Rigenerati nella Resurrezione di Cristo per una speranza ... · Quindi non si sta nella Chiesa come...

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1 Giornate di spiritualità biblica con le famiglie Centro S.Maria dell‟Acero Velletri 7-8-9-luglio 2006 Rigenerati nella Resurrezione di Cristo per una speranza viva (1Pt 1, 3) PRIMA LETTERA DI PIETRO Riflessioni proposte da Don Carlino e ricavate dalla registrazione su cassetta (testo non rivisto dall‟Autore) Rigenerati nella Risurrezione per una speranza viva (1, 3) Prima lettura biblica e prima riflessione LA PRIMA LETTERA DI PIETRO. RISVEGLIARE LA MEMORIA (1, 1-3; 5, 12) 1 Perché la scelta di questo libro biblico Domanda: come mai in questo anno 2006 ci accostiamo a questo libro, dei 73 libri della Bibbia? Le motivazioni possono essere tan- te… tutte quelle che vi dico sono vere, però non sono naturalmente le uniche. La scelta è molto semplice però è fondamentale. E‟ quan- to magari avremo l‟occasione di annunciare e celebrare e servire proprio dentro la Parola di questi tre giorni, perché noi siamo Chiesa. Questo è il motivo fondamentale della scelta di questo libro. Ne abbiamo fatti soltanto 19; 73 meno 19… provate a pensare quanti ce ne sono… però la scelta innanzitutto era per que- sto: per non perdere mai ciò che siamo; siamo Chiesa. Anzi è una cosa molto bella perché il grosso lavoro di conoscenza di questi giorni serve ad arricchire non soltanto il vocabolario, ma quello che ci permetterà probabilmente di crescere in un modo diverso dentro quello che finora crediamo o pensiamo di credere. Vedremo che la lettera di Pietro (dirò come mai uso sempre questo termine) non userà mai, a differenza di S.Paolo ad esempio, la parola “Chiesa” o la parola Ecclesìa; proprio non la usa mai. Il termine greco di Chiesa è Ecclesìa, e Pietro non lo usa. La lettera di Pie- tro è scritta in un greco molto bello, raffinato. Probabilmente Pietro il pescatore così raffina- to, almeno come conoscenza del testo, non lo era; però non è questa l‟unica realtà importan- te. La lettera di Pietro parla sempre di “casa”, “oikìa”, e soprattutto di casa spirituale. Parle- rà in particolare di noi come pietre vive, anzi addirittura come stirpe eletta, sacerdozio rega- le, gente santa, e di noi come un popolo parti- colare, popolo acquistato direttamente da Dio. Guardate che essere tutto questo, amici, cioè essere chiesa (almeno noi proviamo a creder- ci) non è un posto, non è un luogo: essere Chiesa è una identità. Essere Chiesa non è l‟appartenenza a un qualcosa, è identità… punto e basta. La cultura che il popolo di Dio ha, non per cattiveria, guarda alla Chiesa co- me appartenenza, a un luogo, un posto un‟aggregazione… mentre l‟essere Chiesa è un‟identità. Credo che questo sia un primo punto chiaro, un punto molto importante. E‟ bello perché ci sono amici tra noi che sono segnati dal dolore di una separazione, di un divorzio, in cui magari può esserci il dolore di non poter vivere una pienezza quale potrebbe essere il sacramento della Comunione eucari- stica… però si vive sempre una pienezza di Chiesa. E una delle grandi domande che ritor- nano è questa: siccome il fare la Comunione ha un significato di appartenenza, non facen- do la Comunione non appartengo. Capite co- me funzionano i codici? Dimenticando che

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Giornate di spiritualità biblica con le famiglie

Centro S.Maria dell‟Acero – Velletri – 7-8-9-luglio 2006

Rigenerati nella Resurrezione di Cristo per una speranza viva (1Pt 1, 3)

PRIMA LETTERA DI PIETRO

Riflessioni proposte da Don Carlino e ricavate dalla registrazione su cassetta (testo non rivisto dall‟Autore)

Rigenerati nella Risurrezione

per una speranza viva (1, 3)

Prima lettura biblica e prima riflessione

LA PRIMA LETTERA DI PIETRO.

RISVEGLIARE LA MEMORIA (1, 1-3; 5, 12)

1 – Perché la scelta

di questo libro biblico

Domanda: come mai in questo anno 2006 ci

accostiamo a questo libro, dei 73 libri della

Bibbia? Le motivazioni possono essere tan-

te… tutte quelle che vi dico sono vere, però

non sono naturalmente le uniche. La scelta è

molto semplice però è fondamentale. E‟ quan-

to magari avremo l‟occasione di annunciare e

celebrare e servire proprio dentro la Parola di

questi tre giorni, perché noi siamo Chiesa.

Questo è il motivo fondamentale della scelta

di questo libro. Ne abbiamo fatti soltanto 19;

73 meno 19… provate a pensare quanti ce ne

sono… però la scelta innanzitutto era per que-

sto: per non perdere mai ciò che siamo; siamo

Chiesa. Anzi è una cosa molto bella perché il

grosso lavoro di conoscenza di questi giorni

serve ad arricchire non soltanto il vocabolario,

ma quello che ci permetterà probabilmente di

crescere in un modo diverso dentro quello che

finora crediamo o pensiamo di credere.

Vedremo che la lettera di Pietro (dirò come

mai uso sempre questo termine) non userà

mai, a differenza di S.Paolo ad esempio, la

parola “Chiesa” o la parola Ecclesìa; proprio

non la usa mai. Il termine greco di Chiesa è

Ecclesìa, e Pietro non lo usa. La lettera di Pie-

tro è scritta in un greco molto bello, raffinato.

Probabilmente Pietro il pescatore così raffina-

to, almeno come conoscenza del testo, non lo

era; però non è questa l‟unica realtà importan-

te. La lettera di Pietro parla sempre di “casa”,

“oikìa”, e soprattutto di casa spirituale. Parle-

rà in particolare di noi come pietre vive, anzi

addirittura come stirpe eletta, sacerdozio rega-

le, gente santa, e di noi come un popolo parti-

colare, popolo acquistato direttamente da Dio.

Guardate che essere tutto questo, amici, cioè

essere chiesa (almeno noi proviamo a creder-

ci) non è un posto, non è un luogo: essere

Chiesa è una identità. Essere Chiesa non è

l‟appartenenza a un qualcosa, è identità…

punto e basta. La cultura che il popolo di Dio

ha, non per cattiveria, guarda alla Chiesa co-

me appartenenza, a un luogo, un posto

un‟aggregazione… mentre l‟essere Chiesa è

un‟identità. Credo che questo sia un primo

punto chiaro, un punto molto importante. E‟

bello perché ci sono amici tra noi che sono

segnati dal dolore di una separazione, di un

divorzio, in cui magari può esserci il dolore di

non poter vivere una pienezza quale potrebbe

essere il sacramento della Comunione eucari-

stica… però si vive sempre una pienezza di

Chiesa. E una delle grandi domande che ritor-

nano è questa: siccome il fare la Comunione

ha un significato di appartenenza, non facen-

do la Comunione non appartengo. Capite co-

me funzionano i codici? Dimenticando che

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l‟essere cristiani non è un‟appartenenza, è una

identità. Quindi non si sta nella Chiesa come

in un luogo, ma proprio come stato di vita.

Questo è un punto che ritornerà spessissimo

nell‟arco di questi giorni.

Appuntamento della Chiesa Italiana a Ve-

rona, ottobre 2006. “Testimoni di Gesù Ri-

sorto Speranza del mondo”.

Sapete che la Chiesa in Italia all‟inizio di que-

sto millennio ogni 10 anni si dà un appunta-

mento, un convegno ecclesiale. Per carità:

non è che risolve le realtà, però credo che sia

importante ogni tanto, come tra di voi, darsi

un appuntamento. Se tra marito e moglie, tra

sposo e sposa, nell‟arco di una giornata non vi

date un appuntamento, credo che sia difficile

incontrarsi. E‟ chiaro che non tutta la vita di-

penderà da quell‟incontro, però senza

quell‟incontro non c‟è neanche il resto. Credo

che sia importante uscire da alcuni schemini,

da alcune battute che ormai sono abbastanza

infantili.

Quest‟anno l‟appuntamento (l‟ultimo era stato

10 anni fa a Palermo) sarà a Verona, per con-

frontarci e discernere su un tema: testimoni,

come cristiani, di un uomo. Scusate, non vo-

glio scandalizzarvi: noi non siamo testimoni

di una religione… non siamo testimoni di una

ideologia… non siamo dei militanti (anche se

con la Cresima una volta ci dicevano “diventi

un soldato di Gesù Cristo”). Testimoni di un

uomo, di Gesù di Nazaret, crocifisso e risorto,

speranza del mondo. Sono realtà da collegare.

Esperienza della testimonianza, la testimo-

nianza parte non da una realtà qualunque, ma

da un evento chiaro: la Resurrezione, la Pa-

squa; e l‟altro tema è quello della speranza. E

per ritrovare, come dicono i vescovi d‟Italia,

la sorgente, la radice, il racconto della testi-

monianza, del vangelo della speranza, ha in-

dicato nella prima lettera di Pietro (lo dice un

documento di rara bellezza e di grande effica-

cia comunicativa) l‟orientamento dei passi

della Chiesa.

Cammino della Chiesa di Albano:

“In cerca dei fratelli”

Quindi nella coscienza che veramente siamo

stirpe eletta, sacerdozio regale, gente santa,

popolo acquistato direttamente da Dio… non

da una Chiesa, non da un Vaticano, non dai

preti e neanche dalla nostra buona volontà. E

noi siamo stirpe eletta, sacerdozio regale, gen-

te santa (… senza togliere niente agli amici

che possono venire da diocesi vicine) dentro

questa Chiesa, questa terra, che è la Chiesa e

la terra del popolo di Albano, senza il quale

non c‟è Chiesa. Credo che questi siano alcuni

punti sui quali magari avremo tempo per una

risonanza. E come Pietro scriverà, chiaman-

doli “i fratelli dispersi” nella diaspora delle

comunità dell‟Asia minore, il nostro vescovo

quest‟anno ha inviato la sua prima lettera pa-

storale nella quale ci vuole confermare nella

fede 1) che davvero Cristo è risorto; 2) che

non siamo nati da un morto, non siamo venuti

fuori da una tomba, ma siamo stati rigenerati

nella resurrezione per una speranza viva. E‟

un segno chiaro; il nostro vescovo ci dice che

veramente siamo figli di Dio quando viviamo

da fratelli. La certezza, la sicurezza sacramen-

tale, in carne e ossa, che veramente io sono

figlio di Dio quando io vivo da fratello. Quin-

di vedete che il termine è stupendo, è chiaro

ed è molto forte.

Questo è il tema della fraternità che nella

prima lettera di Pietro troveremo in un modo

fortissimo; e nella sua lettera ad un certo pun-

to il vescovo Marcello dice: “Il Padre non sol-

tanto invia suo figlio ma invia ciascuno di noi,

suoi figli, perché stia con i fratelli” (scusate…

non perché si faccia gli affari suoi). E ognuno

di noi è un figlio che il Padre ha mandato a un

fratello, a una sorella, a uno sposo, a una spo-

sa, a un padre, a una madre, a un figlio. Ap-

punto, la sua lettera pastorale è “In cerca dei

fratelli” e l‟icona che prende è quella di Giu-

seppe con il suo sogno. Il vescovo continua e

dice: “La nostra storia personale, coniugale,

familiare, sociale, ecclesiale, la nostra Chiesa

è una fraternità ritrovata in Cristo Gesù croci-

fisso e risorto”. Questo è un po‟ un primo

punto, una prima motivazione.

Il nostro bisogno di speranza, di “essere

saldi nella fede” in un mondo in cui i cri-

stiani sono una minoranza.

Poi non c‟è bisogno di andare a cercare; credo

che ognuno di voi e il sottoscritto ogni giorno,

ogni istante ha bisogno di speranza, ha biso-

gno di situazioni e di motivi per credere, o

meglio ancora per sperare. Una terza motiva-

zione che sarà molto bella, e credo che questo

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potrà suscitare una bellissima parola di scam-

bio tra di noi, è legata non tanto al tema di

Verona… comunque nel documento che i ve-

scovi hanno preparato, direttamente non è

presente, perché ancora poco percepito dalla

maggioranza dei cattolici in Italia. Sapete qual

è? Che la fede cristiana (non la religione cri-

stiana) sta diventando minoritaria nella nostra

terra bellissima italiana.

Ve lo ripeto: la fede cristiana (non la religio-

ne, che è un‟altra cosa) sta diventando minori-

taria nella nostra società, società cosiddetta

laica, pluralista, secolarizzata, e tutta “multi”

(multietnica, multireligiosa, multiculturale…).

D‟altra parte, esteriormente abbiamo ancora

un contesto di cristianità, però nel profondo (a

volte nel profondo, dentro di me, dentro o-

gnuno di noi, anche il più vero come cristiano

e credente) la persona è indifferente alla prati-

ca di fede, per cui ci troviamo anche noi come

le comunità dell‟Asia Minore alle quali questa

lettera è indirizzata.

Alcuni passaggi veloci su questo punto. Esse-

re minoranza non è una sconfitta; essere mi-

noranza è una grazia perché è un appello ad

approfondire la Grazia del dono ricevuto, e

soprattutto per rinnovare l‟impegno per testi-

moniare la speranza che è in noi. Mentre a

volte noi viviamo frustrati perché siamo mi-

noranza. Guardate che questo, nei 2000 anni

di storia della Chiesa, è la tentazione perma-

nente. Dentro questa tentazione permanente

prima la Parola di Dio, poi le lettere degli a-

postoli, e poi in particolare i Padri della Chie-

sa continuano sempre a mettere in guardia.

Allora questa sarà la domanda: ma qual è lo

stile di un testimone come ognuno di noi?

Qual è lo stile di un testimone in un mondo

che è ostile? Guardate che il mondo che ci sta

attorno come cristiani è ostile, e l‟ostilità più

profonda non è di chi combatte e fa del male,

ma è quello che ti frega, ti circuisce… in cui

la parola più blasfema è “che male c‟è?”.

L‟altra espressione più blasfema è “che diffe-

renza fa?”; l‟altra espressione che è diventata

l‟unico codice etico sapete che cos‟è? (io par-

lo di noi cristiani cattolici) è “Però è bello!”.

Vorrei dire poche parole mie e lasciare parlare

Lui come Parola. Qualcuno di voi ha letto

quel celebre romanzo di Mario Pomilio “Il

quinto Evangelio”; a un certo punto il roman-

ziere scrive: “si dice che all‟interno dei quat-

tro vangeli conosciuti è come se ce ne fosse

uno ancora sconosciuto, ma ogni volta che la

Fede accenna a rifiorire, è segno che qualcuno

ha intravisto quel vangelo”. Sorelle, fratelli…

ognuno di noi scrive nella sua vita il quinto

vangelo… a livello personale, come coppia-

famiglia, come comunità, perché il Vangelo

non è finito… è da scrivere, è da vivere. Per-

ché noi saremmo, questa volta, un testo e una

Parola viva.

2 – E’ una lettera cattolica.

Ma è una lettera?

Secondo passaggio: ma questa è proprio una

lettera? Uno scritto molto breve: i versetti so-

no soltanto 105, e fa parte di un grande corpo

chiamato le “lettere cattoliche”. Il termine

“catolikòs” vuol dire universale, anzi di per

sé vorrebbe dire “katà olos”, accanto a ognu-

no, cioè accanto a tutti. Le lettere cosiddette

cattoliche non sono indirizzate a delle comu-

nità particolari, come quelle che S.Paolo scri-

ve agli Efesini, ai Romani, ai Filippesi, ai Co-

rinzi, ai Galati, ai Tessalonicesi, oppure a Ti-

to, a Timoteo, a Filemone, agli Ebrei. Quindi

non scritte a comunità o a persone, ma scritte

ai cristiani in generale. Questo è il motivo per

cui si chiama cattolica.

Le lettere cattoliche sono 7: la lettera di Gia-

como (che abbiamo goduto 3-4 anni fa), le

due lettere di Pietro, le tre lettere di Giovanni

e una lettera di Giuda. Questa lettera di Pietro

ha una cornice epistolare: che chi scrive non

conosce direttamente i destinatari, non entra

in situazioni particolari (come invece fa

S.Paolo che conosce molto bene i destinatari),

non è una lettera scritta o dettata come viene

(a braccio) perché è molto accurata nello stile,

nel linguaggio e nella sua forza retorica. Il che

vuol dire che chi scrive ha una grossa, pro-

fonda conoscenza, perché per fare la lettera di

Pietro occorrerebbero almeno quattro “lectio”

al giorno per un mese! Anche perché ogni

termine mi rimanda a tutta la storia della sal-

vezza, a tutta la Bibbia. Guardate che è una

cultura che noi rischiamo di non avere come

cristiani; non dico di perdere, ma di non avere

mai avuto!

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Una lettera-enciclica-circolare; una omelia-

catechesi battesimale

Qualcuno dice che più che una lettera è una

grande omelia, cosiddetta battesimale, perché

ritroveremo molto il tema del battesimo, an-

che se di per sé la parola battesimo ricorre

soltanto una volta in questa lettera. Più che

quello di battesimo, il termine bello che ama è

quello del rinascere; ma soprattutto vedremo

che più di parlare su cos‟è il battesimo (pre-

occupazione tipicamente razionale-

occidentale dei nostri catechismi) vuole vede-

re quali sono gli effetti del battesimo; quindi

parlerà dell‟identità, della dignità, della re-

sponsabilità e della missione del cristiano.

Indirizzata “agli eletti forestieri della dia-

spora” (1, 1)

Un‟altra nota che vale la pena di sapere: viene

chiamata (ne scrivono anche oggi i papi) una

“lettera enciclica”. Enciclica vuol dire circola-

re, vuol dire che la mandi a una comunità e

poi la fai girare agli altri. Quindi non è che

abbia un destinatario, ma la cosa bella è che

passa, e soltanto quello che passa normalmen-

te crea vita e crea storia. A chi viene passata?

Sono comunità cristiane dell‟Asia Minore, in

Turchia. Sono comunità che noi diremmo di-

sperse: sono piccole comunità in situazione di

diaspora. Proviamo a leggere subito il primo

versetto

Pietro, apostolo di Gesù Cristo, ai fedeli di-

spersi nel Ponto, nella Galazia, nella Cappa-

docia, nell‟Asia e nella Bitinia.

Quindi, diremmo noi, saremmo più o meno

nella zona della moderna Turchia. Mi viene il

rimando di un amico col quale ho condiviso 5

anni prima di diventare sacerdoti, e anche do-

po come amicizia, don Andrea Santoro, quel-

lo che ha voluto essere là, in queste comunità

disperse. E gli dicevano spesso i cardinali (me

lo ricordo perché eravamo compagni… e poi

figli del ‟68… c‟era dentro questa passione)

“..a cosa ti serve là?... per che cosa?... tanto

non ti viene dietro nessuno… non ti verrà

nessuno in chiesa…”. Ma questo non è im-

portante, perché il nostro annuncio non è in

una funzionalità, non è per fare dei proseliti,

non è per contarci… Provate a pensare quale

sintonia dentro a queste considerazioni.

Vedremo una lettera pastorale che però è mol-

to ricca di citazioni dalle Scritture; anzi, nel

testo che vi ho dato della Bibbia di Gerusa-

lemme vedete quanti ricchissimi rimandi. Il

che vuol dire: dopo questi tre giorni, ogni

giorno regalatevi un boccone della lettera di

Pietro e con calma andate a cercarvi tutti i ri-

mandi biblici. Questo per dire che ogni libro

della Parola contiene in un certo senso tutta la

Parola. Guardate che questo è importantissi-

mo, ed è grande questo tipo di coscienza.

Quindi anche se i cristiani, sia quelli di ieri

che di oggi, sono in situazione di diaspora,

però sono sempre una fraternità nel mondo.

Questa è la coscienza molto bella; tu puoi es-

sere qui, hai dei fratelli che possono soffrire

in capo al mondo, però è un‟unica fraternità.

Anzi, fate una cosa al volo, partendo dal fon-

do, cap. 5, 9. Prima parlerà di un tipo simpati-

co, il diavolo che come leone ruggente va in

giro a cercare chi divorare. Dice:

resistetegli saldi nella fede [ecco il punto] sa-

pendo che i vostri fratelli sparsi nel mondo su-

biscono le stesse sofferenze di voi.

E‟ una cosa bella… sapere che c‟è una comu-

nione del bene, la comunione dei santi (addi-

rittura è una professione di fede per noi), però

c‟è anche una profonda comunione di chi sof-

fre. Non è mai solitudine. Quella che è una

bestialità è la sofferenza in solitudine, perché

non è tanto la sofferenza che ti distrugge, ma

è la solitudine nella sofferenza. Questo è il

punto cardine. Seguire Cristo non è

un‟avventura solitaria, seguire Cristo non è un

viaggio che fai da solo, per i fatti tuoi, ma è

un cammino che impegna e coinvolge tutta la

comunità.

Forte ecclesiologia di comunione

Un altro punto che riprenderemo è che la pri-

ma lettera di Pietro ha una forte ecclesiologia

di comunione. Ecclesiologia vuol dire visione

di Chiesa. Non per niente questa lettera è stata

riscoperta negli ultimi 40 anni, dopo il Conci-

lio Vaticano II, quando il Concilio ha capo-

volto completamente l‟ecclesiologia,

l‟impostazione, il modo di guardare e di esse-

re Chiesa. Ricordate che prima era piramida-

le: in cima c‟è il papa, poi i vescovi e giù giù

fino al popolo di Dio. La rivoluzione è che è

eliminata la piramidale e si parla di Chiesa

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come comunione, come popolo di Dio, come

mistero. Sono termini che ritroveremo, puliti

puliti, nella prima lettera di Pietro.

3 – Perché e per chi è stata scritta

Perché è stata scritta? Qual è lo scopo di que-

sta lettera?

“Per incoraggiarvi e assicurarvi che questa

è la vera grazia di Dio” (1,1)

Il motivo non viene detto all‟inizio, ma viene

detto alla fine; proviamo a leggerlo 5, 12:

Vi ho scritto, come io ritengo, brevemente per

mezzo di Silvano, fratello fedele [ecco perché

vi scrivo:] per esortarvi e attestarvi che questa

è la vera grazia di Dio. In essa state saldi!

Questo è il motivo perché vi ho scritto. Come

dire… se non l‟avete ancora capito ve lo dico

io… Guardate che è bello, anche come strut-

tura…

Per ridestare la memoria; “risvegliare con

ammonimenti la vostra sana intelligenza” (2Pt 3,1)

Ora vi chiedo di agganciare la lettera che vie-

ne dopo, la seconda lettera di Pietro, al cap 3.

Dice:

questa, o carissimi, è già la seconda lettera che

vi scrivo. In tutte e due [ecco il motivo:] cerco

di ridestare con ammonimenti la vostra sana

intelligenza.

La traduzione esatta dal greco suonerebbe co-

sì: io cerco di risvegliare alla memoria la lim-

pida comprensione del mistero cristiano. Cioè

vi vorrei dare una lucidità mentale,

un‟intelligenza della vostra fede. Guardate

che quello che oggi manca a noi è

l‟intelligenza della fede. E‟ importante crede-

re ma non è sufficiente; si parla di intelligenza

della fede. Perché la fede è carica di intelli-

genza, e l‟intelligenza è vera se è carica di fe-

de. Mentre noi le abbiamo staccate, costruen-

do quella cosa idiota che è il fideismo. Quindi

parla di risveglio della memoria, il che vuol

dire che non si può essere testimoni senza

memoria. Non posso testimoniare Gesù Cristo

se non risveglio dentro di me la memoria di

Lui, soprattutto se io non vivo “in memoria”

di Lui.

Non c’è testimonianza senza memoria

Ad ogni Eucaristia noi diciamo “fate questo in

memoria di me”. Qui non è un‟operazione che

riguarda il passato, l‟indietro… un autore dice

“è una ben povera memoria quella che fun-

ziona solo all‟indietro…”. Qui dovremmo fa-

re molto il lavoro tra memoria e testimonian-

za. Chi di voi era presente al convegno di fine

maggio… è venuto da Milano un biblista,

Manzi, che ha fatto benissimo queste rifles-

sioni del rapporto tra memoria e testimonian-

za. Testimoniare che cosa vuol dire? E‟ parte-

ciparti qui e ora il mio incontro, il mio vissuto

e la mia esperienza di uomo rigenerato nella

sua grande misericordia, nella resurrezione di

Cristo, per una speranza viva. Nella coscienza

però che è lo Spirito “che vi insegnerà ogni

cosa”.

Vi ricordate nei discorsi di addio di Gesù;

quante volte Gesù dice ai suoi: guardate che è

lo Spirito che vi insegnerà ogni cosa, è lo Spi-

rito che vi ricorderà, è lo Spirito che vi farà

memoria di tutto quello che vi ho detto. Guar-

date che senza lo Spirito non c‟è memoria: al

limite ti passo la mia cultura, se vuoi una cosa

mia personale, ma non certo ti passo Grazia.

Qui c‟è un commento molto bello di S. Ago-

stino che diceva “abiti nella mia memoria, Si-

gnore, ma dove dimori? Quale stanza ti sei

preparato? Quale santuario ti sei costruito? Ti

sei degnato di abitare nella mia memoria, ma

in che punto? Io questo vorrei sapere”. Il che

vuol dire che la memoria di ogni cristiano sul-

la faccia della terra è il luogo in cui dimora lo

Spirito Santo.

E allora le domande che possono nascere nel

cuore di ognuno di noi possono essere tante.

Lo vedremo quando la lettera di Pietro dirà:

voi siete impiegati e verrete impiegati come

pietre vive per la costruzione di un edificio

spirituale, noi diremmo per la costruzione di

una casa mnemonica, ossia una casa capace di

essere e fare memoria, però anche abitata dal-

lo Spirito Santo. In questi giorni ci sono mi-

gliaia e migliaia di famiglie (domani le rag-

giungerà anche il papa) per l‟appuntamento a

Valencia. Il tema che quest‟anno guida

l‟incontro di tutte le famiglie a livello mon-

diale è la trasmissione della fede nella fami-

glia. Amici, la famiglia che voi avete generato

e costruito è veramente una memoria, un luo-

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go dello Spirito Santo? In cui veramente passa

e viene trasmesso e viene consegnato tutto

questo? Ricordate la parola di Dio nella Prima

Alleanza… lì c‟era una coscienza molto forte

della famiglia… poi col discorso di Costanti-

no e della Chiesa l‟abbiamo un po‟ mazzola-

ta… Quando Dio dice al popolo “lo racconte-

rete ai vostri figli”, non è roba di

un‟istituzione, non è roba soltanto di una

Chiesa o di un tipo di catechismo, ma di sape-

re se la tua casa, luogo abitato dallo Spirito, è

luogo di memoria. Non dimenticate, amici,

che la casa che voi abitate, cosiddetta famiglia

nata dal sacramento del matrimonio, è il

grande mistero di Dio. In famiglia ogni essere

umano fa la prima esperienza della Trinità,

come fa la prima esperienza della Pasqua e

della Resurrezione.

Chiesa di ieri, Chiesa di oggi: comunità di

diaspora

Un altro punto che riprenderemo con più cal-

ma: credo che siamo ormai in un‟esperienza

cosiddetta di diaspora, anche noi nella nostra

vecchia Europa come cristiani siamo in una

realtà di diaspora. Ormai da trent‟anni la

Chiesa sta parlando di nuova evangelizzazio-

ne, quindi voi provate a pensare alle due co-

munità: quella da cui parte la lettera e quella

in cui arriva praticamente vivono praticamen-

te la stessa dimensione. Qui siamo sicuramen-

te attorno al 70 d.C., anche per cominciare a

localizzare il punto storico. Però guardate…

anche se non c‟è un tipo di contemporaneità

di anno, però non è importante per l‟autore

della lettera. Comunque l‟autore ha una co-

scienza: che anche per noi come per allora era

finito un cristianesimo “bello”, forte, entusia-

sta.

La generazione cui scrive è la generazione

che viene dopo gli apostoli, quindi è la gene-

razione che già non ha visto Gesù Cristo, di-

rettamente. Queste comunità erano ancora

molto cariche, perché l‟avevano visto,

l‟avevano toccato, c‟erano vissuti insieme.

Ormai la generazione cui scrive, la prima…

forse la seconda, non crede più “in diretta”,

ma crede per annuncio perché altri glie

l‟hanno detto. Questo vuol dire che i primi

cristiani devono fare i conti con una cosa: da

una parte quella roba tremenda che abbiamo

noi cristiani cattolici, della roba già sentita di-

re (…lo conosco… già sentito…) quindi non

c‟è più niente di nuovo; e dall‟altra quella di

omologarsi con la vita di tutti nella cultura e

nella società con la quale ti ritrovi.

Tentazione del conformismo e/o della di-

sperazione

Sono le due grandi tentazioni che qui ora co-

me cristiani ancora stiamo vivendo. Una è

quella del conformismo: anche se siamo cri-

stiani cattolici sentiamo dire anche sulla no-

stra bocca “cosa vuoi… lo fanno tutti…” (tor-

na il linguaggio di prima: “cosa c‟è di ma-

le?”). Credo che questo sia il primo punto.

Dall‟altra c‟è il discorso della disperazione, di

non trovare più un luogo di speranza… dispe-

razione perché ci sono le avvisaglie delle pri-

me comunità cristiane proprio dell‟effettiva

persecuzione. Questa comunità ancora non ci

è arrivata, non è arrivata la feroce persecuzio-

ne di Diocleziano, però è nell‟aria che sta ar-

rivando. Provate ad immaginare le nostre

prime comunità cristiane… anche loro come

potevano vivere. Sarà una domanda che lascio

a me e a voi.

Ricordo un vecchio insegnante di filosofia

che insegnava a noi ragazzi a ragionare e di-

ceva “sentite ragazzi… per l‟idea che mi stai

dicendo daresti almeno un mozzicone di siga-

retta? Però se per l‟idea che mi stai dicendo

noi dai neanche un mozzicone di sigaretta…

ma che cavolo di idea è?”. E allora io mi

chiedo, uomo come voi e cristiano come voi:

sinceramente, io per la mia fede… concreta-

mente… che cosa pago? Questo non ha niente

a che fare ne‟ con la disperazione ne‟ col de-

primerci, però indubbiamente interroga. Ve-

dremo che là dove non pago, probabilmente

non è fede quello che sto vivendo. Questo sa-

rà l‟annuncio chiaro, tremendo… che ci lasce-

rà sempre inquieti da questo punto di vista.

4 – Chi è l’autore della lettera?

Chi è l‟autore della lettera? Se voi prendete

l‟inizio, 1, 1 trovate scritto “Pietro, apostolo

di Gesù Cristo, ai fedeli”. Fedeli è un termine

tradotto male; il termine esatto è “eletti” “agli

eletti dispersi in queste regioni dell‟Asia mi-

nore”.

7

“Pietro, apostolo” (1,1), “co-presbitero”

Vedete che Pietro entra in scena subito ed è

definito apostolo. Ricordate che prima, quan-

do abbiamo letto il pezzo finale, dice “vi ho

scritto per mezzo di Silvano”. Silvano è il fa-

moso Sila che accompagnerà anche Paolo e

Barnaba, fratello fedele, grande collaboratore

di Paolo. Probabilmente era molto istruito, e

probabilmente era qualcosa di più di un sem-

plice segretario o di uno che scrive sotto det-

tatura. Però Pietro, apostolo di Gesù Cristo,

realizza la funzione di confermare i fratelli

nella fede. Ricordate che questa era la grande

consegna che Gesù lascia a Pietro: “E tu una

volta ravveduto conferma i tuoi fratelli nella

fede”. Prendete ancora il cap 5, 1. Dice

Esorto gli anziani che sono tra voi, quale an-

ziano come loro.

Il termine esatto sarebbe co-presbitero. “te-

stimone delle sofferenze di Cristo”. Vedete

che non c‟è dentro niente di quel linguaggio

di potere e di autorità, ma è un uomo che è

apostolo di Gesù Cristo, però è co-presbitero

e partecipe delle sofferenze di Cristo. Questo

è il grande titolo di dignità, non perché è pa-

pa…

Lettera intestata a Pietro, con la dottrina e

l’autorità petrina.

Provate a trovare il fondamento della Parola,

che è il fondamento di ciò che siamo come

Chiesa. Per cui credo che molti studiosi (que-

sta è l‟ipotesi più accreditata) più che

all‟apostolo Pietro attribuiscono questa lettera

alla tradizione petrina. Il che vuol dire che in

questa lettera c‟è dentro tutto Pietro, tutto il

suo pensiero, il suo stile e la sua verità. Per-

ché, vi ripeto, siamo già alla seconda genera-

zione; non per niente troviamo la frase che

avete sentito consegnando la parola a qualcu-

no, perché sono quelli che amano Cristo senza

averlo visto: “che pur non avendo visto cre-

dono in Lui”. Questa è la generazione cui si

rivolge.

Comunque è una lettera intestata a Pietro. Chi

lo ha fatto sapeva che scriveva e di avere

l‟autorità di scriverlo, in forza della quale po-

teva scrivere da Roma alle comunità lontane.

Guardate che è un grosso lavoro, dal Concilio

in poi, quello di scrutare le Scritture. Prima

prendevamo le Scritture un po‟ come ci veni-

vano… è vero che quando cominciamo questo

lavoro di esegesi, ancora più profondo di er-

meneutica… ti può anche disincantare. Chi di

noi è stato nella terra di Dio, nella Terra San-

ta… lì è una maledetta delusione, perché la

cosa bella è che non c‟è niente; non c‟è niente

di tutto quello che mi hanno detto, di tutto

quello che credo, e di tutto quello che cerca-

vo. Proprio non c‟è niente. E‟ la fede che par-

te là dove non c‟è niente. Perché non hai

manco un sasso, paradossalmente, cui attac-

carti, come dimostrazione, se non poter dire

“qui Cristo è nato, qui Cristo è morto, qui

l‟hanno inchiodato, qui è stato flagellato….”.

Credo sia importante ripercorrere anche que-

sta dimensione.

Sento anche di dirvi, in particolare alla gene-

razione più giovane, per la propria fede, per la

propria umanità, vivere una volta un „espe-

rienza nella terra di Dio. Perché è diverso es-

sere là e prendere in mano la Parola. Allora

posso vivere la storia con la geografia e posso

vivere la geografia con la storia. Non è una

pubblicità. Se noi nella gente avessimo svi-

luppato la gioia di conoscere la terra di Dio,

cioè la realtà biblica, come abbiamo sviluppa-

to questa roba dei pellegrinaggi a basso costo,

probabilmente avremmo una fede che parte

dalla Parola e che è semplicemente Fede.

Roma-Babilonia e Comunità

dell’Asia Minore: “co-elette”.

Un altro punto (5, 13):

Vi saluta anche la comunità che è stata eletta

come voi e che dimora in Babilonia.

Quindi la comunità di Roma è la comunità

che viene detta “co-eletta”, eletta con voi, e

qui Roma viene chiamata Babilonia. Per cui

in questa lettera quando troviamo Babilonia si

parla di Roma, perché Roma è capo

dell‟impero come Babilonia rappresentava per

il popolo credente veramente l‟impero, a par-

tire naturalmente dalla distruzione del tempio

nell‟anno 70. Quindi Babilonia era l‟emblema

della diaspora giudaica, però trovate benissi-

mo questa affinità tra la comunità di Roma e

le comunità sorelle dell‟Asia minore.

