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78 LETTERE DALL’EREMO INSERTO n. 22 Anno della Fede GIORNALE CULTURALE INFORMATIVO A CURA DEGLI “AMICI DELL’EREMO DI VALLECAMONICA”

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78LETTEREDALL’EREMOINSERTO n. 22Anno della Fede

GIORNALECULTURALE

INFORMATIVOA CURA DEGLI

“AMICI DELL’EREMODI VALLECAMONICA”

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LETTEREDALL’EREMODICEMBRE 2012ANNO XXVIIDirettore ResponsabileDon Gabriele Filippini

Autorizzazione n. 4/89del Tribunale di Brescia

EREMO DEI SANTI APOSTOLIPIETRO E PAOLO25040 BIENNO (Brescia)Telefono 0364/[email protected]

ABBONAMENTO:Ordinario € 15,00Sostenitore € 30,00Benemerito € 50,00C.C. Postale n. 17738253int. a Alma Tovini Domus

Stampa: Tip. Camuna S.p.A. - BrenoTel. 0364/22007

Si ringrazia la

che, condividendone le finalità, contribuisce alla stampa e spedizione di questa rivista.

Dall’Eremo

Dal Monastero

Amici

Dalla Valle

Calendario

La porta dell’Eremo e la porta della fede Pag. 01Discernimento Pag. 02 Attività e notizie Pag. 04La croce nella spiritualità cristiana Pag. 10Esercizi spirituali per sacerdoti Pag. 14Mons. Giuseppe Almici Pag. 16Sulle orme di S. Gemma e di S. Francesco Pag. 19

Anno della fede I - XXVIII Concluso l’anno centenario Pag. 22

Suor Maria Troncatti beata Pag. 24La Banca di Valle Camonica ha celebrato all’Eremo il 140° di fondazione Pag. 28Il libraio Pag. 30

Dott. Giuseppe Camadini Pag. 31

Valcamoningospel Pag. 33

Programma 2012- 2013 Pag. 35

Mons. Ambroise Djoliba Pag. 36

Inserto

Avvenimenti

Dalla Redazione

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Era il 1985 quando il Pittore brenese Carlo Alberto Gobbetti di-segnava a china il portale dell’Eremo come copertina del primo numero di Lettere dall’Eremo. Da allora la casa di Spiritualità della Valle si è sempre presentata con il “logo” della porta d’ingresso del suo sagrato. Il Papa Benedetto XVI ha indetto l’anno della Fede con la lettera apostolica “Porta Fidei” e il collegamento tra il logo dell’Eremo e il simbolo della porta della fede è stato immediato. Quante persone hanno varcato e varcano la porta dell’antico convento di san Pietro entrando, così, nella “Porta della Fede” attraverso i ritiri, gli esercizi, gli incontri di spiritualità, i corsi di formazione, i momenti di preghiera, le celebrazioni… L’Eremo esiste per la fede. Perché la Chiesa esiste per la fede. Le parrocchie esistono per la fede. E proprio questa finalità aveva fatto dell’Eremo – in anticipo

– un luogo “sinodale”, una forma di “unità pastorale”.In occasione dell’anno della fede abbiamo bussato ancora alla porta dell’Artista Gob-betti che ha donato all’Eremo una nuova versione della porta dell’Eremo che diventa porta della fede ed è l’immagine di copertina di questo numero 78. La porta della Fede si apre su un mondo bello, colorato. Il campanile sullo sfondo ricorda che la gioia vera della vita viene dalla fede. La porta della fede è aperta verso l’alto, perché non è un ingresso semplicemente orizzontale: si spalanca al Regno dei Cieli e all’Eternità. Nell’opera “La porta della fede 2012” di Carlo Alberto Gob-betti, colpisce il ramo inchiodato sul lato sinistro della porta. Non è dipinto, è un vero ramo assicurato da chiodi antichi all’intonaco su cui è affrescata la porta. È un ramo secco. Nell’esistenza di ogni uomo ci sono momenti di fatica, di sofferenza e di peccato: se non entra per la “Porta della Fede”, la vita dell’uomo dissecca e muore. Dentro ci sono la vita, il colore, la luce. Fuori l ’aridità diventa esiziale. Come spiega il Papa Benedetto: “La fede afferma che non c’è vera umanità se non nei luoghi, nei gesti, nei tempi e nelle forme in cui l’uomo è animato dall’amore che viene da Dio, si esprime come dono, si manifesta in relazioni ricche di amore, di com-passione, di attenzione e di servizio disinteressato verso l’altro” (Catechesi del 17 ottobre 2012). Viene spontaneo pensare ai tanti uomini e donne di buona volontà che entrando dalla porta dell’Eremo accedono alla “Porta della Fede” e che uscendo dall’Eremo non se ne vanno dalla Fede ma vanno a portare il Vangelo nella Valle e oltre. Per questo vive l’Eremo.

DON ROBERTO DOMENIGHINI (Direttore dell’Eremo)

LA PORTA DELL’EREMO E LA “PORTA DELLA FEDE”

Dall'Eremo

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Discernimento è parola oggi tanto infla-zionata nell’ambiente ecclesiale da essere divenuta addirittura banale. Da termine tecnico dell’ascetica cattolica, nella quale designa una sottile operazione interiore, è passato a essere sinonimo di decisione, di deliberazione, di metodo.Nel suo preciso significato spirituale, discernimento è il modo con il quale l’orante, sia persona singola sia comu-nità, ricerca la volontà di Dio attraverso l’osservazione dei movimenti di consola-zione e di desolazione che si producono in se stesso. Ciò suppone la conoscenza e l’attenzione sia al mondo dei sentimenti e dell’affettività, sia alla fede e al magistero morale della Chiesa.Ci sono due forme di discernimento. Può essere stile abituale di una vita centrata sul Signore, tesa all’unione con Lui con la sua grazia e l’esercizio della preghiera. E può essere tempo forte, ossia esperienza di un periodo limitato di tempo nel quale l’orante si esercita a ricercare la volontà divina intorno a una scelta che dev’es-sere valutata e decisa, come un problema che deve essere risolto da cristiano o da religioso.Il discernimento personale, che è parte di un ordinario stile di preghiera, è pri-mario e propedeutico rispetto a quello comunitario, che non può non essere straordinario e occasionale. Tuttavia per la struttura stessa della vita cristiana, la dimensione ecclesiale è componente es-

senziale di ogni atto ed esperienza spi-rituale e perciò anche il discernimento personale deve svolgersi nella Chiesa, alla luce cioè della sua dottrina e della sua tradizione ascetica, in dialogo e con la verifica fatta solitamente con un sacerdote che rassicuri l’orante sulla giustezza del suo percorso, ossia sulla sua permanenza, mentre discerne, nella comunità di sal-vezza. E’ questa la ragione profonda che lega il discernimento personale alla dire-zione spirituale condotta da un direttore realmente esperto di simili percorsi. Ed è altresì questo il motivo per cui va rifiu-tata la confusione tra direttore spirituale e psicologo, due ruoli che in altra sede pos-

DISCERNIMENTO

Formazione

L'Eremo... per periodi forti di discernimento

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sono anche essere complementari, ma che, ove si tratti di discernimento “spirituale”, generano una commistione ambigua e fi-nanche dannosa per l’orante.Oggetto del discernimento è qualsiasi cosa, moralmente buona o almeno indif-ferente, sulla quale l’orante si interroga, se accettarla o respingerla, se corrisponde al divino volere immetterla o meno nella propria vita personale e apostolica: e l’oggetto non solo non deve ostacolare, ma deve anzi favorire, sia il fine generale dell’uomo, che è la gloria di Dio e la sua salvezza eterna, sia la concreta vocazione individuale. Entrambe le forme del discernimento sup-pongono nell’orante due fondamentali di-sposizioni.La prima coincide con la stessa fede cri-stiana. Il cuore dell’uomo è il campo di battaglia nel quale si oppongono due forze o “spiriti”: la grazia e il peccato, la natura redenta e quella corrotta, luce e tenebre, Cristo e Satana. Con il discernimento “spirituale”, l’orante indaga su se stesso per vedere, per la scelta che deve fare, da quale “spirito” è mosso, quali sono le mozioni e i suggerimenti degli opposti “spiriti”, quale ambivalenza deve supe-rare affinché si affermi o si rafforzi in lui il regno di Dio. La direzione spirituale serve ad aiutare l’orante a orientarsi in questo combattimento e a integrare nella sua interiorità l’oggetto della scelta e della decisione.La seconda disposizione è la fedele os-servanza delle esigenze del discepolo. L’orante è un discepolo di Gesù. Da Lui ha imparato la purezza del cuore, che consiste nel non amare nulla che, o poco o molto, sia contrario alla volontà conosciuta del Signore. Per raggiungere

questo traguardo, l’orante si deve impe-gnare a collaborare con la grazia, cioè a lavorare intensamente a purificare il cuore dalle colpe gravi e meno gravi, dalle pas-sioni dominanti, dal fondo d’orgoglio che governa il cuore umano, dall’impurità di ogni genere che insidia l’unione con Dio nella preghiera. Quando ci si comporta così, si può avere la certezza morale di essere guidati dallo Spirito Santo nel di-scernimento. Lo Spirito investe quieta-mente e gradatamente l’orante e lo illu-mina sulle sue azioni e sulle sue scelte. A poco a poco, l’orante si abitua a lasciar compiere al Signore ciò che a lui piace e che si manifesta attraverso i movimenti dell’anima e ad abbandonarsi all’azione divina.Nel discernimento, come nella santità, è lo Spirito l’attore principale, ma l’uomo deve lasciargli spazio di operazione, puri-ficandosi con la preghiera assidua da tutto ciò che potrebbe ostacolare l’effusione di Dio in lui. E’ praticamente difficile che si realizzi un autentico discernimento spiri-tuale in un cristiano che non si consacri abitualmente alla preghiera. In questo campo specialmente, bisogna accurata-mente vigilare affinché non si prenda per discernimento nello Spirito la sua carica-tura, ossia il semplice buon senso umano o gli effetti e le tendenze del carattere o la propria corta e accomodante veduta o il proprio interesse camuffato con motiva-zioni spirituali.Soltanto una sincera vita di preghiera ret-tifica le intenzioni e permette di intuire e scegliere quanto è conforme al gusto di Dio.

GIANDOMENICO MUCCI S.J.Roma, La Civiltà Cattolica, dicembre 2012

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Luglio 2012• Domenica 1° luglio hanno avuto inizio gli esercizi spirituali per tutti, predicati da padre Giuseppe Barzaghi; il gruppo dei partecipanti era ben articolato e rappre-sentativo degli stati di vita del cristiano: laici, religiose, sacerdoti. Lo stile acuto e immediato ha coinvolto i cuori e le menti.• Sabato 7 l’Eremo ha ospitato un gruppo di pellegrini giunti all’Eremo in bicicletta da Milano (nella foto).• Lunedì 9 ha avuto inizio il simposio re-sidenziale estivo della Facoltà teologica dell’Italia Settentrionale sul tema della Teologia della Croce: “Perché non venga resa vana la Croce di Cristo”. Molti i par-tecipanti e sempre intensa l’attenzione. Un articolo nella rivista ne dà relazione. • Mercoledì 11 l’Eremo ha offerto ai par-tecipanti al corso estivo della Facoltà teo-logica di Milano un concerto pianistico: la maestra Francesca Olga Cocchi si è esi-bita in brani di Bach e Chopin ottenendo il plauso entusiasta di una sala gremita. Lo stesso giorno un gruppo di giovani suore Discepole di Gesù Eucaristico è

giunto all’Eremo per qualche giorno di preghiera e riposo.• Giovedì 19 S.E. Mons. Giulio Sangui-neti, di passaggio per la Valle, ha trascorso la notte all’Eremo.• Venerdì 20 luglio la comunità Spirito e vita è tornata all’Eremo per tre giorni di preghiera e di formazione.• Da lunedì 23 sino alla domenica 29 l’Accademia filosofica di Bologna, legata ai Padri Domenicani ha tenuto all’Eremo una delle sue settimane denominate “La filosofia nei luoghi del silenzio”. Relatore principale il padre Giuseppe Barzaghi, che era già stato all’Eremo all’inizio del mese e che ha di nuovo calamitato l’at-tenzione dei presenti. Ospite d’eccezione il campione del mondo di apnea Umberto Pelizzari. • La morte del dottor Giuseppe Camadini è stata vissuta dall’Eremo come lutto di famiglia. Al Notaio la casa di spiritualità della Valle deve molto. La gratitudine è stata espressa con la partecipazione del Direttore, delle Suore e di moltissimi Amici dell’Eremo alle cerimonie di Suf-fragio, con la Celebrazione all’Eremo di

ATTIVITA' E NOTIZIE

Dall’Eremo

Pellegrini giunti da Milano in bicicletta

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alcune Sante Messe, con il ricordo su que-ste pagine, già nel numero scorso e anche nel presente.• Già nel primo pomeriggio di domenica 29, incrociandosi con il gruppo prece-dente, sono arrivate all’Eremo oltre ses-santa suore salesiane per i loro esercizi spirituali. Una presenza che, per il se-condo anno, rallegra l’Eremo.

Agosto 2012• Da lunedì 6 a sabato 11 si è svolto l’an-nuale corso di esercizi spirituali per i laici, ma aperto a tutti, sapientemente guidato da don Gianmarco Busca e don Sergio Passeri. Come sempre la partecipazione, sia per numero che per qualità, è stata ec-cellente.• Da domenica 12 fino a sabato 18 i sacer-doti salesiani hanno vissuto i loro annuali

esercizi spirituali, celebrando all’Eremo una liturgia esemplare e rallegrando la casa con lo spirito sempre vivo di don Bosco.• Dal 19 al 24 di luglio Mons. Gabriele Fi-lippini, direttore della nostra Rivista Let-tere dall’Eremo, ha predicato gli esercizi spirituali per i diaconi permanenti della diocesi di Brescia. Con lui accompagnavano il corso don Lui-gi Gregori, padre spirituale e don Sergio Passeri, responsabile diocesano.• Il Vescovo Luciano Monari ogni anno offre ai sacerdoti un corso di esercizi che si tiene alternativamente nelle due case di spiritualità della diocesi, l’Eremo dei Santi Pietro e Paolo e Montecastello. Quest’anno è stato il “turno” dell’Eremo. Dal 26 al 31 agosto tutti gli alloggi dell’Eremo sono stati occupati da sacer-doti provenienti da ogni parte d’Italia che hanno seguito le meditazioni del nostro Pastore lungo i sentieri del Vangelo di Luca.

Settembre 2012• All’inizio del mese, sabato 1°, Mons. Aldo Delaidelli, direttore emerito dell’Eremo, con i sacerdoti suoi collabo-ratori, don Pierluigi Chiarini e don Giu-seppe Farinelli, è tornato all’Eremo per l’incontro di avvio del Consiglio Pastorale di Roncadelle.Il Vescovo Luciano Monari spiega il Vangelo di Luca

Gli Esercizi con il Vescovo Luciano: La Concelebrazione

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6Dall'Eremo

• Con l’intento di riprendere la tradizione dell’Eremo del ritiro per gli ammalati e gli anziani, in collaborazione con l’Unitalsi di Ponte di Legno, domenica 2 si è tenuto il primo incontro del nuovo anno pasto-rale. Un momento intenso di preghiera e fraternità. La fotografia ritrae un gruppo dei partecipanti durante la preghiera del rosario, nel Chiostro nuovo dell’Eremo. • Da venerdì 14 sino alla domenica, la Co-munità Spirito e vita è tornata all’Eremo per l’incontro di preghiera e di forma-zione. Questo gruppo da qualche tempo elegge l’Eremo come luogo di raduno dei diversi “cenacoli” sparsi nelle parrocchie di tutta Italia.• Nei lunedì 10, 17 e 24 settembre, il pro-fessor don Raffaele Maiolini, docente di Teologia in Seminario e all’Università Cattolica ha intrattenuto con particolare vivacità i partecipanti all’annuale Corso di formazione per Catechisti, Insegnanti di Religione, Laici impegnati. Tema di quest’anno la Fede, in naturale sintonia con l’invito del santo Padre. Nell'Inserto troviamo una sintesi delle lezioni di don Raffaele.• Da martedì 18 e per tutta la settimana, l’Unità Pastorale della Valgrigna ha te-nuto, sera per sera, gli incontri dei diversi gruppi dell’Iniziazione Cristiana. Don Pietro Parzani - curato - ha guidato le riu-

nioni che, dopo un bel momento di pre-ghiera nella Chiesa grande, hanno visto il raduno per parrocchia, nelle diverse sale dell’Eremo.• Con un mese di anticipo, quest’anno, mercoledì 19, le donne si sono ritrovate all’Eremo per il loro ritiro mensile. La novità dell’inizio nel mese di settembre ha riscosso un plauso dimostrato dall’ac-cresciuto numero delle partecipanti e dalla loro attenzione attiva e devota. Ad animare la giornata, insieme a don Roberto, don Pierangelo Pedersoli, curato di Pisogne

Un gruppo di partecipanti al ritiro degli ammalati durante la preghiera del Rosario nel Chiostro dell'Eremo

Don Pierangelo Pedersoli all’organo dell’Eremo

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che all’organo ha sostenuto e stimolato il canto e la preghiera.• Giovedì 20 il Vescovo di Brescia, ha of-ferto ai sacerdoti una presentazione sinte-

tica e profonda del Vangelo di Luca. Una mattinata intensa e proficua, che ha unito la sapiente esegesi del nostro Presule, con la fraternità dei sacerdoti.• Sabato 22 la Banca di Valle Camonica ha tenuto all’Eremo l’incontro del perso-nale in occasione del 140° anniversario di fondazione. • Domenica 23 settembre la Parrocchia di Modignano, ha dato avvio al cammino di formazione dei Catechisti con una giornata di ritiro all’Eremo: il direttore della casa ha tenuto la riflessione sul tema dell’Anno della fede, il parroco, don Remo, ha cele-brato la santa Messa e guidato il piccolo pellegrinaggio a Cristo Re.Lo stesso giorno la Comunità Neoca-tecumenale di Artogne, ormai di casa all’Eremo, ha tenuto l’incontro domeni-cale con la preghiera delle lodi, la con-divisione e l’Eucarestia celebrata da don Roberto.Alla messa delle ore 17, Monsignor Vit-torio Formenti - che da Roma segue con

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La pianista Chiara Montani nel Concerto offerto in occasione del Ritiro degli ammalati il 2 settembre

Il Vescovo Luciano presiede l’Eucaristia durante gli esercizi spirituali

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grande attenzione su queste pagine la vita della casa di spiritualità della Valle - ha consegnato all’Eremo la bolla con la quale il Beato Giovanni XXIII nominava S.E. Mons. Giuseppe Almici Vescovo Ausiliare di Brescia. Il Presule, nativo di Zone, fu fondatore e promotore dell’Eremo e della Federazione Italiana degli esercizi Spiri-tuali (Fies). A Mons. Vittorio la gratitu-dine di tutti gli amici dell’Eremo. In que-sto numero della Rivista possiamo leggere la sua omelia.• Sabato 29 e domenica 30 il coro Hope Singers e l’Eremo hanno promosso il primo workshop di canto gospel in Valle Camonica. Grazie al molto lavoro dei giovani del Coro, alla loro tenacia e competenza organizzativa la scommessa di questa prima edizione è stata più che vinta. L’evento si è concluso nella Chiesa Parrocchiale di Bienno, gremita, con un concerto.

Ottobre 2012• Mercoledì 3 ottobre il Vescovo Luciano ha incontrato i sacerdoti della Valle Camo-nica per una mattinata di dialogo. Nume-rosa e intensa la partecipazione dei preti.• Sabato 6 ottobre ha avuto inizio la serie dei ritiri che l’Eremo offre alle religiose della Valle, un sabato al mese. È una proposta che è nata fin dagli albori della nostra casa di spiritualità, con la convin-zione che una vita spirituale profonda e una formazione solida siano la risposta alle domande che l’oggi pone alla vita consacrata. Numerose le religiose che si avvalgano di questa momento nella mat-tinata. Alcune prolungano l’incontro con il Signore anche nel pomeriggio. Altre totalmente assenti.• Lunedì 8 ottobre, nell’ambito del corso di formazione autunnale per i laici, il pro-fessor Oliviero Franzoni ha delineato le coordinate per una storia del cristianesimo in Valle Camonica.• Martedì 9 il Consiglio Pastorale Zonale ha avuto il suo primo incontro. Ha guidato

la serata il vicario zonale don Aldo Ma-riotti, vicario, che ha chiesto al direttore dell’Eremo di offrire ai consiglieri una traccia per la rilettura dei documenti del Concilio Vaticano II nell’anno della fede.• Giovedì 11 ha avuto inizio la serie dei ritiri per i sacerdoti, predicati quest’anno dal prof. don Luigi Bontempi, docente al Seminario di Brescia. L’appuntamento mensile vede presente la quasi totalità dei presbiteri della media Valle.• Venerdì 11 ha avuto inizio il pellegrinag-gio dell’Eremo a Lucca e Assisi: ne diamo conto nella Rivista.• Domenica 14 un gruppo di Pellegrini da Firenze ha visitato l’Eremo per una giornata di spiritualità, guidati dal Par-roco don Vincenzo Arnone, giornalista del quotidiano cattolico Avvenire, della rivista Vita Pastorale e autore di nume-rosi volumi. Don Vincenzo, che nel corso dell’estate aveva vissuto all’Eremo i suoi personali esercizi spirituali, ha scritto la sua testimonianza per questo numero della nostra Rivista.• Lunedì 15 il direttore dell’Eremo ha

Mons. Ghidelli presiede l’Eucarestia con i Vescovi Mons. Foresti e Mons. Bonicelli

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concluso il ciclo di incontri per catechi-sti, insegnanti di religione e laici sul tema della fede presentando la lettera Porta Fi-dei del Santo Padre Benedetto XVI. En-tusiasmante il bilancio della serie degli incontri, iniziati in settembre con profes-sor Maiolini: oltre 150 partecipanti molto attenti e soddisfatti della proposta.• Giovedì 18 i sacerdoti della seconda Zona Pastorale si sono incontrati all’Eremo per la “congrega”. Ha introdotto il direttore dell’Eremo offrendo alcuni spunti di ri-flessione sull’Anno della Fede, partendo dalla lettera Porta Fidei del Santo Padre Benedetto XVI. L’approfondimento, poi, è continuato partendo dall’invito del Papa, proprio in quest’anno, a valorizzare il Ca-techismo della Chiesa Cattolica.• Martedì 23 la Caritas Diocesana ha te-nuto all’Eremo un incontro di Formazione per gli operatori della carità della Valle Camonica.

Novembre 2012• Sabato 3 il Gruppo di riferimento si è in-contrato all’Eremo per la celebrazione eu-

caristica e la programmazione dell’anno.Alla sera dello stesso giorno i Pellegrini che, con l’Eremo, avevano visitato Lucca e Assisi, hanno condiviso la Celebrazione Eucaristica in ringraziamento per il cam-mino di fede compiuto sui passi di santa Gemma Galgani e dei Santi Francesco e Chiara.• Sabato 10, mentre le religiose vivevano il loro ritiro mensile, anche l’Ordine France-scano Secolare (ofs) di Lovere ha goduto, all’Eremo, di una giornata di spiritualità.• Domenica 11 circa 35 ammalati e an-ziani con i loro accompagnatori, di tutta la zona ma soprattutto dell’Alta Valle, hanno partecipato alla giornata di ritiro.Alla sera hanno avuto inizio gli esercizi spirituali per i sacerdoti predicati da S.E. Mons. Carlo Ghidelli: oltre 40 i presenti fra i quali il Vescovo Emerito di Bre-scia S.E. Mons. Bruno Foresti, fedelis-simo a questo appuntamento autunnale, il Vescovo Emerito di Siena S.E. Mons. Gaetano Bonicelli, da sempre amico dell’Eremo, il Vicario Generale della no-stra diocesi, Mons. Gianfranco Mascher.

