Il ring è onesto

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''(...) Finalmente di fronte, io e Hasan ci fissiamo. Ha la faccia distesa e l'ormai solito ghigno di sufficienza con il quale mi misura dall'alto dei suoi dieci centimetri e passa di vantaggio. Le solite storie sui colpi bassi, sullo stop quando l'arbitro fischia, ecc, fluttuano dalle parti delle mie orecchie in uno spagnolo abbastanza comprensibile, ma non riesco a farci caso perch´ sono già in pieno trip agonistico, con le gocce di sudore che prendono a scendermi dal viso e al centro della schiena. Alla fine arriva il momento di battersi i guantoni e di tornare un'ultima volta all'angolo. «Tranquillo, Re', non farti mettere soggezione», mi sussurra Fernando massaggiandomi piano le spalle. «Pronto e reattivo, pronto e reattivo. E' la tua occasione, vai!». Gong! «Seconds out. It's the first round». (...)'' http://www.givemeachance.it/autori/domenico-paris/GMC-Domenico-Paris-il-ring-e-onesto.php

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Domenico Paris

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Tutti i diritti riservatiLa riproduzione parziale o totale del presente libro è soggetta all’autorizzazione scritta da parte dell’editore.La presente pubblicazione contiene le opinioni dell’autoree ha lo scopo di fornire informazioni che, benché curate con scrupolosa attenzione, non possono comportare specifiche responsabilità in capo all’autore e all’editore per eventuali inesattezze.

GiveMeAChance s.r.l. – Editoria OnlineViale Regina Margherita, 41 – Milano

1° edizione Marzo 2013

Cover Art: Valentina MastrodicasaFoto di quarta di copertina: Fabrizio Cerri

La storia raccontata in questo libro è frutto della fantasia dell’autore. Pertanto, la presenza in qualità di personaggi di alcuni uomini appartenenti al mondo del boxing italiano e internazionale deve ritenersi funzionale allo svolgimento delle vicende narrate, ma eventuali riferimenti a fatti realmente accaduti sono da considerarsi puramente casuali.

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Al Magister, Rino Tommasi, per avermi fatto appassionare a questo sport

e per avermi indotto a “studiare”;

Alla memoria di Alexis Arguello (1952-2009). E ad Aaron Pryor, fuoriclasse dentro e fuori dal ring.

Tutto cominciò dal vostro secondo incontro…

Alla memoria di Carmen Basilio (1927-2012), indimenticabile campione

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L’offerta era arrivata proprio da lui, Klaus Peter Kohl, il boss della Universum Box-Promotion, nonché numero uno del pugilato teutonico: ottantacinquemila euro, quattro spese di viaggio e mezz’ora scarsa per decidere.«Faxagli immediatamente di sì o ti uccido» intimai al mio manager.«Sì, Remo, però si potrebbe cercare di spuntare qualcosina di più, se…».«Spedisci subito quella risposta affermativa, altrimenti vengo sotto casa tua con una spranga».«Ma si tratta di Akim Hasan, Remo! Con i diritti televisivi e gli incassi si potrebbe arrivare anche a novantacinque-centomila. Lasciami fare, basterà…».«Adelmo, se non mandi subito la conferma che il tre settembre sarò lì a Berlino, sei un uomo morto».«E va bene, va bene! Dicevo solo che con un minimo di trattativa si poteva spuntare qualche spicciolo in più, che cavolo! Lo sai quanti soldi fa Kohl con le sue riunioni? A palate, maledizione. Si potrebbe riuscire facilmente a fargli scucire…».«Adelmo, mi sa che non ci siamo capiti: tu adesso finisci questa cazzo di telefonata con me e mandi il fax con un “sì” scritto a caratteri cubitali. Io, per ottantacinquemila euro, vado a combatterci nel salotto di casa sua con Hasan».«Remo, d’accordo l’entusiasmo e i soldi, ma guarda che Hasan è una bestia. Cioè, non è che si va lì a fare sei o sette riprese morbide e ce ne andiamo via senza un graffio. Cristo santo, picchia come un fabbro, quello! Trentuno ko in trentaquattro match!».«E neanche una sconfitta».«E neanche una sconfitta, già. Guarda che hai due mesi per prepararti e non lo so mica se ti basteranno a uscirne sano da quello lì».«Sul ring ci sono salito sempre io, mi pare. E ci andrò anche stavolta, tranquillo. Te lo ricordi cosa dicevi del match con Karmasimov, eh?».«Ma Karmasimov è un ragazzino, questo è una bestia! L’hai beccato perché ha voluto strafare, altrimenti avresti perso ai punti. E nettamente. Hasan è un campione. Non sarà Pacquiao o Mayweather, ma non ci manca molto,

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secondo me. L’hai mai visto su Youtube che diavolo combina?». «Oh sì, e neanche una volta sola».«Destro, sinistro, come un treno. E poi fa un male boia. A Sam Langford junior, quando gli ha tolto il titolo, ha fracassato tre costole».«E amen! Tu firma quel maledetto contratto e non pensarci più».«Remo, io sono il tuo manager, devo anche preoccuparmi della tua salute. Cristo, quello ti…».«Adelmooo! Dai quel cazzo di okay. Dai-quel-cazzo-di okay! Non c’è altro da dire».«Bah, fai un po’ come ti pare. Mando subito il fax, allora».«Ecco, bravo. Ci sentiamo dopodomani per i dettagli».«Okay, okay. Ciao».«Ciao».

