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Terrorismo Brigate rosse Il sequestro Cirillo e i delitti della colonna napoletana IL PROCESSO (“FARSA”) PER LA TRATTATIVA Il caso Cirillo consta di due distinti capitoli giudiziari: il processo agli esponenti della colonna napoletana delle Brigate rosse, responsabili del sequestro dell’esponente politico, dell’assassinio dei componenti della scorta e dei delitti commessi in Campania e il procedimento-stralcio relativo alle trattative che condussero alla liberazione di Ciro Cirillo, avvenuta il 24 luglio 1981, dopo 88 giorni di prigionia, dietro pagamento di un riscatto. Il 29 aprile 1986 viene arrestato l’esponente democristiano Giuliano Granata, già sindaco di Giugliano in Campania, e segretario dell’ex assessore regionale Ciro Cirillo. Granata riceve un mandato provvisorio di arresto emesso dal giudice istruttore Carlo Alemi. L’accusa è di falsa testimonianza mediante reticenza. Quello di Granata è il primo arresto nell’ambito dell’inchiesta che Alemi ha cominciato nel 1982 sugli aspetti rimasti oscuri della trattativa per la liberazione di Cirillo. Il giorno dopo, 30 aprile 1986, nel supercarcere di Bellizzi irpino, a pochi chilometri da Avellino, Granata, alla presenza del giudice Alemi, viene messo a confronto con il capo della Nuova camorra organizzata (Nco) Raffaele Cutolo. Al termine del confronto l’arresto di Granata viene confermato. Il 17 set 1986 la commissione bicamerale Inquirente comincia l’esame di alcuni documenti trasmessi dalla magistratura su un possibile coinvolgimento dell’ex ministro della Difesa Lelio Lagorio nel caso Cirillo. La vicenda nasce dalle affermazioni del maresciallo dei carabinieri Sanapo, il quale aveva affermato di aver sapuito dal col. Belmonte del Sismi che la metà dei tre miliardi destinati al riscatto non era mai arrivata alle Br e che era stata invece spartita tra alcuni dirigenti dei servizi segreti e il ministro della Difesa dell’epoca. La relazione introduttiva viene svolta dal senatore democristiano Giancarlo Ruffino. Il 5 novembre dello stesso anno Alemi conclude l’inchiesta sulla trattativa che portarono alla liberazione di Cirillo. L’istruttoria era cominciata nel settembre del 1981 quando l’ufficio del pubblico ministero trasmise gli atti relativi al sequestro Cirillo. A questo procedimento furono uniti successivamente (perché si riteneva che facessero parte di un “unico disegno criminoso”) anche quelli relativi agli omicidi dell'assessore regionale Raffaele Delcogliano e del dirigente della squadra mobile Antonio Ammaturo ed all’assalto ad un convoglio dell’Esercito di Salerno. Il 31 gennaio 1985 Alemi depositò l’ordinanza di rinvio a giudizio dei componenti la colonna napoletana delle Br, disponendo, però lo stralcio, limitatamente alle

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TerrorismoBrigate rosseIl sequestro Cirillo e i delitti della colonna napoletana

IL PROCESSO (“FARSA”) PER LA TRATTATIVA

Il caso Cirillo consta di due distinti capitoli giudiziari: il processo agli esponenti della colonna napoletana delle Brigate rosse, responsabili del sequestro dell’esponente politico, dell’assassinio dei componenti della scorta e dei delitti commessi in Campania e il procedimento-stralcio relativo alle trattative che condussero alla liberazione di Ciro Cirillo, avvenuta il 24 luglio 1981, dopo 88 giorni di prigionia, dietro pagamento di un riscatto.

Il 29 aprile 1986 viene arrestato l’esponente democristiano Giuliano Granata, già sindaco di Giugliano in Campania, e segretario dell’ex assessore regionale Ciro Cirillo. Granata riceve un mandato provvisorio di arresto emesso dal giudice istruttore Carlo Alemi. L’accusa è di falsa testimonianza mediante reticenza. Quello di Granata è il primo arresto nell’ambito dell’inchiesta che Alemi ha cominciato nel 1982 sugli aspetti rimasti oscuri della trattativa per la liberazione di Cirillo.

Il giorno dopo, 30 aprile 1986, nel supercarcere di Bellizzi irpino, a pochi chilometri da Avellino, Granata, alla presenza del giudice Alemi, viene messo a confronto con il capo della Nuova camorra organizzata (Nco) Raffaele Cutolo. Al termine del confronto l’arresto di Granata viene confermato.

Il 17 set 1986 la commissione bicamerale Inquirente comincia l’esame di alcuni documenti trasmessi dalla magistratura su un possibile coinvolgimento dell’ex ministro della Difesa Lelio Lagorio nel caso Cirillo. La vicenda nasce dalle affermazioni del maresciallo dei carabinieri Sanapo, il quale aveva affermato di aver sapuito dal col. Belmonte del Sismi che la metà dei tre miliardi destinati al riscatto non era mai arrivata alle Br e che era stata invece spartita tra alcuni dirigenti dei servizi segreti e il ministro della Difesa dell’epoca. La relazione introduttiva viene svolta dal senatore democristiano Giancarlo Ruffino.

Il 5 novembre dello stesso anno Alemi conclude l’inchiesta sulla trattativa che portarono alla liberazione di Cirillo. L’istruttoria era cominciata nel settembre del 1981 quando l’ufficio del pubblico ministero trasmise gli atti relativi al sequestro Cirillo. A questo procedimento furono uniti successivamente (perché si riteneva che facessero parte di un “unico disegno criminoso”) anche quelli relativi agli omicidi dell'assessore regionale Raffaele Delcogliano e del dirigente della squadra mobile Antonio Ammaturo ed all’assalto ad un convoglio dell’Esercito di Salerno. Il 31 gennaio 1985 Alemi depositò l’ordinanza di rinvio a giudizio dei componenti la colonna napoletana delle Br, disponendo, però lo stralcio, limitatamente alle

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trattative. Con il trascorrere del tempo a questo procedimento vengono allegate per connessione altre istruttorie in corso come quelle sul falso documento inviato all’Unità, le eventuali irregolarità avvenute nel periodo del sequestro all’interno del supercarcere di Ascoli Piceno, nel quale era detenuto Cutolo, lo stralcio relativo ad un presunto collegamento tra l’omicidio Ammaturo ed il sequestro Cirillo, il processo sulle presunte estorsioni compiute, nel corso della vicenda, da Cutolo e un’inchiesta su un eventuale accusa di peculato per funzionari dei servizi segreti. Da quest’ultima indagine è stata, inoltre, stralciata la posizione dell’allora ministro alla Difesa Lelio Lagorio ora all’esame dell’Inquirente. Durante l’istruttoria il giudice alemi ha emesso una ventina di comunicazioni giudiziarie, disponendo inoltre, l’arresto di Granata, rimesso in libertà dopo alcuni giorni di detenzione.

Il 12 novembre 1986 la commissione Inquirente ascolta in seduta notturna, in una caserma romana, il colonnello del Sismi Giuseppe Belmonte - già rinviato a giudizio per i tentativi di depistaggio nelle indagini sulla strage di Bologna e per la vicenda del Supersimi - e il maresciallo Sanapo. Nel corso dell’interrogatorio Belmonte smentisce di aver mai parlato di soldi a Lagorio, ma Sanapo conferma la sua versione dei fatti. La commissione acquisisce agli atti una lettera inviata a suo tempo da Lagorio al tribunale di Napoli nella quale l’ex ministro della Difesa smentiva recisamente i fatti e sottolineava la sua “assoluta estraneità” alla vicenda.

Il 3 dicembre 1986 ad essere ascoltato dalla commissione Inquirente è il finanziere Francesco Pazienza. Pazienza è stato chiamato in causa da Alvaro Giardili il quale ha riferito in sede processuale di aver sentito dal finanziere questa frase riferita al sequestro Cirillo: “Lagorio mi deve molto”. Anche Pazienza esclude qualsiasi coinvolgimento dell’ex ministro della Difesa nellavicenda, negando di aver mai pronunciato quella frase. “Ebbi una richiesta di aiuto - afferma Pazienza - da parte di un alto esponente Dc per la liberazione dell’assessore campano e il 10 luglio 1981 mi incontrai con Vincenzo Casillo (un camorrista in stretti rapporti con il Sismi, morto a Primavalle dilaniato da un’autobomba. NdR) in una casa di Acerra. Appresi che Cirillo sarebbe stato liberato il giorno dopo e questo riferii”. Pazienza esclude anche di aver avuto rapporti durante il rapimento Cirillo con gli esponenti democristiano Antonio Gava e X Zamberletti. Pazienza sostiene infine che “tra il rapimento di Cirillo e quello del gen. Dozier (sequestrato a Verona il 17 dicembre 1980 e liberato a Padova il 27 gennaio 1981) ci sono stati due pesi e due misure”. Secondo Pazienza, infatti, anche nella vicenda di Dozier sarebbero “spariti, come ha scritto il settimanale Time magazine, soldi dei servizi segreti. E nessuno ha osato smentire le affermazioni del giornale americano”.

L’11 dicembre 1986 la commissione Inquirente archivia all’unanimità la vicenda dell’ex ministro della Difesa Lelio Lagorio. Il deputato della Sinistra indipendente Pierluigi Onorato rilevato che “se si è fatta luce sulla questione Lagorio non

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altrettanto è avvenuto però per la vicenda delle iniziative prese dai servizi segreti per la liberazione dell’assessore democristiano”.

Il 6 marzo 1989, nell’aula bunker di Poggioreale, a Napoli, comincia il processo per le trattative seguite al sequestro di Cirillo. A presiedere la quinta sezione del Tribunale è Pasquale Casotti. L’accusa è rappresentata dal pm Alfonso Barbarano. Gli imputati, accusati di vari reati, sono complessivamente quindici: i camorristi Raffaele Cutolo e Corrado Iacolare (quest’ultimo latitante); l’avv. Errico Madonna, ex difensore di Cutolo; il “pentito” della camorra Giovanni Pandico; il pubblicista Giovanni Rotondi, la giornalista Marina Maresca e l’ex direttore dell’Unità Claudio Petruccioli; sei dipendenti del ministero della Giustizia (tre agenti e un maresciallo degli agenti di custodia del carcere di Ascoli Piceno, nonché il direttore dello stesso istituto di pena, Cosimo Giordano, e il suo collega, responsabile del carcere di Palmi, Giovanni Salomone); l’ex questore di Napoli, Walter Scott Locchi e il vicequestore Ciro Del Duca. Nel corso del dibattimento, i giudici dovranno valutare anche l’eventuale ruolo svolto nell’ambito delle trattative da esponenti politici della Democrazia cristiana e dei servizi segreti.Tre giorni prima dell’inzio del processo il deputato radicale, Massimo Teodori, nel corso. di una conferenza stampa, afferma: “Si deve fare chiarezza sugli intrecci tra le Brigate rosse, gli uomini della camorra dentro e fuori le carceri, a cominciare da Raffaele Cutolo, i dirigenti dei servizi segreti e gli uomini politici della Dc, locali e nazionali. Gli effetti del sequestro Cirillo non sono ancora terminati. Decine di persone che dovevano sapere qualcosa e che non dovevano parlare sono state uccise, o si sono stranamente suicidate, o sono morte in incidenti. La strage, quindi, continua”. Nel corso della prima udienza i giudici respingono la richiesta presentata dagli avvocati difensori degli imputati camorristi di convocare quali testimoni gli onorevoli De Mita, Gava e Piccoli.

Il 4 aprile, dopo il rifiuto di testimoniare di Raffaele Cutolo, vengono ascoltati l’ex legale dello stesso Cutolo, Errico Madonna, l’ex direttore del carcere di Ascoli Piceno, Cosimo Giordano, e due agenti di custodia in servizio nello stesso penitenziario, Rosario Campanelli e Giorgio Manca. A proposito delle persone che siincontrarono in carcere con Raffaele Cutolo, a domanda del pubblico ministero, Madonna risponde: “Musumeci, Pazienza, mi pare Belmonte e anche qualche altro dei servizi segreti, ma Cutolo non mi disse i loro cognomi. Se me li disse, a distanza, non li ricordo”. E poi aggiunge: “Cutolo mi parlò dei favori e dei soldi offerti e non voluti in cambio della vita di Cirillo. Mi disse: ‘Io ho salvato Cirillo. Deve la vita a me’. Non mi riferì cosa avesse fatto in concreto per salvare Cirillo, né io glielo domandai. Non ero all' altezza di recepire i segreti”. L’avv. Madonna ha poi risposto ad una domanda circa l’identità delle persone politiche che giravano attorno al camorrista Enzo Casillo, precisando: “Erano Patriarca e Bosco. Il primo perché era stato interessato, a detta di Casillo, per il trasferimento di Cutolo. Il secondo perché dieci giorni prima del maxi-blitz, il suo segretario mi disse che doveva andare da

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Sorrentino per questioni elettorali. Poi lessi che quest’ultimo era un imputato della Nco. E così feci il collegamento logico”. A proposito del falso documento rifilato all’Unità, Madonna conferma in aula la dichiarazione resa in istruttoria, cioè di “aver appreso che il documento serviva per estorcere soldi alla Democrazia cristiana ed era stato progettato per dar forza alla destra della Dc in vista del congresso”. Alla domanda fatta dal difensore di Cutolo, l’avv. Angelo Cerbone, se avesse “mai visto una fotografia raffigurante Casillo, Antonio Gava e Patriarca insieme”, Madonna nega. Successivamente viene Giordano. Confermato le visite in carcere di “Belmonte, di un certo Titta, del dott. Giuliano Granata, di Casillo, Iacolare e dell’avv. Gangemi”. E dice di aver appreso, con una telefonata fatta al ministero della Giustizia, di “un incontro ad alto livello durante il quale era stato deciso il passaggio della cosa dal Sisde al Sismi”. L’ex direttore del carcere diAscoli Piceno aggiunge poi di aver ricevuto, nella stessa circostanza, la richiesta di “ampia collaborazione”. Giordano ribadisce che gli incontri con Cutolo si svolgevano nel suo ufficio di direttore e che essi erano autorizzati dal ministero. A proposito dei camorristi Casillo e Iacolare, eentrambi della Nco di Cutolo, entrambi latitanti, Giordano afferma: “Mi accorsi che Cutolo, Iacolare e Casillo erano della stessa banda. Non sapevo però che erano latitanti. Telefonai al ministero, suppongo che loro lo sapessero. Infatti in una telefonata con il consigliere Giangreco della segreteria, questi mi disse: “Abbiamo fatto trenta, facciamo anche trentuno”. Ma perché Giordano dette loro il permesso di entrare nel carcere? “Avendo ricevuto ordini dall’alto - questa la risposta - ho sempre considerato l’ordine stesso legittimo. Lo consideravo dato per una valida ragione”.

