LETTERE EREMO N 62 - eremodeisantipietroepaolo.it · nessuna seccaturaʼ, scrive il Presidente ......

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APRILE 2007 ANNO XXI EREMO DEI SANTI APOSTOLI PIETRO E PAOLO BIENNO (BS) 62 LETTERE DALL’EREMO

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APRILE 2007

ANNO XXI

EREMO DEISANTI APOSTOLIPIETRO E PAOLO

BIENNO (BS)

62LETTEREDALL’EREMO

LETTEREDALL’EREMODirettore ResponsabileDon Gabriele Filippini

Autorizzazione n. 4/89del Tribunale di Brescia

EREMO DEI SANTI APOSTOLIPIETRO E PAOLO25040 BIENNO (Brescia)Telefono 0364/[email protected]

ABBONAMENTO:Ordinario € 30,00Sostenitore € 50,00C.C. Postale n. 17738253int. a Alma Tovini Domus

Stampa: Tip. Camuna S.p.A. - BrenoTel. 0364/22007

Si ringrazia la

che, condividendone le finalità, contribuisce alla stampa e spedizione di questa rivista.

Dall’Eremo

Dal MonasteroDalla ValleCulturaL'intervistaGruppiScuolaInsertoProblemiStoriaArte e LetteraturaAmiciPersonaggi e TempiLetture

TestimonianzeAvvenimenti

Emergenza educativa, passione educativa pag. 3Padre che siano una cosa sola pag. 5Adorazione. Un privilegio che si fa Carisma pag. 10Cristianesimo - Islam pag. 11

Croce gloriosa, nella resurrezione... pag. 13

La fiaccolata in onore del Beato Innocenzo pag. 17Progetto “Ponte e Linea” pag. 19

Educazione e Carità al centro della storia pag 21

I primi istanti della vita umana pag. 24

Giovani e chiesa in Vallecamonica pag. 31

Educazione e persona pag. 32

Su di te sia pace... da Gerusalemme pagg. I-XII

Laici testimoni del vangelo pag. 33

L'Arciprete don Pietro Togni pag. 36

Chiesa di Santa Maria in Darfo pag. 39

Ricordando Mons. Giuliano Franzoni pag. 42

Ludovico Ballardini da Breno pag. 43

Gli scritti della Beata Maria Maddalena pag. 46Artogne: La terra e gli abitanti pag. 50Spigolature di Vangelo pag. 51Parco dell'Adamello pag. 53Ettore Calvelli Scultore pag. 54Pievi della montagna Lombarda pag. 56

A Ossimo il XIX colloquio internazionale pag. 58Don Giuseppe Garatti pag. 60

Il ricordo di Madre Annunciata Cocchetti pag. 61Cinquant'anni con il Pro Familia pag. 63

E ̓davvero preoccupante ciò che sta avve-nendo nella scuola italiana. Anche perchè è un segno grave del disagio che investe il tema dellʼeducare oggi.Un preside malmenato per aver richia-mato alcuni alunni a Bari; un professore di ginnastica aggredito, nel Ferrarese; un altro a Torino pestato da tre alunni; disa-bili umiliati dai compagni; episodi, più o meno, a ʻluci rosseʼ.Occorre fare presto, pensare e costruire percorsi di intervento: otto ragazzi delle medie su dieci, secondo unʼindagine pro-mossa dalla Società Italiana di Pediatria, sostengono di aver subito o assistito ad

atti di bullismo. Questi fatti denotano un altro elemento estremamente grave: il conflitto, lo scollamento, la rottura tra famiglia e scuola.ʻMolte famiglie hanno abbandonato la loro responsabilità educativa e difendono ad oltranza i comportamenti sbagliati dei figli per ottenere un po' di consenso. Ma in questo modo diseducano. Sembra che oggi in molti genitori lʼinteresse per la scuola sia in calo. Si chiede un titolo e nessuna seccaturaʼ, scrive il Presidente dellʼAssociazione nazionale presidi.E da più parti i genitori o parenti arri-

EMERGENZA EDUCATIVA...PASSIONE EDUCATIVA!

DallʼEremo

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vano, loro stessi, a insultare, minacciare, picchiare insegnanti e presidi.Certamente non mancano episodi gravi e diseducativi anche da parte della classe docente.Di fronte a questa situazione Papa Be-nedetto XVI ha parlato di ʻemergenza educativaʼ. Una prima evidenza è chiaris-sima: la scuola oggi è costretta a dire dei no che i genitori non vogliono più pro-nunciare. Gli insegnanti sono diventati le controfigure dei padri e delle madri e li sostituiscono in alcune azioni educative. E spesso ne pagano le conseguenze. Tra lʼaltro con genitori che rifiutano di essere presenti nella scuola, fosse solo agli in-contri proposti per loro. In questo clima, la Presidente del Tribunale dei minori a Milano rincara fortemente la dose: ̒ Cʼè un forte richiamo alla responsabilità educa-tiva dei genitori, che, se non invertono la tendenza, rischiano di educare una nuova generazione di mostri. E ̓pur vero che la famiglia non deve essere lasciata sola: teppismo, bullismo e violenze sono segnali di un disagio e di una frattura avvenuta tra il mondo dei ragazzi e quello degli adultiʼ. Corale, allora, il bisogno di tornare ad una corresponsabilità nellʼazione edu-cativa che veda lʼincontro di famiglia, ente pubblico, scuola e la comunità cristiana. Ad alta voce, da più parti, si reclamano politiche familiari più decise che aiutino le famiglie a reimpostare la propria modalità di vita. Interventi economici a sostegno, soprattutto, delle famiglie numerose, un aiuto per poter riconciliare il tempo della famiglia con il tempo del lavoro, sinergie educative dove venga riconosciuto, come intervento con valenza educativo, lʼopera e la proposta della comunità cristiana.Certamente gli adulti sono i primi che de-vono riflettere. Ha fatto scalpore, come af-ferma Livia Pomodoro, presidente del Tri-

bunale dei minori di Milano, una sentenza dello stesso Tribunale dove si menzionava chiaramente ʻla responsabilità delle fami-glie per il mancato controllo educativoʼ.E ̓il tempo del lavorare insieme per rico-struire il tessuto sociale ed educare i nostri ragazzi e adolescenti ̒ ad avere unʼanimaʼ, perchè, poi, la loro vita ʻabbia unʼanimaʼ. Anche la comunità cristiana dovrà ripen-sarsi in questo orizzonte. Abbiamo una storia, abbiamo progetti, abbiamo am-bienti.... che non ci manchi una ʻpassione educativa ̓che ci fa rimettere tutto in gioco in questʼoggi, in questo presente che la Provvidenza ci dà da vivere.Unʼopera, appena edita dallʼEditrice Que-riniana, porta come titolo ʻNegli oratori lʼoratorioʼ. Un libro-inchiesta che racconta di luoghi ʻfrontiera educativaʼ, di strutture che ʻesprimono la ricchezza di un tessuto ecclesiale vivo, con una passione forma-tiva nutrita alla tradizione ma capace di assumere svariate e nuove formeʼ.Un ʻrischio educativo ̓da assumerci di nuovo, come comunità, per dire la bel-lezza della vita, di ogni vita.

DON RENATO MUSATTI

Dal 18 al 26 gennaio scorso, si è celebrata la Settimana di preghiere per l'Unità dei Cristiani, che quest'anno, aveva come tema: "Fa sentire i sordi e fa parlare i muti (MC 7, 31-37). Il 20 dello stesso mese, si è svolta l'ormai tradizionale "Via Pacis" (Marcia per la pace) organiz-zata dall'Eremo, svoltasi nella serata, da Bienno ad Esine. Era stata preceduta dallʼincontro con il Padre Pierbattista Pizzaballa, custode di Terra Santa, la cui attività pastorale è affi-data ai padri francescani. Egli aveva pro-posto la riflessione: "Su di te, sia pace... da Gerusalemme, un germoglio di pace per tutta la terra". Il 26 ho celebrato la festa della Conversione di San Paolo,

giornata conclusiva della Settimana di preghiere, con le nostre Suore Clarisse es-sendo io Rappresentante del Papa in Siria dove Paolo, da persecutore della Chiesa, per intervento diretto di Dio, è diventato l' "apostolo delle genti". Tutti questi "eventi spirituali” li ho vissuti con voi ed alcuni dei nostri sacerdoti mi hanno chiesto, con affettuosa insistenza, di riassumere le mie impressioni, con-siderata lʼesperienza che sto facendo in Siria. Aderisco volentieri nella speranza di aiutare il nostro impegno comunitario e personale nel propiziare l' "avvento del Regno di Dio".Per avere un'idea più esatta di che cosa è 1' ecumenismo, bisogna sapere che

PADRE CHE SIANO UNA COSA SOLA

DallʼEremo

Un momento della “Via Pacis”, da Bienno ad Esine con Mons. Morandini e Padre Pizzaballa.

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esso trova la sua origine nel testamento di Gesù che ci è stato lasciato dall'apo-stolo dellʼamore San Giovanni, nel cap. 7, 20-21, del suo vangelo: "Padre, lʼora è venuta. Manifesta la gloria del Figlio per-ché il Figlio manifesti la sua gloria. Io non prego soltanto per questi miei discepoli, ma prego anche per gli altri, per quelli che crederanno in me dopo avere ascoltato la loro parola. Fa che siano tutti una sola cosa: come tu, Padre, sei in me ed io sono in te, anch'essi siano in noi. Così il mondo crederà che tu mi hai mandato".Cristo Signore ha affidato alla sua chiesa questa missione e la chiesa nostra, gui-data dal Papa e dai Vescovi (io sono con voi sino alla fine dei tempi, ha assicurato Gesù) con i sacerdoti come collabora-tori diretti, è responsabile ultima e si è arricchita, via via nei secoli, anche degli strumenti pastorali necessari. Quindi, per ricuperare la piena comunione in sè, co-munione rottasi sin dai primi tempi della sua istituzione, ha dato vita anche alla Settimana di Preghiere, in piena armonia con il Consiglio Ecumenico delle Chiese Cristiane.Sempre cosciente delle sue responsabilità di essere "sacramento di salvezza" ed at-tenta ai "segni dei tempi", la chiesa - che ha celebrato negli anni sessanta il Concilio Vaticano II - ha promulgato, tra l'altro, il Decreto Unitatis Redintegratio sull'ecu-menismo per promuovere il ristabilimento dell'unità tra tutti i cristiani; e la Dichiara-zione Nostra Aetate sulle relazioni della chiesa con le religioni non cristiane.Quanto mai provvidenziale la lungimi-ranza di questa “Madre e Maestra” sempre attenta ai "segni dei tempi": questi docu-menti sono diventati di pregnante attualità per quanto oggi siamo chiamati a vivere, come credenti e come cittadini, in una so-cietà diventata ormai multirazziale, multi-

culturale, multireligiosa. Infatti, anche noi viviamo quotidianamente a contatto con amici e fratelli di diverse razze, culture e religioni che ci obbligano a vivere, in integrità, la nostra vocazione cristiana e civile. Il Decreto sull'ecumenismo (con gli orto-dossi ed i protestanti) proclama: "Da Cri-sto Signore la Chiesa è stata fondata una e unica, eppure comunioni cristiane propon-gono se stesse agli uomini come la vera eredità dì Gesù Cristo. Tutti invero asse-riscono di essere discepoli del Signore, ma hanno opinioni diverse e camminano per vie diverse come se Cristo stesso fosse diviso. Tale divisione non solo si oppone apertamente alla volontà di Cristo, ma è anche di scandalo al mondo e danneggia la più santa delle cause: la predicazione del Vangelo ad ogni creatura".La Dichiarazione sulle relazioni della

Giovanni Paolo II saluta la folla davanti alla chiesa del Memoriale di S. Paolo

a Damasco, Siria, il 7 maggio 2001.

Chiesa cattolica con le religioni non cri-stiane, ci ricorda che possiamo - nel vivere in ufficio, al lavoro, a scuola, nel diver-timento - incontrare amici e fratelli del-lʼInduismo (cerca, tra l'altro, la liberazione dalle angosce della nostra condizione, con forme di vita ascetica, di meditazione profonda, nel rifugio in Dio, con amore e confidenza); del buddismo (riconosce la radicale insufficienza di questo mondo mutevole ed insegna come acquistare lo stato di liberazione perfetta o giungere allo stato di illuminazione supremo con il proprio sforzo o l'aiuto che viene dal-l'alto); con altre religioni che si sforzano di aiutarci a superare le inquietudini del cuore umano attraverso dottrine, precetti di vita e riti sacri.Ma la situazione del tutto nuova in cui viviamo oggi in Italia, ci pone davanti so-prattutto all' Islam, la religione islamica, (n. 3 della su ricordata Dichiarazione), di cui ne riassumo rapidamente i contenuti: "essi (musulmani) cercano di sottomettersi con tutto il cuore ai decreti di Dio anche nascosti, come vi si è sottomesso anche Abramo, a cui la fede islamica volentieri si riferisce"; adorano lʼunico Dio; venerano Gesù come profeta, ma non come figlio di Dio; onorano e invocano la Vergine Maria; attendono il giorno del giudizio "quando Dio retribuirà tutti gli uomini resuscitati”, stimano la vita morale e rendono culto a Dio soprattutto con la preghiera, le elemo-sine e il digiuno "."Se nel corso dei secoli, non pochi dis-sensi e inimicizie sono sorte tra cristiani e musulmani, il Santo Concilio esorta tutti a dimenticare il passato e ad esercitare la mutua comprensione, nonché a difendere e promuovere insieme per tutti gli uomini la giustizia sociale, i valori morali, la Pace e la libertà").D'altra parte, non possiamo non ricordare

nel contesto internazionale, anche quanto detta Dichiarazione afferma su La reli-gione ebraica (n. 4): "...la Chiesa di Cri-sto (...) riconosce che gli inizi della sua fede e della sua elezione si trovano già, secondo il mistero divino della salvezza, nei patriarchi, in Mosè e nei profeti...la Chiesa crede che Cristo (...) ha riconci-liato gli ebrei e i gentili per mezzo della sua croce e dei due ha fatto una sola cosa. Essa ricorda che dal popolo ebraico sono nati gli apostoli. (…) Essi (gli ebrei) in gran parte non hanno accettato il Vangelo ed anzi non pochi si sono opposti alla sua diffusione (...). Tuttavia rimangono an-cora carissimi a Dio... "."E se è vero che la Chiesa è il nuovo po-polo di Dio, gli Ebrei tuttavia non devono essere presentati come rigettati da Dio, né come maledetti ". "La Chiesa che esecra tutte le persecu-zioni contro qualsiasi uomo (...) e spinta non da motivi politici, ma da religiosa carità evangelica, deplora gli odi, le per-secuzioni e tutte le manifestazioni dell'an-tisemitismo dirette contro gli Ebrei in ogni tempo e da chiunque".Ascoltiamo e meditiamo insieme quanto scrive, nella conclusione, la Dichiarazione sulla Fraternità per trovare ispirazione al nostro essere di cattolici e di cittadini ac-canto ai nostri amici e fratelli musulmani e ebrei: "In conseguenza, la Chiesa ese-cra, come contraria alla volontà di Cristo, qualsiasi discriminazione e persecuzione tra gli uomini perpetrata per motivi di razza e di colore, di condizione sociale o di religione. E quindi il Santo Concilio seguendo le orme dei Santi apostoli Pietro e Paolo ardentemente scongiura i cristiani che - mantenendo tra le genti una condotta ineccepibile - (1Pt 2, 12), se è possibile, per quanto da loro dipende, stiano in

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pace con tutti gli uomini affinché siano realmente figli del Padre che è nei cieli".Per dare concreta applicazione a tali enun-ciati dottrinali, la Chiesa ha provveduto alla creazione del Pontificio Consiglio per la Promozione dell'Unità dei Cri-stiani e Pontificio Consiglio per il Dia-logo Inter-religioso. Essi sono gli uffici tecnici, si può dire, attraverso i quali il Santo Padre, il Papa, risponde alla sua missione di Pastore uni-versale della Chiesa cattolica, perché tutti noi, in obbedienza filiale ai nostri Vescovi e con i nostri sacerdoti possiamo disporre delle linee-guida nei comportamenti umani e cristiani del nostro essere "seguaci di Cristo".Per soddisfare, in qualche modo le vo-stre giuste e legittime curiosità visto che rappresento il Santo Padre in Siria, in quel Medio Oriente oggi al centro delle preoccupazioni del mondo intero, vi posso assicurare che la mia esperienza umana, diplomatica e sacerdotale è tra le più arric-chenti di quelle che ho vissuto in 40 anni di servizio alla Chiesa universale.La Siria è un paese arabo-musulmano nel quale convivono cattolici, cristiani, musul-mani - maggioranza assoluta - e persino un piccolo gruppo di ebrei. Essa affonda le sue radici in una storia mil-lenaria testimoniata da un'impressionante ricchezza archeologica, che attira turisti da ogni parte del mondo. Essa ha assicurato, tra l'altro, 4 Impera-tori all'Impero Romano e diversi Papi alla Chiesa cattolica.I cattolici sono una piccola minoranza e vivono organizzati in chiese apostoliche 'sui juris' (Chiesa melkita-cattolica, Chiesa Siro-cattolica, Chiesa armeno-cattolica, Chiesa Maronita, Chiesa Latina), che si rifanno al tempo degli Apostoli. Esse si distinguono per il rito, cioè per

la differenze nella celebrazione della S. Messa e sono rette dal Codice per le Chiese Orientali, dalle loro ricchissime tradizioni culturali e spirituali, il tutto in perfetta comunione e filiale obbedienza al Santo Padre.Le relazioni con il mondo musulmano sono serene, rispettose e costruttive grazie ad una ricca tradizione risalente ai tempi dei primi cristiani, alla cultura della solida-rietà, al governo del Presidente della Re-pubblica Bashar al-Assad, che fa cardine della sua politica il pluralismo religioso.In una recente intervista, il metropolita siriano Isidore Battikha ricordava giusta-mente che in Siria "esiste ancora il reato di apostasia (conversione al cristianesimo), ma che oggi l'omicidio di un apostata non è più accettato dall'opinione pubblica e lo stesso Presidente ha dichiarato che ciò non ha più senso. Io, sottolinea mons. Bat-tikha, "nonostante le difficoltà battezzo i musulmani". La strategia cui si ispira il Presidente è proprio di separazione tra religione e politica in forza della laicità dello Stato che, seppure a maggioranza musulmana, fa del pluralismo religioso il suo fiore al-l'occhiello.Tutto questo è accertato anche dalla storia: la mondialmente conosciuta moschea degli Omayyadi di Damasco, è stata la “prima moschea in cui è entrato un Papa”, il ve-nerato Giovanni Paolo II, durante la sua visita apostolica in Siria, del maggio 2000. Essa è ormai considerata pietra miliare del dialogo islamo-cristiano.Ufficialmente sannita, in essa vi pregano anche gli sciiti, ma pure i cristiani, visto che vi è conservata, secondo un'antica tra-dizione, la testa di San Giovanni Battista. Le donne siriane vivono in totale libertà, come ogni altro cittadino: le musulmane accanto alle cristiane, accettate e rispettate

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anche nei loro modo di vestire. E ciò gra-zie alla Costituzione che riconosce totale uguaglianza di diritti e doveri per tutti. Da decenni, il governo promuove la parteci-pazione femminile in tutti i settori della vita pubblica, dall'università, all'esercito fino alla politica.Oggi, i cattolici della Siria godono di un Nuovo Codice che ne regola giuridica-mente il loro statuto personale, che li fa cittadini, di pieno diritto, di fronte alla legge. Vorrei fermarmi qui. Questi brevi cenni stuzzicheranno certa-mente la vostra...fantasia, ma forse ancor più i vostri occhi, il vostro cuore, la vostra intelligenza, la vostra volontà a guardare, con fiduciosa apertura, verso un mondo che ci è, che ci sarà amico-fratello nella misura con cui obbediremo alla nostra Chiesa Cattolica che - per voce ed esem-pio del suo Fondatore Gesù - ci comanda di amare tutti, anche i nemici, di non fare agli altri quello che non vogliamo che altri facciano a noi, perché saremo giu-dicati sull'amore: quello che hai fatto al più piccolo dei miei, lo hai fatto a me (Mt 25,40). Concludo con il nostro Papa Be-nedetto XVI.

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Gruppo di religiose all'Eremo.

Pochi giorni or sono, parlando ai membri della Fondazione per la ricerca e il dia-logo interreligiosi e interculturali, racco-mandava: “E' molto importante disporre oggi di un punto di riferimento comune grazie alla realizzazione del vostro lavoro. Potremo così progredire nel dialogo in-terreligioso ed interculturale, dialogo oggi più necessario che mai: un dialogo vero, rispettoso delle differenze, corag-gioso, paziente e perseverante, che trae sua forza dalla preghiera e si nutre della speranza".E con i membri della Commissione per il Dialogo Teologico con le Chiese Or-todosse Orientali, insisteva: “Il vostro incontro concernente la costituzione e la missione della Chiesa è di grande im-portanza per il nostro cammino comune verso il ripristino della piena comunione. La Chiesa Cattolica e le Chiese Ortodosse Orientali condividono un patrimonio ec-clesiale che deriva dai tempi apostolici e da primi secoli del cristianesimo".

+ GIOVANNI BATTISTA MORANDINI NUNZIO APOSTOLICO IN SIRIA

ADORAZIONE:UN PRIVILEGIO CHE SI FA CARISMA

DallʼEremo

“Prima di ogni attività e di ogni muta-mento del mondo deve esserci lʼAdora-zione. Solo essa ci rende veramente li-beri; essa soltanto ci dà i criteri per il nostro agire. Proprio in un mondo in cui progressivamente vengono meno i criteri di orientamento ed esiste la minaccia che ognuno faccia di se stesso il proprio crite-rio, è fondamentale sottolineare lʼAdora-zione” BENEDETTO XVI (discorso alla curia romana per la presentazione degli auguri natalizi 2005) Giovedì 18 gennaio 2007 è stata una data importante per lʼIstituto delle Suore Sa-cramentine di Bergamo, come pure per gli amici di Bienno che da qualche tempo lavorano per promuovere il carisma sa-cramentino e la storia della santità nella nostra Val Camonica. Alle ore 18, nella chiesa del locale monastero di S.Chiara, infatti, si è svolto un solenne momento di riflessione e di preghiera nella circostanza del centosessantesimo anniversario della nascita a Bienno della Beata Geltrude, al secolo Caterina Comensoli. La ricorrenza è stata dunque vissuta, in unione spirituale tra il paese dʼorigine in Val Camonica e casa madre nel capoluogo orobico, con un momento di adorazione eucaristica promosso insieme alle sorelle Clarisse - sul colle della Maddalena dove peraltro la Beata Geltrude iniziava giovanissima la sua opera di apostolato - mediante la guida spirituale ulteriore di don Renato Musatti, vicario per la zona pastorale seconda, e di suor Germana Crotti, superiora generale dellʼIstituto. Il titolo dellʼincontro, “Ado-

razione. Un privilegio che si fa carisma”, ha seguito uno schema che tendeva a ri-cordare anzitutto il rilievo della pratica religiosa dellʼadorazione eucaristica, dono del Signore inizialmente riservato a pochi ed iniziato nel basso medioevo nei monasteri di clausura (meditazione di don Renato), in secondo luogo è stata invece richiamata lʼesperienza di Caterina Comensoli, dando voce al suo spirito eu-caristico che è diventato condivisione nella storia grazie alla estensione del suo originale carisma, espresso nella congre-gazione religiosa ancora oggi presente ed attiva (meditazione di suor Germana). Questa sorta di ritorno alle origini, con il pensiero, il silenzio e la preghiera, è stato naturalmente aperto a tutte le comunità della zona, nel senso di una rinnovata e comune ricerca della santità nella nostra storia, ed ha visto la partecipazione di ol-tre cinquanta persone, tra le quali si rico-noscevano alcuni sacerdoti come il nuovo arciprete di Breno mons. Franco Corbelli. A promuovere lʼimportante momento spi-rituale sono state lʼAssociazione Simoni Fé di Bienno, che da anni lavora in que-sta direzione, alla quale per lʼoccasione si è unito il patrocinio e lʼadesione fattiva dellʼAgesc, lʼassociazione che riunisce i genitori con figli iscritti alle scuole catto-liche della provincia di Brescia, la quale non ha disdegnato per la propria forma-zione interna di favorire la partecipazione ad intensi momenti di preghiera come quello presentato.

