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Il morso del serpente A questo punto mi sono reso conto che le tavole dei Sedici Modi non costituivano più la vera guida per sciogliere gli enigmi, ma rappresentavano piuttosto un inganno, anche se utile, per cui questo riferimento doveva essere superato per svolgere un’ulteriore indagine ricercando altrove i necessari indizi. Non lontano dall’Elefante, si trova la Fontana di Nettuno: il volto della divinità, che sia Nettuno, un Fiume o Oceano, mi ha colpito in modo particolare, anche perché mi è sembrato rievocare il volto barbuto che si delinea sulla sommità della Piramide. Osservando il volto, avverto la sua sofferenza, mi appare stanco e quasi in procinto di addormentarsi; poi noto, fra le pieghe delle vesti, vicino al collo del piede sinistro (manca il piede, che doveva essere saldato al blocco di pietra della scultura), un serpente, anzi, quello che, dalla testa, mi appare come un aspide; questo serpente sembra che abbia morso il nostro Nettuno alla caviglia, come si può dedurre dalla posizione aperta e irrigidita della mano destra, come sarebbe accaduto in seguito alla scossa provocata dal morso di una vipera.

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Il morso del serpente

A questo punto mi sono reso conto che le tavole dei Sedici Modi non costituivano più la vera guida

per sciogliere gli enigmi, ma rappresentavano piuttosto un inganno, anche se utile, per cui questo

riferimento doveva essere superato per svolgere un’ulteriore indagine ricercando altrove i necessari

indizi. Non lontano dall’Elefante, si trova la Fontana di Nettuno: il volto della divinità, che sia

Nettuno, un Fiume o Oceano, mi ha colpito in modo particolare, anche perché mi è sembrato

rievocare il volto barbuto che si delinea sulla sommità della Piramide. Osservando il volto, avverto

la sua sofferenza, mi appare stanco e quasi in procinto di addormentarsi; poi noto, fra le pieghe

delle vesti, vicino al collo del piede sinistro (manca il piede, che doveva essere saldato al blocco di

pietra della scultura), un serpente, anzi, quello che, dalla testa, mi appare come un aspide; questo

serpente sembra che abbia morso il nostro Nettuno alla caviglia, come si può dedurre dalla

posizione aperta e irrigidita della mano destra, come sarebbe accaduto in seguito alla scossa

provocata dal morso di una vipera.

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Dopo aver osservato la Fontana di Nettuno, mi sposto di pochi passi, e arrivo alla scultura della

“Dormiente”, una figura femminile di grandi dimensioni adagiata su una specie di letto di pietra, in

posizione abbandonata, come se dormisse o fosse sprofondata nel sonno della morte; accanto a lei

un cane da caccia sembra vegliarla e proteggerla. Oltre alla testa del cane, che è stata mozzata (la

testa attuale è stata aggiunta) e che ritroveremo come trofeo nel dipinto del Palazzo Orsini1, anche il

volto rovinato della Dormiente mi fa pensare che non sia stato il tempo a sfigurarla, ma la mano di

un uomo.

1 Torneremo spesso a citare l’affresco dipinto nel salone del primo piano del Palazzo Orsini per volere di Ippolito Lante

della Rovere e più avanti ne spiegheremo il motivo.

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Ho trovato una scena simile nel dipinto della Morte di Procri di Piero di Cosimo2, in cui si vede

parimente un cane che veglia presso il corpo della donna morta e sullo sfondo sembra delinearsi la

forma di un sarcofago; continuando a esaminare i dipinti di Piero di Cosimo, ho visto il ritratto di

Simonetta Vespucci3, raffigurata come Cleopatra, con un serpente avvolto intorno al collo, e mi è

sembrato che la treccia della Dormiente potesse in realtà celare la figura del serpente.

2 Piero di Cosimo: Morte di Procri (ca. 1495, Londra, National Gallery); il dipinto proviene dalle Collezioni

Guicciardini di Firenze e probabilmente ornava un cassone o una spalliera. La storia di Cefalo e Procri è riportata da

Ovidio (Metamorfosi VII, 752-765) e racconta di come Cefalo abbia ucciso, per errore, l’amata Procri che lo spiava,

sospettandolo di infedeltà; il cane che si vede nel dipinto è Lelapo, il segugio donato da Artemide, al quale non sfuggiva

alcuna preda.

3 Piero di Cosimo: Simonetta Vespucci ritratta come Cleopatra (ca. 1480, Chantilly, Museo Condé).

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Allora è scattato il collegamento con Cleopatra ed ho iniziato a cercare immagini di Cleopatra con

l’aspide: ho trovato una stampa del Raimondi con una Cleopatra morente4 adagiata in una posizione

simile alla Dormiente, mentre in un dipinto attribuito a Bartolomeo Neroni5 ho notato che Cleopatra

regge con l’aspide con la destra e protende due dita a indicare il morso del serpente con le ferite

inferte dai due denti veleniferi e la stessa posizione della mano con due dita protese, che ho

riscontrata anche in alcune immagini di Cleopatra di Antonio Puliga, la possiamo vedere nella

statua della Dormiente. Mi è sembrato quindi evidente che la Dormiente del Parco stia in realtà

morendo e che il masso su cui giace ne rappresenti il sarcofago, mentre il cane, come quello di

Procri, veglia su di lei.

