluppatosi e affermatosi in rapporto a precisi ambiti territoriali e contesti

sociali, economici e culturali, rappresenta di per sé un valore.

La trasparenza circa l’origine dei prodotti alimentari, ed in particolare dei prodotti

animali, è ormai considerata una componente importante della qualità e della sicurezza,

così come viene percepita dai consumatori. Inoltre, rappresenta un importante

elemento per la competitività e la valorizzazione dei prodotti agroalimentari nei

mercati sia a livello locale, che a livello nazionale e internazionale oltre che per la

difesa degli stessi produttori da imitazioni e contraffazioni che potrebbero danneggiare

dal punto di vista economico l’intera filiera e minare la fiducia dei consumatori.

La tracciabilità rappresenta pertanto un fondamentale aspetto per garantire la qualità e

la sicurezza degli alimenti, tutelando il consumatore ma anche il produttore, da

possibili frodi. La tracciabilità è inoltre indispensabile per qualsiasi politica di qualità:

dalle produzioni a denominazione d’origine protetta o garantita (DOP, IGP) ai

prodotti tradizionali. Rappresenta la chiave della qualità per prodotti normali ottenuti

in modo conforme alle leggi, in quanto vengono caratterizzati dalla peculiarità di avere

una storia identificata. Quando poi questa storia richiama valori legati al territorio

d’origine, la tracciabilità diventa un ulteriore fattore di promozione ed offre al

consumatore, oltre alla sicurezza, anche la soddisfazione di attese culturali proprie di

quel territorio.

La tracciabilità delle produzioni animali è un mezzo fondamentale e necessario per

salvaguardare e sostenere la zootecnia italiana.

La certezza della provenienza geografica, nella quale convivono aspetti legati alla

tradizione, alla tipicità ed alla peculiarità dei processi produttivi ed il semplice

desiderio del consumatore di riappropriarsi delle produzioni del proprio territorio è

quindi lo strumento che consente di enfatizzarne la “qualità” in senso più ampio

possibile. La genetica e le tecniche ad essa associata hanno consentito e consentono in

modo molto specifico la correlazione del prodotto all’animale, ma questo ormai non

basta più risulta sempre più indispensabile ottenere una tracciabilità territoriale del

prodotto di origine animale e non solo.

Le matrici alimentari costituiscono elementi molto complessi contenente vari composti

di origine animale, vegetale e microbica e il loro contenuto sia sotto l’aspetto

qualitativo che quantitativo è generalmente determinato sia dall’area geografica di

produzione sia dalle strategie di gestione degli animali in allevamento.

E’ ormai ampiamente evidente che il microbioma costituisce un’impronta digitale del

prodotto alimentare. Ad esempio, il microbioma del latte dipende in particolare

dall’alimento, dall’ambiente circostante e anche dalle condizioni sanitarie e dal

benessere dell’animale. La stessa bovina gestita in ambienti differenti seleziona un

microbioma diverso che caratterizza il prodotto.

Più in generale l’adattamento di alcuni batteri tipici di un prodotto alimentare, in

relazione all’ambiente, può tradursi in una modifica dell’espressione delle proteine, in

particolar modo metaboliche, che possono essere esse stesse indicatori molecolari di

provenienza.

La caratterizzazione di consorzi microbici e/o loro prodotti mediante piattaforme

proteomiche avanzate (e.g., spettrometria di massa MALDI-TOF, MALDI

BIOTYPER) rappresenta uno delle principali innovazioni nel settore della

microbiologia. Oltre alle classiche metodiche di separazione elettroforetica e

spettrometria di massa metodiche di peptide profiling e di AtmosphericSolids Analysis

Probe* (ASAP) risultano molto utili nell’analisi di materiale biologico anche

alimentare (olio; latte ecc.) in maniera rapida e specifica per evidenziare le

modificazione indotte dall’ambiente o ancora per evidenziare eventuali sofisticazioni o

alterazioni con eccellenti limiti di sensibilità e specificità.

Infine, l’evidenza che un prodotto ottenuto in montagna o in pianura, per esempio un

formaggio, hanno aromi differenti. e la messa a punto di nasi elettronici e olfattometri

che utilizzano sensori che variano la propria conducibilità elettrica in funzione della

presenza di più specie chimiche, traducendo la presenza di sostanze volatili in un

segnale elettrico ed in particolare crea l’impronta olfattiva di un alimento standard, la

memorizza per poi confrontarla con altre proveniente da aree geografiche e condizione

di produzione differenti.

Le tematiche inerenti l’alimentazione e la sicurezza alimentare hanno acquisito nella

società contemporanea ricadute che vanno oltre l’aspetto fisiologico del nutrimento

quale fonte indispensabile di energia per la vita.

Concetti inerenti la sicurezza alimentare e la qualità dei prodotti vengono

quotidianamente trattati a livello mediatico in maniera spesso poco scientifica

seguendo il mero obbiettivo commerciale di “vendere” il prodotto; risulta quindi

importante fare un po’ di chiarezza a livello scientifico.

Cibi di cattiva qualità, contaminati o non conservati correttamente possono costituire

fattori di rischio consistenti e sono causa di malattia e morte per milioni di persone

ogni anno.

La storia dell’alimentazione, e delle tecnologie sviluppate dall’uomo per conservare i

cibi nel tempo, ha accompagnato lo sviluppo dell’umanità fin dall’inizio, come

testimoniano i numerosi reperti fossili, le iscrizioni e le immagini ritrovate negli scavi

archeologici. Al problema, tutt’altro che risolto per gran parte dell’umanità, di

assicurarsi una quantità sufficiente di cibo per sopravvivere, si è affiancato in tempi più

recenti, soprattutto nei Paesi industrializzati, l’esigenza di mettere in atto una serie di

misure volte a garantire la sicurezza e la qualità degli alimenti che vengono prodotti e

immessi sul mercato o distribuiti attraverso le catene di ristorazione.

Al concetto di sicurezza alimentare, intesa come diritto a una quantità equa di alimenti

per ciascun essere umano, si aggiunge quindi una sicurezza intesa come preservazione

della qualità organolettica e microbiologica degli alimenti, oltre che della loro tipicità e

tradizione.

La parola “microrganismi” viene spesso associata, soprattutto a livello mediatico, a

qualcosa di estremamente negativo, basta recarsi in un qualsiasi supermercato per

accorgersi che dagli scaffali dei saponi e dei detergenti per la casa è stata dichiarata una

guerra di sterminio verso tutti i batteri o “germi”. In realtà questo concetto va

completamente rivisto alla luce del fatto che il mondo in cui viviamo è ampiamente

abitato da microrganismi a partire dal nostro corpo, dagli alimenti e dall’ambiente fino

a concludere che i microrganismi sono indispensabili per la vita dell’uomo.

Molti dei cibi che consumiamo sono il risultato di una trasformazione microbica utile;

di contro gli stessi cibi, se non adeguatamente preparati e conservati vanno anche

incontro a un deterioramento microbico.

I recenti sforzi realizzati per contrastare e prevenire l’insorgenza delle tossinfezioni di

origine animale che hanno impegnato a differenti livelli tutti i Paesi e il danno

economico derivato hanno ribadito la necessità di rafforzare la collaborazione fra tutte

le competenze scientifiche coinvolte nella filiera “uomo-animale-ambiente” per

affrontare la sfida delle emergenze sanitarie. A tale proposito l’Organizzazione

mondiale della sanità (OMS), la Food and Agriculture Organization (FAO) e

l’organizzazione mondiale per la salute animale (OIE) hanno siglato una formale

adesione al progetto “onehealth” e hanno individuato quali principali problematiche da

affrontare le resistenze microbiche. In particolare il fenomeno della resistenza agli

antibiotici, dovuto soprattutto al frequente ed inappropriato utilizzo di tali farmaci,

pone attualmente seri problemi a livello di sanità pubblica mondiale e rappresenta

un’emergenza sanitaria.

L’appuntamento EXPO’ 2015 suggerisce la presentazione del Sistema Paese come

esempio di garanzia della Sicurezza Alimentare e di valorizzazione delle produzioni.

L’obiettivo prioritario è garantire la sicurezza del consumatore guidandolo a scelte

consapevoli attraverso un percorso di trasparenza, informazione e divulgazione delle

conoscenze.

Prof. Paolo TiberiProf. Paolo TiberiProf. Paolo TiberiProf. Paolo Tiberi Professore a contratto di Organizzazione aziendale

Dipartimento di Scienze Biomediche, Chirurgiche e Odontoiatriche - UNIMI

Alimentazione e salute, incidenza economica sul SSN

Il ruolo del servizio sanitario nazionale si struttura attorno all’organizzazione di

risposte, materiali e simboliche finalizzate a produrre specifici servizi aventi lo scopo di

mantenere e migliorare lo stato di salute di una popolazione mediante pratiche

professionali che impiegano conoscenze scientifiche1.

Al suo centro sta il concetto di salute intesa come benessere complessivo della persona

e questione centrale nelle politiche di tutti i paesi occidentali. Queste affermazioni

portano con loro alcune dimensioni ulteriori di analisi che in questo articolo

cercheremo di individuare, descrivere ed analizzare.

Da più di mezzo secolo la salute è divenuta chiaramente una questione degna di

interesse pubblico e su di essa si incentrano enormi sforzi economici, organizzativi e

culturali. I sistemi sanitari sono gli strumenti attraverso cui tutto ciò si concretizza

poiché creare salute è propriamente il loro fine ultimo.

Andando ad analizzare le complesse strutture che ne costituiscono la base portante

possiamo affermare che ogni sistema sanitario si compone di sottosistemi che

interagiscono tra loro di cui i principali sono (1) la popolazione, che esprime bisogni di

salute, (2) la produzione, che ha lo specifico compito di generare e fornirei servizi

sanitari e (3) il sottosistema del finanziamento.

Parlare di sistema sanitario non può quindi in alcun modo rifarsi ad un concetto

singolare ed astratto. Ogni sistema è invece un evento sociale, dialettico che incrocia

influenze e prospettive distinte. Dovremmo dunque più opportunamente parlare di

universo sociale e socio-sanitario con la consapevolezza che in ogni sistema al mutare

di una singola parte si osserva un riverbero su tutte le altre.

1G. L. Bulsei, Il servizio sanitario nazionale tra decisioni politico-amministrative e pratiche sociali in R.

Balduzzi (a cura di), Trent’anni di Servizio sanitario nazionale. Un confronto interdisciplinare, Il

Mulino, Bologna, 2009

La salute è quindi frutto di un evento multiplo, complesso e non il risultato (astratto)

della sola azione delle scelte strategico – politiche compiute in sede centrale dai vari

stati e nemmeno del solo sistema sanitario.

I fattori che influenzano la salute di un individuo o di una popolazione sono in parte

fuori dal controllo degli individui stessi (si pensi ad esempio al sistema ambientale o

all’organizzazione sociale), ma in parte dipendono dalla loro propria condotta.

Attraverso uno stile di vita salubre o insalubre possiamo affermare che, in ultima

analisi, ogni individuo è il vero “produttore” della propria salute migliorando o

peggiorando il patrimonio genetico che eredita alla nascita.

In particolare, il cosiddetto modello comportamentale ha opportunamente attirato

l’attenzione di decisori ed operatori della sanità sul fatto che le patologie sono spesso il

risultato di comportamenti, condizioni e stili di vita.

Molte delle malattie che caratterizzano la società moderna sono il frutto delle abitudini

di consumo. Stando a quanto affermato dall’Organizzazione mondiale della sanità

(Oms)2, le consuetudini alimentari e gli stili di vita diffusi nell’ultimo secolo, ed in

particolare la diffusione di diete ricche di zuccheri e alti consumi di alcol e tabacco,

sono all’origine di molte condizioni di salute croniche. Nel campo della salute dentale

tali comportamenti si mostrano determinanti sia per il numero delle loro occorrenze in

ogni regione del mondo sia per il fatto che, come molte altre malattie, il carico

principale pesa soprattutto sulle fasce più svantaggiate della popolazione.

Negli Stati Uniti le cause di morte prematura sono attribuibili per il 40% a

comportamenti individuali, per il 30% a fattori genetici, per il 15% a fattori sociali, per

il 5% a rischi ambientali e per il 10% a difficoltà di accesso all’assistenza sanitaria.3

Come scritto il sistema sanitario è dunque uno dei fattori che concorrono al

miglioramento della salute. Oltre ai fattori di morte è bene evidenziare come nel caso

delle patologie croniche (e in questo molte delle malattie del cavo orale possono essere

sovrapposte a tali patologie.) l’unico rimedio realmente efficacie è l’eliminazione dei

fattori di rischio fatto sul quale la sanità può fare relativamente poco se non rallentarne

il decorso, riparare i danni e riportare ad una funzionalità accettabile l’organo o il

tessuto danneggiato.

Questo introduce l’elemento legato al consumo di risorse che nel caso di un sistema

sanitario è particolarmente gravoso nel contesto economico di una nazione. Le risorse

consumate sono di diverso ordine (lavoro, capitali, beni e servizi), ma legandoci ai dati

2 Ottawa Charter for Health Promotion. WHO, Geneva, 1986

3McGinnis, J.M., Williams – Russo, P. e Knickman, J.R. (2002), The case form more active policy attention

to health promotion, in “Healthaffairs”, 21, 2, pp. 78-93

più chiari, ovvero quelli relativi alla spesa analizzata secondo la contabilità nazionale

nel 20104 l’Italia ha speso 142 miliardi di euro per finanziare le prestazioni sanitarie5

sul proprio territorio.

Come è noto l’ammontare complessivo di tale spesa analizzato in termini assoluti ha

uno scarso potere esplicativo e risulta invece particolarmente interessante individuare

l’incidenza della spesa sanitaria sul PIL.

Nel 2010 tale spesa ha rappresentato il 9,2% del prodotto interno lordo italiano.

Isolando la sola spesa pubblica da quella privata, rispetto alla spessa dello stato sociale,

la sanità incide per il 7,5 % sul PIL, le pensioni per il 15,3%, l’assistenza per il 2,1% e

l’istruzione per il 4,2%. Altro dato rilevante ai fini di questa trattazione riguarda la

spesa sanitaria suddivisa per destinazione. Essa si divide per il 45% alle cure

ospedaliere, il 16% ai servizi medici, dentistici e diagnostici, il 13% ai farmaci, il 4%

all’acquisto di articoli sanitari e il 4% alle spese di amministrazione del SSN.

Il peso dei servizi dentistici chiaramente aumenta laddove l’analisi si focalizza

esclusivamente sulla spesa privata. In questo caso essa è composta per il 26% da spese

per farmaci (fuori prontuario e ticket) ed oltre un terzo (37%) da spese per i servizi

medici specialistici e dentistici, 16% cure in cliniche private e il 20% per articoli

sanitari e materiale terapeutico.

Appare evidente come le cifre messe in campo debbano trovare una loro giustificazione

principalmente in un’ottica di efficacia e di ricaduta sulla salute della popolazione.

Ma se quanto abbiamo descritto sopra corrisponde al vero, cioè che un numero sempre

maggiore di patologie dipendono principalmente da fattori slegati dalla produzione dei

servizi sanitari, appare chiaro come occorra una riflessione approfondita sul grado della

loro opportunità. In particolare ciò su cui è indispensabile concentrare l’attenzione,

soprattutto in relazione al perdurare della crisi economica, riguarda dunque proprio gli

investimenti nella promozione di stili di vita sani.

Attraverso politiche di questo tipo la possibilità di influenzare i comportamenti della

popolazione può avere in ultima istanza proprio un esito positivo nel diminuire il

numero di patologie croniche (e lo stesso dicasi per determinate patologie incidenti nel

campo odontoiatrico) così da permettere un significativo recupero di risorse.

4 Elaborazioni su OecdHealth Data 2011, Paris.

5 La spesa sanitaria rappresenta il valore dei beni e servizi che gli individui consumano per curare la

propria salute. Fanno parte della spesa sanitaria: la spesa sanitaria pubblica (ovvero la somma delle

spese delle amministrazioni pubbliche e delle prestazioni acquistate in convenzione dagli operatori di

mercato) e la spesa sanitaria privata (data dagli acquisti diretti delle famiglie sul mercato privato).

In conclusione possiamo dunque affermare che gli atteggiamenti individuali e gli stili

di vita hanno un peso rilevante nella composizione della spesa analizzata, anche se ciò

non si manifesta in prima battuta con i dati disponibili, poiché tramite l’erogazione di

servizi sanitari vengono concentrati importanti sforzi volti alla cura delle patologie

croniche che in qualche misura potrebbero essere prevenute attraverso altri tipi di

investimenti, primi fra tutti quelli nella prevenzione.

Prof.ssa Prof.ssa Prof.ssa Prof.ssa Maria Lorella GiannìMaria Lorella GiannìMaria Lorella GiannìMaria Lorella Giannì Prof.ssa Prof.ssa Prof.ssa Prof.ssa Daniela MorniroliDaniela MorniroliDaniela MorniroliDaniela Morniroli

NICU, Department of Clinical Sciences and Community Health, Fondazione IRCCS Cà Granda Ospedale Maggiore Policlinico, Università degli Studi di Milano, Italy

Nutrizione in età evolutiva e salute a lungo termine La nutrizione nelle prime epoche della vita ed il pattern di crescita che ne consegue

sembrano avere un effetto di “programming”, giocando un ruolo importante nella

prevenzione di malattie cronico-degenerative in età adulta, quali l’obesità, il diabete,

l’ipertensione arteriosa e le malattie cardiovascolari. Con il termine “programming” ci

si riferisce, infatti, agli effetti biologici a distanza che uno stimolo in una fase critica

dello sviluppo è in grado di esercitare.

In un percorso ideale, la prevenzione, iniziata già durante la gravidanza, deve poi

proseguire con la promozione dell’allattamento materno.

Il latte materno, infatti, rappresenta l’alimento ideale per il lattante poiché è specie-

specifico, bilanciato dal punto di vista nutrizionale e dotato di numerose caratteristiche

che lo rendono qualitativamente e funzionalmente superiore rispetto al latte vaccino: è

sicuro dal punto di vista microbiologico poiché sterile; contiene sostanze

immunologicamente attive; è un alimento dinamico con una composizione

estremamente variabile (da mamma a mamma, nell’arco della giornata, nell’ambito

della stessa poppata e in base al momento della lattazione).

Il latte materno maturo ha un contenuto proteico medio di 1.2 g/dl, di cui un 20% è

rappresentato da azoto non proteico, in particolare dalla glutamina, aminoacido non

essenziale che aumenta il potere antibatterico dei neutrofili ed agisce positivamente sul

metabolismo delle cellule immunitarie e degli enterociti; dalla creatina, dagli acidi

nucleici e dai nucleotidi, che favoriscono l’attività del sistema immunitario e svolgono

funzione di prebiotici oltre a rappresentare componenti essenziali in situazioni di

aumentata richiesta metabolica.

Il restante 80% si divide tra proteine funzionali (IgA secretorie, lisozima, lattoferrina)

e proteine con valore nutritivo o strutturale.

Va sottolineato che, nel latte materno, il rapporto sieroproteine/caseina nel latte è di

60/40 mentre nel latte vaccino è di 20/80.

Va ricordato, inoltre, che tra le siero proteine del latte materno è presente l’alfa-

lattoalbumina mentre è assente la beta-lattoglobulina, proteina ad elevato potere

allergizzante. Per quanto riguarda i carboidrati, il lattosio è presente in quantità pari a

6.7 g/dl. Quest’ultimo rappresenta una fonte importante di galattosio (derivante dalla

scissione in glucosio e galattosio da parte delle lattasi intestinali), nutrimento

importante nella promozione dello sviluppo del sistema nervoso centrale.

Nel latte materno sono presenti anche gli oligosaccaridi, che svolgono attività

antibatterica poiché impediscono l’adesione dei batteri patogeni e delle tossine

all’epitelio e favoriscono lo sviluppo di flora bifidogena. I lipidi, che forniscono la

maggiore quantità di energia sono costituiti per il 98% da trigliceridi. L’acido grasso

predominante nel latte materno è l’acido palmitico, che, trovandosi nella sua

configurazione stereoisomerica 2, promuove un migliore assorbimento del calcio.

Gli acidi grassi del latte materno sono per il 60% insaturi; in particolare di questi il

30% sono acidi grassi polinsaturi, di cui il 20% a 18 atomi di carbonio (acido linoleico e

alfa-linolenico-PUFA) e il 20% a lunga catena (acido arachidonico, acido

eicosapentaenoico e acido docosaesainoico o DHA – LC-PUFA). Gli LC-PUFA, la cui

concentrazione rimane stabile durante i mesi di allattamento, sono precursori degli

eicosanoidi, importanti per la fluidità delle membrane cellulari e per lo sviluppo della

retina e del sistema nervoso centrale.

Alla luce delle peculiari caratteristiche della composizione del latte materno, sia da un

punto di vista quantitativo che qualitativo, appaiono evidenti i numerosi benefici

conferiti dall’allattamento materno nel breve e nel lungo termine. Tra questi

ricordiamo la protezione verso lo sviluppo di infezioni grazie alla immunizzazione

passiva data dalla presenza di immunoglobuline, lattoferrina e lisozima ed alla funzione

prebiotica di numerosi componenti, primi fra tutti gli oligosaccardi. Il latte materno

svolge inoltre un importante effetto di immunomodulazione e di promozione dello

sviluppo neuro comportamentale.

L’allattamento materno è stato inoltre associato ad una riduzione del rischio di

sviluppare obesità in età giovane adulta. Tale effetto protettivo è stato in larga parte

attribuito al differente apporto proteico (sia quantitativo che qualitativo) che il

bambino allattato al seno assume rispetto al bambino allattato artificialmente.

E’ noto infatti che il bambino allattato artificialmente assume circa 0.5 g/kg/die di

proteine in più rispetto al bambino allattato al seno.

A ciò si aggiunga che, con l’introduzione dell’alimentazione complementare, la

quantità di proteine assunta aumenta ulteriormente a fronte di una graduale

diminuzione dei fabbisogni (da 1.77 g/kg/die di proteine a 1 mese a 0.97 g/kg/die di

proteine entro i primi due anni di vita).