5 – Struttura della lettera

Tre grandi articolazioni:

8

La struttura della lettera: è divisa in 3 blocchi,

capitoli 1 e 2 con la vita e missione dei rige-

nerati; dal cap 2 al 4; e i cap 4 e 5. Un‟altra

cosa bella: questa lettera è una costellazione

di metafore. Noi occidentali usiamo molto il

pensiero e il concetto, cioè roba astratta, men-

tre la Parola di Dio (vedete anche solo il Van-

gelo) usa pochi pensieri, pochi concetti astrat-

ti (perché quando parli per astrattezze non ti

segue nessuno) ma parla per immagini e per

simboli. Quindi per raccontare e per definire

usa sempre lo stile dell‟allusione, che è lin-

guaggio evocativo, simbolico, che è la parte

(me lo insegnate come genitori e come nonni)

di quando raccontate le favole, le parabole,

così vi seguono tutti.

Voi sapete che ha in mano l‟umanità chi sa

gestire il simbolico. Chi ha in mano

l‟umanità? Quelli che fanno la pubblicità.

Perché sanno gestire il simbolico, l‟evocativo,

il rimando. Provate a pensare se noi come sa-

cerdoti e i catechisti, quando parliamo usas-

simo meno concetti, meno dimostrazioni, me-

no razionalizzazioni e molto di più il raccon-

to… Non per niente quando voi cominciate a

raccontare tutti vi seguono… quando comin-

ciate a ragionare dopo due secondi vi saluta-

no… Questa è la grande riscoperta che sta fa-

cendo la catechesi oggi, però è la riscoperta

che ognuno di noi dovrebbe rigenerarsi… sa-

cerdoti ed educatori del popolo di Dio.

Alcuni accenni di metafore molto belle, che

ricorrono molto spesso, come quando usa

l‟espressione del “come” per raccontare qual

è l‟identità del cristiano e la sua missione; di-

ce: …come figli obbedienti, …come bambini

appena nati, …come pietre vive, …come

stranieri e pellegrini, …come uomini liberi,

…come servi di Dio, …come buoni ammini-

stratori… Guardate che è forte… proprio un

tormentone… un leit motiv che ritorna parec-

chio. Una sola volta c‟è l‟immagine del “co-

me” ma non c‟è la metafora e c‟è una realtà; è

quando dice che se uno soffre come cristia-

no... non arrossisca. E‟ l‟unica volta in tutta la

lettera che viene usato il termine “cristiano”,

perché sapete che il termine cristiano era un

termine di scherno. Non dimentichiamo que-

sta radice.

Questo è vero anche nel racconto degli Atti

degli Apostoli. Cap 1, 2. In questi primi due

versetti c‟è tutta la lettera, tutta la nostra iden-

tità. E‟ molto condensata… è come quando

tiri fuori la carta d‟identità: non è un dossier,

ci sono poche note però è tutto l‟essenziale.

Ecco l‟essenziale:

Pietro, apostolo di Gesù Cristo, ai fedeli di-

spersi nel Ponto, nella Galazia, nella Cappa-

docia, nell‟Asia e nella Bitinia, eletti secondo

la prescienza di Dio Padre mediante la santifi-

cazione dello Spirito, per obbedire a Gesù Cri-

sto e per essere aspersi del suo sangue: Grazia

e pace in abbondanza su tutti voi.

Cosa vuol dire? Qui dice che l‟identità del

cristiano è trinitaria. Scusate: non è uno che

crede a Padre Pio e va a trovare i suoi morti al

cimitero… Dico tutto questo con molta serietà

e molto pudore… (Uno mi ha detto giorni fa:

guardi… io ogni domenica vado al cimitero…

E‟ una cosa bella… e dopo?) Il che vuol dire

che fuori da questa identità, identità proprio

trinitaria… eletti secondo la prescienza, me-

diante la santificazione dello Spirito, attraver-

so il dono della vita del Cristo. Innanzitutto,

chi sono i cristiani? Non è gente che si è fatta

registrare in chiesa quando è stata battezzata; i

cristiani sono eletti, scelti da parte di Dio,

come eletto e scelto era il popolo della Prima

Alleanza. Chiaro? Quindi non è “bontà mia…

me faccio cristiano…”, ma sono eletti e scelti

da parte di Dio. E in quanto eletti da Dio, Dio

(scusate… è uno scherzo brutto…) li rende

stranieri nella diaspora. Questo sarà il grosso

lavoro di questi tre giorni, perché vedremo

che il cristiano è uno straniero… straniero ha

la stessa radice di strano…questa è la diffe-

renza. Perché sono stranieri? Non perché sono

degli emigranti per problemi sociali, politici,

economici… sono stranieri in quanto sono

stati eletti da Dio. Qui vale la pena ogni tanto

di ritrovare l‟identità e la motivazione. Ve-

dremo che come cristiani, stranieri e pellegri-

ni, è gente di passaggio, senza fissa dimora,

senza diritto di cittadinanza. Per farla breve:

ogni volta che c‟è uno sbarco a Lampedusa,

se almeno mi venisse in mente, dopo la prima

lettera di Pietro, …ecco chi sono i cristiani.

Punto. E‟ un‟immagine molto concreta, non

retorica. Senza fissa dimora, gente di passag-

gio, senza diritto di cittadinanza. Anche per-

ché sapete che nell‟impero romano i cives, i

cittadini, quelli che avevano diritto di cittadi-

9

nanza erano davvero pochini; gli altri erano

stranieri e tendenzialmente barbari. Quindi la

diaspora è l‟esperienza del popolo ebraico,

però è anche la nostra esperienza di cristiani.

Sapete che inizialmente gli Ebrei sentivano la

diaspora come castigo di Dio, poi hanno sco-

perto che la diaspora è stata una benedizione

perché permetteva, in popoli diversi, di semi-

nare Israele nel mondo. Eletti secondo la pre-

scienza di Dio Padre… Il termine greco è

quello di prognosis, quello che noi usiamo

come prognosi. Lettere come questa andreb-

bero lette in greco. Eletti secondo la prescien-

za vuol dire che il fondamento della fede è

uno solo, è totale gratuità. Non sei stato eletto

perché lo meriti, perché sei bravo, perché sei

figlio di una buona famiglia, perché ti sei tro-

vato in occidente… questa è la coscienza che

non dovremmo mai mollare. Questo si attua

per mezzo della santificazione dello Spirito,

per essere aspersi del suo sangue. Quindi la

domanda “dove nasce il cristiano”… il cri-

stiano nasce nel cuore della Trinità. Il che

vuol dire che sia il cristiano che la Chiesa na-

scono per iniziativa di Dio, e non per opera

umana. Il vescovo Bruno Forte aveva fatto

una teologia meravigliosa della Trinità come

storia… è stupendo leggere la storia nella Tri-

nità. Non è un gioco di parole, è semplice-

mente l‟identità di quello che siamo. Per cui

partiamo con la benedizione trinitaria.

“Io vi esorto come stranieri e pellegrini” (2,11)

Seconda lettura biblica e seconda riflessione

IL CRISTIANO NON E’ PER L’ALTRA

VITA, MA PER UNA VITA ALTRA (1, 3 – 2, 11)

1 – Benedizione e gioia per la rinascita (1, 3-5)

La prima espressione comincia subito con la

benedizione, una solenne ouverture in cui gu-

stiamo l‟azione della Trinità. Questa azione

della Trinità nella vita e nella storia viene pre-

sentata e gustata con stupore e meraviglia. Ma

soprattutto lo stupore e la meraviglia non tan-

to per il dono della vita, ma per il dono della

vita nuova. Sarebbe importante che almeno

noi come credenti, come cristiani e rigenerati,

come uomini e donne immersi (battezzati) in

Gesù Cristo abbiamo non soltanto a parlare

della vita (importante; della quale parlano tut-

ti) ma della vita nuova. Questo è il punto.

a) Il Padre ci ha rigenerati

Partenza 1, 3-5:

Sia benedetto Dio e Padre del Signore nostro

Gesù Cristo; nella sua grande misericordia egli

ci ha rigenerati, mediante la resurrezione di

Gesù Cristo dai morti, per una speranza viva,

per una eredità che non si corrompe, non si

macchia e non marcisce. Essa è conservata nei

cieli per voi, che dalla potenza di Dio siete cu-

stoditi mediante la fede nella vostra salvezza,

prossima a rivelarsi negli ultimi tempi.

Quindi la preghiera di lode e di benedizione ci

porta al cuore della spiritualità biblica. Amici,

fratelli, la nostra spiritualità tante volte simpa-

tica e apprezzabile però non è spiritualità bi-

blica, cioè non viene dalla Bibbia. La nostra

mentalità di credenti e di cristiani, anche se

cristiani non è mentalità e cultura biblica.

Questa sarà la cultura nuova, quello che è dif-

ferenza e soprattutto fa la differenza. E la pre-

ghiera della lode e della benedizione ci porta

allora in quella che i nostri fratelli ebrei chia-

mano la berakàh, la benedizione. E la benedi-

zione non viene mai fatta, grazie a Dio, in un

modo generale o generico, ma viene sempre

ringraziato per situazioni particolari e precise.

E qui c‟è una formula ricorrente non soltanto

nella lettera di Pietro ma in tutte le lettere, in

particolare quelle di S.Paolo: Benedetto sia

Dio e Padre del Signore nostro Gesù Cristo.

Il nostro Dio è il Padre di Gesù Cristo?

Non molliamo mai la radice, il punto chiaro.

Dio, lo vedremo, è padre. Non dice padre mio

o padre nostro, ma padre di Gesù Cristo. Que-

sto è già un punto cardine, un punto di diffe-

renza, cioè un punto di identità. Perché? Dirà

anche S. Paolo: perché ci consola in ogni no-

stra tribolazione. Perché Egli ci ha benedetti

con ogni benedizione spirituale nei cieli in

Cristo. Qui Pietro dice: perché ci ha rigenera-

ti secondo la sua grande misericordia. Il che

vuol dire che non il padre generico, un dio

generico, ma il Padre di Gesù Cristo è miseri-

cordia, e misericordia che genera. Quindi è

utero, è grembo, è viscere, è Padre e Madre.

10

Non “Padre mio” ma “Padre nostro”

D‟altra parte ricordate l‟incontro di Gesù con

Nicodemo, quando dice che se uno non rina-

sce dall‟alto non può entrare nella pienezza,

nella comunione con Dio. Vi dicevo che la

benedizione è indirizzata a Dio, però non tan-

to come padre nostro ma in quanto padre di

Gesù Cristo. Amici, Dio ci è Padre non per-

ché mi piace la paternità, non tanto perché è

bello avere un padre (che, bene o male, non è

che ci occorra domineddio), ma Dio ci è Pa-

dre solo attraverso Gesù Cristo. Quante volte

Gesù dopo la resurrezione… quando dice a

Maria Maddalena “salgo al Padre mio e Padre

vostro, Dio mio e Dio vostro”. Per cui il cri-

stiano quando prega di per sé non dovrebbe

mai dire “Padre mio”: solo Gesù lo può dire.

Posso dire sempre solo “Padre nostro”, in

quanto sono figlio in Cristo, e posso dire “Pa-

dre nostro” se io sono in cerca di fratelli.

Non so se sia chiaro qual è la preghiera “sa-

na”, la preghiera nuova, la preghiera che mi

dona questa identità e questa coscienza. Pro-

prio attraverso la morte e la resurrezione il

Padre è diventato Padre nostro. Ognuno di

questi punti e spunti è veramente un luogo di

conoscenza, di riflessione profonda chiamata

teologica. Provate a pensare alla nostra identi-

tà cristiana… quanta mancanza di conoscen-

za… ignoranza non in senso dispregiativo del

termine… Guardate che meno so e meno co-

nosco… anche meno vivo. E‟ vero che nella

nostra cultura evoluta si dice “è meglio non

sapere, così non soffro”. Questo è l‟altro pa-

rametro di pseudo cristiani che ci portiamo

accollati addosso.

Dice: “Ci ha generati nella grande misericor-

dia”. Fino a cosa arriva la sua grande miseri-

cordia o tenerezza, le sue viscere, il suo utero

di padre… l‟utero serve soltanto per il figlio,

e serve soltanto per generare il figlio. Ecco la

sua grande misericordia: fino a dare suo fi-

glio. “Dio ha tanto amato il mondo da dare

suo Figlio”. Amici mamme e papà, vostro fi-

glio e vostra figlia a chi la dareste? Però

quando una persona ti dona il figlio, credo che

ti abbia dato tutto. Quante volte troviamo in

tutta la Parola di Dio, sia nella Prima che nel-

la Nuova Alleanza, che cerca di fare di tutto

per far arrivare la sua bontà, la sua misericor-

dia all‟umanità… e alla fine disperato pure lui

dice “manderò mio figlio”! Almeno di mio fi-

glio avranno pietà! E‟ un primo punto, anche

se sono soltanto degli accenni: imparare come

uomini e come donne credenti… imparare a

benedire.

Provate a pensare, uscendo domani sera da

qui… il resto dei nostri anni, il tempo che

domineddio ci donerà di vivere… imparare

davvero a benedire in ogni istante, per ogni

situazione, in ogni realtà. Quante volte ab-

biamo detto che benedire vuol dire “dire be-

ne”, imparare ogni giorno a dire bene di me, a

dire bene dell‟altro e degli altri, perché noi

siamo chiamati ad avere in eredità la benedi-

zione, e la benedizione per Dio non l‟idiozia

del portafortuna benedetto al Divino Amore…

la benedizione è la pienezza della vita, e la

pienezza di vita è l‟intimità e la comunione

con Lui. Proviamo a pensare in tutta la fede

biblica i grandi canti e cantici di benedizio-

ne… ricordiamo anche solo il Benedictus di

Zaccaria, che poi entra sempre nella nostra

preghiera; il cantico di Simeone, il cantico di

Maria del Magnificat; proviamo a pensare a

Gesù che ogni volta che apre la bocca dice

sempre “ti benedico, o Padre”. Dentro qua-

lunque esperienza, prima di ogni evento, per-

ché sa che in ogni evento e in ogni esperienza

è in azione Lui, il Padre, con il suo Spirito.

Siamo stati rigenerati per una speranza viva.

Ecco allora la prima finalità che caratterizza

questa nuova generazione. Ricordiamo che

questa lettera è stata scritta da Pietro per le

comunità dell‟Asia Minore, che erano disper-

se nella diaspora. Ormai erano una seconda

generazione. Chi era la prima generazione?

Quella degli apostoli e dei discepoli, che ave-

vano avuto il dono e il privilegio di essere sta-

ti in contatto con Gesù. E per gli apostoli una

caratteristica era di essere stati testimoni ocu-

lari che Gesù era risorto. Poi nasce la prima

comunità dalla Pasqua del Signore, però co-

mincia a nascere la generazione di quelli che

come noi non hanno visto niente. Ma noi cre-

diamo solo sulla testimonianza di chi ha visto

e di chi ha toccato. Quindi vedete che la si-

tuazione delle comunità cui è indirizzata la

lettera è la situazione della nostra comunità.

11

Se siamo figli, siamo eredi

Quindi per noi cristiani la speranza ha un solo

fondamento, la speranza è soltanto la resurre-

zione di Cristo. E‟ soltanto questa la garanzia

della nostra speranza. Un proverbio simpatico

dice che finché c‟è vita c‟è speranza; noi cri-

stiani dovremmo essere più puliti e dovrem-

mo dire che finché c‟è fede, finché c‟è fede in

Lui c‟è speranza. Non so se la differenza è

chiara. La differenza non vuol dire che è una

bestialità: la definizione precedente è buona,

però non è novità, non porta il nuovo, è que-

sto che vorrei gustare e celebrare con voi den-

tro la Parola di questi giorni, per una speran-

za, per una eredità che non si corrompe (pro-

vate a pensare alle guerre per le eredità dei

nostri padri e delle nostre madri) per

un‟eredità che non marcisce, non si sporca,

non si macchia. Se essere generati da Dio ci

fa diventare figli, vuol dire che come figli

siamo anche eredi. Però a differenza della

Prima Alleanza dei nostri fratelli ebrei… loro

erano eredi di che cosa? avranno in eredità la

terra, la terra promessa, ricordate? Ecco la lo-

ro eredità, ecco la loro speranza: era la terra

promessa. Noi no, la nostra eredità è custodita

da Dio nei cieli, come Dio custodisce noi cre-

denti sulla faccia della terra. E‟ una speranza

viva, vivente, attiva, che coinvolge la nostra

vita di credenti, prima di tutto perché mi cam-

bia nel presente… mi rende figlio. Soprattut-

to, lo gusteremo, mi rende capace di bene.

Soprattutto mi prepara un futuro, coerede di

Cristo e con Cristo nella vita piena con il Pa-

dre.

b. esultanza e amore per Gesù Cristo

Seconda figura, vers. 6 – 9, l‟esultanza e

l‟amore per Gesù Cristo.

Perciò siete ricolmi di gioia, anche se ora do-

vete essere un po‟ afflitti da varie prove, per-

ché il valore della vostra fede, molto più pre-

zioso dell‟oro, che, pur destinato a perire, tut-

tavia si prova col fuoco, torni a vostra lode.

Siete ricolmi di gioia, anzi dice: esultate, gioi-

te, godete… Ripercorreremo ancora questo

tema della gioia. E‟ interessante e affascinante

perché la gioia è collegata alla sofferenza, e la

sofferenza è collegata alla gioia. Perché dove-

te proprio godere ed esultare? Perché la fede è

un dono inestimabile. Tante volte sentiamo

dire un‟espressione bella, stupenda… magari

la vivessimo fino in fondo… che uno dei doni

più grandi che uno può avere è veramente il

dono della fede. Mi capita spesso, ai battesi-

mi, di chiedere al padrino e alla madrina (a-

vendo il privilegio che ogni tanto il vescovo

mi manda anche come ministro “straordina-

rio” della cresima): “scusate… quale potrebbe

essere la disgrazia più grande per il vostro fi-

glioccio? Però ve lo chiedo come padrino e

madrina, solo per l‟identità che avete”. Uno

ha detto che venga bocciato agli esami… che

faccia una vita magra… tutta roba apprezzabi-

le, augurabile, ci siamo?... Guardate che

l‟unica “disgrazia” che può succedere è che il

vostro figlioccio possa “perdere la fede”. Fuo-

ri di questo… ti è rimasto un mercato religio-

so. Dopo di che… ti guardano strano: però

non è una parola mia…

Sarebbe bello per quanti di voi saranno chia-

mati ad essere padrini e madrine… guardate

che una sola è la consegna: non è tanto di ri-

cordargli l‟anniversario o fargli una madonna

d‟oro o un crocifisso di platino… ma che pos-

sa perdere la fede. Non abbiamo nient‟altro.

Ed è bello una volta, almeno per tre giorni,

sapere che cosa ho. Nient‟altro, in termini pu-

liti, in termini genuini… credo che rituffarci

sia importante soprattutto per noi che siamo

già nel sentito, nel vissuto, stufi, saturi, prati-

camente “rotti”.

Emarginati/insultati/afflitti

per il nome di Gesù Cristo

Dicevo che la fede è un dono inestimabile, al

cui confronto, dice, anche l‟oro vale niente.

Eppure anche l‟oro, essendo una realtà pre-

ziosa, viene purificato col fuoco. La fede co-

me viene purificata? Viene purificata attraver-

so le prove. Quando io sto bene, la fede non

mi interessa. Ognuno di voi quando sta bene

della fede non s‟interessa. La fede inizia sape-

te quando? Quando è finito tutto… la fede

comincia lì. Sapete quando Gesù Cristo ini-

zia? Quando è finito tutto. Non per niente o-

gnuno di noi comincia a scoprire “la fede”,

forse l‟incontro con Gesù Cristo dentro una

botta, dentro le prove. Perché soltanto dentro

una prova si valuta e si qualifica se quel me-

tallo è genuino, o meglio ancora se siamo ge-

nuini noi. E i rigenerati (chiama così i cristia-

ni) sono ricolmi di gioia anche se sono afflitti

da molte prove.

12

Qui il termine “prova” è la traduzione del

termine greco che significa “tentazione”. Non

per niente nella preghiera al Padre che Gesù

ci ha lasciato ci invita a pregare e a dire “libe-

raci dalle tentazioni” “non c‟indurre in tenta-

zione”. Una cosa molto importante: le soffe-

renze e le croci le vivono tutti, anche quelli

che non hanno mai sentito parlare di Gesù

Cristo. Per cui quando sentiamo dire, con un

linguaggio nazional-popolare, che ognuno de-

ve portare la sua croce… è una cosa buona,

ma fin qui di cristiano non c‟è niente. Di nuo-

vo, di differente non c‟è niente. Quando sen-

tiamo dire da Gesù: ognuno “prenda la sua

croce e mi segua”, non vuol dire cerca di in-

cassare quello che ti capita con una faccia se-

rena e positiva… A quale croce o a quale pro-

va si riferisce? Solo a quelle sofferenze e cro-

ci e prove che mi nascono dal fatto di essere

cristiano… non per il fatto che mi è morto

mio padre o c‟è stata una disgrazia… Anche

quella è prova, però il termine esatto che qui

dice è dal fatto di essere cristiano.

Una prova è sempre una prova, per carità, pe-

rò ciò cui viene riferita la parola di Gesù, la

parola della 1Pt, sono le sofferenze che mi

vengono dal fatto di essere cristiano. Io mi

faccio tutti i giorni una domanda… me la po-

nevo di fronte alla bara di un amico, di don

Andrea Santoro quando ci sono stati i funerali

giù a S.Giovanni in Laterano… c‟era questa

bara ed è entrato un raggio di sole… momen-

to affascinante… mi sono detto “…in quello

che credeva, a Colui nel quale ha creduto ve-

ramente ha dato la pelle… e io ma che cavolo

di pelle sto dando?”. E‟ una domanda che for-

se si pone anche ognuno di noi. Il che non

vuol dire che è soltanto una forma di martirio,

anche se ognuno di noi in un attimo è capace

di martirio, però il cristiano non è un eroe.

L‟eroismo, l‟eroe è una bestemmia per un cri-

stiano; il cristiano è solo un testimone. Can-

celliamo la scemenza… adesso quando

muoiono in particolare anche i ragazzi milita-

ri… si parla di eroi e di eroismo… per carità,

è vero in un linguaggio umano… però la no-

vità radicale per un cristiano è una testimo-

nianza. Tradotto in questo codice, è una nor-

malità; anche se la nostra testimonianza è

quella di giorno dopo giorno, attimo dopo at-

timo, dentro un rapporto con un uomo, con

una donna, con un figlio, con dei fratelli, in

una quotidianità di vita fatta come è fatta,

quasi una continua lotta. Per essere ancora

umani, per essere uomini, per sentirci ancora

non tanto liberi ma soprattutto figli… 4, 14

Beati voi se venite insultati per il nome di Ge-

sù Cristo.

La gioia non è dopo,

ma dentro la sofferenza Ecco il “punto” della beatitudine. Vi dicevo

prima che è sorprendente questa coesistenza

tra la gioia e la sofferenza. Guardate che è

molto importante un passaggio: qui non dice

che la gioia verrà dopo la sofferenza, come la

quiete viene dopo la tempesta. E‟ anche bello

pensare che… bene o male passerà, finirà…

ed è vero che finisce, però non è tanto questo

il codice vero, il codice nuovo, perché non è

tanto la gioia che viene dopo la sofferenza…

Qual è la novità per il cristiano? Che la gioia

è dentro la sofferenza, ma non in termini di

sadismo o di masochismo o di dolorismo…

Perché dentro lì? Perché io nella sofferenza,

nel dolore, nella prova non sono solo: io sono

in qualcuno e sono con qualcuno. La mia cosa

tremenda di uomo, di cristiano e di prete è che

qualche volta purtroppo anch‟io dimentico

che nelle piccole o grandi sofferenze, dispia-

ceri e dolori… penso di essere solo. Cioè mi

stacco dalla comunione. Quindi non è “do-

po”… perché ci arrivano tutti al “dopo”…

non è che mi occorreva Gesù Cristo… ma la

forza è proprio dentro la sofferenza. Per cui

anche se simpaticamente quando stai male la

gente ti dà una pacca sulle spalle e ti dice

“Coraggio, ti passerà”… è carino e umana-

mente comprensibile… ma qui dice: esultate

benché siate afflitti da varie prove.

La fede del cristiano è quella di un amante

E quello che è soprattutto sorprendente è

l‟amore per Gesù Cristo, ed è una gioia che si

esprime soprattutto nell‟amare Gesù Cristo.

Qual è lo stupore e la meraviglia della lettera

di Pietro? E‟ quando dice a questa gente: voi

amate Gesù Cristo senza averlo visto. Guarda-

te che amare una persona senza vederla… da

una parte potrebbe essere anche bella… ma

qui occorre la natura genuina della fede. E

credete in lui, senza per ora vederlo.

13

Un altro punto. I credenti, i cristiani, quelli

che sono immersi in Gesù Cristo, Pietro dice

“i rigenerati”, sono degli amanti. Dico

un‟esperienza non tanto d‟amore ma proprio

l‟esperienza dell‟amante… metteteci dentro

tutto quello che volete voi e avete un‟idea di

chi dovrebbe essere il credente. Non per nien-

te i termini biblici della fede sono i termini di

amore; però parla di amante e di credente…

non parla semplicemente di “volemose bene”.

Questo è il codice. Perché quando uno è a-

mante, di solito, 24 ore su 24 gli sbarella la

capoccia… A volte mi chiedo se Gesù Cristo

mi fa sbarellare la capoccia… se veramente

sono amante… Sapete che nella Prima Alle-

anza quelli che amavano Dio erano chiamati

“gli amanti del nome”, siccome il nome di

Dio non poteva essere pronunciato erano gli

amanti del mistero, di quello che è impronun-

ciabile, di quello che è totalmente altro.

Ecco la fonte della beatitudine, non tanto per-

ché sto bene (oggi è una bella giornata… mi è

passato il mal di pancia… tutte cose impor-

tanti da costruire…), ma la beatitudine nasce

dal fatto che credo pur non avendo visto! La

fede di un cristiano non è tanto quella di un

militante. Sapete che c‟era un termine bello

30-40 anni fa, perché una volta c‟erano delle

ideologie e chi stava in un partito con un ter-

mine bello era chiamato un militante. Militan-

te vuol dire che ci credeva fino in fondo.

Quando sono cadute le ideologie… posso

prendere mio padre e qualcuna delle persone

anziane, per loro veramente è stato un crollo

d‟identità. Sarà stata un‟ideologia, però cre-

devano in un partito e ci credevano fino in

fondo. Sarà stato settoriale, sarà stato partito,

però ci credevano, erano dei militanti. Il cri-

stiano, da questo punto di vista non è un mili-

tante, perché noi non abbiamo la fede in una

ideologia, non poniamo la fede in una utopia,

ma noi siamo amanti, abbiamo un rapporto

con un vivente, e un rapporto vivo con una

persona viva. Ecco la novità del cristiano.

E‟ sempre bello lottare per una nobile causa…

ma questo lo faceva anche Ulisse e lo faceva-

no tutti i grandi eroi. Per noi non è tanto una

nobile causa, per noi è una Persona, e in Lui e

con Lui possiamo metterci in intimità con i

fratelli. Quindi sono due realtà, due dimen-

sioni che non posso staccare. S.Paolo, credo

nella prima lettera ai Corinzi, ha

un‟espressione molto forte, perché S.Paolo

era senza mezzi termini, dice: Chi non ama il

Signore sia anatema, cioè sia scomunicato.

Peggio di un bestemmiatore, di un profanato-

re, di un terrorista religioso… E vedete che

Pietro non comanda di amare il Signore, però

riconosce che questo amore è già dentro di me

come cristiano e come rigenerato. Il che vuol

dire che chi è stato rigenerato dallo stesso Pa-

dre è in condizione anche di amarlo spontane-

amente. Il papà e la mamma non mi hanno

comandato di amare i genitori… mi uscirà un

tantino il rispetto quando ogni tanto rompo-

no… però è una realtà che mi porto dentro. Il

che vuol dire che per noi l‟amare come figli il

Padre è una realtà che è quasi una spontaneità,

non è un comando che viene da fuori, non è

un maledetto dovere, anche se a me e a voi

hanno dato la fede come religione e hanno da-

to la religione come morale. Però quando tu

sei amante di qualcuno fai mille cose, fai su

un casino… ma non perché te l‟ha comandato

qualcuno, è nella relazione!

Ecco da dove nasce il comportamento, quella

condotta bella che gusteremo in un modo stu-

pendo nella giornata di oggi. Quindi con la

speranza abbiamo bisogno di riscoprire la gio-

ia di essere cristiani, cioè lo stupore di amare

Gesù Cristo. Questa gioia e questo stupore per

quello che Dio non soltanto ha fatto per noi,

ma per quello che Dio fa per noi. C‟è una let-

tura bella di S.Leone Magno che viene fatta

nella notte di Natale, e siccome adesso nella

notte di Natale le chiese sono gremitissime,

qualcuno in un modo intelligente fa precedere

la celebrazione magica della notte di Natale

almeno da un‟ora di veglia. Se non altro qual-

cuno è lucido e non ha la pancia troppo piena

perché si è fatto il cenone di Natale… perché

per pregare e per vegliare devi avere la pancia

vuota… non c‟è bisogno che ce lo dica la let-

tera di Pietro; comunque gustiamo la lettura di

S.Leone magno quando dice “Riconosci, o

cristiano, la tua dignità”, e poi c‟è

quell‟espressione stupenda: “Non c‟è spazio

per la tristezza quando nasce la vita”.

Guardate che i cristiani dovrebbero essere,

uomini e donne, con la faccia non solo con-

tenta ma con la faccia, con il cuore, con la pa-

14

rola di gente risorta. Ve lo sentite dire come

un tormentone, ciò vuol dire che la faccia di

un cristiano dovrebbe essere la faccia di un

risorto; il che non vuol dire che non deve ave-

re le sue preoccupazioni, però che vive con

serenità nelle sue preoccupazioni. Provate a

pensare quando vedete la massa di gente che

esce dalla Chiesa… guardarla in faccia e ve-

dere della gente serena… Non è un problema

di stampare un sorriso ebete sulla faccia… ma

proprio di serenità. Perché lì dentro sono an-

dati non per fare un precetto, ma per annun-

ciare, per celebrare, per godere la gioia di es-

sere arrivati dentro la sua Pasqua. Sempre

quel testo di S.Leone Magno dice: “O caris-

simi, rendiamo grazie a Dio Padre per mezzo

del suo Figlio nello Spirito Santo”. Vedete

che ogni preghiera è sempre e solo trinitaria

“perché nella infinita misericordia con cui ci

ha amati ha avuto pietà di noi, e mentre era-

vamo morti per i nostri peccati ci ha fatto ri-

vivere con Cristo perché fossimo in lui creatu-

ra nuova, nuova opera delle sue mani”. Siamo

usciti la prima volta dalle sue mani, nella cre-

azione, e siamo usciti in modo definitivo e

ancora più bello nella nuova creazione, quella

della Pasqua e della resurrezione.

c - Evangelizzati nello Spirito Santo (1, 10-

12)

Il terzo punto 1, 10-12, evangelizzati nello

Spirito Santo, oppure la rivelazione profetica

dello Spirito.

Su questa salvezza indagarono e scrutarono i

profeti che profetizzarono sulla grazia a voi

destinata cercando di indagare a quale mo-

mento e a quali circostanze accennasse lo Spi-

rito di Cristo che era in loro, quando predice-

vano le sofferenze destinate a Cristo e le glorie

che dovevano seguirle. E fu loro rivelato che

non per se stessi, ma per voi erano ministri di

quelle cose che ora vi sono state annunziate da

coloro che vi hanno predicato il Vangelo nello

Spirito Santo mandato dal Cielo; cose nelle

quali gli angeli desiderano fissare lo sguardo.

Una breve sosta su questo passaggio. Tecni-

camente questi bocconi si chiamano pericope

(serve soltanto come lessico). Questi versetti

da 10 a 12 sono uno sguardo acuto e penetran-

te della storia della salvezza. E‟ un condensa-

to brevissimo, e qui la salvezza viene detta

una salvezza come storia, perché la salvezza è

storia, non è una cosa, perché è percorso ed è

una realtà di storia che continua. La salvezza

ha storia; storia vuol dire che la salvezza ha

un passato, i profeti hanno indagato… scusa-

te… non ha fatto un self service, una cosa per

loro perché erano amanti del bel gusto. Hanno

indagato, ci dirà, per voi.

AT e NT legati dallo Spirito Santo (1, 10-12)

La storia oltre che un passato ha un presente,

gli evangelizzatori lo annunciano, e anche un

futuro con gli angeli che attendono il compi-

mento. Quando leggiamo solo una volta que-

sta intensità sfugge, non per cattiveria ma

perché la Parola di Dio va scrutata, non va

semplicemente letta. La cosa che sorprende, è

che era già presente nei profeti (qui

l‟affermazione è stupenda) lo Spirito di Cri-

sto, se questi profeti ancora non conoscevano

Cristo, lo annunciavano come messia. Dice

che proprio lo Spirito di Cristo, non di un ge-

nerico Messia, era già presente in loro perché

questi non hanno indagato per se stessi, hanno

indagato per noi. Ed è bello che la lettera di

Pietro collega il Primo con il Nuovo Testa-

mento, e chi collega è lo Spirito di Cristo,

quindi la presenza dello Spirito

nell‟evangelizzazione.

L’annuncio è opera dello Spirito

Dice che vi hanno portato il Vangelo median-

te lo Spirito Santo mandato dal Cielo. Non

sono venuti per fare un‟opera umanitaria, non

sono venuti soltanto per fare un processo di

alfabetizzazione o di coscientizzazione…

D‟altra parte la Parola che sentiamo anche

negli Atti degli apostoli, a Pentecoste, è “rice-

verete la forza dello Spirito Santo che scende-

rà su di voi, e mi sarete testimoni”.

Solo con lo Spirito si è testimoni

Il cristiano è il luogo della memoria, e senza

lo Spirito non c‟è testimonianza; al limite pre-

sento me stesso. Questa è la novità radicale.

L‟altro punto che è bello sottolineare è che

questa salvezza garantita dalla resurrezione di

Gesù è un desiderio; questa salvezza dovreb-

be essere una brama… Il testo dice, con un

termine fortissimo, che dovrebbe essere una

concupiscenza. Il bramare questa realtà di-

pende dallo Spirito Santo. Quindi lo Spirito

Santo è il desiderio di Dio dentro di noi, è la

brama di Dio dentro di noi, è la concupiscen-

za di Dio dentro di noi. Ricordate S.Paolo

15

quando dice: colui che scruta i cuori sa quali

sono i desideri dello Spirito.

2 – Vita da rigenerati (1, 13-25)

Cap. 2: proviamo a gustarci qual è la vita da

rigenerati. Entriamo nel vero e proprio corpo

della lettera. Lo gustiamo dai versetti 13 a 25.

La cosa carina è che comincia con un perciò.

Nessuno inizia un discorso con un perciò,

quindi probabilmente presuppone tutto un

prima, quindi è un avverbio consequenziale.

Perciò, dopo aver preparato la vostra mente

all‟azione, siate vigilanti, fissate ogni speranza

in quella grazia che vi sarà data quando Gesù

Cristo si rivelerà. Come figli obbedienti, non

conformatevi ai desideri di un tempo, quando

eravate nell‟ignoranza, ma ad immagine del

Santo che vi ha chiamati, diventate santi anche

voi, in tutta la vostra condotta; poiché sta

scritto: „voi sarete santi, perché io sono san-

to’. E se pregando chiamate Padre colui che

senza riguardi personali giudica ciascuno se-

condo le sue opere, comportatevi con timore

nel tempo del vostro pellegrinaggio. Voi sape-

te che non a prezzo di cose corruttibili, come

l‟argento e l‟oro, foste liberati dalla vostra

vuota condotta ereditata dai vostri padri, ma

con il sangue prezioso di Cristo come di a-

gnello senza difetti e senza macchia. Egli fu

predestinato già prima della fondazione del

mondo [vedete che è quasi un inno cristologi-

co], ma si è manifestato negli ultimi tempi per

voi. E voi per opera sua credete in Dio [chia-

ro? Non perché avete iniziato un cammino di

ricerca], che l‟ha risuscitato dai morti e gli ha

dato gloria e così la vostra fede e la vostra spe-

ranza sono fisse in Dio. Dopo avere santificato

le vostre anime con l‟obbedienza alla verità,

per amarvi sinceramente come fratelli, amate-

vi intensamente di vero cuore, gli uni gli altri

essendo stati rigenerati non da un seme corrut-

tibile, ma immortale, cioè dalla Parola di Dio

viva ed eterna. Perché [come dice Isaia]

“tutti i mortali sono come l’erba, e ogni loro

splendore è come fiore d’erba. L’erba inaridi-

sce, i fiori cadono, ma la Parola del Signore

rimane in eterno”. E questa è la Parola del

Vangelo che vi è stato annunziato.

