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Il Picchio TRIMESTRALE DI INFORMAZIONE E CULTURA DI CAMINO E FRAZIONI www.ilpicchiocamino.it Aut. Tribunale di Casale Monf. n. 258 del 16/01/2009 ANNO VI - N. 1 - MARZO 2014 Stampato in proprio su carta riciclata Editoriale Sul numero di gennaio di Gabiano&Dintorni l’amico Enzo Gino ci ha ricordato, con un bell’articolo che non può che essere interamen- te condiviso, che in quasi tutti i no- stri comuni, fra pochi mesi, si andrà a votare per il rinnovo delle ammi- nistrazioni. E Camino è tra questi. Vorrei spiegarvi quali, secondo me, sono le linee guida che l’am- ministrazione di un microscopico comune come il nostro dovrebbe forse tenere in considerazione, alla luce delle sue risorse e della situa- zione complessiva socioeconomica che stiamo vivendo. Cinque punti come le dita di una mano: Cultura, Ambiente, Comu- nicazione, Coordinamento, Soste- nibilità. Tutti punti essenziali, tutti recipro- camente legati agli altri in un uni- co sistema che si chiama progetto, programma di amministrazione. Uno, tuttavia, è il pollice, il dito che consente alle nostre mani di affer- rare gli oggetti, scrivere, disegna- re, quel dito che ha sviluppato così tanto il nostro cervello: la cultura. Cultura è curiosità, vivacità, gioco, è la molla dell’azione vera, perché è consapevolezza di sé e di ciò che ci circonda. Senza sapere chi e cosa siamo non andiamo da nessu- na parte, nemmeno a Camino. Con la cultura credo si possano ca- pire molte cose, a cominciare da quel comparto che nelle ammini- strazioni va sotto il nome stesso di “cultura”. Si può cominciare a capi- re ad esempio che basare il proprio programma di eventi su un carroz- zone chiamato “Riso & Rose” è una cretinata. A cominciare dal nome, per cui dovreste vedere (ma già lo sapete) le facce degli amici di fuo- ri che mi chiedono cosa c’entrino due prodotti che in Monferrato non si sono mai visti con la festa “uf- ficiale” delle nostre colline. Offerte culturali vere sono quelle coordina- te su tutto l’ambito territoriale del casalese, e basate su di una lettura del territorio che anteponga all’idea di kermesse folkloristica inventata di sana pianta il recupero di valori e frammenti caratterizzanti e au- tentici. E a questo proposito, con la cultura delle larghe vedute si può capire, se connua a pag. 9

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Stampato in proprio su carta riciclata

EditorialeSul numero di gennaio di Gabiano&Dintorni l’amico Enzo Gino ci ha ricordato, con un bell’articolo che non può che essere interamen-te condiviso, che in quasi tutti i no-stri comuni, fra pochi mesi, si andrà a votare per il rinnovo delle ammi-nistrazioni. E Camino è tra questi. Vorrei spiegarvi quali, secondo me, sono le linee guida che l’am-ministrazione di un microscopico comune come il nostro dovrebbe forse tenere in considerazione, alla luce delle sue risorse e della situa-zione complessiva socioeconomica che stiamo vivendo. Cinque punti come le dita di una mano: Cultura, Ambiente, Comu-

nicazione, Coordinamento, Soste-nibilità. Tutti punti essenziali, tutti recipro-camente legati agli altri in un uni-co sistema che si chiama progetto, programma di amministrazione. Uno, tuttavia, è il pollice, il dito che consente alle nostre mani di affer-rare gli oggetti, scrivere, disegna-re, quel dito che ha sviluppato così tanto il nostro cervello: la cultura. Cultura è curiosità, vivacità, gioco, è la molla dell’azione vera, perché è consapevolezza di sé e di ciò che ci circonda. Senza sapere chi e cosa siamo non andiamo da nessu-na parte, nemmeno a Camino.Con la cultura credo si possano ca-pire molte cose, a cominciare da quel comparto che nelle ammini-strazioni va sotto il nome stesso di “cultura”. Si può cominciare a capi-

re ad esempio che basare il proprio programma di eventi su un carroz-zone chiamato “Riso & Rose” è una cretinata. A cominciare dal nome, per cui dovreste vedere (ma già lo sapete) le facce degli amici di fuo-ri che mi chiedono cosa c’entrino due prodotti che in Monferrato non si sono mai visti con la festa “uf-ficiale” delle nostre colline. Offerte culturali vere sono quelle coordina-te su tutto l’ambito territoriale del casalese, e basate su di una lettura del territorio che anteponga all’idea di kermesse folkloristica inventata di sana pianta il recupero di valori e frammenti caratterizzanti e au-tentici. E a questo proposito, con la cultura delle larghe vedute si può capire, se

continua a pag. 9

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Il Picchio - n. 1 (VI) - marzo 20142 attualità

Il parroco d’oltreoceanoDon Claudy’s Larose ha preso possesso delle due parrocchie e rinasce l’orato-rio

Ha un sorriso che non fini-sce più don Claudy’s La-rose mentre

racconta di sé, delle sue parrocchie e dei suoi progetti. Un sorriso die-tro al quale si indovina una tenace determina-zione, una grande voglia di fare e anche qualche sorpresa.

Lo incontro al termi-ne di una bella giorna-ta di sole, e lui mi dice subito che spera finisca presto l’inverno per po-ter stare all’aria aperta con i suoi ragazzi. Un buon inizio per la nostra chiacchierata. Del resto ormai tutti lo conosco-no, le cronache locali ne hanno già raccontato provenienza, curriculum e particolari del suo insediamento; e allora comin-ciamo dal presente, dal suo ruolo a Ca-mino e da cosa intende fare. Le idee sono molto chiare. “Essendo in Pie-monte soprattutto condivido un prin-cipio: che l’oratorio sia il cuore della parrocchia e a questo proposito ab-biamo iniziato a offrire questa sorta di servizio ogni domenica, a disposizione della popolazione” mi dice, mostran-domi il volantino che illustra le attività oratoriali della domenica pomeriggio e che potete leggere qui sotto. “La gente pensa spesso che l’oratorio sia un uni-

verso dedicato e riservato ai più gio-vani, ma in verità non è così, è qual-cosa di molto più trasversale. Il nostro stare insieme è aperto a tutti. In ogni caso abbiamo una parte di attività un po’ più ‘seria’, dove facciamo con i bambini e i ragazzi i compiti, e poi in-vece una più leggera, dedicata al gio-co. Abbiamo acquistato del materiale, e un gioiello... il tavolo da ping pong!” A questo punto si fa difficile non farsi venire voglia di andare all’oratorio... “E in più, inizialmente non prevista, ma proposta da alcuni ragazzi e da

me accolta, l’idea che quando c’è bel tempo si va a fare una passeggiata a scoprire i luoghi che ci circondano. Infine, cosa che a me piace, tra le atti-vità parrocchiali c’è la cosiddetta pa-storale silenziosa, ossia la visita agli ammalati, a coloro che sono soli o in difficoltà. L’oratorio è veramente un progetto, perché è qualcosa che è sì iniziato ma è e sarà sempre in conti-nua evoluzione”. Ecco le idee chiare, di un uomo che i casi della vita, o la provvidenza – a seconda di come la si voglia vedere –, hanno portato fino a Camino da molto lontano. Il semina-

rista Claudy’s, infatti, circa sei anni fa insieme a tutta la sua classe fu spedito dal suo vescovo a studiare a Roma. E qui, incontrando il nostro conterraneo don Luigi Cabrino, seminarista pure lui all’epoca, prese contatto con la re-altà monferrina. È singolare, e credo debba far riflettere, che proprio da un paese dove l’evangelizzazione “eu-ropea” troppo spesso si legò alla vio-lenza, provenga oggi un sacerdote il cui compito, nel cuore dell’Europa, è vivificare di nuovo nel suo gregge la parola di Cristo. I casi della storia...

Bene, ma chi è don Claudy’s? Secondo di tre fratelli, originario di una delle isole più gran-di dei Caraibi, il nostro parroco trentenne è un accanito lettore, prima di tutto, “fino più o meno ai sedici anni, di romanzi, francesi e soprattutto di autori haitiani. Poi con gli studi mi sono dedica-to sempre più alle scien-ze umane e oggi leggo principalmente saggisti-ca, sociologica e teolo-gica soprattutto”. Ma è anche uno sportivo che vanta tra i suoi trascor-si, sebbene meramente scolastici come tiene a

sottolineare, non solo calcio, pallaca-nestro e un po’ di pallavolo, ma anche “la danza, un solo anno di salsa fatto a scuola... non è che sia un grande bal-lerino...”. E se il presente è Camino, il futuro? “Beh, chi ha scelto di essere sacerdote è a disposizione della Chie-sa, qui in Italia, ad Haiti o dovunque ve ne sia necessità. Io attualmente sono parte della diocesi di Casale e pertanto il mio futuro è affidato alle decisioni del mio vescovo. Certo è che sono diventato sacerdote in Italia e qui svolgo il mio compito; se dovessi tornare ad Haiti dovrei ‘imparare’ a

IL SERVIZIO ORATORIANOOGNI DOMENICA, SOPRA LA FARMACIA, DALLE 15 ALLE 17- Scambi di parole: amicizia, divertimento...- Assistenza ai compiti: tutte le materie, dall'asilo alle superiori...- Giochi sociali: ping pong, calcio balilla, biliardo, golf da tavola...- Giochi di aggregazione: ruolo, squadra, sfida...- Giochi spontanei: libertà, fantasia...- Sport mentale: ludo, scacchi, dama, carte...- Laboratorio eco-friendly: riciclo, pittura, teatro...- Merenda: dolci, bibite, acqua... offerti dalla generosità.IL ServIzIo è Aperto A tuttI e A tutte Le età... L'unIco requISIto è IL rISpetto!