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UNO

Mi chiamo Remo Pariglia e mi piacerebbe dirvi che di lavoro faccio il pugile professionista. In realtà in Italia di pugili professionisti non ne esistono. Anche se sei bravo, qui puoi sperare al massimo di tirare a campare per qualche anno, ma poi devi pensare a fare altro, se non vuoi morire di fame. Tolti Rosi, Piccirillo e la buonanima di Giovanni Parisi, nessuno in Italia si è potuto dedicare ai soli guantoni, in quest’ultimo quarto di secolo. Persino un fenomeno come Stefanino Zoff s’è dovuto arrabattare a fare lavori saltuari! Cioè un campione del mondo, uno che si è andato a prendere la cintura iridata dei pesi leggeri nella terra dei mangiarane, facendo una faccia come un pallone a Lorcy! E se i giudici non fossero stati i soliti corrotti, vai tranquillo che si era ripetuto pure in Germania con Artur Grigorian. Ebbene, nonostante questo, anche lui s’è dovuto inventare qualcosa durante e dopo la carriera per sfangarla, altroché. E quel demente di Adelmo, neanche ci salisse lui sul ring, che ha provato a cincischiare con ottantacinquemila euro in ballo! E chi sarà mai ‘sto Hasan, Roberto Duran da giovane! Ma va’, che l’ho visto su Youtube cento volte ed è il solito “dilettantone” che sfornano da quelle parti. Sì, d’accordo, quasi un metro e ottanta d’altezza per sessantatré chili di peso; un allungo pauroso; un fisico costruito come nella migliore tradizione germanica; e, sì, diciamolo, un gancio destro che deve fare un male cane quando ti centra, ma… Insomma, dai! C’ho quasi trentacinque anni e, contrariamente a molti colleghi cagasotto che hanno i record taroccati e combattono sempre con i soliti quattro immigrati scarsi, me li sono fatti i match in giro per il mondo, io. Quarantanove, mica uno. Come il grande Rocky Marciano. E con uno score decente, tutto sommato: trentasette vittorie, due pari, dieci sconfitte. Venticinque successi prima del limite, pure. Sono stato campione italiano dei superpiuma per sette anni e, se non mi fregavano il match in Danimarca, avevo vinto anche l’europeo. Ma si sa, quando vai fuori, o riesci a metterlo per terra l’idolo di casa, oppure non ti fanno tornare indietro con la cintura (e così, nonostante avessi sconfitto Brensen di almeno quattro punti, m’avevano

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dato un pari scandaloso, che ladri). Però lì almeno pagano e sono match veri, di fronte a migliaia di persone e con delle borse che valgono la pena. E se ti riesce il colpaccio, come a me con quello stronzetto di Karmasimov, ecco che all’improvviso si possono spalancare le porte dell’Olimpo e ti ritrovi con la possibilità di metter su un bel gruzzoletto. M’aveva fatto vedere i sorci verdi per nove riprese, il maledetto: colpi bassi, ditate, ganci sullo stop… E naturalmente quel venduto che arbitrava neanche un richiamo ufficiale, non sia mai! Tutto gli ha lasciato fare, persino un paio di capocciate di quelle palesi, di quelle che, da sole, dovrebbero valere una squalifica in un incontro regolare e degno di questo nome. Ah ah, chissà come gli sarà dispiaciuto, al pezzo di merda, quando il russettino-mille scorrettezze l’ho centrato alla decima con quel gancio sinistro a tutto braccio. Bam, è venuto giù secco. Hai voglia a far trucchetti quando un guardia destra riesce a coglierti alla punta del mento dopo il classico mezzo passo indietro! Gli ci son voluti trenta secondi buoni per capire dove diavolo si trovava, mica no. Ed io mi son riportato da quel posto schifo nel buco di culo della Russia, un po’ di dollari, il titolo intercontinentale WBA dei leggeri e un posticino tra i primi quindici del ranking mondiale. E quel coglione di Adelmo dai ad abbracciarmi, a dire “bravo, bravo”. Non se lo ricordava che due riprese prima voleva far gettare la spugna, la vecchia volpe dei miei stivali. “È troppo giovane, è troppo veloce, è troppo protetto”… Poi, però, quando lo ha visto steso a terra come uno stronzo di cane ha fatto presto a rimangiarsi tutto. Come tutti, d’altronde. Come quei fottuti della stampa specializzata, una manica di cialtroni rincoglioniti che stanno ancora lì a parlare di Arcari, Benvenuti e Duilio Loi. Li vedi, trippe mosce a bordo ring, buoni solo a chiedere il sangue insieme alle poche centinaia di zotici che puoi trovare nelle riunioni qui da noi. Gente che non ha mai scavalcato le dodici corde e si sente in diritto di farti la lezioncina, di dirti che la tua impostazione tecnica è carente per puntare a certi livelli. Ma vaffanculo! Col cavolo che devono preoccuparsi di mettere insieme pranzo e cena, loro! Quando arriva il ventisette, il giornale o la televisione passa sul conto corrente una cospicua sacchetta di denari e

