Il nostro Paese 321

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IL NOSTRO PAESE Anno LXVI - 321 Novembre 2014 STAN SOCIETÀ TICINESE PER L’ARTE E LA NATURA Sezione cantonale di Heimatschutz Svizzera Un futuro per il nostro passato: Un futuro per il nostro passato: missione compiuta! missione compiuta!

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Preview gratuita di un estratto dell'ultimo numero. Novembre 2014.

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IL NOSTRO PAESEAnno LXVI - 321 Novembre 2014

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SOCIETÀTICINESEPER L’ARTEE LA NATURA

Sezione cantonale di Heimatschutz Svizzera

Un futuroper il nostropassato:

Un futuroper il nostropassato:missione compiuta!missione compiuta!

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Impressum

Rivista trimestralefondata nel 1949organo della Società ticineseper l’arte e la natura - STAN

giàSocietà ticineseper la conservazione delle bellezzenaturali e artistiche,fondata nel 1908.

Sezione ticinesedi Heimatschutz Svizzera

www.stan-ticino.ch

RedattoreArch. Riccardo Bergossi

Redazione e amministrazioneDott.ssa Natalie Danzi-Paces

ContattiSTAN, via Borghese 426601 LocarnoTel. 091 751 16 25Fax 091 751 68 [email protected]@stan-ticino.ch

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Stampa e impaginazioneFontana Print S.A.C.P. 231 - 6963 Pregassona

La rivista esce anche grazieai contributi di

© 2014 Il nostro PaesePer la riproduzione di testi, fotogra-fie e disegni è necessaria l’autoriz-zazione della redazione.

Editoriale Riccardo Bergossi 1 Berlino, Barcellona e Bellinzona

Temi STAN Riccardo Bergossi 3 La curia si è liberata della Villa vescovile di Balerna Benedetto Antonini 6 Il colore non è una quisquilia Riccardo Bergossi 13 Il primato degli edifici pubblici nell’identità urbana 16 Vale la pena di impegnarsi per tutelare e valorizzare il retaggio culturale? Heimatschutz 24 Giardini e parchi storici Jogannes Stoffler 25 Un patrimonio che vive 28 Varietà di sistemi per garantire la continuità dei giardini storici Judith Rohrer 29 Seconda primavera per il parco di Villa Patumbah Lukas Schweingruber e Silke Schmeing 32 Filande, abbandono, crescita e vita Christina Hasler 34 Un magnifico giardino per la popolazione svizzera 36 Il tallero d’oro del 1950: 1946 - 2014 Adrian Schmid 38 Un irrinunciabile strumento di finanziamento per l’Heimatschutz Svizzera

Natura Gianni Marcolli 40 Notizie ornitologiche: merlo dal collare Graziano Papa 42 Muretti d’autunno

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In copertina:Villino Salvioni a Bellinzonaprima (nel tondo) e … dopo.

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Pochi anni fa avevo detto e scritto che la percen-tuale di edifici storici sul totale del costruito è del-la stessa grandezza a Lugano e a Berlino. La mia affermazione non era scivolata nell’oblio come l’acqua del Cassarate che si disperde nel Ceresio per incominciare il lungo viaggio verso l’Adriati-co e l’Oceano, ma aveva fatto presa in qualche coscienza. Non poteva essere negata perché di-rettamente constatabile sul posto, e la ritrovata capitale della Germania dopo la caduta del muro è diventata anche per i ticinesi una delle mete tu-ristiche predilette in Europa. Ma negli ultimi anni, mentre e Berlino sono andati avanti i restauri, i re-cuperi e perfino le ricostruzioni (una in particola-re, quella ormai decisa del Castello reale, equivar-rebbe a rimettere in piedi il Castello di Trevano), a Lugano le distruzioni sono proseguite alla grande, forse ormai la bilancia pende dalla parte di Berli-no. Si tratta di un dato di fatto, ma accettarlo è duro. Nessuno può dimenticare le tragiche imma-gini della Berlino del 1945, dopo la fine della Se-conda guerra mondiale: scheletri di case distrutte dai bombardamenti alleati e macerie a perdita d’occhio, nulla che potesse ricordare la elegante metropoli dell’era guglielmina. Eppure, in quel di-sastro i berlinesi in qualche modo devono essere riusciti a mettere in salvo qualche lacerto della lo-ro storia urbana. Alcuni dei monumenti principali come il Duomo, aristocratici palazzi barocchi del centro e il Castello di Charlottenburg erano stati restaurati, ma non è a questi che io mi riferivo, pensavo invece alle residenze borghesi, plurifa-miliari in città e unifamiliari nel suburbio. Lugano