I sacerdoti salesiani ai loro annuali esercizi spirituali

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Eremo dei santi Pietro e Paolo - Bienno (BS): oasi di pace e di silenzio, posta su un colle che domina la Valle Camonica, ma anche casa ospitale che si presenta con il volto accogliente del direttore, don Ro-berto Domenighini, della comunità delle Dorotee di Cemmo e di quanti collaborano nei diversi servizi della casa. A loro il no-stro grazie più cordiale anche per l’offerta di due serate culturali che hanno arricchito il nostro percorso formativo: una visita guidata al Santuario della Via Crucis a Cerveno dove si trovano le quattordici stazioni con statue in legno e stucco, a grandezza naturale, realizzate tra il 1752 e il 1761 dallo scultore camuno Beniamino Simoni e un concerto di musiche di Bach e Chopin, con Francesca Olga Cocchi al pianoforte. L’Eremo è stato, dunque, il luogo che, anche quest’anno, il Centro Studi di Spiritualità della Facoltà Teolo-gica dell’Italia Settentrionale di Milano ha voluto scegliere per svolgervi l’an-nuale Corso residenziale estivo dal 9 al 12 luglio. Un corso che “fa la differenza” rispetto ad altre iniziative simili, non solo per la felice scelta del luogo, ma anche per il tipo di esperienza “comunitaria”, fa-vorita dalla conduzione discreta e vigile del direttore del corso, il prof. Antonio Montanari, e dall’animazione puntuale, con un tocco sempre garbato e attento an-che al dettaglio, del coordinatore, il prof. Silvano Macchi. La preghiera delle Lodi e dei Vespri, la Celebrazione dell’Eucaristia

sempre presieduta da un docente del corso e concelebrata dai sacerdoti presenti, i tempi dedicati alla proposta dei contenuti e al dibattito con i relatori, ma anche il momento dei pasti e delle pause disten-sive passeggiando nel chiostro, hanno aiu-tato i partecipanti a entrare in relazione tra loro e con i docenti e, soprattutto, a “vivere il corso” con stile comunionale, percependosi come una piccola, ma signi-ficativa “assemblea ecclesiale”, formata da presbiteri, laici, religiose e religiosi, tutti convocati dalla “parola della croce”: “un kairós”, un tempo breve, eppure ca-rico di grazia, perché ha ridetto con forza il senso teologico e spirituale della Croce di Gesù per la vita cristiana di tutti e di ciascuno. Il tema - «Perché non venga resa vana la croce di Cristo». La croce nella spiritualità cristiana - a partire dalla provocazione offerta dalla parola di Paolo (1Cor 1,17) è stato svolto, secondo una logica interdisciplinare già “collaudata” nei precedenti corsi, attraverso quattro di-versi approcci di cui cerchiamo di focaliz-zare alcuni passaggi-chiave, con l’intento di invogliare alla lettura dei testi integrali delle relazioni, raccolte in un volume di prossima pubblicazione, nella collana “Sapientia” dell’editrice Glossa:- Approccio filosofico-sociologico, affi-dato al prof. Adriano Fabris, docente di filosofia morale, filosofia delle religioni ed etica della comunicazione all’Univer-sità di Pisa e alla Facoltà di Teologia di

LA CROCE NELLA SPIRITUALITA' CRISTIANA

CORSO RESIDENZIALE DELLA FACOLTÀ TEOLOGICA

DELL’ITALIA SETTENTRIONALE (9/12 LUGLIO 2012)

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Lugano: il punto di partenza è stato uno sguardo realistico e documentato sulla sta-gione culturale contemporanea in cui la croce sembra presentarsi, al tempo stesso, «come sovrabbondante ed eclissata, come legata allo spazio pubblico e contestata quando vi si colloca esplicitamente, come riferimento per chi ha fede, ma anche come espressione dell’universale dolore umano e della speranza che esso non abbia l’ultima parola». Di qui l’analisi dell’ambiguità del simbolo della croce, in quanto tale e nella storia, per arrivare a recuperarlo come «simbolo dell’identità cristiana, aperta e relazionale, incentrata sul proprio ‘cuore’, sul punto d’incontro di umano e divino».- Approccio biblico-esegetico, affidato al prof. Roberto Vignolo, docente della Fa-coltà Teologica dell’Italia Settentrionale, e al prof. Francesco Bargellini, docente presso il Seminario Teologico di Novara: il prof. Vignolo ha definito “eccellente” il titolo della relazione - “Appeso al legno” (At 5,30) - perché con un’espressione icastica comunica che «non di qualun-que morte muore Gesù, ma di una morte considerata infame per tutta l’antichità». Eppure sta “qui” il momento fontale della fede nella resurrezione del Crocifisso, nella forza sarcastica del “kerigma” della prima comunità che è, contemporanea-mente, annuncio di «due scandali, di due momenti di discontinuità: Gesù è stato crocifisso ed è stato risuscitato. La morte sulla croce si presenta come attentato alla messianicità e, ad un tempo, come luogo epifanico della messianicità». Don Vignolo ci ha, quindi, accompagnati in una lettura comparata dei testi evangelici che narrano la morte di Gesù in croce, con un riferi-mento all’inno cristologico della lettera

ai Filippesi («punto estremo della kénosi del Figlio di Dio - “obbediente fino alla morte, e alla morte di croce”: Fil 2,8 - e ragione intrinseca della risurrezione - “per questo Dio l’ha esaltato...”: Fil 2,9-11 -»): quasi un “passaggio di testimone” al prof. Bargellini a cui era affidata una rilettura paolina della «parola della croce». Dopo aver tematizzato la tesi di Paolo in 1Cor 1-3 e il significato di «parola della croce», ha presentato i tre versanti dell’argomen-tazione e della riflessione paolina sulla «parola della croce»: il versante cristolo-gico, pneumatologico ed ecclesiologico. «La croce - ha concluso don Bargellini - mette costantemente la chiesa di fronte alla kénosi come alla sua “verità” più es-senziale. Se, infatti, la chiesa è commu-nitas verbi crucis e la croce è significata dalla kénosi, intesa come “auto-espropria-zione nell’amore” - auto-donazione che ha il suo fondamento e il suo modello nelle relazioni intra-trinitarie delle tre Persone -, allora la kénosi rappresenta la natura più autentica della chiesa e il suo più coerente stile di vita nel mondo».- Approccio storico-artistico: il prof. An-drea Dall’Asta, gesuita, direttore della Galleria San Fedele di Milano, scegliendo come “filo conduttore” della sua relazione - La croce nell’esperienza cristiana: un percorso storico/artistico - il tema della bellezza in relazione a Cristo, ha proposto un’analisi, documentata da una ricca ri-produzione iconografica, del passaggio dal Christus gloriosus al Christus patiens: un percorso tra Occidente e Oriente, partendo dall’Italia umanistica per arrivare all’arte contemporanea del Novecento, su cui la riflessione ha indugiato con un approfon-dimento della figura del Christus patiens per riscoprire «nell’uomo dei dolori che si

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consegna alla morte, nella sua atroce brut-tezza sulla Croce, la bellezza della santità, la bellezza del dono di sé. L’amore con cui ci guarda trasfigura l’uomo dei dolori nel più bello dei figli degli uomini, pur conservando i ‘segni’ della crocifissione. Il Crocifisso è la bellezza che salva». - Approccio teologico: un approccio a due voci con le relazioni del prof. Ezio Luca Bolis e del prof. Alberto Cozzi, docenti rispettivamente di Teologia spirituale e di Teologia sistematica nella Facoltà Teolo-gica di Milano. Il prof. Bolis nel suo con-tributo - Sapienza del mondo e sapienza di Dio: la croce nel vissuto spirituale - ha scelto di presentare la figura di Edith Stein, una donna del ’900 che ha attraver-sato gli snodi più significativi e dramma-tici della cultura contemporanea e che, «nell'ultima tappa della sua vita, quella vissuta da monaca carmelitana, ha scelto il nome di Teresia Benedicta a Cruce, quasi a dire che la Carmelitana deduce la sua vera identità personale a partire dal mistero della Croce. In questo modo la Stein attribuisce la sua chiamata, quindi la sua nuova condizione di ebrea-cristiana alla persona stessa del Cristo crocifisso. Ella ricomprende la sua esistenza a par-tire dalla contemplazione di quell’evento che ha cambiato il suo destino e quello del mondo e dell’umanità». E nella sua opera Scientia Crucis quando spiega l’ispira-zione paolina dell’opera di San Giovanni della Croce scrive: «Il Vangelo di Paolo è proprio questo: la dottrina della croce, il messaggio che egli annuncia ai Giudei e ai Gentili. Si tratta di una testimonianza lineare, senza alcun artificio oratorio, senza alcuno sforzo di convincere facendo leva su argomenti di ragione. Essa attinge tutta la sua forza da ciò che annuncia. Ed

è la croce di Cristo, cioè la morte di Cristo in croce, lo stesso Cristo crocifisso. Cristo è la potenza di Dio, la sapienza di Dio non soltanto perché inviato da Dio, Figlio di Dio e Dio lui stesso, ma precisamente per-ché crocifisso». Il tema del corso è stato rivisitato, infine, dalla riflessione teologica del prof. Cozzi che, nel suo intervento - La croce, la sua logica e il suo significato per l’esperienza cristiana - ha ripreso molti contenuti e aspetti emersi dalle relazioni precedenti, ricollegandosi, per esempio, all’intervento del prof. Vignolo circa la prospettiva narrativa dei vangeli che contiene insieme narrazione, storia e teo-logia: «Il senso teologico - ha affermato don Cozzi - è inscritto nella narrazione ed esige la narrazione. Non si deve pensare che l’interpretazione teologica sia sovrim-posta al racconto. Essa è piuttosto prodotta dal racconto. Il racconto, nel senso della struttura narrativa, dell’intreccio è già in sé produttore di un’interpretazione teolo-gica, che non rimanda a un’idea al di là della narrazione. La mediazione defini-tiva della salvezza si realizza nella storia di Gesù, che emerge dalla narrazione di un racconto più grande, in cui sono arti-colati in un’azione drammatica il dono di Dio e la risposta dell’uomo nell’alleanza. Appare quindi come il mediatore di si-gnificato decisivo della croce deve essere la vita di Gesù terminata sulla croce». Nell’attuale situazione di pluralismo re-ligioso una deriva insidiosa è la riduzione della croce a mero simbolo religioso, ap-prezzabile in sé e per sé, al di là della vita di Gesù e dell’intenzione con cui lui l’ha assunta: anche così è resa vana la croce di Cristo, perché essa “vale” solo se non si separa mai dall’intenzione di Gesù e dal contesto storico concreto della sua

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vita. Infine un affondo su alcune riletture e interpretazioni della figura del Christus patiens, che rischiano di “dissolvere” la croce nel dramma dell’umanità e delle sue ferite: «Il grido del Crocifisso è som-merso dalle urla disperate di tante vittime delle atrocità della storia. Anzi, si perde in esse e le lascia risuonare fino ai piedi del trono di Dio. Ciò che manca a questa contemplazione ‘laica’ della crocifissione, è meno la fede in Dio o nella divinità di Gesù, quanto piuttosto la perdita di fede nel ‘processo salvifico di trasfigurazione’ che Gesù realizza tra noi, anche attraverso la croce. In tale processo l’ultima parola non è della morte o del dolore ma è quella dell’amore di Dio che si fa vicino e ci tra-sforma. Manca insomma la speranza. Ep-pure la croce vuole essere una dura ma efficace scuola di speranza. È a questo livello che si pone oggi la sfida radicale a percepire la bellezza della croce che ha il tratto di una bellezza che trasfigura le cose, ma costringendo ad abitare presso il reale, senza fughe illusorie in un immagi-nario menzognero e relativista. La croce inchioda alla realtà». A conclusione il direttore del corso, il prof. Antonio Mon-tanari, ha citato una parola di Moltmann, alla cui opera i relatori hanno fatto co-stante riferimento: «Solo la durezza ma-nifesta della croce impiantata sul Golgo-tha può salvarci dalla durezza del vivere e del morire». Perché la croce continua a riproporsi, fino ad oggi, come luogo di scandalo e di stupore per tutti coloro che non fuggono davanti allo “spettacolo” della croce (cfr. Lc 23,48-49) che ci svela il legame problematico ma imprescindi-bile della nostra identità cristiana con la croce di Cristo. Infatti «solo guardando la croce - ci ricordava il prof. Cozzi - ci ac-

corgiamo di cosa è capace la grazia che è in noi, ci rendiamo conto della forza che lo Spirito di Cristo ci comunica: forza di dedizione e dono di sé, forza di pazienza e perdono [...]. La sofferenza, il limite, l’umiliazione sono ciò che di ‘veramente nostro’ dobbiamo offrire alla misericordia di Dio perché vi operi il capovolgimento della ‘perfetta letizia’. Possiamo offrire le nostre fragilità proprio unendoci al sacri-ficio di Cristo in croce».

AZIA CIAIRANO

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Don Vincenzo Arnone, sacerdote della diocesi di Firenze, firma autorevole della rivista “Vita pastorale”, ha scelto l’Eremo per i suoi esercizi spirituali e ci offre la sua testimonianza.

Risuonava gioiosa nell’aria calda di un’estate sempre più “ invadente” l’eco della Parola di Dio scritta, annunciata e ampliata nella prima lettera dell’apostolo Pietro: “ Fratelli… siate ricolmi di gioia, anche se ora dovete essere, per un po’ di tempo, afflitti da varie prove affinché la vostra fede… torni a vostra lode, gloria e onore quando Gesù Cristo si manife-sterà… Perciò esultate di gioia indicibile e gloriosa mentre raggiungete la meta della vostra fede: la salvezza delle anime”.Esultate di gioia indicibile…! Esultate di gioia indicibile!”. Chi mai può gioire attraversando i tempi attuali, entrando nel tunnel di mille e più problemi, sfogliando i giornali, cammi-nando per le strade delle nostre città? Chi mai? O un incosciente, o un matto o un poeta o un santo, perché vedono o al di sotto o al di sopra della realtà cercando di librarsi mantenendo pure e bianche le penne delle loro ali.Esultate di gioia indicibile… tale atteg-giamento non equivale a chiudere gli occhi, bensì a superare il dèmone della mestizia, della tristezza, del disfattismo, del qualunquismo che nella ferialità della vita sta sempre in agguato; a superare il

dèmone del giocare al ribasso, del volare basso, dell’accontentarsi del poco. Fra-telli, ci dice l’apostolo, la Parola di Dio è potente, vi cambia il comportamento e la vita, non buttatela… ai porci, non di-sprezzatela, ma alimentatela, rafforzatela nell’ascolto e nel silenzio. Per un sacerdote - che è un “operaio” della Parola di Dio e che la usa, la ma-neggia, la applica, la ri-costruisce ogni giorno - tali parole sono come… i ferri del mestiere: eppure è bene che le risenta, con forza, qui in quest’Eremo della Valle

ESERCIZI SPIRITUALI PER SACERDOTI DAL 15 AL 20 LUGLIO 2012 PREDICATI DA S.E. MONS. CARLO MAZZA VESCOVO DI FIDENZA

Dall’Eremo

Mons. Carlo Mazza

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Camonica, fresco e assolato, dolce e pa-cato, sovrastante l’Oglio dalle acque quasi ferme e Cividate che si distende a valle, e cinto dall’Adamello e dalla Concarena. Il sacerdote deve essere capace (di una ca-pacità morale e spirituale) di tirar fuori ciò che Dio ha sepolto nella Parola e nelle pa-role, ciò che si è sedimentato ed è fermo; per fare questo deve dominare se stesso e tenere il volto rivolto a Cristo Gesù, nostro Salvatore. Le esortazioni di Mons. Carlo Mazza sono risuonate alte, e appassionate nella precisa coscienza di essere Pastore, Maestro e di avere dinanzi confratelli ca-richi delle stesse responsabilità e tensioni morali, immersi in un mondo che a volte ci guarda con… commiserazione. L’apostolo ancora ci viene in aiuto e ci rincuora: “il Dio di ogni grazia… vi rista-

I partecipanti agli esercizi spirituali predicati da mons. Mazza

bilirà, vi confermerà, vi rafforzerà, vi darà solide fondamenta”.Ogni Corso di esercizi spirituali lascia un segno nel cuore, nella mente e anche que-sto dell’Eremo dei Santi Pietro e Paolo si porta dentro parole, impegni, propositi e una preghiera che scendendo dal colle e attraversando le rive del lago d’Iseo mi entrava nel cuore: “O Signore Gesù Cri-sto, credo in Te e ti adoro. Dammi la forza di restare con Te sulla croce per risorgere con Te; dammi la forza di avere pazienza con me stesso, con le mie debolezze, i miei limiti, i miei peccati; concedimi la pa-zienza che mi fa camminare ogni giorno, passo dopo passo verso la Luce che sei Tu, nell’orizzonte infinito che tutti acco-glie nella pace e nella gloria. Amen”. DON VINCENZO ARNONE

(Firenze)

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Monsignor Vittorio Formenti, respon-sabile dell’Ufficio Statistico della Santa Sede, domenica 23 settembre, durante la Santa Messa delle ore 17 ha consegnato all’Eremo la “Bolla Pontificia” con cui il Beato Giovanni XXIII nominava Mons. Giuseppe Almici Vescovo Ausiliare di Bre-scia. La celebrazione, animata dal Coro di Toline, ha visto la partecipazione di una numerosa delegazione di Zone, terra natale del Vescovo Almici, guidata dal Parroco, don Lorenzo Pedersoli e di molti Amici dell’Eremo. Il presule bresciano fu fondatore e promotore dell’Eremo, non-ché della FIES, Federazione Italiana de-gli Esercizi Spirituali. Farne memoria, anche attraverso il dono consegnato, è un segno di fedeltà alle radici dell’Eremo e uno slancio per continuare la Missione della Casa di Spiritualità della Valle. Pubblichiamo l’Omelia di Mons. For-menti, fedele lettore della nostra Rivista.

Il 24 settembre 2012 ricorre il 27° anni-versario del ritorno alla casa del Padre di Mons. Giuseppe Almici, figura di Ve-scovo del quale Brescia e Alessandria conservano viva e riconoscente memoria. Amerei congiungere tale anniversario con le celebrazioni e i momenti di riflessione che la nostra Diocesi ha programmato per il 50° anniversario del Concilio Vaticano II, al quale Mons. Almici partecipò fin dall’inizio, essendo stato nominato il 24 aprile 1961 dal Beato Giovanni XXIII

Vescovo titolare di Arcadia e Ausiliare di Brescia, per essere poi designato, il 17 gennaio 1965, Ordinario di Alessandria, ove rimase fino al 17 luglio 1980. Mons. Almici era già profondamente en-trato nello spirito del Concilio prima an-cora della sua celebrazione, avendo dedi-cato particolare attenzione alle tematiche conciliari presenti nelle opere dei grandi teologi del ‘900, da lui lette con vera pas-sione, supportato anche dalla presenza a Brescia, tra gli altri, da antesignani del Concilio stesso come i Padri Filippini Be-vilacqua, Caresana e Manziana. Da Padre Conciliare egli si dedicò con passione alle tematiche sollevate dall’Assise, attento a tutte le voci che lo Spirito Santo aveva suscitato nell’assemblea, spartiacque di un’autentica primavera di rinnovamento per la Chiesa. Ne sono riprova le nume-rose cartelle nelle quali Mons. Almici raccolse con scrupolosa meticolosità tanto materiale documentario (volantini, schemi, note, letture…) che veniva fatto circolare tra i Padri Conciliari e che, alla sua morte, è stato depositato presso l’Isti-tuto Paolo VI. Vertice della sua attività conciliare fu, naturalmente, l’intensa col-laborazione e il sostegno convinto offerto a Papa Paolo VI, da lui ben conosciuto e stimato. Per entrare nella personalità del Vescovo Almici mi avvalgo di tre espres-sioni latine.1- “Dilexit Ecclesiam”. Sono le parole

scolpite sulla sua tomba nella chiesa

MONS. GIUSEPPE ALMICI6 FEBBRAIO 1904 - 24 SETTEMBRE 1985

Dall’Eremo

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parrocchiale di Zone. Egli ha impo-stato tutta la vita nella dimensione di un servizio fedele e concreto alla Chiesa, dimostrando una disponibilità senza limiti al servizio del Popolo di Dio attraverso le alte responsabilità pastorali che, negli anni, gli sono state chieste dai Superiori. E ciò non per carrierismo o vanagloria, sentimenti alieni dalla sua personalità, bensì con l’unico scopo di amare il prossimo facendo del bene a tutti, confratelli sacerdoti e fedeli vicini e lontani me-diante la costruzione del Regno di Dio e nell’impegno di far crescere la Chiesa, secondo l’insegnamento pao-lino di presentarla come sposa perfetta a Cristo (Ef. 5,27).

2- “Silentium requirens”. Il clima eccle-siale di rinnovamento del primo dopo-Concilio, lo sappiamo bene, suscitò nella Chiesa una situazione spirituale, liturgica e pastorale caratterizzata da tante luci, ma anche da accentuate ombre. Alcuni valori del passato ven-nero considerati secondari in nome di una malintesa priorità data all’annun-cio del Vangelo e all’impegno sociale nel mondo da parte dei cattolici. Tra questi valori giudicati non primari, rapportati all’impegno di “lotta e con-templazione” dei credenti, si privile-giò la prima, a discapito del silenzio, del raccoglimento e della preghiera, che potevano trovare la loro naturale collocazione negli esercizi spirituali. Sollecitato da Papa Paolo VI, Mons. Almici fondò un’Associazione con il compito di valorizzare la tradizione ignaziana degli esercizi in quanto parte integrante della tradizione della Chiesa stessa e motore della crescita spirituale del cristiano. L’Associazione prese il

nome di FIES, “Federazione Italiana Esercizi Spirituali”. Di essa il Vescovo Almici fu Presidente fino alla morte. In questa opera ecclesiale egli trasfuse tutta la ricchezza della sua sapienza umana e teologica, non solo prestan-dosi alla predicazione di molti corsi ed esercizi spirituali, ma anche indicando le vie di rinnovamento degli stessi se-condo le più recenti indicazioni conci-liari. Ma la sua opera non si fermò qui. Con molti sacrifici, con tanto impegno e imprenditorialità diede impulso al ri-cupero o alla costruzione ex novo di tre case di esercizi in luoghi affascinanti e adeguati alle esigenze del silenzio. Due sono bresciane: Montecastello, casa realizzata con la collaborazione dell’Azione Cattolica, altro settore nel quale fu animatore instancabile, e con il decisivo sostegno del Cav. Pierino Ebranati; la seconda è la bella casa che ci ospita oggi, questo Eremo accanto al quale con il tempo, secondo il suo au-spicio, si è aggiunto il Monastero delle Clarisse che assicura il supporto della preghiera e della vita contemplativa alle iniziative formative dell’Eremo stesso. La terza casa la volle, da Or-dinario di Alessandria, a Betania di Valmadonna, anche là con la sinergia spirituale dell’attiguo Monastero delle Carmelitane scalze. Tali scelte tanto si-gnificative denotano il grande amore di Mons. Almici per il silenzio e la vita contemplativa quale fondamento indi-spensabile dell’amore alla Chiesa e del servizio al prossimo. Anche a livello personale egli diede una grande testi-monianza e un contagiante esempio di contemplazione mediante spazi di pre-ghiera adorante prolungata, propellente per scendere poi sulle vie del mondo

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ed essere annunciatore credibile e te-stimone del Signore risorto.

3- “Veritatem et justitiam faciens in cha-ritate”. Sono le parole che fanno da sfondo al suo impegno concreto nella vita sociale. Con i responsabili sinda-cali si sentì felice di aver contribuito alla stipula dei primi contratti di la-voro per i braccianti agricoli i quali, nel periodo tra le due grandi guerre, vivevano ancora in una condizione non molto dissimile da quella dei servi della gleba nel medioevo. Anche a questo traguardo si era preparato con un’intensa formazione ai problemi po-litici ed economici secondo gli orien-tamenti della Dottrina Sociale della Chiesa, nell’ottica evangelica di Mat-teo 25: “Avevo fame e mi avete dato da mangiare…”. Egli amava citare, a proposito, un suo maestro degli anni giovanili, Papa Pio XI: “La dimen-sione moderna della carità cristiana è la politica”. E questo senza invadere il campo dell’impegno politico dei laici, anzi, stimolando i migliori dei cattolici a scendere nell’agone dell’impegno partitico. In tale logica visse i momenti calamitosi della guerra, soprattutto quando Brescia, negli ultimi, dramma-tici tempi della Repubblica di Salò, si ritrovò a fare riferimento all’unica au-torità rimasta, quella del mite Vescovo Giacinto Tredici. Lì si vide il migliore Giuseppe Almici come coraggioso promotore di iniziative tese soprattutto a salvare vite umane e a soccorrere la stremata popolazione bresciana. L’im-pegno proseguì nel dopoguerra, con i problemi legati al mantenimento della pace e alla ricostruzione della speranza innanzitutto, e poi alla ricostruzione ma-teriale, con l’attenzione che privilegiò le

fasce più deboli della popolazione, il tutto nell’ottica della più limpida carità e non della rivendicazione violenta promossa allora da alcune forze politiche, e sem-pre seguendo l’ispirazione paolina della costruzione della verità con la carità (Ef. 4,15), programma che egli volle indicare come Vescovo nel motto del suo stemma episcopale: “Veritatem in charitate”.