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vai a fare gli intenditori. C’hanno mica idea di cosa significhi star lì a pestarsi con un altro uomo per sei, otto, dieci o dodici riprese. Tutte quelle botte che a volte non basta una settimana per far passare il dolore. Solo Rino, cavolo, soltanto il grande Rino Tommasi dovrebbero far parlare di pugilato in Italia, altro che questa manica di cialtroni. Lui sì che ne sa qualcosa, che ha voce in capitolo per azzardare un giudizio. Magari qualche volta toppa pure lui, per carità. Di sicuro le mani di granito di Shannon o di Iriarte non gli hanno fatto scricchiolare le ossa per lunghi, interminabili minuti come è successo al sottoscritto. Però, almeno, quando lo senti disquisire si capisce al volo che è una persona degna, preparata. E poi, se sono diventato un pugile, lo devo proprio a lui, che tanti anni or sono fece vedere ne La Grande Boxe il match di rivincita tra Aaron Pryor e Alexis Arguello, valido per il mondiale dei superleggeri. Se chiudo gli occhi, riesco ancora oggi a ricordare quegli incredibili scambi tra i due fuoriclasse prima del ko alla decima. Dovevo compiere otto anni, ma già quella sera, seduto di fronte a un Voxson mezzo scassato insieme a mio padre, sapevo che da grande sarei diventato un pugile.

Tutta la brava trafila mi son fatto. In primis, dai canguri fino ai dilettanti prima serie. Però si vedeva che con il pugilato in maglietta non ero tagliato. Troppo tempo per carburare e un atteggiamento che mal si conciliava con le misere tre riprese a disposizione. Poi, per fortuna, a ventuno anni sono passato professionista e le cose sono andate subito meglio. Intanto perché finalmente qualche soldino, per quanto misero, si è cominciato a vedere. E poi perché sulla lunga distanza vado una meraviglia: infatti, quando gli incontri vanno oltre la sesta ripresa, mi trasformo nel classico “demolitore”. Con un singolo colpo (ad eccezione del benedetto match contro Karmasimov) non sono capace a buttar giù uno, però dagli e dai, essendo anche un guardia destra naturale e creando diversi grattacapi a chi ha un’impostazione pugilistica classica, sono un asso a logorare gli avversari a furia di pugni e pugnetti. Certo, non sono mancate le giornate storte in questi tre lustri. Né di dover

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assaggiare la stuoia per il conto totale di dieci più di una volta. Tre anni fa, per esempio, contro quel randellatore terrificante di Francisco Hernandez. M’avevano proposto seimila e cinquecento dollari per un dieci riprese nel sottoclou di un mondiale dei pesi mosca a Città del Messico e, visto che in quel periodo avevo appena perso l’impiego da imbianchino con il quale mi mantenevo, non potevo certo dire di no. Senza contare che non avevo mai varcato l’Oceano Atlantico e una capatina da quelle parti avevo tutta l’intenzione di farla. Anche in quel caso, ovviamente, Adelmo aveva provato a mandare tutto all’aria. E anche in quel caso ero dovuto arrivare alle minacce fisiche per farlo accettare. Quanta scena del cavolo! ‘Sta storia dei manager che sono come secondi padri… Ma di che! Tutte bugie, per come l’ho vissuta io. L’importante è solo la loro percentuale sulla tua borsa, mica che il tipo che hai di fronte ti riduca a brandelli. È ben per questo che ci tengono a farti durare il più possibile. Meno rischi di essere pestato selvaggiamente, ma anche maggiori opportunità di riciclarti due o tre volte l’anno come collaudatore in giro per l’Europa: dovunque, infatti, sembrano esserci le classiche grandi promesse che hanno bisogno di avversari qualificati per salire nei ranking continentali e internazionali. Perfino in Portogallo m’è toccato di andare, anche se quella volta gli ho giocato un tiretto niente male agli organizzatori. Eh già, dalla quarta in poi l’ho sbudellato di ganci il loro superpiuma rampante. Sei volte al tappeto l’ho spedito, prima che l’arbitro si decidesse per il ko tecnico. Però, è stato un caso, perché, come dicevo prima, quando vai fuori a guadagnarti la pagnotta non ti lasciano scendere dal quadrato vittorioso. Puoi anche dominare tutte le riprese, ma se non metti giù il raccomandato di turno, la vittoria in Italia non la riporti. E visto che per combattere e guadagnare qualcosa che giustifichi le mazzate prese sei costretto solitamente ad andare in Inghilterra, Francia e Germania, capirete come la maggior parte delle mie sortite fuori dai nostri confini si sia risolta in sconfitte più o meno decorose. Una cosa buona, comunque, è che quando non eviti nessun avversario, gli organizzatori ti chiamano, perché sanno che come collaudatore sei una garanzia e che il loro ragazzo, una volta che ti