e la Svizzera però – con la dolorosa eccezione di Sciaffusa – erano state risparmiate dalla guerra. Ma la Perla del Ceresio ha cominciato a perdere la sua lucentezza proprio negli anni del conflitto. Tra il 1939 e il 1940 aveva avuto luogo l’azzera-mento dell’antico rione di Sassello. Già nei pri-mi anni del Dopoguerra la pressione speculativa aveva attaccato l’ordinata città ormai compiuta e bella, descritta da Vittore Frigerio nei suoi roman-zi, la città disegnata dai piani regolatori dei primi del Novecento, dovuti in gran parte alla perizia dell’architetto Americo Marazzi. Al nucleo più antico era stato affiancato lo sviluppo moderno, verso il lungolago e in direzione del parco di Villa Ciani. Tutto intorno, quartieri di case unifamiliari più o meno grandi e decorate a seconda del ceto dei committenti, ma tutte circondate da ridenti giardini. Ebbene con la fine della Seconda guerra mondiale se ne è aperta un’altra, tutta luganese, che ha mietuto vittime in quantità facendo strage di edifici storici. È sparito tutto, le case più anti-che, quelle del Settecento, dell’Ottocento fino al-le case degli anni Trenta, sia le case del centro sia i villini della periferia, sostituiti da contenitori più grandi e redditizi. Per esempio possiamo ricorda-re piazza Dante che ha cambiato completamente aspetto a partire dagli anni Sessanta e i villini di Besso, ridotti ormai a numeri minimi. In un se-condo tempo, ospite del programma radiofonico Moby Dick avevo affermato che contrariamente a Lugano, alcune città europee hanno saputo conservare il loro tessuto urbano tradizionale, e a quello ne hanno affiancato uno moderno. Tra

Berlino, Barcellona e Bellinzona

Riccardo Bergossi

Bellinzona, panorama.(Foto: Renato Quadroni)

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Berlino, Hateckermarkt.In alto nel 1913,

in basso corte internadopo il recente

restauro.

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queste realtà urbane avevo citato Barcellona. Da un altro partecipante mi era stato risposto che la capitale della Catalogna negli ultimi anni ha visto un rinnovamento eccezionale, dovuto mi si disse, al coraggio delle autorità e degli architetti. Aven-dola visitata quasi vent’anni prima, sono stato indotto a credere che da allora Barcellona avesse radicalmente cambiato la sua storica immagine. In una recente visita ho potuto constatare che è vero il contrario. È rimasto intatto non solo il centro antico, sviluppato alle spalle del vecchio porto e intorno alle grandi chiese gotiche, ma anche tutto lo sviluppo di fine Ottocento e dei primi del Novecento, con l’edilizia sorta sulla ti-pica scacchiera di isolati quadrati con gli angoli smussati disegnata da Ildefons Cerdà nel 1857. Non solo le famose opere di Antoni Gaudí come la Sagrada Familia, Casa Batllò e Casa Milà ma anche tutta l’edilizia minore e perfino gli edifici industriali di inizio Novecento sono conservati e protetti. Il coraggio dei politici di Barcellona si è mostrato invece proprio nel preservare la città dalla speculazione fondiaria e nel portare a buon fine interventi che hanno creato nuove aree libe-re destinate allo svago dei cittadini, per esempio con lo spettacolare recupero del lungomare con spiagge, percorsi pedonali e ciclabili e verde, tan-to verde che una strada di attraversamento veloce collocata tra l’abitato e le aree liberate è una pre-senza molto discreta. Che cosa c’entra tutto que-sto con Bellinzona? La capitale cantonale, tra gli agglomerati ticinesi maggiori è quella che finora ha conservato una maggiore porzione del tessuto storico. Ci sono state anche qui delle operazio-ni sconvolgenti, pensiamo alla Cervia, ma per il resto il centro antico, gli ampliamento ottocente-schi e i quartieri di villini sono arrivati fino a og-gi. Arriveranno anche a domani? Questo si sono

