IL MENSILE DELL’EDUCAZIONE INTERCULTURALE · multireligiosa CEM-Sud | Perché la ... una svista/...

52
IL MENSILE DELL’EDUCAZIONE INTERCULTURALE 5|2012 maggio www.cem.coop Poste Italiane S.p.A. - Sped. D.L. 353/03 (conv. L. 27/02/04 n. 46) Art. 1 - Comma 1 - DCB Brescia - Anno LI - n. 5 - Maggio 2012 - Via Piamarta 9 - 25121 Brescia - Contiene I.R. ® Religione Rivista del Centro Educazione alla Mondialità (CEM) dei Missionari Saveriani di Parma con sede a Brescia

Transcript of IL MENSILE DELL’EDUCAZIONE INTERCULTURALE · multireligiosa CEM-Sud | Perché la ... una svista/...

I L M E N S I L E D E L L ’ E D U C A Z I O N E I N T E R C U L T U R A L E

5|2012maggio

ww

w.c

em

.co

op

Post

e Ita

liane

S.p

.A. -

Spe

d. D

.L. 3

53/0

3 (c

onv.

L. 2

7/02

/04

n. 4

6) A

rt. 1

- Co

mm

a1

- DCB

Bre

scia

- An

no L

I - n

. 5 -

Mag

gio

2012

- Vi

a Pi

amar

ta 9

- 25

121

Bres

cia

- Con

tiene

I.R.

®

ReligioneR i v i s t a d e l C e n t r o E d u c a z i o n e a l l a M o n d i a l i t à ( C E M ) d e i M i s s i o n a r i S a v e r i a n i d i P a r m a c o n s e d e a B r e s c i a

cem_maggio_2012_copertina 03/05/2012 11.01 Pagina 1

Rivista del Centro Educazione alla Mondialità (CEM)dei Missionari Saveriani di Parma, con sede a Brescia

DirettoreBrunetto [email protected]

Condirettori Antonio Nanni ([email protected]) Lucrezia Pedrali ([email protected])

SegreteriaMichela [email protected]

Redazione Federico Tagliaferri (caporedattore)[email protected]

Monica Amadini, Daniele Barbieri, CarloBaroncelli, Davide Bazzini, Giuseppe Bias-soni, Silvio Boselli, Luciano Bosi, PatriziaCanova, Azzurra Carpo, Stefano Curci, Mar-co Dal Corso, Lino Ferracin, Antonella Fu-cecchi, Adel Jabbar, Sigrid Loos, Karim Me-

tref, Clelia Minelli, Roberto Morselli, NadiaSavoldelli, Alessio Surian, Aluisi Tosolini,Rita Vittori, Patrizia Zocchio

Collaboratori: Roberto Alessandrini, RubemAlves, Fabio Ballabio, Michelangelo Belletti,Simona Botter, Paolo Buletti, Gianni Cali-garis, Andrea D’Anna, Gianni D’Elia, Marian-tonietta Di Capita, Alessandra Ferrario, Fran-cesca Gobbo, Cristina Ghiretti, Piera Gioda,Stefano Goetz, Grazia Grillo, Mimma Iannò,Renzo La Porta, Lorenzo Luatti, FrancescoMaura, Maria Maura, Oikia Studio&Art, Ro-berto Papetti, Luciana Pederzoli, Carla Sar-tori, Eugenio Scardaccione, Oriella Stamer-ra, Nadia Trabucchi, Franco Valenti, Gian-franco Zavalloni

Direttore responsabileMarcello Storgato

Direzione e RedazioneVia Piamarta 9 - 25121 Brescia Telefono 030.3772780 - Fax [email protected]. n. 11815255

Amministrazione - abbonamentiCentro Saveriano Animazione MissionariaVia Piamarta 9 - 25121 Brescia Telefono 030.3772780 - Fax 030.3774965 [email protected]

Quote di abbonamento10 num. (gennaio-dicembre 2012) € 30,00Abbonamento triennale € 80,00Abbonamento d’amicizia € 80,00Prezzo di un numero separato € 4,00

Abbonamento CEM / esteroEuropa € 60,00Extra Europa € 70,00

Grafica: Orione. Cultura, lavoro e comunicazioneDisegni di copertina: Silvio BoselliStampa: Tipografia Camuna - Brescia

[email protected]

www.cem.coop

Registrazione Tribunale di Parma, n° 401 del 7/3/1967

Editore: Centro Saveriano Animazione Missio-naria - CSAM, Soc. Coop. a r.l., via Piamarta 9 -25121 Brescia, reg. Tribunale di Brescia n° 50127in data 19/02/1993.

La testata fruisce dei contributi statali diretti dicui alla legge 250 del 7 agosto 1990.

editorialeQuel bisogno di Faber... 1Brunetto Salvarani

questo numeroa cura di Federico Tagliaferri 2

l’altroeditorialeStati generali: manutenzione, rivoluzione 3Aluisi Tosolini

pedagogia della lumacaL’esame di Stato del peggiore 4della scuolaGianfranco Zavalloni

Sommarion. 5 / maggio 2012

Manifesti, grandi codici e carte 23di mondialità. Verso una sintesi apertanona puntata

a cura di Antonio Nanni, Antonella Fucecchi

ascuolaeoltre

bambine e bambini

Giorno per giorno 5Lucrezia Pedrali

ragazze e ragazzi

Uno, nessuno, centomila amici 7Sara Ferrari

generazione y

La trasmissione interrotta 9Antonella Fucecchi

in cerca di futuro

L’intercultura come «educazione 11alla ricerca» in un mondo globaleDavide Zoletto

educazione degli adulti

Bene-dire, Bene-di-azione 12Rita Roberto

mondialità

La figura di San Guido Conforti 14e la mondialitàAntonio Nanni

l’ora delle religioni

Per una teologia interreligiosa 16postmodernaMarialuisa Damini, Marco Dal Corso

agenda interculturale

Una scossa all’albero 33Alessio Surian

domani è accaduto

2020-2100. Le previsioni 35di Arthur Clarkea cura di Dibbì

spazio CEM

Un «grazie» dal 22° Festival 36del cinema africano

Quale futuro per l’Italia 37multireligiosa

CEM-Sud | Perché la cittadinanza 38sia un diritto e non una concessioneRosaria Ammaturo

crea-azione

Roma. Primavera latinoamericana 40Chieti. Festa dei popoliNadia Savoldelli

mediamondo 41

nuovi suoni organizzati

Jazz, la musica del diavolo 43Luciano Bosi

saltafrontiera

Tante storie... nei libri senza parole 44Lorenzo Luatti

cinema

Il piccolo Nicolas e i suoi genitori 45Lino Ferracin

i paradossiMamma è soffrire in paradiso 47Arnaldo De Vidi

la pagina di... rubem alvesI demoni, Dio e la bellezza 48

Sentinella, quanto resta della notte? Oltre ogni crisi, per un nuovo patto generazionale

9) La religione

Nel nome di un Dio estraneo. 18La prima generazione incredula Armando Matteo

brics

Suggestioni dalla Cina 20Gianni Caligaris

di padre in figlio

Padre single povero 29con figlio a caricoSara Ferrari

cem_maggio_2012_copertina 03/05/2012 11.01 Pagina 2

brunetto salvarani | direttore [email protected]

Quel bisogno di Faber...

editoriale brunetto salvarani | direttore [email protected]

zioni incentrate sul Dio dei perdenti, degli sconfitti, deidiseredati. Sul Dio di Gesù... Ma è sufficiente, questo,per consegnare l’artista a una fede positiva? Persino ladomanda suona stonata! Non è un esercizio inutile, tut-tavia, verificare quanto il confronto col Cristo l’abbia se-gnato nel profondo (rinvio qui al bel libro di Paolo GhezziIl Vangelo secondo De André, Ancora 2006): tanto piùche il ricorso collettivo alle canzoni di Fabrizio è statoesercizio frequente nei gruppi giovanili del postconcilio,e oggi è una delle rare memorie condivise dagli ex ses-santottini con quanti hanno vent’anni nel Duemila. Non è serio, ripeto, il tentativo di battezzare il Nostro,iscrivendolo arbitrariamente alla «grande chiesa - perdirla con Jovanotti - che passa da Che Guevara e arrivafino a Madre Teresa»! Lui, che non si disse ateo, noncredeva nel Dio delle chiese. Peraltro, nessun altro autoredi canzoni del Novecento ha toccato così a fondo il pro-blema del Dio di Gesù Cristo. Una contraddizione soloapparente, agli occhi di chi l’abbia seguito dagli esordi,cogliendone il forte approccio etico e la pietas per ireietti dalla società. Il fatto è che, al di là delle sue stesseintenzioni, De André ha rivestito una diretta influenzateologica sulla cultura italiana dell’ultimo quarantennio.Il riferimento va oltre a quell’autentico capolavoro che èLa Buona Novella, emblema di un’inquietudine genera-zionale alla ricerca delle ragioni di una ribellione interiorepoetica e radicale, per allargarsi a tanti brani disseminatidi orme evangeliche, che ci consegnano una memorabilegalleria di variopinti santi peccatori. Prostitute e assassini,pescatori e musicisti, bevitori e bombaroli, nativi ameri-cani e zingari, tutte anime salve in quanto rifiutate dalpotere, e riscattate dall’unica religione da lui coerente-mente praticata: quella dell’umana compagnia e dellasolidarietà con gli esclusi. Non dimenticare Faber - diceva don Antonio Balletto, ilprete concittadino che ne celebrò i gremiti funerali

«ci aiuta a tirare avanti, a credereancora all’uomo e al suo futuro. E ci aiuta a conservare un po’d’umanità, in tempi che nonsarebbero piaciuti per nulla a Fabrizio e che non piacciononeppure a noi».

editoriale

A oltre un decennio dalla sua scomparsa, avvenutaa sessant’anni scarsi d’età nel gennaio 1999, lafigura di Fabrizio De André sta registrando

un’ampia fioritura d’iniziative (mostre, concerti, trasmis-sioni TV, pubblicazioni) a un livello senza precedenti inItalia. Si direbbe che il cantautore genovese stia inter-cettando post-mortem quel bisogno di poesia e legamisociali mai interamente sopito eppure oggi particolar-mente carente. Non si tratta, si badi, dell’effetto-nostalgiadi cui siamo preda approdati alla boa di una certa età:molti protagonisti degli eventi citati sono giovani o gio-vanissimi, che all’epoca degli storici primi album conceptdi Faber - da Tutti morimmo a stento a Non al denaro,non all’amore né al cielo - non erano neppure nati, ehanno certo più dimestichezza con MP3 e iPod che coni padelloni in vinile a 33 giri con cui trafficavamo noi…Come mai? Secondo me, il motivo va ricercato nella ca-pacità del Bob Dylan italiano (ma Fernanda Pivano so-steneva che bisognerebbe piuttosto dire che Dylan è ilFabrizio americano...) di spaziare con grande lirismosu temi universali: fra i quali, non ultimo e non secondarioappare quello religioso. Il che non equivarrà a ingabbiarlonell’alveo di una confessione religiosa ufficiale, tantomeno a eleggerlo ad ateo devoto ante litteram. «Ricorda Signore questi servi disobbedienti/ alle leggidel branco/ non dimenticare il loro volto/ che dopo tantosbandare/ è appena giusto che la fortuna li aiuti/ comeuna svista/ come un’anomalia/ come una distrazione/come un dovere»: si chiudeva così, con versi rubati alloscrittore colombiano Alvaro Mutis, il vasto canzoniere

di Faber. Il pezzo, Smisurata preghiera, concludel’ultimo cd, forse il vertice della sua produzione,

Anime salve. È curioso ripensare che l’albumd’esordio, trent’anni prima, dal titolo mini-malista Volume primo, si apriva con Pre-

ghiera in gennaio, dedicata al-l’amico suicida Luigi Tenco:quasi l’intero repertorio sia

una suggestiva inclusionetra due commosse ora-

cem_maggio_2012_rivista_maggio 03/05/2012 10.46 Pagina 1

Q uesto numero conclude l’annata 2011-2012 di CEM Mondialità, dedicata al tema «Sentinella, quanto resta della

notte? Oltre ogni crisi, per un nuovo patto generazionale», trattando della religione, a cui Armando Matteo dedica

un dossier intitolato «Nel nome di un Dio estraneo. La prima generazione incredula». «L’espressione “la prima gene-

razione incredula” - scrive l’autore - vorrebbe portare all’evidenza il tratto complessivo dei dati sin qui ricordati (risultanti dalle

inchieste sociologiche esposte in apertura del dossier - n.d.r.). Siamo sostanzialmente di fronte a una radicalizzazione delle

difficoltà del rapporto tra la religione cristiana cattolica e il mondo giovanile: una radicalizzazione che trova come suoi elementi

caratterizzanti la rapidità del coinvolgimento di quote sempre più ampie di giovani, la sostanziale omogeneità di genere, la

pacatezza dei modi del distacco dall’universo ecclesiale. Siamo perciò dinanzi a una generazione - quella nata dopo il 1981 -

che non si pone contro Dio e contro la Chiesa, ma che sta imparando a vivere - e a vivere pure la propria ricerca spirituale -

senza Dio e senza la Chiesa. Il trend generale è appunto quello

dell’estraneità, carattere che non indica un essere contro, ma

un essere senza». Quali sono le cause di questo fenomeno? «Non

è possibile cogliere fino in fondo le ragioni dell’inedito

credere/non credere dei giovani italiani, senza prendere in con-

siderazione le generazioni che l’hanno preceduta», risponde l’au-

tore, proponendo al lettore un’accurata e brillante analisi del fe-

nomeno del giovanilismo, diffusosi largamente nella società ita-

liana a partire dai rivolgimenti del ’68, che ha impedito il formarsi

di una generazione di padri in grado di trasmettere la fede ai

figli. Un tema che s’inserisce a perfezione nella riflessione proposta

da CEM sulla necessità di un nuovo «patto generazionale». L’in-

serto centrale del «dossier», «Ri-pensare la mondialità», curato

da Antonio Nanni e Antonella Fucecchi, è dedicato a «Manifesti,

grandi codici e carte di mondialità», un percorso guidato tra i

principali documenti elaborati dalle organizzazioni internazionali in difesa dei diritti umani, della dignità delle donne, dei

popoli indigeni, delle minoranze, della stessa Terra. Sul tema «mondialità» prosegue inoltre nella prima parte della rivista, nella

sezione «A scuola e oltre», la riflessione di Antonio Nanni dedicata a San Guido Maria Conforti, santo della mondialità.

Nella sezione «Resto del mondo», per la rubrica di cinema, Lino Ferracin ci presenta «Il piccolo Nicolas e i suoi genitori»,

pellicola che trae ispirazione dalla fortunata serie di fumetti ideata dall’illustratore francese Jean-Jacques Sempé. Il film

narra la delicata, avventurosa e divertente storia di Nicolas, bambino che si convince, per una serie di equivoci, che in casa

arriverà un fratellino… ma presto Nicolas, con l’aiuto degli amici, è pronto alle contromisure! nnn

Cari lettori, consultate il sito www.cem.coop, vi troveretearticoli e documenti non disponibili sulla rivista!Le immagini a corredo di questo numero si riferiscono a passate edizioni del Convegno annuale di CEM.

2 | cem mondialità | maggio 2012

Questo numero

a cura di Federico [email protected]

Rocca di Papa 1963

cem_maggio_2012_rivista_maggio 03/05/2012 10.46 Pagina 2

maggio 2012 | cem mondialità | 3

Il 19 marzo il ministrodell’istruzione FrancescoProfumo ha annunciato che ilprossimo settembre sisvolgeranno gli «Statigenerali» della Scuola. Si tratterà - ha chiarito ilministro - di un’occasione per«far parlare i ragazzi».

Un passo indietro

Con la dizione Stati Generali si indica, storica-mente, un organo di rappresentanza dei treceti sociali esistenti nello Stato francese prima

della rivoluzione del 1789. Si trattava di un’assembleadi origine feudale che aveva la funzione di limitare ilpotere monarchico, in particolare nei momenti di peri-colo incombente e grave crisi complessiva. Com’ènoto, gli Stati Generali della Francia, incapaci di rifor-marsi, finirono in soffitta quando il Terzo Stato (la bor-ghesia) si ribellò ai nobili ed al clero e si autoproclamòl’unico vero rappresentante della Francia assumendoil nome di Assemblea Nazionale. Ciò detto, non credo che gli Stati Generali della scuolapromessi dal ministro Profumo aprano una stagione ri-voluzionaria, anzi. Gli Stati Generali serviranno, a dettadel ministro stesso, perché noi non «abbiamo tutte le ri-sposte» e «sappiamo la metà delle cose», con il risultatoche «molte volte i nostri figli a scuola si annoiano». Invece,sottolinea il ministro, «in questi ultimi 150 anni la scuolaè stata uno dei simboli dell’Unità d’Italia» e il suo ruoloè ancora oggi quello di «costruire la nuova cittadinanza».Nuove riforme in vista? No, per fortuna! «La scuola nonha bisogno di ulteriori riforme, già ce ne sono state trop-pe», il ministro ha detto più volte in questi mesi.

Dal cacciavite alla manutenzione

Il ministro Fioroni dopo i 5 anni della Moratti instauròun periodo di manutenzione del sistema dicendo che

occorreva intervenire con la logica del cacciavite, ov-vero registrando i vari ingranaggi senza ulteriori inter-venti. Ma durò poco, e non per colpa sua. Così il mini-stro Gelmini riprese la foga delle riforme immediata-mente dopo il suo insediamento. Ciò che ancora oggicontinua a lasciare il segno sul corpo della scuola è lalegge 133 del 2008, che ha portato ad una significativariduzione delle risorse umane e materiali a disposizionedel sistema (meno 7,8 miliardi di euro in 3 anni). Orasiamo di nuovo qui. Con la consapevolezza che non sitornerà indietro, ma anche che per cambiare, come ènecessario, non basta riprendere il passato, ma occorrefare i conti con un presente plurale per progettare nuovipercorsi di formazione degli uomini e delle donne delfuturo. E forse ripartire dall’ascolto dei ragazzi e delleragazze - se non è una finzione - può essere un buonmodo per cercare di ripartire.

Scommettere sull’educazione

Riforma degli organi collegiali e della governance dellascuola, TFA, agenda digitale... gli interventi realizzati inquesti pochi mesi dal ministro tecnico del governo tec-nico possono essere giudicati in modi diversi. Ciò chemi pare cruciale è tuttavia la consapevolezza che il mon-do della formazione e della scuola non costituisce un’inu-tile zavorra, un costo da tagliare... È invece una dellechiavi dell’equità e della nuova cittadinanza. Per questonon si può che continuare a scommettere sull’educa-zione. Una delle poche rivoluzioni possibili. nnn

Gli Stati Generali della scuola Manutenzione e rivoluzione

Aluisi [email protected] l’altroeditoriale

cem_maggio_2012_rivista_maggio 03/05/2012 10.46 Pagina 3

4 | cem mondialità | maggio 2012

Q uando ho iniziato la carriera di maestro di scuolamaterna mai avrei pensato di ritrovarmi un giornoa presiedere una commissione d’esame di licenza

di scuola media (oggi secondaria di 1° grado). Eppure unavolta divenuto Direttore Didattico e successivamente - comesi dice oggi - Dirigente Scolastico, un giorno mi sono trovatodi fronte a questa esperienza. Il debutto, una decina di annifa, è avvenuto in una bella scuola della periferia di Cesena.E durante la sessione degli orali i colleghi della commissione(nella secondaria di 1° grado sono i professori stessi dellaclasse) mi annunciarono il candidato successivo come «ilpeggiore della scuola». Poiché amo le sfide, la mia rispostafu immediata: «Allora lo interrogo io!». Il candidato era im-ponente: alto quanto me (185 cm), robusto, calzoncini alleginocchia e una folta peluria alle gambe. Un ragazzo che,se fosse nato qualche decina di anni prima, alla sua età, loavremmo trovato a mietere il grano o a spaccar pietre inuna miniera. Per me fu spontaneo sapere qualcosa di lui egli chiesi subito dove abitava. «In una casa di campagna»,fu la risposta. Lo incalzai per sapere se attorno alla casac’era un campo coltivato… e la risposta fu affermativa: unapiccola azienda agricola di tipo intensivo, tipica della bassaRomagna. Gli chiesi allora se erano i genitori a coltivare iltutto. La risposta fu inattesa: entrambi i genitori erano operaie «a mandare avanti i campi» erano lui e suo nonno. Laconversazione si faceva sempre più interessante. «Ma chiusa il trattore e la motozappa?» La ri-conferma fu precisa:il nonno e lui. Poiché era fine giugno e nella campagna ce-senate si coltivano ciliegie, albicocche, pesche... e ognivarietà di verdure, gli chiesi se era mai stato al mercato or-tofrutticolo (forse il più grande mercato all’ingrosso d’Italia).Rimasi di stucco dalla sua risposta: «Ci vado anche domat-tina, con mio nonno!». Io da piccolo ero stato molte voltecon mio padre in quel mercato e così mi venne spontaneo

iniziare in quel modo la prova orale. Chiesi al ragazzo diraccontarmi nel dettaglio tutte le operazioni, dal confezio-namento della frutta e della verdura a casa, a tutti i passaggiche si sarebbero svolti sotto le tettoie del mercato stesso. Ilracconto fu molto preciso e dettagliato: il modo di predisporrefrutta e verdura nelle casse, l’arrivo al mercato, l’esposizionedelle cassette, la sirena che annunciaval’inizio delle operazioni, i pre-contatti deimediatori e poi la contrattazione coi com-pratori ed infine la vendita e la consegnadella merce. Il «peggiore della scuola»sfoggiò un linguaggio appropriato, unì levarie questioni facendo i giusti collega-menti, mise a frutto conoscenze e com-petenze che potremmo definire «storico-tecnico-socio-matematiche». Insomma,un colloquio che, come vuole la norma-tiva ministeriale, doveva essere multidi-sciplinare, con la possibilità di verificarele competenze di carattere linguistico/espositive, facendoi dovuti collegamenti. Poi, ricordo bene, ci fu la provapratica di musica e così ascoltammo l’esibizione fatta coi«bonghi», strumento molto «manuale», di cui l’allievo eraappassionato. Seppi in seguito che quando uscì dall’aula,ai compagni che chiedevano un commento sulla difficoltàdell’esame, se ne uscì con una affermazione lapidaria: «Èfacilissimo!». Dall’altra parte i professori commentarono iltutto dicendo «Ma noi in tre anni non l’abbiamo mai sentitoparlare così bene e con tale competenza» e poi «non sa-pevamo nulla di tutto questo!».Che dire di tutto ciò? Forse dovremmo leggere nuovamenteLettera a una professoressa che, 45 anni fa, ci ricordavache per insegnare inglese a Gianni bisogna prima di tuttoconoscere Gianni...

L’esame di Statodel peggiore della scuola...

gianfranco [email protected]

Il «peggioredella scuola»sfoggiò unlinguaggioappropriato,unì le variequestionifacendo i giusticollegamenti

cem_maggio_2012_rivista_maggio 03/05/2012 10.46 Pagina 4

Giorno per giorno

I bambini hanno bisogno e diritto alla protezionedell’adulto per crescere: la scuola, nonostante lacrisi e le difficoltà, può comunque essere pensatadagli insegnanti come spazio di sospensionedalle intemperie esterne.

maggio 2012 | cem mondialità | 5

I l ministro dell’istruzioneci ha consegnato la bellanotizia che non si potrà

fare nulla per la scuola du-rante la breve vita del gover-no, il quale andrà a scadenzanaturale, salvo imprevisti, nel-la primavera del 2013. «Que-sto è un governo a termine enon abbiamo tempo di fareriforme, la scuola ha bisognodi stabilità in questo momen-to, ha bisogno di ritrovare unsuo equilibrio. Possiamo in-vece oliare meglio alcunimeccanismi, che sono un po’arrugginiti». Non sappiamo se compiacer-ci per non essere oggetto diattenzione della politica, con-siderati gli improvvidi inter-venti di taglio delle risorse dicui la scuola è stata vittimain tempi recenti o se dolerciper la mancanza di pensierointorno a quello che dovreb-be essere il nodo fondamen-tale intorno al quale un interopaese dovrebbe ragionare.

L’educazione nella crisi

Nel frattempo, chi nella scuo-la vive non può certo evitare

con cui ci troviamo a vivere.La convinzione che ci sorreg-ge si fonda sull’indispensabi-lità dell’adulto che intenzio-nalmente si prende cura deibambini per consentire lorodi esistere, di crescere e di ac-quisire un grado sempre piùmaturo e efficace di cittadi-nanza. Siamo indispensabilie siamo depositari di una re-sponsabilità e di un valore chenessuno ci può togliere e chepotremmo perdere solo sce-gliendo volontariamente diabdicare.