ADA MICHELI, CATERINA BETTONI

CRISTIANESIMO - ISLAMCONOSCERSI PER DIALOGARE

DallʼEremo

“ Solo conoscendosi ci si può apprezzare, stimare e aprire vie di dialogo”… recitava la locandina del corso di I livello proposto dallʼEremo su Cristianesimo e Islam.I relatori, tutti docenti universitari impe-gnati da tempo a dare cuore e testa al tema presentato, attraverso cinque incontri sem-pre molto partecipati e coinvolgenti hanno affrontato i seguenti argomenti: conoscere lʼIslam, le convergenze e le lontananze tra cultura musulmana e cristiana, la situa-zione delle minoranze cristiane in paesi a maggioranza islamica e quali percorsi intraprendere per affrontare il problema dellʼintegrazione.“Non possiamo ragionare del mondo isla-mico pretendendo di sminuirlo, senza co-noscerlo” ha esordito uno dei relatori. L̓ idea che accompagna ogni musulmano è di essere una creatura nelle mani di Dio, che egli adora con i gesti e con la vita, non solo con la sua spiritualità, e a cui si sente sottomesso. Infatti, il termine ISLAM si-gnifica proprio SOTTOMISSIONE.L̓ uomo conosce naturalmente lʼesistenza di Dio (attraverso la creazione, i profeti, il Corano), ma rimane incapace, da solo, di raggiungerne il mistero. Il Corano of-fre una LEGGE, che viene applicata alla quotidianità, non un pensiero su Dio; al musulmano non importa chiedersi “per-chè Dio vuole questo?” ma sottomettersi, adorare, relazionarsi in silenzio.Nel cristianesimo, Dio ci ha raggiunti con Gesù e attraverso di Lui possiamo conoscerlo, amarlo, pregarlo, vivere in familiarità…

Nel contesto Coranico, Abramo si di-spone semplicemente a sacrificare il figlio Ismaele, senza rivendicare nulla, icona di una fede che dice la totale fiducia nei con-fronti di Dio. Cʼè unʼestrema lontananza tra il Dio creatore e la sua creatura, Dio è il totalmente altro. Il musulmano, nella sua vita, obbedisce semplicemente alla

legge divina, che generazioni di maestri hanno cercato di esplicitare. Gli obblighi del credente non riguardano solo il culto, ma anche la vita pratica: gli stessi legami di sangue sono rivisitati in chiave di fede. La comunità del profeta (la UMMA) è lʼunica, la MIGLIORE perchè ha ricevuto il messaggio Coranico. La fede diventa un compito sociale, il solo valore che rende possibile la comunità proprio per il fatto che la UMMA, segno visibile di un mondo rinnovato secondo la prospettiva di Dio, è qualcosa di fortemente vissuto, si rifà alla legge migliore, coalizza. L̓ individuo passa in secondo piano rispetto alla comunità, che pone le sue radici nella trascendenza di Dio. Siccome la comunità prevale sul singolo, manca la libertà di coscienza; la donna ha sempre bisogno della tutela del maschio, lo studente della tutela dellʼin-segnante…Essere credente diventa il FARE: bisogna agire nella vita pubblica, esserci. La legge religiosa, inglobata nel sociale, diventa una specie di controllo e il Corano il libro dei comportamenti.La presenza dei musulmani in Italia è di lunga durata, e irreversibile. Soprattutto negli ultimi 20 anni, abbiamo assistito ad un rilevante fenomeno di immigrazioni ed è inevitabile, quasi fisiologico, che si creino tensioni. Il pericolo che corriamo è di costruire lo stereotipo dellʼaltro, cioè vederlo come vorremmo che fosse, o come abbiamo paura che sia: rischiamo così di pensare che tutti i musulmani siano ter-roristi, o maschilisti…(Lo stereotipo può farci percepire cose che non ci sono).Per prevenire questo processo dobbiamo conoscere di più i musulmani, nel bene e nel male, al fine di costruire una società inclusiva.Ci sono 3 modi di affrontare il problema dellʼintegrazione:

- modello dell̓ assimilazione (zuppiera): i sin-goli ingredienti si mescolano e non si distin-guono più. Gli immigrati perdono l̓ identità in quella del popolo che li accoglie;

- modello del multiculturalismo (insala-tiera): distinguiamo una verdura dal-lʼaltra; ciascuno mantiene, separata, la propria identità, la propria cultura, il proprio modo di vivere accanto alla co-munità ospitante;

- modello dellʼintegrazione (mosaico): ciascuno mantiene la propria identità, ma acquista un senso allʼinterno del contesto globale.

Lʼunica, permanente soluzione la si può trovare nellʼintegrazione: dobbiamo coin-volgere lʼimmigrato e, perché anche a lui stia a cuore la sicurezza, deve vivere qui sentendosi a casa sua.

Costruzione delle moschee E ̓diritto di ciascuno avere un posto dove trovarsi per pregare e compiere cerimo-nie religiose. I musulmani hanno diritto ad avere un luogo dove pregare, che non sia però utilizzato per altre finalità. E ̓ne-cessario, pertanto, che vengano precisate le regole da rispettare, come pure qualche forma di collaborazione tra musulmani ed italiani per poter controllare cosa viene in-segnato nelle moschee e le attività cultu-rali ad esse collegate.

Quali percorsi futuri?

I musulmani ci pongono una realtà da af-frontare, che ci sta interpellando.Dobbiamo considerarli come fratelli e non come nemici, pur con la dovuta prudenza, chiedendo reciprocità a livello civile ed amministrativo.

ANNA MIORINI

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CROCE GLORIOSA, NELLA RESURREZIONE CHE È VITA, LUCE, FUTURO

Dal Monastero

La parola del vangelo che noi ascoltiamo, crediamo, viviamo, annunciamo, ci con-duce alla “conoscenza della gloria divina che rifulge sul volto di Cristo”. Così dice Paolo nella seconda lettera ai Corinzi (4,6). Tale affermazione raggiunge tutta la sua verità, quando Cristo dà la vita per noi sulla croce. Qui si svela la sovraeminente gloria della nuova alleanza. Da qui inizia la potente risurrezione che costituisce Cri-sto, Signore del cielo e della terra, Signore della storia: “Vincitore trionfale contro la morte si dimostrò lui immerso nella morte; poiché prese una carne passibile animata, questo Dio nostro, e lottando col tiranno, risuscitò tutti con sé, perciò è glorificato (da unʼode di san Giovanni Damasceno).Sembrano però necessarie alcune preci-sazioni poiché la croce e la gloria, al di fuori delle preghiere ispirate dei santi, non stanno insieme facilmente e non sono realmente confrontabili. La passione e la morte di Gesù sono fatti storici, accaduti sotto gli occhi di tutti, ri-levabili con i mezzi della ricerca storica. La risurrezione di Gesù è un fatto reale, ma non afferrabile in sé da una ricerca storica. La ricerca storica può però seguirne le tracce, cogliere lʼalone provocato da questo evento, può cioè registrare il cam-biamento avvenuto nei discepoli, che da paurosi e nascosti diventano coraggiosi annunciatori del Signore risorto che si è loro manifestato. La croce nel suo accadere storico non ha

nulla di glorioso, è la fine brutalmente in-flitta ad un uomo ormai fallito. La risur-rezione non rimedia a questo, non riporta ad una più felice situazione, non vendica il torto subito. La risurrezione accade su altro piano. La risurrezione è lʼirrompere della potenza di Dio in una vicenda chiusa per riaprirla al futuro e noi ne abbiamo conoscenza certa della parola dei testimoni.Di solito è molto più agevole parlare della passione e morte di Cristo che della sua risurrezione, in quanto la sofferenza la co-nosciamo tutti almeno un po ̓e ci imme-

desimiamo con facilità. Della risurrezione invece non abbiamo esperienza diretta e quando se ne parla si ha spesso lʼimpres-sione di fare della poesia, invece che della teologia. La risurrezione è attingibile solo nella fede, il che non significa che sia meno vera della morte. Anzi, è una verità decisiva.Se dunque la croce è un momento dram-matico mentre la risurrezione è vita, luce, futuro, come noi possiamo mettere in-sieme i due momenti e parlare della croce chiamandola gloriosa?Gloria, nella bibbia è la benevolenza di Dio rivolta verso di noi. Gloria è Dio che manifesta se stesso e la sua passione per lʼuomo, lasciando unʼimpronta ben rico-noscibile nel cammino del suo popolo. La sua è gloria veramente, non vanagloria, egli agisce e fa sentire il suo peso (senso letterale del termine in ebraico), un peso che non opprime lʼuomo, ma lo solleva. Ne abbiamo unʼeco nelle parole del salmo 81: Ho liberato dal peso la sua spalla, le sue mani hanno deposto la cesta. Ma la gloria in ebraico è anche splendore: splen-

dida è lʼazione che Dio esplica nel mondo, non paragonabile allʼagitarsi degli uomini e dei popoli. Questi producono solo un gran polverone, offuscano lʼorizzonte, mentre lo splendore di Dio è come la luce che rimane viva al disopra del polve-rone. Ebbene, già nel Nuovo Testamento (pensiamo quindi ai primi testimoni del-lʼevento pasquale) questa gloria è messa in collegamento con la croce, che pure è descritta in tutta la sua crudezza. Il Nuovo Testamento ci dice che Dio ha mostrato la sua gloria, e noi lʼabbiamo vista, in Gesù Cristo. Cristo è però ben più che unʼim-pronta del passaggio di Dio nella storia umana, è la trascrizione in termini umani di Dio stesso. Con Cristo una novità asso-luta appare nella nostra storia: la gloria, lo splendore, lʼamore, la consistenza di Dio stesso, viene tradotta e narrata in una vita umana. E poiché tale gloria è incom-mensurabile a qualunque gloria di questa terra, il suo manifestarsi non ha per nulla apparenze gloriose, anzi tutto il contrario. Dio si manifesta sub specie contraria. È soprattutto Lutero ad evidenziare que-

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Dal Monastero15

sto aspetto. Lo splendore regale viene tradotto nella povertà e umiltà di Cristo, lʼonnipotenza nel servizio. Il giudizio di Dio sul mondo è tradotto nella vicenda di condanna, passione e morte, di Cristo, il Figlio di Dio. In una parola, il giudizio di Dio sul mondo si traduce nella croce. Sulla croce innalzata noi vediamo un uomo con-dannato, torturato e ucciso ma da lui irra-dia la ricchezza di Dio, la sua potenza e il suo giudizio su di noi. Davanti alla croce ci ritroviamo nudi e indifesi, esposti ad un amore troppo grande che non ci lascia scampo. “Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito” (Gv 3,16). Noi possiamo leggere la croce come giudi-zio di salvezza e non di condanna in forza della risurrezione. La risurrezione ha reso risplendente la croce perché Cristo non è comparso glorioso per far giustizia di chi lʼaveva ucciso o rinnegato, ma per river-sare su tutti misericordia e perdono.Ma torniamo al momento della passione.Qualcosa di quella gloria deve essere tra-pelato dalla croce subito, nellʼatto stesso in cui veniva innalzata, meglio, nellʼatto stesso in cui era innalzato il Figlio di Dio e moriva. Nel vangelo di Marco assume un ruolo speciale un personaggio, il co-mandante del drappello che esegue la cro-cifissione. Il centurione, “vistolo spirare in quel modo” (cioè abbandonato, urlante) esclama “veramente questʼuomo era figlio di Dio” (Mc 15,39). È un pagano che parla. Che cosa ha scorto quel centurione in un uomo fallito e morto nel più disgraziato dei modi? Non aloni di gloria, non segni che qualcuno avrebbe riconosciuto lʼin-giustizia fattagli e gli avrebbe reso onore. Il vangelo dice proprio: “Vistolo spirare in quel modo”. L̓ ha visto soffrire, lʼha sen-tito gridare: “Mio Dio, mio Dio perché mi hai abbandonato?” (Mc 15,34). Non ha visto altro. Nel resto del vangelo, prima

della passione, Gesù ha zittito tutti quelli che intuivano in lui qualcosa di speciale. Solo ora che tutto è finito, che la storia è andata storta fino in fondo, che qualunque orizzonte di speranza umana è perduto, nessuno può zittire il centurione, il quale, badiamo bene, non è un semplice spetta-tore della vicenda, cʼè dentro fino al collo perchè è il comandante che ha presieduto allʼesecuzione, è uno dei colpevoli. Che ha dunque intuito questʼuomo? Che crol-lavano davanti a Gesù crocifisso tutti i nostri parametri di giudizio, che la libertà sovrana con cui Gesù aveva agito e patito non veniva dalle possibilità di questa terra, ma aveva le radici altrove. Anche Pilato questo lʼaveva intuito e aveva chiesto a Gesù: “Di dove sei?” (Gv 19,9). Ma Pi-lato non è giunto alla professione di fede, la sua intenzione è stata subito abortita. Il centurione invece ha colto il mistero racchiuso in Gesù prima ancora che la risurrezione lo manifestasse pienamente. Questo pagano ha compreso, meglio, ha intuito, donde veniva la forza eccezionale di Gesù, così eccezionale da risplendere

Dal Monastero 16

non nel successo ma nella sconfitta.La morte in croce di Gesù, proprio per lʼamore, per lʼabbandono con cui è stata affrontata, racchiude in certo modo la potenza della risurrezione. Tanto che al-cuni autori affermano che la risurrezione è semplicemente il significato profondo della croce che si svela ai nostri occhi. Dire solo questo significa non rispettare lʼintegrità del mistero e la verità di quanto è accaduto, poiché Gesù è morto e risorto, non ha solo fatto una morte straordinaria-mente significativa. Tuttavia si coglie nel segno quando si afferma lʼeccezionale eloquenza del suo morire. Nella croce, mentre rimane evento di morte, è racchiusa una segreta potenza di risurrezione. Da dove dunque trae Gesù tanta forza e tanta libertà? La forza di Gesù sta nellʼamore che egli riceve dal Padre e al quale corrisponde con tutto il cuore, con tutta lʼanima, con tutte le forze. Gesù è morto, veramente e desolatamente morto, tanto che si dice che “discese agli inferi”. La risurrezione, la gloria, nella quale en-

tra in conseguenza del suo essersi conse-gnato alla morte, sono opera della fedeltà del Padre. Ma la comunione di Cristo col Padre suo è tanto profonda che egli può affermare: “Sono io che do la vita e la ri-prendo perché ho il potere di riprenderla di nuovo” (Gv 10,18). Questo potere, questo amore, è sgorgato da lui e risana chiunque ne viene toccato. Egli lo riceve dal Padre e lo riversa su di noi. Il punto in cui si sono aperte le cateratte del cielo e questa potenza si è riversata su di noi è la croce di Cristo. Per questo ora la croce la possiamo riconoscere come gloriosa, come trono dal quale Cristo fa fluire regalmente la forza racchiusa nel suo petto a salvezza di tutti. La debolezza per la quale è stato crocifisso si è rivelata più forte dei suoi crocifissori, perché quella debolezza era abbandono libero alla volontà del Padre.La risurrezione di Gesù crocifisso è esito e risposta ad un amore così grande, e non cancella la croce: “Con i segni della sua passione vive la vita immortale” diciamo nella liturgia. Questo amore potente, gra-vido di risurrezione, fa sì che la croce, gravida di morte, diventi il punto storico e teologico, in cui esplode la vita. A noi tale mistero di morte e di gloria che si è spalancato davanti agli occhi, è stato an-nunciato. Come è possibile resistere a tanto amore? Lʼincontro con Cristo non è innocuo. La croce che egli abbraccia è scandalo per coloro che vanno in perdizione, ma per noi, se lʼaccogliamo, è profumo di vita e di risurrezione. E possiamo imparare ad abbracciarla, a cantarla, a lodarla. Non è impossibile, prima di noi generazioni e generazioni di cristiani vi hanno trovato abbracciandola, una segreta dolcezza.

SORELLE CLARISSE

LA FIACCOLATA IN ONORE DEL BEATO INNOCENZO

Dalla Valle

Quest'anno, per la ricorrenza del 3 marzo anniversario della morte del nostro Beato Innocenzo, la parrocchia di Berzo Infe-riore ha organizzato un triduo solenne con la partecipazione di Sua Eminenza il cardinale Ersilio Tonini. Tra le novità è stata organizzata una fiac-colata con tre punti significativi di par-tenza: uno dal nostro convento, uno da Niardo dove il nostro Beato è nato, e uno da Angone. Tutte e tre le fiaccolate dovevano trovarsi per le ore 21.30 davanti alla parrocchiale di Berzo per la benedizione di sua Emi-nenza il cardinal Tonini.Nel giro di quindici minuti sono arrivati al convento circa 500 partecipanti. Gli organizzatori hanno distribuito a tutti i flambeaux. Dopo la benedizione del superiore, padre Gabrielangelo Tenni, il gruppo è partito con la presenza del sindaco di Piancogno e con grande entusiasmo si è pregato e lo-dato il nostro Beato.Anche la natura ha fatto la sua parte: ai primi tornanti si vedevano tutti i paesi della Valle illuminati da Pisogne sul lago d'Iseo fino a Niardo; il cielo limpido, co-sparso di stelle e la luna che diradava le tenebre e dalle cime coperte di neve... era di un colore argenteo. A questo spettacolo non si poteva intonare che il Cantico delle Creature. Con le fiaccole accese siamo scesi fino all'Oasi del nostro Beato, luogo dove si incrociano le stradine che dall'Annunciata portano a valle e che il nostro Beato tante

volte ha percorso a piedi. Dopo un breve pensiero sulla vita del Beato e la benedi-zione con la sua Reliquia siamo ripartiti tra canti e preghiere fino al ponte di Esine. Qui ci siamo uniti alla fiaccolata che pro-veniva da Angone e assieme ci siamo di-retti a Berzo. Nello stesso tempo la fiaccolata partita da Niardo, passando per Breno e Bienno,

raccogliendo altri partecipanti, arrivò pun-tuale.In poco tempo il sagrato e la piazza – rin-novati a cura dellʼAmministrazione Co-munale - si sono gremiti all'inverosimile. Erano presenti più di 1500 persone di ogni estradizione: famiglie intere, adolescenti, giovani, bambini, nonni, persino alcune mamme con i loro piccoli nelle carroz-zelle. Dopo un breve pensiero di saluto il Cardi-nale ha impartito la sua benedizione.Stavo per ritornare con il pulmino al con-vento dell'Annunciata, quando due gior-nalisti di Tele Boario mi hanno chiesto di conceder loro una breve intervista "di un minuto", mi dissero. Risposi: "sono molto felice e il mio cuore è pieno di gioia per-ché il nostro Beato, morto alla nostra In-fermeria di Bergamo il 3 marzo 1890 e il 28 settembre dello stesso anno il suo corpo è stato trasportato a Berzo... sono in grado di comprendere la descrizione di quel viaggio di ritorno...Dicono le cronache del tempo, che quando la carrozza che trasportava le spoglie mor-tali di padre Innocenzo è entrata in Valle Camonica da Lovere, si sono viste for-marsi colonne di persone provenienti da ogni parte e migliaia i pellegrini si sono riuniti a Berzo per onorarlo".Dopo 116 anni, questa sera, si è ripetuto con questa numerosa fiaccolata, 1'accla-mazione popolare del 1890. Questo fratino vissuto nell'umiltà, nel nascondimento, nella preghiera costante - passava notti intere davanti al Tabernacolo – ha dato tutto se stesso e si è consumato per amore di Dio e del prossimo, per tutti questi mo-tivi, il mio cuore non può essere che pieno di gioia”.Sì Dio ha voluto dimostrare con questa grande e partecipata manifestazione, lʼin-nalzamento dellʼumile e lo ha posto come

lampada sul candeliere perché il suo esem-pio faccia luce a tutti noi. Ringrazio Sua Eminenza il cardinal Tonini, il vescovo di Brescia, mons. Giulio Sanguineti, mons. Vigilio Mario Olmi, vescovo emerito di Brescia, mons. Gaetano Bonicelli, vescovo emerito di Siena e mons. Mario Rebuffoni, parroco di Berzo Inferiore.Un grazie particolare a tutti gli organiz-zatori.

FRA GIUSEPPE BOTTICCHIO

Dalla Valle 18

PROGETTO “PONTE E LINEA”LA MEDIAZIONE LINGUISTICO CULTURALE È ENTRATA IN OSPEDALE

Dalla Valle

E ̓un progetto di Mediazione Linguistico Culturale voluto dalla Comunità Montana di Valle Camonica, con la collaborazione dellʼAsl di Vallecamonica-Sebino, attra-verso la gestione tecnico-operativa del Centro “Casa Giona” di Breno e del Cen-tro Caritas di Darfo.Iniziato il 2 maggio 2006, nei Consul-tori Familiari del Dipartimento ASSI, e nelle UUOO di Ostetricia/ginecologia, Pediatria, Neuropsichiatria dellʼInfanzia e dellʼAdolescenza e nel Servizio pre-ri-coveri dellʼospedale di Esine, il progetto si connota nellʼambito degli interventi della Legge 40/1998 sullʼimmigrazione in riferimento al fondo nazionale politi-che sociali.Obiettivo di questo progetto, di carattere sperimentale, è favorire la fruibilità ai servizi socio-sanitari della popolazione straniera immigrata in Vallecamonica, mi-

gliorando la comunicazione tra operatori socio-sanitari e cittadini immigrati tramite mediatori linguistico-culturali.Il servizio si avvarrà di traduttori in 12 lingue: albanese, arabo, francese, hindi (India), inglese, polacco, rumeno, russo, spagnolo, serbo-croato (ex Jugoslavia), ucraino, urdu (Pakistan), rappresentative della maggior parte della popolazione im-migrata nel comprensorio camuno.Per ottenere il servizio di mediazione in-terculturale, lʼutente straniero ne fa richie-sta verbale direttamente alla Caposala del reparto nel quale è ricoverato Il servizio di mediazione linguistico-culturale è attiva-bile previa prenotazione, almeno 24 - 48 ore prima dellʼintervento, solo da parte del Referente Intercultura dei servizi/UUOO. Ecco gli ambiti dove, per ora, è attivo il servizio:Il Progetto Ponte e Linea sopra presen-

Consultorio Familiare(Dip. ASSI)

Darfo, Breno, Edolo

Consultorio FamiliareAmbulatorio

Ostetricia/Ginecol.Tutti i servizi

Ospedale di EsineRicoveri

AmbulatoriServizio Pre-ricoveri

Ostetrica/Ginecologia Pediatria - neonatologia

NPIA - Ostetricia/Ginecolo-gia - Pediatria

SEDE AMBITI SERVIZI/REPARTI

tato si inserisce nel più ampio percorso dellʼ”Ospedale Interculturale”, un ampio programma di interventi mirati allʼaspetto

socio-sanitario nella sfera dellʼimmigra-zione, per il quale Regione Lombardia ha emanato specifiche Linee Guida.

L̓ ASL di Vallecamonica - Sebino si è già attivata in tal senso, partendo dallʼinfor-mazione basilare sullʼaccesso ai servizi sanitari. E ̓infatti in distribuzione una guida ri-volta a cittadini stranieri non comunitari. Si tratta di un compendio di informazioni utili al cittadino straniero per potersi av-valere del Servizio Sanitario Nazionale, sia che questi abbia un regolare permesso di soggiorno, sia non “regolari”. Il pie-ghevole è stato prodotto in 5 lingue più lʼitaliano, e cioè: Inglese, Francese, Alba-nese, Arabo e Russo. Ecco lʼelenco degli argomenti trattati:

CITTADINI STRANIERI NON COMU-NITARI REGOLARMENTE SOGGIOR-NANTI IN ITALIA (informazioni in gene-rale su regole, obblighi e possibilità). Come avviene lʼiscrizione al SSN nella no-stra ASL (modalità, sedi, giorni e orari).

CITTADINI STRANIERI NON IN RE-GOLA CON LE NORME RELATIVE ALL̓ INGRESSO ED AL SOGGIORNO IN ITALIA: (quali prestazioni vengono assicurate, suddivise fra: cure urgenti e cure essenziali).

INTERVENTI DI MEDICINA PREVEN-TIVA E PRESTAZIONI DI CURA COR-RELATE: (Modalità di prenotazione, sedi, giorni, orari e tutto ciò che si deve sapere su: • tutela della gravidanza e della mater-

nità - esempio: “La donna in stato di gravidanza e nei sei mesi successivi al parto può chiedere e ottenere per sé e per il bimbo, il permesso di soggiorno per motivi di salute e cura”;

• tutela dellʼinfanzia;• diagnosi e cura delle malattie infettive;• vaccinazioni.

CODICE STP: (Straniero Temporanea-mente presente). Strutture eroganti che rilasciano il codice STP nella nostra ASL. (Informazioni circa sedi, giorni, orari e la seguente precisazione: “il rilascio da parte delle strutture sanitarie del codice STP non ha come obiettivo lʼidentificazione del cit-tadino irregolare, non comporta cioè il ri-schio di denuncia alle forze dellʼordine”

LʼAUTOCERTIFICAZIONE DI INDI-GENZA (indicazioni).

