Rigenerati nella Resurrezione di Cristo per una speranza ... · Quindi non si sta nella Chiesa come...
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Giornate di spiritualità biblica con le famiglie
Centro S.Maria dell‟Acero – Velletri – 7-8-9-luglio 2006
Rigenerati nella Resurrezione di Cristo per una speranza viva (1Pt 1, 3)
PRIMA LETTERA DI PIETRO
Riflessioni proposte da Don Carlino e ricavate dalla registrazione su cassetta (testo non rivisto dall‟Autore)
Rigenerati nella Risurrezione
per una speranza viva (1, 3)
Prima lettura biblica e prima riflessione
LA PRIMA LETTERA DI PIETRO.
RISVEGLIARE LA MEMORIA (1, 1-3; 5, 12)
1 – Perché la scelta
di questo libro biblico
Domanda: come mai in questo anno 2006 ci
accostiamo a questo libro, dei 73 libri della
Bibbia? Le motivazioni possono essere tan-
te… tutte quelle che vi dico sono vere, però
non sono naturalmente le uniche. La scelta è
molto semplice però è fondamentale. E‟ quan-
to magari avremo l‟occasione di annunciare e
celebrare e servire proprio dentro la Parola di
questi tre giorni, perché noi siamo Chiesa.
Questo è il motivo fondamentale della scelta
di questo libro. Ne abbiamo fatti soltanto 19;
73 meno 19… provate a pensare quanti ce ne
sono… però la scelta innanzitutto era per que-
sto: per non perdere mai ciò che siamo; siamo
Chiesa. Anzi è una cosa molto bella perché il
grosso lavoro di conoscenza di questi giorni
serve ad arricchire non soltanto il vocabolario,
ma quello che ci permetterà probabilmente di
crescere in un modo diverso dentro quello che
finora crediamo o pensiamo di credere.
Vedremo che la lettera di Pietro (dirò come
mai uso sempre questo termine) non userà
mai, a differenza di S.Paolo ad esempio, la
parola “Chiesa” o la parola Ecclesìa; proprio
non la usa mai. Il termine greco di Chiesa è
Ecclesìa, e Pietro non lo usa. La lettera di Pie-
tro è scritta in un greco molto bello, raffinato.
Probabilmente Pietro il pescatore così raffina-
to, almeno come conoscenza del testo, non lo
era; però non è questa l‟unica realtà importan-
te. La lettera di Pietro parla sempre di “casa”,
“oikìa”, e soprattutto di casa spirituale. Parle-
rà in particolare di noi come pietre vive, anzi
addirittura come stirpe eletta, sacerdozio rega-
le, gente santa, e di noi come un popolo parti-
colare, popolo acquistato direttamente da Dio.
Guardate che essere tutto questo, amici, cioè
essere chiesa (almeno noi proviamo a creder-
ci) non è un posto, non è un luogo: essere
Chiesa è una identità. Essere Chiesa non è
l‟appartenenza a un qualcosa, è identità…
punto e basta. La cultura che il popolo di Dio
ha, non per cattiveria, guarda alla Chiesa co-
me appartenenza, a un luogo, un posto
un‟aggregazione… mentre l‟essere Chiesa è
un‟identità. Credo che questo sia un primo
punto chiaro, un punto molto importante. E‟
bello perché ci sono amici tra noi che sono
segnati dal dolore di una separazione, di un
divorzio, in cui magari può esserci il dolore di
non poter vivere una pienezza quale potrebbe
essere il sacramento della Comunione eucari-
stica… però si vive sempre una pienezza di
Chiesa. E una delle grandi domande che ritor-
nano è questa: siccome il fare la Comunione
ha un significato di appartenenza, non facen-
do la Comunione non appartengo. Capite co-
me funzionano i codici? Dimenticando che
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l‟essere cristiani non è un‟appartenenza, è una
identità. Quindi non si sta nella Chiesa come
in un luogo, ma proprio come stato di vita.
Questo è un punto che ritornerà spessissimo
nell‟arco di questi giorni.
Appuntamento della Chiesa Italiana a Ve-
rona, ottobre 2006. “Testimoni di Gesù Ri-
sorto Speranza del mondo”.
Sapete che la Chiesa in Italia all‟inizio di que-
sto millennio ogni 10 anni si dà un appunta-
mento, un convegno ecclesiale. Per carità:
non è che risolve le realtà, però credo che sia
importante ogni tanto, come tra di voi, darsi
un appuntamento. Se tra marito e moglie, tra
sposo e sposa, nell‟arco di una giornata non vi
date un appuntamento, credo che sia difficile
incontrarsi. E‟ chiaro che non tutta la vita di-
penderà da quell‟incontro, però senza
quell‟incontro non c‟è neanche il resto. Credo
che sia importante uscire da alcuni schemini,
da alcune battute che ormai sono abbastanza
infantili.
Quest‟anno l‟appuntamento (l‟ultimo era stato
10 anni fa a Palermo) sarà a Verona, per con-
frontarci e discernere su un tema: testimoni,
come cristiani, di un uomo. Scusate, non vo-
glio scandalizzarvi: noi non siamo testimoni
di una religione… non siamo testimoni di una
ideologia… non siamo dei militanti (anche se
con la Cresima una volta ci dicevano “diventi
un soldato di Gesù Cristo”). Testimoni di un
uomo, di Gesù di Nazaret, crocifisso e risorto,
speranza del mondo. Sono realtà da collegare.
Esperienza della testimonianza, la testimo-
nianza parte non da una realtà qualunque, ma
da un evento chiaro: la Resurrezione, la Pa-
squa; e l‟altro tema è quello della speranza. E
per ritrovare, come dicono i vescovi d‟Italia,
la sorgente, la radice, il racconto della testi-
monianza, del vangelo della speranza, ha in-
dicato nella prima lettera di Pietro (lo dice un
documento di rara bellezza e di grande effica-
cia comunicativa) l‟orientamento dei passi
della Chiesa.
Cammino della Chiesa di Albano:
“In cerca dei fratelli”
Quindi nella coscienza che veramente siamo
stirpe eletta, sacerdozio regale, gente santa,
popolo acquistato direttamente da Dio… non
da una Chiesa, non da un Vaticano, non dai
preti e neanche dalla nostra buona volontà. E
noi siamo stirpe eletta, sacerdozio regale, gen-
te santa (… senza togliere niente agli amici
che possono venire da diocesi vicine) dentro
questa Chiesa, questa terra, che è la Chiesa e
la terra del popolo di Albano, senza il quale
non c‟è Chiesa. Credo che questi siano alcuni
punti sui quali magari avremo tempo per una
risonanza. E come Pietro scriverà, chiaman-
doli “i fratelli dispersi” nella diaspora delle
comunità dell‟Asia minore, il nostro vescovo
quest‟anno ha inviato la sua prima lettera pa-
storale nella quale ci vuole confermare nella
fede 1) che davvero Cristo è risorto; 2) che
non siamo nati da un morto, non siamo venuti
fuori da una tomba, ma siamo stati rigenerati
nella resurrezione per una speranza viva. E‟
un segno chiaro; il nostro vescovo ci dice che
veramente siamo figli di Dio quando viviamo
da fratelli. La certezza, la sicurezza sacramen-
tale, in carne e ossa, che veramente io sono
figlio di Dio quando io vivo da fratello. Quin-
di vedete che il termine è stupendo, è chiaro
ed è molto forte.
Questo è il tema della fraternità che nella
prima lettera di Pietro troveremo in un modo
fortissimo; e nella sua lettera ad un certo pun-
to il vescovo Marcello dice: “Il Padre non sol-
tanto invia suo figlio ma invia ciascuno di noi,
suoi figli, perché stia con i fratelli” (scusate…
non perché si faccia gli affari suoi). E ognuno
di noi è un figlio che il Padre ha mandato a un
fratello, a una sorella, a uno sposo, a una spo-
sa, a un padre, a una madre, a un figlio. Ap-
punto, la sua lettera pastorale è “In cerca dei
fratelli” e l‟icona che prende è quella di Giu-
seppe con il suo sogno. Il vescovo continua e
dice: “La nostra storia personale, coniugale,
familiare, sociale, ecclesiale, la nostra Chiesa
è una fraternità ritrovata in Cristo Gesù croci-
fisso e risorto”. Questo è un po‟ un primo
punto, una prima motivazione.
Il nostro bisogno di speranza, di “essere
saldi nella fede” in un mondo in cui i cri-
stiani sono una minoranza.
Poi non c‟è bisogno di andare a cercare; credo
che ognuno di voi e il sottoscritto ogni giorno,
ogni istante ha bisogno di speranza, ha biso-
gno di situazioni e di motivi per credere, o
meglio ancora per sperare. Una terza motiva-
zione che sarà molto bella, e credo che questo
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potrà suscitare una bellissima parola di scam-
bio tra di noi, è legata non tanto al tema di
Verona… comunque nel documento che i ve-
scovi hanno preparato, direttamente non è
presente, perché ancora poco percepito dalla
maggioranza dei cattolici in Italia. Sapete qual
è? Che la fede cristiana (non la religione cri-
stiana) sta diventando minoritaria nella nostra
terra bellissima italiana.
Ve lo ripeto: la fede cristiana (non la religio-
ne, che è un‟altra cosa) sta diventando minori-
taria nella nostra società, società cosiddetta
laica, pluralista, secolarizzata, e tutta “multi”
(multietnica, multireligiosa, multiculturale…).
D‟altra parte, esteriormente abbiamo ancora
un contesto di cristianità, però nel profondo (a
volte nel profondo, dentro di me, dentro o-
gnuno di noi, anche il più vero come cristiano
e credente) la persona è indifferente alla prati-
ca di fede, per cui ci troviamo anche noi come
le comunità dell‟Asia Minore alle quali questa
lettera è indirizzata.
Alcuni passaggi veloci su questo punto. Esse-
re minoranza non è una sconfitta; essere mi-
noranza è una grazia perché è un appello ad
approfondire la Grazia del dono ricevuto, e
soprattutto per rinnovare l‟impegno per testi-
moniare la speranza che è in noi. Mentre a
volte noi viviamo frustrati perché siamo mi-
noranza. Guardate che questo, nei 2000 anni
di storia della Chiesa, è la tentazione perma-
nente. Dentro questa tentazione permanente
prima la Parola di Dio, poi le lettere degli a-
postoli, e poi in particolare i Padri della Chie-
sa continuano sempre a mettere in guardia.
Allora questa sarà la domanda: ma qual è lo
stile di un testimone come ognuno di noi?
Qual è lo stile di un testimone in un mondo
che è ostile? Guardate che il mondo che ci sta
attorno come cristiani è ostile, e l‟ostilità più
profonda non è di chi combatte e fa del male,
ma è quello che ti frega, ti circuisce… in cui
la parola più blasfema è “che male c‟è?”.
L‟altra espressione più blasfema è “che diffe-
renza fa?”; l‟altra espressione che è diventata
l‟unico codice etico sapete che cos‟è? (io par-
lo di noi cristiani cattolici) è “Però è bello!”.
Vorrei dire poche parole mie e lasciare parlare
Lui come Parola. Qualcuno di voi ha letto
quel celebre romanzo di Mario Pomilio “Il
quinto Evangelio”; a un certo punto il roman-
ziere scrive: “si dice che all‟interno dei quat-
tro vangeli conosciuti è come se ce ne fosse
uno ancora sconosciuto, ma ogni volta che la
Fede accenna a rifiorire, è segno che qualcuno
ha intravisto quel vangelo”. Sorelle, fratelli…
ognuno di noi scrive nella sua vita il quinto
vangelo… a livello personale, come coppia-
famiglia, come comunità, perché il Vangelo
non è finito… è da scrivere, è da vivere. Per-
ché noi saremmo, questa volta, un testo e una
Parola viva.
2 – E’ una lettera cattolica.
Ma è una lettera?
Secondo passaggio: ma questa è proprio una
lettera? Uno scritto molto breve: i versetti so-
no soltanto 105, e fa parte di un grande corpo
chiamato le “lettere cattoliche”. Il termine
“catolikòs” vuol dire universale, anzi di per
sé vorrebbe dire “katà olos”, accanto a ognu-
no, cioè accanto a tutti. Le lettere cosiddette
cattoliche non sono indirizzate a delle comu-
nità particolari, come quelle che S.Paolo scri-
ve agli Efesini, ai Romani, ai Filippesi, ai Co-
rinzi, ai Galati, ai Tessalonicesi, oppure a Ti-
to, a Timoteo, a Filemone, agli Ebrei. Quindi
non scritte a comunità o a persone, ma scritte
ai cristiani in generale. Questo è il motivo per
cui si chiama cattolica.
Le lettere cattoliche sono 7: la lettera di Gia-
como (che abbiamo goduto 3-4 anni fa), le
due lettere di Pietro, le tre lettere di Giovanni
e una lettera di Giuda. Questa lettera di Pietro
ha una cornice epistolare: che chi scrive non
conosce direttamente i destinatari, non entra
in situazioni particolari (come invece fa
S.Paolo che conosce molto bene i destinatari),
non è una lettera scritta o dettata come viene
(a braccio) perché è molto accurata nello stile,
nel linguaggio e nella sua forza retorica. Il che
vuol dire che chi scrive ha una grossa, pro-
fonda conoscenza, perché per fare la lettera di
Pietro occorrerebbero almeno quattro “lectio”
al giorno per un mese! Anche perché ogni
termine mi rimanda a tutta la storia della sal-
vezza, a tutta la Bibbia. Guardate che è una
cultura che noi rischiamo di non avere come
cristiani; non dico di perdere, ma di non avere
mai avuto!
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Una lettera-enciclica-circolare; una omelia-
catechesi battesimale
Qualcuno dice che più che una lettera è una
grande omelia, cosiddetta battesimale, perché
ritroveremo molto il tema del battesimo, an-
che se di per sé la parola battesimo ricorre
soltanto una volta in questa lettera. Più che
quello di battesimo, il termine bello che ama è
quello del rinascere; ma soprattutto vedremo
che più di parlare su cos‟è il battesimo (pre-
occupazione tipicamente razionale-
occidentale dei nostri catechismi) vuole vede-
re quali sono gli effetti del battesimo; quindi
parlerà dell‟identità, della dignità, della re-
sponsabilità e della missione del cristiano.
Indirizzata “agli eletti forestieri della dia-
spora” (1, 1)
Un‟altra nota che vale la pena di sapere: viene
chiamata (ne scrivono anche oggi i papi) una
“lettera enciclica”. Enciclica vuol dire circola-
re, vuol dire che la mandi a una comunità e
poi la fai girare agli altri. Quindi non è che
abbia un destinatario, ma la cosa bella è che
passa, e soltanto quello che passa normalmen-
te crea vita e crea storia. A chi viene passata?
Sono comunità cristiane dell‟Asia Minore, in
Turchia. Sono comunità che noi diremmo di-
sperse: sono piccole comunità in situazione di
diaspora. Proviamo a leggere subito il primo
versetto
Pietro, apostolo di Gesù Cristo, ai fedeli di-
spersi nel Ponto, nella Galazia, nella Cappa-
docia, nell‟Asia e nella Bitinia.
Quindi, diremmo noi, saremmo più o meno
nella zona della moderna Turchia. Mi viene il
rimando di un amico col quale ho condiviso 5
anni prima di diventare sacerdoti, e anche do-
po come amicizia, don Andrea Santoro, quel-
lo che ha voluto essere là, in queste comunità
disperse. E gli dicevano spesso i cardinali (me
lo ricordo perché eravamo compagni… e poi
figli del ‟68… c‟era dentro questa passione)
“..a cosa ti serve là?... per che cosa?... tanto
non ti viene dietro nessuno… non ti verrà
nessuno in chiesa…”. Ma questo non è im-
portante, perché il nostro annuncio non è in
una funzionalità, non è per fare dei proseliti,
non è per contarci… Provate a pensare quale
sintonia dentro a queste considerazioni.
Vedremo una lettera pastorale che però è mol-
to ricca di citazioni dalle Scritture; anzi, nel
testo che vi ho dato della Bibbia di Gerusa-
lemme vedete quanti ricchissimi rimandi. Il
che vuol dire: dopo questi tre giorni, ogni
giorno regalatevi un boccone della lettera di
Pietro e con calma andate a cercarvi tutti i ri-
mandi biblici. Questo per dire che ogni libro
della Parola contiene in un certo senso tutta la
Parola. Guardate che questo è importantissi-
mo, ed è grande questo tipo di coscienza.
Quindi anche se i cristiani, sia quelli di ieri
che di oggi, sono in situazione di diaspora,
però sono sempre una fraternità nel mondo.
Questa è la coscienza molto bella; tu puoi es-
sere qui, hai dei fratelli che possono soffrire
in capo al mondo, però è un‟unica fraternità.
Anzi, fate una cosa al volo, partendo dal fon-
do, cap. 5, 9. Prima parlerà di un tipo simpati-
co, il diavolo che come leone ruggente va in
giro a cercare chi divorare. Dice:
resistetegli saldi nella fede [ecco il punto] sa-
pendo che i vostri fratelli sparsi nel mondo su-
biscono le stesse sofferenze di voi.
E‟ una cosa bella… sapere che c‟è una comu-
nione del bene, la comunione dei santi (addi-
rittura è una professione di fede per noi), però
c‟è anche una profonda comunione di chi sof-
fre. Non è mai solitudine. Quella che è una
bestialità è la sofferenza in solitudine, perché
non è tanto la sofferenza che ti distrugge, ma
è la solitudine nella sofferenza. Questo è il
punto cardine. Seguire Cristo non è
un‟avventura solitaria, seguire Cristo non è un
viaggio che fai da solo, per i fatti tuoi, ma è
un cammino che impegna e coinvolge tutta la
comunità.
Forte ecclesiologia di comunione
Un altro punto che riprenderemo è che la pri-
ma lettera di Pietro ha una forte ecclesiologia
di comunione. Ecclesiologia vuol dire visione
di Chiesa. Non per niente questa lettera è stata
riscoperta negli ultimi 40 anni, dopo il Conci-
lio Vaticano II, quando il Concilio ha capo-
volto completamente l‟ecclesiologia,
l‟impostazione, il modo di guardare e di esse-
re Chiesa. Ricordate che prima era piramida-
le: in cima c‟è il papa, poi i vescovi e giù giù
fino al popolo di Dio. La rivoluzione è che è
eliminata la piramidale e si parla di Chiesa
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come comunione, come popolo di Dio, come
mistero. Sono termini che ritroveremo, puliti
puliti, nella prima lettera di Pietro.
3 – Perché e per chi è stata scritta
Perché è stata scritta? Qual è lo scopo di que-
sta lettera?
“Per incoraggiarvi e assicurarvi che questa
è la vera grazia di Dio” (1,1)
Il motivo non viene detto all‟inizio, ma viene
detto alla fine; proviamo a leggerlo 5, 12:
Vi ho scritto, come io ritengo, brevemente per
mezzo di Silvano, fratello fedele [ecco perché
vi scrivo:] per esortarvi e attestarvi che questa
è la vera grazia di Dio. In essa state saldi!
Questo è il motivo perché vi ho scritto. Come
dire… se non l‟avete ancora capito ve lo dico
io… Guardate che è bello, anche come strut-
tura…
Per ridestare la memoria; “risvegliare con
ammonimenti la vostra sana intelligenza” (2Pt 3,1)
Ora vi chiedo di agganciare la lettera che vie-
ne dopo, la seconda lettera di Pietro, al cap 3.
Dice:
questa, o carissimi, è già la seconda lettera che
vi scrivo. In tutte e due [ecco il motivo:] cerco
di ridestare con ammonimenti la vostra sana
intelligenza.
La traduzione esatta dal greco suonerebbe co-
sì: io cerco di risvegliare alla memoria la lim-
pida comprensione del mistero cristiano. Cioè
vi vorrei dare una lucidità mentale,
un‟intelligenza della vostra fede. Guardate
che quello che oggi manca a noi è
l‟intelligenza della fede. E‟ importante crede-
re ma non è sufficiente; si parla di intelligenza
della fede. Perché la fede è carica di intelli-
genza, e l‟intelligenza è vera se è carica di fe-
de. Mentre noi le abbiamo staccate, costruen-
do quella cosa idiota che è il fideismo. Quindi
parla di risveglio della memoria, il che vuol
dire che non si può essere testimoni senza
memoria. Non posso testimoniare Gesù Cristo
se non risveglio dentro di me la memoria di
Lui, soprattutto se io non vivo “in memoria”
di Lui.
Non c’è testimonianza senza memoria
Ad ogni Eucaristia noi diciamo “fate questo in
memoria di me”. Qui non è un‟operazione che
riguarda il passato, l‟indietro… un autore dice
“è una ben povera memoria quella che fun-
ziona solo all‟indietro…”. Qui dovremmo fa-
re molto il lavoro tra memoria e testimonian-
za. Chi di voi era presente al convegno di fine
maggio… è venuto da Milano un biblista,
Manzi, che ha fatto benissimo queste rifles-
sioni del rapporto tra memoria e testimonian-
za. Testimoniare che cosa vuol dire? E‟ parte-
ciparti qui e ora il mio incontro, il mio vissuto
e la mia esperienza di uomo rigenerato nella
sua grande misericordia, nella resurrezione di
Cristo, per una speranza viva. Nella coscienza
però che è lo Spirito “che vi insegnerà ogni
cosa”.
Vi ricordate nei discorsi di addio di Gesù;
quante volte Gesù dice ai suoi: guardate che è
lo Spirito che vi insegnerà ogni cosa, è lo Spi-
rito che vi ricorderà, è lo Spirito che vi farà
memoria di tutto quello che vi ho detto. Guar-
date che senza lo Spirito non c‟è memoria: al
limite ti passo la mia cultura, se vuoi una cosa
mia personale, ma non certo ti passo Grazia.
Qui c‟è un commento molto bello di S. Ago-
stino che diceva “abiti nella mia memoria, Si-
gnore, ma dove dimori? Quale stanza ti sei
preparato? Quale santuario ti sei costruito? Ti
sei degnato di abitare nella mia memoria, ma
in che punto? Io questo vorrei sapere”. Il che
vuol dire che la memoria di ogni cristiano sul-
la faccia della terra è il luogo in cui dimora lo
Spirito Santo.
E allora le domande che possono nascere nel
cuore di ognuno di noi possono essere tante.
Lo vedremo quando la lettera di Pietro dirà:
voi siete impiegati e verrete impiegati come
pietre vive per la costruzione di un edificio
spirituale, noi diremmo per la costruzione di
una casa mnemonica, ossia una casa capace di
essere e fare memoria, però anche abitata dal-
lo Spirito Santo. In questi giorni ci sono mi-
gliaia e migliaia di famiglie (domani le rag-
giungerà anche il papa) per l‟appuntamento a
Valencia. Il tema che quest‟anno guida
l‟incontro di tutte le famiglie a livello mon-
diale è la trasmissione della fede nella fami-
glia. Amici, la famiglia che voi avete generato
e costruito è veramente una memoria, un luo-
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go dello Spirito Santo? In cui veramente passa
e viene trasmesso e viene consegnato tutto
questo? Ricordate la parola di Dio nella Prima
Alleanza… lì c‟era una coscienza molto forte
della famiglia… poi col discorso di Costanti-
no e della Chiesa l‟abbiamo un po‟ mazzola-
ta… Quando Dio dice al popolo “lo racconte-
rete ai vostri figli”, non è roba di
un‟istituzione, non è roba soltanto di una
Chiesa o di un tipo di catechismo, ma di sape-
re se la tua casa, luogo abitato dallo Spirito, è
luogo di memoria. Non dimenticate, amici,
che la casa che voi abitate, cosiddetta famiglia
nata dal sacramento del matrimonio, è il
grande mistero di Dio. In famiglia ogni essere
umano fa la prima esperienza della Trinità,
come fa la prima esperienza della Pasqua e
della Resurrezione.
Chiesa di ieri, Chiesa di oggi: comunità di
diaspora
Un altro punto che riprenderemo con più cal-
ma: credo che siamo ormai in un‟esperienza
cosiddetta di diaspora, anche noi nella nostra
vecchia Europa come cristiani siamo in una
realtà di diaspora. Ormai da trent‟anni la
Chiesa sta parlando di nuova evangelizzazio-
ne, quindi voi provate a pensare alle due co-
munità: quella da cui parte la lettera e quella
in cui arriva praticamente vivono praticamen-
te la stessa dimensione. Qui siamo sicuramen-
te attorno al 70 d.C., anche per cominciare a
localizzare il punto storico. Però guardate…
anche se non c‟è un tipo di contemporaneità
di anno, però non è importante per l‟autore
della lettera. Comunque l‟autore ha una co-
scienza: che anche per noi come per allora era
finito un cristianesimo “bello”, forte, entusia-
sta.
La generazione cui scrive è la generazione
che viene dopo gli apostoli, quindi è la gene-
razione che già non ha visto Gesù Cristo, di-
rettamente. Queste comunità erano ancora
molto cariche, perché l‟avevano visto,
l‟avevano toccato, c‟erano vissuti insieme.
Ormai la generazione cui scrive, la prima…
forse la seconda, non crede più “in diretta”,
ma crede per annuncio perché altri glie
l‟hanno detto. Questo vuol dire che i primi
cristiani devono fare i conti con una cosa: da
una parte quella roba tremenda che abbiamo
noi cristiani cattolici, della roba già sentita di-
re (…lo conosco… già sentito…) quindi non
c‟è più niente di nuovo; e dall‟altra quella di
omologarsi con la vita di tutti nella cultura e
nella società con la quale ti ritrovi.
Tentazione del conformismo e/o della di-
sperazione
Sono le due grandi tentazioni che qui ora co-
me cristiani ancora stiamo vivendo. Una è
quella del conformismo: anche se siamo cri-
stiani cattolici sentiamo dire anche sulla no-
stra bocca “cosa vuoi… lo fanno tutti…” (tor-
na il linguaggio di prima: “cosa c‟è di ma-
le?”). Credo che questo sia il primo punto.
Dall‟altra c‟è il discorso della disperazione, di
non trovare più un luogo di speranza… dispe-
razione perché ci sono le avvisaglie delle pri-
me comunità cristiane proprio dell‟effettiva
persecuzione. Questa comunità ancora non ci
è arrivata, non è arrivata la feroce persecuzio-
ne di Diocleziano, però è nell‟aria che sta ar-
rivando. Provate ad immaginare le nostre
prime comunità cristiane… anche loro come
potevano vivere. Sarà una domanda che lascio
a me e a voi.
Ricordo un vecchio insegnante di filosofia
che insegnava a noi ragazzi a ragionare e di-
ceva “sentite ragazzi… per l‟idea che mi stai
dicendo daresti almeno un mozzicone di siga-
retta? Però se per l‟idea che mi stai dicendo
noi dai neanche un mozzicone di sigaretta…
ma che cavolo di idea è?”. E allora io mi
chiedo, uomo come voi e cristiano come voi:
sinceramente, io per la mia fede… concreta-
mente… che cosa pago? Questo non ha niente
a che fare ne‟ con la disperazione ne‟ col de-
primerci, però indubbiamente interroga. Ve-
dremo che là dove non pago, probabilmente
non è fede quello che sto vivendo. Questo sa-
rà l‟annuncio chiaro, tremendo… che ci lasce-
rà sempre inquieti da questo punto di vista.
4 – Chi è l’autore della lettera?
Chi è l‟autore della lettera? Se voi prendete
l‟inizio, 1, 1 trovate scritto “Pietro, apostolo
di Gesù Cristo, ai fedeli”. Fedeli è un termine
tradotto male; il termine esatto è “eletti” “agli
eletti dispersi in queste regioni dell‟Asia mi-
nore”.
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“Pietro, apostolo” (1,1), “co-presbitero”
Vedete che Pietro entra in scena subito ed è
definito apostolo. Ricordate che prima, quan-
do abbiamo letto il pezzo finale, dice “vi ho
scritto per mezzo di Silvano”. Silvano è il fa-
moso Sila che accompagnerà anche Paolo e
Barnaba, fratello fedele, grande collaboratore
di Paolo. Probabilmente era molto istruito, e
probabilmente era qualcosa di più di un sem-
plice segretario o di uno che scrive sotto det-
tatura. Però Pietro, apostolo di Gesù Cristo,
realizza la funzione di confermare i fratelli
nella fede. Ricordate che questa era la grande
consegna che Gesù lascia a Pietro: “E tu una
volta ravveduto conferma i tuoi fratelli nella
fede”. Prendete ancora il cap 5, 1. Dice
Esorto gli anziani che sono tra voi, quale an-
ziano come loro.
Il termine esatto sarebbe co-presbitero. “te-
stimone delle sofferenze di Cristo”. Vedete
che non c‟è dentro niente di quel linguaggio
di potere e di autorità, ma è un uomo che è
apostolo di Gesù Cristo, però è co-presbitero
e partecipe delle sofferenze di Cristo. Questo
è il grande titolo di dignità, non perché è pa-
pa…
Lettera intestata a Pietro, con la dottrina e
l’autorità petrina.
Provate a trovare il fondamento della Parola,
che è il fondamento di ciò che siamo come
Chiesa. Per cui credo che molti studiosi (que-
sta è l‟ipotesi più accreditata) più che
all‟apostolo Pietro attribuiscono questa lettera
alla tradizione petrina. Il che vuol dire che in
questa lettera c‟è dentro tutto Pietro, tutto il
suo pensiero, il suo stile e la sua verità. Per-
ché, vi ripeto, siamo già alla seconda genera-
zione; non per niente troviamo la frase che
avete sentito consegnando la parola a qualcu-
no, perché sono quelli che amano Cristo senza
averlo visto: “che pur non avendo visto cre-
dono in Lui”. Questa è la generazione cui si
rivolge.
Comunque è una lettera intestata a Pietro. Chi
lo ha fatto sapeva che scriveva e di avere
l‟autorità di scriverlo, in forza della quale po-
teva scrivere da Roma alle comunità lontane.
Guardate che è un grosso lavoro, dal Concilio
in poi, quello di scrutare le Scritture. Prima
prendevamo le Scritture un po‟ come ci veni-
vano… è vero che quando cominciamo questo
lavoro di esegesi, ancora più profondo di er-
meneutica… ti può anche disincantare. Chi di
noi è stato nella terra di Dio, nella Terra San-
ta… lì è una maledetta delusione, perché la
cosa bella è che non c‟è niente; non c‟è niente
di tutto quello che mi hanno detto, di tutto
quello che credo, e di tutto quello che cerca-
vo. Proprio non c‟è niente. E‟ la fede che par-
te là dove non c‟è niente. Perché non hai
manco un sasso, paradossalmente, cui attac-
carti, come dimostrazione, se non poter dire
“qui Cristo è nato, qui Cristo è morto, qui
l‟hanno inchiodato, qui è stato flagellato….”.
Credo sia importante ripercorrere anche que-
sta dimensione.
Sento anche di dirvi, in particolare alla gene-
razione più giovane, per la propria fede, per la
propria umanità, vivere una volta un „espe-
rienza nella terra di Dio. Perché è diverso es-
sere là e prendere in mano la Parola. Allora
posso vivere la storia con la geografia e posso
vivere la geografia con la storia. Non è una
pubblicità. Se noi nella gente avessimo svi-
luppato la gioia di conoscere la terra di Dio,
cioè la realtà biblica, come abbiamo sviluppa-
to questa roba dei pellegrinaggi a basso costo,
probabilmente avremmo una fede che parte
dalla Parola e che è semplicemente Fede.
Roma-Babilonia e Comunità
dell’Asia Minore: “co-elette”.
Un altro punto (5, 13):
Vi saluta anche la comunità che è stata eletta
come voi e che dimora in Babilonia.
Quindi la comunità di Roma è la comunità
che viene detta “co-eletta”, eletta con voi, e
qui Roma viene chiamata Babilonia. Per cui
in questa lettera quando troviamo Babilonia si
parla di Roma, perché Roma è capo
dell‟impero come Babilonia rappresentava per
il popolo credente veramente l‟impero, a par-
tire naturalmente dalla distruzione del tempio
nell‟anno 70. Quindi Babilonia era l‟emblema
della diaspora giudaica, però trovate benissi-
mo questa affinità tra la comunità di Roma e
le comunità sorelle dell‟Asia minore.
5 – Struttura della lettera
Tre grandi articolazioni:
8
La struttura della lettera: è divisa in 3 blocchi,
capitoli 1 e 2 con la vita e missione dei rige-
nerati; dal cap 2 al 4; e i cap 4 e 5. Un‟altra
cosa bella: questa lettera è una costellazione
di metafore. Noi occidentali usiamo molto il
pensiero e il concetto, cioè roba astratta, men-
tre la Parola di Dio (vedete anche solo il Van-
gelo) usa pochi pensieri, pochi concetti astrat-
ti (perché quando parli per astrattezze non ti
segue nessuno) ma parla per immagini e per
simboli. Quindi per raccontare e per definire
usa sempre lo stile dell‟allusione, che è lin-
guaggio evocativo, simbolico, che è la parte
(me lo insegnate come genitori e come nonni)
di quando raccontate le favole, le parabole,
così vi seguono tutti.
Voi sapete che ha in mano l‟umanità chi sa
gestire il simbolico. Chi ha in mano
l‟umanità? Quelli che fanno la pubblicità.
Perché sanno gestire il simbolico, l‟evocativo,
il rimando. Provate a pensare se noi come sa-
cerdoti e i catechisti, quando parliamo usas-
simo meno concetti, meno dimostrazioni, me-
no razionalizzazioni e molto di più il raccon-
to… Non per niente quando voi cominciate a
raccontare tutti vi seguono… quando comin-
ciate a ragionare dopo due secondi vi saluta-
no… Questa è la grande riscoperta che sta fa-
cendo la catechesi oggi, però è la riscoperta
che ognuno di noi dovrebbe rigenerarsi… sa-
cerdoti ed educatori del popolo di Dio.
Alcuni accenni di metafore molto belle, che
ricorrono molto spesso, come quando usa
l‟espressione del “come” per raccontare qual
è l‟identità del cristiano e la sua missione; di-
ce: …come figli obbedienti, …come bambini
appena nati, …come pietre vive, …come
stranieri e pellegrini, …come uomini liberi,
…come servi di Dio, …come buoni ammini-
stratori… Guardate che è forte… proprio un
tormentone… un leit motiv che ritorna parec-
chio. Una sola volta c‟è l‟immagine del “co-
me” ma non c‟è la metafora e c‟è una realtà; è
quando dice che se uno soffre come cristia-
no... non arrossisca. E‟ l‟unica volta in tutta la
lettera che viene usato il termine “cristiano”,
perché sapete che il termine cristiano era un
termine di scherno. Non dimentichiamo que-
sta radice.
Questo è vero anche nel racconto degli Atti
degli Apostoli. Cap 1, 2. In questi primi due
versetti c‟è tutta la lettera, tutta la nostra iden-
tità. E‟ molto condensata… è come quando
tiri fuori la carta d‟identità: non è un dossier,
ci sono poche note però è tutto l‟essenziale.
Ecco l‟essenziale:
Pietro, apostolo di Gesù Cristo, ai fedeli di-
spersi nel Ponto, nella Galazia, nella Cappa-
docia, nell‟Asia e nella Bitinia, eletti secondo
la prescienza di Dio Padre mediante la santifi-
cazione dello Spirito, per obbedire a Gesù Cri-
sto e per essere aspersi del suo sangue: Grazia
e pace in abbondanza su tutti voi.