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avrà battuto, avrà acquisito visibilità e magari scalato posizioni. A te, ad ogni buon conto, rimane il nome e un po’ di spiccioli per tirare avanti qualche mese senza avere l’assillo di un lavoro a tutti i costi. Tanto, quando son finiti i soldi e di match in vista non ce n’è granché, fai presto a rituffarti in qualsiasi cosa capiti.Dalla mia, posso dire che, nonostante questo tipo di vita non riesca proprio esaltante dopo un tot di anni, sono sempre riuscito a tirare avanti e a fornirmi di un tetto sopra la testa. Sembra una cosa da nulla, ma vi assicuro che non è poco quando nasci quarto e ultimo figlio di un padre spazzino che non ha potuto darti granché per fare strada nel mondo. E poi, non per avallare certi stereotipi che l’opinione pubblica ha dei pugili, ma sono sicuro che senza la boxe presto o tardi avrei commesso sicuramente qualche stronzata nella vita. Anche se da quasi dodici anni vivo ad Avezzano, nella Marsica, sono originario di Pescara, quartiere Rancitelli, uno di quei posti che non ha proprio niente da invidiare al Bronx. Droga, rapine, omicidi, violenze di tutti i tipi. Non ci metti niente a ritrovarti nel giro sbagliato, soprattutto se non sei nessuno, se non hai niente alle spalle. E non è per forza una questione di destino e tutte quelle menate da libri o da cinema. È che a furia di star sempre con le tasche vuote a cazzeggiare per il quartiere, può tranquillamente capitare che un giorno tu abbia un colpo di testa e decida di trasformarti nell’ennesimo fuorilegge di provincia, soltanto per provare come ci si sente. Ma a me, rischiare di guardare anche solo per un giorno il sole dietro le sbarre, non mi è mai sembrata una buona idea. I soldi son fatti apposta per incularti, soprattutto quando sono troppi e non sono frutto della tua fatica. Vengono e se ne vanno, come le rondini, con la differenza che una volta andati via potrebbero non tornare mai più e lasciarti nella merda, altro che aspettare primavera. No, meglio il giusto necessario, date retta. Meglio avere i sudori freddi per racimolare i baiocchi per affitto e bollette ma alla fine farcela sempre, piuttosto che assaggiare un quarto d’ora di gloria e poi passare il resto della vita infognato sull’orlo di un precipizio.Sì, lo so, sono un filosofo da quattro soldi e mi rendo perfettamente conto

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di non essere una persona affascinante con i miei due più due. Sarà forse per questo che, a trentacinque anni, non ho ancora trovato un posto al sole e son costretto a farmi menare in giro per l’Europa. Però, con i soldi della prossima borsa, tolte le percentuali di Adelmo e Fernando (il mio allenatore), dovrei arrivare giusto giusto alla cifra necessaria per rilevare il cinquanta per cento di un bar in centro. Una roba sicura, un’attività avviata da anni per la quale io e Maurizio, il mio prossimo socio, abbiamo già un bel po’ di idee. Il vecchio padrone ha intenzione di mollare proprio alla fine di quest’estate e un abboccamento quasi definitivo c’è già stato. Fino alla notizia del match con Hasan ho dovuto cercare di prender tempo, di bleffare. Poi, quando Adelmo m’ha detto che i contratti erano in viaggio, ho potuto finalmente dare la mia disponibilità. Non vedo l’ora di metter nero su bianco. Mi ritiro a vita privata, a fare caffè e mescere birre, sì sì. Altro che star lì a prendere sganassoni! Giuro che il quattro settembre, a prescindere dal risultato del match, organizzo un’arrostata con un po’ di amici e mi faccio venire la gotta a furia di buttar giù carne alla brace. E poi, se le cose vanno come devono andare, nel giro di qualche mese metto su famiglia con Sonia. Lei sono già due anni che mi è sembrata intenzionata, soprattutto dopo che l’hanno passata a tempo indeterminato nella fabbrica dove lavora. Ma io, senza un lavoro fisso e in attesa di una chance per monetizzare ‘sti tre lustri di carriera, ho sempre fatto finta di niente. Adesso invece ho fretta di concludere, di sistemarmi come si deve e una volta per tutte. E pure di sfornare un pargolo, due. Sì, sento che è arrivato il momento, altrimenti invecchierò male se continuerò ad aspettare altro tempo. Invece, dopo aver incontrato Hasan, con una botta secca metto ogni cosa al suo posto e di palestra e guantoni non vorrò più sentirne parlare. Me li toglierò una volta per tutte e di sicuro non mi lascerò prendere da quella stupida nostalgia che, dopo qualche anno dall’abbandono, porta certi pugili a risalire sul quadrato per esporsi a delle figure indecorose. No, il tre settembre sarà l’ultima stazione. Dopo, giù dal treno e mai più risalirci.

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DUE

Arrivo in palestra, la Warriors Avezzano 1984, la mattina alle nove. Ci siamo solo io e Renzo, il custode del complesso sportivo (se così si può definire) che sta ammonticchiando una catasta di pigne cadute dagli alberi intorno. Fernando, il mio maestro, ha dei giri da sbrigare per una riunione in provincia di Teramo della prossima settimana e non sarà qui prima di un paio d’ore. Ne approfitto per fare un po’ di corsa in pineta. Con il peso sto più che bene, sessantaquattro chili precisi ieri sera. Non sono uno di quei pugili che fa impazzire manager e allenatori sbomballandosi di cibo (e magari di bicchieri di festeggiamento) dopo un incontro per poi sudare quattordici camice nel tentativo di rientrare nei limiti della sua categoria e onorare un contratto. Non riesco a stare lontano dagli allenamenti per più di una settimana, io, e di conseguenza non ingrasso mai. Ecco perché sono sempre pronto quando arriva qualche chiamata, anche due settimane prima di un match (come è capitato in Portogallo).M’infilo tuta e scarpe da tennis e comincio il percorso. È una bella giornata di fine giugno, con il cielo sereno e un sole poco invadente. Me ne vado al piccolo trotto incrociando di tanto in tanto qualche podista del luogo o qualche vecchietto che sta godendosi la passeggiata della mattina. Dopo una mezz’oretta abbondante, mi concedo un po’ di stretching e qualche esercizio di respirazione, prima di tornare in palestra. Naturalmente a quest’ora non c’è nessuno ed è una goduria assurda poter disporre nella massima libertà dell’impianto stereo che Fernando ha comprato per rallegrare l’ambiente. Tiro fuori dal lettore cd un disco masterizzato di Tiziano Ferro che, non capisco come, concilia gli allenamenti di quasi tutti i pugili della Warriors e dalla tasca esterna della borsa prendo il cd originale di Let there be rock, degli ACDC. Sparo il volume a oltre la metà della manopola, mi sfilo il pezzo di sopra della tuta e comincio a fare un po’ di figure in solitaria davanti allo specchio. Per molti ragazzi, questo menar colpi davanti alla propria immagine riflessa sembra essere il massimo dei piaceri che il nostro sport può regalare. Te li