MATILDE COMENSOLI

REFERENTE PER LʼOSPEDALE INTERCULTURALE

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EDUCAZIONE E CARITA' AL CENTRO DELLA STORIA

Lʼemergenza educativa del nostro tempo e la prima enciclica di papa Benedetto XVI nella riflessione culturale dellʼEremo.

Domenica 10 dicembre 2006, alle ore 15 presso lʼEremo di Bienno, ha avuto luogo un incontro sul tema “Deus caritas est". Temi e problemi nella prima enciclica di Benedetto XVI. Interventi per un dibat-tito”. Con lʼaiuto di due autorevoli ospiti, coordinati da Gianmario Martinazzoli, si è cercato di assecondare le indicazioni offerte qualche tempo fa da Andrea Ric-cardi, con queste semplici ma efficaci espressioni: “Questa Enciclica è un testo che interrogherà la coscienza dei singoli cristiani e delle comunità. Dobbiamo avere il coraggio di fermarci su di essa, evitando quel consumismo spirituale, che ci fa passare da un testo allʼaltro, da un messaggio allʼaltro, per poi assimilare poco o niente in profondità e non farci misurare da nessuna parola. Recepire con il cuore queste parole può liberare energie dʼamore nella nostra vita e in quella della Chiesa. Quello del Papa è un appello alla libertà di ciascuno perché viviamo nel-lʼamore. Benedetto XVI ci rivolge que-sto appello in nome di Gesù, ma anche in nome di tutti quelli che soffrono e che sono poveri”. Le voci che si sono alternate, per affron-tare le due parti di cui si compone il testo di papa Ratzinger, sono state quelle di padre Fausto Arici, domenicano, docente di Teologia morale presso la Facoltà teo-logica dellʼItalia centrale e Bologna, ed il

prof. Sergio Zaninelli, maestro della sto-ria economica e sociale nazionale nonché Rettore emerito dellʼUniversità cattolica del sacro cuore di Gesù. Frate Fausto Arici, dal canto suo, ha preso le mosse dalla sfida filosofica lanciata da Friedrich Nietzsche, secondo il quale il cristianesimo avrebbe dato da bere del veleno allʼeros, che pur non morendone, ne avrebbe tratto la spinta per degenerare in vizio. Da qui il teologo di origine bre-sciana, ora residente a Milano, ha succes-sivamente sviluppato un ragionamento illustrativo tendente a mostrare le tesi di

Cultura

fondo sostenute nellʼenciclica di Bene-detto XVI, a partire da quella in base alla quale “la fede cristiana, al contrario ha considerato lʼuomo sempre come un es-sere uni-duale, nel quale spirito e materia si compenetrano a vicenda sperimentando proprio così ambedue una nuova nobiltà” (n. 5). Sergio Zaninelli, invece, facendo leva sulle sue competenze in tema di storico della carità, della società e più in parti-colare del movimento cattolico, ha posto lʼaccento sul ruolo svolto dai “pionieri” citati nellʼenciclica (n. 27), protagonisti di una rapida comprensione delle nuove esigenze espresse da un mondo in via di industrializzazione e di secolarizzazione. In questa prospettiva lo studioso ha decli-nato nel caso lombardo quella fioritura di “circoli, associazioni, unioni, federazioni e soprattutto nuove congregazioni religiose, che nellʼOttocento scesero in campo con-tro la povertà, le malattie e le situazioni di carenza nel settore educativo”. Dalla carità e dallʼamore si è poi passati a breve distanza di tempo, in maniera tuttʼal-tro che innaturale, al tema dellʼemergenza educativa che sembra pervadere il nostro tempo. (Si veda l'articolo di don Renato in apertura di questo fascicolo).Nel mese di novembre del 2005 un nutrito gruppo di intellettuali, uomini politici, della cultura e della scuola, al di là di ogni schieramento ideologico si esprimevano pubblicamente, mediante un appello-ma-nifesto, richiamando lʼattenzione sui pro-blemi dellʼeducazione oggi, in esordio di terzo millennio. Tra lʼaltro in tale testo si poteva leggere: “L̓ Italia è attraversata da una grande emergenza. (…) Si chiama educazione. Riguarda ciascuno di noi, ad ogni età, perché attraverso lʼeducazione si costruisce la persona, e quindi la società. (…) E ̓in crisi la capacità di una genera-

zione di adulti di educare i propri figli”. Per affrontare lʼargomento, di straordi-naria attualità anche in termini di azione pastorale locale e non solo di problema per lʼintera società civile, lʼAgesc, associa-zione genitori scuole cattoliche - comitato provinciale di Brescia, in collaborazione con lʼAssociazione Simoni Fé ha organiz-zato un momento di riflessione e dibattito, sempre presso lʼEremo di Bienno, che si è svolto sabato 17 febbraio 2007 a partire dalle ore 17. Nella circostanza, inserita tra lʼaltro nel panorama delle proposte culturali previste allʼEremo per lʼanno in corso, è interve-nuto il prof. Giuseppe Mari, Ordinario di Pedagogia generale presso lʼUniversità cattolica del sacro cuore, il quale dopo un intervento tematico introduttivo è entrato in dialogo soprattutto con i genitori pre-senti allʼincontro. Si è trattato quindi di una iniziativa dialogica e colloquiale, con la quale si è avviato un confronto su un tema che darà certamente spazio a succes-sivi approfondimenti. Per lʼoccasione, in particolare, sono state presenti alcune rappresentanze di famiglie provenienti dallʼIstituto scolastico Santa Dorotea di Cemmo, dalla Scuola elemen-tare cattolica Maria Ausiliatrice di Cogno, dalle scuole dellʼinfanzia Simoni Fé di Bienno e Dario Bernardelli di Agnosine, come pure dallʼIstituto scolastico Suore Sacramentine di Bergamo. Il pomeriggio di conversazione si è inserito, tra lʼaltro, nelle celebrazioni che annualmente ac-compagnano la memoria liturgica della Beata Geltrude Comensoli (di cui ricorre questʼanno il centosessantesimo anniver-sario della nascita a Bienno), una santa della terra camuna che insieme ad altre figure altrettanto importanti, basti pen-sare alla stessa Annunciata Cocchetti e al laico Giuseppe Tovini, ha incarnato quel

Cultura 22

carisma educativo della Chiesa bresciana che ha avuto nel secondo Ottocento una fioritura di vocazioni rivolte proprio alla causa dellʼeducazione cattolica. (Si veda, sempre in questo fascicolo il ricordo di Madre Annunciata a pag. 61 e segg.).Lʼiniziativa ha assunto altresì una rile-vanza del tutto originale proprio per lʼade-sione dellʼAgesc, associazione nazionale che da oltre trentʼanni promuove il ruolo ed il sostegno per la famiglia nelle scuole paritarie, con progetti educativi cristiana-mente ispirati, tanto care al Papa, i cui in-sistenti appelli recenti stanno trovando va-sta eco nella società non solo italiana, per la riaffermazione di principi fondamentali quali questi: “Quanto alla scuola, la sua funzione si connette alla famiglia come naturale espansione del compito forma-tivo di questʼultima. A questo proposito, ferma restando la competenza dello Stato a dettare le norme generali dellʼistruzione, non posso non esprimere lʼauspicio che venga rispettato concretamente il diritto

dei genitori ad una libera scelta educa-tiva, senza dover sopportare per questo lʼonere aggiuntivo di ulteriori gravami. Confido che i legislatori italiani, nella loro saggezza, sappiano dare ai problemi ora ricordati soluzioni “umane”, rispettose cioè dei valori inviolabili che sono in essi implicati” (Benedetto XVI). Nel suo preziosissimo ed articolato inter-vento, il prof. Mari ha dapprima cercato di spiegare perché oggi è difficile edu-care, ma nel contempo entusiasmante, soffermandosi sulla questione correlata di come incoraggiare gli educatori che ope-rano sul campo. Nella seconda parte della sua ampia relazione ha invece indicato le quattro sfide “dellʼidentità” che attendono lʼeducazione odierna: la sfida dellʼidentità personale, quella dellʼidentità di genere, quella dellʼidentità religiosa. Anche su tutto questo sarà possibile tornare a riflet-tere molto presto.

GIOVANNI GREGORINI

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Il prof. Giuseppe Mari durante il suo intervento.

I PRIMI ISTANTI DELLA VITA UMANA

L'intervista

Si è tenuto recentemente, presso LʼEremo lʼincontro” La ricerca scientifica in campo biomedico, le cellule staminali: dalla bio-logia molecolare alla sperimentazione pre-clinica”, al quale ha portato la sua testimonianza la dott.ssa Ornella Parolini. Laureata in Scienze Biologiche a pieni voti presso l'Università di Milano nel 1988, si è distinta nel settore di ricerca sulle im-munodeficienze primarie, dapprima al-l'Università di Brescia (1988-1990) e poi al St. Jude Children's Research Hospital a Memphis, Tennessee, negli Stati Uniti (1991-1994). Nel 1994, ha completato il Dottorato di Ricerca in "Biotecnologie Cellulari e Molecolari applicate al set-tore biomedico" all'Università di Brescia. Dopo un breve periodo presso il Dipar-timento Materno Infantile della stessa Università (1994-1995), ha ottenuto una posizione nel Dipartimento di Immunolo-gia dell'Università di Vienna come Visi-ting Scientist e poi come Responsabile del Laboratorio di Immunologia Molecolare (1995-2002). Durante tale periodo, si è occupata dello studio della regolazione di geni fondamentali per lo sviluppo e la cor-retta funzionalità del sistema immunitario, e di tematiche riguardanti le cellule stami-nali ematopoietiche e le loro applicazioni cliniche. Durante il corso della sua car-riera, ha ottenuto numerose ed eccellenti pubblicazioni scientifiche in riviste e testi internazionali. Nel settembre del 2002, la dr.ssa Parolini ha terminato la sua decen-nale permanenza all'estero ed è rientrata a Brescia con l'incarico di Direttore del

Centro di Ricerca "E. Menni", Fondazione Poliambulanza Istituto Ospedaliero.Lʼabbiamo intervistata al termine dellʼin-contro sui grandi temi dei primi istanti della vita umana.

Qual è la posizione della scienza circa i primi istanti della vita umana?

L'intervista25

Per le conoscenze a mia disposizione dal punto di vista biologico e genetico la vita inizia dal momento della fecondazione. Durante questo processo due cellule alta-mente specializzate (i gameti), lʼuna deri-vante dallʼuomo (lo spermatozoo) e lʼaltra dalla donna (la cellula uovo), si uniscono per dare origine ad uno zigote (uovo fe-condato). Si costituisce così un nuovo es-sere umano, con un patrimonio genetico individuale ed irripetibile. Con la fecondazione (ma altresì con una gemellanza monovulare o una clonazione) inizia una sequenza di sviluppo, un ciclo vitale che procede con gradualità, senza interruzioni fino alla morte, cioè senza soluzione di continuità quel nuovo orga-nismo diventa quello che ognuno di noi vede guardandosi allo specchio.

Condivide lʼopinione che lʼItalia dopo i referendum sulla procreazione assistita sia regredita in una posizione medioe-vale?Non lo ritengo per nulla. La storia della nostra civiltà mi pare contrassegnarsi per un graduale progresso sia delle acquisi-zioni scientifiche e tecnologiche, sia da un allargamento dei diritti tipici della persona umana a categorie sempre più ampie, di-retto a tutelare la difesa e la promozione della vita di tutti. Per quanto possa io ri-cordare, ad esempio, nel medioevo alcune persone non venivano riconosciute come individui, vedi gli schiavi, o godevano di minori diritti, come le donne. La Legge 40 invece riconosce che anche il concepito è un soggetto con dei diritti ben precisi. Pertanto, credo che dopo il referendum lʼItalia risulti come un paese che ha com-piuto un ulteriore progresso, intendendo salvaguardare il diritto di tutti coloro che sono coinvolti nella procreazione assistita, in particolare madre e figlio. E questo

non mi sembra un passo indietro, anzi! Il permettere la creazione di non più di tre embrioni e lʼimpianto di questi, significa garantire una possibilità di vita a ciascun embrione, mentre la prassi precedente per-metteva che eventuali embrioni in sopran-numero venissero gettati o conservati in attesa di non si sa bene cosa. Con la legge 40, inoltre, la donna risulta meglio salvaguardata, sia fisicamente sia psicologicamente. Le nuove norme condu-cono, infatti, ad una “selezione” dei Centri di Fecondazione favorendo quelli più qua-lificati e togliendo quelli più temerari ed improvvisati alla rincorsa dellʼaffare PMA. La donna inoltre non sarà più sottoposta a trattamenti ormonali molto pesanti e non avrà il pensiero di avere arrestato la vita di altri figli in un congelatore. Per quanto riguarda la ricerca, poi, per il divieto di sperimentazione sulle cellule embrionali non risulta certo limitata. Come spesso dico, bisogna interrogarsi se è la ricerca che serve alla vita dellʼuomo, o se deve essere la vita asservita alla ricerca. E se la posizione italiana fosse invece se-gno di un grande progresso nella tutela dei diritti dellʼuomo? Vita umana, individuo umano, persona umana… per la scienza queste defini-zioni hanno significato?Abbiamo tutti sentito espressioni quali: “lʼembrione è vita umana, ma non per-sona”, oppure altri “lʼembrione non è vita umana sino al 14° giorno”, “lʼembrione non è vita sino al momento dellʼimpianto nella parete uterina”, “lʼembrione non è individuo sino al momento in cui è ancora possibile la gemellazione”. Quante discussioni e soprattutto quanta confusione! Il massimo esperto di embrio-logia del mondo, Scott Gilbert, ha scritto senza mai essere stato scientificamente

contraddetto, che «la fecondazione è lʼinizio dellʼesistenza di un nuovo orga-nismo». Insomma, uno zigote umano (cellula che deriva dalla fecondazione) dà origine a vita umana, anche perché se uno sperma-tozoo bovino fecondasse un ovulo bovino avremmo uno zigote bovino e non umano, pertanto nessuno può annullare lʼessenza umana allo zigote della specie umana, nes-suno può annullargli lʼindividualità gene-tica, tanto che, se esiste una malattia ge-netica, potrà svilupparsi più tardi, ma è già presente in quel corredo cromosomico.Quanto allʼidea di spostare lʼinizio di vita al 14° giorno perché fino a quel momento non inizia la formazione del sistema ner-voso, vorrei dire: usiamo la nostra ragione. Non possiamo immaginare che quello che accade il 14simo giorno accada per opera di qualche bacchetta magica. È invece proprio segno di quel processo di svi-luppo continuo attivo ed individualizzato dellʼembrione iniziato al momento della fecondazione. Se quellʼembrione è indi-viduo nel 14° giorno, allora lo era anche al primo giorno. Il processo di sviluppo continuo attivo ed individualizzato, dice inoltre che non è un potenziale individuo, ma un individuo “in atto”. Ogni stadio del nostro sviluppo dipende strettamente dal precedente da cui è determinato (questo lo afferma già il Rapporto Warnock). Per quanto riguarda poi la divisione gemellare, si deve ricordare che essa non toglie nulla allʼindividualità del soggetto da cui un nuovo individuo si separa, semplicemente inizia la vita di una nuova individualità.

È vero che la comunità scientifica è tutta concorde nella considerazione e nella valutazione dello statuto dellʼem-brione? L'individualità, l'identità, l'unicità dell'em-

brione, cioè il fatto che egli rimane sempre lo stesso individuo lungo tutto il processo di sviluppo (durante il quale distinguiamo fasi di sviluppo diverse, ma non individui diversi) rendono ovviamente lʼembrione titolare di diritti. Il riconoscere lʼembrione titolare di diritti e non un semplice ammasso di cellule su-scita reazioni da parte di coloro che vor-rebbero poter utilizzare cellule embrionali prelevate dalla blastocisti (procedimento che causa la distruzione dellʼindividuo stesso). Ma allora come non chiedersi in base a quali evidenze scientifiche alcuni scien-ziati guardando allʼembrione escludono di trovarsi di fronte ad un individuo nostro simile? E se queste evidenze non esistono, nellʼincertezza non avremmo il dovere di astenerci dal manipolarlo? Almeno il so-spetto che ci si trovi di fronte a un indivi-duo umano non lo si può escludere. Un individuo che quando è a livello di poche cellule chiamiamo blastocisti, poi cre-scendo lo chiamiamo embrione, poi feto e poi infante, bambino, adolescente, etc.

L̓ embrione (o la morula) può essere pa-ragonato ad un qualsiasi agglomerato di cellule?Ovviamente no. A questo riguardo potrò sembrare un po ̓brutale, ma credo che sia abbastanza esemplificativo esprimersi così. Infatti, un agglomerato di cellule,

L'intervista 26

La Dr.ssa Ornella Parolini.

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che noi potremmo prendere da una biop-sia di un tessuto, di un organo, non ha il potenziale di dare origine ad una nuova vita, anche se innestato nellʼutero di una donna. L̓ embrione invece, anche allo sta-dio di poche cellule (quale la blastocisti), se non viene ucciso con intervenenti di-retti e lasciato sviluppare nelle condizioni adatte, continuerà il proprio sviluppo. Se lo fermiamo, evidentemente, blocchiamo lo sviluppo di una vita umana. E ̓semplice no?

Perché il mondo scientifico appare più concentrato sulla ricerca di cellule em-brionali piuttosto che sulle staminali da tessuti adulti?L̓ impiego di cellule staminali per la rige-nerazione di organi e tessuti danneggiati ha suscitato in questi anni grandi interessi nella ricerca scientifica, tante attese nel campo medico, molta speranza e pur-troppo anche tante illusioni in numerosi pazienti. Cerchiamo di conoscere meglio queste cellule. Le cellule embrionali prelevate dallʼembrione allo stato di blatocisti, per loro intrinseca natura (che è quella di “generare” un individuo completo) sono in grado di originare tutti i tipi cellulari, presentano una potenzialità differenzia-tiva molto elevata, ovvero sono cellule totipotenti o pluripotenti. Le cellule sta-minali isolate dai tessuti adulti, presenti nellʼorganismo adulto per il mantenimento dellʼintegrità tissutale, sono invece per lo più uni o multipotenti. Sino ad oggi si è ritenuto che le cellule staminali adulte po-tessero dare origine differenziandosi solo alle cellule del tessuto di appartenenza. Questo concetto è stato però recentemente messo in discussione da studi preclinici e clinici che sembrano dimostrare come alcune cellule staminali adulte possiedano

la capacità di generare cellule appartenenti a tessuti diversi da quello dʼorigine. Que-sta caratteristica della cellula staminale è indicata con il termine di plasticità.Rimane il fatto che lʼelevata potenzialità differenziativa delle cellule embrionali le rende una risorsa “più attraente”, cioè sembrano ad un primo approccio essere la strada più breve per rigenerare tessuti, per ottenere tessuti ed organi in laboratorio. Ad oggi, tuttavia, sono state condotte troppo poche sperimentazioni con le cellule em-brionali in modelli animali per dichiarare possibile il loro vantaggio clinico. Si è dimostrato invece che tali cellule trapian-tate inducono la formazione di teratomi (tumori). La tanto decantata potenzialità miracolistica di queste cellule, quindi, è per il momento soltanto una ipotesi, non ancora supportata da evidenze di risultati scientifici.Lʼutilizzo clinico di cellule staminali adulte è invece già ampiamente compro-vato: sono già oggi utilizzate, mediante trapianto di midollo osseo, per la cura di malattie del sangue, e così è scientifica-mente riportato lʼutilizzo di staminali per la rigenerazione ossea e cartilaginea, per la rigenerazione della cute e della cornea. Ma soprattutto non possiamo dimenti-care gli aspetti etici. Il prelievo di cellule dallʼembrione causa, al momento, la di-struzione dello stesso. Nessun fine buono (utilizzo di tali cellule per giungere - forse - un giorno a curare altri individui) può giustificare una cattiva azione (lʼuccisione di un altro individuo). Cʼè unʼulteriore problematica da consi-derare, non di carattere scientifico, bensì giuridica: la raccolta di elementi organici da un donatore avviene in seguito a con-senso informato rilasciato dal donatore stesso, e tale prelievo non deve arrecare alcun danno al donatore. Le cellule em-

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brionali umane invece, sono ovviamente prelevate senza possibilità di espressione di consenso/dissenso da parte dellʼinteres-sato, e gli causano un danno irreparabile: la sua distruzione.

In che cosa consiste tecnicamente lʼin-dagine preimpianto?Consiste nel prelievo di almeno due cel-lule quando lʼembrione è allo stadio di 6-8 cellule. Le cellule vengono poi analizzate con metodologie di genetica molecolare per indagare eventuali aberrazioni cromo-somiche o analisi di singoli geni specifici per individuare patologie genetiche.

Lei la ritiene lecita? Perché…No, per più di un motivo: 1) il preleva-mento di queste cellule può portare dei seri danni allʼembrione; non siamo an-cora in grado di sapere cosa significa per lo sviluppo di quellʼembrione, con ancora un così ridotto numero di cellule, aspor-tarne alcune; 2) anche se gli studi devono ancora essere completati pare che questi embrioni (ai quali sono state prelevate una-due cellule) abbiano una possibilità di at-tecchimento nellʼutero materno più bassa, vale a dire si induce un danno a degli em-brioni che non potranno continuare il loro sviluppo, se ne causa cioè la morte; 3) la

percentuale di errore diagnostico (cioè di falsi positivi nel verificare una predisposi-zione o malattia genetica) si sta rivelando sempre più alta, sia per imprecisioni me-todologiche sia perché alcune alterazioni cromosomiche presenti nelle primissime fasi dello sviluppo, non si ritrovano più in stadi più avanzati, come è dimostrato facendo crescere in vitro alcuni degli embrioni diagnosticati con difetti cromo-somici: questi, poi, lasciati sviluppare in laboratorio hanno mostrato di essere per circa il 50% dei casi completamente nor-mali. Si tratta di embrioni sani scartati per impossibilità di fare una corretta diagnosi. Mi chiedo se sia lecito permetterci di fare diagnosi sbagliate in così alta percentuale; 4) rimane poi il fatto che la ricerca e la medicina credo che abbiano il dovere di intervenire solo per curare un individuo. E questo vale ancor più nel caso in cui lʼin-dividuo è allo stadio di embrione, stadio nel quale ha bisogno di tutela assoluta, e la diagnosi preimpianto purtroppo non è volta a questo fine; 5) va poi aggiunto che si tratta di una forma di eugenetica che velatamente si nasconde dietro il “legit-timo” desiderio di avere figli sani. Ma chi può avere lʼautorità di stabilire che una vita merita di svilupparsi o sia più o meno degna di essere vissuta?

Io sono quell'embrione che ero...

9. Ritiene possibile e proficuo il dialogo tra fede e scienza?Questo è un grande tema e non credo di essere adeguata a dare una risposta ad una domanda tanto importante. Le lascio comunque alcune mie riflessioni. Prima di addentrarmi su questo tema, vorrei ri-chiamare il valore e la necessità del dia-logo tra etica e scienza; affermare innanzi tutto che credo sia possibile e proficuo il dialogo tra etica e scienza. Ritengo fon-damentale, infatti, educare ancora durante gli studi ad un dialogo tra scienza ed etica, sia nel mondo della biologia e della medi-cina sia nel mondo della bioetica. Ognuno dovrebbe sapere che non potrà mai sosti-tuire il lavoro dellʼaltro, questo è sempre molto pericoloso, io ritengo. I passi della scienza soprattutto recentemente stanno diventando sempre più rapidi, e la bioetica può arrivare e ricordare allo scienziato che sta forse perdendo di vista lʼobiettivo di partenza. Vale a dire la bioetica potrebbe essere percepita non come un paletto fa-stidioso, bensì un sostegno ad unʼattività corretta per il rispetto della vita umana. Ritengo che lʼetica nel campo biomedico ricordi solo allo scienziato quale è il fine ultimo del lavoro che sta facendo, cioè il bene dei ciascun uomo. Mi perdoni se prima del rapporto scienza e fede ho vo-

luto dire due parole sul dialogo scienza ed etica, perché lo ritengo un dovere per ogni ricercatore e medico che lavora al bancone in laboratorio o al letto del malato ricor-darsi che ha un obiettivo unico: migliorare e rispettare la vita umana, sempre! Quanto al dialogo tra scienza e fede credo che ogni occasione di dialogo è da ritenere positiva. Richiede ai rappresentanti di entrambe le parti: sforzo, pazienza, capacità di ascolto e di suscitare dubbi per un serio confronto. Spesso, purtroppo, il dialogo è impedito dai pregiudizi. Personalmente ritengo che solo da questo dialogo può scaturire il desiderio della ricerca comune sia alla scienza che alla fede: la ricerca della ve-rità. A volte forse non dovremmo vedere questo rapporto come qualcosa di esterno a noi, dove ci mettiamo o da una parte o dallʼaltra, ma cercare questo dialogo den-tro di noi: nellʼimmanente la ragione, la Scienza, e nel trascendente la Fede, ed en-trambe assieme dovrebbero farci percepire lʼessenza umana più completa. Non mi ri-sulta che nessuna scoperta scientifica ab-bia mai potuto mettere in dubbio o negare l'esistenza di Dio, forse invece evocare proprio il contrario. E poi chi fa scienza si rende conto che non è un inventore di qualcosa di nuovo, ma è uno scopritore di una realtà già presente, che in qualche

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Grazie a chi mi ha creduto

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misura ci viene permesso di svelare, si passa da un quesito allʼaltro. Ecco perché la vera scienza è umile: perché è fatta di problemi irrisolti. Per il ricercatore che ancora sa stupirsi di fronte ad un risultato inaspettato, che di fronte alla scienza si pone come in un cammino sempre teso in avanti e che sembra senza fine, il dialogo tra scienza e fede credo si sia già avviato.