Cosa vuol dire? Qui dice che l‟identità del
cristiano è trinitaria. Scusate: non è uno che
crede a Padre Pio e va a trovare i suoi morti al
cimitero… Dico tutto questo con molta serietà
e molto pudore… (Uno mi ha detto giorni fa:
guardi… io ogni domenica vado al cimitero…
E‟ una cosa bella… e dopo?) Il che vuol dire
che fuori da questa identità, identità proprio
trinitaria… eletti secondo la prescienza, me-
diante la santificazione dello Spirito, attraver-
so il dono della vita del Cristo. Innanzitutto,
chi sono i cristiani? Non è gente che si è fatta
registrare in chiesa quando è stata battezzata; i
cristiani sono eletti, scelti da parte di Dio,
come eletto e scelto era il popolo della Prima
Alleanza. Chiaro? Quindi non è “bontà mia…
me faccio cristiano…”, ma sono eletti e scelti
da parte di Dio. E in quanto eletti da Dio, Dio
(scusate… è uno scherzo brutto…) li rende
stranieri nella diaspora. Questo sarà il grosso
lavoro di questi tre giorni, perché vedremo
che il cristiano è uno straniero… straniero ha
la stessa radice di strano…questa è la diffe-
renza. Perché sono stranieri? Non perché sono
degli emigranti per problemi sociali, politici,
economici… sono stranieri in quanto sono
stati eletti da Dio. Qui vale la pena ogni tanto
di ritrovare l‟identità e la motivazione. Ve-
dremo che come cristiani, stranieri e pellegri-
ni, è gente di passaggio, senza fissa dimora,
senza diritto di cittadinanza. Per farla breve:
ogni volta che c‟è uno sbarco a Lampedusa,
se almeno mi venisse in mente, dopo la prima
lettera di Pietro, …ecco chi sono i cristiani.
Punto. E‟ un‟immagine molto concreta, non
retorica. Senza fissa dimora, gente di passag-
gio, senza diritto di cittadinanza. Anche per-
ché sapete che nell‟impero romano i cives, i
cittadini, quelli che avevano diritto di cittadi-
9
nanza erano davvero pochini; gli altri erano
stranieri e tendenzialmente barbari. Quindi la
diaspora è l‟esperienza del popolo ebraico,
però è anche la nostra esperienza di cristiani.
Sapete che inizialmente gli Ebrei sentivano la
diaspora come castigo di Dio, poi hanno sco-
perto che la diaspora è stata una benedizione
perché permetteva, in popoli diversi, di semi-
nare Israele nel mondo. Eletti secondo la pre-
scienza di Dio Padre… Il termine greco è
quello di prognosis, quello che noi usiamo
come prognosi. Lettere come questa andreb-
bero lette in greco. Eletti secondo la prescien-
za vuol dire che il fondamento della fede è
uno solo, è totale gratuità. Non sei stato eletto
perché lo meriti, perché sei bravo, perché sei
figlio di una buona famiglia, perché ti sei tro-
vato in occidente… questa è la coscienza che
non dovremmo mai mollare. Questo si attua
per mezzo della santificazione dello Spirito,
per essere aspersi del suo sangue. Quindi la
domanda “dove nasce il cristiano”… il cri-
stiano nasce nel cuore della Trinità. Il che
vuol dire che sia il cristiano che la Chiesa na-
scono per iniziativa di Dio, e non per opera
umana. Il vescovo Bruno Forte aveva fatto
una teologia meravigliosa della Trinità come
storia… è stupendo leggere la storia nella Tri-
nità. Non è un gioco di parole, è semplice-
mente l‟identità di quello che siamo. Per cui
partiamo con la benedizione trinitaria.
“Io vi esorto come stranieri e pellegrini” (2,11)
Seconda lettura biblica e seconda riflessione
IL CRISTIANO NON E’ PER L’ALTRA
VITA, MA PER UNA VITA ALTRA (1, 3 – 2, 11)
1 – Benedizione e gioia per la rinascita (1, 3-5)
La prima espressione comincia subito con la
benedizione, una solenne ouverture in cui gu-
stiamo l‟azione della Trinità. Questa azione
della Trinità nella vita e nella storia viene pre-
sentata e gustata con stupore e meraviglia. Ma
soprattutto lo stupore e la meraviglia non tan-
to per il dono della vita, ma per il dono della
vita nuova. Sarebbe importante che almeno
noi come credenti, come cristiani e rigenerati,
come uomini e donne immersi (battezzati) in
Gesù Cristo abbiamo non soltanto a parlare
della vita (importante; della quale parlano tut-
ti) ma della vita nuova. Questo è il punto.
a) Il Padre ci ha rigenerati
Partenza 1, 3-5:
Sia benedetto Dio e Padre del Signore nostro
Gesù Cristo; nella sua grande misericordia egli
ci ha rigenerati, mediante la resurrezione di
Gesù Cristo dai morti, per una speranza viva,
per una eredità che non si corrompe, non si
macchia e non marcisce. Essa è conservata nei
cieli per voi, che dalla potenza di Dio siete cu-
stoditi mediante la fede nella vostra salvezza,
prossima a rivelarsi negli ultimi tempi.
Quindi la preghiera di lode e di benedizione ci
porta al cuore della spiritualità biblica. Amici,
fratelli, la nostra spiritualità tante volte simpa-
tica e apprezzabile però non è spiritualità bi-
blica, cioè non viene dalla Bibbia. La nostra
mentalità di credenti e di cristiani, anche se
cristiani non è mentalità e cultura biblica.
Questa sarà la cultura nuova, quello che è dif-
ferenza e soprattutto fa la differenza. E la pre-
ghiera della lode e della benedizione ci porta
allora in quella che i nostri fratelli ebrei chia-
mano la berakàh, la benedizione. E la benedi-
zione non viene mai fatta, grazie a Dio, in un
modo generale o generico, ma viene sempre
ringraziato per situazioni particolari e precise.
E qui c‟è una formula ricorrente non soltanto
nella lettera di Pietro ma in tutte le lettere, in
particolare quelle di S.Paolo: Benedetto sia
Dio e Padre del Signore nostro Gesù Cristo.
Il nostro Dio è il Padre di Gesù Cristo?
Non molliamo mai la radice, il punto chiaro.
Dio, lo vedremo, è padre. Non dice padre mio
o padre nostro, ma padre di Gesù Cristo. Que-
sto è già un punto cardine, un punto di diffe-
renza, cioè un punto di identità. Perché? Dirà
anche S. Paolo: perché ci consola in ogni no-
stra tribolazione. Perché Egli ci ha benedetti
con ogni benedizione spirituale nei cieli in
Cristo. Qui Pietro dice: perché ci ha rigenera-
ti secondo la sua grande misericordia. Il che
vuol dire che non il padre generico, un dio
generico, ma il Padre di Gesù Cristo è miseri-
cordia, e misericordia che genera. Quindi è
utero, è grembo, è viscere, è Padre e Madre.
10
Non “Padre mio” ma “Padre nostro”
D‟altra parte ricordate l‟incontro di Gesù con
Nicodemo, quando dice che se uno non rina-
sce dall‟alto non può entrare nella pienezza,
nella comunione con Dio. Vi dicevo che la
benedizione è indirizzata a Dio, però non tan-
to come padre nostro ma in quanto padre di
Gesù Cristo. Amici, Dio ci è Padre non per-
ché mi piace la paternità, non tanto perché è
bello avere un padre (che, bene o male, non è
che ci occorra domineddio), ma Dio ci è Pa-
dre solo attraverso Gesù Cristo. Quante volte
Gesù dopo la resurrezione… quando dice a
Maria Maddalena “salgo al Padre mio e Padre
vostro, Dio mio e Dio vostro”. Per cui il cri-
stiano quando prega di per sé non dovrebbe
mai dire “Padre mio”: solo Gesù lo può dire.
Posso dire sempre solo “Padre nostro”, in
quanto sono figlio in Cristo, e posso dire “Pa-
dre nostro” se io sono in cerca di fratelli.
Non so se sia chiaro qual è la preghiera “sa-
na”, la preghiera nuova, la preghiera che mi
dona questa identità e questa coscienza. Pro-
prio attraverso la morte e la resurrezione il
Padre è diventato Padre nostro. Ognuno di
questi punti e spunti è veramente un luogo di
conoscenza, di riflessione profonda chiamata
teologica. Provate a pensare alla nostra identi-
tà cristiana… quanta mancanza di conoscen-
za… ignoranza non in senso dispregiativo del
termine… Guardate che meno so e meno co-
nosco… anche meno vivo. E‟ vero che nella
nostra cultura evoluta si dice “è meglio non
sapere, così non soffro”. Questo è l‟altro pa-
rametro di pseudo cristiani che ci portiamo
accollati addosso.
Dice: “Ci ha generati nella grande misericor-
dia”. Fino a cosa arriva la sua grande miseri-
cordia o tenerezza, le sue viscere, il suo utero
di padre… l‟utero serve soltanto per il figlio,
e serve soltanto per generare il figlio. Ecco la
sua grande misericordia: fino a dare suo fi-
glio. “Dio ha tanto amato il mondo da dare
suo Figlio”. Amici mamme e papà, vostro fi-
glio e vostra figlia a chi la dareste? Però
quando una persona ti dona il figlio, credo che
ti abbia dato tutto. Quante volte troviamo in
tutta la Parola di Dio, sia nella Prima che nel-
la Nuova Alleanza, che cerca di fare di tutto
per far arrivare la sua bontà, la sua misericor-
dia all‟umanità… e alla fine disperato pure lui
dice “manderò mio figlio”! Almeno di mio fi-
glio avranno pietà! E‟ un primo punto, anche
se sono soltanto degli accenni: imparare come
uomini e come donne credenti… imparare a
benedire.
Provate a pensare, uscendo domani sera da
qui… il resto dei nostri anni, il tempo che
domineddio ci donerà di vivere… imparare
davvero a benedire in ogni istante, per ogni
situazione, in ogni realtà. Quante volte ab-
biamo detto che benedire vuol dire “dire be-
ne”, imparare ogni giorno a dire bene di me, a
dire bene dell‟altro e degli altri, perché noi
siamo chiamati ad avere in eredità la benedi-
zione, e la benedizione per Dio non l‟idiozia
del portafortuna benedetto al Divino Amore…
la benedizione è la pienezza della vita, e la
pienezza di vita è l‟intimità e la comunione
con Lui. Proviamo a pensare in tutta la fede
biblica i grandi canti e cantici di benedizio-
ne… ricordiamo anche solo il Benedictus di
Zaccaria, che poi entra sempre nella nostra
preghiera; il cantico di Simeone, il cantico di
Maria del Magnificat; proviamo a pensare a
Gesù che ogni volta che apre la bocca dice
sempre “ti benedico, o Padre”. Dentro qua-
lunque esperienza, prima di ogni evento, per-
ché sa che in ogni evento e in ogni esperienza
è in azione Lui, il Padre, con il suo Spirito.
Siamo stati rigenerati per una speranza viva.
Ecco allora la prima finalità che caratterizza
questa nuova generazione. Ricordiamo che
questa lettera è stata scritta da Pietro per le
comunità dell‟Asia Minore, che erano disper-
se nella diaspora. Ormai erano una seconda
generazione. Chi era la prima generazione?
Quella degli apostoli e dei discepoli, che ave-
vano avuto il dono e il privilegio di essere sta-
ti in contatto con Gesù. E per gli apostoli una
caratteristica era di essere stati testimoni ocu-
lari che Gesù era risorto. Poi nasce la prima
comunità dalla Pasqua del Signore, però co-
mincia a nascere la generazione di quelli che
come noi non hanno visto niente. Ma noi cre-
diamo solo sulla testimonianza di chi ha visto
e di chi ha toccato. Quindi vedete che la si-
tuazione delle comunità cui è indirizzata la
lettera è la situazione della nostra comunità.
11
Se siamo figli, siamo eredi
Quindi per noi cristiani la speranza ha un solo
fondamento, la speranza è soltanto la resurre-
zione di Cristo. E‟ soltanto questa la garanzia
della nostra speranza. Un proverbio simpatico
dice che finché c‟è vita c‟è speranza; noi cri-
stiani dovremmo essere più puliti e dovrem-
mo dire che finché c‟è fede, finché c‟è fede in
Lui c‟è speranza. Non so se la differenza è
chiara. La differenza non vuol dire che è una
bestialità: la definizione precedente è buona,
però non è novità, non porta il nuovo, è que-
sto che vorrei gustare e celebrare con voi den-
tro la Parola di questi giorni, per una speran-
za, per una eredità che non si corrompe (pro-
vate a pensare alle guerre per le eredità dei
nostri padri e delle nostre madri) per
un‟eredità che non marcisce, non si sporca,
non si macchia. Se essere generati da Dio ci
fa diventare figli, vuol dire che come figli
siamo anche eredi. Però a differenza della
Prima Alleanza dei nostri fratelli ebrei… loro
erano eredi di che cosa? avranno in eredità la
terra, la terra promessa, ricordate? Ecco la lo-
ro eredità, ecco la loro speranza: era la terra
promessa. Noi no, la nostra eredità è custodita
da Dio nei cieli, come Dio custodisce noi cre-
denti sulla faccia della terra. E‟ una speranza
viva, vivente, attiva, che coinvolge la nostra
vita di credenti, prima di tutto perché mi cam-
bia nel presente… mi rende figlio. Soprattut-
to, lo gusteremo, mi rende capace di bene.
Soprattutto mi prepara un futuro, coerede di
Cristo e con Cristo nella vita piena con il Pa-
dre.
b. esultanza e amore per Gesù Cristo
Seconda figura, vers. 6 – 9, l‟esultanza e
l‟amore per Gesù Cristo.
Perciò siete ricolmi di gioia, anche se ora do-
vete essere un po‟ afflitti da varie prove, per-
ché il valore della vostra fede, molto più pre-
zioso dell‟oro, che, pur destinato a perire, tut-
tavia si prova col fuoco, torni a vostra lode.
Siete ricolmi di gioia, anzi dice: esultate, gioi-
te, godete… Ripercorreremo ancora questo
tema della gioia. E‟ interessante e affascinante
perché la gioia è collegata alla sofferenza, e la
sofferenza è collegata alla gioia. Perché dove-
te proprio godere ed esultare? Perché la fede è
un dono inestimabile. Tante volte sentiamo
dire un‟espressione bella, stupenda… magari
la vivessimo fino in fondo… che uno dei doni
più grandi che uno può avere è veramente il
dono della fede. Mi capita spesso, ai battesi-
mi, di chiedere al padrino e alla madrina (a-
vendo il privilegio che ogni tanto il vescovo
mi manda anche come ministro “straordina-
rio” della cresima): “scusate… quale potrebbe
essere la disgrazia più grande per il vostro fi-
glioccio? Però ve lo chiedo come padrino e
madrina, solo per l‟identità che avete”. Uno
ha detto che venga bocciato agli esami… che
faccia una vita magra… tutta roba apprezzabi-
le, augurabile, ci siamo?... Guardate che
l‟unica “disgrazia” che può succedere è che il
vostro figlioccio possa “perdere la fede”. Fuo-
ri di questo… ti è rimasto un mercato religio-
so. Dopo di che… ti guardano strano: però
non è una parola mia…
Sarebbe bello per quanti di voi saranno chia-
mati ad essere padrini e madrine… guardate
che una sola è la consegna: non è tanto di ri-
cordargli l‟anniversario o fargli una madonna
d‟oro o un crocifisso di platino… ma che pos-
sa perdere la fede. Non abbiamo nient‟altro.
Ed è bello una volta, almeno per tre giorni,
sapere che cosa ho. Nient‟altro, in termini pu-
liti, in termini genuini… credo che rituffarci
sia importante soprattutto per noi che siamo
già nel sentito, nel vissuto, stufi, saturi, prati-
camente “rotti”.
Emarginati/insultati/afflitti
per il nome di Gesù Cristo
Dicevo che la fede è un dono inestimabile, al
cui confronto, dice, anche l‟oro vale niente.
Eppure anche l‟oro, essendo una realtà pre-
ziosa, viene purificato col fuoco. La fede co-
me viene purificata? Viene purificata attraver-
so le prove. Quando io sto bene, la fede non
mi interessa. Ognuno di voi quando sta bene
della fede non s‟interessa. La fede inizia sape-
te quando? Quando è finito tutto… la fede
comincia lì. Sapete quando Gesù Cristo ini-
zia? Quando è finito tutto. Non per niente o-
gnuno di noi comincia a scoprire “la fede”,
forse l‟incontro con Gesù Cristo dentro una
botta, dentro le prove. Perché soltanto dentro
una prova si valuta e si qualifica se quel me-
tallo è genuino, o meglio ancora se siamo ge-
nuini noi. E i rigenerati (chiama così i cristia-
ni) sono ricolmi di gioia anche se sono afflitti
da molte prove.
12
Qui il termine “prova” è la traduzione del
termine greco che significa “tentazione”. Non
per niente nella preghiera al Padre che Gesù
ci ha lasciato ci invita a pregare e a dire “libe-
raci dalle tentazioni” “non c‟indurre in tenta-
zione”. Una cosa molto importante: le soffe-
renze e le croci le vivono tutti, anche quelli
che non hanno mai sentito parlare di Gesù
Cristo. Per cui quando sentiamo dire, con un
linguaggio nazional-popolare, che ognuno de-
ve portare la sua croce… è una cosa buona,
ma fin qui di cristiano non c‟è niente. Di nuo-
vo, di differente non c‟è niente. Quando sen-
tiamo dire da Gesù: ognuno “prenda la sua
croce e mi segua”, non vuol dire cerca di in-
cassare quello che ti capita con una faccia se-
rena e positiva… A quale croce o a quale pro-
va si riferisce? Solo a quelle sofferenze e cro-
ci e prove che mi nascono dal fatto di essere
cristiano… non per il fatto che mi è morto
mio padre o c‟è stata una disgrazia… Anche
quella è prova, però il termine esatto che qui
dice è dal fatto di essere cristiano.
Una prova è sempre una prova, per carità, pe-
rò ciò cui viene riferita la parola di Gesù, la
parola della 1Pt, sono le sofferenze che mi
vengono dal fatto di essere cristiano. Io mi
faccio tutti i giorni una domanda… me la po-
nevo di fronte alla bara di un amico, di don
Andrea Santoro quando ci sono stati i funerali
giù a S.Giovanni in Laterano… c‟era questa
bara ed è entrato un raggio di sole… momen-
to affascinante… mi sono detto “…in quello
che credeva, a Colui nel quale ha creduto ve-
ramente ha dato la pelle… e io ma che cavolo
di pelle sto dando?”. E‟ una domanda che for-
se si pone anche ognuno di noi. Il che non
vuol dire che è soltanto una forma di martirio,
anche se ognuno di noi in un attimo è capace
di martirio, però il cristiano non è un eroe.
L‟eroismo, l‟eroe è una bestemmia per un cri-
stiano; il cristiano è solo un testimone. Can-
celliamo la scemenza… adesso quando
muoiono in particolare anche i ragazzi milita-
ri… si parla di eroi e di eroismo… per carità,
è vero in un linguaggio umano… però la no-
vità radicale per un cristiano è una testimo-
nianza. Tradotto in questo codice, è una nor-
malità; anche se la nostra testimonianza è
quella di giorno dopo giorno, attimo dopo at-
timo, dentro un rapporto con un uomo, con
una donna, con un figlio, con dei fratelli, in
una quotidianità di vita fatta come è fatta,
quasi una continua lotta. Per essere ancora
umani, per essere uomini, per sentirci ancora
non tanto liberi ma soprattutto figli… 4, 14
Beati voi se venite insultati per il nome di Ge-
sù Cristo.
La gioia non è dopo,
ma dentro la sofferenza Ecco il “punto” della beatitudine. Vi dicevo
prima che è sorprendente questa coesistenza
tra la gioia e la sofferenza. Guardate che è
molto importante un passaggio: qui non dice
che la gioia verrà dopo la sofferenza, come la
quiete viene dopo la tempesta. E‟ anche bello
pensare che… bene o male passerà, finirà…
ed è vero che finisce, però non è tanto questo
il codice vero, il codice nuovo, perché non è
tanto la gioia che viene dopo la sofferenza…
Qual è la novità per il cristiano? Che la gioia
è dentro la sofferenza, ma non in termini di
sadismo o di masochismo o di dolorismo…
Perché dentro lì? Perché io nella sofferenza,
nel dolore, nella prova non sono solo: io sono
in qualcuno e sono con qualcuno. La mia cosa
tremenda di uomo, di cristiano e di prete è che
qualche volta purtroppo anch‟io dimentico
che nelle piccole o grandi sofferenze, dispia-
ceri e dolori… penso di essere solo. Cioè mi
stacco dalla comunione. Quindi non è “do-
po”… perché ci arrivano tutti al “dopo”…
non è che mi occorreva Gesù Cristo… ma la
forza è proprio dentro la sofferenza. Per cui
anche se simpaticamente quando stai male la
gente ti dà una pacca sulle spalle e ti dice
“Coraggio, ti passerà”… è carino e umana-
mente comprensibile… ma qui dice: esultate
benché siate afflitti da varie prove.
La fede del cristiano è quella di un amante
E quello che è soprattutto sorprendente è
l‟amore per Gesù Cristo, ed è una gioia che si
esprime soprattutto nell‟amare Gesù Cristo.
Qual è lo stupore e la meraviglia della lettera
di Pietro? E‟ quando dice a questa gente: voi
amate Gesù Cristo senza averlo visto. Guarda-
te che amare una persona senza vederla… da
una parte potrebbe essere anche bella… ma
qui occorre la natura genuina della fede. E
credete in lui, senza per ora vederlo.
13
Un altro punto. I credenti, i cristiani, quelli
che sono immersi in Gesù Cristo, Pietro dice
“i rigenerati”, sono degli amanti. Dico
un‟esperienza non tanto d‟amore ma proprio
l‟esperienza dell‟amante… metteteci dentro
tutto quello che volete voi e avete un‟idea di
chi dovrebbe essere il credente. Non per nien-
te i termini biblici della fede sono i termini di
amore; però parla di amante e di credente…
non parla semplicemente di “volemose bene”.
Questo è il codice. Perché quando uno è a-
mante, di solito, 24 ore su 24 gli sbarella la
capoccia… A volte mi chiedo se Gesù Cristo
mi fa sbarellare la capoccia… se veramente
sono amante… Sapete che nella Prima Alle-
anza quelli che amavano Dio erano chiamati
“gli amanti del nome”, siccome il nome di
Dio non poteva essere pronunciato erano gli
amanti del mistero, di quello che è impronun-
ciabile, di quello che è totalmente altro.
Ecco la fonte della beatitudine, non tanto per-
ché sto bene (oggi è una bella giornata… mi è
passato il mal di pancia… tutte cose impor-
tanti da costruire…), ma la beatitudine nasce
dal fatto che credo pur non avendo visto! La
fede di un cristiano non è tanto quella di un
militante. Sapete che c‟era un termine bello
30-40 anni fa, perché una volta c‟erano delle
ideologie e chi stava in un partito con un ter-
mine bello era chiamato un militante. Militan-
te vuol dire che ci credeva fino in fondo.
Quando sono cadute le ideologie… posso
prendere mio padre e qualcuna delle persone
anziane, per loro veramente è stato un crollo
d‟identità. Sarà stata un‟ideologia, però cre-
devano in un partito e ci credevano fino in
fondo. Sarà stato settoriale, sarà stato partito,
però ci credevano, erano dei militanti. Il cri-
stiano, da questo punto di vista non è un mili-
tante, perché noi non abbiamo la fede in una
ideologia, non poniamo la fede in una utopia,
ma noi siamo amanti, abbiamo un rapporto
con un vivente, e un rapporto vivo con una
persona viva. Ecco la novità del cristiano.
E‟ sempre bello lottare per una nobile causa…
ma questo lo faceva anche Ulisse e lo faceva-
no tutti i grandi eroi. Per noi non è tanto una
nobile causa, per noi è una Persona, e in Lui e
con Lui possiamo metterci in intimità con i
fratelli. Quindi sono due realtà, due dimen-
sioni che non posso staccare. S.Paolo, credo
nella prima lettera ai Corinzi, ha
un‟espressione molto forte, perché S.Paolo
era senza mezzi termini, dice: Chi non ama il
Signore sia anatema, cioè sia scomunicato.
Peggio di un bestemmiatore, di un profanato-
re, di un terrorista religioso… E vedete che
Pietro non comanda di amare il Signore, però
riconosce che questo amore è già dentro di me
come cristiano e come rigenerato. Il che vuol
dire che chi è stato rigenerato dallo stesso Pa-
dre è in condizione anche di amarlo spontane-
amente. Il papà e la mamma non mi hanno
comandato di amare i genitori… mi uscirà un
tantino il rispetto quando ogni tanto rompo-
no… però è una realtà che mi porto dentro. Il
che vuol dire che per noi l‟amare come figli il
Padre è una realtà che è quasi una spontaneità,
non è un comando che viene da fuori, non è
un maledetto dovere, anche se a me e a voi
hanno dato la fede come religione e hanno da-
to la religione come morale. Però quando tu
sei amante di qualcuno fai mille cose, fai su
un casino… ma non perché te l‟ha comandato
qualcuno, è nella relazione!
Ecco da dove nasce il comportamento, quella
condotta bella che gusteremo in un modo stu-
pendo nella giornata di oggi. Quindi con la
speranza abbiamo bisogno di riscoprire la gio-
ia di essere cristiani, cioè lo stupore di amare
Gesù Cristo. Questa gioia e questo stupore per
quello che Dio non soltanto ha fatto per noi,
ma per quello che Dio fa per noi. C‟è una let-
tura bella di S.Leone Magno che viene fatta
nella notte di Natale, e siccome adesso nella
notte di Natale le chiese sono gremitissime,
qualcuno in un modo intelligente fa precedere
la celebrazione magica della notte di Natale
almeno da un‟ora di veglia. Se non altro qual-
cuno è lucido e non ha la pancia troppo piena
perché si è fatto il cenone di Natale… perché
per pregare e per vegliare devi avere la pancia
vuota… non c‟è bisogno che ce lo dica la let-
tera di Pietro; comunque gustiamo la lettura di
S.Leone magno quando dice “Riconosci, o
cristiano, la tua dignità”, e poi c‟è
quell‟espressione stupenda: “Non c‟è spazio
per la tristezza quando nasce la vita”.
Guardate che i cristiani dovrebbero essere,
uomini e donne, con la faccia non solo con-
tenta ma con la faccia, con il cuore, con la pa-
14
rola di gente risorta. Ve lo sentite dire come
un tormentone, ciò vuol dire che la faccia di
un cristiano dovrebbe essere la faccia di un
risorto; il che non vuol dire che non deve ave-
re le sue preoccupazioni, però che vive con
serenità nelle sue preoccupazioni. Provate a
pensare quando vedete la massa di gente che
esce dalla Chiesa… guardarla in faccia e ve-
dere della gente serena… Non è un problema
di stampare un sorriso ebete sulla faccia… ma
proprio di serenità. Perché lì dentro sono an-
dati non per fare un precetto, ma per annun-
ciare, per celebrare, per godere la gioia di es-
sere arrivati dentro la sua Pasqua. Sempre
quel testo di S.Leone Magno dice: “O caris-
simi, rendiamo grazie a Dio Padre per mezzo
del suo Figlio nello Spirito Santo”. Vedete
che ogni preghiera è sempre e solo trinitaria
“perché nella infinita misericordia con cui ci
ha amati ha avuto pietà di noi, e mentre era-
vamo morti per i nostri peccati ci ha fatto ri-
vivere con Cristo perché fossimo in lui creatu-
ra nuova, nuova opera delle sue mani”. Siamo
usciti la prima volta dalle sue mani, nella cre-
azione, e siamo usciti in modo definitivo e
ancora più bello nella nuova creazione, quella
della Pasqua e della resurrezione.
c - Evangelizzati nello Spirito Santo (1, 10-
12)
Il terzo punto 1, 10-12, evangelizzati nello
Spirito Santo, oppure la rivelazione profetica
dello Spirito.
Su questa salvezza indagarono e scrutarono i
profeti che profetizzarono sulla grazia a voi
destinata cercando di indagare a quale mo-
mento e a quali circostanze accennasse lo Spi-
rito di Cristo che era in loro, quando predice-
vano le sofferenze destinate a Cristo e le glorie
che dovevano seguirle. E fu loro rivelato che
non per se stessi, ma per voi erano ministri di
quelle cose che ora vi sono state annunziate da
coloro che vi hanno predicato il Vangelo nello
Spirito Santo mandato dal Cielo; cose nelle
quali gli angeli desiderano fissare lo sguardo.
Una breve sosta su questo passaggio. Tecni-
camente questi bocconi si chiamano pericope
(serve soltanto come lessico). Questi versetti
da 10 a 12 sono uno sguardo acuto e penetran-
te della storia della salvezza. E‟ un condensa-
to brevissimo, e qui la salvezza viene detta
una salvezza come storia, perché la salvezza è
storia, non è una cosa, perché è percorso ed è
una realtà di storia che continua. La salvezza
ha storia; storia vuol dire che la salvezza ha
un passato, i profeti hanno indagato… scusa-
te… non ha fatto un self service, una cosa per
loro perché erano amanti del bel gusto. Hanno
indagato, ci dirà, per voi.
AT e NT legati dallo Spirito Santo (1, 10-12)
La storia oltre che un passato ha un presente,
gli evangelizzatori lo annunciano, e anche un
futuro con gli angeli che attendono il compi-
mento. Quando leggiamo solo una volta que-
sta intensità sfugge, non per cattiveria ma
perché la Parola di Dio va scrutata, non va
semplicemente letta. La cosa che sorprende, è
che era già presente nei profeti (qui
l‟affermazione è stupenda) lo Spirito di Cri-
sto, se questi profeti ancora non conoscevano
Cristo, lo annunciavano come messia. Dice
che proprio lo Spirito di Cristo, non di un ge-
nerico Messia, era già presente in loro perché
questi non hanno indagato per se stessi, hanno
indagato per noi. Ed è bello che la lettera di
Pietro collega il Primo con il Nuovo Testa-
mento, e chi collega è lo Spirito di Cristo,
quindi la presenza dello Spirito
nell‟evangelizzazione.
L’annuncio è opera dello Spirito
Dice che vi hanno portato il Vangelo median-
te lo Spirito Santo mandato dal Cielo. Non
sono venuti per fare un‟opera umanitaria, non
sono venuti soltanto per fare un processo di
alfabetizzazione o di coscientizzazione…
D‟altra parte la Parola che sentiamo anche
negli Atti degli apostoli, a Pentecoste, è “rice-
verete la forza dello Spirito Santo che scende-
rà su di voi, e mi sarete testimoni”.
Solo con lo Spirito si è testimoni
Il cristiano è il luogo della memoria, e senza
lo Spirito non c‟è testimonianza; al limite pre-
sento me stesso. Questa è la novità radicale.
L‟altro punto che è bello sottolineare è che
questa salvezza garantita dalla resurrezione di
Gesù è un desiderio; questa salvezza dovreb-
be essere una brama… Il testo dice, con un
termine fortissimo, che dovrebbe essere una
concupiscenza. Il bramare questa realtà di-
pende dallo Spirito Santo. Quindi lo Spirito
Santo è il desiderio di Dio dentro di noi, è la
brama di Dio dentro di noi, è la concupiscen-
za di Dio dentro di noi. Ricordate S.Paolo
15
quando dice: colui che scruta i cuori sa quali
sono i desideri dello Spirito.
2 – Vita da rigenerati (1, 13-25)
Cap. 2: proviamo a gustarci qual è la vita da
rigenerati. Entriamo nel vero e proprio corpo
della lettera. Lo gustiamo dai versetti 13 a 25.
La cosa carina è che comincia con un perciò.
Nessuno inizia un discorso con un perciò,
quindi probabilmente presuppone tutto un
prima, quindi è un avverbio consequenziale.
Perciò, dopo aver preparato la vostra mente
all‟azione, siate vigilanti, fissate ogni speranza
in quella grazia che vi sarà data quando Gesù
Cristo si rivelerà. Come figli obbedienti, non
conformatevi ai desideri di un tempo, quando
eravate nell‟ignoranza, ma ad immagine del
Santo che vi ha chiamati, diventate santi anche
voi, in tutta la vostra condotta; poiché sta
scritto: „voi sarete santi, perché io sono san-
to’. E se pregando chiamate Padre colui che
senza riguardi personali giudica ciascuno se-
condo le sue opere, comportatevi con timore
nel tempo del vostro pellegrinaggio. Voi sape-
te che non a prezzo di cose corruttibili, come
l‟argento e l‟oro, foste liberati dalla vostra
vuota condotta ereditata dai vostri padri, ma
con il sangue prezioso di Cristo come di a-
gnello senza difetti e senza macchia. Egli fu
predestinato già prima della fondazione del
mondo [vedete che è quasi un inno cristologi-
co], ma si è manifestato negli ultimi tempi per
voi. E voi per opera sua credete in Dio [chia-
ro? Non perché avete iniziato un cammino di
ricerca], che l‟ha risuscitato dai morti e gli ha
dato gloria e così la vostra fede e la vostra spe-
ranza sono fisse in Dio. Dopo avere santificato
le vostre anime con l‟obbedienza alla verità,
per amarvi sinceramente come fratelli, amate-
vi intensamente di vero cuore, gli uni gli altri
essendo stati rigenerati non da un seme corrut-
tibile, ma immortale, cioè dalla Parola di Dio
viva ed eterna. Perché [come dice Isaia]
“tutti i mortali sono come l’erba, e ogni loro
splendore è come fiore d’erba. L’erba inaridi-
sce, i fiori cadono, ma la Parola del Signore
rimane in eterno”. E questa è la Parola del
Vangelo che vi è stato annunziato.
Un altro lavoro di aratura… Dicevo che inizia
con un perciò, e qui abbiamo quattro passi in
cui vediamo le esigenze fondamentali della
nuova vita dei battezzati. Almeno quattro pas-
si li vorrei sottolineare.
a. Cingere i fianchi della vostra mente
Il primo è questo: 1, 13 il testo esatto, come
traduzione greca, sarebbe questo: Avendo cin-
to… sapete cosa?... i fianchi della vostra men-
te. Che è molto di verso da “dopo aver prepa-
rato la mente” (… che uno può anche fare un
pisolino per preparare la mente…). Quindi,
avendo cinto i fianchi della vostra mente spe-
rate perfettamente. Il che vuol dire che li invi-
ta a prepararsi per un esodo, ad assumere
l‟atteggiamento di chi parte per un viaggio.
Ricordate nel libro dell‟Esodo quando Dio di-
ce “Cingetevi i fianchi e prendete in mano il
bastone perché bisogna partire: è la Pasqua
del Signore”. Guardate che la radice è molto
chiara: l‟alleanza è unica, anche se noi conti-
nuiamo a viverla in modo dissociato. Il che
vuol dire che il pellegrinaggio dei cristiani
sulla terra è un Esodo.