Il piccolo dono che oggi ho la gioia di con-segnare a don Roberto va ad aggiungersi al mobilio dello studio di Zone dove il Ve-scovo Almici, durante le brevi pause della permanenza nel paese natale, elaborava i suoi progetti pastorali e dove riceveva le confidenze dei suoi sacerdoti ad Alessan-dria, suppellettili a suo tempo destinate all’Eremo dal fedele Segretario ed esecu-tore testamentario don Egidio Bongiorni. Sia per tutti coloro che qui vengono ad arricchire la propria spiritualità un mo-tivo in più per fare memoria orante, come ci ammonisce la lettera agli Ebrei (13,7) di Mons. Almici e di tutti coloro che ci hanno annunciato la Parola di Dio. “Cristo è lo stesso ieri, oggi e sempre”.

Mons. Formenti consegna a don Roberto la bolla

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Inserto

Anno della Fede

INSERTO N. 22

Allegato a “Lettere dall'Eremo” n. 78 (Dicembre 2012)

Raffaele Maiolini

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ANNO DELLA FEDE

Don Raffaele Maiolini ha tenuto tre incontri nell’ambito del tradizionale “corso di formazione” per insegnanti di religione, catechisti, operatori pastorali. Quest’anno il tema era “La porta della fede”. Numerosissimi i partecipanti, circa 150 e attentissima la partecipazione. Dopo i tre incontri del Professor Maio-lini, sono seguiti altri due appuntamenti. Nel primo il Professor Oliviero Franzoni ha offerto una traccia per la stesura di una “Storia del cristianesimo in Valle Camonica”. Nel secondo, don Roberto Domenighini ha illustrato la lettera del Santo Padre per l’anno della fede “Porta Fidei”. Pubblichiamo un estratto degli interventi applauditissimi del Teologo don Raffaele Maiolini.

LA QUESTIONE RELIGIOSA OGGI

1. LE DOMANDE CHE SI IMPON-GONO AL CRISTIANESIMO OGGI: LA RIBELLIONE A DIO IN NOME DELL’UOMOPer comprendere la situazione religiosa contemporanea, non è possibile prescin-dere dalle radici da cui è iniziato il mo-vimento di progressiva protesta/allonta-namento/messa in discussione di Dio. Perché se è vero che ciò non significa che la “causa” della situazione odierna sia dovuta automaticamente al passato; ma – questa l’ipotesi che ci guida – la storia di com’è iniziata e si è evoluta la storia moderna della messa in questione di Dio, può suggerire alcuni filoni per

pensare, nominare e guardare la situa-zione attuale. Che - com’è noto - è stata quasi esclusivamente appannaggio di ri-cerche sociologiche o pastorali… ma che – generalmente – difetta di una serietà di approccio teorico. Come si è arrivati alla situazione religiosa contemporanea in Occidente? Perché sembra non essere più “automatico”, “normale” credere in Dio? Da chi e com’è iniziato questo processo che distingue nettamente la situazione religiosa dell’Ottocento, da quella del Novecento?

1.1 LA RIBELLIONE A DIO IN NOME DELLA LIBERTÀ DELL’UOMO

Ludwig Feuerbach (1804-1872), ovve-rosia le radici teologiche della protesta umana contro DioNella sua opera Das Wesen des Christen-tums (1841) afferma che “il mistero della teologia” è “l’antropologia”. La religione è «coscienza dell'infinito; essa dunque è, e non può essere altro, che la conoscenza che l'uomo ha, non della limitazione, ma dell'infinità del proprio essere»1. «Ciò che l'uomo pone come oggetto null'altro è che il suo stesso essere ogget-tivo. Come l'uomo pensa quali sono i suoi principi, tale è il suo dio: quanto l'uomo vale, tanto e non più vale il suo dio. La coscienza che l’uomo ha di Dio è la co-noscenza che l’uomo ha di sé. Tu cono-sci l’uomo dal suo dio e, reciprocamente, Dio dall’uomo; l'uno e l’altro si identifi-cano. Per l’uomo Dio è il proprio spirito, la propria anima, e ciò che per l’uomo è spirito, ciò che è la sua anima, il suo cuore, quello è il suo dio: Dio è l'intimo

II

Inserto

1 L'essenza del cristianesimo, Laterza, Bari 1962, 26

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rivelato, l'essenza dell'uomo espressa; la religione è la solenne rivelazione dei te-sori celati dell'uomo, la pubblica profes-sione dei suoi segreti d'amore»2.E ancora: «La religione, perlomeno quella cristiana, è l'insieme dei rapporti dell'uomo con se stesso, o meglio con il proprio essere, riguardato però come un altro essere. L'essere divino non è altro che l'essere dell'uomo liberato dai limiti dell'indi-viduo, cioè dai limiti della corporeità e della realtà, e oggettivato, ossia contem-plato e adorato come un altro essere da lui distinto. Tutte le qualificazioni dell'es-sere divino sono perciò qualificazioni dell’essere umano»3.L'uomo delinea, «proietta» quindi per così dire il suo proprio essere auspicabile, la realizzazione e il compimento di se stesso in un essere che chiama «Dio». Di conse-guenza, Feuerbach capovolge poi anche l'affermazione di Genesi 1,27: «Dio creò gli uomini a sua immagine; ad immagine di Dio li creò» così: «Dapprima l’uomo... crea Dio secondo la propria immagine, e solo allora questo Dio a sua volta... torna a creare l'uomo secondo la propria im-magine”4. Qui si può effettivamente af-fermare: «Homo homini deus est - que-sto è... il supremo principio pratico che segnerà una svolta decisiva nella storia del mondo”5.Nei Grundsätze der Philosophie der Zu-kunft (1843) scrive: «§ 1: il compito dell'età moderna fu la realizzazione e l'umanizzazione di Dio -

la “trasformazione” e la “dissoluzione” della teologia nell'antropologia;§ 2: La forma religiosa o pratica in cui avvenne questa umanizzazione fu il pro-testantesimo. E il Dio che è uomo, ossia il Dio umano è Cristo - Cristo soltanto è il Dio del protestantesimo. Il protestan-tesimo non si preoccupa più, come fa in-vece il cattolicesimo, di ciò che Dio è in se stesso, ma solo di ciò che “Dio è per gli uomini”; non ha quindi più, come il cattolicesimo, una tendenza speculativa o contemplativa; non è più teologia, ma, essenzialmente, cristologia, cioè” antro-pologia religiosa”»6.

Karl Marx (1818-1883), ovverosia la religione come sovrastruttura politico-economicaMarx adatta in un primo momento la posi-zione fondamentale della critica mossa da Feuerbach alla religione, quando nell’in-troduzione alla Kritik der Hegelschen Rechtsphilosophie (1843/44) scrive: «Il fondamento della critica irreligiosa è questa: è l'uomo che fa la religione, e non la religione che fa l’uomo».7 Poi però continua: «E precisamente: la religione è la co-scienza di sé e la consapevolezza del proprio valore dell'uomo, il quale o non ha ancora acquistata la propria autono-mia o l'ha già perduta. Ma l'uomo non è un essere astratto che vaga fuori del mondo. L'uomo non è altro che il mondo dell'uomo, lo Stato, la società. Questo stato, questa società producono la reli-

III

Inserto

2 ivi 37-38.

3 ivi 39.

4 ivi 147

5 ivi 321

6 La filosofia dell’avvenire, Laterza, Bari 1967, 93

7 Critica della filosofia del diritto di Hegel, in K. MARX, Scritti politici giovanili, a cura di L. Firpo, Einaudi, Torino 1975, 394

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gione, che è una conoscenza capovolta del mondo, appunto perché essi costitui-scono un mondo capovolto».8 Qui bisogna notare una cosa: non si parla di Dio. Al suo posto si parla di «religione» come dell’espressione di una falsa auto-coscienza, che rispecchia a sua volta una falsa conoscenza del mondo. La conce-zione di Feuerbach è troppo astratta per Marx. Feuerbach non si rende, infatti, chiaramente conto che, nella sua realiz-zazione storica, l'uomo è essenzialmente condizionato dalle situazioni socio-econo-miche e politiche in cui vive9. Se invece si riconosce che anche queste sono estre-mamente criticabili, allora si capisce che sostituire semplicemente la teologia con l'antropologia, Dio con l'uomo non basta e che la “critica del cielo” va prolungata: “La critica del cielo si trasforma così nella critica della terra, la critica della religione in quella del diritto, la critica della teolo-gia in quella della politica”.10

La religione viene così sottoposta ad una critica radicale, in quanto essa, secondo Marx, è “la teoria generale di questo mondo... la sua sanzione morale, il suo solenne completamento, il fondamento generale della sua consolazione, giusti-ficazione”.11 Tuttavia si manifesta qui un certo dissidio. Infatti «la miseria religiosa è, da un lato, l'espressione della miseria

effettiva e, dall’altro, la protesta contro questa miseria effettiva. La religione è il gemito della creatura oppressa, l'animo di un mondo senza cuore, cosi com'è lo spirito di una condizione di vita priva di spiritualità. Essa è l'oppio del po-polo»12. Marx sostiene quindi che la religione è il prodotto di falsi rapporti sociali, una conoscenza capovolta del mondo, poi, però aggiunge anche che essa è “il ge-mito della creatura oppressa” e, in quanto tale, espressione della miseria effettiva e protesta contro di questa. Nella misura comunque in cui la religione accetta tale situazione e si limita a consolare gli uo-mini è, agli occhi di Marx, una droga da combattere.

Sigmund Freud (1856-1939), ovverosia la religione come stadio infantile della personalitàL'idea della proiezione è riconoscibile anche negli scritti culturali, antropologici e psicoanalitici di quest’autore. Freud si è occupato della religione in generale nonché di singole religioni in numerosi scritti, tra cui Totem und Tabù (1913), Die Zukunft einer Illusion (1927), Das Unbe-hagen in der Kultur (1930) e, poco prima della morte, in Der Mann Moses und die monotheistische Religion (1939). Le sue

IV

8 Ivi, 394

9 Cfr. le tesi 6 e 7 su Feuerbach (in MARX-ENGELS, Le opere, Ed. Riuniti, Roma 19692, 189-190):

Tesi 6: « Feuerbach risolve l'essenza religiosa nell'essenza umana. Ma l'essenza umana non è qualcosa di astratto che sia immanente all'individuo singolo. Nella

sua realtà essa è l'insieme dei rapporti sociali.

Feuerbach, che non penetra nella critica di questa essenza reale, è perciò costretto:

1. ad astrarre dal corso della storia, a fissare il sentimento religioso in sé, ed a presupporre un individuo umano astratto - isolato;

2. l'essenza può dunque [da lui] esser concepita soltanto come "genere", cioè come univer-salità interna, muta, che leghi molti individui naturalmente».

Tesi 7: «Feuerbach non vede dunque che il "sentimento religioso" è esso stesso un prodotto sociale e che l'individuo astratto, che egli analizza, appartiene a una

forma sociale determinata».

10 Critica della filosofia del diritto di Hegel, in K. MARX, Scritti politici giovanili, a cura di L. Firpo, Einaudi, Torino 1975, 395-396

11 ivi 394-395

12 ivi 395

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affermazioni storico-etnologiche meri-tano qualche appunto critico. Possiamo anche discutere se il suo ateismo sia frutto della sua psicoanalisi o - cosa a quanto pare più verosimile - se egli fosse già ateo quando scoprì il metodo psicoanalitico. Le sue tesi hanno esercitato una loro pro-pria influenza storica, ed egli dovrebbe averle in fondo sostenute sino alla morte. Infatti, leggiamo nell’avvertenza seconda al terzo saggio del suo libro su Mosè: «Ciò non vuol dire che io sia poco con-vinto del risultato cui sono pervenuto. La convinzione della sua correttezza l'ho ac-quisita già un quarto di secolo fa, quando scrissi il libro su Totem e Tabù, nel 1912, e da allora si è soltanto rafforzata. Fin da allora non ho più dubitato che sia possibile concepire i fenomeni religiosi solamente usando il modello dei sinto-mi nevrotici individuali a noi familiari, come ritorni di significativi eventi da lungo tempo dimenticati della storia pri-mordiale della famiglia umana; non ho più avuto dubbi che essi debbano il loro carattere coattivo a quest’origine, e che dunque, agiscano sugli uomini in forza del loro contenuto di verità storica».13 In Die Zukunft einer Illusion troviamo la sua tesi fondamentale: le rappresentazioni religiose «… non sono esiti dell'espe-rienza o risultati di un’attività di pen-siero, ma sono illusioni, appagamenti dei desideri più antichi, più forti, più pressanti dell'umanità; il segreto della loro forza sta nella forza stessa di questi desideri». Sono desideri infantili quelli che spin-

gono il bambino a invocare un Padre al di là della sua infanzia, l'umanità a con-tinuare a fare altrettanto al di là delle fasi primitive della sua storia.15 Di fronte ad un simile infantilismo Freud auspica una “educazione alla realtà”, che non può, però, essere impartita dalle religioni.Nella Neue Folge der Vorlesungen zur Einfuhrung in die Psychoanalyse (1933) egli ha sintetizzato cosi la propria cri-tica:«Mentre le singole religioni contendono fra loro su quale di esse sia in possesso della verità, noi riteniamo che il conte-nuto di verità della religione possa essere del tutto trascurato. La religione è un ten-tativo di vincere il mondo dei sensi, nel quale siamo posti, per mezzo del mondo dei desideri che abbiamo sviluppato in noi in seguito a necessità biologiche e psicologiche. Ma in quest'opera non può riuscire. Le sue dottrine recano l'im-pronta dei tempi in cui sono sorte, tempi di ignoranza, appartenenti all'infanzia del genere umano. Le sue consolazioni non meritano fiducia. L'esperienza ci insegna che il mondo non è un giardino d'infanzia. Le esigenze etiche, che la religione vuole accentuare, richiedono ben altri fonda-menti; essendo indispensabili alla società umana, è pericoloso mettere in rapporto la loro osservanza con la fede religiosa. Se si cerca di inserire la religione nel percorso evolutivo dell’umanità, essa non appare come una conquista perma-nente, ma piuttosto un corrispettivo della nevrosi attraverso cui ogni individuo ci-

V

13 L'uomo Mosè e la religione monoteistica, in S. FREUD, Opere, Boringhieri, XI, 1979, 382

14 L'avvenire di un'illusione, ivi, X, 1978, 460

15 Cfr. al riguardo Totem e Tabù, cap. 4 Il ritorno del toteismo nei bambini, ivi, VII, 1975, 105-164; ivi anche a proposito del giudaismo come religione del padre e

del cristianesimo come religione del figlio l'opera L'uomo Mosè e la religione monoteistica, ivi, XI, 1979, Saggio III, 1/D e Saggio III, 2/H).

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vilizzato deve passare nel suo itinerario dall’infanzia alla maturità».16

Friedrich Nietzsche (1844-1900), ov-verosia la drammaticità di una vita umana segnata dalla morte di DioIl passo classico sulla morte, anzi sull'uc-cisione di Dio, ricorre nel terzo libro della Fröhliche Wissenschaft (1882). In esso Nietzsche racconta dell'uomo folle, che in pieno giorno gira con una lanterna per il mercato e grida: «Io cerco Dio! ». A chi lo deride egli risponde: «Dov'è andato Dio?... Ben voglio io dir-velo! Noi l'abbiamo ucciso, voi ed io! Noi tutti siamo i suoi assassini! Ma come, dunque, abbiamo noi fatto ciò? Come mai abbiamo potuto tracannar tutto il mare? Chi, dunque, ci ha dato la spugna per cancellare tutto l'orizzonte intorno? Che cosa abbiamo noi fatto, quando abbiamo svincolato questa Terra dalle catene che la avvincevano al suo Sole? Verso dove si muove essa ora? Verso dove andiamo noi? Lungi da tutti i soli? O non precipi-tiamo piuttosto incessantemente? E in die-tro e di lato e in avanti e da tutte le parti? C'è forse ancora un sopra e un sotto? E non erriamo noi, come per un infinito nulla? E lo spazio vuoto non ci persegue col suo alito? E non fa più freddo ora? Non discende forse, senza mai tregua, la notte, e qualche cosa di più che la notte? Non devono le lanterne venire accese di pieno giorno? E non udiamo ancora nulla dei secchi colpi dei becchini, i quali seppelliscono Dio? Non ci giunge ancora alle narici l'odore della putrefazione di-vina? - anche gli dèi si putrefanno. Dio è morto! Dio rimane morto! E noi l'ab-

biamo ucciso! Come ci consoliamo noi, assassini di tutti gli assassini? Ciò che il mondo ha sinora posseduto, di più santo e di più possente, s'è svenato sotto i nostri coltelli - chi dovrà lavare da noi questo sangue? Con quale mai acqua potremmo noi purificarci? Quali sacrifici espiatori, quali feste sacre propiziatrici dobbiamo noi inventare? La grandezza di questa azione non è essa, forse, troppo immane per noi? Non dobbiamo noi stessi, forse, divenire dèi, per apparire degni di essa? Non c'è stata mai un'azione più grandiosa di questa, e tutti quelli che dopo di noi nasceranno, apparterranno necessaria-mente, in grazia di quest'azione, a una storia superiore a tutte quelle che sono sinora esistite!».Vedendo poi le facce stupite dei suoi ascoltatori, il folle aggiunge: «Io giungo troppo presto..., non questo è ancora il mio tempo. Questo mostruoso avvenimento è ancora per via, non è an-cora giunto agli orecchi degli uomini; la folgore e il tuono richiedono, pure essi, tempo, e tempo richiede la luce degli astri, come anche le azioni stesse, pure dopo essere state compiute, per venire sia vedute che udite. Cotest'azione è pur sem-pre più lontana dagli uomini, delle più lontane costellazioni - e tuttavia sono essi che l'hanno compiuta!».Il racconto si chiude poi con le seguenti parole:«Si narra ancora che cotesto folle sia penetrato, il giorno stesso, in parecchie chiese, e v'abbia intonato il suo “Requiem aeternam deo”. "Che cosa sono, dunque, ancora queste chiese, se non le tombe e i monumenti sepolcrali di Dio?"».17

VI

16 Introduzione alla psicoanalisi [nuova serie di lezioni], ivi XI, 1979, 271

17 La gaia scienza, Bocca, Torino 1905, 119-120

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La morte di Dio ha quindi esercitato un'influenza storica mediante due idee: il nichilismo e l’oltreuomo. Il nichilismo ha avuto per lungo tempo un accento preva-lentemente negativo, mentre l’oltreuomo ha suscitato attese positive in un mondo dalla mentalità ottimistica ed evoluzioni-stica.«Nichilismo: manca il fine; manca la risposta al "perché". Che significa ni-chilismo? Che i supremi valori si svalu-tano”18. «Pensiamo questo pensiero nella sua forma più spaventosa: l’esistenza così come essa è, priva di senso e di scopo alcuno, eppure inevitabilmente ritor-nante, senza mai finire nel nulla: "l'eterno ritorno". Questa è la forma estrema del nichilismo: il nulla (il "senza senso") eter-namente!».19 Nel grande giorno della morte di Dio emerge contemporaneamente la figura dell’oltreuomo: «Morti sono tutti gli dei; ora noi vogliamo che l’oltreuomo viva”, questa sia nel grande meriggio la nostra ultima volontà!».20 L'uomo vive tra l'una e l'altro; egli «è una corda tesa tra l'animale e l’oltreuo-mo, una corda al di sopra di un precipi-zio. Pericolo passare al di là, pericolo la traversata, pericolo il guardare indietro, pericolo rabbrividire e fermarsi. La gran-dezza dell'uomo sta in questo, che egli è un ponte e non uno scopo; ciò che può farlo amare è il fatto che egli è un pas-saggio e un tramonto»21. Quest'uomo si nasconde agli occhi di

Dio, perché non lo sopporta: «Ma egli... doveva morire. Guardava con occhi che tutto vedevano, vedeva gli abissi del cuore umano, tutte le sue vergogne e le sue bruttezze nascoste... Quel Dio che tutto vedeva, anche l'uomo, quel Dio do-veva morire! L'uomo non tollera che un tal testimonio viva».22 Senza addentrarci qui in una discussione sulla posizione di Nietzsche, possiamo comunque dire che una cosa risulta chiara: il suo ateismo spinge l’uomo al limite delle proprie possibilità. Da un lato l'uomo si vede rigettato in braccio all'eterno ritorno delle medesime cose nel ciclo della natura, si vede condanna-to al nichilismo della mancanza di senso e di scopo; dall'altro, gli sembra che la promessa di un’esistenza da oltreuomo quale traguardo che dà senso alla terra salvi la sua posizione particolare. Se per lungo tempo la promessa dell’oltreuomo ha mascherato gli abissi del nichilismo, ultimamente quest'ultimo è tornato a mostrare in misura crescente il suo volto minaccioso.

Dall’eroica protesta della libertà umana contro Dio, al rassegnato agnosticismo e alla condanna dell’arbitrioLa libertà è stata un mito per l'uomo moderno. Proprio in nome della libertà egli si è ribellato a Dio stesso. La libertà sembra essere stata l'ultima realtà “sacra”, per la quale l'uomo era disposto anche a combattere. Solo la presenza pubblica e riconosciuta di un Dio “forte” ha susci-

VII

18 F. Nietzsche, Sämtliche Werke. Kritische Studienausgabe, a cura di G. Colli-M. Montinari, Berlin-New York 1980, XII, 350

19 Ivi, 213

20 La gaia scienza, Bocca, Torino 1905, 120

21 Così parlò Zaratustra, UTET, Torino 1934, 37

22 ivi 334.

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tato la possibilità di una rivendicazione “forte” dell’umano.Ora, questa protesta iniziale ha condotto ad una progressiva sottovalutazione di Dio. Dio, dapprima affrontato diretta-mente come questione pubblica e deci-siva per tutti, viene relegato sempre più nell’ambito dell’esperienza intimistica ed individuale. Se proprio “Dio” deve ri-manere, rimanga solo nel privato, nell'in-teriorità delle coscienze, nell'esperienza segreta e insindacabile della vita di cia-scuno. Escluso dal dialogo degli uomini, “Dio” viene poi, a poco, a poco inelutta-bilmente escluso anche dal logos, dalla parola; diventa oggetto di un sentimento muto. Non potendo dire di Lui nei mo-menti comuni del vivere, viene meno la possibilità di dirne negli stessi momenti segreti e straordinari della vita perso-nale. Si fa strada, così, uno strisciante e avvolgente agnosticismo: non sono così sicuro da poter combattere la presenza di un Dio… non posso sapere se c’è o non c’è… la mia vita la devo vivere etsi deus non daretur.E non è forse un caso, che di fronte all’eclissarsi di Dio, si è eclissata anche la professione di “fede” forte nell’onnipo-tenza della libertà umana, nelle capacità dell’uomo di vivere questa vita all’altezza dei suoi ideali e delle sue aspettative. Solo nella scienza, forse nell’economia più rampante… resiste ancora un po’ tale “mito”. Perché, per il resto, la libertà dell’uomo comune occidentale è una li-bertà disincantata, ferita, affaticata, quasi rassegnata. L'uomo occidentale, così, non vive “religiosamente”, di fronte ad un Dio, ma è continuamente tentato dalla 'magia' per trovare il senso del vivere. Rinuncia cioè alla libertà; non scorge

più una possibilità ovvia di volere, di scegliere, di credere, di amare, di legarsi dunque alla vita così come ci si può legare ad una causa promettente. Aspetta invece che il motivo persuasivo, finalmente ca-pace di giustificare la sua vita e di legare la sua volontà, semplicemente gli accada in maniera sorprendente. Nel frattempo, prova l'una o l'altra cosa, senza impegno, nell'attesa superstiziosa e appunto quasi magica che accada quell'attimo bello, ca-pace di persuaderlo.