Come giudica la posizione della Chiesa sullʼembrione? La ritiene una posizione ʻconfessionaleʼ, dogmatica oppure è condivisibile anche dalla parte laica, non credente?Quanto ho finora espresso lʼho fatto senza appellarmi a credenze o dogmi. Nel corso di questa intervista ho concluso che a co-minciare dalla fecondazione è iniziata la sequenza esistenziale umana avvalendomi della biologia e della genetica: senza ap-pellarmi a credenze o dogmi (che, per quanto riguarda lʼinizio della vita umana non mi risulta neppure che esistano nel

corpo di dottrine cattolico). Credo che que-sta sia già una risposta: se un non credente competente in materia scientifica si accosta a questi temi senza preconcetti ideologici, può giungere alle medesime conclusioni. Ora, per quanto ne so, inoltre, che quando la Chiesa ha dovuto assumere una posi-zione sulla questione etica del valore della vita circa lʼidentità dellʼembrione non ha interrogato il corpus dei dogmi: si è rivolta ad eminenti scienziati per capire dove si poteva collocare lʼinizio della vita umana. Proprio a partire da queste considerazioni ha poi riaffermato lʼimpegno di sempre nella tutela della vita umana dallʼinizio del concepimento fino alla morte naturale. Quindi, poiché la Chiesa si fa promotrice della salvaguardia della vita, a partire da quelle considerazioni scientifiche, credo abbia sentito poi giustamente il dovere di ribadire che la vita va tutelata dallʼinizio del concepimento fino al momento della morte naturale e anche in questi giorni lo sta facendo.

“Se ami la tua vita... difendi quella dei più deboli!”

GIOVANI E CHIESAIN VALLECAMONICA

Gruppi

Erano più di quattrocento, tra giovani e adulti, i presenti al Centro Congressi di Darfo Boario Terme dove, lo scorso 21 gennaio, le parrocchie della Valleca-monica hanno tenuto per il quinto anno consecutivo il tradizionale convegno di riflessione che cade il mese di gennaio. Questʼanno lʼargomento scelto è stato “Giovani e Chiesa in Vallecamonica”, un tema che solitamente riesce a far perdere il sonno a preti, animatori, catechisti e in qualche caso anche ai genitori. Tutto ciò a dispetto e nonostante si vada ripetendo dai più che i giovani non sono un “problema” ma una “risorsa”. Sarà vero, ma la fatica di far incontrare Chiesa e nuove generazioni è sotto gli occhi di tutti, soprattutto se si esce dai confini protetti dei gruppi e degli oratori per gettare lo sguardo sugli altri, sui tanti che quegli ambienti non frequentano più o quasi più. Proprio da questa constata-zione, amara ma realistica, è partito monsi-gnor Paolo Giulietti, responsabile del Ser-vizio per la pastorale giovanile della Cei. “Bisogna che guardiamo oltre la frontiera della parrocchia - ha esortato - perché è allʼesterno che si misura la nostra effica-cia nel saper parlare ai giovani. Non basta trovarsi bene tra le nostre quattro mura”. E poi ha indicato alcune tracce lungo le quali muoversi per mettere in atto unʼazione pastorale rivolta ai giovani: abbandonare lʼidea che il compito educativo sia da de-legare ai preti e agli animatori; saper co-gliere realmente i problemi e le attese dei giovani; puntare anche su quei soggetti educativi che stanno allʼesterno della co-munità parrocchiale ma che rivestono un ruolo determinante nella formazione del pensiero e della mentalità comune. Sulla falsariga di queste osservazioni teoriche di partenza si è mosso lʼintervento con-

giunto di due educatori, Paolo Erba e don Giovanni Milesi. Scendere sul terreno pratico e chiamare in causa situazioni concrete è operazione rischiosa e perico-losa che solitamente riesce a scontentare quasi tutti. Non deve essere stata musica piacevole per sacerdoti e laici impegnati sentirsi dire che spesso manca un pro-getto comune di pastorale giovanile, che predominano le logiche di campanile, che si cammina senza sapere dove si va, che la pastorale dei giovani va messa nelle mani di persone competenti e preparate, che bi-sogna trovare metodi comunicativi nuovi per parlare al cuore e allʼintelligenza dei giovani di questo inizio di terzo millennio. Richiami che hanno voluto rappresentare un bagno di realismo anche se le proposte convincenti, in positivo, non sono facili da trovare, come è stato evidenziato anche da alcune voci che si sono levate in sede di di-battito. Dallʼinizio alla fine è stato presente il vescovo, monsignor Giulio Sanguineti, che al termine si è detto molto soddisfatto delle cose dette e sentite, richiamando tre punti: il fatto che i giovani sono Chiesa a tutti gli effetti, che il convegno deve avere una sua continuità nel lavoro pastorale delle zone e delle parrocchie e che oc-corre grande fiducia nella presenza conti-nua di Dio nelle nostre vicende quotidiane. Il richiamo a trovare nuove strade è stato raccolto da don Renato Musatti, vicario della seconda zona pastorale della Valle e direttore dellʼEremo di Bienno, che ha coordinato le tre intense ore di riflessione e di dibattito. Le proposte e i suggerimenti non dovranno essere dimenticati o sotto-valutati da chi è chiamato a operare tutti i giorni in un campo difficile e impegnativo ma per ciò stesso esaltante.

GIAN MARIO MARTINAZZOLI

EDUCAZIONE E PERSONAAGGIORNAMENTO DEGLI INSEGNANTI CAMUNI

Scuola

Sono ben oltre il centinaio gli insegnanti che dal 10 marzo scorso hanno scelto di riunirsi presso lʼEremo dei Santi Pietro e Paolo per il corso di aggiornamento “Edu-cazione e persona”. L̓ iniziativa, rivolta ai docenti degli istituti scolastici di ogni or-dine e grado, è stata organizzata, in colla-borazione con lʼUfficio Scuola della Dio-cesi di Brescia, dalla Commissione di Ma-crozona per la Pastorale Scolastica della Scuola di Valle Camonica, realtà neonata, sviluppatasi in seguito al Piano di Pasto-rale della scuola della Diocesi presentato nel maggio scorso dal Vescovo Giulio.Quattro gli appuntamenti, ognuno svilup-pato in relazione ad un nodo problematico della scuola dʼoggi. Ha aperto Giuseppe Mari, docente di Pedagogia Generale al-lʼUniversità Cattolica di Milano e colla-boratore attivo della Commissione nella stesura del progetto, con “Cultura, istru-zione e domanda di senso”. Lʼesigenza etica e il valore della persona sono stati quindi calati nel concreto della dimen-sione biologica e psicologica del giovane con “Diventare uomo e diventare donna per i ragazzi oggi”, tema curato da Lucia Pelamatti, psicologa e responsabile del Consultorio Familiare Giuseppe Tovini. Tuffo nel multimediale e nel tecnologico con “Realtà e virtualità nel vissuto per-sonale delle giovani generazioni”, curato da Monica Amadini, docente di Peda-gogia Generale allʼUniversità Cattolica di Brescia, per chiudere con “La scuola fra istanza organizzativa, tecnologie di-dattiche e sfida educativa”, contributo di Alessandra Carenzio, docente allʼUniver-sità Cattolica di Milano. Gli stimoli delle

relazioni sono successivamente oggetto di analisi in laboratori di approfondimento, differenziati sulla base dellʼordine scola-stico di appartenenza, allʼinterno dei quali agli insegnanti è data la possibilità di ri-leggere criticamente al propria esperienza e di confrontarsi sullʼeducazione, alla luce della pedagogia cristiana. Un calendario ricco, quello programmato, articolato in due sabato e due domeniche, fra marzo e aprile, a cavallo di Pasqua, periodo noto-riamente molto impegnativo per le scuole (gite e colloqui vengono programmati pro-prio in queste settimane) e per le giovani famiglie (non bisogna dimenticare che gli insegnanti sono in massima parte anche genitori), cosa che assegna ulteriore va-lore alla puntuale e massiccia presenza dei docenti. Oltre i numeri e alla generale sod-disfazione registrata nel corso dei prime due incontri, consola rilevare come sia stata ben accolta la proposta della Com-missione di procedere alla realizzazione di un indirizzario dei partecipanti, al fine di facilitare la creazione di una rete che favorisca la collaborazione e stimoli nuovi momenti di riflessione sulla responsabi-lità educativa dei docenti. In un periodo come quello che stiamo vivendo, in cui la scuola è sulle prime pagine dei gior-nali per ragioni tuttʼaltro che etiche, è una primavera di speranza osservare come gli insegnanti cristiani di Valle Camonica abbiano dimostrato di essere disponibili a spendersi in un progetto che veda il ruolo dellʼeducatore spingersi oltre i confini della professionalità per entrare a pieno campo nellʼuniverso della vocazione.

GIACOMINO RICCI

LAICI TESTIMONI DEL VANGELO

Problemi

Il tema del IV Convegno ecclesiale di Verona, come sappiamo, era “Testimoni di Gesù risorto, speranza del mondo”. La scelta si è manifestata molto felice. Al cen-tro è stata posta la domanda: in un mondo che cambia con estrema velocità sotto i nostri occhi come essere testimoni della fede, che tutti ci unisce e che nasce dalla resurrezione di Gesù? La Chiesa italiana ha invitato tutti a riflet-tere sulla necessità di riprendere la dimen-sione testimoniale della vita cristiana, sia nel privato sia nel pubblico. L̓ identità cri-stiana è strettamente legata al mandato di Gesù “Andate in tutto il mondo… di que-sto voi siete testimoni”. “Il mondo cambia, ma il Vangelo è sempre lo stesso” è la ri-sposta di Benedetto XVI, quasi gridata con la dolce inflessione della sua voce, nella omelia nello stadio Bentegodi di Verona. La Chiesa non si lascia prendere dallo scoraggiamento, ma ritorna al centro della sua fede e della sua missione nel mondo, appunto Comunicare il Vangelo del Croci-fisso risorto, anche quando questo chiede di essere fatto con una testimonianza che passa attraverso il martirio del rifiuto o dellʼindifferenza.Cʼè bisogno, oggi più che mai, di testimoni laici credibili e coraggiosi, capaci di essere propositivi dentro una società che sembra perdere sempre più le radici cristiane che lʼhanno generata; testimoni capaci di non lasciarsi prendere dallo smarrimento per i rapidi e sconvolgenti cambiamenti che vanno attuandosi non solo a livello scien-tifico e tecnico, ma anche di costume.

Stanno emergendo, infatti, di stili di vita che sembrano non avere più nulla di cri-stiano, non solo tra i cosiddetti ʻlontaniʼ, ma anche tra coloro che fanno parte delle nostre famiglie. Occorrono, come sempre è stato nella Chiesa, cristiani testimoni che sappiano narrare la speranza introdotta nel mondo dalla resurrezione di Cristo con il proprio stile di vita e che diventino ʻcontagiosi ̓per lʼattrattività che tale stile opera su-gli uomini del nostro tempo. Occorrono narratori di speranza, persone cioè che costruiscono la propria storia personale attorno alla speranza scaturita dalla resur-rezione di Gesù.Il testo biblico che ha accompagnato il Convegno è stata la Prima lettera di Pietro. Essa parla dei cristiani come “stranieri e pellegrini” (1Pt 2,11) mandati a narrare le meraviglie di Dio in un mondo che non lo conosce o non lo accetta. Pietro descrive bene la situazione dei cristiani anche nel nostro mondo: generati da Dio alla vita nuova in Cristo, sono mandati a costruire, come pietre vive, quellʼedificio spirituale in cui possano abitare contemporanea-mente Dio e lʼuomo.

In un mondo che cambia bisogna tor-nare allʼessenziale “Tornare allʼessenziale” è stata unʼespres-sione che è risuonata più e più volte nel Convegno. Lʼessenziale è la novità cri-stiana da non perdere: Gesù, il risorto. Nei tempi difficili occorre radicarsi nel-lʼessenziale, mettendo qui più in profon-

dità le proprie radici. Le nostre comunità cristiane devono tornare allʼessenziale della fede: lʼamore pasquale di Gesù da cui sono trasformate e da cui scaturisce la possibilità di una nuova qualità delle relazioni. Le comunità in cui viviamo hanno oggi bi-sogno di raccogliersi e riconoscersi mag-giormente nellʼamore pasquale di Cristo, da cui sono state generate e dal quale sono sempre di nuovo rivivificate. P. Bignardi ha affermato con efficacia nella sua rela-zione: «Con il cuore in Lui, rigeneriamo la nostra volontà di amare questo mondo; con lo sguardo fisso in Lui, alleniamo lo sguardo a guardare la vita come la vede Lui. Vivendo come Lui, ricominciamo ogni giorno il cammino, rimessi in piedi dalla misericordia che ama senza merito e diffondiamo nel mondo la speranza che nasce dallʼessere amati e che dà speranza amando».Lʼattivismo delle opere di carità, mosso sicuramente da buone intenzioni e dalla passione per lʼuomo che ci muove in quanto credenti in un Dio incarnato, non basta a curare adeguatamente le molteplici ferite e fragilità degli uomini e delle donne di oggi, meno che meno basta a costruire buone relazioni. La qualità scadente delle relazioni nelle nostre comunità, quando sono troppo umanamente fondate, non rende affatto attraente la vita cristiana; anzi, la rende incapace di comunicare quella gioia di cui è portatrice. Non ba-sta lʼesercizio delle ʻopere di caritàʼ, per quanto necessarie e molto apprezzate dal mondo. Se le nostre comunità cristiane non esprimono anche una qualità buona delle relazioni, non narriamo alcuna spe-ranza e non si apre il cuore alla gioia della donazione. La Chiesa è chiamata ad essere e a diven-tare sempre di più “casa e scuola di comu-

nione”, per questo è necessario coltivare sempre di più una vera e propria “spiritua-lità della comunione”.La questione antropologica, suscitata dal progressivo diluirsi nella percezione comune del valore e della dignità della persona umana, ha certamente risvolti preoccupanti che riguardano il progresso biomedico e tecnico-scientifico in gene-rale, ma non potrà essere affrontata se non superando lʼindividualismo (anche della pastorale) che porta alla solitudine anche del presbitero.

Le urgenze pastorali emerse dal Conve-gno di VeronaSi può dire che nel Convegno è maturata una più chiara coscienza evangelizzatrice di tutta la Chiesa. Molto spesso è ritornata lʼespressione “conversione pastorale/con-versione missionaria”.Se, come crediamo, il Vangelo ha ancora un messaggio originale da comunicare

Problemi 34

Problemi35

nellʼora attuale, allora emergono tre strade da percorrere necessariamente: 1) ridare il primato allʼevangelizzazione:

le tradizioni del passato, che hanno ge-nerato le nostre comunità e noi stessi alla fede, rischiano di essere offuscate e di non essere più in grado di comuni-care il Vangelo, se non vengono rilette alla luce della Parola e rimodellate su di essa. Solo così lʼacqua pura che sca-turisce dal Vangelo può continuare a rifluire su noi e sui nostri contempora-nei;

2) recuperare a fondo la figura comunita-ria del nostro essere cristiani: non dob-biamo dimenticare che il Vangelo può essere accolto e vissuto solo allʼinterno di una comunità credente. Occorre vi-vere lʼappartenenza ecclesiale in modo tale che essa diventi già narrazione del Vangelo;

3) attuare una conversione pastorale: si tratta di portare il Vangelo dentro la

vita quotidiana concreta, là dove vi-vono gli uomini e le donne di oggi. In questo i fedeli laici hanno un ruolo indubbiamente determinante.

Tenere uniti la terra e il cielo.Come “pellegrini e stranieri” (1Pt 2,11) dobbiamo avere la mente lucida e il cuore libero per dare un originale contributo alla costruzione della città e del mondo attuale. Siamo tutti chiamati a mostrare al mondo il potere trasformante della “speranza viva” (1 Pt 1,3) che lo Spirito del Risorto ci dona per la vita presente nel mondo. In una parola, si tratta di mostrare che guar-dare la terra dal cielo e guardare il cielo dalla terra ci dà la giusta dimensione della vita personale, delle comunità e delle nazioni e, nello stesso tempo, la libertà di donarci nellʼamore, perché il mondo abbia la vita e lʼabbia in abbondanza (cfr. Gv 10,10).

DON CARLO BRESCIANI

“Alcuni rappresentanti delle altre confessioni Cristiane, presenti al Convegno”

StoriaMEDAGLIONI EDOLESIL'ARCIPRETE DON PIETRO TOGNI

Il 25 maggio 1715 cessava di vivere, con-sunto da debilitante malattia di “febre maligna” durata una decina di giorni, lʼar-ciprete di Edolo don Bonaventura Belle-mani. Nato nel non lontano paese di Vezza dʼOglio nel 1670, addottoratosi in utroque (ovvero in diritto canonico e civile), a far tempo dal 27 aprile 1708 egli era rimasto alla testa dellʼantica pieve di Santa Maria. Ora se ne moriva, in età ancora piuttosto giovanile, “lasciando ottimi argomenti di sua salute”, un grato ricordo per la buona attività svolta e una traccia visibile del proprio passaggio mediante lʼincisione delle iniziali del suo nome e dello stemma di famiglia sulla serraglia del portale dʼin-gresso della casa canonica, fabbricato di cui egli sollecitò la ristrutturazione.Alla sessione unica di concorso, indetta con tempestività in Brescia dal compe-tente ufficio della curia vescovile, si pre-sentò uno scelto lotto composto da quattro agguerriti candidati(1), provvisti di solida preparazione e ornati di costumi irrepren-sibili. Ne facevano parte: il dottore in teo-logia don Pietro Antonio Cuzzetti (Villa Dalegno 1687 c. – Vezza 1758), già con-fessore nel Seminario diocesano e affiliato al collegio vescovile; don Giovanni An-tonio Morgani (Valle di Saviore 1680 c. - 1734), canonico del titolo di SantʼAmbro-gio presso la pieve edolese dal 24 settem-bre 1711, nonché economo della stessa; don Antonio Maria Pisani (Malegno 1685 - Visano 1759), laureato in teologia a Mi-lano (dovʼera stato alunno nel venerando e celebre collegio di Brera, sotto la mo-

dellante e ferrea disciplina dei padri ge-suiti), impiegato in qualità di cappellano nella parrocchia nativa; don Pietro Togni (Cortenedolo 1669 c. - Edolo 1760), pure addottorato in sacra teologia, dal 1701 parroco della chiesa di San Gerolamo di Cedegolo e responsabile della vicaria foranea facente capo a quel beneficio. Al rigoroso esame, risultato per tutti ampia-mente positivo, la spuntò don Togni, che il 27 luglio 1715 ottenne la nomina ufficiale. I suoi tre competitori saranno chiamati a disimpegnare posti onorevoli: don Cuz-zetti nel 1717 diventerà parroco di Vezza dove resterà sino alla morte, rendendosi assai meritevole per aver promosso il rifa-

Ritratto dell'arciprete di Edolo don Togni.

cimento della parrocchiale di San Martino alla quale lasciò largo peculio, anche per assecondare la costruzione di un altare de-dicato a San Giovanni Nepomuceno; don Morgani continuerà ad essere occupato nelle mansioni di canonico in Edolo fino al decesso, avvenuto il 12 gennaio 1734, in conseguenza di "colpo appopletico replicato"; don Pisani, dopo essere stato per breve tempo economo della chiesa porzionaria di Santa Maria di Esine (nel 1719), nel 1736 verrà promosso arciprete di Visano, un centro adagiato nella bassa pianura bresciana, mantenendo tale dignità fino alla scomparsa. Allʼindomani dellʼele-zione di don Togni, appena “gionta questa nuova, -come annoterà più tardi nel suo ricco e fiorito zibaldone il noto cronista don Stefano Togni Marotta (Edolo 1717 - 1784), paziente raccoglitore e commen-tatore di memorie locali(2)- si rallegrò tutta questa Parrochia, a cui erano ben note le ottime qualità di questo Pastore, di modo che il dì 25 agosto 1715 in generale vicinia fù incaricato lʼeccellentissimo signor Bar-tolomeo Raimondi(3) di portarsi al Cede-golo per il giorno dellʼingresso del signor Arciprete in Edolo per servirlo nel viaggio, e di fargli onori anco più del costumato”: la persona incaricata, Fabio Bartolomeo Raimondi (Edolo 1679 - 1761), apparte-nente ad illustre famiglia locale, svolgeva lʼapprezzata professione di medico, la stessa esercitata dal defunto padre. “Andò però fallito il dissegno, perché il reveren-dissimo signor Arciprete godendo di ve-nire alla sua Parrochia in spiritu humilita-tis, non lasciò traspirare alcuna notizia del giorno della sua partenza dal Cedegolo: sicchè giunse alla casa archipresbiterale di notte tempo senza saputa di alcuno. Non andò però molto, che si seppe la di lui ve-nuta, onde le due comunità [di Edolo e di Mù] diedero segni di granʼgiubilo”.