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Il Picchio - n. 1 (VI) - marzo 2014 3attualità

fare il sacerdote là, dove non l’ho mai fatto!”. Nel mentre don Claudy’s pro-segue i suoi studi teologici a Torino, alla Facoltà teologica, per la quale sta preparando la tesi in morale sociale.

Due piccole parrocchie, le nostre, delle quali pare andare orgoglioso don

Claudy’s, che mi dice essere soddisfat-to del numero di fedeli presenti anche alle funzioni feriali. E in ogni caso, la sua presenza si sta facendo sentire, qui dove da troppo tempo l’idea di qualco-sa che fosse oratorio, aggregazione di giovani, ma anche presenza religiosa

regolare si era affievo-lita.

Ci la-sciamo, ci

risentiremo a breve per le iniziative del-la parrocchia; gli auguro buon lavoro,

ma prima di andar via, con un repenti-no guizzo negli occhi mi invita a vede-re il nuovissimo tavolo da ping pong, gioiello dell’oratorio. Peccato sia tardi, lancerei volentieri una sfida al don...

C. R.

Orario delle messe celebrate da don Claudy’s

Festiveore 9.30 Piazzanoore 10.30 Castel San Pietroore 11.30 Camino

Ferialilunedì ore 16 Caminomercoledì ore 16 Castel San Pietro

I prossimi appuntamenti delle parrocchieper il mese di MAGGIo sarà celebrato oGnI venerDì il rosario in una frazione

4 MAGGIo: pellegrinaggio votivo a crea

2 GIuGno: gita sociale interparrocchiale a Sotto il Monte (BG)

Metti una domenica a Camino…Un bel pomeriggio in oc-casione della giornata del malato a Camino

Una bella gior-nata con un sole quasi

primaverile, un panora-ma mozzafiato dal salo-ne polifunzionale sotto al Municipio , l’immi-nente 11 febbraio gior-nata del malato e della Madonna di Lourdes, un nuovo sacerdote, un Co-mune con tante frazioni che si riscoprono a ope-rare insieme…

Ecco gli “ingredien-ti” che hanno costituito domenica 9 Febbraio a Camino un pomeriggio dedicato alla giornata del malato o più sem-plicemente un momen-to per ritrovarsi dai più giovani ai più anziani per trascorrere alcune ore, tra momenti seri, giochi, musica e cibo.

Con la forza di ge-sti semplici, la volontà di fare, la collaborazione di tanti si è cre-ata la sinergia giusta per unire alla vo-glia di condivisione anche una raccolta di fondi per ”tamponare” l’emergenza

di buchi economici.

La prima parte del pomeriggio è stato più seria con l’intervento di don Franco Josi (che ha condotto, non sen-za fatica, la parrocchia di Camino dopo don Antonio Maj) seguito dal sempli-ce, ma sentito ringraziamento dei par-

rocchiani a don Josi che hanno conse-gnato un coppo, ritrovato nel cortile della casa parrocchiale e successiva-mente decorato con l’immagine della

Parrocchia di Camino.Il saluto del Sindaco di Camino e

la benedizione di don Claudy’s hanno concluso questa prima parte.

La canzone “Che sarà” cantata da tutti insieme ai ragazzi del coro di Bru-saschetto e un tradizionale incanto del-

le torte ha dato avvio alla parte più ludica e convi-viale.

Qualche altra canzone cantata insieme ai ragaz-zi di Brusaschetto, una tombolata e una sontuo-sa merenda sinoira salata e dolce hanno concluso allegramente questa gior-nata.

Da notare che i giova-nissimi del comune nelle settimane precedenti, sot-to la guida di don Clau-dy’s si erano ritrovati per allestire un banchetto di oggetti realizzati con ma-teriale di recupero. Il ban-chetto posto all’entrata del salone è stato apprez-zato dai partecipanti.

Il bello di questa gior-nata è al di sopra della giornata stessa: una ritro-vata voglia di collaborare a 360 gradi da parte di tutti al di là degli indivi-dualismi e dei campanili-smi…

Don Claudy’s, con la sua semplicità ma con fermezza, ci ri-corda che siamo una comunità.

Sara Palazzolo

Caminodomenica9 febbraio

Salone Polifunzionale

presso il Municipio

dalle ore 16:> Benedizione dei malati presenti > Vendita di torte “all’incanto”> Giochi, Musiche e Canti> Apericena per tutti

Il ricavato di tutte le iniziative della manifestazione sarà devoluto per opere, oneri e restauri delle

Chiese del Comune di Camino

Don Claudy’

s vi aspetta

!

Organizzazione a cura di: Consigli Pastorali di Camino, Comune, Proloco e Gruppo Giovani di Camino,

Circoli Locali, GAIAS, Il Picchio

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Il Picchio - n. 1 (VI) - marzo 20144 attualità

Quel brutto pasticcio della GrisulinaUn tentativo di raccontare com’è che si è finiti che dalla Grizzolina non si passa più

Il toponimo Grizzolina, Gri-sulina dialettale, compare nei catasti castelsanpietresi del

’500 a indicare quella medesima re-gione, posta tra Brusaschetto, Castel San Pietro e Zizzano, da cui prende il nome l’odierna strada, o almeno quello che ne resta. La strada Grizzo-lina non è segnata nelle mappe topo-grafiche della prima metà dell’Otto-cento, ma assunse importanza prima con la costruzione del ponte sul Po e poi con l’accorpamento dei comu-ni di Brusaschetto, Camino e Castel San Pietro: l’unica sede comunale, infatti, si ritrovò a Camino e la stra-da più breve per giungervi da Brusa-schetto e dalla Rocca era proprio la Grizzolina.

Una bella strada la nostra Griz-zolina, fredda sì, in inverno, perché esposta interamente a settentrione, ma refrigerante sotto il sole estivo, nel mezzo di un fitto bosco, sinuosa e senza grandi dislivelli: il paradiso del viandante!

Verso Zizzano, quasi al termine del bosco, sul crinale che guarda la pianura proprio dove la strada piega verso levante, c’è la cascina Maret-to, una struttura non particolarmen-te vecchia, negli anni pesantemente

ristrutturata e riplasmata. Nel tempo, come tutti sappiamo, presso l’ori-ginaria struttura della cascina sono iniziati ad apparire in successione edifici agricoli di ogni sorta, stalle, capannoni, fienili ecc. Il loro effetti-vo utilizzo restava e resta per i più un mistero.

Poi, un brutto giorno del dicembre 2008, quando in pochissimi giorni si riversò su Camino una terribile quan-tità d’acqua, la strada della Grizzo-lina, che passava proprio sopra agli annessi della cascina Maretto, venne giù su di un lunghissimo fronte di alcune centinaia di metri. E lì è ri-masta, afflosciata sul versante colli-nare o schiantata sugli ampi tetti dei sottostanti edifici, miserevolmente sfiancata con il suo cordolo di calce-struzzo che sembra il nastrino di un regalo. Già, il cordolo. Fra poco lo incontreremo questo cordolo.

Intanto facciamo una premessa: il breve racconto che segue ha un suo carattere per così dire “panorami-co” e preliminare, nel senso che c’è ancora molto da cercare se si vuole realmente sapere come si è svolta la vicenda della strada Grizzolina. Si parlerà solo attraverso i documen-ti, e si vorrebbe in definitiva sem-plicemente ricordare, al di là di re-sponsabilità individuali che non ci interessano, che spesso i guai sono annunciati, anche quando nessuno (o quasi) vuole prestare orecchio alle avvisaglie. Di sicuro, ad oggi, c’è un giudizio incontrovertibile: è stato un gran pasticcio.

Lo è stato forse quasi dall’inizio, perché quello che per ora sappiamo è che lo sfacelo di oggi era stato an-nunciato più volte negli anni (anzi,

nei decenni), soprattutto dalle mol-teplici perizie geologiche eseguite su quel tratto di versante. Nonostante questo, nonostante soprattutto fosse chiaro che l’erezione di quegli edifici era vincolata a precisi provvedimenti in ordine alla regimazione delle ac-que, alla difesa del suolo e alle opere di contenimento dei versanti, quegli edifici sono sorti sebbene quei vin-coli non parrebbero venissero attesi, quantomeno interamente.