chiesti i 2300 firmatari della petizione “Salviamo le belle ville di Bellinzona” promossa dalla STAN e consegnata alla cancelleria comunale nell’agosto del 2013. La pressione speculativa che ha inve-stito Lugano e Locarno è giunta ora alle porte di Bellinzona. La campagna che circonda la città si sta consumando a una velocità che è tutto il con-trario della calma che ha sempre contraddistinto la Turrita. Recentemente il Municipio ha ricevuto dall’Ufficio dei beni culturali l’elenco dei beni de-gni di tutela a livello locale – pare siano circa 300 oggetti – e ha deciso di fermare provvisoriamen-te gli interventi che prevedono la demolizione di edifici storici. Nel frattempo ha scelto un pia-nificatore per assistere una commissione specia-le incaricata di esaminare ogni caso e «valutare tutti gli interessi in gioco» per arrivare a redigere l’elenco dei beni che saranno effettivamente pro-tetti mediante una variante del piano regolatore. Non è questo l’approccio che si sperava. La deter-minazione dei beni culturali è questione culturale, non è né politica né pianificatoria. Se la Città di Bellinzona ha deciso di evitare la distruzione del suo patrimonio storico, adotti l’elenco dell’Ufficio dei beni culturali, un documento compilato da esperti che hanno potuto rivolgere il loro sguar-do su tutto il territorio cantonale e costruirsi un sicuro metro di paragone. Il Municipio si avvalga piuttosto della collaborazione di uno/una storica dell’arte incaricata di valutare se il Cantone ab-bia omesso di menzionare oggetti che sul piano comunale possono avere un significato sfuggito a livello superiore. Con le commissioni speciali, le cui giacchette sono lì per essere tirate da tutte le parti, e le valutazioni di «tutti gli interessi in gio-co» non si va lontano, si mettono invece le basi perché Bellinzona non faccia rima con Barcellona, né con Berlino ma … con Lugano.

Barcellona,Plaça de Catalunyanel 1939… e oggi.

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Vale la pena di impegnarsiper tutelare e valorizzareil retaggio culturale?

IeriLugano, piazza Dante,lato nord, Casa Brusa,

1920-21,in un’immagine

degli anni Cinquanta.(Foto: Vincenzo Vicari,

da: Vincenzo Vicari e Mario Agliati,

Lugano racconto di ieri,Muzzano-Lugano,

1998-1999.

Con l’emozione nel cuore per il grande successo dell’iniziativa “Un futuro per il no-stro passato: per una più efficace protezione del patrimonio culturale del territorio ticinese”, riprendiamo la documentazione storica della mala-architettura, ossia la de-nuncia di Milo Miler nell’ambito della mostra “La grande bruttezza” alla casa d’arte Miler di Capolago, sostenuta dalle straordinarie testimonianze fotografiche di Fabio Minasso confrontate con immagini d’epoca dell’indimenticabile fotografo Vincenzo Vicari. A mo’ di contrappunto, pubblichiamo pure le risposte di alcuni autorevoli pro-fessionisti che, di buon grado, hanno risposto alla nostra domanda retorica: «Vale la pena di impegnarsi per tutelare e valorizzare il retaggio culturale?»Le oltre 12’000 firme raccolte in meno di otto settimane sono un segnale eloquente, un monito tangibile della popolazione ticinese verso le autorità cantonali e comunali che troppo hanno permesso di distruggere e troppo spesso senza esigere che gli edifici sostitutivi non fossero mortificanti per il paesaggio e il quadro di vita.Dopo il ringraziamento di rito a tutti coloro che si sono impegnati nella raccolta e ancor più a tutti coloro che ci hanno sostenuto con la loro firma, assicuriamo l’impe-gno della STAN a vigilare sul seguito della procedura, vuoi perché il nostro territorio è ancora molto ricco di edifici meritevoli di tutela, vuoi perché non possiamo più permettere che il patrimonio storico-culturale del Ticino venga ulteriormente e pla-tealmente scialacquato. (Benedetto Antonini)