4 Marcantonio Raimondi: Cleopatra morente (Pavia, Musei Civici): incisione eseguita su disegno di Raffaello verso il

1520

5 Bartolomeo Neroni: Cleopatra (metà XVI secolo, Philadelphia, Philadelphia Museum of Art)

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Nel dipinto di Piero di Cosimo di Venere, Marte e Amore6, trovo che la postura del corpo di Venere

è simile a quella della Dormiente, con il braccio che forma un angolo di 90 gradi arrivando fino ai

fianchi e in cui troviamo una lepre al posto del cane Leleapo. E molto simile appare anche la Venere

di Urbino di Tiziano7, in cui possiamo notare delle analogie con la Cleopatra di Bartolomeo

Neroni, come la posizione della mano con le due dita protese, il pendente sull’orecchio sinistro, la

postura della testa, il bracciale (che troviamo anche nella Dormiente del Parco) e la treccia a destra

che, come nella Dormiente, potrebbe nascondere una vipera pronta a mordere: il che potrebbe

portare ad una diversa interpretazione della Venere di Urbino, così come il confronto fra diversi

dipinti e le statue del parco riserverà delle nuove sorprese.

6 Piero di Cosimo di Venere, Marte e Amore (ca. 1490, Berlino, Gemäldegalerie)

7 Tiziano: Venere di Urbino (1538, Firenze, Galleria degli Uffizi)

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L’esistenza dei serpenti nel parco, apre nuovi scenari anche sui dipinti, Vicino Orsini è stato

davvero bravo a nascondere i serpenti nelle sue sculture e solo il fatto che il piede di Nettuno fosse

staccato mi ha dato la possibilità di vedere che la piega del suo vestito poteva trasformarsi in una

vipera pronta a morderlo. Vicino Orsini ha preso sicuramente spunto dai dipinti di numerosi autori

che, come in un gioco, hanno nascosto serpenti tra pieghe di vesti, tra le trecce delle Veneri e di

altre figure femminili, proprio come possiamo vedere nel Parco. Quei serpenti, simbolo della

Prudenza e dell’amore per la Conoscenza, rappresentano anche un modo di proteggere le figure

raffigurate e in particolar modo le donne: Cleopatra è morsa dell’aspide, ma il serpente, è ben

evidente, la farà vivere in eterno; dopo Cleopatra, le Veneri, le Madonne, le Dame continueranno ad

avere il loro serpente nascosto, pronto a rendere più sicura la loro morte, ma anche a ridare loro la

vita.

Pensiamo alle sepolture etrusche e romane,

dove il serpente rappresentava la protezione

nell’aldilà: in una tomba a edicola in

località Castelluzza, vediamo una serpe

scolpita nel peperino in prossimità dell’urna

funeraria a testimoniare la sua difesa del

defunto; del resto, in quei periodi avere un

serpente in casa era come avere un

cagnolino o un gatto.

Un’altra tomba, rinvenuta a Bomarzo in località

Pianmiano, la tomba di Vel Urinates, presenta, sopra

al sarcofago, due serpenti intrecciati a significare

l’unione eterna tra i due coniugi, il che farebbe

pensare che Vicino Orsini conoscesse questa famosa

tomba dipinta da cui fu estratto il sarcofago di Vel

Urinates, oggi esposto al British Museum: una

ipotesi, certo, priva di precisi riscontri, ma non del tutto inverosimile se si pensa che le tombe

Etrusche rinvenute nella zona di Bomarzo, secondo quanto ha rilevato la Soprintendente Maria

Letizia Arancio, presentano più periodi di sepoltura, da quelle etrusche a quelle romane e forse

anche a più recenti; una circostanza testimoniata dal fatto che i sigilli delle tombe etrusche sono

stati in qualche modo rimaneggiati, aprendole e risigillandole in più fasi (sarà il DNA delle ossa a

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far capire i periodi di sepoltura). La Soprintendente mi ha spiegato che in sostanza una famiglia

romana veniva sepolta in una tomba simile a quelle etrusche e, mano a mano che i parenti

morivano, la tomba veniva più volte aperta e richiusa, come anche oggi avviene con le cappelle di

famiglia dei nostri cimiteri.

Con l’avvento del Cristianesimo, i serpenti di certo non furono più ben visti e ancora oggi il

serpente resta per molti un simbolo del diavolo; quindi gli artisti dell’epoca di Vicino Orsini devono

aver corso qualche rischio nell’introdurre figure nascoste di serpenti nei dipinti, e ancora oggi non

credo che ne siano a conoscenza tante persone, anche perché la loro esistenza non è stata segnalata

nelle descrizioni dei dipinti. Si trattava, forse, di un segreto conosciuto e gelosamente custodito solo

da un gruppo ristretto di artisti e intellettuali, perché sarebbe bastato che uno parlasse e tutti

potevano essere a rischio; penso che neanche le donne raffigurate nei dipinti avrebbero mai rivelato

questo particolare, dal momento che l’Inquisizione era particolarmente sospettosa e crudele nei loro

confronti e frequenti erano per le donne le torture e le condanne al rogo per stregoneria.

Durante il suo soggiorno a Venezia nel 1543, Vicino Orsini aveva fatto parte dei vari gruppi

letterari ed è verosimile che sia stato messo a conoscenza dei segreti custoditi da questi letterati e

artisti, e forse è proprio qui che ha imparato a nascondere volutamente i serpenti che abbiamo

trovato nel Parco, così come hanno fatto diversi pittori di quel periodo.

Deve quindi far riflettere il fatto che, come gli artisti, anche i letterati avevano in qualche modo

nascosto il serpente “tra le righe”, creando inganni nella formulazione di frasi, poesie e canti,

riuscendo fino ad oggi a nascondere dei segreti nei testi, nei dipinti e in opere di ogni genere;

quindi, come quel gruppo di artisti e letterati, anche l’Orsini ha creato inganni nel suo Boschetto,

tanto più che era stato educato all’arte della guerra in cui l’astuzia e l’inganno erano indispensabili

per salvarsi in situazioni pericolose, situazioni in cui verrà ben presto a trovarsi nelle campagne

militari alle quali prenderà parte negli anni seguenti.