Prendiamo un esempio: la geo-loga Germana Botto, nel luglio del 1992, incaricata dalla Cascina Maret-to srl in vista di un ulteriore (il terzo) ampliamento delle strutture in co-struzione (un’occupazione di suolo peraltro enorme per un comune come Camino), redigeva una relazione tec-nica poi depositata presso il Comune, dove si legge: “Lo studio dei settori di versante interessati direttamente dalle opere in progetto ha evidenzia-to come questi abbiano spesso con-dizioni di stabilità prossime a quelle critiche e come la presenza di acqua di infiltrazione porti ad un pericoloso aumento delle pressioni neutre lungo le potenziali superfici di scivolamen-to, con conseguente diminuzione dei fattori di sicurezza”. In altre parole, come si legge in altri passi, il tecni-co metteva in guardia sul fatto che, stante la potenziale pericolosità di quel settore (sul quale, ricordiamo-lo, passava e passa una strada co-munale), l’esecuzione dell’ulteriore costruzione di fabbricati dovesse essere vincolata ad una particolare cura che “deve essere riposta nella regimazione delle acque meteoriche, prevedendo sistemi di drenaggio che ne impediscano l’accumulo in super-

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Il Picchio - n. 1 (VI) - marzo 2014 5culturaficie e l’infiltrazione e ne assicurino un rapido e controllato smaltimen-to...”. Bene, una relazione di siffatto tenore avrebbe probabilmente dato da pensare ad una commissione edi-lizia; senonché la proprietà, come si evince da un memoriale che il sinda-co di allora inviò all’ufficio ambiente della Provincia di Alessandria, prese a incominciare i lavori senza nemme-no aver ricevuto la concessione. Fu la Forestale (!!) a se-gnalare al comune l’av-vio dei lavori. Dopo ordinanze varie – pri-ma l’interruzione dei lavori, poi la richiesta di messa in sicurezza a causa di pericoli di franamento dovuti a, guarda caso, forti even-ti di precipitazioni – la concessione edilizia in sanatoria fu alla fine concessa nell’ottobre del 1992 (nr. 51). Viene da pensare ad una certa leggerezza, tanto che si può constatare come i disegni di progetto della sezione del pen-dio come previsti nella concessione suddetta non abbiano finito per corrispondere a quelli reali.

Nel 1994, poi, con delibera consiliare, il comune di Camino stesso vendeva alla proprietà della cascina Maretto quella striscia di terreno “gerbido, di nessuna utilità imme-diata per il Comune” che correva proprio lungo la strada Griz-zolina e che costituiva la scarpata sovrastante il cantiere edile della Maretto. Insomma, proprio il pezzo di terra che è franato. Si ponevano così le basi per la costruzione del famigerato cordolo in calcestruzzo, delimitante a questo punto il confine tra la strada comunale e la proprie-tà privata. E, soprattutto, si lasciava nelle mani della Cascina Maretto srl la gestione di quella “regimazione delle acque meteoriche” dalla quale dipendeva la sicurezza del versante collinare e conseguentemente della strada (oltreché naturalmente degli edifici sottostanti).

Mancano molti tasselli ancora, anche perché sulle vicende di oltre vent’anni fa si è accumulato uno

sconfortante strato di polvere e, come si suol dire, alla gente non interessa granché. Eppure è da lì che bisogna partire per capire l’oggi, e alla gente (e ovviamente all’amministrazione), mi pare, lo stato delle strade interessa non poco.

Bene, dicevamo del cordolo. Tut-ti chiaramente oggi imputano a quel cordolo di calcestruzzo che cinge-va a valle la strada e che impediva

lo scolo regolare e superficiale delle acque la responsabilità del disastro. Eppure anche la costruzione del cor-dolo venne autorizzata dall’allora amministrazione, con concessione 132 dell’agosto 1997. E le attività di edificazione delle strutture di cascina Maretto proseguirono fino al 2000.

A proposito dell’ormai famige-rato cordolo, poggiante su gabbioni di sassi di fiume posizionati in tem-pi antecedenti a difesa della strada, così relazionava il geologo Andrea Ferrarotti nel febbraio 2007, quan-do la strada dava segni di cedimento in una zona ancora localizzata: “In conclusione il cordolo delimitante la sede stradale […] e la presenza di acqua non adeguatamente regimata,

rappresenterebbero i fattori determi-nanti l’aggravarsi del grave stato di dissesto che ha coinvolto il tratto di sede stradale comunale Grizzolina in esame”. E poi, molto profeticamen-te, proseguiva: “si rende necessario un intervento di messa in sicurezza e consolidamento del tratto di sede stradale in dissesto, il quale dovrà essere realizzato in tempi oltremodo brevi, al fine di evitare un peggiora-

mento delle condizioni strutturali dell’opera viaria, se non addirittu-ra l’evolversi in un vero e proprio movimento franoso definitivo […]. Risulterà inoltre desta-bilizzato l’intero tratto di versante a valle e a monte, con un aggra-varsi della situazione generale di rischio ed un significativo aumen-to dei costi di messa in sicurezza e consolida-mento”. Purtroppo non si è evidentemente fatto a tempo a provvedere. Nel giugno 2006, infat-ti, la Regione stanzia-va la somma di 27.000 euro che risultavano, ad un preliminare di spesa redatto nell’otto-bre 2007, insufficien-ti. L’amministrazione allora, nel febbraio 2008, richiedeva alla proprietà della Maretto una cifra che consen-tisse l’inizio dei lavori, a titolo di risarcimen-to dei danni provoca-ti dal loro intervento. Ma niente di rimando giunse al protocollo del

comune. Dopo alcuni ultimi tentati-vi fatti dal comune di ottenere, dopo il crollo della strada, un riscontro in fatto di accertamento di responsabi-lità nei confronti di cascina Maretto, giungiamo mestamente all’oggi, in cui tutto tace, tranne lo scroscio del-la acque che ruscellano sul vecchio manto d’asfalto e i borbottii di più di un caminese che pensa alla sua per-duta Grisulina.

continua (forse)

Ringrazio il sindaco Rondano e il tecnico comunale geom. Meneghin per la gentile collaborazione

Carlo Rosso

Uno scorcio della strada Grizzolina oggi.

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Il Picchio - n. 1 (VI) - marzo 20146 attualità

Brusaschetto Nuovo, i lavori rallentano, gli animali noAncora, forse, qualche anno prima del termine dei lavo-ri di estrazione. Intanto gli stagni di popolano di natu-ra e di opportunità

Dopo averlo chiesto da lun-go tempo, a metà marzo i Brusaschettesi sono ri-

usciti ad ottenere un incontro con il sindaco Giorgio Rondano e con i rap-presentanti del Parco del Po. Lo sco-po era quello di avere aggiornamenti sull’andamento dei lavori della cava di Brusaschetto Nuovo, giunta al quinto anno di attività. Era assente, purtrop-po, il rappresentante della ditta di sca-vo, che è parte integrante del progetto. Mostrando immagini aeree, spiegando la situazione e rispondendo alle tante domande, il direttore del Parco Dario Zocco, affiancato dal presidente Etto-re Broveglio, ha illustrato lo stato dei fatti: stagnazione del mercato edilizio e scarsa presenza di materiale buono da estrarre stanno rallentando le attivi-tà, che, probabilmente, si protrarranno ancora per alcuni anni (il totale delle due concessioni di estrazione prevede un volume di oltre un milione di metri cubi). Da legislazione regionale, infat-ti, la ditta può chiedere una proroga all’attuale concessione (in scadenza quest’anno) di altri cinque anni. Nel mentre però il primo lotto di terreno, verso est, vede già gli stagni comple-

tati, la vegetazione in sviluppo e la fauna che, con il consueto e sorpren-dente dinamismo della natura, si sta appropriando di un ambiente prezioso e raro ormai a trovarsi. La stessa zona allagata a monte della strada, frutto del deflusso delle acque che scendono dal versante collinare e non “prevista” nel progetto, si sta rivelando uno scrigno di biodiversità, dove sono già com-parse specie piuttosto rare di rane e farfalle, oltre a significative varietà di libellule.

Un aspetto merita di essere sottoli-neato: come hanno spiegato i relatori, oggi di norma è diventato il livello lo-cale (amministrazioni comunali, citta-dini, associazioni ecc.) a richiedere ai vertici regionali l’istituzione di nuove riserve. Ciò significa che, terminato il progetto di rinaturalizzazione degli stagni, dovrà essere la volontà dei Ca-minesi a chiedere che venga istituita un’area protetta a Brusaschetto Nuovo per impedire che la zona, all’apertura della caccia, si trasformi nell’usuale poligono di tiro. Non è inutile ricorda-re che (vedi Picchio nr. 11, pagg. 2-3) la Regione, all’atto della costituzione del Parco negli anni Novanta, scese a patti con le potenti associazioni vena-torie, tanto che oggi, paradossalmente, nella gran parte del territorio del parco la caccia è consentita.

Note dolenti, la situazione del ma-nufatto stradale e del drenaggio delle acque verso ovest: la ditta di scavi, che da contratto è tenuta a portare a termi-ne tutte le opere progettuali, inclusa la sistemazione definitiva della strada, non ha ancora provveduto alle opere necessarie (che poi sarebbero quelle di fare un drenaggio decente delle acque e del fango che scendono dalla collina e rischiano a ogni temporale di som-

mergere un tratto di strada). Le garan-zie, come hanno spiegato sindaco ed esponenti del parco, ci sono e i solleciti anche. In ogni caso è certo che questo resta uno degli aspetti meno convin-centi dell’insieme, essendo la strada stata progettata e realizzata con indub-bia approssimazione.