L’udienza del 6 aprile è dedicata all’interrogatorio di Giovanni Pandico, “pentito” storico della camorra che conferam di aver saputo da Curolo che lo stesso boss si era incontrato con l’anziano esponente della Dc Silvio Gava, padre di Antonio. “Cutolo – dice Pandico - mi raccontò che in quell’occasione Gava padre portò con sé un giornale della regione e lo lasciò poi sul tavolo. Cutolo se lo tenne. Sopra c’erano degli appunti, non so se anche una firma. (…) Cutolo mi parlò anche di una lettera consegnatagli da Gava, firmata da Piccoli”. Rispondendo alla domanda del presidente circa l’esistenza di un terzo documento, Pandico risponde: “A me non risulta''. Pandico parla anche dei rapporti tra il boss di Ottaviano ed esponenti delle brigate rosse e racconta delle sue reazioni nei confronti dei terroristi (“A Cutolo non piaceva questa supponenza delle Brigate rosse e perciò li minacciava”). Riferisce poi di un incontro, avvenuto sempre in carcere, tra Cutolo e Giuliano Granata: “Venne lì vestito da idraulico. Lo fece per passare nei padiglioni senza destare sospetti. Si incontrò con Cutolo nella sua cella, anziché nella direzione del carcere, dove avvenivano i colloqui”. Quindi racconta di “aver consigliato a Cutolo di comprare Cirillo dalle Brigate rosse. Ne avrebbe ricavato di più e sarebbe stato al riparo da eventuali rappresaglie”. Pandico è di scena anche all’udienza del 10 aprile. Il “pentito” conferma solo una parte delle dichiarazioni rese in istruttoria, ritrattando su alcune di esse e fornendo particolari finora inediti relativi, soprattutto, alla figura di Raffaele Cutolo e al pagamento del riscatto per la liberazione di Cirillo. In più, il “pentito” meno

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affidabile nella storia della camorra, il “grande accusatore” di Enzo Tortora cade in contraddizione, incalzato dalle domande del presidente Pasquale Casotti. Pandico smentisce in modo categorico il pagamento di qualsiasi riscatto e afferma che Cutolo faceva parte dei “servizi segreti deviati di Musumeci”. Poi, a proposito del boss della Nco aggiunge: “La colpa è tutta sua e delle sue corbellerie. Qui siamo tutti delle vittime: noi che siamo nelle gabbie, i democristiani e i comunisti. Cutolo mi ha detto molte cose, ma mi ha raccontato molte bugie”. Nel ritrattare il pagamento del riscatto per la liberazione di Cirillo, Pandico dice: “Fui costretto a fare quelle affermazioni perché ero ricattato da Pasquale Barra. Mi minacciò: mi disse che, in caso contrario, avrebbe fatto arrestare i miei familiari per camorra, così come aveva fatto per suo figlio”. A proposito del riscatto, ha detto: “Io non presi una lira, perché non fu cacciato nulla. Sono state cacciate soltanto parole, parole, parole. le Brigate rosse non ebbero niente”. Circa l’appartenenza di Cutolo ai “servizi segreti deviati”, Pandico ha giustificato tale sua convinzione con un episodio specifico: un incontro tra il boss di Ottaviano e Musumeci all’interno del carcere di Ascoli Piceno, dopo che si era diffusa la notizia di un attentato a Cutolo in occasione di un suo trasferimento. Cutolo mandò a chiamare Musumeci e volle spiegazioni. Il generale lo rassicurò e, in quest’occasione, Cutolo confermò che rimaneva a disposizione dei servizi”. Per giustificare altre affermazioni fatte prima e durante l’udienza, Pandico continua a fare riferimento a Cutolo (“Tutto quello che dico me lo ha riferito lui. In questa storia è lui il punto patologico di riferimento”). A proposito del falso documento pubblicato dall’Unità Pandico ricorda i vari passaggi della ideazione e della preparazione. Circa i personaggi politici che furono coinvolti in questo episodio, Pandico conferma ciò che aveva dichiarato in istruttoria (“Si scelse Scotti e non Antonio Gava, perché il primo era un personaggio noto a livello nazionale secondo quanto mi aveva raccontato Cutolo”). Per quel falso documento, la camorra diede una ricompensa a Luigi Rotondi, da lui definito “un informatore della polizia che stava in condizioni economiche di ristrettezza”.

Il 12 aprile vengono interrogati Franco Guarracino e Marina Maresca. Il primo - ex brigadiere degli agenti di custodia, responsabile del settore massima sicurezza del carcere di Ascoli Piceno - imputato di falso per alterazione di registri; la seconda - all'epoca dei fatti giornalista dell’”Unità” - accusata di diffamazione a mezzo stampa , nonché di falso, per la vicenda del documento pubblicato dal quotidiano comunista. Entrambi gli imputati confermano le dichiarazioni già rese in istruttoria, fornendo però ulteriori particolari. In particolare Guarracino dice che all’interno del carcere vi furono “le visite di altre due persone” oltre a quelle già ricordate, senza però saperne indicare con certezza l’identità. Guarracino respinge ogni responsabilità, precisando che i controlli sulle persone che si recavano all’interno del carcere erano di competenza della portineria e non rientravano nelle proprie. “E’ stato creato - dice - un complotto nei miei confronti, proprio perché sono stato il primo a fare i nomi di quelli che sono entrati ad Ascoli Piceno”. Precisa anche che, per disposizione del direttore del carcere non si procedeva all’identificazione dei visitatori che si incontravano con Cutolo. Sostiene che un altro brigadiere degli agenti di custodia,

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Marzocchi, gli riferì di aver saputo che nel carcere di Poggioreale, dove si trovava temporaneamente, Cutolo si era incontrato, dalle tre alle sei del mattino, nella sua cella, con il dott. Ugo Sisti, direttore generale del ministero.La Maresca, dal canto suo, ricostruendo la vicenda della pubblicazione del falso documento, afferma che i controlli preventivi su di esso “non furono fatti né da me né da tutto il giornale, né dal partito che ebbe estrema leggerezza. Intendo la direzione del giornale, la direzione del partito”. La donna racconta poi dei suoi rapporti con Luigi Rotondi e ribadisce che, al momento della pubblicazione, riteneva che il documento provenisse dalla procura di Napoli e non dalla camorra e che, sul punto, si fidava delle spiegazioni date da Rotondi. Il presidente le contesta le dichiarazioni fatte da una sua collega cui lei riferì all’epoca di avere contatti con la camorra. “La collega Giovanna Maglie - risponde la Maresca - mi chiese chi mi stava dando quelle cose, riferendosi alle notizie di quei giorni. Risposi genericamente, come si dice tra colleghi, che le informazioni me le stava dando la camorra. Con ciò, non volendo rivelare la fonte, intendevo dire che l’origine delle notizie e del documento risalivano a fonte diversa”.

Il 14 aprile l’udienza è dedicata agli interrogatori di Claudio Petruccioli, Giovanni Salamone e Luigi Rotondi. Petruccioli, ex direttore dell’Unità è accusato di diffamazione per la pubblicazione del falso documento. Salamone, a suo tempo direttore del carcere di Palmi, è imputato di falso per l’alterazione dei registri di ingresso nel penitenziario. Rotondi, infine, è il pubblicista irpino accusato di diffamazione a mezzo stampa e di falso per la stessa vicenda del quotidiano comunista. Petruccioli afferma: “Il documento mi fu consegnato dalla Maresca. La interrogai a lungo per conoscere la fonte. Lei per un certo tempo mi riferì di averlo ricevuto da un magistrato il quale glielo aveva passato perché temeva un insabbiamento, considerata la delicatezza dell'argomento. Ma poi insistetti e la Maresca mi rivelò il nome del magistrato. Era un giudice noto che lavorava in un ufficio a contatto con fascicoli importanti. Mi convinsi. Oltretutto, feci fare accertamenti su un indirizzo anche ai colleghi napoletani”. Per giustificare il proprio atteggiamento, l’ex direttore dell’Unità afferma ancora: “Il tenore del documento corrispondeva al clima generale in cui si viveva in quei giorni. Erano stati pubblicati più articoli da diversi giornali sul riscatto e sulle responsabilità dei politici coinvolti. Proprio nei giorni precedenti, per la prima volta, Cirillo aveva ammesso che era stato pagato un riscatto. Oltretutto, altri colleghi dell’Unità si recarono ad Ascoli dove raccolsero voci sull’alterazione dei registri e su un andirivieni di auto blu. (…) In quel periodo la camorra aveva fatto registrare una impennata di omicidi. Tra le ipotesi sulle quali lavorava il nostro giornale c’era quella di una saldatura tra camorra e Brigate rosse di cui il sequestro Cirillo avrebbe potuto essere un passaggio”.Rispondendo alle domande Salamone suklle visite illegali a Palmi riferisce di aver ricevuto una telefonata da parte del dott. Giangreco del ministero della Giustizia che gli preannunciava l’arrivo di “visitatori che erano dei servizi” e aggiunge che Casillo e Iacolare furono identificati attraverso le patenti di guida e registrati come

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commercianti. Circa le manipolazioni sui registri d’ingresso, dice: Vidi i registri e constatai le cancellature e le soprascritte, ma non posso essere più preciso perché non li ho più esaminati. Furono infatti sequestrati dalla magistratura di Ascoli. Posso tuttavia escludere che le manipolazioni abbiano riferimento alla visita dei servizi o, comunque, alla vicenda Cirillo”.Luigi Rotondi, dal canto suo, spiega i motivi della compilazione del falso documento: Volevo gratificare la signorina Maresca di uno scoop. Feci il documento che era il riassunto di fatti già riferiti dai giornali, in ambienti politici e da indagini di polizia. (…) Non è vero che parlai con Cutolo. Non sono stato un informatore della polizia e, comunque, non ho mai preso soldi per questa attività. Ho avuto soltanto dei prestiti da qualcuno della questura. Non è neanche vero che ho ricevuto i soldi dalla camorra, come ha detto Pandico. (…) Quando scrivevo il documento falso e facevo il nome di Scotti, ero convintissimo che fosse vero. Avevo letto una serie di articoli sui giornali, convincendomi che si era recato nel carcere per garantire le trattative. I giornali non avevano fatto i nomi, ma negli ambienti che frequentavo, tra cui i cronisti di giudiziaria, i nomi circolavano. Inoltre da fonte che non intendo indicare, seppi che Scotti verso l’ultima settimana di maggio era transitato per il casello autostradale di Marina del Tronto, pagando con il tesserino magnetico in uso ai parlamentari. Ciò l’appresi sin dal natale dell’81, ma riferisco questa circostanza solo adesso in quanto ritengo più opportuno farlo adesso che in istruttoria”.

Il 17 aprile ad essere interrogati sono, oltre a Pasquale D’Amico, figura “storica” della camorra, anche diversi terroristi. Il primo afferma: “Da Cutolo ebbi l’ordine di trattare con le Br per liberare Cirillo. Le disposizioni arrivarono anche per posta, con mezze frasi, come usavamo tra noi. Su questa storia Pandico ha detto un sacco di bugie. Non ho mai detto a Sanfilippo di essermi incontrato con Gava. (…) Non ebbi rapporti con Silvio Gava. Seppi da mia moglie che la moglie di Turatello si era incontrata nell’atrio dell’albergo Deledda, a Nuoro, con lui. Non so altro”. Per Roberto Ognibene, brigatista del “nucleo storico” non vi furono trattative tra camorra e bigatisti sul caso Cirillo: “Da noi in carcere venne D’Amico. Ma gli spiegammo che aveva sbagliato interlocutore. Dalla vicenda Cirillo noi eravamo completamente tagliati fuori”. Roberto Buzzati, ex senzaniano, poi “pentito”, facendo riferimento ad un documento del Fronte delle carceri in cui si citavano i parlamentari Scotti e Gava come coinvolti nelle trattative, dice: “Credo che la fonte principale in questo senso fosse Cirillo stesso. I due nomi furono comunque scritti da Senzani”. Alberto Franceschini, uno dei fondatori delle Br, spiega che D’Amico “venne a Nuoro per parlare con noi. Ma lo credemmo poco credibile. Questo lo ricordo”. Sante Notarnicola, un bandito della banda Cavallero, politicizzatosi in carcere, sostiene invece di aver avuto “in questa storia soltanto un ruolo politico. Quando capitai ad Ascoli c’era in ballo questa storia. Me ne interessai, cercai di cogliere gli umori. Quando poi andai a Palmi comunicai questi umori. Ne parlai un po' con tutti. Icamorristi mi chiesero di parlarne con i brigatisti. Ma io comunque li sconsigliai, conoscendo gli altri. Non credevo possibile una trattativa”.

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In chiusura d’udienza sarebbe essere ascoltato il brigatista Nicola Pellecchia il quale però si rifiuta di deporre: “Sono qui contro la mia volontà. Non intendo partecipare a nessun titolo a questo processo. Lo ritengo una persecuzione contro le Br e il processo rivoluzionario”.

Nell’udienza del 19 aprile avviene l’interrogatorio, quale testimone, di Vincenzo Parisi, capo della polizia, ex responsabile del Sisde, all’epoca funzionario del servizio segreto civile. Conferma le dichiarazioni rese in istruttoria, e cioè che “in tutta la vicenda, per quanto riguarda il Sisde, non ci sono stati patteggiamenti con la camorra, né azioni ignobili” Il Sisde si occupò della vicenda “perché istituzionalmente deputato” e che non vi furono in tal senso “sollecitazioni di alcun tipo”. Spiega che, fin dal primo momento furono avviate indagini in più direzioni e che, in quest’ambito, fu contattato Raffaele Cutolo, ma che ciò “non significò alcun patteggiamento”. Parisi ricordato la situazione del Sisde in quel periodo: “Il 25 aprile, due giorni prima del sequestro, trapelò la notizia che il direttore del Sisde, il generale Giulio Grassini, era iscritto nelle liste della P2. Dopo la notizia, il direttore si defilò e mi delegò la parte operativa in generale, nonché lo scenario del sequestro Cirillo. In Campania la Nco di Cutolo era una presenza non solo operativa, ma anche informativa. Era impossibile che succedesse qualcosa di anomalo senza che fosse rilevato da queste bande. D’altro canto, la camorra avrebbe potuto risentire della situazione e dei controlli massicci da parte delle forze dell’ordine. E in effetti vi furono allora circa 2.400 perquisizioni. E poi, vi erano episodi non solo di contiguità, ma di intensa collaborazione tra criminali comuni e terroristi. (…) In questo scenario si muoveva il nostro intendimento, che non era principalmente quello di parlare con Cutolo, ma di penetrare l’ambiente camorristico, oltre che eversivo. E sapevamo che nella camorra vi era un meccanismo piramidale, per cui non si poteva andare da nessuno senza passare da Cutolo”. Parisi spiega che furono incaricati i funzionari Giorgio Criscuolo e Raffaele Salzano. Il primo perché “grossissimo investigatore, responsabile già di molte altre operazioni importanti in quel periodo”; il secondo perché “conoscitore dell’area napoletana”. Parisi aggiunge poi che, per quanto gli risulta, le visite al carcere furono tre (“28 aprile, 5 maggio, 9 maggio; sulla precisione delle date non potrei però giurare''), ma che gli incontri con Cutolo furono soltanto due. Spiega che alla terza visita si ebbe “chiara l’impressione che si doveva mollare, dopo la speranza iniziale”. Parisi spiega anche la scelta di avere la collaborazione di Giuliano Granata e Enzo Casillo (“quest’ultimo non fu mai collaboratore del Sisde”. Aggiunge il capo della Polizia: “Granata era il segretario di Cirillo e quindi era informato della sfera di conoscenza del sequestrato. Casillo, allora libero, era indispensabile, perché Cutolo senza un’introduzione che accreditasse i visitatori, non avrebbe accettato di aprirsi sul piano informativo”. Circa l’offerta di danaro fatta a Cutolo, Parisi dice che Criscuolo non gli chiarì mai l’importo e che comunque “in questi casi si da un compenso a chi fornisce informazioni. I soldi li avremmo dati a chi, su indicazione di Cutolo, ci avrebbe indirizzato nella direzione della prigione di Cirillo. E ciò non vuol dire che ci furono trattative o patteggiamenti”.