Le nostre pratiche quotidiane

Proprio perché il mondo in-torno sta diventando così fa-ticoso e talvolta crudele, valela pena di soffermarsi, anzi-ché sulla grandi questioniepocali, sulle apparenti azioni

bambine e bambinilucrezia [email protected]

ascuolaeoltre

di essere investito (e qualchevolta persino travolto) daquella che per comodità didiscorso possiamo definirecrisi. Crisi che investe ognisingolo aspetto della nostraesistenza individuale e col-lettiva e che porta anchel’educazione a sembrare mi-sera cosa di fronte alla faticadi vivere. Ma pur consapevolidella sua condizione di totaledebolezza, ci rendiamo contoche l’educazione si trova difronte a sfide gigantesche eche di tali sfide investe in mo-do particolare la scuola. Conla certezza che nessuno pen-serà a noi sul piano istituzio-nale, ci stiamo preparandoad aggiungere alla condizio-ne critica nella quale da tem-po ci muoviamo anche il pesodi una crisi economica chesta producendo povertà e di-sagio. Non possiamo permet-terci di esserne annientati ela sola risposta che possiamotrovare è quella di riannodarealcuni fili e tessere, ancorauna volta, e tenacemente,perché a questo destinati,uno sfondo di senso per noie per i bambini e le bambine

Ci rendiamoconto che

l’educazione sitrova di fronte

a sfidegigantesche e che di talisfide investe

in modoparticolare

la scuola

cem_maggio_2012_rivista_maggio 03/05/2012 10.46 Pagina 5

6 | cem mondialità | maggio 2012

bambine e bambini

L’importanza del «curricolo implicito»

La definizione del cosiddetto curricoloimplicito, cioè di tutto quello che nonattiene alla dimensione esplicita diinsegnamento/apprendimento, èimportante quanto la definizione delcurricolo esplicito; la cornice fatta di gesti,di abitudini, di attenzioni, di modicostituisce l’ambiente della relazione enecessita di pensiero e di intenzionalitàtanto quanto il resto della didattica. Sono idettagli della relazione che producono ilcontesto talvolta determinante per lacostruzione dei processi di conoscenza. Questo aspetto della professione diinsegnante può essere curato e mantenutoanche a dispetto dei tagli e delle assenzepur pesanti della politica, perché è lamanifestazione della propria visione del

mondo e della adultità, che non vienemeno anche se le condizioni di vita sonodivenute difficili. Anzi, proprio perché ibambini in questo tempo necessitano dimaggior tutela, forse si potrebbe dedicareun’attenzione più consapevole al contestoe alle pratiche quotidiane che agiamocomunque, anche se molto spesso amemoria, con la stanchezza che prevalesulla consapevolezza. Salomon Resnik scrive1: «Ritornandoall’idea di relazione […] con questotermine non si indicano solo delle parole,ma il clima che è creato dall’atto dipresenza. In tale clima vengono fatte dellecose buone o cattive, secondo che vi siadell’empatia o dell’antipatia, ma se c’èdell’apatia, e cioè se manca il pathos, nonc’è movimento, non avviene nulla».

1 Cfr. S. Resnik, Spazio mentale, Bollati Boringhieri, Torino1990, p. 27.

marginali che costituisconola trama delle nostre pratichequotidiane e che determina-no il grado della qualità dellerelazioni che stabiliamo ascuola. Ogni intervento educativo sicostituisce attraverso un com-plesso sistema di intenziona-lità tradotte in tecniche e ge-sti che concorrono a crearela visione del mondo, ma an-che il modo con il quale starenel mondo. Allora la cura nelpredisporre l’ambiente e gliatti della relazione diventa difondamentale importanzaper aiutare a determinare an-che lo spazio fisico e mentalenel quale il bambino costrui-sce parte della sua identità edella sua conoscenza dellecose. La scuola può esserepensata come tempo di gen-tilezza e di cura, come luogodi protezione dall’insicurezzache ci circonda. Ancora pri-ma di essere luogo degli ap-prendimenti formali, la scuolaè ambiente che attraverso ilsuo costituirsi attraverso pra-tiche di vita quotidiana de-termina una qualità (o il suocontrario) di vita. Si parla inconcreto di accuratezza, dipassione, di attenzione ancheestetica che definiscono an-cora prima della dimensionecognitiva il pensiero e la vi-sione che abbiamo della no-stra professione e delle suefinalità. Ogni gesto, ogni pra-tica assumono una valenzasimbolica oltre che concretae testimoniano della prezio-sità della relazione educativa.Non si tratta di isolare artifi-ciosamente i bambini dallefatiche e dalle ansie del mon-do, bensì di creare lo spazioprotetto nel quale chi crescepossa sperimentare la fiducia

nelle proprie possibilità e negli altri. I bambinihanno bisogno e diritto alla protezione del-l’adulto per crescere: la scuola, nonostante lacrisi e le difficoltà, può comunque essere pen-sata dagli insegnanti come spazio di sospen-sione dalle intemperie esterne, non per rimuo-verle, ma per acquisire risorse e sicurezze chepermettano di contenere l’ansia e le paure.

«Attività di routine» ed effetto sull’educazione

Ci sono aspetti della vita quotidiana a scuolache passano per lo più inosservati e che nonsembrano connotati da grande rilevanza: leattività di routine, l’uso dei materiali, gli spo-stamenti nei diversi ambienti, le pratiche con-nesse all’ingresso e all’uscita, la ricreazione.In realtà costituiscono momenti preziosi e dacurare con particolare attenzione perché pos-sono generare abitudini consapevoli e produrreautonomia. La convinzione che la scuola sialuogo solo e unicamente dedicato all’acquisi-zione delle competenze cognitive ha prodottol’idea che tutto ciò che non rientra a pieno ti-tolo in tale acquisizione sia banale e trascura-bile. Al contrario, tutta l’esperienza scolasticaproduce competenze e maggiore è la curanella costruzione della cornice e del contesto,maggiore risulta la possibilità di stare bene equindi di apprendere. Essere accuditi e pro-tetti, vivere in uno spazio pensato e dedicato,offre la sicurezza che permette di attivare ilproprio desiderio di conoscenza. La scuola tri-ste e sciatta non suscita passione, annoia edeprime adulti e bambini insieme.

Noi docenti ededucatori siamoindispensabili e

siamo depositari diuna responsabilitàe di un valore che

nessuno ci puòtogliere e che

potremmo perderesolo scegliendo

volontariamente diabdicare

ascuola

eoltre

cem_maggio_2012_rivista_maggio 03/05/2012 10.46 Pagina 6

moda sciagurata della mam-ma-amica. Negli anni (anchese non sono molti) ho cono-sciuto docenti di riferimentoimportanti, Maestri, che mihanno insegnato e datoesempi. Sono quei docentiche ancora credono a un pat-to generazionale, alla trasmis-sione della professione (nondel mestiere). Qualche anno fa, quandomolti dei miei colleghi - etroppi dei miei allievi - ave-vano aperto un profilo su Fa-cebook, io dicevo timidamen-te che non l’avrei mai fatto,o che sarei stata molto pru-dente nell’accettare amicizie.Ironicamente dichiaravo chesarebbe stato poi necessarioaprire tanti profili quanti ruoliavevo nella mia vita: prof,madre, moglie, amica, excompagna di classe di qual-cuno, collega… Mi sarebberisultato ingestibile manovra-re me stessa (nel senso di ese-guire manovre per far funzio-

Uno dei primi errori, che io e altri colleghi alle prime supplenze rischiavamo di fare, era di tentareuna relazione «postmoderna» tra noi e gli allievi, diminuendo la distanza che ci separava da loro,per impostare un rapporto quasi paritario.

«Oggi ragazzi c’è laprima lezione delprogetto “Cyber-

cittadini”, un vostro compa-gno di classe ed io vi spie-gheremo il significato di al-cune parole relative alla vitaonline, nozioni base. “A” co-me “Amici”: ogni utente puòinvitarne altri a condividere leproprie informazioni pubbli-cate sui rispettivi profili per-sonali». «Sono davvero amicicome intendiamo nella vitaoffline? È giusto chiamarli co-sì?» «Beh prof, lo sappiamoche non sono amici, è ovvio,qualcuno sì, ma mica tutti e750 quelli che ho nel mioprofilo, molti son conoscenti,altri nemmeno li conosco, al-cuni sono amici di amici…».«Allora se dovessimo cambia-

Uno, nessuno, centomila amici

maggio 2012 | cem mondialità | 7

ragazze e ragazzisara [email protected]

ascuolaeoltre

«Da sempre le società hanno ilproblema di garantire, da unlato, la propria conservazione econtinuità, e, dall’altro, lapossibilità del cambiamento; diunire esperienza e incoscienza,ponderatezza e forza, senso dellimite e trasgressione». Roberto Morselli

«noi lo sappiamo che ha unaltro significato rispetto aquesta vita qua. Basta prof,andiamo avanti». Proseguia-mo col glossario e scivoliamosui tranelli preparati: i biscotti(cookie), gli MMS (buoniquelli con l’arachide), perconcludere coi troiani, un cy-ber percorso davvero epico.

Alla stessa altezza

Uno dei primi errori, che io ealtri colleghi alle prime sup-plenze rischiavamo di fare,era di tentare una relazione«postmoderna» tra noi e gliallievi, diminuendo la distan-za che ci separava da loro,per impostare un rapportoquasi paritario. Qualcuno cre-deva che lo svecchiare il rap-porto che i colleghi più grandiavevano con loro equivalessea ringiovanire noi, adeguan-doci a loro, contagiati dalla

re questa voce “Amici” concosa potremmo sostituirla?».Non si arriva ad alcuna pro-posta condivisa da tutti, per-ché sta bene «Amici», tanto

cem_maggio_2012_rivista_maggio 03/05/2012 10.46 Pagina 7

8 | cem mondialità | maggio 2012

ragazze e ragazzi

nare me stessa) e gli altri inun solo profilo, magari alquale accedevano amici diamici, c’era il rischio dell’ap-piattimento, cioè una Sarabuona per tutti e quindi falsa,o una Sara incomprensibileper molti. Non pensiate cheio abbia doppie vite (docentedi giorno e cacciatrice di ca-prioli di notte, per esempio),ma ho sempre pensato chein queste situazioni ci volesseprudenza.

Censura o richiamoalla professionalità?

Da Albisola a Cervignano, al-cuni dirigenti scolastici hannoemesso circolari con le qualivietano o sconsigliano ai pro-fessori di stringere amiciziecoi propri allievi. Si alza unvento di censura o è un ten-tativo di richiamo alla profes-sionalità dei docenti? I diri-genti in questione hanno di-chiarato che gli effetti sullerelazioni tra docenti e alunnipossono diventare problema-tici; tra i motivi riportati daentrambi: divisione dei ruolie opportunità didattiche. Sela comunicazione online nonè un’opportunità didattica,un medium educativo, allorasi tende pericolosamente ver-so la parità dei ruoli nella re-lazione, che è quanto di piùinopportuno ci sia in un rap-porto educativo, impari perdefinizione. Alcuni spunti: fluttuano in re-te molti pareri contrari alledue circolari, si citano esempicome il dirigente torinese chevanta 899 amicizie coi suoiallievi (per la cronaca il presi-de friulano ne ha solo 17, to-tali). Blogger disgustati da unpreside fuori dal mondo, che

si domandano se il dirigente sia impazzi-to, che dovrebbe dimettersi per evidenteincapacità di relazionarsi con il mondoche circonda l’istituto. O un altro preside(685 amicizie), trapiantato in Toscana,dichiara di invitare docenti e ragazzi ausare maggiormente Facebook. Sostieneche i ragazzi si responsabilizzano, riflet-tono sul fatto che il loro scritto è condivisoda docenti e preside. Qualcuno sostieneinvece che il dare l’amicizia ai ragazzi el’incentivare questo tipo di connessionedocente/allievo contribuiscano a dare fi-ducia ai docenti, insomma, i ragazzi si fi-dano di più (Pamela Brown Rutledge).Ma come? Devo basare la mia credibilitàeducativa spostandola fuori dalla scuolaperché dentro l’ambiente educativo sco-lastico funziono poco?

A ciascuno il suoSono io a gestire il blog delle mie classi,posto materiale, documenti, spunti, rispondoalle loro e-mail (abbiamo concordato qualitipi di e-mail possono inviarmi e quali no, etante altre regole sull’uso di questistrumenti), ma non mi metto a twittare conloro o a chattare con l’allievo che devointerrogare il giorno dopo. La valutazione diun allievo è già difficile così, non ho bisognodi un coinvolgimento emotivo per avere piùelementi utili, anzi. Cerco le risposte dai miei ragazzi, sarò unavoce contro, ma la prima cosa che mi viene inmente è un video parodia: il cantante di unaband rock si dispera perché la madre gli hachiesto l’amicizia su Facebook e lo perseguita(My Mom’s on Facebook). Il video èdiscutibile, ma il messaggio è chiaro: lasciateai ragazzi e agli adulti i loro spazi, separati.Chiedo: «Ragazzi accettereste l’amicizia di unvostro docente?» Federica: «Perché no?»Lorenzo: «Chiediti perché sì invece! Già civediamo 5 ore per 6 giorni…così micontrollano anche lì». Giada: «No, perché glimentirei, lo ingannerei…». Ammetto, aquesto non avevo pensato. Muto la direzionedel mio sguardo, giro il collo non più verso diloro, ma verso di noi, i prof: perchédovremmo accettare l’amicizia di un allievo?Lo facciamo per noi stessi? Giovaninostalgici? Sentiamo il bisogno di esserericonosciuti, di avere un contatto che nonriusciamo ad avere in classe? Tentiamo dimoltiplicare il nostro essere docente ediventiamo intrattenitori? Così ci esponiamoal rischio di perdere dignità, solo per un po’di visibilità e accettazione in più. Solo questomerita una riflessione, senza circolari magari,ma seriamente.Troppi docenti si trincerano dietro la scusache noi siamo una categoria senza un verocodice deontologico, che questo non è scrittoda nessuna parte, equiparabili ai dipendentistatali tout court, senza autorevolezza oautentica dignità professionale. Ma è unascusa davvero ingenua, il codicedeontologico c’è, lo pretende la professionedel Maestro, non è il fatto d’averlo scritto oapprovato in sede di Collegio docenti eConsiglio di Istituto (alcune scuole l’hannofatto) che lo rende accettato o condiviso.Siamo noi, e questa non mi sembra unanuova forma di comunicazione tra maestri edallievi, pare più come l’ennesima tentazionedi giovanilismo.

Alcuni dirigentiscolastici hannoemesso circolari

con le qualivietano o

sconsigliano aiprofessori di

stringere amiciziecoi propri allievi

cem_maggio_2012_rivista_maggio 03/05/2012 10.47 Pagina 8

In chiusura di annata e dirubrica, è significativo ri-considerare il percorso

compiuto, tentando una sin-tesi che permetta di recupe-rare alcune coordinate impor-tanti e che imponga una revi-sione dei rapporti generazio-nali non solo in chiave econo-mica o lavorativa, ma ancheaffettivo-relazionale. La rubri-ca ha indagato in vari campiil divario che si è creato trapadri e figli, ha illustrato le di-mensioni del fenomeno, manon ha ancora fornito un’in-terpretazione riassuntiva dellecause della progressiva ero-sione della trasmissione diquel sapere incorporato laten-te che nel tempo ha scanditoil passaggio del testimone dalpiù giovane al più anziano.Quello che è entrato in crisi èl’assetto antropologico del vi-vere insieme, sono le scansioni

La trasmissione interrottaPeché si è rotto il patto tra le generazioni

La generazione dei «forever young» ha creduto di vivere una stagione irripetibile, di aver incarnato un ideale archetipico di giovinezza inarrivabile e si è cullata nell’imperitura forzadi questo mito. La rabbia giovanile individua il bersaglio giusto, ma lo colpisce come può, cioè in modo paradossale.

dei tempi giusti per entrarenell’età adulta, per essere ma-dri e padri, per accettare il de-clino, prepararsi alla morte. Larimozione della malattia, dellasolitudine, della vecchiaia edella fine sono le vere patolo-gie psichiche del nostro tem-po. Ci siamo nutriti di miti falsiche abbiamo creduto veri;Umberto Galimberti1 li ha rac-colti: il mito della felicità a tuttii costi, dell’efficienza, del-l’amore, dell’eros, ma soprat-tutto quello della giovinezzasenza fine, della reversibilitàdelle scelte: tra Narciso e PeterPan abbiamo tentato di ri-

maggio 2012 | cem mondialità | 9

generazione yantonella [email protected]

ascuolaeoltre

muovere la crescita, l’invec-chiamento, la fine. Quel cheè peggio, l’abbiamo insegnatoai nostri figli. Se questa chiavedi lettura è condivisibile ed èabbastanza chiara, non sem-pre è stato indagato il motivoo il processo che ha prodottotale squilibrio.

Le ragioni dell’interruzione

Da questo punto si sviluppala riflessione di FrancescoStoppa2, psicoterapeuta e re-sponsabile del progetto «Ge-nius loci: prove di dialogo in-tergenerazionale» a Pordeno-ne. È autore di un testo checi consente di leggere in pro-spettiva psicologica il disagiodi un’epoca e di una genera-zione adulta «immobilizzatanel suo eterno presente». Ilproblema consiste nel rifiutodegli adulti della generazionedel Sessantotto e dintorni dicedere il passo, di farsi daparte. È una delle cause della

mancata evoluzione delle ge-nerazione attuale, privata an-che del diritto allo sforzo ealla fatica. Tenuta al riparodal trauma, essa sconta que-sta esclusione con un’inabilitàalla vita, con la fragilità difronte agli insuccessi. I «cuc-cioli d’oro» di PietropolliCharmet3 sono vulnerabili,deboli, soli ed incapaci diun’elaborazione simbolica deldolore, del no, della mancan-za di conferme. La disaminacondotta da Stoppa, pur in-quadrata in un contesto ana-litico lacaniano che potrebbenon esserci del tutto familia-re, ha il merito di cogliere nelsegno del disagio, individuan-do alcuni passaggi che per-mettono di dare un nome al-l’interruzione del passaggiogenerazionale. Sono sugge-stivi i riferimenti ai tratti pa-tognomici del nostro tempo:«instabilità emotiva, difficoltàdi far fronte ai traumi, pre-valenza degli agiti sui processidi elaborazione psichica, fru-strante e ambivalente senti-menti di dipendenza dalle fi-gure di riferimento che puòsfociare in una conflittualitàdel tutto sterile o in forme diremissività patologica». L’in-dagine annovera anche altreanomalie del nostro tempo:apatia, indifferenza per l’al-trui realtà psichica, ricorso apartnership che non preve-dono alcuna intersoggettività(droga, alcol, internet, gadgete beni di consumo).

La rimozionedella malattia,

della solitudine,della vecchiaia edella fine sono le

vere patologiepsichiche delnostro tempo

cem_maggio_2012_rivista_maggio 03/05/2012 10.47 Pagina 9

Ma è soprattutto dalla resadei conti con il tempo che lagenerazione del Sessantottoesce sconfitta: è vissuta assi-stendo al fallimento progres-sivo di tutte le sue utopie,senza avviare una rielabora-zione simbolica del tracollo.Essa è responsabile e vittimadi una contraddizione chenon ha saputo affrontare: co-me è possibile che abbiatrionfato una società domi-nata dal capitale, un modelloeconomico che ha stritolatoi più deboli rafforzando i piùricchi, che ha prodotto unasperequazione planetaria edha visto l’apoteosi dell’indi-vidualismo in nome della si-curezza privata? Non assu-mersi la responsabilità delgiudizio ha aperto la stradaal vuoto. È mancato uno spa-zio religioso, secondo Stop-pa, il luogo della riparazione,dell’ammissione delle colpe,lo spazio sacro, separato, nelquale piangere e celebrare illutto dei propri ideali, accet-tare i propri limiti strutturalie lavorare per correggerli. La generazione dei foreveryoung ha creduto di vivereuna stagione irripetibile, diaver incarnato un ideale ar-chetipico di giovinezza inar-rivabile e si è cullata nell’im-peritura forza di questo mitosenza accettare le conseguen-ze della sua fine, senza ac-cettare il ridimensionamentoe la relativizzazione dei propriideali, tratto maturo del-l’adultità. Le conseguenze sulpiano educativo sono statedevastanti: i genitori nonadulti hanno scaricato sullespalle dei figli il compito dielaborare il lutto e di saldarei conti, cercando di preservarlidal dolore e dalla deprivazio-

generazione y

10 | cem mondialità | maggio 2012

ne. Hanno tentato per lorodi «guarire la vita», offrendocomplicità, comprensione,ma anche collusione patetica,nell’illusione di esonerarli daltrauma necessario per cresce-re. Iperprotettivi o derespon-sabilizzati, hanno cercato dimantenersi in corsa con i figlicompetendo con loro senzacalarsi nel ruolo dei padri, ri-nunciando ad assumersil’onere dell’esercizio dell’au-torità, a diventare legislatorie nomoteti.

La restituzione

Ciò significa tentare di evitaredi riconoscersi nei propri ge-nitori con i quali i conti nonsono mai stati saldati, man-tenendo illusoriamente sem-bianze giovanili o giovanili-stiche; il vero passaggio dicrescita consiste, invece, nelriconciliarsi con gli antichi dei,i genitori, visti nella loro fra-gile umanità, deposti dal pie-distallo edipico e riconosciuti,come Ulisse con Laerte, perquello che sono, uomini edonne che ci hanno trasmes-so la vita, forse casualmente.Accettata tale realtà, da veriadulti, diventa possibile la re-stituzione, cioè il riconosci-mento del bene e del malericevuto, la gratitudine per losforzo educativo e la riconci-liazione con il perdono, il su-peramento dei vecchi conflitti

e l’assunzione completa delleproprie responsabilità.La restituzione è necessariaper prendere coscienza delleproprie appartenenze, per ca-pire a che punto della tradi-zione familiare, e in senso la-to storica, si situa la nostravita e ci permette una re-isti-tuzione di un patrimonio ri-cevuto destinato a crescereanche attraverso il nostro ap-porto critico e creativo. Sal-tare questo passaggio signi-fica vanificare, osserva Stop-pa, anche tutte le esortazionieducative volte a rafforzarenei giovani la pratica del ri-cordo e della memoria, checadono nel vuoto perché intotale flagrante contraddizio-ne con il rifiuto da parte degliadulti di ricordare la propriastoria, operando sistematicherimozioni che il giovane cogliecome rotture del tessuto eperdite di senso tali da inficiaretutto l’impianto etico ed edu-cativo della trasmissione. Larabbia giovanile individua ilbersaglio giusto, ma lo colpi-sce come può, cioè in modoparadossale, chiedendo al ge-nitore un’ulteriore fornitura dibeni materiali per risarcire ilvuoto e per costringere l’adul-to a «dare» ciò che ha negatoanche a se stesso: l’accessoalla verità nuda della propriastoria, alla narrazione e allacicatrizzazione delle proprieferite. È questo il pane di ieri,condiviso oggi, il nutrimentoe il pegno della trasmissionegenerazionale.

1 U. Galimberti, I miti del nostro tempo,Feltrinelli, Milano 2009.2 F. Stoppa, La restituzione, Feltrinelli,Milano 2011.3 G. Pietropolli Charmet, Fragile e spa-valdo. Ritratto dell’adolescente di oggi,Laterza, Roma-Bari 2010.