Due indicazioni interessanti pro-venienti da Zocco: la spendibilità fu-tura dell’area in funzione di turismo naturalistico e la questione, sollevata ai tempi da abitanti inorriditi, delle zanzare. Il direttore del parco fa pre-sente infatti che la fauna tipica e rara che popola il bacino del Po richiama soprattutto dal centro Europa, dove la sensibilità verso la natura è ben diversa rispetto alle nostre lande, torme di ap-passionati, che all’osservazione degli animali associano degustazioni enoga-stronomiche e soggiorni culturali nei nostri territori. Un’occasione da non sprecare.

Sulle zanzare poi sottolinea come la loro imponente diffusione sia legata non alle aree umide con costante pre-senza di acqua (come Brusaschetto), dove quindi prosperano anche i loro nemici naturali, quanto piuttosto in quelle aree, come le risaie, dove i re-gimi di asciutta periodici eliminano i predatori di zanzare ma non le uova e le larve delle stesse, che in pochi gior-ni, prima che l’acqua sia tolta, hanno già completato il loro sviluppo.

Noi intanto, dalla traballante nuo-va strada, ci godiamo lo spettacolo di germani reali, alzavole, aironi, fola-ghe, svassi e molti altri nuovi abitanti di Brusaschetto Nuovo, che di legisla-zioni regionali, contratti di appalto e mercato edilizio, beatamente, nulla ne sanno.

C.R.

Germani reali e alzavole negli stagni di Brusaschetto (c.r.)

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Il Picchio - n. 1 (VI) - marzo 2014 7attualità

Discariche abusive in casa nostraDa un esempio locale alla normativa nazionale

Ultimamente ho seguito i rac-capriccianti reportage sulla cosiddetta “Terra dei fuo-

chi”, un’area della regione Campania che interessa (per ora stando alle in-dagini degli inquirenti e dalle testimo-nianze dei pentiti di camorra) “solo” le province di Napoli e Caserta.

Partendo dai primi anni ’90 fino ad arrivare ai giorni nostri, hanno visto la luce un numero impressionante di di-scariche abusive attraverso le quali si è operato con un costante e perverso sversamento illegale di rifiuti tossici sui e sotto i terreni e quant’altro, tut-to gestito dalla criminalità organizzata con la collusione di personaggi politici, guardie di finanza e altri.

Obiettivo del mio articolo però non è raccontare le vicende di quella parte d’Italia (c’è chi riesce molto meglio di me), ma informare i lettori di come an-che dalle nostre parti si possa trovare e senza la benché minima segnalazione, una discarica abusiva.

Una persona di mia conoscenza (che rimarrà anonima) spesso crea pic-cole opere artistiche personali con og-getti di recupero. In una di queste notai una serie di oggettini elettronici pre-senti nei cellulari e glieli feci notare. Il mio stupore fu quando mi disse in che maniera se li era procurati. Mi indicò il luogo da dove provenissero dicendo:

“Vai, vai tu stesso a vedere dove li ho presi, rimarrai a bocca aperta!”

Incuriosito, mi recai pochi giorni dopo percorrendo la strada che da Tri-no porta verso Palazzolo e Livorno e giunto in prossimità del luogo indica-tomi, appena prima del cavalcavia, mi immetto con l’auto in questa stradina a lato della statua della madonna, a de-

stra.Posteggio l’auto all’imbocco e co-

mincio a percorre a piedi il tratto. Con stupore misto a rammarico, inizio a costeggiare i margini della stradina di campagna, letteralmente “lastricata” di pattume, una lettiera di rifiuti delle più svariate tipologie: frigoriferi sventrati, cestelli di lavatrici, mobili da bar, lat-te di vernice, cassette e bottigliette di plastica, macerie edili, legname mar-cescente pneumatici di varie fattezze e quant’altro. L’elenco potrebbe con-tinuare. Desolanti e raccapriccianti cu-muli di rifiuti che con il tempo si sono accumulati formando un tratto di strada di campagna che funge da vero e pro-prio deposito incontrollato da chissà quanto tempo.

Mi reco di persona all’ufficio di competenza e vengo a scoprire che questa strada è già stata oggetto di pu-lizia da parte del comune trinese. Os-servando poi la cartina topografica, ca-pisco che la stradina non è poi così ben definita, almeno nei disegni. Sono stato poi messo al corrente che il comune di Palazzolo ha sollecitato la Provincia sulla questione. La domanda che mi sorge spontanea allora è: a chi compe-terebbe la pulizia dell’area?

Oggetto di questo articolo però non è un’eventuale disputa o meglio com-petenza dei comuni, ma capire, in linea approssimativa, che cosa è innanzitutto una discarica abusiva e quali ne sono gli effetti.

Ma che cosa è una discarica abusi-va?

Di primo acchito possiamo consi-derarla una delle forme più veloci di smaltimento dei rifiuti. Ma da un pun-to di vista normativo, la sentenza del-la Terza Sezione della Cassazione del tribunale penale n° 424436 del 30 no-vembre 2010 ha stabilito che non basta abbandonare qualcosa per poter parlare di discarica abusiva. Infatti occorre che l’abbandono avvenga in modo siste-matico e ripetuto nel tempo. Quando si scaricano rifiuti nell’ambiente sen-

za le dovute competenze e soprattutto autorizzazioni, si prende coscienza di attività illecite, quindi si passa dal sem-plice abbandono, al deposito incontrol-lato, allo stoccaggio di rifiuti, discarica abusiva compresa.

Infatti il D.P.R. 915/82 all’articolo 9 recita così:

“è vietato l’abbandono, lo scarico o il deposito incontrollato dei rifiuti in aree pubbliche o private, soggette ad uso pubblico. In casi di inadempienza il sindaco, allorché sussistano motivi sanitari, igienico o ambientali, dispone con ordinanza, previa fissazione di un termine per provvedere, lo sgombero di dette aree in danno dei soggetti obbli-gati”.

Curiosa e quanto mai ambigua è la legge 549/95 che, all’art. 3 comma 32, stabilisce come il proprietario del terre-no sul quale è stata accertata l’esistenza di una discarica abusiva, si debba ac-collare la bonifica del terreno, il risar-cimento del danno ambientale, nonché sia passibile di pagamento di un tributo e di sanzioni pecuniarie, ove non di-mostri di avere presentato denuncia di discarica abusiva ai competenti organi della Regione, prima della contestazio-ne della violazione di legge. Questo vuol dire che alla persona che possiede il fondo e sul quale vi è una discarica abusiva, pur non avendo commesso l’illecito direttamente, ma non avendo neanche fatto segnalazione, viene dato concorso di reato. Dunque si va nel pe-nale.

Quali sono le competenze fonda-mentali degli enti locali? Per quel che riguarda le bonifiche, saranno del co-mune, che approva il progetto e della provincia, che collauda gli interventi. La regione entra in gioco se all’interno della bonifica sono compresi più comu-ni. Inoltre, va aggiunto che le cose non devono essere prese tanto alla leggera, perché la Corte di Giustizia Europea, nell’aprile 2007 (neanche poi tanti anni fa!) ha sanzionato l’Italia proprio per aver lasciato correre il problema delle

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Il Picchio - n. 1 (VI) - marzo 20148 attualitàdiscariche abusive e si parla di migliaia di siti illegali e incontrollati sparsi su tutto il territorio nazionale.

Ma quanti potranno mai essere le discariche abusive nel Bel Paese? Se-condo un rapporto proprio della Com-missione Europea, le discariche abu-sive in Italia sono quasi 1800 (1763 a essere precisi). Di queste, 700 sono considerate pericolose e risultiamo tra uno dei Paesi della Comunità che ne ha il maggior numero. In più (e ciò lascia l’amaro in bocca), il 12% delle disca-riche sono in aree protette e il 28% in aree forestali. Va considerato che repe-rire informazioni su quante discariche un Paese ha non è cosa facile.

Ma quali effetti avrebbero sull’am-biente circostante le discariche abusi-

ve?Le sostanze che si riversano nei

terreni possono rimanere in loco per decenni. I composti reagendo attra-verso processi come la decomposizio-ne possono produrre sostanze gassose maleodoranti e vari tipi di liquami (il cosiddetto percolato-cifrare dizionario scientifico del Picchio) e risultare po-tenzialmente contaminanti, non solo per i terreni, ma soprattutto per le falde acquifere. La velocità di penetrazione del percolato dipenderà dal tipo di ter-reno, cioè dalla sua geologia e idrogeo-logia, per cui nei depositi alluvionali le sostanze potranno raggiungere le falde con una certa facilità.

Di non facile operazione invece risultano le operazioni di bonifica. Ci

possono essere sostanze che posso-no non essere potenzialmente perico-lose, ma che con opportune reazioni fisico-chimiche possono diventarlo. Un esempio sono i cosiddetti nitra-ti. Di per sé non sono dannosi, ma la conversione dei nitrati può sviluppare composti potenzialmente cancerogeni detti nitriti. Queste e altre sostanze, pe-netrando attraverso il suolo e da questo nelle falde acquifere, possono raggiun-gere le popolazioni bevendo acqua po-tenzialmente contaminata e nutrendosi di prodotti derivanti dai terreni a loro volta inquinati, proprio come i casi nelle province di Napoli e Caserta già citate in precedenza.