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Parisi ricorda ancora che l’11 umaggio, a seguito di un colloquio con il generale Pietro Musumeci decisi che “Il Sisde si sarebbe messo da parte, facendo spazio al Sismi. (…) Sulla vita di Cirillo, in quel momento, nessuno avrebbe scommesso un soldo bucato. Se un generale, mi dice, come avvenne, che è a un passo dalla meta, ho il dovere di mettermi da parte. Per me l’inchiesta era già fallita”. Parisi tiene poi a precisare che “la decisione di muoversi, di contattare Granata e Casillo, di chiedere le autorizzazioni al ministero della Giustizia per le visite, fu presa subito, durante un vertice operativo fatto in nottata”. Nell’interrogatorio Parisi risponde, ma in modo quanto mai ambiguo, anche a proposito del ruolo avuto dal detenuto Luigi Bosso. Quando al Sisde giunse notizia che era in pericolo di vita a Nuoro - spiega il capo della Polizia - fu chiesto al ministero della Giustizia di trasferirlo, facendolo transitare per Ascoli Piceno: “Pensammo di approfittarne. Non che lui fosse nostro informatore, ma entrando lui nel circuito carcerario, veniva messo in movimento il magma carcerario. Lui era un elemento di turbativa. E le notizie che sarebbero uscite fuori, potevano essere captate da qualche antenna del nostro sistema all’interno del carcere”. Durante l’udienza vengono interrogati anche l’ex questore di Napoli, Walter Scott Locchi, imputato per alcuni biglietti di auguri a Raffaele Cutolo rinvenuti durante una perquisizione nel castello di Ottaviano e - quali testimoni - l’ex capo della digos napoletana, Filippo Ciccimarra, e l'ex dirigente della squadra mobile di Roma, Luigi De Sena. In particolare l’ex questore partenopeo respinge le accuse: si trattava - dice - di biglietti su carta intestata ma con la firma illegibile.

Il 3 maggio l’udienza è in gran parte occupata dall’interrogatorio come testimone del camorrista “pentito” Salvatore Federico il quale, durante un confronto, viene aggredito dall’imputato Errico Madonna. Federico afferma di essere a conoscenza di tutti gli omicidi commessi in Calabria per conto di Madonna, accusandolo “di fare da filtro tra la camorra e la 'ndrangheta”. Federico esordisce con una precisazione: “Di camorra parlo, di politica no. (…) Per il caso Cirillo molti hanno fatto una brutta fine. Casillo, Nuzzo sono tutti morti per questo fatto. Per l' intervento dei servizi segreti. Questa gente non lascia le prove. E la stessa fine possono fare quelli che parlano”. Poi aggiunge: “Per entrare ad Ascoli Piceno, per salutare Cutolo, era sufficiente dare 500.000 lire al maresciallo degli agenti di custodia Francesco Guarracino. (…) I camorristi Corrado Iacolare ed Enzo Casillo entrarono con alcuni tesserini in uso agli ufficiali dei carabinieri. Non so se quei tesserini erano falsi o veri. Vidi però le foto dei due con le divise dei carabinieri. Anch’io avevo una divisa da carabiniere”. Federico conferma poi l’interessamento di Cutolo per la liberazione dell’assessore regionale: “Si fecero pressioni, minacciando i terroristi che erano detenuti nelle sezioni speciali delle carceri''. Vengono ascoltati anche i camorristi Pasquale Barra (che si limita a dire: “Non so niente, non intendo sapere niente, non voglio sapere niente”) e Luigi Riccio (“Non smentisco le affermazioni rese in istruttoria, ma non le ricordo perché è passato molto tempo”).

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Il 5 maggio 1989 l’udienza è dedicata agli interrogatori di alcuni brigatisti della colonna napoletana. I primi ad essere ascoltati dai giudici sono i coniugi Maria Rosaria Perna e Pasquale Aprea, entrambi “pentiti”, nel cui appartamento a Cercola (Napoli) fu tenuto prigioniero Cirillo. La donna precisa, tra l'altro, di avere appreso da Antonio Chiocchi, uno dei capi della colonna, poi dissociato che la camorra, su pressione di alcuni personaggi politici napoletani, si interessava alla liberazione di Cirillo. La decisione di chiedere un riscatto per il suo rilascio fu presa soltanto in una fase successiva al rapimento, verso il luglio del 1981. Pasquale Aprea afferma che Chiocchi gli riferì “dell’intervento di Gava alle trattative. (…)La questione del riscatto a quanto ne so fu posta soltanto una ventina di giorni prima del rilascio. Eravamo convinti che a quel punto gli obiettivi politici della campagna Cirillo fossero stati raggiunti. Facemmo a Cirillo i nomi di persone a lui vicine che potevano mettere insieme la somma necessaria. L’assessore inizialmente disse di poter pagare soltanto trenta milioni di lire, e successivamente, promise che avrebbe sollecitato i suoi familiari a cercare altre vie che tuttavia non ha indicato”.Un altro “pentito”, Giovanni Planzio, ribadisce che a suo avviso la richiesta di un riscatto non era l’obiettivo del sequestro. Quanto alle circostanze del rilascio di Cirillo dice che, subito dopo aver liberato l’assessore, vide da lontano sopraggiungere un’automobile della polizia stradale e successivamente, da lontano, una vettura civile. In seguito seppe che la Perna, attraverso una radio sintonizzata sulle frequenze della questura, aveva ascoltato un battibecco tra poliziotti. Da Senzani avrebbe inoltre appreso dell’intervento dei politici nelle trattative, ma esclude che siano stati pagati soldi alla camorra per la mediazione”. Per quanto riguarda l’omicidio del capo della squadra mobile Ammaturo, Planzio afferma che il delitto non fu concordato con la camorra, la quale avrebbe offerto solo una copertura per la fuga. A deporre è stato poi Antonio Chiocchi, uno degli ideatori del rapimento il quale precisa che la questione del riscatto fu presa in considerazione quando tutti gli obiettivi politici del sequestro (requisizioni delle case sfitte per i terremotati, smantellamento di una roulottopoli per i senzatetto e pubblicazione dei documenti Br).

Nell’udienza dell’8 maggio il primo ad essere ascoltato è il “pentito” di camorra Mauro Marra, sicario dell’organizzazione di Raffaele Cutolo, che in istruttoria aveva accennato a presunti favori elettorali fatti ad alcuni esponenti della Democrazia cristiana da parte della Nco. Marra non conferma queste dichiarazioni. E’ poi la volta di Gianni Melluso, un altro degli squallidi accusatori di Enzo Tortora, il quale in istruttoria sostenne di aver appreso in carcere da Pandico dell’esistenza di lettere “compromettenti” inviate da politici a Cutolo e di un biglietto autografo di Flaminio Piccoli consegnato al capo della Nco, nonché che parte dei soldi del riscatto Cirillo sarebbero stati dati allo stesso Pandico . “Ho sempre detto a Pandico che ciò non era possibile - afferma Melluso - ma non voglio che si pensi che io sostengo questo perché sono democristiano”. Successivamente vengono interrogati due marescialli e un ufficiale dei carabinieri ai quali Cutolo, durante la traduzione al carcere dell’Asinara, fece rivelazioni

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sull’intervento dei servizi segreti e di esponenti politici nella trattativa Cirillo, affermando, tra l’altro, di aver ricevuto in cambio soltanto le briciole rispetto a quanto ottenuto dalle Brigate rosse. I marescialli Mario Marra, Erminio Barberini ed il colonnello Enzo Tralascia, che all’epoca dei fatti erano in servizio ad Ascoli Piceno, confermano le dichiarazioni fatte in istruttoria. “Cutolo - dice etto Barberini -ci disse che in cambio del suo interessamento aveva chiesto soltanto la libertà per il figlio Roberto”.

L’udienza del 22 maggio vede di scena Ciro Cirillo. L’interrogatorio dura circa quattro ore e mezza. Cirillo conferma che per la sua liberazione fu pagato un miliardo e 450 milioni di lire alle Brigate rosse: “Durante il sequestro i brigatisti mi riferirono che, essendosi avverate le loro richieste politiche dovevano fare un esproprio proletario. Mi chiesero quanto avrebbe potuto pagare la mia famiglia. Io risposi al massimo 50 milioni, una cifra che ritennero irrisoria”. Cirillo afferma poi che in seguito i brigatisti presero contatti con i suoi familiari e con un giornalista suo amico, Enrico Zambelli: “Furono loro a condurre le trattative”. La somma fu in parte raccolta dai suoi figli con un’operazione finanziaria con la filiale della Banca Commerciale Italiana di Torre Annunziata (“i miei familiari firmarono cambiali per 750 milioni”) e in parte con il contributo di parenti, amici e “gente umile”. Alla richiesta di fare i nomi delle persone che parteciparono alla raccolta di denaro, Cirillo dice: “Non ho un elenco, ma anche se conoscessi i nomi non li farei, per non mettere in difficoltà amici che mi hanno aiutato”. Quanto al coinvolgimento della camorra e dei servizi segreti nella trattativa, il testmone risponde: “Durante il sequestro i brigatisti non mi hanno mai parlato dell’intervento di altre persone o dei servizi, né ho mai saputo che siano state versate somme di denaro a persone diverse dai brigatisti”. Sul ruolo avuto dai servizi segreti, Cirillo sostiene che “alla fine dei conti, il loro intervento ha più nociuto che giovato alla sua situazione per la risonanza avuta dalla vicenda su organi di stampa: anche se non fossero intervenuti, sarei stato liberato ugualmente”. Cirillo dice anche di aver mentito alle Brigate rosse, quando riferì loro di non essere in buoni rapporti con Gava: “Le Brigate rosse mi consideravano infatti il pilastro dell’egemonia politica di Gava nel napoletano”. Dedicata agli interrogatori dei testimoni anche l’udienza del 29 maggio 1989. I giudici ascoltano a lungo Marco Medda (che in seguito verrà ingiustamente accusato della strage del Pilastro a Bologna, opera dei poliziotti della Uno bianca. NdR), compagno di cella di Cutolo nel carcere di Ascoli Piceno all’epoca del sequestro Cirillo. Medda in istruttoria aveva ammesso di essere al corrente delle trattative per la liberazione di Cirillo e di aver partecipato in carcere a sette incontri fra Cutolo ed esponenti politici, persone dei servizi segreti ed affiliati alla Nco. In aula Medda non vuole fare i nomi delle persone coinvolte, confermando soltanto che alle trattative avevano preso parte Giuliano Granata, e Vincenzo Casillo. Domanda del presidente: “Lei parlò dell’interessamento di politici appartenenti ai vertici nazionali della Dc, ci vuole indicare i nomi?”. Risposta di medda: “Non intendo farlo, né intendo spiegare le ragioni del rifiuto. Nessuno mi ha invitato a tenere questo atteggiamento. Non voglio apparire come una spia”.

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Il 31 maggio ad essere interrogato è Biagio Ciliberti, funzionario della questura di Napoli che all’alba del 24 luglio 1981 accompagnò Cirillo, appena rilasciato, nella sua casa di Torre del Greco. Ciò provocò polemiche per le procedura seguita nella circostanza dal funzionario, in quanto Ciliberti avrebbe “sottratto” Cirillo agli agenti della polizia stradale per dargli la possibilità di evitare l’immediato interrogatorio da parte dei magistrati. Ciliberti ribadisce di essere intervenuto in qualità di funzionario addetto alle volanti e al 113. Ricorda di aver incrociato l’autovettura della stradale con l’uomo politico a bordo: “Mi feci riconoscere da Cirillo che era amico di mio padre. Era sconvolto, balbettava, mi chiese di accompagnarlo a casa. Non ci furono contrasti con gli agenti della stradale”. Ciliberti fa anche i nomi delle persone che la mattina del 24 luglio fecero visita a Cirillo: “Venne dapprima il prefetto Biondi, poi il procuratore generale Barbieri e il procuratore della Repubblica Cedrangolo. Più tardi arrivarono anche gli onorevoli Gava e Piccoli. Successivamente giunsero i magistrati”. Nel corso dell’udienza vengono ascoltati anche alcuni “pentiti” della Nco che però nulla aggiungono alle cose note.

Il 1° giugno a deporre sono Adolfo Greco, uno dei proprietari del castello alla periferia di Ottaviano, e Oreste Lettieri, l’autista del luogotenente di Cutolo, Vincenzo Casillo. Greco in istruttoria aveva ammesso di aver accompagnato il funzionario del Sisde Giorgio Griscuolo ad Ascoli per presentarlo a Cutolo perché quest’ultimo si interessasse per la liberazione dell’assessore. Secondo quanto riferito dal testimone la circostanza dei contatti con Cutolo era stata al centro di colloqui con il senatore democristiano di Castellammare Francesco Patriarca. Greco, pur confermando le dichiarazioni fatte in istruttoria, modifica alcuni passaggi. In istruttoria aveva affermato che ad un suo iniziale rifiuto a mediare nella vicenda, sia Patriarca che Criscuolo erano tornati “ripetutamente alla carica”. In aula precisa che a sollecitarlo erano stati lo stesso Criscuolo e un altro funzionario dei servizi, Salzano: Posso aver sbagliato ad indicare il nome di Patriarca in istruttoria”. Il testimone ricorda che al ritorno da Ascoli, dove il funzionario era stato a suo dire per circa due ore a colloquio con Cutolo, lui e Criscuolo si erano recati a casa di Patriarca. E’ poi la volta di Oreste Lettieri: “Ero una persona di fiducia di Casillo e ho saputo, in alcuni casi assistendovi di persona, di incontri con uomini dei servizi segreti, tra cui Titta, Pazienza, Belmonte. Questi colloqui venivano registrati di nascosto da Casillo che aveva con sé un piccolo registratore. Ma non so che fine abbiano fatto le bobine”. Per quanto riguarda l’interessamento di politici, Lettieri fa accenno soltanto a Giuliano Granata.

Nell’udienza del 5 giugno viene interrogato il “pentito” della Nco Giovanni Auriemma. L’uomo, in un’intervista a un periodico napoletano, i cui contenuti vennero confermati davanti al giudice istruttore, aveva parlato dell’intervento della camorra nelle trattative, di ricompense ottenute dal clan in termini di appalti per la ricostruzione, nonché dell’intervento dei servizi segreti nella vicenda. In aula Auriemma nega le affermazioni fatte al magistrato inquirente. Il pm allora ne chiede

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l’arresto per calunnia e falsa testimonianza. Al che il “pentito” cambia atteggiamento ed conferma le dichiarazioni, pur modificandole in più punti. In particolare afferma di aver appreso dal boss della Nco Pasquale Scotti, latitante, che Francesco Pazienza aveva garantito la concessione di appalti alla camorra nel corso di un incontro con i camorristi Vincenzo Casillo, Corrado Iacolare e Carmine Esposito. Auriemma afferma anche di aver appreso che il generale Santovito fu avvelenato da Pazienza perché era un “testimone scomodo” e indica il nome di una ditta, la Sorrentino che sarebbe stata agevolata da Pazienza per un appalto relativo alla costruzione dello scalo ferroviario di Maddaloni (Caserta). E’ poi la volta del boss calabrese Antonino Giacobbe che avrebbe notato nel carcere di Ascoli due esponenti politici mentre si accingevano ad incontrare Cutolo. “Soffro di arterioscelerosi, non ricordo bene - dice in aula - per dono di natura inoltre non sono abituato a fare nomi”. Interrogato anche l’avv. Giorgio De Stefano il quale si trovava a colloquio con il suo assistito Giacobbe nel carcere di Ascoli quando avrebbe notato, senza riconoscerle, due persone in attesa di incontrarsi con Cutolo.