Un altro lavoro di aratura… Dicevo che inizia

con un perciò, e qui abbiamo quattro passi in

cui vediamo le esigenze fondamentali della

nuova vita dei battezzati. Almeno quattro pas-

si li vorrei sottolineare.

a. Cingere i fianchi della vostra mente

Il primo è questo: 1, 13 il testo esatto, come

traduzione greca, sarebbe questo: Avendo cin-

to… sapete cosa?... i fianchi della vostra men-

te. Che è molto di verso da “dopo aver prepa-

rato la mente” (… che uno può anche fare un

pisolino per preparare la mente…). Quindi,

avendo cinto i fianchi della vostra mente spe-

rate perfettamente. Il che vuol dire che li invi-

ta a prepararsi per un esodo, ad assumere

l‟atteggiamento di chi parte per un viaggio.

Ricordate nel libro dell‟Esodo quando Dio di-

ce “Cingetevi i fianchi e prendete in mano il

bastone perché bisogna partire: è la Pasqua

del Signore”. Guardate che la radice è molto

chiara: l‟alleanza è unica, anche se noi conti-

nuiamo a viverla in modo dissociato. Il che

vuol dire che il pellegrinaggio dei cristiani

sulla terra è un Esodo.

La speranza richiede sobrietà, vigilanza

e disciplina mentale

Quali sono i due segni che sono disponibili a

questo Esodo, a questo cammino? Uno è la

vigilanza, l‟altro è la sobrietà (perché a pancia

piena non credo che ti puoi mettere in viag-

gio). Ricordate il vangelo di Luca: siate pronti

con le cinture ai fianchi e le lucerne accese. Il

che vuol dire che la speranza richiede sobrietà

e vigilanza. La speranza richiede soprattutto

sapete che cosa? Una disciplina che a me (non

so a voi) sta venendo meno: una disciplina

mentale. Io la chiamo normalmente igiene

mentale. Vedete come oggi siamo diventati

altamente igienisti; è una cosa bella, ma una

cosa che mi manca molto è l‟igiene mentale,

perché nella mia capoccia ci sta dentro di tut-

to e di più… E quando in una realtà ci sta

dentro di tutto e di più… credo che la salute

sia un po‟ scarsa. Disciplina mentale che di-

venta capacità di discernimento; da una parte

senza cedere alle mode che ci piacciono tanto,

e dall‟altra un peccato tremendo come cristia-

ni, un peccato feroce: la pigrizia mentale.

b. non conformatevi, ma diventate santi

Non ho mai sentito un cristiano che mi abbia

confessato “sono mentalmente pigro”. 1, 14:

non conformatevi, ma diventate santi nel pas-

saggio dall‟ignoranza all‟obbedienza. Quindi

dice “come figli obbedienti”. Qui la traduzio-

ne non è pulita. Il termine esatto non è “figli

dell‟obbedienza” ma come “figli

nell‟obbedienza”. Anzi il termine esatto sa-

rebbe un altro: “come figli dell‟obbediente”,

16

perché l‟obbediente per eccellenza è solo Ge-

sù Cristo.

Dall’ignoranza a figli dell’obbedienza

Vedete che ritorna adagio adagio la radice;

non perché è un comportamento morale buo-

no da parte mia, come figli dell‟obbedienza o

meglio ancora “obbedienti in Cristo”, quindi

come figli dell‟obbediente. Il che vuol dire

che i cristiani sono chiamati figli

dell‟obbedienza. E qui c‟è un altro termine

molto bello: obbedienza deriva dal latino ob +

audire, e allora dovremmo essere figli

dell‟ascolto, dovremmo essere maestri di a-

scolto (tout court, basta…) di Dio e

dell‟uomo.

Ecco l‟identità del cristiano. Questo “figli

dell‟obbedienza” è una forma che viene detta

dell‟ebraismo: Quante volte sentiamo nella

Bibbia “figli di perdizione”, “figli di morte”,

“figli dell‟ira”, di luce… di pace… di prosti-

tuzione…E‟ una forma espressiva, è un ebrai-

smo. Allora come c‟è affinità tra figlio e ma-

dre, così ci dovrebbe essere un‟affinità tra i

rigenerati e l‟obbedienza. Questo dell‟ascolto

è l‟atteggiamento fondamentale della Bibbia:

l‟apertura all‟ascolto. Non per niente nel rito

battesimale, in cui c‟è la rigenerazione, il ge-

sto che il sacerdote fa sulla persona, sul bat-

tezzato, è il gesto dell‟ “effatà”, che vuol dire

“apriti”. Chiediamo che presto le orecchie e la

bocca di questo battezzato possano dischiu-

dersi per incomincia e ad ascoltare. Il che

vuol dire che gli eletti sono abilitati ad obbe-

dire a Gesù Cristo e ad essere aspersi dal suo

sangue.

Chiamata universale alla santità

Quell‟obbedienza alla fede che è avvenuta nel

battesimo. Noi abbiamo ridotto molto male

questo sacramento; ieri sera padre Jordan ci

ricordava la battuta di un vescovo che diceva:

… meno gavettoni… perché sembra che i no-

stri battesimi siano dei gavettoni: nasce uno e

gli facciamo un gavettone… Sono punti che ci

interpellano perché noi, qui dentro, siamo

“gente eletta, stirpe regale, sacerdozio santo”.

E poi dice il verbo “non conformatevi”, il

verbo greco è molto carino: skematizo, quindi

non schematizzatevi… essendo la nostra cul-

tura di matrice greca è facile comprendere.

Non schematizzatevi, perché è un problema

di mentalità, non è un problema di cose da fa-

re. La cosa dura per Gesù Cristo è cambiare la

mentalità: per lui la capoccia è il cuore e il

cuore la capoccia, perché siamo un pezzo uni-

co.

Non schematizzatevi al modo di vivere paga-

no, alla logica del mondo, perché noi cristiani

dobbiamo avere degli schemi mentali che

“hanno cinto i fianchi della loro mente”, e

hanno messo altrove la loro speranza. Qui c‟è

il testo celebre 15-16 “diventate santi anche

voi”. Ma perché dovete diventare santi? Per-

ché siete fatti del mio DNA , perché io sono

santo. Il motivo è solo questo. Non è un pro-

blema religioso, un problema morale… Noi

l‟abbiamo tradotto come problema religioso e

morale… Siate santi perché io sono santo.

Sapete che il termine ebraico di santo è ka-

dosh, che vuol dire staccato, separato, altro…

Non per niente Lui non soltanto è santo… è il

tre volte santo! Questo è il testo che avevamo

gustato nel libro del Levitico. E‟ lo stesso che

riprenderà Gesù: Siate santi come io sono san-

to. Siate perfetti come è perfetto il Padre vo-

stro che è nei cieli. Santo vuol dire una cosa,

amici… cancellate tutta la bestialità che ab-

biamo… apprezzabilissima… emotiva, devo-

zionale… di gente che si attacca alle madonne

e ai santi che fanno favori. Santo dice la di-

versità; uso un termine un po‟ impegnativo:

dice la alterità, cioè dice la trascendenza di

Dio rispetto al mondo. Dire che Dio è tra-

scendente e altro rispetto a me non vuol dire

che è lontano e se ne frega… Dio è molto

buono, altamente misericordioso, ha viscere e

budella di misericordia, è un utero… però non

dimentichiamo mai che è trascendente, che è

altro.

Quindi dovremmo coniugare il termine della

tenerezza e della misericordia con quello della

giustizia. Ma non letto in termini stupidi di

castigo; giustizia vuol dire totalmente altro…

Non è stupido… è serio; in questo senso la

sua tenerezza è seria. Che se hai la tenerezza

da uno che non capisce… da uno che non ha

la sua identità… ti chiedi che amore e che te-

nerezza sia. Provate a ritrovare in queste cate-

gorie bibliche anche la realtà del mondo in cui

ora stiamo vivendo. E la santità deve permea-

re tutta la condotta; questo è un termine che

17

troveremo tantissime volte. Vi ha chiamati…

diventate santi anche voi… in tutta la vostra

condotta. Condotta vuol dire stile di vita,

comportamento, prassi… con un termine sofi-

sticato sarebbe la dimensione etica del vivere

cristiano.

E per 7 volte, nei 105 versetti della lettera di

Pietro, troviamo il termine di condotta, di bel-

la condotta. Ricordate che una volta papà e

mamma la prima cosa che guardavano era la

buona condotta, il voto in condotta. Guardate

che sarebbe interessante cogliere questo; vor-

rei uscire da alcuni schemi di giudizio, ma ri-

cogliere in ogni momento di tempo anche sto-

rico tante verità che rischiamo di perdere, cioè

di non integrare più. Qui, amici, sul tema del-

la santità… voi sapete che il tema della gran-

de Pentecoste di questo millennio è stato il

Concilio Vaticano II, 45 anni fa; lì è stata la

grande rivoluzione del cuore all‟interno della

Chiesa in quel documento che è dogmatico, la

Lumen Gentium, nel quale la Chiesa parla di

sé, quando dice che tutti i fedeli, di qualsiasi

stato o grado sono chiamati alla pienezza del-

la vita in Cristo, cioè alla santità. Scusate: i

fedeli in Cristo non sono chiamati ad andare a

messa ogni tanto, a fare delle buone azioni, a

comportarsi bene, a non dire le parolacce…

L‟altra cosa molto importante (anche se que-

sto è un capitolo che non vi posso sviluppare)

è che il Concilio dice che non ci sono due

classi o due generi di cristiani. Stato di vita o

di perfezione (della serie, beati loro… preti,

frati, monache; della serie, diceva anche mio

papà: hanno niente da fare e questo lo posso-

no fare…). L‟identikit della santità cristiana,

così come ce lo guarda tutto il Concilio Vati-

cano II: 1) la santità non è privilegio di pochi;

è la chiamata di tutti i discepoli. 2) la chiama-

ta alla santità non è motivata dal fatto che sei

nato in Italia, da una famiglia per bene, cri-

stiano, che ti sei trovato battezzato, comunica-

to e cresimato. Non dipende dai meriti, non

dipende dalla qualità: è dono di grazia. In cui

questa chiamata poi alla santità la inizi e la ri-

scopri nel battesimo. Si tratta però di diventa-

re quello che sono; cioè non è sufficiente es-

sere cristiani, ma devo diventare cristiano,

cioè devo diventare quello che sono. E‟ una

delle espressioni che Giovanni Paolo II usava

molto parlando della famiglia e del cristiano:

famiglia diventa quello che sei… sposi diven-

tate quello che siete. Quindi non è sufficiente

essere: l‟essere è un punto di partenza, e la

grazia e la forza rimane la fruttuosità.

A cosa serve la Pastorale Familiare: a che

gli sposi diventino santi e umanizzino il

mondo

La santità è la pienezza della carità. Si è santi

perché si ama; quindi la santità è nelle situa-

zioni concrete, quotidiane. Quando pulisci il

sedere del bambino, quando pulisci il bagno o

prepari da mangiare… la santità è quando si

ama. Questo è un momento di coscienza della

nostra santità in questi giorni; ma non è santi-

tà perché si fanno delle cose religiose, perché

la santità è dentro la persona in quanto siamo

abitati dallo Spirito. La santità promuove nel-

la città terrena un tenore di vita più umano.

Non serve per andare in paradiso, perché la

Grazia è già dentro di te; ma Lui te l‟ha dona-

ta per promuovere dove vivi, dove campi, un

tenore di vita più umano. Mi spiace che non

sempre ci è dato questo. Anche se vedete che

la gente in generale ama molto quei santi che

hanno percepito e prodotto un tenore di vita

più umano. Prendete ad esempio madre Tere-

sa… Questo sarà un punto chiaro della lettera

di Pietro. Qui c‟è anche un elemento che ri-

guarda l‟identità vostra di sposi e come sposi.

Quando nella Lumen Gentium la Chiesa dice:

“I coniugi cristiani in virtù del sacramento

del matrimonio significano e partecipano il

mistero di unità e di fecondo amore che inter-

corre tra Cristo e la Chiesa, e si aiutano a vi-

cenda a raggiungere la santità nella vita co-

niugale”.

Due che si sposano, e si sposano in Gesù Cri-

sto, non sono chiamati a volersi bene… per-

ché questo te lo dice anche il sindaco, te lo di-

ce anche il macellaio (con tutto il rispetto)

cioè te lo dice ogni persona. Chi si sposa in

Gesù Cristo non sono soltanto due che si vo-

gliono bene e che stanno bene insieme, ma

sono chiamati alla pienezza della vita in Dio,

che viene chiamata santità. Ricordate qualche

anno fa quando Laura e Claudio parlavano

molto dell‟immortalità e della comunione con

Dio? Al centro chi abbiamo, purtroppo? Ci

sono sempre io, io, io… Qual è il sogno

dell‟uomo da che mondo è mondo? IO, di es-

18

sere immortale IO… Questa non è una cate-

goria biblica…

L‟immortalità non è una categoria biblica…

all‟immortalità erano già arrivati i greci con la

loro sofia e con la loro intelligenza. Non ser-

viva Gesù Cristo… Gesù Cristo mi porta

un‟altra categoria: non parla tanto della mia

immortalità, e neanche dell‟immortalità

dell‟anima, ma la comunione piena della mia

persona (non per niente noi abbiamo la resur-

rezione del corpo…), la comunione piena in

Dio e con Dio. In cui vedete che la dimensio-

ne, il soggetto, non è più IO, IO, IO… ma è la

comunione, è la relazione. Per cui sapete che

lo sposarsi in Gesù Cristo non è un diritto…

sappiamo che è una chiamata, una vocazione.

Una frase bella del Concilio, della Gaudium

et Spes, parlando della vocazione al matrimo-

nio dice: “…per la quale si richiede una virtù

fuori del comune”. Qui allora dovremmo fare

tutto quel passaggio molto bello… all‟inizio

di questo terzo millennio che abbiamo avviato

con Giovanni Paolo II… in particolare tutta la

Chiesa pone quasi con enfasi il primato della

chiamata universale alla santità.

E‟ una coscienza bella della Chiesa all‟inizio

del III millennio. Nella lettera apostolica No-

vo Millennio Ineunte (facile da tradurre: il

Nuovo Millennio che inizia) Giovanni Paolo

II dice che si tratta del cammino ordinario del

cristiano e della Chiesa. Non è che devono fa-

re qualcosa d‟altro, inventarsi altre iniziative:

questo della santità è il cammino ordinario del

cristiano e della Chiesa. E soprattutto dice:

“dare una rinnovata spinta alla pastorale”, che

dovrebbe diventare pastorale della santità.

Perché questa, già diceva l‟apostolo Paolo

nella lettera ai Tessalonicesi, è la volontà di

Dio: che siate santi, cioè la vostra santifica-

zione. Quando avete presentato vostro figlio

alla Chiesa per il Battesimo, vi è stata fatta

una domanda: cosa chiedete per vostro figlio?

Le risposte sono tante, e di solito se ne dà una

sola; uno dice: il battesimo… l‟altra (canoni-

ca, della liturgia) è “la fede”; l‟altra è “Gesù

Cristo”, perché la Fede per noi è una persona,

è Gesù Cristo. Cosa vuol dire? Vuol dire che

viene battezzato perché diventi santo, non

perché abbia soltanto una buona protezione…

abbia meno iella… Il papa chiama la santità

“misura alta della vita ordinaria”. E dice che

tutta la vita della comunità ecclesiale e delle

famiglie deve portare in questa direzione. Per

cui, amici, godiamo e rendiamo lode al Signo-

re per il cammino di 25 anni della pastorale

della famiglia.

Sapete a cosa serve l‟azione della Chiesa,

chiamata pastorale? Sapete a cosa serve ogni

pastorale? Sapete a cosa serve la pastorale

familiare? A una cosa sola, dice il Concilio:

perché gli sposi diventino santi e umanizzino

il mondo. Per il resto.. altre opere promozio-

nali le troviamo; se si vivono anche queste

sono dentro una coscienza chiara: che gli spo-

si diventino santi e umanizzino il mondo. Per

cui sarebbe importante chiederci, nel cammi-

no di 25 anni, quali sono i segni di santità

dentro il cammino della nostra pastorale.

c. comportatevi son timore nel tempo del

vostro pellegrinaggio 1, 17

Comportatevi con timore nel tempo del vostro

pellegrinaggio.

Qui ci parla di timore dopo la speranza, un

timore con la speranza. Qui Pietro vuole met-

tere in guardia da una grossa tentazione. Ami-

ci, questa è la bella notizia, ci dice Pietro.

Non siamo garantiti perché siamo figli; non

siamo garantiti perché siamo battezzati, non

siamo garantiti perché facciamo parte del po-

polo eletto… Non è una garanzia, non è una

immunità. E Gesù lo ripeterà: “Non chi dice

Signore… Signore…, ma chi fa la volontà del

Padre mio.” Quindi ricordiamo che la pater-

nità e la maternità di Dio non sopprimono la

sua giustizia e la sua trascendenza.

Timore non è paura di Dio, ma coscienza

che Dio è Altro, è Santo.

Qui c‟è un termine che troviamo parecchie

volte nella Bibbia: comportatevi con timore.

Non dice: comportatevi con paura, e non è

neanche nella psicosi che abbiamo noi, quella

del terrore. Cosa vuol dire timore? E‟ la con-

sapevolezza che Dio, il Padre nostro, è Dio.

Ecco dov‟è il timore. Non è paura, però è la

consapevolezza che è Dio. Essendo Dio non è

un idolo, non è uno fatto a mia immagine e

somiglianza; non è uno che posso usare e ma-

nipolare, che mi posso adattare e sistemare…

perché è altro… non so se è chiara la distin-

19

zione. Tenerezza e viscere di misericordia…:

non abbiate paura. Sarà un ritornello.. però ri-

cordati che è altro! Che è trascendente e non è

fatto a tua immagine e somiglianza; non è un

tuo idolo… non te lo puoi sistemare. Soprat-

tutto parla a dei cristiani… non a chi non ha

mai sentito parlare… A voi che credete ormai

di avere in mano tutto, di essere sicuri e di es-

sere garantiti. Ricordate il libro dei Proverbi

che dice: Inizio della Sapienza è Timor Domi-

ni, il timore del Signore.

Non per niente il santo timore di Dio è uno

dei doni dello Spirito Santo. Che vi ripeto non

ha niente a che fare con la paura e col terrore.

Una domanda insieme con voi: il nostro in-

contro con il volto paterno di Dio ha dentro

davvero questa coscienza della sua santità?

Perché questa coscienza che Dio fosse santo,

che il Padre fosse santo Gesù Cristo l‟aveva

molto chiara. Non è per il fatto che era fi-

glio… la coscienza della sua identità di figlio

e della sua alterità, come la coscienza

dell‟identità e dell‟alterità del Padre in Gesù

era molto chiara e netta.

Vivere il nostro pellegrinaggio (paroikìa)

come stranieri e pellegrini.

Un secondo motivo per comportarci con timo-

re è la coscienza che sto vivendo in questo

tempo però ci vivo come straniero e come

pellegrino. E parla del cammino della nostra

vita come cristiani nel tempo del vostro pelle-

grinaggio. Il termine greco da cui è uscita la

parola pellegrinaggio è paroikìa, da cui è u-

scita la nostra “parrocchia”. Allora ci saranno

due termini con cui giocheremo: uno è la oi-

kìa (la casa) e l‟altro è la para-oikìa. Guardate

che nella parola troviamo il fondamento della

nostra identità. Chi è nella paroikìa, nel pelle-

grinaggio? E colui che risiede in terra stranie-

ra.

Qual è il terzo motivo? “Ricordatevi che siete

stati riscattati a caro prezzo”. Il Padre di Gesù

Cristo non l‟ha fatta pagare a qualcuno… non

ha usato qualcuno per farla pagare… non ha

chiesto il sacrificio, come tutte le divinità, dei

primogeniti. Perché quando le divinità erano

abbastanza arrabbiatine, per tenerle buone oc-

correvano i sacrifici non soltanto delle bestie

e della natura, ma occorrevano anche sacrifici

umani. Il Padre di Gesù Cristo no, Lui ha do-

nato suo figlio. Però ricordati almeno che sei

stato liberato e riscattato a caro prezzo. Non

perdere mai questa coscienza. Ma da che cosa

e da chi sono stati liberati i cristiani? Diretta-

mente Pietro non dice: da Satana. Sapete cosa

dice? Siete stati liberati dalla vostra condotta

vuota; e torna ancora una volta il termine di

“condotta”. Vuota vuol dire fatua, inconsi-

stente, insulsa, effimera. Non siete cattivi (di-

ceva quello) siete soltanto vuoti.

d. Amatevi intensamente, di vero cuore

Vers. 22

Amatevi intensamente, di vero cuore, gli uni gli al-

tri.

Allora il segno che sei rigenerato, che la vita

nuova abita la tua famiglia e abita la comunità

è l‟amore fraterno.

Amore fraterno – in cerca dei miei fratelli:

sigillo della identità=differenza dal cristia-

no

Non per niente credo che nella lettera del no-

stro vescovo questo è il segno che troviamo.

Insieme al tema della speranza; il segno però

che la mia speranza è viva e non è una chiac-

chiera è uno solo: è l‟amore fraterno. Ricorda-

te il vangelo di Giovanni: da questo sapranno

che siete miei discepoli; se avrete amore gli

uni verso gli altri. Come deve essere questo

amore fraterno? Possiamo rileggere ancora le

espressioni del vers 22:

amatevi intensamente, di vero cuore, gli uni

gli altri, essendo stati rigenerati non da seme

corruttibile ma immortale, cioè dalla Parola

eterna di Dio viva ed eterna.

E poi, soprattutto al n. 2, abbiamo alcune ca-

tegorie:

deposta dunque ogni malizia e ogni frode e i-

pocrisia, le gelosie e ogni maldicenza, come

bambini appena nati bramate il puro latte spi-

rituale per crescere con esso verso la salvezza.

L‟amore fraterno chiede di essere senza falsi-

tà e senza ipocrisia. Deve essere di cuore, di

vero cuore, di un cuore puro. Parla di amore

reciproco, in termini tra uomo e donna di a-

more sponsale, parla di intensità… non per

niente credo che sia indicativo: la prima lette-

ra enciclica che ci ha donato Benedetto XVI è

20

“Deus caritas est”, nella cui prima parte c‟è

Deus come caritas; nella seconda parte, molto

più lunga, parla dell‟esercizio dell‟amore da

parte della comunità cristiana come comunità

di amore.

Il segno, allora, di questa identità e differenza

è l‟amore fraterno, è la capacità di fraternità.

Il termine greco che troviamo negli Atti degli

Apostoli è la capacità di koinonìa. Ricordate

la vicenda della prima comunità cristiana, ne-

gli atti degli Apostoli: avevano tutto in comu-

ne, nessuno diceva “questo è mio”. Il che vuol

dire che la vostra casa e le nostre chiese do-

vrebbero diventare luoghi di esercizio di fra-

ternità.

3 – Grazia e responsabilità di crescere co-

me pietre vive (2, 1-10)

Cap 2, 4

Stringendovi a lui [cioè a Cristo], pietra viva,

rigettata dagli uomini ma scelta e preziosa da-

vanti a Dio, anche voi venite impiegati come

pietre vive per la costruzione di un edificio

spirituale, per un sacerdozio santo, per offrire

sacrifici spirituali graditi a Dio, per mezzo di

Gesù Cristo. Si legge infatti nella Scrittura:

“Ecco io pongo in Sion una pietra angolare

scelta, preziosa, e chi crede in essa non reste-

rà confuso”. Onore dunque a voi che credete;

ma per gli increduli “la pietra che i costruttori

hanno scartato è diventata la pietra angolare,

sasso d‟inciampo e pietra di scandalo”.

2,1: deposta dunque ogni malizia.

Qui la traduzione non è pulita; la versione e-

satta sarebbe “deposto il vestito della mali-

zia”, perché si parla di vestito, di abito. Non si

parla di una cosa che mi è capitata; abito vuol

dire che è mentalità, costume, facile da senti-

re. Ricordando che l‟abito è il segno della di-

gnità, e quando non è segno della dignità può

diventare segno di altra mentalità.

Brano ecclesiologico più importante del NT

Qui troviamo il brano cosiddetto ecclesiologi-

co, più importante di tutto il Nuovo Testa-

mento. Proviamo a rileggere, visto che è an-

che un‟omelia battesimale, l‟abito battesima-

le, che è l‟abito nuziale, l‟abito bianco. Pur-

troppo quando c‟è la consegna della veste

bianca… viene fatta in fretta… poi viene pie-

gata e messa in un cassetto… Ormai i nostri

simboli non dicono più niente… Alla faccia

della prima comunità cristiana, dove il batte-

simo era nella notte di Pasqua,

s‟immergevano tutti e venivano rivestiti, co-

me l‟uomo nuovo, con l‟abito bianco. Non per

niente stavano vestiti almeno una settimana…

Provate a pensare se tutti quelli che si battez-

zano, almeno adulti, viaggiassero per una set-

timana vestiti con l‟abito bianco… E c‟era la

domenica dopo la Pasqua, domenica cosiddet-

ta In Albis, perché toglievano l‟abito bianco e

ritornavano nella storia e nella vita comune.

E‟ il simbolo delle resurrezione… e la lettera

di Pietro continua dicendo: deponete l‟uomo

vecchio con la sua condotta di prima. Rinno-

vate la vostra mentalità, schematizzatevi in un

modo diverso per rivestirvi (lo dirà anche

S.Paolo) dell‟uomo nuovo creato secondo Dio

nella giustizia e nella vera santità. E allora di-

ce: dopo aver cinto i fianchi della mente e

della capoccia rivestite l‟uomo nuovo. Dice:

bramate il latte… quindi dal “deporre” al

“bramare”… non è sufficiente nascere, es-

sermi trovato battezzato, ma bisogna crescere

personalmente, come si cresce bramando un

latte genuino.

Vedete che accanto al latte c‟è il termine “spi-

rituale”, che non dice niente. Il termine esatto

greco è loghikos, la radice è logos, quindi lat-

te puro della Parola. Ecco il latte da bramare.

E continuamente, mediante questo latte genu-

ino della Parola… da una parte a livello per-

sonale e dall‟altra a livello comunitario… la-

sciandovi impiegare da Dio come pietre vive.

Comunità non ecclesìa=chiesa, ma oi-

kìa=casa… abitata dallo Spirito

Qui ritorna il tema della Chiesa e

dell‟ecclesiologia che darà a ognuno di noi

l‟essere una pietra viva come Cristo è una pie-

tra viva. Nella coscienza che è Dio che co-

struisce. Nella coscienza che anche a casa vo-

stra responsabili siete voi… ma voi siete pie-

tre e a casa vostra ogni membro della chiesa

domestica è una pietra viva, perché chi co-

struisce è Lui. Dice: stingendovi (cioè avvici-

nandovi sempre di più) a Cristo pietra viva

per costruire su di lui un edificio, una casa a-

bitata dallo Spirito.

21

Vi dicevo che questo è il testo di ecclesiologia

più bello del Nuovo Testamento. Eppure la 1

Pt non usa mai il termine di ecclesìa per indi-

care Chiesa. Guardate che è indicativo: usa

solo il termine di oikìa, cioè di casa. Provate a

pensare come nella storia della Chiesa ci sia-

mo staccati dalla Parola. Guardate che è fon-

damentale, e guardate che quando la Chiesa

come il cristiano si stacca dalla Parola co-

struisce i suoi schemi, costruisce altro. Quindi

la chiama casa, oikìa, casa spirituale, perché

preferisce il linguaggio più esistenziale rispet-

to a quello istituzionale.

Cristiani come Cristo “pietre vive”

Un‟altra nota non tanto curiosa: sapete che

Pietro è Petrus in greco, e introduce il termine

di pietra; però introduce il termine di pietra

non tanto per parlare di kefa: ricordate quando

Gesù cambia il nome a Simone: tu sarai kefa,

pietra, però non usa questo per parlare di lui,

della sua autorità petrina, ma per parlare di

Cristo e dei cristiani. Riuscite a cogliere la

profonda umiltà, la coscienza di comunione:

non usa quel termine per indicare “chi sono

io” (guardate che il vescovo sono io e il papa

sono io… il prete sono io… il parroco sono

io…). Usa il termine di kefa per parlare della

pietra viva che è Cristo e della pietra viva che

è ogni cristiano.

Cristiani: stirpe eletta, sacerdozio regale,

gente santa, popolo acquistato da Dio

E allora i cristiani sono impiegati per la co-

struzione di una casa spirituale, ma è lo Spiri-

to che la rende compatta (2, 5). Viene impie-

gato per un sacerdozio santo, cioè per un cor-

po sacerdotale. L‟Apocalisse dirà che Cristo

ha fatto di noi un regno e dei sacerdoti per

Dio suo Padre. Il terzo motivo è per offrire

sacrifici spirituali, e allora domineddio non

vuole più le pecore, i capri, i giovenchi, i to-

ri… vuole sacrifici spirituali. Non vuole più

neanche gli agnelli (poverini!) perché i cri-

stiani sono chiamati a offrire se stessi. E‟

chiaro il nuovo? E‟ chiaro ciò che è differen-

te? La cultura, la religione e le religioni?

Risentiamo molto l‟incontro di Gesù con la

samaritana nel Vangelo di Giovanni: “E’

giunta l’ora, credimi, donna, in cui i veri ado-

ratori adoreranno il Padre in Spirito e Veri-

tà”. La comunità cristiana è un popolo sacer-

dotale. Ricordo un‟espressione molto forte di

40 anni fa, ripetuta da Carlo Carretto o Arturo

Paoli: La Parola di Dio dice che noi siamo un

popolo sacerdotale; non dice che siamo do-

minati dal sacerdote… Credo che sia

un‟osservazione molto acuta… Usciamo dal

discorso di una polemica, però credo che sia

importante ritrovare e riscoprire. Siamo popo-

lo sacerdotale e popolo regale.

Costruire la comunità

come casa di comunione

Vers 9

Loro [quelli che non credono] inciampano

perché non credono alla Parola; a questo sono

stati destinati.

Il che vuol dire che chi non crede nella Parola

(e per noi la Parola è Qualcuno, il Verbo è

Lui) oltre che essere scandalo, inciampano…

E aggiunge:

Voi siete la stirpe eletta, il sacerdozio regale,

la nazione santa, il popolo che Dio si è acqui-

stato perché proclami le opere meravigliose di

Lui che vi ha chiamato dalle tenebre alla sua

mirabile luce; voi che un tempo eravate non

popolo, ora invece siete il popolo di Dio; voi

un tempo [maledetti, bastardi] esclusi dalla

misericordia, ora invece avete ottenuto miseri-

cordia.

E‟ difficile commentare… sarebbe bello non

commentare… La coscienza: ogni volta che

vi ritrovate almeno in due… almeno tra mari-

to e moglie... perché siete sacramento… vi

trovate in tre o quattro in famiglia… ancora

prima di arrivare in parrocchia… non perdete

la coscienza che qui e ora noi siamo stirpe e-

letta, sacerdozio regale, gente santa, popolo

che Dio si è acquistato.

Ministero profetico-sacerdotale-regale del

cristiano, degli sposi-sacramento, della

Chiesa

E‟ difficile… è difficile perché anche a noi

mancano dei segni… purtroppo i segni ce li

hanno soltanto i preti. Domani durante

l‟Eucaristia… abbiamo pensato una cosa…

per vivere la dignità. Non è un problema di

rivendicazione di diritti all‟interno della Chie-

sa… Domani durante l‟Eucaristia, nel mo-

mento in cui rinnoveremo le promesse del

battesimo ci ritroveremo rigenerati, consegne-

22

rò ad ognuno di voi una stola, e ve la terrete

indosso per tutta l‟Eucaristia. Perché guardate

che quando uno mette addosso un abito…

scusate, c‟è la sensazione che all‟interno della

Chiesa soltanto chi si mette addosso un cami-

ce sia qualcuno… Credo che possa essere im-

portante… non lo facciamo per una coreogra-

fia ma, almeno un attimo nella vita, per ritro-

vare coscienza. Quella che è il motivo della

lettera di Pietro.

Per chi di voi è presente in coppia ci sarà

un‟unica stola per tutti e due, per ricordare

che insieme, in coppia e come coppia, e non

solo come cristiani, siete stirpe eletta e sacer-

dozio regale. La coscienza proprio del sacer-

dozio, e credo che questo sia stato il grande

dono che con fatica sta venendo avanti, ed era

stata la grande rivoluzione della Pentecoste

del Concilio Vaticano II. E voi sapete, visto

che molti di voi hanno messo su casa, una

pietra anche se bella e preziosa non fa una ca-

sa; però una pietra è preziosa e bella e intelli-

gente quando è capace di fare casa, se no non

serve proprio a niente… Quante volte stiamo

dicendo in questi anni che la famiglia è chia-

mata a insegnare… alla parrocchia… alla

Chiesa… insegnare proprio ad essere casa, a

fare casa… Non per cattiveria, ma perché non

è abituata. Adesso la Chiesa tenta (siamo an-

che nel giorno bello dell‟incontro del Papa

con le famiglie) ogni tanto a “mettere su ca-

sa”, a “mettere su famiglia”, però fa un tanti-

no fatica, forse perché non ha imparato ad a-

scoltare proprio dalla famiglia e dagli sposi

come si fa casa e come si costruisce casa.

Quindi è stupendo questo scambio di doni,

questa comunione di ministeri all‟interno del-

la Chiesa. Questa era una cosa grossa che a-

veva scoperto Lutero, addirittura fino al punto

di negare (Lutero) il sacerdozio ministeriale:

diceva che era sufficiente il sacerdozio di tutti

i battezzati. Però quel sacerdozio di tutti i bat-

tezzati il Concilio Vaticano II lo riafferma. Vi

leggo un boccone della Lumen Gentium: Cri-

sto Signore, Pontefice assunto di mezzo agli

uomini, fece del nuovo popolo un regno e dei

sacerdoti per Dio suo Padre. Infatti per la ri-

generazione e l’unzione dello Spirito Santo i

battezzati sono consacrati a formare una casa

spirituale e un sacerdozio santo. Quindi tutti i

discepoli di Cristo perseverando nella pre-

ghiera e lodando insieme il Signore offrono se

stessi come vittima bella, spirituale, pura,

gradevole, gradita a Dio. E si è chiamati a te-

stimoniare con una condotta bella. E sarà la

mia condotta bella, la mia vita bella, ad essere

segno di questa dignità e di questa coscienza.

In questi giorno ho ritrovato un incontro fatto

tanti anni fa (siamo nel 75) con una dichiara-

zione molto bella (erano insieme anglicani e

cattolici) sulla finalità della Chiesa. Sono belli

questa comunione e questi documenti comuni.

Ad un certo punto dicono che la prima cosa

che la Chiesa dovrebbe attualmente promuo-

vere è la proclamazione dl Vangelo. In origi-

ne il Vangelo non consisteva soltanto in un

messaggio predicato, ma in una vita vissuta;

ed è per questa ragione che la nostra procla-

mazione odierna deve comportare non sem-

plicemente una proclamazione di parole, ma

anche una testimonianza fatta di opere. Che

poi un documento molto più recente dei ve-

scovi (“predicare il Vangelo in un mondo che

cambia”) dice: Il Vangelo è il dono più gran-

de di cui dispongono i cristiani, per cui essi

devono condividerlo con tutti gli uomini e con

tutte le donne che sono alla ricerca di ragioni

per vivere e di una pienezza della vita.