1.2 LA RIBELLIONE A DIO IN NOME DEL DOLORE

La figura della ribellione a Dio in nome del dolore umano suppone, come sua condizione essenziale, che l'uomo possa dare forma e figura al proprio desiderio; conosca un orientamento, sappia amare con passione, conosca forse addirittura una giustizia in nome della quale diventi possibile il reclamo. Tanto più, quando si tratti del dolore non proprio, ma dell’altro innocente. Può alimentare la ribellione, infatti, soltanto un dolore innocente, che realizzi dunque la figura di un male solo patito, che aggredisce da fuori, nel quale il soggetto stesso non è in alcun modo coinvolto. La protesta, tipicamente rappresentata dalla tragedia greca, assumeva allora la figura dello scontro con un destino muto, con una fatalità senza voce e senza volto; mancava l'interlocutore al quale appel-larsi. Può sopportare una tale protesta soltanto un Dio come quello in cui crede Israele, creatore del cielo e della terra. E tuttavia, quando, di fatto, sia rivolta a questo Dio, la protesta non può essere l'ultima parola dell'uomo. Essa è parola

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legittima, in qualche modo addirittura necessaria; anche attraverso un momento come questo, infatti, deve passare la fede, per diventare vera. La protesta è però sol-tanto parola penultima, e non ultima. Pa-radigma di quest’esperienza è la protesta di Giobbe. La ribellione di Giobbe a Dio in nome del dolore è resa possibile esat-tamente dalla sua fede in Lui!La ribellione a Dio nella stagione mo-derna assume la forma della ribellione a quanto dice di Lui la tradizione cristiana. Quella ribellione assume di necessità la figura di una specie di processo al cri-stianesimo. Chi si ribella oggi non sta più davanti a Lui, come accadeva nel caso di Giobbe; sta invece davanti a quelli che dicono di Dio e cercano in Lui argomento per rendere il dolore meno grave, la con-traddizione meno aspra, la pena più tol-lerabile. La ribellione non può volgersi contro un Dio in cui ormai più non si crede; si volge, invece, contro i fautori di quanti dicono che Egli risolverebbe il problema.Quanto a Dio stesso, meglio è per Lui non esistere. Famosa a tale proposito è la sentenza del dottor Rieux nel romanzo La peste di Camus, che interpreta il punto di vista dell’autore stesso:“...se l'ordine del mondo è regolato dalla morte, perché di questo si tratta: alla fine la forza del dolore, il pungiglione vele-noso del dolore, è la morte, forse val me-glio per Dio che non si creda in lui e che si lotti con tutte le forze contro la morte, senza levare gli occhi verso il cielo dove lui tace”23. Così ragiona il medico filantropo. In

queste faccende, Dio non c'entra proprio nulla. Non so se egli esista. Ma se l'ordine del mondo è regolato dalla morte, prefe-risco per Lui, a suo favore, pensare che non esista. Il sottinteso è che, se esistesse, dovrebbe essere bocciato quanto al suo modo di governare il mondo.Le voci non sono sempre così generose nei confronti del Dio che non esiste. Più spesso esse sono risentite, offese, addi-rittura irritate contro di lui; la sua stessa non esistenza è trasformata in capo d'ac-cusa. Un esempio estremo ed eloquente di quest’assurda lotta contro il Dio che non esiste è la brutale affermazione di Be-ckett, che si ha qualche scrupolo anche solo a ripetere: «Dio, che carogna, non esiste»24. II fatto che non esista è sentito come un’offesa per l'uomo. Egli vede, in-fatti, svanire colui contro il quale soltanto potrebbe esprimersi la sua protesta a mo-tivo di ciò che è e che non dovrebbe es-sere. Senza Dio, come si fa ad affermare un dover essere? Non c'è ormai più al-cuno a cui appellarsi contro la violazione dei propri diritti. Più radicalmente, non ha più neppure senso parlare di diritto.

Il “comizio” di Ivan KaramazovCaratteristica ricorrente di questa ribel-lione a Dio è che spesso viene motivata per riferimento al dolore d'altri più che al dolore proprio; per riferimento dunque ad un dolore di cui si è spettatori assai più che protagonisti. Questo potrebbe appa-rire come un tratto altruistico della ribel-lione; in realtà dev’essere riconosciuto come segno della sua “falsità”. L'impe-rativo morale immediato, che il dolore di

IX

23 A. CAMUS, La peste, Bompiani, Milano 1985, 98-99

24 S. BECKETT, Finale di partita, in Il teatro di Samuel Beckett, Mondadori, Milano 1986, 123-171

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altri ci trasmette, è quello di farci vicini al sofferente, più che di discutere “in astratto”. L'obiezione all’esistenza di Dio mossa in nome del dolore dell'uomo sem-bra diventare l'obiezione tipica del poli-tico, più precisamente dell’osservatore politico; non quella dell'uomo che vive. Certo, quando la domanda fosse posta da chi è dentro la prova, dunque da un altro punto di vista, se ne dovrebbe anche ri-conoscere il senso diverso e la ragione di pertinenza. Il difetto dei discorsi su Au-schwitz è appunto quello di discorrerne senza prossimità nei confronti dell'uomo che soffre.La sentenza che proclama l'impossibilità di credere in Dio dopo Auschwitz è da iscrivere in una lunga serie di sentenze analoghe, che attraversa la storia della letteratura contemporanea. Un modo di argomentare simile è attestato da prece-denti voci più autorevoli e note, che già avevano fatto ricorso all’argomento della sofferenza innocente per accusare Dio. Anzi, alla fine addirittura per negarlo; non avrebbe, infatti, senso affermare la sua presenza e insieme porlo in stato di accusa. Per molto tempo, però, la cultura ribelle a Dio sembra aver amato tale ar-tificio retorico: tenere in vita un'imma-gine caricaturale di Dio, quasi per avere qualcuno a cui rivolgere la propria ribel-lione.Tra i più noti e citati testimoni di quest’ar-tificio è un personaggio di F. Dostoewskij, Ivan Karamazov; mi riferisco in specie alla sua difesa bellicosa della causa dei bambini innocenti che soffrono nel ro-manzo I fratelli Karamazov. La tirata po-

lemica di Ivan è prodotta nel quadro del dialogo con suo fratello, Alioscia; questi è la figura del credente, che non può stril-lare, né rivendicare alcun diritto, che non ha parole per difendere né Dio né tanto meno la propria stessa fede. Molti ricor-dano gli argomenti aggressivi di Ivan, magari anche ne condividono i toni. Po-chi accordano attenzione a questo: le sue parole suonano, di fatto, come un’aggres-sione nei confronti dello stesso Alioscia. Già sotto questo profilo dovrebbe appa-rire evidente come Ivan stesso alimenti la sofferenza degli innocenti.La verità nascosta di tale distanza del di-scorso di Ivan nei confronti dei bambini è da cercare in quelle altre parole che egli pronuncia prima della tirata retorica centrata sul tema della sofferenza degli innocenti. Così egli sentenzia:«… non ho mai capito come sia possibile amare il prossimo. Appunto il prossimo, a parer mio, è impossibile amarlo, a diffe-renza di chi ci sta lontano... Perché l'uo-mo si faccia amare, bisogna che rimanga nascosto; non appena ti mostra il viso, l'amore è bell'e finito»25.Alioscia non sa ragionare come il fratello; forse perché egli troppo ama tutti quelli che incontra, compreso lo stesso Ivan; mettersi a discutere con lui gli appari-rebbe come una violenza indebita. Que-sta sua aderenza al singolo, a tutto ciò che è vicino, gli impedisce l'uso di argo-menti universali. Ivan, invece, ama solo l'universale. Ama l'umanità, e non può, sopportare il prossimo; l'uomo vicino, che si può vedere in faccia, suscita in lui istintivo astio, perché - così interpretiamo

X25 F. DOSTOEWSKIJ, I fratelli Karamazov, Einaudi, Torino 1993, 317

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- quella prossimità sembra paralizzare il suo ragionamento. Segue il racconto di mostruose torture fatte sui bambini, che Ivan riferisce quasi a mettere alla prova il fratello Alioscia. La conclusione del suo discorso è quella nota: a mostruosità così grandi non è in alcun modo possibile im-maginare che possa essere dato un rime-dio, un compenso, una soluzione sia pure in futuro. Se l’«armonia» tra il cerbiatto e il leone, la riconciliazione finale, esige anche questo, che ci sia perdono per il colpevole di queste mostruosità, io non voglio in alcun modo quell’armonia. Se poi invece del perdono ci sarà la vendetta, e dunque l'inferno, neppure questo potrà essere un rimedio alle mostruosità di cui Ivan ha sentito parlare. Ipotizzare che questo sia un rimedio, significherebbe come venire a patti col mostro. Ripor-tiamo le parole finali di Ivan:«Non voglio l'armonia: per amore stesso della umanità, non la voglio. Voglio che si rimanga, piuttosto, con le sofferenze ancora invendicate. Preferisco, io, rima-nere nel mio stato di invendicata soffe-renza e d'implacato scontento, dovessi pure non essere nel giusto. Troppo caro, in conclusione, hanno valutato l'armonia: non è davvero per le tasche nostre pagare tanto d'ingresso. Quindi, il mio biglietto d'ingresso, io mi affretto a restituirlo. E se appena appena sono un uomo onesto, ho l'obbligo di restituirlo il più presto pos-sibile. E così faccio appunto. Non è che non accetti Dio, Alioscia: semplicemente Gli restituisco, con la massima deferenza, il mio biglietto»26.Ivan si atteggia a regista del mondo, dun-que a concorrente di Dio; può accusare

Dio stesso d'essere un cattivo regista, per-ché ha assunto per se stesso quel compito. Sembra che egli abbia ormai fatto il giro di tutto il mondo e lo abbia ben misurato. Egli molto assomiglia, sotto questo pro-filo, al Satana del libro di Giobbe; di lui si dice, infatti, che un giorno s'era presentato a Dio tornando «da un giro sulla terra, che ho tutta percorsa» (Gb 1,5). Fondan-dosi sulla conoscenza esperta delle cose di mondo Ivan può dire cos'è possibile e cosa non lo è, cosa può essere tollerato e che cosa no. Facendo il giro del mondo, Ivan ha però perso di vista le cose pros-sime, e soprattutto il fratello prossimo; per ciò che si riferisce al mondo, egli ha scoperto che è assurdo. Ivan non sa più nulla di se stesso e del prossimo; neppure sa più nulla di quel dolore che pure lo indigna. Sa soltanto di un dolore di cui è semplice spettatore, che guarda dunque da lontano, come realtà alla quale sarebbe troppo pericoloso avvicinarsi.L'argomento della sofferenza innocente continua fino ad oggi ad essere brandito, nella letteratura e anche nella sensibilità diffusa, a procedere da un punto di vista eccessivo, enfatico, e alla fine solo reto-rico, come quello di Ivan; a procedere dal punto di vista di chi considera le cose che accadono sulla terra come se egli stesso non abitasse sulla terra.

Il dolore: tra il dottore, il sacerdote… e il “santo” Il dottor Rieux e il confronto con il sacer-dote Paneloux di fronte al ragazzo mo-rente di peste. Di fronte alla ribellione ur-lata del dottore, Paneloux risponde così:«Capisco» mormorò Paneloux «è rivol-

XI26 Ivi, 328

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tante in quanto supera la nostra misura. Ma forse dobbiamo amare quello che non possiamo capire». Rieux si alzò di scatto; guardava Pane-loux con tutta la forza e la passione di cui era capace e scoteva la testa. «No, Padre» disse «io mi faccio un'altra idea dell'amore; e mi rifiuterò sino alla morte di amare questa creazione dove i bambini sono torturati».27 «Bisogna amare anche quello che non possiamo capire»: le parole di Paneloux sono sbagliate, troppo frettolose, pe-ricolosamente 'sublimanti'. Quello che non si può capire non si può neppure in alcun modo amare. Non si deve amare la sofferenza di un ragazzo che muore di peste; bisogna invece opporsi ad essa, e protestare anche contra spem, anche con-tro ogni probabilità che la protesta possa sortire qualche risultato. L'immagine del cristianesimo che soggiace all’accusa di Camus è quella alimentata da un’in-tempestiva mistica della sofferenza, che suggerisce un'impossibile riconciliazione dell'uomo con essa. La protesta contro la sofferenza non può essere pacata da un impossibile amore. Occorre certo credere e sperare anche oltre quello che si può ca-pire, e anzi soprattutto oltre; questo, però, non significa affatto amare quello che non si può capire. Sbagliata è la teodicea del padre Paneloux; sbagliato è, però, anche il rifiuto perentorio e clamoroso del dot-tor Rieux: «Mi rifiuterò fino alla morte di amare questa creazione dove i bambini sono torturati». Che cosa rimarrebbe di buono per questi bambini torturati, quale speranza, quando si rifiuti di amare questa creazione in cui essi vivono? Le cure di

un medico? Sarebbe come dire niente.Più lucidamente di Rieux vede in tal senso l'altro personaggio, Tarrou; egli riconosce che non è così sicuro che noi si possa fare sempre e solo il bene; la peste la portiamo anche dentro di noi: «non siamo soltanto medici, ma anche appestati». Ciò che sa-rebbe necessario dunque è che noi diven-tassimo «santi», egli dice. All’obiezione poi a lui rivolta - «Ma lei non crede in Dio!» - risponde che questo appunto è il problema che più lo occupa, se sia possi-bile essere santi senza Dio28.

1.3 CONCLUSIONE

1. L'ateismo moderno rappresenta la pro-testa più radicale dell’uomo contro Dio e il divino, dal momento che non si limita a negarli e a dichiararli non esistenti, ma pretende di averli uccisi e annientati. Un ateismo così radicale era possibile solo dopo l’avvento del cristianesimo, perché da nessun’altra parte, al di fuori dell’am-biente giudeocristiano, Dio e il mondo si presentano cosi chiaramente come Crea-tore e creatura, come Dio e non-Dio, Dio e l’uomo si fronteggiano così decisamente. Da un lato il fatto che l'uomo sia inter-pellato da Dio, possa parlare con lui e ri-spondergli costituisce certo la sua dignità. Ma dall’altro ciò lo pone contemporanea-mente nella condizione di poter parlare contro di lui, cosicché la dignità che gli viene dall’esser interlocutore di Dio e dal poter agire in suo nome nel mondo e sul mondo diventa pure un invito e una ten-tazione a porre la propria rivendicazione al posto della rivendicazione divina e a mettersi cosi al posto di Dio.

XII

27 A. CAMUS, La peste, Bompiani, Milano 1985, 168-169

28 Ivi, 197

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2. La storia dell'evo moderno è la me-ravigliosa storia della scoperta e dello sviluppo delle facoltà e delle possibilità proprie dell'uomo. Ciò ha condotto, però, anche ad un’eterogenesi dei fini. In nome della libertà umana, al posto del teocentri-smo subentrò un antropocentrismo radi-cale come egocentrismo: l’uomo assume le sembianze di Dio, si rivendicò attributi divini – onniscienza, onnipotenza; dalla teonomia, ossia del legame alla legge di-vina, si è passati all’autonomia radicale; dall’essere coram Deo, l'uomo è divenuto ai propri occhi la misura delle cose, la legge e la spiegazione di tutto. Ma tutto ciò, invece di emancipare l’uomo, di sal-vare l’uomo, l’ha condotto ad un tenden-ziale e radicale indebolimento: “L’ingresso dell'uomo medioevale nell’evo moderno, celebrato per lungo tempo come un’autoliberazione gran-diosa, fu in fondo una fuga nevrotica dall’impotenza narcisistica all’illusione di un’onnipotenza narcisistica”29. Aveva visto giusto Nietzsche: con la morte di Dio, c’è poco da stare allegri; perché solo un “oltreuomo” può reggere quest’ondata d’urto. Ma noi siamo uo-mini, non superman, non oltreuomini.

2. L’EREDITÀ DELLA PROTESTA CONTRO DIOL'ateismo moderno occidentale è un fe-nomeno complesso e multiforme, che, fondamentalmente, è nato in nome di una rivendicazione dell’uomo di fronte a Dio, al Dio cristiano; o meglio, al Dio proposto (o percepito così) da alcuni rap-presentanti dell’intellighenzia moderna. L’ateismo, dunque, non è nato come

fenomeno di per sé originario, ma fon-damentalmente reattivo, indirizzandosi contro la religione predominante, contro il cristianesimo; solo attraverso un lungo processo evolutivo è sfociato nel tenta-tivo di dar vita ad un umanesimo auto-nomo e autosufficiente. Solo nel corso di decenni di storia l’atteggiamento di vita etsi Deus non daretur è diventato comune e pacifico, un orizzonte che spesso è vis-suto non perché frutto di allontanamento consapevole dalla fede cristiana in Dio, ma perché è dato per scontato che Dio non “sia” o non “serva”. In questo senso già con la Costituzione pastorale sulla Chiesa nel mondo con-temporaneo Gaudium et spes 19-22 (pro-mulgata il 7 dicembre 1965), il Concilio Vaticano II trattava dell'ateismo del XX secolo in modo molto variegato e com-plesso. Il n. 19, parlando delle forme e delle radici dell'ateismo, afferma che: “Con il termine "ateismo" vengono desi-gnati fenomeni assai diversi tra loro.Alcuni atei, infatti, negano esplicitamente Dio; altri ritengono che l'uomo non possa dir niente di lui; altri, poi, prendono i pro-blemi relativi a Dio con un metodo tale che questi sembrano non avere senso. Molti, oltrepassando indebitamente i con-fini delle scienze positive, o pretendono di spiegare tutto solo da questo punto di vista scientifico, oppure al contrario non ammettono ormai più alcuna verità asso-luta.Alcuni tanto esaltano l'uomo che la fede in Dio ne risulta quasi snervata, inclini come sono, a quanto sembra, ad affer-mare l'uomo più che a negare Dio.Altri si creano una tale rappresentazione

XIII29 H.E. RICHTER, Der Gotteskomplex. Die Geburt und die Krise des Glaubens an die Allmacht des Menschen, Reinbek 1979, 29

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di Dio che, respingendolo, rifiutano un Dio che non è affatto quello del vangelo. Altri nemmeno si pongono il problema di Dio: non sembrano sentire alcuna inquie-tudine religiosa, né riescono a capire per-ché dovrebbero interessarsi di religione. L'ateismo, inoltre, ha origine sovente o dalla protesta violenta contro il male del mondo, o dall’aver attribuito indebita-mente i caratteri propri dell’Assoluto a qualche valore umano, così che questo prende il posto di Dio. Perfino la civiltà moderna, non per sua essenza, ma in quanto troppo irretita nella realtà terrena, può rendere spesso più dif-ficile l'accesso a Dio». Il concilio, insomma, registra che da un ateismo teoretico, tipico degli individui o gruppi del XVIII secolo che affermavano in maniera anche riflessa la mancanza di una sicura conoscenza di Dio o ne nega-vano l'esistenza, si è passati ad un ateismo pratico, riscontrabile in individui o gruppi che anche se riconoscono in teoria il pro-blema o la questione “Dio”, vivono poi in pratica come se Dio non ci fosse. In-teressante che il Concilio addossi espres-samente alla Chiesa stessa, all'educazione religiosa e alle carenze della prassi reli-giosa una parte della responsabilità della nascita del moderno ateismo, come leg-giamo alla fine del n. 19:«... l'ateismo, considerato nel suo insieme, non è qualcosa di originario, bensì deriva da cause diverse, e, tra queste, va annove-rata anche una reazione critica contro le religioni, anzi in alcune regioni special-mente contro la religione cristiana. Per questo alla genesi dell’ateismo possono contribuire non poco i credenti, nella mi-sura in cui, per aver trascurato di educare la propria fede, o per una presentazione

ingannevole della dottrina, od anche per i difetti della propria vita religiosa, mo-rale e sociale si deve dire piuttosto che nascondono e non che manifestano il ge-nuino volto di Dio e della religione».

CONCLUSIONE: LA QUESTIONE DI DIO È INTRINSECAMENTE LEGATA ALLA QUESTIONE DELL’UOMOLa questione di Dio è pregiudizialmente compromessa, quando è dissociata dalla questione che ciascuno è per se stesso. E la fuga dell'uomo dalla questione che egli è per se stesso è fondamentalmente fuga dalla libertà. La libertà infatti pesa. Non deve ingannare a tale proposito il fatto che invece, nelle forme della comunica-zione pubblica odierna, di essa si parli come di un bene prezioso che ciascuno cerca e rivendica nei confronti di ogni altro. Quando essa sia intesa nel suo si-gnificato più radicale, la libertà non è af-fatto un bene grato che tutti desiderano; è, invece, un compito arduo che in diverso modo è facilmente fuggito. La questione di Dio, dunque, appare su-bito oggi di una complessità scoraggiante non solo perché molti sono i nomi di Dio con cui dare una risposta… ma prima e più ancora, essendo complessa la que-stione dell’uomo, appare difficile dare anche alla questione di Dio una chiara formulazione. La ragione del “nascondi-mento di Dio”, nell'esperienza dell'uomo occidentale contemporaneo, dev'essere cercata soprattutto in questa direzione: la vita ordinaria/pubblica non rimanda in alcun modo a Lui. Tale rinvio, anche quando è intuito/riconosciuto presente, appare in troppi modi occultato dalle forme della cultura secolare che ci cir-conda. Sicché, anche quando la domanda

XIV

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a proposito di Dio sia di nuovo affron-tata, essa è dall'inizio formulata come domanda che riguarda altro rispetto a tutto ciò di cui ci occupiamo e per cui ci affanniamo ogni giorno. Formulata così, quella domanda apparirà poi anche come domanda sostanzialmente oziosa. In tal senso dobbiamo intendere una dichiara-zione icastica del personaggio protagoni-sta de Lo straniero di A. Camus: “Ho ri-sposto che non credevo in Dio. Ha voluto sapere se ne ero ben sicuro e gli ho detto che non avevo bisogno di chiedermelo: mi sembrava una cosa senza importanza. Allora ha gettato la testa all'indietro e si è addossato al muro, le palme poggiate sulle cosce. Quasi senza avere l'aria di parlarmi, mi ha detto che alle volte ci si crede sicuri e, in verità, non lo si è affatto. Io non dicevo nulla. Mi ha guardato e mi ha chiesto: «Cosa ne pensi tu?». Ho rispo-sto che poteva darsi. In ogni modo, io non ero forse sicuro di ciò che mi interessava realmente, ma ero perfettamente sicuro di ciò che non mi interessava. E per l'ap-punto, ciò di cui lui mi parlava non aveva alcun interesse per me”30. Eppure molti indici paiono deporre in senso contrario: Dio interessa ancora molto. Meglio, più che Dio stesso, sem-bra che interessi l'uomo che crede in Lui. Un'espressione che si sente spesso ripe-tere: “Beato te che hai la fede!”; cosi si esprime l'incredulo nei confronti del cre-dente. La formula suona un po' scontata, e, magari, anche insincera. E tuttavia essa è gravida di presupposti che meritano d'essere approfonditi: essa suppone che la fede sia una sorta di fortunato destino; a qualcuno capita, ad altri no, e non ci si

può fare niente. Suppone anche un ap-prezzamento di valore di questo genere: credere sarebbe un vantaggio. Già… perché? L’ipotesi con cui concluderemo il nostro cammino è che la fede in Dio ha a che fare con la struttura fiduciale che dà consistenza alla strutturazione dell’iden-tità umana e che, come quest’ultima, può vivere/sopravvivere solo nel momento in cui ci si decida, la si scelga; ma essendo proprio la libertà umana in deficit in que-sto tempo, evitando tendenzialmente la scelta e la scelta definitiva su di sé, non si può che eclissare anche la scelta di Dio e per Dio che solo al fondo della scelta di se stessi si può incontrare nel suo “ac-cadere”.

LA FEDE

INTRODUZIONE. CREDERE, UN VERBO DAI MOLTI SIGNIFICATI

Credere è uno strano verbo in italiano perché contiene sia l'idea di sicurezza e sia quella di insicurezza. Infatti "credere" viene usato nei seguenti modi: 1. "Credo che..." = penso che..., ma non ne sono sicuro. Es.: "Credo che domani farà bello" = non ne sono ben sicuro ma non mi meraviglierei troppo qualora ca-pitasse il contrario. 2. "Credo a... (qualcuno)" = mi fido di qualcuno e perciò accetto quanto mi dice.Es.: "Credo al medico che mi propone una certa cura" = mi fido del medico e perciò accetto come valido per guarire qualcosa che per me non è verificabile e perciò mi rimane sempre, fino a guari-

XV30 A. CAMUS, Lo straniero, in Opere, Bompiani, Milano 198925, 142-143.

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gione avvenuta, un margine più o meno grande di dubbio. In questo caso "credere" è accettare come vero qualcosa che non mi è evidente e che tuttavia accetto sulla parola di persone in cui ho fiducia, non in base a prove di tipo razionale, ma in base ad "indizi" o "garan-zie". Prima mi fido della persona e poi ac-cetto per vero quello che la persona dice. Però, dato che non c'è l'evidenza sogget-tiva di ciò in cui credo, rimane sempre un margine di dubbio sul "valore" delle persone che mi propongono l'inevidente. 3. "Credo a ... (qualcosa)" = sono asso-lutamente sicuro della verità di un'affer-mazione. Es.: "Quello è uno che crede a ciò che fa" = è assolutamente sicuro di ciò che fa e si butta con convinzione, entusiasmo e rischio in ciò che fa.In questo caso, però, se voglio essere chiaro, devo precisare da dove nasce questa mia sicurezza. Una certa affer-mazione è vera perché la constato vera, oppure ho esperienza della realtà espressa da quell'affermazione; l'ho dimostrata ra-zionalmente; mi fido di qualcuno che me la garantisce, perché lo ritengo degno di fiducia. In quest'ultimo caso ricado nel 2° signifi-cato del verbo "credere". Proviamo ad applicare quanto detto a Dio. Che senso può avere la frase: "Credo in Dio?". In quale dei significati del verbo "credere" analizzati precedentemente si usa la frase?1. Non sono ben sicuro dell'esistenza di DioNormalmente chi dice "Credo in Dio" non usa "credo" in questo senso. Qualora lo usasse così, occorre notare che questo atteggiamento non può reggere una vita.