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Contrastare e frenare la crescente e inarrestabile speculazione edilizia che sta erodendo e stravol-gendo a macchia di leopardo il nostro territorio sia a livello paesaggistico, sia attraverso l’abbatti-mento scriteriato della sostanza storica dei nostri centri urbani e dei villaggi, non è impresa da poco, visto che questo fenomeno non è di oggi, ma è presente in modo macroscopico almeno a partire dal secondo dopoguerra e non si è riusciti nel frattempo a porvi adeguato rimedio. Le accese denunce dei Bianconi, Gilardoni, Agliati, Carloni e altri ancora, sono passate troppo spesso inosservate. An-che quando sono servite a preservare un bene culturale puntuale, non sono riuscite a incidere sulla forma mentis dei ticinesi: accanto a un oggetto salvato, decine di altri simili, se non a volte ancora più importanti e significativi, sono caduti sotto le ruspe. Per poter essere incisivi occorre quindi in-nanzitutto affinare gli strumenti legislativi di tutela e soprattutto trovare i mezzi affinché le regole vengano rispettate. Particolare riguardo occorre prestare ai piani regolatori presenti in ogni comu-ne ticinese: troppo spesso risultano datati e contraddittori. Com’è possibile che un comparto con villette d’inizio secolo in stile Liberty o Art Deco, sviluppate su due-tre livelli, possa prevedere sullo stesso sedime l’edificazione di un immobile di 5-6 piani? L’abbattimento del villino prima o poi è evidentemente già scritto. Accanto alle leggi e alle norme è però indispensabile muoversi su di un al-tro livello, affinché queste regole non vengano percepite come imposizioni calate dall’alto. Occorre quindi lavorare sul piano dell’educazione e della sensibilizzazione del singolo cittadino affinché sia lui stesso a capire l’importanza e il significato della conservazione e di conseguenza percepisca la tu-tela dei manufatti storici e del contesto paesaggistico in cui sono inseriti, non come una limitazione ma come una ricchezza e una risorsa sul piano identitario e culturale. In questo difficile ma impre-scindibile processo di presa di coscienza del valore del paesaggio e del bene culturale, un ruolo de-terminante lo deve svolgere la scuola. Molte le materie che possono e devono avere un ruolo attivo in questa direzione, dalla storia alla geografia, dalla cultura italiana alla filosofia, ma su tutte la storia dell’arte, la quale deve educare a riflettere attorno al bello e ai suoi molteplici significati e valenze e, come scrive Cesare de Seta, aprirsi in senso antropologico, «capace cioè di riflettere sulla storia delle cose e sulla storia dell’ambiente in cui si vive», in modo da risultare «particolarmente idonea a un insegnamento che voglia essere presa di coscienza, approccio di base alla realtà materiale e che voglia essere cultura comune di ogni cittadino (…). Difendere i paesaggi reali dipinti da Piero della Francesca è importante quanto difendere le sue tele; educare i giovani a intendere l’uno e l’altro è assicurare che quel paesaggio e quel dipinto costituiscano un’eredità di bellezza da trasmettere alle future generazioni».

Edoardo Agustoniinsegnante di storia dell’arte

Oggi(Foto: © Enrico Minasso)

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IeriMelide, Villa Branca,

poco primadella sua distruzione.(Foto:Archivio STAN)

Lugano, via Peri 21,Istituto Sant’Anna,

1910-11,in un’immagine

degli anni Cinquanta.(Foto: Vincenzo Vicari,

da: Vincenzo Vicari e Mario Agliati,

op. cit.).

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Oggi(Foto: © Enrico Minasso)

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«Il mondo non lo abbiamo in eredità dai nostri padri, ma in prestito dai nostri figli» (detto indiano)

Tradizione, cultura e retaggio culturale appartengono a noi tutti. Da noi dipende cosa lasceremo alle future generazioni e in quale stato. Dobbiamo avere senso di responsabilità e lungimiranza nelle nostre scelte per tutelare il territorio, i beni culturali, architettonici, artistici, storici, dell’artigianato e, oso aggiungere, la nostra cultura culi-naria e coltivazioni, affinché questi rimangano espressioni concrete del nostro passato, in cui ci pos-siamo riconoscere, identificare e da cui possiamo trarre insegnamento per evolvere positivamente. Nel mondo sempre più globalizzato è determinate riuscire a mantenere la nostra identità e poterci rivolgere verso il futuro costruendo su basi solide.Dobbiamo rispettare il passato e proiettare la nostra coscienza verso i nostri nipoti, non facendo i conti solo con il presente in termini economici.Ciò che viene distrutto non potrà mai rinascere.Dobbiamo curare e rispettare il nostro patrimonio integrandolo nel progresso e nelle trasformazioni contemporanee, senza eliminarne le tracce ma evitando di avere uno sguardo nostalgico.