È ancora il diligente scrittore don Ma-rotta a tracciare un lusinghiero e motivato giudizio sullʼarciprete, sacerdote retto ed esemplare: “Questo degno Pastore con grande prudenza e zelo governò que-sta Parrochia per il lungo corso di qua-rantacinque anni, essendo morto alli 3 maggio 1760. Levò molti abusi, riformò in granʼparte i costumi, introdusse molte pie e divote funzioni, tra le quali la espo-sizione del Santissimo Sacramento ogni prima e terza domenica di giugno, luglio, agosto nella chiesa parrochiale, che prima facevasi nella chiesa del convento; la so-lenne funzione del Triduo, la sacra novena per il santissimo Natale, la processione del venerdì santo di mattina inserviente per radunar il popolo alla predica. Concorse con larghe limosine alla spesa della nuova croce dʼargento, alla fabrica del nuovo al-tare di pietra ad onore del Sacramento, alla provisione de ̓sacri paramenti. Finalmente otto o dieci anni incirca avanti la sua morte volle lasciare a questa chiesa sua sposa un pegno prezioso del suo amore. Sborsò del proprio cento e venti zecchini, e comperò pianeta, tonicelle, piviale e continenza, tutti di prezioso e vago ricamo, facendo di tutto un dono alla chiesa parrochiale per le feste più solenni. Aggiunse finalmente per compimento un paio di cuscini di ricamo eguale al paramento”. Sotto la sua dire-zione si procedette, nel 1718, alla fattura di un nuovo e più ampio presbiterio nella parrocchiale, realizzato in “estenzione” dopo aver demolito lʼesistente campanile e una porzione del caseggiato adibito a re-sidenza del canonicato di Santa Caterina. La chiesa plebana rimase senza stabile torre campanaria per parecchi anni, fino a che nel 1754 la vicinia deliberò lʼedi-ficazione di un nuovo manufatto: il 10 agosto 1755 don Togni, “tutto che fusse in età di 85 anni”, volle scendere di per-

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Storia 38

sona nelle profondità delle fondamenta del cantiere, accompagnato e sorretto dai canonici coadiutori don Lorenzo Cantoni (Lava di Malonno 1688 c. - Edolo 1771) e don Clemente Clementi (Cortenedolo 1697 c. - Edolo 1758), per presiedere la cerimonia di benedizione della prima pietra. La fabbrica della nuova “sontuosa torre” verrà ultimata nel 1767. Nel 1730 egli diede corso allʼistituzione di una cap-pellania a favore della pieve e della locale chiesa di San Giovanni, disposta nel 1716 dal rettore di Cortenedolo don Giovanni Petrali (Temù 1640 - Cortenedolo 1719), dal quale era stato nominato esecutore te-stamentario. Nel 1737 ebbe a verificarsi in Santa Maria il furto di alcune suppellettili sacre esposte in occasione delle solennità di Pentecoste (una lampada dʼargento per lʼaltare del Santissimo Sacramento, una grande croce pure argentea, altra lampada per la statua della Beata Vergine Maria) e mai più recuperate: don Togni, “premu-roso di provvedere altri simili arredi, si affacendò nel raccorre limosine in chiesa ed oblazioni dei divoti in privato”. Ac-canto, intervenne la comunità che garantì un consistente versamento, utilizzato per lʼacquisto di una “bellissima e preziosa croce dʼargento” ad uso delle processioni, nella quale “furono rinchiuse molte reli-quie de ̓Santi e spezialmente del legno della Santissima Croce di Nostro Signore approvata dallʼeminentissimo vescovo di Brescia”. Nel 1743 il buon parroco incitò i fedeli a provvedere ad ornare, mediante lʼacquisizione e la posa di sfarzose fasce di damaschi, le spoglie pareti della chiesa,

convinto –stando a quanto riporta ancora lʼampollosa prosa di don Marotta- che “le chiese sono tante reggie del Rè del Cielo, e massime quelle in cui risiede Gesù Christo Dio e Uomo sotto il velo degli Eucaristici accidenti nel Sacro Tabernacolo. Quindi se Ferdinando primo re di Castiglia soleva dire «non convenire che i cortigiani del Re del Cielo (cioè i sacerdoti) fussero parati di vili ornamenti, quando i servitori dei re della terra andavano adorni di pompose li-vree», molto più disconviene che le chiese siano meno ornate et adobbate delle case e palazzi dei grandi della terra”. Anche in questa occasione lʼarciprete diede per primo il buon esempio, allargando con generosa mano i cordoni della borsa per-sonale. Nel 1749 appoggiò lʼerezione del nuovo altare maggiore della pieve, affidata –grazie al fattivo interessamento dei padri Filippini dellʼOratorio della Pace di Bre-scia- ad alcuni abili marmorai di Rezzato. Don Togni morì carico di anni, dopo quasi mezzo secolo di fecondo servizio pastorale e di guida oculata; i partecipati funerali, celebrati con il mesto intervento di tutti i sacerdoti operanti nelle comunità della vicaria, vennero presieduti dal vicino par-roco di Sonico don Bartolomeo Contenti (Paisco 1713 c. - Sonico 1786)(4). Con-servato presso la sagrestia parrocchiale, di lui si ha un bel ritratto che lo ha colto nel suo studio, seduto al tavolino, mentre –con espressione vigile- ha appena chiuso una lettera indirizzata al sapiente vescovo di Brescia cardinale Angelo Maria Querini (Venezia 1680 - Brescia 1755).

OLIVIERO FRANZONI

1) Archivio della Cancelleria Vescovile di Brescia, Parrocchie, Edolo.

2) Sullʼarciprete don Togni: S. TOGNI MAROTTA, Annali della Comunità di Edolo fatti l'anno 1772, ms., ff. 79 r.-v., copia in Archivio Parrocchiale di Edolo; M.

GAMBA, Cedegolo. Memorie storiche religiose e civili. Breno 1941, p. 70; A. SINA, I. MANFREDINI, La parrocchia plebana di Edolo-Mu. Brescia 1954, p. 83.

3) Il Raimondi si rese benemerito per aver effettuato, nel 1752, a beneficio della chiesa di San Giovanni, la donazione di due ostensori contenenti, rispettivamente,

reliquie autenticate di San Bartolomeo Apostolo e di Santa Chiara dʼAssisi.

4) Archivio Parrocchiale di Edolo, Libro de ̓Morti 1712-1770.

Arte e LetteraturaCHIESA DI SANTA MARIA MADRE DELLA CHIESA IN DARFO: LA TEOLOGIA DEL NUOVO ALTARE

Due date fondamentali segnano la sto-ria della Chiesa di S. Maria Madre della Chiesa in Darfo: il 1972 e il 2007. E' stato un percorso lungo 37 anni che è servito per ideare, costruire, arricchire di simboli religiosi, di bellezze artistiche, di segni di pietà e di simboli della liturgia, profon-damente legati alle indicazioni del Con-cilio Vaticano II, quella costruzione che il Parroco Mons. Filippo Bassi volle come nuovo segno dei tempi. Lʼantica parroc-chiale dei Santi Faustino e Giovita sarebbe rimasta la Chiesa “storica” nel cuore della tradizione della gente, ma S. Maria doveva essere il luogo di richiamo e raccolta per tutti: unʼaula ampia e luminosa, a forma di grande conchiglia, nella quale puntare, in forma “corale”, lo sguardo al Taberna-colo, abbracciandolo con lo sguardo e con la presenza, avvicinandosi alla “Mensa” da molte strade, non parallele tra loro, ma tutte convergenti. Proprio come la Chiesa del terzo millennio di Giovanni Paolo II che doveva aiutare l'uomo a raggiungere, da molte imperscrutabili strade, la "Ve-rità". Non sappiamo se tutto questo fosse presente nella mente dei due progettisti, gli architetti Arrivabene e Rovetta, ma, come ogni opera destinata ad essere vis-suta dall'uomo e amata si arricchisce nel tempo di simboli e di presenze, così è stato anche per la Chiesa di Santa Maria a Darfo: consacrata il 7 dicembre 1972 da Mons. Luigi Morstabilini, divenne via via la casa dei fedeli di Darfo con numerosi segni anche esteriori di testimonianza di fede, pietà e attaccamento fiducioso ai

simboli della Chiesa di oggi. La "Via Cru-cis" e “L̓ ultima Cena" di Giacomo Buz-zoni, con ritratti fisiognomici di persone note e amate, tra cui Don Filippo Bassi, Don Lino Ertani, Don Franco Rivadossi, Papa Paolo VI; le vetrate di Padre Co-stantino Ruggeri, volute dal parroco Don Giuseppe Chiminelli, che donano all'edi-ficio un senso profondo di pace serena e di immersione nel senso assoluto del "Mi-stero", con i simboli sempre presenti di Maria e della Croce, nella gioia della luce che viene dall'alto e che ristora il senso della vita e dell'umanità. E quindi l'ab-bellimento progressivo del Presbiterio e dell'altare. voluto dal parroco Don Franco Rivadossi già dal giorno del suo arrivo a Darfo, il 15 novembre 1992. E' stato pro-prio Don Franco a dare a questa Chiesa

Il Vescovo di Brescia, Mons. Giulio Sanguineti consacra il nuovo altare.

Arte e Letteratura 40

l'immagine del mistero rivelato attraverso i simboli, chiamando l'artista Sergio Rota Sperti a dare alla Chiesa il senso, anche fisico, di un libro aperto ai “poveri”, a co-loro che, nel frastuono di oggi, faticano a guardare verso l'alto, a guardare al cen-tro della rivelazione di Dio. Don Franco e Sergio Rota Sperti hanno seguito un cammino parallelo, fatto di conoscenza teologica e liturgica per l'uno e di intui-zioni e rispetto profondo del mistero per l'altro: dall'Annunciazione all'Apocalisse, passando attraverso le vite dei Santi della Chiesa bresciana, tra cui i Santi e Beati della Vallecamonica, a testimoniare alle donne e agli uomini di oggi che la santità è un progetto di Dio per tutti. Dall'inizio dei lavori di sistemazione della cupola della Chiesa nel 1993, a quelli che hanno visto abbellito il Presbiterio nel 1996 e l'affre-sco della cupola nel 1998, mancava ancora un passo che Don Franco riteneva urgente: un nuovo altare in un rinnovato presbite-rio. L̓ altare venne, a suo tempo, realizzato in materiale povero, anche a causa delle ristrettezze economiche e dell'urgenza con la quale la Chiesa doveva essere con-segnata ai fedeli. Il percorso che avrebbe visto il nuovo altare, per completare con dignità e bellezza anche artistica la nuova Chiesa dedicata alla Madre di Dio, è du-rato 6 anni. Sergio Rota Sperti aveva un

suo progetto, ma il tempo necessario a rea-lizzarlo si è completato solo domenica 11 febbraio 2007. Il Vescovo Mons. Giulio Sanguineti ha consacrato il nuovo altare con una cerimonia particolarmente so-lenne e suggestiva contraddistinta da quat-tro atti liturgici fondamentali: l'aspersione dei fedeli, l'unzione della mensa, l'incensa-zione e l'illuminazione dell'altare appena unto e benedetto. Il nuovo presbiterio, così come realizzato da Rota Sperti, presenta tre grandi segni a tutti visibili e chiari: la pietra, il legno, il bronzo. La pietra, innan-zitutto, che ricorda le Tavole della Legge, le prescrizioni del Signore a Mosè circa l'altare, il primo sacrificio che Dio chiese ad Abramo. L'analogia con il sacrificio di Cristo sulla Croce è immediata: la pietra sulla quale viene sacrificato l'innocente, colui che paga per tutti, che ritorna ogni volta che il sacerdote pronuncia le parole di Gesù nell'Ultima Cena: "Questo è il mio corpo...questo è il mio sangue...". Una pietra, un marmo, che ricorda anche la solidità della promessa di Gesù: "io sarò sempre con voi", promessa che viene in-vocata anche dagli apostoli sulla strada di Emmaus: "Resta con noi, Signore, perché si fa sera...". Quindi il legno: una vasta pedana di legno chiaro ha sostituito il ce-mento della prima costruzione e ricopre tutto lo spazio del presbiterio. Il legno

Il nuovo altare.

41 Arte e Letteratura

riporta alla natura, alla semplicità con la quale Dio ha parlato all'uomo e l'uomo può rivolgersi a Lui, come tra le pareti di casa, alla propria mensa famigliare, nella vita di ogni giorno, nel silenzio che sa ascoltare la voce della coscienza nel confessionale. Il legno è elemento primo: nella casa, negli utensili, nel lavoro, nel calore del fuoco, nella pace finale della morte, nel riposo dalla calura estiva, nel simbolo dell'Arca che salva l'uomo dal disastro e tra il becco della colomba che porta la pace. Il legno è simbolo della Croce che nella Chiesa di Santa Maria, tra tanto cemento e vetro, collega direttamente la Mensa eucaristica e lo spazio sacro con la grande Croce che sta al centro della cupola. Infine il bronzo delle sculture dell'altare, dell'ambone e della sede, che ricorda il patto tra Dio e l'uomo, il suggello di ogni promessa, la chiave con la quale si apre il "Libro" della rivelazione, il simbolo innalzato da Mosè nel deserto per salvare gli Israeliti, il sim-bolo della Croce di oggi. Ma il bronzo è ancora qualcosa di più in questa civiltà dei

suoni urlati: è soprattutto il suono delle campane che ritmano la vita dell'uomo di fede, il suono della gioia della fede e della pace nel giorno della morte, il segno di una comunità che si raccoglie nel suono della campana che richiama alla preghiera e al raccoglimento. Le sculture di Rota Sperti rileggono, assieme i fedeli, il senso della Chiesa oggi: Gesù che spezza il pane e dona l'Eucaristia, al quale fanno corona due Cherubini in preghiera, è il sostegno del marmo dell'altare. La Maternità di Maria, in un bel tondo bronzeo, ispira la parola del celebrante dall'ambone. La for-mella quadrata con i quattro simboli degli Evangelisti sostiene il Libro dei Vangeli del pulpito. La scultura di Rota Sperti, che diventa ancora più spigolosa ed essenziale rispetto al suo segno pittorico, già molto li-neare e ridotto al simbolo, aiuta a meditare a fondo il senso della "Rivelazione" del "Logos", del "Verbum" e della "Parola". Eliminati tutti i segni esteriori aggiunti nel tempo per "coprire" nel tentativo di abbel-lire, oggi questo nuovo presbiterio con il suo altare, la sede e l'ambone viene propo-sto ai fedeli come riscoperta liturgica. Lo sguardo di chi si sofferma in preghiera in Santa Maria trapassa i simboli dell'azione liturgica e va diritto al Tabernacolo, luogo della Presenza di Dio tra la gente del terzo millennio. Che sia stato intenzionale o meno, come sempre e come in ogni luogo di culto, tocca ad ognuno di noi scoprirne il senso e riportarlo concretamente nella pro-pria vita. Come ha detto nella sua omelia il giorno della consacrazione Mons. Giulio Sanguineti, questo altare "...Sia la mensa del convito festivo al quale accorrano lieti i fedeli, sia il luogo della loro unione, sia il luogo dell'unità della Chiesa, sia il cen-tro della nostra Fede...".

FRANCESCO GHEZA

Un momento della “consacrazione”, 11 febbraio 2007.

AmiciRICORDANDO MONS. GIULIANO FRANZONI

Ci sono persone che intercettano la mia vita per breve tempo ma vi lasciano un segno indelebile. Mons. Giuliano Franzoni è una di queste. Non lʼavrei mai detto sei anni fa quando mi chiese di collaborare con lui alla dire-zione dellʼIstituto C. Arici come preside. Allora mi apparve una persona lucida, determinata, essenziale, molto abile nel cogliere i moti positivi del mio cuore e smontare le mie paure e la mia insicu-rezza; una persona con cui percorrere un tratto di strada nella chiara consapevolezza della distinzione dei ruoli, solo accomunati dalla meta comune.Cammin facendo la sua passione educa-tiva è entrata in risonanza con la mia, la sua fiducia nel servizio dei laici mi moti-vava e spronava ad un impegno sempre più coinvolgente.E dopo pochissimo tempo la ricca uma-nità, nascosta sotto i suoi modi decisi, a volte bruschi ed aspri, mi ha sorpreso, ri-velando attenzione, sensibilità, tenerezza che coniugate con la sua tenacia e la sua determinazione lo hanno reso un amico speciale anche per i miei familiari.La sua schietta amicizia non mi ha rispar-miato confronti serrati e critiche costrut-tive, ma il suo sincero affetto mi ha sempre sostenuto nelle molteplici difficoltà che la complessa rete di relazioni educative di una scuola comporta e nella non semplice programmazione in periodi di mutamenti sociali e legislativi come è quello attuale.Anche negli anni successivi al suo retto-rato, il suo affetto e lʼansia formativa che da sempre caratterizzava la sua vita, lo

hanno tenuto legato allʼIstituto C. Arici e lo hanno reso un prezioso sostenitore di scelte e di progetti da lui già pensati da tempo. È stato una persona che ha dato tanto alla scuola fino alla fine.Mi manca. Ma sono certa che nulla e nes-suno può vietarci di continuare a volergli bene, come ha detto il Vescovo Giulio nel-lʼomelia del suo funerale.Ed egli continuerà a volerne a noi e a quanti hanno a cuore la formazione dei giovani.Chi crede nel Signore della Vita sa che lʼAmore vince la morte.

DANILA DʼINCÀ

Il campanile della Chiesetta dell'Eremo cui Mons. Giuliano era molto legato.

Personaggi e TempiPROFILO DEL SERVO DI DIO PADRE LUDOVICO BALLARDINI DA BRENO

Il 5 luglio 1680 un alto prelato della curia romana, il dottissimo e navigato cardi-nale ligure Alderano Cibo (Genova 1613 – Roma 1700), prefetto della Sacra Con-gregazione dei Riti, invitava per iscritto il vescovo di Brescia monsignor Bartolo-meo Gradenigo (Venezia 1635 - 1698) a trasmettere un “compìto ragguaglio” circa “la vita e fama” di un umile frate fran-cescano originario della Valle Camonica, morto da poco più di un anno, al fine di valutare la concreta opportunità di aprire un eventuale procedimento canonico, onde dichiararlo venerabile e poi aprire la strada alla successiva beatificazione. Il soggetto in questione era padre Ludovico Ballardini da Breno, una bella figura che si staglia luminosa sul fondale del mondo religioso camuno del Seicento. Figlio di messer Ludovico († Breno 1644), notaio e commerciante allʼingrosso di vini pro-veniente dalla contrada di Temù, e della nobildonna Anna Ronchi, di casata bre-nese per secoli ai vertici del potere locale in virtù di abbondanti fortune e di sor-prendente capacità di “adattamento”, fu battezzato -con il nome di Giulio- nella parrocchiale di Breno il 26 maggio 1616. Mandato a studiare presso il collegio mila-nese di Brera, governato dai gesuiti, “im-parò con facilità dʼingegno e prontezza di giudicio le scienze di retorica, fisica e metaphisica”, ultimando “con applauso” lʼintrapreso corso di filosofia, in maniera così convincente da lasciar presagire una brillante carriera negli anfratti del secolo.Dopo una ponderata riflessione intorno alla vocazione personale, il giovane de-

cise invece di prendere i voti e, nel 1636, fu accettato (nel convento bergamasco del Romacolo) fra i Minori Osservanti Rifor-mati della Provincia di Brescia, ben pre-sto segnato a dito come “novitio perfetto nellʼobedienza, nella mortificatione et in tutte le sue attioni”, ammirato per aver saputo domare il proprio temperamento “bellicosissimo e sanguigno”, al punto che “pareva che in lui fosse totalmente estinta la collera naturale”. Ordinato sacerdote, celebrò la prima messa nel convento di Santa Dorotea di Cemmo. Di costumi austeri, era solito perdersi nella “meravi-gliosa orazione” e fu più volte veduto dai confratelli rapito in estasi, inginocchiato dinanzi allʼaltar maggiore della chiesa conventuale della Santissima Annunciata di Borno. Del resto egli “era diligente alli officij tanto di giorno quanto di notte e divideva li suoi essercitii parte in divini officii, parte in oratione mentale, parte in prostationi per terra, in bacciare imagini sacre, spetialmente di Cristo e della Ma-donna”. Quando doveva uscire dal chio-stro dove stava di famiglia, recava con sè “il solo breviario alla corda pendente”, la corona del Rosario e una croce di legno, recitando di continuo “De profundis, ro-sarii o salmi anco per le strade”. Com-passionevole verso poveri e ammalati, di-giunava spesso, non mangiava o beveva “fuori della refettione comune et alla mensa stava parchissimo, non prendeva mai pittanza, solo pane e vino e talvolta un poco dʼinsalata e prendeva i bocconi di pane di tanto numero che si prefigeva e non più”; non si accostava al focolare

Personaggi e Tempi 44

se non “nelle attioni publiche al tempo dellʼinverno dove andava con i chierici allʼore determinate come dopo mattutino a recitare lʼofficio della Beata Vergine et avanti e dopo il pranzo per partecipare di quelle puoche orationi che si dicono per li benefattori”. Di grande modestia, “cor-reva dopo la refezione in lavatoio a lavar le scudelle e sempre con li chierici in tal esercizio diceva in loro compagnia delle orationi e dopo se nʼandava o in chiesa o in cella a far oratione o ad attendere alli suoi esercizi spirituali”. Profondo studioso di Sacra Scrittura e di canonistica, amante dei centoni di spiritualità, dopo aver inse-gnato per qualche tempo lettere, filosofia e regola serafica, “con sotigliezza non or-dinaria e dottrina soda”, seguì in veste di segretario il padre Teodoro Capodiferro da Bergamo (1606 - 1677), destinato visita-tore apostolico a Lucerna, nei luoghi dove i frati lombardi contavano numerose sta-

zioni di missione. Tornato in Provincia e declinato lʼufficio di vicario del convento bornese, partì nel 1648 nuovamente alla volta delle regioni protestanti svizzere, dove rimase per oltre ventʼanni, impegnato in una eroica opera di evangelizzazione, conseguendo “mirabil frutto” in termini di conversioni “di quei eretici alla cattolica fede”. In questo delicato e pericoloso in-carico si confermò per “gran predicatore e gran servo di Dio, sempre assiduo al suo santo servizio, ora in predica, ora a confes-sare, ora a visitare ammalati, ora in dispute con i ministri eretici et altri calvinisti”. Visse gli ultimi tempi a Brescia, nel con-vento di San Cristo, tenuto in concetto di santità “da tutti e quando lo vedevano ca-minar per la città dicevano: vien il Santo”. Il suo transito al Paradiso, avvenuto soave-mente il 9 maggio 1679, provocò una mas-siccia processione di fedeli che gli “bac-ciavano le mani, piedi e faccia, come se

P. Ballardini predica alle folle.

45 Personaggi e Tempi

fosse stato un vaghissimo fiore”, e generò una fioritura di ricordi tesi a descriverne la bontà. Emergeva che padre Ludovico era “ardentissimo in diffendere li articoli di fede e lʼauttorità del Sommo Pontefice, e sʼincaloriva tutto fiameggiante”, ope-rando “con gran speranza della gloria”. Già la gente ne implorava lʼintercessione, “in tempo di malattie, disgrazie o litiggi”: tra i miracoli segnalati vi fu quello riguar-dante un antico superiore dellʼAnnunciata, il padre Bernardino Cortelli da Palazzolo (1600 – Cividino 1664), guarito prodigio-samente da una “fistola nel calcagno” non appena il Ballardini, “ancor chierico, colla lingua ne lambì di nascosto la parte offesa mentre il guardiano gli stava davanti a far orationi in coro”.Raccogliendo diverse sollecitazioni, le gerarchie provinciali dellʼOrdine misero a punto una serie di informative intorno al defunto, inviate a Roma nel 1702.

Ben presto, tuttavia, la causa si arenò, no-nostante lʼimpegno dei vari postulatori, tra i quali i padri Cherubino Tajetti da Ro-vato (1641 – Brescia 1724), Fabiano Ma-lanotte da Edolo (1643 – Brescia 1704) e Carlo Girolamo Bassanesi da Breno (1656 – Borno 1710), coadiuvati nella raccolta della documentazione dagli arcipreti di Breno e di Cividate, rispettivamente, il dottore in teologia don Giovanni Bona-riva (Villa di Lozio 1646 - Breno 1718) e don Picino Leandro Conti (Breno 1637 - Cividate 1711), laureato in diritto cano-nico e civile. Al di là dellʼinterruzione del processo canonico, la cristallina testimonianza cri-stiana di padre Ludovico è rimasta inte-gra nella memoria dei devoti, a mantenere vivo un fecondo patrimonio di fede e di pietà.

OLIVIERO FRANZONI

LettureGLI SCRITTI DELLA BEATA MARIA MADDALENA MARTINENGO

Padre Costanzo Cargnoni, originario di Pisogne, è frate cappuccino della Provin-cia di San Carlo di Lombardia. Ordinato sacerdote nel 1965, si è laureato in storia ecclesiastica allʼuniversità Gregoriana in Roma con una tesi su “Viatore Bianchi da Coccaglio, teologo polemista e il gianse-nismo italiano”. Già archivista e segretario provinciale dei Cappuccini lombardi, nel 1976 è stato chiamato dal padre Generale a Roma presso lʼIstituto Storico Interna-zionale dei Cappuccini, dove tuttora opera in qualità di specialista della storia e della spiritualità cappuccina. E ̓stato per una decina dʼanni docente di storia dellʼordine francescano al Pontificio Ateneo Antonia-num di Roma. Componente del comitato di redazione di “Collectanea Franciscana”, rivista internazionale di storia, dottrina, spiritualità e arte francescano-cappuccina, dirige la sezione di bibliografia france-scana. Ha partecipato a moltissimi conve-gni storici e ha pubblicato diversi libri e numerosi saggi in periodici specializzati. Ha curato, tra lʼaltro: la vigorosa edizione delle Fonti Francescane (in 6 grossi vo-lumi); il Santorale dellʼordine cappuc-cino (edito in occasione del giubileo del 2000); un robusto contributo (relativo al Due-Trecento) alla Storia della spiritua-lità italiana.La sua ultima fatica in ordine di tempo è lʼaver curato la redazione e gli indici di unʼopera ponderosa, divisa in due volumi, che raccoglie gli scritti, rimasti sinʼora per lo più sconosciuti e allo stadio di manoscritto, della Beata Maria Madda-

lena Martinengo, una clarissa cappuccina appartenente a nobile famiglia bresciana, vissuta tra il 1687 e il 1737. Il lavoro re-centemente licenziato costituisce il terzo titolo apparso nella collana “Miscellanea di testi cappuccini”, dove si contano già, curati dal medesimo Padre Cargnoni, due altri volumi: BEATO INNOCENZO DA BERZO, Tutti gli scritti (Roma 2002), e FRA CECILIO MARIA CORTINOVIS DA COSTASERINA, Diario – Lettere – Note spirituali. 1924-1982 (Roma 2004).L̓ edizione critica, lʼintroduzione e le note si devono allʼacribia del confratello Franco Fusar Bassini, originario di Passarera (Ca-

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pergnanica, Cremona), che ha speso lun-ghi anni della propria attività di solerte e capace studioso nella predisposizione di questa insigne collezione. Dal canto suo, il vescovo di Brescia monsignor Giulio San-guineti ha preparato una stimolante prefa-zione, nella quale si sottolinea la certezza che la lettura attenta e meditata degli scritti della Beata rappresenti un “dono ritrovato e diffuso di cui rendere gioiosamente gra-zie a Dio”. Molto ricca appare la sezione riguardante la bigliografia utilizzata, am-pia si riscontra la ricerca sulle molteplici e sparse fonti dʼarchivio, assai solidi e cir-costanziati risultano i due corposi saggi in-troduttivi dedicati, rispettivamente, a radu-nare e analizzare i “lineamenti biografici” e i “lineamenti dellʼesperienza spirituale” della mistica bresciana.Maria Maddalena, battezzata con il nome di Margherita, venne alla luce nella città

di Brescia, in un bel palazzo di ragione del conte Francesco Leopardo Martinengo, il 4 ottobre 1687. Giovane intelligente e par-ticolarmente amante della lettura, venne collocata -in qualità di educanda- dap-prima presso il monastero delle agosti-niane di Santa Maria degli Angeli, in se-guito nel monastero benedettino di Santo Spirito, dove potè addestrarsi con esem-plare dedizione alla coltivazione della pre-ghiera e delle attività di studio. Nel corso di un breve soggiorno di vacanza e ristoro trascorso tra le montagne intorno al lago dʼIseo, iniziò a sentire un forte trasporto verso la vita contemplativa claustrale. Nel contempo, votata la sua verginità a Dio, si dispose a rifuggire dalle incalzanti e corrompenti attrattive del mondo e a re-spingere con coraggiosa fermezza gli in-sinuanti e prestigiosi progetti di matrimo-nio vagheggiati dal genitore. Nonostante

Uno dei chiostri del convento cappuccino dell'Annunciata di Borno in una vecchia fotografia.