Alessandro Varvelli

CHE COS’è IL PERCOLATO piccolo dizionario scientifico del Picchio

Il cosiddetto percolato rappresenta un grosso problema per tutte quella discariche che non sono state co-struite con i dovuti criteri, soprattutto quelle illegali. Si ha a che fare con tutta una serie di sostanze fluide contaminanti che si possono formare dai processi di decomposizione dei rifiuti in discarica, solidi e non.Con il trascorrere del tempo, attraverso la filtrazione e la lisciviazione con l’effetto della gravità, questi com-posti (che mescolandosi fra loro ne formeranno altri) tenderanno ad andare verso il fondo, raggiungendo con-centrazioni pericolose e diffondendosi nelle falde acquifere con conseguenze anche sull’ambiente circostante. Quindi, da solo, il percolato va considerato come la fonte di inquinamento che, a lungo andare, può portare all’impatto ambientale maggiore, come ad esempio accumuli di ammoniaca, idrocarburi o metalli pesanti.Le norme prevedono che il percolato debba essere captato e convogliato in un sito appositamente costruito in discarica, cioè apposite tubazioni poste appena sotto uno strato impermeabile.La quantità di percolato in una discarica può dipendere da diversi fattori. Se il deposito di rifiuti si trova in una zona piuttosto piovosa, la quantità di acqua che si infiltrerà sarà maggiore e così pure il percolato. Una temperatura minore riduce i processi di decomposizione così da influire le quantità di percolato, così anche la quantità di rifiuto solido conferito in discarica.

A. V.

mai ce ne fosse bisogno, che senza coordinamento tra amministrazio-ni, enti, mondo delle associazioni, aggregazioni sociali e imprese pri-vate non si va da nessuna parte. In un’area dove quattro o cinque co-muni non arrivano a tremila abitan-ti su territori microscopici, è chiaro che bisogna assolutamente fare rete, collaborare, condividere pro-gettualità sul medio-lungo termine.Infatti con la cultura e la capacità di leggere le esigenze del presen-te, diventa chiaro che il futuro della progettualità si basa sulla sosteni-bilità, cioè sulla capacità di far sì che tutto quello che si crea possa proseguire la sua attività nel tem-po, diventi appunto sostenibile ne-gli anni a venire e si accresca of-frendo nuove ulteriori opportunità. Se questo requisito fondamentale non è soddisfatto, tanto vale ri-nunciare al progetto: lo sottolinea

sempre di più l’Europa e a questo vincola ormai i suoi finanziamenti.Finanziamenti che coprono non a caso anche un ambito specifico, piuttosto sconosciuto dalle nostre parti: quello della comunicazione. Comunicare, in questo caso, si-gnifica far partecipi i cittadini delle scelte delle amministrazioni: per questo bisogna educare le persone alla cultura del confronto, del dialo-go, della partecipazione condivisa. I risultati: le amministrazioni im-pareranno il concetto di accounta-bility, cioè del “rendere conto” del proprio operato, i cittadini usciran-no dalla logica che ciò che ha valo-re e merita il loro impegno si fermi al cancello della propria casa.Infatti cosa c’è là fuori? Ci sarebbe un paesaggio che conserva, oggi piuttosto casualmente, frammenti di grande bellezza e impatto, ele-menti che ci vengono riconosciu-ti ormai da un turismo estero che si consolida. Quale è viceversa la nostra offerta attuale e reale? Nul-

la. Immondizia ovunque, scempi architettonici (o più semplicemen-te porcherie belle e buone) che proseguono a mietere vittime (il comune di Camino non è per nul-la esente...), una campagna non fruibile (sentieri gestiti, segnaleti-ca, attrezzature restano per lo più concetti sconosciuti). Una cultura dell’ambiente come risorsa sa che dalla cura non deriva solo vuota estetica, ma anche interesse, ri-spetto e valore economico.Molte persone, molti enti lavorano da anni basando le proprie scelte su linee guida simili a queste. Molti, anche, si sono però stufati, perché si sono sentiti isolati, non suppor-tati, e tra questi anche diversi am-ministratori. Le elezioni di maggio sono un’op-portunità che non è veramente più il caso di lasciarsi sfuggire.

Carlo Rosso

Editorialecontinua da pag. 1

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Il Picchio - n. 1 (VI) - marzo 2014 9cultura

Tra sacro e profano: il pellegrinaggio a Crea dei CaminesiCome avveniva la proces-sione votiva alla Madon-na di Crea, tra inni sacri e grandi mangiate

di cesarino Lusona

A Camino è sempre stato molto importante e senti-to il pellegrinaggio della

prima domenica di maggio a Crea. Sono 15 chilometri, meno se si pren-dono le scorciatoie. Si narra che pa-recchi anni orsono, nel nostro paese morissero molti capi famiglia in età giovanile. Per evitare e scongiurare questo evento funesto venne fatto un voto per un pellegrinaggio annuale a Crea a chiedere la grazia alla ma-donna.

Una processione preceduta da due ragazze vestite in abito da spo-sa, seguite da tutta la popolazione e allietata dalla banda partiva nel-le ore antelucane (alle 4 o alle 5) e passando per Fabiano e Madonnina raggiungeva il colle di Crea per le preghiere e le devozioni. Il servizio d’ordine era mantenuto dai Confra-telli di S. Gottardo. Questi, in abito bianco con croce sul petto, un pasto-rale (bastone) abbastanza lungo con sopra un medaglione con l’effige del santo, dirigevano, accompagna-vano e aiutavano i pellegrini; erano il braccio secolare dell’autorità reli-giosa, cioè del pievano (il parroco).

Sono passati oltre 350 anni dal primo pellegrinaggio. Finiti i riti re-ligiosi, dopo una frugale colazione con una focaccia cotta per l’occasio-ne (ksenta), sempre in processione si scendeva da Forneglio e Serralunga che si attraversava salutati dal suo-no a festa delle campane proceden-do verso la valle Stura sottostante. Giunti al fondovalle si attraversava il torrente Stura su di un ponticello agreste di fronte ad un piccolo mu-lino ad acqua detto “il Mulinetto”. Sui prati circostanti ci si accampava per un robusto pranzo. La banda al-lietava i pellegrini lasciando gli inni sacri in favore di valzer e mazurche. Al tardo pomeriggio, ben riposati, ben pasciuti e ben bevuti si ripren-deva la strada per Camino, sempre in processione, fino alla chiesa di San Lorenzo dove, con una benedizione si concludeva l’evento religioso.

Verso il 1798 un gruppo di fana-tici seguaci della rivoluzione fran-cese, profondamente anticlericali, incendiarono il monastero di Monte Sion, sopra Isolengo, e gli archivi parrocchiali, con grave danno per tutti. Gli stessi facinorosi in gruppo andarono a insultare i caminesi sce-si da Crea e accampati a banchettare di fronte al Mulinetto. Alle parole seguirono i fatti: dopo gli insulti i confratelli diedero mano ai pastorali menando botte da orbi e anche pren-dendone.

Dopo questo pericoloso pestag-gio, onde evitare guai ulteriori, i signori Moscheni, proprietari del Gambarello, offrirono i loro corti-li riparati a ospitare il raduno dopo Crea. Qui i Caminesi ottennero ospi-talità, riparo e tranquillità.

I signori Moscheni erano molto accoglienti e fino al 2010, quando si perse l’abitudine del pranzo al sacco, ci accolsero con cortesia e si-gnorilità. In seguito si è preferito da

Crea partire in pullman e vetture per tornare a Camino dopo le funzioni.

Il Mulinetto e il Gambarello sono rimasti un ricordo per pochi. Sono stato uno degli ultimi che ha frequentato il Gambarello dopo il pellegrinaggio e sono contento di avervi portato i miei nipotini, che ne avranno un ricordo diretto.

Sulla strada del ritorno, per alcu-ni già bevuti era tradizione fermarsi a Fabiano all’osteria delle 3 Mo-sche. Qui il gruppo di alticci diceva la messa in dialetto con doppi sensi e grasse risate. Il pievano, venuto a conoscenza della scena, denunciò ai carabinieri i falsi celebranti, ma poi, per il quieto vivere, ritirò la denun-cia.

Ricordo alcune di queste frasi che si basavano sull’assonanza delle preghiere in latino che ascoltavano senza capirne il significato. La be-nedizione “in nomine Patris et Filii et Spiritus Sancti” dal latino diven-tava “in nome del padre, lasagne quadre, capun rustì, pia la pansa e va drumì”.

Il “Dominus vobiscum et cum spiritu tuo” diventava “domino su-biscu, l’è scapa e l’o pì nen vistlu, l’è rivà stamatin an pantufli e cami-sin”.

Le rogazioni “lumen Christi lu-men Christi, deo gratia deo gratia” diventavano “suchi fricci (zucche fritte) suchi fricci, ancura ad grasia ancura ad grasia”.

Il “tantum ergo sacramentum veneremur cernui et anticuum docu-mentum novo cedat ritui” diventava “tanti merlu che as lamentu che i san nen andua fa al nì, tut al dì chi sacramentu, porcu giuda uarda lì”.

Se qualcun altro conosce altre giaculatorie in dialetto e desidera fornircele, ci fa cosa gradita.