Il 9 giugno ad essere interrogato è il giornalista e parlamentare del Msi-Dn Angelo Manna, il quale viene sentito in maniera riservata, con la presenza di un solo difensore per ogni imputato. Nel corso dell’interrogatorio, stando a quanto trapela, il parlamentare missino afferma che Francesco Pazienza non sarebbe intervenuto nella vicenda Cirillo per conto di Piccoli, bensì su iniziativa di alcuni circoli repubblicani statunitensi intenzionati a scatenare la camorra contro le Brigate rosse. Oltre a Manna testimoniano anche tre giornalisti, Silvestro Montanaro, Andrea Cinquegrani e Sergio De Gregorio, i quali confermano le dichiarazioni fatte in istruttoria. In particolare Montanaro, oltre a confermare l’autenticità di un’intervista fatta ad Auriemma, dichiara di aver appreso durante una conversazione con il giornalista Giuseppe Marrazzo, che quest’ultimo si rifiutò di pubblicare un falso documento sulle trattative consegnatogli dal luogotenente di Cutolo, Vincenzo Casillo, documento apparso in seguito sul quotidiano L’Unità. De Gregorio, a sua volta, ribadisce che l’allora questore di Napoli Walter Scott Locchi lo aveva invitato a non rendere nota l’esistenza di alcuni messaggi di auguri indirizzati a Cutolo da alcuni politici e sequestrati dalla polizia nel corso di una perquisizione nella casa del boss a Ottaviano. De Gregorio precisa di aver pubblicato un articolo su questa vicenda soltanto alcuni anni dopo, in seguito all’omicidio del capo della squadra mobile Ammaturo: “Quando seppi che Ammaturo poteva essere stato ucciso perché stava indagando sul caso Cirillo, ritenni opportuno rendere noto la storia dei biglietti di auguri”

Il 13 giugno il camorrista “pentito” Giovanni Auriemma, di 32 anni, che otto giorni prima aveva testimoniato al processo sulle trattative per liberare Cirillo viene ferito gravemente in un agguato avvenuto alla periferia di Cardito, nel napoletano. L’uomo viene colpito ripetutamente all’addome da un sicario.

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Il giorno dopo, il 14 giugno, a deporre è il ten. col. Giuseppe Belmonte del Sismi che partecipò ad alcuni incontri nel carcere di Ascoli con il boss Cutolo. Belmonte afferma di aver avuto incarico dal gen. Mei di accompagnare Adalberto Titta, altro ufficiale del Sismi, nel carcere marchigino per prendere contatti con Cutolo allo scopo di individuare la prigione dove era nascosto Cirillo. Belmonte tenta di fare lo gnorri, sostenendo di non essere a conoscenza dei contenuti dei colloqui. La risposta irrita il presidente che più volte gli muove contestazioni su questo punto: “Ma lei mica era un agente di viaggio? Era un alto ufficiale incaricato di una missione delicata, come fa ad essere all’oscuro di tutto?”. Belmonte nega che a Cutolo siano stati offerti “i soldi e la libertà”: “Se Cutolo offriva notizie utili ci saremmo impegnati a sollecitare ai nostri superiori un miglioramento delle sue condizioni carcerarie”. Molte le circostanze che Belmonte dice di non ricordare. Nel corso dell’udienza vengono interrogati brevemente come testimoni anche il colonnello dei carabinieri Antonio Sessa, il questore vicario di Napoli Antonio Mastrocinque e l’ex ispettore del ministero della Giustizia Francesco Paolinelli. L’ex legale di Cutolo, Bruno Spiezia, appellandosi al segreto professionale , non vuole rispondere ad alcune domande su presunte confidenze fattegli dal boss, relative all’incontro con esponenti politici. In apertura d’udienza il presidente Casotti aveva letto una lettera attribuita a Cutolo, sequestrata dalla polizia durante una perquisizione. In essa il boss si lamenta per il trattamento subito nonostante si fosse prodigato per salvare la vita di Cirillo: “Se io dicessi la verità farei cambiare il corso della storia e della vita politica italiana”.

Il 26 giugno viene ascoltato, come testimone, il funzionario del Sisde Raffaele Salzano che viene sentito a lungo sulla sua partecipazione agli incontri con Cutolo nel carcere di Ascoli Piceno. Precisa di non aver preso parte al primo incontro tra Criscuolo ed il boss, avvenuto all’indomani del sequestro, e di aver accompagnato nei giorni successivi lo stesso Criscuolo, il segretario di Cirillo, Granata, nonché il luogotenente di Cutolo, Vincenzo Casillo e Alfredo Greco. Secondo Salzano, il contatto con Cutolo doveva servire ad attingere notizie utili per risalire ai sequestratori ed individuare il covo dove veniva tenuto nascosto Cirillo. Si è poi disinteressato della vicenda quando i suoi superiori gli comunicarono che del caso si stava interessando il Sismi. Il presidente del Tribunale definisce Salzano “poco convincente”. “Gli prometteste qualcosa in cambio dell’interessamento?” domanda il presidente. “No - è la risposta di Salzano - affermò soltanto di ritenersi detenuto illegalmente in quanto a suo dire esisteva una perizia psichiatrica a lui favorevole”.

Il 28 giugno tocca ad un altro testimone: un altro funzionario del Sisde, Giorgio Criscuolo il quale partecipò ad alcuni incontri con Cutolo, immediatamente successivi al sequestro, nel carcere di Ascoli Piceno. Esclude che al boss camorrista sia stata offerta una contropartita e nega che pertanto ci siano state delle trattative. Precisa che Cutolo fornì indicazioni di scarso rilievo per le indagini, riferendo per lo più notizie già apparse sui giornali. La deposizione di Criscuolo viene contestata in più dai legali dell’Unità, secondo i quali la sua versione è in contraddizione con quanto dichiarato da altri testimoni, tra cui funzionari dei servizi di sicurezza,

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Granata e Greco. In particolare gli avvocati fanno riferimento a un rapporto trasmesso dal Sisde alla presidenza del Consiglio nel quale non si faceva menzione di Iacolare e Greco come partecipanti agli incontri con Cutolo. Criscuolo spiega questa circostanzacon il ruolo secondario avuto a suo giudizio da questi ultimi nella vicenda. Il testimone nega anche quanto riferito da Granata, secondo il quale ci sarebbero stati incontri con Cutolo anche successivamente, quando del caso si stava occupando il Sismi. Subito dopo viene ascoltato Enrico Zambelli che ebbe contatti con il brigatista Senzani per trattare la liberazione di Cirillo per conto dei familiari dell’assessore, consegnando poi ai sequestratori i soldi del riscatto. Zambelli, confermando tutto, dice di non conoscere i nomi di coloro che parteciparono alla raccolta del denaro.

Il 5 luglio nuova sfilata di testimoni. Il brigatista Giovanni Senzani fa sapere con un fonogramma di non voler deporre. Rifiuto anche da parte di Mario Moretti, mentre il brigatista dissociato Giorgio Semeria, detenuto all’epoca del sequestro, afferma di non essere al corrente di trattative per la liberazione di Cirillo e nega di aver detto al brigatista Giancarlo Sanna che alcuni settori della democrazia cristiana avevano raccolto sette miliardi di lire per il riscatto: “Si tratta di una forzatura di Sanna, basata su chiacchiere”. E’ stata poi la volta dell’ex funzionario dell’Ucigos Pasquale Schiavone, il quale conferma che il 30 giugno dell’81, a pochi giorni dal sequestro, si incontrò in Calabria con l’avvocato di Cutolo, Gangemi. Schiavone afferma che scopo dell’incontro era di prendere contatti con Cutolo per raccogliere notizie utili alle indagini. Secondo Schiavone, Gangemi non gli fece sapere più nulla e lui si disinteressò al caso dovendo svolgere altre indagini: “Se Cutolo avesse offerto collaborazione avremmo discusso di eventuali corrispettivi”. Interrogato anche il costruttore Giuseppe Savarese il quale in istruttoria aveva affermato di aver saputo da Gava, agli inizi del 1981, che Cirillo era ancora vivo e che era stato chiesto un riscatto, di cui non conosceva però l’entità. In aula Savarese modifica la deposizione, affermando che era stato egli stesso, su incarico di Uberto Siola (presidente della facoltà di architettura di Napoli, gambizzato dalle Br) a rivolgere domande a Gava sulla vicenda e che questi gli avrebbe detto di aver appreso dai familiari di Cirillo che l’assessore era ancora in vita e che c’era la disponibilità ad una trattativa. A questo punto il teste è stato ammonito dal presidente a “meditare sulle risposte di cui si rileva l’incongruenza intrinseca e il contrasto con le risultanze istruttorie”. Dopo circa mezz’ora Savarese ritorna in aula e conferma le dichiarazioni fatte in istruttoria. Ancora audizione di testimoni nell’udienza del 10 luglio 1989. I giudici ascoltano Francesco Gangemi, ex legale di Cutolo. Il testimone conferma i rapporti tra Cutolo ed esponenti dei servizi segreti e anche un incontro avuto con il funzionario dell’Ucigos Pasquale Schiavone. Gangemi ammette anche di aver accompagnato nel carcere di Ascoli gli agenti del Sismi Adalberto Titta e Giuseppe Belmonte. Titta lo avrebbe convinto dicendogli che l’allora presidente del Consiglio Arnaldo Forlani era “preoccupato” in quanto il rapimento veniva ritenuto un’azione “destabilizzante” dei

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servizi segreti dell’Europa dell’Est. Secondo il testimone i due volevano un contatto con Cutolo ed erano disposti a trattare la liberazione di Cirillo “con qualsiasi mezzo, anche pagando un riscatto”. Cutolo avrebbe rifiutato l’offerta di soldi, affermando che “voleva giustizia” e che venissero tenute in conto le perizie psichiatriche a lui favorevoli. Durante l’incontro avvenuto nel maggio del 1981, e al quale prese parte anche il luogotenente del boss, Vincenzo Casillo, Titta avrebbe promesso a Cutolo la scarcerazione dopo l’avvenuto rilascio di Cirillo: “Al termine brindammo con champagne”. Secondo Gangemi, Cutolo, attraverso Casillo, avrebbe fatto sapere in seguito quali erano i detenuti incaricati di mettersi in contatto con le Brigate rosse. Gangemi precisa anche che nel carcere di Ascoli nessuno dei “visitatori” fu sottoposto a controlli da parte degli agenti di custodia. Aggiunge di essersi successivamente disinteressato della vicenda, perché infastidito dal fatto che “la Democrazia cristiana si interessava al rilascio di Cirillo, in contrasto con l’atteggiamento avuto con il sequestro di Aldo Moro”.

Nell’udienza del 12 luglio, finalmente, sono di scena i politici democristiani. Il prinmo ad essere ascoltato è l’on. Vincenzo Scotti. Dice di non aver mai partecipato a riunioni di partito svoltesi a Napoli e dedicate al caso Cirillo. Afferma di “essere stato nettamente contrario di fronte alle richieste politiche dei brigatisti. Ritenevo che non ci doveva essere nessun cedimento. Scotti ammette di essersi allora interessato, nella sua veste di ministro, della legge 219 per la ricostruzione, precisando che la scelta di costruire alloggi per i terremotati, anche fuori la cinta urbana (prevista dal titolo ottavo), andava contro le “richieste politiche avanzate dalle Brigate rosse per il rilascio di Cirillo, tra cui quella contro la cosiddetta ‘deportazione dei proletari’. Su questo punto avevo l’appoggio del sindaco comunista di Napoli, Maurizio Valenzi, e dell’assessore comunale all’urbanistica, Uberto Siola, dello stesso partito”. Scotti infine ricorda la sua reazione alla chiamata in causa da parte dell’Unità. Dice: “Mi recai dal presidente del Consiglio e dal segretario della Presidenza della Repubblica. Chiamai Enrico Berlinguer dichiarando che consideravo molto grave la pubblicazione dell'articolo. Poi dissi al segretario del ministro dell’Interno che se non ci fosse stata la smentita, avrei fatto una conferenza stampa per denunciare il presidente del Consiglio di omissione di atti di ufficio, non avendo trasmesso un documento in cui c'era l’indicazione di un’attività criminosa. Il ministro dell’Interno convocò solo nel pomeriggio, solo su mia pressante sollecitazione, i responsabili dei servizi. La smentita fu fatta solo alle dieci di sera”. L’on. Flaminio Piccoli afferma di non aver mai scritto e firmato alcun bigliettino indirizzato a Cutolo, contenente indicazioni sulla liberazione di Cirillo: “E’ un’infamia, non ho mai scritto un biglietto che impegnasse la mia persona o il mio partito nelle trattative”. All’esponente politico vengono fatte poi numerose domande, sia da parte del presidente, sia da parte degli avvocati, sui suoi rapporti con Francesco Pazienza. Piccoli ammette di aver conosciuto Pazienza a New York, in occasione di una sua visita al segretario di Stato americano: “Pazienza mi telefonò per parlarmi di Roberto Calvi. Poi mi parlò anche di Napoli, avvertendomi che aveva molte conoscenze in ambienti napoletani e poteva assumere informazioni. Gli chiesi: ‘si

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può scoprire il covo? Se lei può prendere informazioni sul punto, le prenda. La cosa finì lì”. A chi gli fa notare la contraddittorietà delle sue affermazioni con quanto riferito da Pazienza, Piccoli risponde: “Pazienza ha detto un sacco di falsità. Le sue dichiarazioni sono di una falsità totale. Ho saputo che ha speso il mio nome nelle sue indagini: non l’ho mai autorizzato ad agire in mio nome. Il mio rapporto con lui è stato da altri esasperato. In realtà esso era alla pari con tantissimi altri rapporti che avevo nella mia qualità di uomo politico. Noi politici chissà quante volte abbiamo stretto delle mani che magari sono poco pulite”. Piccoli afferma poi di non aver mai saputo di “contatti all’interno del carcere”: “Se mi avessero detto che trattavano con la camorra, avrei provato scandalo. Sono trentino, ho una mentalità ridotta. Non avrei provato scandalo se mi avessero parlato di un contatto con le Br”. Il senatore democristiano Francesco Patriarca, dal canto suo, spiega l’episodio relativo ad un suo incontro con il funzionario del Sisde, Giorgio Criscuolo, e con l’imprenditore Adolfo Greco: “Conoscevo Criscuolo fin dalla scuola. Lo incontrai un giorno a Castellammare. Mi disse che doveva parlare con Greco, che io conoscevo, per una sua indagine. Non mi specificò quale. Ci incontrammo con greco. Mi allontanai, per delicatezza. Loro parlarono. Soltanto dopo, forse la stessa sera o qualche giorno successivo, appresi da Greco che Criscuolo gli aveva chiesto di accompagnarlo in carcere da Cutolo e di presentarlo con il suo vero nome, dopo che aveva dichiarato in un precedente incontro di chiamarsi Acanfora. Rimasi turbato. Criscuolo mi doveva parlare di questo fatto. (…) Posso dire che ero contrario ad una visita ad Ascoli Piceno. Così consigliai Greco e così pensai che lui avrebbe fatto. Solo dopo appresi il contrario. D’altro canto, i miei rapporti con Greco erano andati allentandosi; dopo che era stato inquisito per fatti di camorra mi allontanai da lui”. Patriarca afferma infine di non aver partecipato ad alcuna riunione politica per il caso Cirillo. Il boss Raffaele Cutolo - l’unico degli imputati presenti in aula - scambia una breve battuta con i giornalisti: “I politici venuti al processo hanno fatto come San Pietro: hanno rinnegato Gesù”.