Letture 48

fosse di costituzione assai cagionevole, lʼ8 settembre 1705 risolse di entrare nel convento cittadino delle cappuccine di Santa Maria della Neve, facendo lʼanno dopo la regolare professione religiosa. In tale sede, visse nel nascondimento e nel servizio per trentadue anni, fino alla prematura scomparsa, impegnata in varie mansioni, dai lavori più umili e stancanti (sguattera, facchina, ortolana, lavandaia, sarta, ricamatrice), ai ministeri via via più rilevanti (maestra delle novizie, rotara, vi-caria e badessa). Non le furono risparmiati afflizioni e dispiaceri, dovuti a ostilità e gelosie da parte di qualche consorella e di alcuni poco sensibili confessori.Animata da entusiasmo ascetico, lʼ11 aprile 1721, venerdì santo, visse lʼalta esperienza del “matrimonio mistico”, della completa unione spirituale con

Cristo da lei stessa descritta con queste commoventi parole: “Ero anchʼio su quel Monte Calvario tutta crocefissa col mio Gesù, e mentre con Lui agonizavo si fece questa congionzione di spiriti che è il ma-trimonio spirituale il quale si celebrò in prospettiva di tutto il Paradiso e nel plus ultra delle mie pene”. Nella seconda parte dellʼanno 1725, su espressa disposizione del suo confessore, attese alla stesura di unʼautobiografia. La sua vicenda interiore si presenta come “un grandioso panorama di spiritualità percepibile ora dai suoi meravigliosi scritti”, tra cui si segnalano, per densità e altezza di contenuto, gli Avertimenti spi-rituali, le Massime spirituali, il Trattato dellʼumiltà e i Dialoghi mistici. Sfinita dal fuoco del divino e “insofribile” amore, ri-piena di doni mistici accettati con estrema

Chiesa del Convento della SS. Annunciata di Borno. Presbiterio. Sposalizio di Maria Vergine (Giovan Pietro da Cemmo, 1475).

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docilità e senza alcun sussiego, ripiegata umilmente a infliggersi terribili penitenze e straordinarie mortificazioni, morì sere-namente il 27 luglio 1737, a cinquantʼanni non ancora compiuti. Due anni dopo il ve-scovo cardinale Angelo Maria Querini ne avviò con slancio il processo canonico. Ri-conosciuta lʼeroicità delle virtù da Pio VI, con decreto emanato il 5 maggio 1778, la Martinengo è stata beatificata il 3 giugno 1900 da Leone XIII.I suoi scritti, che si rivelano caratterizzati da notevole ricchezza spirituale, si mo-strano tessuti “di esperienza soprannatu-rale trinitaria, cristologica, cruciforme, mariana” e costituiscono uno dei vertici della letteratura mistica femminile del primo Settecento, secondo lʼautorevole giudizio espresso da don Divo Barsotti, il finissimo e penetrante maestro di spiritua-

lità e di mistica recentemente scomparso. Dal compendio delle opere finalmente disponibile, lʼautrice risalta come “una mistica francescana con venature perso-nalissime di mistica nordica e carmelitana e con la praticità e lʼardore penitenziale della mistica cappuccina, tutta protesa al-lʼinfinito divino”. Oltre ai testi principali, nei due volumi è contenuta la trascrizione di 202 lettere indirizzate a vari destinatari e la presentazione di 14 delicate compo-sizioni poetiche sgorgate dalla raffinata sensibilità dalla Beata.

OLIVIERO FRANZONI

B. MARIA MADDALENA MARTINENGO, Gli scritti. Edizione critica, introduzione e note a cura di FRANCO FUSAR BASSINI OFMCap. Redazione e indici a cura di COSTANZO CARGNONI OFMCap. Roma, Istituto Storico dei Cappuccini, 2006, pp. XXI, 2545.

Foto d'epoca del Convento dell'Annunciata di Borno.

LettureARTOGNE: LA TERRA E GLI ABITANTI

II testo di Ernesto Andreoli (scomparso a maggio 2005 dopo una vita dedicata alla famiglia, al lavoro, allʼimpegno sociale) è un “mattone”, così egli lo definiva; ma per noi è fatto dʼoro, così tante sono, in 672 pagine, le notizie, frutto di estenuante ricerca, che vengono offerte su Artogne, cittadina della bassa Valle Camonica: Par-tendo dalle origini e scendendo ai giorni nostri. Andreoli si accosta alla ricerca sto-rica già nel 1970, curiosando nellʼarchivio parrocchiale artognese; dal 1984 approfon-disce il tema locale allʼArchivio vescovile di Brescia per arrivare dopo ventʼanni alla stesura del volume che, per lʼimmatura morte di Ernesto, viene messo a punto con lʼaiuto di Oliviero Franzoni, di Gian Claudio Sgabussi, di Eugenio Fontana e di Antonio Fappani, non dimenticando lʼopera grafica di Simone e Mattia Quetti ed il contributo operativo di altri amici. Per definizione dellʼautore, il volume è un viaggio attraverso Estimi, Stati dʼanime, Ruoli della popolazione, Censimenti, Atti notarili. Antonio Fappani definisce il libro come un servizio fedele alla Comunità. Cʼè lʼattento intervento di Sgabussi con pagine sullʼevoluzione dal paesaggio naturale a quello antropizzato; mentre Franzoni vede Artogne come Villa nel Pievatico di Ro-gno, di cui fornisce abbondanti tabelle do-cumentali. Parte, a questo punto, lʼopera di Andreoli, con le origini e le prime notizie. L̓ iter si sviluppa attraverso lʼanno Mille, gli spiragli di fine Duecento, il Trecento e lʼavvento dei Federici, il Quattrocento

in pergamena, il Cinquecento (rinascita e sviluppo) e poi, via via fino al Nove-cento, in pagine di fitta comunicazione. Ricchissime sono le Appendici su popola-zione e famiglie: movimenti demografici della popolazione di Artogne e Piazze; nota delle famiglie estinte e delle fami-glie attualmente residenti. Nella postfa-zione Fontana parla di una grande lezione dataci da Andreoli, come uomo e storico. Non va dimenticato il prezioso apporto fotografico, in una ricca espressione della vita passata su modi di vita, costumi, ar-chitettura paesana.

SEBASTIANO PAPALE

ANDREOLI, Ernesto, Artogne La Terra e gli Abitanti, Cooperativa Socio Culturale di Artogne. Fondazione Civiltà Bresciana, collana Terre Bresciane, Anno

2006, pagine 672.

SPIGOLATURE DI VANGELO

Letture

Il dottor Vittorio Gatti, medico di lungo corso, specializzato in Medicina Interna e in Oncologia, originario di Sassuolo, vive e opera a Breno da molti anni. Docente di Omeopatia presso la scuola di Brescia e allʼAccademia Interscolastica di Milano e di Bologna, presiede -dal 1990- lʼAsso-ciazione Omeopatica Bresciana.Accanto alla professione, esercitata con serietà e competenza, ha sempre coltivato la scrittura - in versi e in prosa - non a guisa di un sia pure apprezzabile passa-tempo intellettuale, bensì come passione essenziale, intrinseca e qualificante del proprio stimolante percorso umano.Di recente, realizzando un desiderio da tempo accarezzato, ha dato alle stampe un agile volume intitolato Spigolature di Van-gelo. Curiosando tra le penombre, opera composta e cresciuta tesaurizzando ope-rosamente –secondo lʼormai (purtroppo) desueto modello mutuato dallʼotium degli antichi latini, progenitori di civiltà per il mondo intero- le pause di riflessione e di quiete incastrate a fatica tra un impegno professionale e lʼaltro.Si tratta di una serie di brevi commenti, una ordinata mietitura di meditazioni e di pensieri inseriti a postillare e chiosare una accurata scelta di passi tratti, per lʼap-punto, dal Vangelo, soprattutto dai fram-menti scomodi, quelli che più interrogano le coscienze, quelli meno digeribili per i cristiani tiepidi e “fai da te”. Ne esce quasi un compendio da pensiero forte da cui si eleva la figura di un Cristo a tutto tondo, con tutte le asprezze al posto suo, un Cri-

sto combattivo e vigoroso, che non ama farsi ingabbiare tra le maglie della dete-riore pubblicistica spicciola e in voga che lo vorrebbe ridurre a melensa macchietta buonista, a protoproletario senza sugo, a emblema per battaglie sociali a senso unico a poco costo dʼimpegno e ad alta resa mediatica.Attraverso le pagine del veloce saggio si snoda unʼanalisi costruita con una prosa chiara, colta e molto sorvegliata. Si rileva nel lavoro unʼattenta cura alla ricostru-zione del quadro storico e un minuzioso

approfondimento dellʼambiente del-lʼepoca, laddove sono citati -con proprietà e cognizione di causa- eventi, situazioni e contenuti della storia ebraica. Si accu-mulano così davanti agli occhi e al cuore del lettore mucchietti di esili pagliuzze, quasi trascurate e poco rilucenti, ma forse per questo tanto più preziose, individuate solo grazie allʼocchio vigile e anelante, appunto, dello spigolatore piegato a scru-tare incessantemente il terreno (e, fino a un non lontano passato, i camuni –soprat-tutto donne di tutte le età- a frotte calavano nelle terre nebbiose della grassa pianura padana proprio per raccattare qua e là, e radunare nei capaci grembiuli, le spighe e i chicchi rimasti sul campo al termine delle operazioni del raccolto). Ne esce il ritratto di una fede per così dire “antica”, ma certamente autentica, fondata sullʼac-cettazione dei principi cristiani senza vo-lerne mettere in discussione i contenuti, una fede semplice, che si abbeverava alla fonte della partecipazione ai riti e alla quale si accompagnava uno stile di vita incentrato sulla moralità dei costumi e il rispetto alla Chiesa e ai suoi ministri. Era la fede delle nostre nonne che hanno te-nuto in piedi la Chiesa e che recitavano a memoria le preghiere imparate dai genitori e traevano dallʼorazione ripetuta la forza di andare avanti; la fede era il vincastro che sorreggeva nelle prove del dolore e della morte e condiva le gioie e i momenti belli della vita. Le madri recitavano insieme ai figli le preghiere quotidiane, parlavano di Gesù con pietà e naturalezza alle creature che ancora stavano loro in grembo, le pra-tiche religiose erano talmente familiari da essere sentite dai bambini come una ne-cessità primaria. L̓ appassionata testimo-nianza del dottor Gatti richiama un poco

alla mente la fisionomia di quei medici, ahimè forse passati di moda, quasi fossero dellʼOttocento o giù di lì, chʼerano maestri di umanità e uomini di cultura tout court, animati da vasti interessi che andavano al di là delle necessità richieste dallʼesercizio medico, i quali, accanto alla propria pre-cipua specializzazione, e forse un po ̓per scongiurarne gli eccessi da onnipotenza scientista e esorcizzarne i limiti e le osses-sioni, sapevano dedicarsi –talora con pari profitto e perizia- alle scienze naturali, alla chimica, alla botanica, alle belle lettere, alla storia, alle speculazioni filosofiche, alle arti, alla musica. Persone che, con la ricetta o la pozione per guarire il corpo, ti sapevano porgere –amabilmente e senza assumere toni professorali- un consiglio, un incoraggiamento, una parola, una pil-lola di vita, un lacerto di esperienza, una spigolatura, insomma, di verace umanità.

OLIVIERO FRANZONI

VITTORIO GATTI, Spigolature di Vangelo. Curiosando tra le penombre. Milano, Editrice Nuovi Autori, 2006, pp. 155.

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PARCO DELL'ADAMELLO

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Già alla prima occhiata ci si accorge che non è una guida in senso stretto ma che, nello stesso tempo, è ben più di una guida, se per farci ripercorre idealmente un territorio le immagini valgono quanto e più delle parole: il volume fotografico dedicato al parco dellʼAdamello, uscito nel dicembre del 2006, è un lungo rac-conto che appaga lʼocchio e il cuore, che aiuta ad apprezzare ancora meglio il grande patrimonio naturalistico, ambien-tale e umano di cui è ricca la vasta area protetta che va dal passo di Crocedomini a quello del Tonale, occupando tutta la sinistra orografica della Vallecamonica. Lʼopera, pubblicata da Lyasis Edizioni e costituita di 144 pagine di grande formato, è stata presentato come strenna natalizia nellʼauditorium “Mazzoli” di Breno alla presenza dei presidenti della Comunità montana e del Bim, Alessandro Bono-melli ed Edoardo Mensi, dellʼassessore al parco e del direttore dello stesso, Martino Martinotta e Vittorio Ducoli, oltre che del fotografo naturalista Elio Della Ferrera che è lʼautore della quasi totalità degli oltre duecento scatti raccolti nel volume. L̓ autore, che per alcune foto di animali si è avvalso della collaborazione del collega Adriano Turcatti, ha saputo ritrarre angoli, scorci, paesaggi, piante ed animali con indubbia abilità professionale, seguendo una scaletta che lo ha portato,anzitutto, a dar conto dei colori del parco adamellino: dal bianco-sporco dei ghiacciai allʼazzurro velato dei laghetti alpini fino ad arrivare al verde intenso delle abetaie. Il seguito della “scaletta” ha portato Della Ferrera a

percorrere e a fotografare i ghiacciai e le compatte tonaliti granitiche che la fanno da padroni nella zona più a nord, per la-sciare poi alle meno selvagge rarità bota-niche il ruolo di protagoniste nella zona più meridionale del parco. Gli scatti sono davvero suggestivi, ricchi di fascino e di poesia, soprattutto per chi la montagna la pratica e la ama. Ma scorrere le pagine del volume fa bene anche a chi vuole o deve accontentarsi di percorrere sentieri e cime solo idealmente: si tratta in ogni caso di un viaggio e di unʼesplorazione di luoghi e ambienti che per molti camuni sono ap-pena oltre la soglia di casa ma che spesso restano luoghi inesplorati e un po ̓miste-riosi. Il volume può anzitutto aiutare a fa-miliarizzare con essi e poi può diventare prezioso vademecum per chi ama spostarsi e gustare di persona.

G.M. M.

DELLA FERRARA, ELIO, Parco dell'Adamello, Lyasis Edizioni, 2006.

ETTORE CALVELLISCULTORE

“Cʼè una certa fusione tra le tre forme dʼarte di Ettore Calvelli: scultura pura (tutto tondo), medio alto rilievo e meda-glistica”. Così lʼautrice Giovanna Pascoli Piccinini, in estrema sintesi, riassume la vicenda artistica del Calvelli nel volume “Ettore Calvelli Scultore”, stampato per i tipi della Tipografia Camuna di Breno e curato da Andrea Bulferetti, in occasione del decimo anniversario della scomparsa del grande artista.Calvelli nacque a Treviso nel 1912 e frequentò inizialmente la Scuola serale dʼarte e mestieri poi, dal 1929 al 1936, la Scuola superiore applicata allʼindustria del Castello Sforzesco, il Corso di plastica te-nuto da Restelli e Marchini a Milano ed il corso di cesello presso lʼAccademia di Belle Arti di Brera. A metà degli anni Trenta il Calvelli iniziò gradualmente il suo percorso artistico che lo portò in breve ad affermarsi soprattutto quale “medagli-sta insigne”. “Proprio questa definizione” – spiega Eugenio Fontana nella sua introduzione al volume - “puo ̓costituire un utile in-dizio per avvicinarsi e possibilmente co-gliere lʼispirazione e lʼespressione del suo mondo artistico, perchè una medaglia non è scultura a tutto tondo, non è basso o alto rilievo in senso tecnico e ovviamente non è disegno, non è pittura. Probabilmente, al-meno nellʼopera di Calvelli, una medaglia è tutto questo (scultura, pittura, e disegno) ed altro nel generarsi e nel manifestarsi della sua forma artistica”.Ettore Calvelli è stato insegnante al liceo

artistico delle Orsoline di S. Carlo ed al-lʼAccademia di Brera a Milano. Ha espo-sto in sei biennali a Venezia, in cinque Quadriennali a Roma, in varie triennali a Milano ed in moltissime mostre nazio-nali ed internazionali della medaglia con premi e riconoscimenti. Dal 1978 è nomi-nato Accademico Pontificio. Fino al 1979 ha vissuto e lavorato a Milano, da dove si trasferì definitivamente per Pontedile-gno. Si spense il 5 gennaio 1997 e per sua volontà fu sepolto nel piccolo cimitero di Poia, vicino alla chiesetta settecentesca che tanto amò. Il testo di Giovanna Pascoli Piccinini, accompagnato da una pregevole serie di riproduzione fotografiche di alcune tra le principali opere del Calvelli, imprezio-sendo il volume, incoraggiano ed agevo-lano il lettore alla scoperta dellʼartista.

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Lʼautrice, per sua stessa ammissione, ha potuto approfondire la sua ricerca soprat-tutto dopo la morte del Calvelli e, con sensibilità tutta femminile e con finezza interpretativa, ha saputo rileggere la vita dellʼartista, il suo lirismo, le sue temati-che, il percorso della sua formazione e i risultati conseguiti. Fin dalle prime opere Ettore Calvelli mostra una sua originalità, affrancata dagli imprimatur prettamente scolastici e dai modelli proposti dalla cul-tura ufficiale. NellʼItalia dei Littoriali, il giovane artista si affina nelle tecniche e nel linguaggio dellʼarte e si ingegna di mettere alla prova le sue capacità. Dopo gli esordi, Calvelli si prepara ad una svolta tematica, che, sempre Fontana nella sua introduzione al volume, definisce “... pro-gressivo e sicuro adempimento di una vo-cazione: il Calvelli avverte chiara, pura, inestinguibile, quella sorgente che scorre nelle vicende umane, le attraversa, le fe-conda, suscita almeno un sentimento. E ̓una sorgente che ha unʼorigine scono-sciuta, trascendente, divina, che irriga la vita dellʼuomo, dà respiro alla ma-teria fisica ed umana, cioè al creato ed alla storia. Calvelli non è mai devozio-nale, il segreto ed il fascino dellʼartista stanno nella sua personalissima modalità espressiva. La medaglia è stata scelta dal Calvelli perchè concentra nella sua su-perficie, solcata da linee, lʼintera opera, che non è allusiva, non è al di là, ma è tutta nel suo mezzo materiale”. Le opere di Calvelli, secondo il quale “tutti i meda-glisti sono stati tecnicamente bravi, ma, in buona parte legati alla ripetizione, più o meno interessante, di moduli e modi che appartengono al passato”, forniscono, almeno in parte, la spiegazione non solo del suo mondo della medaglia, ma della

singolarità della forma e della sintesi dei suoi pezzi. Nel suo volume Giovanna Pa-scoli Piccinini svela al lettore la graduale maturazione artistica del Calvelli, fin dalle origini trevigiane, tratteggiando lʼeffetto delle influenze prodotte dalla frequenta-zione con altri artisti (soprattutto Arturo Martini). Il merito di Calvelli è di non aver guardato solo agli esempi dei grandi del-lʼepoca (Rosso, Boccioni, Gio Ponti, e lo stesso Martini), ma di aver voluto essere sè stesso ad ogni costo con un marcamento sempre più forte su figure, storie e stili di suo personale conio. Così il lettore è condotto a scoprire, oltre alle principali medaglie riportanti in particolare soggetti religiosi, anche alcuni bassorilievi nei quali lʼartista oltrepassa con naturalezza tutte le regole della classicità e, con ar-diti colpi di spatola, riesce a spezzare la scena e lo spazio per ricostruirlo con un suo stile. L̓ autrice poi, dopo aver analiz-zato alcune tra le rappresentazioni più ri-correnti nellʼopera artistica del Calvelli, ed aver richiamato la pazienza e lʼabilità artigianale nel lavorare le argille, dedica la parte finale del saggio alle più importanti recensioni apparse sulla stampa e dedicate allʼartista “dalignese”. Preziose e ricche di informazioni sono le “Note biografiche” ed il “Percorso formativo ed artistico” del Calvelli, redatte in forma cronologica da Edoardo Nonelli che fu discepolo, amico e collaboratore dellʼartista. Completano il volume, tra le altre, alcune riproduzioni di medaglie che lʼartista donò al Rotary Club Lovere Iseo Breno, suo club di ap-partenenza, che con altri Enti, in ambito pubblico e privato, ha contribuito alla rea-lizzazione del volume.

LUISA BULFERETTI

GIOVANNA PASCOLI PICCININI, Ettore Calvelli Scultore, Breno, Tipografia Camuna Spa, 2006, pp. 136.

PIEVI DELLA MONTAGNA LOMBARDA

La diffusione delle pievi ha avuto una certa consistenza durante i secoli V-VIII ed è stata caratterizzata dall'innervamento e dal consolidamento del cristianesimo, nonché dal diffondersi di una classe di presbiteri, di ascendenza spesso nobiliare, preposti allʼespletamento delle varie mansioni. In dipendenza delle pievi, spesso si diffon-deva un variegato cordone di basiliche, di cappelle ed oratori. Il breve excursus sto-rico-geografico trattato interessa i territori della Val Camonica, della Valtellina, del territorio comasco e di quello bergama-sco. Tra le prime pievi camune e forse le più significative, troviamo la pieve di S. Siro di Cemmo, uno dei principali punti di irraggiamento della cristianità camuna, che ha esteso la propria giurisdizione sul-lʼampio territorio superiore della media Valle Camonica. Le pievi traevano, fino nel pieno Settecento, sostentamento dalle “quarte delli biavi”, ovvero una parte for-mento, una parte segala ed una parte de milio, corrisposti entro il giorno di San Martino. Il desiderio di raggiungere una propria autonomia, di sopperire al disa-gio rappresentato dalla lontananza dalla pieve, nonché il tentativo di sottrarsi al pagamento di onerosi tributi, favorirono la nascita e la successiva diffusione di realtà ecclesiali alle quali, peraltro, venne con-cessa la facoltà di impiantare il battistero e di riscuotere i proventi spettanti alle pievi. I molteplici atti rogati dai notai del tempo, nonché le azioni di alcuni preti furono lʼesempio continuo dei tentativi attuati per difendere la conservazione di alcuni diritti

di decima e di preminenza delle pievi. Il passaggio dalla pieve come fulcro accen-tratore della vita cristiana alle parrocchie è stato caratterizzato da una tempistica diversa: se la nascita delle parrocchie può dirsi compiuta alla fine del Trecento nellʼItalia padana, nelle zone alpine tale passaggio fu certamente più graduale in quanto prese avvio solo a Quattrocento inoltrato. La documentazione che descrive le origini delle pievi in territorio valtel-linese è pressoché inesistente, fatta ecce-zione per alcuni contributi storiografici, risalenti alla seconda metà del V secolo, dai quali si evince una caratteristica co-mune a questi “luoghi dellʼaggregazione al popolo di Dio”: lʼubicazione in località geograficamente e strategicamente impor-tanti. Avere un censimento delle pievi nel territorio comasco è impresa ardua, tanto che si attribuisce una grande importanza anche ad un semplice elenco, contenente lʼindicazione delle località pievane. Nel territorio valtellinese – comasco, a dif-

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Provaglio, S. Maria della Cerinola.