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Il Picchio - n. 1 (VI) - marzo 201410 cultura

GAiAS: un successo della soldarietàStoria e bilancio dell’asso-ciazione di assistenza cami-nese

In questo numero la pagina della biblioteca è lieta di ospitare la storia di GAiAS e un bilancio dei risultati raggiunti nel 2013, con il contributo di tutti.

La storia di GAiAS è la di-mostrazione che quando ci sono passione, tenca-

cia e generosità i buoni progetti si possono realizzare. E quello di GAiAS non era un progetto da poco.

Cinque anni fa, nel 2009, An-tonella Camurati e Halyna “Gaia” Romanyuk si lanciarono con passione nell’impresa di creare un’associazione di volontariato al servizio della comunità. L’o-biettivo principale era quello di offrire aiuto alle persone anziane, ammalate o impossibilitate a gui-dare, accompagnandole alle visite mediche o a fare commissioni. Inoltre si voleva promuovere il rapporto tra giovani e anziani e l’incontro tra gli abitanti del no-stro comune, italiani e non. Da qui il nome GAiAS: giovani, anziani insieme agli stranieri.

La neonata associazione incon-trò subito l’adesione di un gruppo di soci e sostenitori che si mise-ro con grande impegno a… cucinare! Quante merende, quante cene, quante torte e biscotti hanno segnato i primi

tempi di GAiAS. Quante frittate, tarti-ne, antipasti, risotti, crepes… Per rac-cogliere fondi, naturalmente, ma anche per far crescere il progetto tra la gente attraverso momenti di condivisione e convivialità. Come le merende set-tembrine all’insegna dell’invito “Co-nosciamoci!”, per esempio, dove alle specialità monferrine si sono affian-cate quelle ucraine, albanesi, rumene, serbe. O le cene di fine anno e per la festa della donna, tutte splendidamen-te riuscite grazie agli amici ristoratori, che assieme alla Proloco Caminsport sono sempre stati disponibilissimi a dare una mano a GAiAS.

Ogni anno a Pasqua le supercuo-che amiche di GAiAS hanno preparato vassoi e vassoi di torte, e grazie alla

generosità (e alla golosità) della gen-te non ne è mai avanzata una. Torte, biscotti e dolcetti anche per Golosaria, per Riso & Rose, per Medioevalia, per la festa di Piazzano, per quella di Roc-ca delle Donne, per il Mercatino delle pulci di Pontestura…

Ma non di sole torte è cresciuto il piccolo patrimonio che ha permesso a GAiAS di raggiungere in due anni l’o-biettivo che le stava più a cuore: l’ac-quisto di un’automobile tutta sua per non dover più utlizzare quelle dei vo-lontari. Molte abili sostenitrici di GA-iAS hanno messo a disposizione lavori

di cucito e bricolage. Un contributo importante è stato dato dai proventi dei corsi per l’uso del computer, orga-

dalla biblioteca a cura di Francesca Balestreri

La nuova vettura di GAiAS con il suo "equipaggio".

IN BIBLIOTECA LIBRI A 1 €In biblioteca vi aspettano molti libri di ogni genere che potete acquistare a 1 euro ciascuno.Sono doppie o triple copie di titoli che già possediamo e il ricavato servirà a finanziare l'acquisto di libri nuovi.per informazioni: Francesca 3357116875, Sara 3386485189

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Il Picchio - n. 1 (VI) - marzo 2014 11cultura

nizzati a più livelli e senza alcun com-penso da un vero mago del pc. Tante e ripetute, inoltre, le offerte spontanee e tutte ugualmente preziose, da quelle da 1 euro a quelle da 500 euro. Ma certo l’auto di GAiAS non serebbe arrivata a Camino così presto senza il sostanzio-so contributo del Comune - lo sponsor più grande - e quello delle fondazioni CRA e CRT, oltre che del Vespa Club “Camino è Vespa”.

Così, a fine 2011, GAiAS ha potuto presentare con orgoglio la Dacia Lo-gan 7 posti bianca, con l’inconfondi-bile logo arcobaleno sulla fiancata, che oggi vediamo passare dalle nostre stra-de mentre trasporta qualcuno a Trino, Casale, Alesandria, Vercelli, Torino, con una volontaria o un volontario al volante.

Naturalmente con l’auto sono arri-vate anche l’assicurazione e la tassa di circolazione, i costi per la manutenzio-ne e quelli per il carburante, ma grazie alla costante generosità dei suoi soste-nitori oggi GAiAS può guardare con una certa serenità al prossimo futuro.

State tranquilli: questo non vuol dire che smetterà di sfornare ottime torte…

Quello che segue è un resoconto dell’attività di GAiAS nel 2013:

Iniziative per l’autofinanziamento: una trentina di torte Deco per Golosa-ria,una trentina di torte Deco per Pasqua,una ventina di torte per Riso & Rose,sei torte per VenTo.Cena per la Festa della donnaCorso di computer di primo e secondo livello

Trasporti effettuati da inizio anno al 17/12/2013:Totale persone assistite: 18 Totale trasporti: 58,di cui: 4 a Torino, 9 a Vercelli, 34 a Casale, 8 a Trino, 1 a Mombello, 1 da Rocca delle Donne a Camino.

Inoltre sono stati forniti piccoli aiu-ti domestici e lavori di falegnameria, grazie all’opera volontaria di un abile maestro del legno.

In questa pagina non abbiamo vo-lutamente fatto nomi, per non rischiare di dimenticare qualcuno dei tantissimi sostenitori di GAiAS. Non possiamo però tacere quelli di Laura Serrafero, Sandro Doria, Sergio Lavarini e Gian-paolo Drochi, i volontari che hanno risposto sì ogni volta che c’era da ef-fettuare un trasporto. A loro, e a tutti gli amici che ci aiutano con il lavoro volontario, le offerte e la partecipazio-ne alle nostre iniziative, un grazie di cuore.

Francesca Balestreri, Antonella Camurati, Halyna Romanyuk

Per saperne di più su GAiAS.: www.gaias.euPer chiedere i servizi di GAiAS, pro-porsi come volontari, contribuire con offerte:Antonella Camurati0142469131 interno 3Halyna “Gaia” Romanyuk 3488624526

L’ebulliometrodi Roberto carelli

Un giorno, quando ero bambino, la mia mamma mi mandò in cantina a prendere un barattolo di deliziose pesche sciroppate fatte in casa. Mentre ero intento a cercare sui polverosi scaffali mi imbattei in una misteriosa scatola di legno: la mia curiosità mi obbligò ad aprirla e come un pirata quando apre un forziere trovato su una spiaggia di un ‘isola sperduta, mi trovai di fronte ad un prezioso tesoro. Difficile capire esat-tamente cosa fosse, sembrava una piccola tromba o un calice d’oro, ma era sicuramente molto prezioso vista la lucentezza del suo metallo e la precisione millimetrica con cui era riposto nella scatola, chiaramente per evitare che i vari pezzi all’interno si toccassero a rischio di rovinarsi.Posata la scatola su un piano sicuro,iniziai a tirare fuori gli strani oggetti, vi era una sorta di calice, un termometro, una specie di trombetta, un fornellino e dei fogli scritti a mano. Con molta attenzione rimisi i pezzi nella scatola e, certo che avrei trovato risposta, corsi dal mio adorato nonno a chiedere cosa fosse e a cosa servisse lo strano oggetto.Lui, sotto i miei increduli occhi, lo montò, avvitando i pezzi l’uno sull’altro e mi svelò l’arcano mistero.Si trattava di un ebulliometro di Malligand, uno strumento che permet-teva di misurare approssimativamente il grado alcolico del vino.Era composto da una piccola caldaia, una lampada ad alcol, un conteni-tore per il refrigerante (acqua) ed un termometro.

Il suo funzionamento consiste dapprima nel tarare lo strumento: con la lampada ad alcol si riscalda la caldaia riempita con l’acqua; quando questa bolle e la temperatura indicata dal termometro è stabile, si fa coincidere lo zero della scala scorrevole con il punto che ha raggiun-to il mercurio durante l’ebollizione dell’acqua. Dopo di che, spenta la lampada, si lascia raffreddare e si sostituisce l’acqua con il vino per la misurazione alcometrica, avendo però l’accortezza di mettere dell’acqua fredda nel contenitore soprastante. Si riscalda nuovamente e il mercurio tornerà a salire. Quando si fermerà, in corrispondenza del punto massi-mo, sulla scala alcometrica si potrà leggere il grado alcolico.Questa è la storia di un prezioso oggetto usato ancora oggi nelle nostre piccole grandi cantine, dalle sapienti mani di uomini amanti della loro terra.

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Il Picchio - n. 1 (VI) - marzo 201412

Pulid c’me ’l Pnass dal fur ii grandi forni a legna erano diffusi nei nostri paesi, generalmente erano privati (dal panatè) e il servizio si pagava in farina o in pane. a cornale c’era l’unico forno pubblico di camino. Questo vecchio forno è stato restaurato nel 1981e una targa cita: la pupulasiun l’a butà an urdu al so fur. il pane si cuoceva una volta la settimana. le forme di pane casereccio (grissie) si impastavano e si facevano lievitare a casa nella madia (l’arca) e poi si trasportavano al forno sul val di vimini a due manici. finita la cottura si toglieva la brace, e si lavava il piano del forno con il pnass (fruciandolo/spazzaforno – il precursore del mocio) inzuppato nell’ac-qua del bulët. il pnass quindi consisteva in uno straccio o un sacco logoro legato ad una pertica. a fine manovra il pnass era nero, sudicio perché sporco (tencc) di cenere e carbone.