Ci sarà una continua oscillazione fra il sì e il no a seconda dei fatti che succedono, belli o brutti. 2. Accetto l'esistenza di Dio, perché mi fido Questa affermazione può essere però in-tesa in due sensi: a) Mi fido di Dio e perciò mi lascio gui-

dare da Lui. Ma chi dice così come fa a fidarsi di

una persona che non conosce? Dio l'ha visto? Come fa ad essere sicuro che c'è?

b) Mi fido di qualcuno che mi dice che Dio c'è.

In questo caso accetto l'esistenza di Dio sulla parola di qualcuno che me l'ha detto e mi porta "garanzie" (non "prove") che io ritengo sufficienti per-ché mi fidi di lui. Questo "interme-diario" fra me e Dio non può portare "prove". Se infatti mi portasse prove di tipo razionale che io ritengo valide, io non crederei a lui, ma esclusivamente al mio cervello. In questo caso occor-rerebbe, però, precisare chi è questo "intermediario" e quali garanzie of-fre per essere creduto quando afferma che Dio c'è. Per ciò che riguarda Dio, Mosè, o Gesù, o Maometto, o vari altri lungo i secoli si sono presentati come "testimoni" di Dio. Il problema è: "A chi credere?" E tutto starebbe nel va-lutare le "garanzie" che ognuno di essi porta per essere creduto.

3. Sono sicuro che Dio c'è e affido a Lui la mia vitaIn questo caso, però, occorre precisare da dove nasce questa sicurezza. Le risposte date storicamente sono state: a) perché l'ho visto, lo vedo, lo constato,

lo scopro... fuori di me! oppure perché

XVI

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lo intuisco in me! A chi risponde così si può domandare:

"Sei sicuro che quello che hai visto o intuito sia Dio o non piuttosto una proiezione dei tuoi desideri, una tua costruzione psicologica per bisogno di sicurezza?

b) perché lo dimostro! A chi risponde così si può domandare

ancora: "Come? Con quali prove?". Egli porterà le prove. Io le valuterò e se le troverò convincenti, "crederò" all'esistenza di Dio, fidandomi del mio cervello.

Quale il “vero” significato, allora, di cre-dere?Il linguista Émile Benveniste ha mostrato che l'esatta corrispondenza formale del termine latino credo e del termine san-scrito sraddha (o kreddhe) [“fare fidu-cia”] garantisce un'eredità molto antica: l'esame delle ricorrenze di sraddha nel Rig Veda (1200-200 a.C.) permette di at-tribuire al termine il significato di “atto di fiducia” (sempre in un dio, non in un uomo, tanto meno in una cosa), che im-plica sempre una restituzione (sotto forma di favore divino accordato al fedele)”; lo stesso kred indoeuropeo si ritrova in se-guito, laicizzato, nei termini latini credo e credentia: «Affidare una cosa con la certezza di ricuperarla». Insomma: eti-mologicamente è chiaro che l’atto di fede è sempre personale, rivolto alla divinità

e comporta sempre la certezza della ri-munerazione; anzi: si dà ad un altro qualche cosa che ci appartiene, si attri-buisce fiducia/credito (si dà qualche cosa di materiale che mette in gioco anche il sentimento personale, si pone il kred, la “forza magica” che appartiene a ciascun uomo in un essere superiore), non solo senza considerazione (come se ciò fosse rischiosamente esposto “alla perdita”), ma con la certezza di ritrovare la cosa affidata, il beneficio di ciò che si è im-pegnato (il quale, perciò, non è mai dato “in regalo gratis”)31. Questa laicizzazione del termine religioso, sottolineata da Ben-veniste, può attirare la nostra attenzione su un radicamento antropologico, cioè su un tipo di relazione, stabilito anzitutto fra gli uomini e i loro dèi e riversato poi nel legame sociale fra gli esseri umani; come se la vita in società, segnata dalla vulne-rabilità fondamentale dell’essere umano, fosse impossibile senza una fiducia ori-ginaria. In ogni esistenza umana in via di umanizzazione, infatti, bisogna oltrepas-sare una «soglia», rimpiazzando la paura o la violenza, legata alla vulnerabilità, con la fiducia; tutte le culture lo sanno, per cui accompagnano quest'ingresso nella società, una sorta di «seconda nascita», con i loro riti di iniziazione. Nessuno può oltrepassare questa «soglia» al posto di un altro; la «fede» è quindi l'atto di fiducia nel «mistero» della vita, atto attraverso il

XVII

31 Cfr. E. BENVENISTE, Il vocabolario delle istituzioni indoeuropee I. Economia, parentela, società, edizione italiana a cura di Mariantonia Liborio, Einaudi,

Torino 2001 (orig. 1969), 130-136. In un capitolo precedente (76-90) Benveniste aveva mostrato come la radice della parola treu è “essere fermo”, il “resistente”,

il “solido”, da cui la filiazione del greco drus (albero, quercia, come l’albero solido per eccellenza) e come il latino fides – termine molto antico dall’indoeuropeo

bheidh- – se all’inizio significava “credito” di cui si gode presso un altro, una qualità propria di un essere che attira/risveglia la fiducia, ben presto si attestò sul

significato soggettivo di “fiducia”, qualcosa di me messo tra le mani di un altro e di cui egli dispone esercitando un’autorità protettrice su chi ripone la fiducia in

lui (a tal punto che fides diventa sinonimo di potestas). Sempre, dunque, esiste una reciprocità tra i due: mettere la propria fides in qualcuno procurava in cambio

la sua garanzia e il suo appoggio. Questa relazione implica così potere di obbligare da una parte e obbedienza dall’altra: da qui il latino foedus (dall’indoeuropeo

bhoides), “patto” stabilito tra contraenti di diseguale potenza. Poiché questa nozione è molto vicina a kred, si capisce perché in latino – grazie al cristianesimo – il

termine profano fides sia diventato il sostantivo corrispondente a credere (“confessare la propria fides).

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quale la persona non mette in gioco solo una determinata cosa, il proprio kred, ma la sua stessa esistenza, accettando di per-dere ogni garanzia di ricuperare ciò che ha donato. Per ognuno di noi, dunque, non solo la prima nascita, ma ancor più la seconda, è legata a un gioco di relazione che la precede. Il «credere» sarebbe un po’ il credito accordato al «mistero» della vita, un “credere” possibile solo grazie alla presenza di altro/i32.

1. COME PARLA LA BIBBIA DEL MOVIMENTO DELL’UOMO VERSO DIO

1.1. LA “FEDE” NEL PRIMO TESTA-MENTOSe con “parola di Dio” il Primo Testa-mento riassume il modo con cui Dio agi-sce ed entra in relazione con l’uomo, la risposta dell’uomo a tale parlare viene indicata con ascoltare, obbedire, aver/prestar fede. Ma anche qui, il Primo Te-stamento non ha un unico termine per in-dicare il giusto rapporto del popolo di Dio ovvero del singolo individuo con Dio e la sua rivelazione. «Avere fede» in questo caso è soltanto una delle tante espressioni che in parte vengono utilizzate paralle-lamente: così, per esempio, «avere fidu-cia», «riconoscere», «sperare», «amare»,

«ascoltare», «servire», «seguire». Nell'AT l'area semantica del credere abbraccia una varietà di termini, i principali dei quali sono: 'aman, essere saldo, sicuro, fedele33 - ba-tah, confidare, aver fiducia34 - hasah, trovar rifugio - qawah, sperare - hakah, attendere - jahal, aspettare.L’area semantica più densa fa capo alla radice -mn, che significa essere «solido», «sicuro», «affidabile» (nella nostra lingua tale concetto è rimasto nel termine litur-gico di «Amen», che esprime il consenso, il «sì» dell’assemblea a Dio), designando un processo attraverso il quale hanno luogo un consolidamento e una stabiliz-zazione interiore ed esteriore. Nella costruzione “avere fede in”, si esprime, quindi, un rapporto con una per-sona (con le sue parole o azioni), della cui fermezza colui che ha fede diventa par-tecipe. Aver fede in Dio, dunque, signi-fica – nel Primo Testamento – diventare partecipi della fermezza, della sicurezza, della stabilità delle parole e delle azioni di JHWH. L’esperienza di fede è primaria-mente un'azione e una relazione, ossia il rapporto con una persona, con la parola di una persona, della cui fermezza si diventa partecipi mediante la fede, l’affidarsi a tale parola.Altra caratteristica è che di “fede” nel

XVIII

32 Così C. THEOBALD, Dei Verbum. Dopo quarant’anni la rivelazione cristiana, «Il regno-attualità» 22 (2004) 782-790 (qui 786-787).

33 La radice ’_man (essere attendibile, fedele) può essere usato in riferimento a persone (per es. a Mosè in Nm 12, 7; ai servi in 1Sam 22,14; ai testimoni in Is 8,2;

ai messaggeri in Pro 25,13; ai profeti in 1Sam 3,20), però anche a Dio stesso, che conserva la sua alleanza e la sua grazia a coloro che lo amano (Dt 7, 9). Viene

data particolare importanza al fatto che la parola di Dio, o dell'uomo prova la sua attendibilità e la sua validità per mezzo della sintonia con l'azione che ne segue

(1Re, 8,26; 1Cr 17, 23ss; per gli uomini Gn 42,20). In parecchi casi (Nm 12,7; 1Sam 3,20; Os 12,1) ’_man acquista il significato di essere rivestito di (una carica),

mi viene affidato. In un'antica tradizione, che si rifà a una promessa fondamentale (2Sam 7, 8ss), la dinastia davidica viene caratterizzata come «una casa stabile

». Questa « stabilità» non poggia sulle qualità umane dei rappresentanti della dinastia, oppure su misure umane, bensì sull'azione di Jahvé, messa in atto dalle sue

promesse (2Sam 7,16; lSam 25,28).’_man esprime, dunque, un dato immutabile sul quale le generazioni future, nonostante tutte le vicissitudini storiche, potranno

e dovranno contare.

34 La radice ebraica b_takh è collegata al significato sentirsi sicuro, fare affidamento, in cui prevale l'aspetto nega-tivo del comportamento; ci si procura una falsa

sicurezza (Ab 2,18), oppure si pone la propria speranza nella falsità (Os 10, 13). Inoltre viene, naturalmente, usato nei confronti di Jahvé, che fa da fondamento alla

sicurezza (Ger 39,18; 2Re 18,30). Più tardi si è equiparato il significato della radice btkh alla radice 'mn.

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Primo Testamento si parla sempre in forma verbale: credere, più che “fede”. L'aver fede in Dio è il frutto di un cam-mino storico e progressivo; attraverso le varie vicende e soprattutto nell'esodo il popolo d'Israele prende coscienza dell'identità di Dio e per riflesso della propria. L'«aver fede», dunque, esprime lo specifico, l'identità d'Israele e della sua esperienza di Dio.Merita particolare attenzione anche la circostanza per cui spesso le situazioni e i contesti in cui si parla di «avere fede» sono caratterizzati da una situazione di pericolo di vita e di salvezza dalla mi-naccia di una fine incombente. Di primo acchito, l'affidabilità del sostegno che si ottiene attraverso la fede in Dio si mostra in situazioni di crisi e di tormento, che vanno superate appunto avendo fede. In-tesa così, la fede diventa fede nel potere salvifico di Dio.Caratteristica del testo biblico, dunque, è indicare che solo nell'aver fede come fedeltà a Dio, alla sua Alleanza e alla sua legge, che si ottiene stabilità, certezza di vita, perché è nella fede che l'uomo costruisce la propria vita in Colui che è fedeltà e stabilità. L'uso assoluto del con-cetto trova il suo apice in Isaia 7,9: nel di-scorso ad Acaz, il profeta, di fronte al pe-ricolo politico, assicura stabilità a condi-zione che si abbia fiducia nella promessa di Dio (vv. 9-25)35; per questo dice: «Se non crederete ('aman:) non avrete stabi-lità ('aman)». Solo nell'affidamento a Dio l'uomo può trovare un sicuro ancoraggio. Per questo Dio è designato come la roccia solida (fedeltà) sulla quale si deve costru-ire. «Nella perfetta fiducia - dice Isaia al

popolo di Israele - sarà la vostra forza» (Is 30,15); e ancora: «Chi crede, non va-cillerà» (Is 28,16).In conclusione: quando un ebreo ascolta i derivati della radice 'mn, li associa innan-zitutto al significato di stabilità nel senso di durata, se si tratta di cose, e nel senso di fedeltà se si tratta di persone. Per questo amen è ratifica, amen è giuramento, amen è accettazione. La relazione con JHWH è, quindi, essenzialmente una relazione storica, con un Dio che fa storia e che agisce. A tal punto che è la storia stessa a diventare contenuto della professione di fede di Israele. Nell’antico credo, infatti, il contenuto della fede è dato da una serie di avvenimenti: si credono fatti, perché Dio è una Parola che agisce nella storia. Il più antico credo di Israele è Dt 26, 5-9: “mio padre era un arameo errante…”. I fatti salienti in cui Israele ha incontrato Dio sono: 1) la chiamata di Abramo; 2) la liberazione dall’Egitto; 3) l’entrata nella terra promessa. E tutti gli interventi di Dio sono interventi per la salvezza del popolo: la storia della relazione di Dio con Israele è una storia di salvezza. Credere in Dio è affidarsi alla sua parola-azione in favore della salvezza del popolo, è sapere che la sua parola-azione di salvezza è vera/salvifica.

1.2. La “fede” nel Nuovo TestamentoNel Nuovo Testamento, i vocaboli che fanno capo al “credere” trovano la loro radice in peíthomai (da cui anche pistis: vocaboli che esprimono il rapporto perso-nale con un uomo o con una cosa, fondato sulla fiducia e la credibilità.Interessante che il verbo peíthomai (es-

XIX35 Un'affermazione simile la si trova in Is 28, 16: «Chi crede non ce-derà».

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sere convinto) ha significato intransitivo (non è un convincere, ma un lasciarsi con-vincere): la fiducia, il fidarsi, cioè, nasce sempre da un rapporto convincente (non sono io che mi convinco di, ma è l’altro che è convincente). Non per nulla, peitho (da cui l'arte di persuadere), viene consi-derata una dea. La fiducia può riferirsi a un'afferma-zione e allora ha il significato di la-sciarsi convincere come prestare fede; oppure si rifà a un invito ed allora il lasciarsi convincere assume il signifi-cato di ubbidire. Solo il perfetto pépoi-tha (propriamente aver preso fiducia con effetto di presente) esprime la persuasione e la sicurezza che ne derivano (cioè: io sono convinto di).Dalla stessa radice derivano anche i vo-caboli del gruppo pistis, fede; pistéuo, credere. Originariamente questa voce in-dicava il rapporto di fedeltà dei soci di un patto e in genere la credibilità delle loro promesse; in seguito passò a indicare la credibilità di affermazioni, informazioni e idee, sia nel campo religioso che in quello profano [è facile comprendere il passag-gio alla dimensione religiosa: solo gli dèi garantiscono la validità di un'alleanza o di un patto (cfr. l'importanza del giura-mento)]. Nel greco neotestamentario ac-quistano un valore tutto particolare e una pienezza specifica, perché servono per esprimere il rapporto con Dio in Cristo, cioè qualificano l'accettazione e il rico-noscimento di ciò che Dio ha operato e promesso in lui. A tal punto che il termine “fede”, adope-rato per indicare il fondamento comples-sivo dell'esistenza religiosa nella sua re-lazione col Dio della rivelazione, è tipico del linguaggio cristiano.

a. Il corpus paolino: aderire alla sal-vezza di Gesù Nelle lettere del corpus paolino si nota una particolare insistenza su pístis (54x) e su pisteúo (152x). Le persone alle quali si rivolge sono «i credenti» (hai pistéuontes; Rm 1, 16; 3,22; 4, 11; lCor 1,21); il loro atteggia-mento verso Dio è un «venire alla fede» (pistéuein, lCor 15,2.11). La fede possiede innanzitutto un carattere interpersonale e instaura tra il credente e il Cristo morto e risorto una "mistica" solidarietà di vita e di destino sia al pre-sente che nel futuro (cf Gal 2,20; 3,14. 22-29; 5,24; Rm 6,3-11; 4,1-25 con riferi-mento ad Abramo; 2Cor 5,17; Ef 3,17; F1 3,9; ecc.). Pisteúein indica anche spesso l'adesione al messaggio (lCor 15,3ss; Rm 10,5), l'accoglienza della verità salvifica del fatto della risurrezione di Gesù (Rm 4,24s; 10,9; lCor 15,1-19; lTs 4,14) e pístis designa talora il contenuto dell'an-nuncio apostolico (Rm 10,8; Gal 1,23; Ef 4,5). «Fede» è, dunque, accogliere Gesù e il suo messaggio di salvezza, è vivere orientandosi e basandosi sul vangelo (he pistis, Rm 1,8; lCor 2, 5; 15,14.17). Si tratta di un'esplicita fede nella salvezza, che si fonda sulla croce di Gesù e sulla sua risurrezione (1 Cor 15,3-4.11). La croce del Cristo è e resta il decisivo punto critico nei confronti dell'insegnamento della legge (Gal 2,21) e della sapienza speculativa (1Cor 1, 17); la risurrezione, poi, apre la via a una nuova esistenza, da-taci nel battesimo (Rm 6,4; 2Cor 5, 17). Questo evento unico è stato posto da Dio a misura di ogni pronunciamento teolo-gico e di ogni comportamento cristiano.Se la fede è accogliere, vivere come Gesù, la fede è operativa mediante la ca-

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rità (Gal 5,5s; lCor 13), e il giudizio fi-nale avverrà «secondo le opere» (Rm 2,6; 2Cor 5,10; Gal 6,7-10). La fede contiene in sé sia l'elemento dell'autoconsolida-mento (ebraico: ’aman), sia quello della fiducia (ebraico: btkh), anche in Paolo si trasforma volentieri in un processo di spe-ranza (Rm 8,24; lCor 13, 13; cfr. anche le enumerazioni, care a Paolo, nelle quali la triade fede, amore e speranza sono didat-ticamente coordinate tra loro: 1 Ts 3,5.8; lCor 13, 13; Col 1,4s).

b. La tradizione sinottica: accogliere la presenza del Regno nella parola e nell’opera di GesùNella tradizione sinottica, quando si parla di fede, troviamo solo affermazioni limi-tate; però non dobbiamo dimenticare che ogni invito e ogni affermazione di Gesù contengono gli elementi della fede, della fiducia, della conoscenza, della decisione, dell'ascolto e dell'adattamento; senza il pluralismo di aspetti nella fede (ebraico: 'emūnāh) e nella fiducia (ebraico: bittakhōn) non è possibile capire la pre-dicazione di Gesù.Nei Sinottici, e specialmente nella prima parte di essi, i termini pistis, pistéuò (“fede” e “credere”) si riferiscono all'ac-coglienza dell'annuncio fatto da Gesù del Regno di Dio (cf Mc l,14s) da parte di co-loro che si convertono, dei peccatori, dei beneficiari dell'attività taumaturgica di Gesù. Il significato prevalente è quello di fiducia nella misericordiosa onnipotenza di Dio che ora si dispiega nella parola-attività di Gesù. Credere, quindi, è acco-gliere non tanto la persona di Gesù, ma la presenza di Dio, affidandosi al modo nuovo di intendere e di vedere la signoria di Dio da parte di Gesù: “Il tempo è com-

piuto e il Regno di Dio è vicino; converti-tevi e credete al vangelo” (Mc 1, 15).La fede in Dio significa per Gesù essere aperti alle possibilità che Dio ci dà; è un contare-su-Dio, che non si appaga di ciò che è già dato e stato fatto.Locuzioni come: échein pistin theou = abbiate fede in Dio (Mc 11,22) o - pro-stithénai pistis = aumentaci la fede (Lc 17,5) indicano un tipo di fede in Dio del tutto particolare, una fiducia incrollabile (“Tutto è possibile per chi crede” – Mc 9,23; “Tutto quello che domandate nella preghiera abbiate fede di averlo ottenuto e vi sarà accordato” – Mc 11,24) che trasporta anche le montagne (cfr. Mc 11,23).La fede è un processo e un cammino, non è una “cosa che si ha o che non si ha”: “Credo, aiutami nella mia incredulità” (Mc 9,24). Nei racconti dei miracoli c'è spesso un ac-cenno alla fede del malato o dell'ambiente attorno a lui (Mc 2,5; 5,34.36; 10,52; Mt 8, 10)… a quella fede che salva: “Credete che possa fare ciò? Gli risposero: sì, Si-gnore. Allora toccò loro gli occhi e disse: Avvenga a voi secondo la vostra fede” (Mt 9,2); “la tua fede ti ha salvato” (Mc 5,34; 10,52). Credere alla parola-evento di Gesù è partecipare alla potenza che proviene dal Padre, è entrare nel suo Re-gno e, quindi, ricevere una salvezza totale che raggiunge tutto l’uomo.In Mc 6,5-6 si parla dell'opposizione che Gesù incontrò a Nazareth, sua città na-tale: il rifiuto della fede è qui così forte, che egli non poté operare nessun «pro-digio»; e si limitò ad aiutare qualche malato. Siccome la sua azione salvifica è legata alla fede, succede che il rifiuto della fede incontra il suo rigetto. L'evan-

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gelista non vuole solo dire che Gesù non ha potuto compiere « prodigi» perché si è trovato di fronte l'incredulità dei Naza-retani: nelle tradizioni sull'insegnamento di Gesù troviamo più di una volta dei detti, che sembrano oltrepassare la situa-zione contingente (Mc 9,23; 11,22-24; Lc 17,5-6; Mt 17,20). Ciò che caratterizza queste parole sulla fede è che a chi crede vengono riconosciute possibilità illimi-tate e Gesù esorta esplicitamente i suoi discepoli a questa fede sconfinata. Gesù si sottomette alla fede e alle sue possibi-lità e incoraggia l'uomo a seguire il suo esempio. Le immagini del monte che con la fede viene spostato (Mc 11,23), e del fico, che può essere sradicato (Lc 17,6), confermano la potenza della parola, che è in grado di modificare la creazione.

c. La tradizione giovannea: riconoscere in Gesù l’inviato di Dio e dimorare in LuiNel quarto Vangelo, a differenza dei Si-nottici, è attestata con una certa frequen-za l'espressione «credere/fede in Gesù Cristo» (cf ad es. Gv 2,11; 3,16.18). Gesù stesso invita a credere in lui (Gv 14,1), è accogliere la testimonianza che Gesù dà di se stesso (3,11; 8,14-18.40-47); non senza precisare che chi crede in lui, crede in Dio che lo ha inviato (Gv 12,44). Credere significa riconoscere che Gesù è l'inviato del Padre (Gv 11,42; 17,3.8.21), che egli è il Messia (11,27; lGv 5,1), che egli è il Figlio di Dio (20,31; lGv 5,5).La parola di Gesù rivela chi egli è (4,26; 35; ecc.). Essa è accompagnata dalle "opere divine" che attestano la sua unione col Padre (5,36; 10,30.38), e sono dei "se-gni" capaci di suscitare la fede (2,11.23;

20,30s). È condannato tuttavia l'attacca-mento ai “segni e prodigi» (4,48) che può diventare un ostacolo a credere sulla parola di Gesù e su quella dei testimoni della sua risurrezione (20,25). La fede stabilisce fra Gesù e il credente una vera e propria rela-zione interpersonale (cf. l'uso del «credere in me», «venire a me», ecc.), creando addi-rittura una immanenza reciproca (Gv 6,56; 15,15; 17,20). La fede opera la salvezza del credente producendo la figliolanza di-vina, la vita eterna, la vittoria sul male, la gioia e la libertà. «Conoscere» la «verità» è abitare esistenzialmente lo spazio di vita aperto in e da Gesù, è dimorare in Lui. Credere e conoscere (Gv 6,69), conoscere e credere (Gv 17,8; 1Gv 4,6) non sono due processi tra loro distinti; così come stretta-mente collegati tra loro sono anche il cre-dere e il vivere. Chi crede nel Figlio, ha la promessa di non perire, di avere la vita eterna (3, 16-18; 11,25). La fede è un pro-cesso che parte dall'accoglienza della testi-monianza, fino all'elaborazione autonoma e l'impostazione personale di vita che cor-risponde alla testimonianza (è importante la distinzione di Gv 4,42). E questa fede è sempre in lotta con l'incredulità (lotta fra la luce e le tenebre: 1,10s; 3,11s, 19s; ecc.). L'inimicizia del mondo contro Dio non è una realtà metafisica, ma si compie come reazione all'inviato di Dio (Gv 3, 20; 7, 7; 15, 18.23); in essa è coinvolto anche il discepolo.