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vedi, tutti belli e bulli, mentre saettano al niente carrettate di destri e di sinistri immaginando di scardassare un rivale immaginario che può essere un sacco di patate di Lecce dei Marsi come Oscar De La Hoya. Quando c’è da fare i pavoni, da contemplarsi mentre si gioca a fare i boxeur di gran classe, son tutti pronti, felici. E già, facile lanciarsi nei pensieri più sfrenati di bravura senza nessuno di fronte. Peccato, però, che dentro al ring c’è sempre un altro uomo pronto ad aspettarti e a farti un culo così alla minima distrazione. Sarà forse per questo motivo che non mi è mai piaciuto più di tanto starmene come un sognatore di fronte allo specchio. Giusto il tempo necessario a vedere la fluidità di certi movimenti di braccia e gambe e a controllare la correttezza di certe traiettorie dei pugni. Poi, basta. Poi, è il momento delle cose un po’ più serie: infatti, mentre Malcom e Angus scaricano quintali di adrenalina dalle casse, passo subito a fare un po’ di sacco, infilandomi i guanti da otto once. Provo a figurarmi soprattutto eventuali situazioni statiche, di corpo a corpo, in modo tale che la resistenza offerta dal sacco possa in qualche modo aiutarmi nel lavoro coi ganci. E in quella serie di colpi che insisto maggiormente, cercando di velocizzare quanto più mi riesce il passaggio jab destro-gancio sinistro con il movimento verso il basso. Dopodiché comincio a doppiare e poi a provare qualche tripletta sinistro-destro-sinistro sempre in gancio. Quando sento che le braccia si stanno facendo un po’ pesanti, torno a esercitarmi con il jab, stando ben attento a resistere quanto più tempo possibile sulle punte. Faccio un costante movimento di avanti e indietro con il corpo, perché starsene lì a sparare pugni piazzato con le suole a terra non serve assolutamente a nulla. Soprattutto quando sai che dovrai affrontare un tizio alto una dozzina di centimetri più di te. Già te lo figuri il leitmotiv dell’incontro, con lui che si mette frontale e lancia tutti colpi di sbarramento e tu che non ce la fai a raggiungerlo se non a prezzo di scoprirti. Invece, rendendo le punte dei piedi dinamiche, hai la possibilità di giostrare meglio l’equilibrio del corpo nell’avanzare e nel retrocedere e, conseguentemente, molta più facilità di sottrarti ai colpi che arrivano da lontano. Dopo un po’, con il sudore che comincia ad appiccicarmi la schiena, passo a fare un po’ di “peretta”

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(l’attrezzo a forma di pera altresì noto come Speedball). Parto piano perché voglio durare il più possibile e fare in modo che il movimento delle braccia sia bello fluido, veloce. Certo, dopo qualche minuto diventa una rottura di palle e hai bisogno di mollare un paio di bei cazzottoni dritto per dritto per sfogarti. Però è un esercizio utile, perché saper mulinare braccia e avambracci ti aiuta a essere più reattivo e avere più forza quando sei nel corpo a corpo con l’avversario. Quindi, decido di fare un po’ di “passeggiate” sul ring per vedere come va con le articolazioni delle gambe. Giro torno-torno al quadrato una decina di volte senza muovere i pugni, semplicemente spostandomi sul piede destro e sinistro, simulando tutti i movimenti sul perimetro che mi vengono in mente. Poi, gradualmente, comincio a far fischiare qualche jab nell’aria e infine aggiungo i ganci, stando sempre ben attento ad eseguire il classico mezzo passo indietro che mi permette di caricare e dare una traiettoria dal basso verso l’alto. Addirittura, quando ho ripetuto tre volte questi passaggi, provo ad azzardare anche qualche uppercut, anche se la speranza di piazzarne uno fatto a mestiere con uno spilungone veloce come Hasan mi sembra francamente difficile. In ogni caso, cerco sempre di seguire con la coda dell’occhio l’esecuzione stilistica, stando attento alla posizione dei piedi quando il colpo parte. Una cosa fondamentale, a maggior ragione per un guardia destra, che, se fa male questo movimento, rischia di farsi incrociare come il più sprovveduto dei dilettanti e di finire a culo per terra anche solo su un semplice dritto portato come Dio comanda (figurarsi poi contro uno come Hasan, che ha le leve lunghe e ci mette un attimo a sfruttare i buchi che lasci nella guardia). Ripeto il girotondo senza pugni per un’altra decina di minuti e poi mi fermo a respirare e a buttar giù un po’ d’acqua. Non sarebbe male farsi subito un tre riprese di colpi appoggiati, ma, visto che fino a tardo pomeriggio difficilmente troverò qualcuno, devo passare ad altro. E dunque provo un po’ di schivate con il pallone elastico. Un colpo e via, un colpo e via. Cerco di immaginarmi traiettorie abbastanza diagonali per replicare l’avanzare dei pugni di un avversario che inizia la sua azione di attacco in posizione laterale e con una lunga serie di jab di sbarramento. Il gioco di gambe, per essere