Dopo la pausa estiva, il processo riprende l’8 settembre con la lettura da parte del presidente Pasquale Casotti di alcuni brani di una lettera inviata al Tribunale da Raffaele Cutolo nella quale il boss della camorra afferma che non dirà mai la verità sul caso Cirillo perché “non sarei mai creduto”. L’udienza prosegue con l’interrogatorio di altri testimoni. Il costruttore Alvaro Giardili, legato a Francesco Pazienza, si rifiuta di rispondere alle domande dei giudici, avvalendosi della facoltà di tacere concessa agli imputati di reato connesso (Giardili è infatti imputato in un processo per estorsione ai danni della ditta Volani, una vicenda che presenta connessioni con il caso Cirillo). E’ stata poi la volta del gen. Abelardo Mei, vicedirettore vicario del Sismi nei giorni immediatamente successivi al sequestro Cirillo. Mei afferma che nel maggio dell’81, durante una serata conviviale, un suo vecchio amico di scuola, Adalberto Titta, gli riferì di avere la possibilità di contattare l’avvocato Gangemi, ed attraverso quest’ultimo acquisire informazioni utili alla individuazione del covo dove veniva tenuto prigioniero Cirillo: “Segnalai questa opportunità a Santovito, all’epoca direttore del Sismi. Non è vero che detti incarico al

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col Belmonte di affiancare Titta, come ha riferito lo stesso Belmonte. (…) Quando assunsi l’incarico di vicario, comunque, le indagini si erano già concluse per quanto riguarda la pista Cutolo”. Mei sostiene anche di non sapere nulla circa la scomparsa dagli archivi del Sismi della documentazione relativa alle indagini sul sequestro Cirillo.

L’udienza del 27 settembre 1989, la trentesima del processo, viene intermanete dedicata all’interrogatorio del boss della camorra Raffaele Cutolo che dall’inizio del dibattimento si era rifiutato di rispondere alle domande dei giudici: “Voglio rendere l’interrogatorio per chiarire tante cose, perché squallidi personaggi dello Stato hanno detto una valanga di menzogne. (…) Non ho messo io gli annunci sul giornale per salvare la vita a Cirillo. E’ stato lo Stato che è venuto da me. Non intendo dirvi chi. Lo doveva dire chi è venuto qui, non io. Non ho ricevuto danaro. In cambio del mio interessamento, ho subito l’isolamento nel carcere dell’Asinara”. Mentre il presidente lo incalza con le domande, Cutolo risponde: “Il quarto grado dovevate farlo a quelli che sono venuti qui e che non avete arrestato”. “Cosa ha fatto lei in concreto per le trattative?”, gli chiede il presidente. Cutolo: “Ho parlato con il brigatista Bosso, ma non so chi me lo mandò nel carcere di Ascoli. Lo incaricai di parlare nel carcere di Palmi con i detenuti politici perché si interessassero alla liberazione di Cirillo. Tra noi e i brigatisti c’era stima e rispetto reciproco”. Circa il ruolo del suo luogotenente Enzo Casillo, Cutolo dice: “Lui mi rappresentava in tutto e per tutto. Non c’era bisogno che mi riferisse cosa facesse perché mi rappresentava e avevo fiducia totale in lui. Non è vero che io abbia promesso alle Br denaro, armi ed elenchi di magistrati. Sono tutte falsità. Mi hanno fatto incontrare quattro o cinque volte in carcere con Casillo ed altri che non intendo nominare”. Cutolo accenna anche ad un suo presunto incontro, riferito da altri imputati, con il senatore Silvio Gava: “Non è vero che venne da me a baciarmi le mani. Sono state dette molte menzogne”. Circa il suo coinvolgimento nel falso dell’Unità, Cutolo nega ogni circostanza: “Avrei mai fatto un falso che poi ricadeva su di me? Pensate che mi sarei dato la zappa sui piedi? Voi credete ancora a Pandico, dopo quello che è successo con Enzo Tortora? I processi li dovete fare voi, mica i pentiti”. Il presidente chiede al pubblico ministero se intenda fare domande all’imputato. Barbarano replica: Avrei una serie di domande da fare, ma è inutile formularle visto l’atteggiamento dell’imputato. Sarebbe una sceneggiata”. A questo punto, Cutolo inveisce contro il pm: “La sceneggiata l’hai fatta tu”. Poi, alzandosi in piedi, trattenuto dai carabinieri, aggiunge: “Non mi far dire altre cose sulla procura di Napoli, ti hanno messo lì perché sei un pagliaccio”. L’udienza viene interrotta.

Nell’udienza del 28 settembre 1989 Cutolo smentisce quanto affermato in precedenza in aula da alcuni funzionari dei servizi segreti: “Non mi hanno mai chiesto di aiutarli a individuare la prigione di Cirillo. Non potevano chiedermelo perché non sono un confidente. Titta e quelli che venivano con lui volevano che io consegnassi Cirillo nelle loro mani. Questo poteva farlo Enzo Casillo, che agiva per mio conto. (…) Titta mi disse che mi avrebbe fatto uscire in libertà, ma erano tutte fesserie”.

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Dopo l’interrogatorio di Cutolo, il presidente Casotti dichiara chiusa l’istruttoria dibattimentale e da la parola all’avvocato Angelo Ormanni, legale di parte civile del senatore Dc Francesco Patriarca il quale chiede che venga riconosciuta la colpevolezza dell’ex direttore dell'Unità Claudio Petruccioli, della giornalista Marina Maresca e di Luigi Rotondi.

Il 2 ottobre tocca all’arringa dell’avv. Alfredo Bargi, legale di parte civile di Vincenzo Scotti: identiche le richieste.

Il 4 ottobre 1989 comincia l’arringa del pm Alfonso Barbarano. Secondo il pubblico ministero, le dichiarazioni fatte da numerosi “pentiti” della Nco non sono attendibili in quanto prive di riscontri, quasi sempre de relato, raccolte nel corso di altri processi, non confermate dalle persone che a loro volta le avrebbero riferite agli stessi “pentiti”. Secondo Barbarano i servizi segreti che ebbero contatti con la camorra non hanno violato la legge: “Non deve sorprendere che i servizi abbiano avvicinato Cutolo per apprendere notizie utili alla liberazione di Cirillo. Cutolo era a capo di una vasta organizzazione criminale, con detenuti di tutte le carceri italiane. Inoltre la presenza delle forze dell’ordine sul territorio in seguito al sequestro danneggiava i loro traffici: era ragionevole tentare di raccogliere in questi ambienti informazioni utili a localizzare il luogo dove veniva tenuto nascosto Cirillo”. Il fatto che gli uomini dei servizi segreti abbiano accompagnato in carcere da Cutolo varie persone, tra cui alcuni camorristi, aveva l’obiettivo di “carpire la fiducia di Cutolo”. Per quanto riguarda la reticenza di esponenti dei servizi segreti davanti al giudice istruttore, Barbarano sostiene che essa è giustificata dalla necessità di “coprire le fonti informative e di non esporre i collaboratori dei servizi”. Il comportamento degli amici e dei parenti di Cirillo, criticato dal giudice istruttore nella sua ordinanza di rinvio a giudizio, a parere del pubblico ministero: “Non è riprovevole o penalmente rilevante”. Riguardo al biglietto inviato dall’on. Piccoli a Cutolo, il pubblico ministero afferma che il fatto “non è stato accertato'' e che le dichiarazioni fatte da testimoni sulla circostanza sono “generiche e contraddittorie”. Il pubblico ministero si sofferma anche sul ruolo di Biagio Giliberti, il funzionario di polizia che la mattina della liberazione di Cirillo si fece consegnare l’esponente politico da una pattuglia della polizia stradale che lo aveva ritrovato per strada, accompagnandolo nella sua abitazione di Torre del Greco: “La sua presenza nell’operazione era giustificata in quanto dirigente del centro operativo della questura”. Inoltre, secondo Barbarano, non può ritenersi che si tentò in quell’occasione di sottrarre Cirillo alla possibilità che venisse interrogato tempestivamente dai magistrati: “Cirillo avrebbe potuto chiedere anche al magistrato più inflessibile di non sentirsi in grado di deporre”.

Il 6 ottobre il pm Barbarano, il magistrato per cui nella vicenda Cirillo tutto è chiaro e che nel processo ha assunto il ruolo del semplificatore, prima di formulare tre richieste di condanna e numerose richieste di assoluzione e di prescrizione, affronta il ruolo avuto da Cutolo e dalla camorra nelle trattative. Ribaltando la tesi del giudice istruttore, il pm sostiene che Cutolo, dopo aver “enfatizzato” la propria funzione nella

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vicenda, avrebbe fatto credere ai servizi segreti, recatisi da lui soltanto per ottenere notizie utili alle indagini e scoprire il covo che un suo disinteresse avrebbe comportato la morte dell’ostaggio. In tal modo Cutolo - dipinto come una sorta di millantatore - avrebbe “coartato” gli stessi servizi, costringendoli a fare promesse e prospettare benefici. Per quanto riguarda i politici, Barbarano sostiene: “Non è possibile che personalità note siano potute entrare nel carcere di Ascoli, sorvegliato all’esterno dai carabinieri e all’interno dagli agenti di custodia, in quanto non risponde alla logica immaginare una omertà generale”. Barbarano parla anche delle alterazioni riscontrate sui registri carcerari. Pur riconoscendo che vi fu (come scaturito da un’indagine amministrativa) uno “scadente grado di professionalità”, il pm attribuisce le irregolarità alle “generiche, vaghe e confuse disposizioni”, impartite a funzionari e dipendenti degli istituti di pena. Per quanto riguarda le richiesta condanna Barbarano fa volare gli stracci: quattro anni di reclusione per l’ex legale di Cutolo, l’avv. Errico Madonna. Tre anni e sei mesi per il camorrista Corrado Iacolare. Assoluzione per il “pentito” Giovanni Pandico. Attenuanti generiche e quindi non doversi procedere per prescrizione nei confronti dell’ex direttore dell’Unità Claudio Petruccioli, della giornalista Marina Maresca e di Luigi Rotondi. Assoluzione per l’ex direttore del carcere di Ascoli, Cosimo Giordano e per altri appartenenti al personale di custodia: Franco Guarracino, Rosario Campanelli, Salvatore Cocco e Giorgio Manca. Assoluzione anche per l’ex direttore del carcere di Palmi, Giovanni Salamone. Così come per l’ex questore di Napoli, Walter Scott Locchi e il vice questore Ciro Del Duca.

Il giorno dopo, il 7 ottobre 1989, in una conferenza stampa il deputato radicale Massimo Teodori giudica “stupefacenti” le conclusioni del pm e afferma: “Il comportamento di Barbarano smentisce le acquisizioni istruttorie (…) e tenta l’ultimo colpo per riporre definitivamente lo scheletro nell’armadio. (…) Non manifestiamo solo lo sdegno di chi si è battuto per anni per la ricerca della verità. Ricordiamo, innanzitutto alla Dc, che fino a quando il peccato mortale di Cirillo, foriero di morti senza fine, sarà tenuto nascosto, la stessa vita politica del nostro paese ne sarà inquinata e condizionata”.

Il 9 ottobre cominciano le arringhe degli avvocati difensori che si protraggono anche nelle udienze dell’11 e del 13. La più interessante è quella dell’avv. Fausto Tarsitano, legale dell’ex direttore dell’Unità. Tarsitano esordisce affermando che con la vicenda Cirillo, “per la prima volta nella storia della Repubblica, è stato trattato il pagamento di un riscatto servito a finanziare una formazione terroristica nemica dello Stato e ad accreditare un potere criminale”. Il penalista sostiene che i servizi segreti hanno trattato con la camorra la liberazione di Cirillo e che esponenti della Democrazia cristiana erano al corrente delle trattative. Tarsitano afferma che amici e familiari di Cirillo, nonchè lo stesso ex assessore sequestrato, hanno dovuto “mentire per non svelare l’identità dei finanziatori del riscatto. (…) Avrebbero dovuto spiegare perché mai avrebbero agito spontaneamente e senza alcun tornaconto: quei nomi scottano, appartengono al mondo dell’affarismo napoletano, in rapporto con la politica,

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interessati alla ricostruzione e legati a Cirillo”. Secondo Tarsitano delle trattative non potevano essere all’oscuro esponenti della Democrazia cristiana napoletana. L’avvocato critica poi in più punti la requisitoria fatta dal pm Barbarano: “Non ha avuto una sola parola, non dico di biasimo o di critica, ma neppure di preoccupazione di fronte a un comportamento così omertoso ed arrogante. Non si è nemmeno chiesto del perché di tutte le reticenze e le tardive o parziali ammissioni”. I servizi segreti, secondo l’avvocato, sono stati protagonisti di una “torbida trattativa”. Per liberare Cirillo “si sono mossi servizi, funzionari del ministero della Giustizia, questori, esponenti politici” perché l’ex assessore “era uno dei tasselli più importanti del sistema di potere Dc”.

Il 25 ottobre 1989 i giudici della quinta sezione del Tribunale di Napoli (presidente Casotti, consiglieri D’Alessandro e Troncone) si ritirano in camera di consiglio. Poche ore dopo la farsa è finita. Due anni e dieci mesi di reclusione per Raffaele Cutolo; dieci mesi all’ex direttore del carcere di ascoli Cosimo Giordano e otto mesi alle guardie carcerarie dello stesso istituto di pena: Rosario Campanelli, Giorgio Manca e Salvatore Cocco. Sono queste le uniche condanne al processo per le trattative che condussero alla liberazione dell’assessore Ciro Cirillo. Per gli altri imputati il tribunale decide l’assoluzione o il non doversi procedere per prescrizione dei reati. I reati per i quali Cutolo è condannato sono “falso e tentata estorsione”: avrebbe usatoil falso documento per estorcere favori allo Stato. Il boss di Ottaviano, il camorrista Corrado Iacolare e il suo ex legale Errico Madonna, vengono assolti “perché il fatto non sussiste” dal reato principale di aver estorto soldi in cambio dell’interessamento per la liberazione di Cirillo. Prescrizione per il direttore e la giornalista dell’Unità. Prescrizione anche per Luigi Rotondi. Assolto anche l’ex direttore del carcere di Palmi Giovanni Salamone. Escono indenni dal processo anche l’ex questore di Napoli Walter Scott Locchi ed il vice questore Ciro Del Duca. Assoluzione anche per il “pentito” Pandico.