È soprattuttosul versante

della resa deiconti con il

tempo che lagenerazione

delSessantotto

non è riuscitaa fare i conti

cem_maggio_2012_rivista_maggio 03/05/2012 10.47 Pagina 10

maggio 2012 | cem mondialità | 11

«Un giornalista diMumbay che cercanotizie su un terre-

moto verificatosi in una cittàvicina, un direttore di hotelche cerca di utilizzare al me-glio le possibilità fornite dainternet per facilitare le pre-notazioni, [...] uno studenteche cerca di capire se una cer-ta scuola o un certo collegeè quello che fa al caso suo,una famiglia che cerca di sco-prire se una determinata ban-ca è la più adatta per il tipodi prestito di cui ha bisogno,un architetto o un progettistache cercano di individuarequali potrebbero essere i ma-teriali migliori per il loro pro-getto». Sono alcuni dei casi che ArjunAppadurai - in un suo articolodel 2006 dedicato al «dirittoalla ricerca» - porta comeesempi di quanto i cittadiniabbiano oggi quotidiana-mente bisogno di scoprire in-formazioni utili per la loro vitaquotidiana. In tutti questi casi- osserva - emerge come laricerca (e la capacità di «farericerca») sia un aspetto fon-damentale della vita quoti-

partire da tutte queste prati-che «glocali» per coglierne daun lato il potenziale di ap-prendimento (le competenzeche esse portano con sé),dall’altro la forza trasversale(quasi un linguaggio comunea tutti i soggetti in formazio-ne di oggi, siano essi figli digenitori migranti o di genitoriautoctoni).Nell’articolo Appadurai espli-cita il lato pedagogico dellasue ricerche, mostrandoci co-me questa attenzione per lepratiche «glocali» implichi ne-cessariamente - da parte del-l’educatore e dell’educando -una capacità di «essere in ri-cerca», ovvero di non adagiar-si sui luoghi comuni per cer-care invece di scoprire il latomeno scontato della nostraquotidianità. «La ricerca - scri-ve -, in questo senso, non è

La capacità di fare ricerca nella propria vita quotidiana è strettamente legata - quasi propedeutica- a un’altra preziosa capacità che Arjun Appadurai, studioso di antropologia culturale e sociale especialista in «cultural studies», chiama «capacità di desiderare», ovvero la capacità culturale esociale di progettare, sperare e raggiungere obiettivi socialmente auspicabili.

diana in tempi di globalizza-zione.Il nome di Appadurai è tor-nato più volte in questa ru-brica come apripista di un ap-proccio all’intercultura chenon irrigidisca le culture in vi-sioni stereotipate, ma sappiadeclinarle nelle tante pratichecon cui le persone contestua-lizzano i flussi globali nelle si-tuazioni quotidiane. Perquanti lavorano (educatori einsegnanti) entro contestieducativi sempre più etero-genei si tratta - è questa l’in-dicazione di Appadurai - di

solo la produzione di idee ori-ginali o di nuova conoscenza(come viene normalmente de-finita nel mondo accademico[...]). Essa è anche qualcosadi più semplice e al tempostesso più profondo: la capa-cità di accrescere in modo si-stematico gli orizzonti delproprio sapere attuale, in fun-zione di qualche obiettivo oqualche aspirazione».Così intesa, la ricerca cessa diessere un’attività specialisticariservata a pochi professionisti,e diventa una capacità impre-scindibile per quanti voglianoesercitare la cittadinanza de-mocratica «in un mondo co-me quello di oggi caratteriz-zato spesso da un crescentedivario fra globalizzazione del-la conoscenza e conoscenzadella globalizzazione». In più,suggerisce ancora Appadurai,questa capacità di fare ricercanella propria vita quotidianaè strettamente legata - quasipropedeutica - a un’altra pre-ziosa capacità che lo stessoAppadurai chiama «capacitàdi desiderare», ovvero la ca-pacità culturale e sociale diprogettare, sperare e raggiun-gere obiettivi socialmente au-spicabili: «Senza desiderio -conclude Appadurai (ibidem)- non c’è spinta a sapere dipiù. Ma senza strumenti siste-matici per ottenere nuove co-noscenze importanti, anche ildesiderio rischia di trasformar-si in mera immaginazione oin disperazione».

Per saperne di più

Arjun Appadurai, The right toresearch, in Globalisation, So-cieties and Education, vol. 4, n.2, luglio 2006, pp. 167-177.

L’intercultura come«educazione alla ricerca»in un mondo globale

in cerca di futurodavide [email protected]

ascuolaeoltre

Il nome diAppadurai è

tornato piùvolte in questarubrica come

apripista di unapproccio

all’interculturache non

irrigidisca leculture in

visionistereotipate

cem_maggio_2012_rivista_maggio 03/05/2012 10.47 Pagina 11

Bibliografia

F. Balbo, R. Bertoglio, Nel cuoredelle parole, Paoline, Milano2006

J. Bucay, Lascia che ti racconti,storie per imparare a vivere, Riz-zoli, Milano 2004

M. Parkin, Racconti per il cam-biamento, Etas, Milano 2004

L. Pati, Pedagogia della comu-nicazione educativa, La Scuola,Brescia 1984

La radice del verbo «be-nedire» viene dal grecoeu-loghéin che significa

«bene-dire». Se invertiamo laparola ne ricaviamo «dire-be-ne» e ne comprendiamo im-mediatamente il significatopiù profondo. Benedire vuoldire quindi dire bene di sestessi, degli altri, dell’uomo,delle cose, della terra, di Dio.La benedizione è una qualitàdi pensiero, un sentimento,un’emozione, ma soprattuttoun dono che rappresenta pernoi l’opportunità di sbaraz-zarci delle cariche negative edi procedere con le nostre vi-te, poiché ci fa riconoscere lanatura sacra di qualunque

Bene-direbene-di-azione

Quando benediciamo ciò che ci ha fatto molto soffrire, affermiamo semplicemente la sua naturasacra, in questo gesto c’è qualcosa di magico che accade e lo si può comprendere solo facendolo.Analogamente, benedizione è un «bene-di-azione», cioè una parola positiva, bella, buona che portaall’azione, che esprime un servizio concreto e che porta a una scelta concreta per la vita.

educazione degli adultirita [email protected]

ascuolaeoltre

12 | cem mondialità | maggio 2012

Quando siamopoco autentici

proiettiamosugli altri le

azioni, isentimenti, ipensieri e le

intenzioni chenon riusciamo

o vogliamoesprimere

evento ci sia capitato e per-sona che abbiamo incontra-to. Non indica accettazione,consenso o condono di unaqualunque azione, semplice-mente riconosce la natura sa-cra dell’evento e della perso-na incontrata e ci permettedi procedere in avanti con lavita. Quando benediciamociò che ci ha fatto molto sof-frire, affermiamo semplice-mente la sua natura sacra, inquesto gesto c’è qualcosa dimagico che accade e lo si puòcomprendere solo facendolo.Analogamente, benedizioneè un «bene-di-azione», cioèuna parola positiva, bella,

buona che porta all’azione,che esprime un servizio con-creto e che porta a una sceltaconcreta per la vita. Ciascunodi noi è in grado di attivareazioni positive e gli aspettipiù belli, creativi e nobili disé, e di cooperare per essere«veri» l’uno verso l’altro. Que-sto atteggiamento si manife-sta istintivamente nei mo-menti di crisi dove scattanola solidarietà e l’empatia, mapuò essere cercato delibera-tamente allo scopo di miglio-rare la nostra qualità di vita e

delle nostre relazioni. Al con-trario, quando predominanoin noi chiusura e diffidenzaavvertiamo una separazionee mostriamo gli aspetti egoi-stici della nostra natura. Abi-tudini e finzione sostituisconoonestà e chiarezza nei rap-porti e litigi/diffidenza/con-flitti/paura sono all’ordine delgiorno. La principale qualitàda coltivare e da trasmettereper mantenere atteggiamentipositivi è l’autenticità. Essa èla misura della nostra dispo-nibilità a che gli altri venganoa conoscenza delle nostreazioni, pensieri, sentimenti eintenzioni. Quando siamopoco autentici proiettiamosugli altri le azioni, i sentimen-ti, i pensieri e le intenzioni chenon riusciamo o vogliamoesprimere. Così gli altri diven-tano «i truffatori, i bugiardi, itraditori, gli imbroglioni, i cat-tivi…» che non ammettiamoin noi stessi. Mettiamo in attola negazione e il peggio dinoi, lo proiettiamo nel mondolavandoci le mani da ogni re-sponsabilità.

cem_maggio_2012_rivista_maggio 03/05/2012 10.47 Pagina 12

Esercizio n. 1

Prendetevi unpo’ di tempoper risponderecon onestà aquestedomande:

n Elencate tre errori che os-servate frequentemente neglialtri. Ci sono delle volte in cuirifiutate di riconoscere questierrori in voi stessi?n Elencate tre conflitti neiquali siete coinvolti/e. Qualiconvinzioni sono responsabilidi aver creato in voi le circo-stanze di questi conflitti?n Elencate tre persone (ogruppi, organizzazioni, ecc.)che vi sembra che vi abbianoabbandonato. Quali convin-zioni, per ognuna delle situa-zioni che avete individuato, viimpediscono di perdonare?

Esercizio n. 2

Tonglen

La parola tibetana tonglen èformata da due radici: tonche significa dare e glen chevuol dire ricevere. Questa pra-tica è stata trasmessa dal mo-naco Geshe Chekhawa, gran-de maestro di compassionevissuto in Tibet nell’XI secolo. ascu

olaeoltre

educazione degli adulti

Qualche esercizio per praticare la compassione

Lasciamo dunque cadere la finzione e diventiamorealmente autentici nei nostri confronti, perchél’autenticità ci apre alla compassione nei confronti deglialtri. Vi propongo alcuni esercizi per imparare ariconoscere gli indizi dell’autoinganno e per praticare labenedizione e la compassione:

Quando siamo in una condi-zione di chiusura di cuore,non siamo in grado di amare,siamo bloccati dalla negati-vità o non riusciamo a comu-nicare. Possiamo praticaretonglen per trasformare glistati d’animo negativi. Sede-tevi in una posizione comoda,avendo cura di tenere la co-lonna vertebrale diritta manon rigida e poi chiudete gliocchi portando l’attenzionesul respiro senza sforzarvi.Quando la pratica del respiroha calmato la mente si puòiniziare tonglen. Individuatechiaramente il problema chevolete trattare e che in quelmomento vi infastidisce. Laprima volta sceglietene unopiccolo, quando sarete piùpratici potrete affrontare pro-blemi più impegnativi. L’eser-cizio si basa su quattro tempidel respiro:

n Inspiro il probleman Lo espiro in una grande luceche immagino dinanzi a men Inspiro questa grande lucen Espiro mandando la gran-de luce nel problema

Si pratica questa respirazionefino a quando la percezioneche si ha del problema cam-bia e si alleggerisce.

maggio 2012 | cem mondialità | 13

Esercizio n. 3

I cinque passi dellacompassione

Potete svolgere questo eser-cizio mentre passeggiate inun parco, in una stazione, inun supermercato, ovunque visia un raggruppamento dipersone. Cercate di svolgerlonei confronti di persone chenon conoscete sempre in mo-do non invasivo, con discre-zione.

1) Camminate e concentratel’attenzione su una personache non conoscete e ripetetea te stesso/a: «proprio comeme, questa persona sta cer-cando un po’ di serenità e fe-licità nella sua vita». 2) Continuate a camminare enon perdete di vista la personache avete scelto. Con l’atten-zione sulla persona ripetete avoi stessi/e: «proprio comeme, questa persona sta cer-cando di evitare la sofferenzae il dolore nella sua vita». 3) Sempre camminando, con-tinuate a tenere l’attenzionesulla persona e ripetete a voistessi/e: «proprio come me,questa persona ha conosciutolo scoraggiamento, la tristez-za, la solitudine, la dispera-zione e il lutto nella sua vita». 4) Continuate a muovervimantenendo l’attenzione sul-la persona e ripetete a voistessi/e: «proprio come me

questa persona sta cercandodi soddisfare le sue necessitàe i suoi bisogni».5) Fate un ultimo giro e conl’attenzione alla persona cheavete scelto ripetete a voistessi/e: «proprio come me,questa persona sta imparan-do cosa vuol dire vivere ecamminare nel mondo».

Fermatevi in un posto tran-quillo e raccogliete le vostreemozioni, pensieri e senti-menti e se volete riassumetel’esperienza in un breve testo.Questo esercizio può essereportato successivamente an-che in ambito familiare e sco-lastico per migliorare la com-prensione reciproca. Da ulti-mo, quando siamo padronidella pratica di compassione,si può effettuarlo verso un«nemico», una persona cheda tempo ci fa soffrire. Con-cludo con un brano, libera-mente tratto, da Racconti peril cambiamento di M. Parkin:«Tutto quello che mi serve peramare l’ho imparato all’asilo.Ecco cosa ho imparato: dividitutto, non barare; non pic-chiare; alla fine rimetti semprele cose al loro posto; pulisciquello che sporchi; non pren-dere le cose che non sono tue;chiedi subito scusa se ti capitadi fare male a qualcuno; lavatile mani prima di mangiare; ibiscotti caldi e il latte fannobene; ogni giorno fa’ un po’di tutto: impara qualcosa;pensa un po’; disegna e di-pingi qualcosa; canta almenouna canzone; danza, gioca elavora anche un po’. Quandovai per strada stai bene atten-to, tieni sempre la mano diqualcuno a cui vuoi bene estate vicini. Vivi con gioia ilmeraviglioso».

cem_maggio_2012_rivista_maggio 03/05/2012 10.47 Pagina 13

Parlerò brevemente di un uomosemplice e straordinario che èall’origine del grande albero del-

la Famiglia Saveriana di cui il CEM (co-me Centro di educazione missionaria,ieri, e alla mondialità, oggi) è solo unpiccolo ramo, ma consapevole dellapropria specifica identità e orgogliosodella sua laicità, ancor più perché con-divisa insieme ai Missionari Saverianidello CSAM di cui lo stesso CEM è par-te integrante.In queste due paginette, però, ciò chemi preme mettere in evidenza è so-prattutto la figura poliedrica di Con-forti come uomo, sacerdote, fondatoree vescovo, ma soprattutto come mis-sionario sui generis, dal momento chenon lo è stato mai, nel senso tradizio-nale, ma che - almeno in pectore (finda giovane seminarista) - lo è statosempre. Più mi accosto alla figura diConforti, alla sua vita, al suo pensiero,ai suoi scritti, alle già numerose bio-grafie che parlano di lui, più mi con-vinco che la sua grandezza non stiatanto in tratti - straordinari ma intro-vabili - di genialità e di profezia, mapiù modestamente, nei più quotidianitratti di normalità e addirittura di «fra-gilità» psico-fisica che fanno di lui unapersona carica di umanità e sensibilis-sima alla sofferenza, al sacrificio, e almartirio. Una caratteristica del Con-

mondialitàantonio [email protected]

La figura di San Guido Confortie la mondialità

Una caratteristica del Conforti, che ritroviamo puntualmente negli snodi cruciali della sua vita,possiamo individuarla nella sua capacità di ri-cominciare dopo un fallimento, di non arrendersidopo un trauma o una cocente delusione, insomma nella sua forza sorprendente di trasformare la crisi in un’opportunità.

14 | cem mondialità | maggio 2012

ascuolaeoltre

ascuola

eoltre

Conforti è stato«Vescovo di

Parma, ma missionario

per tutto il mondo»

Papa Giovanni XXIII

forti, che ritroviamo puntualmente ne-gli snodi cruciali della sua vita, possia-mo individuarla nella sua capacità diri-cominciare dopo un fallimento, dinon arrendersi dopo un trauma o unacocente delusione, insomma nella suaforza sorprendente di trasformare lacrisi in un’opportunità. Ciò avviene,ad esempio, quando dovrà ritardarela sua ordinazione sacerdotale (a causadi disturbi nervosi che in seguito scom-pariranno quasi per miracolo), o an-cora quando sarà costretto a dare ledimissioni da arcivescovo di Ravenna,sempre a causa di una salute cagio-nevole, dopo appena 22 mesi che neera Pastore, o infine nelle tante diffi-coltà e nei mille ostacoli che ha incon-trato per dare vita al suo Istituto mis-

cem_maggio_2012_rivista_maggio 03/05/2012 10.47 Pagina 14

Ciò che mipreme

mettere inevidenza è

soprattutto lafigura

poliedrica diConforti come

uomo,sacerdote,

fondatore evescovo, ma

soprattuttocome

missionario

sionario. Conforti ha antici-pato, in alcune sue scelte, itempi del Concilio e ha intuitola via e la cornice culturaleper coniugare sapientementeidentità e universalità, radi-camento locale e globalità,pastorale diocesana e missio-ne ad gentes, riuscendo adessere nello stesso tempo ve-scovo di Parma e missionarioper il mondo. Sarebbero tan-te le cose su cui vorrei soffer-marmi, ma non è questa lasede per farlo. Procedendo avolo d’uccello, e quasi per ti-toli, sottolineerei la scoperta(quasi casuale) di FrancescoSaverio, l’apostolo delle Indiee del Giappone, quando Con-forti aveva solo 15 anni; lasua idea di fondare un IstitutoMissionario quando avevaappena 29 anni, e il voto dimissione e la consegna delCrocifisso ai missionari in par-tenza da Parma per la Cina.La scoperta di Conforti, dellasua spiritualità e della sua an-tropologia, possono daremaggiore efficacia alla nostraazione educativa e culturalenella società plurale. Com’èpossibile nel mondo di oggioperare una «traduzione lai-ca» della missionarietà uni-versale che a livello potenzialegià traspare nitidamente findal Conforti più giovane?Non ho qui lo spazio per par-lare di Stauropoli - che lette-ralmente significa la città del-la Croce -, di cui Conforti èstato arcivescovo con titolopersonale nel periodo dei treanni intercorso tra le dimis-sioni da arcivescovo di Raven-na e la nuova nomina a ve-scovo di Parma. Ma ho volutorichiamare di proposito que-sta antica diocesi dell’Asia Mi-nore (oggi vacante) per sot-

tolineare la presenza dellaCroce nella vita del Conforti.A tradurre per primo in chia-ve pedagogica e mondialistale intuizioni del Conforti è sta-to il saveriano Savino Mom-belli, a lungo direttore delCEM e per un anno direttoreanche di Fede e Civiltà (chepoi diventerà Missione Oggi).A Padre Savino Mombelli de-ve dunque essere riconosciu-to il merito di aver sviluppatoin modo originale il carattereinnovativo e anticipatore delpensiero del Conforti, trasfe-rendolo ben oltre la pastoralegrazie alla categoria laica eaperta a tutti della «mondia-lità», quando questa parolanon era ancora entrata nelvocabolario. Così facendoMombelli ha consentito chel’idea di missione si coniugas-se felicemente con un’altraidea profondamente confor-tiana, quella di fare del mon-do una sola famiglia. In unarticolo da lui scritto recen-

unificante per tutto il genereumano». La ragione per cuinasceranno le riviste e i mo-vimenti di educazione allamissione e alla mondialità èstata, in definitiva, una sola:«Attualizzare l’intuizione con-fortiana della responsabilitàuniversale della missione cri-stiana, anche dal punto di vi-sta culturale, attraverso la col-laborazione di tutti, formatorie intellettuali, artisti e scien-ziati, credenti e laici». Se nellapastorale vale il principio cheil cardinale Roncalli (in segui-to Papa Giovanni XXIII) ha ri-conosciuto in Conforti («Ve-scovo di Parma, ma missio-nario per tutto il mondo»),possiamo analogamenteestendere questo principioanche nella pedagogia e af-fermare proprio ciò che si èvoluto realizzare con il Con-vegno svoltosi a Parma pro-prio nella casa dei MissionariSaveriani intitolato «Non soloa scuola. I nuovi spazi dell’Intercultura»1: essere educa-tori nella propria famiglia,nella scuola, nella città, è unesercizio da compiere semprenella prospettiva della mon-dialità, come umanesimo del-la fraternità e come convivia-lità delle differenze. Ciò chepiù conta è il servizio, il dono,la relazione, il volto dell’altro.Il vero paradigma che fondala mondialità - pensata se-condo il Conforti - è l’altro acui donarsi, secondo il mo-dello del Crocifisso, che è lostile incomparabile di esisten-za (e non di dominio) a cuitutti gli uomini di ogni culturae religione possono guardare,non solo i cristiani.

1 Cfr. «CEM Mondialità», aprile 2012,p. 36.

maggio 2012 | cem mondialità | 15

mondialità

temente per la rivista Ad Gen-tes si legge che «a fare la mis-sione e a realizzare il regnodi Dio sono convocati nonsoltanto uno sparuto drap-pello di preti, religiosi e suore,ma tutti gli esseri umani dibuona volontà, cristiani enon, religiosi e laici, scienziatie operai, politici e artisti, spor-tivi e comunicatori, tecnici di-gitali e operatori ecologici.Insomma, tutti coloro chesanno svolgere compiti uma-namente corretti e di valore

cem_maggio_2012_rivista_maggio 03/05/2012 10.47 Pagina 15

16 | cem mondialità | maggio 2012

l’ora delle religionimarialuisa damini | marco dal [email protected] | [email protected]

ascuolaeoltre

in dote una specifica visionedella realtà. Le religioni,ognuna a suo modo, affer-mano che la realtà ha un di-segno, che la storia ha unasua «economia», la vita unsuo Donatore. Ma anche chele cose sono migliori di quelloche appaiono: non solo l’uni-verso è più grande di quelloche avvertono i nostri sensi,ma è migliore di quello cheriescono a dire le nostre pa-role e pensare i nostri pen-sieri. Il progetto sulla realtàdelle cose e insieme la bontàdelle stesse cose non impe-disce di pensare che tutto,comunque, rimane mistero:non siamo padroni della vitache viviamo anche perché es-sa è di più delle nostre ideesu di lei. Così, possiamo ca-pire che «le cose sono più in-tegrate di quanto sembrino,sono migliori di quanto sem-brino e sono più misteriosedi quanto sembrino»2. Que-sto il contributo delle sapien-ze di tipo religioso. Un’altralogica, un’altra grammaticadell’esistenza. Che, in quantotale, va accolta. Lo può fareuna teologia interreligiosapostmoderna.

1 Queste alcune delle considerazione delsaggio di Carlos Mendoza-Alvarez, Deusabsconditus: essai de theologie fonda-mentale postmoderne, Cerf, Parigi 2011. 2 H. Smith, Le religioni del mondo, Fazi,Roma, 2011, p. 484.

perché si pensa (come recitail famoso assioma cartesiano),ma perché si scopre di esserestati pensati. Oltre il pensieromoderno è possibile un nuo-vo modo di «dire-Dio»1.

Per una teologia postmo-derna interreligiosa

La teologia che verrà è nonsolo postmoderna, ma ancheinterreligiosa. Al suo centrola riflessione, l’esperienza nontanto sul multi-religioso, masul pluralismo religioso. Per-ché superata la tentazione dicomparare tra loro le religioni,come di difendere la propria,la teologia del futuro è quellache propone l’antica saggez-za che esse esprimono, tutteinsieme, circa la vita e il suosignificato. Molto di più dellaloro visione etica (i valori), co-me del loro contributo peda-gogico (le virtù), le religionivanno accolte perché portano

Dopo tante ragioni in-torno alla necessità,alla bontà, alla soste-

nibilità del pluralismo religio-so, proviamo a spiegare il con-tributo che esso porta al pen-siero e alla realtà postmodernain cui viviamo. Tale operazionerisulta convincente non soloper il dramma tipicamente po-stmoderno che il poeta espri-me con la domanda: «dov’èla saggezza che abbiamo per-so in conoscenza? Dov’è laconoscenza che abbiamo per-so in informazione?», ma an-che perché lo stesso postmo-derno, se indagato teologica-mente, porta ragioni circa unateologia interreligiosa.

Per una teologia postmoderna

Davanti alla crisi della moder-nità, infatti, una teologia al-l’altezza dei tempi è quellacapace di assumere ed appro-fondire le caratteristiche tipi-che della postmodernità. Laprima delle quali, ad esempio,è di rappresentare una criticaineludibile ai sistemi totaliz-

zanti. La teologia postmoder-na, allora, è quella che sa met-tere al centro non il soggettoonnipotente, ma la vittimaperdonante. Ricostruire unpensiero, anche teologico,proponendo un’altra logicadel reale: quella che assumeil principio pasquale della do-nazione, ma anche quellobuddista della compassioneoppure ancora la mistica mu-sulmana della misericordia.Una teologia postmoderna,inoltre, è quella che proponeuna rinnovata lettura della«religione» non più sistemasacrificale, spesso argomento«ideologico» a difesa dei si-stemi politici di dominio, mareligione come «grammaticadella diversità», dove la diffe-renza non viene assorbita, maaccolta perché, come direbbeLévinas, il volto dell’altro è lavera epifania divina. Ma lateologia è postmoderna an-che quando riscopre il tra-scendente come gratuità: lì,infatti, riposa, secondo le re-ligioni, il cuore e la luce delreale; infine, una teologia po-stmoderna è quella capace diripensare l’intera cifra della«soggettività»: si è non tanto

La religione non deve portare all’appartenenza, ma alla compassione, all’ascolto del bisognodell’altro. Questa la sua ragione d’essere. Il pluralismo religioso chiede alla stessa religione e allereligioni in generale di ri-pensarsi.