Numerosi studi hanno evidenziato come un elevato apporto proteico nei primi due

anni di vita possa esercitare un effetto negativo sulla salute a lungo termine. Il

progetto CHOP (EU-early child obesity programme) si è proposto l’obiettivo di

studiare gli effetti di un elevato apporto proteico relativamente alla crescita e allo

sviluppo della composizione corporea in una ampia coorte di nati a termine

randomizzati a ricevere o una formula ad elevato apporto proteico ( Formula A,

2.9g/dl) o una formula a basso apporto proteico (Formula B, 1.7 g/dl).

I lattanti alimentati con la formula A avevano un indice di massa corporea maggiore a

6, 12 e 24 mesi di età rispetto ai lattanti alimentati con formula B.

La ragione biochimica di questa differenza è legata all’effetto attivatore che un

maggiore intake proteico ha sull’asse endocrino, portando ad una maggiore increzione

di insulina ed IGF-1, che , a loro volta, causano prima una ipertrofia e successivamente

un’iperplasia degli adipociti e quindi, una maggiore apposizione di massa grassa.

L’indice di massa corporea rimaneva più elevata nei lattanti alimentati con formula A

anche a 6 anni, indicando non solo la persistenza dell’effetto negativo dell’assunzione di

un elevato apporto proteico nel primo anno di vita ma anche il rischio di incorrere in

un precoce adiposity rebound, noto fattore di rischio per lo sviluppo successivo di

obesità. Fisiologicamente l’indice di massa corporea aumenta nei primi mesi di vita,

decresce progressivamente raggiungendo il valore minimo intorno ai 5-6 anni, per

tornare poi ad aumentare fino a raggiunger un plateau. I bambini che vanno incontro

ad un precoce adiposity rebound mostrano invece un incremento dell’indice di massa

corporea prima dell’età scolare.

Le recenti acquisizioni nel campo della nutrizione hanno portato ad una revisione dei

LARN (livelli di assunzione di raccomandati di nutrienti ed energia per la popolazione

italiana) del 1996. In tema di prevenzione i LARN del 2012 riportano un sistema

articolato di valori di riferimento per la dieta, i Dietary Reference Values e, in alcuni

casi, i “suggested dietary intake”, definiti come le indicazioni di riferimento non legate

alla copertura del fabbisogno di un dato nutriente, ma volte alla prevenzione di alcune

patologie croniche.

Entrando nel merito dell’ età pediatrica le principali modifiche riguardano la riduzione

dell’apporto proteico raccomandato a 1.32 g/kg/die.

A questo proposito, in considerazione degli effetti negativi legati ad una elevata

assunzione di proteine, il mondo scientifico si sta interrogando sulla eventuale

necessità di abbassare ulteriormente il contenuto proteico nei latti formulati che,

attualmente, in accordo alle raccomandazioni della Società Europea di

Gastroenterologia e Nutrizione Pediatrica, deve essere compreso tra 1.8 g/100 kcal e 3

g/100 kcal.

Per quanto riguarda i lipidi, invece, data la mancanza di evidenze scientifiche che

indichino un loro ruolo causale nello sviluppo di obesità, si consiglia un apporto pari al

35-40% dell’energia totale della dieta fino ai tre anni di vita. Un’altra novità

importante del 2012 sono le indicazioni sulla qualità degli alimenti oltre che sulla

quantità. Vengono infatti raccomandati alimenti ricchi in fibre e a lento assorbimento.

Sono invece fortemente sconsigliati alimenti ad elevata densità calorica come gli

zuccheri raffinati.

Da quanto detto appare evidente come un comportamento alimentare corretto fin

dalle prime epoche della vita giochi un ruolo fondamentale non solo nella promozione

della salute del bambino e del giovane adulto ma crei le premesse per il benessere e la

salute della popolazione nell’arco di tutto il ciclo della vita.

Prof. Roberto BiagiProf. Roberto BiagiProf. Roberto BiagiProf. Roberto Biagi Ricercatore Confermato e Professore Aggregato di Odontoiatria Pediatrica Dipartimento di Scienze Biomediche, Chirurgiche e Odontoiatriche - UNIMI

La carie della prima infanzia:

aspetti clinici ed esiti di interesse ortognatodontico

Tra le patologie di interesse odontostomatologico che si manifestano nella prima

infanzia, la carie, comunemente definita anche carie da biberon, rappresenta una entità

di carattere rilevante per le competenze multi- ed interdisciplinari che coinvolgono in

particolare il pediatra, il pedodontista e l’ortodontista.

A causa dell’assenza di metodologie di rilevamento epidemiologico omogenee e per la

variante di tipo geografico, l’incidenza di questa patologia è valutata, nei bambini di età

inferiore a 30 mesi, tra l’1% ed il 50%.

L’eziopatogenesi è riconducibile, oltre che ai normali fattori causali della patologia

cariosa, in particolare direttamente a scorrette abitudini nutrizionali per lo più

conseguenti a mancanza di informazione dei genitori.

Il quadro clinico e la progressione della malattia sono tipici e nella maggioranza dei

casi identici: i processi cariosi, particolarmente aggressivi, sono a carico sia delle zone

dentarie interprossimali, sia delle superfici generalmente considerate a basso rischio,

come quelle vestibolari e linguali.

I primi denti ad essere interessati sono sempre gli incisivi superiori a causa del

prolungato contatto con la tettarella del biberon e/o il succhiotto.

Gli incisivi inferiori sono, viceversa, gli ultimi ad essere coinvolti in quanto protetti

dalla lingua e dalle secrezioni delle ghiandole salivari contigue.

La gravità della patologia è ulteriormente accentuata dalle conseguenze che essa

determina a breve e a lungo termine, sia localmente che a livello sistemico.

Le conseguenze a livello locale anche se percepite principalmente come complicanze

di carattere estetico, con possibili ripercussioni psicologiche, sono soprattutto di

carattere funzionale per le alterazioni che si realizzano a carico dei singoli elementi

dentari ed a carico dell’accrescimento dell’apparato stomatognatico, coinvolgendone

tutte le funzioni. In particolare, da un punto di vista ortognatodontico, le principali

complicanze sono rappresentate dalla deformazione dell’osso alveolare con vestibolo-

versione degli alveoli superiori e linguo-versione di quelli inferiori che determina una

beanza anteriore con conseguente posizionamento in protrusione della lingua, dalla

diminuzione del diametro intercanino del mascellare superiore, dalla diminuzione della

dimensione verticale del terzo inferiore del volto, ed infine dall’interferenza con i tempi

di eruzione dei denti permanenti.

In considerazione del fatto che la prima visita odontoiatrica viene effettuata

generalmente quando il quadro clinico è già grave e quindi l’approccio terapeutico non

consente spesso il recupero morfo-funzionale degli elementi dentari interessati, è

importante che i bambini vengano sottoposti a visite preventive sistematiche, in modo

da diagnosticare le eventuali lesioni cariose quanto più precocemente possibile, ovvero

anche durante l’eruzione dei denti.

Un approccio multidisciplinare quindi, che coinvolga in particolare i pediatri di base, è

di fondamentale importanza in un’ottica di educazione alla salute orale, la cui

mancanza è sempre alla base della patologia, indipendentemente dal livello socio-

culturale della famiglia.

Prof.ssa Maria Assunta MauriProf.ssa Maria Assunta MauriProf.ssa Maria Assunta MauriProf.ssa Maria Assunta Mauri Professore a contratto di Didattica e Pedagogia Speciale

Dipartimento di Scienze Biomediche, Chirurgiche e Odontoiatriche - UNIMI

Terapia ortodontica e alimentazione:

approccio psicopedagogico al piccolo paziente

Sempre più spesso, negli ultimi anni, l’odontoiatria infantile è chiamata a confrontarsi

con una realtà sempre più impegnativa ed in continua evoluzione .

Capita allora che per mettere bene a fuoco determinate tematiche, sia necessario alzare

un poco lo sguardo per cogliere il panorama più ampio che fa da cornice a questa

realtà.

Allargando la nostra visuale, troveremo contesti operativi sempre più caratterizzati

da differenze etniche e culturali, inseriti in un mondo così mutevole e complesso,

come quello infantile, da rendere difficile qualsiasi adattamento a rigide teorie o

modelli poco modificabili.

Riportando ora lo sguardo dalla cornice al dettaglio, ci si chiede spesso ,al fine di

identificare la chiave di accesso a questo mondo, quale sia l’approccio migliore per la

costruzione di un’intesa che porti ad un’efficacia di risultati ed al successo di un

trattamento ortodontico.

Come esperti, sappiamo che un valido approccio psicopedagogico in odontoiatria

infantile, prevede e richiede come primo passo il “coinvolgimento diretto” del piccolo

paziente con l’innegabile vantaggio :

- Di creare nel bambino un sentimento di disponibilità e collaborazione

- Di costruire nel tempo, un rapporto duraturo basato sulla fiducia e sull’ empatia.

Sarà il ricordo di questi vissuti positivi che faciliterà, nei mesi e negli anni a seguire,

il rapporto del piccolo paziente con l’ambiente odontoiatrico, gettando solide basi per

la costruzione di un’intesa mirata alla buona riuscita terapeutica.

Come può un bambino partecipare al buon esito di un trattamento?

Quali le strategie da seguire?

Quali le metodologie e gli strumenti più adatti?

E’ ormai appurato che l’approccio ludico è considerato una delle strategie più efficaci..

Lo è in una prima fase come momento conoscitivo del vissuto esperienziale del

bambino e lo è, a maggior ragione, in un secondo momento più costruttivo e

propositivo per affiancare il piccolo paziente nella gestione e nel superamento di

eventuali disagi e difficoltà legate al trattamento .

Sulla base di questa premessa , abbiamo chiesto ad un campione di 50 bambini ( di età

compresa tra i 5 ed i 12 anni ,parimenti suddivisi tra maschi e femmine) ed in

trattamento ortodontico , di disegnare questa loro esperienza così particolare .

Perché il disegno come strumento di indagine e di ricerca ?

Perché per il bambino disegnare è giocare ed il disegno rappresenta un racconto che fa

di se stesso , uno scenario nel quale ci parla e ci descrive le sue esperienze, le paure, i

ricordi, i desideri, i meccanismi difensivi e di adattamento.

Potremmo considerarlo una specie di radiografia pedagogica , il modo più semplice

ed efficace per conoscere ed entrare quasi in punta di piedi nel suo mondo interiore.

Abbiamo raccolto,ed analizzato i disegni prima e durante il trattamento.

Abbiamo ascoltato i bambini ed i loro preziosi commenti.

Ne è emersa una fotografia chiara, nitida e ben precisa dei loro vissuti, un vocabolario a

nostra disposizione ricco di significati ,dove le parole hanno lasciato il posto alle

espressioni grafiche ricche di contenuti , emozioni e sentimenti come tanti indovinelli

figurati da decifrare di volta in volta con chiavi di lettura riferite sia a leggi

interpretative codificate, sia a criteri elaborati sulla base di una pluriennale esperienza.

Abbiamo in questo modo individuato gli indicatori di difficoltà, ansia, preoccupazione

più frequenti e rilevanti, arrivando a focalizzare e concentrare la nostra attenzione

sulle tematiche di disagio maggiormente rappresentate quali :

- le difficoltà nel mangiare determinati cibi

- il dispiacere per l’eliminazione di molti tra i cibi preferiti (motivati da

verbalizzazioni spesso aggiunte ai disegni con lo stile nuvoletta/fumetto )

- la preoccupazione per la gestione di un corpo estraneo in bocca e di una situazione

nuova e vissuta, in alcuni casi, nell’immaginario come potenzialmente pericolosa

( “ mi verrà il vomito ?”, “come farò a respirare?”....)

- la paura del dolore ( verbalizzato, dove presente, con valutazioni qualitative e

quantitative )

- le difficoltà nella pulizia quotidiana di denti ed apparecchio

- la preoccupazione per l’immagine estetica, soprattutto nei più grandicelli

(….”Riuscirò a sorridere?” “non è che sembrerò un alieno?”……)

Concentrandoci sul tema alimentazione, oggetto di questa nostra riflessione, è

necessaria una breve premessa.

Studiosi in materia, ci segnalano che a determinare la nostra relazione con ciò che

mangiamo è l’interazione di diversi fattori tra cui l’educazione ricevuta , l’influenza dei

media , le nostre abitudini di vita , le nostre vicende personali…..

Nella nostra memoria ci sono le merende dell’infanzia gustate da soli o con i compagni

di scuola , le torte ai compleanni o alle feste con amici e parenti, il cibo consumato alle

mense della scuola ….ma anche i cibi che ci hanno fatto star male, e così via.

Perché la storia di ognuno di noi è strettamente legata al cibo ed è costellata di sapori,

odori, gusti, piatti preferiti ma anche di cibi detestati o di rinunce alimentari , di scelte

necessarie o imposte.

Il tutto con “una coloritura” che non verrà mai superata perché l’esperienza che

abbiamo con ogni alimento , lascia nella nostra mente una traccia indelebile.

Ciò premesso ci chiediamo: ” come affrontare con i piccoli pazienti, il discorso

alimentazione / terapia ortodontica ?“

Quali gli “ingredienti“ di una ipotetica ricetta educativa valida per fronteggiare

eventuali disagi e difficoltà ?

Sulla base della nostra esperienza e ricorrendo alle preziose segnalazioni dei nostri

piccoli pazienti , ne abbiamo selezionati alcuni…

Primo fra tutti, imprescindibile e necessario, il coinvolgimento diretto del bambino

ed il suo divenire protagonista attivo del trattamento ortodontico.

In che modo ?

Semplificheremo i passi fondamentali del nostro approccio, sottolineando quelli che

abbiamo definito come “ momenti “ speciali affidati, di volta in volta, al personale

Odontoiatrico, ai piccoli pazienti, ai genitori.

A. Ci sarà come primo approccio il momento della spiegazione con l’utilizzo di

termini semplici, chiari, comprensibili, adatti all’età del paziente ed al suo grado di

maturità psico-fisica .

Completeremo ed arricchiremo i contenuti del nostro messaggio con immagini,

disegni, modellini, simulazioni (dirette o tramite cartoni e/o filmati esplicativi) e

manipolazioni .

Proporremo la costruzione di un diario alimentare (disegnato o costruito

ritagliando ed incollando le immagini ) al fine di sensibilizzare il bambino sulla

scelta dei cibi a lui più appetibili, selezionati tra quelli da noi indicati come i più

adatti , inserendo il tutto in contesto di corretta educazione alimentare che

preveda anche cibi tipici di culture alimentari differenti .

Ci affideremo al gioco (inventato o strutturato e diversificato a seconda dell’età) ed a

tutte quelle modalità di approccio semplici, pratiche e dirette che il bambino riconosce

come sue ed, in quanto tali possono facilitare la gestione di una realtà nuova .

Abbonderemo con la creatività e fantasia .Questo darà senz’altro “un pizzico di sapore in

più “ alle nostre spiegazioni e renderà maggiormente appetibili i consigli , le regole

ed i contenuti che vorremo trasmettere.

B. Importantissimo ed insostituibile , in questa prima fase, anche il coinvolgimento

dei genitori che dovranno essere messi al corrente di ogni eventuale difficoltà

che il bambino potrà incontrare nell’alimentarsi ( senza allarmismi o esagerazioni)

ma focalizzandone l’attenzione sull’importanza di selezionare un tipo di

alimentazione che, seppur diversa, dovrà comunque mantenere le caratteristiche di

variabilità, gradevolezza ed appetibilità.

Sarà loro compito affiancare e sostenere emotivamente il bambino passo dopo

passo, motivandolo, gratificandolo, incoraggiandolo, accompagnandolo… facendolo

sentire “protagonista attivo” di un importante progetto di crescita e benessere .

C. Seguirà negli incontri a seguire, il momento importantissimo dell’ascolto

profondo da parte degli adulti (operatori sanitari e/o genitori) mirato

all’accoglimento di tutte le sensazioni spiacevoli e non, provate dal piccolo paziente

durante il trattamento ortodontico; con una particolare attenzione

all’alimentazione e l’accortezza di evitare giudizi sminuenti, inutili

colpevolizzazioni o sottovalutazioni.

Focalizzeremo invece l’attenzione sulla comprensione e sulla scoperta ed

attivazione da parte del bambino di tutte le sue potenzialità e capacità

nell’affrontare eventuali disagi, elaborando strategie positive.

D. Per ultimo , ma non meno importante , “il passaparola “ tra i bambini stessi.

Facilitare lo scambio di informazioni , trucchi , consigli (“quattro chiacchiere” in

sala d’attesa/disegni e fumetti realizzati direttamente dai bambini appesi alle pareti

e visibili a tutti) renderà possibile la condivisione di una eventuale difficoltà o

problema, semplificandone la gestione e facendone intravedere il superamento con

soluzioni proponibili in quanto già sperimentate in prima persona.

Per concludere questa breve riflessione ,vorrei sottolineare come i momenti e le

proposte sopra elencate, lungi dal rappresentare una formula magica, rientrano

tuttavia in quel bagaglio di strategie operative sperimentate, che si sono dimostrate

valide sia come spunti , atteggiamenti e suggerimenti, sia come valore aggiunto in

termini di efficacia e di miglioramento della compliance .

Per restare in tema di “alimentazione: “tutti ingredienti indispensabili” per la buona

riuscita di un trattamento ortodontico con il piccolo paziente.

Prof.ssa Evelina FlachiProf.ssa Evelina FlachiProf.ssa Evelina FlachiProf.ssa Evelina Flachi Nutrizionista, già Professore a contratto di Nutrizione per il Benessere - UNIMI

Vice Presidente della Fondazione Italiana per l’Educazione Alimentare

Educazione alimentare nel bambino

Educazione Alimentare Per Il Bambino In Eta’ Scolare :

L’immagine del cibo di qualità che deve informare ogni attività di educazione

alimentare deve rispondere a questo identikit:

• sicuro

• buono

• nutriente

• prodotto nel rispetto dell’ambiente (dal campo alla tavola, dalla tavola

alla terra)

• prodotto nel rispetto di fondamentali principi etici (equità sociale,

benessere animale…)

• gratificante

È evidente, a questo punto, come la considerazione degli elementi di

SOSTENIBILITA’, diventi una chiave fondamentale per operare il necessario salto di

qualità sul piano dell’educazione alimentare. Il che significa allargare il campo

dell’educazione alimentare al complesso di tutte le determinanti che coinvolgono e

condizionano il rapporto con il cibo.

DISPONIBILITA’

SICUREZZA

QUALITA’

AMBIENTE

ETICA

In questo senso, i percorsi didattici possibili sono tanti e sarebbero tutti meritevoli di

sviluppo. Solo qualche esempio tra i cento possibili:

• Educare a un consumo consapevole del cibo coinvolgendo i ragazzi nella

produzione di pubblicità alternativa

• Educare al rispetto delle diversità stimolando il confronto interculturale e la

cooperazione a distanza

• Educare a corrette dinamiche di relazione attraverso l’analisi del

comportamento nella mensa scolastica

• Educare al scelta critica attraverso test comparativi di prodotto

• Educare al valore del cibo gestendo un orto (o addirittura una cooperativa)

scolastica

• Educare al la cultura della tradizione mediante il confronto con le generazioni

precedenti (i nonni, una risorsa impareggiabile)

ℵℵℵℵ Presentazione Della Piattaforma Della Fondazione Italiana

Per L’educazione Alimentare Www.Foodedu.It “Nutrizione Prendiamoci Gusto”

Prof. Roberto MattinaProf. Roberto MattinaProf. Roberto MattinaProf. Roberto Mattina Professore Ordinario di Microbiologia e Microbiologia Clinica

Dipartimento di Scienze Biomediche, Chirurgiche e Odontoiatriche Direttore della Scuola di Specializzazione in Microbiologia e Virologia – UNIMI

Ruolo dei microrganismi nell’alimentazione La parola microbo evoca nella mente del cittadino qualcosa di estremamente piccolo e

pericoloso per la salute.

Non tutti sanno che la maggior parte dei microrganismi non solo sono saprofiti ma

molti di essi sono necessari per la nostra salute. Possiamo affermare che se non

esistesse il mondo microbico non ci sarebbe alcuna forma di vita sul nostro pianeta.

I microrganismi sono definiti ubiquitari in quanto si trovano dappertutto (sul suolo,

nell’aria, nell’acqua ecc.) anche il nostro corpo è colonizzato da miliardi di cellule

microbiche. Basti pensare che il numero di batteri che ciascuno di noi ospita, in

condizioni fisiologiche, nel nostro organismo è 10 volte superiore al numero di cellule

che costituiscono i nostri tessuti, i nostri organi ed i nostri apparati.

Anche negli alimenti i microrganismi possono giocare un duplice ruolo: in alcuni

alimenti sono necessarie indispensabili per la loro produzione (es. latticini, birra, pane

ecc.) e in altri casi possono essere causa di tossinfezioni alimentari in soggetti che

consumano l’alimento che durante la lavorazione o il trasporto o la conservazione è

stato contaminato da microrganismi patogeni o da sostanze da essi elaborate.

Le tossinfezioni alimentari sono in costante aumento in seguito a diversi fattori come

modificati sistemi di vita (si tende a consumare pasti in mense, bar o ristoranti),

turismo di massa e una maggiore mobilità delle riserve alimentari. Se, ad esempio, la

catena del freddo dovesse temporaneamente interrompersi, la flora microbica presente

nell’alimento potrebbe rapidamente replicarsi mettendo a rischio la salute del

consumatore.

L’enterotossina prodotta da alcuni ceppi di Staphylococcusaureus (batterio responsabile

tra l’altro di piodermiti), essendo resistente al calore, all’acidità gastrica, al

congelamento e al tempo non è possibile neutralizzarla in alcun modo.

I produttori e i distributori di alimenti sono tenuti a verificare periodicamente la

salubrità degli alimenti lungo tutta la filiera produttiva dalle materie prime sino a

quando l’alimento giunge sulla tavola del consumatore.

A tale scopo dovrebbe esser attuato l’autocontrollo (HACCP) ma da quanto mi risulta

soprattutto le piccole aziende lo fanno in modo errato o non lo fanno del tutto.