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ferenza di quanto avvenne in quello ca-muno, accanto alle classiche prerogative delle chiese plevane, ossia esercitare la cura animarum ed il diritto di riscuotere le decime, sorse unʼaltra importante funzione di tali loci sacri: lʼospitalità e lʼassistenza verso i poveri. Perché si potesse fondare un beneficio era necessario istituire un nuovo ente giuridico comprendente un insieme di beni con rendite da assegnare al titolare dellʼufficio per il tempo in cui le deteneva: per questo si assistette anche alla nascita di consorzi interparrocchiali, ai quali potevano partecipare solo i membri individuati nellʼatto stesso che dovevano sostenersi reciprocamente e condividere lʼesatto compimento dei propri doveri, nella consapevolezza dellʼimportante missione sacerdotale rivolta alla salvezza delle anime, non sempre caratterizzata da figure di “buoni seminatori”. In area comasca e lecchese le prime citazioni di chiese pievane risalgono al secolo X; nel territorio bergamasco, alcuni elenchi delle pievi begamasche risalgono al 1260 circa e

sono stati redatti sottoforma di censimenti a fini fiscali e dei benefici delle chiese, rilevando pertanto solamente quelle aventi un reddito tassabile. Ivi le pievi sono sorte soprattutto in luoghi già precedentemente occupati in epoca romana da insediamenti. Gradualmente si andò diffondendo la cul-tura cristiana e la pratica cristiana, oltre a scontrarsi con le problematiche derivanti ad esempio dagli insediamenti longobardi in Lombardia, dovette gradatamente ade-guarsi alle mutate esigenze della popola-zione. Solo nel XIII secolo la disgregazione pievana si poteva considerare intrapresa; alla fine del secolo precedente infatti papa Alessandro III aveva fissato i requisiti per la creazione di parrocchie autonome e per il conseguente smembramento del territorio pievano. Ed in tali luoghi si diffuse il crite-rio del decoro, basato sulla verità storica, sul rispetto della tradizione e delle prescri-zioni dei Padri, sulle immagini come “biblia pauperum”, cioè lo strumento elementare per lʼistruzione religiosa dei fedeli.

LUISA BULFERETTI

Solto, plebana, sullo sfondo del Sebino.

FRANZONI OLIVIERO (a cura di), Pievi della montagna lombarda, Tipografia Camuna S.p.A., Breno, 2006.

A OSSIMO IL XIX COLLOQUIO INTERNAZIONALE DI MARIOLOGIA

Nei giorni 13, 14 e 15 luglio 2006 la bella e raccolta chiesa parrocchiale di Ossimo Inferiore, dedicata ai Santi Martiri Cosma e Damiano, ha ospitato i lavori del XIX Colloquio Internazionale di Mariologia durante i quali è stato affrontato e dibattuto lʼimpegnativo tema “In Cristo unico me-diatore, Maria cooperatrice di salvezza”. La manifestazione è stata organizzata dalla locale Parrocchia, in collaborazione con lʼAssociazione Mariologica Interdisci-plinare Italiana avente sede in Roma. Le giornate hanno visto lʼautorevole presenza di specialisti e docenti universitari di alto profilo, radunati sotto il coordinamento di padre Stefano De Fiores, sacerdote mon-fortano, oggi uno dei maggiori studiosi della materia: in previsione del colloquio, nel corso dellʼestate precedente, padre Ste-fano aveva già tenuto in paese una interes-sante conferenza su Maria Donna eucari-stica (a cui erano seguiti altri due incontri di livello, il primo con padre Costanzo Cargnoni OFMCap, dellʼIstituto Storico Cappuccino di Roma, sulla Spiritualità Cappuccina e lʼAssunta, il secondo con don Nicola Bux, dellʼarcidiocesi di Bari, studioso di orientalistica e consultore della Congregazione delle Cause dei Santi, su Il Cielo in Terra. Eucaristia, Madonna e comunione dei Santi).Dopo i saluti del parroco don Francesco Bacchetti, i lavori si sono snodati profi-cuamente, proponendo gli articolati inter-venti dei professori: Giacomo Canobbio (docente di teologia sistematica alla Fa-coltà teologica dellʼItalia settentrionale e

allʼIstituto teologico Paolo VI, vicario epi-scopale per la cultura, Brescia), Lʼazione di Dio «in tutti e per mezzo di tutti» (Ef. 4,6) e la cooperazione di Maria; Gottfried Hammann (ordinario emerito di storia del cristianesimo e della Chiesa alla Facoltà teologica di Neuchâtel, Svizzera), È possi-bile una partecipazione di Maria allʼunica mediazione di Cristo? Prospettiva evan-gelica; Nunzio Capizzi (docente di teo-logia sistematica alla Facoltà teologica di Sicilia–Studio San Paolo, Catania, e al Pontificio Ateneo Regina apostolorum, Roma), Cristo unico mediatore e il senso

Testimonianze

Chiesa parrocchiale di Ossimo Inferiore. Pala dell'al-tare maggiore: Madonna con il Bambino in gloria e i santi Cosma e Damiano (D. Voltolini, 1732/33).

della partecipazione di Maria allʼopera salvifica; Adriano Garuti (ordinario di ecclesiologia alla Pontificia Università Lateranense, docente di questioni ecume-niche alla Pontificia Università Antonia-num, Roma), Azione sacramentale della Chiesa e presenza materna di Maria nel-lʼopera della salvezza; Stefano De Fio-res (docente di mariologia alla Pontificia Università Gregoriana e alla Pontificia Fa-coltà teologica Marianum, Roma), Come presentare oggi Maria cooperatrice di salvezza; Salvatore M. Perrella (docente di mariologia alla Pontificia Facoltà teo-logica Marianum, Roma), Maria coope-ratrice di salvezza nel Concilio Vaticano II e nella Redemptoris Mater di Giovanni Paolo II; Oliviero Franzoni (storico, Fon-dazione Camunitas, Breno), La presenza di Maria nella storia della Valle Camo-nica; Gianni Colzani (docente di teologia della missione alla Facoltà di Scienze della Missione della Pontificia Università Urba-niana, Roma), Quale missione di Maria per il terzo millennio? Infine, la professo-ressa Franca Martinenghi Rossetti ha re-cato un contributo incentrato sulla Storia della salvezza nei dipinti di Giovan Pietro da Cemmo a Esine.Assai folta, attenta e qualificata è stata la partecipazione del pubblico alle tre dense sessioni, presiedute rispettivamente dai vescovi monsignor Francesco Beschi, au-siliare della Diocesi di Brescia, monsignor Serafino Spreafico, emerito della Diocesi di Grajaú (Brasile), e monsignor Mario Vi-gilio Olmi, ausiliare emerito della Diocesi bresciana. Durante le prime due serate del congresso si sono svolte un paio di suggestive ini-ziative: una Divina liturgia in rito bizan-tino-slavo, curata dal Coro di “Russia Cri-stiana” di Seriate (organizzazione cattolica fondata nel 1957 da padre Romano Scalfi,

il cui scopo è far conoscere le ricchezze della tradizione spirituale, culturale e li-turgica dellʼortodossia russa, favorire il dialogo ecumenico sulla base del contatto vivo di esperienze, contribuire alla mis-sione cristiana in Russia), e una Preghiera mariana con concerto polifonico eseguito dal Coro Parrocchiale “Santa Maria” di Darfo, diretto dal maestro Lino Chiminelli. L̓ importante evento, pienamente riuscito, si è concluso con una solenne concelebra-zione, la sera di sabato 15 luglio.Mediante la ricca serie di incontri, voluti con tenacia dal parroco per rivitalizzare il rapporto spirituale dei fedeli con la Madre del Signore, è stato compiuto un notevole sforzo di divulgazione al fine di trasmet-tere contenuti seri e documentati, utiliz-zando un linguaggio chiaro e accessibile al più vasto uditorio possibile. In effetti, è diventato sempre più incal-zante confrontare le varie esperienze ri-guardo alla Vergine, «sintesi di valori» per ogni cultura, mediante lʼascolto di teologi cattolici, ortodossi e protestanti, al fine di allargare gli orizzonti e proseguire nel mondo la comune missione di cristiani. Da Lei tutti possono imparare ad essere per-sone responsabili che accolgono le propo-ste di Dio e collaborano al rinnovamento della Chiesa. In questa ottica, il convegno ossimese ha fornito un proprio singolare contributo per aiutare a far luce sulla mediazione di Ma-ria e sul modo di interpretare il titolo di Cristo, unico mediatore, e la nostra parte-cipazione alla salvezza da Lui operata, fa-cendo emergere che tutti siamo, in Cristo, mediatori gli uni per gli altri, sullʼesempio altissimo della Vergine Madre.

OLIVIERO FRANZONI

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DON GIUSEPPE GARATTI

“Venga per le 17,30. Noi ceniamo alle 18. Troverà don Giuseppe”. Così ci risponde la fedelissima sorella di una straordinaria figura di sacerdote, che spende il suo tempo per visitare malati e persone in difficoltà, per confessare, per dare aiuto alla sua e ad altre parroc-chie. Don Giuseppe Garatti ha ricordato il 68esimo di sacerdozio il 15 gennaio e compie 91 anni il 22 maggio 2007. In perfetta forma fisica, arguto, colto, sin-cero, paterno e fraterno, distribuisce prove della sua fede, che gli rende la vita serena e gioiosa.Ci parla della sua vocazione:”Ringrazio i miei genitori ed il parroco don Gelmi, che ebbe cinque sacerdoti nati nella no-stra comunità. Ricordo lʼimpegno della mia maestra Giacomina Garatti. Ricordo, avevo tre anni, una sera in braccio alla mia mamma sul ponte del Re, mentre la luna faceva luccicare la corrente e i massi del corso dʼacqua, momenti per me di stupore per lʼopera di Dio”.Ecco le tappe del mio apostolato: ʻʼNel 1939 venivo ordinato sacerdote a Pianca-muno.Poi, per 10 anni, ho lavorato in Seminario. Nel 1948 fui parroco a Cevo fino al 1954, poi incaricato dellʼassistenza spirituale alla Chiesa delle Grazie a Brescia; dal 1960 aCastelfranco sono stato parroco per 12 anni, a Pilzone per 20 anni, fino al 1992.Don Giuseppe ha parole accorate per la famiglia, perché è lì che si pone il germedella vita cristiana ma anche sociale e comunitaria. Dice che i giovani vanno

incoraggiati, sollecitati, accostati con be-nevolenza.Oggi lʼimpegno del prete è più difficile, perché non è ʻla voce ̓ma ʻuna delle voci ̓in risposta ai perché della vita. E allora il prete deve testimoniare, deve amare la sua gente, visitare i suoi malati, stare in chiesa, pregare, vivere nella società e per la società; ma anche i parrocchiani devono fare la loro parte con attenzione, con colla-borazione, con familiarità. Concludendo, ringrazio Dio per la grande bontà che mi ha dimostrato in ogni momento della mia missione”.

SEBASTIANO PAPALE

Testimonianze

IL RICORDO DI MADRE ANNUNCIATA NEL XV ANNIVERSARIO DELLA SUA BEATIFICAZIONE

Avvenimenti

I Santi non possono essere dimenticati perché sono un richiamo forte e un segno eloquente per chi li incontra. Ecco perché la comunità parrocchiale di Cemmo e lʼIstituto delle suore Dorotee hanno voluto fare memoria della Beata Annunciata Coc-chetti in questo 15° anniversario della sua beatificazione. Le numerose proposte ave-vano lʼobiettivo di ridestare in ciascuno il valore di quella santità che non è fatta di grandi cose, ma della quotidianità vissuta con amore e quindi in modo straordinario. Le feste hanno avuto inizio il 9 maggio 2006 con la presenza di sua Eccellenza Monsignor Giulio Sanguineti, Vescovo di Brescia, che ha presieduto la solenne ce-lebrazione Eucaristica nella parrocchia di Cemmo, dove processionalmente era stata portata una preziosa reliquia della Beata.Il Vescovo ha sottolineato fortemente che il motivo primo per cui si celebravano queste giornate commemorative era quello di ricordare la santità di Madre Annun-ciata, una santità fatta di cose ordinarie, ma nella convinzione di tradurle in rispo-sta concreta a quella certezza che aveva caratterizzato da sempre la vita della Beata e cioè “Dio fu il primo ad amarmi”. Le ce-lebrazioni sono proseguite nei giorni suc-cessivi con un incontro dal titolo “Amare per educare” rivolto a tutti gli educatori e tenutosi il giorno 10 presso lʼauditorium dellʼIstituto scolastico “S. Dorotea”. Una sottolineatura che avesse un sapore “ tutto educativo” non poteva certo mancare in queste giornate perché Madre Annunciata ha dato il meglio di se stessa proprio in

questo ambito, prima a Rovato, sua terra natale e poi a Cemmo dove si era stabi-lita inizialmente come educatrice per le fanciulle povere della Valle e poi, fattasi suora, ha continuato questʼopera e lʼha lasciata in eredità alle sue suore perché la custodissero e la rendessero significa-tiva e fruttuosa nel tempo. Giovedì 11, sempre nella parrocchia di Cemmo, Ma-dre Annunciata ha visto attorno a sé gli ammalati della Valle per i quali Don Paolo Ravarini ha avuto parole di conforto e di incitamento sottolineando lʼamore che la Beata ha avuto per il Crocefisso. Ma già nella mattinata Cemmo si era popolato di numerosi bimbi delle scuole materne della zona accompagnati dalle loro insegnanti e da qualche mamma. E ̓stato davvero un piacere vederli al lavoro nella palestra della scuola per dipingere scene della vita della Beata e poi pregare nella cappella di Casa Madre e, prima di ripartire, posare davanti al monumento della Cocchetti per una foto ricordo. L̓ Eucaristia per tutte le religiose della Vallecamonica è stata ce-

Avvenimenti 62

lebrata dal Vicario zonale Don Renato Musatti venerdì 11. E ̓stato anche questo un momento significativo in cui lʼinvito a guardare alla Beata come segno di san-tità incarnata nel dono allʼaltro, vivificato dalla preghiera, è stato fortemente richia-mato. Sabato una sessantina di adolescenti, animati da alcuni giovani della comunità Shalom di Palazzolo sullʼOglio, ha avuto la possibilità di riflettere sul valore della vita e sul tema della speranza. Le testi-monianze portate sono state davvero si-gnificative e toccanti e non possono certo aver lasciato indifferenti quanti hanno par-tecipato a questo pomeriggio di vita. La domenica sera si sono concluse le celebra-zioni con la solenne processione per le vie del paese, portando la reliquia della Beata nelle varie contrade ornate a festa. L̓ Euca-ristia conclusiva è stata presieduta da sua Eccellenza Monsignor Francesco Beschi, Vescovo Ausiliare di Brescia, il quale nella sua omelia ha ripercorso alcuni momenti salienti della vita della Beata invitando i presenti a coglierli per farne tesoro nella vita. Accanto a queste celebrazioni ci sono

stati altri momenti importanti come ad esempio quello dei pellegrinaggi fatti da suore, da gruppi parrocchiali o da comu-nità scolastiche come quella di Milano che ha portato a Cemmo quattrocento pelle-grini per un percorso significativo proprio sui passi di Madre Annunciata. Queste ce-lebrazioni non hanno certo posto al centro il folclore, ma piuttosto la figura di Madre Annunciata, come presenza ancora viva e capace di essere per ciascuno un invito a vivificare il proprio essere e il proprio operare, attingendo al Vangelo la forza per una coerenza fattiva e una testimonianza credibile nellʼoggi. Anche il recital sulla vita della Beata, che è stato proposto da un gruppo di genitori dellʼIstituto Cocchetti di Milano in col-laborazione con le suore, ha contribuito proprio a far vivere nel cuore di quanti vi hanno partecipato il valore di questa donna, vissuta nellʼottocento, ma ancora di grande attualità perché i Santi non tra-montano mai.

SUOR PIERA COMOLATTI

CINQUANT'ANNI CON IL PRO FAMILIA

Tutto ha inizio nel 1918, quando Don Gio-van Battista Zuabuoni istituisce la prima scuola serale per ragazze, che, partita con solo cinque allieve, si allarga fino a ge-nerare lʼIstituto Pro Familia e la Compa-gnia della S. Famiglia. Realtà che a poco a poco si espandono per dare vita ad una vasta rete associativa, con sedi nel bre-sciano, ma anche a Roma, in Puglia o in Sicilia. Con il tempo, lo scenario con cui lʼIstituto si deve confrontare cambia. Le guerre rompono lʼequilibrio che fino ad allora caratterizzava la figura femminile. Donne che lavorano, studiano, entrano in politica: donne che si emancipano. Un evento importante e positivo, in merito al quale, però, lʼIstituto Pro Familia deve esprimersi e intervenire: il lavoro negli stabilimenti sottrae la donna alle cure della

famiglia, la obbliga a sforzi fuori dalle sue possibilità e ne corrompe la bontà e la purezza. Per tutte quelle donne serve una guida, un aiuto. È proprio in quel mo-mento che il Pro Familia approda anche in Vallecamonica, a Breno. È il 1957 e due giovani, Maria Baronchelli e Letizia Ber-toloni, scelgono di adottare un ideale di fede, mettendosi al servizio dellʼIstituto. Un istituto secolare, di cui devono rispon-dere in prima persona, vivendo dei propri mezzi e avvalendosi del volontariato. Partendo dalla scuola di vita famigliare, iniziativa tra le più longeve dellʼIstituto, fino ai corsi per fidanzati e giovani coppie, lʼente si occupa principalmente di trasmet-tere e consolidare il valore della famiglia. Genitori che vogliono comprendere i propri figli, adolescenti e alunni in diffi-

Avvenimenti

Scuola della Buona Massaia 1929-30. Brescia, tra le mura scolastiche.

Avvenimenti 64

coltà, insegnanti ed educatori che devono approfondire la loro esperienza possono trovare nellʼIstituto Pro Familia un valido punto di riferimento. E non solo. Chi ha problemi economici, una famiglia nume-rosa, una ragazza madre o un anziano, ha sempre una porta aperta e la possibilità di usufruire gratuitamente dei beni di prima necessità messi a disposizione dalla Casa. Negli anni ʻ60, inoltre, fa capolino lʼidea di aprire una scuola adatta alle ragazze del tempo. Niente di meglio di una scuola di sarta, della durata di 3 anni, pubblica e aperta a tutte, in cui si potesse imparare un mestiere, ma anche formarsi cultural-mente. Nasce lʼIpsia femminile, istituto professionale tuttʼora attivo a Breno. Ar-riva un momento, nel percorso del Pro familia, in cui ci si accorge di non poter più far fronte a tutte le richieste che gli vengono rivolte. Si decide così di aprire il Consultorio famigliare. Nato dieci anni

fa, nel 1997, si occupa soprattutto della prevenzione, della formazione e della con-sulenza. Aspetti importanti che, affiancati a progetti formativi ed educativi, aiutano i giovani a capire quale strada imboccare. Ciò su cui si basa lʼeconomia dellʼIstituto è il volontariato, insieme alla generosità e, perché no, alla provvidenza. Il Pro Fa-milia ha sempre dato, senza mai chiedere nulla. Forse per orgoglio, precisano le responsabili. Lo stesso orgoglio che gli ha permesso di raggiungere il traguardo dei 50 anni senza mai cambiare spirito, nonostante il concetto di famiglia sia mutato considerevolmente. LʼIstituto si è adeguato ai cambiamenti ma non si è scordato le sue radici: ha mantenuto fede alla Parola di Dio e alla Chiesa. Anche in un tempo, quello che stiamo vivendo, in cui non sempre la famiglia si costituisce e opera secondo la dottrina cristiana.

LINDA BRESSANELLI

2006. Un gruppo di famiglie all'Istituto “Pio Familia”.

Su di te sia pace ... da Gerusalemme, un germoglio

di pace per tutta la terra

INSERTO N. 19

Allegato a “Lettere dallʼEremo” n. 62 (Aprile 2007)

Inserto

Il 20 gennaio di questʼanno, un ospite dʼeccezione allʼEremo: Padre Pierbatti-sta Pizzaballa, la qualifica di “custode di Terra Santa” dice tutto e tutti i presenti hanno seguito con “attenzione e trepida-zione” la relazione che proponiamo (tratta dalla registrazione audio, gentilmente concessa e non rivista dal Padre mede-simo al quale anticipatamente chiediamo venia della nostre imperfezioni nel riferire il suo pensiero). Per avere uno sguardo generale sulla si-tuazione attuale, che è anche un aggan-cio molto buono, vi propongo qualche numero, qualche statistica sui cristiani in Terra Santa. Innanzi tutto che cosa intendiamo quando parliamo di Terra Santa? La geografia in Italia può essere una materia molto noiosa, in Medio Oriente, invece, è una materia molto complicata, perché stabilire i con-fini è una delle sfide più difficili. Quando io parlo di Terra Santa intendo, politica-mente, Israele e Autonomia palestinese. I cristiani di Terra Santa sono circa lʼ1,6% di tutta la popolazione che significa in percentuale, pressapoco, 150/160.000 cri-stiani, divisi in greco-ortodossi (45/46%), comunità cattolica (percentuale identica) e tutte le altre confessioni (lʼ8/10% rima-nente), minoritarie per numero, ma non per tradizione, (penso al rito siriaco, al rito armeno e a tante altre chiese antiche, ma anche a chiese protestanti, evangeli-che, le nuove sette che sono tantissime e crescono moltissimo). Il 60% dei cristiani vive dentro i confini politici attuali di Israele, mentre il 40% dei medesimi vive dentro lʼAutonomia palestinese e a Geru-salemme est (che è una realtà un po ̓sui generis). Il 99% dei cristiani è di origine arabo-palestinese e, anche se i cristiani che vivono in Israele sono israeliani - hanno cioè passaporto israeliano - anchʼessi

sono di origine palestinese. La presenza cristiana in Israele e la presenza cristiana dentro lʼAutonomia palestinese affronta sfide, realtà sociali, politiche, religiose completamente diverse.

I Cristiani in IsraeleI cristiani in Israele sono il 6% (ca. 120.000, a fronte di quasi sei milioni di ebrei e un milione e mezzo - quasi due - di musulmani una cifra, quindi, molto ridotta) e vivono quasi tutti in alcuni ag-glomerati. La presenza cristiana più nume-rosa è a Nazaret e nei villaggi vicino a Na-zaret, gli altri si trovano vicino ed attorno alle grandi città: sopratutto Haifa, Giaffa e Tel Aviv. In Israele i cristiani, dal punto di vista del reddito, rientrano nella fascia media della popolazione, in quanto i 2/3 sono lavoratori autonomi, e sono cittadini

Dall'Eremo II

Giovanni Paolo II in preghiera al muro del pianto, il 28 marzo 2000.