Monique Bosco-von AllmenDipl. Arch. ETHZ

Ho letto la domanda. Poi l’ho riletta e ho pensato che non avrei mai immaginato che qualcuno si sarebbe prima o poi sentito costretto a impostare la questione della tutela del “retaggio culturale” con tale disarmante brutalità. Sarebbe come chiedere se abbia senso la conservazione della stessa sostanza di cui noi siamo fatti. Ha senso essere qui, ora, in questo territorio, e non essere altrove? Ha senso capire e conservare il nostro passato? Ha senso nutrirci e tutelare i linguaggi artistici e architettonici che hanno fatto sentire la nostra voce in tutta Europa? Sì, perché ne va della nostra integrità. In nome delle ideologie, nel passato come nel presente, i “retaggi culturali” sono stati spesso spezzati, perché sentiti come un ostacolo all’imposizione di un modello economico e politico egemone. Le conseguenze sul piano sociale si sentono tuttora in vari contesti mondiali. Non voglio neppure immaginare che oggi, nel nostro tutto sommato florido e pacifico Ticino, si stia rivelando la stessa drammatica evenienza. Mi sembrerebbe più naturale rovesciare la questione e rispondere alla domanda sul perché non lo si debba fare. Ho la risposta quando passeggio sul lungolago di Lucerna

IeriCampione d’Italia,

Casinò.Cartolina d’epoca

(Anni Venti).

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e vedo le località lacuali della Svizzera Italiana come sarebbero potute (o come potrebbero) essere: le più belle, le più visitate, le più orgogliose, le più ricche e (forse non da ultimo) le più felici città della Svizzera.

Laura Damiani CabriniStorica dell’arte

I beni culturali sono un’eredità che abbiamo ricevuta dalle generazioni passate. Rappresentano una ricchezza enorme non tanto in termini finanziari, ma per la nostra memoria, la bellezza dei nostri villaggi e città ed il nostro rapporto con la patria. Gli edifici storici formano – insieme con l’architet-tura attuale, per l’alta qualità della quale dobbiamo legalmente impegnarci – il quadro per la nostra vita quotidiana, un paesaggio culturale nel quale si vive bene. Il Ticino ha perso tanti dei suoi edifici storici importanti, specificamente nel decennio passato. Figli e nipoti ci criticheranno per questa disattenzione perché un edificio storico, una volta perduto, è perduto per sempre. È forse l’ultimo momento per cambiare direzione e l’iniziativa STAN “Un futuro per il nostro passato” mi pare essere un importante passo nella buona direzione.

Bernhard FurrerArchitetto già pres. commissione federale dei monumenti storici

Sono profondamente convinta che i luoghi in cui viviamo condizionino il nostro stato d’animo e la nostra attitudine verso la vita. Credo che la conservazione dell’eredità culturale che ci è giunta sotto ogni forma sia fondamentale per assorbirne quotidianamente i valori e la bellezza e farne un punto di partenza per il futuro. Il nostro patrimonio architettonico è un bene per l’umanità intera, soprattutto per la ricchezza storico-artistica dei luoghi in cui abbiamo la fortuna di vivere. La mia scelta di lavorare come volontaria per il FAI in Svizzera lo testimonia. È stata per me una grande gioia vedere strappare ad una miope specu-lazione edilizia in Italia non solo il Bosco di San Francesco, la baia di Ieranto, il Castello di Masino e tante bellissime proprietà destinate ad andare in rovina o ad essere soggette ad abusi, ma anche luoghi meno grandiosi come il negozio Olivetti di Carlo Scarpa a Venezia e la minuscola bottega di barbiere di Genova. Sono tutti segni importantissimi della storia e della cultura in senso universale che abbiamo il dovere di trasmettere ai nostri figli. Ogni luogo che si riesce a salvare nel nostro bellissimo e tristemente tormentato Cantone dà un senso ai nostri sforzi quotidiani.

Simona Garelli ZampaPresidente FAI SWISS

Oggi(Foto: © Enrico Minasso)