La speranza richiede sobrietà, vigilanza
e disciplina mentale
Quali sono i due segni che sono disponibili a
questo Esodo, a questo cammino? Uno è la
vigilanza, l‟altro è la sobrietà (perché a pancia
piena non credo che ti puoi mettere in viag-
gio). Ricordate il vangelo di Luca: siate pronti
con le cinture ai fianchi e le lucerne accese. Il
che vuol dire che la speranza richiede sobrietà
e vigilanza. La speranza richiede soprattutto
sapete che cosa? Una disciplina che a me (non
so a voi) sta venendo meno: una disciplina
mentale. Io la chiamo normalmente igiene
mentale. Vedete come oggi siamo diventati
altamente igienisti; è una cosa bella, ma una
cosa che mi manca molto è l‟igiene mentale,
perché nella mia capoccia ci sta dentro di tut-
to e di più… E quando in una realtà ci sta
dentro di tutto e di più… credo che la salute
sia un po‟ scarsa. Disciplina mentale che di-
venta capacità di discernimento; da una parte
senza cedere alle mode che ci piacciono tanto,
e dall‟altra un peccato tremendo come cristia-
ni, un peccato feroce: la pigrizia mentale.
b. non conformatevi, ma diventate santi
Non ho mai sentito un cristiano che mi abbia
confessato “sono mentalmente pigro”. 1, 14:
non conformatevi, ma diventate santi nel pas-
saggio dall‟ignoranza all‟obbedienza. Quindi
dice “come figli obbedienti”. Qui la traduzio-
ne non è pulita. Il termine esatto non è “figli
dell‟obbedienza” ma come “figli
nell‟obbedienza”. Anzi il termine esatto sa-
rebbe un altro: “come figli dell‟obbediente”,
16
perché l‟obbediente per eccellenza è solo Ge-
sù Cristo.
Dall’ignoranza a figli dell’obbedienza
Vedete che ritorna adagio adagio la radice;
non perché è un comportamento morale buo-
no da parte mia, come figli dell‟obbedienza o
meglio ancora “obbedienti in Cristo”, quindi
come figli dell‟obbediente. Il che vuol dire
che i cristiani sono chiamati figli
dell‟obbedienza. E qui c‟è un altro termine
molto bello: obbedienza deriva dal latino ob +
audire, e allora dovremmo essere figli
dell‟ascolto, dovremmo essere maestri di a-
scolto (tout court, basta…) di Dio e
dell‟uomo.
Ecco l‟identità del cristiano. Questo “figli
dell‟obbedienza” è una forma che viene detta
dell‟ebraismo: Quante volte sentiamo nella
Bibbia “figli di perdizione”, “figli di morte”,
“figli dell‟ira”, di luce… di pace… di prosti-
tuzione…E‟ una forma espressiva, è un ebrai-
smo. Allora come c‟è affinità tra figlio e ma-
dre, così ci dovrebbe essere un‟affinità tra i
rigenerati e l‟obbedienza. Questo dell‟ascolto
è l‟atteggiamento fondamentale della Bibbia:
l‟apertura all‟ascolto. Non per niente nel rito
battesimale, in cui c‟è la rigenerazione, il ge-
sto che il sacerdote fa sulla persona, sul bat-
tezzato, è il gesto dell‟ “effatà”, che vuol dire
“apriti”. Chiediamo che presto le orecchie e la
bocca di questo battezzato possano dischiu-
dersi per incomincia e ad ascoltare. Il che
vuol dire che gli eletti sono abilitati ad obbe-
dire a Gesù Cristo e ad essere aspersi dal suo
sangue.
Chiamata universale alla santità
Quell‟obbedienza alla fede che è avvenuta nel
battesimo. Noi abbiamo ridotto molto male
questo sacramento; ieri sera padre Jordan ci
ricordava la battuta di un vescovo che diceva:
… meno gavettoni… perché sembra che i no-
stri battesimi siano dei gavettoni: nasce uno e
gli facciamo un gavettone… Sono punti che ci
interpellano perché noi, qui dentro, siamo
“gente eletta, stirpe regale, sacerdozio santo”.
E poi dice il verbo “non conformatevi”, il
verbo greco è molto carino: skematizo, quindi
non schematizzatevi… essendo la nostra cul-
tura di matrice greca è facile comprendere.
Non schematizzatevi, perché è un problema
di mentalità, non è un problema di cose da fa-
re. La cosa dura per Gesù Cristo è cambiare la
mentalità: per lui la capoccia è il cuore e il
cuore la capoccia, perché siamo un pezzo uni-
co.
Non schematizzatevi al modo di vivere paga-
no, alla logica del mondo, perché noi cristiani
dobbiamo avere degli schemi mentali che
“hanno cinto i fianchi della loro mente”, e
hanno messo altrove la loro speranza. Qui c‟è
il testo celebre 15-16 “diventate santi anche
voi”. Ma perché dovete diventare santi? Per-
ché siete fatti del mio DNA , perché io sono
santo. Il motivo è solo questo. Non è un pro-
blema religioso, un problema morale… Noi
l‟abbiamo tradotto come problema religioso e
morale… Siate santi perché io sono santo.
Sapete che il termine ebraico di santo è ka-
dosh, che vuol dire staccato, separato, altro…
Non per niente Lui non soltanto è santo… è il
tre volte santo! Questo è il testo che avevamo
gustato nel libro del Levitico. E‟ lo stesso che
riprenderà Gesù: Siate santi come io sono san-
to. Siate perfetti come è perfetto il Padre vo-
stro che è nei cieli. Santo vuol dire una cosa,
amici… cancellate tutta la bestialità che ab-
biamo… apprezzabilissima… emotiva, devo-
zionale… di gente che si attacca alle madonne
e ai santi che fanno favori. Santo dice la di-
versità; uso un termine un po‟ impegnativo:
dice la alterità, cioè dice la trascendenza di
Dio rispetto al mondo. Dire che Dio è tra-
scendente e altro rispetto a me non vuol dire
che è lontano e se ne frega… Dio è molto
buono, altamente misericordioso, ha viscere e
budella di misericordia, è un utero… però non
dimentichiamo mai che è trascendente, che è
altro.
Quindi dovremmo coniugare il termine della
tenerezza e della misericordia con quello della
giustizia. Ma non letto in termini stupidi di
castigo; giustizia vuol dire totalmente altro…
Non è stupido… è serio; in questo senso la
sua tenerezza è seria. Che se hai la tenerezza
da uno che non capisce… da uno che non ha
la sua identità… ti chiedi che amore e che te-
nerezza sia. Provate a ritrovare in queste cate-
gorie bibliche anche la realtà del mondo in cui
ora stiamo vivendo. E la santità deve permea-
re tutta la condotta; questo è un termine che
17
troveremo tantissime volte. Vi ha chiamati…
diventate santi anche voi… in tutta la vostra
condotta. Condotta vuol dire stile di vita,
comportamento, prassi… con un termine sofi-
sticato sarebbe la dimensione etica del vivere
cristiano.
E per 7 volte, nei 105 versetti della lettera di
Pietro, troviamo il termine di condotta, di bel-
la condotta. Ricordate che una volta papà e
mamma la prima cosa che guardavano era la
buona condotta, il voto in condotta. Guardate
che sarebbe interessante cogliere questo; vor-
rei uscire da alcuni schemi di giudizio, ma ri-
cogliere in ogni momento di tempo anche sto-
rico tante verità che rischiamo di perdere, cioè
di non integrare più. Qui, amici, sul tema del-
la santità… voi sapete che il tema della gran-
de Pentecoste di questo millennio è stato il
Concilio Vaticano II, 45 anni fa; lì è stata la
grande rivoluzione del cuore all‟interno della
Chiesa in quel documento che è dogmatico, la
Lumen Gentium, nel quale la Chiesa parla di
sé, quando dice che tutti i fedeli, di qualsiasi
stato o grado sono chiamati alla pienezza del-
la vita in Cristo, cioè alla santità. Scusate: i
fedeli in Cristo non sono chiamati ad andare a
messa ogni tanto, a fare delle buone azioni, a
comportarsi bene, a non dire le parolacce…
L‟altra cosa molto importante (anche se que-
sto è un capitolo che non vi posso sviluppare)
è che il Concilio dice che non ci sono due
classi o due generi di cristiani. Stato di vita o
di perfezione (della serie, beati loro… preti,
frati, monache; della serie, diceva anche mio
papà: hanno niente da fare e questo lo posso-
no fare…). L‟identikit della santità cristiana,
così come ce lo guarda tutto il Concilio Vati-
cano II: 1) la santità non è privilegio di pochi;
è la chiamata di tutti i discepoli. 2) la chiama-
ta alla santità non è motivata dal fatto che sei
nato in Italia, da una famiglia per bene, cri-
stiano, che ti sei trovato battezzato, comunica-
to e cresimato. Non dipende dai meriti, non
dipende dalla qualità: è dono di grazia. In cui
questa chiamata poi alla santità la inizi e la ri-
scopri nel battesimo. Si tratta però di diventa-
re quello che sono; cioè non è sufficiente es-
sere cristiani, ma devo diventare cristiano,
cioè devo diventare quello che sono. E‟ una
delle espressioni che Giovanni Paolo II usava
molto parlando della famiglia e del cristiano:
famiglia diventa quello che sei… sposi diven-
tate quello che siete. Quindi non è sufficiente
essere: l‟essere è un punto di partenza, e la
grazia e la forza rimane la fruttuosità.
A cosa serve la Pastorale Familiare: a che
gli sposi diventino santi e umanizzino il
mondo
La santità è la pienezza della carità. Si è santi
perché si ama; quindi la santità è nelle situa-
zioni concrete, quotidiane. Quando pulisci il
sedere del bambino, quando pulisci il bagno o
prepari da mangiare… la santità è quando si
ama. Questo è un momento di coscienza della
nostra santità in questi giorni; ma non è santi-
tà perché si fanno delle cose religiose, perché
la santità è dentro la persona in quanto siamo
abitati dallo Spirito. La santità promuove nel-
la città terrena un tenore di vita più umano.
Non serve per andare in paradiso, perché la
Grazia è già dentro di te; ma Lui te l‟ha dona-
ta per promuovere dove vivi, dove campi, un
tenore di vita più umano. Mi spiace che non
sempre ci è dato questo. Anche se vedete che
la gente in generale ama molto quei santi che
hanno percepito e prodotto un tenore di vita
più umano. Prendete ad esempio madre Tere-
sa… Questo sarà un punto chiaro della lettera
di Pietro. Qui c‟è anche un elemento che ri-
guarda l‟identità vostra di sposi e come sposi.
Quando nella Lumen Gentium la Chiesa dice:
“I coniugi cristiani in virtù del sacramento
del matrimonio significano e partecipano il
mistero di unità e di fecondo amore che inter-
corre tra Cristo e la Chiesa, e si aiutano a vi-
cenda a raggiungere la santità nella vita co-
niugale”.
Due che si sposano, e si sposano in Gesù Cri-
sto, non sono chiamati a volersi bene… per-
ché questo te lo dice anche il sindaco, te lo di-
ce anche il macellaio (con tutto il rispetto)
cioè te lo dice ogni persona. Chi si sposa in
Gesù Cristo non sono soltanto due che si vo-
gliono bene e che stanno bene insieme, ma
sono chiamati alla pienezza della vita in Dio,
che viene chiamata santità. Ricordate qualche
anno fa quando Laura e Claudio parlavano
molto dell‟immortalità e della comunione con
Dio? Al centro chi abbiamo, purtroppo? Ci
sono sempre io, io, io… Qual è il sogno
dell‟uomo da che mondo è mondo? IO, di es-
18
sere immortale IO… Questa non è una cate-
goria biblica…
L‟immortalità non è una categoria biblica…
all‟immortalità erano già arrivati i greci con la
loro sofia e con la loro intelligenza. Non ser-
viva Gesù Cristo… Gesù Cristo mi porta
un‟altra categoria: non parla tanto della mia
immortalità, e neanche dell‟immortalità
dell‟anima, ma la comunione piena della mia
persona (non per niente noi abbiamo la resur-
rezione del corpo…), la comunione piena in
Dio e con Dio. In cui vedete che la dimensio-
ne, il soggetto, non è più IO, IO, IO… ma è la
comunione, è la relazione. Per cui sapete che
lo sposarsi in Gesù Cristo non è un diritto…
sappiamo che è una chiamata, una vocazione.
Una frase bella del Concilio, della Gaudium
et Spes, parlando della vocazione al matrimo-
nio dice: “…per la quale si richiede una virtù
fuori del comune”. Qui allora dovremmo fare
tutto quel passaggio molto bello… all‟inizio
di questo terzo millennio che abbiamo avviato
con Giovanni Paolo II… in particolare tutta la
Chiesa pone quasi con enfasi il primato della
chiamata universale alla santità.
E‟ una coscienza bella della Chiesa all‟inizio
del III millennio. Nella lettera apostolica No-
vo Millennio Ineunte (facile da tradurre: il
Nuovo Millennio che inizia) Giovanni Paolo
II dice che si tratta del cammino ordinario del
cristiano e della Chiesa. Non è che devono fa-
re qualcosa d‟altro, inventarsi altre iniziative:
questo della santità è il cammino ordinario del
cristiano e della Chiesa. E soprattutto dice:
“dare una rinnovata spinta alla pastorale”, che
dovrebbe diventare pastorale della santità.
Perché questa, già diceva l‟apostolo Paolo
nella lettera ai Tessalonicesi, è la volontà di
Dio: che siate santi, cioè la vostra santifica-
zione. Quando avete presentato vostro figlio
alla Chiesa per il Battesimo, vi è stata fatta
una domanda: cosa chiedete per vostro figlio?
Le risposte sono tante, e di solito se ne dà una
sola; uno dice: il battesimo… l‟altra (canoni-
ca, della liturgia) è “la fede”; l‟altra è “Gesù
Cristo”, perché la Fede per noi è una persona,
è Gesù Cristo. Cosa vuol dire? Vuol dire che
viene battezzato perché diventi santo, non
perché abbia soltanto una buona protezione…
abbia meno iella… Il papa chiama la santità
“misura alta della vita ordinaria”. E dice che
tutta la vita della comunità ecclesiale e delle
famiglie deve portare in questa direzione. Per
cui, amici, godiamo e rendiamo lode al Signo-
re per il cammino di 25 anni della pastorale
della famiglia.
Sapete a cosa serve l‟azione della Chiesa,
chiamata pastorale? Sapete a cosa serve ogni
pastorale? Sapete a cosa serve la pastorale
familiare? A una cosa sola, dice il Concilio:
perché gli sposi diventino santi e umanizzino
il mondo. Per il resto.. altre opere promozio-
nali le troviamo; se si vivono anche queste
sono dentro una coscienza chiara: che gli spo-
si diventino santi e umanizzino il mondo. Per
cui sarebbe importante chiederci, nel cammi-
no di 25 anni, quali sono i segni di santità
dentro il cammino della nostra pastorale.
c. comportatevi son timore nel tempo del
vostro pellegrinaggio 1, 17
Comportatevi con timore nel tempo del vostro
pellegrinaggio.
Qui ci parla di timore dopo la speranza, un
timore con la speranza. Qui Pietro vuole met-
tere in guardia da una grossa tentazione. Ami-
ci, questa è la bella notizia, ci dice Pietro.
Non siamo garantiti perché siamo figli; non
siamo garantiti perché siamo battezzati, non
siamo garantiti perché facciamo parte del po-
polo eletto… Non è una garanzia, non è una
immunità. E Gesù lo ripeterà: “Non chi dice
Signore… Signore…, ma chi fa la volontà del
Padre mio.” Quindi ricordiamo che la pater-
nità e la maternità di Dio non sopprimono la
sua giustizia e la sua trascendenza.
Timore non è paura di Dio, ma coscienza
che Dio è Altro, è Santo.
Qui c‟è un termine che troviamo parecchie
volte nella Bibbia: comportatevi con timore.
Non dice: comportatevi con paura, e non è
neanche nella psicosi che abbiamo noi, quella
del terrore. Cosa vuol dire timore? E‟ la con-
sapevolezza che Dio, il Padre nostro, è Dio.
Ecco dov‟è il timore. Non è paura, però è la
consapevolezza che è Dio. Essendo Dio non è
un idolo, non è uno fatto a mia immagine e
somiglianza; non è uno che posso usare e ma-
nipolare, che mi posso adattare e sistemare…
perché è altro… non so se è chiara la distin-
19
zione. Tenerezza e viscere di misericordia…:
non abbiate paura. Sarà un ritornello.. però ri-
cordati che è altro! Che è trascendente e non è
fatto a tua immagine e somiglianza; non è un
tuo idolo… non te lo puoi sistemare. Soprat-
tutto parla a dei cristiani… non a chi non ha
mai sentito parlare… A voi che credete ormai
di avere in mano tutto, di essere sicuri e di es-
sere garantiti. Ricordate il libro dei Proverbi
che dice: Inizio della Sapienza è Timor Domi-
ni, il timore del Signore.
Non per niente il santo timore di Dio è uno
dei doni dello Spirito Santo. Che vi ripeto non
ha niente a che fare con la paura e col terrore.
Una domanda insieme con voi: il nostro in-
contro con il volto paterno di Dio ha dentro
davvero questa coscienza della sua santità?
Perché questa coscienza che Dio fosse santo,
che il Padre fosse santo Gesù Cristo l‟aveva
molto chiara. Non è per il fatto che era fi-
glio… la coscienza della sua identità di figlio
e della sua alterità, come la coscienza
dell‟identità e dell‟alterità del Padre in Gesù
era molto chiara e netta.
Vivere il nostro pellegrinaggio (paroikìa)
come stranieri e pellegrini.
Un secondo motivo per comportarci con timo-
re è la coscienza che sto vivendo in questo
tempo però ci vivo come straniero e come
pellegrino. E parla del cammino della nostra
vita come cristiani nel tempo del vostro pelle-
grinaggio. Il termine greco da cui è uscita la
parola pellegrinaggio è paroikìa, da cui è u-
scita la nostra “parrocchia”. Allora ci saranno
due termini con cui giocheremo: uno è la oi-
kìa (la casa) e l‟altro è la para-oikìa. Guardate
che nella parola troviamo il fondamento della
nostra identità. Chi è nella paroikìa, nel pelle-
grinaggio? E colui che risiede in terra stranie-
ra.
Qual è il terzo motivo? “Ricordatevi che siete
stati riscattati a caro prezzo”. Il Padre di Gesù
Cristo non l‟ha fatta pagare a qualcuno… non
ha usato qualcuno per farla pagare… non ha
chiesto il sacrificio, come tutte le divinità, dei
primogeniti. Perché quando le divinità erano
abbastanza arrabbiatine, per tenerle buone oc-
correvano i sacrifici non soltanto delle bestie
e della natura, ma occorrevano anche sacrifici
umani. Il Padre di Gesù Cristo no, Lui ha do-
nato suo figlio. Però ricordati almeno che sei
stato liberato e riscattato a caro prezzo. Non
perdere mai questa coscienza. Ma da che cosa
e da chi sono stati liberati i cristiani? Diretta-
mente Pietro non dice: da Satana. Sapete cosa
dice? Siete stati liberati dalla vostra condotta
vuota; e torna ancora una volta il termine di
“condotta”. Vuota vuol dire fatua, inconsi-
stente, insulsa, effimera. Non siete cattivi (di-
ceva quello) siete soltanto vuoti.
d. Amatevi intensamente, di vero cuore
Vers. 22
Amatevi intensamente, di vero cuore, gli uni gli al-
tri.
Allora il segno che sei rigenerato, che la vita
nuova abita la tua famiglia e abita la comunità
è l‟amore fraterno.
Amore fraterno – in cerca dei miei fratelli:
sigillo della identità=differenza dal cristia-
no
Non per niente credo che nella lettera del no-
stro vescovo questo è il segno che troviamo.
Insieme al tema della speranza; il segno però
che la mia speranza è viva e non è una chiac-
chiera è uno solo: è l‟amore fraterno. Ricorda-
te il vangelo di Giovanni: da questo sapranno
che siete miei discepoli; se avrete amore gli
uni verso gli altri. Come deve essere questo
amore fraterno? Possiamo rileggere ancora le
espressioni del vers 22:
amatevi intensamente, di vero cuore, gli uni
gli altri, essendo stati rigenerati non da seme
corruttibile ma immortale, cioè dalla Parola
eterna di Dio viva ed eterna.
E poi, soprattutto al n. 2, abbiamo alcune ca-
tegorie:
deposta dunque ogni malizia e ogni frode e i-
pocrisia, le gelosie e ogni maldicenza, come
bambini appena nati bramate il puro latte spi-
rituale per crescere con esso verso la salvezza.
L‟amore fraterno chiede di essere senza falsi-
tà e senza ipocrisia. Deve essere di cuore, di
vero cuore, di un cuore puro. Parla di amore
reciproco, in termini tra uomo e donna di a-
more sponsale, parla di intensità… non per
niente credo che sia indicativo: la prima lette-
ra enciclica che ci ha donato Benedetto XVI è
20
“Deus caritas est”, nella cui prima parte c‟è
Deus come caritas; nella seconda parte, molto
più lunga, parla dell‟esercizio dell‟amore da
parte della comunità cristiana come comunità
di amore.
Il segno, allora, di questa identità e differenza
è l‟amore fraterno, è la capacità di fraternità.
Il termine greco che troviamo negli Atti degli
Apostoli è la capacità di koinonìa. Ricordate
la vicenda della prima comunità cristiana, ne-
gli atti degli Apostoli: avevano tutto in comu-
ne, nessuno diceva “questo è mio”. Il che vuol
dire che la vostra casa e le nostre chiese do-
vrebbero diventare luoghi di esercizio di fra-
ternità.
3 – Grazia e responsabilità di crescere co-
me pietre vive (2, 1-10)
Cap 2, 4
Stringendovi a lui [cioè a Cristo], pietra viva,
rigettata dagli uomini ma scelta e preziosa da-
vanti a Dio, anche voi venite impiegati come
pietre vive per la costruzione di un edificio
spirituale, per un sacerdozio santo, per offrire
sacrifici spirituali graditi a Dio, per mezzo di
Gesù Cristo. Si legge infatti nella Scrittura:
“Ecco io pongo in Sion una pietra angolare
scelta, preziosa, e chi crede in essa non reste-
rà confuso”. Onore dunque a voi che credete;
ma per gli increduli “la pietra che i costruttori
hanno scartato è diventata la pietra angolare,
sasso d‟inciampo e pietra di scandalo”.
2,1: deposta dunque ogni malizia.
Qui la traduzione non è pulita; la versione e-
satta sarebbe “deposto il vestito della mali-
zia”, perché si parla di vestito, di abito. Non si
parla di una cosa che mi è capitata; abito vuol
dire che è mentalità, costume, facile da senti-
re. Ricordando che l‟abito è il segno della di-
gnità, e quando non è segno della dignità può
diventare segno di altra mentalità.
Brano ecclesiologico più importante del NT
Qui troviamo il brano cosiddetto ecclesiologi-
co, più importante di tutto il Nuovo Testa-
mento. Proviamo a rileggere, visto che è an-
che un‟omelia battesimale, l‟abito battesima-
le, che è l‟abito nuziale, l‟abito bianco. Pur-
troppo quando c‟è la consegna della veste
bianca… viene fatta in fretta… poi viene pie-
gata e messa in un cassetto… Ormai i nostri
simboli non dicono più niente… Alla faccia
della prima comunità cristiana, dove il batte-
simo era nella notte di Pasqua,
s‟immergevano tutti e venivano rivestiti, co-
me l‟uomo nuovo, con l‟abito bianco. Non per
niente stavano vestiti almeno una settimana…
Provate a pensare se tutti quelli che si battez-
zano, almeno adulti, viaggiassero per una set-
timana vestiti con l‟abito bianco… E c‟era la
domenica dopo la Pasqua, domenica cosiddet-
ta In Albis, perché toglievano l‟abito bianco e
ritornavano nella storia e nella vita comune.
E‟ il simbolo delle resurrezione… e la lettera
di Pietro continua dicendo: deponete l‟uomo
vecchio con la sua condotta di prima. Rinno-
vate la vostra mentalità, schematizzatevi in un
modo diverso per rivestirvi (lo dirà anche
S.Paolo) dell‟uomo nuovo creato secondo Dio
nella giustizia e nella vera santità. E allora di-
ce: dopo aver cinto i fianchi della mente e
della capoccia rivestite l‟uomo nuovo. Dice:
bramate il latte… quindi dal “deporre” al
“bramare”… non è sufficiente nascere, es-
sermi trovato battezzato, ma bisogna crescere
personalmente, come si cresce bramando un
latte genuino.
Vedete che accanto al latte c‟è il termine “spi-
rituale”, che non dice niente. Il termine esatto
greco è loghikos, la radice è logos, quindi lat-
te puro della Parola. Ecco il latte da bramare.
E continuamente, mediante questo latte genu-
ino della Parola… da una parte a livello per-
sonale e dall‟altra a livello comunitario… la-
sciandovi impiegare da Dio come pietre vive.
Comunità non ecclesìa=chiesa, ma oi-
kìa=casa… abitata dallo Spirito
Qui ritorna il tema della Chiesa e
dell‟ecclesiologia che darà a ognuno di noi
l‟essere una pietra viva come Cristo è una pie-
tra viva. Nella coscienza che è Dio che co-
struisce. Nella coscienza che anche a casa vo-
stra responsabili siete voi… ma voi siete pie-
tre e a casa vostra ogni membro della chiesa
domestica è una pietra viva, perché chi co-
struisce è Lui. Dice: stingendovi (cioè avvici-
nandovi sempre di più) a Cristo pietra viva
per costruire su di lui un edificio, una casa a-
bitata dallo Spirito.
21
Vi dicevo che questo è il testo di ecclesiologia
più bello del Nuovo Testamento. Eppure la 1
Pt non usa mai il termine di ecclesìa per indi-
care Chiesa. Guardate che è indicativo: usa
solo il termine di oikìa, cioè di casa. Provate a
pensare come nella storia della Chiesa ci sia-
mo staccati dalla Parola. Guardate che è fon-
damentale, e guardate che quando la Chiesa
come il cristiano si stacca dalla Parola co-
struisce i suoi schemi, costruisce altro. Quindi
la chiama casa, oikìa, casa spirituale, perché
preferisce il linguaggio più esistenziale rispet-
to a quello istituzionale.
Cristiani come Cristo “pietre vive”
Un‟altra nota non tanto curiosa: sapete che
Pietro è Petrus in greco, e introduce il termine
di pietra; però introduce il termine di pietra
non tanto per parlare di kefa: ricordate quando
Gesù cambia il nome a Simone: tu sarai kefa,
pietra, però non usa questo per parlare di lui,
della sua autorità petrina, ma per parlare di
Cristo e dei cristiani. Riuscite a cogliere la
profonda umiltà, la coscienza di comunione:
non usa quel termine per indicare “chi sono
io” (guardate che il vescovo sono io e il papa
sono io… il prete sono io… il parroco sono
io…). Usa il termine di kefa per parlare della
pietra viva che è Cristo e della pietra viva che
è ogni cristiano.
Cristiani: stirpe eletta, sacerdozio regale,
gente santa, popolo acquistato da Dio
E allora i cristiani sono impiegati per la co-
struzione di una casa spirituale, ma è lo Spiri-
to che la rende compatta (2, 5). Viene impie-
gato per un sacerdozio santo, cioè per un cor-
po sacerdotale. L‟Apocalisse dirà che Cristo
ha fatto di noi un regno e dei sacerdoti per
Dio suo Padre. Il terzo motivo è per offrire
sacrifici spirituali, e allora domineddio non
vuole più le pecore, i capri, i giovenchi, i to-
ri… vuole sacrifici spirituali. Non vuole più
neanche gli agnelli (poverini!) perché i cri-
stiani sono chiamati a offrire se stessi. E‟
chiaro il nuovo? E‟ chiaro ciò che è differen-
te? La cultura, la religione e le religioni?
Risentiamo molto l‟incontro di Gesù con la
samaritana nel Vangelo di Giovanni: “E’
giunta l’ora, credimi, donna, in cui i veri ado-
ratori adoreranno il Padre in Spirito e Veri-
tà”. La comunità cristiana è un popolo sacer-
dotale. Ricordo un‟espressione molto forte di
40 anni fa, ripetuta da Carlo Carretto o Arturo
Paoli: La Parola di Dio dice che noi siamo un
popolo sacerdotale; non dice che siamo do-
minati dal sacerdote… Credo che sia
un‟osservazione molto acuta… Usciamo dal
discorso di una polemica, però credo che sia
importante ritrovare e riscoprire. Siamo popo-
lo sacerdotale e popolo regale.
Costruire la comunità
come casa di comunione
Vers 9
Loro [quelli che non credono] inciampano
perché non credono alla Parola; a questo sono
stati destinati.
Il che vuol dire che chi non crede nella Parola
(e per noi la Parola è Qualcuno, il Verbo è
Lui) oltre che essere scandalo, inciampano…
E aggiunge:
Voi siete la stirpe eletta, il sacerdozio regale,
la nazione santa, il popolo che Dio si è acqui-
stato perché proclami le opere meravigliose di
Lui che vi ha chiamato dalle tenebre alla sua
mirabile luce; voi che un tempo eravate non
popolo, ora invece siete il popolo di Dio; voi
un tempo [maledetti, bastardi] esclusi dalla
misericordia, ora invece avete ottenuto miseri-
cordia.
E‟ difficile commentare… sarebbe bello non
commentare… La coscienza: ogni volta che
vi ritrovate almeno in due… almeno tra mari-
to e moglie... perché siete sacramento… vi
trovate in tre o quattro in famiglia… ancora
prima di arrivare in parrocchia… non perdete
la coscienza che qui e ora noi siamo stirpe e-
letta, sacerdozio regale, gente santa, popolo
che Dio si è acquistato.
Ministero profetico-sacerdotale-regale del
cristiano, degli sposi-sacramento, della
Chiesa
E‟ difficile… è difficile perché anche a noi
mancano dei segni… purtroppo i segni ce li
hanno soltanto i preti. Domani durante
l‟Eucaristia… abbiamo pensato una cosa…
per vivere la dignità. Non è un problema di
rivendicazione di diritti all‟interno della Chie-
sa… Domani durante l‟Eucaristia, nel mo-
mento in cui rinnoveremo le promesse del
battesimo ci ritroveremo rigenerati, consegne-
22
rò ad ognuno di voi una stola, e ve la terrete
indosso per tutta l‟Eucaristia. Perché guardate
che quando uno mette addosso un abito…
scusate, c‟è la sensazione che all‟interno della
Chiesa soltanto chi si mette addosso un cami-
ce sia qualcuno… Credo che possa essere im-
portante… non lo facciamo per una coreogra-
fia ma, almeno un attimo nella vita, per ritro-
vare coscienza. Quella che è il motivo della
lettera di Pietro.
Per chi di voi è presente in coppia ci sarà
un‟unica stola per tutti e due, per ricordare
che insieme, in coppia e come coppia, e non
solo come cristiani, siete stirpe eletta e sacer-
dozio regale. La coscienza proprio del sacer-
dozio, e credo che questo sia stato il grande
dono che con fatica sta venendo avanti, ed era
stata la grande rivoluzione della Pentecoste
del Concilio Vaticano II. E voi sapete, visto
che molti di voi hanno messo su casa, una
pietra anche se bella e preziosa non fa una ca-
sa; però una pietra è preziosa e bella e intelli-
gente quando è capace di fare casa, se no non
serve proprio a niente… Quante volte stiamo
dicendo in questi anni che la famiglia è chia-
mata a insegnare… alla parrocchia… alla
Chiesa… insegnare proprio ad essere casa, a
fare casa… Non per cattiveria, ma perché non
è abituata. Adesso la Chiesa tenta (siamo an-
che nel giorno bello dell‟incontro del Papa
con le famiglie) ogni tanto a “mettere su ca-
sa”, a “mettere su famiglia”, però fa un tanti-
no fatica, forse perché non ha imparato ad a-
scoltare proprio dalla famiglia e dagli sposi
come si fa casa e come si costruisce casa.
Quindi è stupendo questo scambio di doni,
questa comunione di ministeri all‟interno del-
la Chiesa. Questa era una cosa grossa che a-
veva scoperto Lutero, addirittura fino al punto
di negare (Lutero) il sacerdozio ministeriale:
diceva che era sufficiente il sacerdozio di tutti
i battezzati. Però quel sacerdozio di tutti i bat-
tezzati il Concilio Vaticano II lo riafferma. Vi
leggo un boccone della Lumen Gentium: Cri-
sto Signore, Pontefice assunto di mezzo agli
uomini, fece del nuovo popolo un regno e dei
sacerdoti per Dio suo Padre. Infatti per la ri-
generazione e l’unzione dello Spirito Santo i
battezzati sono consacrati a formare una casa
spirituale e un sacerdozio santo. Quindi tutti i
discepoli di Cristo perseverando nella pre-
ghiera e lodando insieme il Signore offrono se
stessi come vittima bella, spirituale, pura,
gradevole, gradita a Dio. E si è chiamati a te-
stimoniare con una condotta bella. E sarà la
mia condotta bella, la mia vita bella, ad essere
segno di questa dignità e di questa coscienza.
In questi giorno ho ritrovato un incontro fatto
tanti anni fa (siamo nel 75) con una dichiara-
zione molto bella (erano insieme anglicani e
cattolici) sulla finalità della Chiesa. Sono belli
questa comunione e questi documenti comuni.
Ad un certo punto dicono che la prima cosa
che la Chiesa dovrebbe attualmente promuo-
vere è la proclamazione dl Vangelo. In origi-
ne il Vangelo non consisteva soltanto in un
messaggio predicato, ma in una vita vissuta;
ed è per questa ragione che la nostra procla-
mazione odierna deve comportare non sem-
plicemente una proclamazione di parole, ma
anche una testimonianza fatta di opere. Che
poi un documento molto più recente dei ve-
scovi (“predicare il Vangelo in un mondo che
cambia”) dice: Il Vangelo è il dono più gran-
de di cui dispongono i cristiani, per cui essi
devono condividerlo con tutti gli uomini e con
tutte le donne che sono alla ricerca di ragioni
per vivere e di una pienezza della vita.
4 – Vita da cristiani, vita da stranieri e pel-
legrini
2, 11 Carissimi [il termine greco è agapetòi, da cui
agape. Ci sono 3 termini greci: uno è eros,
che è il desiderio, la brama; l’altro è la filìa
che è un amore bello di cordialità e di amici-
zia; e l’altro è la pienezza che non è più solo
quello che io posso vivere soltanto nella reci-
procità, ma nella totale gratuità, nell’agape.
Dio è amore], io vi esorto come stranieri e
pellegrini ad astenervi dai desideri della carne
che fanno guerra all‟anima. La vostra condotta
tra i pagani sia irreprensibile perché mentre vi
calunniano come malfattori al vedere le vostre
buone opere [il termine esatto non è buone ma
belle] giungano a glorificare Dio nel giorno
del giudizio.
La vita dei cristiani è una vita da pellegrini e
da stranieri. Innanzitutto i credenti sono tali
perché sono amati da Dio. Quindi l‟uomo è
salvato non tanto perché ama e quando ama,
ma è salvato in quanto è amato. E lui crede in
questo amore (nell‟agendina di quest‟anno
23
avevo notato che se la fede è credere in Dio,
la speranza è credere che Dio crede in me…)
e allora spero perché credo… finché c‟è fede
c‟è speranza.
Identikit del cristiano nel mondo e nella
storia: straniero e pellegrino.
Amati da Dio, ma naturalmente amati anche
da Pietro [carissimi… amatissimi…] e allora
qui, amici, abbiamo quell‟altro gioiello della
lettera di Pietro… come dire: l‟identikit del
cristiano nella storia e nel mondo. Qual è
l‟identikit? Che ti piaccia o meno, sei stranie-
ro e pellegrino…. Sono pellegrino e straniero.