d. Le lettere tardive (pastorali e giovan-nee): la fede preservata dagli erroriGià nelle lettere della cattività si nota una certa insistenza sull'intelligenza-cono-scenza procurata dalla fede (Ef 1,8.17-20; Col 1,9). Nelle lettere pastorali e tardo-giovannee viene tramandata la dottrina

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paolina/giovannea, però innestata in una nuova concezione, che si batte contro l'entusiasmo e gli errori gnostici. Quando la 1Tm 1,5 insegna che la meta a cui tende l'istruzione è l'amore, frutto di un cuore puro, di una buona coscienza e di fede sincera, vi si rivela un nuovo orientamento antientusiastico; la neces-sità di tracciare il confine tra il cristiano e tutti gli errori, la preoccupazione di pre-servare la fede dal naufragio (lTm 1,19; 6,20; 2Tm 2,18) porta al concetto di fede «sana» (Tt 1, 13; 2,2), per questo si insiste sulla sana dottrina e sulla fedele conser-vazione del "deposito", onde evitare ogni inquinamento con le "favole"umane (cf lTm 1,4; 4,7; ecc.).Giacomo, in linea con la restante tradi-zione parenetica, collega la fede con la necessità della prova a conferma (1, 3; cf. 1 Pt 1, 7); richiede però di rinunciare a ogni atteggiamento che contraddica la fiducia viva e la confessione (1, 6-8). Per lui fede e obbedienza sono inscindibil-mente uniti: la fede, intesa come fiducia e confessione, non è in grado di salvare da sola. Solo per mezzo dell'obbedienza e una pratica dei comandamenti di Dio, la fede raggiunge la perfezione (2,22). Giacomo si trova di fronte un avversario che non attacca la fede, ma che si sottrae all'obbedienza. La 1Gv insiste, in opposizione a tendenze eterodosse, sulla necessità per il credente di confessare la vera umanità di Gesù (1Gv 4,1-4)-.

e. La Lettera agli Ebrei: l’affidabilità di Dio e Gesù come vertice della storia di fede dell’umanitàNella lettera agli Ebrei troviamo una tra-dizione dottrinale autonoma. Si aggancia

spesso a motivi veterotestamentari e, ser-vendosi del nostro gruppo di vocaboli, dà una struttura alla storia dei padri.La lettera agli Ebrei presenta il Cristo risuscitato come il nostro «sommo sacer-dote affidabile (pistós) per i rapporti con Dio» (Eb 2,17; 3,2), stigmatizza l'assenza della fede (3,12-19), esorta alla pienezza di fede (10,22). Eb 11,1: «la fede è fondamento (uposta-sis/substantia) di realtà che si sperano (sperandarum) e prova (elenchos/ar-gumentum) di realtà che non si vedono (non apparentium)». Questo versetto è stato considerato fin dall'antichità come una definizione della fede. Con questa frase comincia la sintesi della storia dei padri del c. II e la descrizione della co-munità del NT (12, 1-11). Il cap. 11 è un grandioso elogio dei grandi credenti dell'AT e della loro fede. Quest'ultima sta all'origine di tutte le realizzazioni valide, e permette di sormontare le prove. Gesù Cristo è presentato come «l'iniziatore e il perfezionatore della fede» (12,2ss). Egli è colui che è stato reso perfetto da Dio ed è ora in grado di portare a compimento la lotta per la perfezione.

2. “FEDE”, IL NOME DEL MOVI-MENTO DELL’UOMO VERSO DIO.PER UN CHIARIMENTO DEL VE-DERE/CREDERE A DIO: I RAC-CONTI POSTPASQUALI

2.1. Gesù, le donne e gli Undici (Mt 28,1-20): in Galilea si vede/ascolta il Crocifisso Risorto• L'irruzione della luce pasquale si dirige a destinatari prescelti, a quanti vantano nei confronti di Gesù una confidenza ed una frequentazione che include le parole e le

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opere del Maestro. Che le donne godano di un primato nell'incontro con il Risorto ci ricorda che la prima ricerca/incontro avviene da parte di chi è generoso sotto il profilo degli affetti.• Che di irruzione si tratti lo conferma la drammatizzazione operata da Matteo. Mt è l'unico a parlare del sisma e, se teniamo conto della sensibilità giudaizzante del suo scritto, non possiamo ignorare i pre-cedenti illustri di questo evento cosmico: in tutte le classi di scritti del Primo Testa-mento il terremoto fa parte di un corredo iconografico che prelude alla teofania di Dio (cfr. 1Re 19,11; Sal 114,7); all'atto fondatore dell'alleanza (cfr. Es 19,18), ad una rivelazione che ha il valore di una ri-creazione (cfr. Ez 37,7). Anche all'interno del vangelo di Matteo c'è un precedente importante: la terra si scuote già nell'ora della morte: Mt 27,51. Il lettore è avvisato che, se il sepolcro vuoto è lo spazio per una novità di rivelazione, questa comin-cia sulla croce.• L'angelo e il “cielo” dal quale proviene designano una potenza che non si arresta di fronte ai sigilli posti dagli uomini: la pietra che chiudeva miseramente la sto-ria di Gesù funge ora da sgabello per un trionfo che destabilizza le guardie.• Il “non aver paura” accompagna sempre ogni incontro reale con il Dio cristiano; se la prima parola che Adamo dice a Dio è “ho avuto paura”, la prima parola che Dio dice all’uomo è “non aver paura”.• L’incontro è reso possibile da una ri-cerca che si è messa in moto (“so che cer-cate…”); ma l'ambiguità che accompagna ogni ricerca e ogni manifestazione del sacro viene sciolta da una parola che ha come contenuto Gesù, il «Crocifisso». • Il cenno alla tomba vuota è del tutto

funzionale all'altrove (“non è qui”) di una presenza che gioca d'anticipo (“vi precede”), si riallaccia ad un passato de-terminato (significato nel: «come aveva detto» [cfr. Mt 16,21; 17,23; 20,19] e nel rinvio alla «Galilea») e si rende dispo-nibile all'incontro (“là lo vedrete”). C’è dunque “qualcosa/qualcuno” da “vedere”; ma non qui, bensì in Galilea: è la Parola che indica dove e come poter cercare/ve-dere il Risorto.• È durante la “corsa” che il Risorto venne loro incontro: il primato della ri-velazione gratuita e inesigibile di Dio ha da incontrare i passi dell’uomo; è “strada facendo” che la strada dell’incontro con Dio si apre.• Lo stesso Risorto ribadisce le parole dell’angelo: non bisogna aver paura e in Galilea si può vederLo; tutti i fratelli lo possono vedere, perché solo chi ha avuto un rapporto con il Gesù prima della sua morte e risurrezione, può/sa riconoscerLo come il Risorto vivente.• Il “vedere” dei discepoli in Galilea non assume toni trionfalistici: anche nel bel mezzo dell'adorazione trova posto il dub-bio, sia perché è lunga la scia del Venerdì santo, sia perché l’uomo è sempre libero di fronte a Dio e può esercitare il suo credito di fede in Lui. Il gesto di prostra-zione congruo alla divinità ora è rivolto al Maestro, nel contesto di un monte ch'è il luogo teologico della rivelazione già realizzata (dove Gesù ha impartito l'inse-gnamento messianico: Mt 5,1; 8,1; ha compiuto gesti di salvezza: Mt 15,29-31; e si è trasfigurato: Mt 17,1-9). • L'unica relazione di prossimità con il Risorto è quella della parola: Gesù si au-topresenta come il Signore messianico; appare investito da Dio di ogni potere,

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dell'autorità che viene attribuita al Figlio dell'uomo in Dan 7,14. Il suo dominio è universale, poiché si estende a tutto il mondo (“cielo e terra”). • Da qui l'autorità dell'incarico perché altri (“tutte le nazioni”) giungano a con-dividere la stessa vittoria di Cristo nel segno della verità trinitaria di Dio. Viene ribadito il legame con il Gesù terrestre, giacché il mandato ha come contenuto il suo insegnamento (la didascalìa: cfr. Mt 5-7). La promessa finale costituisce un'inclusione letteraria con l'Emmanuele dell'inizio (Mt 1,23).• Si può sempre incontrare il Risorto come il Dio vicino all’uomo nel momento in cui si va ad ammaestrare e battezzare: l’an-nuncio della Parola e l’amministrazione dei sacramenti sono il modo con cui si rende presente il Vivente per il discepolo di ieri e di sempre.

2.2. Maria di Magdala, Simon Pietro e Giovanni (Gv 20, 1-18): vedere/credere, riconoscerLo perché riconosciuti• È sempre una donna che va per prima…• Eppure, con gli occhi fisici si vede solo un sepolcro e un’assenza: lo hanno por-tato via dal sepolcro… e non sappiamo dove!• Anche Pietro e Giovanni vedono un sepolcro vuoto e un’assenza: ma l’uno vede; l’altro vede e crede: perché? C’è uno sguardo che dipende da una caratte-ristica interiore, più che da una capacità dei sensi esterni• Eppure, neppure tutto questo basta: senza la Scrittura, la Parola che conferma, certifica, garantisce, offre il criterio… non si può giungere ad identificare la presenza di Gesù.

• Per questa ragione, non essendo ancora av-venuto l’incontro, si ritorna semplicemente a casa. Come sempre. Alla vita di sempre.• Maria insiste, rimane. Vuole davvero bene; ma piangere al sepolcro, impedisce letteralmente di vedere: essere ripiegati su di sé, anche se si vuole sinceramente bene, non apre alla possibilità dell’incontro.• Impressionante: con gli occhi Lo si vede direttamente, personalmente (non solo i segni della sua presenza), ma non lo si riconosce; anzi lo si fraintende clamoro-samente.• Il riconoscerLo è propiziato dal suo ri-conoscerti (chiamare per nome)• Come sempre, ad ogni apparizione, un mandato!• Maria corre ad annunciare: ho visto 2.3. Tommaso (Gv 20,19-31): il vedere/credere al Crocifisso Risorto non è em-pirìa del tatto…• Le lacrime di Maria di Magdala si sono già asciugate quando - secondo la no-tazione cronologica insistita dell'ottavo giorno - il Risorto viene nell'oscurità della sera, che fa da sfondo alla paura che teneva ripiegati i discepoli. L'inizia-tiva è di Gesù e si attua in una presenza che guarisce l'infedeltà. • Le mani e il costato vengono esibiti come un trofeo non nonostante, ma pro-prio perché sono le membra che portano i segni della passione. Qui si produce - allo stesso modo di quel che accade in Lc 24,26 - una sorta di inversione ermeneu-tica: ciò che - la morte di croce - nell'in-terpretazione dei discepoli valeva come una ragione della smentita della missione del loro Maestro, per Gesù diventa il prin-cipio del riconoscimento del significato della sua risurrezione.

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• Il mandato si connota come un mini-stero di riconciliazione e di perdono/dono dello shalom/spirito del Risorto che vince la paura (del peccato e della morte)• Tommaso è il discepolo assente la prima ora, quindi una figura letteraria capace di interpretare la condizione di tanti altri che non possono godere della visione. L'an-nuncio pasquale dei suoi compagni inne-sca una dura protesta, poiché ogni altra parola dovrà fare i conti con l'eloquenza del corpo devastato di Gesù. • La pretesa di toccare vale come richiesta di una decifrazione sul piano del senso: Tommaso non è disposto a credere senza l’empiria del tatto. • L'invito a toccare - rivoltogli dal Risorto che prende l'iniziativa di venire - equivale all'invito ad entrare nel significato delle stigmate della croce. Di nuovo si produ-ce l'inversione ermeneutica: conforme-mente a quanto Tommaso pretendeva, an-che il Risorto chiede di non oltrepassare la croce; per una ragione inaudita, però, rispetto a quanto presagiva Tommaso: quelle piaghe non sono l’antirivelazione, ma la rivelazione di Dio. E dentro il mi-stero di quelle piaghe (il Crocifisso) non si entra perché le si “tocca”.• La svolta che conduce al credere (mio Si-gnore e mio Dio) non è sospesa all'empiria della vista e del tatto, poiché dipende da una penetrazione nel significato della vita/morte di Gesù e in una disposizione a seguirLo.

2.4. Credere: la fede permette di ve-dereCome si diceva per le parabole, per ve-dere davvero occorre una sorta di empatia che si lascia istruire praticamente circa le implicazioni di ciò che si va scoprendo. Se la 'fede' è il nome di questa disponi-

bilità, senza credere lo sguardo potrebbe magari vedere tutto senza cogliere nulla. Non si tratta quindi di una folgorazione miracolistica, poiché introduce alla sco-perta del segreto di tutta la vita di Gesù, accessibile soltanto alla memoria di chi lo ha seguito. In questo senso il vedere pa-squale presuppone una fede e la introduce al suo compimento mediante l'inversione ermeneutica che restituisce a quella fede proprio la croce. Quando diciamo che co-loro che hanno visto il Risorto non sono stati dispensati dalla fede (cfr. Mt 28,17) non ci riferiamo ad un atto generico di fiducia in Dio, quanto piuttosto al rico-noscimento della valenza teologica della vita e della morte di Gesù. Davanti al Risorto si può ancora dubitare, poiché in questione non è che Dio esista, ma che Dio sia così (esposto alla nostra libertà).La beatitudine che sigilla l'incontro con il Risorto ("beati quelli che pur non avendo visto hanno creduto», Gv 20,29) non cela affatto una commiserazione, visto che, per mezzo della 'scrittura dei segni di Gesù', anche noi veniamo abilitati ad uno sguardo integrale, addirittura da una prospettiva che ha già superato la fram-mentazione dell'occhio distratto e il trava-glio del disconoscimento. Se nemmeno a quelli della prima ora bastava l'immedia-tezza fisica a istruire lo sguardo, il rico-noscimento della nostra dipendenza dalla testimonianza apostolica non squalifica di per sé il nostro vedere. Al nostro vedere non manca nulla. Tranne il credere. Ma al vedere non si può chiedere di più. A dispetto di quel pregiudizio, tanto diffuso quanto deviante, secondo il quale vedere e credere si porrebbero in diretta alterna-tiva (ciò che viene visto non può essere creduto).

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ANNO DELLA FEDE

LA QUESTIONE RELIGIOSA OGGI

1. LE DOMANDE CHE SI IMPONGONO AL CRISTIANESIMO OGGI: LA RIBELLIONE A DIO IN NOME DELL’UOMO1.1 LA RIBELLIONE A DIO IN NOME DELLA LIBERTÀ DELL’UOMOKarl Marx, ovverosia la religione come sovrastruttura politico-economicaSigmund Freud, ovverosia la religione come stadio infantile della personalitàFriedrich Nietzsche, ovverosia la drammaticità di una vita segnata dalla morte di Dio. Dall’eroica protesta della libertà umana contro Dio, al rassegnato agnosticismo e alla condanna dell’arbitrio.1.2 LA RIBELLIONE A DIO IN NOME DEL DOLOREIl “comizio” di Ivan KaramazovIl dolore: tra il dottore, il sacerdote… e il “santo” 1.3 CONCLUSIONE2. L’EREDITÀ DELLA PROTESTA CONTRO DIOCONCLUSIONE: LA QUESTIONE DI DIO È INTRINSECAMENTE LEGATA ALLA QUESTIONE DELL’UOMO

LA FEDE

INTRODUZIONE. CREDERE, UN VERBO DAI MOLTI SIGNIFICATI 1. COME PARLA LA BIBBIA DEL MOVIMENTO DELL’UOMO VERSO DIO1.1. la “fede” nel Primo Testamento1.2. La “fede” nel Nuovo Testamentoa) Il corpus paolino: aderire alla salvezza di Gesù b) La tradizione sinottica: accogliere la presenza del Regno nella parola e nell’opera di Gesùc) La tradizione giovannea: riconoscere in Gesù l’inviato di Dio e dimorare in Luid) Le lettere tardive (pastorali e giovannee): la fede preservata dagli errorie) La Lettera agli Ebrei: l’affidabilità di Dio e Gesù come vertice della storia di fede dell’umanità2. “FEDE”, IL NOME DEL MOVIMENTO DELL’UOMO VERSO DIO.PER UN CHIARIMENTO DEL VEDERE/CREDERE A DIO: I RACCONTI POSTPASQUALI2.1. Gesù, le donne e gli Undici (Mt 28,1-20): in Galilea si vede/ascolta il Crocifisso Risorto2.2. Maria di Magdala, Simon Pietro e Giovanni (Gv 20, 1-18): vedere/credere, rico-noscerLo perché riconosciuti2.3. Tommaso (Gv 20,19-31): il vedere/credere al Crocifisso Risorto non è empirìa del tatto…2.4. Credere: la fede permette di vedere

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PUBBLICAZIONI PER L'ANNO DELLA FEDE

Fra i molti sussidi che l’editoria cattolica propone per l’Anno della fede, alcuni hanno qualche legame con l’Eremo.

Camminare nella fede Esercizi spirituali di Mon-signor Enzo Giammancheri, pubblicato dall’Edi-trice La Scuola, che raccoglie le meditazioni tenute dal compianto Sacerdote bresciano all’Eremo, nell’Estate del 1991.

L’anno della Fede del Papa Paolo VI, edito da Studium, a cura di don Angelo Maffeis, teologo camuno, raccoglie le riflessioni del Pontefice Bre-sciano per l’Anno della fede 1967.

Riflessioni sulla fede del Papa Paolo VI, edito da Cantagalli di Siena a cura di Monsignor Ettore Malnati, amico dell’Eremo e stimato predicatore anche nella nostra Casa, è un’antologia dei pen-sieri di Papa Montini sulla Fede.

Come stai con la tua fede? di Mons. Franco Giu-lio Brambilla, Vescovo di Novara, già predicatore all’Eremo, è la lettera pastorale nella quale il ve-scovo traccia le linee centrali dell’azione pasto-rale della Chiesa novarese per l’anno 2012-2013, che Benedetto XVI ha voluto come “Anno della fede”.

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SULLE ORME DI SANTA GEMMA E DI S. FRANCESCO, PELLEGRINAGGIO AD ASSISI

Dall'Eremo

Stesso periodo, stesso pellegrinaggio, stessi luoghi, a essere diversa ero io. A essere diverse erano le motivazioni che mi hanno spinto ad affrontare di nuovo questo viaggio, come diverse erano le aspettative. Ancora una volta la meta era Assisi, per questo, ad accompagnare come colonna sonora questi ricordi che si fanno pensieri, ho scelto L’infinitamente piccolo di Angelo Branduardi, un concept disc dedicato alla vita di S. Francesco.Ad accoglierci, come prima tappa del viaggio, è una città che già conosco, alla quale sono legati ricordi belli e importanti, a cui ora se ne sono aggiunti altri: Lucca. La visita a casa Giannini ci ha dato modo di entrare nella vita di S. Gemma Galgani, nata il 12 marzo 1878 a Borgonuovo, una frazione di Capannori, proprio in provin-cia di Lucca. Considerata la prima mi-stica del XX secolo, donna dal carattere forte e umile allo stesso tempo, ha avuto una vita breve ma molto intensa. Ci dà il benvenuto suor Gloriosa, originaria

del Burundi, che ci fa accomodare nella sala da pranzo in cui S. Gemma insieme ai Giannini era solita consumare i pasti. La famiglia Giannini accolse Gemma durante gli ultimi quattro anni della sua vita e un mese dopo che le comparissero per la prima volta le stimmate. Famiglia numerosa, quella dei Giannini e Gemma fu accolta proprio come una figlia e con i figli ebbe un buon rapporto, soprattutto con la più piccola, Eufemia. Catalizza l’attenzione un grandissimo crocefisso che suor Gloriosa ci racconta essere lo stesso davanti al quale S. Gemma era solita pregare e andare in estasi. Sì per-ché, quello che lascia un po’ sorpresi, e che traspare sia dai racconti della suora che leggendo il diario di S. Gemma, è la sua abituale, quasi quotidiana, conversa-zione con Gesù, con Maria, che chiama Mamma celeste, e con il suo Angelo Cu-stode. Conversazione non in senso lato. Quando andava in estasi Gemma dialo-gava con loro, poneva domande, e loro le rispondevano e di questo ne abbiamo testimonianza poiché quando capitava, zia Cecilia Giannini la teneva ferma per evitare che si facesse male e Eufemia, la sua amica e confidente, stenografava i loro dialoghi. Di S. Gemma mi è rimasta la sua completa volontà di essere tutta per Gesù e, per dirla con parole sue: “In me sentivo crescere una brama di amare tanto Gesù crocefisso, e insieme a questo una brama di patire e aiutare Gesù nei

Targa e quadro sulla casa dove S. Gemma nacque il 18 marzo 1878

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suoi dolori”.Ma lasciamo S. Gemma e la congrega-zione delle Sorelle di S. Gemma fondate dalla sua amica e confidente di un tempo Eufemia Giannini, anche se molto ancora ci sarebbe da raccontare della giornata di venerdì e di quanto mi ha lasciato dentro, perché, nonostante stia continuando a do-cumentarmi su di lei e stia provando a me-ditare la sua vita, le sue parole, i suoi inse-gnamenti, il clou del ‘mio’ pellegrinaggio l’ho vissuto nella giornata di sabato.Si parte con la messa presso la tomba di S. Francesco, con un’omelia del don ricca di spunti di riflessione. Inizio a scrutare il mio modo di approcciarmi a questo pellegrinaggio, a questi ‘amici’, a come sto cercando di vivere la fede ritrovata da poco. Fede per me importante perché, come ha detto papa Benedetto XVI nella lettera per l’anno della fede, “attraversare quella porta comporta immettersi in un cammino che dura tutta la vita”. Padre

Antonello poi ci accompagna alla scoperta degli affreschi di Giotto, Pietro Lorenzetti e Cimabue nella Basilica Inferiore prima e Superiore poi e con loro ripercorriamo non solo la storia di Francesco, ma anche di Gesù. Nel pomeriggio invece è suor Rosanna, Francescana Missionaria del Cuore Immacolato di Maria, che ci intro-duce, nella cornice di S. Damiano, nella vita di Francesco e Chiara. Provo un senso di pace interiore e un sorriso mi si im-prime nell’anima: so che sono nell’unico posto in cui in quell’istante avrei dovuto essere. E credo che sia lo stesso sorriso che ci dona suor Rosanna; il suo non è solo un semplice sorriso sulle labbra, ma è un sorriso che parte dal cuore: lo si ca-

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Santa Gemma Galgani

12 marzo 1878, nasce Gemma GalganiDue mesi dopo la famiglia si trasferisce a Lucca26 maggio 1895 riceve la cresima1886 le muore la madre1894 le muore il fratello Gino che si trovava in seminarioAgosto 1899 Gemma viene accolta definitivamente in casa GianniniNello stesso anni Gemma ricevette le stimmate che la accompagnarono per il resto della sia vita11 aprile 1903 Gemma muore.8 gennaio 1906 Eufemia Giannini entra in un con-vento di passioniste con il nome di Gemma Madda-lena di Gesù.1937 Madre Gemma Eufemia Giannini dovette ab-bandonare la vita claustrale per motivi di salute4 maggio 1939 ebbe inizio la nuova opera delle Sorelle di santa Gemma fondata da madre Gemma Eufemia Giannini 2 maggio 1940 fu canonizzata Gemma GalganiNel 1960 fu concesso alle Sorelle di Santa Gemma, dal Generale dei passionisti il permesso di portare il segno caratteristico della Congregazione della Passioniste26 agosto 1971 muore madre Gemma Eufemia GianniniSanta Gemma è patrona dei paracadutisti.

La casa ove S. Gemma morì.

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Dall’Eremo21

pisce dagli occhi che brillano di una luce che dona serenità. Quello che più mi ha meravigliato, ma che forse in realtà non avrebbe dovuto stupirmi, è stata la sen-sazione che tanto padre Antonello quanto la suora che ci ha accolto a S. Damiano, parlino di Francesco e Chiara come se vivessero con loro ogni giorno, come se con loro condividessero ogni pasto di ogni giornata. Come se anche noi li avessimo mancati per un nonnulla, come se fossero stati lì fino a poche ore prima del nostro arrivo, nonostante siano trascorsi poco meno di 800 anni dalla morte di Francesco

avvenuta nel 1226. Anche quest’anno il tempo è volato, ma sento che, dentro, qualcosa si è impresso nell’anima e l’impegno, per l’anno della fede che mi aspetta, è di imparare a dia-logare con Francesco, Chiara e Gemma, proprio come se fossero ‘amici’ che fre-quento abitualmente ed è quello di colti-vare quanto mi sono portata via da questi luoghi che racchiudono senso dì infinito, senso di Dio.