4 – Vita da cristiani, vita da stranieri e pel-

legrini

2, 11 Carissimi [il termine greco è agapetòi, da cui

agape. Ci sono 3 termini greci: uno è eros,

che è il desiderio, la brama; l’altro è la filìa

che è un amore bello di cordialità e di amici-

zia; e l’altro è la pienezza che non è più solo

quello che io posso vivere soltanto nella reci-

procità, ma nella totale gratuità, nell’agape.

Dio è amore], io vi esorto come stranieri e

pellegrini ad astenervi dai desideri della carne

che fanno guerra all‟anima. La vostra condotta

tra i pagani sia irreprensibile perché mentre vi

calunniano come malfattori al vedere le vostre

buone opere [il termine esatto non è buone ma

belle] giungano a glorificare Dio nel giorno

del giudizio.

La vita dei cristiani è una vita da pellegrini e

da stranieri. Innanzitutto i credenti sono tali

perché sono amati da Dio. Quindi l‟uomo è

salvato non tanto perché ama e quando ama,

ma è salvato in quanto è amato. E lui crede in

questo amore (nell‟agendina di quest‟anno

23

avevo notato che se la fede è credere in Dio,

la speranza è credere che Dio crede in me…)

e allora spero perché credo… finché c‟è fede

c‟è speranza.

Identikit del cristiano nel mondo e nella

storia: straniero e pellegrino.

Amati da Dio, ma naturalmente amati anche

da Pietro [carissimi… amatissimi…] e allora

qui, amici, abbiamo quell‟altro gioiello della

lettera di Pietro… come dire: l‟identikit del

cristiano nella storia e nel mondo. Qual è

l‟identikit? Che ti piaccia o meno, sei stranie-

ro e pellegrino…. Sono pellegrino e straniero.

Ricordate che prima abbiamo visto “nel tem-

po del vostro pellegrinaggio”… ricordate i

destinatari di questa lettera: “agli eletti, pelle-

grini e stranieri…”, forestieri nella diaspora.

Termine greco: forestiero è parapìdemos,

mentre pellegrino è paroikòs. Paroikòs vuol

dire colui che ti abita accanto, come dire un

residente di passaggio. Qui dovremmo risco-

prire tutte le figure bibliche. Guardate Abra-

mo in Genesi: lui risiede di passaggio ed è

straniero. E quando deve seppellire la sua

sposa chiede: io sono straniero… io non ho

diritto neanche al cimitero… e chiede se po-

teva avere un pezzo di terra per seppellire la

sua sposa. L‟espressione bella del salmo 39

dice “io sono straniero e forestiero, come tutti

i miei padri”. Ricordate anche il grido stupen-

do che abbiamo fatto nell‟anno del Giubileo:

“Voi siete presso di me, dice Dio, ospiti!”.

Dice: questa terra è mia, e voi siete presso di

me, ospiti! Il termine esatto vuol dire: ospitati

da me che sono l‟ospitante. Sapete che nella

cultura biblica l‟ospite è sacro… non si toc-

ca… e all‟ospite devi tutto… e l‟ospite ha tut-

ti i diritti: di usare e di vivere le tue cose, le

tue persone, le tue relazioni. Però a un solo

patto: le devi vivere da ospite. Puoi godere di

tutto… però occhio: non diventare mai padro-

ne. Questo è l‟identikit. Dice: questa terra è

mia, tu vivila, godila, assaporala, gioiscine…

ma occhio: non diventare mai padrone. Non

tanto per me, ma semplicemente per te… Per-

ché è sufficiente che di questo libretto io dica

“mio” e vi ho fregati tutti. E col “mio” è finita

l‟umanità, è finita anche la divinità…

Stranieri perché eletti,

la loro cittadinanza è nei cieli

Riprenderemo il tema dell‟ospitalità anche nel

rapporto uomo-donna, perché tante volte rie-

sci ad essere accogliente con l‟estraneo, con

l‟esterno, ma hai molta difficoltà con il “tuo”

perché non è facile ospitare “dentro”… non

soltanto è ospitare come spazio. Ospitare den-

tro vuol dire tutto ciò che per me nella vita è

intimità… Sarebbe bello che di ogni realtà

che noi viviamo di persone, di situazioni, di

realtà… poter dire: vivine, godine… perché

Lui te l‟ha dato perché ne potessi vivere; però

cerca di avere una grossa attenzione: non dire

mai “mio”, non diventare mai padrone. “Voi

siete presso di me ospiti, ospitati da me… voi

siete gli ospitati”. I cristiani sono stranieri…

stiamo molto attenti… non perché considera-

no il mondo cattivo (“noi siamo i bravi e que-

sta è una schifezza”); non, non è questo. Non

perché considerano il mondo cattivo, non per-

ché si separano dal mondo con disprezzo…

no, non è questa la parola di Pietro. Neanche

perché il mondo ti ripudia, anzi vedremo che

di fronte a tutto questo Pietro dice: non scap-

pare! Sarà il leone… io non ho mai visto un

leone libero dietro di me… di fronte a un a-

nimale che fa paura la tentazione è quella di

scappare… No, lui dice no: resistete! Questa

sarà la posizione nuova, la vita differente, il

modo altro di essere nel mondo, nella vita di

tutti e nelle tentazioni di tutti.

Allora i cristiani sono stranieri non per tutto

questo, ma in quanto sono scelti, sono eletti.

In quanto come scelti ed eletti sono stati sot-

tratti al mondo. Il che vuol dire che i cristiani

di per sé, nel mondo e sulla faccia della terra

non hanno una cittadinanza, perché la loro cit-

tadinanza, cioè il loro stile di vita è nei cieli.

Qui ritroviamo la lettera ai Filippesi: “La no-

stra patria è nei cieli. Di là aspettiamo come

salvatore il Signore nostro Gesù Cristo che

trasfigurerà il nostro misero corpo per con-

formarlo al suo corpo glorioso”. Ricordate la

celebre lettera agli Ebrei che riprende questo

punto di vista. Dice “nella fede morirono i

vostri padri, senza avere ottenuto i beni pro-

messi [ricordate cos‟erano i beni promessi?

Alla terra promessa non è mai arrivato nessu-

no…] Li videro e li salutarono da lontano di-

chiarando di essere stranieri e pellegrini sul-

la terra”.

Come stare nel mondo

24

senza essere del mondo

Vedete che questi termini per la gente che li

ascolta è pane, è cultura, è mentalità perché

hanno un mondo biblico; a noi sembra una

novità. Le comunità di quelli che si erano

convertiti, per la maggior parte provenivano

dall‟ebraismo o dai giudaismo; erano giudei,

non tutti erano pagani, il che vuol dire che la

matrice era molto chiara. Quindi vivere da

stranieri e da pellegrini significa non perdere

mai di vista l‟éskaton, la dimensione escato-

logica, il fine: la nostra patria è nei cieli. Vi

ho fotocopiato la bellissima lettera a Diogne-

to. Come vivevano i cristiani del II secolo. E‟

un libro molto bello, e vorrei gustarne con voi

solo due bocconi, il cap. 4, 6 , il 5 e il 6. E‟

molto incisivo, chiaro, lapidario, senza mezzi

termini, non ha bisogno di commento. Il para-

dosso cristiano:

Che i cristiani, con ragione, si tengono lontani dalla leg-gerezza, dall’inganno comune, dallo zelo non appropria-to, e dalla vanteria dei giudei, credo che tu l’abbia ap-preso a sufficienza ma il mistero del loro rapporto con Dio, non attenderti di poterlo apprendere da un uomo. I cristiani, infatti, ne’ per paese, ne’ per lingua, ne’ per veste si distinguono dagli altri uomini. Ne’ in qualche parte abitano in città loro esclusive, ne’ parlano una lin-

gua diversa da quella degli altri, ne’ conducono una vita che sia fuori dalla norma. E, certo, la loro dottrina non è stata elaborata dalla mente fantasiosa di faccendieri smaniosi di indagare, ne’ si fanno campioni, a differen-za di altri, di un sistema filosofico umano. Ma, pur abi-tando città greche o barbare, così come a ciascuno è toccato in sorte, pur uniformandosi ai costumi del luogo nell’abito, nel mangiare e nella maniera di vivere, danno prova di un modo meraviglioso e, come tutti convengo-no, paradossale di essere cristiani. [quindi il discorso è del paradosso e della differenza]. Abitano ciascuno la propria patria, ma come stranieri; partecipano a tutto come cittadini [non è che se ne lavano le mani], e si adattano a tutto come stranieri. Ogni terra straniera è, per loro, patria, e ogni patria è, per loro, terra stranie-

ra. Come tutti, si sposano e generano figli; ma non get-tano via i loro bambini. Hanno una mensa in comune, ma non pubblica. Vivono nella carne, ma non secondo la carne. Dimorano sulla terra ma la loro città è in cielo. Ubbidiscono alle leggi stabilite [ossia pagano le tasse… non fanno i furbi], ma con la loro vita si spingono ben oltre la legge. Amano tutti, e da tutti sono perseguitati. Non sono conosciuti, ma sono condannati. Sono con-dotti alla morte e ne ricevono la vita. Sono poveri, ma arricchiscono molti. Sono privi di tutto, e di tutto ab-bondano. Sono disprezzati, ma dal disprezzo ricevono gloria. Sono calunniati ma sono giustificati. Sono insul-tati e benedicono, subiscono violenze e rendono onore. Pur facendo del bene, sono puniti come se fossero mal-

vagi. Condannati, si rallegrano perché ne ricevono la vita. Dai giudei sono combattuti come stranieri; dai gre-ci sono perseguitati, ma chi li odia non sa dirne il per-ché.

Guardate che è molto forte, e sentite riecheg-

giare tutta la lettera di Pietro, anche perché il

momento è questo. L‟altra cosa bella… credo

che valga in ogni tempo, l‟anima del mondo:

Per dirla in breve, ciò che nel corpo è l’anima, i cristiani lo sono per il mondo. L’anima è diffusa in tutte le mem-bra del corpo, i cristiani in tutte le città del mondo. L’anima abita nel corpo, ma non è del corpo; i cristiani abitano nel mondo, ma non sono del mondo [ricordate l’espressione grande di Gesù: “Dovete essere nel mon-do senza essere del mondo”. Il segreto è come vivere nel sistema senza essere del sistema, di qualunque si-stema: sociale, ecclesiastico, politico, economico… Cre-do che i punti ormai sono molto netti.] L’anima invisibile è prigioniera del corpo visibile. I cristiani sono visibili nel mondo, ma la loro pietà religiosa è invisibile. La carne pur non avendone ricevuto ingiustizia, odia e fa guerra all’anima, perché non le permette di abbandonarsi ai piaceri. Il mondo, pur non avendone ricevuto ingiusti-zia, odia i cristiani perché si schierano contro i piaceri. L’anima ama la carne, che la odia, e le membra; i cri-stiani amano chi li odia. L’anima è richiusa nel corpo, ma lo tiene unito, sostenendolo; i cristiani sono tratte-nuti nel mondo come in una prigione, ma tengono unito il mondo, sostenendolo. Immortale, l’anima dimora in una tenda mortale. I cristiani soggiornano in mezzo a cose corruttibili, in attesa di ricevere l’incorruttibilità ce-leste. Vessata dalla fame e dalla sete, l’anima migliora; i cristiani, condannati, aumentano ogni giorno. Dio ha loro assegnato un compito così grande che non è loro lecito sottrarsi.

Siamo oikìa = casa e paroikìa = fuori casa,

gente in cammino verso la pienezza della

vita

La lettera è molto lunga, però il cuore centra-

le, il passaggio che ho staccato è questo. E al-

lora, più che terminando, ripartendo da questa

Parola si tratta di mettere in atto quel delica-

tissimo movimento indicato da Gesù: stare nel

mondo senza essere del mondo. Quindi la vita

cristiana, l‟essere nel mondo, è paroikìa, è

pellegrinaggio, è residenza in terra straniera.

Per cui vi ripeto che la Chiesa è una oikìa, una

casa, però oltre che essere casa la Chiesa è

anche paroikìa (che vuol dire “essere fuori

casa”). E‟ il paradosso: noi siamo in casa però

siamo fuori casa, cioè siamo in cammino, in

marcia verso la pienezza della vita e della glo-

ria.

Allora l‟esistenza della Chiesa è quella di un

popolo che dimora in terra straniera, lontano

dalla propria casa, a ridosso della casa degli

altri. La Chiesa è pellegrina sulla terra, ripete-

rà ancora S.Paolo; la sua cittadinanza sta sol-

tanto nei cieli dove i cristiani non saranno più

ne‟ stranieri, ne‟ forestieri ne‟ pellegrini, ma

25

finalmente saremo concittadini dei santi e fa-

miliari di Dio. Vedete che adesso ritroviamo

il senso di tutta la Parola. Quindi non si tratta

di evadere dalla storia, di non interessarsi del-

la città terrena, della polis e della politica e

dell‟amministrazione, ma di rompere invece

con la mondanità, cioè con le potenze di que-

sto mondo.

Ricordate Laura e Claudio che hanno fatto

quel libro molto bello sulle multi-nazionali

del cuore, che sono tutti i vizi capitali. Queste

sono le potenze del mondo, che non sono fuo-

ri di noi, ma sono dentro di me. Questo tem-

po, che è il tempo della mia paroikìa, del mio

pellegrinaggio, è un esodo, è il passaggio da

questo mondo al Padre. Il che allora vuol dire

che la Chiesa è comunità di uomini e di donne

che abitano la compagnia di altri uomini, però

nello stesso tempo hanno la coscienza di esse-

re pellegrini e stranieri.

La Chiesa e la Famiglia è “in via”, non “in

patria”… noi siamo di chi ci aspetta

Allora qual è la meta della Chiesa? Ne‟ più

ne‟ meno che la meta della famiglia: sia la

Chiesa che la famiglia è pellegrina verso la

Patria. Il termine bello che amavano anche gli

antichi è Ecclesia viatorum, la Chiesa di pel-

legrini, di viandanti. Di qui il termine molto

bello, che ad alcuni di noi non piace, di pelle-

grinaggio… però sarebbe bello ogni tanto fare

proprio l‟esperienza del camminare come pel-

legrinaggio, per vivere proprio da qualunque

punto di vista questa coscienza bella. Avete

visto che stanno vivendo la cosiddetta via

Francigena che parte dalla Val di Susa e arri-

va fino a Roma. Sono passati anche da Alba-

no domenica l‟altra… erano un migliaio…

Esternamente potremmo dire che hanno buon

tempo… se volete questo buon tempo rega-

liamocelo se questo ci permette di vivere fisi-

camente la nostra coscienza di pellegrino e di

straniero.

Noi siamo nel cosiddetto frattempo; io sto vi-

vendo il tempo che sta tra la prima venuta del

Cristo e l‟altra venuta… dentro c‟è la mia vita

nel “frattempo”. Uso termini che ormai sono

diventati molto di moda… è una teologia bel-

la, dei primi anni subito dopo il Concilio: vivo

un “già”, perché Lui è risorto, vivo un “non

ancora” perché sono in attesa del suo ritorno.

Non per niente noi celebriamo ogni evento e

diciamo “Annunciamo la tua morte, procla-

miamo la tua resurrezione… nell‟attesa….”.

Vedete che in tutto il linguaggio della Chiesa

permanentemente c‟è il richiamo al nostro

cammino verso la Casa. Mi è sempre piaciuto

molto quel testo del Manzoni, la scena in cui

Renzo e Lucia riescono a sposarsi dopo tutte

le peripezie e traversie, persecuzioni, opposi-

zioni… fra Cristoforo sta morendo e li saluta

con queste parole: “tornate con sicurezza e

con pace ai pensieri di una volta, seguì a dir-

le [a Lucia] il cappuccino, chiedete di nuovo

al Signore le grazie che gli chiedevate per es-

sere una moglie santa. E confidate che ve le

concederà più abbondanti dopo tanti guai. E

tu, disse, voltandosi a Renzo, ricordati figliolo

che se la Chiesa ti rende questa compagna

non lo fa per procurarti una consolazione

temporale e mondana, la quale se anche po-

tesse essere intera e senza mistura d’alcun di-

spiacere dovrebbe finire in un gran dolore al

momento di lasciarvi, ma lo fa per avviarvi

tutti e due sulla strada della consolazione che

non avrà fine. Amatevi come compagni di vi-

aggio. Con questo pensiero devo lasciarvi,

con la speranza di ritrovarvi per sempre.

Ringraziate il Cielo che vi ha condotti in que-

sto stato non per mezzo di allegrezze e turbo-

lenze passeggere ma con travagli e tra le mi-

serie per disporvi un’allegrezza raccolta e

tranquilla. E se Dio vi concede figlioli, abbia-

te in mira di allevarli per Lui, d’instillare il

loro l’amore di Lui e di tutti gli uomini. E al-

lora li guiderete bene in tutto il resto”.

La Chiesa come la famiglia, amici, non è la

vetta: è il campo base. Solo che occorre più

tempo per costruire il campo base rispetto alla

scalata. Il campo base non è per camparci… è

per la scalata. O se vi piace l‟immagine di Gi-

bran: la Chiesa e la famiglia non è l‟ancora, è

l‟albero della nave. La Chiesa, ci ricorda il

Concilio, non è domina, signora, è serva. La

chiesa non è il Regno, è soltanto l‟inizio del

Regno. Il nostro vescovo Dante amava ripete-

re l‟espressione di un padre della Chiesa (che

non ricordo mai chi è), che dice che Gesù Cri-

sto non ha portato la Chiesa, ha portato il Re-

gno di Dio… e si è trovato la Chiesa… I padri

della Chiesa avevano una sapienza che può

venire soltanto dalla Parola. Un‟espressione

di Gigi, l‟amico di Bergamo, dice: l‟essere

26

mortale è un punto di partenza; noi siamo di

chi ci aspetta. Chiudendo, faccio una doman-

da per me. Mi chiedo: Carlino, credi alla vita

eterna? Credi ancora alla vita eterna? I cri-

stiani non sono quelli che attraverso la fede

nella resurrezione hanno meno paura della

morte? Io non dico di non averla, però dico di

avere meno paura della morte… Un modo per

combattere la paura della morte, ce lo dice la

Parola di Dio, è di vivere la vita da pellegrini

e da stranieri. Di non adeguarsi mai

all‟arroganza della vita che domina questo

mondo. La parola bella della prima lettera di

Giovanni: “Non amate il mondo e quello che

è del mondo. Se uno ama la mondanità

l’amore del Padre non è in lui, perché tutto

ciò che è mondano, il desiderio, la carne, la

pretesa degli occhi, l’arroganza della vita…

non viene dal Padre. Viene solo dal mondo.

Ora il mondo passa, e con lui i desideri, ma

chi fa la volontà di Dio rimane per sempre”.

Il cristiano non è per l’altra vita, ma per

una vita altra, differente.

Che veramente lo Spirito di Dio doni a me,

doni al cuore di ognuno di voi, doni al cuore

dei vostri familiari, di quelli che sono la no-

stra paroikìa, di quelli che sono viandanti,

pellegrini, stranieri come noi, questa mentali-

tà, questa mente di essere dei viandanti. Di

qui nasce la differenza cristiana. Mi sono

permesso di mettere un titolo a questo; lo

prendo da Enzo Bianchi, priore di Bose: Il

cristiano non è tanto per l‟altra vita (non per

niente noi abbiamo allevato la gente per

l‟altra vita), no, il cristiano è qui e ora, perché

la vita eterna per noi è già iniziata, non è un

“dopo”; però il cristiano è per una vita “altra”,

cioè differente… perché la mia vita o è diffe-

rente, altra (cioè con un‟identità)… oppure è

una vita in-differente. Vedremo che per que-

sto, per il cristiano sarà una vita bella.

“Coeredi della grazia della vita” ( 3,7)

Terza lettura biblica e terza riflessione

LA VITA DA CRISTIANI E’ UNA VITA

BELLA. LIBERI E SERVI TRA MARITO

E MOGLIE E NELLA SOCIETA’ (2, 11 – 4, 11)

Carissimi, io vi esorto come stranieri e pelle-

grini ad astenervi dai desideri della carne che

fanno guerra all‟anima. La vostra condotta tra

i pagani sia irreprensibile, perché mentre vi

calunniano come malfattori, al vedere le vo-

stre opere buone [anzi, sarebbe le vostre opere

belle] giungano a glorificare Dio nel giorno

del giudizio.

1 - Il fascino di una bella condotta (2, 11-13)

L‟impegno ad essere e a restare stranieri

comporta un aspetto positivo: il fascino di una

bella condotta (quante volte ritorna ormai

questo termine nella lettera di Pietro). Abbiate

in mezzo ai pagani una condotta bella. Non

dice agathòs, che in greco vuol dire buono;

dice kalòs, che vuol dire bello. Anche nella

celebre dizione del Buon Pastore, il termine

greco non è agathòs, ma è kalòs. Anzi, sareb-

be bello e buono. Se i cristiani rompono con il

mondo, i cristiani sono chiamati a vivere in un

modo bello, attraente, affascinante. Pensate a

quante e a come crescono le cosiddette sette

religiose. Crescono perché hanno una realtà

bella, affascinante, attraente. Punto. Non è

tanto perché hanno dentro un contenuto… no!

All‟inizio lo slancio è nel contatto, perché vi-

vono, propongono, entrano in contatto in un

modo bello e affascinante e attraente.

La vita dei cristiani è una vita bella, buona,

beata. Una vita differente nella in-

differenza del mondo

E la vita dei cristiani è una vita bella, buona, e

poi noi abbiamo l‟altro termine: è una vita be-

ata. Praticamente come la vita di Gesù. Le

opere dei cristiani devono essere opere belle.

Nella notte di Natale c‟è la seconda lettura

(lettera a Tito) in cui si legge “è avvenuta la

manifestazione, l’epifania della Grazia di Dio

a insegnarci a vivere in questo mondo”. Gesù

non è venuto soltanto a salvarci, ma è venuto

ad insegnarci a vivere in questo mondo. Non è

che ha fatto anche lui il gesto buono e merito-

rio… no, è venuto ad insegnarci a vivere in

27

questo mondo. A far vedere, a mostrare la ve-

ra vita umana.

Gesù ci insegna a vivere la vita come

un’opera d’arte.

E‟ venuto a far vedere come si vive una vita

che sia un‟opera d‟arte, cioè un capolavoro.

Punto. A noi poche volte hanno annunciato e

fatto sentire tutto questo. Provate a pensare

quante preoccupazioni noi abbiamo, e a quan-

to poco ci hanno fatto vedere che veramente

la vita cristiana è bella. Se tu cerchi il Regno

di Dio, e lo vedremo, vivrai una vita da Dio;

vivrai libero come uomo e come donna, avrai

una vita piena. Gesù non è venuto a propa-

gandare un‟avventura o una religione o

un‟ideologia… Dio non ha creato una religio-

ne; Dio ha creato l‟uomo.

La vita cristiana è contestata. Al tempo dei

nostri fratelli della prima generazione dopo

gli apostoli, più o meno come da noi, è conte-

stata perché è una vita differente. E come tutte

le vite che sono strane, che sono diverse…

contestano, rompono. Da una parte ti affasci-

nano, ti incuriosiscono, ma d‟altra parte rom-

pono! Però diventa una vita che è rivelatrice,

è una sfida all‟in-differenza. Il cristiano vive

la differenza; gli altri sono in-differenti.

Guardate… non prendiamola in termini di po-

tere, ma proprio come identità. Credo che

questa sia una delle consapevolezze belle;

vuol dire che i cristiani sono chiamati a mo-

strare una vita comprensibile, bella, agli occhi

di chi non crede.

Cristiani preoccupati più di dimostrare che

di “mostrare”.

Anche se un uomo e una donna non credono,

o credono a modo loro, se non sono mai intri-

gati dalla vita bella che ognuno di voi potete

fare… vuol dire che probabilmente non ci

siamo. Perché quando una cosa è bella, ti in-

triga! Se non altro ti fa la domanda: scusa,

come mai vivi così? Mi puoi dire qual è il se-

greto? Quindi “rompere”, ci dice la lettera di

Pietro, con i desideri del mondo e mostrare

che la vita cristiana è una vita bella.

Quindi guardate che il primo annuncio, la

prima evangelizzazione sono la testimonian-

za. Ricordate il Vangelo di Matteo: “Così ri-

splenda la vostra luce davanti agli uomini,

perché la gente veda le vostre opere belle” e

non vi abbiano a dire bravo, coraggio, conti-

nua… no! “vedano le vostre opere belle e

rendano lode al Padre che è nei cieli”. Hanno

capito che c‟è qualcosa d‟altro passato attra-

verso te, però è oltre te, anzi più rimangono

nelle tue mani e più cominciano a diventare

maldestre anche queste. E aggiunge che forse

il mondo subito non capirà (vedono… guar-

dano… se ne vanno), però nel giorno del giu-

dizio glorificheranno. Perché nel giorno del

giudizio paradossalmente anche loro ritrove-

ranno quell‟opera bella, che quel giorno han-

no semplicemente visto e se ne sono andati

senza dare risposte.

Amici, una cosa che per ora vi do soltanto

come espressione: noi cristiani cattolici siamo

troppo preoccupati di spiegare e di dimostra-

re. Che cos‟è la nostra fede? Una grande e

grossa dimostrazione; siamo sempre preoccu-

pati di dimostrare, di spiegare, di salvare, di

chiarire…; importante come processo… però

guardate che la prima chiamata del cristiano

non è tanto quella di dimostrare, ma è quella

di mostrare, cioè quella di far vedere. Voi ve-

dete, come mamme e come papà, che le cose

migliori che escono con i vostri figli non sono

i vostri discorsi (importanti, da fare) in cui

state lì con tanta pazienza… a dire, a spiegare,

a ricominciare da capo… (e dite: o questi ve-

ramente sono sciroccati o io non funziono).

Per carità… è un‟attività importante, però che

cosa rimane a loro quando una realtà loro la

vedono… Quindi siamo chiamati a mostrare

più che a dimostrare… Annunciare Dio attra-

verso ogni parola e ogni gesto. Una cosa sem-

plice, maledettamente forte: provate in ogni

istante, in qualunque situazione vi trovate, a

vivere quell‟istante come momento di parola

d‟amore e di gesto d‟amore. Perché in ogni

istante la persona che ho davanti è l‟unica pa-

rola e gesto d‟amore che avrà nella sua vita.

Che ne so io, questo cosa sarà tra 10-20 anni?

Eppure in lui c‟è il seme di quella parola, di

quello sguardo, di qual gesto d‟amore. Magari

è finito lì, ma ci ho fatto su una storia. Questa

è la consegna che abbiamo come cristiani.

Qualcuno di voi è insegnante (non dico geni-

tori perché ormai è una deformazione…) pro-

vate a pensare all‟attimo in cui entrate in con-

tatto, il vostro modo di entrare in contatto lui

28

lo respira come parole e gesto d‟amore, ha

l‟esperienza e la sensazione di essere ricono-

sciuto e di essere amato, di essere importan-

te… Quella persona non la rivedrò mai più,

eppure quella realtà d‟amore è l‟unica che fa-

rà storia dentro di lui. Guardate che ognuno di

noi nel proprio campo professionale… questa

è roba di tutti gli attimi… non è una cosina al

giorno… Quindi in ogni attimo c‟è dentro

l‟eternità, c‟è dentro questa pienezza (sono

solo accenni, perché questa materia è molto

densa).

Quindi invece di usare una categoria molto

usata nella storia della Chiesa, quella

dell‟apologetica (apologia = difendere, passa-

re all‟attacco e al contrattacco), puntare molto

di più sul fascino dell‟etica. Voi direte che è

un vizietto che abbiamo come Chiesa cattoli-

ca, che ogni tanto se ci sono dei problemi so-

ciali e politici incominciamo la guerra legit-

tima, l‟attacco e la difesa… momento impor-

tante che non sto snobbando, ma il cristiano di

per se non è tanto uno che denuncia, ma è uno

che annuncia. E quello che diremmo noi è

fiacco e debole, non è la denuncia che si può

fare come cristiani cattolici… è l‟annuncio

che è fiacco, e quello che mostriamo forse

non è bello e affascinante. Quindi puntare di

più sull‟attrazione della bella condotta, ci ri-

corda la lettera di Pietro, sull‟estetica, che non

è soltanto un formalismo esterno, sull‟estetica

che Gesù ci propone col discorso della mon-

tagna.

2 – Liberi perché sottomessi ad ogni crea-

tura. (2, 13-20)

Altro passaggio: 13-20.

Siate sottomessi ad ogni istituzione umana per

amore del Signore: sia al re come sovrano, sia

ai governatori come suoi inviati per punire i

malfattori e premiare i buoni.

Lo so che questo discorso vi fa venire il volta-

stomaco, però vivete il voltastomaco ed entra-

te nella Parola.

Perché questa è la volontà di Dio: che, ope-

rando il bene, voi chiudiate la bocca

all‟ignoranza degli stolti. Comportatevi come

uomini liberi, non servendovi della libertà

come un paravento per coprire la malizia, ma

come servitori di Dio. Onorate tutti, amate i

vostri fratelli, temete Dio e onorate il re.

Non so se la scaletta è molto chiara. Tento

non tanto una spiegazione, ma solo una puli-

tina nel caso qualche messaggio o parola non

fosse chiara. Tra le belle opere che contraddi-

stinguono allora le belle opere del cristiano,

Pietro mette gli obblighi verso ogni creatura.

E‟ bello: parla di ogni creatura, non di catego-

rie di persone o sociali, ma verso ogni creatu-

ra: verso l‟autorità, verso i padroni e dopo

l‟inno cristologico che abbiamo già pregato

verranno quelli matrimoniali e quelli comuni-

tari.

Ascoltata così, credo che ci dia un po‟ di im-

barazzo e fastidio. Credo che ci sentiamo

molto distanti da questa impostazione cultura-

le, ambientale, sociale, se volete anche (in

termini seri) cristiana. Ricordatevi una cosa,

amici, che dopo che io leggo un pezzo di que-

sto dovrei dire per serietà “Parola di Dio”.

Dovrei dirlo sempre, ma a lungo andare lo

dimentico. Vorrei riattivarlo soprattutto dove

partono da parte mia alcune allergie. Ma co-

me può essere Parola di Dio… come può la

Parola di Dio sostenere delle strutture sociali,

economiche, politiche, familiari di tipo autori-

tario, patriarcale, maschilista? Lo vedremo,

perché anche la lettera di Pietro respira una

cultura maschilista come il corrispondente

Paolo.

Sottomessi ad ogni creatura, ma ser-

vi/servitori solo di Dio

I cristiani erano detti figli della obbedienza,

coloro che credono in Dio, stranieri e pelle-

grini, cioè sono uomini e donne liberi (vers.

16) perché servi di Dio. La tua totale libertà è

una sola: perché tu sei servo solo di Dio. Se

hai chiaro questo sei libero. Il che non dice di

ammazzare gli altri, però le cose devono esse-

re chiare… devi avere una cosa chiara: sei

servo solo di Dio. L‟aveva già detto Gesù Cri-

sto al demoniaco: adorerai solo il Signore Dio

tuo, solo a lui ti prostrerai… non lo mollare…

nessun dio… neanche tua moglie, neanche tuo

marito, neanche tuo figlio, neanche tuo padre

o tua madre, neanche il tuo capo carismatico,

neanche un vescovo, neanche un papa (para-

dossalmente): solo Dio. Tutti questi sono se-

gni e sacramenti per vivere la fedeltà. Credo

che la Parola è molto forte, pulita e schietta,

senza mezzi termini. Quindi servi di Dio e di

29

nessun altro, perché soltanto il servire Dio ti

libera dagli idoli falsi, cioè non ti rende alie-

nato.

Qui devo usare un termine latino. Il “diverso”

in latino ha due termini: uno è il termine di

“alter”, e l‟altro è quello di “alienus”(da cui

alienare). Allora o la tua diversità è veramente

diversità perché è identità, vita differente, op-

pure è alienus, cioè alienante. Credo che que-

sto sia il punto importante. Se vuoi vivere una

vita differente devi essere solo servo di Dio;

tutto il resto ti aliena. A volte anche alcune

esperienze mistiche, alcune esperienze di co-

munità.

Resistenza e sottomissione: la resa solo a

Dio

Quando ti accorgi che paradossalmente ti a-

lienano (e possono alienare) vuol dire che non

sono più servo di Dio. Niente e nessuno nella

vita ti può impedire di vivere il Vangelo. Per-

ché l‟esperienza di vivere il Vangelo la spe-

rimentiamo forte non fuori dalla Chiesa, dalle

comunità, dalle fraternità, fuori dalla nostra

casa o dalla nostra famiglia. Ma dentro. Però

niente e nessuno ti potrà mai impedire di vi-

vere il Vangelo. E quindi invita a sottometter-

si a ogni creatura umana per amore del Signo-

re. Vuol dire prendere il proprio posto in un

piano ben preciso, ricordando una cosa: che

chi comanda comanda… saranno bravi, catti-

vi, però non sono dei, non sono idoli, non so-

no signori. Ricordati che loro, pure loro, sono

semplicemente come il sottoscritto, creatura.

Vi ricordo che stava parlando in un momento

in cui c‟era il culto dell‟imperatore… E‟ una

cultura altra rispetto alla nostra… in 2000 an-

ni ne è passata di storia!

Quindi la fede cristiana ne ha liberate di gene-

razioni e di culture! Quindi non dimentichia-

mo un piccolo-grande particolare: un cristiano

proclama che Dio è creatore, e che l‟uomo è

creatura, e che accetta di essere sottomesso ad

ogni creatura perché si confessa di essere solo

servo di Dio. Sembra un paradosso, però ve-

dete che è totalizzante: mi sottometto ad ogni

creatura perché praticamente io servo solo

Dio. Però il fatto che servo solo Dio non mi

dice di fregarmi del resto. E questa è la sim-

patica tentazione che, da che mondo è mondo,

in particolare come Chiesa e come Cristiani

conosciamo molto bene. Quindi l‟unica liber-

tà è quella di inserirci in questa stirpe di ob-

bedienti, come Cristo che fu obbediente fino

in fondo, fino alla morte e alla morte di croce.

Quindi ogni creatura che ti è accanto è stru-

mento ed è occasione di obbedienza a Dio.

Soprattutto tutta la gente che religiosamente,

socialmente, politicamente ti sta sullo stoma-

co o su qualche altra parte. Tutto è grazia per

obbedire a Dio. Amici… non è parola dei pre-

ti (non in termine dispregiativo), è Parola di

Dio. Perché questa è la volontà dei Dio: che

voi facendo il bene [ecco dov‟è il segreto, la

differenza] riduciate al silenzio l’ignoranza,

l’insensatezza degli stolti. Qui c‟è tutto il rap-

porto tra Dio e Cesare, che non sviluppo, sul

quale avevano interpellato anche Gesù, con la

sua risposta che è sempre peggiore della do-

manda: date a Dio quello che è di Dio, a Ce-

sare quello che è di Cesare. Cosa voleva dire?

Guarda che si serve e si teme: torna il termine

del timore di Dio; si teme solo Dio.

E questo sarà il criterio anche del rapporto tra

marito e moglie. Anche del rapporto nella

comunità cristiana. Guardate che soltanto i fi-

gli sono liberi. C‟è la famosa scena del pagare

le tasse. Per farla breve Gesù disse ai discepo-

li: vai al mare, prendi un pesciolino, aprigli la

bocca, c‟è una moneta e paga. Questo per dire

che i figli sono liberi. Non gli ha detto “snob-

ba la cosa… che te ne frega… noi siamo al-

tro…”. No. Perché noi siamo uomini e donne

che vivono nella comunità umana in compa-

gnia degli altri uomini. La gente che ci sta ac-

canto però vive dentro questa consapevolezza.