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il primo giorno di allenamento, mi sembra più che buono. Mi sento veloce, per niente legato. Ma la cosa migliore è che sono tranquillo, pur essendo consapevole che, da oggi fino al due settembre, dovrò ripetere ogni singolo esercizio fino alla noia, cercando di capire cosa si può migliorare e se esiste una serie di movimenti coordinati sui quali lavorare di più per impostare la mia azione di attacco. Perché, per quanto voglia cercare di correre meno rischi possibili, capisco senza bisogno che qualcuno me lo spieghi che se nelle prime riprese rimarrò piantato nei pressi delle corde, quello troverà subito il modo di tagliarmi la strada e di non farmi girare. E poi, giunto il momento propizio, proverà a forzarmi la guardia o a provocare qualche mia reazione che gli apra un pezzo di figura da colpire, magari doppiando.Aldilà dell’allenamento, del coraggio e del’astuzia, per riuscire a resistere a un caterpillar come Hasan, ci sarà bisogno di essere più scattanti di un puma e di curare al meglio la scelta di tempo di ogni singolo spostamento di braccia.Vado a spegnere lo stereo e torno in pineta a fare una corsetta defatigante e qualche esercizio di stretching, mentre quel cavernicolo sciroccato di Bon Scott finisce di gracchiare per la seconda volta Whole Lotta Rosie.Proprio mentre sto rientrando per andare sotto la doccia, da lontano vedo la Punto color oro di Fernando imboccare il cancello che porta al vialetto della palestra. Quando arrivo sulla soglia è lì ad aspettarmi.«Remo, buongiorno!» mi dice con voce allegra e dandomi una pacca sulla spalla.«Buongiorno, Ferna’».«Allora è arrivata la grande occasione, eh. Adelmo m’ha detto che hai accettato».«E certo, che dovevo fare? Un titolo mondiale, ottantacinquemila euro…».«Naturalmente, giusto».«Sei proprio sicuro?».«Sì, perché? Che volevi fare? Dopo quasi quindici anni di professionismo dovevi rinunciare al match più importante e alla borsa migliore della tua

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vita?».«Per fortuna che almeno tu l’hai capito!».«Scazzato con Adelmo, eh?».«Beh, dimmi tu se di fronte ad un’occasione del genere, con una lista di altri sfidanti pronti ad accettare alla mia minima esitazione, potevo non incazzarmi».«Eeeh, Adelmo è una vita che fa così. Tu sei giovane, ma io, tra una storia e l’altra, sono quasi quarant’anni che ci lavoro insieme. Ed è sempre stata la stessa storia. Pavido e calcolatore. Scaltro e opportunista. Secondo me, dopo la vittoria con Karmasimov, si era già fatto un bel piano per sfruttarla al massimo. Lo sai che c’ha discreti agganci in regione, no? Beh, secondo me, stava pensando di farti fare l’Europeo in qualche comune dei dintorni e, con il fatto che il figlio gli fa da prestanome in qualità di organizzatore, di mettersi in tasca sia la sua percentuale, sia quella dell’organizzazione. E poi, vinto o perso, ti avrebbe rimesso davanti a Karmasimov chiedendo almeno trentamila euro di borsa. Insomma, a conti fatti -i suoi- ci avrebbe guadagnato sicuramente di più».«Cazzo, che tristezza dover combattere per questa gente qui. Ed è ancora peggio, se penso che in Italia è forse il migliore sulla piazza. Sono una tribù di avvoltoi e cagasotto».«Bah, forse esageri con il fatto che siano dei veri e proprio avvoltoi, ma che siano dei cagasotto è cosa certa. Comunque, quello che conta ora è che i contratti siano in viaggio. Certo che Hasan… bella bestia, ragazzo mio! Dovrai stare attentissimo sul ring».«Lo so, lo so. Ma che ti devo dire? Io non ho paura. Ho combattuto dovunque, con chiunque. Pure Mitchell era campione del mondo, eppure se a Manchester mi davano il pari non succedeva niente, mi pare».«Sì, però Mitchell non è Hasan, Remo. Mitchell era un normale campione del mondo dei superpiuma salito di categoria, mentre Hasan è un caterpillar con un fisico da mediomassimo».«Ferna’, io non ho paura lo stesso. Se riesco ad allenarmi bene, vado là e

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faccio tranquillamente il mio match. Magari non vincerò, ma sono sicuro che posso finire in piedi e che, in ogni caso, non sarà una brutta figura. E poi, cazzo, quei soldi me li sono proprio meritati! Sono quindici anni di boxe vera, i miei, mica pagliacciate».«Completamente d’accordo. Ma perché non entriamo? Ho una sorpresa per te».«Una sorpresa?».«Sì, aspettami dentro che vado a prenderla in macchina».Entro e dopo una manciata di secondi lo vedo infilarsi a stento nella porta d’ingresso con due grandi cornici a giorno sotto un braccio e due tubi di cartone sotto l’altro. Li appoggia al lato della scaletta che porta al ring e mi sorride con uno sguardo sornione.«Beh?».«Eh eh, arrivate giusto ieri. Mi sono costicchiate un po’, questo sì, ma non ho potuto resistere».Toglie il tappo da uno dei due cilindri e con un gesto lento e accorto tira fuori una stampa arrotolata.«Indovina un po’?».«E che ne so, Ferna’?».«Et voilà!».Appoggiando un estremo sotto il mento, spiega la stampa che, a occhio e croce, sarà alta almeno un metro e venti. Non c’è bisogno che arrivi alla metà per capire di cosa si tratta: è una foto storica del primo match per il titolo mondiale dei pesi medi tra l’immenso Sugar Ray Robinson e uno dei miei idoli assoluti, Carmen Basilio.L’immagine l’ho già vista altre volte e ne ho anche appesa una copia su un foglio A4 a una parete della mia stanza, ma vederla così, in questo formato gigante, mi fa impazzire.«Madonna, Ferna’! Ma dove diavolo l’hai trovata?»«Eeeeh, al contrario di quel segaiolo di mio figlio, che su internet ci va solo a vedere puttane e nerchiuti, io ci passo ore a scovare roba interessante. E