Per una teologiainterreligiosa postmoderna

Davanti allacrisi della

modernità unateologia

all’altezza deitempi è quella

capace diassumere ed

approfondire lecaratteristiche

tipiche dellapostmodernità

ascuolaeoltre

cem_maggio_2012_rivista_maggio 03/05/2012 10.47 Pagina 16

Sentinella, quanto resta della notte? Oltre ogni crisi, per un nuovo patto generazionale

La religione 9Nel nome di un Dio

estraneo La prima generazione incredula

cem_maggio_2012_rivista_maggio 03/05/2012 10.48 Pagina 17

Per i giovani intervistati la fede è soprattutto

uno strumento di sostegnopsicologico e che dà speranza

e significato alle azioni in unadinamica marcatamenteindividualista, ma non è un

accompagnamento quotidiano alle scelte

18 | cem mondialità | maggio 2012

Sentinella, quanto resta della notte? Oltre ogni crisi, per un nuovo patto generazionale

LO SCENARIO

N el marzo del 2010 l’Istiuto Iard ha realizzato un’indaginesulla religiosità dei giovani italiani, su commissionedella Diocesi di Novara, all’interno del progetto «Passio

2010». La ricerca, che porta il titolo I giovani di fronte al futuro,con o senza fede, ha interessato 1000 giovani tra i 18 e i 29anni, e si è proposta di aggiornare i dati di una precedente si-mile indagine realizzata, sempre dall’istituto Iard, nel 2004 epubblicata nel 2006 con il titolo Giovani, religione e vita quo-tidiana1. Nell’attesa della sua pubblicazione integrale, il cu-ratore dell’indagine, Riccardo Grassi, sulle pagine della rivistaInsegnare religione, ne ha anticipato i risultati più rilevanti.

Armando Matteo

Ecco il primo: «Il dato più significativo che emerge dallo studioè la forte riduzione della capacità della religione cattolica diagire come elemento di identificazione tra i giovani: infatti, tragli intervistati solo il 53% si definisce “cristiano cattolico” afronte del 67% registrato sei anni prima. Se è vero che l’auto-definizione di sé come cristiano non è sufficiente ad indicareche la religione rappresenta un aspetto significativo della pro-pria vita, è importante osservare come in questo momentostorico solo un giovane su due veda nel cristianesimo un rife-rimento per la propria identità»2. In termini assoluti stiamoparlando di più di un milione di giovani italiani che nel giro dipochi anni hanno deciso di cancellare dalla carta d’identitàdella propria anima la parola «cattolico».

La prima generazione incredula

Nel nome di un Dio estraneo

cem_maggio_2012_rivista_maggio 03/05/2012 10.48 Pagina 18

dualista, ma non è un accompagnamento quotidiano alle scel-te. [...] La religiosità tra i giovani rimane come un “rumore difondo” sempre più indistinto, di cui si riconosce la presenzae, spesso, l’importanza (che emerge in particolari situazionia forte impatto emotivo), ma che non rappresenta di per sé,nella maggior parte dei casi, un riferimento costante all’internodel processo di identità»4.Una seconda indagine che ci aiuta a perlustrare il rapportotra giovani italiani e religione cattolica è stata realizzata dallarivista Il Regno nel mese di maggio 2009 ed è stata resa notanello stesso mese dell’anno successivo. L’indagine ha di miral’intera popolazione italiana e tra i dati più rilevanti ha fattoemergere un vero e proprio salto generazionale in relazionealla pratica di fede. I suoi due curatori, Paolo Segatti, dell’Uni-versità degli Studi di Milano, e Gianfranco Brunelli, direttoredel Regno, evidenziano che con la generazione nata neglianni Ottanta sembra di osservare un altro mondo rispetto allegenerazioni precedenti. Più in particolare, ecco alcune loro

osservazioni specifiche: «La tendenza comune a ogni aspettodell’identità religiosa è che i giovani, in particolare quelli natidopo il 1981, sono tra gli italiani quelli più estranei a un’espe-rienza religiosa. Vanno decisamente meno in chiesa, credonodi meno in Dio, pregano di meno, hanno meno fiducia nellaChiesa, si definiscono meno come cattolici e ritengono cheessere italiani non equivalga a essere cattolici [...]. Lo scartotra la generazione del 1981 [...] e la precedente nella propriaadesione alla religione, segnatamente alla confessione cattolicae al modello che essa ha realizzato nel tempo nel nostro paese,è così forte da non consentire di rubricarlo in una sorta di di-mensione piana, in un processo dolce e lineare di secolariz-zazione. Accanto allo scarto generazionale va poi richiamatala riduzione sostanziale della differenza di genere. Non visono differenze sostanziali tra gli uomini e le donne»5.Una terza importante ricerca va ancora richiamata: quella rea-lizzata dall’Osservatorio Socio-Religioso Triveneto su un cam-pione di giovani della Diocesi di Vicenza e ora pubblicata nelvolume C’è campo?6. Tra le molteplici acquisizioni di que-st’ampia indagine ritengo vadano messe in evidenza le se-guenti: la progressiva individualizzazione dei percorsi di de-finizione dell’identità del soggetto moderno che tocca anchela questione della fede e quindi il passaggio da un cristiane-

maggio 2012 | cem mondialità | 19

religione 9

Un altro dato interessante è il seguente: «Rispetto alle pratichereligiose tradizionali va rilevato che diminuisce leggermente[rispetto ai dati 2004] anche la quota di intervistati che dichia-rano di aver partecipato alle messe di Pasqua (26%) e Natale(47%), mentre aumenta la quota di chi ha partecipato a pelle-grinaggi (12%) o processioni (29%)»3.Il sociologo Grassi, più in generale, così riassume la situazione:«Se il sentimento di appartenenza alla religione cattolica èsempre più debole, ciò non significa che, in generale, siaspento il sentimento religioso. Ne è cambiata però una di-mensione costitutiva. Per i giovani intervistati la fede è soprat-tutto uno strumento di sostegno psicologico e che dà speranzae significato alle azioni in una dinamica marcatamente indivi-

La tendenza comune a ogniaspetto dell’identità religiosa èche i giovani, in particolarequelli nati dopo il 1981, sonotra gli italiani quelli più estranei aun’esperienza religiosa

cem_maggio_2012_rivista_maggio 03/05/2012 10.48 Pagina 19

20 | cem mondialità | maggio 2012

Secondo i cronisti, durante il recente volo del viaggio inCina, il premier Mario Monti aveva fra i video adisposizione Inside Job, film del 2010 (prodotto, scritto e

diretto da Charles Ferguson) che indaga le cause della crisifinanziaria del 2008-2010, vincitore dell’Oscar per il migliordocumentario nel 2011 e distribuito in Italia da Feltrinelli. Speroche lo abbia guardato, trovando al suo interno diverse suevecchie conoscenze. Tuttavia, sapendolo uomo di cultura,immagino non abbia mancato di andare col pensiero a MarcoPolo, che col fratello raggiunse l’odierna Beijing (Pechino) nel1262. Allora la Cina era, per l’Europa, il Gran Chatay el’imperatore era un mongolo, Kubilai Khan. Il Gran Khan loprese a benvolere e lo rimandò in Italia come ambasciatore allacorte del Papa. Passarono i secoli, dati i tempi i due paesierano troppo distanti e diversi per avere particolari rapporti.

In Sicilia arrivarono i bachi da seta, ma per mano deisaraceni, e da lì risalirono la penisola. Nella mia città c’èancora un fabbricato del primo ottocento detto «la segheria»

ed i gelsi fanno ancora parte del panorama agricolo dellabassa e della pedemontana. Col tempo la produzione italianafu sconfitta dall’ingresso della Cina nella modernità, che nericonquistò praticamente il monopolio. Arriviamo all’alba del ‘900. Dopo la spedizione internazionaleper la Rivolta dei Boxer nel 1901, in cui fu presente un Corpo dispedizione italiano, l’Italia ottenne una concessionecommerciale nell’area della città di Tientsin, che manterrà finoal 1947 (di fatto fino al 1943). Ma perché queste scorribandestoriche?Perché adesso, dopo duecento anni, la visita di Monti ci portaancora a parlare dei nostri rapporti con la Cina, il piùinquietante fra i Brics e forse il più strategico, seguito a ruotadall’India, dei nostri partner esotici.Andrò per punti. Ikea ha spostato (o forse riposizionato) alcune produzioni(mobilio e soprattutto cucine) dalla Cina all’Italia. Gli importinon sono stratosferici, per ora intono al miliardo di dollari, masono un segnale di controtendenza rispetto alladelocalizzazione selvaggia che ha contrassegnato i primi lustridell’ideologia della globalizzazione. Semplificando, unrubinetto deve costare di meno, ma deve prima di tuttofunzionare. Come notava acutamente un notista economico,«molti possono produrre qualità, molti possono produrre inserie; ma produrre qualità in serie è uno dei punti di forza delsistema Italia».Che la Cina non sia un campo di gigli in cui crescono i diritticivili non è una novità. Che il suo sviluppo economico sia natodall’adozione dei più sfrenati metodi dell’industrialismocapitalista, ipocritamente verniciati con pennellate tardoleniniste, nemmeno. Ma alcuni nodi vengono al pettine. Appleè stata crocifissa dai media per le condizioni di lavoro dei

Suggestioni dalla Cina

gianni [email protected]

dipendenti della Foxconn, salita alle cronache per il tasso disuicidi fra le maestranze, produttrice in appalto di Ipad equant’altro per l’azienda della mela. Quando un’aziendainstalla reti antisuicidi nelle trombe delle scale e fuori dallefinestre, è solare che qualcosa non va. La Apple, chesbandierava i suoi codici etici, è stata costretta ad intervenire,il suo presidente si è recato in Cina per mettere ordine e farepulizia in quel termitaio. Ma non è l’unico caso. In Italia EticaSgr (gruppo Banca Etica) contesta alla Piaggio forti irregolaritàin una sua subfornitrice cinese. Un rapporto della Cisl incollaborazione con i sindacati locali, ha rilevato pesantiinfrazioni ai pur modesti diritti dei lavoratori, anche se non ailivelli di Foxconn. Piaggio ha risposto che dimostrerà di averprovveduto, la procedura è ancora aperta. Con ciò voglio direche, almeno per quanto riguarda i grandi marchi, i brand amercato mondiale, sta diventando meno facile mantenere laCina come serbatoio della mano d’opera a basso od infimocosto, poiché in Europa e negli Usa sta nascendo un controllosociale sul sistema di subappalti e subforniture. Come cantavaBranduardi, «è giovane ma crescerà».A casa nostra cresce la preoccupazione per l’aumentod’importazioni di pomodoro cinese (+40% nell’anno scorso),ritenute una minaccia per i due distretti che hanno fatto fortunacon la gustosa solanacea: la Campania e l’Emilia occidentale.Ma in questo caso pare che i nostri non siano gnocchi; ciò ches’importa è concentrato, utilizzato al 90% per confezionareprodotti da esportazione, la cui domanda è tale da non poteressere soddisfatta dalla produzione nazionale. In unsupermercato austriaco ho trovato una salsa in tubetti «Oro diParma»: io sono di Parma e non l’avevo mai sentita nominare!Anche qui, cultura e qualità fanno aggio sul puroeconomicismo.Perché questa carrellata un po’ sconclusionata? Per suggerireche in economia non c’è determinismo, non ci sonoautomatismi; occorre sempre ricordare l’eterogenesi dei fini. È un messaggio per i più giovani: restare sul pezzo, sudare ecercare l’eccellenza attraverso la professionalità. Ciò che ilsistema, ogni sistema, non apprezza è il dilettantismo. Vale peri mercati mondiali come per la più piccola cooperativa sociale.

Con queste ultime farneticazioni, Brics visaluta. Nella prossima annata si chiameràSpread. Sarò ancora io a proporvi pillole di percorsi erratici, passeggiando neicrepacci del palmo della mano invisibile del mercato. Per la fortuna di tutti, siete liberidi non leggermi. A presto!

cem_maggio_2012_rivista_maggio 03/05/2012 10.48 Pagina 20

simo sociologico a un cristianesimo di scelta, che proprionelle nuove generazioni trova la sua più ampia illustrazione;la presenza nell’immaginario diffuso dei giovani di una Chiesatroppo interessata a dettare regole e a fissare paletti, comeun’istituzione molto ricca e ancora come una fonte di potere;l’emergere di un atteggiamento etico fondato sul principiodel rispetto e dell’interiorizzazione della norma; l’inedito alli-neamento dei comportamenti delle giovani donne, in terminidi disaffezione alla pratica della fede, a quelli dei coetaneimaschi7; la fatica sempre più esplicita a cogliere il senso e laconvenienza del riferimento a Dio nella propria esistenza, nelcammino dall’età giovanile verso la maturità; il diffondersi diuna certa semicredenza per quel che riguarda alcuni contenutidel dogma cristiano; l’imporsi di una pluralità di forme dellaspiritualità, fortemente individuali e soggettive, qualche voltaanarchiche; la difficoltà ad appropriarsi della differenza qua-litativa del testo del Vangelo rispetto ad altri testi.

religione 9Sentinella, quanto resta della notte? Oltre ogni crisi, per un nuovo patto generazionale

Quest’ultimo punto va, a mio avviso, ulteriormente illuminato.Alessandro Castegnaro, proprio nelle pagine conclusive dellaricerca, mette l’accento sull’urgenza che «si sviluppino rapportidi fiducia negli “uomini che fanno la Chiesa”, come li chiamanoi giovani intervistati, anche per un’altra ragione: senza di ciònon si recupererà un rapporto di fiducia nemmeno con l’Evan-gelo». I giovani, infatti, che stanno sul crinale circa la propriaidentità religiosa - e ovviamente sono moltissimi -, non fannomai riferimento al testo evangelico «come una possibile via. Siparla di Chiesa, di Religione, di regole, non di Vangelo. O ilTesto è assente, o viene esposto alle pressioni incrociate deldubbio, banalizzato come se fosse un testo qualsiasi. Se c’èqualcosa che dovrebbe far meditare tutti coloro che sono im-pegnati nell’educazione cristiana è che predicazione, catechesi,iniziazione cristiana, insegnamento della religione cattolica,non riescano a comunicare l’idea che esso sia un testo qualita-tivamente diverso da un libro come tanti altri. Ciò che ha datovita a culture e ne ha influenzate altre, che ha generato santi emartiri, ciò in cui generazioni su generazioni, per millenni,hanno creduto, oggi rischia di essere maliziosamente scrutatocome frutto di banali invenzioni o, peggio, di premeditate falsi-ficazioni. Manca l’idea che, quand’anche in certi suoi aspettilo si ritenesse “leggenda”, esso è sapienza dell’umano e com-prensione del divino. Manca perciò la curiosità di riscoprirlo,la volontà di comprenderlo, il desiderio di studiarlo»8.Merita, infine, ricordare anche le osservazioni relative al rap-porto tra fede e giovani, sviluppate dal recentissimo testo diFranco Garelli, Religione all’italiana. L’anima del paese messaa nudo9. Scrive l’autore: «Con l’aumentare dell’età cresce pro-gressivamente la quota di soggetti che credono in Dio in modocerto, mentre per contro man mano che si passa dalle classipiù alte a quelle più basse aumenta la tendenza a non credereo a credervi in modo dubbioso e altalenante. In altri termini,l’incertezza del credere è il tratto più diffuso delle giovani ge-nerazioni, così come la certezza della fede rimane la condizioneprevalente nelle persone in età adulta e soprattutto anziana.Crede in Dio senza aver dubbi 1/3 dei giovani, rispetto a piùdella metà delle persone mature e al 62% di quanti hanno piùdi 65 anni. All’inverso, in posizione ateo-agnostica troviamo il22,4% dei giovani e non più del 9% degli anziani, mentre unafede dubbiosa è più diffusa tra le giovani generazioni che traquelle dei loro padri e dei loro nonni. Queste differenze tra legenerazioni si riproducono in tutta l’area delle credenze edelle convinzioni religiose, segnalando una distanza tra giovanie anziani che in alcuni casi risulta anche di 25-30 punti per-centuali. I giovani in particolare sembrano più refrattari adaccettare le credenze religiose relative all’aldilà, o a pensareche “la Chiesa sia assistita da Dio”, o ancora a ritenere che lareligione rende più sereni di fronte alla morte; ma cionono-stante, la maggior parte di essi continua a credere nel Diodel cristianesimo, riconosce la natura divina di Gesù Cristo,e ammette che la salvezza eterna è a portata di tutti»10.

Come portare a sintesi tutti questi dati?

«Con l’aumentare dell’età cresceprogressivamente la quota di soggetti

che credono in Dio in modo certo,mentre per contro man mano che si

passa dalle classi più alte a quelle piùbasse aumenta la tendenza a non

credere o a credervi in mododubbioso e altalenante»

Franco Garelli

maggio 2012 | cem mondialità | 21

cem_maggio_2012_rivista_maggio 03/05/2012 10.48 Pagina 21

L’INTERPRETAZIONE

Prima generazione incredula?L’espressione da noi coniata, nel libro omonimo, «la primagenerazione incredula» vorrebbe portare all’evidenza il trattocomplessivo dei dati sin qui ricordati. Siamo sostanzialmentedi fronte a una radicalizzazione delle difficoltà del rapportotra la religione cattolica e il mondo giovanile: una radicalizza-zione che trova come suoi elementi caratterizzanti la rapiditàdel coinvolgimento di quote sempre più ampie di giovani, lasostanziale omogeneità di genere, la pacatezza dei modi deldistacco dell’universo ecclesiale. Siamo perciò dinanzi a unagenerazione - quella nata dopo il 1981 - che non si pone contro

22 | cem mondialità | maggio 2012

Sentinella, quanto resta della notte? Oltre ogni crisi, per un nuovo patto generazionale

Dio e contro la Chiesa, ma che sta imparando a vivere - e avivere pure la propria ricerca spirituale - senza Dio e senza laChiesa. Il trend generale è appunto quello dell’estraneità, ca-rattere che non indica un essere contro, ma un essere senza. L’espressione vorrebbe poi sin da subito richiamare l’urgenzadi considerare l’universo «giovane» in una prospettiva inter-generazionale: è la prima dopo altre generazioni, che l’hannopreceduta e l’hanno anche in parte plasmata. Non è possibilecogliere fino in fondo le ragioni dell’inedito credere/non cre-dere dei giovani italiani, senza prendere in considerazione legenerazioni che l’hanno preceduta. Si tratta perciò di riconoscere che alcuni dinamismi della cin-ghia di trasmissione della fede si sono inceppati. Vorrei oraevocarli, senza alcun intento nostalgico, ma semplicementefenomenologico, grazie a un testo del gesuita Aimè Duval, nelquale l’autore racconta come egli sia entrato in contatto conDio. Insomma, la sua prima lezione di teologia: «A casa mia lareligione non aveva nessun carattere solenne: ci limitavamo arecitare quotidianamente le preghiere della sera tutti insieme.Però c’era un particolare che ricordo bene e me lo terrò amente finché vivrò: le orazioni erano intonate da mia sorella e,poiché per noi bambini erano troppo lunghe, capitava spessoche la nostra “diaconessa” accelerasse il ritmo e si ingarbu-gliasse saltando le parole, finché mio padre interveniva inti-mandole di ricominciare da capo. Imparai allora che con Diobisogna parlare adagio, con serietà e delicatezza. Mi rimasevivamente scolpita nella memoria anche la posizione che miopadre prendeva in quei momenti di preghiera. Egli tornavastanco dal lavoro dei campi e dopo cena si inginocchiava perterra, appoggiava i gomiti su una sedia e la testa fra le mani,senza guardarci, senza fare un movimento, né dare il minimosegno di impazienza. E io pensavo: mio padre, che è cosìforte, che governa la casa, che guida i buoi, che non si piegadavanti al sindaco, ai ricchi e ai malvagi... mio padre davantia Dio diventa come un bambino. Come cambia aspetto quandosi mette a parlare con lui! Dev’essere molto grande Dio, se

Armando MatteoDon Armando Matteo è docente di

teologia presso la Pontificia UniversitàUrbaniana (Roma) e assistente

nazionale dell’Associazione ItalianaMaestri Cattolici. Tra le sue ultime

pubblicazioni: «La prima generazioneincredula. Il difficile rapporto tra i

giovani e la fede» Rubbettino, 2010;«La fuga delle quarantenni. Il difficilerapporto delle donne con la Chiesa»,

Rubbettino, 2012.

[email protected]

cem_maggio_2012_rivista_maggio 03/05/2012 10.49 Pagina 22

per un nuovo patto tra le generazioni 1

Con questo inserto si conclude il percorso per ri‑pensare la mondialità: la nostra convinzione è cheessa non possa essere attesa come la manna dalcielo, ma che sia un cantiere di cittadinanza attiva,di società civile globale e di democrazia partecipativa.Il nostro vero problema di cittadini del XXI secolo è«generare la mondialità». Aveva visto bene lʼamicoErnesto Balducci: la storia cammina più velocementedella coscienza. Facciamo presto, riportiamo lʼuomoalla pari con se stesso!

Dichiarazioni e Carte di mondialità

Richiamiamo alcuni documenti che a livello inter‑nazionale confermano la cultura della mondialità: idiritti dellʼuomo, delle donne, dellʼinfanzia, dei disabili,dei popoli indigeni, delle minoranze (dei Sinti e deiRom), la Carta della Terra, la riforma del sistema fi‑nanziario e monetario internazionale. È solo un pri‑mo campione di grandi codici, ancora incompleto,ma già significativo.

1. Dichiarazione universale dei diritti umani

Dei 30 articoli della «Dichiarazione universale dei di‑ritti umani» (10 dicembre 1948) ci limitiamo a ripor‑tare i nn. 1, 3,15 e 28.

Articolo 1. Tutti gli esseri umani nascono liberi edeguali in dignità e diritti. Essi sono dotati di ragionee di coscienza e devono agire gli uni verso gli altri inspirito di fratellanza.Articolo 3. Ogni individuo ha diritto alla vita, alla li‑bertà ed alla sicurezza della propria persona.Articolo 15. Ogni individuo ha diritto ad una citta‑dinanza. Nessun individuo potrà essere arbitraria‑mente privato della sua cittadinanza, né del dirittodi mutare cittadinanza.Articolo 28. Ogni individuo ha diritto ad un ordinesociale e internazionale nel quale i diritti e le libertàenunciati in questa Dichiarazione possano esserepienamente realizzati.

Ci sembra inoltre importante completare questoprimo e fondamentale documento con altri due ri‑

a cura di ANTONELLA FUCECCHI - ANTONIO NANNI

MANIFESTI, GRANDI CODICIE CARTE DI MONDIALITAʼVERSO UNA SINTESI APERTA

33‑36

maggio 2012 | cem mondialità | 23

cem_maggio_2012_rivista_maggio 03/05/2012 10.49 Pagina 23

ferimenti: «La Carta africana dei diritti dellʼuomo edei popoli» (28 giugno 1981) e la «Dichiarazione isla‑mica dei diritti dellʼuomo», che si è resa necessariaperché la «Dichiarazione universale dei diritti del‑lʼuomo» non è compatibile con la concezione isla‑mica della persona e della comunità.

2. I diritti delle donne e la Dichiarazione di Pechino

Le quattro Conferenze mondiali sulle donne convo‑cate dalle Nazioni Unite nel corso dellʼultimo quartodi secolo sono state utili nel portare la causa del‑lʼuguaglianza tra i sessi al centro dellʼagenda globale.Ci riferiamo alle Conferenze di Città del Messico 1975,di Copenhagen 1980, di Nairobi 1985 (nascita delfemminismo globale), e soprattutto alla Conferenzadi Pechino 1995 dove fu approvata una Dichiarazionein 38 articoli, di cui riportiamo solo la parte in cui igoverni partecipanti riaffermano il loro impegno perrealizzare lʼuguaglianza dei diritti e lʼintrinseca dignitàumana di donne e uomini. Attuare in particolare laConvenzione sullʼeliminazione di tutte le forme didiscriminazione nei confronti delle donne e la Con‑venzione sui diritti del bambino, così come la Dichia‑razione sullʼeliminazione della violenza contro le don‑ne e la Dichiarazione sul diritto allo sviluppo.