ROBERTA CAROLINA RICCI

Un raggio di luce filtra dal cielo sulla basilica

La basilica superiore ci ha accolto per la Santa Messa

La basilica inferiore dove abbiamo pregato sulla tomba di S. Francesco

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CONCLUSO L'ANNO CENTENARIO DELLA CONSACRAZIONE DI SANTA CHIARA D'ASSISI, È STATO APERTO L'ANNO DELLA FEDE...

Dal Monastero

Con la Concelebrazione Eucaristica dell’11 agosto, presieduta dal Card. Gio-vanni Battista Re, è stato chiuso l’VIII Centenario della Consacrazione di santa Chiara. Ora cogliamo l’occasione per ringraziare tutti voi, per ogni attenzione, per la condivisione di fede e per la parte-cipazione ai vari incontri e celebrazioni liturgiche.Ringraziamo in modo particolare Don Ro-berto Domenighini, Direttore dell’Eremo, per l’organizzazione dei quattro momenti di “elevazione musicale”, che abbiamo vissuto in clima di preghiera, grazie al M° Marco Pennacchio, al “Quartetto “Sinfonia”, al giovanissimo chitarrista Matteo Vitali e al gruppo dei giovani di Berzo con il concerto: “Occhi al cielo”.

*** *** ***

L’11 ottobre è stato aperto l’Anno della Fede. Ci chiediamo: cos’è la fede?Leggiamo nel Catechismo della Chiesa Cattolica che la fede è innanzi tutto un’adesione personale dell’uomo a Dio; al tempo stesso e inseparabilmente è l’assenso libero a tutta la verità che Dio ha rivelato (parte prima, cap. III, art.1, n. 150); la fede è un atto personale: è la libera risposta dell’uomo all’iniziativa di Dio che si rivela. La fede però non è un atto isolato. Nes-suno può credere da solo, così come nes-suno può vivere da solo. Nessuno si è dato la fede da se stesso, così come nessuno

da se stesso si è dato l’esistenza (ibidem, parte prima, cap. III, art.2, n.166).Già la Costituzione dogmatica Dei Ver-bum del Concilio Vaticano II ci aveva aiu-tato a comprendere la Rivelazione come fonte della fede: “Piacque a Dio nella sua bontà e sapienza rivelarsi in persona e manifestare il mistero della sua volontà, mediante il quale gli uomini per mezzo di Cristo, Verbo fatto carne, hanno accesso al Padre nello Spirito Santo e sono resi partecipi della divina natura. Con questa Rivelazione, infatti, Dio in-visibile nel suo grande amore parla agli uomini come ad amici e si intrattiene con essi, per invitarli e ammetterli alla comu-nione con sé. Questa economia della Rivelazione com-prende eventi e parole intimamente con-nessi, in modo che le opere, compiute da Dio nella storia della salvezza, manife-stano e rafforzano la dottrina e le realtà significate dalle parole, mentre le parole proclamano le opere e illustrano il mistero in esse contenuto. La profonda verità, poi, che questa Rivelazione manifesta su Dio e sulla salvezza degli uomini, risplende per noi in Cristo, il quale è insieme il mediatore e la pienezza di tutta intera la Rivelazione” (cap. I, n.2).Dio stesso si rivela e manifesta il mistero della sua volontà mediante il quale gli uomini per mezzo di Cristo, Verbo fatto carne, hanno accesso al Padre nello Spi-rito Santo e sono resi partecipi della di-vina natura.

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Dal Monastero23

Dio si volge all’uomo come a un amico, non come un sovrano che trasmette i suoi benefici e i suoi ordini. La Rivelazione non è solo una comunica-zione verbale di dottrine, ma è un progetto che si compie in eventi e parole intima-mente connessi. La Rivelazione consiste in Gesù. È lui la profonda verità racchiusa in tutta la sacra Scrittura, è lui il mediatore e la pienezza di tutta intera la Rivelazione.Al n. 5, la Dei Verbum ci dice quale sia la risposta umana alla proposta di colloquio e dialogo da parte di Dio:“A Dio che rivela, è dovuta l'obbedienza della fede, con la quale l'uomo gli si ab-bandona tutt'intero e liberamente, pre-standogli il pieno ossequio dell'intelletto e della volontà e assentendo volontaria-mente alla Rivelazione che egli fa. Perché si possa prestare questa fede, sono necessari la grazia di Dio che previene e soccorre e gli aiuti interiori dello Spirito Santo, il quale muova il cuore e lo rivolga a Dio, apra gli occhi dello spirito e dia a tutti dolcezza nel consentire e nel credere alla verità”.L’appello di Dio e la sua offerta di comu-nione suscitano nell’uomo l’obbedienza della fede, espressione paolina che indica l’abbandono fiducioso e libero a que-sto Dio, che rivela e dà se stesso intera-mente. La fede è la risposta libera dell’uomo che accoglie l’auto-rivelazione di Dio e ac-cetta fiducioso di farsi coinvolgere nella relazione con lui.Diciamo due parole su: l’obbedienza della fede.Obbedienza è spesso per noi sinonimo di un comportamento cieco, dipendente da una guida o da un influsso autorita-rio esteriore; è letta come segno che ci manca il coraggio di usare la ragione: fa

pensare a un legame con un’autorità, fa pensare a un atteggiamento prevalente-mente irrazionale.L’espressione in realtà è biblica, tratta da san Paolo, nell’apertura della Lettera ai Romani.Sappiamo che l’obbedienza è un ascolto profondo, un prestar attenzione a qualcuno che ha qualcosa da dire. Di fronte a Dio “che ha qualcosa da dire”, che ci interpella in modo sensato, che ri-vendica di voler offrire a noi un senso e una via, il nostro ascolto non può che essere intensivo, un alzarsi in piedi vigi-lante, un assenso pronto all’azione. La fede è un atteggiamento di libertà che coinvolge tutto l’uomo. In primo piano balza la dimensione della fiducia, quale atto personale e intelligente, relazionale: do fiducia a qualcuno e gli do fiducia per-ché ho dei motivi per farlo. Ossequio dell’intelligenza non significa abbandono della ragione, ma impegno della ragione. La Rivelazione è Qualcuno cui affidarsi, col quale entrare in relazione. La fede implica la risposta di tutta la per-sona con tutta la sua vita. Raggiungendo la vita della persona e dandole forma, la Rivelazione mostra pienamente il suo si-gnificato e la sua credibilità.Nella Lettera Apostolica di indizione dell’Anno della Fede, il Papa ha scritto: “Per fede uomini e donne hanno consa-crato la loro vita a Cristo, lasciando ogni cosa per vivere in semplicità evangelica l’obbedienza, la povertà e la castità, segni concreti dell’attesa del Signore che non tarda a venire” (Porta Fidei, 13). Approfondiamo la nostra fede in Gesù, nostro Salvatore, e seguiamolo con la semplicità evangelica, con l’audacia dei santi.

SORELLE CLARISSE

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VALCAMONICA: TERRA DI SANTI: SUOR MARIA TRONCATTI BEATA

Dalla Valle

Nel bel volume “Migranti del Vangelo” edito nel 2011 dall’Associazione “Gente Camuna” e presentato all’Eremo1 sabato 10 marzo 2012, si illustrava – fra i mol-tissimi Camuni partiti per la missione evangelizzatrice - la breve biografia di Suor Maria Troncatti2. A distanza di pochi mesi, in Equador, terra della sua Missione, la Camuna Suor Maria Troncatti è stata dichiara Beata dal Card. Angelo Amato, Prefetto della Congregazione per le Cause dei Santi. Riportiamo le parole del Papa Benedetto all’Angelus della Solennità di Cristo Re: sono un invito specialissimo per i Cristiani della Valle. A seguire pro-poniamo una nota biografica.

«A Macas, in Ecuador, è stata procla-mata Beata Maria Troncatti, Suora delle Figlie di Maria Ausiliatrice, nata in Valle Camonica. Infermiera durante la prima Guerra Mondiale, partì poi per l’Ecuador, dove si spese interamente al servizio delle popola-zioni della selva, nell’evangelizzazione e nella promozione umana. Rendiamo grazie a Dio per questa sua generosa testimone!». Benedetto XVI, Angelus di domenica 25 novembre 2012.

* * *

Maria Troncatti nasce il 16 febbraio 1883

a Corteno Golgi. La sua famiglia, nume-rosa ma più volte provata dalla mortalità infantile (Maria è la seconda dei sei su-perstiti, dopo la morte di altri otto) vive serena e laboriosa nella casa in paese, di-videndosi secondo le stagioni fra il gregge di capre e il terreno all’alpe. Cresimata all’età di tre anni, Maria si accosterà alla mensa eucaristica appena compiuti i sei anni, grazie all’intervento della maestra la quale garantisce della preparazione e della consapevolezza cristiana di questa sua alunna, la più piccina nel gruppo dei comunicandi delle varie classi elementari. Il primo incontro con il Pane di vita co-stituisce per la bimba un momento deter-minante, grazie a un’indefinibile attrattiva che il suo animo percepisce, quasi per un istinto spirituale: si abitua ben presto alla frequenza quotidiana alla Messa, e gode di poter ricevere la comunione tre volte la settimana, quanto all’epoca è consentito. Nella sua vita di fanciulla, oltre all’esem-pio di sana religiosità dei genitori e le cure del Parroco, esercita un’influenza note-vole la sorella Caterina, di quattro anni maggiore, che le sarà amica, confidente e “complice” specialmente nell’orienta-mento della sua adolescenza. Vivace e giocherellona, Maria gode anche di una particolare tenera simpatia del papà, Gia-como, che ama definirla affettuosamente el me car taramòt (= il mio caro terremoto).

1 Lettere dall’Eremo, 78 pag.46 – 50.

2 Quaderni di Brixia Sacra, 2. Migranti del Vangelo. Dalla Valcamonica al Mondo, Brescia 2011.

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Dalla Valle25

In famiglia, insomma, Maria “occupa un posto”, anche per quell’arte tutta sua di raccontare, con trasporto e partecipazione, le letture che la maestra le propone per integrare il programma scolastico. Fra queste il Bollettino salesiano, che riporta corrispondenze e narrazioni dalle terre di missione. La vita dei missionari affascina la fervida immaginazione di Maria, che si sente conquistata da quell’ansia di “por-tare Dio” a chi non lo conosce ancora. È in quest’epoca che si definisce nel cuore di Maria un’inclinazione al dono di sé nella consacrazione totale a Dio. L’addio di Maria alla famiglia avviene il 15 ottobre 1905 in un clima che - ricor-dano i parenti - “sa di funerale”: il padre sviene per il dolore della separazione quando Maria ha appena varcato la so-glia di casa. Ma lei non “volge indietro lo sguardo” per timore di non ritrovare la forza di compiere quel passo. Sarà anche nel ricordo di quel penoso momento che suor Maria, ormai missionaria e avanti ne-gli anni, neanche a distanza di tempo ac-cetterà mai alcuna proposta di rimpatrio, nonostante gli inviti dei numerosi nipoti che non la conoscono se non per lettera. Suor Maria è ammessa alla professione “sotto condizione” e il 17 settembre 1908 emette i primi voti per un anno: un anno di prova. Varazze, in Liguria, sarà la sede del suo apostolato per una decina di anni. La giovane suora si occupa in varie man-sioni della casa: ama la vita di sacrificio e cresce nell’anelito di donazione. Scrive: “Tenere presente Dio in tutto... Abbiamo Dio vicino. Parliamo quindi con lui per mezzo di giaculatorie e con l’obbedienza esatta”. Nell’imminenza della prima guerra mon-diale (1915-18) suor Maria è mandata a frequentare un corso speciale per infer-miere e crocerossine, e più tardi a svol-

gere opera di assistenza e conforto ai feriti giunti dal fronte. In questo periodo suor Maria sperimenta anche la protezione speciale della Madonna nel “miracoloso” salvataggio ottenuto in occasione di un’al-luvione che colpisce gravemente la città di Varazze (25 giugno 1915). L’acqua tra-volge improvvisamente il muro di cinta del collegio e inonda la casa: suor Maria e un’altra consorella, giunte dall’ospedale nel primo pomeriggio, si sentono ormai perse, appoggiate su un tavolo che un mu-linello d’acqua avvolge in spire vorticose. Invocano la Madonna: “Mostra te esse matrem…”. Improvvisamente la pazza danza del tavolo, sospinto da un’ondata di riflusso, sbatte le due naufraghe verso la finestra e consente loro di aggrapparsi - senza sapere come - alla persiana e quindi alla ringhiera del piano superiore. Al termine della guerra suor Maria è in-viata per un anno a Genova, nell’Istituto che accoglie gli orfani della guerra. Il suo cuore delicato si affina ancor più nel con-tatto con la sofferenza innocente. Nell’anno seguente - 1919/20 - è a Nizza, nella Casa madre dell’Istituto, dove an-cora una volta le consorelle e le educande hanno modo di apprezzare i “tesori na-scosti” del suo cuore umile e tutto donato, nelle ordinarie azioni quotidiane sempre decisamente orientate a “Dio solo”. Intanto suor Maria, che ha espresso la sua disponibilità a partire per le missioni - sognava i lebbrosi - incontra la Madre generale che le comunica la sua destina-zione: andrà in Ecuador. A trentanove anni si avvera il suo sogno. La sua partenza, come quella di altre sorelle per varie de-stinazioni, rappresenta il coronamento delle grandiose celebrazioni giubilari per il 50° di fondazione dell’Istituto (1872-1922) che hanno richiamato a Nizza, in coincidenza con l’ottavo Capitolo gene-

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rale, numerose rappresentanze di suore, di ex allieve e di Cooperatori salesiani. Suor Maria, con altre due consorelle gio-vanissime, parte il 9 novembre 1922: in treno fino a Marsiglia, poi in bastimento per ventidue giorni di navigazione fino a Panama, quindi a Guayaquil, poi a Chun-chi, una cittadina della Cordigliera Andina abitata in prevalenza da indios. Qui suor Maria, nominata “sul campo” direttrice, inizia la sua attività di medica, o madre fisica, come la chiamano gli indi, improvvisando un ambulatorio e un pic-colo spaccio farmaceutico detto botiquín. Suor Maria scrive ai familiari: “Se vedeste come mi vogliono bene! Quando mi ve-dono salire a cavallo mi raccomandano: ‘Madrecita, torna presto”. Viene il 1925. Suor Maria, con il suo pic-colo drappello, è ormai avviata al grande “lancio” verso la selva amazzonica attra-verso bosco, sottobosco, intrichi di liane e fiumi da guadare. Quando finalmente, dopo lunghe traversie nella misteriosa solennità della selva, dopo la fortunosa traversata del fiume Paute, si giunge nei pressi della missione di Méndez, ad atten-dere le povere missionarie c’è tutt’altro che una sosta riposante. Un gruppo di Chi-vari armati di frecce, lance e coltellacci presidia l’ingresso della missione e pone precise condizioni per un salvacondotto di entrata: i missionari dovranno guarire una adolescente, figlia del capo, che giorni addietro fu ferita accidentalmente in uno scontro a fuoco fra gruppi rivali. Lo stre-gone - il brujo - non ha potuto guarirla e la ferita al petto sta andando ormai in suppurazione. L’aut-aut è chiaro: se tu non la guarisci - dicono i maggiorenti alla doc-tora suor Maria - ti uccidiamo insieme con gli altri; se la guarisci vi facciamo entrare tutti. L’alternativa posta non lascia spazi discrezionali. Con le precauzioni asettiche

possibili e con mezzi di fortuna (un tem-perino tascabile sterilizzato alla fiamma, mentre il gruppetto dei missionari sta raccolto in preghiera), suor Maria incide l’ascesso e la pallottola salta fuori come sospinta da energica invisibile mano. Gioia grande per i Chivari, che mandano “in onda” per la selva l’annuncio: “È ar-rivata una donna bianca, più stregona di tutti gli stregoni. Via libera a lei e a tutti gli accompagnatori”. Quattro giorni ancora di cammino - con guadi, ponticelli di liane e bambù - poi costeggiando l’imponente fiume Upano giungono alla collina sagrada di Macas, dove i Padri domenicani in tempi passati avevano improvvisato costruzioni, ormai cadenti, per l’abitazione dei missionari, per la chiesetta e la scuola. Ben presto l’attività di suor Maria si spinge oltre il fiume Upano, qui sorgerà più tardi la mis-sione di Sevilla don Bosco. Ma non tar-dano a manifestarsi, però, i primi indizi di insofferenza da parte di alcuni coloni, che temono di vedere compromessa la loro au-torità (cioè il proprio ascendente di “pa-droni”) sulla gente shuar, che l’ignoranza tiene loro soggetta, esplode, così in un in-cendio doloso che incenerisce la missione

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(1938) ma non cancella l’opera del van-gelo. Nel 1944 si stabilisce oltre 1’Upano la sede missionaria di Sevilla don Bosco. Poi tutto questo deve essere lasciato per rivolgersi a Sucúa, in una “valle di incan-tevole bellezza” (tale suor Maria è lieta di poterla descrivere nelle sue lettere alla famiglia), aperta e luminosa, fra il fiume Upano e il Tutanangoza. È il 1947. All’età di settanta anni compiuti, nel 1954 suor Maria ha la gioia di vedere in funzione l’ospedale, eretto in muratura (finora si viveva in casette di legno con tetto di pa-glia), lieta di potervi accogliere i pazienti e, grazie alla degenza, curare con i mali fisici anche quelli dell’anima. Il 4 luglio, un vorace incendio in una sola notte di-strugge anni di fatiche nella missione di Sucúa. Suor Maria ne soffre nel profondo; sente che a tanta offensiva del male oc-corre rispondere con un’offensiva di in-tensa carità. Prega e scongiura di bandire ogni ipotesi di vendetta, e anzi a placare gli animi focosi della gente: si sarebbe of-ferta lei stessa vittima per la pacificazione. Parole che aveva già pronunciato quando i primi segnali di “avvertimento” avevano allarmato la missione. “Il bene della pace - diceva - e della vita di un sacerdote vale

assai più della vita mia”. E in altre oc-casioni, dopo l’incendio, le consorelle la sentono affermare convinta che “queste due razze non troveranno riconciliazione se non ci sarà una vittima disposta a im-molarsi per loro”. Il 5 agosto suor Maria partecipa con vero gaudio spirituale alla fiesta jurada della Vergine Purissima di Macas, e assiste all’ordinazione sacerdo-tale di due diaconi particolarmente legati alla missione. Poi, in un momento di inti-mità, confida segretamente alla consorella suor Pierina Rusconi, impegnandola a non rivelare nulla se non a cose avvenute: “La Purísima mi ha detto di prepararmi, perché presto qualcosa di grave mi accadrà”. Pas-sano soltanto venti giorni. Il 25 di agosto, nel congedarsi dalla comunità per recarsi a Quito agli esercizi spirituali, fissando intensamente le suore ancora sconvolte le rassicura con accenti di una strana cer-tezza: “Presto, molto presto torneranno la pace e la tranquillità. Io ve lo assicuro!”. Giunge alla pista di volo quando il piccolo aereo, adibito al trasporto di merci e per-sone, ha già i motori accesi. Si accomiata rapidamente da chi l’ha accompagnata e sale a bordo. È il decollo della morte. Po-chi secondi più tardi si ode uno schianto, mentre le sirene della torre di controllo annunciano la caduta del piccolo aereo. L’offerta della vittima si è compiuta. Da allora il pianto di tutti - coloni, shuar, per-sone di ogni ceto - si fonde in un unico comune dolore e in una sola espressione di rimpianto: “È morta una santa... Non c’è più la nostra mamita!”. Il giorno 8 no-vembre 2008 è stato pubblicato il Decreto sull’eroicità delle virtù di questa esem-plare missionaria della pace e della vita. Il 24 novembre 2012 è dichiarata Beata a Macas in Ecuador3.

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3 Sintesi del testo di SUOR GIULIANA ACCORNERO FMA

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LA BANCA DI VALLE CAMONICA HA CELEBRATO ALL’EREMO IL 140° DI FONDAZIONE

Dalla Valle

Il 22 settembre 2012 Amministratori, Col-laboratori e Amici della Banca di Valle Camonica si sono riuniti presso l’acco-gliente Eremo dei Santi Pietro e Paolo nell’annuale “Incontro del personale”, promosso per fare il punto sull’andamento aziendale e per riflettere insieme sulla missione che ancora compete all’Istituto. L’iniziativa si è tenuta in concomitanza con la ricorrenza del 140° anniversario di fondazione della Banca, sorta - grazie alla volontà di una decina di liberi professio-nisti, imprenditori e commercianti, gui-dati dall’ispirazione di quel protagonista del movimento cattolico che fu l’avvocato Giuseppe Tovini - mediante atto notarile stipulato il 2 giugno 1872 nella cittadina di Breno. La giornata è stata aperta con la Santa Messa in suffragio degli Amici “andati avanti”, celebrata nel Duomo di Breno da Sua Eminenza cardinale Gio-vanni Battista Re, prefetto emerito della Congregazione per i Vescovi. Nel suo indirizzo di saluto - svolto alla presenza dei rappresentanti della Capogruppo UBI Banca (il presidente del Consiglio di Ge-stione dottor Emilio Zanetti e il consi-gliere delegato dottor Victor Massiah) - il presidente Gianfranco Maiolini ha fatto menzione degli amministratori, dei col-laboratori, degli amici e dei clienti scom-parsi, soffermandosi sul ruolo del dottor Giuseppe Camadini, mancato il 25 luglio scorso, tratteggiandone brevemente la fi-gura anche mediante la ripresa di brani tratti da interventi a suo tempo effettuati

dal compianto notaio. Il dottor Camadini, impegnato operosamente a favore di nu-merose iniziative economiche, sociali, educative e culturali, è stato amministra-tore della Banca di Valle Camonica per quasi 50 anni, dando allo sviluppo della Valle un prezioso contributo di capacità professionale e di passione, manifestando grande amore per la propria terra di ori-gine. Il presidente Maiolini ha ricordato anche i presidenti Evangelista Laini e Piero Corna Pellegrini Spandre, nonché il vice presidente Ernesto Patti. Il ragio-nier Laini, uomo di profonda umanità e signorilità, nei trent’anni di presidenza ha dato all’espansione dell’Istituto un con-tributo morale e operativo determinante. L’ingegner Corna Pellegrini, succeduto a Laini nella carica di presidente, ha coo-perato intensamente al consolidamento della Banca, nella fedeltà all’etica civile e ai principi ispiratori dei fondatori e con continua attenzione alla realtà sociale ed economica della Valle. Il geometra Patti, imprenditore impegnato nel settore turi-stico dell’Alta Valle Camonica, ha offerto alla Banca larga esperienza e competente disponibilità. Le risultanze contabili della semestrale sono state presentate dal Di-rettore generale Stefano Vittorio Kuhn che ha sottolineato le criticità dell’at-tuale contesto economico e ha fornito spunti operativi per migliorare l’azione della Banca che continuerà a perseguire l’equilibrio nella gestione, a sostenere le imprese e le famiglie, a mantenere intatta

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la propria funzione di Banca del territorio. La mattinata è stata chiusa dal dottor Vic-tor Massiah che - nel rimarcare la solidità del Gruppo - ha par-lato con franchezza della grave situa-zione di crisi che at-tanaglia le economie occidentali e ha fatto appello all’impegno di tutti per superarne - nel più breve tempo

possibile - gli effetti negativi. Sono stati premiati i collaboratori che si sono distinti per la loro fedeltà all’Istituto, tagliando i traguardi dei 25 e dei 30 anni di anzianità di servizio. Recentemente la Banca è stata iscritta al prestigioso “Registro Nazio-nale delle Imprese Storiche”, istituito da Unioncamere per celebrare il 150° anni-versario dell’unità d’Italia, con l’obiettivo di promuovere le realtà imprenditoriali che hanno saputo coniugare innovazione e tradizione, apertura al mondo e appar-tenenza alla comunità: in quest’ottica, il segretario della Camera di Commercio di Brescia dottor Massimo Ziletti, inter-venuto in rappresentanza del presidente dottor Francesco Bettoni, ha consegnato al presidente Maiolini una targa comme-morativa. Negli ultimi decenni l’Istituto camuno, en-trato a far parte nel 1963 della Banca San Paolo di Brescia (pure fondata da Tovini), ha appoggiato significative realizzazioni: l’apertura a Brescia di una sede staccata dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano; la promozione in città della Fa-miglia Universitaria che ha ospitato negli anni e ancora ospita numerosi giovani studenti provenienti dalla Valle; il soste-

gno alla costruzione dell’Eremo di Bienno (elevato sui ruderi di un antico convento francescano fondato - secondo la tradi-zione - da Sant’Antonio di Padova), con il quale sono stati mantenuti stretti rapporti di vicinanza, diventando la Casa centro di iniziative di risonanza e di incontri di formazione e di cultura; la realizzazione, accanto all’Eremo, del Monastero delle Clarisse, filiazione della comunità mona-stica di Lovere; la creazione della Fonda-zione Camunitas, con l’acquisto in testa alla medesima del monastero cluniacense di San Salvatore di Capo di Ponte, consen-tendo di salvare un monumento di ecce-zionale importanza storica e religiosa; la beatificazione dell’avv. Tovini, avvenuta nel 1998 durante la visita a Brescia di Giovanni Paolo II.Nel 2007 la Banca di Valle Camonica è entrata a far parte del Gruppo “Unione di Banche Italiane”, operando in armonia da quel momento con UBI BANCA, la Ca-pogruppo generata dalla fusione di Banca Lombarda e Piemontese in Banche Popo-lari Unite-BPU. L’aggregazione tra due realtà solide, dinamiche e ben strutturate ha consentito di fronteggiare meglio la competizione e le sfide dei mercati. Nel contesto del modello di “banca federale”, l’integrazione è in grado di preservare l’autonomia e l’indipendenza delle sin-gole realtà, valorizzandone il radicamento nel territorio. Il gruppo offre servizi efficienti, soste-nendo con professionalità le migliaia di imprese che formano il tessuto connettivo dell’economia italiana e recando vantaggi alle famiglie, in termini di prodotti finan-ziari, di risparmio e di previdenza. Oggi la Banca di Valle Camonica conta su 346 dipendenti e dispone di 66 sportelli, distri-buiti nelle province di Brescia, Bergamo, Como e Sondrio.