Sarebbe auspicabile che chiunque dispensi alimenti effettui con serietà questi controlli

per evitare problemi alla salute del cittadino.

Dott. Marco TremolatiDott. Marco TremolatiDott. Marco TremolatiDott. Marco Tremolati Dottorando di Ricerca in Scienze Fisiopatologiche, Neuropsicobiologiche ed Assistenziali del Ciclo di Vita e Assegnista di Ricerca del Dipartimento di Scienze Biomediche, Chirurgiche e

Odontoiatriche - UNIMI

Alimentazione e prevenzione: il ruolo del prelievo salivare

Grazie allo sviluppo tecnologico, farmacologico e medico il ruolo di una corretta

alimentazione è diventato tema fondante della prevenzione.

È risaputo e presentato anche nei mass media come eccessi e squilibri nei regimi

alimentari possano apportare disturbi spesse volte gravi. Da relativamente poco tempo

invece si è aggiunto, a quello che rimane tema centrale della medicina odierna: la

prevenzione, un altro importante filone di ricerca medica che ben può essere

rappresentato dal temine “personalizzazione del trattamento”.

Analogamente a quanto è avvenuto per altre discipline, anche in ambito odontoiatrico

negli ultimi anni si è sviluppata una crescente attenzione alla problematica della

personalizzazione del trattamento.

Per terapia personalizzata s’intende un approccio decisionale clinico che si applica al

singolo soggetto e che ha come prerequisito un’accurata identificazione delle

caratteristiche individuali del paziente (fenotipizzazione) e, come metodologia,

l’applicazione delle conoscenze e delle evidenze scientifiche al buon senso, nonché alla

realtà di ciascun individuo. Il fine ultimo ottimizzare le risposte terapeutiche e di

armonizzarle con le migliori tollerabilità ecompliance possibili il prelievo salivare e del

conseguente dosaggio di metaboliti al suo interno ci possono dare moltissime

informazioni utili per consigliare quale dieta/regime alimentare sia più corretto per il

paziente per mantenere una corretta salute orale e se possibile anche generale.

Il prelievo salivare è infatti ad oggi utilizzato anche da medici, dietologi, diabetologi e

pediatri per test genetici o specifici (celiachia,intolleranze etc) e anche per malattie

molto complesse e pericolose quali AIDS.

Un esempio molto pratico per la professione odontoiatrica è rappresentato dal

posizionamento di impianti in sostituzione di denti parodontalmente compromessi.

Oggi giorno è possibile, e mi auguro che presto sarà pratica comune, richiedere prima

dell’intervento impiantare uno screening sia della suscettibilità genetica del paziente ed

anche microbiologico. Questo semplice passo può portare soltanto una maggior

consapevolezza nel trattamento corretto da proporre al paziente, apportando inoltre,

grazie alla scientificità del metodo,maggior fiducia anche da parte dello stesso paziente.

È infatti sconsigliabile inserire impianti in un paziente che non ha sviluppato

parodontite a causa della quantità di placca ma a causa di una maggior difficoltà nella

gestione della malattia parodontale con le più differenti basi (genetiche,pHetc).

Nel 2011 è stato effettuato uno studio su campioni prelevati da pazienti sani e giovani

dopo avere effettuato un pasto glucidico, è stato successivamente dosato il glucosio

all’interno della saliva successivamente al lavaggio dei denti da parte dei pazienti

partecipanti allo studio.

Questo procedimento è stato messo in atto per 5 momenti durante la giornata e si è

potuto valutare una curva del glucosio dipendente dalla digestione e da altri fattori.

È interessante riscontrare come la saliva possa essere facile mezzo di screening per il

diabete: anche se per nulla evidence based medicine nei pazienti analizzati un caso

(escluso per non aderenza agli Inclusion Criteria) ha dimostrato valori 10 volte più alti

rispetto ai controlli sani, consigliando successivamente al paziente di recarsi dal

proprio medico per un esame della glicemia; a questi era stato diagnosticato un

prediabete. Consigliare una corretta alimentazione ad oggi è prassi di una corretta

terapia odontoiatrica, inoltre, i consigli per prevenire la malattia parodontale e la carie

sono gli stessi che possiamo dare ad un paziente per prevenire diabete, aterosclerosi e

la maggior parte delle malattie con maggior tasso di morte nei paesi industrializzati.

Secondo Wong, uno dei principali studiosi della saliva dell’UCLA, la saliva è: “un

prezioso liquido biologico...dal quale vi è la possibilità di ricavare più dati di quanto sia

possibile attualmente con altri metodi diagnostici ”

Prof. Luca LevriniProf. Luca LevriniProf. Luca LevriniProf. Luca Levrini Presidente del Corso di Laurea in Igiene Dentale

Direttore del Centro di Ricerca Universitario Oro Cranio Facial Disease and Medicine Dipartimento di Scienze Chirurgiche e Morfologiche - UNINSUBRIA

Dirigente Medico Universitario -Ospedale di Circolo di Varese

Usure dentarie, dalla paleonutrizione alla dieta odierna

La relazione alimentazione e cavo orale trova numerosi spunti di approfondimento in

particolare se relativi al concetto di usura.

Dai concetti di paleonutrizione e paleopatologia, fino al ruolo che potrebbero avere i

bicarbonati in prevenzione comunitaria il rapporto tra ciò che mangiamo con la salute

del cavo orale è strettissimo. In particolare, il tartaro antico e i segni macro e

microscopici dei denti dei nostri antenati portano informazioni utili per capire le loro

abitudini alimentari. Relativamente al bicarbonato, nella letteratura scientifica vi è

evidenza sui rapporti tra capacità tampone della saliva e fenomeni di erosione dentale, è

stato infatti riscontrato una insufficiente capacità di contrastare la discesa del pH in

soggetti affetti da erosione sottolineando l’importanza di sostenere in questi casi la

capacità tampone della saliva. La capacità tampone della saliva sembra quindi avere un

ruolo fondamentale nei casi di erosione, ancor maggiore rispetto ai casi di pazienti con

carie. E’ noto inoltre che i pazienti che soffrono di xerostomia possono presentare una

riduzione della capacità tampone della saliva ed è pertanto ipotizzabile che anche

pazienti di questo tipo possano trarre beneficio da un prodotto che consenta di rendere

più efficaci i sistemi di controllo salivare del pH.

Diversi autori sottolineano inoltre che esistono ancora gruppi di pazienti in cui

l’esposizione al fluoro è insufficiente per bilanciare l’effetto acidogeno dei carboidrati

introdotti con la dieta e che pertanto è necessario mettere a punto nuove e più mirate

strategie di prevenzione; tra questi soluzioni con bicarbonato. Le usure dentali sono un

gruppo di patologie dei tessuti mineralizzati del dente non indotte dall’attività

acidogena dei batteri; tale patologia si sta riscontrando sempre più frequentemente nei

nostri pazienti.

Questi infatti si presentano nello studio odontoiatrico non perfettamente consapevoli

di essere affetti da tali lesioni per cui il ruolo dell'odontoiatra o dell’igienista dentale è

estremamente importante nell'intercettare fin da subito questi fenomeni in modo da

prevenire e effettuare una corretta terapia al fine di proteggere e conservare le

strutture dentali in modo stabile nel tempo. La visita non può prescindere da una

adeguata e attenta anamnesi del paziente, si consiglia infatti di non limitarsi a far

effettuare al paziente una mera compilazione dei fogli anamnestici, anche se utili per

una prima, veloce e generica raccolta dei dati, ma di instaurare con lo stesso una

relazione di fiducia e di scambio reciproco. Solo così potranno affiorare tutti gli

elementi utili per una buona diagnosi. Il clinico dovrà prestare molta attenzione a

particolari che il paziente tenderebbe magari a sottovalutare o persino a non

accorgersene; fattori apparentemente insignificanti possono infatti celare delle

importanti conseguenze sul piano clinico.

Ecco perché sarà estremamente significativo conoscere a fondo il paziente, le sue

abitudini alimentari, il consumo eccessivo di particolari alimenti acidi (succhi, bevande

gassate, frutta) o ortaggi specialmente se mal lavati e contenenti residui di granuli di

terra, eventuali vizi orali, l'uso improprio di alcuni oggetti come matite o penne, varie

parafunzioni come il bruxismo, l'eventuale aumentata sensibilità o dolore degli

elementi dentali, l'assunzione di determinati farmaci, il flusso salivare, una buona

igiene orale con il corretto utilizzo dello spazzolino, la presenza di patologie come il

reflusso gastro-esofageo e disturbi del comportamento alimentare per esempio

l’anoressia e la bulimia.

Nella visita che seguirà l'anamnesi, l'odontoiatra dovrà quindi ispezionare il cavo orale

tenendo conto degli elementi salienti emersi dall'anamnesi che potranno rendersi

evidenti da alcune lesioni sugli elementi dentali, dette appunto usure.

L'identificazione dell'usura dentale (ossia la graduale perdita di tessuti dentali duri, non

causata dalla carie) può essere ritenuta semplice in prima analisi, ma ad un più attento

esame, ci si renderà conto che il fenomeno è estremamente vario e si presenta in

molteplici ed eterogenee forme che possono portare il clinico a una certa “confusione o

incomprensione”, la quale può comportare uno scorretto piano di trattamento.

All'interno dell'usura dentale vengono infatti comprese diverse lesioni: erosione,

attrito, abrasione e abfrazione. Molte volte queste possono presentarsi anche in

concomitanza ed è difficile riconoscerle; sapere però i fattori eziopatogenetici che le

causano, incrociandoli con l'anamnesi effettuata risulta importante per diagnosticarle

prontamente ed auspicabilmente anche prevenirle.

Possiamo fin da subito classificare due tipi di usura: uno meccanico e uno chimico.

Al primo appartengono l'abrasione, l'attrito e l'abfrazione, mentre al secondo

l'erosione. Queste lesioni sono state così classificate a scopo epidemiologico,

diagnostico e terapeutico.

Passeremo successivamente a descriverle singolarmente, ma sembra utile fin da subito

indicare una prima differenziazione clinica, che, anche se non sempre facile e ovvia, può

indirizzare l’odontoiatra al riconoscimento dei vari tipi di usura. L'abrasione e

l'abfrazione sono spesso associate a perdita di attacco gengivale e si presentano con

difetti cuneiformi con profondità clinicamente superiore alla larghezza e margini

appuntiti. L'attrito si manifesta generalmente con estese zone lucide dai margini

distinti e difetti corrispondenti sui denti antagonisti.

L'erosione si mostra come una lesione dai margini arrotondati; inoltre, lungo il bordo

gengivale, possiamo rilevare dello smalto integro grazie all'effetto protettivo del fluido

crevicolare. Queste lesioni possono interessare un singolo elemento dentario ma anche

coinvolgere più denti. Sebbene poi generalmente vi siano precisi e diversi fattori

responsabili per l'abfrazione, l'attrito, l'abrasione e l'erosione, clinicamente possiamo

notare anche una combinazione di processi in quanto i singoli meccanismi eziologici

possono agire contemporaneamente. In questo caso la diagnosi può essere difficile da

formulare e si dovrà sempre connettere la clinica con l'anamnesi.

Molti studiosi ritengono infatti, che la stessa terminologia (erosione, attrito, abrasione

e abfrazione) andrebbe rifiutata a favore di un termine più generico come le cosiddette

lesioni cervicali non cariose (LCNC).

Per quanto riguarda l'epidemiologia, bisogna considerare che la prevalenza delle

lesioni cervicali non cariose è difficilmente quantificabile: varia dal 5% all'85%. Inoltre,

un altro aspetto che incide sui dati epidemiologici riguarda il fatto che il clinico sia

ancora incerto nell'esprimere una diagnosi di fronte a un quadro di usura cervicale: di

fronte a una lesione cervicale cariosa la concordanza alla diagnosi è pari al 99% mentre

essa scende al 38-49% di fronte a una lesione cervicale non cariosa.

Comunque, da revisioni di alcuni studi, emerge che il numero e le dimensioni delle

lesioni aumentino con l’età del paziente e che la loro eziologia sia multifattoriale.

Conoscere in quale misura i diversi agenti eziologici contribuiscono a una data lesione

è importante per la prevenzione e per un trattamento ottimale. Infatti, se questi

fenomeni di usura non venissero intercettati per tempo, la loro progressione

provocherebbe importanti modificazioni occlusali, compromettendo le funzionalità

dell’apparato masticatorio.

Non è ancora noto a quale velocità avvenga la distruzione della sostanza dentale nel

tempo poiché vi sono troppe variabili, diversi tipi di lesione si possono sovrapporre

incrementando il potenziale di danno cosi come, all'opposto, il paziente può modificare

le sue abitudini portando alla scomparsa di questi difetti.

Sarà utile per l'odontoiatra utilizzare dei modelli della dentatura del paziente che

permettano di analizzare e tenere sotto controllo la velocità del processo di usura,

avendo così un utile mezzo di riferimento diagnostico e prognostico.

Dott. Massimo CherubiniDott. Massimo CherubiniDott. Massimo CherubiniDott. Massimo Cherubini

Consigliere Regionale dell’Ordine dei Giornalisti della Lombardia Direttore del magazine AboutPharma and Medical Devices

Prevenzione, il ruolo della comunicazione medica La comunicazione medico-scientifica: tentativo di definizione “per difetto”

Per il mio intervento è d’obbligo una premessa definitoria. Se non altro perché l’uso

diffuso delle parole ha importato confusioni di non poco momento, ed è quindi

probabile che, leggendo il titolo della mia relazione, molti dei presenti pensino a un

noioso resoconto su strategie di marketing, o peggio su tecniche di “comunicazione

verticale”, come si definiscono, eufemisticamente, i sermoni che i professionisti sono

soliti rivolgere al proprio pubblico quando quest’ultimo non è abbastanza addentro, a

un tema o a una problematica, da difendersi dalla “verticalità”.

Nel mio intervento, invece, vi parlerò proprio di tutto di tutto ciò che non è

comunicazione scientifica su rimedi terapeutici e farmaci, di tutto ciò che non è

marketing – fosse pure inteso come promozione dei servizi resi dai professionisti della

Salute – e di tutto ciò che si trova al di là della comunicazione verticale, asimmetrica,

fra medico e paziente, fra professionista e profano, o ancora, come si suol dire, al di là

della comunicazione B2C, cioè fra operatore professionale e semplice consumatore.

E tutto ciò perché – come tenterò di illustrare – in oltre 20 anni di comunicazione

specialistica in Area Healthcare, ho maturato il convincimento che il paziente, così

come non può ridursi mai a semplice “consumatore dei servizi Salute”, allo stesso

modo non può ritenersi un semplice target del messaggio sulla Salute.

In primo luogo, benché possa sembrare banale, perché la salute di cui si parla è spesso

la sua, ed è quindi il paziente stesso il principale protagonista del flusso della

comunicazione, che – vale la pena ricordarlo – è un’azione comune, e non un semplice

“parlarsi addosso”. Ciò significa che a seguito del dire ci si attende un agire, un fàcere,

conseguente e coerente con il messaggio veicolato.

E il primum movens, il protagonista e il promotore principale delle maggior parte delle

iniziative che si risolvono nella richiesta di un servizio o in un comportamento

virtuoso, nel campo dell’Healthcare, è appunto il paziente stesso.

Nel mio intervento, quindi, tenterò d’illustrare le principali tendenze che

caratterizzano l’attuale dinamica della comunicazione fra medico e paziente, e

conclusivamente cercherò di suggerire un numero contenuto di strategie

comunicazionali finalizzate alla massima incisività del messaggio.

Affinché anche la comunicazione – contrariamente a quanto ritengono i più – si riveli

concretamente efficace nel modificare i comportamenti, e quindi cooperi a trasformare

la cosiddetta “realtà dei fatti”.

Empowerment del paziente: quando la raccomandazione non è paternalista

Soprattutto quando si parla di igiene – come oggi – o di screening diagnostici o di

prevenzione, è probabile che all’interno della dinamica della comunicazione s’innesti un

cortocircuito capace di snaturare il messaggio e persino la percezione delle intenzioni

del mittente. Pensiamo a quando da bambini ricevevamo dai nostri genitori un

consiglio o una raccomandazione: è paradossale, ma ben al di là del contenuto specifico

e della natura intrinseca del messaggio, tutti abbiamo memoria, anzitutto, della

ricezione di un messaggio sgradito. La dinamica del paternalismo – che restituisce

sempre la sensazione sgradevole di una forma di sostituzione o di sopraffazione – è un

meccanismo ben noto ai comunicatori, e corrisponde all’ineluttabile soccombere dei

contenuti allo strapotere delle forme. Insomma, un messaggio verticale, dall’alto in

basso, tendenzialmente imperativo, magari condito di tecnicismi e motivazioni

abbastanza oscure, lungi dall’indurre il destinatario alla conformazione lo sprona a

un’inspiegabile quanto ineluttabile istinto di ribellione, quasi di protesta e quindi di

non conformazione a priori.

Consapevoli dell’inevitabilità di questo meccanismo psicologico, non solo i

comunicatori, ma anche i decision maker che si occupano di sanità, hanno recentemente

iniziato a puntare sul cosiddetto “empowerment del paziente”, cioè sullo sforzo di

consegnare nelle sue mani tutti gli strumenti cognitivi per farsi protagonista, artefice,

del proprio impegno per mantenersi in salute.

È un totale rovesciamento dell’ottica tradizionale: non si indirizzano consigli al

paziente affinché intimorito dall’oscurità dei contenuti del messaggio e dalla gravità

delle minacce sottese si consegni alle cure del professionista.

Tutto al contrario, si investe sulla conoscenza e sulla consapevolezza del paziente,

affinché condividendo le buone ragioni che sono all’origine della “raccomandazione”, la

accolga come consiglio utile, e si faccia parte diligente, proattiva, nell’applicarla:

ovviamente non senza l’aiuto del professionista.

Per questo si parla sempre più spesso anche di “alleanza terapeutica”. Come avrete

notato, si tratta di una complessiva nobilitazione del ruolo del paziente, che

corrisponde a un “avvicinamento” del medico nella dinamica della comunicazione: un

doppio moto, convergente, che privilegia la prossimità e scongiura l’instaurarsi della

disincentivante dinamica paternalista.

Se Maometto non va alla montagna: la comunicazione 2.0 in Sanità, storia di un

inversione di ruoli

Se il medico rifiutasse questa maggiore prossimità, del resto, il paziente saprebbe come

aggirarlo, facendosi – lo dico non senza ironia, ma purtroppo rappresentando al

contempo una realtà diffusa – “medico di se stesso”. Recenti statistiche ci dicono che

per il 59% dei pazienti, le applicazioni web e smartphone hanno sostituito la

tradizionale visita con il medico, e 19 milioni di italiani, già nel 2011, cercavano

informazioni in rete su questioni di salute. Ciò significa che in mancanza di medici-

comunicatori, i pazienti si rivolgono a “Doctor Web” per consulti, diagnosi e consigli

sulle terapie: uno scavalcamento che, naturalmente, genera costi economici e sociali

pressoché insostenibili. Ma questo i pazienti non lo sanno; anzi, lo sanno eppure lo

trascurano, perché loro si rivolgono al web in quanto quest’ultimo è spesso più

accessibile e rassicurante del consulto o della visita dal medico. Insomma, un classico

problema di comunicazione: il mittente – cioè il medico – non è in grado di valorizzare

il proprio messaggio perché non è padrone degli strumenti, e così finisce per

soccombere di fronte a un competitor – il web – che, pur più povero di contenuti, è in

grado di ottimizzarne la veicolazione rendendoli prossimi, aperti e accattivanti.

Se quest’analisi non bastasse, si pensi che la gran parte della comunicazione sulla

Salute che si svolge sul web avviene attraverso i Forum di pazienti: ulteriore conferma

che il dialogo “peer to peer” spesso ha la meglio sul cosiddetto “consulto”, cioè sulla

richiesta di consulenza contrassegnata dall’esplicito riconoscimento del dislivello

informativo.

La comunicazione nell’Healthcare fra Marketing e supporto alla prevenzione

Prima di una breve lista di suggerimenti pratici, cedo alla tentazione di sottolineare i

benefici di una corretta comunicazione in sanità, ed esordisco con un’affermazione solo

in apparenza provocatoria: la comunicazione sui temi della salute è più importante

della comunicazione finanziaria sui titoli quotati in Borsa, perché è in grado di

difendere valori più preziosi del denaro, e al contempo è capace di spostare più denaro

della maggior parte delle operazioni di Borsa.

La prima affermazione non ha bisogno di essere argomentata: la salute è un valore

fondamentale che nessuno di noi baratterebbe con nessun vantaggio economico.

Qualche parola in più merita la seconda asserzione, ma l’uditorio di specialisti mi

consente di non dilungarmi: tutti conoscete l’impatto economico della voce “Salute” sui

bilanci dello Stato e tutti immaginate come e quanto una corretta comunicazione verso

i pazienti sia in grado di contenere la spesa sanitaria. Informazioni sul corretto utilizzo

dei farmaci e indicazioni sugli specialisti più validi – per ottenere più rapidamente una

diagnosi corretta e una terapia efficace – sono messaggi fondamentali per i pazienti; ma

la vera sfida del futuro, per la comunicazione in Sanità, è quella di riuscire a modificare

gli stili di vita. Un Paese come l’Italia, la cui popolazione diminuisce e invecchia a

ritmo costante, non può sperare di continuare a sostenere il proprio sistema sanitario

se non riesce a impedire che si ammalino tutti coloro che possono evitare di farlo,

attraverso la prevenzione e gli stili di vita sani. Si tratta, oggi più che mai, di curare chi

sta bene, e il medicinale più indicato è l’informazione, la sensibilizzazione. In una

parola la comunicazione, ossia lo scambio – e non l’invio unilaterale – di messaggi

efficaci, che siano in grado di ottenere un’adesione, la conformazione dell’agire e la

conseguente trasformazione dello stato di fatto. È quindi attualissimo, e meritorio,

l’obiettivo intorno al quale oggi avete scelto di riunirvi. Modestamente, vorrei

suggerire che per il raggiungimento del nostro comune obiettivo – ossia la diffusione

delle abitudini tendenti alla prevenzione delle patologie – può essere di non poco conto

anche l’apporto di noi comunicatori professionali, tanto più se specializzati proprio

nell’Healthcare.