Questo il commento del giudice istruttore Carlo Alemi: “Non provo né delusione né soddisfazione. Io non sono un magistrato che sposa le tesi, penso solo di aver fatto correttamente e bene il mio lavoro. Ritengo che altrettanto abbia fatto il tribunale. Ciò che mi dispiace è di non aver potuto dedicarmi sin dal primo momento a questa parte dell’istruttoria, riguardante le trattative per la liberazione di Cirillo. Fino al gennaio 1985, infatti, mi dedicai all’istruttoria riguardante la parte terroristica. Il mio dispiacere è relativo al fatto che se l’istruttoria fosse partita prima non si sarebbe arrivati alle assoluzioni per prescrizione che lasciano sempre poca chiarezza. Devo anche dire che la parte riguardante l’attività terroristica delle Brigate rosse rappresenta per me il lavoro più importante e più pulito in tutti i sensi, che abbia fatto nella mia carriera. Per la parte delle trattative, invece, nessuno ha mai negato che ci sono una serie di punti oscuri. Durante l’istruttoria sulle Br ho vissuto momenti drammatici del nostro Paese che hanno significato molto per la mia vita professionale e che hanno inciso molto anche sulla mia personalità. (…) Chiunque di noi avrebbe

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preferito che qualche punto fosse stato chiarito meglio. Tutti i grandi avvenimenti della nostra storia recente che hanno avuto una certa rilevanza nell’opinione pubblica meriterebbero, se possibile, di essere chiariti in tutti i loro risvolti. Io, comunque, sono un giudice di questa Repubblica e so di avere agito con professionalità e serietà. La stessa che certamente ha ispirato i giudici del Tribunale. Io, dunque, non ho che darispettare la loro sentenza anche se, inevitabilmente, sono curioso di leggere le motivazioni. E tale curiosità mi sembra legittima anche per confrontare, sul piano professionale, le loro deduzioni con le mie. (…) Io comunque se dovessi rifare l’ordinanza la rifarei uguale, senza essere più prudente, guardingo o diplomatico di allora”.

Il 31 ottobre il pubblico ministero Alfonso Barbarano annuncia che non proporrà appello contro la sentenza.

Il 19 gennaio del 1990 il giudice istruttore di Napoli Carlo Alemi viene assolto con formula piena dalla sezione disciplinare del Consiglio superiore della magistratura, che lo aveva sottoposto a procedimento su richiesta del ministro guardasigilli Giuliano Vassalli. L’azione disciplinare era stata richiesta il 5 settembre 1988. Al magistrato si contestava il contenuto di alcuni passi dell’ordinanza di rinvio a giudizio di quindici imputati, passi nei quali si parlava di un presunto coinvolgimento di esponenti politici democristiani nelle trattative per giungere alla liberazione di Cirillo.

Il 12 giugno 1993, in una lettera scritta ad un giornalista, Raffaele Cutolo si dice intenzionato, al processo d’Appello sulle trattative per il rilascio di Ciro Cirillo, a svelare gli intrecci tra camorra e politica. Cutolo scrive di sperare che “almeno in questa sede venga accertata la verità vera e mi venga resa giustizia perché non è giusto che, dopo avere contribuito con fatti concreti a salvare una vita di questo Stato, venga io ancora condannato. (…) E, mi creda, mi pesano più questi due anni di carcere che mi sono stati dati nel precedente processo che tutti gli ergastoli presi”.

Undici giorni dopo, il 23 giugno 1993, comincia a Napoli, il processo d’Appello (presidente: Enrico Valanzuolo. Consiglieri Giuseppe De Magistris e Federico Cassano. Pubblica accusa: Giandomenico Lepore). Unico imputato presente in aula proprio lui, il boss della camorra Raffaele Cutolo. Nel corso della prima udienza, tramite i suoi difensori, Claudio Petruccioli, ex direttore dell’Unità, annuncia di voler rinunciare alla prescrizione del reato, decisa al termine del processo di primo grado. In qualità di parte offesa del reato di diffamazione, in aula c’è anche l’ex senatore democristiano Francesco Patriarca che poco tempo prima ha fatto rivelazioni sui retroscena del riscatto Cirillo, indicando nel deputato della Dc Raffaele Russo l’organizzatore della “colletta” tra alcuni imprenditori. L’eventuale riapertura del dibattimento, con l’interrogatorio di testimoni che potrebbero rivelare gli aspetti ancora oscuri della vicenda - come il coinvolgimento di politici democristiani nella trattativa, i presunti benefici ottenuti da Cutolo e da altri

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esponenti della camorra per il loro interessamento, le ricompense sotto forma di appalti della ricostruzione agli imprenditori che parteciparono alla raccolata del riscatto - rappresenta il nodo centrale del processo d’Appello.

Nell’udienza del 28 giugno 1993 depone Cutolo. Dopo aver ribadito di non aver commesso alcun reato e di “avere salvato la vita di Cirillo”, il boss della Nco da la sua versione sulle varie fasi della trattativa. In particolare ricorda che gli vennero offerte somme di denaro perché si impegnasse per la liberazione dell’assessore campano. “Quelli che vennero da me in carcere con nomi falsi - dice Cutolo, riferendosi a funzionari dei servizi segreti - mi hanno buttato sul tavolo tanti soldi, che io ho rifiutato”. Il boss ricorda che nel carcere di Ascoli Piceno si recarono più volte esponenti del Sisde e del Sismi, ed in alcune circostanze a loro si accompagnarono “due noti latitanti”, Vincenzo Casillo e Corrado Iacolare. Inizialmente egli non voleva saperne di impegnarsi per la liberazione dell’ex assessore, ma di aver accettato la richiesta dopo alcuni colloqui con gli “amici di infanzia”. Cutolo ricorda quindi di aver fatto contattare i brigatisti e che poco prima della liberazione di Cirillo gli giunse dalla Sardegna un telegramma, a firma “Marco Antonio” nel quale si annunciava la scarcerazione di Cirillo “entro otto giorni”. Cutolo dichiara anche di aver affidato al suo luogotenente Vincenzo Casillo il compito di gestire la trattativa. Ma successivamente smise di fidarsi di lui perché aveva avuto la sensazione che questi “era diventato un servo dei padroni politici” ed è per questo, a suo avviso, che “è saltato in aria”, ucciso da un’autobomba. Cutolo afferma anche che, in cambio del suo interessamento, il Sismi, attraverso il col. Adalberto Titta, gli mostrò un “foglio di scarcerazione”. Per quanto riguarda i contatti con le Br, Cutolo conferma di aver avuto colloqui nel carcere di Ascoli con il brigatista Luigi Bosso che era stato trasferito in quel penitenziario proprio nell'ambito della trattativa. Il messaggio di Cutolo fu portato da Bosso ai brigatisti rinchiusi nel carcere di Palmi. L’ordine tassativo era di rilasciare Cirillo, minacciando in caso contrario rappresaglie nei confronti dei militanti dell’Organizzazione armata. Per quanto riguarda il ruolo dei politici democristiani, Cutolo sostiene di aver ricevuto la visita in carcere di Giuliano Granata: “Mi chiese di intervenire, affermando di voler bene a Cirillo come a un padre”. Ricordato di aver appreso da Casillo dell’interessamento alla trattativa di Francesco Pazienza e che questi era “una persona vicina a Flaminio Piccoli”. Cutolo parla inoltre di alcuni colloqui in carcere con il suo ex legale Francesco Gangemi, il quale “mi disse che era stato incaricato dall’allora capo del governo Arnaldo Forlani. L’avvocato era nauseato perché per Moro non era stato fatto niente. Mi disse anche che i servizi segreti facevano paura”. Riguardo all’ex senatore democristiano Francesco Patriarca, Cutolo sostiene che questi non ha partecipato agli incontri in carcere e di non aver mai appreso dagli esponenti dei servizi di un suo coinvolgimento nella trattativa. A proposito della scomparsa dagli uffici della questura di Napoli di alcuni bigliettini sequestrati dalla polizia nella sua abitazione, a Ottaviano, il boss dice che si trattava “di corrispondenza raccolta durante un lungo arco di tempo”, da lui spedita a casa quando fu trasferito da Ascoli nel carcere dell’Asinara. Tale corrispondenza

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(“missive di politici non solo della Dc” non avrebbe avuto attinenza con il caso Cirillo: “Erano lettere di ringraziamento dei politici per le votazioni, inviate quando ero latitante”. Alla domanda se fosse al corrente che dietro i servizi vi era la Dc, Cutolo risponde: “C’era lo Stato”. Cutolo, infine, afferma di essersi impegnato, durante la trattativa Cirillo, per il trasferimento di un brigatista: “Si trattava di Nicola Pellecchia. Lo feci trasferire perché a Pianosa lo maltrattavano”.

Nell’udienza del 30 giugno 1993 prosegue la deposizione di Cutolo il quale si decide a fare rivelazioni sui suoi contatti con i servizi segreti e con le Brigate rosse. Durante la trattativa Cirillo, afferma il boss, le Br gli chiesero di “dare una lezione” a Francis Turatello, detenuto in un carcere in Sardegna, perché questi era vicino agli ambienti della destra eversiva e minacciava i militanti delle organizzazioni di sinistra: “Lo dovevo far picchiare, ma poi le cose precipitarono: Turatello fu ucciso a coltellate”. Cutolo sostiene di essere stato avvicinato dai brigatisti e dai servizi anche per altre circostanze, ed in particolare perché si attivasse per la scarcerazione dell’ingegnere Taliercio e del generale statunitense Dozier. Per la vicenda Taliercio, Cutolo avrebbe avuto dalle Br la richiesta di far pubblicare alcuni volantini su una “terrorista tedesca”: “Lo dissi al Sismi, spiegando che mi si chiedeva di intervenire per Taliercio. Al colloquio partecipò il colonnello Titta, e forse anche Belmonte e un altro. Mi fu risposto che a loro interessava solo Cirillo”. Il boss si sofferma anche sulla vicenda del presunto biglietto ricevuto nel carcere di Ascoli a firma dell’ex segretario della Dc Flaminio Piccoli. Cutolo ricorda che egli, dopo la liberazione di Cirillo ebbe a lamentarsi perché non aveva ricevuto alcun segno di ringraziamento. Dieci giorni più tardi, Casillo gli portò in carcere un biglietto: “Non posso dire se il biglietto era proprio di Piccoli. Ricordo di averlo spedito al mio amico Ennio Vaiano. (…) Il biglietto non si trovava tra i documenti sequestrati dalla polizia nella mia abitazione a Ottaviano. Il boss dice anche di non ricordare il contenuto del biglietto: “Vaiano fu ucciso in un agguato a Vico Equense e con lui sparirono tutti i documenti che custodiva”. Cutolo dice anche che il Sismi, dopo il rilascio di Cirillo, gli consegnò i verbali dell’interrogatorio fatto all’ex assessore dalle Br durante la prigionia: “In ogni pagina c’erano i timbri del ministero dell’Interno e della regione Campania. Che fine hanno fatto quei documenti? Li ho bruciati”. Cutolo, nel corso dell’interrogatorio, rivela l’identità di “Marco Antonio”, l’autore del telegramma inviatogli dalla Sardegna che annunciava l’imminente rilascio di Cirillo: “Marco Antonio era Ennio Vaiano, che nella Nco era per me come Casillo”. A proposito del falso documento pubblicato dall’Unità, Cutolo nega di esserne responsabile, precisando di non aver mai conosciuto Rotondi, estensore del documento: “Probabilmente Casillo conosceva Rotondi, in quanto entrambi di Avellino”.Dopo l’interrogatorio di Cutolo, gli avvocati Fausto Tarsitano e Giuseppe Fusco - difensori di petruccioli - e gli avvocati Antonio Della Pia e Paolo Trofino, illustrano i motivi per i quali chiedono la riapertura del dibattimento. I legali ricordano le versioni contrastanti fornite dai funzionari dei servizi segreti e dai responsabili degli istituti di pena durante il processo di primo grado, la sparizione di importanti

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documenti, le testimonianze ritenute reticenti dei politici. Alla corte di Appello viene chiesto di convocare nuovi testimoni e ascoltare testi già sentiti durante l’istruttoria ein primo grado. Tra le persone che i legali intendono ascoltare vi sono gli esponenti della Dc Antonio Gava, Francesco Patriarca, Flaminio Piccoli, Arnaldo Forlani e Raffaele Russo, nonché funzionari ed ex funzionari dei servizi segreti, Parisi (ex vicedirettore del Sisde), Musumeci, Belmonte, Salzano, Criscuolo, ed alcuni responsabili degli istituti di pena. Gli avvocati ritengono inoltre che debbano essere interrogati il camorrista della Nco Corrado Iacolare, Rosetta Cutolo, sorella del boss, il “pentito” Pasquale Galasso e Alfonso Ferrara Rosanova, figlio di un esponente di primo piano della Nco ucciso nell’82), autore di recenti rivelazioni sul caso Cirillo. Nell’elenco di testimoni figura anche il nome di Carlo Rolandi, presidente della metropolitana di Napoli che nei giorni precedenti avrebbe ammesso di aver partecipato alla raccolta di soldi per il riscatto Cirillo, insieme con altri imprenditori.

Il 1° luglio il copione si ripete: la prima sezione della corte di Appello di Napoli respinge le richieste di riapertura del dibattimento, nonostante in apertura di udienza il sostituto procuratore generale Giandomenico Lepore si fosse pronunciato in favore della parziale riapertura del dibattimento.

Il 13 luglio, nel corso della sua requisitoria, la pubblica accusa afferma che la Democrazia cristiana partecipò alle trattative che condussero alla liberazione di Cirillo. Diversamente dal pm del primo grado, Lepore chiede l’assoluzione di Petruccioli, al quale ha riconosciuto l’” esimente dell’esercizio putativo del diritto di cronaca”, per aver esposto fatti coincidenti con quelli realmente accaduti. Lepore sostiene che il coinvolgimento della Dc nella trattativa è emerso dagli atti del processo, precisando che il tribunale, nella sentenza di primo grado, aveva esaminato isolatamente i singoli episodi che conducono alla Dc, invece di inserirli in un unico contesto in modo da far acquistare loro un diverso rilievo. Sempre in riferimento alla sentenza di primo grado, il pg osserva che il tribunale aveva affermato che si erano svolte le trattative, precisando tuttavia che esse avevano riguardato solo i servizi segreti da un lato e Raffaele Cutolo dall’altro. Lepore respinge tale tesi e ricorda che il Tribunale aveva valutato tutte le deposizioni sulle responsabilità democristiane come “casi di millantato credito o testimonianze non credibili”. Il magistrato cita invece una serie di episodi che inducono a far ritenere un ruolo diretto della Dc nella vicenda. In particolare per Lepore i servizi segreti non potevano prendere iniziative senza che i vertici del governo ne fossero a conoscenza. Alla vicenda, afferma, “si sono interessati Gava, Patriarca, Piccoli e Granata, mentre Forlani era presidente del Consiglio”. Lepore, in riferimento al coinvolgimento degli istituti di pena di Ascoli e Palmi ricorda che i ministri della Giustizia succedutisi all’epoca dei fatti erano entrambi democristiani.Al termine della requisitoria, il pg Lepore formula le sue richieste. Assoluzione dunque per Cutolo e Petruccioli per la diffamazione. Assoluzione che va anche riconosciuta anche alla giornalista Marina Maresca e a Luigi Rotondi. Conferma delle condanne al direttore del carcere di Ascoli Cosimo Giordano e a due agenti degli

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istituti di pena. Per Ciro Del Duca il pg chiede l’assoluzione dal reato di falso e la prescrizione per l’abuso di ufficio.Al termine dell’udienza, i legali di Petruccioli annunciano di rinunciare alle arringhe: “Ci siamo sforzati di venire a capo della verità su una vicenda che costituisce una della pagine più nere della storia dell’Italia repubblicana. Per essa la Cc, i servizi segreti, gli apparati dello Stato hanno eretto un muro di reticenze e omertà”.