Guardate che tutto questo non è servilismo,

non è un‟acquiescenza al potere politico. Cre-

do che sia Bruno Forte che molti anni fa fece

un‟osservazione acuta: quando la Chiesa é li-

bera, nel senso che non si attacca ai vari pote-

ri, non è interessante. E quando è interessante

probabilmente comincia a perdere il contatto.

E‟ sempre questo il gioco e la tentazione. E‟

sempre sottile; non avremo mai una risposta

una volte per tutte e una volta per sempre,

perché ogni volta siamo di fronte a un discer-

nimento.

18, 20

Domestici [e qui ci chiediamo: come mai par-

la dei domestici? Probabilmente molti conver-

30

titi al cristianesimo erano gente povera che

facevano i domestici nelle case della gente

ricca. Quindi parla a domestici cristiani che

avevano a che fare con dei padroni. Forse

qualcuno era anche cristiano, la maggior par-

te no] siate soggetti con profondo rispetto ai

vostri padroni. Non solo a quelli buoni e miti,

ma anche a quelli difficili.

Questo lo possiamo applicare anche ai rappor-

ti familiari: siate sottomessi con profondo ri-

spetto a tuo padre e a tua madre; non soltanto

a quelli buoni, ma anche a quelli difficili. An-

che ai figli: non soltanto a quelli buoni e miti

che ti coccolano e ti gratificano, ma soprattut-

to a quelli difficili. Poi l‟elenco lo fate voi…

non vorrei che adesso, parlando di una cate-

goria, uno pensi: non essendo domestico…

Perché dice: siate sottomessi ad ogni creatu-

ra… non so se è abbastanza chiaro questo tipo

di consapevolezza. C‟era un libro che non

hanno più ristampato e che era un gioiello:

manuale per bambini che hanno genitori diffi-

cili. Perché di solito sono i genitori che ogni

tanto pensano che figli siano difficili…

Io sono figlio di mezzadri, e il mezzadro ave-

va il padrone. Il padrone era il padrone. Mi

ricordo da ragazzino, assieme alle sorelle… i

primi frutti erano per il padrone. Le cose belle

erano per il padrone. Avevamo soltanto la vi-

gna; se beccavi due grandinate… quando

grandina ancora oggi sento freddo… però il

padrone voleva sempre la sua parte, anche se

il raccolto non c‟era stato. Eppure non

l‟abbiamo mai odiato. Una cosa grande del

mio papà e della mia mamma: non l‟hanno

mai odiato. Non è un problema “perché dove-

vano o non dovevano odiarlo”, però credo

succeda anche a voi quando siete sotto padro-

ne… usate voi le categorie che volete, sociali

e anche affettive… ti viene questo istinto di

ribellarti… Dice: no! Provate a vivere questa

sapienza, questa differenza della vita cristia-

na. Da una parte di vivere una “sottomissio-

ne” dentro una grande libertà interiore, perché

per quanto riguarda la mia libertà tu non mi

potrai mai impedire di essere figlio, cioè di

vivere il Vangelo.

(Risposta a domanda): la tua dignità ce l‟hai,

non la mollare mai… vedremo questo in par-

ticolare con le donne, che proprio attraverso

la fede acquisivano la loro grande dignità.

Continueranno ad essere sottomesse al marito,

ma nessuno ti può togliere la tua dignità. Gra-

zie a Dio in 2000 anni si è camminato. Prova-

te a pensare la forza anche della fede cristiana

che cosa può avere generato ed ha generato;

ma ciò non toglie che la struttura di peccato è

permanente e mi rimane ancora. Sarà cambia-

ta la faccia dei padroni, ma il padrone rimane

sempre, non dimenticando che la grande be-

stia che io ho dentro si chiama potere. Com-

battere la grande bestia che è dentro di me…

bestia che ha un solo nome, quello del diavo-

lo, cioè il potere. Questa è l‟unica grande be-

stia che è dentro ognuno di noi.

Vedete che parla di domestici e non di servi, e

vi ho detto il motivo, perché facendo il bene

ciò sarà gradito davanti a Dio. Il che vuol dire

che ad ogni modo ognuno di noi può avere la

sicurezza che sta veramente compiendo e fa-

cendo la volontà di Dio, perché la volontà di

Dio è da fare, quando opera il bene. Ogni tan-

to è difficile discernere qual è la volontà di

Dio, però la risposta è sempre chiara: quando

tu fai il bene anche quando tu hai il diritto di

fare altro… ricordati che operando il bene fai

sempre la volontà di Dio. Provate a rileggere

questo in tutti i dolori di separazione a livello

di uomo e di donna, in tutte le relazioni fami-

liari, sociali, politiche… per carità, abbiamo

tutti i diritti; oggi ormai nella società abbiamo

acquisito tutti i diritti… ormai abbiamo im-

pazzito l‟individuo… Però se vuoi discernere

in ogni istante qual è la volontà di Dio…: o-

perando il bene.

Il cristiano è uno che sta al suo posto in

modo creativo, promuovendo il bene co-

mune, la polis

Un altro linguaggio: il cristiano è uno che sta

al proprio posto. E‟ uno che non scappa, che

non se ne va, non è uno che dà le dimissioni.

Non è uno che dice “non ci sto più”. Cristiano

è uno che ci sta. Il cristiano è uno che c‟è! E i

cristiani non ci sono!! Ci sono da fare le fogne

nella via? Non è che ci si mette insieme per

un bene comune; ti mancano i cristiani. Non

voglio fare prediche perché è troppo facile…

però una cosa è chiara: il cristiano è uno che

c‟è, è uno che ci sta. E‟ uno che in ogni situa-

zione in cui ti trovi a vivere (sociale, sindaca-

le, politica, amministrativa, scolastica…) è

uno che c‟è, è uno che ci sta. E‟ uno che di

31

fronte a una richiesta “Chi mi dà una mano?”,

ci sta. E‟ uno che di fronte a un “fai il rappre-

sentante di classe?”… il cristiano è uno che ci

sta. Non ho mai sentito nessuno dire “non ho

mai accettato di fare il rappresentante di clas-

se”… perché? “Perché non voglio rogne”. Il

cristiano è uno che ci sta, non è uno che se ne

va. E‟ uno che in quel posto è intelligente

perché sta in quel posto. Sta al suo posto. Il

cristiano è uno che c‟è. E‟ uno che in tanti

momenti di disagio, di difficoltà, di dolore…

ti guardi attorno e non c‟è nessuno… Se ce ne

fosse uno dici “quello è un cristiano”. Perché?

“Perché è uno che c‟è”.

Amici, ricordate l‟identità di Dio, quella frase

sibillina quando Mosè chiede a JHWH: senti

se mi chiedono chi mi manda cosa devo dire?

“E tu digli: colui che è, quello che io sono mi

manda da te”. Tradotto non in termini razio-

nali, vuol dire uno che ci sta: “Ci sto” mi

manda da te… Non per niente voi sapete che

l‟identità di Gesù…. Ripete ogni due secondi

“Io sono”. Io sono la via, io sono la verità, io

sono la vita, io sono la vite… “io sono” non è

un discorso razionale, è un discorso “io ci

sto”. Mi viene in mente un‟immagine molto

bella e un‟espressione forte di un amico che

parlando della resurrezione dice: Gesù Cristo

dalla croce “Io con voi ci sto. E ci sto fino in

fondo”. Cristiano è uno che ci sta, e sta al suo

posto. Può essere dura, può essere indigesta,

può non piacermi però… scusate… non è un

supermercato: non è che puoi scegliere.

C‟è un‟identità… se non ci stai… andrò

all‟inferno?… è una domanda stupida per Ge-

sù Cristo. Vuoi vivere da uomo? Voi vivere

tutto d‟un pezzo? La possibilità c‟è sempre.

Se non altro vorresti dire come uomo, come

donna, come cristiano, a quanti incontri:

guarda che essere cristiani è una vita bella. E

sapete quando riconoscono che siete cristiani?

Quando vi fanno la simpatica domanda: “Chi

te lo fa fare?”. Finché non arriva quella do-

manda non è arrivato il fascino di una vita

bella, cioè di una vita diversa, di un gesto dif-

ferente. Soltanto quando (è solo indicativo, ve

ne dico uno) ti possono dire “allora forse sta

vivendo qualcosa che è veramente differente,

cioè è semplicemente divino”. Avevo prepa-

rato una cosa bella sui laici nell‟impegno nel

sociale e nel politico (siccome sono anche vi-

cario episcopale per il laicato cattolico). Sic-

come essere vicario episcopale per il laicato

non era un titolo bello, mi piacerebbe trovare

uno spazio libero per confrontarmi, proprio

anche come discernimento. Vi do però un

bocconcino di Giovanni Paolo II, nella Christi

Fideles Laici, quando dice “I fedeli laici non

possono affatto abdicare alla partecipazione

alla politica, ossia alla molteplice organizza-

zione economica, sociale, organizzativa, am-

ministrativa e culturale, destinata a promuo-

vere organicamente e in un modo istituziona-

le, il bene comune”.

E allora ogni tanto, invece di andare a confes-

sare che avete dimenticato le preghiere e

l‟altra scemenza che dite le parolacce, provate

una volta ad andare a confessare (il prete ti

guarderà male perché resterà shoccato anche

lui) “io mi sono sempre lavato le mani della

pubblica amministrazione”, “io mi sono sem-

pre lavato le mani della politica” “io non mi

interesso mai di niente”. Perché andare a dire

l‟idiozia “ho detto le parolacce”… salvatevi la

vostra dignità di uomini e di figli di Dio. An-

che perché l‟essere cristiano (stavamo veden-

do) grazie a Dio è una cosa abbastanza soda, e

pensare al rischio… a che cosa può essere sta-

ta ridotta… è pericoloso.

3 – Chiamati a seguire le orme di Cristo (2,

21-25)

Passaggio terzo, vers 21-25, che avevamo già

pregato, “chiamati a seguire le orme di Cri-

sto”; è uno dei cosiddetti “inni cristologici” e

il centro di questa parte che viene detta esor-

tativa (un termine carino: parenetica) ci ricor-

da una verità centrale: che non è possibile

nessun comportamento cristiano (quello che

noi chiamiamo morale) che non abbia come

fondamento la conoscenza di Gesù Cristo.

Fondamento di ogni azione è Gesù Cristo

Senza Gesù Cristo noi cristiani abbiamo una

delle tante morali, punto e basta. Per poter vi-

vere alcuni atteggiamenti cristiani, li posso

vivere soltanto se li vivo in Cristo e se vivo

Gesù Cristo. Punto e basta. Il che non toglie

che un comportamento è sempre umanizzante

anche per chi non conosce Gesù Cristo, però

alcune esigenze e alcune radicalità le posso

vivere soltanto se vivo in Cristo e lo vivo fino

32

in fondo. Credo che questo sia un punto di

chiarezza e di identità.

a) la grazia della sofferenza ingiusta

Qui adesso troviamo il tema della Grazia della

sofferenza ingiusta. 2, 21

A questo infatti siete stati chiamati poiché an-

che Cristo patì per voi, lasciandovi un esempio

perché ne seguiate le orme: egli non commise

peccato e non si trovò inganno sulla sua boc-

ca, oltraggiato non rispondeva con oltraggi,

soffrendo non minacciava vendetta, ma rimet-

teva la sua causa a colui che giudica con giu-

stizia. Egli portò i nostri peccati nel suo corpo

sul legno della croce perché, non vivendo più

per il peccato, vivessimo per la giustizia; dalle

sue piaghe siete stati guariti. Eravate erranti

come pecore, ma ora siete ritornati al pastore e

guardiano delle vostre anime.

Solo alcune puntualizzazioni di questa peri-

cope che abbiamo ascoltato in questo istante.

Guardate che il problema non è come evitare

la sofferenza, perché la sofferenza non la evi-

ti. La domanda è come vivere la sofferenza da

cristiani, perché la sofferenza la vive ogni

uomo e ogni donna sulla faccia della terra.

Punto. Ricordate l‟anno in cui abbiamo fatto

Giobbe… superare la logica che viene detta

della reversibilità: dove c‟è l‟azione buona c‟è

il premio e dove c‟è l‟azione cattiva c‟è la pu-

nizione… questa è una cosa che ti frega nella

vita. Per cui in questo quadro la sofferenza

ingiusta è chiaro che chiama violenza, questo

è fuori discussione in questo tipo di logica.

Quindi non sopportata nella nuova coscienza

di Dio; però se viene sopportata nella co-

scienza di Dio questa sofferenza diventa chà-

ris, cioè diventa Grazia. Passaggio molto

chiaro, tanto questo Vangelo di Gesù l‟avete

già sentito: Luca: se amate quelli che vi ama-

no, che chàris, che grazia ne avete? Che gra-

tuità ve ne viene? Se prestate a quelli che pen-

sate di avere in merito, che chàris, che grazia

ne avete? Riuscite a cogliere dov‟è la radice?

E‟ nella chàris. Per cui anche il dolore e la

sofferenza, soprattutto ingiusta può essere o

diventare chàris. In cui Grazia (questo è un

termine che uso io, però la radice è chàris) è

in termine di gratuità. La gratuità come rispo-

sta alla sofferenza, come la gratuità come ri-

sposta al senso della vita.

Qualunque cosa ci capiti nella vita non ha un

perché e non ha una spiegazione e più spieghi

e più ti senti idiota… perché non ha una spie-

gazione, e allora devo uscire dal codice della

reversibilità (buono-premio; cattivo-castigo);

in questo gioco è chiaro che non capirò… tro-

verò ingiusto, e come tale mi nasce la violen-

za, la ribellione dentro di me. Qui la parola di

Pietro è estremamente chiara. Soltanto quan-

do riesco a sintonizzarmi nella coscienza della

gratuità…. io dico tante volte di fronte a tanti

gesti delle persone (non degli altri… di me) è

il dramma di chi vuole capire. Tu vorresti ca-

pire perché uno imbratta un monumento… in

termini di capire puoi fare tutta la psicologia,

la sociologia… vedere giustamente tutta la

sua rabbia, tutta la sua violenza, tutta la sua

protesta e il suo grido… però dico: è il dram-

ma di chi vuole capire. E purtroppo nei nostri

rapporti umani, soprattutto in quelli intimi tra

uomo e donna e tra genitori e figli… il dram-

ma di chi vuole capire. Perché io voglio trova-

re una spiegazione, avere una spiegazione.

Non ti è mai capitato di domandare a tua mo-

glie o a tuo marito, a ognuno dei tuoi figli

quando fanno simpaticamente una cavolata…

gli fate la simpatica domanda: adesso mi do-

vresti spiegare… E l‟altro ti risponde… ma

non per prenderti in giro… “ma che ti spie-

go?”. Guardate che questo non è un tradimen-

to o mancanza di trasparenza… guardate che

dovremmo ritrovare alcune radici, che non

serve da giustificazione, ma ritrovare proba-

bilmente la profondità di quello che siamo.

Altro passaggio. Qui incontriamo un altro vol-

to di Pietro. Ricordate il Pietro del Vangelo,

che si oppone alla sofferenza di Cristo, quan-

do Gesù comincia il discorso che è necessario

che il figlio dell‟uomo debba soffrire a cau-

sa…. Credo che anche Pietro e anche gli altri

non ne potevano più. Dice “eh no, basta!

Questo non ti accadrà mai!” Cioè si oppone

alla sofferenza, anche perché dice: “che cosa

devi soffrire, che cosa dovresti pagare visto

che sei uno dei pochi puliti sulla faccia della

terra…”. Qui troviamo nella lettera un Pietro

convertito, che è lui a confermare i suoi fratel-

li nella fede. E‟ lui adesso che fa quello che

Gesù faceva coi suoi. Qui c‟è un tema molto

delicato che non voglio sviluppare, e su que-

sto credo che abbiamo parecchie colpe anche

33

come mistica della sofferenza e del dolore: la

sofferenza come strumento di salvezza. Qui

troviamo quella parola forte di Paolo nella I

Colossesi, quando dice: sono lieto delle soffe-

renze che sopporto per voi, e do un compi-

mento nella mia carne a quello che manca nei

patimenti di Cristo.

Cristo ha sofferto tanto, che di più non poteva

soffrire, eppure la coscienza grande è questa:

che non ha sofferto tutto. Perché ogni uomo e

ogni donna sulla faccia della terra ha dentro

una sua realtà di sofferenza che continua a

portare a compimento non tanto il suo dolore,

ma il senso che lui ha dato al dolore, cioè

l‟amore. Questo è il grande cammino in Cri-

sto, però questo lo potremo dire quando o-

gnuno di noi sta male da cane. Nel benessere,

no. Quindi per ora tenete questa coscienza,

non dico di buttarla, non vi dico neanche di

andare a cercare la sofferenza (non fate ope-

razioni stupide)… però soprattutto la si vive

se la mia vita è differente. Se è differente, chi

mi sta vicino me la fa pagare. E chi te la fa

pagare è tuo marito e tua moglie, sono i tuoi

figli, i tuoi cognati, tuo nonno, e tutta la gente

religiosa… sono quelli della tua parrocchia,

della tua associazione, del tuo gruppo e del

tuo movimento. E‟ chiaro, perché il peccato,

dice Gesù, non è fuori di te ma dentro di te. Il

peccato nella prima Chiesa era dentro i 12,

non era fuori. Credo che non dovremmo mai

perdere questa consapevolezza.

b) L’amore espia i peccati

Altro punto, 2, 21. La portata espiatoria della

passione di Cristo, quando dice portò i nostri

peccati nel suo corpo sul legno della croce.

Conosciamo ormai molto bene tutta la teolo-

gia cristiana che quando parla di Cristo, parla

di Cristo come vittima, come altare e come

sacerdote. Da sempre c‟erano i sacrifici sugli

altari e sulle are; per i sacrifici occorrevano

una vittima, un altare e un sacerdote. E‟ aboli-

to tutto questo: è soltanto il Cristo che è vitti-

ma, altare e sacerdote. Ricordando soprattutto

il discorso del legno della croce; guardate

come è forte l‟espressione… è molto secca,

perché voi sapete che il legno della croce è

maledizione. Ricordate la lettera ai Galati:

“Maledetto chi pende dal legno”. Vedete che

anche solo su questo inno cristologico a-

vremmo potuto fare tutti e tre i giorni, perché

ogni punto ha dentro una sua densità.

Qui abbiamo lo scandalo insostenibile della

croce. Io ho un grande dolore, non so se

l‟avete voi: per noi la croce è ridotta a un

simbolo religioso. La cosa è oscena: per noi la

croce è diventata un oggetto religioso, mentre

la croce è uno scandalo insostenibile. Perché

di fronte al dolore, alla sofferenza,

all‟ingiustizia, la cosa più sana che puoi dire è

NO! Basta! Quando sentiamo le persone che

soffrono, che soffrono da parecchi anni dentro

un letto di dolore, e che gridano il loro no e il

loro basta, sentiamo il NO e il Basta da parte

di Cristo. Credo che anche questo sia un pas-

saggio importante. Se possiamo, almeno noi

non riduciamo la croce ad un oggetto religio-

so. Che però… quella che porto, quella che

vedo e quella che riconosco, abbia sempre a

ricordare la mia vita differente che è veramen-

te uno scandalo; la realtà della croce.

Siamo nel 2006… provate a pensare

quell‟uomo in croce, la contemplazione del

crocifisso… per quanti milioni, milioni, mi-

lioni nella storia di uomini, di donne, di per-

seguitati, di schiavi, di sfruttati è stato un sen-

so di vita. Proviamo a ripercorrerla… e non

mi dilungo nient‟altro, perché penso che sia

sufficiente. Se vi capita ogni tanto perdete un

tempo bello… quando vi trovate davanti a un

Crocifisso… c‟è in ogni Chiesa e in qualun-

que parte, a volte te lo puoi tenere anche in

tasca… prova a mettertelo davanti… non fare

molto e lasciati guardare almeno 5 minuti,

senza dire niente… senza fare la preghieri-

na… proprio lasciarsi guardare… credo che

sia questa una delle adorazioni e delle con-

templazioni.

c – Da erranti a ricondotti

Eravate erranti come pecore, e ora siete tor-

nati al pastore e al guardiano delle vostre a-

nime. Siete stati ricondotti… siete ritornati a

casa, però voi vedete che la vita con tutte le

sue prove e anche con il suo giusto dolore è

dentro l‟unità dello sguardo del pastore, che

veglia, si prende cura, difende e sostiene.

All‟inizio dell‟inno voi vedete che Gesù è pa-

ragonato all‟agnello… alla fine diventa il pa-

store. Oltre che pastore diventa l’epìscopos,

cioè il custode delle vostre anime.

34

4 – La vita bella dei coniugi nel matrimonio 3, 1-7

Adesso c‟è un pezzo che riguarda la vita bella

dei coniugi nel matrimonio: visto che c‟è un

aspetto particolare, credo valga la pena di-

scernerlo dentro la sua Parola. 3, 1-7

Ugualmente [vedete che il discorso è continu-

ato per lui, non è che s’interrompe, va avanti

liscio: sottomettetevi ad ogni creatura] voi,

mogli, state sottomesse ai vostri mariti perché,

anche se alcuni si rifiutano di credere alla Pa-

rola, vengano dalla condotta delle mogli, sen-

za bisogno di parole, conquistati considerando

la vostra condotta casta e rispettosa. [Qui ci

sarà l’esperienza della evangelizzazione senza

le parole.] Il vostro ornamento non sia quello

esteriore - capelli intrecciati, collane d‟oro,

sfoggi di vestiti - [probabilmente parla a della

gente con un buon ceto sociale]; cercate piut-

tosto di adornare l‟interno del vostro cuore

con un‟anima incorruttibile, piena di mitezza e

di pace: ecco ciò che è prezioso davanti a Dio.

Così una volta si ornavano le sante donne che

speravano in Dio; esse stavano sottomesse ai

loro mariti, come Sara che obbediva ad Abra-

mo, chiamandolo signore. Di essa [di Sara]

siete diventate figlie [e qui ci sarà un passag-

gio… mentre la Chiesa ha fatto le donne figlie

di Maria, e non figlie di Sara] se operate il

bene e non vi lasciate sgomentare da alcuna

minaccia.

E poi c‟è il pezzettino molto più breve per i

mariti. Avrebbe potuto inventare qualche riga

in più, almeno per par condicio… questo ci

dice che la Parola di Dio è dentro la parola

umana, eppure la Parola di Dio riscatta la cul-

tura umana. Questa è la cosa sconvolgente,

che pur essendo maschilisti (sia la lettera di

Pietro e peggio ancora Paolo) si lasciano libe-

rare dalla Parola. Come dire: guardate che

questo è un mistero e non ci capisco niente,

ma una cosa è chiara: che questo non coincide

con la nostra cultura maschilista, patriarcale.

E guardate che questa è la grande rivoluzione

della Parola, da sempre. Però è anche vero

che quando ci stacchiamo dalla Parola entrano

dentro le culture, le ideologie, le mentalità.

Torniamo al 7:

E ugualmente voi, mariti, trattate con riguardo

le vostre mogli, perché il loro corpo è più de-

bole [vedete anche qui una lettura culturale,

che è andata avanti per secoli] e rendete loro

onore perché partecipano con voi della grazia

della vita.

Riuscite a capire dov‟è la radice? La radice

non è perché abbiamo fatto evolvere una cul-

tura, una società e ci abbiamo fatto su un ca-

sino di femminismo… ma perché sono coere-

di con voi della grazia della vita. Non so se è

chiaro dov‟è la radice della dignità, anche se

poi è vero che ogni lotta che porta un bene è

dentro in un processo di grazia… però non

dimentichiamo la chiarezza dell‟identità cri-

stiana. Qual è il motivo?

così non saranno impedite le vostre preghiere.

Credo che quest‟ultima parte dell‟esortazione

di Piero ha due situazioni specifiche; una è

questa: il rapporto proprio tra marito e moglie

all‟interno della comunità cristiana. Credo che

la relazione nel matrimonio la possiamo sinte-

tizzare così: la famiglia è il luogo normale,

quotidiano, ordinario nel quale tu segui Gesù

Cristo. Nel quale viene messa alla prova la tua

sequela (uso un termine tecnico) di Gesù Cri-

sto. La tua sequela, la tua fedeltà a Gesù Cri-

sto viene messa alla prova proprio dentro lì, in

casa e in famiglia. La famiglia diventa l‟alveo

(in questo istante il papa con un milione di

famiglie alle 9 inizierà la grande veglia) della

trasmissione della fede. Il che vuol dire che

allora gli amatissimi cristiani, stranieri e pel-

legrini, devono mostrare una vita bella tanto

da far glorificare il nome di Dio nel matrimo-

nio. Cioè la vita tra marito e moglie è una vita

bella…

Mi dispiace di una cosa, che all‟inizio della

preparazione al matrimonio la cosa più squal-

lida che alcuni ragazzi mi chiedono è: perché

tutti mi dicono “non sposarti… chi te lo fa fa-

re…”. Chi dice queste cose ad altre coppie è

gente brava, cristiana, cattolica, battezzata, in

Gesù Cristo, va da Padre Pio, fa parte di

gruppi di preghiera, sono operatori parroc-

chiali… non so se è chiaro: non è che ti ven-

gono dagli altri… Guardate che questo è tre-

mendo… Non credo che gli sposi cristiani ab-

biano costruito nella storia della Chiesa

l‟esperienza di una vita bella tra marito e mo-

glie. Questo, scusate, è una discreta e simpati-

ca colpa della Chiesa, perché agli sposi non ci

rivolgiamo mai in termini di Grazia, ma in

termine squallido di dovere: …gli sposi devo-

no… i genitori devono… la famiglia deve…

35

la famiglia dovrebbe… Oppure l‟altro pisto-

lotto: …manca la famiglia …non ci sono i

genitori. Altro pistolotto nostalgico: … la fa-

miglia di una volta … la famiglia di ieri… i

genitori di una volta… Guardate che alla fac-

cia della famiglia questa è la cultura…

Ho avuto il dono e il privilegio di vivere a

tempo pieno questo, e incontro anche parec-

chie comunità diocesane quando ci sono que-

sti convegni, e cerco di poter dire: “amici sa-

cerdoti, quante volte noi ci rivolgiamo agli

sposi, ai genitori e alle famiglie in termini di

Grazia… non in termini di dovere…?” . Per-

ché il dovere non è una categoria cristiana…

la categoria cristiana è la Grazia ed è dalla

Grazia che mi nasce ciò che è importante fare,

non dal dovere. Il dovere l‟aveva predicato

anche Kant… in cui in ciò che si vive c‟è do-

lore, c‟è impegno, c‟è sofferenza. Ci sono del-

le esperienze che ti spaccano la vita… ci sono

dei figli che ti spaccano la vita, come ci sono

degli uomini e delle donne che amate che ti

spaccano la vita. Però dentro tutto questo non

mi rimane il dovere di continuare ad amare,

che è la cosa idiota che ci hanno sempre detto,

ma è dentro l‟esperienza ella Grazia. Perché

l‟amore non è un dovere, l‟amore è Grazia.

Ma se mi manca la Grazia dell‟amore, se non

ho fatto esperienza della Grazia dell‟amore, è

chiaro che mi rimane il dovere.

Se almeno ogni anno ci regaliamo un tuffo

nella Parola, può diventare liberante, anche

per togliere tutte le incrostazioni che a volte

non per cattiveria ma per eccesso di bene ci

troviamo addosso nell‟arco di un anno.

a – Donne determinate capaci di autonomia

Qui vedete una cosa: l‟immagine delle donne

determinate, capaci di un‟autonomia. Qui par-

la della situazione delle donne i cui mariti non

credono alla Parola. E‟ molto bello… qui il

problema più popolare per noi sono i mariti

che non vanno in chiesa; là la cosa era un tan-

tino più esigente, perché puoi anche andare in

chiesa, se vuoi, però non credere alla Parola

con tutto quello che abbiamo visto in questi

giorni. Quindi sono donne che sono diventate

cristiane, però dice anche la loro personalità, e

la loro capacità di autonomia. Voi sapete che

la donna doveva seguire la religione del mari-

to, quindi se c‟è la presenza di qualcuna che

ha osato non seguire la religione del marito,

vuol dire che sono capaci di determinazione e

di autonomia. Questo per dire come la Fede,

anzi la persona di Gesù Cristo, è capaci di li-

berare la donna. E‟ l‟unico maschio che può

liberare la donna, Gesù Cristo. Questa è stata

anche la grande rivoluzione.

Sono naturalmente donne benestanti (si parla

di acconciature, collane, vestiti…), autono-

me… di solito le signore-bene sono anche le

più trasgressive, mentre le altre poveracce non

riescono a trasgredire… senza soldi dove

vai?! Trasgressive cosa vuol dire? Che non

erano subordinate ai loro mariti. D‟altra parte

alcune liberazioni le puoi fare perché econo-

micamente lo puoi. E‟ importante… sarebbe

una lettura che richiederebbe più tempo… al

di là delle battutine che possiamo fare, guar-

date che la radice è molto profonda. Qual è il

motivo, però? I mariti non credenti vengono

conquistati dalle mogli senza bisogno di paro-

le, solo attraverso il fascino di una vita bella,

di una condotta bella. Guardate che non sono

delle “belle sottomesse”, libere di obbedire

nella fede solo a Gesù Cristo. Voi sapete che

S. Paolo, di fronte alla difficoltà di vivere una

vita di famiglia, concedeva il famoso “privi-

legio paolino”, dando alle donne la possibilità

di nuove nozze. Questo era il privilegio di

S.Paolo. Pietro invece ha un‟altra lettura mol-

to nella logica di tutta la sua lettera. Non per

niente S.Paolo… credo sia il testo di 1 Corinti

quando dice “e che sai tu donna se salverai il

marito? E che sai tu uomo se salverai la mo-

glie?” … però non lo dice in termini negativi

per andarsene, però sappi che bene o male tu

hai in mano la salvezza. Però chiede anche:

che ne sai se salverai il marito o non lo salve-

rai?

Pietro fa un‟altra scelta non solo politica, ma

una scelta di fede. Pietro invita a restare nella

situazione difficile per amore di un bene più

grande. Qual è il bene più grande? Che

quest‟uomo sia guadagnato. E‟ la logica che

dice S.Paolo: mi sono fatto servo di tutti. E

m‟insegnate che chi ama di solito si sottomet-

te spontaneamente al bene dell‟altro. Tante

volte non si riesce probabilmente a viverlo

con i figli, tra uomo e donna, tra marito e mo-

glie un tantino meglio…

36

b. evangelizza il marito senza la parola

Quindi la moglie chiama il marito e cerca il

suo bene; gioca la grande speranza: raggiun-

gere insieme con lui l‟eredità conservata nei

cieli. Qui i mariti non credenti vengono quali-

ficati disobbedienti alla Parola. Però la lettera

dice: anche se è dubbioso l‟orecchio alla Pa-

rola, c‟è ancora una strada per poterli conqui-

stare: e questa è l‟evangelizzazione senza la

Parola, la testimonianza quotidiana, evitando

discussioni inutili. Senza parole. Il che non

vuol dire non parlare perché ti tiro su il mu-

ro… senza parole inutili, che servono proba-

bilmente al fatto che non mi va di vivere que-

sta situazione in questo momento come casa,

come bella, come Grazia. La bellezza di una

donna cristiana emana allora da una condotta

casta, e non è soltanto una purità sessuale:

parla di fedeltà e di integrità dei sentimenti…

D‟altra parte una vita limpida ispira sempre

rispetto, ispira sempre ammirazione. Un co-

niuge rende santo l‟altro essendo un corpo so-

lo. Ricordiamo la bella giornata vissuta con

padre Giordano Muraro, che diceva che ogni

sposo è responsabile della salvezza della spo-

sa, e ogni sposa è responsabile della salvezza

dello sposo. Chi si sposa in Gesù Cristo non si

sposa per fare casa, per fare famiglia, per fare

l‟amore e per fare figli. Fai una scelta… e sei

responsabile della salvezza di lui, della sal-

vezza di lei. Non mi dilungo su questo anche

perché è sempre stato uno dei punti grossi

delle giornate di spiritualità.

I gioielli di una moglie

Fa due note molto belle: parla di mitezza e di

pace; dovrebbero essere questi i gioielli di una

donna che vive la Parola. Scusate… non è sol-

tanto la questione di una donna che ha un bel

carattere (che è un dono grande di Dio, cre-

do), non è soltanto la questione di una virtù

tipicamente femminile… ma il modello è uno

solo: Gesù Cristo (“Imparate da me, che sono

mite e umile di cuore”), quella bellezza che

viene direttamente da Cristo. Santificate allo-

ra Cristo nei vostri cuori, pronti a rendere ra-

gione della speranza che è in voi. E ripeterà,

ci sarà la Lectio che ci regalerà il vescovo

questa sera, “con mitezza e rispetto”. La bel-

lezza salverà il mondo, ma quale bellezza lo

salverà? Ricordate il celebre testo di Dostoje-

vski “E‟ vero principe che voi diceste un

giorno che il mondo lo salverà la bellezza?

Signore, gridò forte a tutti, il principe afferma

che il mondo sarà salvato dalla bellezza! Qua-

le bellezza salverà il mondo?” E come in si-

lenzio è rimasto Gesù davanti all‟altra do-

manda di Pilato: che cos‟è la verità…

c. Di Sara siete diventate figlie

Ci sono domande, amici, che non hanno una

risposta razionale; c‟è solo una risposta di te-

stimonianza. La bellezza delle donne sante…

(vorrei riprendere la sottolineatura) di Sara

siete diventate figlie. E qui ritorna il pensiero

alle sante donne di una volta. Vorrei però ri-

cordare che le donne sante ci sono qui e ci so-

no ora. Noi abbiamo un difetto, che le cose

belle, vere e genuine vengono dal passato,

forse perché non possedendolo non le posso

più contaminare. Però viviamo molto di no-

stalgia e molto di ricordo. Dovremmo tra-

sformarle, come memoria, però guardate che

qui e ora c‟è sempre questa verità. Queste

donne che hanno una bellezza e una santità

secolare… (secolare non vuol dire centenaria,

ma che appartiene al secolo) perché la loro

santità appartiene alla vita, alla vita di tutti i

giorni. Una bellezza secolare è la matriarca

Sara. Perché Pietro non usa Abramo come pa-

triarca (come farà S.Paolo, nostro padre nella

fede), Pietro invece privilegia Sara come ma-

triarca.

La fede legata alle “sante” donne

Cosa fa Sara? Sta al suo posto, subordinata al

marito, però questo non deve comportare ne‟

timidezza ne‟ titubanza. Il che vuol dire che

queste bellissima donna Sara insegna una fede

sperante e ci insegna una speranza credente,

perché non si lascia intimidire da niente e da

nessuno. Di Sara siete diventate figlie se ope-

rate il bene e non vi lasciate sgomentare da

nessuna minaccia. In questo senso, guardate

che è sorprendente, dalla lettera di Pietro ven-

gono chiamate figlie di Sara; è anche vero che

il culto a Maria maturerà molto tardi nella

Chiesa cattolica, però vale la pena di non per-

derlo come fondamento.

Donne sante della Bibbia… però sono donne

sante della nostra famiglia. Credo che la no-

stra fede al 90% la dobbiamo a delle donne

della nostra famiglia. Non per cattiveria… la

dobbiamo un po‟ alle donne della nostra fa-

37

miglia, ma nel termine bello e profondo del

significato… non è dispregiativo per niente…

Vi passo un pezzo molto bello di Agostino

che ricorda sua madre Monica: lei, stando al

suo posto, accanto al suo sposo non credente,

riesce a guadagnare a Cristo sia lo sposo, sia

la suocera, e tutta la casa. Quindi la capacità

di santificare e di salvare:

La suocera, sulle prime, l’avversava per le insinua-

zioni delle serve maligne. Ma conquistò anche lei

col rispetto e la perseveranza nella pazienza e nel-la dolcezza, cosicché la suocera stessa denunziò al

figlio le lingue delle fantesche, che mettevano ma-le fra lei e la nuora turbando la pace domestica.