Conclusione: consigli pratici per medici-comunicatori

1. Utilizzare le nuove tecnologie: se i pazienti sempre più spesso si rivolgono a

“Doctor Web”, una buona idea per fare in modo che quest’abitudine non si riveli

perniciosa è far sì che “dietro” agli strumenti digitali ci siano professionisti della

salute, competenti, aggiornati, flessibili ai linguaggi digitali – che privilegiano il

dialogo paritetico a scapito di formule complesse e dottorali – e disponibili a

spiegare e a rispondere… spesso ben oltre gli orari di ricevimento a studio o in

laboratorio.

I nuovi strumenti digitali posso essere efficacemente utilizzati anche come

strumenti di promozione o di marketing: un medico-blogger sarà spesso anche un

professionista più noto e più ricercato dai pazienti; quindi non esiste un trade-off,

un’opposizione logica, fra la prossimità generata dalla presenza in Rete e la

credibilità, la riverenza, comunicata dal camice bianco.

2. Dedicare tempo alla comunicazione medico-paziente: che si tratti di accettare

l’invito a partecipare a una trasmissione televisiva seguita da milioni di spettatori, o

di spiegare per l’ennesima volta la diagnosi a un singolo anziano ipoudente, la

comunicazione è sempre un ottimo investimento: è in grado, in sé, di promuovere

l’immagine e la professionalità del clinico, altrimenti percepito come altero e

distante (purtroppo, è l’effetto di tutte le uniformi, dal camice alla divisa militare),

coopera alla sensibilizzazione sulle patologie, stimola il consulto medico,

disincentiva i rimedi “fai da te”, mette in guardia dai rischi più diffusi e nel

complesso, su larga scala, rende possibili enormi risparmi di spesa sanitaria.

3. Sfruttare le casse di risonanza: la comunicazione non è solo contenuto, ma anche

strumento. Le casse di risonanza degli strumenti musicali la dicono lunga in tal

senso: il suono più soave sarebbe pressoché impercettibile senza il necessario

supporto materiale. Funzionano da casse di risonanza nella comunicazione in

sanità, ad esempio, le aziende farmaceutiche, i centri di ricerca e le associazioni di

pazienti. Sull’eticità del funzionamento di questi enti – e conseguentemente sul

giudizio riguardo a chi con loro stringe partnership e alleanze – sono diffuse molte

credenze: nel campo della comunicazione, se si ha la facilità espressiva e un buon

contenuto da veicolare, queste strutture funzionano benissimo da amplificatori del

messaggio e da catalizzatori dell’attenzione. In più, hanno buone disponibilità

d’investimento. E non guasta, perché come detto la comunicazione consiste pure

negli strumenti, e questi hanno costi non trascurabili.

4. Adeguare il linguaggio al target: è una regola di buonsenso, ma spesso si cede

all’abitudine di parlare fra colleghi, magari all’interno di consessi specialistici. Per

comunicare con i pazienti, invece, è bene instaurare un dialogo. E per far sì che il

paziente si confronti, interagisca, è necessario attingere a un vocabolario comune,

che non è quasi mai quello dei testi universitari di Medicina.

Prof. Marcello IritiProf. Marcello IritiProf. Marcello IritiProf. Marcello Iriti Ricercatore Confermato e Professore Aggregato di Patologia Vegetale

Dipartimento di Scienze Agrarie e Ambientali - Produzione, Territorio, Agroenergia- UNIMI

Nutraceutica e salute orale: evidenze cliniche

La dieta mediterranea, recentemente riconosciuta dall’UNESCO Patrimonio

dell’Umanità, è stata, da tempo, correlata ad un ridotto rischio di disturbi cronico-

degenerativi, come le malattie cardiovascolari e neurodegenerative e alcune forme di

tumore. Tale regime alimentare si basa sul consumo di cereali integrali, frutta e

verdura di stagione, legumi e frutta a guscio, yogurt e ricotta, pesce e carne bianca, olio

d’oliva e vino rosso con moderazione. Un elemento comune ad alcuni dei suddetti

alimenti, quelli di origine vegetale, risiede nel loro significativo contenuto di sostanze

nutraceutiche, composti a basso peso molecolare e dalle molteplici attività biologiche,

le quali, tuttavia, non vanno confuse con le vitamine, micronutrienti essenziali della

dieta assieme ai sali minerali.

Le sostanze nutraceutiche sono prodotte dalle piante, per lo più, a scopo di difesa. Esse

sono metaboliti secondari, noti anche come composti fitochimici, presenti nei tessuti

vegetali, i quali possiedono differenti bersagli farmacologici, molecolari e biochimici sia

su cellule e tessuti sani che alterati. L’attività antiossidante, antiinfiammatoria,

antibatterica, pro-/antiapoptotica e vasodilatatoria sono solo alcune delle proprietà che

conferiscono a tali composti azione anti-tumorale, cardio- e neuroprotettiva.

L’impiego delle sostanze nutraceutiche si affianca all’utilizzo, oggi sempre più in

crescita, di piante medicinali nel trattamento di differenti processi patologici,

purtroppo con efficacia non sempre accertata. Tra i principali gruppi di sostanze

nutraceutiche vi sono i fenilpropanoidi (più comunemente noti come composti fenolici),

gli isoprenoidi e gli alcaloidi.

I fenilpropanoidi rappresentano, probabilmente, la classe maggiormente studiata negli

ultimi anni. Solo le piante, incluse le alghe, e alcuni microorganismi sono in grado di

sintetizzarli a partire da aminoacidi aromatici liberi, fenilalanina o tirosina.

L’enzima chiave della loro biosintesi è la fenilalanina ammonio-liasi o la tirosina

ammonio-liasi, responsabili, rispettivamente, della deaminazione della fenilalanina e

delle tirosina.

Le principali classi di fenilpropanoidi sono gli idrossibenzoati, gli idrossicinnamati, le

cumarine, i lignani, la lignina e i polifenoli; questi ultimi, a loro volta, comprendono i

flavonoidi, gli stilbeni e le proantocianidine. I fenilpropanoidi sono, pertanto,

disponibili per l’uomo sottoforma di alimenti e la loro presenza in frutta, verdura,

cereali, legumi, olio d’oliva, cacao e in bevande di origine vegetale come tè, vino, caffè e

birra è stata ampiamente documentata: ad esempio, la tipica dieta occidentale prevede

l’ingestione di più di 1 g di polifenoli al giorno.

Gli isoprenoidi rappresentano un gruppo complesso e diversificato di sostanze lipofile

ampiamente diffuse nel mondo vegetale. Si originano a partire dall’acetil coenzima A, il

precursore della biosintesi degli acidi grassi, attraverso l’intermedio acido mevalonico.

Di particolare interesse sono i monoterpeni (a 10 atomi di C) e i sesquiterpeni (C15),

sia idrocarburici che ossigenati, componenti principali degli oli essenziali; i triterpeni

(C30), che comprendono gli steroli e i loro derivati steroidei; ed infine i tetraterpeni

(C40) che raggruppano i carotenoidi. Gli oli essenziali, in particolare, sono composti

altamente volatili, con una bassa soglia di percezione olfattiva, estratti per

idrodistillazione dalle piante aromatiche (menta, lavanda, salvia, rosmarino, timo,

ginepro, cipresso, cedro, basilico, prezzemolo, garofano, cannella, eucalipto,

maggiorana, verbena, mirto, sandalo, bergamotto, limone, cumino, anice solo per

citarne alcuni) e con un’elevata capacità di assorbimento transcutaneo. La loro spiccata

attività antimicrobica, sia biocida che biostatica, verso batteri Gram-positivi e Gram-

negativi nonché miceti, li rende particolarmente utili in ambito odontoiatrico

sottoforma di collutorio. Infatti, l’efficacia degli oli essenziali sul miglioramento degli

indici di placca e di infiammazione gengivale è stata documentata e verificata, con

mantenimento anche a lungo termine.

Gli alcaloidi sono dei composti quaternari i quali, a differenza dei fenilpropanoidi e

degli isoprenoidi, contengono N oltre che C, H ed O. Pertanto, molti gruppi di alcaloidi

derivano ciascuno da un precursore aminoacidico, del quale ne è preservato il gruppo

amminico. Tali metaboliti secondari possiedono un notevole interesse dal punto di

vista farmacologico, come l’atropina e la cocaina, derivanti dall’ornitina, la morfina che

deriva dalla tirosina, la catarantina, la vindolina e la camptotecina, potenti agenti

antitumorali derivanti dal triptofano e l’efedrina dalla fenilalanina, solo per citarne

alcuni. Oltre a questi, gli alcaloidi xantinici, derivanti dalle basi azotate puriniche,

ricoprono un particolare interesse dal punto di vista nutrizionale, data la loro ampia

diffusione nella dieta. Caffeina, teofillina e teobromina, presenti rispettivamente in

caffè, tè e cacao, sono i principali alcaloidi appartenenti a questa famiglia.

Dal punto di vista medico, se, da un lato, gli studi preclinici, sia in vitro che in vivo,

assieme ai dati epidemiologici permettono di intuire un ruolo protettivo di tali

composti, i loro reali effetti preventivi e terapeutici sull’uomo non sono stati ancora

unanimemente confermati. In particolare, i dati clinici sul potenziale chemiopreventivo

dei flavonoidi sul cancro orale sono ancora frammentari. La discrepanza tra i dati

epidemiologici e gli studi di intervento si può, almeno in parte, spiegare attraverso la

presenza di fattori confondenti che possano, in qualche modo, alterare i risultati degli

studi epidemiologici. Ad esempio: i fumatori possono avere un consumo di frutta e

verdura inferiore rispetto ai non fumatori; i forti consumatori di bevande alcoliche, in

maniera analoga, tendono ad avere un introito alimentare più basso, quindi un minor

apporto di nutrienti biologicamente attivi paragonati ai normali bevitori o agli astemi;

entrambi, inoltre, possono svolgere stili di vita più sedentari e meno salutistici.

Un ulteriore limite riguarda la biodisponibilità degli agenti nutraceutici in forma attiva

ed in concentrazione adeguata a livello dei tessuti e dei fluidi orali. Inoltre, il

meccanismo d’azione di tali composti nell’uomo può differire da quello osservato su

colture cellulari e animali da laboratorio: la mancanza di studi clinici di farmacocinetica

e farmacodinamica ostacola la comprensione di questo aspetto fondamentale.

Per raggiungere le concentrazioni efficaci nel sito bersaglio, in particolare il cavo orale,

i componenti bioattivi degli alimenti ingeriti devono oltrepassare una serie di barriere

a livello gastroenterico e resistere, in forma attiva, alla biotrasformazione da parte

degli enzimi di fase I e II, del metabolismo di primo passaggio epatico e della flora

microbica intestinale. Tuttavia, recentemente, sono stato messi a punto dei nuovi

sistemi di rilascio a livello del cavo orale, allo scopo di migliorare l’efficacia di alcune

sostanze nutraceutiche: a) la nanochemioprevenzione, che prevede l’incapsulamento di

agenti naturali in nanoparticelle biocompatibili per migliorarne la stabilità e

l’assorbimento; b) l’applicazione topica locale sfruttando la via transmucosa orale,

seguendo due possibili vie di trasporto – paracellulare (attraverso gli spazi

intercellulari, per i composti idrofilici) o transcellulare (attraverso le membrane

cellulari ed il citoplasma, per le sostanze lipofiliche). In entrambi i casi, l’obiettivo è

quello di ridurre l’eliminazione pre-sistemica di tali composti a livello gastroenterico.

Ad ogni modo, l’uso di estratti vegetali o di singole sostanze naturali per il trattamento

delle malattie orali necessita di ulteriori studi per la validazione della loro reale

efficacia clinica: mancano studi clinici randomizzati, in cieco, per confrontarli con gli

attuali trattamenti di riferimento, utilizzando un placebo qualora non esista uno

specifico trattamento.

In conclusione, l’efficacia delle sostanze nutraceutiche dovrebbe essere verificata per

ogni singola malattia orale. Le evidenze ad oggi disponibili suggeriscono come gli

estratti vegetali siano più efficaci dei singoli composti. Come precedentemente

illustrato, le diverse sostanze fitochimiche presenti in un fitocomplesso, in virtù dei

loro differenti bersagli farmacologici, possono essere maggiormente efficaci verso le

malattie ad eziologia multifattoriale: effetti additivi e/o sinergici è probabile che

massimizzino gli effetti dei singoli composti anche sulla salute orale.

La possibilità dell’impiego periodico di collutori a base di oli essenziali, in alternativa

alla clorexidina, in caso di difficoltà nel corretto spazzolamento (deficit psico-motori,

periodi post-chirurgici, scarsa manualità o compliance), sembra essere valida. L’utilizzo

di prodotti a base di Aloe vera, infine, può essere preso in considerazione come

alternativa più blanda alla terapia cortisonica topica, per favorire la cicatrizzazione di

lievi lesioni erosive di origine disimmunitaria (lichen planus orale o stomatite aftosa).

Bibliografia essenziale

� Iriti M, Vitalini S (2012) Health-promoting effects of traditional Mediterranean

diets. Polish Journal of Food and Nutrition Sciences 62, 71-76.

� Iriti M, Varoni EM (2013) Chemopreventive potential of flavonoids in oral

squamous cell carcinoma in humans studies. Nutrients 5(7), 2564-2576.

� Iriti M, Varoni EM (2014) Nutraceuticals in dentistry, a clinical approach. Dental

Cadmos 82(4), 239-258.

� Varoni EM, Lodi G, Sardella A, Carrassi A, Iriti M (2012) Plant polyphenols and

oral health: old phytochemicals for new fields. Current Medicinal Chemistry 19,

1706-1720.

Dott. Paolo ParenteDott. Paolo ParenteDott. Paolo ParenteDott. Paolo Parente Osteopata Direttore Generale di TCIO - Take Care Istituto Osteopatico

Alimentazione e Postura

Alimentazione e postura si associano poiché entrambi i fattori concorrono alla

realizzazione di un corpo in equilibrio psicofisico.

La postura incontra l’alimentazione come due mani che si stringono nell’incrocio delle

dita, dove ognuno occupa lo spazio lasciato dall’altro.

I fattori che influenzano le posture:

• Informazioni vestibolari, visive, apparato stomatognatico e propriocezione.

• Il parto

• Le infiammazioni

• Traumi e interventi chirurgici

• La posizioni obbligate dalle professioni e gli sport

• Fattori psicologici

• L’alimentazione

Il tessuto connettivo è fortemente influenzato dall’alimentazione e costituisce

l’importanza del nostro metabolismo (l’importanza dell’acidosi metabolica).

Mantenere il connettivo in buona salute significa diminuire il rischio di dolori e

infiammazioni e sopratutto migliorare l’elasticità dei nostri tessuti corporei avendo la

possibilità di dare al nostro organismo migliori strategie di compensi per non percepire

il “dolore”.

Prof.ssa Claudia DellaviaProf.ssa Claudia DellaviaProf.ssa Claudia DellaviaProf.ssa Claudia Dellavia Ricercatore Confermato e Professore Aggregato di Anatomia Umana

Dipartimento di Scienze Biomediche, Chirurgiche e Odontoiatriche - UNIMI

Si deve rinunciare all’aperitivo?

Secondo il rapporto del 2002 dell'Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS)

esistono alcuni fattori in grado di influenzare concretamente e in modo negativo la

durata della vita di un uomo nei paesi industrializzati. Tali aspetti sono determinati

espressamente dal comportamento o dalle abitudini dell’individuo e sono perciò fattori

modificabili. Questi fattori, tra i quali, il fumo, l’uso di sostanze alcoliche, la vita

sedentaria, il soprappeso/obesità, il ridotto consumo di frutta e verdura, l’uso di

sostanze stupefacenti, sono associati ad una riduzione in anni della vita media

dell’individuo. Ad esempio il fumo determina una riduzione di 12,2 anni di vita,

l’alcolismo una riduzione di 9,2 anni, mentre la vita sedentaria riduce l’aspettativa di

vita mediamente di 3,3 anni. Purtroppo queste abitudini, in particolar modo il fumo,

l'alcool e un’alimentazione scorretta, sono sempre più diffuse tra gli adolescenti e i

giovani di oggi, ignari di tutte le conseguenze negative che essi comportano.

L’importanza della modifica degli stili di vita è quindi fondamentale fin dall’infanzia.

Uno studio condotto da Baker et al. (2007) su oltre 276 mila individui danesi ha

analizzato il possibile rapporto fra BMI (indice di massa corporea) nell’infanzia

(bambini di età compresa fra i 7 e i 13 anni visitati nelle scuole pubbliche ogni anno) ed

incidenza di patologie cardiovascolari negli adulti (età>25 anni). I risultati dello studio

dimostrano che esiste un’associazione soprattutto nei maschi fra BMI ed aumento

dell’incidenza di patologie cardiovascolari negli adulti.

L’odontoiatra è una figura chiave per intercettare abitudini poco salutari e aiutare la

prevenzione e/o la terapia di malattie sistemiche. Stili di vita poco salutari come fumo

e stress possono favorire l’insorgenza della parodontite e di altre malattie sistemiche

nello stesso individuo. Scarsa igiene orale, fumo di sigaretta, predisposizione genetica,

infatti, aumentano la suscettibilità alle malattie parodontali. L’impatto di una corretta

alimentazione sulla salute del cavo orale è ben dimostrato in letteratura.

Una dieta mediterranea con un moderato uso di alcool, attività fisica ed il non fumare

sono associati ad una ridotta mortalità.

Inoltre studi molto recenti dimostrano che l’aderenza alla dieta nel tempo è più

importante delle caratteristiche macronutritive della dieta stessa.

Le scorrette abitudini alimentari dei giovani di oggi prevedono un consumo di acidi

elevatissimo. Questi sono la prima causa dell’erosione dentale, ovvero la progressiva

dissoluzione dei tessuti duri del dente (smalto e dentina) che provoca ipersensibilità e

maggiore cariorecettività.

L’erosione è l’usura del dente, causata dagli acidi che ne indeboliscono la superficie.

Quando lo smalto è esposto all’attacco degli acidi, contenuti nei cibi e nelle bevande,

esso si indebolisce temporaneamente, e perde parte del suo contenuto minerale. Molti

alimenti come il vino, i succhi e le bibite gassate, possono essere molto acidi e quindi

potenzialmente dannosi per i nostri denti. La maggior parte di questi alimenti però

non deve essere evitata, in quanto sani.

L’erosione da acidi non dipende solo da ciò che si mangia o si beve, ma anche dalla

relativa modalità di assunzione. I primi segnali di erosione dentale sono:

• Aspetto levigato ed arrotondato della superficie del dente

• Denti dal colorito giallognolo

• Denti sensibili al contatto con alimenti caldi o freddi

Segnali di erosione avanzata sono:

• Aspetto del dente di colore giallo/bruno

• Bordi trasparenti

• Sensibilità al caldo o al freddo più intensa.

La saliva aiuta a neutralizzare l’acidità e a ristabilire il pH naturale della bocca. Questo

processo di "riparazione” però è lento, e se l’attacco degli acidi è frequente, il dente non

ha il tempo sufficiente per ripararsi.

Gli effetti dell’erosione da acidi possono interessare persone di tutte le età e, una volta

che sono comparsi, sono irreversibili. Proteggersi diventa quindi la migliore arma per

combatterli e per proteggersi occorre:

1. Evitare di lavarsi i denti immediatamente dopo aver consumato cibi o bevande acide,

aspettando circa 1 ora dall’assunzione di questi alimenti prima di spazzolarsi denti;

2. Bere le bevande acide in fretta, senza tenere in bocca il liquido troppo a lungo prima

di ingerirlo;

3. Lavarsi i denti due volte al giorno tutti i giorni con un dentifricio poco abrasivo;

4. Andare regolarmente dal proprio dentista.

In uno studio condotto dal nostro gruppo di ricerca sono stati processati ed analizzati

al microscopio ottico alcuni elementi dentari estratti, disinfettati ed immersi per una,

due e tre settimane in alcune delle più comuni bevande, alcoliche e non, consumate in

particolar modo dai giovani. Ai diversi ingrandimenti si è potuto notare un progressivo

indebolimento e l’alterazione della macrostruttura dello smalto, all’aumentare del

tempo d'azione della bevanda.

Le bevande più dannose per l’insorgenza di fenomeni erosivi sono risultate la Coca-

Cola e i succhi di frutta, mentre quelle che hanno pigmentato con una maggiore

intensità gli elementi dentari erano il vino rosso, il caffè , la Coca-Cola ed il Campari.

Tra le scorrette abitudini alimentari dei giovani di oggi vi è la continua assunzione di

cibo e snack fuori pasto che imporrebbe la necessità di lavare i denti subito dopo;

spesso e volentieri, purtroppo i ragazzi non hanno la possibilità e spesso la voglia di

farlo.

Per far fronte a questo problema è stato proposto un nuovo strumento per la

detersione e igienizzazione della cavità orale; si tratta di una garza TNT, monouso,

confezionata in bustine monodose imbevute con una soluzione antisettica al 0.12% di

clorexidina, che può essere utilizzata in associazione allo spazzolino tradizionale.

L’efficacia di questo strumento è stata valutata su un gruppo di circa 200 atleti con

disabilità intellettiva che partecipavano ai Giochi Nazionali Special Olympics - Biella

2012; gli atleti infatti fanno generalmente grande ricorso a snack ipercalorici e a

bevande dolci e gassate per fronteggiare le elevate richieste energetiche richieste

durante l’attività fisica competitiva. In tale occasione abbiamo suddiviso gli atleti in un

gruppo sperimentale che ha testato l’azione detergente della garza e un gruppo di

controllo che ha pulito i denti con il comune spazzolino.