Il 15 luglio 1993 arriva la sentenza di secondo grado: Assolto Cutolo dall'imputazione di tentativo di estorsione. Assolto Petruccioli. Assolto Del Duca. L’assoluzione di Petruccioli, per effetto estensivo, viene applicata anche alla Maresca e a Rotondi che non avevano presentato appello. La corte concede all’ex direttore del carcere di Ascoli Cosimo Giordano e agli agenti di custodia Campanelli e Manna il beneficio della “non menzione” della condanna inflitta in primo grado per le alterazioni riscontrate sui registri carcerari per evitare l'identificazione delle persone che si recavano nel penitenziario per trattare con Cutolo la liberazione di Cirillo. La corte, in sostanza, accoglie tutte le richieste formulate dal sostituto procuratore generale Giandomenico Lepore che nel corso della requisitoria aveva sostenuto la tesi della partecipazione diretta della Dc alla trattativa.

Il 19 ottobre arrivano le motivazioni della sentenza di Appello. Nelle sessanta paginela corte si sofferma a lungo sull’intervento del Sisde e del Sismi nella vicenda, nonché sul ruolo della Dc, alla cui “grande famiglia politica” sono, a parere dei giudici, “ricollegabili le trattative attuate con le Br attraverso la Camorra di Cutolo”. Su quest’ultimo aspetto e sull’incidenza della Nuova camorra organizzata, la corte si dice in disaccordo con le conclusioni della sentenza di primo grado emessa nell’89 dalla quinta sezione del tribunale. Per quanto riguarda l’operato dei servizi di sicurezza, essi hanno deviato dai compiti istituzionali “che imponevano con una operazione di polizia la ricerca e l’acquisizione di ogni utile informazione per individuare i sequestratori e liberare Cirillo. (…) Quella che, a dire degli appartenenti ai servizi, doveva essere l’operazione di polizia - scrive la corte - solo che la si consideri sul piano logico, non aveva nessuna possibilità di riuscita, essendo di intuitiva evidenza che Cutolo non si sarebbe mai prestato al semplice ruolo di informatore. Neppure si comprende come avrebbe potuto avere successo l’asserito proposito di ottenere dai brigatisti detenuti, con l’intermediazione di Cutolo, notizie sugli altri brigatisti che avevano eseguito e stavano gestendo il sequestro, che, se fornite, avrebbero finito per consentire la individuazione e la cattura dei compagni”. Pertanto “le stesse modalità degli interventi su Cutolo, per il numero dei colloqui, per le persone che vi parteciparono e per quanto posto in essere all’interno e fuori dalle carceri, provano il ricordato intendimento, avviato dal Sisde e portato avanti con spregiudicatezza dal Sismi, di avvalersi di Cutolo, di cui erano noti il prestigio di capo di una pericolosa e agguerrita organizzazione criminale che riusciva ad esercitare anche in carcere ed i buoni rapporti con i detenuti politici”. “Completamente e dal primo momento al di fuori dei compiti istituzionali - affermano i giudici - è risultata l’intromissione del Sismi: perché era il Sisde che se

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ne stava occupando, competente nella vicenda; perché non si era presentata alcuna plausibile ragione che ne giustificasse l’estromissione; perché il Sismi non mostrò di avere elementi e scopi diversi; perché intervenne con un ufficio, quello di controllo e sicurezza, non munito di compiti operativi; perché si premurò di non lasciare traccia dell'attività svolta”. La corte, a tal proposito, ricorda che nella relazione del Comitato parlamentare per i servizi di informazione e sicurezza “E’ stato osservato, e non poteva ritenersi altrimenti, che si è verificata una cancellazione dell’operazione del tutto inammissibile, perché se è vero che i servizi non devono lasciare traccia del loro operato, ciò vale per l’esterno, non all’interno e nei confronti di chi ha la responsabilità delle loro azioni”.L’esame del ruolo avuto dalla Dc nella vicenda viene fatto dalla corte nell’ambito della valutazione degli elementi relativi alla querela per diffamazione presentata da parlamentari per il falso documento pubblicato dall’Unità. Secondo la corte, dagli elementi raccolti, “si rinviene un quadro complessivo per ritenere rispondente a verità il fulcro essenziale della configurata diffamazione in danno della Dc, vale a dire che erano ricollegabili alla grande famiglia politica della Dc le trattative attuate con le Br attraverso la camorra di Cutolo. (…) Il sospetto di trattative segrete contrastanti con la linea ufficiale del partito - scrivono i giudici - si irrobustisce sulla base del dato certo che l’assessore è stato liberato dopo trattative effettivamente svoltesi, che avevano avuto in Cutolo il principale interlocutore. (…) Non è fuor di luogo supporreche la strategia attuata era almeno conosciuta e avallata da chi, facendo parte del partito del sequestrato, quello di maggioranza al governo, con propri esponenti alla presidenza del Consiglio e nei punti nevralgici delle istituzioni, aveva interesse ed era in grado di operare in tal modo. Il legame che porta ad unire il disegno strategico alla Dc si individua, andando oltre una seppur corposa supposizione, rapportando l’interesse e il dispiegarsi della trattativa per la liberazione alle modalità di intervento dei servizi, non coincidenti ma contrastanti con gli scopi istituzionali, che non possono essere spiegate, come in altre occasioni, con comportamenti devianti originate nell’ambito degli stessi servizi”. La corte sostiene che “sono comprovati l’interessamento e l’intervento di determinati uomini politici” per i quali “a causa della protervia volontà di celare la verità è stato oltremodo difficile l’individuazione della singola partecipazione e dell’entità dell’apporto dato. (…) Come non sia stata seguita la linea ufficiale della fermezza - commentano i giudici - con la conclamata volontà di impedire quella della trattativa, analogamente a come il partito si era in maniera compatta determinato e comportato per il sequestro Moro, è inoltre emerso per l’ingresso nella vicenda di due personaggi di elevato livello rappresentativo: Antonio Gava e Flaminio Piccoli per i quali può affermarsi, sulla base degli atti, che erano a conoscenza della trattativa, che da essa non si dissociarono, che non fecero nessun passo per impedirla, e che, quantomeno, la avallarono”. Il 20 settembre 1994, nell’ambito delle indagini della procura di Napoli sui legami tra l’ex ministro dell’Interno Antonio Gava e la camorra, scaturite da un serie di dichiarazione del “pentito” Pasquale Galasso, gli inquirenti ricostruiscono nella sua interezza lo scenario dei rapporti tra politici, imprenditori e camorra nell’ambito delle

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trattative che condussero alla liberazione di Cirillo. Proprio al caso Cirillo sono infatti dedicate numerose delle 160 pagine dell’ordinanza di custodia cautelare nei confronti di Gava e di altre 97 persone. Dall’inchiesta emerge un ruolo di primo piano rivestito da Gava nella vicenda. A riferirlo sono non solo i “pentiti” della camorra - tra i quali spiccano pezzi da novanta come Pasquale Galasso, Carmine Alfieri e Alfonso Ferrara Rosanova junior - che hanno svelato l’incrocio di interessi tra politici e camorristi (scambio di voti e appalti come ricompensa dell’intervento del clan nella trattativa), ma anche amministratori locali e imprenditori. A chiamare in causa Gava sono stati, tra gli altri, anche l’ex senatore della Dc Francesco Patriarca, l’ex assessore regionale Armando De Rosa, nonché gli imprenditori Carlo Rolandi (ex presidente della metropolitana di Napoli), Pasquale Acampora, ex vicepresidente del Banco di Napoli e alcuni costruttori che hanno ammesso di aver partecipato alla “colletta” per il riscatto. Patriarca ha riferito di un incontro avvenuto a Roma, pochi giorni dopo il sequestro, al quale parteciparono Gava, Raffaele Russo e diversi imprenditori (Della Morte, Corsicato, Cristoforo Coppola, Moccia, Savarese). In quella circostanza si organizzò la raccolta di denaro per pagare un riscatto di un miliardo e mezzo, in banconote da 50 mila lire, da versare alla colonna napoletana delle Br. Patriarca ha anche rivelato che la somma raccolta fu superiore a quella richiesta e che Cirillo, dopo la liberazione, pretese la restituzione di 400 milioni versati dai suoi familiari. Rolandi ha parlato di un altro incontro, svoltosi nell’appartamento di Gava in via Petrarca a Napoli, facendo una serie di nomi di persone che contribuirono alla “colletta” alla quale avrebbero partecipato anche alcuni soci di un’emittente televisiva locale. Ciò avvenne attraverso un contratto di pubblicità fasullo, stipulato dall’emittente con un’agenzia. Dalle indagini emerge anche la circostanza della visita fatta a Cutolo nel carcere di Ascoli Piceno da un esponente politico democristiano. Gli inquirenti, in relazione ai rapporti tra Gava e il clan Alfieri, hanno acquisito anche le dichiarazioni di un nuovo “pentito” della camorra, Antonio Sarnataro. Quest’ultimo ha affermato, tra l’altro, che Gava era lo sponsor di grandi opere pubbliche realizzate da imprese legale al boss Antonio Malvento, ucciso negli anni scorsi. Secondo il “pentito”, Malvento, grazie a rapporti con le banche, riusciva ad ottenere finanziamenti per le opere pubbliche la cui realizzazione era favorita, in sede politica, da Gava. Malvento avrebbe ricompensato l’ex senatore facendogli ottenere voti nelle zone da lui controllate alla periferia occidentale di Napoli (Fuorigrotta e area Flegrea).

Il giorno dopo, il 21 settembre 1994, arriva la notizia che, per sua ammissione, Raffaele Cutolo avrebbe incontrato l’ex ministro Vincenzo Scotti nel carcere di Ascoli Piceno per trattare la liberazione di Cirillo. La deposizione è dell’8 febbraio precedente ed è riportata nell’ordinanza di custodia cautelare nei confronti di Antonio Gava e di altre 97 persone. Cutolo ha sostenuto che le “vere menti” della trattativa furono proprio Scotti e il camorrista della Nco Alfonso Rosanova. Scotti non risulta tuttavia indagato nell’ambito dell’inchiesta. “Con ciò - ha spiegato Cutolo ai magistrati - non voglio certo dire che Antonio Gava fosse estraneo a rapporti di collusione con noi e che non si sia interessato della trattativa Cirillo. Al contrario

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Gava e Flaminio Piccoli erano i costanti referenti sia di Scotti che di Rosanova”. Durante l’interrogatorio, Cutolo ha affermato: “Nel maggio del 1981, mentre era in corso il sequestro Cirillo, Scotti e Rosanova vennero a trovarmi nel carcere di Ascoli, accompagnati da Enzo Casillo. (…) Contrariamente a quanto avveniva di solito, al fatto cioè che io ricevevo i miei visitatori nell’ufficio del direttore, quella volta venni accompagnato nella stanza attigua a quella dei colloqui, mi sembra quella riservata agli educatori. Qui vi trovai l’on. Scotti e Rosanova”. Cutolo, dopo aver precisato che aveva già incontrato Scotti altre due volte, prima delle elezioni politiche del ‘79, ha sostenuto che Scotti disse “che veniva anche a nome di Antonio Gava, il quale aveva voluto evitare di venire ad Ascoli perché tallonato dai giornalisti. (…) Scotti mi disse che dovevo intervenire con ogni mezzo per salvare la vita al sequestrato. spalleggiato da Rosanova. Scotti mi rappresentò che in cambio del mio interessamento avrei ottenuto il controllo di tutti gli appalti della Campania”. Secondo Cutolo, Scotti non agiva per ragioni umanitarie, ma per “interessi politici ed economici. Io ebbi l’impressione, e sono tuttora convinto, che Scotti, pur agendo a nome di Gava, si muoveva per un interesse autonomo e mirava a prendere in pugno lo stesso Gava”. Cutolo ha rivelato anche che durante il colloquio con Scotti passò davanti alla stanza Nino Giacobbe, un pregiudicato calabrese: “Scotti impallidì e si disse preoccupato di essere stato riconosciuto. Io lo rassicurai che Giacobbe era persona fidata, ma in realtà ho dovuto promettergli mari e monti per evitare che egli riferisse l’episodio al processo per il caso Cirillo”. Cutolo ha sostenuto inoltre che “Rosanova era, in quel momento, il vero arbitro della situazione: teneva sotto controllo i politici coinvolti nella vicenda Cirillo ed aveva le prove del loro coinvolgimento. Per questo motivo ribadisco che il mio trasferimento all’Asinara, l’omicidio di Alfonso Rosanova, avvenuto il giorno stesso il mio trasferimento, e l’omicidio di Enzo Casillo, avvenuto alcuni mesi dopo, hanno fatto parte di un’unica strategia che io attribuisco più a Scotti che a Gava (comunque certamente non estraneo) diretta ad annientarmi per essere diventato troppo forte e pericoloso. Per questo motivo fu deciso il mio trasferimento, fidando sul mio silenzio. Ma questo non poteva bastare perché restavano Rosanova e Casillo che avevano il potere di ricattare con prove i politici di cui ho parlato. Per questo credo che siano stati uccisi”.Nell’ordinanza di custodia cautelare viene citato, tra l’altro, un passaggio della inchiesta sul caso Cirillo condotta dal giudice istruttore Carlo Alemi, dedicata alla deposizione di Giacobbe, sulle presunte visite di personaggi politici nel carcere di Ascoli. In quella circostanza, Giacobbe parlò di un “grosso personaggio della politica che normalmente stava a Roma”, fornendone anche una descrizione fisica. Interrogato al processo, il pregiudicato calabrese - rilevano i magistrati - secondo quanto Cutolo attribuisce al proprio intervento “oppose alle domande lo scudo dell’età avanzata e dell’oblio arteriosclerotico”. Nell’ordinanza, viene anche riportata la deposizione di Alfonso Ferrara Rosanova junior, il figlio del boss ucciso, che fa riferimento a presunti rapporti con Scotti e che si sarebbe attivato, a suo dire, per favori processuali a vantaggio di Raffaele Catapano, esponente della Nco.

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A proposito del delitto Casillo, scrive il Gip nell'ordinanza di custodia: “Se non è stata raggiunta la prova che Gava e i politici minacciati in quel momento da Cutolo e Casillo furono i mandanti dell'omicidio Casillo, non è stata raggiunta neppure la prova contraria, né la difesa ha fornito alcun utile contributo al tal fine”. Gli inquirenti si soffermano sul ruolo avuto nell’agguato da Pino Cillari, un infiltrato del clan Galasso nella Nco allo scopo di uccidere il luogotenente di Cutolo. “Restano accertati - afferma il gip - il decisivo ruolo di Cillari nel delitto ed il suo stretto collegamento con quegli stessi servizi segreti che avevano tramato con Cutolo per la liberazione di Cirillo”. Dal canto suo, l’ex ministro dell’Interno Vincenzo Scotti dichiara: “Affermo che è assolutamente falso quanto dichiarato da Cutolo. Siamo di fronte a fandonie sulle quali non sono stato mai nemmeno sentito dai giudici. (…) Sono sbalordito ed indignato. La mia vita e le mie azioni sono sempre andate in direzione di una lotta decisa contro ogni forma di criminalità. Evidentemente mafia e camorra, calunniandomi, vogliono vendicarsi di tutta l' azione di contrasto da me messa in atto”.