Ricordate che prima abbiamo visto “nel tem-
po del vostro pellegrinaggio”… ricordate i
destinatari di questa lettera: “agli eletti, pelle-
grini e stranieri…”, forestieri nella diaspora.
Termine greco: forestiero è parapìdemos,
mentre pellegrino è paroikòs. Paroikòs vuol
dire colui che ti abita accanto, come dire un
residente di passaggio. Qui dovremmo risco-
prire tutte le figure bibliche. Guardate Abra-
mo in Genesi: lui risiede di passaggio ed è
straniero. E quando deve seppellire la sua
sposa chiede: io sono straniero… io non ho
diritto neanche al cimitero… e chiede se po-
teva avere un pezzo di terra per seppellire la
sua sposa. L‟espressione bella del salmo 39
dice “io sono straniero e forestiero, come tutti
i miei padri”. Ricordate anche il grido stupen-
do che abbiamo fatto nell‟anno del Giubileo:
“Voi siete presso di me, dice Dio, ospiti!”.
Dice: questa terra è mia, e voi siete presso di
me, ospiti! Il termine esatto vuol dire: ospitati
da me che sono l‟ospitante. Sapete che nella
cultura biblica l‟ospite è sacro… non si toc-
ca… e all‟ospite devi tutto… e l‟ospite ha tut-
ti i diritti: di usare e di vivere le tue cose, le
tue persone, le tue relazioni. Però a un solo
patto: le devi vivere da ospite. Puoi godere di
tutto… però occhio: non diventare mai padro-
ne. Questo è l‟identikit. Dice: questa terra è
mia, tu vivila, godila, assaporala, gioiscine…
ma occhio: non diventare mai padrone. Non
tanto per me, ma semplicemente per te… Per-
ché è sufficiente che di questo libretto io dica
“mio” e vi ho fregati tutti. E col “mio” è finita
l‟umanità, è finita anche la divinità…
Stranieri perché eletti,
la loro cittadinanza è nei cieli
Riprenderemo il tema dell‟ospitalità anche nel
rapporto uomo-donna, perché tante volte rie-
sci ad essere accogliente con l‟estraneo, con
l‟esterno, ma hai molta difficoltà con il “tuo”
perché non è facile ospitare “dentro”… non
soltanto è ospitare come spazio. Ospitare den-
tro vuol dire tutto ciò che per me nella vita è
intimità… Sarebbe bello che di ogni realtà
che noi viviamo di persone, di situazioni, di
realtà… poter dire: vivine, godine… perché
Lui te l‟ha dato perché ne potessi vivere; però
cerca di avere una grossa attenzione: non dire
mai “mio”, non diventare mai padrone. “Voi
siete presso di me ospiti, ospitati da me… voi
siete gli ospitati”. I cristiani sono stranieri…
stiamo molto attenti… non perché considera-
no il mondo cattivo (“noi siamo i bravi e que-
sta è una schifezza”); non, non è questo. Non
perché considerano il mondo cattivo, non per-
ché si separano dal mondo con disprezzo…
no, non è questa la parola di Pietro. Neanche
perché il mondo ti ripudia, anzi vedremo che
di fronte a tutto questo Pietro dice: non scap-
pare! Sarà il leone… io non ho mai visto un
leone libero dietro di me… di fronte a un a-
nimale che fa paura la tentazione è quella di
scappare… No, lui dice no: resistete! Questa
sarà la posizione nuova, la vita differente, il
modo altro di essere nel mondo, nella vita di
tutti e nelle tentazioni di tutti.
Allora i cristiani sono stranieri non per tutto
questo, ma in quanto sono scelti, sono eletti.
In quanto come scelti ed eletti sono stati sot-
tratti al mondo. Il che vuol dire che i cristiani
di per sé, nel mondo e sulla faccia della terra
non hanno una cittadinanza, perché la loro cit-
tadinanza, cioè il loro stile di vita è nei cieli.
Qui ritroviamo la lettera ai Filippesi: “La no-
stra patria è nei cieli. Di là aspettiamo come
salvatore il Signore nostro Gesù Cristo che
trasfigurerà il nostro misero corpo per con-
formarlo al suo corpo glorioso”. Ricordate la
celebre lettera agli Ebrei che riprende questo
punto di vista. Dice “nella fede morirono i
vostri padri, senza avere ottenuto i beni pro-
messi [ricordate cos‟erano i beni promessi?
Alla terra promessa non è mai arrivato nessu-
no…] Li videro e li salutarono da lontano di-
chiarando di essere stranieri e pellegrini sul-
la terra”.
Come stare nel mondo
24
senza essere del mondo
Vedete che questi termini per la gente che li
ascolta è pane, è cultura, è mentalità perché
hanno un mondo biblico; a noi sembra una
novità. Le comunità di quelli che si erano
convertiti, per la maggior parte provenivano
dall‟ebraismo o dai giudaismo; erano giudei,
non tutti erano pagani, il che vuol dire che la
matrice era molto chiara. Quindi vivere da
stranieri e da pellegrini significa non perdere
mai di vista l‟éskaton, la dimensione escato-
logica, il fine: la nostra patria è nei cieli. Vi
ho fotocopiato la bellissima lettera a Diogne-
to. Come vivevano i cristiani del II secolo. E‟
un libro molto bello, e vorrei gustarne con voi
solo due bocconi, il cap. 4, 6 , il 5 e il 6. E‟
molto incisivo, chiaro, lapidario, senza mezzi
termini, non ha bisogno di commento. Il para-
dosso cristiano:
Che i cristiani, con ragione, si tengono lontani dalla leg-gerezza, dall’inganno comune, dallo zelo non appropria-to, e dalla vanteria dei giudei, credo che tu l’abbia ap-preso a sufficienza ma il mistero del loro rapporto con Dio, non attenderti di poterlo apprendere da un uomo. I cristiani, infatti, ne’ per paese, ne’ per lingua, ne’ per veste si distinguono dagli altri uomini. Ne’ in qualche parte abitano in città loro esclusive, ne’ parlano una lin-
gua diversa da quella degli altri, ne’ conducono una vita che sia fuori dalla norma. E, certo, la loro dottrina non è stata elaborata dalla mente fantasiosa di faccendieri smaniosi di indagare, ne’ si fanno campioni, a differen-za di altri, di un sistema filosofico umano. Ma, pur abi-tando città greche o barbare, così come a ciascuno è toccato in sorte, pur uniformandosi ai costumi del luogo nell’abito, nel mangiare e nella maniera di vivere, danno prova di un modo meraviglioso e, come tutti convengo-no, paradossale di essere cristiani. [quindi il discorso è del paradosso e della differenza]. Abitano ciascuno la propria patria, ma come stranieri; partecipano a tutto come cittadini [non è che se ne lavano le mani], e si adattano a tutto come stranieri. Ogni terra straniera è, per loro, patria, e ogni patria è, per loro, terra stranie-
ra. Come tutti, si sposano e generano figli; ma non get-tano via i loro bambini. Hanno una mensa in comune, ma non pubblica. Vivono nella carne, ma non secondo la carne. Dimorano sulla terra ma la loro città è in cielo. Ubbidiscono alle leggi stabilite [ossia pagano le tasse… non fanno i furbi], ma con la loro vita si spingono ben oltre la legge. Amano tutti, e da tutti sono perseguitati. Non sono conosciuti, ma sono condannati. Sono con-dotti alla morte e ne ricevono la vita. Sono poveri, ma arricchiscono molti. Sono privi di tutto, e di tutto ab-bondano. Sono disprezzati, ma dal disprezzo ricevono gloria. Sono calunniati ma sono giustificati. Sono insul-tati e benedicono, subiscono violenze e rendono onore. Pur facendo del bene, sono puniti come se fossero mal-
vagi. Condannati, si rallegrano perché ne ricevono la vita. Dai giudei sono combattuti come stranieri; dai gre-ci sono perseguitati, ma chi li odia non sa dirne il per-ché.
Guardate che è molto forte, e sentite riecheg-
giare tutta la lettera di Pietro, anche perché il
momento è questo. L‟altra cosa bella… credo
che valga in ogni tempo, l‟anima del mondo:
Per dirla in breve, ciò che nel corpo è l’anima, i cristiani lo sono per il mondo. L’anima è diffusa in tutte le mem-bra del corpo, i cristiani in tutte le città del mondo. L’anima abita nel corpo, ma non è del corpo; i cristiani abitano nel mondo, ma non sono del mondo [ricordate l’espressione grande di Gesù: “Dovete essere nel mon-do senza essere del mondo”. Il segreto è come vivere nel sistema senza essere del sistema, di qualunque si-stema: sociale, ecclesiastico, politico, economico… Cre-do che i punti ormai sono molto netti.] L’anima invisibile è prigioniera del corpo visibile. I cristiani sono visibili nel mondo, ma la loro pietà religiosa è invisibile. La carne pur non avendone ricevuto ingiustizia, odia e fa guerra all’anima, perché non le permette di abbandonarsi ai piaceri. Il mondo, pur non avendone ricevuto ingiusti-zia, odia i cristiani perché si schierano contro i piaceri. L’anima ama la carne, che la odia, e le membra; i cri-stiani amano chi li odia. L’anima è richiusa nel corpo, ma lo tiene unito, sostenendolo; i cristiani sono tratte-nuti nel mondo come in una prigione, ma tengono unito il mondo, sostenendolo. Immortale, l’anima dimora in una tenda mortale. I cristiani soggiornano in mezzo a cose corruttibili, in attesa di ricevere l’incorruttibilità ce-leste. Vessata dalla fame e dalla sete, l’anima migliora; i cristiani, condannati, aumentano ogni giorno. Dio ha loro assegnato un compito così grande che non è loro lecito sottrarsi.
Siamo oikìa = casa e paroikìa = fuori casa,
gente in cammino verso la pienezza della
vita
La lettera è molto lunga, però il cuore centra-
le, il passaggio che ho staccato è questo. E al-
lora, più che terminando, ripartendo da questa
Parola si tratta di mettere in atto quel delica-
tissimo movimento indicato da Gesù: stare nel
mondo senza essere del mondo. Quindi la vita
cristiana, l‟essere nel mondo, è paroikìa, è
pellegrinaggio, è residenza in terra straniera.
Per cui vi ripeto che la Chiesa è una oikìa, una
casa, però oltre che essere casa la Chiesa è
anche paroikìa (che vuol dire “essere fuori
casa”). E‟ il paradosso: noi siamo in casa però
siamo fuori casa, cioè siamo in cammino, in
marcia verso la pienezza della vita e della glo-
ria.
Allora l‟esistenza della Chiesa è quella di un
popolo che dimora in terra straniera, lontano
dalla propria casa, a ridosso della casa degli
altri. La Chiesa è pellegrina sulla terra, ripete-
rà ancora S.Paolo; la sua cittadinanza sta sol-
tanto nei cieli dove i cristiani non saranno più
ne‟ stranieri, ne‟ forestieri ne‟ pellegrini, ma
25
finalmente saremo concittadini dei santi e fa-
miliari di Dio. Vedete che adesso ritroviamo
il senso di tutta la Parola. Quindi non si tratta
di evadere dalla storia, di non interessarsi del-
la città terrena, della polis e della politica e
dell‟amministrazione, ma di rompere invece
con la mondanità, cioè con le potenze di que-
sto mondo.
Ricordate Laura e Claudio che hanno fatto
quel libro molto bello sulle multi-nazionali
del cuore, che sono tutti i vizi capitali. Queste
sono le potenze del mondo, che non sono fuo-
ri di noi, ma sono dentro di me. Questo tem-
po, che è il tempo della mia paroikìa, del mio
pellegrinaggio, è un esodo, è il passaggio da
questo mondo al Padre. Il che allora vuol dire
che la Chiesa è comunità di uomini e di donne
che abitano la compagnia di altri uomini, però
nello stesso tempo hanno la coscienza di esse-
re pellegrini e stranieri.
La Chiesa e la Famiglia è “in via”, non “in
patria”… noi siamo di chi ci aspetta
Allora qual è la meta della Chiesa? Ne‟ più
ne‟ meno che la meta della famiglia: sia la
Chiesa che la famiglia è pellegrina verso la
Patria. Il termine bello che amavano anche gli
antichi è Ecclesia viatorum, la Chiesa di pel-
legrini, di viandanti. Di qui il termine molto
bello, che ad alcuni di noi non piace, di pelle-
grinaggio… però sarebbe bello ogni tanto fare
proprio l‟esperienza del camminare come pel-
legrinaggio, per vivere proprio da qualunque
punto di vista questa coscienza bella. Avete
visto che stanno vivendo la cosiddetta via
Francigena che parte dalla Val di Susa e arri-
va fino a Roma. Sono passati anche da Alba-
no domenica l‟altra… erano un migliaio…
Esternamente potremmo dire che hanno buon
tempo… se volete questo buon tempo rega-
liamocelo se questo ci permette di vivere fisi-
camente la nostra coscienza di pellegrino e di
straniero.
Noi siamo nel cosiddetto frattempo; io sto vi-
vendo il tempo che sta tra la prima venuta del
Cristo e l‟altra venuta… dentro c‟è la mia vita
nel “frattempo”. Uso termini che ormai sono
diventati molto di moda… è una teologia bel-
la, dei primi anni subito dopo il Concilio: vivo
un “già”, perché Lui è risorto, vivo un “non
ancora” perché sono in attesa del suo ritorno.
Non per niente noi celebriamo ogni evento e
diciamo “Annunciamo la tua morte, procla-
miamo la tua resurrezione… nell‟attesa….”.
Vedete che in tutto il linguaggio della Chiesa
permanentemente c‟è il richiamo al nostro
cammino verso la Casa. Mi è sempre piaciuto
molto quel testo del Manzoni, la scena in cui
Renzo e Lucia riescono a sposarsi dopo tutte
le peripezie e traversie, persecuzioni, opposi-
zioni… fra Cristoforo sta morendo e li saluta
con queste parole: “tornate con sicurezza e
con pace ai pensieri di una volta, seguì a dir-
le [a Lucia] il cappuccino, chiedete di nuovo
al Signore le grazie che gli chiedevate per es-
sere una moglie santa. E confidate che ve le
concederà più abbondanti dopo tanti guai. E
tu, disse, voltandosi a Renzo, ricordati figliolo
che se la Chiesa ti rende questa compagna
non lo fa per procurarti una consolazione
temporale e mondana, la quale se anche po-
tesse essere intera e senza mistura d’alcun di-
spiacere dovrebbe finire in un gran dolore al
momento di lasciarvi, ma lo fa per avviarvi
tutti e due sulla strada della consolazione che
non avrà fine. Amatevi come compagni di vi-
aggio. Con questo pensiero devo lasciarvi,
con la speranza di ritrovarvi per sempre.
Ringraziate il Cielo che vi ha condotti in que-
sto stato non per mezzo di allegrezze e turbo-
lenze passeggere ma con travagli e tra le mi-
serie per disporvi un’allegrezza raccolta e
tranquilla. E se Dio vi concede figlioli, abbia-
te in mira di allevarli per Lui, d’instillare il
loro l’amore di Lui e di tutti gli uomini. E al-
lora li guiderete bene in tutto il resto”.
La Chiesa come la famiglia, amici, non è la
vetta: è il campo base. Solo che occorre più
tempo per costruire il campo base rispetto alla
scalata. Il campo base non è per camparci… è
per la scalata. O se vi piace l‟immagine di Gi-
bran: la Chiesa e la famiglia non è l‟ancora, è
l‟albero della nave. La Chiesa, ci ricorda il
Concilio, non è domina, signora, è serva. La
chiesa non è il Regno, è soltanto l‟inizio del
Regno. Il nostro vescovo Dante amava ripete-
re l‟espressione di un padre della Chiesa (che
non ricordo mai chi è), che dice che Gesù Cri-
sto non ha portato la Chiesa, ha portato il Re-
gno di Dio… e si è trovato la Chiesa… I padri
della Chiesa avevano una sapienza che può
venire soltanto dalla Parola. Un‟espressione
di Gigi, l‟amico di Bergamo, dice: l‟essere
26
mortale è un punto di partenza; noi siamo di
chi ci aspetta. Chiudendo, faccio una doman-
da per me. Mi chiedo: Carlino, credi alla vita
eterna? Credi ancora alla vita eterna? I cri-
stiani non sono quelli che attraverso la fede
nella resurrezione hanno meno paura della
morte? Io non dico di non averla, però dico di
avere meno paura della morte… Un modo per
combattere la paura della morte, ce lo dice la
Parola di Dio, è di vivere la vita da pellegrini
e da stranieri. Di non adeguarsi mai
all‟arroganza della vita che domina questo
mondo. La parola bella della prima lettera di
Giovanni: “Non amate il mondo e quello che
è del mondo. Se uno ama la mondanità
l’amore del Padre non è in lui, perché tutto
ciò che è mondano, il desiderio, la carne, la
pretesa degli occhi, l’arroganza della vita…
non viene dal Padre. Viene solo dal mondo.
Ora il mondo passa, e con lui i desideri, ma
chi fa la volontà di Dio rimane per sempre”.
Il cristiano non è per l’altra vita, ma per
una vita altra, differente.
Che veramente lo Spirito di Dio doni a me,
doni al cuore di ognuno di voi, doni al cuore
dei vostri familiari, di quelli che sono la no-
stra paroikìa, di quelli che sono viandanti,
pellegrini, stranieri come noi, questa mentali-
tà, questa mente di essere dei viandanti. Di
qui nasce la differenza cristiana. Mi sono
permesso di mettere un titolo a questo; lo
prendo da Enzo Bianchi, priore di Bose: Il
cristiano non è tanto per l‟altra vita (non per
niente noi abbiamo allevato la gente per
l‟altra vita), no, il cristiano è qui e ora, perché
la vita eterna per noi è già iniziata, non è un
“dopo”; però il cristiano è per una vita “altra”,
cioè differente… perché la mia vita o è diffe-
rente, altra (cioè con un‟identità)… oppure è
una vita in-differente. Vedremo che per que-
sto, per il cristiano sarà una vita bella.
“Coeredi della grazia della vita” ( 3,7)
Terza lettura biblica e terza riflessione
LA VITA DA CRISTIANI E’ UNA VITA
BELLA. LIBERI E SERVI TRA MARITO
E MOGLIE E NELLA SOCIETA’ (2, 11 – 4, 11)
Carissimi, io vi esorto come stranieri e pelle-
grini ad astenervi dai desideri della carne che
fanno guerra all‟anima. La vostra condotta tra
i pagani sia irreprensibile, perché mentre vi
calunniano come malfattori, al vedere le vo-
stre opere buone [anzi, sarebbe le vostre opere
belle] giungano a glorificare Dio nel giorno
del giudizio.
1 - Il fascino di una bella condotta (2, 11-13)
L‟impegno ad essere e a restare stranieri
comporta un aspetto positivo: il fascino di una
bella condotta (quante volte ritorna ormai
questo termine nella lettera di Pietro). Abbiate
in mezzo ai pagani una condotta bella. Non
dice agathòs, che in greco vuol dire buono;
dice kalòs, che vuol dire bello. Anche nella
celebre dizione del Buon Pastore, il termine
greco non è agathòs, ma è kalòs. Anzi, sareb-
be bello e buono. Se i cristiani rompono con il
mondo, i cristiani sono chiamati a vivere in un
modo bello, attraente, affascinante. Pensate a
quante e a come crescono le cosiddette sette
religiose. Crescono perché hanno una realtà
bella, affascinante, attraente. Punto. Non è
tanto perché hanno dentro un contenuto… no!
All‟inizio lo slancio è nel contatto, perché vi-
vono, propongono, entrano in contatto in un
modo bello e affascinante e attraente.
La vita dei cristiani è una vita bella, buona,
beata. Una vita differente nella in-
differenza del mondo
E la vita dei cristiani è una vita bella, buona, e
poi noi abbiamo l‟altro termine: è una vita be-
ata. Praticamente come la vita di Gesù. Le
opere dei cristiani devono essere opere belle.
Nella notte di Natale c‟è la seconda lettura
(lettera a Tito) in cui si legge “è avvenuta la
manifestazione, l’epifania della Grazia di Dio
a insegnarci a vivere in questo mondo”. Gesù
non è venuto soltanto a salvarci, ma è venuto
ad insegnarci a vivere in questo mondo. Non è
che ha fatto anche lui il gesto buono e merito-
rio… no, è venuto ad insegnarci a vivere in
27
questo mondo. A far vedere, a mostrare la ve-
ra vita umana.
Gesù ci insegna a vivere la vita come
un’opera d’arte.
E‟ venuto a far vedere come si vive una vita
che sia un‟opera d‟arte, cioè un capolavoro.
Punto. A noi poche volte hanno annunciato e
fatto sentire tutto questo. Provate a pensare
quante preoccupazioni noi abbiamo, e a quan-
to poco ci hanno fatto vedere che veramente
la vita cristiana è bella. Se tu cerchi il Regno
di Dio, e lo vedremo, vivrai una vita da Dio;
vivrai libero come uomo e come donna, avrai
una vita piena. Gesù non è venuto a propa-
gandare un‟avventura o una religione o
un‟ideologia… Dio non ha creato una religio-
ne; Dio ha creato l‟uomo.
La vita cristiana è contestata. Al tempo dei
nostri fratelli della prima generazione dopo
gli apostoli, più o meno come da noi, è conte-
stata perché è una vita differente. E come tutte
le vite che sono strane, che sono diverse…
contestano, rompono. Da una parte ti affasci-
nano, ti incuriosiscono, ma d‟altra parte rom-
pono! Però diventa una vita che è rivelatrice,
è una sfida all‟in-differenza. Il cristiano vive
la differenza; gli altri sono in-differenti.
Guardate… non prendiamola in termini di po-
tere, ma proprio come identità. Credo che
questa sia una delle consapevolezze belle;
vuol dire che i cristiani sono chiamati a mo-
strare una vita comprensibile, bella, agli occhi
di chi non crede.
Cristiani preoccupati più di dimostrare che
di “mostrare”.
Anche se un uomo e una donna non credono,
o credono a modo loro, se non sono mai intri-
gati dalla vita bella che ognuno di voi potete
fare… vuol dire che probabilmente non ci
siamo. Perché quando una cosa è bella, ti in-
triga! Se non altro ti fa la domanda: scusa,
come mai vivi così? Mi puoi dire qual è il se-
greto? Quindi “rompere”, ci dice la lettera di
Pietro, con i desideri del mondo e mostrare
che la vita cristiana è una vita bella.
Quindi guardate che il primo annuncio, la
prima evangelizzazione sono la testimonian-
za. Ricordate il Vangelo di Matteo: “Così ri-
splenda la vostra luce davanti agli uomini,
perché la gente veda le vostre opere belle” e
non vi abbiano a dire bravo, coraggio, conti-
nua… no! “vedano le vostre opere belle e
rendano lode al Padre che è nei cieli”. Hanno
capito che c‟è qualcosa d‟altro passato attra-
verso te, però è oltre te, anzi più rimangono
nelle tue mani e più cominciano a diventare
maldestre anche queste. E aggiunge che forse
il mondo subito non capirà (vedono… guar-
dano… se ne vanno), però nel giorno del giu-
dizio glorificheranno. Perché nel giorno del
giudizio paradossalmente anche loro ritrove-
ranno quell‟opera bella, che quel giorno han-
no semplicemente visto e se ne sono andati
senza dare risposte.
Amici, una cosa che per ora vi do soltanto
come espressione: noi cristiani cattolici siamo
troppo preoccupati di spiegare e di dimostra-
re. Che cos‟è la nostra fede? Una grande e
grossa dimostrazione; siamo sempre preoccu-
pati di dimostrare, di spiegare, di salvare, di
chiarire…; importante come processo… però
guardate che la prima chiamata del cristiano
non è tanto quella di dimostrare, ma è quella
di mostrare, cioè quella di far vedere. Voi ve-
dete, come mamme e come papà, che le cose
migliori che escono con i vostri figli non sono
i vostri discorsi (importanti, da fare) in cui
state lì con tanta pazienza… a dire, a spiegare,
a ricominciare da capo… (e dite: o questi ve-
ramente sono sciroccati o io non funziono).
Per carità… è un‟attività importante, però che
cosa rimane a loro quando una realtà loro la
vedono… Quindi siamo chiamati a mostrare
più che a dimostrare… Annunciare Dio attra-
verso ogni parola e ogni gesto. Una cosa sem-
plice, maledettamente forte: provate in ogni
istante, in qualunque situazione vi trovate, a
vivere quell‟istante come momento di parola
d‟amore e di gesto d‟amore. Perché in ogni
istante la persona che ho davanti è l‟unica pa-
rola e gesto d‟amore che avrà nella sua vita.
Che ne so io, questo cosa sarà tra 10-20 anni?
Eppure in lui c‟è il seme di quella parola, di
quello sguardo, di qual gesto d‟amore. Magari
è finito lì, ma ci ho fatto su una storia. Questa
è la consegna che abbiamo come cristiani.
Qualcuno di voi è insegnante (non dico geni-
tori perché ormai è una deformazione…) pro-
vate a pensare all‟attimo in cui entrate in con-
tatto, il vostro modo di entrare in contatto lui
28
lo respira come parole e gesto d‟amore, ha
l‟esperienza e la sensazione di essere ricono-
sciuto e di essere amato, di essere importan-
te… Quella persona non la rivedrò mai più,
eppure quella realtà d‟amore è l‟unica che fa-
rà storia dentro di lui. Guardate che ognuno di
noi nel proprio campo professionale… questa
è roba di tutti gli attimi… non è una cosina al
giorno… Quindi in ogni attimo c‟è dentro
l‟eternità, c‟è dentro questa pienezza (sono
solo accenni, perché questa materia è molto
densa).
Quindi invece di usare una categoria molto
usata nella storia della Chiesa, quella
dell‟apologetica (apologia = difendere, passa-
re all‟attacco e al contrattacco), puntare molto
di più sul fascino dell‟etica. Voi direte che è
un vizietto che abbiamo come Chiesa cattoli-
ca, che ogni tanto se ci sono dei problemi so-
ciali e politici incominciamo la guerra legit-
tima, l‟attacco e la difesa… momento impor-
tante che non sto snobbando, ma il cristiano di
per se non è tanto uno che denuncia, ma è uno
che annuncia. E quello che diremmo noi è
fiacco e debole, non è la denuncia che si può
fare come cristiani cattolici… è l‟annuncio
che è fiacco, e quello che mostriamo forse
non è bello e affascinante. Quindi puntare di
più sull‟attrazione della bella condotta, ci ri-
corda la lettera di Pietro, sull‟estetica, che non
è soltanto un formalismo esterno, sull‟estetica
che Gesù ci propone col discorso della mon-
tagna.
2 – Liberi perché sottomessi ad ogni crea-
tura. (2, 13-20)
Altro passaggio: 13-20.
Siate sottomessi ad ogni istituzione umana per
amore del Signore: sia al re come sovrano, sia
ai governatori come suoi inviati per punire i
malfattori e premiare i buoni.
Lo so che questo discorso vi fa venire il volta-
stomaco, però vivete il voltastomaco ed entra-
te nella Parola.
Perché questa è la volontà di Dio: che, ope-
rando il bene, voi chiudiate la bocca
all‟ignoranza degli stolti. Comportatevi come
uomini liberi, non servendovi della libertà
come un paravento per coprire la malizia, ma
come servitori di Dio. Onorate tutti, amate i
vostri fratelli, temete Dio e onorate il re.
Non so se la scaletta è molto chiara. Tento
non tanto una spiegazione, ma solo una puli-
tina nel caso qualche messaggio o parola non
fosse chiara. Tra le belle opere che contraddi-
stinguono allora le belle opere del cristiano,
Pietro mette gli obblighi verso ogni creatura.
E‟ bello: parla di ogni creatura, non di catego-
rie di persone o sociali, ma verso ogni creatu-
ra: verso l‟autorità, verso i padroni e dopo
l‟inno cristologico che abbiamo già pregato
verranno quelli matrimoniali e quelli comuni-
tari.
Ascoltata così, credo che ci dia un po‟ di im-
barazzo e fastidio. Credo che ci sentiamo
molto distanti da questa impostazione cultura-
le, ambientale, sociale, se volete anche (in
termini seri) cristiana. Ricordatevi una cosa,
amici, che dopo che io leggo un pezzo di que-
sto dovrei dire per serietà “Parola di Dio”.
Dovrei dirlo sempre, ma a lungo andare lo
dimentico. Vorrei riattivarlo soprattutto dove
partono da parte mia alcune allergie. Ma co-
me può essere Parola di Dio… come può la
Parola di Dio sostenere delle strutture sociali,
economiche, politiche, familiari di tipo autori-
tario, patriarcale, maschilista? Lo vedremo,
perché anche la lettera di Pietro respira una
cultura maschilista come il corrispondente
Paolo.
Sottomessi ad ogni creatura, ma ser-
vi/servitori solo di Dio
I cristiani erano detti figli della obbedienza,
coloro che credono in Dio, stranieri e pelle-
grini, cioè sono uomini e donne liberi (vers.
16) perché servi di Dio. La tua totale libertà è
una sola: perché tu sei servo solo di Dio. Se
hai chiaro questo sei libero. Il che non dice di
ammazzare gli altri, però le cose devono esse-
re chiare… devi avere una cosa chiara: sei
servo solo di Dio. L‟aveva già detto Gesù Cri-
sto al demoniaco: adorerai solo il Signore Dio
tuo, solo a lui ti prostrerai… non lo mollare…
nessun dio… neanche tua moglie, neanche tuo
marito, neanche tuo figlio, neanche tuo padre
o tua madre, neanche il tuo capo carismatico,
neanche un vescovo, neanche un papa (para-
dossalmente): solo Dio. Tutti questi sono se-
gni e sacramenti per vivere la fedeltà. Credo
che la Parola è molto forte, pulita e schietta,
senza mezzi termini. Quindi servi di Dio e di
29
nessun altro, perché soltanto il servire Dio ti
libera dagli idoli falsi, cioè non ti rende alie-
nato.
Qui devo usare un termine latino. Il “diverso”
in latino ha due termini: uno è il termine di
“alter”, e l‟altro è quello di “alienus”(da cui
alienare). Allora o la tua diversità è veramente
diversità perché è identità, vita differente, op-
pure è alienus, cioè alienante. Credo che que-
sto sia il punto importante. Se vuoi vivere una
vita differente devi essere solo servo di Dio;
tutto il resto ti aliena. A volte anche alcune
esperienze mistiche, alcune esperienze di co-
munità.
Resistenza e sottomissione: la resa solo a
Dio
Quando ti accorgi che paradossalmente ti a-
lienano (e possono alienare) vuol dire che non
sono più servo di Dio. Niente e nessuno nella
vita ti può impedire di vivere il Vangelo. Per-
ché l‟esperienza di vivere il Vangelo la spe-
rimentiamo forte non fuori dalla Chiesa, dalle
comunità, dalle fraternità, fuori dalla nostra
casa o dalla nostra famiglia. Ma dentro. Però
niente e nessuno ti potrà mai impedire di vi-
vere il Vangelo. E quindi invita a sottometter-
si a ogni creatura umana per amore del Signo-
re. Vuol dire prendere il proprio posto in un
piano ben preciso, ricordando una cosa: che
chi comanda comanda… saranno bravi, catti-
vi, però non sono dei, non sono idoli, non so-
no signori. Ricordati che loro, pure loro, sono
semplicemente come il sottoscritto, creatura.
Vi ricordo che stava parlando in un momento
in cui c‟era il culto dell‟imperatore… E‟ una
cultura altra rispetto alla nostra… in 2000 an-
ni ne è passata di storia!
Quindi la fede cristiana ne ha liberate di gene-
razioni e di culture! Quindi non dimentichia-
mo un piccolo-grande particolare: un cristiano
proclama che Dio è creatore, e che l‟uomo è
creatura, e che accetta di essere sottomesso ad
ogni creatura perché si confessa di essere solo
servo di Dio. Sembra un paradosso, però ve-
dete che è totalizzante: mi sottometto ad ogni
creatura perché praticamente io servo solo
Dio. Però il fatto che servo solo Dio non mi
dice di fregarmi del resto. E questa è la sim-
patica tentazione che, da che mondo è mondo,
in particolare come Chiesa e come Cristiani
conosciamo molto bene. Quindi l‟unica liber-
tà è quella di inserirci in questa stirpe di ob-
bedienti, come Cristo che fu obbediente fino
in fondo, fino alla morte e alla morte di croce.
Quindi ogni creatura che ti è accanto è stru-
mento ed è occasione di obbedienza a Dio.
Soprattutto tutta la gente che religiosamente,
socialmente, politicamente ti sta sullo stoma-
co o su qualche altra parte. Tutto è grazia per
obbedire a Dio. Amici… non è parola dei pre-
ti (non in termine dispregiativo), è Parola di
Dio. Perché questa è la volontà dei Dio: che
voi facendo il bene [ecco dov‟è il segreto, la
differenza] riduciate al silenzio l’ignoranza,
l’insensatezza degli stolti. Qui c‟è tutto il rap-
porto tra Dio e Cesare, che non sviluppo, sul
quale avevano interpellato anche Gesù, con la
sua risposta che è sempre peggiore della do-
manda: date a Dio quello che è di Dio, a Ce-
sare quello che è di Cesare. Cosa voleva dire?
Guarda che si serve e si teme: torna il termine
del timore di Dio; si teme solo Dio.
E questo sarà il criterio anche del rapporto tra
marito e moglie. Anche del rapporto nella
comunità cristiana. Guardate che soltanto i fi-
gli sono liberi. C‟è la famosa scena del pagare
le tasse. Per farla breve Gesù disse ai discepo-
li: vai al mare, prendi un pesciolino, aprigli la
bocca, c‟è una moneta e paga. Questo per dire
che i figli sono liberi. Non gli ha detto “snob-
ba la cosa… che te ne frega… noi siamo al-
tro…”. No. Perché noi siamo uomini e donne
che vivono nella comunità umana in compa-
gnia degli altri uomini. La gente che ci sta ac-
canto però vive dentro questa consapevolezza.
Guardate che tutto questo non è servilismo,
non è un‟acquiescenza al potere politico. Cre-
do che sia Bruno Forte che molti anni fa fece
un‟osservazione acuta: quando la Chiesa é li-
bera, nel senso che non si attacca ai vari pote-
ri, non è interessante. E quando è interessante
probabilmente comincia a perdere il contatto.
E‟ sempre questo il gioco e la tentazione. E‟
sempre sottile; non avremo mai una risposta
una volte per tutte e una volta per sempre,
perché ogni volta siamo di fronte a un discer-
nimento.
18, 20
Domestici [e qui ci chiediamo: come mai par-
la dei domestici? Probabilmente molti conver-
30
titi al cristianesimo erano gente povera che
facevano i domestici nelle case della gente
ricca. Quindi parla a domestici cristiani che
avevano a che fare con dei padroni. Forse
qualcuno era anche cristiano, la maggior par-
te no] siate soggetti con profondo rispetto ai
vostri padroni. Non solo a quelli buoni e miti,
ma anche a quelli difficili.