Gli atleti sono stati istruiti all’uso di questo strumento dal nostro team odontoiatrico,

quindi dopo aver arrotolato la garza attorno ad un dito, con un movimento di “rolling

motion” hanno deterso denti e mucose. I risultati hanno incoraggiato l’uso della garza

la cui efficacia era comparabile a quella dello spazzolino, sottolineandone la

maneggevolezza anche in soggetti con difficoltà manuali. Rimane comunque un punto

fermo che le classiche metodiche di igiene orali non possono essere sostituite da questo

strumento che rappresenta tuttavia un utile ausilio nell’impossibilità di lavarsi i denti.

L’aperitivo serale rappresenta una prassi molto consolidata e popolare soprattutto tra

adolescenti e giovani e spesso tende a sostituire la cena, prolungandosi anche per ore.

Purtroppo spesso e volentieri le bevande alcoliche fanno da protagoniste durante

l’aperitivo.

È importante sottolineare quindi che il consumo di sostanze alcoliche è associato ad un

aumento di sviluppo di cancro del tratto gastrointestinale superiore (incluso il cavo

orale), sebbene l’esatto meccanismo patogenetico non sia stato ancora accertato

Un’evidenza scientifica crescente suggerisce che l’acetaldeide, il primo e genotossico

metabolita dell’etanolo, abbia un proprio ruolo determinante nella cancerogenesi.

Non dimentichiamo gli effetti dell’alcol e delle bevande alcoliche sugli elementi dentari.

Gli zuccheri vengono trasformati in acidi dai batteri presenti nel cavo orale

In molte bevande alcoliche abitualmente consumate durante l’aperitivo sono poi

contenuti coloranti. Lo smalto, già parzialmente demineralizzato e reso poroso

dall’attacco degli acidi, si presta più facilmente ad essere “colorato” dagli elementi

cromogeni presenti nel vino e nelle altre bevande colorate. Inoltre l’alcol viene

degradato da enzimi naturalmente presenti nella bocca che lo trasformano in

acetaldeide, una sostanza che danneggia le gengive.

Infine è importante ricordare che il fumo e alcool hanno un effetto sinergico e

moltiplicativo. Dal 1950 ad oggi numerosi lavori scientifici hanno identificato il fumo

come fattore di rischio per la malattia parodontale. L’uso di tabacco rappresenta

un’importante fattore in grado di influire sulla prevalenza e la progressione delle

diverse forme di malattie parodontali.

Sono oltre 4.000 le sostanze presenti nel fumo di una sigaretta accesa, di cui 40 sono

considerate cancerogene. Si tratta di sostanze irritanti e fortemente dannose per

l’apparato respiratorio come l’acido cianidrico, l’acroleina, la formaldeide, l’ammoniaca,

il monossido di carbonio e l’acido prussico. Il fumo delle sigarette contiene anche 24

metalli tra i quali il cadmio che nel sangue del fumatore è da 3 a 4 volte superiore

rispetto ai non fumatori. Un’altra sostanza molto pericolosa è il benzolo, che può essere

causa di leucemie e il catrame, che a sua volta è composto da centinaia di sostanze con

effetti cancerogeni per l’apparato respiratorio, il cavo orale, la gola e le corde vocali.

Durante il corso sarà quindi trasmesso un chiaro messaggio rivolto a i giovani: non

occorre rinunciare a momenti importanti di svago e aggregazione sociale, ma si deve

prestare attenzione ad alcuni importanti accorgimenti per garantire la preservazione

della salute orale e sistemica. Saranno pertanto fornite indicazioni su quali sono i

possibili rischi e su come evitare i relativi danni sottolineando come la salute della

cavità orale rappresenti spesso lo specchio del buon funzionamento dell'organismo.

L’alimentazione corretta deve diventare un’abitudine di vita.

E quindi suggerire di: distribuire le calorie assunte su tutto l’arco della giornata, non

dimenticare mai l’importanza della colazione ed evitare cene particolarmente

abbondanti, consumare regolarmente frutta e verdura, non assumere troppi carboidrati

(zuccheri, farine, ecc), e preferire quelli integrali, limitare il più possibile il consumo di

grassi (condimenti, dolci, fritti, salumi, formaggi, carni grasse, ecc) e optare per quelli

di origine vegetale, introdurre giuste quantità di proteine magre (carni bianche, carni

rosse magre, pesce), assumere almeno 1.5 L di liquidi al giorno (meglio semplice acqua)

e limitare il consumo di alcool. Sì alle vitamine e ai minerali che favoriscono la salute

orale; nello specifico la vitamina C è molto utile per proteggere i tessuti gengivali dalla

colonizzazione batterica e quindi sì a uova, peperoni, latte, broccoli, rucola, mandarini e

pompelmi, ai frutti di bosco e a tutte quelle verdure, che stimolando la salivazione

attivano il meccanismo di pulizia naturale della bocca; i mirtilli, inoltre, contengono

sostanze antibatteriche che impediscono la formazione della placca riducendola del

70%. L’olio di fegato di merluzzo, lo sgombro, il tonno, il latte, i cereali e la classe dei

formaggi sono invece cibi particolarmente ricchi di vitamina D, che, se assunta

costantemente, svolge un’azione protettiva nei confronti delle malattie dell’apparato

stomatognatico. Sì ai "cibi spazzolino”, alimenti vegetali croccanti come mele, carote,

sedano, e simili che sono efficacissimi nella rimozione della placca. Sì al latte e derivati

per il loro contenuto di calcio, con l’accortezza di lavare i denti per eliminare il lattosio,

zucchero che si deposita come residuo e diventa cibo per la flora batterica.

Stop agli snack e bevande gassate: limitare il consumo di snack dolci e salati, caramelle

e dolciumi in genere, ma anche di patatine, tartine e semi oleosi serviti con l’aperitivo

che lasciano residui sullo smalto altamente adesivi il cui effetto dannoso viene

moltiplicato dall’alcol. Il consumo di bevande gassate, che contengono molti zuccheri

e acidificano il cavo orale, andrebbe il più possibile limitato. Lo stesso vale per i succhi

di frutta, la birra e il vino bianco: bevande tendenzialmente acidificanti ma che

tuttavia non devono per forza essere bandite del tutto. L'acidità di questi alimenti può

essere efficacemente tamponata accompagnandoli con un po' di formaggio, ricco di

calcio e grassi che proteggono lo smalto. Sono infine da evitare i cibi surgelati e ricchi

di conservanti ed additivi, facendo ricadere la propria scelta sui cibi freschi.

Arch. Marco GiachettiArch. Marco GiachettiArch. Marco GiachettiArch. Marco Giachetti Consigliere di Amministrazione

Fondazione IRCCS Cà Granda, Ospedale Maggiore Policlinico Delegato al Progetto di Valorizzazione del Patrimonio Rurale della Fondazione

La ricerca della qualità alimentare come leva di riqualificazione dell’identità territoriale e storico-culturale lombarda

Il patrimonio rurale della Fondazione IRCCS Ca’ Granda è costituito da 85 milioni di

mq per lo più concentrati a sud di Milano, che equivale allo 0,8 % della superficie

agraria lombarda. Tali metri quadrati sono suddivisi in 180 poderi, di cui 100 con

cascina strutturata che, data la moderna tecnologia agraria, fanno un utilizzo del tutto

marginale degli oltre 1.000 fabbricati strumentali. A questi si aggiungono circa 400

unità immobiliari ad uso residenziale (ex case dei salariati).

Uno degli obiettivi strategici indicati dal CdA della Fondazione, prendendo spunto

dalla scadenza dei contratti in corso, è la valorizzazione di questo patrimonio rurale a

partire, innanzitutto, dalle imprese agricole, che potrebbero essere caratterizzate non

solo dalle loro specifiche coltivazioni, ma anche dalla produzione di beni e servizi

immateriali, e dal recupero funzionale delle cascine e del paesaggio loro circostante.

Si tratta, infatti, di un patrimonio non solo rurale, ma anche culturale e storico,

rappresentativo della tradizione lombarda costruito in quasi 600 anni di storia grazie

alla generosità di milanesi e lombardi.

In estrema sintesi, l'idea è, coadiuvati da Regione Lombardia, mettere in rete il

patrimonio, le istituzioni locali, le associazioni di categoria e ambientaliste, le

fondazioni che operano sul territorio collaborando con la Fondazione Ca’ Granda per i

seguenti obiettivi.

Il progetto si fonda su quattro grandi pilastri che hanno come comune denominatore

La Bioeconomia come modello di valorizzazione del patrimonio agricolo:

- Marchio Alimentare Ca’ Granda e Ospedale Km 0

prodotti di nostri conduttori ad alta qualità (filiera corta) utilizzo cibi prodotti

per alimentare degenti/dipendenti ospedale

- Implementazione fonti rinnovabili e Ospedale Impatto 0

mini-idroelettrico; biogas da liquami; fotovoltaico e utilizzo energia verde per

alimentare fabbisogno ospedale

- Miglioramento ambientale

sistemi verdi, zone umide, biodiversità, agricoltura biologica

- Recupero cascine agricole e case ex-salariati dismesse

con sviluppo nuova attività economiche/sociali social housing, o case protette

per anziani

Nel merito della parte più attinente al convegno, il primo pilastro del progetto è quello

di promuovere lo sviluppo del contesto locale agricolo- economico, sociale e

ambientale, nel quale operano le aziende agricole di proprietà dell’Ospedale Maggiore

di Milano, favorendo la commercializzazione di prodotti agricoli coltivati sui terreni

agricoli di proprietà, in un’ottica di sostenibilità ambientale e di responsabilità sociale.

Attualmente le forniture agroalimentari raramente vedono protagonisti i produttori

del territorio, ma seguono logiche esclusivamente basate sulla domanda e sull’offerta in

cui quasi sempre il prezzo è l’elemento determinante, tranne nei casi di produzioni

connotate da chiari e verificabili elementi distintivi.

Ma c’è un altro aspetto di estrema attualità ed importanza che il progetto vuole

prendere in considerazione ed è quello della Sicurezza Alimentare. Infatti, soprattutto

negli ultimi anni si è spesso sottolineato la gravità per la salute umana, dovuta alla

possibile presenza di determinati agenti patogeni che dalla campagna si trasferiscono

negli alimenti, basti pensare alle micotossine, in modo particolare alla aflatossine nel

latte.

Il settore agricolo spesso evidenzia e divulga all’opinione pubblica, le produzioni

“legate” a pratiche agronomiche di agricoltura eco-compatibile (agricoltura biologica e

integrata) in tal modo viene certificata la procedura di coltivazione attuata, ma non è

garantita la salubrità del prodotto. Quello che invece si vorrebbe realizzare è una

certificazione della qualità e della salubrità del prodotto a totale tutela del

consumatore.

Il progetto si pone pertanto l’obbiettivo di realizzare dei disciplinari di produzione dei

prodotti agricoli derivati dai poderi di proprietà dell’Ospedale Maggiore, che certifichi

la qualità, la salubrità e la derivazione del prodotto, il tutto garantito e attestato dalla

realizzazione e attribuzione di un proprio marchio. Evidentemente le tecniche colturali

attuate dovranno essere nel totale rispetto delle “buone pratiche agricole” e

dell’ambiente.

La creazione del marchio consentirà la commercializzazione dei prodotti agricoli in

confezioni appositamente realizzate, che evidenziano l’origine, la qualità e la salubrità

del prodotto stesso.

Con tale azione l’Ospedale Maggiore intende mettere a disposizione dei propri

affittuari un’opportunità, la cui adesione è evidentemente del tutto libera, al fine di:

favorire la commercializzazione differenziata dei prodotti coltivati da imprese agricole

affittuarie dei poderi agricoli di proprietà dell’Ospedale Maggiore favorire la fornitura

di questi prodotti alle proprie realtà ospedaliere.

Fatto culturalmente e socialmente rilevante in quanto permetterebbe all’Ospedale

Maggiore di riprendere all’origine il perché della conduzione dei terreni agricoli, che

era quella di dar da mangiare ai bisognosi.

Favorire le relazioni di filiera tra produttori e trasformatori al fine di fornire ai

consumatori prodotti finiti, controllati e tracciati in ogni fase.

Sono ipotizzabili interventi relativi alle seguenti filiere, fondate su prodotti

ampiamente coltivati nel territorio in esame:

Latte e derivati – attraverso il coinvolgimento di aziende ad indirizzo zootecnico con

allevamento bovino da latte con caseifici presenti sul territorio.

Riso – attraverso il coinvolgimento di produttori agricoli con realtà di lavorazione e

vendita del riso bianco presenti sul territorio.

Con identiche modalità si potrebbero sviluppare in un prossimo futuro, interventi in

altre filiere quali l’allevamento bovino e suino da carne e l’orticoltura, anch’esse

presenti, pur se con dimensione più ridotta.

Il progetto vedrebbe coinvolte le seguenti realtà :

Università degli Studi di Milano, Facoltà di Scienze Agrarie e Alimentari. Università

degli Studi di Milano, Facoltà di Medicina e Chirurgia Laboratorio di analisi ( da

identificare)

Società di Certificazione ( da identificare)

Professionista agronomo con dimostrata esperienza professionale in loco.

Al fine di realizzare il progetto si prevede di attuare le seguenti fasi operative:

Prima fase - Conoscenza del territorio e delle realtà presenti

1. Analisi delle aziende agricole affittuarie dell’Ospedale Maggiore evidenziando: la

specializzazione produttiva, il riparto colturale e l’eventuale tipologia di allevamenti

praticati, l’eventuale presenza di attività quali la vendita prodotti aziendali,

agrituristiche, le caratteristiche socio demografiche e il livello di formazione delle

risorse umane impiegate, le potenzialità produttive.

2. Individuazione di realtà di trasformazione e commercializzazione di prodotti

agricoli che potrebbero essere interessate alla realizzazione stabili relazioni di

filiera con le aziende agricole.

3. Individuazione di tecniche agronomiche, di allevamento e di trasformazione che

favoriscono la realizzazione di un prodotto sano e di qualità.

4. Realizzazione per singolo prodotto di schede tecniche che definiscono le

caratteristiche qualitative, sanitarie e nutrizionali dei prodotti.

5. Identificazione di metodi di tracciabilità e di certificazione delle filiere in

applicazione del reg. 852/2004.

6. Stesura di una prima bozza dei disciplinari di produzione

Seconda fase - Proposta alle realtà produttive coinvolte

1. Incontro con le realtà coinvolte al fine di verificare la possibile applicazione dei

disciplinari

2. Definizione dei parametri chimico-microbiologici da individuare per ogni

alimento e verifica, attraverso analisi di laboratorio, delle caratteristiche

qualitative della produzione attuale

3. Definizione del numero di analisi e campionamento dei prodotti aziendali

Terza fase - Strumenti operativi da mettere al servizio delle realtà coinvolte

1. Definizione dei disciplinari di produzione

2. Definizione delle schede tecniche attestanti i requisiti di qualità dei prodotti

3. Definizione del metodo di certificazione della filiera

4. Definizione del Marchio di produzione e sua registrazione presso la Camera di

Commercio di Milano.

Dott.ssa Margherita Landra e Sig.ra Laura LandraDott.ssa Margherita Landra e Sig.ra Laura LandraDott.ssa Margherita Landra e Sig.ra Laura LandraDott.ssa Margherita Landra e Sig.ra Laura Landra Titolari de “La Nostra Cucina” -Milano

Healthypot

Nel 1977 abbiamo deciso di aprire la nostra scuola di cucina perché ci sembrava

interessante proporre le nostre idee allora piuttosto nuove.

Forti dell’esperienza di nostro padre, che faceva per hobby il giudice nei concorsi

gastronomici e riportava risultati di una cucina senz’altro buona, ma troppo grassa e

decisamente di difficile digestione.

Abbiamo,con amore deciso di alleggerire e rivisitare le ricette più classiche e non per

renderle più moderne e più sane.

In questi primi anni, grazie anche ai nostri allievi,che hanno approvato le nostre scelte

fatte e proposte, abbiamo continuato a sperimentare e a realizzare ricette che

appagassero gli occhi e il palato.

Nel 1983 con la dottoressa Roberta Salvadori abbiamo scritto “ La dieta mediterranea”:

dieta come la parola greca diaita ovvero sistema di vita per mangiare buono e sano con

i prodotti tipici della nostra terra.

Il libro ha avuto un successo clamoroso.

Abbiamo continuato all’interno delle nostre varie attività a scrivere svariati libri.

Ad esempio nel 1996 abbiamo scritto “Cocktails naturali”, bevande naturali ad alto

contenuto di vitamine e minerali.

Con largo anticipo sui tempi abbiamo proposto il riso Venere, l’orzo e svariati cereali

per sottolineare l’importanza delle fibre abbinati ad ingredienti freschissimi per

combinarli in piatti facili e golosi per allontanare la solita routine.

Cosa abbiamo proposto e cosa continuiamo a proporre:

- Abolizione del soffritto .Con l’introduzione della stufatura,cioè una cottura a bassa

temperatura con aggiunta di acqua,si possono conservare i profumi, i sapori e i

colori e si possono rendere i piatti molto più digeribili.

- Metodi di cottura più scientifici con pentole molto calibrate,che rispettino il volume

del cibo. Spesso arrosti,spezzatini,stufati e stracotti, se cotti in pentole troppo

grandi richiedono un quantitativo di condimento eccessivo.

Riducendo il diametro delle pentole si possono sfruttare meglio i succhi interni alle

carni e il vapore che si forma all’interno della casseruola serve a far si che si ottenga

un sugo molto saporito, ma non grasso.

- Padelle antiaderenti per risparmiare sui grassi cotti a favore di quelli crudi.

- Materiali di ultima generazione no stuck come la ceramica e la pietra permettono al

meglio di cucinare preservando maggiormente i nutrienti .I diametri delle padelle

rispondono anche loro a delle regole ben precise. Piccola per risultati morbidi.

Grande per risultati croccanti.

- Cotture rapide per mantenere le proprietà nutritizie delle verdure. Dare la

preferenza a cotture a vapore, a microonde a rapide sbollenta ture.

- Importanza delle materie prime. Preferire la stagionalità e il chilometro zero.

- Conservare al meglio i cibi crudi e consumarli in tempi brevi. Proteggere i cibi cotti

mantenendoli al freddo in modo da evitare lo sviluppo di batteri.

- Gli aromi naturali freschi aggiunti agli alimenti apportano antibiotici,antiossidanti

ed elementi che favoriscono la digestione.

- Importanza dell’impiattamento: il cibo deve appagare tutti i sensi perciò per prima

la vista deve essere attirata dalla disposizione del cibo e dai suoi colori vivaci;

l’olfatto deve avere la conferma di quello che ha visto ed esserne attirato: il gusto

deve confermare le sensazioni degli altri sensi.

- Il confronto e lo studio costante con le cucine di tutto il mondo per sfruttare al

meglio le risorse altrui. Ad esempio l’uso del wok permette di saltare rapidamente le

verdure mantenendo vivaci i colori e data la forma particolare di questa pentola

risparmiare sui grassi cotti.

- Importanza dell’acqua come ingrediente fondamentale per la cottura. L’aggiunta di

acqua in un sugo lo rende più cremoso e morbido senza alterarne il sapore.

Emulsionare olio e acqua permette di avere una salsa di giusta consistenza, ma più

povera di grassi.

- Drastica riduzione del sale e dello zucchero. Preferire sale marino integrale per la

sua ricchezza in elementi minerali, infatti costituisce una miniera straordinaria e

perfettamente bilanciata di oligoelementi. Aggiunge sapidità ai cibi con dosi più

ridotte rispetto al sale raffinato.

Lo zucchero è determinante nel favorire uno scompenso nel pancreas, la ghiandola che

produce l’insulina. Ogni volta che nella dieta è presente zucchero, il pancreas è

costretto ad un notevole sforzo per produrre l’insulina necessaria a far sì che lo

zucchero mangiato sia utilizzato dalle cellule.

La carie dentaria,patologia che ormai affligge la quasi totalità della popolazione in età

scolare,è da sempre collegata al consumo dello zucchero.

Lo zucchero andrebbe definito più correttamente un “non alimento”.

Le nuove idee per l’aperitivo e l’apericena tanto amate dai giovani, ma che rispettino

anche i canoni nutrizionali.

Ottimo il cocktail di succo di mela e spumante da servire con mirtilli o scaglie di

parmigiano.

Benissimo il succo di pomodoro fresco da accompagnare con bastoncini di carota e di

sedano.

La tartare di salmone ricca di omega3 accompagnatela con la spremuta di pompelmo.

I succhi e i frullati di frutta e di verdura si possono considerare dei veri e propri

integratori alimentari oltre ad essere delle bevande dissetanti. Costituiscono degli

ottimi integratori naturali durante l’inverno, ma sono anche ottimi antistress.

Concludendo bisogna ridurre i grassi cotti, gli zuccheri e il sale.

Bisogna dare la preferenza alle verdure e alla frutta colorate che appaghino l’occhio e il

palato.

Mangiare poca carne, ma soprattutto saperla cuocere bene.

Variare il più possibile per evitare rischi alimentari da carenze o da eccessi e stimolare

anche a tavola la curiosità.

Durante il corso sarà pertanto affrontato il tema di cucinare i cibi affinché possano

conservare le loro proprietà nutritizie insieme agli abbinamenti ideali per la salute

generale ed in particolare di quella orale e saranno proposte alcune idee di

presentazione per stuzzicare la curiosità e l’interesse dei giovani così che scelgano cibi

e bevande più salutari nella consapevolezza dei rischi e dei benefici, frutto

dell’esperienza acquisita in 37 anni di scuola di cucina.

Prof. Paolo SimonettiProf. Paolo SimonettiProf. Paolo SimonettiProf. Paolo Simonetti Professore Associato di Nutrizione delle Collettività

Dipartimento di Scienze per gli Alimenti, la Nutrizione e l’Ambiente - UNIMI

I composti protettivi della dieta

Le sostanze bioattive della dieta sono un insieme disomogeneo di sostanze accomunate

dal provenire prevalentemente dagli alimenti di origine vegetale (da cui il termine

inglese

phytochemicals), dall’essere composti organici generalmente a basso peso molecolare,

non sintetizzate dall’uomo, non indispensabili, che hanno frequentemente azione

protettiva sulla salute umana, se assunte in quantità adeguate, ed hanno meccanismi di

azione complementari e sovrapponibili.