Veuj c’me ’n cuàmolti sono i paragoni per indicare qual-cosa di vuoto: la zucca (suca), la canna (cana) di solito indicano una persona priva di idee, superficiale, in questo caso si usa per dire che si è a stomaco vuoto. cuà è il nome che si dà al contenito-re della cote, porta cote (cuv), cioè la pietra che serve per affilare la ranza, il ranzot, l’amsura...Tali pietre di arenaria a grana fine sono lavorate a Pradalunga (BG). fatto di corno di bue, di metallo o di legno scavato, il cuà si appende alla cintura per averlo sempre a portata di mano. la cote di pietra ha forma affusolata e si passa ripetutamente sui due lati del filo della lama, l’affilatura si controlla con il polpastrello del pollice inumidito di saliva.

al BuGia nen c’me ’n Termu / la sTa frëm c’me ’n Termu si riferisce a persona poco dina-mica o a chi esercita un forte au-tocontrollo. si paragona al termu , termine cioè alla lunga pietra conficcata nel terreno che indica il confine fra una proprietà e l’al-tra, inamovibile per legge. un vero tabù , cioè un divieto sacro, infat-ti Tèrmine era un dio romano che proteggeva la proprietà e vendica-va le usurpazioni. a roma aveva un tempio, sulla rupe Tarpea ed era rappresentato con un blocco di pietra quadrata a cui si offrivano frutta, latte e vino.

cultura

Uomini, cose e animali… nelle frasi dialettali (3a puntata)testo e disegni di Marcella Biginelli

Questa volta parliamo di cose, cose di poco conto, attrezzi da lavoro, ogget-ti vari del mondo conta-

dino memoria d’una cultura e di una civiltà che non va dimenticata. Ele-menti comuni e diffusi nell’ambiente rurale usati nella comparazione delle frasi con c’me.

Curiosità. Nell’elenco che segue, compaiono frasi espresse in tono iro-nico che affermano il contrario di ciò che vogliono fare intendere (es. si usa dricc per dire molto ricurvo e pulid per

dire sporchissimo); inoltre si può nota-re che l’ aggettivo gnurant (in italiano: che ignora, che non sa, che sottovaluta, maleducato) indica qualità differenti che solo il termine di paragone rende comprensibili per la traduzione in ita-liano.

Dricc c’me ’n rampin(Diritto come un rampino o gancio

o uncino)Dricc c’me ’n füss(Diritto come un fuso per filare la

lana)Goff c’me ’n ula(Goffo come una olla/pignatta/pa-

iolo)Gnurant c’me ’n arbi(Difficile da gestire come una bi-

goncia)Gnurant c’me na sapa(Semplicione come una zappa)Andrè-Gnurant c’me ’n sëbri(Incapace di pensare come il ma-

stello da bucato)Gnurant c’me na sëpa(Impassibile come un ceppo, una

ceppaia)Granda c’me na pertia(Alta e sottile come una lunga per-

tica)Gruser c’me la stubbia(Grossolano come la stoppia del

grano)Larg c’me ’n val(Largo come il vaglio di vimini, a

due manici)L’è ndrumì c’me ’n süc(Addormentato, insensibile come

un ciocco)La gira c’me ’n vindou(Si muove velocemente come l’ar-

colaio/guindolo) Al bugia nen c’me ’n termu(Sta fermo, immobile come un ter-

mine)Pulid c’me ’l pnass dal fur(Pulito come lo spazzaforno) Veuj c’me ’n cuà(Vuoto, perché non ha mangiato,

come il portacote)Reid c’me ’n palanchin (’n pal)(Rigido, con difficoltà a piegarsi

come un palanchino o un palo)

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Il Picchio - n. 1 (VI) - marzo 2014 13

Panificare in casa con metodi tradizionaliIl lievito madre, come farlo, come utilizzarlo

di Mara Begnini

Siamo sempre piú impegnati e c’è sempre meno tempo a di-sposizione, eppure tra gli hob-

by piú gettonati troviamo la produzione di pane fatto in casa e sempre piú spes-so, un po’ per le intolleranze ai lieviti e un po’ per il piacere del ritorno alle ori-gini, sta tornando di moda l’utilizzo del lievito madre o pasta acida. Ai tempi delle nostre nonne si face-va il pane, si metteva da parte un po’ d’impasto a fermentare e si utilizzava per la successiva produ-zione.

Da ormai quasi un anno produco il pane con il lievito madre in coltura liquida (anche chiamato LICOLI). Anni fa avevo tentato con la pasta aci-da, che ha la stessa con-sistenza della pasta da pane, composta quindi da due parti di farina e una di acqua, ma la sua manutenzione era piut-tosto impegnativa, cosí dopo qualche esperimen-to ho rinunciato, ma con il lievito liquido è tutto molto piú sem-plice, si conserva piú a lungo senza rin-freschi e, con le dosi che vi indicheró, non ci sono sprechi di lievito nella nor-male preparazione del pane

Perché il lievito madre?Innanzitutto il pane creato con que-

sto tipo di lievito puó essere consumato anche da chi ha problemi di intolleranze

al lievito di birra, è piú digeribile, inol-tre rimane morbido per alcuni giorni dopo la produzione. L’aspetto “negati-vo” potrebbe essere rappresentato dai tempi di lievitazione differenti rispetto al lievito di birra. Personalmente trovo che basti “prendere il giro” e questo aspetto diventa marginale.

come produrre il lievito?Il mio LICOLI ha 26 anni, piú è

vecchio è, meglio è, ci sono lieviti che hanno oltre 100 anni, questo non signi-fica che non si possa ottenere un ottimo pane da un lievito neonato. Ecco come realizzarlo.

Unite in un barattolo di vetro 50 g. di farina, 50 g. di acqua e mezzo cuc-chiaino di miele vergine, o yogurt, o mela grattugiata. Coprite con una cal-za di nylon e chiudete con un elastico

o appoggiatevi sopra il coperchio senza avvitarlo in modo che possa respirare e raccogliere i lieviti naturalmente pre-senti nell’aria. Lasciate riposare in am-biente caldo (20-22º) per 24 ore. Tra-scorso questo tempo prendete il vostro impasto, aggiungetevi 100 g. di acqua, mezzo cucchiaino di zucchero di can-na integrale e mescolate bene, unite poi 100 g. di farina e amalgamate il tutto.

Otterrete così circa 300 g. d’impasto dal quale dovete ricavarne 100 da rimettere nel barattolo opportunamente lavato.

Complimenti! Avete fatto il vostro primo “rinfresco” del lievito.

I 200 grammi d’impasto rimasto possono essere addizionati di farina, olio e sale per ottenere delle piadine da cuocere in padella.

Continuate a rinfrescare ogni 24 ore, dovreste iniziare a vedere alcune bolli-cine in superficie e l’impasto dovrebbe iniziare a crescere. Siete sulla buona strada.

Se nel giro di una settimana il lievi-to non è partito, meglio ricominciare da capo, puó essere che non abbia trovato i lieviti giusti o che la farina non fos-se adatta. Per il lievito madre la farina piú indicata è la 00, ma anche la 0 va bene. Io mi trovo molto bene con le fa-

rine biologiche, una volta “partito” il lievito si puó rinfrescare anche con farine differenti e si puó iniziare a sperimentare, ma per iniziare la cosa migliore è una farina bio 00 e meglio se si usa ac-qua senza cloro, perché il lievito non è ancora ab-bastanza forte e il cloro lo indebolisce.

Panificazione.Quando il vostro lie-

vito riesce a raddoppia-re nel giro di 24 ore a temperatura ambiente è pronto per finire in una pagnotta! Prima di poter panificare è necessario

eseguire un rinfresco.Prendete i vostri 100 grammi di lie-

vito e fate un rinfresco con 100 g. d’ac-qua, mezzo cucchiaino di zucchero di canna integrale e 100 g. di farina come abbiamo imparato.

Mettete da parte 100 g. in un ba-rattolo di vetro pulito, lasciateli a tem-peratura ambiente per mezz’ora, poi chiudete il coperchio e mettete tutto in

cultura

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Il Picchio - n. 1 (VI) - marzo 201414 cultura

A San Gottardo l’ultimo romanzo di Claudio GallettoClaudio Galletto, giornalista monferrino, ci ricasca e dà alle stampe il terzo atto di una serie di agili romanzi iniziata pochi anni fa con In nome della croce. Un occhio costantemente rivolto alla storia dei nostri luoghi, una buona dose di mistero ben distribuito nella narrazione, piana e asciutta, ed ecco nascere Io adoro, che segue La chiave del paradiso. La storia, dal Monferrato, ci porterà lontano, fino all’altro capo del mondo, sempre inquadrata nel contesto scenico di una saga familiare. A questo giro l’au-tore si prova con una metodica di scrittura nuova, segnata da spaziature, stampatelli e allineamenti non troppo ortodossi, a volte un po’ futuristi, nel tentativo di dare ancora più ritmo e coinvolgimento al lettore.A voi il giudizio.Intanto potrete assaporare le anticipazioni del libro (se già non l’avete letto) venerdì 11 aprile, alle ore 21 presso la chiesa di San Gottardo a Camino, dove l’autore lo presenterà intervistato da Marina Maffei.