Questo lo possiamo applicare anche ai rappor-
ti familiari: siate sottomessi con profondo ri-
spetto a tuo padre e a tua madre; non soltanto
a quelli buoni, ma anche a quelli difficili. An-
che ai figli: non soltanto a quelli buoni e miti
che ti coccolano e ti gratificano, ma soprattut-
to a quelli difficili. Poi l‟elenco lo fate voi…
non vorrei che adesso, parlando di una cate-
goria, uno pensi: non essendo domestico…
Perché dice: siate sottomessi ad ogni creatu-
ra… non so se è abbastanza chiaro questo tipo
di consapevolezza. C‟era un libro che non
hanno più ristampato e che era un gioiello:
manuale per bambini che hanno genitori diffi-
cili. Perché di solito sono i genitori che ogni
tanto pensano che figli siano difficili…
Io sono figlio di mezzadri, e il mezzadro ave-
va il padrone. Il padrone era il padrone. Mi
ricordo da ragazzino, assieme alle sorelle… i
primi frutti erano per il padrone. Le cose belle
erano per il padrone. Avevamo soltanto la vi-
gna; se beccavi due grandinate… quando
grandina ancora oggi sento freddo… però il
padrone voleva sempre la sua parte, anche se
il raccolto non c‟era stato. Eppure non
l‟abbiamo mai odiato. Una cosa grande del
mio papà e della mia mamma: non l‟hanno
mai odiato. Non è un problema “perché dove-
vano o non dovevano odiarlo”, però credo
succeda anche a voi quando siete sotto padro-
ne… usate voi le categorie che volete, sociali
e anche affettive… ti viene questo istinto di
ribellarti… Dice: no! Provate a vivere questa
sapienza, questa differenza della vita cristia-
na. Da una parte di vivere una “sottomissio-
ne” dentro una grande libertà interiore, perché
per quanto riguarda la mia libertà tu non mi
potrai mai impedire di essere figlio, cioè di
vivere il Vangelo.
(Risposta a domanda): la tua dignità ce l‟hai,
non la mollare mai… vedremo questo in par-
ticolare con le donne, che proprio attraverso
la fede acquisivano la loro grande dignità.
Continueranno ad essere sottomesse al marito,
ma nessuno ti può togliere la tua dignità. Gra-
zie a Dio in 2000 anni si è camminato. Prova-
te a pensare la forza anche della fede cristiana
che cosa può avere generato ed ha generato;
ma ciò non toglie che la struttura di peccato è
permanente e mi rimane ancora. Sarà cambia-
ta la faccia dei padroni, ma il padrone rimane
sempre, non dimenticando che la grande be-
stia che io ho dentro si chiama potere. Com-
battere la grande bestia che è dentro di me…
bestia che ha un solo nome, quello del diavo-
lo, cioè il potere. Questa è l‟unica grande be-
stia che è dentro ognuno di noi.
Vedete che parla di domestici e non di servi, e
vi ho detto il motivo, perché facendo il bene
ciò sarà gradito davanti a Dio. Il che vuol dire
che ad ogni modo ognuno di noi può avere la
sicurezza che sta veramente compiendo e fa-
cendo la volontà di Dio, perché la volontà di
Dio è da fare, quando opera il bene. Ogni tan-
to è difficile discernere qual è la volontà di
Dio, però la risposta è sempre chiara: quando
tu fai il bene anche quando tu hai il diritto di
fare altro… ricordati che operando il bene fai
sempre la volontà di Dio. Provate a rileggere
questo in tutti i dolori di separazione a livello
di uomo e di donna, in tutte le relazioni fami-
liari, sociali, politiche… per carità, abbiamo
tutti i diritti; oggi ormai nella società abbiamo
acquisito tutti i diritti… ormai abbiamo im-
pazzito l‟individuo… Però se vuoi discernere
in ogni istante qual è la volontà di Dio…: o-
perando il bene.
Il cristiano è uno che sta al suo posto in
modo creativo, promuovendo il bene co-
mune, la polis
Un altro linguaggio: il cristiano è uno che sta
al proprio posto. E‟ uno che non scappa, che
non se ne va, non è uno che dà le dimissioni.
Non è uno che dice “non ci sto più”. Cristiano
è uno che ci sta. Il cristiano è uno che c‟è! E i
cristiani non ci sono!! Ci sono da fare le fogne
nella via? Non è che ci si mette insieme per
un bene comune; ti mancano i cristiani. Non
voglio fare prediche perché è troppo facile…
però una cosa è chiara: il cristiano è uno che
c‟è, è uno che ci sta. E‟ uno che in ogni situa-
zione in cui ti trovi a vivere (sociale, sindaca-
le, politica, amministrativa, scolastica…) è
uno che c‟è, è uno che ci sta. E‟ uno che di
31
fronte a una richiesta “Chi mi dà una mano?”,
ci sta. E‟ uno che di fronte a un “fai il rappre-
sentante di classe?”… il cristiano è uno che ci
sta. Non ho mai sentito nessuno dire “non ho
mai accettato di fare il rappresentante di clas-
se”… perché? “Perché non voglio rogne”. Il
cristiano è uno che ci sta, non è uno che se ne
va. E‟ uno che in quel posto è intelligente
perché sta in quel posto. Sta al suo posto. Il
cristiano è uno che c‟è. E‟ uno che in tanti
momenti di disagio, di difficoltà, di dolore…
ti guardi attorno e non c‟è nessuno… Se ce ne
fosse uno dici “quello è un cristiano”. Perché?
“Perché è uno che c‟è”.
Amici, ricordate l‟identità di Dio, quella frase
sibillina quando Mosè chiede a JHWH: senti
se mi chiedono chi mi manda cosa devo dire?
“E tu digli: colui che è, quello che io sono mi
manda da te”. Tradotto non in termini razio-
nali, vuol dire uno che ci sta: “Ci sto” mi
manda da te… Non per niente voi sapete che
l‟identità di Gesù…. Ripete ogni due secondi
“Io sono”. Io sono la via, io sono la verità, io
sono la vita, io sono la vite… “io sono” non è
un discorso razionale, è un discorso “io ci
sto”. Mi viene in mente un‟immagine molto
bella e un‟espressione forte di un amico che
parlando della resurrezione dice: Gesù Cristo
dalla croce “Io con voi ci sto. E ci sto fino in
fondo”. Cristiano è uno che ci sta, e sta al suo
posto. Può essere dura, può essere indigesta,
può non piacermi però… scusate… non è un
supermercato: non è che puoi scegliere.
C‟è un‟identità… se non ci stai… andrò
all‟inferno?… è una domanda stupida per Ge-
sù Cristo. Vuoi vivere da uomo? Voi vivere
tutto d‟un pezzo? La possibilità c‟è sempre.
Se non altro vorresti dire come uomo, come
donna, come cristiano, a quanti incontri:
guarda che essere cristiani è una vita bella. E
sapete quando riconoscono che siete cristiani?
Quando vi fanno la simpatica domanda: “Chi
te lo fa fare?”. Finché non arriva quella do-
manda non è arrivato il fascino di una vita
bella, cioè di una vita diversa, di un gesto dif-
ferente. Soltanto quando (è solo indicativo, ve
ne dico uno) ti possono dire “allora forse sta
vivendo qualcosa che è veramente differente,
cioè è semplicemente divino”. Avevo prepa-
rato una cosa bella sui laici nell‟impegno nel
sociale e nel politico (siccome sono anche vi-
cario episcopale per il laicato cattolico). Sic-
come essere vicario episcopale per il laicato
non era un titolo bello, mi piacerebbe trovare
uno spazio libero per confrontarmi, proprio
anche come discernimento. Vi do però un
bocconcino di Giovanni Paolo II, nella Christi
Fideles Laici, quando dice “I fedeli laici non
possono affatto abdicare alla partecipazione
alla politica, ossia alla molteplice organizza-
zione economica, sociale, organizzativa, am-
ministrativa e culturale, destinata a promuo-
vere organicamente e in un modo istituziona-
le, il bene comune”.
E allora ogni tanto, invece di andare a confes-
sare che avete dimenticato le preghiere e
l‟altra scemenza che dite le parolacce, provate
una volta ad andare a confessare (il prete ti
guarderà male perché resterà shoccato anche
lui) “io mi sono sempre lavato le mani della
pubblica amministrazione”, “io mi sono sem-
pre lavato le mani della politica” “io non mi
interesso mai di niente”. Perché andare a dire
l‟idiozia “ho detto le parolacce”… salvatevi la
vostra dignità di uomini e di figli di Dio. An-
che perché l‟essere cristiano (stavamo veden-
do) grazie a Dio è una cosa abbastanza soda, e
pensare al rischio… a che cosa può essere sta-
ta ridotta… è pericoloso.
3 – Chiamati a seguire le orme di Cristo (2,
21-25)
Passaggio terzo, vers 21-25, che avevamo già
pregato, “chiamati a seguire le orme di Cri-
sto”; è uno dei cosiddetti “inni cristologici” e
il centro di questa parte che viene detta esor-
tativa (un termine carino: parenetica) ci ricor-
da una verità centrale: che non è possibile
nessun comportamento cristiano (quello che
noi chiamiamo morale) che non abbia come
fondamento la conoscenza di Gesù Cristo.
Fondamento di ogni azione è Gesù Cristo
Senza Gesù Cristo noi cristiani abbiamo una
delle tante morali, punto e basta. Per poter vi-
vere alcuni atteggiamenti cristiani, li posso
vivere soltanto se li vivo in Cristo e se vivo
Gesù Cristo. Punto e basta. Il che non toglie
che un comportamento è sempre umanizzante
anche per chi non conosce Gesù Cristo, però
alcune esigenze e alcune radicalità le posso
vivere soltanto se vivo in Cristo e lo vivo fino
32
in fondo. Credo che questo sia un punto di
chiarezza e di identità.
a) la grazia della sofferenza ingiusta
Qui adesso troviamo il tema della Grazia della
sofferenza ingiusta. 2, 21
A questo infatti siete stati chiamati poiché an-
che Cristo patì per voi, lasciandovi un esempio
perché ne seguiate le orme: egli non commise
peccato e non si trovò inganno sulla sua boc-
ca, oltraggiato non rispondeva con oltraggi,
soffrendo non minacciava vendetta, ma rimet-
teva la sua causa a colui che giudica con giu-
stizia. Egli portò i nostri peccati nel suo corpo
sul legno della croce perché, non vivendo più
per il peccato, vivessimo per la giustizia; dalle
sue piaghe siete stati guariti. Eravate erranti
come pecore, ma ora siete ritornati al pastore e
guardiano delle vostre anime.
Solo alcune puntualizzazioni di questa peri-
cope che abbiamo ascoltato in questo istante.
Guardate che il problema non è come evitare
la sofferenza, perché la sofferenza non la evi-
ti. La domanda è come vivere la sofferenza da
cristiani, perché la sofferenza la vive ogni
uomo e ogni donna sulla faccia della terra.
Punto. Ricordate l‟anno in cui abbiamo fatto
Giobbe… superare la logica che viene detta
della reversibilità: dove c‟è l‟azione buona c‟è
il premio e dove c‟è l‟azione cattiva c‟è la pu-
nizione… questa è una cosa che ti frega nella
vita. Per cui in questo quadro la sofferenza
ingiusta è chiaro che chiama violenza, questo
è fuori discussione in questo tipo di logica.
Quindi non sopportata nella nuova coscienza
di Dio; però se viene sopportata nella co-
scienza di Dio questa sofferenza diventa chà-
ris, cioè diventa Grazia. Passaggio molto
chiaro, tanto questo Vangelo di Gesù l‟avete
già sentito: Luca: se amate quelli che vi ama-
no, che chàris, che grazia ne avete? Che gra-
tuità ve ne viene? Se prestate a quelli che pen-
sate di avere in merito, che chàris, che grazia
ne avete? Riuscite a cogliere dov‟è la radice?
E‟ nella chàris. Per cui anche il dolore e la
sofferenza, soprattutto ingiusta può essere o
diventare chàris. In cui Grazia (questo è un
termine che uso io, però la radice è chàris) è
in termine di gratuità. La gratuità come rispo-
sta alla sofferenza, come la gratuità come ri-
sposta al senso della vita.
Qualunque cosa ci capiti nella vita non ha un
perché e non ha una spiegazione e più spieghi
e più ti senti idiota… perché non ha una spie-
gazione, e allora devo uscire dal codice della
reversibilità (buono-premio; cattivo-castigo);
in questo gioco è chiaro che non capirò… tro-
verò ingiusto, e come tale mi nasce la violen-
za, la ribellione dentro di me. Qui la parola di
Pietro è estremamente chiara. Soltanto quan-
do riesco a sintonizzarmi nella coscienza della
gratuità…. io dico tante volte di fronte a tanti
gesti delle persone (non degli altri… di me) è
il dramma di chi vuole capire. Tu vorresti ca-
pire perché uno imbratta un monumento… in
termini di capire puoi fare tutta la psicologia,
la sociologia… vedere giustamente tutta la
sua rabbia, tutta la sua violenza, tutta la sua
protesta e il suo grido… però dico: è il dram-
ma di chi vuole capire. E purtroppo nei nostri
rapporti umani, soprattutto in quelli intimi tra
uomo e donna e tra genitori e figli… il dram-
ma di chi vuole capire. Perché io voglio trova-
re una spiegazione, avere una spiegazione.
Non ti è mai capitato di domandare a tua mo-
glie o a tuo marito, a ognuno dei tuoi figli
quando fanno simpaticamente una cavolata…
gli fate la simpatica domanda: adesso mi do-
vresti spiegare… E l‟altro ti risponde… ma
non per prenderti in giro… “ma che ti spie-
go?”. Guardate che questo non è un tradimen-
to o mancanza di trasparenza… guardate che
dovremmo ritrovare alcune radici, che non
serve da giustificazione, ma ritrovare proba-
bilmente la profondità di quello che siamo.
Altro passaggio. Qui incontriamo un altro vol-
to di Pietro. Ricordate il Pietro del Vangelo,
che si oppone alla sofferenza di Cristo, quan-
do Gesù comincia il discorso che è necessario
che il figlio dell‟uomo debba soffrire a cau-
sa…. Credo che anche Pietro e anche gli altri
non ne potevano più. Dice “eh no, basta!
Questo non ti accadrà mai!” Cioè si oppone
alla sofferenza, anche perché dice: “che cosa
devi soffrire, che cosa dovresti pagare visto
che sei uno dei pochi puliti sulla faccia della
terra…”. Qui troviamo nella lettera un Pietro
convertito, che è lui a confermare i suoi fratel-
li nella fede. E‟ lui adesso che fa quello che
Gesù faceva coi suoi. Qui c‟è un tema molto
delicato che non voglio sviluppare, e su que-
sto credo che abbiamo parecchie colpe anche
33
come mistica della sofferenza e del dolore: la
sofferenza come strumento di salvezza. Qui
troviamo quella parola forte di Paolo nella I
Colossesi, quando dice: sono lieto delle soffe-
renze che sopporto per voi, e do un compi-
mento nella mia carne a quello che manca nei
patimenti di Cristo.
Cristo ha sofferto tanto, che di più non poteva
soffrire, eppure la coscienza grande è questa:
che non ha sofferto tutto. Perché ogni uomo e
ogni donna sulla faccia della terra ha dentro
una sua realtà di sofferenza che continua a
portare a compimento non tanto il suo dolore,
ma il senso che lui ha dato al dolore, cioè
l‟amore. Questo è il grande cammino in Cri-
sto, però questo lo potremo dire quando o-
gnuno di noi sta male da cane. Nel benessere,
no. Quindi per ora tenete questa coscienza,
non dico di buttarla, non vi dico neanche di
andare a cercare la sofferenza (non fate ope-
razioni stupide)… però soprattutto la si vive
se la mia vita è differente. Se è differente, chi
mi sta vicino me la fa pagare. E chi te la fa
pagare è tuo marito e tua moglie, sono i tuoi
figli, i tuoi cognati, tuo nonno, e tutta la gente
religiosa… sono quelli della tua parrocchia,
della tua associazione, del tuo gruppo e del
tuo movimento. E‟ chiaro, perché il peccato,
dice Gesù, non è fuori di te ma dentro di te. Il
peccato nella prima Chiesa era dentro i 12,
non era fuori. Credo che non dovremmo mai
perdere questa consapevolezza.
b) L’amore espia i peccati
Altro punto, 2, 21. La portata espiatoria della
passione di Cristo, quando dice portò i nostri
peccati nel suo corpo sul legno della croce.
Conosciamo ormai molto bene tutta la teolo-
gia cristiana che quando parla di Cristo, parla
di Cristo come vittima, come altare e come
sacerdote. Da sempre c‟erano i sacrifici sugli
altari e sulle are; per i sacrifici occorrevano
una vittima, un altare e un sacerdote. E‟ aboli-
to tutto questo: è soltanto il Cristo che è vitti-
ma, altare e sacerdote. Ricordando soprattutto
il discorso del legno della croce; guardate
come è forte l‟espressione… è molto secca,
perché voi sapete che il legno della croce è
maledizione. Ricordate la lettera ai Galati:
“Maledetto chi pende dal legno”. Vedete che
anche solo su questo inno cristologico a-
vremmo potuto fare tutti e tre i giorni, perché
ogni punto ha dentro una sua densità.
Qui abbiamo lo scandalo insostenibile della
croce. Io ho un grande dolore, non so se
l‟avete voi: per noi la croce è ridotta a un
simbolo religioso. La cosa è oscena: per noi la
croce è diventata un oggetto religioso, mentre
la croce è uno scandalo insostenibile. Perché
di fronte al dolore, alla sofferenza,
all‟ingiustizia, la cosa più sana che puoi dire è
NO! Basta! Quando sentiamo le persone che
soffrono, che soffrono da parecchi anni dentro
un letto di dolore, e che gridano il loro no e il
loro basta, sentiamo il NO e il Basta da parte
di Cristo. Credo che anche questo sia un pas-
saggio importante. Se possiamo, almeno noi
non riduciamo la croce ad un oggetto religio-
so. Che però… quella che porto, quella che
vedo e quella che riconosco, abbia sempre a
ricordare la mia vita differente che è veramen-
te uno scandalo; la realtà della croce.
Siamo nel 2006… provate a pensare
quell‟uomo in croce, la contemplazione del
crocifisso… per quanti milioni, milioni, mi-
lioni nella storia di uomini, di donne, di per-
seguitati, di schiavi, di sfruttati è stato un sen-
so di vita. Proviamo a ripercorrerla… e non
mi dilungo nient‟altro, perché penso che sia
sufficiente. Se vi capita ogni tanto perdete un
tempo bello… quando vi trovate davanti a un
Crocifisso… c‟è in ogni Chiesa e in qualun-
que parte, a volte te lo puoi tenere anche in
tasca… prova a mettertelo davanti… non fare
molto e lasciati guardare almeno 5 minuti,
senza dire niente… senza fare la preghieri-
na… proprio lasciarsi guardare… credo che
sia questa una delle adorazioni e delle con-
templazioni.
c – Da erranti a ricondotti
Eravate erranti come pecore, e ora siete tor-
nati al pastore e al guardiano delle vostre a-
nime. Siete stati ricondotti… siete ritornati a
casa, però voi vedete che la vita con tutte le
sue prove e anche con il suo giusto dolore è
dentro l‟unità dello sguardo del pastore, che
veglia, si prende cura, difende e sostiene.
All‟inizio dell‟inno voi vedete che Gesù è pa-
ragonato all‟agnello… alla fine diventa il pa-
store. Oltre che pastore diventa l’epìscopos,
cioè il custode delle vostre anime.
34
4 – La vita bella dei coniugi nel matrimonio 3, 1-7
Adesso c‟è un pezzo che riguarda la vita bella
dei coniugi nel matrimonio: visto che c‟è un
aspetto particolare, credo valga la pena di-
scernerlo dentro la sua Parola. 3, 1-7
Ugualmente [vedete che il discorso è continu-
ato per lui, non è che s’interrompe, va avanti
liscio: sottomettetevi ad ogni creatura] voi,
mogli, state sottomesse ai vostri mariti perché,
anche se alcuni si rifiutano di credere alla Pa-
rola, vengano dalla condotta delle mogli, sen-
za bisogno di parole, conquistati considerando
la vostra condotta casta e rispettosa. [Qui ci
sarà l’esperienza della evangelizzazione senza
le parole.] Il vostro ornamento non sia quello
esteriore - capelli intrecciati, collane d‟oro,
sfoggi di vestiti - [probabilmente parla a della
gente con un buon ceto sociale]; cercate piut-
tosto di adornare l‟interno del vostro cuore
con un‟anima incorruttibile, piena di mitezza e
di pace: ecco ciò che è prezioso davanti a Dio.
Così una volta si ornavano le sante donne che
speravano in Dio; esse stavano sottomesse ai
loro mariti, come Sara che obbediva ad Abra-
mo, chiamandolo signore. Di essa [di Sara]
siete diventate figlie [e qui ci sarà un passag-
gio… mentre la Chiesa ha fatto le donne figlie
di Maria, e non figlie di Sara] se operate il
bene e non vi lasciate sgomentare da alcuna
minaccia.
E poi c‟è il pezzettino molto più breve per i
mariti. Avrebbe potuto inventare qualche riga
in più, almeno per par condicio… questo ci
dice che la Parola di Dio è dentro la parola
umana, eppure la Parola di Dio riscatta la cul-
tura umana. Questa è la cosa sconvolgente,
che pur essendo maschilisti (sia la lettera di
Pietro e peggio ancora Paolo) si lasciano libe-
rare dalla Parola. Come dire: guardate che
questo è un mistero e non ci capisco niente,
ma una cosa è chiara: che questo non coincide
con la nostra cultura maschilista, patriarcale.
E guardate che questa è la grande rivoluzione
della Parola, da sempre. Però è anche vero
che quando ci stacchiamo dalla Parola entrano
dentro le culture, le ideologie, le mentalità.
Torniamo al 7:
E ugualmente voi, mariti, trattate con riguardo
le vostre mogli, perché il loro corpo è più de-
bole [vedete anche qui una lettura culturale,
che è andata avanti per secoli] e rendete loro
onore perché partecipano con voi della grazia
della vita.
Riuscite a capire dov‟è la radice? La radice
non è perché abbiamo fatto evolvere una cul-
tura, una società e ci abbiamo fatto su un ca-
sino di femminismo… ma perché sono coere-
di con voi della grazia della vita. Non so se è
chiaro dov‟è la radice della dignità, anche se
poi è vero che ogni lotta che porta un bene è
dentro in un processo di grazia… però non
dimentichiamo la chiarezza dell‟identità cri-
stiana. Qual è il motivo?
così non saranno impedite le vostre preghiere.
Credo che quest‟ultima parte dell‟esortazione
di Piero ha due situazioni specifiche; una è
questa: il rapporto proprio tra marito e moglie
all‟interno della comunità cristiana. Credo che
la relazione nel matrimonio la possiamo sinte-
tizzare così: la famiglia è il luogo normale,
quotidiano, ordinario nel quale tu segui Gesù
Cristo. Nel quale viene messa alla prova la tua
sequela (uso un termine tecnico) di Gesù Cri-
sto. La tua sequela, la tua fedeltà a Gesù Cri-
sto viene messa alla prova proprio dentro lì, in
casa e in famiglia. La famiglia diventa l‟alveo
(in questo istante il papa con un milione di
famiglie alle 9 inizierà la grande veglia) della
trasmissione della fede. Il che vuol dire che
allora gli amatissimi cristiani, stranieri e pel-
legrini, devono mostrare una vita bella tanto
da far glorificare il nome di Dio nel matrimo-
nio. Cioè la vita tra marito e moglie è una vita
bella…
Mi dispiace di una cosa, che all‟inizio della
preparazione al matrimonio la cosa più squal-
lida che alcuni ragazzi mi chiedono è: perché
tutti mi dicono “non sposarti… chi te lo fa fa-
re…”. Chi dice queste cose ad altre coppie è
gente brava, cristiana, cattolica, battezzata, in
Gesù Cristo, va da Padre Pio, fa parte di
gruppi di preghiera, sono operatori parroc-
chiali… non so se è chiaro: non è che ti ven-
gono dagli altri… Guardate che questo è tre-
mendo… Non credo che gli sposi cristiani ab-
biano costruito nella storia della Chiesa
l‟esperienza di una vita bella tra marito e mo-
glie. Questo, scusate, è una discreta e simpati-
ca colpa della Chiesa, perché agli sposi non ci
rivolgiamo mai in termini di Grazia, ma in
termine squallido di dovere: …gli sposi devo-
no… i genitori devono… la famiglia deve…
35
la famiglia dovrebbe… Oppure l‟altro pisto-
lotto: …manca la famiglia …non ci sono i
genitori. Altro pistolotto nostalgico: … la fa-
miglia di una volta … la famiglia di ieri… i
genitori di una volta… Guardate che alla fac-
cia della famiglia questa è la cultura…
Ho avuto il dono e il privilegio di vivere a
tempo pieno questo, e incontro anche parec-
chie comunità diocesane quando ci sono que-
sti convegni, e cerco di poter dire: “amici sa-
cerdoti, quante volte noi ci rivolgiamo agli
sposi, ai genitori e alle famiglie in termini di
Grazia… non in termini di dovere…?” . Per-
ché il dovere non è una categoria cristiana…
la categoria cristiana è la Grazia ed è dalla
Grazia che mi nasce ciò che è importante fare,
non dal dovere. Il dovere l‟aveva predicato
anche Kant… in cui in ciò che si vive c‟è do-
lore, c‟è impegno, c‟è sofferenza. Ci sono del-
le esperienze che ti spaccano la vita… ci sono
dei figli che ti spaccano la vita, come ci sono
degli uomini e delle donne che amate che ti
spaccano la vita. Però dentro tutto questo non
mi rimane il dovere di continuare ad amare,
che è la cosa idiota che ci hanno sempre detto,
ma è dentro l‟esperienza ella Grazia. Perché
l‟amore non è un dovere, l‟amore è Grazia.
Ma se mi manca la Grazia dell‟amore, se non
ho fatto esperienza della Grazia dell‟amore, è
chiaro che mi rimane il dovere.
Se almeno ogni anno ci regaliamo un tuffo
nella Parola, può diventare liberante, anche
per togliere tutte le incrostazioni che a volte
non per cattiveria ma per eccesso di bene ci
troviamo addosso nell‟arco di un anno.
a – Donne determinate capaci di autonomia
Qui vedete una cosa: l‟immagine delle donne
determinate, capaci di un‟autonomia. Qui par-
la della situazione delle donne i cui mariti non
credono alla Parola. E‟ molto bello… qui il
problema più popolare per noi sono i mariti
che non vanno in chiesa; là la cosa era un tan-
tino più esigente, perché puoi anche andare in
chiesa, se vuoi, però non credere alla Parola
con tutto quello che abbiamo visto in questi
giorni. Quindi sono donne che sono diventate
cristiane, però dice anche la loro personalità, e
la loro capacità di autonomia. Voi sapete che
la donna doveva seguire la religione del mari-
to, quindi se c‟è la presenza di qualcuna che
ha osato non seguire la religione del marito,
vuol dire che sono capaci di determinazione e
di autonomia. Questo per dire come la Fede,
anzi la persona di Gesù Cristo, è capaci di li-
berare la donna. E‟ l‟unico maschio che può
liberare la donna, Gesù Cristo. Questa è stata
anche la grande rivoluzione.
Sono naturalmente donne benestanti (si parla
di acconciature, collane, vestiti…), autono-
me… di solito le signore-bene sono anche le
più trasgressive, mentre le altre poveracce non
riescono a trasgredire… senza soldi dove
vai?! Trasgressive cosa vuol dire? Che non
erano subordinate ai loro mariti. D‟altra parte
alcune liberazioni le puoi fare perché econo-
micamente lo puoi. E‟ importante… sarebbe
una lettura che richiederebbe più tempo… al
di là delle battutine che possiamo fare, guar-
date che la radice è molto profonda. Qual è il
motivo, però? I mariti non credenti vengono
conquistati dalle mogli senza bisogno di paro-
le, solo attraverso il fascino di una vita bella,
di una condotta bella. Guardate che non sono
delle “belle sottomesse”, libere di obbedire
nella fede solo a Gesù Cristo. Voi sapete che
S. Paolo, di fronte alla difficoltà di vivere una
vita di famiglia, concedeva il famoso “privi-
legio paolino”, dando alle donne la possibilità
di nuove nozze. Questo era il privilegio di
S.Paolo. Pietro invece ha un‟altra lettura mol-
to nella logica di tutta la sua lettera. Non per
niente S.Paolo… credo sia il testo di 1 Corinti
quando dice “e che sai tu donna se salverai il
marito? E che sai tu uomo se salverai la mo-
glie?” … però non lo dice in termini negativi
per andarsene, però sappi che bene o male tu
hai in mano la salvezza. Però chiede anche:
che ne sai se salverai il marito o non lo salve-
rai?
Pietro fa un‟altra scelta non solo politica, ma
una scelta di fede. Pietro invita a restare nella
situazione difficile per amore di un bene più
grande. Qual è il bene più grande? Che
quest‟uomo sia guadagnato. E‟ la logica che
dice S.Paolo: mi sono fatto servo di tutti. E
m‟insegnate che chi ama di solito si sottomet-
te spontaneamente al bene dell‟altro. Tante
volte non si riesce probabilmente a viverlo
con i figli, tra uomo e donna, tra marito e mo-
glie un tantino meglio…
36
b. evangelizza il marito senza la parola
Quindi la moglie chiama il marito e cerca il
suo bene; gioca la grande speranza: raggiun-
gere insieme con lui l‟eredità conservata nei
cieli. Qui i mariti non credenti vengono quali-
ficati disobbedienti alla Parola. Però la lettera
dice: anche se è dubbioso l‟orecchio alla Pa-
rola, c‟è ancora una strada per poterli conqui-
stare: e questa è l‟evangelizzazione senza la
Parola, la testimonianza quotidiana, evitando
discussioni inutili. Senza parole. Il che non
vuol dire non parlare perché ti tiro su il mu-
ro… senza parole inutili, che servono proba-
bilmente al fatto che non mi va di vivere que-
sta situazione in questo momento come casa,
come bella, come Grazia. La bellezza di una
donna cristiana emana allora da una condotta
casta, e non è soltanto una purità sessuale:
parla di fedeltà e di integrità dei sentimenti…
D‟altra parte una vita limpida ispira sempre
rispetto, ispira sempre ammirazione. Un co-
niuge rende santo l‟altro essendo un corpo so-
lo. Ricordiamo la bella giornata vissuta con
padre Giordano Muraro, che diceva che ogni
sposo è responsabile della salvezza della spo-
sa, e ogni sposa è responsabile della salvezza
dello sposo. Chi si sposa in Gesù Cristo non si
sposa per fare casa, per fare famiglia, per fare
l‟amore e per fare figli. Fai una scelta… e sei
responsabile della salvezza di lui, della sal-
vezza di lei. Non mi dilungo su questo anche
perché è sempre stato uno dei punti grossi
delle giornate di spiritualità.
I gioielli di una moglie
Fa due note molto belle: parla di mitezza e di
pace; dovrebbero essere questi i gioielli di una
donna che vive la Parola. Scusate… non è sol-
tanto la questione di una donna che ha un bel
carattere (che è un dono grande di Dio, cre-
do), non è soltanto la questione di una virtù
tipicamente femminile… ma il modello è uno
solo: Gesù Cristo (“Imparate da me, che sono
mite e umile di cuore”), quella bellezza che
viene direttamente da Cristo. Santificate allo-
ra Cristo nei vostri cuori, pronti a rendere ra-
gione della speranza che è in voi. E ripeterà,
ci sarà la Lectio che ci regalerà il vescovo
questa sera, “con mitezza e rispetto”. La bel-
lezza salverà il mondo, ma quale bellezza lo
salverà? Ricordate il celebre testo di Dostoje-
vski “E‟ vero principe che voi diceste un
giorno che il mondo lo salverà la bellezza?
Signore, gridò forte a tutti, il principe afferma
che il mondo sarà salvato dalla bellezza! Qua-
le bellezza salverà il mondo?” E come in si-
lenzio è rimasto Gesù davanti all‟altra do-
manda di Pilato: che cos‟è la verità…
c. Di Sara siete diventate figlie
Ci sono domande, amici, che non hanno una
risposta razionale; c‟è solo una risposta di te-
stimonianza. La bellezza delle donne sante…
(vorrei riprendere la sottolineatura) di Sara
siete diventate figlie. E qui ritorna il pensiero
alle sante donne di una volta. Vorrei però ri-
cordare che le donne sante ci sono qui e ci so-
no ora. Noi abbiamo un difetto, che le cose
belle, vere e genuine vengono dal passato,
forse perché non possedendolo non le posso
più contaminare. Però viviamo molto di no-
stalgia e molto di ricordo. Dovremmo tra-
sformarle, come memoria, però guardate che
qui e ora c‟è sempre questa verità. Queste
donne che hanno una bellezza e una santità
secolare… (secolare non vuol dire centenaria,
ma che appartiene al secolo) perché la loro
santità appartiene alla vita, alla vita di tutti i
giorni. Una bellezza secolare è la matriarca
Sara. Perché Pietro non usa Abramo come pa-
triarca (come farà S.Paolo, nostro padre nella
fede), Pietro invece privilegia Sara come ma-
triarca.
La fede legata alle “sante” donne
Cosa fa Sara? Sta al suo posto, subordinata al
marito, però questo non deve comportare ne‟
timidezza ne‟ titubanza. Il che vuol dire che
queste bellissima donna Sara insegna una fede
sperante e ci insegna una speranza credente,
perché non si lascia intimidire da niente e da
nessuno. Di Sara siete diventate figlie se ope-
rate il bene e non vi lasciate sgomentare da
nessuna minaccia. In questo senso, guardate
che è sorprendente, dalla lettera di Pietro ven-
gono chiamate figlie di Sara; è anche vero che
il culto a Maria maturerà molto tardi nella
Chiesa cattolica, però vale la pena di non per-
derlo come fondamento.
Donne sante della Bibbia… però sono donne
sante della nostra famiglia. Credo che la no-
stra fede al 90% la dobbiamo a delle donne
della nostra famiglia. Non per cattiveria… la
dobbiamo un po‟ alle donne della nostra fa-
37
miglia, ma nel termine bello e profondo del
significato… non è dispregiativo per niente…
Vi passo un pezzo molto bello di Agostino
che ricorda sua madre Monica: lei, stando al
suo posto, accanto al suo sposo non credente,
riesce a guadagnare a Cristo sia lo sposo, sia
la suocera, e tutta la casa. Quindi la capacità
di santificare e di salvare:
La suocera, sulle prime, l’avversava per le insinua-
zioni delle serve maligne. Ma conquistò anche lei
col rispetto e la perseveranza nella pazienza e nel-la dolcezza, cosicché la suocera stessa denunziò al
figlio le lingue delle fantesche, che mettevano ma-le fra lei e la nuora turbando la pace domestica.
Tra due anime di ogni condizione, che fossero ve-
nute in urto e discordia ella, se appena poteva, cercava di mettere pace. Finalmente si guadagnò
anche il marito negli ultimi giorni ormai della sua vita temporale, e dopo la conversione non ebbe a
lamentarsi da parte sua degli oltraggi che prima
della conversione ebbe a tollerare. Era poi la serva dei tuoi servi. Chiunque di loro la conosceva tro-
vava in lei motivo per lodarti, onorarti e amarti grandemente avvertendo la tua presenza nel suo
cuore dalla testimonianza dei frutti di una condot-ta sana.
d. La delicata situazione di uno sposo cre-
dente “coerede con lei della grazia della vi-
ta”
La delicata attenzione di uno sposo credente
(una pennellata). Per i mariti, abbiamo detto,
la lettera non spende che poche parole. C‟è
un‟immagine molto bella, quella che è coere-
de della stessa Grazia. Poi la lettera paga il
tributo alla cultura parlando della donna come
sesso debole, della donna come vaso più deli-
cato, ma soprattutto quello che conta è come
lo descrive: rendete onore alle mogli perché
partecipano con voi alla Grazia della Vita. Il
che vuol dire che i mariti non sono ne‟ padro-
ni ne‟ superiori, ma partecipi dello stesso do-
no che li coinvolge in questa misteriosa cor-
rente di vita.