Tra due anime di ogni condizione, che fossero ve-

nute in urto e discordia ella, se appena poteva, cercava di mettere pace. Finalmente si guadagnò

anche il marito negli ultimi giorni ormai della sua vita temporale, e dopo la conversione non ebbe a

lamentarsi da parte sua degli oltraggi che prima

della conversione ebbe a tollerare. Era poi la serva dei tuoi servi. Chiunque di loro la conosceva tro-

vava in lei motivo per lodarti, onorarti e amarti grandemente avvertendo la tua presenza nel suo

cuore dalla testimonianza dei frutti di una condot-ta sana.

d. La delicata situazione di uno sposo cre-

dente “coerede con lei della grazia della vi-

ta”

La delicata attenzione di uno sposo credente

(una pennellata). Per i mariti, abbiamo detto,

la lettera non spende che poche parole. C‟è

un‟immagine molto bella, quella che è coere-

de della stessa Grazia. Poi la lettera paga il

tributo alla cultura parlando della donna come

sesso debole, della donna come vaso più deli-

cato, ma soprattutto quello che conta è come

lo descrive: rendete onore alle mogli perché

partecipano con voi alla Grazia della Vita. Il

che vuol dire che i mariti non sono ne‟ padro-

ni ne‟ superiori, ma partecipi dello stesso do-

no che li coinvolge in questa misteriosa cor-

rente di vita.

I primi Padri della Chiesa come Ambrogio (o

peggio ancora il maschilista Tertulliano) ha

delle pagine stupende di amore per la moglie.

Guardate che è stupendo leggere questo. Leg-

gerlo però nella cultura. In questo senso la Pa-

rola libera. Quando S.Ambrogio dice: non sei

suo padrone, bensì il suo marito; non ti è sta-

ta data in schiava ma in moglie; ricambia a

lei le sue attenzioni verso di te e sii ad essa

grato del suo amore. E Pietro chiude la breve

esortazione “e così non saranno impedite le

vostre preghiere”. Guardate che questa sotto-

lineatura è forte. Sembra di dire… ma che ca-

volo c‟entra… adesso cosa c‟entra….

Preghiera e tenerezza coniugale

Ricordate la parola di Gesù: se vai a messa, se

vai all‟altare a presentare la tua offerta, e sai

che c‟è qualcuno che ha qualcosa con te, fai

una cosa da chàris, da Grazia: lascia lì la tua

offerta e va prima a riconciliarti con il tuo fra-

tello. Provate a pensare la lettera di Pietro con

quale coraggio applica questo alla relazione

tra marito e moglie, tra gli sposi. Questa è la

domanda: come potrebbe il Dio della tenerez-

za e dell‟amore accogliere le preghiere di una

sposa o di un marito che si mostra duro con la

sposa? Guardate che è molto forte: come fa il

Dio della tenerezza accogliere la preghiera di

uno sposo che è duro con la sua sposa? E allo-

ra provate a pensare alla preghiera che nasce

dalla tenerezza e dalla comunione. Credo che

questo sarà sempre uno dei punti del cammino

della spiritualità. E la domanda che continue-

rò a ripetere: amici sposi; pregate? Quando

pregate? Come pregate? Due campanelli

d‟allarme: una coppia di sposi si sta separan-

do quando i due non fanno più l‟amore, e

quando i due non pregano più insieme. Sono

le due grandi intimità: l‟intimità del corpo e

quella dello spirito.

5 – Chiamati a costruire la civiltà

dell’amore (3, 8-12)

E finalmente siate tutti concordi, partecipi del-

le gioie e dei dolori degli altri, animati da af-

fetto fraterno, misericordiosi, umili, non ren-

dete male per male, ne‟ ingiuria per ingiuria,

ma, al contrario, rispondete benedicendo; per-

ché a questo siete stati chiamati per avere in

eredità la benedizione.

Credo che ormai vedete che più andiamo a-

vanti, prendendo familiarità e dimestichezza,

ritorna una continua risonanza. Chiamati a

quello che Paolo VI amava dire, “ a costruire

la civiltà dell‟amore”.

La vita cristiana è una vita di fraternità “in

cerca dei fratelli”. 5 virtù importanti

Una bella condotta è la vita cristiana e frater-

nità, ed è vita di comunione. Ieri sera con Jor-

dan abbiamo gustato “in cerca dei fratelli”.

38

Soltanto 5 parole o 5 virtù per una vita frater-

na, per una fraternità, per una comunione: sia-

te concordi, compassionevoli, fraterni (pro-

prio amanti dei fratelli), misericordiosi, se

vuoi amare e vivere la fraternità devi avere

budella, viscere materne, e non vergognatevi

di averle (in particolare i maschi), e poi chi

vuole creare comunione deve farsi piccolo.

Mi ha stupito una cosa: i neocatecumenali mi

hanno detto che al convegno ecclesiale di

Sassone (86-87) io avevo detto una cosa me-

ravigliosa, raccontando la favola-parabola

della macedonia. Voi sapete com‟è fatta la

macedonia: i frutti grossi li tagli a pezzi… il

fortunato sapete chi è? Il piccolissimo che non

viene tagliato, il ribes, che va giù intero…

Ecco chi costruisce la comunità: l‟umiltà, il

piccolo; se vuoi costruire puoi solo farti pic-

colo. Non c‟è altra storia. Ricordate la lettera

di Giacomo? Ci eravamo anche presi un im-

pegno; per un anno intero ci eravamo regalati

collettivamente un impegno: tenere a freno la

lingua. Ve lo ricordate… vuol dire che la vo-

stra memoria è un luogo dove abita lo Spirito.

6, 13

E chi vi potrà fare del male, se sarete ferventi

nel bene?

C‟è un punto molto grande; dice: adorate Cri-

sto non solo nell‟Eucaristia, ma adorate Cristo

nel cuore. E sarebbe bello che il cuore di o-

gnuno di noi, il cuore degli sposi, potesse es-

sere un ostensorio. Ecco i due passaggi:

l‟Eucaristia e il cuore. Ricordate l‟espressione

di S.Teresa d‟Avila: Niente vi turbi, niente vi

spaventi, tutto passa. Dio non passa, con la

pazienza si ottiene tutto. Con Dio nel cuore

non manca nulla, solo Dio basta. Vi ripeto le

parole che dissi all‟inizio: amici, niente, nes-

suno nella vita ti potrà mai impedire di vivere

il Vangelo. Nessun partner, nessuna Chiesa,

nessun capo carismatico, nessun prete, nessu-

na situazione, niente e nessuno ti potrà mai

impedire di vivere il Vangelo. Ecco la dignità,

ecco la vita differente. E poi c‟è l‟ultimo nu-

mero, il 18. Non faccio commenti perché ri-

mane l‟icona di questi giorni biblici.

Anche Cristo è morto una volta per sempre per i pec-

cati, giusto per gli ingiusti, per ricondurli a Dio; mes-

so a morte nella carne, ma reso vivo nello spirito. E

in spirito andò ad annunziare la salvezza anche agli

spiriti che attendevano in prigione; essi avevano un

tempo rifiutato di credere quando la magnanimità di

Dio pazientava nei giorni di Noè, mentre si fabbrica-

va l‟arca, nella quale poche persone, otto in tutto, fu-

rono salvate per mezzo dell‟arca. Figura, questa, del

battesimo che ora salva voi; esso non è rimozione di

sporcizia del corpo, ma invocazione di salvezza ri-

volta a Dio da parte di buona coscienza, in virtù della

resurrezione di Gesù Cristo, il quale è alla destra di

Dio, dopo essere salito al cielo e aver ottenuto la so-

vranità sugli angeli, i Principati e le Potenze.

Lettura teologica completa del Catechismo

della Chiesa Cattolica: Nella professione della

fede, nel cosiddetto Credo Apostolico, Gesù

Cristo discese agli inferi, risuscitò dai morti il

terzo giorno. Gesù era disceso nelle regioni

inferiori della terra. Colui che discese è lo

stesso che ascese. Il Simbolo degli apostoli

professa in uno stesso articolo di fede la di-

scesa di Cristo agli inferi e la sua resurrezione

dai morti il terzo giorno, perché è nella sua

pasqua che egli dall‟abisso della morte ha fat-

to scaturire la vita. Cristo tuo figlio che risu-

scitato dai morti fa risplendere sugli uomini la

sua luce eterna, che vive e regna nei secoli dei

secoli, amen.

Le frequenti affermazioni del nuovo testa-

mento secondo le quali Gesù è risuscitato dai

morti presuppongono che preliminarmente al-

la resurrezione egli abbia dimorato nel sog-

giorno dei morti. E‟ il senso primo che la pre-

dicazione apostolica ha dato alla discesa di

Gesù agli inferi. Gesù ha conosciuto la morte

come tutti gli uomini e li ha raggiunti con la

sua anima nella dimora dei morti. Ma egli vi è

disceso come salvatore, proclamando la buo-

na novella agli spiriti che si trovavano prigio-

nieri. La Scrittura chiama inferi, sheol o ade il

soggiorno di morti dove Cristo morto è disce-

so, perché quelli che vi si trovano sono privati

della visione di Dio. Tale infatti, in attesa del

Redentore, è la sorte di tutti i morti, cattivi o

giusti, il che non vuol dire che la loro sorte sia

identica come dimostra Gesù nella parabola

del povero Lazzaro accolto nel grembo di A-

bramo. Furono appunto le anime di questi

giusti in attesa del Cristo ad essere liberate da

Gesù discese all‟inferno.

Gesù non è disceso agli inferi per liberare i

dannati, ne‟ per distruggere l‟inferno dalla

dannazione, ma per liberare i giusti che lo a-

vevano preceduto. La buona novella è stata

annunciata anche ai morti (1Pt). La discesa

agli inferi è il pieno compimento

39

dell‟annuncio evangelico della salvezza, e la

fase ultima della missione messianica di Ge-

sù, fase condensata nel tempo ma immensa-

mente ampia nel suo reale significato di e-

stensione dell‟opera redentrice a tutti gli uo-

mini di tutti i tempi di tutti i luoghi. Perché

tutti coloro i quali sono salvati sono stati resi

partecipi della redenzione.

Cristo dunque è disceso nella profondità della

morte affinché i morti udissero la voce del fi-

glio di Dio e ascoltandola vivessero. Gesù,

l‟autore della vita, ha ridotto all‟impotenza

mediante la morte colui che della morte ha il

potere, cioè il diavolo. Liberando così tutti

quelli che per timore della morte erano sog-

getti a schiavitù per tutta la vita. Ormai Cristo

resuscitato ha potere sopra la morte e sopra

gli inferi. Nel nome di Gesù ogni ginocchio si

piega nei cieli, sulla terra e sotto terra.

ICONA DELLA LETTERA DI PIETRO

(Luisanna)

Pensata come icona per la lettera di Pietro e in particolare per il tema della speranza. Dopo averci

riflettuto un po‟ ci è sembrata l‟immagine forse più solida per voi, perché la speranza è un frutto

adulto, non infantile. E‟ una virtù teologale al pari delle altre ed è solida; la sua solidità per noi cri-

stiani si può basare solo su questa certezza, che Cristo è risorto, altrimenti non c‟è speranza.

E‟ una riflessione che era già nata dall‟incontro con padre Giordano Muraro che aveva chiesto

un‟icona cristiana del perdono, e mi era venuta in mente proprio la stessa icona: la resurrezione e il

perdono. Il titolo dell‟icona è scritto in greco con i caratteri liturgici antichi che sono stati mantenuti

(sapete che il greco rimane la lingua della Chiesa indivisa, la prima lingua della koiné). C‟è scritto E

ANASTASIS, che noi traduciamo con resurrezione. Il termine letterale significa “tirare in piedi”

“mettere in piedi” “perdono” “resurrezione”… è la stessa azione di Cristo quella di mettere in piedi

qualcuno che è steso. La nostra speranza si fonda sul fatto che qualcuno è in grado di metterci in

piedi… siamo dei salvati…

Io sono qui per darvi solamente alcune chiavi di lettura, poi ce la gusteremo anche con l‟omelia di

cui ci parlava Carlino, e credo che sia molto bello continuare a gustarla mentre lui parla durante

questi giorni avendo coscienza di che cosa abbiamo davanti. Cosa vediamo? C‟è Cristo che scen-

de… scende in un modo particolare. La resurrezione è l‟apoteosi massima, probabilmente: di solito

le icone hanno due vie per esprimere il tema del Cristo Glorioso. Una è il Cristo in piedi, che con le

spalle dritte prende per una mano Adamo e per l‟altra Eva (comincia da loro, in termini cronologici:

i primi che si porta su sono i primi che sono scesi). E‟ una figura biblica, per chi conosce il linguag-

gio biblico (Paolo dice “a causa di Adamo…”). Cristo con le spalle dritte, ben dritto (proprio il tema

dell‟anastasis), lui risorge e si rimette in piedi (“Io posso dare la vita quando voglio e riprenderla

quando voglio” dice S.Giovanni): lui è il Kyrios, e come Signore ci riporta su in Adamo ed Eva, di

solito al centro della scena (parliamo dell‟icona del seminario perché conosco quella, avendola par-

tecipata), glorioso, in un cerchio di stelle (i cieli dei cieli, secondo la cultura e tradizione antica, do-

ve si considerava l‟universo come una serie di strati di cieli… Paolo parla del settimo cielo…) per-

ché come signore del cosmo viene rappresentato al centro di una mandorla o di cerchi concentrici.

Allora c‟è questa prima icona, questo primo modo di interpretarlo.

Accanto a questo la tradizione ha sempre avuto esigenza di perfezionarsi perché l‟icona, a differen-

za dell‟immagine religiosa, a soggetto religioso, è un‟immagine ecclesiale nel senso proprio sostan-

ziale del termine; cioè l‟icona deve annunciare quello che annuncia la Chiesa, non la mia esperienza

personale di fede. Ognuno di noi ha un‟esperienza di Cristo, ma l‟annuncio del Vangelo è un depo-

sito che rimane sulle ginocchia della Chiesa. Queste due vie sono state mantenute, e questa è la se-

conda. Dove Gesù è sempre glorioso e sempre all‟interno dei cieli, ma nella sua massima gloria c‟è

il suo massimo cascamento. Noi diremmo che nella Croce Dio si è abbassato… qual è stata la ke-

nosys massima? La crocifissione, dove Dio è stato trattato da peccato.

40

No, l‟icona ci dice che lui si è abbassato ancora di più… è sceso agli inferi: non ha mangiato solo la

terra, è sceso sotto la terra, e nella massima discesa c‟è la massima gloria, l‟apoteosi. Tant‟è vero

che solo in questa traduzione dell‟anastasis Cristo porta le stigmate: lui continua ad avere i segni

della passione. E com‟è bello sentire la lettera di Pietro che dice “non a prezzo di cose corruttibili

ma col sangue prezioso”, della serie… non a scherzo ci ha amato! Questi segni rimangono nella

massima gloria: è un tesoro prezioso che si è voluto portare dietro, il suo corpo glorioso mantiene le

stigmate, il segno della misura dell‟amore. Con una mano tira su Adamo, con l‟altra tiene la croce,

la nostra salvezza, questo legno della croce di cui parlava Carlino.

Adamo ed Eva sono anziani, sono all‟interno di un buco… gli inferi, proprio, per eccellenza. Questa

immagine è nata come palliotto d‟altare. Molte comunità usano la notte di Pasqua coprire la parte

anteriore dell‟altare con un pallio con questa immagine. Per noi è ancora poco comprensibile, pur

essendo cristiani… per noi l‟immagine dovrebbe essere efficace quasi in analogia alla Parola, per-

ché Cristo si è fatto uomo, circoscrivibile, definito, limitato: si è limitato in un‟immagine (era uomo

e non era donna), limitato in un‟età, in una nazionalità, in una geografia, in una storia. Questo non è

contingente, è stato una scelta; l‟immagine, la visione, questo Dio che si fa visione per noi (Dio

nessuno l‟ha mai visto) ecco, questo Dio Gesù ce l‟ha rivelato. La visione dovrebbe essere nella tra-

dizione della Chiesa…

Il papa lo accennava più volte prima di essere eletto papa; diceva: riscopriamo le radici della nostra

fede anche in questo senso, di imparare, di re-imparare ad ascoltare la Parola mentre guardiamo con

gli occhi. Questo ci permette l‟esperienza sostanziale della relazione, cioè di non chiuderci dentro

un giro inclusivo, dove siamo solo noi e i nostri ragionamenti, ma ci costringe a uscire a qualcosa

che è sempre altro da noi: la relazione cultuale. L‟immagine lo fa, quindi è una via privilegiata che

ha anche scelto Cristo. Noi possiamo farci un‟immagine di Dio; Dio ha detto “questa è la mia im-

magine, poi inventatevi quello che vi pare”.

Una breve parentesi: quando ascoltiamo la lettera di Pietro, senza farci confondere, senza che sia

un‟interferenza, ma proprio come uno scenario, un sipario in cui far entrare la lettera, utilizziamo

l‟immagine. I colori sono convenzionali: Eva porta il colore del rosso, ma la simbologia è variabile,

quindi non è necessario che noi le andiamo dietro; quello che è importante è questa relazione dove

il Cristo è determinato, non severo ma determinato perché quel passaggio gli è costato caro, e quella

è una scelta volontaria e autonoma di Dio, quella della salvezza dell‟uomo… noi non abbiamo alcun

merito. Dio ha deciso in modo determinato. S.Luca ad un certo punto del Vangelo dice che Gesù

indurisce la faccia e si dirige deciso verso Gerusalemme. I discepoli dicono: ma… andiamo là a mo-

rire? Gesù ad un certo punto non parla più, determinato, proprio con questa espressione. Questa è la

determinazione da parte di Dio di voler salvare noi. Sotto i piedi di Cristo (questa è un‟immagine

tagliata; l‟originale è più completo) ci sono quegli stipiti che lui rompe (a proposito della determi-

nazione…); rompe le porte, con una pedata… Nella tradizione rimane l‟immagine di questa porta

scardinata che lui si mette sotto i piedi. Alcune icone hanno tutti gli infissi che saltano… C‟è una

bella tradizione che è rimasta nella Chiesa orientale, dove il sabato santo la gente con le candele ac-

cese non riesce ad entrare in chiesa (noi, dopo che abbiamo acceso dal cero, entriamo). Loro non

entrano, e il sacerdote bussa forte alla porta e c‟è il sacrestano che fa un rumore di catenacci, e il sa-

cerdote grida “Apri, apri che Cristo è risorto!”, e quello fa un po‟ di resistenza, e allora le porte

vengono aperte con violenza e si entra nel buio dove questa luce irrompe. Un po‟ diverso dalla no-

stra fede un po‟ melensa, dal nostro Gesù un po‟ collo-torto.

41

“State saldi nella grazia di Dio” (5, 12)

Quarta lettura biblica e quarta riflessione

LA VITA CRISTIANA E’ UNA LOTTA

NELL’ATTESA

DELLA GLORIA ETERNA IN CRISTO

Una definizione di questo terzo blocco, di

questo terzo momento l‟ho siglata in questi

termini: che la vita cristiana è una lotta

nell‟attesa della gloria eterna in Cristo.

La vita del cristiano è una continua lotta,

perché continua è la sua passione come

quella di Cristo

Abbiamo gustato ieri, in un modo piuttosto

vigoroso, che la vita del cristiano, la vita del

rigenerato, è una vita altra, una vita differente.

E‟ una vita bella, una vita buona, una vita

beata... però è lotta, una continua lotta. Non

uso il termine di lotta continua perché potreb-

be essere ambiguo… però, battuta a parte,

credo che chi ha avuto l‟intuizione

dell‟espressione “lotta continua” ha avuto una

grossa coscienza: che il limite è permanente.

Credo che sia importante riconoscerlo, che

poi magari le espressioni e le forme esterne

possano dispiacere è un altro paio di maniche;

però non perdiamo mai, in ogni esperienza,

l‟intuizione, la profezia e la verità che porta

dentro di sé. Perché guardate che ognuno è

portatore di bene e mi indica qualcosa. Questa

è la parte vera e profonda del cristiano, ricor-

dando che il cristiano deve rendere ragione

della speranza che è in noi, però sempre con

mitezza e con rispetto. Soprattutto in una retta

e sana coscienza, intelligente, limpida, chiara.

Un leit-motiv sembra per un cristiano la ne-

cessità della passione del cristiano, come “era

una necessità” la passione del Cristo. Scopo

della lettera di Pietro è quello di risvegliare la

vita cristiana nelle comunità, nelle famiglie.

Tante volte gente e comunità cominciano a

vivere nella disillusione, nella stanchezza,

nella decadenza, in un tipo di anzianità. A

proposito di anzianità leggevo un pezzettino

che diceva che non è che quando si è anziani

non ci sono gioie… è perché vengono meno

le speranze… Questo sempre in tono di spe-

ranza.

Prima pericope: 4, 1-6 Poiché dunque Cristo soffrì nella carne, anche

voi armatevi degli stessi sentimenti; [cioè, non

è che dica:… vedete voi… dice proprio “ar-

matevi”] chi ha sofferto nel suo corpo ha rotto

definitivamente col peccato, per non servire

più alle passioni umane ma alla volontà di Dio

nel tempo che gli rimane in questa vita morta-

le. Basta col tempo trascorso nel soddisfare le

passioni del paganesimo, vivendo nelle disso-

lutezze, nelle passioni, nelle crapule, nei ba-

gordi e nelle ubriachezze e nel culto illecito

degli idoli. Per questo trovano strano che voi

non corriate con loro verso questo torrente di

perdizione e vi oltraggiano. Ma renderanno

conto a colui che è pronto a giudicare i vivi e i

morti; infatti è stata annunziata la buona no-

vella anche ai morti, perché pur avendo subìto,

perdendo la vita del corpo, la condanna comu-

ne a tutti gli uomini, vivono secondo Dio nello

Spirito.

1 – Trovano strano che voi non corriate

con loro (4, 1-6)

Una sosta dentro questo momento della Paro-

la. Ora Pietro riprende il discorso dal punto di

partenza: Cristo ha sofferto e Cristo ha patito.

Quindi anche il cristiano dovrebbe essere ar-

mato degli stessi sentimenti e dello stesso

pensiero di Cristo. Quindi rompere con le

brame del mondo e essere capaci di risponde-

re alla volontà di Dio. Al vers. 3 vedete che

c‟è un grido: Basta! Credo che ci siano dei

momenti che capitano anche a voi da bravi

genitori per cui ai figli, quando hai finito tutte

le prediche, tutte le dolcezze, arriva una paro-

la che è da dio: Basta! Anche perché sapete

che ci sono dei momenti in cui le parole sono

finite, ed è bene che finiscano perché non di-

ventino chiacchiera.

Allora evitate sempre che le parole diventino

chiacchiera, e gli devi dare la potenza della

parola, se no svuoti la parola. Basta con il

passato. Basta, direbbe anche l‟apostolo Pao-

lo, con l‟uomo vecchio, con le passioni di un

tempo. Questo stile non negativo ma impor-

tante, cristiano, di anticonformismo, non è che

viene raggiunto una volta per tutte e una volta

per sempre, perché arrivati alla mia età (61

anni) la tentazione di accomodarmi, di cedere,

di patteggiarmi, di omologarmi, è permanen-

te. Non è una cosa che ho risolto una volta per

tutte e una volta per sempre, perché ogni tanto

42

mi faccio esperienze intense, importantissi-

me… ma è permanente. Il che vuol dire che

dentro il mondo c‟è quella realtà bella, affa-

scinante, stupenda, meravigliosa che è il de-

moniaco (vedremo circolare il diavolo come

leone ruggente che va a cercare chi divorare),

perché il mondo è sempre in agguato.

La tentazione di mondanizzarsi è perma-

nente

Quando parlo del mondo non parlo degli al-

tri… parlo di me… il mondo è sempre subdo-

lo. Perché se la violenza fosse esterna, se il

male fosse esterno, lo vedi… ti fa schifo. Le

cose che ti fregano sono quelle subdole.

D‟altra parte, voi lo sapete molto bene, tra

uomo e donna quelle che ti fregano nel rap-

porto sono le cose subdole, non dette, non

chiare, mai dette, mai chiarite… e soprattutto

(che mi piace tanto) non dire e non chiarire

perché poi è finita, è finito il gioco, sono finiti

soprattutto i giochi.

La Lettera di Pietro è più importante della

sua Basilica

C‟è una lettera simpaticissima del 395 che

S.Agostino scrive all‟amico Alipio, e racconta

come abbia dovuto lottare per distogliere i

cristiani di Ippona da una cosiddetta festa che

anche loro avevano, la loro festa patronale,

che era la festa dell‟allegrezza. E allora ave-

vano una tradizione continuata per 2000 anni,

un‟usanza di celebrare le feste dei santi con

grandi sbevazzate. Quindi c‟era questo picco-

lo caso di vita comunitaria. Guardate che è

fortissimo rileggere la storia nella Chiesa e

con la Chiesa. La cosa degna di nota è che

S.Agostino chiama in causa la 1Pt a sostegno

della sua presa di posizione. Quindi va a

prendere una Parola di Dio che sia autorevole

e prende appunto la prima lettera di Pietro. E

dice: a quanti gli adducevano esempi di quo-

tidiana ubriachezza, provenienti dalla basilica

del beato apostolo Pietro (il che vuol dire che

anche nella basilica del beato apostolo Pietro

facevano cosine strane) rispondeva che la let-

tera di Pietro è più importante della sua basi-

lica. Non so se è sufficiente come immagine,

perché l‟immagine ha sempre un potere evo-

cativo permanente. La razionalità la dimenti-

chi. Molto semplice… l‟ho trovata e valeva

la pena di farla risonare. Lo ripeto: la lettera

di Pietro è più importante della sua basilica. E

dice: se onoravamo l‟apostolo Pietro doveva-

mo ascoltare i suoi precetti, e tenere presente

con molta maggiore devozione l‟epistola in

cui si manifesta la sua volontà che non la ba-

silica in cui si manifesta. A me piace molto

questo linguaggio. E per dimostrarlo cita ap-

punto questo: avendo Cristo sofferto nella

carne per noi, armatevi anche voi della stessa

convinzione. Colui che ha sofferto nella carne

si è staccato dalla carne, per vivere il tempo

che gli rimane da vivere nel corpo non più se-

condo le passioni umane ma secondo il volere

di Dio. Nel senso che per salvarti e per redi-

merti, la salvezza e il cambiamento ti passano

attraverso il corpo, cioè ci devi soffrire. Sarà

un concetto che riprenderemo, quando parle-

remo del grande dono e della grande virtù

dell‟umiltà.

2 . Come vivere questo tempo di attesa. 4, 7-

11

All‟umiltà ci arrivi solo attraverso le umilia-

zioni, non ci arrivi attraverso i ragionamenti.

D‟altra parte sai che ogni esperienza che pas-

sa dal corpo è un‟esperienza indelebile. Que-

sto è un dato fondamentale. Le esperienze in-

delebili non sono quelle che passano dalla

mente, sono quelle che passano dal corpo.

Corpo inteso nel valore biblico di una totalità,

corpo anche fisicamente. Non per niente

quando vieni colpito proprio nel corpo, vieni

colpito anche nella tua totalità. Grazie a Dio

ora sono arrivate pure le scienze umane; do-

mineddio l‟aveva sempre detto, però abbiamo

sempre dissociata questa idea. Per cui è im-

portante viverlo, ed è importante che lo dicia-

te in particolare anche ai ragazzi: che qualun-

que esperienza che passa dal corpo non è mai

un‟esperienza neutra, perché è sempre

un‟esperienza totalizzante. Anche se uno ra-

zionalmente la vive con una modalità, però è

una realtà che ti segna permanentemente.

Questo poi sarebbe un altro tipo di lettura…

che la sofferenza è un rivelatore molto grosso,

fino poi ad arrivare alla grande esperienza to-

tale che è il dono del corpo nella morte e at-

traverso la morte, perché è un dono che non

puoi fare una seconda volta, cioè è irreversibi-

le. Di qui anche l‟esperienza, la cultura tre-

menda di ricordare a noi stessi e ricordare in

particolare anche ai ragazzi che non c‟è niente

per prova. Per prova non puoi fare niente. Se

43

lo fai, è un discorso; però per prova non puoi

fare niente. Non puoi provare a morire, non

puoi provare a fare un figlio, non puoi provare

niente delle cose grandi. Sembrerà sciocco…

vi occorrerà una grande esperienza per prepa-

rarvi alla prova… scusate, faccio una battuta

scema: non puoi provare a vincere un mondia-

le… ti puoi preparare…

Cap 4, 4

Per questo trovano strano che voi non corriate

insieme con loro verso questo torrente di per-

dizione.

Cosa vuol dire? Che se trovano strani i cri-

stiani, oltre che stranieri (la radice è uguale)

vuol dire che la loro identità è chiara. Quindi

bene o male ci sono delle esperienze che o-

gnuno di noi fa e ti accorgi che l‟ambiente che

sta attorno… non parlo soltanto di quelli che

credono, ma soprattutto coloro che a modo lo-

ro dicono di credere… quando trovano strano

che tu… quante volte ti capita… anche per le

cose più sciocche… provate anche a pensare

alla Parola di Dio in termini letterari quale ef-

ficacia ha, proprio anche in termini di scrittu-

ra, in termini di presentazione… Quindi trova

strano il nostro modo di comportarsi e di vi-

vere, vivere in un modo differente.

Qui c‟è una cosa molto bella: guardate che

oggi la differenza è diventata, come si dice in

inglese, “pride”, orgoglio… e guardate che

quando una realtà, anche un grande valore di-

venta orgoglio, probabilmente non è mai un

valore, comunque non è più un valore. Questo

succede anche in santa madre Chiesa, e in tan-

te esperienze. Discorso del figlio; il figlio è un

valore, quando un figlio diventa “a tutti i co-

sti” non è più un valore. Credo che questo co-

dice sia molto chiaro, perché è un codice da

Dio e come tale rende l‟uomo uomo. Conti-

nuerà a salvare l‟uomo come uomo. Vivere in

modo differente: la diversità non è orgoglio,

non è vanità, non è il vanto di una superiorità

morale, mentale… significa soltanto comin-

ciare a diventare odiosi, antipatici e detestabi-

li. E se tante volte come cristiani diventiamo

odiosi e detestabili e se volete antipatici, non

è per il nome di Gesù Cristo, perché la mia

diversità la trasforma in orgoglio, in potere, in

vanità.

Credo che sia importante la luce della sua Pa-

rola. Il primo ad essere strano è Gesù Cristo:

Cristo è strano, Cristo è straniero, Cristo è di-

verso. E‟ strano, straniero e diverso sempli-

cemente perché è giusto, perché è santo (ri-

cordate che santo vuol dire “separato”) per

eccellenza, però lui non si è mai separato

dall‟umanità, anzi ha dato la sua vita. Vedete

che la radice ormai ritorna; non dico che

stiamo ripetendo, ma dico che stiamo fondan-

do e approfondendo molto. Quando accanto a

noi troviamo persone belle, pulite, oneste… ci

piacciono, però sinceramente… rompono!

Guardate che questo è permanente. La perso-

na bella e giusta ti piace, però sinceramente ti

rompe… Parliamo di noi che abbiamo alti po-

tenziali… provate a risentire allora la vicenda

di Cristo, come la vicenda del giusto, di ogni

persona bella, buona, beata, pulita, nella sto-

ria. Guardate che paradossalmente c‟è proprio

questo nella vita: è una verità che affascina la

bellezza, il pulito, l‟onesto… ti fa ammirare…

dall‟altra parte però è insopportabile. Provia-

mo a risentire tutti i profeti… davanti al Giu-

sto dice (credo che sia Geremia) “questo è in-

sopportabile per me”… questo ci rompe per-

manentemente, ma non perché chiacchiera:

col suo stile di vita… questo lo dobbiamo fare

fuori! Infatti vedete che tendenzialmente

l‟onesto, che non sia fatto in un modo di or-

goglio, viene sempre fatto fuori, o comunque

ha una vita molto difficile. Se non sei legato

in qualunque contesto… non dico di lobby…

sei veramente nella solitudine, permanente, in

qualunque campo, anche all‟interno di santa

madre Chiesa.

Con la grande libertà che niente e nessuno mi

potrà mai impedire di vivere il Vangelo. Cre-

do che sia questa la grande e stupenda libertà.

Non abbiamo nessuna garanzia, però abbiamo

l‟unica vera e grande sicurezza dentro di noi

ma anche fuori di noi. D‟altra parte l‟essere

cristiani non è un concorso di bellezza, non è

una corsa a star bene, è un po‟ una vita a caro

prezzo. E allora rimane l‟altro aspetto 4, 7-11

Un‟altra pericope; sarebbe come vivere que-

sto tempo di attesa, questo mio “frattempo”.

Qui troveremo 4 o 5 indicazioni. 4, 7:

La fine di tutte le cose è vicina.

44

Un particolare, se non l‟ho già detto: le prime

comunità sentivano imminente la venuta del

Signore. Pensavano che avesse chiuso al volo

la cosa, dopo la morte e la resurrezione…

quindi che la parusia, la venuta, fosse immi-

nente. Col fatto stesso che poi Gesù, quando

parla, parla di persecuzioni, di segni nel cielo,

nelle stelle… al di là della lettura… e siccome

cominciano ad esserci persecuzioni dicono

“probabilmente ci siamo”. Anche oggi, quan-

do cominciano un po‟ di catastrofi e di terre-

moti, bombardamenti, guerra… cominciamo a

dire “ci siamo alla fine del mondo”.

La fine di tutte le cose è vicina. Siate dunque

moderati e sobri, per dedicarvi alla preghiera

[non per un problema di dieta e di linea…].

Soprattutto conservate tra voi una grande cari-

tà [guardate che questo è un tormentone!],

perché la carità copre una moltitudine di pec-

cati. Praticate l‟ospitalità gli uni verso gli altri,

senza mormorare.

Ogni tanto quando abbiamo finito… parlo di

me: quando ho finito di fare il bene, dico:

Carlino, fermati. Fatti una doccia, esci e vai a

fare due passi, sdraiati, metti su un film di

Charlot… fermati! Perché la fregatura poi ro-

vina tutto. Come si rovina tutto con l‟altro av-

verbio “però”. Guarda, sei bravo… sei stu-

pendo… però… Dici a tuo figlio: è stato un

anno bello. Hai fatto una pagella bellissima e

siamo contenti. STOP! Ecco la fregatura:

..però… oppure: peccato che… 4,11

Praticate l‟ospitalità gli uni verso gli altri, sen-

za mormorare. [Altro punto molto bello:] Cia-

scuno viva secondo la grazia ricevuta.

La tua grazia può essere il fatto di essere ber-

gamasco, di essere di una razza… tutto ciò

che noi siamo e che a volte non piace a me e

non piace manco agli altri è grazia.

Ognuno viva secondo la grazia ricevuta met-

tendola a servizio degli altri come buoni am-

ministratori di una multiforme grazia di Dio.

Chi parla, e ha il dono della parola, lo faccia

con parole di Dio. Chi esercita un ufficio lo

compia con l‟energia ricevuta da Dio, perché

in tutto venga glorificato Dio per mezzo di

Gesù Cristo al quale appartiene la gloria e la

potenza nei secoli dei secoli. Amen!

Mi piacerebbe, amici, dentro la vostra identità

meravigliosa, unica nella storia, dentro anche

la contemporaneità bella di questo giorno con

tutte le famiglie del mondo… provate a senti-

re su di voi, proprio come genitori, questa Pa-

rola. Quando parlate, tra di voi e con i figli,

fatelo con parole di Dio; quando esercitate un

ufficio (e l‟essere genitori deve essere davve-

ro unico) fatelo con l‟energia ricevuta.