Convenzione sui diritti dellʼInfanzia (1989)

Dei 54 articoli di cui si compone tale Convenzioneci limitiamo qui a riportare (parzialmente) i primi trearticoli:Articolo 1. Ai sensi della presente Convenzione sʼin‑tende per fanciullo ogni essere umano in età inferioreai diciotto anni, a meno che secondo le leggi delsuo Stato, sia già diventato maggiorenne.Articolo 2. Gli Stati parti sʼimpegnano a rispettare idiritti che sono enunciati nella presente Convenzioneed a garantirli ad ogni fanciullo nel proprio ambitogiurisdizionale, senza distinzione alcuna per ragionidi razza, di colore, di sesso, di lingua, di religione, diopinione politica o di altro genere, del fanciullo o deisuoi genitori o tutori, della loro origine nazionale, etnica o sociale, della loro ricchezza, della loro invalidità,della loro nascita o di qualunque altra condizione.

Articolo 3. In tutte le decisioni riguardanti i fanciulliche scaturiscano da istituzioni di assistenza socialeprivate o pubbliche, tribunali, autorità amministrativeo organi legislativi, lʼinteresse superiore del fanciullodeve costituire oggetto di primaria considerazione.Gli Stati parte sʼimpegnano ad assicurare che le isti‑tuzioni, i servizi e le strutture responsabili della curae della protezione dei fanciulli siano conformi aicriteri normativi fissati dalle autorità competenti, par‑ticolarmente nei campi della sicurezza e dellʼigienee per quanto concerne la consistenza e la qualifica‑zione del loro personale nonché lʼesistenza di unadeguato controllo.

Convenzione sui Diritti delle persone con disabilità (2006)

Questa Convenzione è stata adottata il 13 dicembre2006 durante la sessantunesima sessione dellʼAs‑semblea Generale delle Nazioni Unite. È il primogrande trattato sui diritti umani del XXI secolo. Ècomposto da 50 articoli (cui va aggiunto un «proto‑collo opzionale» con altri 18 articoli). Qui di seguitoci limitiamo a riportare i primi tre articoli della Con‑venzione:Articolo 1. Scopo della presente Convenzione èpromuovere, proteggere e assicurare il pieno eduguale godimento di tutti i diritti umani e di tuttele libertà fondamentali da parte delle persone condisabilità, e promuovere il rispetto per la loro intrin‑seca dignità.Articolo 2. Ai fini della presente Convenzione: «Co‑municazione» comprende lingue, visualizzazioni ditesti, Braille, comunicazione tattile, stampa a grandicaratteri, le fonti multimediali accessibili così comescritti, audio, linguaggio semplice, il lettore umano,le modalità, i mezzi ed i formati comunicativi alter‑nativi e accrescitivi, comprese le tecnologie acces‑sibili della comunicazione e dellʼinformazione; «Il lin‑guaggio» comprende le lingue parlate ed il linguag‑gio dei segni, come pure altre forme di espressionenon verbale […].Articolo 3. I Principi della presente Convenzione so‑no: a) Il rispetto per la dignità intrinseca, lʼautonomiaindividuale, compresa la libertà di compiere le pro‑prie scelte, e lʼindipendenza delle persone; b) la nondiscriminazione; c) la piena ed effettiva partecipa‑

24 | cem mondialità | maggio 2012

cem_maggio_2012_rivista_maggio 03/05/2012 10.49 Pagina 24

Articolo 4. I popoli indigeni, nellʼesercizio del lorodiritto allʼautodeterminazione, hanno diritto allʼau‑tonomia o allʼautogoverno nelle questioni riguar‑danti i loro affari interni e locali, come anche a di‑sporre dei modi e dei mezzi per finanziare le lorofunzioni autonome. Articolo 5. I popoli indigeni hanno diritto a mante‑nere e rafforzare le loro particolari istituzioni politiche,giuridiche, economiche, sociali e culturali, pur man‑tenendo il loro diritto a partecipare pienamente, sescelgono di farlo, alla vita politica, economica, socialee culturale dello Stato. Articolo 6. Ogni persona indigena ha diritto ad unanazionalità. Articolo 7. 1. Le persone indigene hanno diritto allavita, allʼintegrità fisica e mentale, alla libertà e alla si‑curezza personale. 2. I popoli indigeni hanno il dirittocollettivo a vivere in libertà, pace e sicurezza comepopoli distinti e non devono essere soggetti ad alcunatto di genocidio o qualsiasi altro atto di violenza,ivi compreso il trasferimento forzato di bambini dalgruppo di appartenenza ad altro gruppo.

Dichiarazione dei diritti delle persone apparte‑nenti a minoranze nazionali o etniche, religioseo linguistiche (tra cui Rom e Sinti)

Dei nove articoli di cui si compone questa dichiara‑zione ONU (adottata nel 1992) riportiamo soltanto iprimi due.

Articolo 1. Gli Stati proteggono lʼesistenza e lʼidentitànazionali o etnica, culturale, religiosa e linguisticadelle minoranze sui loro territori rispettivi e favori‑scono lʼinstaurazione di condizioni adatte a promuo‑vere questa identità. Gli Stati adottano misure legi‑slative, o altro, necessarie a pervenire a questo fine.Articolo 2. Le persone appartenenti a minoranzenazionali o etniche, religiose linguistiche (qui di se‑guito definite persone appartenenti a delle mino‑ranze) hanno diritto di godere della loro cultura, diprofessare e di praticare la loro religione e di utilizzarela loro lingua, in privato ed in pubblico, liberamente,senza ingerenza né alcuna discriminazione. Le per‑sone appartenenti a delle minoranze hanno dirittodi partecipare pienamente alla vita culturale, religiosa,sociale, economica e pubblica [...].

maggio 2012 | cem mondialità | 25

zione e inclusione nella società; d) il rispetto per ladifferenza e lʼaccettazione delle persone con disa‑bilità come parte della diversità umana e dellʼumanitàstessa; e) la parità di opportunità; f ) lʼaccessibilità; g)la parità tra uomini e donne; h) il rispetto dello svi‑luppo delle capacità dei minori con disabilità e il ri‑spetto del diritto dei minori con disabilità a preservarela propria identità».

Dichiarazione delle Nazioni Unite sui Diritti dei Popoli Indigeni

Dei 44 articoli di questa Dichiarazione ONU adottatail 13 settembre 2007 ci limitiamo a riportare i primisette.Articolo 1. I popoli indigeni, sia come collettività siacome persone, hanno diritto al pieno godimento ditutti i diritti umani e delle libertà fondamentali cosìcome sono riconosciuti nella Carta delle Nazioni Uni‑te, nella Dichiarazione Universale dei Diritti dellʼuomoe nella legislazione internazionale sui diritti umani. Articolo 2. I popoli e gli individui indigeni sono liberied eguali a tutti gli altri popoli e individui e hannodiritto a non essere in alcun modo discriminati nel‑lʼesercizio dei loro diritti, in particolare per quantoriguarda la loro origine o identità indigene. Articolo 3. I popoli indigeni hanno diritto allʼauto‑determinazione. In virtù di tale diritto essi determi‑nano liberamente il proprio statuto politico e per‑seguono liberamente il loro sviluppo economico,sociale e culturale.

cem_maggio_2012_rivista_maggio 03/05/2012 10.49 Pagina 25

Per una riforma del sistema finanziario e monetario internazionale nella prospettiva di unʼautorità pubblica a competenza universale (2011)

È un importante documento del Pontificio Consiglio«Iustitia et Pax» sullʼattuale crisi economica e finan‑ziaria globale. In esso si afferma, tra lʼaltro, che [...]«La costituzione di unʼAutorità politica mondiale do‑vrebbe essere preceduta da una fase preliminare diconcertazione, dalla quale emergerà unʼistituzionelegittimata, in grado di offrire una guida efficace e,al tempo stesso, di permettere a ciascun Paese diesprimere e di perseguire il proprio bene particolare.Lʼesercizio di una simile Autorità, posta al serviziodel bene di tutti e di ciascuno, sarà necessariamentesuper partes, ossia al di sopra di ogni visione parzialee di ogni bene particolare, in vista della realizzazionedel bene comune». [...] «Secondo la logica della sussidiarietà, lʼAutoritàsuperiore offre il suo subsidium, ovvero il suo aiuto,quando la persona e gli attori sociali e finanziari sonointrinsecamente inadeguati o non riescono a fareda sé quanto è loro richiesto. Grazie al principio disolidarietà, si costruisce un rapporto durevole e fe‑condo tra la società civile planetaria e unʼAutoritàpubblica mondiale, quando gli Stati, i corpi intermedi,le varie istituzioni ‑ comprese quelle economiche efinanziarie ‑ e i cittadini prendono le loro decisionientro la prospettiva del bene comune mondiale,che trascende quello nazionale».[...] «Nelle incertezze attuali, in una società capace dimobilitare mezzi ingenti, ma la cui riflessione sul pia‑no culturale e morale rimane inadeguata rispetto alloro utilizzo in ordine al conseguimento di fini ap‑propriati, siamo invitati a non arrenderci e a costruiresoprattutto un futuro di senso per le generazioni avenire. Non bisogna temere di proporre cose nuove, anchese possono destabilizzare equilibri di forze preesi‑stenti che dominano sui più deboli. Esse sono unseme gettato nella terra, che germoglierà e non tar‑derà a portare i suoi frutti».

Proseguiamo con tenacia ed entusiasmo, giorno pergiorno a generare mondialità!

26 | cem mondialità | maggio 2012

Carta della Terra

Di questo importante documento il CEM si è giàampiamente occupato in passato. Non riportiamoqui i 16 articoli, ma soltanto una parte del preambolo,i quattro principi generali e una parte della conclu‑sione. Dal preambolo:

La Terra, nostra casa

Lʼumanità è parte di un grande universo in evolu‑zione. La Terra, nostra casa, è viva e ospita unʼunicacomunità vivente. Le forze della natura fanno del‑lʼesistenza unʼavventura impegnativa e incerta, mala Terra ha fornito le condizioni essenziali per lʼevo‑luzione della vita. La resistenza della comunità degliesseri viventi e il benessere dellʼumanità dipendonodalla preservazione della salute della biosfera, contutti i suoi sistemi ecologici, da una ricca varietà ve‑getale e animale, dalla fertilità del suolo, dalla purezzadellʼaria e delle acque. Lʼambiente globale, con lesue risorse finite, è una preoccupazione comune ditutti i popoli. Tutelare la vitalità, la diversità e la bel‑lezza della Terra è un impegno sacro.

I quattro impegni generali

1. Rispettare la Terra e la vita, in tutta la sua diversità.2. Prendersi cura della comunità vivente con com‑prensione, compassione e amore.3. Costruire società democratiche che siano giuste,partecipative, sostenibili e pacifiche.4. Tutelare i doni e la bellezza della Terra per le ge‑nerazioni presenti e future.

La strada in avanti (parte conclusiva)

Per poter costruire una comunità globale sostenibile,gli Stati del mondo devono rinnovare lʼimpegno pre‑so con le Nazioni Unite, adempiere ai propri obblighiin base agli accordi internazionali in vigore e soste‑nere lʼapplicazione dei principi della Carta della Terraattraverso strumenti vincolanti a livello internazionalein tema di ambiente e sviluppo. Possa la nostra epocaessere ricordata per il risveglio di una nuova riverenzaper la vita, per la risolutezza nel raggiungere la so‑stenibilità, per lʼaccelerazione della lotta per la giustiziae la pace, e per la gioiosa celebrazione della vita.

cem_maggio_2012_rivista_maggio 03/05/2012 10.49 Pagina 26

maggio 2012 | cem mondialità | 27

religione 9

mio padre gli si inginocchia davanti! Ma dev’essere anchemolto buono, se gli si può parlare senza cambiarsi di vestito.Al contrario, non vidi mai mia madre inginocchiata. Era troppostanca la sera, per farlo. Si sedeva in mezzo a noi, tenendo inbraccio il più piccolo... Recitava anche lei le orazioni dal prin-cipio alla fine e non smetteva un attimo di guardarci, uno dopol’altro, soffermando più a lungo lo sguardo sui piccoli. Nonfiatava nemmeno se i più piccoli la molestavano, nemmeno seinfuriava la tempesta sulla casa o il gatto combinava qualchemalanno. E io pensavo: dev’essere molto semplice Dio, se gli

I giovani di cui i sociologi evidenzianol’estraneità alla fede sono in verità figli

di genitori che non hanno dato piùspazio alla cura della loro fedecristiana: hanno continuato a

chiedere i sacramenti della fede, masenza fede nei sacramenti, hanno

portato i figli in Chiesa, ma nonhanno portato la Chiesa ai loro figli

piuttosto gli occhi della madre e quelli del padre. Le soleparole dei preti e dei catechisti, a primo impatto, non possie-dono la medesima forza originaria che gli occhi (le mani e lelabbra) materni e paterni hanno nel dire Dio, ovvero nel co-municare la verità per la quale noi crediamo al Vangelo pervivere più umanamente. Se è dunque vero che gli occhi degliadulti sono la prima ed essenziale mappa del mondo e laprima lezione di teologia: il primo annuncio, è purtroppo al-trettanto vero che da quarant’anni gli occhi degli adulti - ditanti, forse troppi adulti - non sono più esperienza «della forzadella fede nel Dio vivente» (Benedetto XVI).Insomma, non possiamo più rinviare oltre l’amara ammissioneper la quale oggi di adulti credenti ne sono rimasti pochi ingiro. Che di famiglie cristiane ne siano rimaste poche in giro.Nelle famiglie c’è un’altra musica, un altro sentimento di vita,un’altra religione. I giovani di cui i sociologi evidenziano l’estraneità alla fedesono in verità figli di genitori che non hanno dato più spazioalla cura della loro fede cristiana: hanno continuato a chiederei sacramenti della fede, ma senza fede nei sacramenti, hannoportato i figli in Chiesa, ma non hanno portato la Chiesa ailoro figli, hanno favorito l’ora di religione ma hanno ridotto lareligione a una semplice questione di un’ora. Hanno chiestoai loro piccoli di pregare e di andare a Messa, ma di loroneppure l’ombra, in Chiesa. E soprattutto i piccoli non hannocolto i loro genitori nel gesto della preghiera o nella letturadel Vangelo.Hanno imposto, questi adulti, una divergenza netta tra le istru-zioni per vivere e quelle per credere, una divergenza che,pur non negando direttamente Dio, ha avallato l’idea che lafrequentazione della vita in parrocchia e all’oratorio e pure lascuola di religione fosse un semplice passo obbligato perl’ingresso nella società degli adulti e tra gli adulti della società.Più semplicemente: se Dio non è importante per mio padre eper mia madre, non lo può essere per me. Se mio padre emia madre non pregano, la fede non c’entra con la vita. Senon c’è posto per Dio negli occhi di mio padre e di mia madre,non esiste proprio il problema del posto di Dio nella mia esi-stenza.Si è dunque molto ridotto il catecumenato familiare, cioèquella silenziosa ma efficace opera di testimonianza della fa-miglia, che la nostra azione pastorale normalmente presup-pone, quale prima iniziazione alla fede. Colpisce al riguardo l’esortazione di Papa Benedetto XVIrivolta ai giovani, nella prefazione al catechismo Youcat: egliha, infatti, loro raccomandato di «essere più profondamenteradicati nella fede della generazione dei [loro] genitori».

si può parlare tenendo un bambino in braccio e vestendo ilgrembiule. E dev’essere anche una persona molto importantese mia madre quando gli parla non fa caso né al gatto, né altemporale! Le mani di mio padre e le labbra di mia madre mihanno insegnato cose importanti su Dio!»11.Questo testo ci restituisce una verità elementare, eppure spes-so dimenticata, a livello ecclesiale, a causa dell’enfasi data alcatechismo parrocchiale. La verità cioè che il luogo ove ognibambino può efficacemente imparare la presenza benevoladi Dio, e cioè il fatto che Dio abbia qualcosa a che fare con lafelicità, con la custodia e la promozione dell’umano, non sonoprima di tutto la Chiesa o la lezione del catechismo, quanto

Più sinceramente, è l’ora di dircitutta la verità: il Dio degli adulti è un Dio estraneo ai giovani.

cem_maggio_2012_rivista_maggio 03/05/2012 10.49 Pagina 27

28 | cem mondialità | maggio 2012

Sentinella, quanto resta della notte? Oltre ogni crisi, per un nuovo patto generazionale

LE ORIGINI

La metamorfosi degli adultiDicevamo che l’espressione «prima generazione incredula»intende segnalare l’importanza di un’analisi intergenerazionaleper cogliere al meglio l’identità religiosa dei giovani italiani.Ed è giunta per questa l’ora di chiederci che cosa stia allabase dell’interruzione della cinghia di trasmissione della fedenel nostro paese. Perché il Dio degli adulti è diventato un Dioestraneo ai giovani? Proviamo ad interrogarci sull’identitàdella generazione adulta, in particolare quella nata tra il 1946e il 1964. La prima e principale caratteristica di essa è datadal fatto che, in prospettiva intergenerazionale, è una gene-razione che ama più la giovinezza che i giovani. La genera-zione nata tra il 1946 e il 1964 ha compiuto, nei fatti, una verae propria rivoluzione copernicana tra le età della vita nell’im-maginario collettivo. Ed ha riscritto il significante «crescerenel bene» in quello di «giovane». Procediamo con ordine. Come le ricerche di Copernico avevano rivoluzionato e ribal-tato la tradizionale posizione al centro dell’universo del pianetaterra, assegnando tal luogo al sole, così la generazione deicinquantenni e dei sessantenni ha rivoluzionato la tradizionaleposizione centrale - ontologica ed etica - dell’essere adultonell’immaginario dell’esistenza umana, assegnando tal postoall’essere giovane. Più semplicemente: se fino agli anni ’80ogni occidentale desiderava diventare al più presto adulto,cioè titolare di una posizione di autonomia di pensiero, di de-naro, di libertà di movimento, di relazioni, di affetto, di unadecisione piena per il bene, oggi al centro dell’immaginariocollettivo vige il desiderio di restare giovane. E non s’intendequi la giovinezza dello spirito. No: s’intende proprio la giovi-nezza nella fisicità delle sue caratteristiche, oltre i limiti deisuoi originari e inconfondibili tratti (età, capacità riproduttiva,genuinità dello sguardo sul reale). Solo se riesci a mostrarela giovinezza nel modo di vestire, nella traccia del tuo corpo,nel modo di considerare l’esistenza come possibilità sempreaperta, solo allora hai diritto alla felicità. La giovinezza è la grande macchina di felicità degli adultiodierni, l’unica macchina di felicità. È il bene. Ce lo dicono letinte per i capelli, gli interventi estetici, le creme e le pilloleblu, gli stili di vita «bunga bunga», le manie dietetiche e i lavoriforzati in palestra, con lo jogging e il calcetto ecc... La pub-blicità, che ha studiato bene questo tratto degli adulti, chesono coloro che hanno concretamente i soldi, non usa altrolinguaggio che quello della giovinezza. Per questo il mercatonon offre loro solo prodotti, ma alleati per la loro lotta controil tempo che passa, alleati per la giovinezza: lo yogurt che tifa andare al bagno con regolarità, l’acqua che elimina l’acqua,le creme portentose che contrastano il cedimento cutaneo,nutrono i tessuti, proteggono dagli agenti patogeni, rimpolpano,

ristrutturano, e poi la Renault che prevede per la mamma untatuaggio doppio di quella della figlia e ancora la bevandache ti mette le ali, gli elettrodomestici che ti danno il profumodell’ottimismo, ecc...Il punto è che tutto questo non è solo questione di estetica, nésolo di etica. È questione teologica. Dio compare ogni voltache l’uomo cerca la propria felicità, il proprio ben-essere almondo.Il segreto non detto della generazione adulta è il seguente: noicrediamo solo alla giovinezza. Ed è una forma di fede che hamonopolizzato l’immaginario complessivo della società. Gli au-tori di tale portentosa rivoluzione sono giunti ad una similesvolta in seguito ai numerosi cambiamenti avvenuti dal dopo-guerra ad oggi. Essi sono i primi ad aver beneficiato della rivo-luzione della medicina, dell’avanzata della tecnica nel mondodel lavoro e della costruzione delle case, del raggiungimentodi una stabilità politica ed economica su larga scala (l’assenzadi guerra e il boom economico degli anni ’60) e quindi dell’ampia

La giovinezza è la grandemacchina di felicità degli adulti

odierni, l’unica macchina di felicità.È il bene. Ce lo dicono le tinte per

i capelli, gli interventi estetici, lecreme e le pillole blu, gli stili di vita

«bunga bunga», ecc...

cem_maggio_2012_rivista_maggio 03/05/2012 10.49 Pagina 28

maggio 2012 | cem mondialità | 29maggio 2012 | cem mondialità | 29

È la storia di un uomo, ambientata in unarealtà di povertà che potrebbe far da sfon-do alle storie (vere) dei famigli1 del mio Ap-pennino, o alla favola di Hansel e Gretel odi Remì. In questo testo però la storia ètrasformata prima in una favola dell’acco-glienza, e poi conclusa col lieto fine. È ilpercorso lungo e difficile di un uomo chedeve imparare a diventare padre, e do-vrebbe insegnare a un burattino come sidiventa bambino e figlio.

Il padre

Chi è Geppetto? Un vecchio, povero, con la parruccagialla, bizzosissimo, dalla battuta sagace e un po’manesco. Non nasce come padre, all’inizio dice di

volere solo «un burattino maraviglioso, che sappia ballare,tirare di scherma e fare i salti mortali». Vuole un po’ dicompagnia, un aiuto per buscarsi un po’ di panee un bicchiere di vino, in giro per il mondo. Primadi estrarlo dal legno, sceglie per lui il nome - ironicoe realistico - di Pinocchio: «Questo nome gli porteràfortuna. Ho conosciuto una famiglia intera di Pi-nocchi: […] tutti se la passavano bene. Il più riccodi loro chiedeva l’elemosina». Forse il burattino/fi-

glio assomiglierà al suo genitore più di quanto non per-cepiamo noi lettori distratti: insolente, curioso, povero.Comincia estraendo dal ceppo i capelli, la fronte, gli occhi(un parto naturale!), e s’inquieta sotto quello sguardo,tanto da chiedere: «Perché mi guardate?». Poi scolpisceil naso, impertinente perché continua a crescere; terminala bocca, che ride, lo canzona e gli fa la lingua, che è lamassima espressione di dispetto che un bambino puòfare, la prima. Finite le mani, prontamente queste gli rubanodal capo la parrucca, così Geppetto sconsolato dice:«Birba d’un figliuolo! Non sei ancora finito di fare, e giàcominci a mancar di rispetto a tuo padre! Male, ragazzomio, male! E si rasciugò una lacrima». Già lo chiama fi-gliolo, e si accorge che non è tutto sotto controllo, che èimpreparato a diventare padre, lo aspettano dolori e pro-blemi, ma continua. Non vuole tornare indietro ora, nésottrarsi al suo ruolo di genitore, vede in quel burattinoquello che noi non possiamo vedere, sceglie di esserglipadre in quel preciso momento, lo sceglie. «Poi prese il burattino sotto le braccia e lo posò in terra,[…] per farlo camminare. […] Quando le gambe gli si fu-rono sgranchite, Pinocchio cominciò a camminare da sée a correre per la stanza; finché, infilata la porta di casa,

saltò nella strada e si dette a scappare».Così cominciano i primi guai di Gep-

petto: Pinocchio ha la sua prima crisidi capricci, attira l’attenzione dellagente, che giudica il falegname un«omaccio» (e non un buon uomocome il narratore), e si atteggia pre-occupata per quel povero burattino:

Padre single poverocon figlio a carico sara ferrari

[email protected]

cem_maggio_2012_rivista_maggio 03/05/2012 10.49 Pagina 29

mai a Pinocchio, si limita a sostenere che i bravi bambinivanno a scuola, sarà anche per questo che il burattinonon ci vuole andare?

Chi è il figlio?