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da un sito americano l’ho scovata e me la sono fatta spedire una decina di giorni fa. Ma non è tutto, guarda che altro ho trovato».Ripiega la prima stampa e me la passa, mentre toglie il tappo al secondo cilindro e ripete l’operazione di srotolamento.Stavolta, mentre l’immagine comincia a formarsi, non riesco a capire di cosa si tratti. Vedo la faccia di un pugile di colore con lo sguardo truce che guarda alla sua sinistra, ma, là dove ti aspetteresti il suo avversario, non si vede ancora nulla. Un altro paio di girate e comincia a comporsi, in una “posa” assurda, il volto e un pezzo di corpo del suo antagonista. Sembrerebbe messo quasi per diagonale e, ad un ulteriore giro di mani di Fernando, riesco a coglierne lo sguardo vitreo. È evidente che sta per cadere al tappeto, ma non riesco a capire chi sia fino a quando, aiutandosi con le gambe per bloccarla ai lati, Fernando non riesce a spiegare l’immagine nella sua interezza. Ora lo riconosco.«Mamma mia! Julian Jackson contro Herol Graham, campionato del mondo dei pesi medi WBC!».«Te lo ricordi quel ko?».«Se me lo ricordo! Avrò avuto tredici anni, ma ce l’ho stampato qui nel cervello: il missile di Jackson e Graham che un istante dopo cade giù e ci rimane quasi cinque minuti. Uno dei ko più terrificanti nella storia del pugilato. E pure uno dei più belli, secondo me».«Già. Sarà per questo che mi è costato un bel pacchetto di euro, porco Giuda! Però ne è valsa la pena, no? Guarda che qualità, che risoluzione perfetta. Adesso, sai che facciamo? Togliamo quel poster del cazzo con Sylvester Stallone e piazziamo queste due stampe di fronte al ring. Che ne dici?».«Dico che lo facciamo subito. Aspetto anche a farmi la doccia».Passiamo il successivo quarto d’ora ad armeggiare con le cornici, le foto e i chiodi fino a quando, esattamente di fronte al ring, sparisce la faccia di culo di Stallone e fanno la loro comparsa le gigantografie tratte da quei due magici incontri. A lavoro finito, rimango a fissare qualche istante l’espressione feroce di Carmen Basilio che centra Robinson con una sventola e poi vado

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negli spogliatoi.Dopo una doccia veloce, esco con la borsa su una spalla e una bottiglia d’acqua in mano. Fernando sta sistemando il sostegno di un angolo del ring, cercando di tirarlo dentro.«Ferna’, io vado. Sai se oggi pomeriggio passa qualcuno? Paolo, Alcide?».«Paolo viene domani sera dopo il lavoro. Alcide, invece, dovresti trovarlo verso le quattro e mezza».«Bene, magari facciamo un tre riprese leggere tanto per, che ne dici?».«Sì, chiediglielo, non dovrebbero esserci problemi. Se riesci a venire una mezz’oretta prima, però, ti faccio fare un po’ di figure sul ring».«Va bene. Alle quattro sono qui, allora. Ci vediamo dopo».Faccio per andarmene, ma Fernando mi prende per un braccio.«Remo, prima che vai, voglio dirti che per questo match cercherò di fare tutto quello che posso, di allenarti al meglio. Scusa per stamattina, ma lì a Teramo riesco a portare due ragazzi e sono soldini che…» imbarazzato.«Non preoccuparti, Ferna’. Lo so che…».«No, ascolta» appoggiandomi tutte e due le mani sulle spalle. «Ormai sono dodici anni che ti alleno e sono stato al tuo angolo in ogni parte d’Europa…» trattiene le parole, lanciandomi uno sguardo serio che non gli ho mai visto prima. «Voglio che questa volta si riesca a fare tutto il meglio che si può. Va bene tre riprese leggere di allenamento con Paolo o Alcide, ma, già tra quindici giorni, vorrei che tu facessi un po’ di test con qualcuno più all’altezza».Lo fisso interrogativo, mentre comincia a misurare a passi veloci un lato del bordo ring.«Se tu sei d’accordo, avevo pensato di fare un salto a Milano, diciamo al massimo alla fine della terza settimana di luglio. C’è la possibilità di fare i guanti per una decina di giorni con Salvatore Stozza, il campione intercontinentale IBF dei superpiuma. È un discreto pugile, è imbattuto ed è alto quasi quanto Hasan. Ovvio che stiamo parlando di due livelli diversi, ma possiamo fare un buon lavoro, secondo me. Ci mettiamo con Youtube e studiamo per bene i movimenti da fare sul ring. Stozza non è male neanche tecnicamente, quindi