L‟obiettivo è uno solo: non è di salvare la vo-

stra faccia e neanche, come dite, “il bene dei

figli”. I vostri figli avranno il bene quando ciò

che fai sarà a gloria di Dio. Perché tutto ciò

che fate “per il bene dei figli” è una castrazio-

ne, perché non è il bene dei figli, è il bene vo-

stro, cioè piace a voi. E Dio che fa le cose da

Dio ha sempre detto di lasciare gli uomini,

compresi i figli, a sua immagine e somiglian-

za, e di non farli mai a vostra immagine e so-

miglianza.

Rimane per ora la parola di Gesù dentro

l‟immagine molto bella… quando dice: guar-

date i fiori dei campi e gli uccelli del cielo; ti

dice: vivi sempre con molta serenità… vivi

sempre con tanta serietà, ma anche con molta

serenità. Credo che questi siano i due criteri,

per cui dal di fuori nessuno ti può risponde-

re… ogni volta sei chiamato a discernere. Pe-

rò quando vedo che mi salti il livello di sere-

nità e quello di responsabilità, c‟è qualcosa

che non va. Devo recuperare i due punti. E‟

Parola sua. La fregatura è che magari noi vor-

remmo dare delle risposte, che io possa even-

tualmente discernere insieme attraverso la sua

Parola. Però credo che siano permanentemen-

te i due punti. Perché magari ognuno di noi

quando sente una cosa bella dice OK ho tro-

vato le risposte… Le risposte di cosa?? Per-

ché poi è sempre dentro una realtà unica e ir-

repetibile che mai nessuno conosce, neppure

tu, che è la tua di vita. Se non di riporla nel

cuore e nelle mani di domineddio, come pure

riporre quella delle persone e dei figli. Però è

una continua lotta da questo punto di vista,

che però ti esprime una passione. E il giorno

in cui abbassi il livello ti trovi proprio som-

merso. Questo non lo puoi mai fare in solitu-

dine.

La solitudine è la cosa più tremenda al cuore

di Dio, è la disgrazia e il male più grande. Fin

dall‟inizio ha gridato non è bene che l‟uomo,

che la donna, che l‟essere umano sia solo.

Tutto ciò che vive in solitudine è dolo distru-

45

zione, o di te stesso o di qualcun altro. Sono

punti molto semplici ma anche molto essen-

ziali.

a – Nella sobrietà e moderazione per essere

svegli… nella preghiera

Alcune sottolineature. Siate dunque moderati

e sobri. Moderato e sobrio è il vigile, perché

non può essere preso dalla vertigine, dallo

stordimento; sa che il Signore viene, così il

sobrio e vigilante ha l‟intelligenza di non ap-

pesantire mai la mente, perché quando la

mente è piena di troppe cose proprio non reg-

ge. E non appesantire neanche lo stomaco, ri-

peto non per una linea o dieta di benessere,

ma per dedicarsi alla preghiera (vegliate e

pregate…). Ricordo a me, più che a voi, che

alcune realtà di male o di tentazione si vinco-

no solo, dice Gesù, con il digiuno e con la

preghiera. Giragli attorno come vuoi, magari

dopo 40 anni sei ancora inchiodato lì… alcu-

ne cose le puoi vincere solo con la preghiera e

con il digiuno.

Stati attenti perché i nostri cuori non si appe-

santiscano (ricordate il Vangelo di Luca: ve-

gliate ogni momento e pregate perché abbiate

la forza di sfuggire a tutto ciò che deve acca-

dere, e soprattutto siate svegli per il grande

appuntamento). Inutile che facciamo le corna,

se in questo istante Dio chiamasse me o o-

gnuno di noi… sarei pronto

all‟appuntamento? E‟ l‟unica cosa che vale…

veramente ti giochi tutto, e queste immagini

ci aiutano in termini molto corposi…

b – Nell’amore fraterno: è la virtù della no-

stra salvezza finale

Altro punto è l‟amore fraterno: conservate tra

voi una grande carità perché l‟amore copre

una moltitudine di peccati. Il che vuol dire

che ha un grande valore espiatorio. Vedete

che l‟avverbio che usa è “soprattutto”, più di

tutto, più di ogni altra cosa, perché più grande

di tutte, più della fede e della speranza, è la

carità. Sapete che il grande pericolo (lo tro-

viamo già nel Vangelo) è il raffreddamento

dell‟amore, quando viene detto nel Vangelo

“per il dilagare dell‟iniquità l‟amore di molti

si raffredderà”. Quante volte noi perdiamo

l‟amore vedendo tutto il male e quello che

non va… continui a fare il bene e hai peda-

te… è il raffreddamento dell‟amore. Ci sono

rischi… il rischio della Chiesa qual è? Non è

che non ci sia più il Vaticano… è di perdere

la carità nel corso dei secoli. E qual è il ri-

schio di ognuno di noi come cristiano? E‟ di

perdere la carità nel corso della mia vita.

Credo che i punti siano estremamente chiari

ed essenziali. Non so voi… io ho 61 anni e

credevo che con il passare degli anni aumen-

tasse il mio amore per gli altri; ho la sensa-

zione che a volte ci si restringe molto… a-

miamo maledettamente noi stessi… L‟amore

fraterno è la grande virtù, essenziale, escato-

logica, perché riguarda la mia finale, riguarda

cioè il destino della mia vita. Sorelle, alla sera

della mia e della vostra vita, saremo giudicati

sull‟amore. Saremo giudicati con amore, sa-

remo giudicati per amore. Saremo giudicati

nell‟amore, però il punto che interessa è che

sarò giudicato sull‟amore. Guardate la parola

di Gesù di fronte alla donna: i tuoi molti pec-

cati ti sono perdonati perché hai amato molto.

c . Praticando l’ospitalità… senza mormo-

rare

Terzo dono, terzo amore per vivere benissimo

questo tempo che Dio ci donerà: l‟ospitalità.

Pratica dell‟ospitalità: qui c‟è una parola mol-

to importante, perché per Gesù, i discepoli e

la Chiesa primitiva il problema ogni tanto era

proprio di trovare casa. Quindi la cosa era

molto concreta, non era un principio generale,

ma proprio dentro la concretezza di vita. Era-

no chiamati proprio a praticare l‟ospitalità:

poveri, stranieri, immigrati… ma parla di

un‟ospitalità vicendevole. Perché? Perché tutti

siamo stranieri e pellegrini. Cioè, non farlo

perché sei bravo, sei buono, ti è toccata in sor-

te una casa molto bella che non sai cosa farte-

ne… a chi la darai… ma ospitalità per ricor-

darti che tu sei straniero ed ospite.

Nel codice biblico è molto bello questo: che

nessuno di noi ha qualcosa di suo, ma io con-

divido quello che anch‟io ho ricevuto. Scu-

sa… non è che ti accolgo nella MIA casa…

(guarda quanto sono bravo…) ma condivido

con te quella casa che anch‟io ho ricevuto.

Condivido con te quella famiglia che anch‟io

ho avuto in dono… non mi dilungo ma guar-

date che questa è la radice biblica; radice che

noi non abbiamo non per cattiveria, forse alle

volte anche per mancanza di conoscenza.

46

Praticate l‟ospitalità. In altri passi viene detto

“accoglietevi gli uni gli altri”; la radice è

sempre quella: come Cristo ha accolto noi.

Sarebbe bello sviluppare questo tema

dell‟accoglienza: nel rapporto tra voi due, tra

sposo e sposa, accogliere l‟altro… Ospitare

non vuol dire tenere dentro più o meno, ma

veramente accogliere, ospitare l‟altro, e sapete

che l‟ospite è sacro. Quindi il tuo uomo nel

tuo cuore di donna è sacro, e lui nel tuo cuore

e nella tua casa come sacro può vivere di tutto

e godere di tutto. Però lui, o lei, dovrebbe a-

vere un‟attenzione: che non può mai diventare

padrone del cuore dell‟altro, anche se può go-

dere tutto. Provate ad avere questa coscienza

di ospitalità; credo se l‟applicate avete poi

l‟esperienza quotidiana per viverla. Guardate

che non è facile accogliere l‟altro e dirgli “tut-

to tuo”; l‟unica cosa che sai è che non diven-

terà mai padrone, e come tale non ti farà mai

del male, perché chi ti fa del male (lo vedre-

mo) è il padrone, è il potere che ti fa il male.

E‟ tutto dono, e anch‟io l‟ho ricevuto: il mio

cuore, la mia intelligenza, i miei affetti, mio

padre, mia madre, la mia generazione, la mia

parentela… ho ricevuto tutto in dono; se puoi

godila, vivila, però un‟attenzione tua e mia:

nessuno di noi diventa padrone. Non c‟è biso-

gno di far su tante morali coniugali e familia-

ri; credo che l‟etica poi è la radice ed è una

sola. Ripeto un titolo che ho detto ormai da

tanti anni: sapete che una cosa bella della no-

stra casa è la porta, e sapete che quando c‟è

l‟anno santo cosa si fa? Si apre la porta, la

Porta Santa. Provate a pensare se almeno le

case dei cristiani avessero la Porta Santa! La

Porta Santa è quella che si apre. Non vado ol-

tre… vado avanti solo per immagini ed evo-

cazioni. Ricordate l‟altra espressione (credo

che sia della Lettera agli Ebrei): “Qualcuno,

praticando l‟ospitalità, ha accolto degli ange-

li”. Provate a pensare all‟esperienza, ad e-

sempio, di Abramo. Qui potete metter dentro

tutto: affido, adozione… non soltanto dei

bambini o degli anziani… non limitiamoci

mai. Guardate, l‟amore è fantasia, l‟amore è

creatività, non è un problema di settore o di

categoria… è un problema veramente di cuo-

re, e chi ha cuore ha intelligenza; di solito chi

ha intelligenza ha cuore.

Col particolare: senza mormorare. Della serie:

come bravi cristiani, anche stamattina… sono

andato a messa… c‟era quello che rompeva…

fuori dalla chiesa, piazzato lì… della serie

“prima di andare a celebrare l‟eucaristia…

quanto rompono”… E‟ una parola molto

grossa… poi si possono trovare delle risposte,

ma prima di trovare delle risposte bisogna ri-

convertire un cuore dentro. Ognuno ha il suo

carisma, come dono per tutti (vedete che cari-

sma si rifà a chàris), la sua grazia per il bene

di tutti. Perché i cristiani sono non dei buoni,

ma belli amministratori, economi della Grazia

di Dio. Qual è l‟unica coscienza liberante del

nostro agire? Che in tutto sia glorificato Dio,

per mezzo di Gesù Cristo.

d – Vivendo i propri carismi come bene per

tutti

Un altro passaggio: inizia la terza parte della

lettera, l‟ultima. Inizia con agapetòi, carissi-

mi, che vuol dire amatissimi. Sempre amatis-

simi da Dio, e amatissimi da me, dice la lette-

ra di Pietro. E questa parte terminerà con

l‟amen finale. Vedremo che, più che dire delle

cose nuove, ritornano motivi già ascoltati: la

sofferenza cristiana, la perseveranza nel fare il

bene… però il campo di attenzione si sposta

dal di fuori un pochino all‟interno. Come mai

questo clima ostile a livello sociale? Abbiamo

ascoltato: perché trovano strano che voi non

corriate con loro. E se i cristiani sono ritenuti

strani, vuol dire che la società li perseguita

come stranieri; per questo li emargina.

Ricordate Gesù nel Vangelo di Giovanni: “se

voi foste del mondo, il mondo vi amerebbe,

perché il mondo ama ciò che è suo. Ma io vi

ho scelti dal mondo, per questo il mondo vi

odia”.

3 – Lo Spirito di Dio riposa su di voi. ( 4, 12-

19)

Allora un altro bocconcino 4, 12

Carissimi, non siate sorpresi per l‟incendio di

persecuzione che si è acceso in mezzo a voi

per provarvi, come se vi accadesse qualcosa di

strano. Ma nella misura in cui partecipate alle

sofferenze di Cristo, rallegratevi, perché nella

rivelazione della sua gloria possiate rallegrarvi

ed esultare. Beati voi, se venite insultati per il

nome di Cristo, perché lo Spirito della gloria e

lo spirito di Dio riposa su di voi.

47

Guardate che è stupenda questa espressione:

lo spirito di gloria e lo spirito di Dio riposa su

di voi.

Nessuno di voi abbia a soffrire come omicida

o ladro o malfattore o delatore. Ma se uno sof-

fre come cristiano [è l’unica volta che viene

usato il termine cristiano], non ne arrossisca;

glorifichi anzi Dio per questo nome. E‟ giunto

infatti il momento in cui inizia il giudizio [sa-

pete da dove parte il giudizio, prima?] dalla

casa di Dio; e se inizia da noi, quale sarà la fi-

ne di coloro che rifiutano di credere al Vange-

lo di Dio? E se il giusto a stento si salverà, che

ne sarà dell‟empio e del peccatore? Perciò an-

che quelli che soffrono secondo il volere di

Dio, si mettano nelle mani del loro Creatore

fedele e continuino a fare il bene.

a – La sofferenza è la prova del fuoco, veri-

fica la verità-fedeltà nella fede

Guardate che ormai è un tormentone questa

espressione. Alcuni momenti di sosta su

quest‟altra pericope. Non siate sorpresi ma

rallegratevi; quello che vi capita non è stra-

no… qualcosa sta capitando… qui parla di in-

cendio di persecuzione. Nell‟originale greco,

al posto di incendio di persecuzione c‟è un

fuoco a scopo di tentazione, che è molto di-

verso. Vedete che ogni traduzione cambia

proprio l‟atteggiamento e la cultura (è come

leggere due giornali stamattina: ognuno dà il

suo titolo). Qui probabilmente non riguarda il

famoso incendio di Roma per mano di Nerone

(perché quello è il 19 luglio 64), così pure in

Asia Minore non è ancora iniziata quella tre-

menda persecuzione a cura di Domiziano (sa-

rà tra l‟81 e il 96). Però, vi ripeto, si respira

aria pesante, un clima pesante fatto di odio, di

sospetto… Ritorna molto l‟immagine

dell‟incendio, del fuoco, perché il fuoco è

l‟immagine del giorno di JHWH. Ricordate la

parola del Vangelo: ognuno sarà salato col

fuoco.

b – Il giudizio di Dio non è una minaccia: è

una bella notizia.

Però dice: nessuna sorpresa, e neanche nessu-

na paura perché questo, sembra dire, è una

necessità umana, è una necessità divina. Non

è questo, che ti deve spaventare. Quello che ti

deve probabilmente spaventare è il mio tipo di

risposta, e a questo dovremmo educarci ed

educare: guardate che quello che fa la mia vi-

ta… tante volte mi capita e capita anche a voi,

quando raccontate la vostra vita, come la si

racconta? Dalle cose belle e dalle cose brutte

che sono capitate. E secondo le cose belle o

brutte che mi sono capitate tiro la conclusio-

ne: la mia vita è stata una schifezza oppure è

stata… NO, la vita non è tanto in quello che

mi capita, anche se quello che mi capita mi

trasforma la vita, proprio mi sforma comple-

tamente.

Tutto quello che ti capita ti può anche tra-

sformare, deformare tutta la tua vita, però la

risposta non è in quello che capita, non è il si-

gnificato sciocco che l‟uomo è padrone del

suo destino, no, ognuno di noi è padrone e re-

sponsabile della risposta al senso. Diversa-

mente continueremo a vivere in una dimen-

sione cosiddetta di fatalità. E naturalmente

sappiamo che la sofferenza è la prova del fuo-

co, che dice qual è la verità e qual è la fedeltà

della fede, come il fuoco dice se l‟oro è genu-

ino. Qui c‟è ancora tutto il tema della soffe-

renza cristiana, ma assieme alla sofferenza

cristiana (guardate come è puntuale) c‟è sem-

pre il tema della gioia. Capito? Non c‟è quella

cosa orrenda che abbiamo sempre fatto noi,

un trattato sulla sofferenza, ma accanto alla

parola sofferenza c‟è sempre gioia, come ac-

canto alla parola gioia, dice, non dimentica-

re…

Vi dicevo ieri che non è una gioia che viene

come la quiete dopo la tempesta, ma è proprio

dentro; non è un dopo, non è altro, è proprio

dentro. C‟è un altro avverbio che noi usiamo

come bravi esseri umani e molto come cri-

stiani: l‟avverbio “nonostante”. Guarda… ti

voglio bene… nonostante il tuo carattere. Per

la mia vita ringrazio domineddio… nonostan-

te quello… Dovremmo imparare a dire non

“nonostante”, ma “proprio per questo”. Ecco

dov‟è la novità del cristiano. Sarebbe come

dire: questo pezzo lo prendo, questo no. No, è

un pezzo unico; quindi non è nonostante que-

sto, ma è proprio dentro quello lì.

Ricordo a me che la parte più bella di me, che

vi piaccia o meno, è il mio limite. La parte

bella di ognuno di voi è il vostro limite. La

parte bella di me e di voi è quando dicono di

me e di voi quel pezzettino “peccato che…”.

Il resto è normale. Questa è una parte mia,

genuina; è paradossale… però ecco la lettura

del credente, ecco il cuore di chi vive nello

48

Spirito. Quindi il tema della sofferenza è lega-

to sempre alla gioia nella misura in cui parte-

cipate alle sofferenze di Cristo, rallegratevi.

Vedete che non è mai una sofferenza in soli-

tudine. Nella solitudine non c‟è mai gioia. E‟

soltanto la dimensione del soffrire in qualcu-

no e con qualcuno. E la sofferenza va attra-

versata sulle orme di Cristo.

c – Il Creatore è fedele: continua a fare il

bene

Al vers 17, il giudizio comincia da casa no-

stra, comincia dalla casa di Dio. E dopo il bi-

nomio sofferenza-gioia arriva il binomio sof-

ferenza-giudizio. Il libro dei Proverbi ci dice:

“Se il giusto a stento si salverà, che sarà

dell‟empio e del peccatore?” Anche qui Pietro

non vuole creare un terrorismo psicologico;

vuole consolare, vuole incoraggiare. Guardate

che il giudizio non è una minaccia, è una bella

notizia. Chi soffre, normalmente trova spon-

taneo gridare a Dio perché venga in aiuto.

Provate ad ascoltare tante espressioni del sal-

mo: Fino a quando, Signore, continuerai a

dimenticarmi? … Fino a quando mi nascon-

derai il tuo volto? … Fino a quando

nell‟anima mia proverò affanni e tristezza nel

cuore in ogni momento? … Fino a quando su

di me trionferà il nemico? … Guarda, Signore

mio Dio, rispondimi; conserva la luce ai miei

occhi, perché il mio nemico non dica “L‟ho

vinto” … non esultino i miei avversari quando

vacillo…

Per cui proclamare la resurrezione del Croci-

fisso è dichiarare il compimento del giudizio

di Dio: lui, Dio, l‟ultima parola l‟ha detta, è la

morte e resurrezione di Cristo. Il resto è tutta

chiacchiera. Se anche non ci credi non è im-

portante; l‟unica parola è questa… parola de-

finitiva. E‟ tutta qui. Sa però entrare nella mia

debolezza, nella debolezza della nostra carne,

veramente proprio la dinamica della resurre-

zione e la certezza (vi ripeto le espressioni

belle) che lo Spirito di Dio, lo Spirito della

Gloria, riposa su di voi. Qui lo Spirito è pro-

prio il termine ebraico di ruà. Assieme alla

ruà c‟era un altro termine, la shekinà, che era

la dimora di Dio, era quella che accompagna-

va il cammino del popolo. Erano veramente

più che disperati; l‟unica certezza che aveva-

no era lo Spirito che camminava con loro, era

la dimora di Dio con loro.

“Non abbiate paura” risentiamo negli Atti de-

gli Apostoli “avrete forza dallo Spirito e mi

sarete testimoni”. Proviamo ogni tanto a ripe-

terlo dentro gli ambienti nostri di tutti i giorni,

cominciando soprattutto da casa mia…. Senti-

re in questo momento, in questo istante “Non

avere paura, avrai forza dallo Spirito”, in que-

sto momento, di fronte a mio marito, a mia

moglie, a un figlio, a un suocero o un cogna-

to… “Mi sarai testimone”. Con un‟attenzione,

amici (ritorna il tormentone) che dove c‟è lo

Spirito di Dio c‟è la gioia; dove non c‟è la

gioia non c‟è lo Spirito di Dio. Lo spirito di

Dio non riposa mai nella tristezza, ma solo

dove c‟è la gioia. E credo che le sfide sono

tante.

Una terza modalità per continuare bene, nelle

mani del loro creatore fedele.. Provate a pen-

sare all‟unica volta, in tutto in Nuovo Testa-

mento, in cui Dio viene indicato come Creato-

re. Interessante questo. Ricordate quando ab-

biamo fatto il Libro della Sapienza, “Dio

creatore dell‟Universo”. “Signore, tu ami tutte

le cose esistenti e non disprezzi nulla di quan-

to hai creato”. “Se tu avessi odiato qualcosa

non l‟avresti neanche creato” “Come potrebbe

sussistere una cosa se tu non vuoi, o stare in

piedi e conservarsi se tu non la chiami in vi-

ta?”. Sarebbe interessante ripercorrere tutta la

presenza dello Spirito Santo nella storia della

salvezza. Vedete che lo Spirito Santo si ferma

sempre e solo su persone e situazioni difficili.

Quelle “facili”… non hanno bisogno di Spiri-

to Santo. E‟ un‟indicazione, grosso modo bel-

la anche per rileggere la Parola di Dio.

Si ferma su quel popolo errante nel deserto, si

ferma su quel piccolo germoglio del ceppo

vecchio… (dice: cosa potrà mai venire fuori

di qui… e si ferma proprio su quel ceppo vec-

chio…), lo Spirito Santo si ferma proprio sul-

la Vergine che non ha mai “conosciuto” e non

conoscerà mai uomo, lo Spirito Santo si ferma

sul Morto nel Sepolcro, lo Spirito Santo si

ferma in un casa su un gruppo di persone (più

o meno 11), lo Spirito Santo compie tutto

quello che umanamente non si può fare. Fino

a poter dire la cosa bella, con Gesù: “Padre,

nelle tue mani affido il mio spirito”. E allora

qual è la risposta nel tempo che sto vivendo,

in questo frattempo? Qual è la grande risposta

49

a quelli che non mi vanno, a quelli che mi o-

diano, a quelli genuini come nemici, ai nemici

soprattutto (vi vorrei ricordare) che mi sono

fabbricato io.

E‟ venuta una brava signora a confessarsi ul-

timamente; aveva una libidine… non era cat-

tiva, ma aveva questa libidine: di incolpare

suo marito di cose che non aveva fatto e in cui

non c‟entrava, povero cristo, per avere il pia-

cere di perdonarlo. Guardate che ne co-

struiamo di queste piccole fabbriche… questo

fatto è vero… molti ce li costruiamo noi, mol-

ti li abbiamo dentro di noi, sono in testa, fuori

non ci sono. Capita anche a voi di non dormi-

re bene, di alzarvi col piede sbagliato e di

pensare fino a mezzogiorno che la gente ce

l‟abbia con voi… Chi mi sta attorno manco se

lo sogna… ce li fabbrichiamo noi, e guardate

che ostilità, invidia, gelosie… molte sono

fabbricate da noi. Quasi quasi me l‟aspetto,

inconsciamente. Veramente siamo impastati

da Dio, per avere il piacere poi di essere buo-

ni, di perdonare… E allora, in questo frat-

tempo, continuate a fare il bene. Sul calenda-

rio delle Apostoline che regalo agli amici, il

mese scorso c‟era una frase che suonava così:

nessuno sa quanto bene fa quando fa il bene.

Non posso a questo punto non donarvi una

scritta che era sul muro sulla casa dei bambini

di Calcutta di madre Teresa; sul muro di quel-

la casa c‟era questo manifesto:

L‟uomo è irragionevole, illogico, egocentrico;

non importa: amalo.

Se fai il bene ti attribuiranno secondi fini egoi-

stici; non importa: fai il bene;

Se realizzi i tuoi obiettivi troverai falsi amici e

veri nemici; non importa: realizzali.

Il bene che farai verrà domani dimenticato;

non importa: fa il bene.

L‟onestà e la sincerità ti rendono vulnerabile;

non importa: sii franco e onesto.

Quello che per anni hai costruito può essere

distrutto in un attimo; non importa, costruisci.

Se aiuti la gente, se ne risentirà; non importa,

aiutala.

Dona al mondo il meglio di te, e ti prenderan-

no a calci; non importa: dà il meglio di te.

Credo che i santi come questa donna… la Pa-

rola di Dio… Poi quando lei parla è disarman-

te perché è di una semplicità sconcertante, il

che vuol dire che il santo arriva all‟essenziale,

cioè non usa neanche il potere della parola, il

potere di una cultura. Non usa neanche il suo

sapere, perché non ha il problema di ricordarti

e di dimostrare, ha soltanto quello di mostra-

re.

4 – Codice di comportamento ecclesiale 5, 1-5

5, 1-5

Esorto gli anziani che sono tra voi, quale an-

ziano come loro [il termine è presbitero], te-

stimone delle sofferenze di Cristo e partecipe

della gloria che deve manifestarsi. [Vedete il

titolo che Pietro si dà: nessun titolo di istitu-

zioni, ne’ di onori ne’ di potere]: pascete il

gregge di Dio che vi è affidato sorvegliandolo

non per forza ma volentieri secondo Dio.

Vorrei invitare… se potete, anche voi come

genitori siete pastori, siete responsabili di una

grande comunità, quella fondamentale che è

la famiglia. Sentitela per voi, pascete il greg-

ge di Dio che vi è affidato, sorvegliandolo

non per forza ma volentieri secondo Dio.

Non per vile interesse, ma di buon animo, non

spadroneggiando sulle persone a voi affidate,

ma facendovi modelli del gregge. E quando

apparirà il pastore supremo, riceverete la co-

rona della gloria che non appassisce.

Vedete che Pietro al termine della sua esorta-

zione sente il dovere di ricordare la sottomis-

sione reciproca all‟interno della comunità.

Il ministero di Pietro

Abbiamo visto che Pietro è apostolo, testimo-

ne oculare non solo della resurrezione, ma te-

stimone delle sofferenze di Cristo. E‟ presbi-

tero e anziano come loro, è co-presbitero. Una

cosa molto bella è che vive lui in prima per-

sona quello che chiede agli altri. E‟ testimo-

nianza: non è che dice agli altri di fare qual-

cosa, “lo sto vivendo con voi”, e questo è bel-

lo anche tra genitori e figli. Non è che devi fa-

re una cosa perché sei figlio… non ditegli mai

la scemenza “perché sei giovane”, che è una

battuta idiota, ma: lo vivo con te perché è un

valore.

Credo che questo sia il punto del crescere in-

sieme come comunità Pietro in prima persona

dice che è co-presbitero, testimone delle sof-

ferenze di Cristo, solidale con le sofferenze,

partecipe della gloria che dovrà rivelarsi. Il

50

che vuol dire che quello che la prima comuni-

tà che era a Roma, la Chiesa di Roma, ha vi-

sto vivere in Pietro, ora lo consegna alle altre

Chiese sorelle co-elette. Come deve essere il

ministero dei presbiteri, e io oso aggiungere

anche quello dei padri e delle madri, abbiate

cura sorvegliando. Solo Cristo è il pastore, so-

lo Cristo è il vescovo. Vegliate su voi stessi e

su tutto il gregge a voi affidato.

Pascere il gregge volentieri… gratuitamen-

te… facendosi modelli

L‟attenzione non è sul titolo che hai, ma sul

modo di svolgere il ministero. Non come vi

piace, ma sempre e solo alla maniera di Cri-

sto. Non come ti va e se ti va, ma sempre alla

maniera di Cristo, cioè con gioia. Non per

forza, non perché costretti, ma volentieri. Per

cui si tratterà, nella mia scelta vocazionale,

come nella vostra scelta vocazionale, di risco-

prire ogni tanto le motivazioni della nostra

scelta. Perché abbiamo a ritrovare la libertà

interiore anche quando questa libertà che mi

viene da Dio va contro l‟interesse personale.

Sarebbe bello, amici, che la vita di ogni pre-

te… (ve lo chiedo… aiutatemi), come sarebbe

bello che la vita di ogni padre e di ogni madre

potesse essere una vita bella, bella perché

gioiosa; gioiosa non vuol dire che non ci sono

difficoltà o dolori o drammi, ma vissuta nella

serenità. Non per vile interesse, ma con animo

generoso. Voi sapete che ci sono due bestie

che rovinano la fede e rovinano l‟amore, che

rovinano le famiglie e rovinano la Chiesa, che

rovinano i padri e le madri e rovinano i preti:

uno è il denaro e l‟altro è il potere. Credo che

sia bello ritrovare questo unico sacerdozio e

ministero e spirito, e l‟avidità del denaro (voi

lo sapete) non aveva risparmiato neanche il

primo collegio apostolico (…e neanche quelli

seguenti, tante volte!): la tentazioni di arric-

chirsi alle spese della comunità. Ricordate

Paolo quando dice, negli Atti degli Apostoli,

“Non ho desiderato ne‟ oro ne‟ argento”; “alle

mie necessità (dice) hanno provveduto queste

mie mani”. Le parole di Gesù “pastori, non

mercenari”… il gregge è di Dio, non del pa-

store.

Anche i figli sono di Dio, non sono dei geni-

tori. Per cui sono grandi per un presbitero, per

ogni padre, per ogni madre, quando siete pre-

sbiteri nella vostra chiesa domestica… e la

capacità di gratuità, il fare le cose da dio (cioè

“per niente”). Ho detto per anni ragazzi, pri-

ma a Bergamo poi qui come rettore del Semi-

nario: non so quale sarà il vostro futuro, però

se volete vivere veramente da uomini e da cri-

stiani… se qualcuno di voi un giorno sarà

chiamato nel sacerdozio, non vi dirò molte

cose. Una volte c‟erano le lire, e dicevo: non

attaccatevi neanche a 5 lire. Guardate che è un

po‟ la radice, un po‟ la grande bestia, perché

su questo argomento dobbiamo fare i conti

tutti i giorni, giorno e notte. Non spadroneg-

giando sulle persone ma facendovi modelli

del gregge. La tentazione, assieme al denaro,

è il potere. E‟ difficile tante volte, quando si è

responsabili, in particolare come genitori, in

cui con l‟interesse c‟è dentro anche il sangue

oltre che una scelta e una gratuità, è tanto dif-

ficile che non entri un interesse personale. E

la parola di Gesù, quando dice: “voi lo sapete,

i capi dominano le nazioni, i grandi si fanno

chiamare loro benefattori, ma tra voi (non di-

ce tanto) non sia così, ma tra voi non è così.

La veste dell’umiltà

Chi vuol essere grande si faccia servo; e il più

importante in casa vostra (lo sapete molto be-

ne) è la persona che di solito è più a servizio.

E più a servizio potrebbe essere qualcuno dei

vostri figli, forse persone cui voi non date un

tipo di consistenza. Proprio come il Figlio

dell‟Uomo, che non è venuto per essere servi-

to ma per servire. Voi sapete che il Vangelo

di Giovanni fa precedere l‟insegnamento con

la lavanda dei piedi.

Altro bocconcino: 5,5

Ugualmente, voi, giovani, siate sottomessi agli

anziani. Rivestitevi tutti di umiltà, gli uni ver-

so gli altri perché Dio resiste ai superbi ma dà

la grazia agli umili.

Qui parla a di giovani, forse ha niente a che

fare con la categoria dei ragazzi e dei giovani;

probabilmente intende i neofiti, che sono i

primi che entrano dentro alla comunità; però

normalmente erano quelli che aiutavano, era

la forma del diaconato. Noi al diaconato ab-

biamo dato le persone un po‟ adulte, e non

soltanto adulte; il diaconato normalmente era

fatto dai giovani, che avevano anche l‟energia

e la fantasia per poterlo fare. Soprattutto dice

51

ai neofiti, a chi entra dentro, una grande veste,

la veste dell‟umiltà “perché Dio resiste ai su-

perbi, ma dà la grazia agli umili”. Qui pos-

siamo risentire benissimo quanto abbiamo fat-

to con la lettera di Giacomo. Così pure ricor-

date che “Cristo, pur essendo di natura divi-

na…”; ricordate il canto di Maria di Nazareth:

“Ha guardato all‟umiltà della sua serva…”; e

l‟umiltà, ve lo ripeto, cresce solo attraverso le

umiliazioni.

Nessuno le cerca, nessuno ne ha voglia… pe-

rò sono potenti, sono una medicina… difficile

da ingoiare e tutto quello che volete… però

l‟umiliazione ti porta all‟umiltà. Credo che

una delle radicali attualizzazioni di questo

brano sia quella che Francesco d‟Assisi ha

vissuto e proposto. Quando lui dice: nessuno

sia chiamato priore, ma tutti siano chiamati

semplicemente frati minori. E ognuno lavi i

piedi dell‟altro. E invita: guardate, fratelli,

l‟umiltà di Dio e aprite davanti a lui i vostri

cuori; umiliatevi anche voi perché siate da lui

esaltati. Nulla dunque di voi trattenete per voi,

affinché totalmente vi accolga colui che to-

talmente a voi si offre. “Imparate da me che

sono mite e umile di cuore”.

Accettare il proprio limite… accettare il limi-

te dell‟altro. Accettare una cosa bella è una

grande intelligenza, è un grande dono; accet-

tare soprattutto, amici genitori, il fatto di esse-

re stanchi… e di essere oppressi. Anzi, fate

una cosa meravigliosa, in particolare noi ma-

schi, noi uomini: che anche noi possiamo ave-

re bisogno. E‟ Parola di Dio, non è psicologia

moderna (che la psicologia aiuti… ben venga;

tutto è grazia). E‟ importante accettare di es-

sere stanchi, è importante fermarsi, è impor-

tante la sosta. Guardate che è determinante

accettare proprio di avere bisogno, riconosce-

re di avere bisogno che per me è una cosa

tremenda perché vorrei sempre dare, dare, da-

re… Accettare di avere bisogno è il momento

più alto. Riconoscere i propri bisogni e chie-

dere aiuto è il dono più grande, e guardate

quale e quanta fatica dentro di noi… sempre

per eccesso d‟amore; però l‟amore non è sol-

tanto nel dare e nel dare, è riconoscere un

proprio limite e saper chiedere aiuto, dire “ho

bisogno”; dire “Carlino… sei arrivato, ferma-

ti!... Carlino, hai bisogno, chiedi aiuto… Car-

lino, non fare l‟onnipotente…”.

Guardate che tante volte è una formazione,

un‟educazione interiore e spirituale, oltre che

umana e a volte affettiva che a volte ci manca.

Quell‟umiltà, allora, che non è tanto un di-

sprezzare noi stessi, ma è veramente un amore

bello di noi stessi, perché è la verità su di me.

E qui ci sarebbe dentro tutta

quell‟ecclesiologia di comunione che vi ricor-

davo anche ieri.

5 – Il futuro è garantito. Dio ha cura di voi 5, 6-11

Un ultimo boccone:

Umiliatevi dunque sotto la potente mano di

Dio perché vi esalti al tempo opportuno, get-

tando in lui ogni vostra preoccupazione, per-

ché Egli ha cura di voi. [Ritorna il tema]. Sia-

te temperanti e vigilate. Il vostro nemico, il

diavolo, come leone ruggente, va il giro, cer-

cando chi divorare. Resistetegli saldi nella fe-

de [fare la memoria…] sapendo che i vostri

fratelli sparsi nel mondo subiscono le stesse

sofferenze di voi. E il Dio di ogni Grazia, il

quale vi ha chiamati alla sua gloria eterna in

Cristo [guardate i 4 verbi] egli stesso vi rista-

bilirà, dopo una breve sofferenza vi conferme-

rà e vi renderà forti e saldi. A lui la potenza

nei secoli dei secoli. Amen.