InsertoIII

dello Stato di Israele in tutto e per tutto. I poveri ci sono (anche perché il Signore ha detto che i poveri li avrete sempre con voi!), ci sono situazioni di povertà, ma, a livello sociale, non ci sono situazioni strutturali di povertà. Lo Stato garantisce tutti i diritti: lʼassistenza sanitaria, sociale, economica, le pensioni, ecc., anche se con tutte le pecche che ogni Stato può avere.Quali sono i problemi e le sfide - perché non voglio presentarli solo in chiave ne-gativa - che i cristiani hanno in Israele? La sfida principale è quella di rimanere uniti. Ed è una sfida molto importante, perché il rischio di disperdersi cʼè, di rimanere solo una presenza nominale, dal punto di vista numerico, ma non una presenza che ha una parola, una voce dentro lo Stato di Israele. Una premessa importante da tenere presente è che tutto in Terra Santa è religioso, tutto! La religione, la fede re-ligiosa, è lʼelemento, il criterio di aggre-

gazione delle diverse identità (o, se volete, è il criterio che delimita il confine tra le diverse identità). Intendo dire che uno è o cristiano, o ebreo, o musulmano. Può essere un cristiano che non va in chiesa, che non è forse nemmeno battezzato, che è anticlericale ..., ma è cristiano! Può essere un ebreo ateo, che non crede in niente, però è ebreo. Così un musulmano può mangiare maiale e bere vino ogni giorno, ma è musulmano. L̓ elemento religioso è lʼelemento di aggregazione delle diverse identità, è scritta sulla carta dʼidentità la religione di appartenenza. Per esempio: se cʼè un incidente stradale che coinvolge un ebreo e un cristiano, lʼincidente viene presentato dai mass-media non come un incidente tra due cittadini, ma come un in-cidente tra un ebreo e un cristiano. Questo non è fatto con cattiveria! Ma può rendere lʼidea di come lʼelemento religioso sia de-terminante. Le proprietà, per esempio, non

Un momento della “Relazione” di Padre Pizzaballa, 20 gennaio 2007.

sono pubbliche o private, come ovunque ci sono proprietà pubbliche e private, ma sono definite a secondo dei gruppi di ap-partenenza. Se la proprietà appartiene a un cristiano o alla chiesa cristiana, è una pro-prietà cristiana; se appartiene ad un ebreo è una proprietà ebraica, se ad un musul-mano è una proprietà islamica. Una delle guerre principali, di cui non si parla mai (se non quando ci sono casi di violenze) è la guerra delle proprietà; la guerra non è fatta tanto dai kamikaze o dai tank, ma da chi ha maggiori proprietà, cioè ha maggior controllo, sopratutto su città importanti, come Gerusalemme. Quante più proprietà tu avrai su Gerusalemme (quali saranno le decisioni dei politici), tanto più, tu avrai il controllo della città. E anche questo è diviso secondo criteri religiosi, come qualsiasi altra cosa. Per i cristiani in Israele il problema princi-pale è, allora, quello di rimanere uniti. I cristiani in Israele non hanno bisogno di soldi, ma di formazione cristiana, di man-tenere unito il gruppo...cristiano. Per esem-pio: a Nazaret (che è il luogo in cui cʼè la più grande presenza cristiana), fino a circa 30 anni fa, ciascuno viveva nel suo conte-sto: i cristiani vivevano nel quartiere cri-stiano, gli ebrei nel loro e i musulmani nel loro, ciascuno viveva nella sua zona. Oggi il 52% dei cristiani di Nazaret ha meno di 30 anni e il 30% vive fuori dai territori classici cristiani. Questo significa che i cristiani che vivono a Nazaret superione (che era tradizionalmente la zona ebraica) crescono in un contesto dove non cʼè la croce, non cʼè la chiesa, non cʼè il prete o il frate, non cʼè la scuola cristiana, si parla ebraico e per andare a messa o andare a scuola si devono fare chilometri. Quindi la situazione sociale in cui si vive non aiuta più ad essere cristiano; prima si viveva in un contesto cristiano, che anche indiretta-

mente diceva che cosa voleva dire essere cristiano (almeno nelle cose essenziali). Oggi non è più così, sopratutto in Israele. Teniamo presente che anche i mass-media: giornali, ecc., non sono cristiani, non cʼè assolutamente nulla che parla di cristiane-simo. I mass-media o sono ebraici o sono musulmani, per cui non cʼè niente nella situazione culturale, sociale, diretto o in-diretto, che aiuta ad essere cristiano. Così, il problema principale che i cristiani hanno in Israele è quello di mantenere viva la propria identità cristiana. Il rischio è che uno sappia di essere cristiano, perché è nato in una famiglia cristiana e sulla sua

Dall'Eremo IV

Padre Pierbattista Pizzaballa.

carta dʼidentità cʼè scritto “cristiano”, ma al di là di questo non sa niente altro. In Terra Santa non basta esserci come cristiani, ma è molto importante parlare, affermare la propria identità cristiana. Per questo, quindi, diventa prioritario, es-senziale e imprescindibile, il ruolo della scuola. La scuola cristiana è lʼunico contesto dove i cristiani possono formare, soprattutto i giovani e in modo continuato, dallʼasilo alla maturità. In Israele non ci sono Uni-versità cattoliche, cʼè solamente una scuola di studi superiori, ma non unʼUniversità. E lʼora di liturgia, la messa o lʼora di cate-chismo alla domenica, non aiutano, se non cʼè un supporto. Così la scuola diventa im-prescindibile e il 90% dei cristiani va nelle scuole cristiane. Israele, nella sua legisla-zione, è molto aperta e dà sovvenzioni a

tutte le scuole in base al numero di stu-denti: alle scuole pubbliche il 100%, alle scuole private il 60%. Questo consente alle scuole cristiane di dare accesso agli studenti cristiani a prezzi contenuti, e questo è lʼunico contesto di formazione allʼidentità cristiana che ab-biamo. La scuola, certo, ha bisogno di essere un po ̓ripensata: non tanto per avere un programma accademico buono (perché le scuole cristiane hanno un buon pro-gramma accademico), ma perché ci sia lʼambiente formativo tale da dare vera-mente una formazione cristiana. Bisogna tenere presente, poi, che le scuole cristiane sono tutte scuole miste, in cui cioè stu-diano insieme, da almeno 200 anni, cri-stiani e musulmani, e questo è un aspetto molto importante per il dialogo.

InsertoV

Terra Santa. Hic, de Virgine Maria, Jeusus Christus natus est.

I Cristiani in PalestinaDentro lʼAutonomia palestinese, invece, la situazione è completamente diversa. Dal punto di vista socio-economico, so-prattutto, la situazione è pressoché cata-strofica. A Betlemme, che è una delle città più ric-che, il tasso di disoccupazione supera il 40-45%. Le risorse dellʼAutonomia pa-lestinese erano principalmente tre: i pel-legrinaggi, il turismo religioso; il lavoro in Israele e il lavoro pubblico, i dipen-denti pubblici. Oggi, i pellegrinaggi sono pressoché scomparsi a causa della guerra (dalla seconda intifada del settembre del 2000); cʼera stata una leggera ripresa nel

2006, che però è crollata dopo la guerra con il Libano. Il lavoro in Israele non è più possibile: chi è stato recentemente a Betlemme ha visto il muro (e comunque tutti avrete sentito parlare di un muro che divide, in maniera definitiva, lʼAutonomia palestinese da Israele) per cui, tranne per pochissimi casi, non è più possibile, per un palestinese residente entro lʼautonomia palestinese andare a lavorare in Israele. I dipendenti pubblici non ricevono più lo stipendio da quando Hamas è andato al potere, cioè dal Gennaio 2006. E non lo ricevono più perché lʼUnione Europea e gli Stati Uniti, proprio a causa della salita al potere di Hamas, hanno interrotto i fi-

Dall'Eremo VI

La “Moschea della roccia”. Da lì, secondo la Tradizione musulmana Maometto salì al cielo. Secondo gli Ebrei è costruita sulla roccia dove Abramo stava per sacrificare il figlio Isacco.

nanziamenti. Così la situazione dal punto di vista economico è molto difficile. Quali prospettive ci possono essere? In passato si diceva: “Cʼè la crisi! Supe-riamo la crisi e poi ricominciamo. Ab-biamo un po ̓di risparmi da parte, li si investe, li usiamo e poi si ricomincia”. La novità è che oggi non ci sono prospettive. Cʼè un muro alto 8 metri che impedisce di sviluppare la possibilità di commercio; se non cʼè la possibilità di movimento, il commercio non può partire ed è il com-mercio con Israele ad essere fondamentale, perché è il grande Stato di riferimento. Anche il commercio dentro lʼAutonomia palestinese, da solo, non può partire per-ché, anche allʼinterno di questa, è difficile muoversi. Il turismo religioso, i pellegri-naggi? Sono ormai molti anni che sono più quelli che non vengono che quelli che ven-gono! Il turismo è molto basso. Uno può risparmiare, attendere per un anno, due, tre, ma per sei, sette anni è oggettivamente molto difficile! Ed è la stessa cosa anche per i dipendenti pubblici: un anno senza stipendio pone serie difficoltà. Tutto questo ha creato una situazione economica molto difficile. Dal punto di vista sociale cʼè un altro problema, che non è nuovissimo, ma che ora ha assunto un livello acuto: il caos dentro lʼAutorità palestinese. Da molto tempo, ma sopra-tutto in questi ultimi tempi, non si può più dire dietro allʼAutonomia palestinese cʼè uno Stato, cʼè unʼautorità di riferimento, perché sono divisi tra loro. Dai giornali avrete visto che ci sono diverse fazioni (al-cuni parlano anche di una sorta di guerra civile) che sono molto agguerrite e divise tra loro. Questo ha creato una situazione di paralisi dentro lʼAutonomia palestinese, nellʼamministrazione di quello che era una parvenza di Stato; una situazione molto difficile, di grande incertezza che si con-

cretizza nella vita di tutti i giorni. Concre-tamente: se hai subito un furto, non sai da chi andare, non sai se fare riferimento a questo o a quello. E questo crea una situa-zione di grande incertezza, di insicurezza nella vita di tutti i giorni. Ci si chiede: quando finirà? Come finirà? In più cʼè un conflitto vecchio e antico tra Israele e Palestina, che non finirà presto. Non tutti i giorni ci sono morti o attac-chi terroristici, non tutti i giorni succe-dono queste cose, ci sono episodi qua e là (ahimé, sempre più numerosi!) però non si può parlare di un conflitto generalizzato. E ̓comunque una situazione di tensione che arriva nelle case di tutti. Non puoi muoverti a causa dellʼallarme generale, cʼè un lutto di un parente lontano e non puoi uscire né entrare a causa delle ten-sioni... sono situazioni che indirettamente arrivano dentro la vita di tutte le famiglie, in tutte le case. Se non si può dire che i cristiani soffrono più degli altri, perché questa situazione coinvolge tutti: cristiani, ebrei e musul-mani, è certo vero che per i cristiani, che sono una minoranza infinitesimale, picco-lissima, la situazione diventa ancora più difficile, perché quando mancano pro-spettive, manca chiarezza, ecc. chi è iso-lato, chi è in minoranza, chi è più piccolo, soffre di più perché ha meno supporto, perché la comunità di riferimento è più piccola. In Israele i cristiani sono stabili come numero, non diminuiscono... mentre i musulmani e gli ebrei crescono di più, dentro lʼAutonomia palestinese, invece, la questione della sopravvivenza della presenza cristiana è un problema molto grave, perché ogni mese cʼè qualcuno che va via, ogni mese ci sono famiglie che vanno via. Ormai è una tendenza scontata e rassegnata: i cristiani, dentro lʼAutono-mia palestinese, restano una presenza da

InsertoVII

soprammobile, che serve per attirare pel-legrini, per fare qualche processione e fare compagnia alle comunità religiose. Non sto esagerando, il numero dei cristiani di-minuisce in maniera molto grave, molto seria, preoccupante! Cʼè un altro aspetto che è interessante ed è una novità: lo spostamento della presenza cristiana allʼinterno della Terra Santa. Se è vero che Betlemme si sta svuotando di cristiani, Gerusalemme sta invece scop-piando. E ̓molto logico: tutti quelli che da Betlemme, cioè da dentro lʼAutono-mia palestinese, hanno la possibilità le-gale di andare ad abitare dallʼaltra parte del muro, dentro la zona controllata da Israele, vanno, perché ci sono prospettive di lavoro, di sviluppo, mentre al di là del muro è molto più difficile trovare lavoro. Per cui si sta creando una situazione com-pletamente opposta a quella a cui si era abituati e, dal punto di vista sociale, an-che molto difficile, molto grave. Gerusa-lemme ha i confini molto piccoli, è una città dai confini abbastanza limitati, per cui, quando cʼè una richiesta molto alta di abitazioni, di case, ecc., i prezzi vanno alle stelle. Questo è un fenomeno molto grave e molto importante, è la vera guerra, dal mio punto di vista! E proprio a Ge-rusalemme, più che a Betlemme, perché ormai a Betlemme quello che cʼè, cʼè; la vera guerra è a Gerusalemme. Chi avrà maggiori proprietà avrà il controllo della città, per questo è molto difficile trovare abitazioni. Per esempio: un appartamento piccolissimo, di due o tre stanze, costa come base minima tra i 600-700 dollari al mese e uno stipendio medio è sui 800-900 dollari, per cui i prezzi sono insoste-nibili. Ci sono più famiglie che vivono in una sola casa con lo scopo di stare qui ed avere la residenza a Gerusalemme; ci sono case in cui, dentro lo stesso appar-

tamento, vivono 3 o 4 famiglie di fratelli e sorelle sposati, ecc. Potete immaginare le conseguenze sociali e morali di questa situazione, quando unʼintera famiglia vive in una stessa stanza!....E non sto esage-rando. Se venite a Gerusalemme, vi invito a ve-dere il quartiere cristiano, dove vivono e come vivono, vi potrete rendere conto così anche di quali terribili situazioni e conse-guenze sociali e morali ci sono allʼinterno delle famiglie! Un altro aspetto di cui si parla molto poco è lʼaltra violenza, che è sempre presente in Terra Santa. Ci sono tante forme di vio-lenza: cʼè la violenza politica e sociale del conflitto, che è molto alta, ma la violenza arriva anche dentro le case, entra in ma-niera diretta e indiretta. Per esempio, la città di Betlemme vive una situazione di violenza inaudita: è una città chiusa, chi vive a Betlemme non può spesso uscire, ci sono persone che per anni e anni non sono uscite da Betlemme, che significa 10-12 Km quadri e (magari) non cʼè lavoro. Fino a qualche anno fa Betlemme era una città ricchissima; fino al duemila stavano molto bene e il reddito era molto alto, il turismo era alle stelle, cʼerano investimenti (ba-sta guardare gli hotel!). Cʼerano molte prospettive, e quando i soldi girano e la famiglia guadagna bene, cosa fanno? Si fanno la casa, la villa e la macchina più grande, più bella, ecc. E oggi cosa suc-cede? Succede che queste famiglie - che stavano indubbiamente molto bene - vi-vono ancora nella stessa casa con 10-12 stanze, con le stesse cose meravigliose e anche esagerate, ecc.; vanno ancora alla messa o nella moschea con la loro vec-chia BMW o Mercedes o altro ancora, poi però hanno bisogno di arrivare alla fine del mese con i buoni pasto del parroco! Questa è una situazione di violenza molto

Dall'Eremo VIII

forte che influisce anche a livello psico-logico. Anche nelle famiglie la violenza ha un tasso molto alto, ed è aumentato il consumo di droga e di alcool.La violenza ricade soprattutto sulla figura femminile, sulle donne. Una delle attività principali che la parrocchia di Betlemme deve fare è quella di creare nuove inizia-tive per le donne, in modo da portare la donna fuori casa, perché sono le donne, molto spesso, a portare il peso maggiore dentro la famiglia. Così si cerca di farle studiare (ad es. con corsi di computer e cose del genere), in modo che possano avere un respiro diverso. Ancora, se voi parlate con qualsiasi Direttore, di una qualsiasi scuola, sia dentro lʼAutonomia palestinese, come anche in Israele, vi con-fermerà che la violenza dei bambini tra di loro è altissima, che è un fenomeno molto preoccupante. Solo il fatto di non poter mai uscire, il fatto di vivere immerso in queste situazioni incerte, anche se non le tocchi fisicamente, influiscono, arrivano, in un modo o nellʼaltro, ad influire sulla tua psicologia, sul tuo modello di cre-scita... Sarebbero tante le cose da dire!Gli atti di terrorismo, lʼoccupazione, i carri armati, i kamikaze, ... non sono che lʼultimo anello del conflitto. Il conflitto nasce prima. La geografia è la materia più difficile! Se prendete qualsiasi mappa geo-grafica, vedrete che ogni città, ogni paese, ogni regione, ha almeno due nomi, perché ogni nome è una prospettiva. Se cercate dentro un manuale di geografia dellʼAu-tonomia palestinese, quello che è adottato in tutte le scuole, Israele non lo trovate. Se prendete un libro di testo israeliano, non troverete la Palestina! L̓ Autonomia palestinese non cʼè, e quando si parla de-

gli arabi, si parla di loro come di quelli che hanno impedito, hanno combattuto, da sempre, la rinascita, il sogno di Israele unito e ci si riferisce a loro sempre comun-que in chiave negativa. E ̓qui che nasce il conflitto! Per cui parlare di pace, del de-siderio di pace.. è molto difficile, perché tutto il sistema educativo parla una lingua diversa, completamente diversa. Ma la pace deve nascere qui, in questi contesti innanzitutto, altrimenti rimarranno soltanto degli accordi sulla carta. Se tutti gli ac-cordi fatti, da Oslo in poi, sono falliti, non è perché non erano buoni, belli, legittimi in sé! La loro applicazione non è potuta partire, perché non cʼera, a livello umano e psicologico, il clima che consentiva di arrivare a quegli accordi. Perché si doveva rischiare, credere nellʼaltro! Ma come si fa a credere nellʼaltro se si è sempre cresciuti con la mentalità che lʼaltro è sbagliato e che non può esistere. Palestinesi contro israeliani e israeliani contro palestinesi. E ̓molto difficile, è la vera sfida.

Che cosa fa la Chiesa? O le Chiese? Perché è molto difficile parlare di Chiesa unita1 Dal punto di vista sociale le Chiese fanno molto, sono molto presenti. I cristiani sono 1,6% della popolazione, ma attraverso le strutture e le istituzioni della Chiesa, passa almeno il 20% della popolazione (soprattutto arabo-musulmana, arabo-pa-lestinese, ma non solo). Vuol dire che la Chiesa, attraverso le sue istituzioni è più presente rispetto al numero di fedeli che ha. Le istituzioni sono guidate e coordi-nate soprattutto da religiosi, che vengono da tutto il mondo (tutti vogliono stare a Gerusalemme!) sono scuole, ospedali, ecc. e questa è lʼunica forma concreta di

InsertoIX

1) Se c'è una cosa che è difficile da gestire, ma anche meravigliosa, in Terra Santa, è il mosaico, molto colorato, delle Chiese, delle diverse tradizioni che vi abitano.

annuncio e di testimonianza che la Chiesa può avere! In Europa (e nel mondo occidentale in generale) oggi forse cʼè un rifiuto delle grandi istituzioni che costano molto e vanno mantenute; in Medio Oriente, in-vece, soprattutto in Terra Santa, le isti-tuzioni come scuole, ospedali, ecc. sono molto importanti perché sono lʼunica forma di presenza accettata, che contribui-sce a creare i ponti di cui tanto si parla! Per esempio: la scuola; lʼistituzione scolastica è mista per cui cristiani e musulmani stu-diano insieme (e questo già da 200 anni!), se Mohamed e George studiano insieme, dallʼasilo fino alla maturità, nella vita, magari non si ameranno, ma nemmeno si odieranno, perché si conoscono, non sono realtà del tutto sconosciute lʼuno al-lʼaltro. Dal punto di vista sociale la Chiesa fa molto. La Chiesa è tradizionalmente in dialogo soprattutto con la realtà musul-mana, dato che il 90% delle sue istitu-zioni lavorano dentro il contesto arabo-musulmano. Più difficile è il rapporto con Israele, più complesso, perché il 99% della Chiesa è arabo-palestinese. Israele non ha bisogno delle istituzioni della Chiesa (non ha bisogno delle sue scuole e dei suoi ospedali). Purtroppo cʼè un conflitto e, dal momento che gran parte dei cristiani è di origine palestinese, il rapporto con Israele, piaccia o no, è difficile. Quando si recita il salmo con la frase: Dio salvi Israele, i cristiani saltano questo passaggio perché il pensiero immediato va allʼIsraele dei carri armati, non a quello biblico e questo è un errore! Israele non è fatto solo di carri ar-mati, ma di cittadini come tutti gli altri che hanno desideri, sogni, realtà civili, reli-giose, culturali come qualsiasi altro Stato. Così il rapporto con Israele è ancora tutto da costruire e la base di questo rapporto, tra Israele e la Chiesa, è una cultura. Il

Dio di Abramo, il Dio di Isacco, il Dio di Giacobbe, è lo stesso Dio; la Rivelazione è la stessa, non ci sono due Rivelazioni, Dio si è rivelato in un solo modo. Il modo in cui lʼebreo inneggia al Dio di Abramo, al Dio di Isacco, al Dio di Giacobbe è il mio stesso modo, io (cristiano) avrò una prospettiva leggermente diversa, ma la mia prospettiva non esclude la sua. A li-vello culturale, oggi, non si può parlare di Storia della letteratura, di Storia dellʼarte, se non si conosce il Vangelo e il Nuovo Testamento. E questo è un campo ancora assolutamente tutto da esplorare! La so-cietà israeliana, a mio parere, è pronta per questo cammino, forse è la Chiesa a non essere ancora pronta! Se è difficile tro-vare religiosi o laici che sappiano parlare ebraico, è ancora più difficile superare il blocco che la politica e il conflitto pon-gono, purtroppo ingiustamente. E ̓molto importante trovare un rapporto con Israele, perché è una realtà che cʼè, che esiste e con il quale bisogna fare i conti. Su questo tema aggiungo unʼultima pa-rola. Papa Giovanni Paolo II diceva: “Non di muri, ma di ponti ha bisogno la Terra Santa” ed è unʼaffermazione meravigliosa. Per fare un ponte bisogna avere un fonda-mento su una sponda e uno sullʼaltra da unire; per cui bisogna avere il coraggio e la libertà di avere un rapporto libero, fondato e inserito in entrambe le realtà, altrimenti il ponte non sta in piedi! Ma è molto difficile avere questa libertà, per-ché quando cʼè un conflitto cʼè sempre la tendenza a misurare i gradi di sofferenza, di più o di meno, e a lasciarci prendere dalla situazione! Per esempio: se io vado a fare una conferenza allʼUniversità israe-liana, i palestinesi mi danno del venduto ad Israele; se io dico che bisogna parlare con tutti, anche con Hamas, gli israeliani mi danno del terrorista. E ̓molto diffi-

Dall'Eremo X

InsertoXI

cile conservare questa libertà, che però è fondamentale ed è la sola che ci consente di parlare con tutti, ad ogni costo, senza stare dentro schemi e copioni prefissati. La Chiesa, dal momento che è piccola, e proprio perché è piccola, ha questa libertà, potrebbe avere questa libertà. Ma, in un certo senso, noi cristiani non siamo molto credibili per le nostre divisioni. Per esem-pio, circa tre anni fa, quando fui scelto come Custode2, ho dovuto fare il giro di rappresentanza, cioè fare visite di corte-sia ai Ministri. Ero alquanto sprovveduto! Quando sono stato ricevuto dal Ministro degli Interni, ho fatto il mio bel discor-setto sul bisogno del dialogo... con tutte le cose che si dicono sempre in queste occasioni. Lui mi ha ascoltato con molta attenzione e annuiva alle mie parole con dei: “Si, sì, bravo, certo, certo”. Quando ho finito mi ha detto: “Guardi, io ieri ho dovuto mandare la polizia al Santo Sepol-cro per dirimere una questione tra voi cri-stiani sui servizi igienici!”. La questione del dialogo va anche tradotta in termini più banali! Questa è la situazione, che

come Chiesa, un po ̓ci paralizza. Ma la nostra piccolezza, il nostro essere fragili, limitati, ci rende anche capaci di parlare con tutti e di non essere visti in chiave mi-nacciosa, perché non rappresentiamo una minaccia per nessuno. Questo ci consente di essere un po ̓più liberi nei rapporti e nei dialoghi. Dobbiamo costruire ponti, sì, ma sono ponti piccoli, per pedoni e ci-clisti, non autostrade! Però questi piccoli ponti sono importanti. Onestamente oggi non si può fare di più. Qualcuno su questi piccoli ponti può passare, non passeranno le masse, ma cʼè unʼapertura totale. Questi ponti sono costruiti dalle persone, dalle tante associazioni, ma non tanto dalle associazioni classiche di stampo ideologico, bensì da quelle locali, nelle quali israeliani e palestinesi si ritrovano, per esempio, per portare la luce in un vil-laggio o il riscaldamento in una scuola o per andare ad aiutare i contadini minac-ciati dai coloni, situazioni concrete, non ideologiche, dove le persone si ritrovano: ebrei, cristiani, musulmani. Si ritrovano perché cʼè una cosa concreta che li avvi-cina, e non ci sono ideologie che possono creare muri di carattere politico. Sono tantissime le associazioni che non fanno opinione e che sono come un piccolo resto dal quale può ripartire la speranza. Così si costruiscono piccoli ponti! Ponti che forse sono mobili, ma che mantengono viva una piccola luce, un piccola fiammella, che è molto importante, perché è a partire da una fiammella che si può accendere un grande fuoco. E ̓un piccolo seme che in futuro farà crescere la pianta. Grazie!

PADRE PIERBATTISSTA PIZZABALLA CUSTODE DI TESSA SANTA

2) Il Custode di Terra Santa ha anche una funzione vicina a quella di un Ambasciatore.

Padre Pierbattista Pizzaballa custode di Terra Santa con don Renato e suor Celinia.

DallʼEremo

LETTERE DALLʼEREMO

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