I primi Padri della Chiesa come Ambrogio (o
peggio ancora il maschilista Tertulliano) ha
delle pagine stupende di amore per la moglie.
Guardate che è stupendo leggere questo. Leg-
gerlo però nella cultura. In questo senso la Pa-
rola libera. Quando S.Ambrogio dice: non sei
suo padrone, bensì il suo marito; non ti è sta-
ta data in schiava ma in moglie; ricambia a
lei le sue attenzioni verso di te e sii ad essa
grato del suo amore. E Pietro chiude la breve
esortazione “e così non saranno impedite le
vostre preghiere”. Guardate che questa sotto-
lineatura è forte. Sembra di dire… ma che ca-
volo c‟entra… adesso cosa c‟entra….
Preghiera e tenerezza coniugale
Ricordate la parola di Gesù: se vai a messa, se
vai all‟altare a presentare la tua offerta, e sai
che c‟è qualcuno che ha qualcosa con te, fai
una cosa da chàris, da Grazia: lascia lì la tua
offerta e va prima a riconciliarti con il tuo fra-
tello. Provate a pensare la lettera di Pietro con
quale coraggio applica questo alla relazione
tra marito e moglie, tra gli sposi. Questa è la
domanda: come potrebbe il Dio della tenerez-
za e dell‟amore accogliere le preghiere di una
sposa o di un marito che si mostra duro con la
sposa? Guardate che è molto forte: come fa il
Dio della tenerezza accogliere la preghiera di
uno sposo che è duro con la sua sposa? E allo-
ra provate a pensare alla preghiera che nasce
dalla tenerezza e dalla comunione. Credo che
questo sarà sempre uno dei punti del cammino
della spiritualità. E la domanda che continue-
rò a ripetere: amici sposi; pregate? Quando
pregate? Come pregate? Due campanelli
d‟allarme: una coppia di sposi si sta separan-
do quando i due non fanno più l‟amore, e
quando i due non pregano più insieme. Sono
le due grandi intimità: l‟intimità del corpo e
quella dello spirito.
5 – Chiamati a costruire la civiltà
dell’amore (3, 8-12)
E finalmente siate tutti concordi, partecipi del-
le gioie e dei dolori degli altri, animati da af-
fetto fraterno, misericordiosi, umili, non ren-
dete male per male, ne‟ ingiuria per ingiuria,
ma, al contrario, rispondete benedicendo; per-
ché a questo siete stati chiamati per avere in
eredità la benedizione.
Credo che ormai vedete che più andiamo a-
vanti, prendendo familiarità e dimestichezza,
ritorna una continua risonanza. Chiamati a
quello che Paolo VI amava dire, “ a costruire
la civiltà dell‟amore”.
La vita cristiana è una vita di fraternità “in
cerca dei fratelli”. 5 virtù importanti
Una bella condotta è la vita cristiana e frater-
nità, ed è vita di comunione. Ieri sera con Jor-
dan abbiamo gustato “in cerca dei fratelli”.
38
Soltanto 5 parole o 5 virtù per una vita frater-
na, per una fraternità, per una comunione: sia-
te concordi, compassionevoli, fraterni (pro-
prio amanti dei fratelli), misericordiosi, se
vuoi amare e vivere la fraternità devi avere
budella, viscere materne, e non vergognatevi
di averle (in particolare i maschi), e poi chi
vuole creare comunione deve farsi piccolo.
Mi ha stupito una cosa: i neocatecumenali mi
hanno detto che al convegno ecclesiale di
Sassone (86-87) io avevo detto una cosa me-
ravigliosa, raccontando la favola-parabola
della macedonia. Voi sapete com‟è fatta la
macedonia: i frutti grossi li tagli a pezzi… il
fortunato sapete chi è? Il piccolissimo che non
viene tagliato, il ribes, che va giù intero…
Ecco chi costruisce la comunità: l‟umiltà, il
piccolo; se vuoi costruire puoi solo farti pic-
colo. Non c‟è altra storia. Ricordate la lettera
di Giacomo? Ci eravamo anche presi un im-
pegno; per un anno intero ci eravamo regalati
collettivamente un impegno: tenere a freno la
lingua. Ve lo ricordate… vuol dire che la vo-
stra memoria è un luogo dove abita lo Spirito.
6, 13
E chi vi potrà fare del male, se sarete ferventi
nel bene?
C‟è un punto molto grande; dice: adorate Cri-
sto non solo nell‟Eucaristia, ma adorate Cristo
nel cuore. E sarebbe bello che il cuore di o-
gnuno di noi, il cuore degli sposi, potesse es-
sere un ostensorio. Ecco i due passaggi:
l‟Eucaristia e il cuore. Ricordate l‟espressione
di S.Teresa d‟Avila: Niente vi turbi, niente vi
spaventi, tutto passa. Dio non passa, con la
pazienza si ottiene tutto. Con Dio nel cuore
non manca nulla, solo Dio basta. Vi ripeto le
parole che dissi all‟inizio: amici, niente, nes-
suno nella vita ti potrà mai impedire di vivere
il Vangelo. Nessun partner, nessuna Chiesa,
nessun capo carismatico, nessun prete, nessu-
na situazione, niente e nessuno ti potrà mai
impedire di vivere il Vangelo. Ecco la dignità,
ecco la vita differente. E poi c‟è l‟ultimo nu-
mero, il 18. Non faccio commenti perché ri-
mane l‟icona di questi giorni biblici.
Anche Cristo è morto una volta per sempre per i pec-
cati, giusto per gli ingiusti, per ricondurli a Dio; mes-
so a morte nella carne, ma reso vivo nello spirito. E
in spirito andò ad annunziare la salvezza anche agli
spiriti che attendevano in prigione; essi avevano un
tempo rifiutato di credere quando la magnanimità di
Dio pazientava nei giorni di Noè, mentre si fabbrica-
va l‟arca, nella quale poche persone, otto in tutto, fu-
rono salvate per mezzo dell‟arca. Figura, questa, del
battesimo che ora salva voi; esso non è rimozione di
sporcizia del corpo, ma invocazione di salvezza ri-
volta a Dio da parte di buona coscienza, in virtù della
resurrezione di Gesù Cristo, il quale è alla destra di
Dio, dopo essere salito al cielo e aver ottenuto la so-
vranità sugli angeli, i Principati e le Potenze.
Lettura teologica completa del Catechismo
della Chiesa Cattolica: Nella professione della
fede, nel cosiddetto Credo Apostolico, Gesù
Cristo discese agli inferi, risuscitò dai morti il
terzo giorno. Gesù era disceso nelle regioni
inferiori della terra. Colui che discese è lo
stesso che ascese. Il Simbolo degli apostoli
professa in uno stesso articolo di fede la di-
scesa di Cristo agli inferi e la sua resurrezione
dai morti il terzo giorno, perché è nella sua
pasqua che egli dall‟abisso della morte ha fat-
to scaturire la vita. Cristo tuo figlio che risu-
scitato dai morti fa risplendere sugli uomini la
sua luce eterna, che vive e regna nei secoli dei
secoli, amen.
Le frequenti affermazioni del nuovo testa-
mento secondo le quali Gesù è risuscitato dai
morti presuppongono che preliminarmente al-
la resurrezione egli abbia dimorato nel sog-
giorno dei morti. E‟ il senso primo che la pre-
dicazione apostolica ha dato alla discesa di
Gesù agli inferi. Gesù ha conosciuto la morte
come tutti gli uomini e li ha raggiunti con la
sua anima nella dimora dei morti. Ma egli vi è
disceso come salvatore, proclamando la buo-
na novella agli spiriti che si trovavano prigio-
nieri. La Scrittura chiama inferi, sheol o ade il
soggiorno di morti dove Cristo morto è disce-
so, perché quelli che vi si trovano sono privati
della visione di Dio. Tale infatti, in attesa del
Redentore, è la sorte di tutti i morti, cattivi o
giusti, il che non vuol dire che la loro sorte sia
identica come dimostra Gesù nella parabola
del povero Lazzaro accolto nel grembo di A-
bramo. Furono appunto le anime di questi
giusti in attesa del Cristo ad essere liberate da
Gesù discese all‟inferno.
Gesù non è disceso agli inferi per liberare i
dannati, ne‟ per distruggere l‟inferno dalla
dannazione, ma per liberare i giusti che lo a-
vevano preceduto. La buona novella è stata
annunciata anche ai morti (1Pt). La discesa
agli inferi è il pieno compimento
39
dell‟annuncio evangelico della salvezza, e la
fase ultima della missione messianica di Ge-
sù, fase condensata nel tempo ma immensa-
mente ampia nel suo reale significato di e-
stensione dell‟opera redentrice a tutti gli uo-
mini di tutti i tempi di tutti i luoghi. Perché
tutti coloro i quali sono salvati sono stati resi
partecipi della redenzione.
Cristo dunque è disceso nella profondità della
morte affinché i morti udissero la voce del fi-
glio di Dio e ascoltandola vivessero. Gesù,
l‟autore della vita, ha ridotto all‟impotenza
mediante la morte colui che della morte ha il
potere, cioè il diavolo. Liberando così tutti
quelli che per timore della morte erano sog-
getti a schiavitù per tutta la vita. Ormai Cristo
resuscitato ha potere sopra la morte e sopra
gli inferi. Nel nome di Gesù ogni ginocchio si
piega nei cieli, sulla terra e sotto terra.
ICONA DELLA LETTERA DI PIETRO
(Luisanna)
Pensata come icona per la lettera di Pietro e in particolare per il tema della speranza. Dopo averci
riflettuto un po‟ ci è sembrata l‟immagine forse più solida per voi, perché la speranza è un frutto
adulto, non infantile. E‟ una virtù teologale al pari delle altre ed è solida; la sua solidità per noi cri-
stiani si può basare solo su questa certezza, che Cristo è risorto, altrimenti non c‟è speranza.
E‟ una riflessione che era già nata dall‟incontro con padre Giordano Muraro che aveva chiesto
un‟icona cristiana del perdono, e mi era venuta in mente proprio la stessa icona: la resurrezione e il
perdono. Il titolo dell‟icona è scritto in greco con i caratteri liturgici antichi che sono stati mantenuti
(sapete che il greco rimane la lingua della Chiesa indivisa, la prima lingua della koiné). C‟è scritto E
ANASTASIS, che noi traduciamo con resurrezione. Il termine letterale significa “tirare in piedi”
“mettere in piedi” “perdono” “resurrezione”… è la stessa azione di Cristo quella di mettere in piedi
qualcuno che è steso. La nostra speranza si fonda sul fatto che qualcuno è in grado di metterci in
piedi… siamo dei salvati…
Io sono qui per darvi solamente alcune chiavi di lettura, poi ce la gusteremo anche con l‟omelia di
cui ci parlava Carlino, e credo che sia molto bello continuare a gustarla mentre lui parla durante
questi giorni avendo coscienza di che cosa abbiamo davanti. Cosa vediamo? C‟è Cristo che scen-
de… scende in un modo particolare. La resurrezione è l‟apoteosi massima, probabilmente: di solito
le icone hanno due vie per esprimere il tema del Cristo Glorioso. Una è il Cristo in piedi, che con le
spalle dritte prende per una mano Adamo e per l‟altra Eva (comincia da loro, in termini cronologici:
i primi che si porta su sono i primi che sono scesi). E‟ una figura biblica, per chi conosce il linguag-
gio biblico (Paolo dice “a causa di Adamo…”). Cristo con le spalle dritte, ben dritto (proprio il tema
dell‟anastasis), lui risorge e si rimette in piedi (“Io posso dare la vita quando voglio e riprenderla
quando voglio” dice S.Giovanni): lui è il Kyrios, e come Signore ci riporta su in Adamo ed Eva, di
solito al centro della scena (parliamo dell‟icona del seminario perché conosco quella, avendola par-
tecipata), glorioso, in un cerchio di stelle (i cieli dei cieli, secondo la cultura e tradizione antica, do-
ve si considerava l‟universo come una serie di strati di cieli… Paolo parla del settimo cielo…) per-
ché come signore del cosmo viene rappresentato al centro di una mandorla o di cerchi concentrici.
Allora c‟è questa prima icona, questo primo modo di interpretarlo.
Accanto a questo la tradizione ha sempre avuto esigenza di perfezionarsi perché l‟icona, a differen-
za dell‟immagine religiosa, a soggetto religioso, è un‟immagine ecclesiale nel senso proprio sostan-
ziale del termine; cioè l‟icona deve annunciare quello che annuncia la Chiesa, non la mia esperienza
personale di fede. Ognuno di noi ha un‟esperienza di Cristo, ma l‟annuncio del Vangelo è un depo-
sito che rimane sulle ginocchia della Chiesa. Queste due vie sono state mantenute, e questa è la se-
conda. Dove Gesù è sempre glorioso e sempre all‟interno dei cieli, ma nella sua massima gloria c‟è
il suo massimo cascamento. Noi diremmo che nella Croce Dio si è abbassato… qual è stata la ke-
nosys massima? La crocifissione, dove Dio è stato trattato da peccato.
40
No, l‟icona ci dice che lui si è abbassato ancora di più… è sceso agli inferi: non ha mangiato solo la
terra, è sceso sotto la terra, e nella massima discesa c‟è la massima gloria, l‟apoteosi. Tant‟è vero
che solo in questa traduzione dell‟anastasis Cristo porta le stigmate: lui continua ad avere i segni
della passione. E com‟è bello sentire la lettera di Pietro che dice “non a prezzo di cose corruttibili
ma col sangue prezioso”, della serie… non a scherzo ci ha amato! Questi segni rimangono nella
massima gloria: è un tesoro prezioso che si è voluto portare dietro, il suo corpo glorioso mantiene le
stigmate, il segno della misura dell‟amore. Con una mano tira su Adamo, con l‟altra tiene la croce,
la nostra salvezza, questo legno della croce di cui parlava Carlino.
Adamo ed Eva sono anziani, sono all‟interno di un buco… gli inferi, proprio, per eccellenza. Questa
immagine è nata come palliotto d‟altare. Molte comunità usano la notte di Pasqua coprire la parte
anteriore dell‟altare con un pallio con questa immagine. Per noi è ancora poco comprensibile, pur
essendo cristiani… per noi l‟immagine dovrebbe essere efficace quasi in analogia alla Parola, per-
ché Cristo si è fatto uomo, circoscrivibile, definito, limitato: si è limitato in un‟immagine (era uomo
e non era donna), limitato in un‟età, in una nazionalità, in una geografia, in una storia. Questo non è
contingente, è stato una scelta; l‟immagine, la visione, questo Dio che si fa visione per noi (Dio
nessuno l‟ha mai visto) ecco, questo Dio Gesù ce l‟ha rivelato. La visione dovrebbe essere nella tra-
dizione della Chiesa…
Il papa lo accennava più volte prima di essere eletto papa; diceva: riscopriamo le radici della nostra
fede anche in questo senso, di imparare, di re-imparare ad ascoltare la Parola mentre guardiamo con
gli occhi. Questo ci permette l‟esperienza sostanziale della relazione, cioè di non chiuderci dentro
un giro inclusivo, dove siamo solo noi e i nostri ragionamenti, ma ci costringe a uscire a qualcosa
che è sempre altro da noi: la relazione cultuale. L‟immagine lo fa, quindi è una via privilegiata che
ha anche scelto Cristo. Noi possiamo farci un‟immagine di Dio; Dio ha detto “questa è la mia im-
magine, poi inventatevi quello che vi pare”.
Una breve parentesi: quando ascoltiamo la lettera di Pietro, senza farci confondere, senza che sia
un‟interferenza, ma proprio come uno scenario, un sipario in cui far entrare la lettera, utilizziamo
l‟immagine. I colori sono convenzionali: Eva porta il colore del rosso, ma la simbologia è variabile,
quindi non è necessario che noi le andiamo dietro; quello che è importante è questa relazione dove
il Cristo è determinato, non severo ma determinato perché quel passaggio gli è costato caro, e quella
è una scelta volontaria e autonoma di Dio, quella della salvezza dell‟uomo… noi non abbiamo alcun
merito. Dio ha deciso in modo determinato. S.Luca ad un certo punto del Vangelo dice che Gesù
indurisce la faccia e si dirige deciso verso Gerusalemme. I discepoli dicono: ma… andiamo là a mo-
rire? Gesù ad un certo punto non parla più, determinato, proprio con questa espressione. Questa è la
determinazione da parte di Dio di voler salvare noi. Sotto i piedi di Cristo (questa è un‟immagine
tagliata; l‟originale è più completo) ci sono quegli stipiti che lui rompe (a proposito della determi-
nazione…); rompe le porte, con una pedata… Nella tradizione rimane l‟immagine di questa porta
scardinata che lui si mette sotto i piedi. Alcune icone hanno tutti gli infissi che saltano… C‟è una
bella tradizione che è rimasta nella Chiesa orientale, dove il sabato santo la gente con le candele ac-
cese non riesce ad entrare in chiesa (noi, dopo che abbiamo acceso dal cero, entriamo). Loro non
entrano, e il sacerdote bussa forte alla porta e c‟è il sacrestano che fa un rumore di catenacci, e il sa-
cerdote grida “Apri, apri che Cristo è risorto!”, e quello fa un po‟ di resistenza, e allora le porte
vengono aperte con violenza e si entra nel buio dove questa luce irrompe. Un po‟ diverso dalla no-
stra fede un po‟ melensa, dal nostro Gesù un po‟ collo-torto.
41
“State saldi nella grazia di Dio” (5, 12)
Quarta lettura biblica e quarta riflessione
LA VITA CRISTIANA E’ UNA LOTTA
NELL’ATTESA
DELLA GLORIA ETERNA IN CRISTO
Una definizione di questo terzo blocco, di
questo terzo momento l‟ho siglata in questi
termini: che la vita cristiana è una lotta
nell‟attesa della gloria eterna in Cristo.
La vita del cristiano è una continua lotta,
perché continua è la sua passione come
quella di Cristo
Abbiamo gustato ieri, in un modo piuttosto
vigoroso, che la vita del cristiano, la vita del
rigenerato, è una vita altra, una vita differente.
E‟ una vita bella, una vita buona, una vita
beata... però è lotta, una continua lotta. Non
uso il termine di lotta continua perché potreb-
be essere ambiguo… però, battuta a parte,
credo che chi ha avuto l‟intuizione
dell‟espressione “lotta continua” ha avuto una
grossa coscienza: che il limite è permanente.
Credo che sia importante riconoscerlo, che
poi magari le espressioni e le forme esterne
possano dispiacere è un altro paio di maniche;
però non perdiamo mai, in ogni esperienza,
l‟intuizione, la profezia e la verità che porta
dentro di sé. Perché guardate che ognuno è
portatore di bene e mi indica qualcosa. Questa
è la parte vera e profonda del cristiano, ricor-
dando che il cristiano deve rendere ragione
della speranza che è in noi, però sempre con
mitezza e con rispetto. Soprattutto in una retta
e sana coscienza, intelligente, limpida, chiara.
Un leit-motiv sembra per un cristiano la ne-
cessità della passione del cristiano, come “era
una necessità” la passione del Cristo. Scopo
della lettera di Pietro è quello di risvegliare la
vita cristiana nelle comunità, nelle famiglie.
Tante volte gente e comunità cominciano a
vivere nella disillusione, nella stanchezza,
nella decadenza, in un tipo di anzianità. A
proposito di anzianità leggevo un pezzettino
che diceva che non è che quando si è anziani
non ci sono gioie… è perché vengono meno
le speranze… Questo sempre in tono di spe-
ranza.
Prima pericope: 4, 1-6 Poiché dunque Cristo soffrì nella carne, anche
voi armatevi degli stessi sentimenti; [cioè, non
è che dica:… vedete voi… dice proprio “ar-
matevi”] chi ha sofferto nel suo corpo ha rotto
definitivamente col peccato, per non servire
più alle passioni umane ma alla volontà di Dio
nel tempo che gli rimane in questa vita morta-
le. Basta col tempo trascorso nel soddisfare le
passioni del paganesimo, vivendo nelle disso-
lutezze, nelle passioni, nelle crapule, nei ba-
gordi e nelle ubriachezze e nel culto illecito
degli idoli. Per questo trovano strano che voi
non corriate con loro verso questo torrente di
perdizione e vi oltraggiano. Ma renderanno
conto a colui che è pronto a giudicare i vivi e i
morti; infatti è stata annunziata la buona no-
vella anche ai morti, perché pur avendo subìto,
perdendo la vita del corpo, la condanna comu-
ne a tutti gli uomini, vivono secondo Dio nello
Spirito.
1 – Trovano strano che voi non corriate
con loro (4, 1-6)
Una sosta dentro questo momento della Paro-
la. Ora Pietro riprende il discorso dal punto di
partenza: Cristo ha sofferto e Cristo ha patito.
Quindi anche il cristiano dovrebbe essere ar-
mato degli stessi sentimenti e dello stesso
pensiero di Cristo. Quindi rompere con le
brame del mondo e essere capaci di risponde-
re alla volontà di Dio. Al vers. 3 vedete che
c‟è un grido: Basta! Credo che ci siano dei
momenti che capitano anche a voi da bravi
genitori per cui ai figli, quando hai finito tutte
le prediche, tutte le dolcezze, arriva una paro-
la che è da dio: Basta! Anche perché sapete
che ci sono dei momenti in cui le parole sono
finite, ed è bene che finiscano perché non di-
ventino chiacchiera.
Allora evitate sempre che le parole diventino
chiacchiera, e gli devi dare la potenza della
parola, se no svuoti la parola. Basta con il
passato. Basta, direbbe anche l‟apostolo Pao-
lo, con l‟uomo vecchio, con le passioni di un
tempo. Questo stile non negativo ma impor-
tante, cristiano, di anticonformismo, non è che
viene raggiunto una volta per tutte e una volta
per sempre, perché arrivati alla mia età (61
anni) la tentazione di accomodarmi, di cedere,
di patteggiarmi, di omologarmi, è permanen-
te. Non è una cosa che ho risolto una volta per
tutte e una volta per sempre, perché ogni tanto
42
mi faccio esperienze intense, importantissi-
me… ma è permanente. Il che vuol dire che
dentro il mondo c‟è quella realtà bella, affa-
scinante, stupenda, meravigliosa che è il de-
moniaco (vedremo circolare il diavolo come
leone ruggente che va a cercare chi divorare),
perché il mondo è sempre in agguato.
La tentazione di mondanizzarsi è perma-
nente
Quando parlo del mondo non parlo degli al-
tri… parlo di me… il mondo è sempre subdo-
lo. Perché se la violenza fosse esterna, se il
male fosse esterno, lo vedi… ti fa schifo. Le
cose che ti fregano sono quelle subdole.
D‟altra parte, voi lo sapete molto bene, tra
uomo e donna quelle che ti fregano nel rap-
porto sono le cose subdole, non dette, non
chiare, mai dette, mai chiarite… e soprattutto
(che mi piace tanto) non dire e non chiarire
perché poi è finita, è finito il gioco, sono finiti
soprattutto i giochi.
La Lettera di Pietro è più importante della
sua Basilica
C‟è una lettera simpaticissima del 395 che
S.Agostino scrive all‟amico Alipio, e racconta
come abbia dovuto lottare per distogliere i
cristiani di Ippona da una cosiddetta festa che
anche loro avevano, la loro festa patronale,
che era la festa dell‟allegrezza. E allora ave-
vano una tradizione continuata per 2000 anni,
un‟usanza di celebrare le feste dei santi con
grandi sbevazzate. Quindi c‟era questo picco-
lo caso di vita comunitaria. Guardate che è
fortissimo rileggere la storia nella Chiesa e
con la Chiesa. La cosa degna di nota è che
S.Agostino chiama in causa la 1Pt a sostegno
della sua presa di posizione. Quindi va a
prendere una Parola di Dio che sia autorevole
e prende appunto la prima lettera di Pietro. E
dice: a quanti gli adducevano esempi di quo-
tidiana ubriachezza, provenienti dalla basilica
del beato apostolo Pietro (il che vuol dire che
anche nella basilica del beato apostolo Pietro
facevano cosine strane) rispondeva che la let-
tera di Pietro è più importante della sua basi-
lica. Non so se è sufficiente come immagine,
perché l‟immagine ha sempre un potere evo-
cativo permanente. La razionalità la dimenti-
chi. Molto semplice… l‟ho trovata e valeva
la pena di farla risonare. Lo ripeto: la lettera
di Pietro è più importante della sua basilica. E
dice: se onoravamo l‟apostolo Pietro doveva-
mo ascoltare i suoi precetti, e tenere presente
con molta maggiore devozione l‟epistola in
cui si manifesta la sua volontà che non la ba-
silica in cui si manifesta. A me piace molto
questo linguaggio. E per dimostrarlo cita ap-
punto questo: avendo Cristo sofferto nella
carne per noi, armatevi anche voi della stessa
convinzione. Colui che ha sofferto nella carne
si è staccato dalla carne, per vivere il tempo
che gli rimane da vivere nel corpo non più se-
condo le passioni umane ma secondo il volere
di Dio. Nel senso che per salvarti e per redi-
merti, la salvezza e il cambiamento ti passano
attraverso il corpo, cioè ci devi soffrire. Sarà
un concetto che riprenderemo, quando parle-
remo del grande dono e della grande virtù
dell‟umiltà.
2 . Come vivere questo tempo di attesa. 4, 7-
11
All‟umiltà ci arrivi solo attraverso le umilia-
zioni, non ci arrivi attraverso i ragionamenti.
D‟altra parte sai che ogni esperienza che pas-
sa dal corpo è un‟esperienza indelebile. Que-
sto è un dato fondamentale. Le esperienze in-
delebili non sono quelle che passano dalla
mente, sono quelle che passano dal corpo.
Corpo inteso nel valore biblico di una totalità,
corpo anche fisicamente. Non per niente
quando vieni colpito proprio nel corpo, vieni
colpito anche nella tua totalità. Grazie a Dio
ora sono arrivate pure le scienze umane; do-
mineddio l‟aveva sempre detto, però abbiamo
sempre dissociata questa idea. Per cui è im-
portante viverlo, ed è importante che lo dicia-
te in particolare anche ai ragazzi: che qualun-
que esperienza che passa dal corpo non è mai
un‟esperienza neutra, perché è sempre
un‟esperienza totalizzante. Anche se uno ra-
zionalmente la vive con una modalità, però è
una realtà che ti segna permanentemente.
Questo poi sarebbe un altro tipo di lettura…
che la sofferenza è un rivelatore molto grosso,
fino poi ad arrivare alla grande esperienza to-
tale che è il dono del corpo nella morte e at-
traverso la morte, perché è un dono che non
puoi fare una seconda volta, cioè è irreversibi-
le. Di qui anche l‟esperienza, la cultura tre-
menda di ricordare a noi stessi e ricordare in
particolare anche ai ragazzi che non c‟è niente
per prova. Per prova non puoi fare niente. Se
43
lo fai, è un discorso; però per prova non puoi
fare niente. Non puoi provare a morire, non
puoi provare a fare un figlio, non puoi provare
niente delle cose grandi. Sembrerà sciocco…
vi occorrerà una grande esperienza per prepa-
rarvi alla prova… scusate, faccio una battuta
scema: non puoi provare a vincere un mondia-
le… ti puoi preparare…
Cap 4, 4
Per questo trovano strano che voi non corriate
insieme con loro verso questo torrente di per-
dizione.
Cosa vuol dire? Che se trovano strani i cri-
stiani, oltre che stranieri (la radice è uguale)
vuol dire che la loro identità è chiara. Quindi
bene o male ci sono delle esperienze che o-
gnuno di noi fa e ti accorgi che l‟ambiente che
sta attorno… non parlo soltanto di quelli che
credono, ma soprattutto coloro che a modo lo-
ro dicono di credere… quando trovano strano
che tu… quante volte ti capita… anche per le
cose più sciocche… provate anche a pensare
alla Parola di Dio in termini letterari quale ef-
ficacia ha, proprio anche in termini di scrittu-
ra, in termini di presentazione… Quindi trova
strano il nostro modo di comportarsi e di vi-
vere, vivere in un modo differente.
Qui c‟è una cosa molto bella: guardate che
oggi la differenza è diventata, come si dice in
inglese, “pride”, orgoglio… e guardate che
quando una realtà, anche un grande valore di-
venta orgoglio, probabilmente non è mai un
valore, comunque non è più un valore. Questo
succede anche in santa madre Chiesa, e in tan-
te esperienze. Discorso del figlio; il figlio è un
valore, quando un figlio diventa “a tutti i co-
sti” non è più un valore. Credo che questo co-
dice sia molto chiaro, perché è un codice da
Dio e come tale rende l‟uomo uomo. Conti-
nuerà a salvare l‟uomo come uomo. Vivere in
modo differente: la diversità non è orgoglio,
non è vanità, non è il vanto di una superiorità
morale, mentale… significa soltanto comin-
ciare a diventare odiosi, antipatici e detestabi-
li. E se tante volte come cristiani diventiamo
odiosi e detestabili e se volete antipatici, non
è per il nome di Gesù Cristo, perché la mia
diversità la trasforma in orgoglio, in potere, in
vanità.
Credo che sia importante la luce della sua Pa-
rola. Il primo ad essere strano è Gesù Cristo:
Cristo è strano, Cristo è straniero, Cristo è di-
verso. E‟ strano, straniero e diverso sempli-
cemente perché è giusto, perché è santo (ri-
cordate che santo vuol dire “separato”) per
eccellenza, però lui non si è mai separato
dall‟umanità, anzi ha dato la sua vita. Vedete
che la radice ormai ritorna; non dico che
stiamo ripetendo, ma dico che stiamo fondan-
do e approfondendo molto. Quando accanto a
noi troviamo persone belle, pulite, oneste… ci
piacciono, però sinceramente… rompono!
Guardate che questo è permanente. La perso-
na bella e giusta ti piace, però sinceramente ti
rompe… Parliamo di noi che abbiamo alti po-
tenziali… provate a risentire allora la vicenda
di Cristo, come la vicenda del giusto, di ogni
persona bella, buona, beata, pulita, nella sto-
ria. Guardate che paradossalmente c‟è proprio
questo nella vita: è una verità che affascina la
bellezza, il pulito, l‟onesto… ti fa ammirare…
dall‟altra parte però è insopportabile. Provia-
mo a risentire tutti i profeti… davanti al Giu-
sto dice (credo che sia Geremia) “questo è in-
sopportabile per me”… questo ci rompe per-
manentemente, ma non perché chiacchiera:
col suo stile di vita… questo lo dobbiamo fare
fuori! Infatti vedete che tendenzialmente
l‟onesto, che non sia fatto in un modo di or-
goglio, viene sempre fatto fuori, o comunque
ha una vita molto difficile. Se non sei legato
in qualunque contesto… non dico di lobby…
sei veramente nella solitudine, permanente, in
qualunque campo, anche all‟interno di santa
madre Chiesa.
Con la grande libertà che niente e nessuno mi
potrà mai impedire di vivere il Vangelo. Cre-
do che sia questa la grande e stupenda libertà.
Non abbiamo nessuna garanzia, però abbiamo
l‟unica vera e grande sicurezza dentro di noi
ma anche fuori di noi. D‟altra parte l‟essere
cristiani non è un concorso di bellezza, non è
una corsa a star bene, è un po‟ una vita a caro
prezzo. E allora rimane l‟altro aspetto 4, 7-11
Un‟altra pericope; sarebbe come vivere que-
sto tempo di attesa, questo mio “frattempo”.
Qui troveremo 4 o 5 indicazioni. 4, 7:
La fine di tutte le cose è vicina.
44
Un particolare, se non l‟ho già detto: le prime
comunità sentivano imminente la venuta del
Signore. Pensavano che avesse chiuso al volo
la cosa, dopo la morte e la resurrezione…
quindi che la parusia, la venuta, fosse immi-
nente. Col fatto stesso che poi Gesù, quando
parla, parla di persecuzioni, di segni nel cielo,
nelle stelle… al di là della lettura… e siccome
cominciano ad esserci persecuzioni dicono
“probabilmente ci siamo”. Anche oggi, quan-
do cominciano un po‟ di catastrofi e di terre-
moti, bombardamenti, guerra… cominciamo a
dire “ci siamo alla fine del mondo”.
La fine di tutte le cose è vicina. Siate dunque
moderati e sobri, per dedicarvi alla preghiera
[non per un problema di dieta e di linea…].
Soprattutto conservate tra voi una grande cari-
tà [guardate che questo è un tormentone!],
perché la carità copre una moltitudine di pec-
cati. Praticate l‟ospitalità gli uni verso gli altri,
senza mormorare.
Ogni tanto quando abbiamo finito… parlo di
me: quando ho finito di fare il bene, dico:
Carlino, fermati. Fatti una doccia, esci e vai a
fare due passi, sdraiati, metti su un film di
Charlot… fermati! Perché la fregatura poi ro-
vina tutto. Come si rovina tutto con l‟altro av-
verbio “però”. Guarda, sei bravo… sei stu-
pendo… però… Dici a tuo figlio: è stato un
anno bello. Hai fatto una pagella bellissima e
siamo contenti. STOP! Ecco la fregatura:
..però… oppure: peccato che… 4,11
Praticate l‟ospitalità gli uni verso gli altri, sen-
za mormorare. [Altro punto molto bello:] Cia-
scuno viva secondo la grazia ricevuta.
La tua grazia può essere il fatto di essere ber-
gamasco, di essere di una razza… tutto ciò
che noi siamo e che a volte non piace a me e
non piace manco agli altri è grazia.
Ognuno viva secondo la grazia ricevuta met-
tendola a servizio degli altri come buoni am-
ministratori di una multiforme grazia di Dio.
Chi parla, e ha il dono della parola, lo faccia
con parole di Dio. Chi esercita un ufficio lo
compia con l‟energia ricevuta da Dio, perché
in tutto venga glorificato Dio per mezzo di
Gesù Cristo al quale appartiene la gloria e la
potenza nei secoli dei secoli. Amen!
Mi piacerebbe, amici, dentro la vostra identità
meravigliosa, unica nella storia, dentro anche
la contemporaneità bella di questo giorno con
tutte le famiglie del mondo… provate a senti-
re su di voi, proprio come genitori, questa Pa-
rola. Quando parlate, tra di voi e con i figli,
fatelo con parole di Dio; quando esercitate un
ufficio (e l‟essere genitori deve essere davve-
ro unico) fatelo con l‟energia ricevuta.
L‟obiettivo è uno solo: non è di salvare la vo-
stra faccia e neanche, come dite, “il bene dei
figli”. I vostri figli avranno il bene quando ciò
che fai sarà a gloria di Dio. Perché tutto ciò
che fate “per il bene dei figli” è una castrazio-
ne, perché non è il bene dei figli, è il bene vo-
stro, cioè piace a voi. E Dio che fa le cose da
Dio ha sempre detto di lasciare gli uomini,
compresi i figli, a sua immagine e somiglian-
za, e di non farli mai a vostra immagine e so-
miglianza.