Un burattino nato di circa 6 anni, che sa poco della vita,o dell’esser bambino o figlio. Curioso, insofferente aiconsigli, si arrabbia subito, tale e quale il padre. Nonvuole andare a scuola, vuole correre, salire sugli alberi,giocare. Come biasimarlo? Si rifiuta anche d’imparareun mestiere, troppa fatica. A quell’età non si può parlaredi orientamento! È solo, diverso da tutti, anche dalle altremarionette.Le avventure di Pinocchio si alternano tra brutti incontri,fughe piacevoli e sensi di colpa. Tra i tanti ricordiamoquelli per l’abbandono della casa paterna o quelli per le(finte) morti della bambina-fata. La Fata diventa un surro-

gato di madre a distanza (distanza dal padre), è l’unicache riesce a farlo andare a scuola (premiandolo conla trasformazione in un bambino vero), o a dargli unavaga sensazione di (crudele) normalità: «Vi chiamerò

la mia mamma. Gli è tanto tempo che mi struggo diavere una mamma come tutti gli altri ragazzi!...». Ilburattino però non gode mai delle figure materna epaterna insieme, anzi, per poter diventare figlio del-

l’uno, dovrà allontanarsi dall’altra. Pinocchio, è fonda-mentalmente e disperatamente solo: «Abbandonato

da tutti? Se arrivano gli assassini, mi attaccheranno dac-capo al ramo dell’albero... e allora morirò per sempre.Che vuoi che faccia qui, solo in questo mondo? Ora cheho perduto te e il mio babbo, chi mi darà da mangiare?Dove anderò a dormire la notte? Chi mi farà la giacchettinanuova? Oh! sarebbe meglio, cento volte meglio, che mo-rissi anch’io! Sì, voglio morire!...» Collodi come Dickens.Geppetto, lontano dal figlio per quasi tutto il romanzo, èaiutato da tutti nel suo ruolo di padre: Grillo parlante, Fatina,Mangiafuoco (non il Maestro), formano una strana comunitàcerto, ma che - a suo modo - educa il piccolo. Il padre èperlopiù smarrito nella ricerca di Pinocchio, fino al momentodel ricongiungimento, e, ancora una volta è aiutato, ora daPinocchio stesso: «Voglio salvare il mio babbo!». L’iconadel bravo figlio emerge proprio nel ventre del pescecane,dove avviene una seconda nascita per entrambi. Geppettori-accoglie Pinocchio, il figlio rincuora il padre ormai rasse-gnato a vivere lì, e lo salva. «Venite dietro a me, e non

abbiate paura... Pinocchio prese il suo babbo per la mano:e camminando sempre in punta di piedi, risalironoinsieme». Solo da qui comincia la storia di un padree di un figlio. nnn

1 I genitori troppo poveri per mantenere i figli, li cede-vano (o vendevano) ad altre famiglie per sottrarli a una

morte per fame quasi certa. Queste famiglie li allevavano comeservi, oppure li portavano a girovagare come orsanti per il resto

d’Europa, a far ballare scimmie o a esibire orsi in cattività.

«Ha ragione a non voler tornare a casa! Chi lo sa comelo picchierebbe […] - Quel Geppetto pare un galantuomo!Ma è un vero tiranno coi ragazzi! Se gli lasciano quel po-vero burattino fra le mani, è capacissimo di farlo a pez-zi!...». Ancora una volta Geppetto sembra pentirsi: «Scia-gurato figliuolo! E pensare che ho penato tanto a farlo unburattino per bene! Ma mi sta di dovere! Dovevo pensarciprima!...». Si rivela genitore ingenuo, s’illude che bastifarlo un burattino/figlio, perché sia fatto per bene. Non ciè dato sapere quali siano le informazioni in possesso dellagente e del carabiniere, ma sappiamo che lo arrestano,non avendo lui parole per difendersi. Nessun assistentesociale conduce Pinocchio in una casa-famiglia, e lui ri-torna a casa solo, e solo resta con la sua coscienza: colGrillo Parlante, che gli dà i primi (pedanti) insegnamenti. Geppetto, uscito dalla prigione, ritorna a casa e fa dinuovo il padre: cede al figlio la sua colazione, le tre pere,e gli dà la seconda lezione di vita. Lo lascia un po’ in ca-stigo senza i piedi, poi lo veste e gli procura un abbece-dario. Gli ha dato una forma per vivere,gli ha insegnato a camminare, lo haperdonato, lo ha sfamato, gli vuoledare un’istruzione; Gep-petto punta all’istruzio-ne perché cambi la lo-ro posizione sociale,ma non lo spiega

30 | cem mondialità | maggio 2012

Le avventure di Pinocchio si alternano

tra brutti incontri, fughe piacevoli e sensi di colpa

Bibliografia minima

C. Collodi, Le avventure di Pinocchio. Storia di unburattino, Rizzoli, Milano 1949

(online su www.liberliber.it)

C. Manganelli, Pinocchio. Un libro parallelo, Einaudi, Torino 1977

cem_maggio_2012_rivista_maggio 03/05/2012 10.49 Pagina 30

maggio 2012 | cem mondialità | 31

religione 9

pensare all’inno di quegli anni: Imagine - la cui prima rigasuona più o meno: immagina che non ci sia il paradiso. E ilcui contenuto è più o meno il seguente: nessuna vita buona èpossibile finché si alimenta un desiderio di paradiso. Doposecoli vissuti all’ombra della cacciata dal paradiso, si trattò diuna vera e propria cacciata del paradiso, a favore di un’im-mersione totale nella finitezza e nel mondo. L’unico paradiso èda cercare nel mondo. Il Sessantotto è stato un vento di fre-schezza incredibile, che ha profondamente attraversato l’im-maginario collettivo dei cinquantenni e dei sessantenni di oggi.Da qui nasce, per contraccolpo, una maledizione «culturale»per tutto ciò che sa di passato, di antico, di vecchio, di non«più giovane», «non più fresco». Insomma: giovinezza or no-thing. E tutto ciò che non ce la fa ad essere giovane è appuntonothing. Questa ombra di maledizione, involontariamente evo-cata, va a questo punto a posarsi anche sul senso dell’umano,in particolare sulle stagioni della vita. Più radicalmente, perquel che riguarda la qualità adulta dell’umano, siamo in riservada due decenni!L’adulto è infatti colui che sa che l’attende la vecchiaia, cioèl’indebolimento fisico, la malattia e soprattutto la morte. Ècolui che sa la morte e che ha fatto un patto con questo sapere.Amare la vita, nonostante la morte. Perché sa che la veritàdell’umano è la sua capacità di tenere alla giustizia, e di nonbarattare mai con il male. L’adulto è uno che tiene all’altrocome a se stesso. Questo è il bene dell’uomo. Nella figuradell’adulto emerge lo specifico dell’essere umano al mondo,che è dato appunto da questo riguardo posto sull’altro che èsempre oltre la semplice registrazione della sua presenza ac-canto a noi. È sguardo di empatia, è sguardo di compassioneè sguardo segnato o toccato. Se dinanzi all’inerme offeso,non ti volti dall’altra parte, se dinanzi al colpevole che delinque,non ti volti dall’altra parte, allora, sì, sei «un adulto degno disedere nel consenso degli umani; chi è capace di amare solose stesso, non ancora»13. Si capisce bene da dove nasce laprima generazione incredula: da questa virata degli adultiverso il culto della giovinezza, che ai giovani veri non puòaffatto interessare.

PROSPETTIVA

C’è inquietudine alla latitudine giovaneOvviamente questo porta pure al fatto che tra le generazionisi crei un senso di profonda estraneità. Lo hanno ricordato ivescovi italiani, nel loro documento per il decennio appenainiziato: «L’educazione è strutturalmente legata ai rapporti trale generazioni, anzitutto all’interno della famiglia, quindi nellerelazioni sociali. Molte delle difficoltà sperimentate oggi nel-

disponibilità di viveri, di piaceri, di offerte culturali variegate. Ma ildono più grande di cui sono stati beneficiati (e gli altri dopo di loro)è stato l’allungamento dell’età media. Oggi l’aspettativa di vita inItalia ha raggiunto gli 82 anni. Grazie a questo dato siamo il paesepiù vecchio al mondo dopo il Giappone. Certo, vecchio all’anagrafe,perché quanto all’autoconsapevolezza la cosa ha tutt’altro sapore espessore, come ricorda piuttosto ironicamente Ilvo Diamanti: «[…]Colpisce che il 35 per cento degli italiani con più di quindici anni(indagine Demos) si definisca “adolescenti” (5 per cento) oppure“giovani” (30 per cento). Anche se coloro che hanno meno di trent’anninon superano il 20 per cento. Peraltro, solo il 15 per cento si riconosce“anziano”. Anche se il 23 per cento della popolazione ha più di ses-santacinque anni. D’altronde, da noi, quasi nessuno “ammette” lavecchiaia. Che, secondo il giudizio degli italiani (come mostra lastessa indagine condotta pochi anni fa: settembre 2003), comince-rebbe solo dopo gli ottant’anni. In altri termini, vista l’aspettativa divita, in Italia si “diventa” vecchi solo dopo la morte»12.Nessuno infatti oggi ammette la vecchiaia: è parola che non trovineppure su wikipedia! Oggi vecchio è sinonimo di rimbambito,rincitrullito, babbeo. Nessuno ammette i segni della vecchiaia. Èpazzesco quanto si spenda per ricerche anti-age!Oltre a questo cambiamento diciamo così strutturale, gli adulti attualisono stati chiamati a vivere - alcuni da protagonisti altri di meno - uncambiamento culturale di non minore portata: la rivoluzione culturaledel Sessantotto, il potente desiderio di una nuova società, di una so-cietà nuova, appunto giovane, non più legata agli schemi passati epassatisti del passato. Una società che si affranca così potentementedalla sapienza tradizionale ed insieme dalla religione cristiana. Basti

cem_maggio_2012_rivista_maggio 03/05/2012 10.49 Pagina 31

l’ambito educativo sono riconducibili al fatto che le diverse gene-razioni vivono spesso in mondi separati ed estranei. [...] I giovanisi trovano spesso a confronto con figure adulte demotivate e pocoautorevoli, incapaci di testimoniare ragioni di vita che suscitinoamore e dedizione» (Educare alla vita buona del Vangelo, n. 12).Proprio in questa distanza, si accende il sentimento che maggiormentecaratterizza il nostro mondo giovanile: quello dell’inquietudine. Un’in-quietudine che spesso può trasformarsi in vero e proprio disagio,come ha illustrato bene Umberto Galimberti, nel suo testo L’ospiteinquietante14, altre volte può diventare cammino di ricostruzione diun senso dell’umano diverso da quello che ormai circola in mezzo anoi. L’operazione è messa in moto attraverso diverse strategie. Laprima risorsa che viene messa in campo dai giovani è il valore del-l’amicizia, un valore che supera di gran lunga anche il desiderio dicarriera e dei soldi. Emerge così un dinamismo di comunicazionetra pari che non si assoggetta alla legge unica del mercato, dove siscambiano cose, ma piuttosto ci si pone nell’atteggiamento di unoscambio di ciò che si è, di ciò che si prova, di ciò che più bolle nelcuore - prima e più di ciò che si possiede. Soprattutto internet offremolteplici possibilità al riguardo: da Facebook alla costruzione diun sito o di un blog, dalla chat all’invio costante di messaggi. Particolarmente significativo è poi un altro elemento che caratterizzala ricerca dei giovani di oggi: l’amore per la musica. Altra dimensione

Sentinella, quanto resta della notte? Oltre ogni crisi, per un nuovo patto generazionale

di libertà, la musica rappresenta una grande risorsa: sia quandoessa è fatta dai giovani sia quando viene usufruita da essi. È spaziodi creatività, di liberazione, contro le ossessioni performanti diadulti che sanno valutare il loro operato solo in termini di rendita edi crescita di capitale. Chi non ricorda la potenza degli spiritual? Pure significativi sono l’amore per la natura e la maggiore sensibilitàecologica. Interessante è poi l’attenzione prestata ad alcuni perso-naggi impegnati a tentare una trasformazione delle leggi inesorabilidella società: (Obama, il Papa, Madre Teresa, i monaci tibetani,Saviano, Gino Strada, Borsellino, Falcone...). Quasi incredibile, per una società come la nostra che ha sdoganatoogni forma di egoismo, è la presa che il volontariato ha ancora sulcuore dei giovani. Non possiamo non accennare poi alla dimensionedell’immaginario che trova alimento nella fruizione della letteraturae del cinema contemporanei, ove l’indice di gradimento pesa a fa-vore di un possibile alleggerimento della gravità del reale e delmale che segna la vita di ognuno. Infine è da ricordare tutta quellaletteratura fatta da giovani (Silvia Avallone, Viola di Grado, Barbaradi Gregorio, Alessandro D’Avenia, ecc.) nella quale emerge, forte,l’invocazione di una nuova prassi di adultità, sottratta al mito narci-sistico della giovinezza e capace di un serio confronto con la veritàdella vita, della morte e finalmente indirizzata alla trasmissione diciò che rende degna l’avventura dell’umano. nnn

SENZA DI NOI

Conclusione aperta

A questo mondo inquieto e spesso invi-sibile dei giovani, gli adulti, e in partico-lare gli adulti credenti, dovrebbero guar-dare con maggior attenzione. È, per noiadulti, tempo di smettere di fissare il pro-prio ombelico e i propri quattro capelliin testa - chi ce l’ha ovviamente. È tempo

di restituzione. È tempo di redistribuzionedei privilegi. È tempo di amore, di inter-esse. È tempo di attesa vigilante. Nonsiamo (stati) noi i costruttori del miglioredei mondi possibili, né di questo paese,né di questa Chiesa. Senza di noi, il mon-do e la Chiesa potrebbero essere migliori.

1 La ricerca è stata pubblicata dall’editrice Il Mulino diBologna.2 R. Grassi, Giovani e fede /1. Cristianesimo e identitàtra i giovani italiani, in «Insegnare religione», n. 1, sett.-ott. 2010, pp. 8-9.3 R. Grassi, Giovani e fede /2. La pratica religiosa, in«Insegnare religione», n. 2, nov.-dic. 2010, pp. 8-9.4 R. Grassi, Giovani e fede /1. Cristianesimo e identitàtra i giovani italiani, sett.-ott. 2010, cit.5 P. Segatti, G. Brunelli, Ricerca de Il Regno sull’Italiareligiosa: da cattolica a genericamente cristiana, in ilRegno/attualità, n.10, 2010, p. 351.6 Osservatorio Socio-Religioso Triveneto, C’è campo?Giovani, spiritualità, religione, Marcianum Press, Ve-nezia 2010. 7 Scrive incisivamente il curatore dell’indagine: «La presadi distanza dal mondo della religione, dalla Chiesa edalla pratica in particolare, era evidentemente in buonaparte già avvenuta nei maschi, non ancora nelle femmi-

ne, che ora si sono allineate. Se agisse solo l’effetto etàdella vita e non quello generazionale, più duraturo, nonci sarebbe ragione perché questa distinzione si mani-festasse» (A. Castegnaro, Uno studio sulla spiritualitàdei giovani, in Osservatorio Socio-Religioso Triveneto,C’è campo? Giovani, spiritualità, religione, MarcianumPress, Venezia 2010, p. 26).8 A. Castegnaro, C’è campo?, in Osservatorio Socio-Re-ligioso Triveneto, C’è campo? Giovani, spiritualità, re-ligione, Marcianum Press, Venezia 2010, p. 602.9 F. Garelli, Religione all’italiana. L’anima del paese mes-sa a nudo, il Mulino, Bologna 2011. 10 F. Garelli, cit., p. 47. Già nelle ultime righe della cita-zione si nota la lettura più positiva della complessivareligiosità giovanile italiana, da parte di Garelli, che facapolino poi di nuovo sulle pagine 98 e seguenti del vo-lume. La parziale leggera difformità di questi dati conquelli prima citati e anche rispetto alla nostra personaleinterpretazione della questione è dovuta forse anche al

fatto che la ricerca su cui si basano le riflessioni diGarelli è stata condotta all’inizio del 2007. 11 Abbiamo trovato il testo in http:// www.chiesadimilano.it/ polopoly_fs /1.43820.1310561270! /menu /stan-dard/file/06.pdf12 I. Diamanti, Sillabario dei tempi tristi, Feltrinelli, Milano2009, p. 64.13 P. Sequeri, Contro gli idoli postmoderni, Lindau, Torino2011, p. 24.14 U. Galimberti, L’ospite inquietante. Il nichilismo e igiovani, Feltrinelli, Milano 2007, p. 11: «Un libro sui gio-vani: perché i giovani, anche se non sempre ne sonoconsci, stanno male. E non per le solite crisi esistenzialiche costellano la giovinezza, ma perché un ospite in-quietante, il nichilismo, si aggira tra loro, penetra neiloro sentimenti, confonde i loro pensieri, cancella pro-spettive e orizzonti, fiacca la loro anima, intristisce lepassioni rendendole esangui».

32 | cem mondialità | maggio 2012

cem_maggio_2012_rivista_maggio 03/05/2012 10.49 Pagina 32

agenda interculturaleUna scossaall’alberoAlessio [email protected]

maggio 2012 | cem mondialità | 33

agenda interculturale

Per l’ennesima volta Youssou N’Dour ha dato una scossaall’albero. Shaking the tree, dedicata ai diritti delledonne, arrivò all’attenzione generale nel 1989, quando

in pochi parlavano di world music e ancor meno di musicaafricana, ma già da una decina d’anni il pop europeo enordamericano tornava a sciacquare i panni in Africa. È ilcaso di Peter Gabriel, che vanta una lunga collaborazionecon il cantante senegalese, salito alla ribalta con il gruppoSuper Etoiles de Dakar e con lavori discografici impegnati,come quello dedicato nel 1986 a Nelson Mandela. Neglianni, il cinquantaduenne musicista nato a Dakar ha saputoconquistarsi un ruolo di riferimento in Senegal e nel mondo:l’edizione francofona di Wikipedia è già aggiornata, daaprile 2012 è ministro della cultura e del turismo del suopaese, con una scelta che premia il suo recente impegnopolitico nelle prime elezioni davvero contrastate e, a tratti,drammatiche avvenute in Senegal a inizio 2012, dopo 12anni di presidenza, e decadenza, targata Abdoulaye Wade. Una scelta analoga a quella appena compiuta dal neopre-sidente senegalese Macky Sall la compì il presidente brasi-liano Ignacio Lula Da Silva nel 2003 identificando nel mu-sicista e compositore bahiano Gilberto Gil la personalità ingrado sia di democratizzare la gestione dei processi culturalinel suo paese e di innescare processi di riconoscimentodelle culture orali e popolari, sia di stabilire rapporti e col-laborazioni importanti a livello internazionale. Gil (e JucaFerreira) ci riuscirono in Brasile con risorse minime, nelladisattenzione generale per scelte a favore dell’open source,delle creative commons e dei «punti di cultura» quali spazid’incontro delle esperienze culturali dal basso e di accesso

autogestito alle nuove tecnologie. Processi che testimonianocome un artista sia in grado di innovare il settore culturalein chiave libertaria. Ma anche che il liberismo è sempredietro l’angolo, come ha poi mostrato l’improvvisa amnesiaper i risultati raggiunti della nuova ministra. I prossimi mesiracconteranno verso quali dei due poli sarà orientato l’im-pegno di Youssou N’Dour, da sempre ispirato compositoree interprete, ma anche atten-to manager di se stesso sulpiano commerciale.Un ruolo che l’ha portato arivaleggiare artisticamentecon l’altra star della metropolisenegalese, Thione Seck, en-trambi gestori di due dei localipiù alla moda di Dakar, Thios-sane e Penc Mi, e entrambi,musulmani, attenti arrangia-tori dei propri brani musicaliin chiave «orientale», con due ottime prove recenti, Orien-tissime, in tour in Europa anche lo scorso anno, nel caso diSeck, e Egypt che valse a N’Dour il Grammy come migliorlavoro world nel 2005. Dietro questi nomi e questa capacitàdi giocare un ruolo, anche come ambasciatore di AmnestyInternational, Fao e Unicef (nel caso di N’Dour), a livello in-ternazionale, il Senegal che suona ha sviluppato un’intensaproduzione hip hop, molto critica nei confronti dei poteriforti, attenta nell’intercettare i guai quotidiani delle comunitàcosì come la loro capacità di resistere alla decadenza di chigoverna. È l’onda del hip hop, con uno sviluppo che correparallelo al mbalax di N’Dour, ad aver continuato ad infor-mare e a mobilitare di fronte ai segnali di corruzione e au-to-riproduzione che venivano dall’alto. Artisti che mixanowolof, francese e immagini video per raccontare una con-dizione di sfruttamento delle campagne che spinge i giovaniverso percorsi migratori obbligati come denunciano, peresempio, i Keur Gui in Coup 2 Gueule (http://www.youtu-be.com/watch?v=Q-6H3YCx3x4). Le domande sono chiare:con chi N’Dour proverà a scuotere l’albero giusto per trovarerisposte adeguate? nnn

cem_maggio_2012_rivista_maggio 03/05/2012 10.49 Pagina 33

cem_maggio_2012_rivista_maggio 03/05/2012 10.53 Pagina 34

sione della vita» (riferendosi probabil-mente alla criogenesi ma anche all’iber-nazione). Dando un po’ ragione a Rubbiama un po’ torto a Einstein, colloca in-torno al 2070 la scoperta di una «velocitàvicina a quella della luce» con conse-guente «volo interstellare». Da interpre-tare invece il senso di altre previsioni:«l’intelligenza meccanica supera quellaumana» (intorno al 2080) e ancor più«cervello mondiale» e «immortalità» piaz-zate dalle parti del 2090-2100. Ovvia-mente ognuna di queste definizioni do-vrebbe essere chiarita: parlando d’im-mortalità, ad esempio, Clarke probabil-mente si riferisce alla reincarnazione omeglio riproduzione, duplicazione di unastruttura molecolare e dell’annessa bi-blioteca-memoria mentale. Fare profezie è un mestiere difficile, comelo stesso Clarke ben sapeva. Sarebbe di-ventato l’uomo più ricco della Terra seavesse «brevettato» la sua intuizione deisatelliti spaziali ricetrasmittenti. Eppurenon previde i transistor e dunque im-maginò (che errore!) i computer semprepiù ingombranti. A rileggere queste af-fascinanti previsioni di 50 anni fa peròmi assale un dubbio. Le ipotesi si basa-vano ovviamente sul trend del ‘900, cioèsu una società mondiale che (pur contutte le sue contraddizioni e pazzie, intesta la guerra) investiva in scienza e sa-pere. Dal 1962 a oggi, e sempre più negliultimi anni, i fondi per formazione e ri-cerca sono in calo o deviati solo sugli im-mediati profitti. Come dire che potremmogià parlare con i delfini o volare su Mar-te... se si fosse investito. Invece l’Italia,tanto per citare un paese a caso, prefe-risce dar soldi ai cacciabombardieri F-35piuttosto che alla ricerca. Se qualche«clarkiano» è in ascolto, per favore puòspiegarci questa faccenda dell’intelligenzaumana: ipotesi o dato di fatto? nnn

2020-2100 Le previsioni di Arthur Clarke

Conoscete Arthur C. Clarke? Loscienziato e scrittore (1917-2008)si divertì fra l’altro a scrivere le

sue «tre leggi» («se tre leggi sono suffi-cienti per due Isaac, Newton e Asimov,anch’io posso fermarmi qui»). Eccole: 1 - «Quando uno scienziato famoso maanziano dice che qualcosa è possibilequasi certamente ha ragione; quandodice che qualcosa è impossibile moltoprobabilmente ha torto». 2 - «L’unico modo per scoprire i limitidel possibile è avventurarsi un poco oltre,nell’impossibile». 3 - «Ogni tecnologia sufficientementeavanzata è indistinguibile dalla magia». Interessante vero? In questa rubrica ciriguarda soprattutto la seconda, ancheperché nel 1962 Clarke scrisse Le nuovefrontiere del possibile (tre anni dopo tra-

«Chi non spera quello che non sembra sperabilenon potrà scoprirne la realtà, poiché lo avrà fattodiventare, con il suo non sperarlo, qualcosa che non può essere trovato, e a cui non porta nessuna strada».Eraclito

a cura di Dibbì[email protected]

domani è accaduto

Se volete leggermi sul mio blog: http://danielebarbieri.

wordpress.com

dotto in italiano) che si conclude nien-tepopòdimenoche con una «tavola delfuturo». Prima riassume cos’è accadutofra il 1800 e il 1960 in cinque campi(trasporti, comunicazioni, materiali, bio-logia-chimica e fisica), poi ipotizza cosapotrebbe succedere fra il 1970 e il 2100.Rileggendolo dopo mezzo secolo, ci pos-siamo divertire a vedere cosa Clarke haazzeccato (atterraggio sulla Luna, biblio-teca globale) e cosa ha «toppato» (deci-frare il linguaggio dei cetacei). Ma spin-giamoci più in là e vediamo qualcosa diciò che ipotizza per i prossimi 90 anni. Già nel 2030 Clarke prevede «animali in-telligenti», poco dopo (nel decennio2040-2050) «stimolazione della memo-ria», «istruttore meccanico» e «sospen-

Fare profezie è unmestiere difficile,

come lo stesso Clarkeben sapeva.