La mano d’amore di Dio

Umiliatevi sotto la potente mano di Dio. E‟

stupenda l‟immagine della mano di Dio; è

l‟unica volta cha appare nel Nuovo Testamen-

to, però è molto familiare in tutto il Primo,

Antico Testamento. Nel Primo Testamento

ricorre 200 volte… Sapete che dalla sua mano

tutti i viventi aspettano la vita e aspettano il

cibo. Tutta l‟esperienza dell‟Esodo l‟hanno

vissuta sotto la mano di Dio, con la potente

mano di Dio. Il cristiano, e mia madre in par-

ticolare, questa teologia l‟aveva molto sana

perche lo ripeteva e lo diceva sempre quando

ci salutava… non diceva ciao, auguri… “Che

o Signur te tegna la man sul co” , che il Si-

gnore ti tenga la mano sulla testa. Quando Dio

ti toglie la mano, e magari capitava una situa-

zione di male… suicidio, omicidio, cattive-

ria… non giudicava mai; diceva soltanto “il

Signore gli ha tolto la mano dalla testa”. Forse

non aveva mai saputo che c‟era una Lettera di

Pietro, ma non è importante: era arrivata a ciò

che è importante, a ciò che è il cuore.

52

In questi giorni dell‟incontro mondiale delle

famiglie, le famiglie possano vivere questa

coscienza bella stupenda: di essere sposi e

famiglie belle… belle vuol dire differenti…

belli vuol dire che sono la grande opera di Di-

o. La sua mando benedicente. Anche nel dolo-

re, amici, anche se mi scoccia tanto è una ma-

no d‟amore. Versate in lui ogni vostra preoc-

cupazione, perché lui ha cura di voi. Ricorda-

te Gesù: nella vostra vita non preoccupatevi

troppo di cosa mangeremo e cosa berremo…

stamattina cosa mi metto… guardate gli uc-

celli del cielo e i fiori del campo… Ma se c‟è

qualcuno che pensa a un fiorellino e a un uc-

cellino… ma ci sarà Qualcuno che pensa a

voi!! Non vi chiedo di ragionare tanto e di

studiare molto… Il futuro, amici, è garantito;

che vi piaccia o meno. Il futuro è garantito da

Dio. L‟unico segreto è liberarmi un po‟ dal

mio IO, dalla pretesa di essere io il padrone.

Ritorna: siate sobri e vigilate, fino alla fine,

perché c‟è in giro un tipo simpaticissimo, è il

top che c‟è in giro: il diavolo, come leone

ruggente. Nel Nuovo Testamento ritorna il

diabolos 37 volte. Dia-ballo; diabolos è colui

che separa, colui che divide. Per cui ogni vol-

ta in cui io faccio una battutina, un gesto, una

parola che non unisce… separo, divido… so-

no diabolico. E siccome questa è un‟attività

perversa, dovrei ricordarmi che in

quell‟istante io sono diabolico. Perché il dia-

volo è bello, è affascinante, furbo, intelligen-

te, anche perché è uno spirito e faceva parte

delle generazioni di roba fine… il DNA non

l‟ha perso, ce l‟ha tutto… l‟unica differenza è

che lo usa per altro.

Faccio l‟esempio della bomba atomica… è

una bomba atomica… dipende dall‟uso. E‟

inutile che ci giriamo attorno; ci sarà una mo-

dalità molto chiara… ma ricordatevi che è po-

tenza, è presenza, è spirito, altrettanto forte

quanto lo spirito di Dio che è lo spirito del

bene. Ed è bello perché questa espressione bi-

blica la troviamo nella preghiera di tutti i

giorni, nella preghiera di Compieta, dove nel-

la “lettura breve” c‟è questo testo. Il che vuol

dire che prima di addormentarsi ogni buon

cristiano fa memoria che per tutta la giornata

ha dovuto lottare contro l‟avversario. E confi-

da che Dio continuerà a lottare con lui e per

lui, soprattutto nelle ore del sonno, perché vi

vorrei ricordare che il sonno è il tempo della

mia massima impotenza. Perché quando tu

dormi ognuno può fare di te quello che vuole.

Non so se la parola è molto chiara e molto lu-

cida.

C‟è un‟espressione molto bella del salmo 119

quando dice “nella mia lotta sii tu Signore a

lottare”. Resistetegli saldi nella fede. Amici,

di fronte a una belva che cosa vi viene spon-

taneo? Di solito scappare; oppure magari at-

taccare, più che tendenzialmente a resistere.

Questa è una delle particolarità della lettera di

Pietro. Pietro invita non a scappare, non ad

attaccare, non a muovere guerra, ma a resiste-

re. Resistenza attiva. I cristiani non devono

scappare, non devono emigrare dalla società,

non devono ritirarsi dalle strutture del mondo,

ma stare al loro posto: niente cedimenti. E‟ un

resistere nelle situazioni di prova. E stare

davvero al proprio posto, con responsabilità,

con coraggio, con l‟impegno nel bene. Nella

grande notte della Passione Gesù non è scap-

pato, ha messo in atto una resistenza e una re-

sa. La resistenza di fronte al tentatore, la resa

soltanto nelle mani del Padre. Qui abbiamo il

Pietro convertito, incoraggia adesso lui e con-

sola lui i suoi fratelli, proponendo il modello

di Gesù che si è affidato nelle mani del Padre,

e non è rimasto deluso. Ha raggiunto quella

meta bella che ricorda il salmista “nelle tue

mani è la mia vita”.

Non scappare o attaccare, ma resistere al

Diavolo puntando sulla fede e sulla comu-

nione fraterna

“Non abbandonerai la mia vita nel sepolcro,

ne‟ lascerai che il tuo santo veda la corruzio-

ne. Mi indicherai il sentiero della vita, gioia

piena nella tua presenza, dolcezza senza fine

alla tua destra”. Mi piace concludere con

l‟espressione innamorata di S.Agostino che

esprime molto bene la sorgente dalla quale

come credenti attingiamo la forza, soprattutto

la forza di stare. “Dammi Signore un cuore

che ti pensi, un‟anima che ti ami, una mente

che ti contempli, un intelletto che ti intenda,

una ragione che sempre fortemente aderisca a

te che sei dolcissimo. Sii vicino a me

nell‟anima, vicino nel cuore, vicino nella boc-

ca, vicino col tuo aiuto, perché sono malato

d‟amore, perché senza di te muoio, perché

53

pensando a te mi rianimo. Le tue mani Signo-

re mi hanno fatto, mi hanno plasmato; quelle

mani trapassate dai chiodi per me. Tu hai

scritto me con quelle mani, leggi dunque la

tua scrittura. E salvami”.

La resistenza e la resa di Noè, Abramo,

Giacobbe, Elia, Geremia. Gesù

E poi quella resistenza… la resistenza è la fi-

ducia di Noè… ricordate… chiuso nella sua

arca, alla deriva per sei mesi, in quel silenzio

irreale di un mondo sommerso dalle acque del

diluvio. La resistenza è la lotta di Abramo, in

quei tre giorni tremendi, assurdi, quando fa il

cammino verso il monte Moria col figlio. Re-

sistenza è la lotta di Giacobbe, che lotta tutta

la notte al guado di Iabbok. Resistenza è il

cammino di Elia per 40 giorni nel deserto,

quel deserto della disperazione. Resistenza è

il grido angosciato di Geremia, nel profondo

del pozzo dell‟abbandono. Resistenza è la

preghiera solitaria di Gesù nell‟orto degli uli-

vi.

Il diavolo è intelligente, amici, molto intelli-

gente… sapete cosa fa? Separa i credenti da

Dio e li divide tra di loro. Amici sposi, il dia-

volo è tremendo. Non c‟entra la cultura, la te-

levisione… Il diabolico ti fa una cosa tremen-

da: ti stacca da Dio e vi stacca tra di voi. E

due si staccano non perché cattivi, ma perché

si erano staccati da Lui, forse non si erano ne-

anche mai attaccati. Non voglio fare applica-

zioni perché è un‟operazione per me molto

pericolosa; soltanto per evocare, soltanto per

dire che questa Parola non è un “trattato spe-

ciale per”. Ci siamo dentro tutti, in ogni situa-

zione… Come resistere? Puntando sulla fede.

E l‟altra cosa bella per resistere è il rapporto

umano, è la comunione fraterna. Da soli non

c‟è vita, perché se sei solo ti frega l‟amarezza

della solitudine. E nella solitudine fai soltanto

gesti disperati e disperanti, non certo gesti di

speranza.

Affrontare tutto questo con una coscienza bel-

la da non perdere, nella coscienza che i fratelli

sparsi nel mondo subiscono le stesse soffe-

renze. Amici, proviamo ad avere questa co-

scienza cosmica, questa coscienza sincronica.

Provate a pensare quando magari siete in

chiesa, e il parroco che sta facendo l‟omelia ti

sta facendo una rottura di scatole infinita…

hai una sosta di lucidità spirituale e prova a

pensare quanti milioni in questo istante sulla

faccia della terra stanno ascoltando come me

non tanto un prete, ma l‟unica Parola. Guarda-

te che sono milioni e milioni. Non c‟è nessuna

esperienza sulla faccia della terra così con-

temporanea come quando i cristiani celebrano

l‟eucaristia. Noi non abbiamo questa coscien-

za cosmica, universale, che è poi la comunio-

ne dei santi. Però come c‟è una comunione

dei santi, c‟è anche soprattutto una comunione

tra i fratelli che soffrono.

“Coraggio! Io ho vinto il mondo”

La Chiesa è fondata su Kefa, sulla roccia, e le

porte degli inferi non prevarranno. Il Signore

della Chiesa è più forte dell‟avversario. Gesù

dice: “Nel mondo avrete lotte; in casa avrai

lotte; sposandoti avrai lotte; diventando geni-

tori avrai lotte… Non abbiate paura… corag-

gio!! Io ho vinto il mondo”. E allora dentro la

prova, e non tanto dopo la prova, Lui ci ha

chiamato. E Lui che ha dato inizio a tutta que-

sta storia (ecco i 4 verbi), Lui vi ristabilirà,

Lui vi confermerà, Lui vi rafforzerà e vi ren-

derà saldi. Vi renderà adulti nella fede, perso-

ne mature, temprate. La vittoria finale è di

Dio ed è del bene. Dio vi ha chiamati alla sua

gloria eterna. La lotta può essere breve o può

essere lunga, non lo sai. Può essere leggera,

può essere aspra, può essere verbale o può es-

sere di sangue… ma la vittoria di chi resiste

saldo nella fede è certa, e il premio è assicura-

to, perché custodito nei cieli da Dio.

6 – Saluti e ultimo avviso (5, 12-14)

E poi l‟ultimo avviso e i saluti.

Vi ho scritto, come io ritengo, brevemente, per

mezzo di Silvano, fratello fedele, per esortarvi

a pensare che questa è la vera grazia di Dio. In

essa state saldi! Vi saluta la comunità che è

stata eletta come voi e dimora in Babilonia

[cioè a Roma]; e anche Marco mio figlio. Sa-

lutatevi l‟un l‟altro con bacio di carità. Pace a

voi che siete in Cristo.

State saldi nella grazia di Dio

State saldi nella Grazia di Dio. Qual è la Gra-

zia? E‟ di stare saldi, e la grazia di stare dove

Dio mi ha messo. L‟unico punto dal quale de-

vo andare sapete qual è nella vita? (lo dico a

54

me, non lo dico a voi) è di restare da dove

vorrei scappare. E‟ l‟unico punto di Dio. Re-

stare da dove vorrei scappare. La grazia di

stare dove Dio ti ha posto. Il resistere nella si-

tuazione avversa, il vivere nel mondo da cri-

stiani. E lo scrive agli eletti, stranieri e pelle-

grini, di ogni Chiesa e di ogni tempo, per

mezzo di ogni Silvano, dei tanti Silvani che io

e voi abbiamo incontrato nella nostra vita. Per

consolarvi, per incoraggiarvi, per esortarvi,

per testimoniarvi. Nel saluto mette anche

quello della Chiesa co-eletta di Roma-

Babilonia, e poi c‟è anche Marco che chiama

addirittura in termine profondo “mio figlio”.

E poi salutatevi l‟un l‟altro col bacio di carità.

S.Paolo usa l‟altra espressione “con il bacio

santo”. Sapete che non è tanto lo scambio del-

la pace (diventato ormai paranoico nelle no-

stre Chiese); il bacio santo è il bacio della ca-

rità, bacio fraterno che Pietro raccomanda,

che esprime l‟amore fraterno. Sarebbe bello

che quando nella messa si dice “la pace sia

con te” si intenda “puoi contare su di me”, e

questo è il bacio fraterno. E allora voi vedete

che e i segni e i simboli sono veramente forti

e molto rischiosi. E poi la benedizione che sa-

rà la parola piena, finale, della mia e della vo-

stra vita ed è la prima parola che Gesù dice ai

suoi appena risorto: “Shalom!” Pace: è il salu-

to del Risorto. E il saluto di Pace che Pietro

rivolge a tutti quelli che sono in Cristo è an-

che l‟auspicio di questa realizzazione di una

fraternità universale che è estesa al di là di

un‟appartenenza religiosa, di un credo sociale

e politico, dove le persone possono sperare

insieme e condividere insieme lo stesso pro-

getto di vita.

7 – “Pace a tutti voi che siete in Cristo”

Nel dirvi grazie, ve lo voglio dire con questo

testo di cui avete copia ed ha per titolo “Pace

a voi tutti che siete in Cristo”. E‟ il testo di un

prete, di un vescovo, Tonino Bello. Racco-

gliamo in lui e con lui tutto quanto la Parola

ci ha donato, ma quanto soprattutto la frater-

nità del vivere insieme nostro ci ha donato.

Amici, senza questa fraternità la Parola non

sarebbe risuonata così. E‟ perché c‟era questa

fraternità fatta da ognuno di voi come pietra

preziosa, come pietra viva, e non altri… non

quelli che non „erano, ma quelli che ci sono,

quelli che ci stanno, qui, al loro posto, in que-

sto momento. E‟ anche il dono del mio grazie,

il grazie del dono di essere con voi, “Spirito

di Dio”……………………………….. Grazie

Spirito Santo,

che hai invaso l‟anima di Maria

per offrirci la prima campionatura

di come un giorno avresti invaso la Chiesa

e collocato nei suoi perimetri

il tuo nuovo domicilio, rendici capaci

di esultanza. Donaci il gusto

di sentirci “estroversi”.

Rivolti, cioè, verso il mondo,

che non è una specie di Chiesa mancata,

ma l‟oggetto ultimo di quell‟incontenibile amore

per il quale la Chiesa stessa è stata costituita.

Se dobbiamo attraversare i mari

che ci distanziano dalle altre culture,

soffia nelle vele, perché scuota le gomene

che ci legano agli ormeggi

del nostro piccolo mondo antico,

un più generoso impegno missionario

ci solleciti a partire.

Se dobbiamo camminare sull‟asciutto

mettici le ali ai piedi perché, come Maria,

raggiungiamo in fretta la città.

La città terrena.

Che tu ami appassionatamente.

Che non è il ripostiglio dei rifiuti,

55

ma il partner con cui dobbiamo “agonizzare”

perché giunga a compimento

l‟opera della redenzione. (Tonino Bello)

LA PAROLA DEL NOSTRO VESCOVO MARCELLO Questo testo “pronti sempre a rispondere a chiunque vi domandi ragione della speranza che è in voi” (3, 15) è un versetto che da molto tempo ormai è alla ribalta anche nelle riflessioni teologiche, perché contiene questa parola, la parola apologia: rispondere a chiunque domanda ragione della speranza. Letteralmente il termine è apologia. Questo è un termine effettivamente importante, in questo ver-setto, e tuttavia il brano della 1Pt diventa importante allorquando si avverte l’esigenza di un’apologetica rinnovata, nuova, cioè di una difesa della fede cristiana di fronte al mondo, che non è unicamente affidata alla forza delle argomentazioni, ancor meno al valore probatorio di alcuni avvenimenti. L’apologetica tradizionale era effettivamente impostata su alcune argomentazioni, su alcuni procedimenti che all’occhio o all’attenzione del non credente doveva mostrare le ragioni del-la dottrina cristiana. Dunque un’apologetica, una difesa non affidata alla forza del ragionamento e delle argomentazioni, ma piuttosto al valore della testimonianza personale. Si fanno due spostamenti. Anzitutto c’è questo spostamento di sottolineatura dalla dottrina, di-remmo dalla ortodossia, dalla retta fede, ad una prassi, ad un comportamento coerente del cristia-no; quindi si opera uno spostamento dalla orto-dossia alla orto-prassi. Non è senza ragione che tutti, normalmente, leggendo il testo “vi domandi ragione della speranza che è in voi”, abitualmen-te questa parola “speranza” veniva mentalmente tradotta come “fede”, e quindi significava nella esposizione rendere ragione della fede. Invece qui pian piano ci si rende conto che non è propria-mente della fede che si parla, ma piuttosto della speranza. Ora facciamo attenzione: non è che nella prima lettera di Pietro la speranza e la fede siano due co-se totalmente distinte, differenti; non lo sono di per sé, perché le virtù teologali (la fede, la spe-ranza e la carità) si intersecano reciprocamente, si includono reciprocamente: non può esserci fede senza speranza e carità… e fate tutte le combinazioni possibili. Qualcuno anche cerca di mutare l’ordine tradizionale delle tre virtù teologali, anche se abitualmente è la carità che si espone come terza, tenendo conto del testo paolino in cui dice “ma la più grande è la carità”. Alcuni proprio per sottolineare non soltanto la interdipendenza, la inclusione e la reciprocità di queste virtù teologali, ma anche per sottolineare in qualche maniera il valore della speranza, tendono a posporre, a met-tere la speranza come terza, e cioè come la virtù che dà la direzione alla fede e dà anche il senso alla carità. Certamente nella 1Pt tra fede e speranza c’è un nesso molto, molto, molto stretto, perché questa parola elpis che il testo sceglie per dire speranza indica non l’aspettativa di qualche cosa di illuso-rio, non il desiderio di qualcosa che potrebbe venire, ma indica una speranza certa perché ha un fondamento. Quindi la speranza di cui si parla è una speranza certa, una speranza che è ancorata in Gesù risorto, quindi nell’adesione del discepolo a Gesù risorto. E’ questo stare strettamente ade-renti a Cristo risorto che dà solidità alla speranza. Però non è senza significato che il testo tuttavia non dica “fede”, ma dica speranza. Con queste due sottolineature il testo della 1Pt (3, 15) comin-cia ad assumere anche nella riflessione teologica un posto particolare, con questo duplice sposta-mento, dalla ortodossia alla ortoprassi e questa più evidente, più forte consapevolezza che qui si sta parlando della speranza propriamente. Chi ha studiato teologia alla fine degli anni ’60-’70, come don Carlino ed io, notavamo come questo testo prima sconosciuto cominciava ad essere sempre più ripetuto al punto che agli inizi degli anni ’70 cominciarono ad essere pubblicati dei testi, particolarmente di teologia fondamentale, che por-tano questo riferimento più o meno esplicito a 1Pt 3, 15. La preparazione al convegno di Verona ci ripropone questo testo. Ce lo ripropone non facendocene un commento propriamente… nella trac-

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cia di riflessione per il convegno di Verona ci sono della allusioni, ci sono affermazioni su Cristo centro della speranza, ma non c’è propriamente un commento a questo testo; tuttavia sono indica-ti i territori della speranza, in cui noi siamo chiamati a fare l’apologia della speranza. Ora, cosa ci dice anzitutto l’autore della 1Pt? Dico autore perché sembra ormai assodato che si tratta di un testo pseudo epigrafico, ossia non è che S.Pietro si sia messo a scrivere questa lettera; già all’interno del testo sembra di capire che ci sia stato un amanuense che in qualche maniera ha scritto questa lettera; nel corpo della lettera si parla di Silvano, tuttavia il riferimento a Pietro è già indice dell’autorevolezza che Pietro ha nella comunità cristiana. Comunità cristiana in generale, perché se noi leggiamo l’introduzione alla presentazione, sembra che non guardi ad una comunità specifica. Le lettere dell’epistolario paolino sono inviate a delle comunità specifiche; comunità di Corinto, di Roma… anche le altre come Efesini ecc. hanno comunque dei destinatari. Perfino l’Apocalisse ha dei destinatari alquanto individuabili come area geografica… qui invece c’è un senso di universalità: si comincia dal Ponto e si va a finire a tutta l’Asia, quindi questo dice che si tratta di un testo che ha un’autorevolezza molto ampia. Ed è in questo passaggio che la sofferenza, l’ostacolo che potrebbe apparire come un elemento capace di mettere una mina, una bomba, sotto la speranza per farla saltare in aria come nell’Irak… ecco, proprio questa sofferenza paradossal-mente corrobora, rinforza la speranza cristiana. Se questa tematica della sofferenza presente, futura, reale o possibile segna un po’ tutto questo testo della 1Pt, qui è detto chiaramente che la sofferenza, l’ostacolo, può diventare un’occasione preziosa per testimoniare la speranza. Di che sofferenza si tratta, di che persecuzione si tratta? Ovviamente le problematiche relative ai destinatari di questa lettera, le questioni relative all’epoca in cui è stata scritta questa lettera, fa dire che probabilmente non si tratta di una persecuzione in senso stretto, direi anche giuridicamente organizzata e provocata, anche se molti commentatori fanno riferimento alla persecuzione di Domiziano, e quindi saremmo in questo territorio, nel terri-torio che va da Castelgandolfo attuale e Albano, Domiziano aveva la sua villa; aveva anche i suoi gusti personali: nel suo teatro, dicono Cassio, Svetonio ecc., Domiziano fece lottare contro un orso (altri dicono contro un leone) un console, un certo Acilio Gablione perché, il testo dice, “seguiva delle idee nuove”. Era un po’ di questi novatores, probabilmente era un cristiano. Si tratta della persecuzione dell’imperatore Traiano? Oggi gli studiosi dicono che si tratta piuttosto di un clima di ostilità che circondava i cristiani in quel momento. Con sottili sarcasmi, ironie, il non prenderli sul serio, sbeffeggiarli, è una forma di persecuzione non diretta ma diremmo alquanto sottile, profon-da… e da questo punto di vista probabilmente potremmo ritenere quella situazione molto analoga, molto somigliante a certe nostre situazioni. Abbiamo ascoltato anche alcuni testi: “rimangano svergognati quelli che malignano sulla vostra buona condotta in Cristo”. Si!... Tu valla a raccontare a un altro… Vorrei fare riferimento ad un te-sto probabilmente contemporaneo a questa 1Pt. Un testo scoperto non molto tempo fa, anche se è un testo antico, probabilmente anche più antico di qualcuno degli ultimi testi canonici. Parlo della cosiddetta Lettera a Diogneto; testo che risale più o meno al II secolo, anche se è stato scoperto di recente è diventato in qualche maniera (anche grazie a Giuseppe Lazzati, che aveva fatto dei commenti quando insegnava all’Università Cattolica) il manifesto della laicità. La stessa Gaudium et Spes e la stessa Lumen Gentium quando parla dell’impegno dei laici usa delle terminologie che si ispirano alla Lettera a Diogneto. Anzi addirittura l’attenuano; ad esempio il Concilio dice che i laici devono vivere nel mondo come se ne fossero l’anima, e invece la lettera a Diogneto dice che sono l’anima del mondo, cioè l’elemento che lo vivifica dall’interno. E come lo vivifica? Lo vivifica con una condotta che è difforme da ciò che avviene attorno. Allora dice l’autore della Lettera a Diogneto …”espongono i bambini e voi non lo fate; quelli fanno così ma voi non lo fate…” in modo che rimangono svergognati quelli che malignano sulla vostra buona condotta. Ora questo è paradossale: che si maligni sulla condotta ambigua, su di una condotta cat-tiva… è normale. Si potrà coprire con la buona educazione, con un po’ di savoir faire il pettegolez-zo… ma alla fine a malignare su di una condotta evidentemente cattiva… si hanno tutte le carte in regola.

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Ma qui si tratta di essere presi di mira per la buona condotta, ma evidentemente per la buona condotta in Cristo. E dinnanzi a tutto questo si indicano alcune forme, si danno alcune istruzioni su come i cristiani devono affrontare queste situazioni di ostilità. Innanzitutto devono essere consa-pevoli che la fede in Cristo comporta necessariamente esperienze di rifiuto e di disprezzo. Torno a dire che qui si è rifiutati per la buona condotta in Cristo. Ma questo non deve essere un motivo per evitare di fare il bene. Perché il cristiano deve vigilare per non ritenere come sofferenza e fatica per Cristo quella che invece è causata dalle sue cattive azioni. La prima è benedetta, ed è occasio-ne per testimoniare la speranza, e allora forse alcuni nostri linguaggi andrebbero un pochino ridi-mensionati: …pazienza… portiamo la Croce… No, qui si tratta di quella sofferenza che viene dalla propria buona condotta, non da quelle difficoltà che derivano da eventuali imbrogli che si sono fat-ti. Questo brano permette di illuminare bene la natura della speranza cristiana; ha il profilo della vit-toria sulla paura perché a differenza delle aspettative umane che possono conoscere la disillusione, la speranza cristiana si poggia sulla promessa di Dio. E questa vittoria sulla paura si manifesta co-me certezza che anche nelle sofferenze non si è soli, ma si è perseguitati per la giustizia, e questo è beatitudine. Il cristiano non conta sulla propria forza, sul proprio valore di fronte alla prova, ma ha fiducia nell’aiuto di Dio. Ed ecco allora che la lettera ribadisce che il mezzo con cui il credente affronta le difficoltà è sempre questo: di cercare una stabilità nella Fede. La Fede è la roccia, la rocciosità, implicata nella parola stessa Fede; quella parole Amen che noi pronunciamo ha un ele-mento di rocciosità; Gesù dice che Pietro è Roccia, e su quella roccia sarà fondata la Chiesa, per-ché Pietro dice la Fede e dicendo la Fede diventa roccioso. Il cristiano oppone alla paura il santifi-care Cristo. Il testo dice “adorate il Signore Cristo nei vostri cuori”. Questa è la traduzione che tro-viamo. Cioè si tratta di riconoscere Gesù come la potenza di Dio che salva. E questo non mediante dei gesti esterni, ma attraverso un atto di adesione interiore “nei vostri cuori”, che non è soltanto un sapere che Cristo ha vinto la morte, ma affidarsi alla sua vittoria perché ne diventiamo partecipi anche noi. Qui è implicito un insegnamento sulla preghiera come mezzo che può e deve nutrire la speranza. Questo è oltre ad un’istruzione, oltre ad un ammaestramento su ciò in cui si deve credere e spera-re. Siamo veramente nel nucleo centrale, nell’insegnamento della 1Pt sulla speranza. Questa lette-ra ci chiede una prontezza all’apologia. Questo termine, come dicevo prima, evoca un contesto giuridico e suggerisce il quadro di credenti chiamati in giudizio per la loro identità cristiana. Non dobbiamo pensare necessariamente, come dicevo prima, ad una persecuzione istituzionale, ma an-che a questo senso diffuso di ostilità e di irrisione attorno al comportamento cristiano. D’altra parte questo termine “apologia”… l’autore qui non lo dice, ma per noi che facciamo una lettura globale della scrittura può rimandarci a chi alla fine ci difende nel tribunale del mondo. Nel Vangelo di Gio-vanni troviamo un altro termine giuridico, anche se noi l’abbiamo spiritualizzato: il Paraclito. Il Pa-raclito è l’avvocato difensore, non l’avvocato che crea una patina d’innocenza attorno ad un impu-tato, ma colui che fa venire fuori la verità, lo Spirito di verità. La 1Pt non lo dice, ma noi con quel termine giuridico di Apologia siamo quasi spontaneamente rimandati a questo difensore che si mette accanto a noi “davanti a chiunque vi domandi ragione della speranza”. L’apologia della Speranza richiesta dalla 1Pt ci fa vedere che noi cristiani dobbiamo prendere sul serio qualsiasi richiesta venga avanzata circa la spiegazione del nostro modo di comportarci. Noi qualche volta siamo pronti a dare delle risposte sulle cose in cui crediamo, ma qui si tratta di dare delle motivazioni sul perché ci comportiamo così e non diversamente, quindi il problema è spostato non sulla nostra ortodossia, è spostato sul nostro comportamento. La risposta, dice l’autore, deve essere data con serietà, avvalendosi delle parole e dell’esempio della vita. Già dicevo che forse ci saremmo aspettati la parola fede, invece qui l’autore dice la parola speranza, che dà un orizzonte più grande, più ampio rispetto a quello che ci verrebbe probabilmente dalla parola fede. E dunque nell’orizzonte più grande delle aspettative, dei desideri, degli orientamenti attorno a noi, è in que-sto contesto più grande delle aspettative che prendono rilievo le singole azioni dl cristiano e le mo-tivazioni delle sue scelte.

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Non va data per scontata l’esortazione a rendere ragione della speranza, perché nel momento in cui venne scritto questo testo nel mondo greco-romano pullulavano gruppi esoterici, nei quali i mi-steri rivelati alla comunità dovevano rimanere gelosamente segreti, non divulgati. Anche nella prassi cristiana si registra qualche cosa di simile riguardo all’Eucaristia, e allora il cristiano ricorre a dei simbolismi; ad esempio il più diffuso è quello dell’Iktùs, del pesce, quindi c’è questa chiamata legge di un certo segreto: nell’itinerario di iniziazione il neofita veniva introdotto gradualmente nei misteri della fede, ma questa cosiddetta legge dell’arcano non significava affatto, non aveva un va-lore di esoterismo. Vedete, se noi guardiamo a tante trasmissioni che si fanno in televisione su questioni che hanno in qualche maniera a che fare con l’esperienza religiosa, questi hanno sempre la tendenza di andarsene sull’esoterismo. Lasciamo stare il Santo Graal nella narrativa contempo-ranea. Nel pomeriggio è venuto a trovarmi un mio ex alunno che ha discusso un dottorato di ricer-ca su alcuni problemi di ontologia rosminiana; parlavamo di alcune connessioni e lui mi diceva “io da Rosmini sono stato portato a S.Tommaso, per cui ogni volta che leggevo l’Ontologia di Rosmini dovevo andare sempre alle questioni sulla verità di S.Tommaso”. Parlando di questo io lo incorag-giavo a prendere delle piste di ricerca, e alla fine ho preso un libro e gli ho detto “senti, leggiti questo libro”, e il libro era la tesi di laurea di Umberto Eco, il quale ha fatto una tesi di Laurea sull’estetica in S.Tommaso d’Aquino, e ha scritto anche dei trattati sull’estetica nell’età medievale, ecc. E’ vero che Umberto Eco ha scritto “Il nome della rosa”, ma si tratta di tutt’altro genere rispet-to al Codice Da Vinci. Il campo di Umberto Eco è la filosofia, non l’esoterismo, anche se lui pone un elemento costitutivo nel libro di Aristotele sul riso, sulla comicità… Ma questa è una questione medievale… oggi l’esoterismo è di moda… Ieri sera casualmente sono tornato tardi e facendo zapping sono capitato su RAI 3 dove si stava concludendo la trasmissione di Enigma, e allora Mi-lingo… segreti di Fatima… tutto andava nel senso dell’esoterismo e dell’apocalittica. Il cristianesimo non ha nulla di esoterico, e allora quando l’autore dice “pronti a dare ragione da-vanti a chiunque ve lo chieda”, qualunque tipo di richiesta… questo è importante: il cristiano non deve avere paura di dichiarare davanti al mondo quello che lo rende capace di sostenere sofferen-ze e persecuzioni, proprio perché il mistero pasquale ha una portata universale, e non è riservato a pochi adepti, a pochi scelti. Una questione non secondaria di una ribellione (chiamiamola chiara-mente così, perché tentativi di metterci d’accordo a mio parere sono fasulli, chiunque li faccia, e non vanno da nessuna parte) lefervriana, ad esempio, riguardo alla riforma del Concilio sta proprio nel fatto che è evidente nelle traduzioni delle parole della consacrazione sul calice “pro multis”… la traduzioni dicono “per tutti”, ora loro dicono che è un tradimento del Vangelo, perché la salvezza è per molti ma non è per tutti. Quindi ci sono alcuni che sono esclusi… questo non è secondario; questo non è questione di messale romano di Paolo VI o di messale di Pio V… sono questioni che toccano l’essenza della portata universale della salvezza. Proprio perché il mistero pasquale di Cristo ha una portata universale, e non esclude nessuno as-solutamente, ecco che l’autore della 1° di Pietro dice “le ragioni del vostro comportamento”, per-ché fate così e non diversamente, dovete dirlo a tutti. Questa insistenza con cui il cristiano deve giudicare la propria speranza ha una duplice ragione. Sul versante del destinatario dell’apologia, della difesa, il quale è convinto non dall’aggressività (“fatelo con dolcezza e rispetto”) ma da un at-teggiamento rispettoso e amabile; ma anche sul versante del testimone il rispetto significa timore di Dio che gli impedisce di far crescere il proprio io in modo enfatico perché questo significherebbe sminuire Dio. D’altra parte la rinuncia ad argomenti aggressivi, in favore di argomenti non violenti può anche incontrare incomprensione e non ottenere effetto sul destinatario dell’apologia. La 1Pt non garantisce un risultato automatico, magico della testimonianza cristiana, anche quando l’autenticità della testimonianza di un cristiano sia assodata. Ebbene, pure in questo caso, il cristia-no non si deve scoraggiare ma, sorretto dalla testimonianza della sua buona coscienza, saprà leg-gere in questa sofferenza non un segno di disinteresse da parte di Dio, ma il compiersi di un suo misterioso piano con cui egli vuole ancora di più benedirlo proprio attraverso la prova di un dolore accettato con serenità e fiducia.

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Quindi, vorrei insistere ancora di più, non si tratta di quelle normali difficoltà che ci sono nel com-piere il bene, nel ricercare la verità… queste sono difficoltà che trovano tutti, anche i non cristiani. Ancora una volta viene suggerito indirettamente al lettore che la sofferenza può avere una grande dignità, proprio perché può essere letta e vissuta come partecipazione alla sofferenza di Cristo stesso (questo lo si dice nel capitolo successivo). Proprio per questo la sofferenza non è una smen-tita della speranza, ma proprio un’occasione perché diventi più vigorosa. La situazione di prova, in-fatti, ci lascia capire che la nostra speranza non è ottimismo; e proprio la situazione di prova met-te in evidenza la dimensione di qualità teologale, cioè di una grazia che Dio accorda ai credenti perché siano perseveranti nell’attesa del suo ritorno. Ecco perché nell’ultima parte della lettera, nel cap. 5, si parla anche del comportamento del cristiano in quella che si chiama la sofferenza escato-logica. Questo ci lascia capire che la speranza cristiana non è una fuga nel futuro di fronte ad un presente difficile, ma piuttosto è una risorsa per rimanere stabili, per resistere oggi. Uso questa parola “resistenza” non nel senso dei partigiani, ma nella terminologia di un grande testimone della fede in una situazione difficile, Dietrich Bonnoeffer, il quale parla di una resistenza; lui resiste al malvagio, si arrende a Dio, ma questo è un altro discorso. Quello che vuol farci capire l’autore del-la lettera di Pietro è che la speranza non è una fuga utopistica, non è una utopia… me ne vado da qui… fuggo da qui… sperando in una soluzione migliore… Se noi dovessimo fare questo faremmo la fine di quelli che ad ogni annuncio di fine del mondo lo spostano di qualche giorno o di qualche anno… tanto è meglio dire che sarà domani… allora si fa in questo caso la morte dalle mille quali-ficazioni: ogni volta che c’è qualcosa che ci smentisce… abbiamo ragione: spostiamo il problema. No, la nostra speranza non ci fa spostare i problemi, ma la speranza è una risorsa per affrontare oggi una situazione difficile qualunque essa sia e da chiunque questa difficoltà provenga.