Santa Messa nel Duomo di Breno, presieduta dal Card. Giovanni Battista Re.

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IL LIBRAIO

Dalla Valle

Da qualche mese Radio Voce Camuna ospita una nuova trasmissione: IL LI-BRAIO, rubrica settimanale dedicata alla lettura. L'emittente nasce negli anni Settanta da un gruppo di laici e sacerdoti attenti al mondo della comunicazione e in sintonia con la realtà diocesana e si con-ferma come presenza attenta alla realtà camuna: una voce sul territorio e per il territorio. I suoi microfoni fanno da tra-mite agli eventi della valle, proponendo informazioni locali e programmi d'intrat-tenimento culturale. Appare evidente la sinergia che l'Eremo di Bienno e RVC intendono consolidare: un impegno volto a proporre iniziative non soltanto pretta-mente religiose, ma culturali nel senso ampio del termine. Per questo, Lettere dall'Eremo dedica un piccolo spazio a una trasmissione radiofonica che parla di libri, con gli occhi - e i padiglioni aurico-lari - volti alla Valle.Il Libraio va in onda ogni giovedì dalle 17 alle 17.30, presentando pubblicazioni di ogni genere, o meglio: libri e riviste con “qualcosa da dire”. Il libro è sempre accompagnato da una parte musicale: canzoni che in un modo o nell'altro c'en-trano con le tematiche trattate. A capo di quest'impresa ci sono due neo-condut-trici prive di esperienza, ma con un folle amore per i libri e la musica: nello spe-cifico, due pazze. Siamo due ragazze, di 24 e 32 anni: dal nostro incontro e dalla nostra comune passione per la lettura, è nata l'idea di questa trasmissione, sfociata

nella prima messa in onda del 15 marzo di quest'anno. L'idea trae spunto dal circolo di lettura LIBRIamo, che si tiene tutti i mesi presso la Biblioteca di Malegno. Il programma radiofonico si basa quindi su una buona dose di passione per la carta stampata e sul desiderio di contagiare la voglia di leggere, mostrando che la cultura può esser divertente: condividere quello che si scopre, passare del tempo in alle-gria, proporre chiavi di lettura diverse, sono gli ingredienti della nostra ricetta. Per far questo, abbiamo cercato fin da subito di coinvolgere un buon numero di persone: IL LIBRAIO porta avanti alcuni progetti, non da ultimo la collaborazione con il Liceo Camillo Golgi, grazie al quale avremo con noi in studio alcuni ragazzi delle quinte. Alla partecipazione degli stu-denti nella realizzazione delle puntate, si somma la presenza di amici, di esperti e di “gente comune” impegnata in attività sul territorio: dai volontari del Canile di Gor-zone, ai giovani redattori di GenerAzione Rivista, sino alle donne dell'ANDOS. Tante voci che dai libri partono e che si dipanano quindi nell'analisi delle temati-che, prestando attenzione alla realtà locale e globale di cui siamo parte. Per lasciarci i vostri suggerimenti, riascoltare le puntate, leggere qualche recensione e - perchè no? - proporvi per partecipare, ci trovate su: www.lavocedellibro.it.

Buon Ascolto.SANDRA SIMONETTI

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DOTT. GIUSEPPE CAMADINI FONDATORE DELL’EREMO

Amici

Nel precedente numero è stata pubblicata l’omelia del Vescovo Luciano al funera-le dell’ “amico” Giuseppe Camadini. Ci permettiamo ancora due parole che mai riusciranno a descrivere tutto il “bene” sparso in Valle, all’Eremo e al Monaste-ro delle Clarisse. Grazie dott. Giuseppe.

Amava profondamente la Valle dove, nel-la casa di famiglia di Sellero, ha trascorso lunghi periodi fi n dall’infanzia. Giuseppe Camadini, notaio per molti anni in quel di Cedegolo e animatore di numerosissime iniziative nei più diversi ambiti, era radicalmente e convintamente solidale con la sua terra, partecipe di un destino di uomini e istituzioni che hanno segnato a fondo la storia di questo ter-ritorio, soprattutto a partire dal secondo Dopoguerra. Era il più giovane dei fratelli, cresciuto alla scuola esigente, severa ma amorevole e sempre altamente motivata di papà Pier-Paolo e di mamma Paolina; ma era anche continuatore, sotto molti aspetti, delle at-tività e dell’impegno in campo sociale ed ecclesiale che segnarono l’esperienza del fratello Gianfranco, perito in giovane età in un tragico incidente stradale. In qualche occasione Giuseppe Camadi-ni ebbe modo di sottolineare con sobrie-tà e misura questo debito verso la testi-monianza del fratello maggiore, quasi si trattasse di una chiamata alla quale non poteva e non doveva sottrarsi. Eravamo

alla metà degli anni Cinquanta e il gio-vane Giuseppe, poco più che ventenne e appena laureato in giurisprudenza, già si trovava a dover gestire un’impegnativa eredità morale e spirituale che lo avrebbe segnato per il resto della sua vita. Tappe che, tutto sommato, è facile riassu-mere perché per lui gli ambiti dell’attivi-tà e della testimonianza sono sempre stati chiari e defi niti, profondamente sentiti ancorché non ostentati. E tutto ciò può apparire paradossale, a fronte di una mole di impegni e di presen-ze che vanno dall’ambito civile, sociale e culturale a quello più spiccatamente ecclesiale, in un crescendo che aveva dell’incredibile. Per quanto riguarda il solo ambito camuno, basterebbe richia-mare la Banca di Valle Camonica, la Ti-pografi a Camuna, l’Eremo dei santi Pietro

Dott. Giuseppe Camadini

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Amici 32

e Paolo di Bienno e l’attiguo Monastero di Santa Chiara, la Fondazione “Camuni-tas”, Radio Voce Camuna, ben sapendo che queste sono solo le punte emergenti di un impegno radicato e diffuso in nu-merosi settori. In particolare, per l’Eremo nutrì interes-se, amore e attenzione uniti a vera e au-tentica solidarietà fi n dall’inizio. La stessa cosa si può dire per il mona-stero di Santa Chiara, sorto qualche anno dopo a poca distanza dal complesso che domina dall’alto tutta la media Valleca-monica. Le forti convinzioni etiche e religiose, il senso di appartenenza a una tradizione nutrita dei valori spirituali della Valca-monica e della Brescianità, lo sguardo costantemente rivolto alla cattolicità del-la Chiesa, la capacità di farsi diligente ascoltatore dei problemi più veri e più in-timi di ogni persona che a lui si rivolges-se, la sua memoria sempre pronta, la sua autentica semplicità che spesso sfuggiva a chi non lo conosceva che per sentito dire, la sottile ironia che si coglieva nelle sue pacate e convincenti parole e, infi -ne, quell’abbandono pieno e totale nella Provvidenza che non dimenticava mai di mettere in luce: ebbene, queste note di temperamento e di cultura, di stile di vita e di passione per l’uomo e per le istituzio-ni che lo guidano hanno fatto di Giuseppe Camadini una fi gura di altissimo profi lo umano e spirituale.Ed ora, quando il tempo della sua espe-rienza terrena si è interamente consuma-to e dolore e rimpianto dominano i sen-timenti di coloro che l’hanno conosciuto o che hanno condiviso con lui un tratto di strada, diventa inevitabile ricercare la nota saliente della sua spiccata personali-

tà. Pur segnato dalla geografi a e dalla sto-ria della sua Valle, fu anche l’uomo delle ampie e coraggiose visioni, seriamente coinvolto nelle gioie e nei travagli di questo nostro tempo, testimone autentico della fede dei padri, instancabile promo-tore di iniziative soprattutto a favore del-le nuove generazioni. Non c’è ombra di dubbio: la sua fi gura si affi anca a quelle di altri artefi ci e protagonisti dell’esaltan-te e sofferta storia del cattolicesimo ca-muno, bresciano e nazionale da un secolo a questa parte.

GIAN MARIO MARTINAZZOLI

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VALCAMONINGOSPEL: ALL'EREMO IL PRIMO WORKSHOP DI MUSICA GOSPEL DELLA VALCAMONICA

Avvenimenti

Se avessero potuto avrebbero sorriso be-ate. Questo avrebbero fatto le antiche pietre dell’Eremo dei Santi Pietro e Pao-lo di Bienno se fossero state in grado di esprimere la gioia contagiosa che l’Eremo stesso (nella persona del suo Direttore don Roberto) e i partecipanti all’esperienza del Valcamoningospel hanno provato, in pri-ma persona, durante i due giorni di corso, ed hanno fatto provare al pubblico, duran-te il concerto fi nale tenutosi domenica 30 settembre presso la Chiesa Parrocchiale di Bienno. Cos’era alla base di quella gioia? Il gospel. Spiegare cosa sia effettivamente il gospel, o meglio sarebbe dire, la musica gospel non è cosa facile. Nehemiah Brown (cantante, pianista, compositore, arrangia-tore, direttore, insegnante di canto e tecni-ca vocale di origini americane ma da anni operante in Italia), cui il Coro Hope Sin-gers ha affi dato la direzione di questa pri-ma edizione del workshop, in occasione di una recente intervista, ha defi nito la musica gospel, come la “celebrazione della gioia

per aver conquistato la libertà, la celebra-zione della rinascita dopo gli anni della schiavitù”. Il pensiero del Maestro Brown era certamente rivolto al popolo afro-ame-ricano degli anni della schiavitù. Anche oggi, però, cantare (e ascoltare) gospel (la cui traduzione letterale è “Vangelo”) è fare un’esperienza di libertà: quella liber-tà di cui il Vangelo è intriso. La libertà di seguire una strada - l’unica - che può con-durre dritta dritta alla felicità vera: quella piena, quella destinata a non perire. Questa è l’esperienza che gli Hope Singers fanno da quasi 19 anni cantando e approfonden-do il genere musicale degli spirituals (i canti spontanei, nati nelle piantagioni di cotone e quindi eseguiti a cappella, ovvero senza l’accompagnamento musicale), dei gospel (canti, forse più “colti”, nati nelle chiese degli anni trenta, espressione della gioia per aver conquistato la libertà) e, da qualche tempo, dei canti klezmer esegui-ti in lingua Yiddish (la lingua del popolo ebraico), o dei canti di altri popoli accomu-

I partecipanti al workshop e il maestro Nehamiah Brown

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nati dalla medesima tensione verso l’Infi -nito e dallo stesso anelito verso la libertà. L’idea del coro di Darfo - dopo aver vissu-to analoga esperienza proposta dai colleghi di un noto coro torinese - è stata quella di offrire a tutti la possibilità di vivere que-sta avventura entusiasmante. Tutti erano i benvenuti: giovani e meno giovani, co-risti provenienti da altri cori come singoli interessati e attratti da esperienze di canto corale, magari intenzionati a entrare a fare parte del coro organizzatore o, semplice-mente, desiderosi, pur non avendo molto tempo a disposizione, di provare, almeno una volta nella vita, l’emozione di esibirsi in concerto. L’Eremo si è rivelato, sin da subito, non solo location ideale (per gli ambienti comodi e spaziosi e per la possi-bilità, in caso di bisogno, di fruire in loco di vitto e alloggio senza doversi spostare to-gliendo tempo alle attività) ma anche pre-zioso partner nell’effettiva realizzazione dell’iniziativa. Ciò soprattutto per la con-divisione dell’obiettivo: nell’anno della fede consentire ai giovani (ma non solo) di fare esperienza di una forma nuova di comunicazione della fede. E così la trenti-na circa di iscritti, unitamente al coro Hope Singers (anch’esso di circa trenta elementi) ha approfondito la teoria e, soprattutto, la pratica del canto gospel. Il Maestro Brown, accompagnato dalla sua collaboratrice Jo-sie (solista in alcuni canti e coreografra in previsione del concerto fi nale), ha insegna-to ai partecipanti al seminario, attraverso

l’esecuzione di numerosi brani imparati in tempo record, il valore dell’interpreta-zione e dell’improvvisazione. Interpretare viene spontaneo nella misura in cui si ha ben presente ciò che si sta facendo, ovve-ro proclamare in musica la parola di Dio. Un’interpretazione consapevole e sentita crea nell’ascoltatore un’empatia e un tra-sporto immediati. Improvvisare contribu-isce invece a far percepire al pubblico la forza della ricerca della libertà e la bellez-za dell’espressione libera, che sgorga dal cuore. Con queste due nuove regole auree gli allievi si sono cimentati, sorretti anche da un gruppo di amici del coro di Carpi, sempre diretto dal Maestro Brown, in un concerto travolgente nel quale i presenti non sono stati semplicemente spettatori ma sono stati coinvolti nell’esperienza con il loro battito di mani e con la loro parte-cipazione, anche canora! La felicità per il tempo trascorso insieme (propizio per nuo-ve conoscenze e scambi di idee, esperienze e…spartiti) e la soddisfazione per il risulta-to ottenuto oltre ogni aspettativa è stata di-chiarata con convinzione da tutti. Ne sono scaturiti tanti frutti positivi. Nuovi ingressi nel coro (le cui porte rimangono comunque aperte a nuove volonterose voci, soprattut-to maschili), tecniche di canto interessanti, propositi e idee per il futuro. Quello che è certo è che l’esperienza si ripeterà il pros-simo anno e che il comitato organizzativo è già al lavoro per proporre alcune inte-ressanti novità. Se questo breve resoconto stimolerà la curiosità dei lettori di Lettere Dall’Eremo, maggiori informazioni pos-sono essere trovate sul sito Internet http://www.valcamoningospel.it/ ove si potranno anche vedere il video e le fotografi e realiz-zate durante le sessioni di lavoro e durante il concerto fi nale. Arrivederci all’edizione 2013 del Valcamoningospel.

CORO HOPE SINGERS

UFFICIO STAMPA

Avvenimenti 34

Un momento del concerto

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PROGRAMMA 2012 - 2013 DELLE ATTIVITA’ DELL’EREMO

Calendario

I RITIRI ALL’EREMORitiro mensile per le donne: LA PORTA DELLA FEDEUn mercoledì al mese, dalle ore 9 alle 15.9 gennaio 2013 - 27 febbraio (non il 20) - 20 marzo - 17 aprile - 08 maggio (non il 15) - 05 giugno.

Per religiose e consacrate: IO CERCO IL TUO VOLTOUn sabato al mese, dalle 9 alle 15. 12 gennaio 2013 - 09 febbraio - 09 marzo - 13 aprile - 11 maggio - 08 giugno.

Ritiro mensile per Sacerdoti: IO CERCO IL TUO VOLTOUn giovedì al mese dalle 9,15 alle 1310 gennaio 2013 - 21 febbraio -14 marzo - 9 maggio - 6 giugno.

I CAMMINI DELL’EREMOSanta Messa per i “figli in cielo”Il sabato, una volta al mese, ore 16,30.12 gennaio 2013 - 16 febbraio - 16 marzo - 13 aprile - 11 maggio - 15 giugno.

Incontro di spiritualità per gli adulti: LA PORTA DELLA FEDEUna serata di preghiera che inizia con la preghiera del rosario e prosegue con la Messa, la proposta di riflessione e l’Ado-razione Eucaristica personale. Un mercoledì al mese, dalle 20 alle 2209 gennaio 2013 - 13 febbraio - 13 marzo - 08 maggio - 12 giugno.

Incontro UAC Unione Apostolica del CleroIl mercoledì mattina, una volta al mese, per la formazione e la fraternità sacerdotale, dalle 10.15 alle 13

23 gennaio 2013 - 28 febbraio - 20 marzo - 10 aprile (non il 17) - 22 maggio - 13 giugno.

Gruppo “Galilea”Cammino di fede per persone separate, di-vorziate, conviventi. Il secondo giovedì del mese dalle 20 alle 22.

La Scuola di preghiera (IV anno) Le domeniche di aprile 2013 - 7,14,21,28 - con don Marco Busca e don Sergio Passeri, dalle 20.15 alle 22.15

La Santa Messa domenicale dell’Eremo Tutte le feste di precetto. Una celebrazione cantata e prolungata. Da ottobre a marzo alle ore 16,30; da aprile a settembre alle ore 17.

Le settimane teologico pastorali per sa-cerdotiUn’occasione per la formazione perma-nente e la fraternità dei sacerdoti: dal 4 all’8 febbraio e dal 22 al 26 aprile 2013

GLI ESERCIZI SPIRITUALI Per sacerdoti:• Con don Gianmarco Busca, docente al Seminario di Brescia, all’Università Catto-lica, e al Centro Aletti di Roma, dal 13 al 18 gennaio 2012: Per giovani sacerdoti;

• Con Mons. Ettore Malnati, della diocesi di Trieste, docente di teologia e studioso del pontefice bresciano, dal 16 al 21 giugno 2013: L’amore di Dio si manifesta in noi dapprima con la vocazione alla fede (Paolo VI, 21 giugno 1967);

• Con Mons. Marco Frisina, della diocesi

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Calendario 36

di Roma, musicista e biblista, dal 7 al 12 luglio 2013: Il cantico dei cantici;

• Con Mons. Francesco Cattadori, della diocesi di Piacenza, dal 25 al 30 agosto 2013: La Porta della fede;

• Con S.E. Mons. Raffaello Martinelli, Vescovo di Frascati, dal 10 al 15 novembre 2013: La fede nel catechismo della Chiesa Cattolica;

Per laici, ma aperti a tutti: • Con don Gianmarco Busca, don Sergio Passeri e collaboratori, dal 5 al 10 agosto 2013: Chi ha il Figlio, ha la vita (1Gv 5,12). Come vivere secondo l’uomo nuovo;

• Con Padre Giuseppe Barzaghi, filosofo e domenicano, L’intimità della fede, dal 1 al 5 luglio 2013;

• Con S.E. Mons. Raffaello Martinelli, Vescovo di Frascati, dal 10 al 15 novembre 2013: La fede nel catechismo della Chiesa Cattolica;

Per giovani:• Con S.E. Mons. Luciano Monari, Ve-scovo di Brescia, dal 3 al 5 maggio 2013: La fede è vita (Iscrizioni all’Ufficio vocazioni della Curia di Brescia, tel. 030.37221).

Altri appuntamenti sul sito: www.eremodibienno.it:

Monsignor Ambroise Djoliba, Presidente della Conferenza Episcopale Togolese. Un anno e mezzo fa ha soggiornato all'Eremo durante la convalescenza: nel numero 74 (pag. 25) abbiamo riportato una sua testimonianza sotto forma di intervista. Di seguito, pubblichiamo la mail che Mosignor Ambroise ha inviato all'Eremo.

Je suis heureux de venir vous donner de mes nouvelles qui sont bonnes. Depuis que je vous ai quittés en mars 2011 pour revenir au Togo, ma santé progresse de jour en jour. Et je ne cesse de penser à vous qui m’avez accueilli et mis à l’aise pendant le temps de ma con-valescence. Je travaille normalement, mais je sais me ménager et mon rythme de travail a ralenti. Je suis dans ma soixant- quatorzième année d’âge. En Afrique c’est un bel âge. Le dimanche 23 septembre, j’ai ordonné deux diacres en vue du sacerdoce et j’ai réservé le troisième qui sera ordonné au grand Séminaire le 04 novembre à la fête patronale du Sémi-naire. Actuellement, nous sommes en train de publier les bans pour trois diacres de l’an der-nier : ils ont fait la demande pour accéder au presbytérat. Si les publications ne révèlent au-cun empêchement, ils seront ordonnés prêtre le 22 décembre prochain.Merci d’avoir contribuer à me redonner une bonne santé. Je vous souhaite bien des choses agréables et nous restons en communion dans le Seigneur et dans la mission de l’Eglise. Re-spectueusement, et avec reconnaissance pour votre accueil qui m’avait mis à l’aise, Bien fraternellement.

+ Ambroise K. DjolibaEvêque de Sokodé

Sono felice di potervi portare delle buone notizie. Da quando vi ho lasciati nel marzo del 2011 per tornare in Togo, la mia salute è migliorata di giorno in giorno. E non smetto di pensare a voi che mi avete accolto e messo a mio agio durante la mia convalescenza. Lavoro normalmente, ma mi so gestire e il mio ritmo di lavoro è rallentato. Quest'anno ho settantaquattro anni. In Africa, è una bella età. Domenica 23 settembre ho or-dinato due diaconi in vista del sacerdozio ed è in attesa il terzo che sarà ordinato al seminario maggiore il 4 novembre in occasione della fe-sta patronale del Seminario. Attualmente, stiamo pubblicando i bandi per tre diaconi dell'anno scorso: hanno fatto domanda per accedere al presbiterato. Se le pubblicazioni non riveleranno alcun impedi-mento, saranno ordinati sacerdoti il 22 dicem-bre prossimo. Grazie d'aver contribuito a rimettermi in se-sto. Vi auguro tante belle cose e restiamo in comunione nel Signore e nella missione della Chiesa. Con rispetto e riconoscenza per la vostra ac-coglienza che mi aveva messo a mio agio. Fraternamente.

+ Ambroise K. DjolibaVescovo di Sokodé

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LETTEREDALL’EREMODICEMBRE 2012ANNO XXVIIDirettore ResponsabileDon Gabriele Filippini

Autorizzazione n. 4/89del Tribunale di Brescia

EREMO DEI SANTI APOSTOLIPIETRO E PAOLO25040 BIENNO (Brescia)Telefono 0364/[email protected]

ABBONAMENTO:Ordinario € 15,00Sostenitore € 30,00Benemerito € 50,00C.C. Postale n. 17738253int. a Alma Tovini Domus

Stampa: Tip. Camuna S.p.A. - BrenoTel. 0364/22007

Si ringrazia la

che, condividendone le finalità, contribuisce alla stampa e spedizione di questa rivista.

Dall’Eremo

Dal Monastero

Amici

Dalla Valle

Calendario

La porta dell’Eremo e la porta della fede Pag. 01Discernimento Pag. 02 Attività e notizie Pag. 04La croce nella spiritualità cristiana Pag. 10Esercizi spirituali per sacerdoti Pag. 14Mons. Giuseppe Almici Pag. 16Sulle orme di S. Gemma e di S. Francesco Pag. 19

Anno della fede I - XXVIII Concluso l’anno centenario Pag. 22

Suor Maria Troncatti beata Pag. 24La Banca di Valle Camonica ha celebrato all’Eremo il 140° di fondazione Pag. 28Il libraio Pag. 30

Dott. Giuseppe Camadini Pag. 31

Valcamoningospel Pag. 33

Programma 2012- 2013 Pag. 35

Mons. Ambroise Djoliba Pag. 36

Inserto

Avvenimenti

Dalla Redazione

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78LETTEREDALL’EREMOINSERTO n. 22Anno della Fede

GIORNALECULTURALE

INFORMATIVOA CURA DEGLI

“AMICI DELL’EREMODI VALLECAMONICA”