Claudio Galletto, Io Adoro, Phasar Edizioni, pp. 268, € 15,00

frigorifero. Il lievito cosí confezionato si conserva una settimana senza pro-blemi (ma puó arrivare a conservarsi anche un mese e mezzo, basta mesco-lare bene e rinfrescare un paio di vol-te prima di panificare), quando vorrete usarlo potrete tirare fuori il barattolo dal frigorifero e dopo 15 minuti iniziare a rinfrescarlo.

Prendete i 200 grammi di lievito e lasciateli maturare. I tempi dipendono dalla temperatura: normalmente si fa riposare per 24 ore ma in estate la lie-vitazione è molto piú veloce e possono bastare 8-12 ore. Ci vuo-le un pochino di osserva-zione, quando si formano le bolle in superficie e l’impasto aumenta di vo-lume siamo finalmente pronti per l’impasto del nostro pane, che si ot-terrá unendo al lievito un cucchiaino di zucchero integrale di canna e 200 grammi di acqua (sempre a temperatura ambiente o del rubinetto). Mescolare per amalgamare. Unire eventuale olio se gradito, e 400-500 grammi di fa-rina (qualunque farina va bene, bianca, o integrale, anche di altri cereali). La dose di farina va valutata in base alla sua capacitá di assorbire i liquidi e alla presenza o meno dell’olio. Consiglio di iniziare con 400 e aggiun-gerla man mano per ottenere l’impasto della consistenza desiderata. Il sale va aggiunto quando la farina è stata giá mescolata. Anche la dose di sale è sog-

gettiva, io metto due cucchiaini – circa 15 g. – per queste dosi. Se lo desidera-te potete aggiungere al vostro impasto semi (girasole, zucca, cumino, anice...) o altri ingredienti come noci, olive, uva passa, per ottenere dei panini dal gusto particolare.

Una volta fatto l’impasto bisogna formare una palla e fare un taglio a cro-ce in modo che possa aprirsi durante la lievitazione. Mettete a lievitare un una ciotola e posizionatela in uno spazio a temperatura costante senza correnti d’aria (ottimo il forno spento e chiu-

so, in inverno si puó lasciare accesa la luce del forno per creare una tempera-tura ideale). Per evitare che secchi in superficie potete coprirla con un panno umido.

Questa lievitazione dura circa 4 ore, una volta che il taglio si sará aperto po-

tete formare i panini della forma che preferite, meglio senza sgonfiare del tutto l’impasto, e rimetterli a lievitare per altre 4-6 ore. Un trucchetto semplice per capire se l’impasto è lievitato consi-ste nello staccare una pallina d’impasto grossa come una nocciola e metterla in un bicchiere d’acqua. Quando viene a galla l’impasto è pronto.

A questo punto potere mettere i pa-nini in forno a 180-190º per 20-40 mi-nuti a seconda della dimensione.

Ovviamente è possibile realizzare anche pizza e focaccia con questo lievito, le far-citure vanno messe all’ul-timo momento, prima d’infornare, in modo che il loro peso non blocchi la lievitazione.

Per una maggiore di-geribilitá potete far ripo-sare l’impasto prima di fargli iniziare la prima lievitazione, dalle 12 alle 72 ore. In questo modo gli enzimi possono conti-nuare a fare il loro lavo-ro mentre la lievitazione viene messa in stand-by.

Sicuramente questo tipo di lievito richiede un

impegno differente rispet-to al lievito chimico ma basta organiz-zarsi e si avranno molte soddisfazioni!

Se desiderate sperimentare ma non volete cimentarvi con la creazione del lievito potete richiedercene un po’ tra-mite il gruppo d’acquisto.

Buona panificazione!

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Il Picchio - n. 1 (VI) - marzo 2014 15rubriche

L’angolo del riusoColtivare patate in un bido-ne!

È quasi ora di mettere giú le patate. Da anni sentivo dire che le patate si possono

coltivare anche in un barile, così lo scorso anno ho voluto provare. Il ri-sultato è stato interessante, malgrado il mio raccolto sia stato compromesso dai parassiti per i quali non ho fatto trattamenti e dalle lumache che l’anno scorso erano tantissime e mangiavano qualsiasi cosa.

Il principio è quello di forzare la produzione di patate lungo il fusto e non solo dalle radici sottostanti, ag-

giungendo terriccio man mano che la pianta cresce. Oltre al terriccio si possono usare foglie secche o trucio-li. Io essendo alla prima esperienza ho preferito usare il terriccio.

Prendete un bidone di recupero o una vecchia damigiana. Praticate dei fori per il drenaggio dell’acqua e met-tete sul fondo uno strato di ghiaia o argilla espansa, aggiungete del terric-

cio, circa 30 cm, adagiatevi le patate e ricoprite con altro terriccio (foto 1). Irrigate e lasciate che le vostre patate crescano. Se temete le gelate e ave-te anche il coperchio del contenitore,

potete coprirle di notte, ricordandovi di togliere il coperchio quando invece fa piú caldo (foto 2). Quando le patate saranno cresciute di circa 15 cm, sará ora di aggiungere alcuni centimetri di terriccio, fino alle prime foglie. (foto

3) Dovrete proseguire con questo ac-corgimento fino al totale riempimento del bidone (foto 4) e procedere come una normale coltivazione di patate.

Quando sará il momento del rac-colto, potrete rovesciare il bidone e semplicemente raccogliere le patate. (foto 5)

Mara Begnini

Foto 1.

Foto 2.

Foto 3.

Foto 4.

Foto 5.

Come associarsi al Picchio (e, volendo, partecipare al GAS)Per il 2014, se volete sottoscrivere la tessera della nostra associazione e contribuire così all’esistenza del gior-nale e all’organizzazione delle nostre iniziative, le quote sono le seguenti:€ 10,00 Socio ordinario€ 20,00 Socio sostenitore€ 30,00 Amico del Picchio (vi viene spedito a casa il giornale anche se vivete fuori da Camino)

Iscrivetevi alla nostra newsletter per restare informati sulle iniziative del Picchio. Potete contattarci telefonicamente al numero 320 0879366 (Mara) oppure visitare il nostro sito www.ilpicchiocamino.it e inviarci una mail.

associazione

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Il Picchio - n. 1 (VI) - marzo 201416

Il PicchioTrimestrale di informazione e cultura di Camino e frazioniAutorizzazione del tribunale di Casale Monferrato nr. 258 del 16/01/2009Direttore responsabile: Carlo Rosso

Stampato in proprioRedazione: via Vittorio Emanuele 37 - 15020 Camino (AL)Logo de “Il Picchio”: Mauro Galfrè

“BRUSASCHETTOcom. nel mand. di Pontestura, prov. e dioc. di Casale, div. di Alessandria. Dipende dal senato di Piem., intend. prefett. insin. ipot. di Casale, posta di Trino.Non lunge da questo luogo sorgeva una rocca detta Brusasca; menzionata nel diploma di Corrado il Salico del 1026 in favore del monastero di Breme. Fu essa chiamata eziando Delle Donne a cagione d’un convento di monache stabilito costì. In carta del 1297 leggesi un arbitramento tra quelle monache, ed il comune di Palazzolo, situato nell’altra sinistra parte del Po, in occasione d’una lite che agitavasi per sapere a qual dei due spettassero certi prati detti l’Olivero, fattisi in sul terreno stato abbandonato dal fiume. L’atto fu sottoscritto in quel monastero S. Mariae de Rocha.Giovanni marchese di Monferrato fu investito di questa terra nel 1355 da Carlo IV imperatore.Nel 1703 lo ebbero con titolo comitale gli Scarampi di Camino.Giace alla destra del Po, e a ponente di Casale da cui è discosto 6 miglia.Evvi una sola strada comunale, che, da borea, mette a Castel s. Pietro, lontano un miglio; da ostro, al porto natante sul Po, e quindi a Trino. Questa via per essere montuosa e negletta non è praticabile coi carri, fuorché nella bella stagione. I prodotti ter-ritoriali sono uve di discreta quantità, e pochi cereali. Gli scarsi pascoli bastano appena al mantenimento del bovino bestiame necessario alla coltivatura del suolo.La parrocchiale è consecrata a s. Emiliano protettore del paese, alla cui festa non intervengono altri forestieri tranne i parenti e gli amici degli abitanti del luogo. Evvi un’altra chiesa denominata da s. Sebastiano.La parrocchiale è di jus-patronato del marchese Scarampi di Villanova.Il cimitero trovasi a tramontana, e a poca distanza dal villaggio.Pesi e misure del Monferrato, monete dei regii Stati.Gli abitanti di Brusaschetto sono di complessione molto robusta, e attendono con diligenza ai campestri lavori.Popolazione 223”. Goffredo Casalis, Dizionario geografico-storico-statistico-commerciale degli stati del Re di Sardegna, Torino. 1834(nella foto la processione della Madonna Pellegrina negli anni ’40 del Novecento. Sullo sfondo il paese con il campanile di S. Emiliano. Foto tratta da “Come eravamo una volta a Brusaschetto”, 2005)

la foto d’epoca