Una loro regolare assunzione potrebbe spiegare non solo l’effetto protettivo nei

confronti dello stress ossidativo, ma anche altre specifiche attività, quali, ad esempio,

l’attività antinfiammatoria, la modulazione degli enzimi di detossificazione, la

stimolazione del sistema immunitario, la modulazione del metabolismo ormonale,

l’attività antibatterica e antivirale, l’attività antiproliferativa e proapoptotica ecc.

Il modo di alimentarsi è parte integrante della cultura di ogni popolo ed è di notevole

rilevanza individuare le corrette abitudini alimentari che possono rappresentare un

mezzo potenzialmente molto efficace nella prevenzione delle malattie cronico

degenerative.

L’attenzione della comunità scientifica nei confronti di questiaspetti è una conseguenza

degli importanti cambiamenti socio-economici e culturali (urbanizzazione, crescita

economica, emancipazione femminile, comunicazione, emigrazione ecc.) che hanno

modificato l’organizzazione della vita, incidendo fortemente anche sulle abitudini

alimentari (NutritionTransition) dei Paesi industrializzati come di quelli in via di

sviluppo.

Soprattutto a livello urbano, si sta assistendo a una globale occidentalizzazione dei

consumi alimentari, ovvero a un’incredibilmente rapida trasformazione delle abitudini

locali e tradizionali a favore del modello dietetico tipico dei paesi anglosassoni e nordici

(Western Diet). Questo è dominato da alimenti raffinati, ad alta densità energetica,

ricchi in proteine animali, grassi saturi, sale e zuccheri, e poveri in fibra (insaccati,

snacks, patatine, sciroppi, salse, dolciumi, bibite, margarine ecc.), e accompagnato da

stili di vita sedentari.

In contrapposizione a tale situazione, le più recenti conoscenze scientifiche

suggeriscono un concetto di alimentazione diametralmente opposto, suggerendo la

necessità di pervenire a una dieta ottimale, equilibrata in energia e nutrienti ma

soprattutto costantemente attenta all’assunzione di una vastissima gamma di composti

minori, prevalentemente di origine vegetale, con possibili effetti salutistici

(Healthydiet), denominati, appunto,fitocomposti.

Per questi motivi si sta guardando con sempre maggiore interesse al vastissimo ambito

dei componenti minori della dieta di origine vegetale, tra cui devono essere

citatipolifenoli, carotenoidi, glucosinolati, terpeni, alcaloidi, basi azotate, steroidi, etc.,

che possono esercitare benefiche attività biologiche.

Dato l’ampissimo numero di molecole di interesse nutrizionale che concorrono ai

benefici effetti sopra citati, la presente relazione prenderà in considerazione

prevalentemente la frazione polifenolica, un gruppo di sostanze chimiche di derivazione

vegetale, ubiquitariamente diffuse e fondamentali nella fisiologia delle piante.

Nei vegetali, i polifenoli contribuiscono alla resistenza nei confronti di microrganismi,

luce e insetti, alla pigmentazione e anche alle caratteristiche sensoriali dei prodotti. Si

parlerà della loro classificazione in relazione alla struttura chimica e delle difficoltà

analitiche che si possono riscontrare nella caratterizzazione dei prodotti alimentari.

Si faranno esempi di stabilità nelle diverse condizioni di trasformazione.

I polifenoli introdotti con la dieta possono subire diverse trasformazioni metaboliche,

in parte nel tratto gastro-intestinale e in parte a livello epatico dopo il loro

assorbimento. E questo incide significativamente sugli effetti che possono

eventualmente avere sulla nostra salute.

Pertanto risulta rilevante per quantificare i potenziali effetti salutistici di queste

molecole valutarne la reale biodisponibilità. L'assorbimento e i processi metabolici

sono determinati principalmente dalla loro struttura chimica, dal grado e dalla

posizione della glicosilazione/acilazione, dal tipo di zucchero presente, dal grado di

polimerizzazione, dalla matrice alimentare nella quale si trovano, dall'interazione con

altri nutrienti, come le proteine, ed infine dalla loro solubilità.

L’eterogeneità della classe dei polifenoli rende estremamente complessa la loro

rintracciabilità in fluidi e tessuti biologici, inoltre, a complicare ulteriormente la

situazione solo una modesta parte di queste molecole viene assorbita come tale

(assorbimento nel primo tratto dell’intestino tenue).

Nella maggior parte dei casi avvengono delle trasformazioni metaboliche operate dal

microbiota del tratto intestinale (intestino crasso) che determina la necessità di

individuare gli eventuali metaboliti, di verificarne l’assorbimento e poi di indagare sulle

loro proprietà.

I composti assorbiti, integri o sottoforma di metaboliti, possono inoltre subire altre

trasformazioni metaboliche prevalentemente a livello epatico come glucuronazioni e

solfatazioni, tali da renderli ancora più difficilmente rintracciabili a livello plasmatico.

Dai dati riportati in letteratura si può desumere che buona parte dei metaboliti risulta

essere più facilmente assorbibile rispetto alle molecole di partenza, mantenendo tra

l’altro parte delle caratteristiche proprietà. La valutazione dell’escrezione urinaria dei

polifenoli e dei metaboliti consente di affermare che il tempo di emivita di tali composti

è piuttosto modesto tanto che nell’arco delle 12/24 ore generalmente non sono più

presenti quantità determinabili di polifenoli a livello plasmatico.

Per ultimo, e forse ancora più attuale, non bisogna dimenticare che è importante

considerare che la risposta dei singoli individui alla loro assunzione può essere

influenzata anche da fattori genetici (es. polimorfismi).

Concludendo, e tenendo in considerazione tutti questi aspetti, alla luce delle attuali

conoscenze risulta difficile formulare raccomandazioni nutrizionali per i fitocomposti.

Si può però confermare che la loro assunzione nell’ambito di una dieta varia, ricca di

alimenti di origine vegetale e ben equilibrata è ancora la strategia migliore per

mantenere e promuovere la salute.

Prof. Aldo Bruno GiannìProf. Aldo Bruno GiannìProf. Aldo Bruno GiannìProf. Aldo Bruno Giannì Professore Ordinario di Chirurgia Maxillofacciale

Dipartimento di Scienze Biomediche, Chirurgiche e Odontoiatriche - UNIMI Direttore U.O.C. di Chirurgia Maxillofacciale ed Odontostomatologia

Fondazione IRCCS Cà Granda, Ospedale Maggiore Policlinico

Alimentazione e tumori del cavo orale: dalla prevenzione alla riabilitazione post oncologica

Il carcinoma squamocellulare del cavo orale è una malattia complessa di difficile

gestione in relazione agli aspetti anatomici e funzionali delle regioni coinvolte e

conseguentemente al prezzo di trattamenti demolitivi in aeree altamente specializzate.

Inoltre queste neoplasie si caratterizzano per una biologia eterogenea con un’estrema

variabilità delle alterazioni genetiche correlate; per tale motivo non esiste oggi alcun

fattore predittivo o prognostico sicuramente affidabile.

Il carcinoma del cavo orale rappresenta oggi il sesto tumore maligno in ordine di

frequenza a livello mondiale, colpendo prevalentemente soggetti maschi nella sesta e

settima decade di vita. Le femmine di ogni razza mostrano a tutte le età un più basso

tasso d’incidenza anno rispetto ai maschi, tanto che il rapporto complessivo maschi–

femmine è di 3:1 negli Stati Uniti e di 2:1 a livello mondiale.

Negli Stati Uniti il carcinoma del cavo orale rende conto di meno del 3% dei casi di

cancro registrati, ma si tratta del sesto cancro più comune del sesso maschile e del

dodicesimo nel sesso femminile; in alcuni paesi come l’India, rappresenta il carcinoma

più comune.

Nella popolazione adulta degli Stati Uniti si calcolano approssimativamente 21.000

nuovi casi diagnosticati annualmente, mentre poco più di 6.000 americani muoiono

ogni anno per questa neoplasia. In Italia l’incidenza media è di 8,44 nuovi casi ogni

100.000 abitanti di sesso maschile e di 2,22 per il sesso femminile.

L’origine del cancro del cavo orale sembrerebbe essere multifattoriale. Nessun agente o

fattore causale è stato fino ad oggi chiaramente definito o accettato, ma è possibile che

possano intervenire sia fattori estrinseci sia intrinseci ed è probabile che più di un

fattore sia necessario per causare l’insorgenza della neoplasia.

I fattori estrinseci comprendono agenti cancerogeni quali il tabacco, l’alcol, l’irritazione

meccanica cronica e agenti infettivi (miceti, batteri e soprattutto virus, come l’HPV,

Human papillomavirus).

I fattori intrinseci comprendono quadri sistemici o generalizzati quali malnutrizione o

l’anemia da carenza di ferro. L’ereditarietà sembrerebbe non giocare un ruolo causale

di rilievo nei confronti del carcinoma del cavo orale.

Il corretto inquadramento diagnostico e terapeutico è una condizione indispensabile

per garantire risultati ottimali in qualunque patologia neoplastica.

Lo stato dell’evoluzione di una malattia neoplastica, insieme all’istologia della lesione

primitiva, costituisce un parametro di fondamentale importanza su cui fondare le

decisioni terapeutiche. La stadiazione utilizza un linguaggio unico detto TNM (Tabella

1), concepito dalla AJCC, American Joint Committee on Cancer, dove T significa

“tumore” (dimensione e grado d’infiltrazione), N “nodulo linfatico” (presenza e

diffusione delle metastasi linfonodali) e M “metastasi” (presenza di metastasi a

distanza), che costituiscono i fattori prognostici di base che influenzano la

sopravvivenza del paziente ed indirizzano le scelte terapeutiche.

L’iter diagnostico prevede la ricerca e la raccolta di tutte le informazioni relative alla

neoplasia (estensione locale, regionale, eventuali metastasi a distanza e tumori

sincroni) e alle condizioni generali del paziente che sono indispensabili per la

programmazione terapeutica e per la definizione della prognosi.

La valutazione dell’estensione della neoplasia primitiva è indispensabile per la

programmazione terapeutica, sia essa chirurgica, radioterapica o associata. In

particolare in chirurgia lo sviluppo e il miglioramento delle conoscenze dell’anatomia e

della fisiologia dei gruppi muscolari della lingua (introduzione della chirurgia

compartimentale) e delle tecniche ricostruttive hanno ampliato le indicazioni

demolitive e consentito di ottenere risultati oncologici e funzionali ottimali.

In particolare negli ultimi 15-20 l’introduzione dei lembi rivascolarizzati, che

rappresentano dei veri e propri autotrapianti, ha consentito di ottenere anche una

adeguata qualità della vita con una ottimizzazione del risultato sia morfologico che

funzionale nei pazienti operati.

Queste metodiche richiedono tuttavia una programmazione accurata e

multidisciplinare, per cui la stadiazione non è solo finalizzata alla terapia della

neoplasia e alla definizione prognostica, ma anche alla riabilitazione funzionale.

Lo studio di T ed N è finalizzato a stabilire l’operabilità, alla progettazione

dell’estensione della demolizione chirurgica del tumore primitivo, alla definizione della

necessità di trattamento associato dei linfonodi laterocervicali. Esso prende avvio

dall’esame obiettivo locale e regionale: in particolare vanno segnalate l’estensione della

neoplasia, le eventuali limitazioni funzionali correlate (della motilità linguale, del velo

del palato, della deglutizione, della motilità cordale, deficit dei principali nervi cranici,

dolore), le sedi e sottosedi interessate, il numero, il livello, le dimensioni e le

caratteristiche (consistenza, forma, mobilità) dei linfonodi. In associazione alla

valutazione clinica, la fibroscopia faringo-laringea è un esame da considerare

indispensabile e routinario, in relazione all’elevato rischio di neoplasie sincrone.

La diagnosi istologica di malattia è ottenuta mediante la biopsia della lesione primitiva

(superficiale, senza modificare le caratteristiche della lesione: biopsia sui margini della

lesione per fornire al patologo tessuto vitale e significativo e consentire lo studio del

passaggio tra tessuto sano e patologico), oppure con tru-cut per lesioni profonde o

sottomucose.

Si procede poi ad indagare la malattia mediante le tecniche di diagnostica per immagini

per T e N. La RM con mezzo di contrasto è indicata per lo studio del cavo orale con

mandibola clinicamente indenne, dell’orofaringe, e del collo; si preferisce la TC con

mezzo di contrasto qualora vi sia il sospetto clinico di invasione mandibolare.

La valutazione ottimale del collo, se non necessitano studi particolari quali ad esempio

i rapporti tra masse cervicali e fascio vascolo-nervoso, è rappresentata dall’ecografia

con eventuale agoaspirato linfonodale; qualora si utilizzi un’altra metodica per

immagini (RM o TC) per stadiare la neoplasia primitiva, questa va estesa anche allo

studio del collo in alternativa all’ecografia. La PET-TC è principalmente indicata per

la ricerca della neoplasia occulta nelle adenopatie a sede primitiva ignota.

Una serie di caratteristiche istopatologiche, non contemplate dal sistema di stadiazione

corrente AJCC, ha un significativo impatto sulla prognosi del cancro del cavo orale.

Parametri che influenzano il rischio di ricorrenza loco-regionale di malattia includono

l’angioinvasione, l’infiltrazione linfocitaria intra- e peritumorale, l’estensione

extracapsulare (ECS, extra capsular spread), l’invasione perineurale, lo stato dei margini

di resezione e la distanza del tumore dai margini, la profondità di invasione della

neoplasia e la percentuale di linfonodi metastatici. La profondità di infiltrazione della

neoplasia rappresenta un parametro fortemente indicativo di metastasi linfonodali e

conseguentemente dotato di valore prognostico; è un fattore importante associato alla

ricorrenza locale e alla sopravvivenza per il carcinoma squamocellulare della lingua.

Molti studi suggeriscono che uno spessore della neoplasia superiore a 4 mm è correlato

in modo significativo ad un incrementato rischio di metastasi linfonodali e pertanto

rappresenta un’indicazione allo svuotamento linfonodale laterocervicale elettivo in

collo N0 in assenza di altre caratteristiche di alto rischio istopatologico.

La presenza di una percentuale di linfonodi metastatici (RMLN, ratio of metastatic lymph

nodes) superiore al 4% alla valutazione istopatologica di uno svuotamento

laterocervicale si associata ad un incremento del rischio di recidiva della malattia di 2.7

volte con influenza anche sulla sopravvivenza.

Il più significativo fattore prognostico nel cancro orale è la presenza di ECS dei

linfonodi metastatici (Tabella 2). Poiché l’ECS è stato identificato come un indicatore

di pessima prognosi, i pazienti che presentano l’invasione extracapsulare sono

candidati a terapia adiuvante, comunemente radioterapia e chemioradioterapia.

Tuttavia, malgrado i trattamenti adiuvanti, un terzo dei pazienti è destinato a

ricorrenza loco-regionale.

L'incidenza di metastasi a distanza nei carcinomi squamocellulari del cavo orale è del

7%. Le sedi più frequenti sono polmone (45%), ossa (27%), fegato (11%).

La presenza di linfonodi cervicali metastatici è il fattore critico per la comparsa di

metastasi a distanza (Tabella 3).

Si ritiene che le seguenti condizioni siano associate a maggiore incidenza di metastasi a

distanza:

• Fattori correlati a T: grading (G2 – G3), mancata guarigione di T, recidiva di T (il

rischio di metastasi nei pazienti con recidiva è doppio: 16% contro 8%), tumori

sincroni. Tumori sincroni si riscontrano nel 3% circa dei pazienti con la seguente

distribuzione: testa e collo 39%, polmone 32%, esofago 27%, altre sede 2%.

• Tumori metacroni, insorti almeno dopo sei mesi dalla diagnosi iniziale, hanno un

tasso annuo costante di comparsa del 4% circa.

• Fattori correlati a N: linfonodi cervicali metastatici in numero di 3 o superiore,

bilaterali, giugulari bassi, delle dimensioni di 6 cm o più; ognuno di questi fattori è

singolarmente associato ad una probabilità di comparsa di metastasi a distanza

maggiore o uguale al 10%.

La radiografia del torace nelle proiezioni antero-posteriore e latero-laterale è

sufficiente per escludere metastasi polmonari in soggetti con tumori in stadio iniziale

(T1-T2). L’esame TC, sensibile e specifico, è costoso e non consigliabile come esame di

screening nei tumori in stadio iniziale. Esso è indicato per studiare eventuali lesioni

osservate all’Rx standard, nelle neoplasie scarsamente differenziate, in presenza di

linfoadenopatie giugulari basse, in caso di persistenza-recidiva di malattia e/o di

secondi tumori. L'esame TC rileva anche eventuali linfoadenopatie mediastiniche e

metastasi ossee vertebrali e costali (35% circa delle metastasi ossee). La scintigrafia

ossea va usata routinariamente solo nella stadiazione dei tumori avanzati

dell’orofaringe.

L’ecografia addominale è relativamente economica e la sua accuratezza è di circa il

90%. Poiché le metastasi epatiche, in assenza di altre localizzazioni (in particolare del

polmone), sono poco frequenti, l'ecografia è indicata nei pazienti in stadio avanzato con

Rx torace negativo, anche per la definizione del rischio operatorio (forti bevitori).

L'incidenza di metastasi epatiche è considerata troppo bassa per giustificare l’impiego

routinario della TC. Essa è consigliabile in caso di positività del torace.

La corretta programmazione diagnostica e terapeutica non può prescindere da

un’approfondita conoscenza della storia naturale della neoplasia.

Nei carcinomi squamocellulari del cavo orale essa è caratterizzata dalla crescita locale e

dalla diffusione regionale e a distanza. All’esordio della malattia il 40% dei pazienti

presenta la malattia esclusivamente locale limitata al T, nel 50% sono identificabili

metastasi linfonodali, mentre nel 10% dei casi è fin da subito identificabile una malattia

a distanza.

Negli ultimi decenni il controllo loco-regionale dei carcinomi del distretto cervico-

facciale ha presentato un sostanziale miglioramento, che tuttavia non si è tradotto in

un significativo incremento della sopravvivenza a causa della comparsa di metastasi a

distanza e di secondi tumori. La storia naturale dei carcinomi squamocellulari del cavo

orale è caratterizzata dalle frequenti ricadute loco-regionali, che nel 95% circa dei casi

si verificano entro 24 mesi dall’inizio della terapia, con due picchi rispettivamente a 6 e

15 mesi e dalla comparsa di seconde neoplasie, prevalentemente nel distretto oro-

faringo-laringo-esofageo e nel polmone, che insorgono con un tasso annuo costante del

4% circa.

L’approccio multidisciplinare al trattamento del carcinoma squamocellulare del cavo

orale è complesso e in continua evoluzione (Figura 1).

La gestione della malattia agli stadi precoci (stadio I e II) è tipicamente unimodale.

La radioterapia eseguita con modalità (tecniche e dose) adeguate rappresenta una

corretta indicazione terapeutica con finalità di guarigione alternativa alla chirurgia nei

tumori di piccole dimensioni sebbene quest’ultima debba essere comunque considerata

nella discussione della miglior opzione terapeutica. Infatti, in queste neoplasie le scelte

terapeutiche, oltre allo stadio di malattia, devono tenere conto della sede e delle

conseguenze della terapia.

I tumori localmente avanzati del distretto cervico-facciale (stadio III e IVa,b)

richiedono che la strategia terapeutica sia decisa in collaborazione tra il chirurgo, il

radioterapista e l’oncologo medico. Infatti, oltre al trattamento del tumore primitivo

deve essere considerato il trattamento dei linfonodi regionali. La gran parte dei

pazienti con tumori allo stadio III o IV sono candidati ad un trattamento composto da

chirurgia seguita da radioterapia.

Il trattamento di radioterapia convenzionale pre- o postoperatorio riduce il rischio di

recidiva locale. Sebbene sia oggetto di dibattito se la radioterapia debba essere

utilizzata pre- o post-chirurgia, prevale il ricorso alla radioterapia postoperatoria

perché nel caso di quella neoadiuvante l’estensione esatta del tumore è ancora

sconosciuta, l’intervento chirurgico è ritardato, le complicazioni postoperatorie

risultano aumentate. Il trattamento postoperatorio è raccomandato nei casi con

margini chirurgici infiltrati o inadeguati (privi di malattia per meno di 5 mm dal

tumore), malattia residua, tumori avanzati (pT4, alcuni casi pT3) e interessamento dei

linfonodi cervicali (N2 e N3, soprattutto se sono interessati linfonodi multipli o è

avvenuta una rottura extracapsulare), invasione perineurale, emboli neoplastici

intravascolari.

La dose usata in genere per la radioterapia postoperatoria è di 56-64 Gy somministrata

con una frazione giornaliera di 2 Gy per 5 giorni alla settimana in 6-7 settimane.

Tuttavia, poiché le probabilità di guarigione in caso dei tumori localmente avanzati (III

e IV stadio senza metastasi) non superano il 40% sono in corso numerosi studi clinici

per valutare nuovi schemi di radioterapia (iperfrazionamento, trattamenti accelerati)

per migliorare il controllo locale e il ruolo potenziale di modificatori della risposta (per

esempio, radioprotettori del tessuto sano come amifostina) per ridurre la morbidità.

I carcinomi squamocellulari del cavo orale sono meno responsivi alla chemioterapia

rispetto a quelli di altri distretti, anche della testa e del collo.

Il trattamento chemioterapico è indicato per pazienti affetti da malattia metastatica (in

regimi mono- o polifarmacologici in funzione della tollerabilità e del performance

status) e da malattia localmente avanzata inoperabile in regime di chemioradioterapia.

Per le neoplasie operabili il trattamento di scelta rimane la chirurgia associata a

radioterapia adiuvante; la chemioradioterapia adiuvante è un trattamento non standard

che può essere preso in considerazione in pazienti ad alto rischio di recidiva sia

locoregionale sia a distanza (infiltrazione dei margini di resezione, ECS) e con buon

performance status; i protocolli terapeutici prevedono l’utilizzo di cisplatino che è un

potente radiosensibilizzante e non induce mucosite in maniera rilevante.