Il 28 novembre 1996, nel corso del processo in corso nell’aula bunker di Poggioreale contro l’ex ministro dell’Interno Antonio Gava, davanti alla prima sezione della corte d’Assise, si torna a parlare del caso Cirillo. Testimoniano due ex funzionari del Sisde, Raffaele Salzano e Giorgio Criscuolo, due esponenti della colonna napoletana delle brigate rosse, Giovanni Planzio e Antonio Chiocchi e l’ex presidente e amministratore delegato della Stet, tra l’80 e l’84,Mmichele Principe. Quest’ultimo - che ammette di essere stato affiliato alla loggia P2 - parla del contributo che gli fu richiesto per il pagamento del riscatto dell’assessore Cirillo. Principe spiega che nei giorni del sequestro l’ex segretario della Dc Flaminio Piccoli gli chiese un aiuto per la famiglia Cirillo (“C’èl a moglie disperata che cerca di raggruppare una somma...”). A Piccoli, che appariva “sconvolto e preoccupato”, l’ex amministratore della Stet disse di “non poter fare operazioni extrabilancio. L’unico consiglio che suggerii fu di dare un contratto di pubblicità a televisioni locali”. Sarebbero state poi le emittenti a versare il contributo. “Piccoli - ricorda Principe - disse che ci avrebbe ripensato e poi mi fece avere i nomi di una catena di tv private”. L’importo del contratto di pubblicità fu di 380 milioni di lire. Le trattative tra esponenti dei servizi e la camorra sono invece l’argomento centrale della deposizione di Giorgio Criscuolo che dice di essersi recato da Cutolo nel carcere di Ascoli subito dopo il sequestro. Criscuolo recita la solita versione, trita e ritrita, della volontà del Sisde di cercare la prigione di Cirillo: “Occorreva risalire ai rapitori, alle macchine e agli appartamenti usati dalle Br come basi e fui mandato da Parisi con questi ordini”. Sempre a proposito dell’intervento del Sisde nelle trattative, Criscuolo riferisce che “con Parisi (all’epoca vice direttore del Sisde e futuro capo della Polizia. NdR) Gava si vedeva tutti i giorni”. Ripetitiva anche la deposizione dell’altra barba finta, Raffaele Salzano, ex capocentro del Sisde di Napoli.

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L’ultima parte dell’udienza viene dedicata alla testimonianza dei due brigatisti, entrambi dissociati. Chiocchi parla degli interrogatori di Cirillo che egli conduceva nel covo-prigione di Cercola, alla periferia di Napoli.

sulla scompersa delle cassette con laregistrazione degli interrogatori, chiocchi ha detto di nonsapere nulla (mentre planzio si e' detto convinto che si trattidi un caso simile a via montenevoso). i brigatisti hannosostenuto che la camorra cutoliana, attraverso messaggiprovenienti dalle carceri, invito' le br a liberare cirillo(''perche' la cosa stava a cuore a molti amici'', ha dettoplanzio). tuttavia hanno sostenuto che la liberazione di cirillofu conseguente solo all' accoglimento delle proprie richieste(requisizione delle case sfitte per i terremotati, indennita'minime ai discoccupati, smantellamento di un accampamento diroulotte, pubblicazione dei verbali di interrogatori dicirillo). sulle modalita' di pagamento del riscatto, avvenuto aroma da parte dell' avvocato zambelli (che, chiamato oggi atestimoniare, non e' stato rintracciato), si e' soffermatoplanzio. secondo chiocchi, la decisione di liberare cirillo erastata gia' presa - c'era il rischio che la polizia individuasseil covo - e che il riscatto fu un ''surplus''. (ansa). ln28-nov-96

camorra: processo gava, imprenditori su riscatto cirillo (ansa) - napoli, 4 dic - una riunione in casa di gava, dovegli imprenditori furono convocati e ''invitati'' a versareciascuno una quota per il riscatto alle brigate rosse per laliberazione dell' assessore ciro cirillo. e' l' argomentointorno al quale e' ruotata l'udienza del processo contro l'exministro dell' interno antonio gava per le presunte collusionicon il clan alfieri. in particolare il commercialista carlorolandi, ex amministratore delegato della metropolitana dinapoli, ha ricordato che nei giorni del sequestro cirillopartecipo' a una riunione nell'abitazione di gava, in viapetrarca. ''ad invitarmi - ha detto in aula, rispondendo alledomande del pm gianni melillo - fu l'imprenditore giuseppemoccia, il quale era stato a sua volta convocato da raffaelerusso (ex deputato dc, imputato anch'egli al processoalfieri)''. rolandi ha precisato che l' incontro si svolsenell' estate dell' '81, citando tra le persone presenti, oltre agava e russo, anche gli imprenditori italo della morte,ferdinando rocco, nonche' l'avvocato pasquale acampora - ex

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vicedirettore del banco di napoli - e alcuni amministratoridell' emittente locale telelibera 63. ''raffaele russo - haproseguito rolandi - disse che si trattava di una riunione disimpatizzanti per dimostrare solidarieta' alla famigliacirillo''. (segue). ln04-dic-96 17:43 nnnnzczc0396/rmbr cro s0b s41 qbxocamorra: processo gava, imprenditori su riscatto cirillo (2) (ansa) - napoli, 4 dic - il compito di raccogliere le sommefu affidato a acampora. rolando ha detto che moccia verso' 30milioni consegnati a acampora nel suo studio di via roma. alladomanda sui vantaggi che avrebbe ricevuto acampora dallapartecipazione alla ''colletta'', rolandi ha affermato che egliin tal modo ''acquisiva meriti nei confronti del partito''. dalcanto suo giuseppe moccia - imprenditore che opera nel settoredei materiali edilizi e che nel 1974 fu sequestrato dai nap - haconfermato la circostanza della riunione a casa di gava per laraccolta dei soldi. ''fui chiamato da raffaele russo - ha detto- in ufficio trovai un bigliettino con il quale russo miconvocava per l'indomani a casa di gava''. alla riunione, haprecistato, erano presenti 10-15 persone. il testimone haricordato un commento fatto dall' imprenditore della morte aproposito del ruolo di acampora. ''lui si fa sempre bello con isoldi degli amici''. anche l'imprenditore cerealicolo ferdinandorocco ha ammesso in aula di aver versato somme (dai 20 ai 25milioni) per il riscatto: ''lo feci per aiutare personebisognose'', ha dichiarato. nel corso dell' udienza sono stati interrogati anche l'exbrigatista nicola pellecchia e sante notarnicola, ex componentedella banda cavallero che in carcere si avvicino' alle br. hannoparlato dei messaggi inviati alle br dal boss raffaele cutolo,che chiedeva la liberazione di cirillo. (ansa). ln04-dic-96

camorra: processo gava, l'udienza (ansa) - napoli, 12 dic - il caso cirillo e' ancora al centrodel processo contro l' ex ministro dell' interno antonio gava epresunti affiliati al clan alfieri. sui restroscena dellatrattativa che porto' alla liberazione dell' ex assessoredemocristiano hanno deposto oggi, in qualita' di testimoni, l'exleader delle brigate rosse mario moretti e il deputato del pds

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uberto siola. quest' ultimo ha parlato dell' agguato che glitesero i brigatisti, ferendolo alle gambe, durante i giorni delsequestro cirillo. e si e' soffermato su una circostanzariferita in aula dall'ex assesore dc armando de rosa, relativa aun incontro sulla spiaggia di seiano tra siola, l' ex senatorepatriarca e lo stesso de rosa. in quella circostanza l'ingegneresavarese avrebbe accennato alla ''colletta'' per pagare ilriscatto alle brigate rosse. siola ha confermato l' incontro,affermando di non ricordare il discorso sul riscatto. a morettiil pm gianni melillo ha domandato, in particolare, di unaaggressione che il leader delle br subi' da parte di un detenutonel carcere di cuneo nei giorni del sequestro cirillo. il pmintendeva fare chiarezza sulle presunte pressioni esercitatedalla camorra sui brigatisti per costringerli a liberarel'esponente dc. moretti ha ricordato l'episodio, sostenendo dinon sapere se l'autore dell'aggresione fosse un camorrista. edha precisato che, all'interno delle br, di quell' episodio fudata anche una lettura in chiave ''politica''. (ansa). red12-dic-96

camorra: corrado iacolare arrestato in uruguay dall'interpol (ansa) - roma, 3 lug - corrado iacolare, elemento di spicconegli anni 70 e 80 della nuova camorra organizzata di raffaelecutolo, latitante dal 1992, e' stato arrestato la scorsa nottein uruguay. iacolare, 57 anni, originario di giugliano (napoli)gia' estradato nel 1991 dal paese sudamericano, l' annosuccessivo, dopo essere uscito dal carcere per motiviprocedurali, era di nuovo fuggito dall' italia. la scorsa notte gli investigatori dal servizio interpol delladirezione centrale della polizia criminale lo hanno fattocatturare dalla polizia uruguayana in una villa a montevideo.era ricercato per omicidio e associazione a delinquere di stampocamorristico. le autorita' italiane hanno gia' chiesto all'uruguay la sua estradizione. iacolare, definito un ''colletto bianco'' della camorra egia' membro della direzione strategica dell' organizzazione diraffaele cutolo, del quale era considerato il luogotenente, erarimasto coinvolto in numerosi delitti e in inchieste come quellesulle trattative per il rilascio dell' assessore regionaledella dc ciro cirillo, rapito a napoli dalle br e sulla bandadella magliana.(ansa) gb03-lug-98 07:23 nnnn

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zczc0160/rmbr cro s0b s41 s42 qbxocamorra: corrado iacolare arrestato in uruguay dall'interpol (2) (ansa) - napoli, 3 lug - nella sua lunga ''carriera'' nellanco di raffaele cutolo, iacolare era rimasto coinvolto innumerosi omicidi, maturati nel periodo di maggiorcontrapposizione con la ''nuova famiglia''. accusato di essereil mandante dell'omicidio dell'avvocato cappuccio, del medicolegale antonio mottola e di giovanna matarazzo, convivente digiuseppe casillo, altro luogotenente di cutolo, iacolare erastato condannato, e per questo estradato un prima voltadall'uruguay, a sette anni e sette mesi, risultato di un cumulodi procedimenti, dalla corte d'appello di napoli. iacolare fupoi scarcerato, nel'92, perche' la corte d'appello ritenne che itrattati di estradizione in vigore con i paesi del sudamericanon permettessero la detenzione per un imputato latitante almomento della condanna e che fosse necessario quindi un nuovodibattimento. approfittando della scarcerazione, iacolare feceperdere le tracce. ma il suo nome e' legato soprattutto alla vicenda delletrattative con le brigate rosse per la liberazione di cirocirillo. cutolo ha piu' volte raccontato delle visite diiacolare, allora latitante, nel carcere di ascoli piceno anchein compagnia ai agenti del sismi e del sisde. nell'ambito delprocesso su queste trattative, iacolare fu condannato perestorsione in primo grado ed assolto, insieme con tutti icutoliani, nel processo di appello. (ansa). div03-lug-98

camorra: processo gava; requisitoria pm, contatti tra br e clan (ansa) - napoli, 27 ott - gli scenari di camorra e lecollusioni con la politica sono stati ancora al centro dellaseconda udienza dedicata alla requisitoria del pm al processonei confronti dell'ex ministro antonio gava, degli exparlamentari raffaele russo, vincenzo meo, raffaele mastrantuonoe francesco patriarca e numerosi esponenti del clan camorristicodi carmine alfieri. in particolare il pm ha tra l'altro fattoriferimento a rapporti tra camorra e componenti della colonnanapoletana delle brigate rosse, a trattative incrociate conesponenti delle istituzioni per la liberazione dell'assessoreregionale ciro cirillo, nonche' al progressivo isolamento delboss raffaele cutolo, all'ascesa del clan alfieri e all'omicidio, nel 1982, del capo della squadra mobile di napoli

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antonio ammaturo. il pm, riferendosi a questo omicidio, haaffermato che la vicenda segna una delle ''espressioni'' degliaccordi stipulati tra br e camorra per favori reciproci, acominciare dalle trattative per la liberazione dell'assessorecirillo, sequestrato nel 1981 dalle br. ''ammaturo - haricordato il pm - poco tempo prima di essere ucciso avevapubblicamente parlato di connivenze tra esponenti della politicae della camorra, e questa denuncia venne ritenuta 'fumo'dall'allora componente della commissione giustizia raffaelerusso il quale nel corso di un suo intervento stigmatizzo''funzionari di polizia che sollevano polveroni'''. (segue). xor27-ott-98 19:21 nnnnzczc0514/rmbr cro s0b s41 qbxocamorra: processo gava; requisitoria pm, contatti tra br e clan (2) (ansa) - napoli, 27 ott - il pm ha poi ribadito che''esponenti delle istituzioni, dopo aver contrattato conraffaele cutolo la liberazione di cirillo'', avrebberoapprofittato del ''rovesciamento del fronte camorristico'', conl'ascesa di alfieri, l'isolamento e il trasferimento all'asinara di cutolo, per sottrarsi agli accordi presi con la nuovacamorra, accettando invece l'appoggio elettorale del clanvincente di alfieri in cambio di aiuti e favori. tali favori,secondo il pm, sarebbero consistiti soprattutto nellapossibilita' lasciata al clan camorristico di controllareappalti e finanziamenti pubblici. la requisitoria proseguira', davanti ai giudici della primacorte d'assise, per altre dieci udienze.(ansa). xor27-ott-98

camorra:a processo nco si torna parlare di sequestro cirillointerrogato ex direttore carcere ascoli piceno (ansa) - santa maria capua vetere (caserta), 21 gen - alprocesso alla 'nuova camorra organizzata' (nco) del boss diottaviano, raffaele cutolo, che si sta celebrando davanti allacorte di assise di santa maria capua vetere (caserta), si e'tornato a parlare della vicenda del sequestro, avvenuto nel1981, del consigliere regionale della dc ciro cirillo e delletrattative per la sua liberazione. l'ex direttore del carcere di ascoli piceno, cosimo giordano,chiamato a deporre come testimone in relazione alla detenzionedi cutolo avvenuta nel 1982 in quel carcere di massima

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sicurezza, ha affermato che ''oltre alle visite consentite difamiliari e legali, cutolo incontro' persone estraneeautorizzate dal ministero ad entrare in carcere a colloquio''. le dichiarazioni del funzionario hanno fatto tornare a gallala vicenda sui contatti avvenuti oltre 20 anni fa tra i servizisegreti e il boss della nco raffaele cutolo. il boss diottaviano avrebbe incontrato esponenti del sisde e del sismi nelcorso di un loro intervento non istituzionale per le trattativedella liberazione del politico napoletano. nel corso della stessa deposizione, l'ex direttore delpenitenziario di ascoli piceno ha anche chiarito che il boss nonebbe, come si disse all'epoca, trattamenti di favore all'internodel carcere come la possibilita' di bere champagne, di vestirecomodi abiti o di avere la moquette sul pavimento della cella.''in quel periodo - ha dichiarato giordano - fu introdottasoltanto una normativa sperimentale che consentiva ai detenutidi socializzare cenando insieme in quattro o cinque allavolta''. il processo alla nco (che si celebra ancora con il vecchiorito) e' in corso da 22 anni a causa dell'annullamento dellaprima sentenza e per una serie di rimpalli, dopo i vari gradi digiudizio, tra la corti di napoli e santa maria capua vetere.circa quaranta gli imputati, tutti a piede libero, accusati avario titolo di omicidio, tentato omicidio, estorsione e armi.(ansa). yog-ln21-gen-04