Rimane per ora la parola di Gesù dentro
l‟immagine molto bella… quando dice: guar-
date i fiori dei campi e gli uccelli del cielo; ti
dice: vivi sempre con molta serenità… vivi
sempre con tanta serietà, ma anche con molta
serenità. Credo che questi siano i due criteri,
per cui dal di fuori nessuno ti può risponde-
re… ogni volta sei chiamato a discernere. Pe-
rò quando vedo che mi salti il livello di sere-
nità e quello di responsabilità, c‟è qualcosa
che non va. Devo recuperare i due punti. E‟
Parola sua. La fregatura è che magari noi vor-
remmo dare delle risposte, che io possa even-
tualmente discernere insieme attraverso la sua
Parola. Però credo che siano permanentemen-
te i due punti. Perché magari ognuno di noi
quando sente una cosa bella dice OK ho tro-
vato le risposte… Le risposte di cosa?? Per-
ché poi è sempre dentro una realtà unica e ir-
repetibile che mai nessuno conosce, neppure
tu, che è la tua di vita. Se non di riporla nel
cuore e nelle mani di domineddio, come pure
riporre quella delle persone e dei figli. Però è
una continua lotta da questo punto di vista,
che però ti esprime una passione. E il giorno
in cui abbassi il livello ti trovi proprio som-
merso. Questo non lo puoi mai fare in solitu-
dine.
La solitudine è la cosa più tremenda al cuore
di Dio, è la disgrazia e il male più grande. Fin
dall‟inizio ha gridato non è bene che l‟uomo,
che la donna, che l‟essere umano sia solo.
Tutto ciò che vive in solitudine è dolo distru-
45
zione, o di te stesso o di qualcun altro. Sono
punti molto semplici ma anche molto essen-
ziali.
a – Nella sobrietà e moderazione per essere
svegli… nella preghiera
Alcune sottolineature. Siate dunque moderati
e sobri. Moderato e sobrio è il vigile, perché
non può essere preso dalla vertigine, dallo
stordimento; sa che il Signore viene, così il
sobrio e vigilante ha l‟intelligenza di non ap-
pesantire mai la mente, perché quando la
mente è piena di troppe cose proprio non reg-
ge. E non appesantire neanche lo stomaco, ri-
peto non per una linea o dieta di benessere,
ma per dedicarsi alla preghiera (vegliate e
pregate…). Ricordo a me, più che a voi, che
alcune realtà di male o di tentazione si vinco-
no solo, dice Gesù, con il digiuno e con la
preghiera. Giragli attorno come vuoi, magari
dopo 40 anni sei ancora inchiodato lì… alcu-
ne cose le puoi vincere solo con la preghiera e
con il digiuno.
Stati attenti perché i nostri cuori non si appe-
santiscano (ricordate il Vangelo di Luca: ve-
gliate ogni momento e pregate perché abbiate
la forza di sfuggire a tutto ciò che deve acca-
dere, e soprattutto siate svegli per il grande
appuntamento). Inutile che facciamo le corna,
se in questo istante Dio chiamasse me o o-
gnuno di noi… sarei pronto
all‟appuntamento? E‟ l‟unica cosa che vale…
veramente ti giochi tutto, e queste immagini
ci aiutano in termini molto corposi…
b – Nell’amore fraterno: è la virtù della no-
stra salvezza finale
Altro punto è l‟amore fraterno: conservate tra
voi una grande carità perché l‟amore copre
una moltitudine di peccati. Il che vuol dire
che ha un grande valore espiatorio. Vedete
che l‟avverbio che usa è “soprattutto”, più di
tutto, più di ogni altra cosa, perché più grande
di tutte, più della fede e della speranza, è la
carità. Sapete che il grande pericolo (lo tro-
viamo già nel Vangelo) è il raffreddamento
dell‟amore, quando viene detto nel Vangelo
“per il dilagare dell‟iniquità l‟amore di molti
si raffredderà”. Quante volte noi perdiamo
l‟amore vedendo tutto il male e quello che
non va… continui a fare il bene e hai peda-
te… è il raffreddamento dell‟amore. Ci sono
rischi… il rischio della Chiesa qual è? Non è
che non ci sia più il Vaticano… è di perdere
la carità nel corso dei secoli. E qual è il ri-
schio di ognuno di noi come cristiano? E‟ di
perdere la carità nel corso della mia vita.
Credo che i punti siano estremamente chiari
ed essenziali. Non so voi… io ho 61 anni e
credevo che con il passare degli anni aumen-
tasse il mio amore per gli altri; ho la sensa-
zione che a volte ci si restringe molto… a-
miamo maledettamente noi stessi… L‟amore
fraterno è la grande virtù, essenziale, escato-
logica, perché riguarda la mia finale, riguarda
cioè il destino della mia vita. Sorelle, alla sera
della mia e della vostra vita, saremo giudicati
sull‟amore. Saremo giudicati con amore, sa-
remo giudicati per amore. Saremo giudicati
nell‟amore, però il punto che interessa è che
sarò giudicato sull‟amore. Guardate la parola
di Gesù di fronte alla donna: i tuoi molti pec-
cati ti sono perdonati perché hai amato molto.
c . Praticando l’ospitalità… senza mormo-
rare
Terzo dono, terzo amore per vivere benissimo
questo tempo che Dio ci donerà: l‟ospitalità.
Pratica dell‟ospitalità: qui c‟è una parola mol-
to importante, perché per Gesù, i discepoli e
la Chiesa primitiva il problema ogni tanto era
proprio di trovare casa. Quindi la cosa era
molto concreta, non era un principio generale,
ma proprio dentro la concretezza di vita. Era-
no chiamati proprio a praticare l‟ospitalità:
poveri, stranieri, immigrati… ma parla di
un‟ospitalità vicendevole. Perché? Perché tutti
siamo stranieri e pellegrini. Cioè, non farlo
perché sei bravo, sei buono, ti è toccata in sor-
te una casa molto bella che non sai cosa farte-
ne… a chi la darai… ma ospitalità per ricor-
darti che tu sei straniero ed ospite.
Nel codice biblico è molto bello questo: che
nessuno di noi ha qualcosa di suo, ma io con-
divido quello che anch‟io ho ricevuto. Scu-
sa… non è che ti accolgo nella MIA casa…
(guarda quanto sono bravo…) ma condivido
con te quella casa che anch‟io ho ricevuto.
Condivido con te quella famiglia che anch‟io
ho avuto in dono… non mi dilungo ma guar-
date che questa è la radice biblica; radice che
noi non abbiamo non per cattiveria, forse alle
volte anche per mancanza di conoscenza.
46
Praticate l‟ospitalità. In altri passi viene detto
“accoglietevi gli uni gli altri”; la radice è
sempre quella: come Cristo ha accolto noi.
Sarebbe bello sviluppare questo tema
dell‟accoglienza: nel rapporto tra voi due, tra
sposo e sposa, accogliere l‟altro… Ospitare
non vuol dire tenere dentro più o meno, ma
veramente accogliere, ospitare l‟altro, e sapete
che l‟ospite è sacro. Quindi il tuo uomo nel
tuo cuore di donna è sacro, e lui nel tuo cuore
e nella tua casa come sacro può vivere di tutto
e godere di tutto. Però lui, o lei, dovrebbe a-
vere un‟attenzione: che non può mai diventare
padrone del cuore dell‟altro, anche se può go-
dere tutto. Provate ad avere questa coscienza
di ospitalità; credo se l‟applicate avete poi
l‟esperienza quotidiana per viverla. Guardate
che non è facile accogliere l‟altro e dirgli “tut-
to tuo”; l‟unica cosa che sai è che non diven-
terà mai padrone, e come tale non ti farà mai
del male, perché chi ti fa del male (lo vedre-
mo) è il padrone, è il potere che ti fa il male.
E‟ tutto dono, e anch‟io l‟ho ricevuto: il mio
cuore, la mia intelligenza, i miei affetti, mio
padre, mia madre, la mia generazione, la mia
parentela… ho ricevuto tutto in dono; se puoi
godila, vivila, però un‟attenzione tua e mia:
nessuno di noi diventa padrone. Non c‟è biso-
gno di far su tante morali coniugali e familia-
ri; credo che l‟etica poi è la radice ed è una
sola. Ripeto un titolo che ho detto ormai da
tanti anni: sapete che una cosa bella della no-
stra casa è la porta, e sapete che quando c‟è
l‟anno santo cosa si fa? Si apre la porta, la
Porta Santa. Provate a pensare se almeno le
case dei cristiani avessero la Porta Santa! La
Porta Santa è quella che si apre. Non vado ol-
tre… vado avanti solo per immagini ed evo-
cazioni. Ricordate l‟altra espressione (credo
che sia della Lettera agli Ebrei): “Qualcuno,
praticando l‟ospitalità, ha accolto degli ange-
li”. Provate a pensare all‟esperienza, ad e-
sempio, di Abramo. Qui potete metter dentro
tutto: affido, adozione… non soltanto dei
bambini o degli anziani… non limitiamoci
mai. Guardate, l‟amore è fantasia, l‟amore è
creatività, non è un problema di settore o di
categoria… è un problema veramente di cuo-
re, e chi ha cuore ha intelligenza; di solito chi
ha intelligenza ha cuore.
Col particolare: senza mormorare. Della serie:
come bravi cristiani, anche stamattina… sono
andato a messa… c‟era quello che rompeva…
fuori dalla chiesa, piazzato lì… della serie
“prima di andare a celebrare l‟eucaristia…
quanto rompono”… E‟ una parola molto
grossa… poi si possono trovare delle risposte,
ma prima di trovare delle risposte bisogna ri-
convertire un cuore dentro. Ognuno ha il suo
carisma, come dono per tutti (vedete che cari-
sma si rifà a chàris), la sua grazia per il bene
di tutti. Perché i cristiani sono non dei buoni,
ma belli amministratori, economi della Grazia
di Dio. Qual è l‟unica coscienza liberante del
nostro agire? Che in tutto sia glorificato Dio,
per mezzo di Gesù Cristo.
d – Vivendo i propri carismi come bene per
tutti
Un altro passaggio: inizia la terza parte della
lettera, l‟ultima. Inizia con agapetòi, carissi-
mi, che vuol dire amatissimi. Sempre amatis-
simi da Dio, e amatissimi da me, dice la lette-
ra di Pietro. E questa parte terminerà con
l‟amen finale. Vedremo che, più che dire delle
cose nuove, ritornano motivi già ascoltati: la
sofferenza cristiana, la perseveranza nel fare il
bene… però il campo di attenzione si sposta
dal di fuori un pochino all‟interno. Come mai
questo clima ostile a livello sociale? Abbiamo
ascoltato: perché trovano strano che voi non
corriate con loro. E se i cristiani sono ritenuti
strani, vuol dire che la società li perseguita
come stranieri; per questo li emargina.
Ricordate Gesù nel Vangelo di Giovanni: “se
voi foste del mondo, il mondo vi amerebbe,
perché il mondo ama ciò che è suo. Ma io vi
ho scelti dal mondo, per questo il mondo vi
odia”.
3 – Lo Spirito di Dio riposa su di voi. ( 4, 12-
19)
Allora un altro bocconcino 4, 12
Carissimi, non siate sorpresi per l‟incendio di
persecuzione che si è acceso in mezzo a voi
per provarvi, come se vi accadesse qualcosa di
strano. Ma nella misura in cui partecipate alle
sofferenze di Cristo, rallegratevi, perché nella
rivelazione della sua gloria possiate rallegrarvi
ed esultare. Beati voi, se venite insultati per il
nome di Cristo, perché lo Spirito della gloria e
lo spirito di Dio riposa su di voi.
47
Guardate che è stupenda questa espressione:
lo spirito di gloria e lo spirito di Dio riposa su
di voi.
Nessuno di voi abbia a soffrire come omicida
o ladro o malfattore o delatore. Ma se uno sof-
fre come cristiano [è l’unica volta che viene
usato il termine cristiano], non ne arrossisca;
glorifichi anzi Dio per questo nome. E‟ giunto
infatti il momento in cui inizia il giudizio [sa-
pete da dove parte il giudizio, prima?] dalla
casa di Dio; e se inizia da noi, quale sarà la fi-
ne di coloro che rifiutano di credere al Vange-
lo di Dio? E se il giusto a stento si salverà, che
ne sarà dell‟empio e del peccatore? Perciò an-
che quelli che soffrono secondo il volere di
Dio, si mettano nelle mani del loro Creatore
fedele e continuino a fare il bene.
a – La sofferenza è la prova del fuoco, veri-
fica la verità-fedeltà nella fede
Guardate che ormai è un tormentone questa
espressione. Alcuni momenti di sosta su
quest‟altra pericope. Non siate sorpresi ma
rallegratevi; quello che vi capita non è stra-
no… qualcosa sta capitando… qui parla di in-
cendio di persecuzione. Nell‟originale greco,
al posto di incendio di persecuzione c‟è un
fuoco a scopo di tentazione, che è molto di-
verso. Vedete che ogni traduzione cambia
proprio l‟atteggiamento e la cultura (è come
leggere due giornali stamattina: ognuno dà il
suo titolo). Qui probabilmente non riguarda il
famoso incendio di Roma per mano di Nerone
(perché quello è il 19 luglio 64), così pure in
Asia Minore non è ancora iniziata quella tre-
menda persecuzione a cura di Domiziano (sa-
rà tra l‟81 e il 96). Però, vi ripeto, si respira
aria pesante, un clima pesante fatto di odio, di
sospetto… Ritorna molto l‟immagine
dell‟incendio, del fuoco, perché il fuoco è
l‟immagine del giorno di JHWH. Ricordate la
parola del Vangelo: ognuno sarà salato col
fuoco.
b – Il giudizio di Dio non è una minaccia: è
una bella notizia.
Però dice: nessuna sorpresa, e neanche nessu-
na paura perché questo, sembra dire, è una
necessità umana, è una necessità divina. Non
è questo, che ti deve spaventare. Quello che ti
deve probabilmente spaventare è il mio tipo di
risposta, e a questo dovremmo educarci ed
educare: guardate che quello che fa la mia vi-
ta… tante volte mi capita e capita anche a voi,
quando raccontate la vostra vita, come la si
racconta? Dalle cose belle e dalle cose brutte
che sono capitate. E secondo le cose belle o
brutte che mi sono capitate tiro la conclusio-
ne: la mia vita è stata una schifezza oppure è
stata… NO, la vita non è tanto in quello che
mi capita, anche se quello che mi capita mi
trasforma la vita, proprio mi sforma comple-
tamente.
Tutto quello che ti capita ti può anche tra-
sformare, deformare tutta la tua vita, però la
risposta non è in quello che capita, non è il si-
gnificato sciocco che l‟uomo è padrone del
suo destino, no, ognuno di noi è padrone e re-
sponsabile della risposta al senso. Diversa-
mente continueremo a vivere in una dimen-
sione cosiddetta di fatalità. E naturalmente
sappiamo che la sofferenza è la prova del fuo-
co, che dice qual è la verità e qual è la fedeltà
della fede, come il fuoco dice se l‟oro è genu-
ino. Qui c‟è ancora tutto il tema della soffe-
renza cristiana, ma assieme alla sofferenza
cristiana (guardate come è puntuale) c‟è sem-
pre il tema della gioia. Capito? Non c‟è quella
cosa orrenda che abbiamo sempre fatto noi,
un trattato sulla sofferenza, ma accanto alla
parola sofferenza c‟è sempre gioia, come ac-
canto alla parola gioia, dice, non dimentica-
re…
Vi dicevo ieri che non è una gioia che viene
come la quiete dopo la tempesta, ma è proprio
dentro; non è un dopo, non è altro, è proprio
dentro. C‟è un altro avverbio che noi usiamo
come bravi esseri umani e molto come cri-
stiani: l‟avverbio “nonostante”. Guarda… ti
voglio bene… nonostante il tuo carattere. Per
la mia vita ringrazio domineddio… nonostan-
te quello… Dovremmo imparare a dire non
“nonostante”, ma “proprio per questo”. Ecco
dov‟è la novità del cristiano. Sarebbe come
dire: questo pezzo lo prendo, questo no. No, è
un pezzo unico; quindi non è nonostante que-
sto, ma è proprio dentro quello lì.
Ricordo a me che la parte più bella di me, che
vi piaccia o meno, è il mio limite. La parte
bella di ognuno di voi è il vostro limite. La
parte bella di me e di voi è quando dicono di
me e di voi quel pezzettino “peccato che…”.
Il resto è normale. Questa è una parte mia,
genuina; è paradossale… però ecco la lettura
del credente, ecco il cuore di chi vive nello
48
Spirito. Quindi il tema della sofferenza è lega-
to sempre alla gioia nella misura in cui parte-
cipate alle sofferenze di Cristo, rallegratevi.
Vedete che non è mai una sofferenza in soli-
tudine. Nella solitudine non c‟è mai gioia. E‟
soltanto la dimensione del soffrire in qualcu-
no e con qualcuno. E la sofferenza va attra-
versata sulle orme di Cristo.
c – Il Creatore è fedele: continua a fare il
bene
Al vers 17, il giudizio comincia da casa no-
stra, comincia dalla casa di Dio. E dopo il bi-
nomio sofferenza-gioia arriva il binomio sof-
ferenza-giudizio. Il libro dei Proverbi ci dice:
“Se il giusto a stento si salverà, che sarà
dell‟empio e del peccatore?” Anche qui Pietro
non vuole creare un terrorismo psicologico;
vuole consolare, vuole incoraggiare. Guardate
che il giudizio non è una minaccia, è una bella
notizia. Chi soffre, normalmente trova spon-
taneo gridare a Dio perché venga in aiuto.
Provate ad ascoltare tante espressioni del sal-
mo: Fino a quando, Signore, continuerai a
dimenticarmi? … Fino a quando mi nascon-
derai il tuo volto? … Fino a quando
nell‟anima mia proverò affanni e tristezza nel
cuore in ogni momento? … Fino a quando su
di me trionferà il nemico? … Guarda, Signore
mio Dio, rispondimi; conserva la luce ai miei
occhi, perché il mio nemico non dica “L‟ho
vinto” … non esultino i miei avversari quando
vacillo…
Per cui proclamare la resurrezione del Croci-
fisso è dichiarare il compimento del giudizio
di Dio: lui, Dio, l‟ultima parola l‟ha detta, è la
morte e resurrezione di Cristo. Il resto è tutta
chiacchiera. Se anche non ci credi non è im-
portante; l‟unica parola è questa… parola de-
finitiva. E‟ tutta qui. Sa però entrare nella mia
debolezza, nella debolezza della nostra carne,
veramente proprio la dinamica della resurre-
zione e la certezza (vi ripeto le espressioni
belle) che lo Spirito di Dio, lo Spirito della
Gloria, riposa su di voi. Qui lo Spirito è pro-
prio il termine ebraico di ruà. Assieme alla
ruà c‟era un altro termine, la shekinà, che era
la dimora di Dio, era quella che accompagna-
va il cammino del popolo. Erano veramente
più che disperati; l‟unica certezza che aveva-
no era lo Spirito che camminava con loro, era
la dimora di Dio con loro.
“Non abbiate paura” risentiamo negli Atti de-
gli Apostoli “avrete forza dallo Spirito e mi
sarete testimoni”. Proviamo ogni tanto a ripe-
terlo dentro gli ambienti nostri di tutti i giorni,
cominciando soprattutto da casa mia…. Senti-
re in questo momento, in questo istante “Non
avere paura, avrai forza dallo Spirito”, in que-
sto momento, di fronte a mio marito, a mia
moglie, a un figlio, a un suocero o un cogna-
to… “Mi sarai testimone”. Con un‟attenzione,
amici (ritorna il tormentone) che dove c‟è lo
Spirito di Dio c‟è la gioia; dove non c‟è la
gioia non c‟è lo Spirito di Dio. Lo spirito di
Dio non riposa mai nella tristezza, ma solo
dove c‟è la gioia. E credo che le sfide sono
tante.
Una terza modalità per continuare bene, nelle
mani del loro creatore fedele.. Provate a pen-
sare all‟unica volta, in tutto in Nuovo Testa-
mento, in cui Dio viene indicato come Creato-
re. Interessante questo. Ricordate quando ab-
biamo fatto il Libro della Sapienza, “Dio
creatore dell‟Universo”. “Signore, tu ami tutte
le cose esistenti e non disprezzi nulla di quan-
to hai creato”. “Se tu avessi odiato qualcosa
non l‟avresti neanche creato” “Come potrebbe
sussistere una cosa se tu non vuoi, o stare in
piedi e conservarsi se tu non la chiami in vi-
ta?”. Sarebbe interessante ripercorrere tutta la
presenza dello Spirito Santo nella storia della
salvezza. Vedete che lo Spirito Santo si ferma
sempre e solo su persone e situazioni difficili.
Quelle “facili”… non hanno bisogno di Spiri-
to Santo. E‟ un‟indicazione, grosso modo bel-
la anche per rileggere la Parola di Dio.
Si ferma su quel popolo errante nel deserto, si
ferma su quel piccolo germoglio del ceppo
vecchio… (dice: cosa potrà mai venire fuori
di qui… e si ferma proprio su quel ceppo vec-
chio…), lo Spirito Santo si ferma proprio sul-
la Vergine che non ha mai “conosciuto” e non
conoscerà mai uomo, lo Spirito Santo si ferma
sul Morto nel Sepolcro, lo Spirito Santo si
ferma in un casa su un gruppo di persone (più
o meno 11), lo Spirito Santo compie tutto
quello che umanamente non si può fare. Fino
a poter dire la cosa bella, con Gesù: “Padre,
nelle tue mani affido il mio spirito”. E allora
qual è la risposta nel tempo che sto vivendo,
in questo frattempo? Qual è la grande risposta
49
a quelli che non mi vanno, a quelli che mi o-
diano, a quelli genuini come nemici, ai nemici
soprattutto (vi vorrei ricordare) che mi sono
fabbricato io.
E‟ venuta una brava signora a confessarsi ul-
timamente; aveva una libidine… non era cat-
tiva, ma aveva questa libidine: di incolpare
suo marito di cose che non aveva fatto e in cui
non c‟entrava, povero cristo, per avere il pia-
cere di perdonarlo. Guardate che ne co-
struiamo di queste piccole fabbriche… questo
fatto è vero… molti ce li costruiamo noi, mol-
ti li abbiamo dentro di noi, sono in testa, fuori
non ci sono. Capita anche a voi di non dormi-
re bene, di alzarvi col piede sbagliato e di
pensare fino a mezzogiorno che la gente ce
l‟abbia con voi… Chi mi sta attorno manco se
lo sogna… ce li fabbrichiamo noi, e guardate
che ostilità, invidia, gelosie… molte sono
fabbricate da noi. Quasi quasi me l‟aspetto,
inconsciamente. Veramente siamo impastati
da Dio, per avere il piacere poi di essere buo-
ni, di perdonare… E allora, in questo frat-
tempo, continuate a fare il bene. Sul calenda-
rio delle Apostoline che regalo agli amici, il
mese scorso c‟era una frase che suonava così:
nessuno sa quanto bene fa quando fa il bene.
Non posso a questo punto non donarvi una
scritta che era sul muro sulla casa dei bambini
di Calcutta di madre Teresa; sul muro di quel-
la casa c‟era questo manifesto:
L‟uomo è irragionevole, illogico, egocentrico;
non importa: amalo.
Se fai il bene ti attribuiranno secondi fini egoi-
stici; non importa: fai il bene;
Se realizzi i tuoi obiettivi troverai falsi amici e
veri nemici; non importa: realizzali.
Il bene che farai verrà domani dimenticato;
non importa: fa il bene.
L‟onestà e la sincerità ti rendono vulnerabile;
non importa: sii franco e onesto.
Quello che per anni hai costruito può essere
distrutto in un attimo; non importa, costruisci.
Se aiuti la gente, se ne risentirà; non importa,
aiutala.
Dona al mondo il meglio di te, e ti prenderan-
no a calci; non importa: dà il meglio di te.
Credo che i santi come questa donna… la Pa-
rola di Dio… Poi quando lei parla è disarman-
te perché è di una semplicità sconcertante, il
che vuol dire che il santo arriva all‟essenziale,
cioè non usa neanche il potere della parola, il
potere di una cultura. Non usa neanche il suo
sapere, perché non ha il problema di ricordarti
e di dimostrare, ha soltanto quello di mostra-
re.
4 – Codice di comportamento ecclesiale 5, 1-5
5, 1-5
Esorto gli anziani che sono tra voi, quale an-
ziano come loro [il termine è presbitero], te-
stimone delle sofferenze di Cristo e partecipe
della gloria che deve manifestarsi. [Vedete il
titolo che Pietro si dà: nessun titolo di istitu-
zioni, ne’ di onori ne’ di potere]: pascete il
gregge di Dio che vi è affidato sorvegliandolo
non per forza ma volentieri secondo Dio.
Vorrei invitare… se potete, anche voi come
genitori siete pastori, siete responsabili di una
grande comunità, quella fondamentale che è
la famiglia. Sentitela per voi, pascete il greg-
ge di Dio che vi è affidato, sorvegliandolo
non per forza ma volentieri secondo Dio.
Non per vile interesse, ma di buon animo, non
spadroneggiando sulle persone a voi affidate,
ma facendovi modelli del gregge. E quando
apparirà il pastore supremo, riceverete la co-
rona della gloria che non appassisce.
Vedete che Pietro al termine della sua esorta-
zione sente il dovere di ricordare la sottomis-
sione reciproca all‟interno della comunità.
Il ministero di Pietro
Abbiamo visto che Pietro è apostolo, testimo-
ne oculare non solo della resurrezione, ma te-
stimone delle sofferenze di Cristo. E‟ presbi-
tero e anziano come loro, è co-presbitero. Una
cosa molto bella è che vive lui in prima per-
sona quello che chiede agli altri. E‟ testimo-
nianza: non è che dice agli altri di fare qual-
cosa, “lo sto vivendo con voi”, e questo è bel-
lo anche tra genitori e figli. Non è che devi fa-
re una cosa perché sei figlio… non ditegli mai
la scemenza “perché sei giovane”, che è una
battuta idiota, ma: lo vivo con te perché è un
valore.
Credo che questo sia il punto del crescere in-
sieme come comunità Pietro in prima persona
dice che è co-presbitero, testimone delle sof-
ferenze di Cristo, solidale con le sofferenze,
partecipe della gloria che dovrà rivelarsi. Il
50
che vuol dire che quello che la prima comuni-
tà che era a Roma, la Chiesa di Roma, ha vi-
sto vivere in Pietro, ora lo consegna alle altre
Chiese sorelle co-elette. Come deve essere il
ministero dei presbiteri, e io oso aggiungere
anche quello dei padri e delle madri, abbiate
cura sorvegliando. Solo Cristo è il pastore, so-
lo Cristo è il vescovo. Vegliate su voi stessi e
su tutto il gregge a voi affidato.
Pascere il gregge volentieri… gratuitamen-
te… facendosi modelli
L‟attenzione non è sul titolo che hai, ma sul
modo di svolgere il ministero. Non come vi
piace, ma sempre e solo alla maniera di Cri-
sto. Non come ti va e se ti va, ma sempre alla
maniera di Cristo, cioè con gioia. Non per
forza, non perché costretti, ma volentieri. Per
cui si tratterà, nella mia scelta vocazionale,
come nella vostra scelta vocazionale, di risco-
prire ogni tanto le motivazioni della nostra
scelta. Perché abbiamo a ritrovare la libertà
interiore anche quando questa libertà che mi
viene da Dio va contro l‟interesse personale.
Sarebbe bello, amici, che la vita di ogni pre-
te… (ve lo chiedo… aiutatemi), come sarebbe
bello che la vita di ogni padre e di ogni madre
potesse essere una vita bella, bella perché
gioiosa; gioiosa non vuol dire che non ci sono
difficoltà o dolori o drammi, ma vissuta nella
serenità. Non per vile interesse, ma con animo
generoso. Voi sapete che ci sono due bestie
che rovinano la fede e rovinano l‟amore, che
rovinano le famiglie e rovinano la Chiesa, che
rovinano i padri e le madri e rovinano i preti:
uno è il denaro e l‟altro è il potere. Credo che
sia bello ritrovare questo unico sacerdozio e
ministero e spirito, e l‟avidità del denaro (voi
lo sapete) non aveva risparmiato neanche il
primo collegio apostolico (…e neanche quelli
seguenti, tante volte!): la tentazioni di arric-
chirsi alle spese della comunità. Ricordate
Paolo quando dice, negli Atti degli Apostoli,
“Non ho desiderato ne‟ oro ne‟ argento”; “alle
mie necessità (dice) hanno provveduto queste
mie mani”. Le parole di Gesù “pastori, non
mercenari”… il gregge è di Dio, non del pa-
store.
Anche i figli sono di Dio, non sono dei geni-
tori. Per cui sono grandi per un presbitero, per
ogni padre, per ogni madre, quando siete pre-
sbiteri nella vostra chiesa domestica… e la
capacità di gratuità, il fare le cose da dio (cioè
“per niente”). Ho detto per anni ragazzi, pri-
ma a Bergamo poi qui come rettore del Semi-
nario: non so quale sarà il vostro futuro, però
se volete vivere veramente da uomini e da cri-
stiani… se qualcuno di voi un giorno sarà
chiamato nel sacerdozio, non vi dirò molte
cose. Una volte c‟erano le lire, e dicevo: non
attaccatevi neanche a 5 lire. Guardate che è un
po‟ la radice, un po‟ la grande bestia, perché
su questo argomento dobbiamo fare i conti
tutti i giorni, giorno e notte. Non spadroneg-
giando sulle persone ma facendovi modelli
del gregge. La tentazione, assieme al denaro,
è il potere. E‟ difficile tante volte, quando si è
responsabili, in particolare come genitori, in
cui con l‟interesse c‟è dentro anche il sangue
oltre che una scelta e una gratuità, è tanto dif-
ficile che non entri un interesse personale. E
la parola di Gesù, quando dice: “voi lo sapete,
i capi dominano le nazioni, i grandi si fanno
chiamare loro benefattori, ma tra voi (non di-
ce tanto) non sia così, ma tra voi non è così.
La veste dell’umiltà
Chi vuol essere grande si faccia servo; e il più
importante in casa vostra (lo sapete molto be-
ne) è la persona che di solito è più a servizio.
E più a servizio potrebbe essere qualcuno dei
vostri figli, forse persone cui voi non date un
tipo di consistenza. Proprio come il Figlio
dell‟Uomo, che non è venuto per essere servi-
to ma per servire. Voi sapete che il Vangelo
di Giovanni fa precedere l‟insegnamento con
la lavanda dei piedi.
Altro bocconcino: 5,5
Ugualmente, voi, giovani, siate sottomessi agli
anziani. Rivestitevi tutti di umiltà, gli uni ver-
so gli altri perché Dio resiste ai superbi ma dà
la grazia agli umili.
Qui parla a di giovani, forse ha niente a che
fare con la categoria dei ragazzi e dei giovani;
probabilmente intende i neofiti, che sono i
primi che entrano dentro alla comunità; però
normalmente erano quelli che aiutavano, era
la forma del diaconato. Noi al diaconato ab-
biamo dato le persone un po‟ adulte, e non
soltanto adulte; il diaconato normalmente era
fatto dai giovani, che avevano anche l‟energia
e la fantasia per poterlo fare. Soprattutto dice
51
ai neofiti, a chi entra dentro, una grande veste,
la veste dell‟umiltà “perché Dio resiste ai su-
perbi, ma dà la grazia agli umili”. Qui pos-
siamo risentire benissimo quanto abbiamo fat-
to con la lettera di Giacomo. Così pure ricor-
date che “Cristo, pur essendo di natura divi-
na…”; ricordate il canto di Maria di Nazareth:
“Ha guardato all‟umiltà della sua serva…”; e
l‟umiltà, ve lo ripeto, cresce solo attraverso le
umiliazioni.
Nessuno le cerca, nessuno ne ha voglia… pe-
rò sono potenti, sono una medicina… difficile
da ingoiare e tutto quello che volete… però
l‟umiliazione ti porta all‟umiltà. Credo che
una delle radicali attualizzazioni di questo
brano sia quella che Francesco d‟Assisi ha
vissuto e proposto. Quando lui dice: nessuno
sia chiamato priore, ma tutti siano chiamati
semplicemente frati minori. E ognuno lavi i
piedi dell‟altro. E invita: guardate, fratelli,
l‟umiltà di Dio e aprite davanti a lui i vostri
cuori; umiliatevi anche voi perché siate da lui
esaltati. Nulla dunque di voi trattenete per voi,
affinché totalmente vi accolga colui che to-
talmente a voi si offre. “Imparate da me che
sono mite e umile di cuore”.
Accettare il proprio limite… accettare il limi-
te dell‟altro. Accettare una cosa bella è una
grande intelligenza, è un grande dono; accet-
tare soprattutto, amici genitori, il fatto di esse-
re stanchi… e di essere oppressi. Anzi, fate
una cosa meravigliosa, in particolare noi ma-
schi, noi uomini: che anche noi possiamo ave-
re bisogno. E‟ Parola di Dio, non è psicologia
moderna (che la psicologia aiuti… ben venga;
tutto è grazia). E‟ importante accettare di es-
sere stanchi, è importante fermarsi, è impor-
tante la sosta. Guardate che è determinante
accettare proprio di avere bisogno, riconosce-
re di avere bisogno che per me è una cosa
tremenda perché vorrei sempre dare, dare, da-
re… Accettare di avere bisogno è il momento
più alto. Riconoscere i propri bisogni e chie-
dere aiuto è il dono più grande, e guardate
quale e quanta fatica dentro di noi… sempre
per eccesso d‟amore; però l‟amore non è sol-
tanto nel dare e nel dare, è riconoscere un
proprio limite e saper chiedere aiuto, dire “ho
bisogno”; dire “Carlino… sei arrivato, ferma-
ti!... Carlino, hai bisogno, chiedi aiuto… Car-
lino, non fare l‟onnipotente…”.
Guardate che tante volte è una formazione,
un‟educazione interiore e spirituale, oltre che
umana e a volte affettiva che a volte ci manca.
Quell‟umiltà, allora, che non è tanto un di-
sprezzare noi stessi, ma è veramente un amore
bello di noi stessi, perché è la verità su di me.
E qui ci sarebbe dentro tutta
quell‟ecclesiologia di comunione che vi ricor-
davo anche ieri.
5 – Il futuro è garantito. Dio ha cura di voi 5, 6-11
Un ultimo boccone:
Umiliatevi dunque sotto la potente mano di
Dio perché vi esalti al tempo opportuno, get-
tando in lui ogni vostra preoccupazione, per-
ché Egli ha cura di voi. [Ritorna il tema]. Sia-
te temperanti e vigilate. Il vostro nemico, il
diavolo, come leone ruggente, va il giro, cer-
cando chi divorare. Resistetegli saldi nella fe-
de [fare la memoria…] sapendo che i vostri
fratelli sparsi nel mondo subiscono le stesse
sofferenze di voi. E il Dio di ogni Grazia, il
quale vi ha chiamati alla sua gloria eterna in
Cristo [guardate i 4 verbi] egli stesso vi rista-
bilirà, dopo una breve sofferenza vi conferme-
rà e vi renderà forti e saldi. A lui la potenza
nei secoli dei secoli. Amen.