Sarebbe diventatol’uomo più ricco

della Terra se avesse«brevettato» la sua

intuizione dei satellitispaziali

ricetrasmittenti

cem_maggio_2012_rivista_maggio 03/05/2012 10.50 Pagina 35

a cura della Redazione

Un «grazie» al CEM dal Festival del Cinema Africanod’Asia e America Latina

Cari amici di CEM,

il 25 marzo scorso si è conclusa a Milano la 22° edizione del Festivaldel Cinema Africano, d’Asia e America Latina, promosso dal COE.La qualità delle opere presentate, la partecipazione numerosa delpubblico e l’interesse dei media, hanno reso anche questa edizioneun momento significativo nel panorama culturale milanese e italiano.Il Festival è possibile grazie alla collaborazione e alla partecipazionedi tante Istituzioni e Enti diversi e vogliamo ringraziare ciascunoper il loro apporto. Importante è stata la collaborazione del CEM che ringraziamo inmodo particolare e che ci auguriamo possa continuare anche nelfuturo.

Ecco alcune foto della premiazione

Un saluto cordialeGabriella Rigamonti

COE - Coordinamento ufficio Milano

Il premio CEM è stato consegnato da Alessandra Ferrario, che ringraziamo!

cem_maggio_2012_rivista_maggio 03/05/2012 10.50 Pagina 36

maggio 2012 | cem mondialità | 37

Quale futuro per l’Italia multireligiosa?

Questo il tema, affrontato da Bru-netto Salvarani, direttore di«CEM Mondialità» la sera del

26 marzo 2012 nella Casa dei MissionariSaveriani a Salerno. Al termine del suointervento, ci sono state diverse doman-de che hanno arricchito la serata. Dasottolineare la presenza della dirigentee dei docenti della scuola di Sant’Anto-nio in Pontecagnano che hanno accoltola mostra itinerante sui Volti e che cihanno incoraggiato a collaborare perrender il dialogo veramente concreto.

Padre Oliviero Ferromissionario saveriano

Papa Paolo VI e il CEMIncontro di Mons. Beltrami, Direttore Nazionaledelle Pontificie Opere Missionarie, in rappresentanzadel CEM, con Papa Paolo VI. (15 settembre 1963)

[...] «Vi sono poi circa cento Maestri elementaripartecipanti a un convegno di studio del CentroEducazione Missionaria. Ebbene, anche a lorol’espressione della mia compiacenza. Che l’ideamissionaria diventi anch’essa tanto materia distudio quanto principio educatore, criterioinformatore dell’educazione scolastica egiovanile. Anche questo mi sembra molto bello:vuol dire allargare lo sguardo, vuol dire nonstudiare soltanto la geografia fisica e politica, mastudiare la geografia degli uomini fratelli e dellavocazione cristiana che noi cattolici dobbiamosentire rivolta a tutto il mondo.Quindi anche a questi bravi maestri il mioincoraggiamento e la mia benedizione».

Papa Paolo VI

Radio Vaticana, 18 settembre 1963Testo trascritto da padre Savino Mombelli, direttore di CEM

Caro padre Mombelli,rallegramenti per il Convegno. Le mando la fotoscattata all’udienza del 15 settembre 1963 mentreero accanto al Papa Paolo VI. Queste le parole cheSua Santità mi ha rivolto: «Porti ancora la miaparola d’incoraggiamento e di benedizione a cia-scuno in particolare per il lavoro missionario chetanto bene svolgono nella scuola»Mons. BeltramiDirettore Nazionale delle Pontificie Opere Missionarie

28 settembre 1963

cem_maggio_2012_rivista_maggio 03/05/2012 10.50 Pagina 37

38 | cem mondialità | maggio 2012

Rosaria AmmaturoDocente di Scienze UmaneLiceo delle Scienze Umane e Linguistico «G. Bianchi Dottula» - Bari

Tutto è cominciato con unpercorso di educazione in-terculturale grazie al pro-

getto europeo «Le(g)ali al Sud»che nel nostro Liceo ha assuntoun titolo impegnativo: «Convivia-lità delle differenze. Immigrati:problema o risorsa?». Agli stu-denti e ai docenti tutor coinvolti,si è aperto, grazie ad Abusuan,ente partner a cui è affidato ilCentro interculturale di Bari, unoscenario di una ricchezza incre-dibile. Tanti gli incontri con per-sone speciali che hanno condi-viso con noi esperienze della loro

vita, ma anche della storia e dellacultura del loro paese di prove-nienza; tanti anche gli spazi visi-tati, da quelli autogestiti dai mi-granti, a quelli finanziati dagli entilocali che si pongono come oc-casione di incontri tra culture, ol-tre che fornire supporto agli stra-nieri per l’integrazione nel con-testo locale. Per non parlare delruolo svolto da alcune parrocchieche offrono sportelli di consulen-za per chi cerca lavoro e corsi diitaliano, sperimentando, con l’ac-coglienza, il dialogo interreligio-so; tutto questo grazie ad alcuniparroci diventati punti di riferi-mento per chi intende l’intercul-tura come apertura e disponibilitàa lasciarsi contagiare.

Un’esperienza unica che in medocente ha risvegliato la speran-za e la voglia di mettermi in gio-co, vincendo ogni forma di apa-tia o indifferenza che per stan-chezza, alcune volte, dopo 35anni di insegnamento, mi pren-de. E gli alunni?

Le testimonianze degli studenti

«Tutti i miei compagni pensavanodi conoscere l’argomento e al-l’inizio ci sono state parecchiepolemiche, ma ora che siamo ametà percorso ci siamo resi contoche quello che sapevamo a ri-guardo erano pensieri che altrici avevano trasmesso. Perché an-che la scuola propone uno studiopassivo, teorico: la maggior partedel tempo ascoltiamo e, quandoparliamo, non è per dire la nostrama per esporre ai professori ciòche abbiamo appreso dai libri odal loro stesso modo di pensare.Altra cosa è avere incontri conpersone direttamente coinvolte,ascoltare le loro testimonianze esolo dopo farsi una propria ideasul problema», scrive Bianca. «Ho scoperto cosa vuol dire“convivialità delle differenze”ascoltando Genevieve Makaping,antropologa del Camerun. Sescaviamo nella genetica storicadi ognuno di noi tutti scopriremo,a malincuore probabilmente, dinon essere parte della “razza pu-ra” che molti stupidi tanto accla-mano... Ma al contrario ci accor-geremmo in fondo d’essere tuttidei “meticci”!», leggo in uno scrit-to di Adriana. La stessa scrive:«Ci dite che la conoscenza è labase di una vita corretta, ci man-date a scuola per questo (in teo-ria): per renderci nella vita uominie donne migliori e più consape-voli di ciò che è giusto e ciò cheinvece è sbagliato. Si prosegue

Tanti gliincontri con

personespeciali che

hannocondiviso

con noiesperienze

della lorovita, ma

anche dellastoria e della

cultura delloro paese diprovenienza

a cura di Eugenio Scardaccione | [email protected]

Perché la cittadinanza sia un dirittoe non una concessione

cem_maggio_2012_rivista_maggio 03/05/2012 10.50 Pagina 38

maggio 2012 | cem mondialità | 39

per piccoli passi, io uno l’ho giàfatto: sono diventata consapevoleche è profondamente sbagliatogiudicare quello che non si co-nosce, e soprattutto è sbagliato,anche se umano, farsi spaventareda quello a cui non si è abituati.Dunque perché non fare insiemeun grande passo? Impariamo aguardare alle differenze non condiscriminazione ma con curiosità,quella curiosità sana che non sot-tolinea negativamente le diver-genze, ma ci suggerisce quantoesse possano arricchirci».Sara aggiunge: «Ho imparato chele differenze arricchiscono e nonallontanano. Ho scoperto che in-sieme ad un perfetto sconosciuto,che sia bianco o nero non impor-ta, posso conoscere più a fondome stessa; mi sono resa contoche non esiste una verità ogget-tiva: quella che chiamiamo veritàè in realtà frutto del nostro modopersonale di percepire la realtàe ci sono tanti modi diversi di per-cepire quante sono le personeche ne vengono a conoscenza».E continua dicendo «Ho imparatoa guardare, ragionare e pensarecome un nero, che è identico acome fa un bianco, allora perchénon possiamo ragionare insie-me? Perché dobbiamo sottolinea-

re le differenze che ci rendonodiversi piuttosto che evidenziareciò che ci accomuna?».Clara, in un suo scritto, riporta unrecente studio in cui si affermacome negli ultimi anni il sovrap-porsi di diverse culture abbia por-tato alla nascita dell’Homo Bicul-turalis, e lo commenta dicendo:«È bello pensare che, secondo leultime scoperte, siamo proprionoi giovani a muoverci tra linguee valori diversi senza contraddi-zioni. Il solo pensiero mi fa sentire“cittadina del mondo”: non ci saràpiù bisogno di essere assimilatiper sentirsi a proprio agio. Diver-samente da come accade nellenostre aule, dove vigono ancoradei pregiudizi».«Ho imparato davvero molte cosedurante questo percorso. Peresempio ora so che la paura piùgrande che gli uomini provano na-sce dalla non conoscenza, dallapaura di esser giudicati. Come sifa a giudicare se non si conosconole molteplici sfaccettature dell’ani-mo umano che si nascondono die-tro un volto?», scrive Sara.

Un impegno concretoIl desiderio di essere protagonisti di uncambiamento che sta avvenendo sotto i nostriocchi e che a 150 anni dall’Unità d’Italia non puòvederci indifferenti, ha reso possibile che il nostroliceo, con il sostegno del dirigente scolastico e lapartecipazione attiva degli studenti coinvolti nelprogetto, si offrisse per ospitare, in un pomeriggiodi apertura, il comitato provinciale della campagna«L’Italia sono anch’io» per il diritto dipartecipazione politica alle amministrative senzadiscriminazione di cittadinanza e nazionalità e perl’acquisizione della cittadinanza da parte deibambini o dei ragazzi nati in Italia, figli di migrantiregolarmente residenti sul nostro territorio1.«Si può essere nati in Italia, parlare l’italiano,frequentare le scuole italiane, avere “sogni” daitaliano e non essere italiano?».«Si può lavorare in Italia in modo regolare, pagarele tasse, rispettare la legge e non avere il diritto dipartecipazione politica e amministrativa alla vitadel paese in cui si vive e che si sente un po’proprio?».Questi gli interrogativi che hanno fatto maturarenei ragazzi/e la decisione di passaredall’indifferenza all’impegno in prima persona. Si ècosì organizzata una campagna di sensibilizzazionerivolta a tutti gli alunni del liceo e alle loro famiglie,ai docenti e al personale tutto. L’esperienza è stataper tutti occasione di grande apprendimento.La raccolta firme è stata occasione per i ragazzi perconfrontarsi con le resistenze ad una pienaintegrazione che ancora alberga nella nostra Italiademocratica, dove molti italiani sembrano averdimenticato il passato di migranti.Le firme raccolte sono state tante: un’esperienzaimportante verso l’acquisizione della cittadinanzaattiva per i nostri studenti, un’occasione anche pergli stranieri frequentanti il nostro Liceo. Mi sonorimaste nel cuore le parole di Anna, unastudentessa filippina al suo quarto anno difrequenza, che dopo aver dato la suatestimonianza, essendo lei nata in Italia, mi hasalutata dicendomi: «Grazie prof. per l’occasionepreziosa che ci ha offerto!».Mi piace concludere con una frase di Sara che dicemolto a me come educatrice, oltre che comepersona: «Vorrei un giorno poter camminare inmezzo alla gente di qualsiasi etnia, sicura chenessuna potrà più fare del razzismo, che tutti, maproprio tutti, si sentano a casa in qualsiasi postodecidano di andare. Mi sento toccata da tuttoquesto e forse anche un po’ cambiata; sento dipoter fare qualcosa, anche con poco. So cheriusciremo un giorno a far valere i diritti di tutti gliesseri umani in eguale misura. Lo so perché lopenso, e lo penso perché ci credo, e se ci credovuol dire che è vero! (Cartesio)».

1 Sulla campagna «L’Italia sono anch’io», cfr. «CEM Mondialità»,febbraio 2012, p. 37.

Come si fa agiudicare se

non siconoscono le

molteplicisfaccettature

dell’animoumano che sinascondono

dietro unvolto?

cem_maggio_2012_rivista_maggio 03/05/2012 10.50 Pagina 39

Ipaesi latino americani e la cul-tura italiana s’incontrano a Ro-ma e danno vita alla Stagione

latinoamericana. Promossa da Ro-ma Capitale e dall’Iila, Istituto Italolatino americano, in collaborazionecon le ambasciate dei paesi mem-bri e con l’organizzazione di Zète-ma progetto cultura, la prima edi-zione dell’evento internazionale èiniziato il 28 marzo e proseguiràfino al 23 maggio. Due mesi in cui

scoprire o riscoprire sotto una lucepiù vicina alla realtà venti paesi,geograficamente lontani ma cul-turalmente vicini all’Italia. El cinelatino ha aperto questa nuova pri-mavera. La casa del Cinema ha pre-sentato per ogni nazione un film,diciassette opere realizzate dal2010 ad oggi. L’innesto di tradi-zione e innovazione ritorna nei rit-mi e nelle sonorità che inondanola centrale di Montemartini con Lamúsica latina: dai pezzi celebri dellacanzone popolare brasiliana agliintensi brani di tango fino alle com-posizioni di artisti della portata diLevy Jardin, Guillermo Anderson,Tom Jobim, Chico Buarque, Viní-cius e Toquinho, Gilberto Gil. Unviaggio sonoro in collaborazionecon le Ambasciate di Brasile, Cuba,Honduras, Uruguay in Italia. America Latina: protagonista delXXI secolo: alle iniziative di arte,cinema e musica si alternano cin-que incontri tra il mondo diploma-tico, imprenditoriale, delle associa-zioni di categoria e dei mass mediaal fine di mostrare le opportunitàdi investimento nei 20 paesi par-tecipanti. nnn

RomaPrimaveraLatinoamericana

a cura di Nadia [email protected]

crea-azione

Per maggiori informazioni

Tel. 060608www.museiincomuneroma.itwww.iila.org

Per la segnalazione di eventi interculturali

scrivere [email protected]

«Abiti-amo il Mondo»

In occasione della quarta edizione dellaFesta dei popoli di Chieti in programmaper il 20 maggio 2012, gli organizzatorihanno pensato di dedicare la seratadell’evento alle seconde generazioni. Lamattinata sarà dedicata ai bambini, allescuole ed ai laboratori didattici, ilpomeriggio sarà per le tradizioni, per leesibizioni di cantanti e gruppi tradizionaliitaliani e provenienti da vari paesi delmondo. La sera invece sarà dedicata allamusica Rap, Hip Hop, reggae, Dancehall.Un contest gratuito dove si sfiderannocon liriche impegnate giovani artisti G2nel nome della pace, dell’integrazione,dell’interazione e della solidarietà. La Festa dei popoli vuole essere ilmomento culminante di un percorsocondiviso con tutte le realtà che sioccupano di immigrazione edintegrazione a Chieti. L’idea di una grandefesta condivisa nasce dalla convinzioneche l’incontro tra entità culturalidifferenti e la moltiplicazione deglisguardi siano fonte preziosa per costruireuna dimensione interculturale della città eper una sensibilizzazione alla ricchezzache la scoperta e valorizzazione delladiversità e l’accoglienza dell’altropermettono di conquistare. La Festa deiPopoli si pone come strumento dicondivisione che avvicina la cittadinanzaalle realtà delle comunità differenti, aldifficile percorso che adulti e minoriimmigrati vivono nel loro quotidiano, sulluogo di lavoro, a scuola, nei luoghipubblici e per le strade cittadine.

Contatti: Tel. 328.5442120www.centrointerculturalechieti.it

ChietiFestadei Popoli20 maggio 2012 dalle 10.00 alle 23.00Villa Comunale

Una ricognizionea tutto campo

sul mondolatinoamericano,

e la volontà difare cultura,

accessibile a tuttiperché a ingresso

libero o a prezzimolto bassi

per i concerti

40 | cem mondialità | maggio 2012

cem_maggio_2012_rivista_maggio 03/05/2012 10.50 Pagina 40

maggio 2012 | cem mondialità | 41

Moni OvadiaIl popolo dell’esilioEditori Riuniti, Roma 2011, pp. 240, euro 18.00

In pagine di alta intensità, Moni Ovadia esprime la sua posizione sulla questione mediorientale, conla voce ironica e commossa di un ebreo che desidera intensamente la pace fra i due popoli. Il suocanto esprime una vocazione libertaria, la diffidenza nei confronti del potere cristallizzato, dell’autoritàprepotente, contro ogni antisemitismo, oltre asfittici schematismi ideologici, banali slogan propa-gandistici e cortocircuiti della memoria. Con Il popolo dell’esilio, Moni Ovadia manifesta unavocazione per la condizione dell’esule, dello stra-niero, nel regno della giustizia sociale, schierandosicontro la rigidità sionista. Dalla sua opera affioraun’esigenza di pace intesa a far riemergere lamemoria dello sterminio nazista dall’ossessione.Il nazifascismo odiava l’ebreo della diaspora, sra-dicato, fragile, ubiquo, capace di tenere in sè lecontraddizioni senza rinunciare a nessuna di esse;l’ebreo maestro del pensiero critico, padrone delladialettica del dubbio, portatore dell’idea rivolu-zionaria di una redenzione universale, fondata sulla precaria, onirica, evanescente bellezza dell’Uomofragile, inventore dell’elezione dal basso, di redenzione dalla condizione di schiavo, di straniero,oltre le logiche spietate di teocrazie nazionaliste votate all’annientamento delle diversità. La Torah èun messaggio universalista. Oltre la formazione marxista e libertaria, essa ispira il pensiero dell’autorenelle lotte per la giustizia sociale, per le rivendicazioni palestinesi, per tutti gli oppressi, per le donne,gli omosessuali e per i diritti del creato, degli animali che lo abitano, nella vera visione universalisticaebraica. Il passato e il presente s’intrecciano nei ricordi per affermare che la terra non è stata donataper alimentare la guerra e il nazionalismo, ma per dimostrare che l’unico modo per costruire la paceè essere «popolo che sa vivere sulla terra da straniero fra gli stranieri». (Laura Tussi)

Francesco LauriaLe 150 ore per il diritto allo studio. Analisi, memorie, echi di una straordinaria esperienza sindacalePrefazione di Bruno Manghi, postfazione di Tullio De MauroRoma, Edizioni Lavoro 2011, pp. 296, euro 16.00

«Ci manca solo che un operaio chieda le 150 ore per imparare a suonare il clavicembalo!». Fuquesta la prima reazione del leader di Federmeccanica alle richieste sindacali sul diritto allo studioe sul progetto delle 150 ore presentate durante la trattativa contrattuale del 1973. Un episodio sin-

golare, per certi aspetti emblematico delle resistenze in-contrate dal progetto che chiedeva la formazione degliadulti/operai. La storia delle 150 ore per il diritto allostudio, raccontata quale parte della storia dell’educazionedegli adulti e del rapporto con il movimento sindacale,costituisce il focus del saggio in cui Francesco Lauria ri-percorre questa straordinaria esperienza sindacale. Le150 ore rappresentarono un investimento contrattualecon cui i lavoratori scambiavano salario per un processodi emancipazione individuale e collettivo. Una scommessa

sulla rinegoziazione della risorsa tempo che rimetteva in discussione idee e pratiche del lavoro, nelpieno del taylorismo imperante, secondo la migliore tradizione del sindacalismo riformista checoniuga conflitto e costruzione creativa. Un’esperienza che oggi richiederebbe una più stringenteattualizzazione, correlata ai mutamenti del sistema produttivo, dei tempi e dei modi del fare culturae formazione ma anche dello stesso «fare produzione» e dell’essere «operaio». (Aluisi Tosolini)

mediamondo

La storia delle 150 oreper il diritto allo studio,

raccontata quale partedella storia

dell’educazione degli adulti

Il passato e il presentes’intrecciano nei ricordi

per affermare che laterra non è stata donata

per alimentare la guerrae il nazionalismo

cem_maggio_2012_rivista_maggio 03/05/2012 10.50 Pagina 41

42 | cem mondialità | maggio 2012

Alessandro Rosina, Elisabetta AmbrosiNon è un paese per giovaniL’anomalia italiana: una generazione senza voceMarsilio, Venezia 2009, pp. 111, euro 10.00

Ecco un libriccino che ogni trentenne dovrebbe leggere e tenere in tasca. Gli autori sono AlessandroRosina, docente di demografia all’Università Cattolica di Milano, e la giornalista Elisabetta Ambrosi.Il libro si basa sui risultati di una ricerca realizzata da Rosina ed è una sorta di fotografia della ge-nerazione dei trentenni di oggi, che vivono compressi da una sorta di «tappo» che impedisce lorodi emergere. Primo elemento del «tappo»: i (troppi) vecchi al potere, che malgrado i raggiunti limitidi età non vogliono lasciare le loro posizioni. Secondo elemento, le famiglie d’origine, accanto allequali i giovani vivono in un’«inverosimile pace sociale». Il conflitto generazionale, la ribellione aipadri, le fughe da casa non esistono più: i trentenni resistono grazie al cordone ombelicale con igenitori. Terzo elemento, la sfiducia nel futuro, la rassegnazione di fronte alla difficoltà di trovareun buon lavoro e un buon stipendio. Il che è chiaramente deprimente: «Una depressione giovanilespecificamente italiana». Questa speciale depressione è «l’esito di un soffocamento delle più intimemotivazioni. È l’impossibilità di esprimere il proprio desiderio; è insomma, una speranza abortita, èil divieto di futuro». Un divieto di futuro - e qui si arriva al quarto e più importante elemento del«tappo» - che ogni trentenne vive però in solitudine. «I giovani - non solo in Italia - non apronocontestazioni pubbliche, non scendono più in piazza, non inventano forme di mobilitazione control’esistente», si legge nel libro: «Lo sguardo è rivolto, al contrario, verso il privato». Ma da soli nonsi arriva a nulla: e allora i venti-trentenni italiani farebbero bene a uscire dalla tana e ritrovare«l’audacia di lottare senza timori reverenziali, il coraggio di riattivare un conflitto generatore dicambiamento, la determinazione di rompere una volta per tutte la lunga tregua generazionale cheblocca in un abbraccio soffocante le energie più vigorose del nostro paese». (Eleonora Voltolina)

Fondazione Venezia per la Ricerca sulla PaceAnnuario Geopolitico della Pace 2011Edizioni Altreconomia, Milano 2012, pp. 333, euro 19.90

L’Annuario Geopolitico della Pace 2011 presenta il cammino collettivo dei Movimenti per la Pace,per la riduzione delle spese militari, il disarmo e per un’educazione e formazione attive nell’ambitodella gestione dei conflitti. L’Annuario, cui contribuiscono vari autori, presenta cronologie, geografie,questioni, letture, esperienze in «pagine arcobaleno» inerenti l’attualità delle situazioni conflittualinel mondo, dall’America Latina all’Asia, dal Mediterraneo al Medio Oriente. Nella sezione «cronologie»,curata da Luca Kocci, sono illustrati, in sequenze temporali, gli eventi emblematici che segnanol’impegno del Movimento per la Pace, dalle controfinanziarie per la riduzione delle spese militarialle controparate pacifiste, per un ecumenismo di pace e nonviolenza, tramite il disarmo e la nonproliferazione nucleare per un futuro senza armi atomiche. Importanti, per citarne alcune, leiniziative come la Giornata Internazionale della Nonviolenza e l’Altro 4 Novembre, al fine di ricordareche tutte le guerre sono un orrendo e inutile massacro e crimine contro l’umanità, per dissociarsida ogni retorica di eroismo, con giornate antimilitariste, contro l’acquisto di armi e dei tantofamigerati cacciabombardieri F-35, tramite iniziative e attività dove i pacifisti incontrano i militari.E ancora, nell’Annuario Geopolitico della Pace 2011, si denuncia la crudeltà delle guerre, ricordandoi soldati uccisi in Afghanistan e si organizzano viaggi della pace in Palestina e in Israele, continuandoa scongiurare e contrastare i rifinanziamenti delle missioni militari all’estero. (l.t.)

I libri possono essere richiesti alla Libreria dei Popoli che fa servizio di spedizione postale, con sconto del 10% per i possessori della CEM Card.