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Prof. Andrea Edoardo BianchiProf. Andrea Edoardo BianchiProf. Andrea Edoardo BianchiProf. Andrea Edoardo Bianchi Titolare dell'Insegnamento di Parodontologia CLID – Università Vita-Salute San Raffaele -

Presidente dell’Istituto Stomatologico Italiano

Edentulia: sostenibilità della protesi su impianti osteointegrati

per una efficace alimentazione

Premessa

La perdita di tutti gli elementi dentari, dovuta alle patologie cariosa e parodontale, è

ancora oggi una realtà frequente nella popolazione adulta e anziana.

La condizione di edentulia determina un handicap funzionale masticatorio con

conseguenze spesso importanti sullo stato nutrizionale e sulla salute generale

dell’individuo.

Tra le varie soluzioni riabilitative dei mascellari edentuli, la protesi rimovibile

supportata da un numero limitato di impianti osteointegrati è quella che dimostra

un’ottima efficacia terapeutica con il migliore rapporto tra costo biologico, sostenibilità

e beneficio terapeutico.

Epidemiologia della condizione di edentulia e impatto sulla popolazione

L’edentulia ha un forte impatto sulla salute del cavo orale e sul benessere in toto

dell’apparato stomatognatico, con notevole riflesso sulla possibilità di consumare cibi

di una certa consistenza e ulteriori limitazioni della qualità di vita dei soggetti in

termini sia estetico-funzionali che psicologici1.

Diverse variabili sono associate alla perdita degli elementi dentari in età adulta quali la

carie (35%), la malattia parodontale (50%) e sovente anche pregresse terapie

odontoiatriche incongrue. Elementi rilevanti sono anche la presenza di cattive

condizioni di salute generale e/o la contemporanea presenza di patologie sistemiche a

ripercussione sul cavo orale e abitudini nocive, quali il tabagismo, nonché le cattive

condizioni socio-economiche.

Dati epidemiologici testimoniano che nell’ultimo decennio si è registrato una generica

tendenza alla diminuzione della prevalenza e dell’incidenza dell’edentulia nei Paesi

europei, con significative differenze però tra i diversi Paesi e nell’ambito di regioni

geografiche dello stesso Paese e di singoli gruppi di sottopopolazioni2.

Per quanto non sia suffragata da dati certi, in Italia, l’edentulia interessa in media il

10,9% della popolazione (femmine 12,5% e maschi 9,2%)3. La perdita degli elementi

dentari aumenta col progredire dell’età, in modo significativo dopo i 60 anni e circa il

60% della popolazione di età superiore agli 80 anni presenta edentulia completa.

Differenze sulla salute dei denti e sul ricorso alle cure odontoiatriche si registrano

anche a livello territoriale. Il maggiore tasso di edentulia si registra al Nord con il 59%

della popolazione, contro il 50,9% del Centro e il 47,3% del Meridione3. Differenze

significative nello stato di edentulia risultano correlate con lo status socio-culturale:

solo il 2,6% delle persone con laurea o diploma risulta senza elementi dentari contro il

29,4% di quelle con licenza elementare o senza alcun titolo4.

Relazioni tra edentulia e status nutrizionale dell’individuo

Le conoscenze attuali in ambito di geriatria preventiva hanno reso evidenti le

principali modificazioni fisiopatologiche e metaboliche che l’età determina

nell’organismo, enfatizzando il valore di una corretta alimentazione nel proseguimento

di una vita attiva e autonoma. Inoltre, l’ampliamento delle nozioni sulla composizione

dei vari nutrienti e sul loro coinvolgimento causale in diverse patologie, suggerisce che

la selezione degli alimenti è da ritenersi oggi un atto oltre che nutrizionale anche

culturale. E’ riconosciuto infatti che malattie molto diffuse quali aterosclerosi, diabete e

diverse altre, sono relazionate anche a comportamenti alimentari errati dell’età adulta.

Inoltre, le modificazioni anatomofunzionali dell’apparato digerente associate

all’invecchiamento, quali l’ipogeusia e l’atrofia gastrica, possono anch’esse influenzare

le scelte alimentari dell’anziano, orientandole verso il consumo di alimenti di facile

digestione, ma spesso poveri di principi nutritivi.

Tra le cause influiscono sulla corretta alimentazione vi è inoltre la condizione

degenerativa e cronico-invalidante dell’anziano. Ne sono esempi le malattie

dell’apparato locomotore e neurologiche che, in vario modo, possono influire sulla

capacità di assunzione del cibo.

Il comportamento alimentare, specie nei soggetti anziani, non può affidarsi a criteri

puramente istintivi, stagionali e geografici, come in passato. Deve trattarsi invece di

una scelta ragionata che l’individuo opera nell’ambiente cui vive e nel rispetto anche

delle tradizioni alimentari della sua comunità sociale. Chiaramente in quest’ambito, di

per se sufficientemente complesso, la dentatura dell’individuo assume un ruolo

importante.

Pazienti edentuli portatori di protesi rimovibili, instabili e/o che provocano dolore,

possono trovare impedimento nella funzione. In virtù del principio che un’adeguata

masticazione è il miglior inizio della digestione, l’impedimento all’efficace compiersi di

quest’atto è da intendersi come un avvio svantaggioso del processo catabolico

alimentare. L’incapacità di triturare e impastare adeguatamente il bolo, così da ridurlo

a una poltiglia omogenea, si traduce molto spesso in una modificazione delle abitudini

dietetiche. Le scelte alimentari non possono che essere orientate verso il consumo di

cibi poco consistenti e diete più ripetitive, spesso scarse in principi alimentari

fondamentali. Tanto può essere l’incapacità funzionale, che non è raro il riscontro di

pazienti anziani, che riferiscono di vedersi costretti a deglutire gli alimenti di maggiore

consistenza, quasi interi, aiutandosi con l’assunzione ripetuta di liquidi per consentire il

deflusso faringo-esofageo.

Fornire al paziente edentulo una riabilitazione protesica, in grado di garantire buone

performance funzionali in assenza di disturbi, significa permettergli di alimentarsi in

modo più adeguato.

E’ dimostrato (4) che pazienti edentuli riabilitati con protesi di tipo ovedenture,

ancorate a un limitato numero di impianti, riescono ad arricchire la loro dieta,

tornando a consumare cibi di consistenza maggiore o difficili da masticare quali: carni,

verdure e frutta. Questa testimonianza di miglioramento delle capacità masticatorie si

accompagnava anche il riscontro di aumento delle concentrazioni seriche di albumina,

emoglobina e vitamina B12, a testimonianza di un positivo effetto sistemico di una

ritrovata masticazione.

Se quindi una corretta alimentazione è un fatto culturale, nel paziente edentulo, il

potersi garantire il consumo di una dieta variegata ed equilibrata dipende anche

dall’opzione terapeutica messa in atto per il trattamento della disabilità Una maggiore

prestazione funzionale, conseguita attraverso una riabilitazione protesica efficace,

permette ai pazienti di affrontare con maggiore disinvoltura il consumo di cibi di

maggiore consistenza.

Non trascurabile è, inoltre, anche l’effetto sul mangiare, inteso come momento di

piacere e di importante attività psicosociale. Pertanto il potersi sedere a tavola e

consumare le pietanze con limitate preclusioni ha un indubbio effetto benefico anche

sulle condizioni emotive dell’individuo.

Efficacia delle opzioni terapeutiche e rapporto costi-benefici

Le possibilità riabilitative finalizzate a risolvere lo stato di edentulia sono riconducibili

a tre opzioni di trattamento protesico: le protesi fisse ancorate a impianti

osteointegrati; le protesi totali rimovibili a completo supporto mucoso; le protesi

rimovibili supportate da un limitato numero di impianti.

Nel confronto tra le diverse soluzioni riabilitative è evidente che le protesi fisse a totale

supporto implantare sono quelle più desiderabili in termini di ripristino funzionale

della dentatura venuta a mancare.

La loro attuazione è però vincolata alla possibilità di poter inserire nel mascellare e

nella mandibola un adeguato numero di impianti e in posizione strategicamente

efficace al fine riabilitativo protesico; realtà questa non sempre attuabile a causa

dell’atrofia ossea secondaria all’edentulia. Oltremodo i costi biologico ed economico

nonché i tempi di trattamento sono decisamente più importanti rispetto alle altre

opzioni terapeutiche.

Le protesi totali rimovibili hanno invece a loro favore costi biologici ed economici,

nonché tempi esecutivi particolarmente ragionevoli. Inoltre consentono il

raggiungimento nella maggior parte dei casi di un’adeguata estetica del sorriso e

garantiscono un ottimo sostegno ai tessuti periorali, vale a dire alle guance e labbra.

Gli elementi a sfavore di queste protesi sono riconducibili invece alla necessità di

trasmette i carichi masticatori al supporto mucoso e in diversi casi la loro stabilità, in

particolare per le protesi mandibolari, risulta spesso scarsa. Anche l’ingombro

determinato dalle presenza di flange di appoggio mucoso può risultare in diversi casi

particolarmente disagevole.

La terza opzione di trattamento dei mascellari edentuli è quella offerta dalle protesi

rimovibili supportate da un limitato numero di impianti osteointegrati, definite

overdenture. Queste protesi presentano requisiti strutturali simili alle protesi

rimovibili convenzionali, in termini di estetica e sostegno labiale e delle guance, ma per

il loro supporto e ritenzione si avvalgono di un numero limitato di impianti,

generalmente 2 o 4 nella mandibola e 4 o 6 nel mascellare.

Gli impianti osteointegrati sorreggono adeguatamente la protesi senza la necessità di

mantenere un esteso appoggio mucoso. Le protesi risultanti sono pressoché prive di

palato e ridotte nell’estensione delle flange. La protesi di tipo overdenture si è

dimostrata una modalità riabilitativa efficace in termini sia di adeguatezza nel

ripristino funzionale ed estetico della condizione di invalidità sia sopravvivenza a lungo

termine degli impianti e delle riabilitazioni.

L’evidenza scientifica offre testimonianza di come queste riabilitazioni siano

caratterizzate da un rapporto estremamente favorevole tra costo biologico e benefici

terapeutici per il paziente5.

Bibliografia

1 Musacchio E, Perissinotto E, Binotto P, Sartori L, Silva-Netto F, Zambon S, Manzato E,

Corti MC, Baggio G, Crepaldi G. Tooth loss in the elderly and its association with

nutritional status, socio-economic and lifestyle factors. Acta Odontol Scand 2007; 65:78-86.

2 Muller F, Naharro M, Carlsson GE. What are the prevalence and incidence of tooth loss in

the adult and elderly population in Europe? Clin Oral Implants Res 2007; 18 Supp3:2-14.

3 ISTAT. Condizioni di salute e ricorso ai servizi sanitari. 9.12.2008.

4 Morais JA, Heydecke G, Pawliuk J, Lund JP, Feine JS. The effects of mandibular two-

implant overdentures on nutrition in elderly edentulous individuals. J Dent Res.

2003;82:53-8.

5 Sanfilippo F, Bianchi AE. Overdenture implanto-supportate. UTET Scienze Mediche,

Torino, 2005.

Prof. Andrea SardellaProf. Andrea SardellaProf. Andrea SardellaProf. Andrea Sardella Presidente del Corso di Laurea in Igiene Dentale

Dipartimento di Scienze Biomediche, Chirurgiche e Odontoiatriche - UNIMI

Nutrizione, salute orale e salute generale nell’anziano L’invecchiamento della popolazione italiana sta accelerando rapidamente: l’ISTAT

calcola che nel 2040 gli ultrasessantacinquenni rappresenteranno più del 30% della

popolazione (http://www.istat.it/it/files/2010/12/Formiche.pdf).

In particolare, valutando l’indice di vecchiaia (rapporto demografico definito come il

rapporto percentuale tra la popolazione in età anziana - > 65 - e la popolazione in età

giovanile - <15) si scopre che l’Italia aveva già nel 2012 un valore pari al 148%; tale

valore la poneva al secondo posto, dopo la Germania, e distante dal valore medio

europeo uguale al 114% (la Francia, ad es., aveva un indice di vecchiaia pari al 92%),

(http://noi-italia.istat.it/fileadmin/user_upload/allegati/14.pdf).

Parlare di anziani significa, in termine sociali e medici, parlare di fragilità.

Con questo termine si intende lo stato di aumentata vulnerabilità conseguente alla

minore capacità dell’anziano di ritrovare un equilibrio omeostatico a seguito di un

evento stressorio. Tale evento è quindi capace di provocare disagi psichici, cadute o

disabilità diverse (A Clegg Frailty in elderly people Lancet 381,2013) a loro volta

capaci di provocare il passaggio dallo stato di indipendenza a quello di dipendenza da

un care giver.

Risulta difficile definire quando la vecchiaia, condizione fisiologica, diventi fragilità,

rappresentando una situazione patologica.

E’ verosimile ritenere che il sommarsi di più declini fisiologici in ambito, ad es.,

ormonale, ematologico, neuromuscolare, conduca allo stato di fragilità (Fried LP Non

linear multi system physiological dysregulation associated with frailty in older women:

implications for etiology and treatment J Gerontol A Biol Sci Med Sci64, 2009).

Inoltre, un fattore riconosciuto universalmente come acceleratore di uno stato di

fragilità è quello della malnutrizione che, a sua volta, implica lo stato di salute orale.

Sono numerosi gli studi che correlano la malnutrizione allo stato di fragilità, morbidità

e mortalità (Semba RD, et al. Denture use, malnutrition, frailty, and mortality among

older women living in the community. J Nutr Health Aging 161, 2006).

Queste accertate implicazioni suggeriscono con chiarezza la necessità che i

professionisti della salute dentale, così come i nutrizionisti, debbano tenere in

considerazione la salute orale degli anziani. Naturalmente, tutto ciò implica anche una

consapevolezza da parte della classe politica tendente a favorire anche dal punto di

vista economico il raggiungimento di questo obiettivo.

Obiettivo di questo intervento sarà quello di discutere le principali cause orali che

possono condizionare una situazione di malnutrizione: edentulie, malattie delle mucose

tipiche del soggetto anziano, come malattie infiammatorie croniche (lichen planus,

pemfigoide,…).

Attenzione verrà, poi, posta a eventuali barriere alle cure odontostomatologiche che

gravano particolarmente sul soggetto anziano, sottoposto frequentemente a poli-

terapie mediche che possono -apparentemente- rappresentare un limite alle cure ma

che con poche precauzioni non impediscono i normali trattamenti.

Prof. Michele Carruba Professore Ordinario di Farmacologia

Direttore del Centro Studi e Ricerca sull’Obesità Dipartimento di Biotecnologie Mediche e Medicina Traslazionale -UNIMI

Alimentazione, Obesità e Longevità

La sindrome metabolica è una malattia cronica che ha raggiunto proporzioni

epidemiche in molti paesi industrializzati e minaccia di diventare una pandemia.

In particolare, essa vede la sua prevalenza aumentare drammaticamente in età avanzata

(Grundy, Arterioscler Thromb Vasc Biol 28: 629-36, 2008).

La sindrome è caratterizzata da un accumulo di grasso tra i visceri (obesità viscerale),

accompagnato da resistenza all’insulina, ipertensione arteriosa e dislipidemia (alti

livelli di trigliceridi e bassi livelli di colesterolo-HDL). Associata ad uno stato

protrombotico e a un basso grado di infiammazione, è considerata uno dei principali

fattori di rischio cardiovascolare con aumentata mortalità.

Le caratteristiche cliniche della sindrome richiamano le patologie legate

all’invecchiamento, suggerendo che processi molecolari comuni possano giocare ruoli

importanti nel loro sviluppo. A causa delle complesse basi molecolari della sindrome e

delle patologie dell’invecchiamento, la terapia é una sfida difficile da affrontare e che

attualmente si basa sull’utilizzo di molti principi attivi somministrati

contemporaneamente (anti-diabetici, anti-ipertensivi, farmaci per il controllo della

dislipidemia, anti-trombotici, ecc.). Questo comporta un aumentato rischio di

interazioni avverse tra i diversi farmaci utilizzati. L’identificazione di un meccanismo

fisiopatologico comune ai molteplici quadri clinici della sindrome metabolica e delle

malattie legate all’invecchaimento offrirebbe un importante target farmacologico.

Evidenze sempre più numerose dimostrano che esiste una correlazione tra l’accumulo

di grasso viscerale ed ectopico e l’invecchiamento, da una parte, e la diminuzione della

funzionalità mitocondriale in diversi modelli animali dall’altra.

Studi condotti nei nostri laboratori hanno dimostrato che la biogenesi e la funzione

mitocondriale sono indotte dall’ossido nitrico (NO) prodotto dall’enzima ossido nitrico

sintasi endoteliale (eNOS) (Nisoli et al., Science 299: 866-9, 2003; Nisoli et al., Proc

Natl Acad Sci USA 101: 16507-12, 2004).

In seguito, abbiamo riscontrato che modelli animali di sindrome metabolica presentano

una ridotta mitocondriogenesi eNOS-dipendente e un deficit nella produzione di ATP

nel tessuto adiposo e muscolare (Valerio et al., J Clin Invest 116 :2791-8, 2006). Studi

condotti nei pazienti rafforzano l’evidenza che una disfunzione mitocondriale giochi un

ruolo significativo nella fisiopatologia della sindrome metabolica (Nisoli et al., Circ

Res. 100: 795-806, 2007).

Una strategia vincente per contrastare l’insorgenza di svariate malattie associate

all’invecchiamento, come la sindrome metabolica stessa, è la restrizione calorica (CR),

da tempo nota per prolungare la durata della vita in diverse specie animali (Guarente,

Cell 132: 171-176, 2008). L’obiettivo principale in quest’area di ricerca è lo studio dei

meccanismi intracellulari che mediano gli effetti della CR con lo scopo di disegnare i

cosiddetti “CR-mimetici”, cioè farmaci finalizzati ad ottenere i benefici effetti della CR

in termini di longevità e salute. Il nostro gruppo ha recentemente dimostrato che la

CR induce l’espressione di eNOS e che la conseguente aumentata produzione di NO

attiva la mitocondriogenesi in diversi tessuti (Nisoli et al., Science 310: 314-7, 2005).

Scopo delle nostre indagini, dunque, è identificare molecole in grado di indurre, in

maniera eNOS-dipendente, la genesi di mitocondri funzionanti nei tessuti

metabolicamente attivi (muscolo scheletrico e cardiaco, tessuto adiposo bianco e bruno)

dei roditori (topi e ratti, maschi e femmine, di diverse età) riproducendo così un evento

chiave della CR alterato nella sindrome metabolica.

Nonostante sia stato dimostrato che gli amminoacidi possano avere effetti positivi sulla

salute dell’uomo, non è stato finora indagato il loro ruolo nei processi di

mitocondriogenesi. A tale scopo abbiamo voluto verificare gli effetti di una miscela

ammminoacidica arricchita in amminoacidi a catena ramificata (BCAA) sui marcatori

della mitocondriogenesi. In particolare sono stati indagati gli effetti di diverse

concentrazioni della miscela sulla quantità di DNA mitocondriale, sui livelli dell’RNA

messaggero dei geni coinvolti nella mitocondriogenesi (PGC-1α, NRF1, Tfam),

sull’attività della citrato sintasi e sulla produzione di ATP in diverse linee cellulari

cardiache, muscolari scheletriche e adipose. Le stesse analisi sono state condotte nel

tessuto muscolare cardiaco e scheletrico, e nel tessuto adiposo bianco e bruno di topi

maschi C57BL/6 di diverse età.

I nostri risultati dimostrano che la miscela aminoacidica è in grado di stimolare la

biogenesi mitocondriale in maniera eNOS-dipendente, nelle cellule cardiache e

muscolari scheletriche ma non in quelle adipose, oltre che nei tessuti muscolari cardiaci

e scheletrici ma non nei tessuti adiposi dei topi anziani (15-18 mesi), più che in quelli di

giovane età (4-6 mesi).

Inoltre, la funzionalità muscolare degli animali trattati migliora in maniera

significativa rispetto ai non trattati.

Questi risultati suggeriscono che specifiche miscele di amino acidi possono modulare il

metabolismo energetico e migliorare la funzionalità muscolare e cardiaca in soggetti

anziani.

Prof. Arsenio Veicsteinas Presidente del Collegio Didattico Unico della Scuola di Scienze Motorie

Dipartimento di Scienze Biomediche per la Salute- UNIMI

Esercizio fisico adeguato e alimentazione corretta: binomio inscindibile per il benessere

L’invecchiamento è un processo multidimensionale: si compone di un insieme di

modificazioni fisiche e psichiche, non dovute a malattia, che intervengono in tutti gli

individui della specie dopo la maturità, che riducono gradualmente la capacità di

adattamento allo stress e di mantenimento dell'omeostasi. Tale processo è irreversibile

e produce un aumento della suscettibilità alla malattia.

Per comprendere tale processo è necessario riuscire a distinguere in modo chiaro e

preciso il confine tra gli effetti dell’invecchiamento e quelli di patologie di frequente

insorgenza con l’avanzare dell’età. Il quadro d’indagine si complica ulteriormente

poiché non per tutti gli individui i cambiamenti si verificano con i medesimi tempi e le

medesime intensità, ma questi sono dettati anche dalle scelte relative allo stile di vita

in atto ma anche pregresso (sia durante la giovinezza, che durante l’età adulta).

Una felice vecchiaia in sostanza si prepara fin da bambini. Va posto l’accento inoltre sul

fatto che gli anziani coincidono con il segmento della popolazione maggiormente

sedentario, per questo ai problemi legati all’avanzamento dell’età, si saldano

inevitabilmente gli effetti nocivi sulla salute indotti dalla sedentarietà. In sintesi gli

effetti dell’invecchiamento ricadono su tutti gli organi e i sistemi.

Riportiamo qui di seguito una breve sintesi, mettendo in luce in particolare i deficit che

possono limitare l’autonomia dell’individuo (ACSM Resource Manual, tabelle 1-2):

Cuore e circolazione.