La mano d’amore di Dio
Umiliatevi sotto la potente mano di Dio. E‟
stupenda l‟immagine della mano di Dio; è
l‟unica volta cha appare nel Nuovo Testamen-
to, però è molto familiare in tutto il Primo,
Antico Testamento. Nel Primo Testamento
ricorre 200 volte… Sapete che dalla sua mano
tutti i viventi aspettano la vita e aspettano il
cibo. Tutta l‟esperienza dell‟Esodo l‟hanno
vissuta sotto la mano di Dio, con la potente
mano di Dio. Il cristiano, e mia madre in par-
ticolare, questa teologia l‟aveva molto sana
perche lo ripeteva e lo diceva sempre quando
ci salutava… non diceva ciao, auguri… “Che
o Signur te tegna la man sul co” , che il Si-
gnore ti tenga la mano sulla testa. Quando Dio
ti toglie la mano, e magari capitava una situa-
zione di male… suicidio, omicidio, cattive-
ria… non giudicava mai; diceva soltanto “il
Signore gli ha tolto la mano dalla testa”. Forse
non aveva mai saputo che c‟era una Lettera di
Pietro, ma non è importante: era arrivata a ciò
che è importante, a ciò che è il cuore.
52
In questi giorni dell‟incontro mondiale delle
famiglie, le famiglie possano vivere questa
coscienza bella stupenda: di essere sposi e
famiglie belle… belle vuol dire differenti…
belli vuol dire che sono la grande opera di Di-
o. La sua mando benedicente. Anche nel dolo-
re, amici, anche se mi scoccia tanto è una ma-
no d‟amore. Versate in lui ogni vostra preoc-
cupazione, perché lui ha cura di voi. Ricorda-
te Gesù: nella vostra vita non preoccupatevi
troppo di cosa mangeremo e cosa berremo…
stamattina cosa mi metto… guardate gli uc-
celli del cielo e i fiori del campo… Ma se c‟è
qualcuno che pensa a un fiorellino e a un uc-
cellino… ma ci sarà Qualcuno che pensa a
voi!! Non vi chiedo di ragionare tanto e di
studiare molto… Il futuro, amici, è garantito;
che vi piaccia o meno. Il futuro è garantito da
Dio. L‟unico segreto è liberarmi un po‟ dal
mio IO, dalla pretesa di essere io il padrone.
Ritorna: siate sobri e vigilate, fino alla fine,
perché c‟è in giro un tipo simpaticissimo, è il
top che c‟è in giro: il diavolo, come leone
ruggente. Nel Nuovo Testamento ritorna il
diabolos 37 volte. Dia-ballo; diabolos è colui
che separa, colui che divide. Per cui ogni vol-
ta in cui io faccio una battutina, un gesto, una
parola che non unisce… separo, divido… so-
no diabolico. E siccome questa è un‟attività
perversa, dovrei ricordarmi che in
quell‟istante io sono diabolico. Perché il dia-
volo è bello, è affascinante, furbo, intelligen-
te, anche perché è uno spirito e faceva parte
delle generazioni di roba fine… il DNA non
l‟ha perso, ce l‟ha tutto… l‟unica differenza è
che lo usa per altro.
Faccio l‟esempio della bomba atomica… è
una bomba atomica… dipende dall‟uso. E‟
inutile che ci giriamo attorno; ci sarà una mo-
dalità molto chiara… ma ricordatevi che è po-
tenza, è presenza, è spirito, altrettanto forte
quanto lo spirito di Dio che è lo spirito del
bene. Ed è bello perché questa espressione bi-
blica la troviamo nella preghiera di tutti i
giorni, nella preghiera di Compieta, dove nel-
la “lettura breve” c‟è questo testo. Il che vuol
dire che prima di addormentarsi ogni buon
cristiano fa memoria che per tutta la giornata
ha dovuto lottare contro l‟avversario. E confi-
da che Dio continuerà a lottare con lui e per
lui, soprattutto nelle ore del sonno, perché vi
vorrei ricordare che il sonno è il tempo della
mia massima impotenza. Perché quando tu
dormi ognuno può fare di te quello che vuole.
Non so se la parola è molto chiara e molto lu-
cida.
C‟è un‟espressione molto bella del salmo 119
quando dice “nella mia lotta sii tu Signore a
lottare”. Resistetegli saldi nella fede. Amici,
di fronte a una belva che cosa vi viene spon-
taneo? Di solito scappare; oppure magari at-
taccare, più che tendenzialmente a resistere.
Questa è una delle particolarità della lettera di
Pietro. Pietro invita non a scappare, non ad
attaccare, non a muovere guerra, ma a resiste-
re. Resistenza attiva. I cristiani non devono
scappare, non devono emigrare dalla società,
non devono ritirarsi dalle strutture del mondo,
ma stare al loro posto: niente cedimenti. E‟ un
resistere nelle situazioni di prova. E stare
davvero al proprio posto, con responsabilità,
con coraggio, con l‟impegno nel bene. Nella
grande notte della Passione Gesù non è scap-
pato, ha messo in atto una resistenza e una re-
sa. La resistenza di fronte al tentatore, la resa
soltanto nelle mani del Padre. Qui abbiamo il
Pietro convertito, incoraggia adesso lui e con-
sola lui i suoi fratelli, proponendo il modello
di Gesù che si è affidato nelle mani del Padre,
e non è rimasto deluso. Ha raggiunto quella
meta bella che ricorda il salmista “nelle tue
mani è la mia vita”.
Non scappare o attaccare, ma resistere al
Diavolo puntando sulla fede e sulla comu-
nione fraterna
“Non abbandonerai la mia vita nel sepolcro,
ne‟ lascerai che il tuo santo veda la corruzio-
ne. Mi indicherai il sentiero della vita, gioia
piena nella tua presenza, dolcezza senza fine
alla tua destra”. Mi piace concludere con
l‟espressione innamorata di S.Agostino che
esprime molto bene la sorgente dalla quale
come credenti attingiamo la forza, soprattutto
la forza di stare. “Dammi Signore un cuore
che ti pensi, un‟anima che ti ami, una mente
che ti contempli, un intelletto che ti intenda,
una ragione che sempre fortemente aderisca a
te che sei dolcissimo. Sii vicino a me
nell‟anima, vicino nel cuore, vicino nella boc-
ca, vicino col tuo aiuto, perché sono malato
d‟amore, perché senza di te muoio, perché
53
pensando a te mi rianimo. Le tue mani Signo-
re mi hanno fatto, mi hanno plasmato; quelle
mani trapassate dai chiodi per me. Tu hai
scritto me con quelle mani, leggi dunque la
tua scrittura. E salvami”.
La resistenza e la resa di Noè, Abramo,
Giacobbe, Elia, Geremia. Gesù
E poi quella resistenza… la resistenza è la fi-
ducia di Noè… ricordate… chiuso nella sua
arca, alla deriva per sei mesi, in quel silenzio
irreale di un mondo sommerso dalle acque del
diluvio. La resistenza è la lotta di Abramo, in
quei tre giorni tremendi, assurdi, quando fa il
cammino verso il monte Moria col figlio. Re-
sistenza è la lotta di Giacobbe, che lotta tutta
la notte al guado di Iabbok. Resistenza è il
cammino di Elia per 40 giorni nel deserto,
quel deserto della disperazione. Resistenza è
il grido angosciato di Geremia, nel profondo
del pozzo dell‟abbandono. Resistenza è la
preghiera solitaria di Gesù nell‟orto degli uli-
vi.
Il diavolo è intelligente, amici, molto intelli-
gente… sapete cosa fa? Separa i credenti da
Dio e li divide tra di loro. Amici sposi, il dia-
volo è tremendo. Non c‟entra la cultura, la te-
levisione… Il diabolico ti fa una cosa tremen-
da: ti stacca da Dio e vi stacca tra di voi. E
due si staccano non perché cattivi, ma perché
si erano staccati da Lui, forse non si erano ne-
anche mai attaccati. Non voglio fare applica-
zioni perché è un‟operazione per me molto
pericolosa; soltanto per evocare, soltanto per
dire che questa Parola non è un “trattato spe-
ciale per”. Ci siamo dentro tutti, in ogni situa-
zione… Come resistere? Puntando sulla fede.
E l‟altra cosa bella per resistere è il rapporto
umano, è la comunione fraterna. Da soli non
c‟è vita, perché se sei solo ti frega l‟amarezza
della solitudine. E nella solitudine fai soltanto
gesti disperati e disperanti, non certo gesti di
speranza.
Affrontare tutto questo con una coscienza bel-
la da non perdere, nella coscienza che i fratelli
sparsi nel mondo subiscono le stesse soffe-
renze. Amici, proviamo ad avere questa co-
scienza cosmica, questa coscienza sincronica.
Provate a pensare quando magari siete in
chiesa, e il parroco che sta facendo l‟omelia ti
sta facendo una rottura di scatole infinita…
hai una sosta di lucidità spirituale e prova a
pensare quanti milioni in questo istante sulla
faccia della terra stanno ascoltando come me
non tanto un prete, ma l‟unica Parola. Guarda-
te che sono milioni e milioni. Non c‟è nessuna
esperienza sulla faccia della terra così con-
temporanea come quando i cristiani celebrano
l‟eucaristia. Noi non abbiamo questa coscien-
za cosmica, universale, che è poi la comunio-
ne dei santi. Però come c‟è una comunione
dei santi, c‟è anche soprattutto una comunione
tra i fratelli che soffrono.
“Coraggio! Io ho vinto il mondo”
La Chiesa è fondata su Kefa, sulla roccia, e le
porte degli inferi non prevarranno. Il Signore
della Chiesa è più forte dell‟avversario. Gesù
dice: “Nel mondo avrete lotte; in casa avrai
lotte; sposandoti avrai lotte; diventando geni-
tori avrai lotte… Non abbiate paura… corag-
gio!! Io ho vinto il mondo”. E allora dentro la
prova, e non tanto dopo la prova, Lui ci ha
chiamato. E Lui che ha dato inizio a tutta que-
sta storia (ecco i 4 verbi), Lui vi ristabilirà,
Lui vi confermerà, Lui vi rafforzerà e vi ren-
derà saldi. Vi renderà adulti nella fede, perso-
ne mature, temprate. La vittoria finale è di
Dio ed è del bene. Dio vi ha chiamati alla sua
gloria eterna. La lotta può essere breve o può
essere lunga, non lo sai. Può essere leggera,
può essere aspra, può essere verbale o può es-
sere di sangue… ma la vittoria di chi resiste
saldo nella fede è certa, e il premio è assicura-
to, perché custodito nei cieli da Dio.
6 – Saluti e ultimo avviso (5, 12-14)
E poi l‟ultimo avviso e i saluti.
Vi ho scritto, come io ritengo, brevemente, per
mezzo di Silvano, fratello fedele, per esortarvi
a pensare che questa è la vera grazia di Dio. In
essa state saldi! Vi saluta la comunità che è
stata eletta come voi e dimora in Babilonia
[cioè a Roma]; e anche Marco mio figlio. Sa-
lutatevi l‟un l‟altro con bacio di carità. Pace a
voi che siete in Cristo.
State saldi nella grazia di Dio
State saldi nella Grazia di Dio. Qual è la Gra-
zia? E‟ di stare saldi, e la grazia di stare dove
Dio mi ha messo. L‟unico punto dal quale de-
vo andare sapete qual è nella vita? (lo dico a
54
me, non lo dico a voi) è di restare da dove
vorrei scappare. E‟ l‟unico punto di Dio. Re-
stare da dove vorrei scappare. La grazia di
stare dove Dio ti ha posto. Il resistere nella si-
tuazione avversa, il vivere nel mondo da cri-
stiani. E lo scrive agli eletti, stranieri e pelle-
grini, di ogni Chiesa e di ogni tempo, per
mezzo di ogni Silvano, dei tanti Silvani che io
e voi abbiamo incontrato nella nostra vita. Per
consolarvi, per incoraggiarvi, per esortarvi,
per testimoniarvi. Nel saluto mette anche
quello della Chiesa co-eletta di Roma-
Babilonia, e poi c‟è anche Marco che chiama
addirittura in termine profondo “mio figlio”.
E poi salutatevi l‟un l‟altro col bacio di carità.
S.Paolo usa l‟altra espressione “con il bacio
santo”. Sapete che non è tanto lo scambio del-
la pace (diventato ormai paranoico nelle no-
stre Chiese); il bacio santo è il bacio della ca-
rità, bacio fraterno che Pietro raccomanda,
che esprime l‟amore fraterno. Sarebbe bello
che quando nella messa si dice “la pace sia
con te” si intenda “puoi contare su di me”, e
questo è il bacio fraterno. E allora voi vedete
che e i segni e i simboli sono veramente forti
e molto rischiosi. E poi la benedizione che sa-
rà la parola piena, finale, della mia e della vo-
stra vita ed è la prima parola che Gesù dice ai
suoi appena risorto: “Shalom!” Pace: è il salu-
to del Risorto. E il saluto di Pace che Pietro
rivolge a tutti quelli che sono in Cristo è an-
che l‟auspicio di questa realizzazione di una
fraternità universale che è estesa al di là di
un‟appartenenza religiosa, di un credo sociale
e politico, dove le persone possono sperare
insieme e condividere insieme lo stesso pro-
getto di vita.
7 – “Pace a tutti voi che siete in Cristo”
Nel dirvi grazie, ve lo voglio dire con questo
testo di cui avete copia ed ha per titolo “Pace
a voi tutti che siete in Cristo”. E‟ il testo di un
prete, di un vescovo, Tonino Bello. Racco-
gliamo in lui e con lui tutto quanto la Parola
ci ha donato, ma quanto soprattutto la frater-
nità del vivere insieme nostro ci ha donato.
Amici, senza questa fraternità la Parola non
sarebbe risuonata così. E‟ perché c‟era questa
fraternità fatta da ognuno di voi come pietra
preziosa, come pietra viva, e non altri… non
quelli che non „erano, ma quelli che ci sono,
quelli che ci stanno, qui, al loro posto, in que-
sto momento. E‟ anche il dono del mio grazie,
il grazie del dono di essere con voi, “Spirito
di Dio”……………………………….. Grazie
Spirito Santo,
che hai invaso l‟anima di Maria
per offrirci la prima campionatura
di come un giorno avresti invaso la Chiesa
e collocato nei suoi perimetri
il tuo nuovo domicilio, rendici capaci
di esultanza. Donaci il gusto
di sentirci “estroversi”.
Rivolti, cioè, verso il mondo,
che non è una specie di Chiesa mancata,
ma l‟oggetto ultimo di quell‟incontenibile amore
per il quale la Chiesa stessa è stata costituita.
Se dobbiamo attraversare i mari
che ci distanziano dalle altre culture,
soffia nelle vele, perché scuota le gomene
che ci legano agli ormeggi
del nostro piccolo mondo antico,
un più generoso impegno missionario
ci solleciti a partire.
Se dobbiamo camminare sull‟asciutto
mettici le ali ai piedi perché, come Maria,
raggiungiamo in fretta la città.
La città terrena.
Che tu ami appassionatamente.
Che non è il ripostiglio dei rifiuti,
55
ma il partner con cui dobbiamo “agonizzare”
perché giunga a compimento
l‟opera della redenzione. (Tonino Bello)
LA PAROLA DEL NOSTRO VESCOVO MARCELLO Questo testo “pronti sempre a rispondere a chiunque vi domandi ragione della speranza che è in voi” (3, 15) è un versetto che da molto tempo ormai è alla ribalta anche nelle riflessioni teologiche, perché contiene questa parola, la parola apologia: rispondere a chiunque domanda ragione della speranza. Letteralmente il termine è apologia. Questo è un termine effettivamente importante, in questo ver-setto, e tuttavia il brano della 1Pt diventa importante allorquando si avverte l’esigenza di un’apologetica rinnovata, nuova, cioè di una difesa della fede cristiana di fronte al mondo, che non è unicamente affidata alla forza delle argomentazioni, ancor meno al valore probatorio di alcuni avvenimenti. L’apologetica tradizionale era effettivamente impostata su alcune argomentazioni, su alcuni procedimenti che all’occhio o all’attenzione del non credente doveva mostrare le ragioni del-la dottrina cristiana. Dunque un’apologetica, una difesa non affidata alla forza del ragionamento e delle argomentazioni, ma piuttosto al valore della testimonianza personale. Si fanno due spostamenti. Anzitutto c’è questo spostamento di sottolineatura dalla dottrina, di-remmo dalla ortodossia, dalla retta fede, ad una prassi, ad un comportamento coerente del cristia-no; quindi si opera uno spostamento dalla orto-dossia alla orto-prassi. Non è senza ragione che tutti, normalmente, leggendo il testo “vi domandi ragione della speranza che è in voi”, abitualmen-te questa parola “speranza” veniva mentalmente tradotta come “fede”, e quindi significava nella esposizione rendere ragione della fede. Invece qui pian piano ci si rende conto che non è propria-mente della fede che si parla, ma piuttosto della speranza. Ora facciamo attenzione: non è che nella prima lettera di Pietro la speranza e la fede siano due co-se totalmente distinte, differenti; non lo sono di per sé, perché le virtù teologali (la fede, la spe-ranza e la carità) si intersecano reciprocamente, si includono reciprocamente: non può esserci fede senza speranza e carità… e fate tutte le combinazioni possibili. Qualcuno anche cerca di mutare l’ordine tradizionale delle tre virtù teologali, anche se abitualmente è la carità che si espone come terza, tenendo conto del testo paolino in cui dice “ma la più grande è la carità”. Alcuni proprio per sottolineare non soltanto la interdipendenza, la inclusione e la reciprocità di queste virtù teologali, ma anche per sottolineare in qualche maniera il valore della speranza, tendono a posporre, a met-tere la speranza come terza, e cioè come la virtù che dà la direzione alla fede e dà anche il senso alla carità. Certamente nella 1Pt tra fede e speranza c’è un nesso molto, molto, molto stretto, perché questa parola elpis che il testo sceglie per dire speranza indica non l’aspettativa di qualche cosa di illuso-rio, non il desiderio di qualcosa che potrebbe venire, ma indica una speranza certa perché ha un fondamento. Quindi la speranza di cui si parla è una speranza certa, una speranza che è ancorata in Gesù risorto, quindi nell’adesione del discepolo a Gesù risorto. E’ questo stare strettamente ade-renti a Cristo risorto che dà solidità alla speranza. Però non è senza significato che il testo tuttavia non dica “fede”, ma dica speranza. Con queste due sottolineature il testo della 1Pt (3, 15) comin-cia ad assumere anche nella riflessione teologica un posto particolare, con questo duplice sposta-mento, dalla ortodossia alla ortoprassi e questa più evidente, più forte consapevolezza che qui si sta parlando della speranza propriamente. Chi ha studiato teologia alla fine degli anni ’60-’70, come don Carlino ed io, notavamo come questo testo prima sconosciuto cominciava ad essere sempre più ripetuto al punto che agli inizi degli anni ’70 cominciarono ad essere pubblicati dei testi, particolarmente di teologia fondamentale, che por-tano questo riferimento più o meno esplicito a 1Pt 3, 15. La preparazione al convegno di Verona ci ripropone questo testo. Ce lo ripropone non facendocene un commento propriamente… nella trac-
56
cia di riflessione per il convegno di Verona ci sono della allusioni, ci sono affermazioni su Cristo centro della speranza, ma non c’è propriamente un commento a questo testo; tuttavia sono indica-ti i territori della speranza, in cui noi siamo chiamati a fare l’apologia della speranza. Ora, cosa ci dice anzitutto l’autore della 1Pt? Dico autore perché sembra ormai assodato che si tratta di un testo pseudo epigrafico, ossia non è che S.Pietro si sia messo a scrivere questa lettera; già all’interno del testo sembra di capire che ci sia stato un amanuense che in qualche maniera ha scritto questa lettera; nel corpo della lettera si parla di Silvano, tuttavia il riferimento a Pietro è già indice dell’autorevolezza che Pietro ha nella comunità cristiana. Comunità cristiana in generale, perché se noi leggiamo l’introduzione alla presentazione, sembra che non guardi ad una comunità specifica. Le lettere dell’epistolario paolino sono inviate a delle comunità specifiche; comunità di Corinto, di Roma… anche le altre come Efesini ecc. hanno comunque dei destinatari. Perfino l’Apocalisse ha dei destinatari alquanto individuabili come area geografica… qui invece c’è un senso di universalità: si comincia dal Ponto e si va a finire a tutta l’Asia, quindi questo dice che si tratta di un testo che ha un’autorevolezza molto ampia. Ed è in questo passaggio che la sofferenza, l’ostacolo che potrebbe apparire come un elemento capace di mettere una mina, una bomba, sotto la speranza per farla saltare in aria come nell’Irak… ecco, proprio questa sofferenza paradossal-mente corrobora, rinforza la speranza cristiana. Se questa tematica della sofferenza presente, futura, reale o possibile segna un po’ tutto questo testo della 1Pt, qui è detto chiaramente che la sofferenza, l’ostacolo, può diventare un’occasione preziosa per testimoniare la speranza. Di che sofferenza si tratta, di che persecuzione si tratta? Ovviamente le problematiche relative ai destinatari di questa lettera, le questioni relative all’epoca in cui è stata scritta questa lettera, fa dire che probabilmente non si tratta di una persecuzione in senso stretto, direi anche giuridicamente organizzata e provocata, anche se molti commentatori fanno riferimento alla persecuzione di Domiziano, e quindi saremmo in questo territorio, nel terri-torio che va da Castelgandolfo attuale e Albano, Domiziano aveva la sua villa; aveva anche i suoi gusti personali: nel suo teatro, dicono Cassio, Svetonio ecc., Domiziano fece lottare contro un orso (altri dicono contro un leone) un console, un certo Acilio Gablione perché, il testo dice, “seguiva delle idee nuove”. Era un po’ di questi novatores, probabilmente era un cristiano. Si tratta della persecuzione dell’imperatore Traiano? Oggi gli studiosi dicono che si tratta piuttosto di un clima di ostilità che circondava i cristiani in quel momento. Con sottili sarcasmi, ironie, il non prenderli sul serio, sbeffeggiarli, è una forma di persecuzione non diretta ma diremmo alquanto sottile, profon-da… e da questo punto di vista probabilmente potremmo ritenere quella situazione molto analoga, molto somigliante a certe nostre situazioni. Abbiamo ascoltato anche alcuni testi: “rimangano svergognati quelli che malignano sulla vostra buona condotta in Cristo”. Si!... Tu valla a raccontare a un altro… Vorrei fare riferimento ad un te-sto probabilmente contemporaneo a questa 1Pt. Un testo scoperto non molto tempo fa, anche se è un testo antico, probabilmente anche più antico di qualcuno degli ultimi testi canonici. Parlo della cosiddetta Lettera a Diogneto; testo che risale più o meno al II secolo, anche se è stato scoperto di recente è diventato in qualche maniera (anche grazie a Giuseppe Lazzati, che aveva fatto dei commenti quando insegnava all’Università Cattolica) il manifesto della laicità. La stessa Gaudium et Spes e la stessa Lumen Gentium quando parla dell’impegno dei laici usa delle terminologie che si ispirano alla Lettera a Diogneto. Anzi addirittura l’attenuano; ad esempio il Concilio dice che i laici devono vivere nel mondo come se ne fossero l’anima, e invece la lettera a Diogneto dice che sono l’anima del mondo, cioè l’elemento che lo vivifica dall’interno. E come lo vivifica? Lo vivifica con una condotta che è difforme da ciò che avviene attorno. Allora dice l’autore della Lettera a Diogneto …”espongono i bambini e voi non lo fate; quelli fanno così ma voi non lo fate…” in modo che rimangono svergognati quelli che malignano sulla vostra buona condotta. Ora questo è paradossale: che si maligni sulla condotta ambigua, su di una condotta cat-tiva… è normale. Si potrà coprire con la buona educazione, con un po’ di savoir faire il pettegolez-zo… ma alla fine a malignare su di una condotta evidentemente cattiva… si hanno tutte le carte in regola.
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Ma qui si tratta di essere presi di mira per la buona condotta, ma evidentemente per la buona condotta in Cristo. E dinnanzi a tutto questo si indicano alcune forme, si danno alcune istruzioni su come i cristiani devono affrontare queste situazioni di ostilità. Innanzitutto devono essere consa-pevoli che la fede in Cristo comporta necessariamente esperienze di rifiuto e di disprezzo. Torno a dire che qui si è rifiutati per la buona condotta in Cristo. Ma questo non deve essere un motivo per evitare di fare il bene. Perché il cristiano deve vigilare per non ritenere come sofferenza e fatica per Cristo quella che invece è causata dalle sue cattive azioni. La prima è benedetta, ed è occasio-ne per testimoniare la speranza, e allora forse alcuni nostri linguaggi andrebbero un pochino ridi-mensionati: …pazienza… portiamo la Croce… No, qui si tratta di quella sofferenza che viene dalla propria buona condotta, non da quelle difficoltà che derivano da eventuali imbrogli che si sono fat-ti. Questo brano permette di illuminare bene la natura della speranza cristiana; ha il profilo della vit-toria sulla paura perché a differenza delle aspettative umane che possono conoscere la disillusione, la speranza cristiana si poggia sulla promessa di Dio. E questa vittoria sulla paura si manifesta co-me certezza che anche nelle sofferenze non si è soli, ma si è perseguitati per la giustizia, e questo è beatitudine. Il cristiano non conta sulla propria forza, sul proprio valore di fronte alla prova, ma ha fiducia nell’aiuto di Dio. Ed ecco allora che la lettera ribadisce che il mezzo con cui il credente affronta le difficoltà è sempre questo: di cercare una stabilità nella Fede. La Fede è la roccia, la rocciosità, implicata nella parola stessa Fede; quella parole Amen che noi pronunciamo ha un ele-mento di rocciosità; Gesù dice che Pietro è Roccia, e su quella roccia sarà fondata la Chiesa, per-ché Pietro dice la Fede e dicendo la Fede diventa roccioso. Il cristiano oppone alla paura il santifi-care Cristo. Il testo dice “adorate il Signore Cristo nei vostri cuori”. Questa è la traduzione che tro-viamo. Cioè si tratta di riconoscere Gesù come la potenza di Dio che salva. E questo non mediante dei gesti esterni, ma attraverso un atto di adesione interiore “nei vostri cuori”, che non è soltanto un sapere che Cristo ha vinto la morte, ma affidarsi alla sua vittoria perché ne diventiamo partecipi anche noi. Qui è implicito un insegnamento sulla preghiera come mezzo che può e deve nutrire la speranza. Questo è oltre ad un’istruzione, oltre ad un ammaestramento su ciò in cui si deve credere e spera-re. Siamo veramente nel nucleo centrale, nell’insegnamento della 1Pt sulla speranza. Questa lette-ra ci chiede una prontezza all’apologia. Questo termine, come dicevo prima, evoca un contesto giuridico e suggerisce il quadro di credenti chiamati in giudizio per la loro identità cristiana. Non dobbiamo pensare necessariamente, come dicevo prima, ad una persecuzione istituzionale, ma an-che a questo senso diffuso di ostilità e di irrisione attorno al comportamento cristiano. D’altra parte questo termine “apologia”… l’autore qui non lo dice, ma per noi che facciamo una lettura globale della scrittura può rimandarci a chi alla fine ci difende nel tribunale del mondo. Nel Vangelo di Gio-vanni troviamo un altro termine giuridico, anche se noi l’abbiamo spiritualizzato: il Paraclito. Il Pa-raclito è l’avvocato difensore, non l’avvocato che crea una patina d’innocenza attorno ad un impu-tato, ma colui che fa venire fuori la verità, lo Spirito di verità. La 1Pt non lo dice, ma noi con quel termine giuridico di Apologia siamo quasi spontaneamente rimandati a questo difensore che si mette accanto a noi “davanti a chiunque vi domandi ragione della speranza”. L’apologia della Speranza richiesta dalla 1Pt ci fa vedere che noi cristiani dobbiamo prendere sul serio qualsiasi richiesta venga avanzata circa la spiegazione del nostro modo di comportarci. Noi qualche volta siamo pronti a dare delle risposte sulle cose in cui crediamo, ma qui si tratta di dare delle motivazioni sul perché ci comportiamo così e non diversamente, quindi il problema è spostato non sulla nostra ortodossia, è spostato sul nostro comportamento. La risposta, dice l’autore, deve essere data con serietà, avvalendosi delle parole e dell’esempio della vita. Già dicevo che forse ci saremmo aspettati la parola fede, invece qui l’autore dice la parola speranza, che dà un orizzonte più grande, più ampio rispetto a quello che ci verrebbe probabilmente dalla parola fede. E dunque nell’orizzonte più grande delle aspettative, dei desideri, degli orientamenti attorno a noi, è in que-sto contesto più grande delle aspettative che prendono rilievo le singole azioni dl cristiano e le mo-tivazioni delle sue scelte.
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Non va data per scontata l’esortazione a rendere ragione della speranza, perché nel momento in cui venne scritto questo testo nel mondo greco-romano pullulavano gruppi esoterici, nei quali i mi-steri rivelati alla comunità dovevano rimanere gelosamente segreti, non divulgati. Anche nella prassi cristiana si registra qualche cosa di simile riguardo all’Eucaristia, e allora il cristiano ricorre a dei simbolismi; ad esempio il più diffuso è quello dell’Iktùs, del pesce, quindi c’è questa chiamata legge di un certo segreto: nell’itinerario di iniziazione il neofita veniva introdotto gradualmente nei misteri della fede, ma questa cosiddetta legge dell’arcano non significava affatto, non aveva un va-lore di esoterismo. Vedete, se noi guardiamo a tante trasmissioni che si fanno in televisione su questioni che hanno in qualche maniera a che fare con l’esperienza religiosa, questi hanno sempre la tendenza di andarsene sull’esoterismo. Lasciamo stare il Santo Graal nella narrativa contempo-ranea. Nel pomeriggio è venuto a trovarmi un mio ex alunno che ha discusso un dottorato di ricer-ca su alcuni problemi di ontologia rosminiana; parlavamo di alcune connessioni e lui mi diceva “io da Rosmini sono stato portato a S.Tommaso, per cui ogni volta che leggevo l’Ontologia di Rosmini dovevo andare sempre alle questioni sulla verità di S.Tommaso”. Parlando di questo io lo incorag-giavo a prendere delle piste di ricerca, e alla fine ho preso un libro e gli ho detto “senti, leggiti questo libro”, e il libro era la tesi di laurea di Umberto Eco, il quale ha fatto una tesi di Laurea sull’estetica in S.Tommaso d’Aquino, e ha scritto anche dei trattati sull’estetica nell’età medievale, ecc. E’ vero che Umberto Eco ha scritto “Il nome della rosa”, ma si tratta di tutt’altro genere rispet-to al Codice Da Vinci. Il campo di Umberto Eco è la filosofia, non l’esoterismo, anche se lui pone un elemento costitutivo nel libro di Aristotele sul riso, sulla comicità… Ma questa è una questione medievale… oggi l’esoterismo è di moda… Ieri sera casualmente sono tornato tardi e facendo zapping sono capitato su RAI 3 dove si stava concludendo la trasmissione di Enigma, e allora Mi-lingo… segreti di Fatima… tutto andava nel senso dell’esoterismo e dell’apocalittica. Il cristianesimo non ha nulla di esoterico, e allora quando l’autore dice “pronti a dare ragione da-vanti a chiunque ve lo chieda”, qualunque tipo di richiesta… questo è importante: il cristiano non deve avere paura di dichiarare davanti al mondo quello che lo rende capace di sostenere sofferen-ze e persecuzioni, proprio perché il mistero pasquale ha una portata universale, e non è riservato a pochi adepti, a pochi scelti. Una questione non secondaria di una ribellione (chiamiamola chiara-mente così, perché tentativi di metterci d’accordo a mio parere sono fasulli, chiunque li faccia, e non vanno da nessuna parte) lefervriana, ad esempio, riguardo alla riforma del Concilio sta proprio nel fatto che è evidente nelle traduzioni delle parole della consacrazione sul calice “pro multis”… la traduzioni dicono “per tutti”, ora loro dicono che è un tradimento del Vangelo, perché la salvezza è per molti ma non è per tutti. Quindi ci sono alcuni che sono esclusi… questo non è secondario; questo non è questione di messale romano di Paolo VI o di messale di Pio V… sono questioni che toccano l’essenza della portata universale della salvezza. Proprio perché il mistero pasquale di Cristo ha una portata universale, e non esclude nessuno as-solutamente, ecco che l’autore della 1° di Pietro dice “le ragioni del vostro comportamento”, per-ché fate così e non diversamente, dovete dirlo a tutti. Questa insistenza con cui il cristiano deve giudicare la propria speranza ha una duplice ragione. Sul versante del destinatario dell’apologia, della difesa, il quale è convinto non dall’aggressività (“fatelo con dolcezza e rispetto”) ma da un at-teggiamento rispettoso e amabile; ma anche sul versante del testimone il rispetto significa timore di Dio che gli impedisce di far crescere il proprio io in modo enfatico perché questo significherebbe sminuire Dio. D’altra parte la rinuncia ad argomenti aggressivi, in favore di argomenti non violenti può anche incontrare incomprensione e non ottenere effetto sul destinatario dell’apologia. La 1Pt non garantisce un risultato automatico, magico della testimonianza cristiana, anche quando l’autenticità della testimonianza di un cristiano sia assodata. Ebbene, pure in questo caso, il cristia-no non si deve scoraggiare ma, sorretto dalla testimonianza della sua buona coscienza, saprà leg-gere in questa sofferenza non un segno di disinteresse da parte di Dio, ma il compiersi di un suo misterioso piano con cui egli vuole ancora di più benedirlo proprio attraverso la prova di un dolore accettato con serenità e fiducia.
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Quindi, vorrei insistere ancora di più, non si tratta di quelle normali difficoltà che ci sono nel com-piere il bene, nel ricercare la verità… queste sono difficoltà che trovano tutti, anche i non cristiani. Ancora una volta viene suggerito indirettamente al lettore che la sofferenza può avere una grande dignità, proprio perché può essere letta e vissuta come partecipazione alla sofferenza di Cristo stesso (questo lo si dice nel capitolo successivo). Proprio per questo la sofferenza non è una smen-tita della speranza, ma proprio un’occasione perché diventi più vigorosa. La situazione di prova, in-fatti, ci lascia capire che la nostra speranza non è ottimismo; e proprio la situazione di prova met-te in evidenza la dimensione di qualità teologale, cioè di una grazia che Dio accorda ai credenti perché siano perseveranti nell’attesa del suo ritorno. Ecco perché nell’ultima parte della lettera, nel cap. 5, si parla anche del comportamento del cristiano in quella che si chiama la sofferenza escato-logica. Questo ci lascia capire che la speranza cristiana non è una fuga nel futuro di fronte ad un presente difficile, ma piuttosto è una risorsa per rimanere stabili, per resistere oggi. Uso questa parola “resistenza” non nel senso dei partigiani, ma nella terminologia di un grande testimone della fede in una situazione difficile, Dietrich Bonnoeffer, il quale parla di una resistenza; lui resiste al malvagio, si arrende a Dio, ma questo è un altro discorso. Quello che vuol farci capire l’autore del-la lettera di Pietro è che la speranza non è una fuga utopistica, non è una utopia… me ne vado da qui… fuggo da qui… sperando in una soluzione migliore… Se noi dovessimo fare questo faremmo la fine di quelli che ad ogni annuncio di fine del mondo lo spostano di qualche giorno o di qualche anno… tanto è meglio dire che sarà domani… allora si fa in questo caso la morte dalle mille quali-ficazioni: ogni volta che c’è qualcosa che ci smentisce… abbiamo ragione: spostiamo il problema. No, la nostra speranza non ci fa spostare i problemi, ma la speranza è una risorsa per affrontare oggi una situazione difficile qualunque essa sia e da chiunque questa difficoltà provenga.