Via Piamarta 9 - 25121 Brescia - tel. 030.3772780 - fax 030.3772781www.saveriani.bs.it/libreria - [email protected]

CEMcard

mediamondo

cem_maggio_2012_rivista_maggio 03/05/2012 10.50 Pagina 42

«Il jazz è un modo di farmusica completamentediverso. Non ha nulla ache vedere con la musicacomposta e quandocerca di subire l’influenzadella musicacontemporanea non èjazz ed è scadente.L’improvvisazione ha unproprio mondo cometempo, necessariamentelibero e ampio, poichéuna vera improvvisazionepuò svilupparsi solo in untempo scevro dalimitazioni; va creatol’ambiente e ci deveessere calore».Igor Stravinsky

Ben ritrovate e ben ritrovati. Il No-vecento, come già accennato inprecedenza, segna per la musica

colta di matrice europea una significativaapertura nei confronti delle culture so-nore altre e non convenzionali. Questatrasformazione venne attivata non solodall’interesse di alcuni compositori perla ricerca e la sperimentazione ma so-prattutto dall’affrancamento culturaledegli accademici americani dalla tradi-zione europea. Questo distacco da mam-ma Europa fu favorito ed accelerato an-che dalla nascita, negli Usa, del jazz: l’in-novativo e travolgente contesto musicale

Jazz, la musicadel diavoloBrevi considerazioni sul motoremusicale del Novecento

lavare (washboard) raschiata per renderepiù saltellante il ritmo, ed il modo didanzare le danze dei bianchi. È così chevenne generato il jazz: una nuova musi-ca, a lungo definita, indovinate da chi,la musica del diavolo; una musica prestoamata e praticata anche da musicisti ecompositori bianchi. Un nuovo pulsare,quello del jazz; un modo meticcio di or-ganizzare suoni e silenzi che ha influen-zato tutte le musiche a venire, in parti-colare quelle popolari contemporanee,spesso legate alla danza, che a partiredal rhythm and blues, passando poi dalrock e dal soul, fino ai più attuali rap ehip-hop, evidenziano il legame con il filonero che ha indotto una base transa-

mericana in tutte le musiche pop, e nonsolo del mondo contemporaneo. Buonaricerca e ascolto a tutte e a tutti. nnn

Luciano Bosi

organizzatinuovi suoni

maggio 2012 | cem mondialità | 43

nero-americano (e non afro-americano,come ideologicamente continuiamo avolte a definirlo). Il jazz rappresenta lanovità musicale che saluta il Novecentoe ne sarà il volano sonoro. Dimensionemeticcia nata nell’ambito della culturanera statunitense; una cultura, o meglioun tempo, una varietà di culture, che findal suo arrivo in America, coatto e incatene, fu privata di ogni legame e con-tinuità con le proprie tradizioni, ritenutedagli schiavisti bianchi selvagge e im-morali. Tradizioni completamente scom-parse nel giro di poche generazioni, tran-ciate anche nel più piccolo legame conla madre Africa. Questa totale privazioned’identità non ha tuttavia impedito aineri, classe subalterna, di trasformare lavisione musicale dei padroni bianchi. At-traverso il canto cambiarono il modo dipregare il nuovo Dio, un tempo solobianco, e il modo di lavorare le terre deibianchi; in seguito cambiarono anche ilmodo di suonare gli strumenti dei bian-chi, magari con l’aggiunta di un asse da

Nonostante il jazz rappresentiuno dei più grandimeticciamenti della storiasonora del mondo, nonestenderò l’analisi della suaevoluzione, perché èfacilmente reperibileun’enorme quantità diindicazioni ed analisi socio-culturali approfondite esistematiche, utili per chiunquedesideri accedere ad unadiscografia dettagliata.

Tracce discografichecolte/accademiche di derivazione e contaminazione jazzistica

Antonín Dvorák: Sinfonia dal Nuovo Mondo –1992-93

Claude Debussy: Children’s corner – 1908; Laboîte à joujoux – 1913;

Maurice Ravel: Le Tombeau de Couperin – 1917;Concerto per la mano sinistra – 1929;

Francis Poulenc: Rhapsodie Nègre – 1917; Lesbiches – 1924;

Paul Hindemith: Suite per pianoforte 1922 –1922;

Dmitrij Shostakovich: Thaiti Trot – 1927; Suiteper orchestra jazz – 1934;

Igor Stravinsky: Ragtime per 11 strumenti – 1918;Ebony concerto – 1945;

George Antheil: Ballet mécanique – 1926; Jazzsymphony – 1925-1953;

Aaron Copland: Music for the theatre – 1925;

George Gershwin: Rhapsody in blue – 1924; Por-gy and Bess – 1935.

cem_maggio_2012_rivista_maggio 03/05/2012 10.50 Pagina 43

44 | cem mondialità | maggio 2012

Lorenzo Luatti

saltafrontiera

Capita spesso sentir dire che i libri senzatesto sono difficili da leggere. Sono pro-poste ardite per gran parte dei genitori,

sconcertano perché non si vede l’inchiostro ras-sicurante delle parole stampate. «Ma qui non c’èscritto nulla!» e «Mi devo inventare le parole?Ma la sera siamo stanchi, ed è già tanto trovarela forza di leggere qualcosa al figlio!». Eppurequesti albi sono uno strumento formidabile persviluppare la fantasia, la creatività, la capacità diespressione. Ci regalano una possibilità di letturaspeciale, individuale e intima. Siamo noi o, ancormeglio, i bambini a inventare i dialoghi dei per-sonaggi, i suoni, la storia stessa. Una volta presaconfidenza con i protagonisti del libro, la narra-zione si dilata nel tempo e nello spazio, e la storiasarà ogni volta diversa, perché influenzata dalleemozioni del momento. Sono libri che «educano»allo sguardo. Vediamone alcuni tra quelli più riu-sciti pubblicati ultimamente.Assai spassoso e ricco di intrecci è Tortintavola.Ma la torta dov’è? (Beisler, p. 26) di Thé Tiong-Khing. La storia è semplicissima: c’è una golosatorta farcita con tanto di ciliegiona candita cheaspetta i signori Scodinzoli sul tavolino davanti acasa. Ci sono due topi che la guardano con occhifamelici, c’è un bosco con animali indaffarati inattività varie. E così il semplice inseguimento deiladri diventa un universo di storie che s’intreccianotra loro, storie diverse a seconda di chi si sceglie diseguire, a caccia di indizi e particolari minuti (codenascoste, ruzzoloni, caldi nidi per anatroccoli…). Un racconto d’immagini di pura poesia sulle radicie sulle ali, sull’equilibrio e il movimento, sull’in-contro, soprattutto, con l’altro, è La casa sull’al-bero (Lemniscaat, p. 32) di Marije e Ronald Tol-man, vincitore di prestigiosi premi all’estero e inItalia. Protagonista del libro è una capanna cheviene scelta come casa da due orsi. Pagina dopopagina, altri visitatori trovano ospitalità sulla ca-panna o ne minacciano l’equilibrio. Ogni paginasi anima, dapprima con l’arrivo dei due orsi, epoi con l’arrivo, dal cielo, di altre creature, mentre

i due orsi su quell’albero abitano insieme, vivono,leggono, si guardano o si voltano le spalle, per unapagina soltanto. Un giorno un cane (Gallucci, p. 64) è la storia, semplicee toccante, talora straziante, disegnata a carboncinoda Gabrielle Vincent. Un cane viene abbandonatosulla via per le vacanze. Rincorre l’auto, la perde, cercadi attraversare la strada e provoca un incidente, va-gabonda solo e mogio. Finché, dopo aver a lungo er-rato fra strade, spiagge e paesi, incontra un bambinoe, forse, una nuova vita e nuovi affetti. La sorpresa di Janik Coat (La Margherita, p. 32) èla storia del rapporto tra una donna e il suo gatto,che pian piano si trasforma con l’arrivo di un bam-bino. Un rapporto unico, che, giorno dopo giorno,si fa sempre più saldo con la crescita della panciadella donna… Illustrazioni belle e delicate, uso delcolore parco e sapiente, fanno di Coat una delleartiste più interessanti approdate recentementenel mercato editoriale italiano.Non ci sono e non servono parole date, bisogneràtrovarle da soli se si sfoglia Il ladro di polli di BéatriceRodriguez (Terre di Mezzo, p. 32): una volpicinadall’aria sagace ruba una gallina per portarsela inuna graziosa grotta, e poi ancora più in là, nellacasetta dei sogni, e vivere con lei il suo sognod’amore, ovviamente contrastato dai benpensantiche di sentimenti non capiscono nulla, fino allafine. Abbiate l’accortezza di tenere sempre unamatita a portata di mano per annotare tutte lestorie che, guardando questi libri, nascono dall’im-maginazione dei vostri piccoli. nnn

Tante storie... nei librisenza parole

Siamo noi o, ancormeglio, i bambini a

inventare i dialoghi deipersonaggi, i suoni, lastoria stessa. Una voltapresa confidenza con i

protagonisti del libro, lanarrazione si dilata nel

tempo e nello spazio, e lastoria sarà ogni volta

diversa, perchéinfluenzata dalle

emozioni del momento

cem_maggio_2012_rivista_maggio 03/05/2012 10.50 Pagina 44

maggio 2012 | cem mondialità | 45

Il piccolo Nicolase i suoi genitoriLe petit Nicolas

ma so che, tra tantissimi anni, la gentelo comprerà ancora. I bambini continue-ranno ad andare a scuola. Ha in sé unacomponente dell’infanzia che a mio giu-dizio è eterna, o, quanto meno, non èpasseggera, non è “di moda”. […] Lastoria che preferisco è quella della bandadi piccoli amici sempre insieme, che bi-sticciano, si rappacificano e ricomincianoa darsele di santa ragione, senza maifarsi del male. Si prendono dei cazzottiin piena faccia, ma non soffrono. Aven-done presi anch’io, vi garantisco che icazzotti fanno male! È un’infanzia so-gnata».

Il film. Il lavoro di Tirard è arrivato giustoa celebrare i cinquant’anni di vita di Ni-colas, il piccolo personaggio nato nel

RegiaLaurent Tirard

InterpretiMaxime Godart (Nicolas), ValérieLemercier (madre di Nicolas), KadMerad (padre di Nicolas), SandrineKiberlain (la maestra), Francois XavierDemaison (Le Bouillon), MichelDuchaussoy (il direttore).

Francia, 2009. 90min. BIMDistribuzione.

I racconti illustrati della serie «Le Petit Nicolas», sono pubblicati in Italia da Donzelli.

Lino [email protected]

cinema

Le buone intenzionidi Nicolas si

tradurranno ininvolontari disastri

mentre per laraccolta fondi la

pozione magica diAsterix sarà la

soluzione

La storia. Un pericolo minaccia lo scor-rere tranquillo dei giorni del piccolo Ni-colas, tra compagni e adulti, tra genitorie maestra, tra intervalli e lezioni, tra scuo-la e casa: il pericolo è l’arrivo di un fra-tellino. La tragica esperienza, che il com-pagno Joachim racconta agli amici at-torno all’albero degli incontri nel cortiledella scuola, spaventa Nicolas per la con-creta possibilità che diventi realtà ancheperché alcuni gesti, parole e sguardi deigenitori non possono che confermare laminaccia della fine di tutta una vita se-rena. Le strategie che maturano in fitticonciliaboli tra i compagni sono due:1. Nicolas dovrà rendersi indispensabileper i suoi genitori, che eviteranno così diabbandonarlo come Pollicino nella foresta; 2. Bisogna trovare un rapinatore di bam-bini e per pagarlo ci vuole una seria at-tività di raccolta fondi. Le buone intenzioni di Nicolas si tradur-ranno in involontari disastri mentre perla raccolta fondi la pozione magica diAsterix sarà la soluzione. La minaccia pe-rò si realizzerà e sarà un’altra sorpresa…

La parola a Jean-Jacques Sempé.«Dal punto di vista cinematografico, cre-do che questo film rappresenti un mo-mento perfetto, fuori dal tempo, fuorida tutto, rispetto alle tante cose che nellavita ci opprimono e ci schiacciano. […]Se sono un nostalgico? Quando hai per-so tanti amici e parenti e hai vissuto deimomenti che non torneranno più, comefai a non esserlo? La nostalgia è parteintegrante della vita. Nicolas, che per-mette a ognuno di noi di rivivere moltimomenti dell’infanzia, è un antidoto aquesta nostalgia. […] Non riesco a im-maginare il futuro del Piccolo Nicolas,

cem_maggio_2012_rivista_maggio 03/05/2012 10.50 Pagina 45

46 | cem mondialità | maggio 2012

Il registaLaurent Tirard, quarantacinquenne fran-cese, si laurea in regia alla New York Uni-versity. Collaboratore della rivista francesedi cinema Studio, ha pubblicato un in-teressante volume di interviste a unaventina di registi: L’occhio del regista,Rizzoli, coll. BUR, Milano 2004. Il suoprimo cortometraggio Le avventure ga-lanti del giovane Molière è del 2006, ilprossimo in uscita sarà la quarta avven-tura di Asterix e Obelix (2012).

di corsa per riposarti dentro. Nelle av-venture di Nicolas, che il regista ha sa-puto rivivere con una serena fedeltà,convivono contemporaneamente losguardo dell’adulto capace di distillaredalla memoria e di rivestire di una dolceirrealtà gli anni d’infanzia ed insieme losguardo puro di un bambino felice e se-reno perché protetto dai suoi adulti. La forza del personaggio sta nella sua to-tale innocenza di fronte alla vita e al suoapproccio immediato e senza filtri alla re-altà. Questo rapporto ha come conse-guenza uno svelamento di aspetti impre-

E ci sono poi gli adulti: i genitori assolu-tamente normali nelle loro liti e riconci-liazioni; il «Gufo», il terribile bidello dagliocchi enormi; la maestra, ormai rassegnataad una realtà classe di fronte alla qualeogni sforzo s’infrange; il direttore nel ritodella consegna delle pagelle e delle pre-diche di richiamo; la «brutta» supplenteche, nulla sapendo, stravolge i criteri digiudizio e così Agnan finisce nell’angoloe Clotaire ha il suo momento di gloria.Come le storie scritte e disegnate sonobrevi raccontini attorno a minimi avve-nimenti, così il film è un dipanarsi di sce-nette, serene e sempre «vere», appenalegate dalla scusa del fratellino futuro.Il tutto immerso in una perfetta ricostru-zione degli anni Cinquanta, perfetta co-me può esserlo un ricordo a cui torneresti

cinema

1959 dall’amicizia tra la penna di RenèGoscinny, il padre di Asterix e di LuckyLuke, che scriveva le storie, e la matitadi Jean-Jacques Sempé, che le illustrava.Il primo racconto ebbe un grande suc-cesso e gli episodi che seguirono furonopiù di duecento, pubblicati sul quotidia-no Sud-Ouest Dimanche e sulla rivistaper ragazzi Pilote. Il film si apre con la presentazione, deli-ziosamente stereotipata, da parte di Ni-colas dei suoi compagni: Agnan, il coccodella maestra, quello che sa proprio tuttoe che fa il lecchino rischiando di pren-derle dagli altri se non fosse difeso daisuoi occhiali; Alceste, il miglior amico diNicolas, grassottello che mangia in con-tinuazione e che tutto filtra attraverso ilcibo: «Da noi per la cena della vigilia ci

La parola al regista«Gran parte del fascino del piccoloNicolas è proprio nell’ambientazione,un’epoca in cui non c’è violenza, nonc’è criminalità e tutto è molto piùstabile, dalla società alla famiglia. Ilpubblico degli anni Cinquanta trovavagià nostalgiche le storie di Nicolas, mala cosa fondamentale è che non sitrattava di una nostalgia del periodoma dell’infanzia vissuta in un mondoda favola in cui tutto è perfetto per ibambini. Gli anni Cinquanta siprestavano: era il periodo successivoalla guerra in cui tutti erano pieni disperanza per il futuro».

sarà Memè, mia zia Dorotèe e mio zioEugène» dice Nicolas e di risposta Alce-ste: «Da noi ci sarà il sanguinaccio bian-co, il tacchino e le castagne». E poi c’èGeoffroy, il «figlio di papà», che può per-mettersi e comprarsi tutto e che di frontealle tavole del Test di Rorschach non vedealtro che oggetti di lusso di proprietàdel padre o della madre; Clotaire, l’«ul-timo della classe», simpaticissimo nel suoessere regolarmente distratto o addor-mentato e che ha benissimo introiettatoil suo ruolo di condannato all’angolodell’aula di scuola.

vedibili, che la nostra coscienza di adultimaturi ha coperto di risolini di compia-cenza e poi bellamente dimenticato.Alla fine del film viene in mente il paesedella Bassa Padana dove Don Camillo ePeppone si scontrano senza guanti esenza mezze misure ma con un pattoprofondo di umanità, oppure Giorno difesta di Jacques Tati, con François, il po-stino che passa leggero e svagato sullecose della vita, la quale così si rivela so-prattutto nella sua bellezza. È come quando a tavola tra amici ricordie ridi sereno, non perché devi fingere operché vuoi dimenticare il brutto che stafuori della porta, ma perché la vita è an-che semplicemente così: un sorriso. Unfilm da vedere da soli o in famiglia o coni ragazzi per sorriderci sopra e farneemergere le sottili lezioni che le diversesituazioni vanno svelando e suggerendo.Un film, infine, per concludere in bellezzae serenità un’annata di articoli seri e im-pegnati soprattutto dedicati al tema delrapporto adulti e futuri adulti. nnn

cem_maggio_2012_rivista_maggio 03/05/2012 10.50 Pagina 46

Mamma è soffrire in paradiso

arnaldo de [email protected]

i paradossi

Con un bell’ossimoro qui si dice: «Mamma è sof-frire in paradiso». Significa che la mamma soffreperfino dopo la morte, in cielo, perché si pre-

occupa dei figli lasciati sulla terra. Significa anche chela mamma nella sua vita unisce gioia e dolore. Per co-minciare, soffre e gioisce nel parto. Ha il diritto di moltosoffrire perché molto ama: così fa scaturire la vita e in-contra il suo paradiso. Io ho svolto la mia missione in ambienti di forte machi-smo, dove, come dice un canto: «Nella sconfitta l’uomoprende il treno e va via mentre la mamma piange ma ri-mane e assume». Le mamme qui hanno un ruolo deci-sivo, che mi fa dire: le mamme salveranno il mondo!È Dona Lazzara che alla mia domanda, in predica, sullevirtù necessarie alla mamma, risponde: «Vera mammaè quella che ama i figli altrui come suoi». Lei, dopo dueaborti spontanei, ha adottato due bambini.

È Dona Ester che dice: «Mamma è quella che perdona».E racconta la storia del figlio drogato che è stato uccisoda un «compagno di droga». Lei, col cuore in subbuglio,è andata a trovare l’assassino in carcere: lo vede e loaccetta come suo figlio.È Dona Socorro che viene da me di buon mattino colcaçula (il figlio più piccolo) che le trotta accanto, ancoramezzo addormentato. Socorro mi chiede di prendere ilfiglio con me, prima che si metta nella droga e sia uccisocome gli altri due suoi figli. È quella mamma che, non avendo di che sfamare il fi-glioletto, si è rassegnata a lasciarlo morire... con piccolestrida, sempre più deboli, come di grillo; e adesso nonriesce a togliersi i cri-cri dalle orecchie.È Dona Regina, che al funerale del figlio Geraldo MayelaPeron (saveriano), morto in un incidente di moto, ringraziaDio per essere la mamma di un martire. Teologicamenteesatto: Peron è martire perché s’è impegnato con lacausa della giustizia del Regno; e non solo nell’atto dellamorte, ma nella sua vita intera di religioso (nelle conquistedei sem-casa e sem-terra). La mamma: protagonista di tante storie e tragedie su-burbane. Lo so: Gesù disse alle donne che piangevano a Gerusa-lemme che nel loro pianto c’era l’equivoco di lamentarsiper le conseguenze invece che affrontare le cause. Lemamme capiscono che bisogna organizzarsi e lottareper cambiare la situazione. Ma sarà sempre una lottafemminile. Come diceva Dona Socorro: «Noi non siamoin balìa dei grandi di questo mondo, e non ci convienela rabbia contro di loro; noi siamo vasi nelle mani di Diovasaio, che con una mano ci sostiene da dentro e conl’altra ci rassoda picchiettando». Un’ultima riflessione: qual è la sofferenza maggiore dellamamma oggi? Forse questa: che i suoi figli non sonofigli né suoi né di Dio, ma della società moderna, liquida,con orari assurdi, con ricerca di scoop, di divertimento,di riuscita, di banalità, di cellulare & C... al punto che ifigli sono piuttosto dei robot, in un paradiso-inferno arti-ficiale! nnn

Nella sconfitta l’uomo prende il treno

e va via mentre la mamma

piange ma rimane e assume

maggio 2012 | cem mondialità | 47

cem_maggio_2012_rivista_maggio 03/05/2012 10.50 Pagina 47

I demoni, Dio e la bellezza

rubem alvesla pagina di

dove la bellezza eterna si lascia vedere… Ma se io di-vento brutto, allora il divino apparirà con il volto di undemonio. Allora sono completamente perso. Noi nonsiamo condannati per la morale. Siamo condannati perl’estetica.Ogni demone è una mostruosità estetica. Ognuno diloro incarna uno stile diverso di orrore. Posseduti, di-ventiamo progressivamente orribili come loro. Fino alpunto, alla fine, che non è più possibile dire chi sia unoe chi sia l’altro. nnn

A i demoni piace molto nascondersi. Il loro nidopreferito è il nostro corpo. Ma non si nascondonoin qualsiasi parte del corpo. Non accettano di

rimanere in un angolo oscuro. Vogliono nascondersi nelluogo più importante. Qual è il luogo più importante? Èdove si trova la bellezza. La nostra bellezza. Vogliamoessere belli; questo è il nostro desiderio più profondo.Leggete in proposito il poema di Fernando Pessoa Erose psiche… Ma ai demoni, in verità, non piace la bellezza. Anzi, èvero il contrario. Proprio perché a loro la bellezza nonpiace si nascondono in essa per covare le uova dellabruttezza. Questo, infatti, è il segnale della possessionedemoniaca: colui che è posseduto diventa brutto. Ai de-moni non interessa molto la moralità, le azioni buone ocattive che possiamo compiere. Non sono moralisti. Sonoesteti. Amano l’estetica dell’orrendo. Lavorano come ar-tisti per fare in modo che diventiamo orrendi come loro.Nella tradizione cristiana, i demoni sono descritti comecorruttori della morale. Per questo ci tentano. Desideranoche pratichiamo atti moralmente riprovevoli (adulterio,furto, omicidio, avarizia, lussuria…). Ma io sostengo chenon è così. Gli atti che pratichiamo sono accidentali. Èquesto che rende possibile il perdono. Perdono è di-menticanza: quello che è successo è come se non fosseavvenuto. Ragione per la quale nella tradizione cristianai peccati moralisono paragonatialla sporcizia. Losporco si lavacon acqua e sa-pone. Dopo es-sersi lavati, losporco diventapulito. Il peccato si lava con il pentimento e l’assoluzione.Ma i demoni non si preoccupano di ciò che è accidentale;essi si nascondono nell’essenziale. […] Dio ama la bellezza. Ci ha creati per essere belli.Dicono le sacre scritture che siamo stati creati per esserespecchio della bellezza divina. Un volto: un luogo effimero

48 | cem mondialità | maggio 2012

Perdono è dimenticanza:

quello che è successoè come se non fosse

avvenuto

Traduzione di Marco Dal Corso

cem_maggio_2012_rivista_maggio 03/05/2012 10.50 Pagina 48

agire

abitare

governare

coltivare

produrre

www.terrafutura.it

Regione Toscana

mostra-convegno internazionale

terrafuturabuone pratiche di vita, di governo e d’impresaverso un futuro equo e sostenibile

Firenze - Fortezza da Basso25/27 maggio 2012IX edizione ingresso libero

• appuntamenti culturali • aree espositive • laboratori • animazioni e spettacoli

Relazioni istituzionali e Programmazione culturaleFondazione Culturale Responsabilità Etica tel. +39 049 7399726email [email protected]

Organizzazione eventoAdescoop-Agenzia dell’Economia Sociale s.c.tel. +39 049 8726599email [email protected]

Hotel della TorreS.S. Flaminia km. 14706039 Trevi (Pg)Località MatiggeTel. 0742.3971 - fax [email protected]

Per informazioni:CEM/Mondialitàvia Piamarta 9 - Bresciatel. 0303772780 fax [email protected]

cem_maggio_2012_copertina 03/05/2012 11.01 Pagina 3

Chiedilo a lei.

CEI Conferenza Episcopale Italiana

Chiedilo a suor Marisete, che a Fortaleza salva da miseria e sfruttamento centinaia di ragazze. Con l’8xmille alla Chiesa cattolica continui a fare molto, per tanti. Ascolta le loro storie: www.chiediloaloro.it

another place

cem_maggio_2012_copertina 03/05/2012 11.01 Pagina 4