Riduzione della velocità di propagazione del segnale elettrico e della funzionalità delle

cellule pacemaker; riduzione della sensibilità dei recettori beta, dei barocettori e dei

chemorecettori; perdita di elasticità e reticolazione del collagene nel tessuto miocardico

(derivante da fibrosi interstiziale miocardica e calcificazioni)(Cheitlin 2003).

Il cuore è indebolito inoltre da: aumentata rigidità delle arterie, con aumento della

pressione sistolica, aumentato postcarico del ventricolo sinistro (aumento delle

resistenze periferiche) e ipertrofia ventricolo sinistro, protratto rilassamento diastolico.

Al contrario di quanto si riteneva in passato oggi i dati indicano che (dopo esclusione

di malattie coronariche) la gittata cardiaca a riposo non sia influenzata dall’età, quindi

non si riduca negli individui anziani sani.

La frequenza cardiaca massima (FCmax) invece subisce una progressiva riduzione da

200 a 150 bpm (bpm, battiti per minuto) nell’intervallo di età tra i 20 e i 60 anni (a 80

anni tali valori si situano attorno a 140 bpm, comunque da non raggiungere mai

durante gli allenamenti). La gittata cardiaca massima quindi, subisce una cospicua

riduzione con l’avanzare dell’età data dalla riduzione di FCmax e in misura minore di

gittata sistolica. La massima differenza artero-venosa in concentrazione di ossigeno

non differisce di molto nell’anziano rispetto al giovane adulto, sia nel sedentario (13

mlO2/100ml), sia nell’allenato (14-15 mlO2/100ml). Aumento della pressione sistolica

e della pressione media.

Nell’anziano si rileva una rigidità dei vasi, dovuta a elastina consumata e alterazioni

nelle caratteristiche del collagene delle pareti delle arterie. Aumento della resistenza

periferica con l’età. Perdita di plasticità dell’aorta, che impedisce l’eiezione pulsatile e

rallenta la risposta elastica delle arterie alla gittata sistolica.

Sistema respiratorio.

Riduzione progressiva della capacità vitale (a 70 anni corrisponde al 65% di quella di

un giovane adulto). Aumento considerevole del volume residuo.

La massima ventilazione volontaria e il volume massimo espirato nel primo secondo

(FEV1) subiscono una progressiva riduzione in entrambi i sessi (-30% a 60 anni).

La capacità di diffusione del polmone si riduce di circa il 25% tra i 25 e i 70 anni. Questi

effetti sembrano dovuti principalmente a un ridotto ritorno elastico dei polmoni.

Da qui deriva un aumento del lavoro dei muscoli respiratori pari a circa il 20%.

Nonostante questi cambiamenti, la funzione respiratoria non inficia la capacità

d’esercizio o la possibilità di trarre beneficio dall’attività fisica, eccetto che nei casi di

severa limitazione.

Sistema muscoloscheletrico.

La degenerazione del tessuto muscolare nel soggetto anziano sano si presenta come

atrofia, cioè riduzione della sezione del muscolo, a partire principalmente dalla settima

decade di età infatti fino a circa 70 anni di età le masse muscolari nei soggetti attivi

sono sostanzialmente integre.

La funzione muscolare è determinata dall’espressione di forza in rapporto all’area della

sezione trasversa del muscolo stesso, tale parametro nei soggetti attivi, ma solo in

questi, è conservato fino ai 70 anni.

Il numero e il rapporto tra i diversi tipi di fibre è caratteristica genetica ed è noto che le

fibre di tipo I (aerobiche) sono più resistenti all’atrofia muscolare.

Per tale motivo nell’anziano si registra un incremento della percentuale di fibre I a

causa della degenerazione che colpisce principalmente le fibre di tipo II.

La perdita selettiva delle fibre II potrebbe tuttavia essere anche funzione del disuso. In

generale infatti dall’età adulta alla vecchiaia, si assiste alla riduzione di quelle attività,

contrazioni contro resistenza ed esercizi di potenziamento muscolare, che inducono

stimoli trofici alle fibre muscolari. Inoltre la superficie di sezione delle fibre II

nell’anziano è ridotta del 15-30%. Per quanto riguarda la capillarizzazione del muscolo

e la presenza degli enzimi mitocondriali, questi nell’anziano di ambo i sessi sono

inferiori del 25% rispetto al giovane adulto.

Composizione corporea.

L’invecchiamento è associato a un progressivo aumento della frazione di grasso

corporeo (a 65 anni 28% e 36% rispettivamente nell’uomo e nella donna) (Heymsfield

2005). Fisiologicamente si assiste anche a un declino del contenuto minerale osseo.

Le donne iniziano a perdere massa ossea tra i 30-35 anni (dal 0.75 al 1.0% in meno

l’anno), mentre negli uomini la perdita inizia intorno ai 55 anni (0.4% anno).

Negli anziani l’aumento di grasso corporeo, associato a diminuzione della massa ossea

e muscolare contribuisce al rallentamento del passo nel cammino e al deficit funzionale

globale.

Durante l’età adulta si verifica inoltre una riduzione del metabolismo basale di circa il

5% per decade, questo concorre all’accumulo di grasso insieme ai fattori genetici. Si

rileva inoltre una riduzione dal 10 al 50% del contenuto idrico rispetto al giovane

adulto, in particolare si tratta di acqua corporea totale e intracellulare (TBW e ICW).

In questo ambito rientrano poi patologie strettamente associate all’invecchiamento

associato alla sedentarietà, quali le malattie dismetaboliche (diabete di tipo II), le

dislipidemie, la sarcopenia (perdita di sezione trasversa del muscolo e della massa

totale muscolare), l’osteopenia e l’osteoporosi (perdita del contenuto minerale osseo e

alterazione della struttura trabecolare ossea).

Termoregolazione.

L’invecchiamento si accompagna a una riduzione del flusso ematico cutaneo, che

comporta una capacità di termoregolazione ridotta. Inoltre gli anziani sono predisposti

facilmente a rapida disidratazione.

Questo effetto negativo è spesso potenziato a causa degli effetti collaterali di molti

farmaci comunemente usati a questa età. L’esercizio fisico e il peso aiutano al

mantenimento di una corretta risposta ai cambiamenti di temperatura.

Sistema immunitario.

L’invecchiamento e i fattori ambientali (inquinamento, fumo, etc.) sono responsabili a

vario titolo della ridotta funzionalità del sistema immunitario. Dal picco di efficienza,

che si registra intorno alla pubertà, si assiste poi a un inevitabile declino della funzione

immunitaria, dal 5 al 30%, durante l’arco della vita (per alcuni indici funzionali la

diminuzione è già del 5-10% nella prima età adulta). La causa principale è dovuta al

calo della funzionalità dei linfociti T suppressor, che impedisce di combattere i patogeni,

inducendo una ridotta resistenza e un’aumentata incidenza sia di tumori sia di malattie

autoimmuni. E’ noto che l’esercizio fisico in quantità corretta incrementa le difese

immunitarie.

Sistema nervoso.

L’invecchiamento fisiologico induce il deterioramento dei neurotrasmettitori e del

controllo motorio fine. In questa fase si registra un’aumentata incidenza di deficit

sensoriali (uditivi e visivi), che si associa a un aumento della soglia di percezione degli

stimoli. Questi ultimi due fattori presiedono l’aumento del 35-40% di cadute nelle

persone anziane. Ovvio il ruolo dell’esercizio fisico nel contrastare le cadute.

Va ricordato inoltre che a tutte queste alterazioni si accompagnano: riduzione della

funzionalità del meccanismo di regolazione acido-base, della tolleranza al glucosio, e

della clearance di sostanze tossiche; anche questi fattori sono elementi di rischio per le

più comuni malattie cronico degenerative (Tabelle 1 e 2).

Tabella 1. Sintesi delle variazioni legate all’invecchiamento dei principali parametri

fisiologici.

PARAMETRO VARIAZIONE

FC a riposo Inv./diminuita

FCmax Diminuita

Gittata cardiaca massima Diminuita

Pressione arteriosa a riposo e durante esercizio Aumentata

VO2max Diminuito

Volume residuo Aumentato

Capacità Vitale Diminuita

Tempo di reazione Rallentato

Forza muscolare Diminuita

Flessibilità Diminuita

Massa Ossea Diminuita

Massa magra Diminuita

Massa grassa Aumentata

Tolleranza al glucosio Diminuita

Tempo di recupero Allungato

Tabella 2. Principali alterazioni nei sistemi corporei dovute all’invecchiamento

(+) aumento; (=) invariato; (-) diminuzione.

Periodo Neonatale Infanzia Scolare Adolescenza Adulta Senescenza

Sistema Cardiovascolare

Gittata

cardiaca + + = =

Gittata

sistolica + + = -

FCmax + = - -

VO2max + + + +

Sistema Respiratorio

Capacità Vitale + + + - -

Sistema muscolo scheletrico

Densità

minerale ossea + + + = -

Massa

muscolare + + + + -

Capacità

anaerobica + + + -

Flessibilità + + - -

Massa grassa

(%) + + + =

Sistema nervoso

Controllo

motorio + + + = -

Sistema Immunitario

Funzionalità

del sistema

immunitario

+ + = -

Senescenza e diabete di tipo II . (Ministero della Salute 2012)

E’ noto che l’invecchiamento è uno dei fattori che favoriscono l’insorgenza di sindromi

metaboliche quali, ad esempio, il diabete .

L’istituto di sanità ha ricavato una stima della prevalenza del diabete in una

popolazione campione di età compresa tra i 35 e i 75 anni riscontrando, nei soggetti

con più di 75 anni, una prevalenza del diabete di quasi il 20%, ovvero una persona su 5

(Figura 1).

Per quanto le cause del diabete siano ancora sconosciute, il suo sviluppo sembra

dipendere da una combinazione di fattori genetici ed ambientali.

Da un punto di vista genetico, è noto che numerosi geni (più di 36) possono contribuire

ad innalzare la probabilità di sviluppare tale malattia ma insieme, rappresentano ancora

solo il 10% della totale componente ereditaria della malattia.

Da un punto di vista ambientale è appurato che uno sbilanciamento delle abitudini di

vita verso uno stile di vita più sedent

l’organismo a sviluppare sindromi dismetaboliche.

E’ infatti noto che anche il sovrappeso unito alla sedentarietà

sembrano favorire l’insorgenza del diabete. Alla luce di quanto d

campagna di informazione che enunci quali siano i principali fattori di rischio per

l’insorgenza di malattie metaboliche e inoltre illustri gli accorgimenti da adottare per

correggere le abitudini malsane assume un ruolo strategico nel c

prevenzione. Per questo motivo in un primo stadio si tende ad intervenire sugli stili di

vita, promuovendo una dieta ricca di frutta e verdura e l’abitudine ad una regolare

attività fisica.

Quest’ultima, specialmente se di natura prevalentement

essere efficace nel controllo della glicemia e nel ridurre la sensibilità all’emoglobina

glicata (Zanuso et al. 2010

mellito.

Figura 1. Prevalenza del diabete in funzione dell’età (fonte: Progetto IGEA, Istituto Superiore

di Sanità, (Ministero della Salute 2012

Per quanto le cause del diabete siano ancora sconosciute, il suo sviluppo sembra

dipendere da una combinazione di fattori genetici ed ambientali.

Da un punto di vista genetico, è noto che numerosi geni (più di 36) possono contribuire

bilità di sviluppare tale malattia ma insieme, rappresentano ancora

solo il 10% della totale componente ereditaria della malattia.

Da un punto di vista ambientale è appurato che uno sbilanciamento delle abitudini di

vita verso uno stile di vita più sedentario, e quindi favorente il sovrappeso, spinge

l’organismo a sviluppare sindromi dismetaboliche.

E’ infatti noto che anche il sovrappeso unito alla sedentarietà, è uno dei tanti fattori che

sembrano favorire l’insorgenza del diabete. Alla luce di quanto detto, un’opportuna

campagna di informazione che enunci quali siano i principali fattori di rischio per

l’insorgenza di malattie metaboliche e inoltre illustri gli accorgimenti da adottare per

correggere le abitudini malsane assume un ruolo strategico nel c

prevenzione. Per questo motivo in un primo stadio si tende ad intervenire sugli stili di

vita, promuovendo una dieta ricca di frutta e verdura e l’abitudine ad una regolare

Quest’ultima, specialmente se di natura prevalentemente aerobica, si è dimostrata

essere efficace nel controllo della glicemia e nel ridurre la sensibilità all’emoglobina

Zanuso et al. 2010), uno degli indici utilizzati per la diagnosi del diabete

Prevalenza del diabete in funzione dell’età (fonte: Progetto IGEA, Istituto Superiore

Ministero della Salute 2012)).

Per quanto le cause del diabete siano ancora sconosciute, il suo sviluppo sembra

Da un punto di vista genetico, è noto che numerosi geni (più di 36) possono contribuire

bilità di sviluppare tale malattia ma insieme, rappresentano ancora

Da un punto di vista ambientale è appurato che uno sbilanciamento delle abitudini di

ario, e quindi favorente il sovrappeso, spinge

, è uno dei tanti fattori che

etto, un’opportuna

campagna di informazione che enunci quali siano i principali fattori di rischio per

l’insorgenza di malattie metaboliche e inoltre illustri gli accorgimenti da adottare per

correggere le abitudini malsane assume un ruolo strategico nel campo della

prevenzione. Per questo motivo in un primo stadio si tende ad intervenire sugli stili di

vita, promuovendo una dieta ricca di frutta e verdura e l’abitudine ad una regolare

e aerobica, si è dimostrata

essere efficace nel controllo della glicemia e nel ridurre la sensibilità all’emoglobina

, uno degli indici utilizzati per la diagnosi del diabete

Prevalenza del diabete in funzione dell’età (fonte: Progetto IGEA, Istituto Superiore

E’ doveroso ricordare, per abbattere il rischio di sviluppare tale malattia, il ruolo di una

dieta bilanciata e l’esecuzione regolare di un’attività fisica a prevalente componente

aerobica.

Il ruolo dell’esercizio fisico

Oggi è ormai dimostrato come l’esercizio fisico sia in grado di ridurre gli effetti nocivi

dell’invecchiamento (Vogel et al. 2009). Dagli studi svolti su atleti veterani, che

costituiscono un modello sperimentale di notevole interesse, è stato dimostrato che

dopo allenamento aerobico (9-12 mesi, 45 min. per quattro giorni a settimana), si

ottiene un aumento delle fibre IIA, associato a riduzione del tipo IIB e senza alcuna

variazione delle I, oltre a un aumento dell’attività enzimatica mitocondriale e a

riduzione di quella glicolitica. Il relativo deterioramento funzionale subito dal muscolo

anziano deriva quindi non solo dall’avanzamento dell’età, ma anche dall’inattività,

tuttavia tale deterioramento è reversibile. Nell’atleta anziano si sono rilevati un’estesa

capillarizzazione muscolare e un quadro enzimatico comparabile a quello di giovani

atleti.

Inoltre la contrazione miocardica nell’atleta anziano mantiene una discreta efficacia

mentre, dal punto di vista respiratorio, l’aumento della ventilazione in esercizio è

dovuto ad un aumento della frequenza respiratoria, più che del volume corrente. Questi

adattamenti non inficiano la performance del sistema: ai fini della massima prestazione

aerobica, rispetto al giovane, l’anziano è penalizzato solo dalla riduzione di FC.

Nel mantenimento di un buono stato di salute e dell’autonomia personale giocano un

ruolo importante diversi fattori: attività fisica, adeguato introito calorico, di calcio, di

proteine e stato nutrizionale in generale. L’esercizio fisico continuo di adeguata

intensità e durata è in grado di produrre nel lungo periodo:

il rallentamento dei cambiamenti fisiologici dovuti all’invecchiamento che

compromettono la capacità di esercizio ;

l’ottimizzazione delle modificazioni legate all'età nella composizione corporea;

la promozione del benessere psicologico e cognitivo;

una migliore gestione di malattie croniche;

la riduzione del rischio di disabilità fisica;

l’aumento della longevità e una migliore qualità di vita.

Perché l’esercizio possa dispiegare tutte le potenzialità benefiche che lo

contraddistinguono, è necessario che sia specificamente dosato e programmato, al pari

di qualsiasi altro farmaco.

Si caratterizza per la presenza della cosiddetta “finestra terapeutica” ovvero esiste un

dosaggio e una tempistica ottimale per ciascuna indicazione. Se la dose è inferiore

rispetto a quanto stabilito dalla finestra terapeutica, l’intervento sarà inefficace, se la

dose è superiore, l’intervento sarà dannoso.

In un recente articolo apparso nella letteratura internazionale (Chodzko-Zajko et al.

2009) (ACSM Position stand 2009), viene descritto in modo esaustivo quale e quanto

esercizio fisico è indicato nell’età avanzata per il soggetto sano. Le novità riguardano

soprattutto l’introduzione degli esercizi di forza in maniera continuata, al pari degli

esercizi di tipo aerobico.

Esercizio fisico, nutrizione e invecchiamento

Tuttavia l’esercizio da solo non è in grado di contrastare tutti gli aspetti di quel

processo multidimensionale costituito dall’invecchiamento. L’approccio deve essere

integrato e comprendere un intervento combinato e sinergico su diversi aspetti della

vita quotidiana. Giocano un ruolo importante alcuni fattori: attività fisica, introito di

calcio, proteine nobili e in generale lo stato nutrizionale.

Un esempio importante di questo indissolubile legame che dovrebbe esistere tra dieta

ed esercizio, è emerso da un recente studio scientifico condotto presso l’Università di

Tel-Aviv, in Israele (Tanne et al. 2005). Si tratta di uno studio prospettico di ampie

dimensioni il cui obiettivo è stato quello di analizzare l’associazione tra distribuzione

del grasso corporeo e la mortalità per ictus negli uomini di mezza età. Si è dimostrato

che la distribuzione del grasso corporeo predice il rischio di mortalità per ictus (una

delle malattie cardiovascolari più diffuse nella terza età) nel lungo periodo.

Il peso corporeo eccessivo è un importante determinante della malattia

cardiovascolare, ma la relazione tra eccesso di peso, la sua distribuzione e l’ictus è

ancora da chiarire in modo esaustivo. In questo studio un gruppo di uomini (n=9151),

impiegati statali e comunali senza alcuna malattia di tipo cardiovascolare, è stato

tenuto sotto osservazione per un periodo di ventitré anni. La plica sottoscapolare è

stata utilizzata come misura dell’obesità del tronco e dell’obesità generale, mentre il

rapporto tra lo spessore della plica sottoscapolare e quello della plica tricipitale, è stato

utilizzato come indicatore della distribuzione a livello del tronco e periferica del grasso

corporeo. Durante il periodo di follow-up, sono stati osservati 316 decessi per ictus e

865 per malattia coronarica. In conclusione è emerso che la percentuale di grasso

corporeo totale e la sua distribuzione sono in grado di predire l’ictus nel lungo periodo

e la mortalità per malattia coronarica tra gli uomini di mezza età.

Dunque il rapporto tra lo spessore della plica sottoscapolare e della plica tricipitale,

come indicatore della distribuzione del grasso corporeo sul tronco, è correlato con la

mortalità per ictus.

Questo è solo un esempio dei numerosi studi condotti sull’argomento.

Da quanto affermato è intuitivo dedurre che, se si interviene efficacemente sulla

quantità e distribuzione del grasso corporeo, è possibile prevenire tali eventi nefasti

per la salute. In questo ambito giocano un ruolo primario l’esercizio fisico adeguato,

associato ad una dieta equilibrata, rispetto a macro e micronutrienti, specifica per le

diverse età, ipocalorica dove necessario.

Salute e benessere attraverso un intervento sinergico

Esercizio fisico adeguato e alimentazione corretta sono quindi un binomio inscindibile

per il benessere ad ogni età.

Nell’anziano, si presenta una ulteriore possibilità sfruttando la disponibilità di tempo: i

centri di trattamento termale.

I centri di trattamento termale possono svolgere un ruolo fondamentale per la salute

delle persone di età medio-avanzata, poiché sono in grado di agire sul piano di un

intervento integrato, associando esercizio fisico e nutrizione ai trattamenti termali.

In questo ambito gli stabilimenti termali possono costituire un vero e proprio setting

terapeutico. Grazie alla loro struttura possono integrare gli interventi finora descritti,

perché ai dimostrati effetti terapeutici per specifiche patologie tipiche

dell’invecchiamento, legati alle malattie reumatiche, alle degenerazioni dell’apparato

muscoloscheletrico (OA) e del sistema respiratorio, garantiscono la possibilità di

intervenire anche sul piano nutrizionale, attraverso la predisposizione di specifici piani

alimentari, nonché sul piano dell’attività motoria, con l’utilizzo di programmi di

attività individualizzati, monitorati durante l’esecuzione e valutati dal punto di vista

funzionale. Esempio recente è il modello proposto da Ermitage Medical Hotel di

Abano Terme.

Il punto di forza principale risiede in una caratteristica intrinseca, in grado di agire in

primo luogo sul piano psicologico: il centro termale è un ambiente completamente

nuovo, avulso dalla routine quotidiana del soggetto e ricco di aspetti attrattivi, legati

alla socializzazione e all’intrattenimento. Questo svolge un ruolo fondamentale sul

piano della motivazione, perché come primum movens di tutto il procedimento descritto,

teso al raggiungimento di un benessere duraturo, si pone in assoluto la motivazione

personale al cambiamento nello stile di vita, che sia poi permanente. Si tratta qui

infatti, della ricerca di un cambiamento radicale nello stile di vita delle persone, in cui

allo stress dovuto all’attività lavorativa e agli impegni pubblici, viene sostituita

l’attenzione alle necessità determinate dai cambiamenti legati all’età.

Durante questa fase della vita l’aspetto psicologico-motivazionale ricopre un ruolo

imprescindibile, poiché in esso risiede il successo o il fallimento di qualsiasi strategia

d’intervento; come ricordato gli anziani, sono non solo il segmento di popolazione

maggiormente sedentario, ma anche quello colpito dalla più elevata incidenza di

isolamento sociale, ansia e depressione. Le terme sono il luogo ideale per agire anche

su questo piano, in particolare se prevedono programmi integrati di attività motoria e

corretta alimentazione.

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