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possiamo tirarci fuori delle belle cose. Ho parlato con il suo manager appena Adelmo m’ha detto che avevi accettato il match. Sapevo che Stozza il diciotto di agosto c’ha la difesa del titolo a Cernusco sul Naviglio con un ugandese naturalizzato in Svizzera. A lui farebbe comodo rifinire la preparazione con uno come te, a noi fa comodo avere uno come lui per le sue caratteristiche fisiche. Dunque, ho fatto uno più uno».«Adelmo che ne pensa?».«Adelmo! A lui cosa vuoi che gliene importi? Risparmia i soldi di uno sparring partner perché sa che io e l’allenatore di Stozza siamo amici da una vita e ci scambiamo il favore a vicenda. Quando non deve tirar fuori dal portafogli suo, è tutto contento, Adelmo. Ci paga il biglietto del treno da Roma, un rimborso di due-trecento euro per le spese e se la cava. Uno sparring partner sicuro gli costava di più. Ne sarà entusiasta, fidati».«Sei un grande, Ferna’» abbracciandolo. «Non ho parole, davvero».«E non è tutto. Ancora non me l’ha confermato, ma forse per fine agosto riesco a far venire qualche giorno ad Avezzano Jamil Tirkuk, te lo ricordi?».«Come no, quel leggero turco che si è trasferito a Marsiglia e hanno fatto perdere cinque anni fa con Iriarte per l’Europeo. Ancora combatte? Non lo sapevo».«Praticamente è agli sgoccioli, però per qualche buona borsa ancora si riesce a farlo venire. E il ventotto di agosto l’hanno chiamato a Roma per collaudare Jommi, un ragazzetto di Tor Bella Monaca che stanno cercando di far salire. Quando l’ho saputo, mi sono messo in contatto via mail con il suo manager per chiedergli se, con qualche spicciolo garantito, Tirkuk era disponibile a venire tre giorni prima in Italia. Poi, ho contattato Renzoni, l’organizzatore del match di Roma, e gli ho chiesto se per lui era un problema che il ragazzo arrivasse qualche giorno prima in Italia per aiutarmi con te. Ho dovuto insistere, perché aveva paura che, facendo i guanti a così poca distanza dal match, potesse infortunarsi, ma poi, quando gli ho promesso che avreste fatto solo figure e riprese leggere, ha accettato. Anche perché, se m’avesse detto di no, col cazzo che a inizio ottobre gli porto Paolo e

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Alcide per la riunione al Pala Tiziano per la quale ha già beccato i contributi dalla circoscrizione! Capisci? Ha promesso che offrirà un bello spettacolo e ha bisogno di tenermisi buono, altrimenti contro i suoi ragazzi rimedia i soliti scarsoni rumeni o tunisini e non ci fa certo una bella figura».«Tu dici che con Tirkuk riesco a fare qualcosa di buono?».«Io dico di sì. E sai perché? Perché, quando ancora erano tutti e due dilettanti, Tirkuk e Hasan si sono incontrati in un torneo internazionale Germania-Turchia. E lo sai chi ha vinto? ».«No, non mi dire…».«Già, ha vinto Tirkuk, ai punti. E non parliamo di un secolo fa. Sono passati poco più di otto anni. Giusto un paio di mesi prima che entrambi passassero professionisti. Tirkuk era una promessa, Remo. Ha vinto i primi quindici match e con Iriarte non aveva certo perso a Madrid. È dopo quel match che sono iniziati i problemi. Ho controllato su Boxrec. Le dodici sconfitte del suo record sono tutte successive a quell’incontro. Non so se è stato quel verdetto a buttarlo giù o cosa, ma ho saputo, sempre tramite Renzoni, che il ragazzo si è fatto anche un annetto di gabbia e dopo che è uscito non è stato più lo stesso. Il manager, che evidentemente gli vuole bene, gli ha trovato un mezzo impiego nella ditta di costruzioni del fratello e lui, per ringraziarlo, cerca di tenersi in una forma decente per andare ogni tanto in qualche angolo d’Europa a collaudare qualcuno. In Italia, fino ad ora c’è stato due volte. La prima, ha messo ko Bolucci a Mantova. La seconda, gliel’hanno data persa contro Mantini, quello che hai battuto tre anni fa a Portici».«Beh, se le cose stanno così, direi proprio che potrebbe essere utilissimo. Cavolo, sei un grande, Ferna’! Come ci hai pensato a tutte queste cose in un giorno e rotti, non lo so, ma grazie, grazie mille. Per fortuna che ci sei tu, perché se era per Adelmo, mi mandava il solito sacco di merda che rimedia lui a cinquanta euro al giorno».«Remo, sarò sincero: io credo che sia molto difficile che tu ce la possa fare contro Hasan. Quel che è certo, però, è che questo è l’incontro della tua vita e tu sei stato uno dei migliori pugili e, probabilmente, il migliore ragazzo

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che io abbia mai allenato. E sento il dovere di darti tutto quello che posso per arrivare nelle condizioni migliori al match. Devi fare una grande figura e combattere al top della forma. Poi, come va è un aspetto secondario, dal mio punto di vista. Per me, il modo in cui hai saputo soffrire e mettere knock out un talento come Karmasimov e il fatto che da anni non te la fai sotto ad andare a sfidare chiunque in ogni angolo d’Europa, sono sufficienti per meritare ogni attenzione possibile. Punto. Okay?».«Okay, maestro» abbracciandolo. «Di nuovo, grazie. Davvero».«Ci vediamo oggi pomeriggio, allora».«Sì, a dopo».«Ciao».

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